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Noam Chomsky: Non ha più importanza chi detiene il potere politico, tanto no...

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AS I PLEASE

PER VEDERE COSA CʹÈ SOTTO IL PROPRIO NASO OCCORRE UN GRANDE SFORZO.
(G.ORWELL)

Noam Chomsky: Non ha più importanza chi detiene il


potere politico, tanto non sono più loro a decidere le cose
da fare.

30 novembre 2014

https://miccolismauro.wordpress.com/2014/11/30/il-capitale-internazionale-la-nu... 28/07/2016
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di Noam Chomsky (basato su dibattiti tenuti in Illinois, New Jersey,Massachusetts, New York e
Maryland nel 1994,1996 e 1999)

UN uomo: Negli ultimi venticinque anni il capitale finanziario multinazionale, piuttosto che negli investimenti
e nel commercio, è stato impiegato nelle speculazioni sui mercati azionari internazionali, al punto da dare
l’impressione che gli Stati Uniti siano diventati una colonia alla mercé dei movimenti di capitali internazionali.
Non ha più importanza chi detiene il potere politico, tanto non sono più loro a decidere le cose da fare. Che
portata ha, oggi, questo fenomeno sulla scena intemazionale? Per prima cosa dobbiamo fare più attenzione

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al linguaggio che utilizziamo, me compreso. Non dovremmo parlare semplicemente di “Stati Uniti”,
perché non esiste una simile entità, così come non esistono entità come lʹ”Inghilterra” o il
“Giappone”. Può darsi che la popolazione degli Stati Uniti sia “colonizzata”, ma gli interessi
aziendali che hanno base negli Stati Uniti non sono affatto “colonizzati”. A volte si sente parlare di
“declino dell’America”, e se si osserva la quota mondiale di produzione che viene effettuata sul
territorio degli Stati Uniti è vero, è in declino. Ma se si considera la quota di produzione mondiale
delle aziende che hanno sede negli Stati Uniti, ci si accorgerà che non c’è alcun declino, anzi, le cose
vanno per il meglio. Il fatto è che questa produzione ha luogo soprattutto nel Terzo mondo. Quindi
possiamo parlare di “Stati Uniti” come entità geografica, ma non è questo ciò che conta nel mondo
degli affari. In sintesi, se non si parte da un’elementare analisi di classe non si riesce nemmeno a
comprendere il mondo reale: cose come “gli Stati Uniti” non sono entità. Ma lei ha comunque
ragione: gran parte della popolazione degli Stati Uniti viene sospinta verso una sorta di condizione
sociale da Terzo mondo colonizzato. Dobbiamo però ricordare che esiste un altro settore, composto
da ricchi manager, da ricchi investitori e dai loro scherani nel Terzo mondo, come i gangster della
mafia russa o qualche ricco dignitario brasiliano, che curano i loro interessi a livello locale. E questo è
un settore del tutto diverso, i cui affari stanno andando a gonfie vele. Per quanto riguarda i capitali
destinati alle speculazioni, anch’essi hanno una parte estremamente importante. Lei è nel giusto
quando sostiene che hanno un enorme impatto sui governi nazionali. Si tratta di un fenomeno molto
esteso; le cifre sono di per sé impressionanti. Intorno al 1970, circa il 90 percento del capitale
coinvolto nelle transazioni economiche internazionali veniva utilizzato a scopi commerciali o
produttivi e soltanto il 10 percento a scopi speculativi. Oggi le cifre si sono invertite: nel 1990, il 90
percento del capitale totale era utilizzato per la speculazione; nel 1994 si era saliti addirittura al 95
percento. Inoltre l’ammontare globale del capitale speculativo è esploso: l’ultima stima della Banca
mondiale indicava una cifra di circa 14 000 miliardi di dollari. Ciò significa che ci sono 14 000
miliardi di dollari che possono essere liberamente spostati da un’economia nazionale a un’altra: un
ammontare enorme, superiore alle risorse di qual siasi governo nazionale, e che quindi lascia ai
governi possibilità estremamente limitate quando si tratta di operare scelte politiche economico­
finanziarie. Perché si è verificata una crescita tanto imponente del capitale speculativo? I motivi
chiave sono due. Il primo ha a che fare con lo smantellamento del sistema economico mondiale del
dopoguerra, che avvenne nei primi anni settanta. Vedete, durante la Seconda guerra mondiale gli
Stati Uniti riorganizzarono il sistema economico mondiale e si trasformarono in una sorta di
“banchiere globale” [durante la Conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite a Bretton
Woods, nel 1944]: il dollaro diventò la valuta mondiale, venne fissato all’oro e divenne il punto di
riferimento per le valute degli altri paesi. Questo sistema fu alla base della consistente crescita
economica degli anni cinquanta e sessanta. Ma negli anni settanta il sistema di Bretton Woods era
divenuto insostenibile: gli Stati Uniti non erano più abbastanza forti economicamente da continuare a
essere il banchiere del mondo, soprattutto per gli alti costi della guerra nel Vietnam. Così Richard
Nixon prese la decisione di smantellare del tutto l’accordo: all’inizio degli anni settanta sganciò gli
Stati Uniti dal sistema monetario aureo, aumentò le tasse sulle importazioni, distrusse tutto il
sistema. La fine di questo sistema di regolamentazione internazionale diede l’avvio a una
speculazione sulle valute senza precedenti e a una fluttuazione degli scambi finanziari, fenomeni da
quel momento in costante crescita. Il secondo fattore che ha determinato il boom del capitale
speculativo è stato la rivoluzione tecnologica nelle telecomunicazioni, che avvenne nello stesso
periodo e rese d’improvviso molto facile il trasferimento di valuta da un paese all’altro. Oggi,
virtualmente, l’intera Borsa valori di New York si sposta a Tokyo durante la notte: il denaro è a New
York di giorno, poi viene trasferito “via rete” a Tokyo, e siccome il Giappone è in anticipo di
quattordici ore rispetto a noi, lo stesso denaro viene utilizzato in entrambi i posti. Ormai, quasi 1000
miliardi di dollari vengono spostati quotidianamente sui mercati speculativi internazionali, con
effetti enormi sui governi nazionali. A questo punto, la comunità internazionale che gestisce questi
investimenti ha un virtuale potere di veto su tutto ciò che un governo nazionale può fare. È quanto
accade oggi negli Stati Uniti. Il nostro paese si sta riprendendo lentamente dall’ultima recessione;
certamente è la ripresa più lenta dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma c’è stagnazione

