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STORIA

14/09/2020
LE PREVISIONI DI CRESCITA DEL 2020

I CONTI PUBBLICI

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Nel giugno 2020 c’è stato un calo del Pil del 4,9% causa covid, di fatto ci sarà anche una maggior
contrazione del PIL mondiale, l’impatto sul mondo del lavoro sarà catastrofico e si tenderà a
lavorare in modo diverso con smart working e telelavoro.
Per scuole e università questo è una certezza di perdita di conoscenza.
Abbiamo avuto una forte delocalizzazione di fattori da paesi sviluppati a paesi in via di sviluppo.
Si cerca di attuare un reshoring cioè tornare ad investire nel proprio paese e bisognerà vedere se si
concretizzerà questa cosa o no.
Graficamente abbiamo un uguale ordine di grandezza tra PIL dell’UE e degli USA. Riguardo il PIL
della Cina negli ultimi 20 anni c’è stata una crescita formidabile e ha portato il singolo paese ad
avvicinarsi progressivamente al PIL degli USA.

Riguardo il PIL pro capite i paesi dell’UE ce l’hanno più basso di quello degli USA.
Il PIL pro-capite è l’indicatore generalmente utilizzato per esprimere il livello di ricchezza per
abitante prodotto da un territorio in un determinato periodo, consentendo di operare confronti tra
aree di dimensione demografica diversa.
Definizione: Il Prodotto interno lordo pro capite di una regione è calcolato rapportando il PIL
espresso ai prezzi di mercato alla popolazione residente nella regione.
In ambito internazionale è misurato in Standard di Potere d’Acquisto (SPA o PPS), per depurarlo

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dall’influenza delle diverse monete e da quella dei diversi poteri di acquisto.
È dunque il PIL che assicura lo stesso potere nell’acquisto di merci ad ogni moneta dei Paesi in
esame.
La valutazione delle dinamiche dell’indicatore in termini di posizionamento possono essere colte
dalla lettura del numero indice rispetto alla media UE

15/09/2020
Il Valli ci permette di vedere 3 filoni importanti:
- i casi nazionali (es. l’economia francese),
- gli scenari globali (muta per le interazioni che esistono fra sistemi economici nazionali),
- le grandi questioni un po’ trasversali (es. la questione energetica, le tematiche ambientali, i
flussi migratori).
Analizziamo i grandi quadri dal 900 ad oggi.
La Prima guerra mondiale: i sistemi, le potenze, le economie che sono le più potenti. Il mondo
occidentale è la forza più potente, ha consolidato la propria egemonia. I due grandi poli sono gli
Stati Uniti e l’Europa occidentale.

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Dal punto di vista politico i paesi dominanti su scala mondiale sono Inghilterra e Francia, che
hanno grandi imperi coloniali e quindi dominano sui continenti extra europei dell’Asia e dell’Africa.
Questo sistema occidentale regge fino alla Prima guerra mondiale, dopodiché viene sconvolto e
dilaniato da due terrificanti conflitti e mille tensioni e contraddizioni e quindi si lacera e i rapporti
di forza nel 1945 sono decisamente cambiati in confronto a quelli del 1913 e 1914. Per cui dal
1945 c’è solo un polo dominante, ovvero gli Stati Uniti. L’Europa ha perso la sua egemonia quindi
(anche quella politica).
Nel 1945, gli Stati Uniti si trovano poi ad avere come competitor l’Unione Sovietica (negli anni ’20-
30 è un paese isolato), più precisamente il Blocco Sovietico.
Tra il 1945 e 1989/1991 parliamo di mondo bipolare, perché l’Unione Sovietica controlla metà
dell’Europa. Il bipolarismo influenza quindi Africa e Asia ma è un bipolarismo da nord del mondo.
In questa contrapposizione a livello ideologico, L’Unione Sovietica non è un competitor a livello
economico, ma a livello politico e militare.
Dal punto di vista delle relazioni economiche noi osserveremo quelle all’interno del mondo
occidentale.
Dal 1989 con la caduta del muro di Berlino e lo scioglimento dell’URSS c’è la fine del mondo
bipolare e quindi c’è la fase della globalizzazione; nel sistema economico globale entrano come
protagonisti nuovi paesi, tra i più importanti la Cina e l’India (insieme fanno quasi 3 mld di
popolazione). Avevano avuto ruoli importanti anche paesi come la Corea del Sud.
Quindi vengono meno le linee di divisione tra blocchi ed abbiamo quindi un mondo multipolare
con nuovi protagonisti.
Queste sono le tre fasi che dobbiamo tenere a mente (1913-1945, 1945-1989/1991, 1989/1991-
oggi).
Riguardo il tasso di crescita fino al 1913 crescono lentamente i paesi africani, più velocemente
paesi come Europa occidentale, questo fino agli anni 50. Dal 1950 al 1973 gli USA hanno una
buona crescita ma è più lenta rispetto a quella del Giappone e della Germania. Dal 1973 al 1992 il
Giappone rallenta la sua crescita, questo dovuto anche alla crisi petrolifera. Dal 1992 in poi nell’era
della globalizzazione c’è un mondo molto integrato e non più bipolare, emergono i colossi dell’Asia
(Cina e India).