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soltanto sotto un certo punto di vista: la crescita economica è molto bassa, si sono creati pochi posti di
lavoro (in realtà, per molti anni, i salari sono persino scesi durante questa “ripresa”), ma i profitti
sono andati alle stelle. Ogni anno la rivista Fortune esce con un numero dedicato alla ricchezza delle
persone più importanti del mondo, Fortune 500, il quale ci dice che i profitti in questo periodo si
sono impennati: nel 1993 erano molto buoni, nel 1994 esaltanti e nel 1995 avevano battuto ogni
record. Nel frattempo i salari reali scendevano, la crescita economica e la produzione erano molto
basse e questa lenta crescita a volte veniva addirittura fermata perché il mercato obbligazionario
“dava segnali” di non gradirla. Vedete, gli speculatori finanziari non vogliono la crescita: vogliono
valute stabili, quindi niente crescita. La stampa specializzata parla apertamente della «minaccia di
una crescita troppo impetuosa», della «minaccia di un eccesso di occupazione»: tra di loro lo dicono
chiaramente. Il motivo? Chi specula sulle valute teme l’inflazione, perché fa diminuire il valore del
suo denaro. E qualunque tipo di crescita o di stimolo economico, qualunque diminuzione della
disoccupazione minacciano di far crescere l’inflazione. Agli speculatori valutari questo non piace,
così quando vedono i primi segnali di una politica di stimolo dell’economia o di una qualsiasi
iniziativa capace di produrre una crescita, portano via i capitali da quel paese, provocando una
recessione. Il risultato complessivo di queste manovre è uno spostamento internazionale verso
economie a bassa crescita, bassi salari e alti profitti, perché i governi nazionali che cercano di
prendere decisioni di politica economica e sociale non hanno mano libera temendo una fuga di
capitali che potrebbe far crollare le loro economie. I governi del Terzo mondo sono bloccati, non
hanno nemmeno la possibilità di portare avanti una politica economica nazionale. Ormai c’è da
chiedersi se anche le grandi nazioni, Stati Uniti inclusi, abbiano la possibilità di farlo. Non credo che i
governi che si sono succeduti in America avrebbero voluto politiche economiche molto diverse ma,
nel caso, penso che sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, attuarle. Per darvi soltanto un
esempio, subito dopo le elezioni del 1992, sulla prima pagina del Wall Street Journal comparve un
articolo in cui si informavano i lettori che non avevano alcun motivo di temere che qualcuno dei
“sinistrorsi” vicini a Clinton avrebbe cambiato qualcosa una volta arrivato al potere. Ovviamente il
mondo degli affari già lo sapeva, come si può notare osservando l’andamento dei mercati finanziari
verso la fine della campagna elettorale. Ma ad ogni buon conto il Wall Street Journal spiegò che, se
per qualche sfortunata coincidenza Clinton o qualsiasi altro candidato avesse cercato di avviare un
programma di riforme sociali, sarebbe stato immediatamente bloccato. L’articolo affermava una cosa
ovvia e citava i dati che la confermavano. Gli Stati Uniti hanno un forte debito, che era parte
integrante del programma Reagan­Bush per non permettere al governo di portare avanti iniziative di
spesa sociale. “Essere in debito” significa soprattutto che il dipartimento del Tesoro ha venduto un
sacco di titoli – obbligazioni, buoni del Tesoro e via discorrendo – agli investitori, che a loro volta li
scambiano sul mercato dei titoli. Secondo il Wall Street Journal, ogni giorno si scambiano circa 150
miliardi di dollari esclusivamente in titoli del Tesoro. L’articolo spiegava che se gli investitori che
possiedono questi titoli non apprezzano le politiche del governo americano possono, come
avvertimento, venderne qualche piccola quota e ciò provocherà automaticamente un aumento del
tasso d’interesse, che a sua volta farà aumentare il deficit. Ebbene, in questo articolo si calcolava che
se questo “avvertimento” fosse sufficiente ad alzare il tasso d’interesse dell’1 percento, il deficit
aumenterebbe da un giorno all’altro di 20 miliardi di dollari. Ciò significa che se Clinton (questa è
pura immaginazione) proponesse un programma di spesa sociale di 20 miliardi di dollari, la
comunità degli investitori potrebbe trasformarlo istantaneamente in un programma da 40 miliardi
dollari, con un solo piccolo segnale, bloccando così ogni altra mossa di quel genere.
Contemporaneamente, sull’Economist di Londra – grande giornale liberista – si poteva leggere un
articolo fantastico sui paesi dell’Europa orientale che avevano votato per far tornare al potere i
socialisti e i comunisti. Ma in sostanza l’articolo invitava a non preoccuparsi, perché
«l’amministrazione è sganciata dalla politica». In altre parole, indipendentemente dai giochi che quei
tipi si divertono a fare nell’arena politica, le cose continueranno come sempre, perché li teniamo per
le palle: controlliamo le valute internazionali, siamo gli unici che possono concedere prestiti,
possiamo distruggere le loro economie come e quando vogliamo. Che si occupino pure di politica,
che fingano pure di avere la democrazia che vogliono, facciano pure: basta che «l’amministrazione

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sia sganciata dalla politica». Quello che sta accadendo in questo periodo è una novità assoluta. Negli
ultimi anni si sta imponendo un nuovo tipo di governo, destinato a servire i bisogni sempre crescenti
di questa nuova classe dominante internazionale, che a volte è stata definita “il governo mondiale di
fatto”. I nuovi accordi internazionali sul commercio riguardano proprio questo aspetto, e parlo del
NAFTA, del GATT e così via, così come della cee e delle organizzazioni finanziarie come il Fondo
monetario internazionale, la Banca mondiale, la Banca interamericana di sviluppo, l’Organizzazione
mondiale del commercio (wto), i G7 che programmano gli incontri tra i grandi paesi industrializzati.
Questi organismi sono tutti espressione della volontà di concentrare il potere in un sistema
economico mondiale che faccia sì che «l’amministrazione sia sganciata dalla politica»; in altre parole,
che la popolazione mondiale non abbia alcun ruolo nel processo decisionale, che le scelte strategiche
vengano trasferite in un empireo lontanissimo dalle possibilità di conoscenza e di comprensione
della gente, che così non avrà la minima idea delle decisioni che influenzeranno la sua vita e certo
non potrà modificarle. La Banca mondiale ha un proprio modo per definire il fenomeno: lo chiama
“isolamento tecnocratico”. Quindi, se leggete gli studi della Banca mondiale, vedrete che parlano
dell’importanza dell’ “isolamento tecnocratico”, alludendo alla necessità che un gruppo di tecnocrati,
essenzialmente impiegati nelle grandi imprese multinazionali, operi in pieno “isolamento” quando
progetta le politiche perché, se la gente venisse coinvolta, potrebbe farsi venire in mente brutte idee,
come un tipo di crescita economica che operi a favore di tutti invece che dei profitti e altre
sciocchezze del genere. Allora bisogna che i tecnocrati siano isolati, e una volta ottenuto lo scopo si
potrà concedere tutta la “democrazia” che si vuole, tanto non farà alcuna differenza. Sulla stampa
economica internazionale questo quadro è stato definito con una certa franchezza come “la nuova età
imperiale”. E la ritengo una definizione azzeccata: di certo stiamo andando in quella direzione.

Categoria : Economia, Politica, Società


Tag : Chomsky, imperialismo, Noam

18 thoughts on “Noam Chomsky: Non ha più importanza


chi detiene il potere politico, tanto non sono più loro a
decidere le cose da fare.”

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più loro a decidere”. | Informare per Resistere

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sono più loro a decidere” di Noam Chomsky

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