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Dopo il 1950 nel mondo bipolare abbiamo avuto nel mondo occidentale una competizione di
mercato dove c’è una messa in discussione dell’egemonia degli USA perché i paesi alleati
(Germania e Giappone) crescono di più. Questa competizione si complica, perché irrompono sulla
scena Cina e India. Gli Stati Uniti il pericolo che sentono di più è quello cinese. L’Africa è la grande
esclusa da questa dinamica economica in quanto ha tassi di crescita del PIL pro-capite
costantemente più bassi. E’ molto arretrata, molto in difficoltà ma è inserita nel mondo globale.

Esaminiamo le singole realtà nazionali.

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Il modello economico e sociale degli Stati Uniti:
Questo modello si costruisce quando gli USA si costruiscono come nazione, cioè dalla metà
dell’800 fino alla Prima guerra mondiale. La dichiarazione d’indipendenza è del 1776 e dopo la
guerra contro gli inglesi nascono gli USA ma sono colonie quindi la nascita degli USA avviene nel
secolo successivo secondo la dimensione territoriale, tramite la conquista e l’acquisto di nuovi
territori. Ad esempio, nel 1803 gli USA comprano la Louisiana (ex colonia francese), nel 1867 il
governo degli USA compra dalla Russia l’Alaska; riguardo le conquiste, conquistano il Texas a metà
800 dal Messico, più precisamente nel 1846/1848. Nel 1848 un pioniere scopre dei giacimenti
d’oro, quindi si scatena la corsa all’oro in California ed è una spinta forte alla colonizzazione della
California. Nell’epoca in cui il baricentro degli USA è molto atlantico, nel 1861/1865, il presidente
di allora Lincoln negli anni della guerra civile, fa approvare due importanti atti legislativi come la
costruzione della linea ferroviaria coast to coast e una legge che assegna le terre del west (in
realtà solo lotti significativi), che vengono considerate terre demaniali, ai coloni che le vanno ad
occupare e le coltivano e questi ultimi si fanno riconoscere i diritti e ne diventano proprietari.
Questa costruzione territoriale rimanda ad un concetto importante che è quello di frontiera.
Quando gli USA si ingrandiscono la frontiera si sposta verso l’ovest, quindi il primo è un concetto di
frontiera mobile, il secondo concetto indica terre selvagge da conquistare in cui andare a vivere
presenta grandi opportunità da un lato ma grandi rischi dall’altro. Le terre di frontiera mettono
alla prova il coraggio del cittadino degli USA (il coraggio/il peso dell’individuo). Nella frontiera gli
individui sono soli nonostante ci siano i villaggi e le comunità, l’individuo solo deve difendersi da
solo, deve avere le armi, le armi sono un diritto dell’uomo della frontiera per difendersi perché il
governo è lontano (Washington).
Gli USA si ingrandiscono come territori e come popolazione (dal 1850 alla 1°GM si è quadruplicata)
perché è in grado di poter ospitare persone provenienti dall’Europa. Da un lato economico questi
tipi di ingrandimenti portano ad una grande crescita del mercato. Le persone che ci stanno non
stanno stretti e non c’è sovrappopolazione. Gli individui che arrivano, arrivano dall’Europa e sono
tendenzialmente poveri e hanno possibilità di successo partendo da una condizione di povertà e si
può costruire un futuro, di fatto è una società che dà delle opportunità. Nei decenni successivi sarà
un po’ meno così, di fatto si parlerà di ascensore sociale ovvero c’è la possibilità che chi parte dalla
povertà può arrivare al ceto medio o anche ad essere ricco, e negli USA l’ascensore sociale
funziona molto. Più la struttura si irrigidisce nei decenni successivi più le possibilità di successo si
abbassano. I fattori legati alla mentalità e alla cultura sono modi per leggere i sistemi economici
nazionali e per leggere i successi e gli insuccessi di un sistema economico nazionale, per cui i
fattori extraeconomici ci servono per capire l’andamento dell’economia.
Questa popolazione che diventa sempre più numerosa non è mai abbondante, una buona parte
della popolazione è la forza lavoro; la forza lavoro è scarsa rispetto alle tante possibilità di impiego
in quanto il suo costo è elevato, difatto la domanda di lavoro supera l’offerta di lavoro. Le
conseguenze sono livelli retributivi alti e quindi il cittadino americano può avere un accesso a beni
molto più alto in confronto agli altri paesi del mondo, quindi ha un reddito pro-capite assai più
elevato e come lavoratore costa caro all’imprenditore, per cui sono necessarie le strategie di
investimento labour saving che risparmino lavoro ovvero l’investimento in macchinari, per cui
dato l’alto costo del lavoro è necessaria la meccanizzazione del lavoro, e questo favorisce la
produttività che è maggiore rispetto a quella degli altri paesi europei.

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Le imprese puntano sulla meccanizzazione, quindi un mercato interno molto largo favorisce la
produzione su vasta scala. Gli USA nel tardo 800 diventano un paese segnato dalla presenza di
grandi imprese, quindi è un sistema dove le grandi imprese hanno più potere. Per cui si afferma
l’oligopolio. Nel contesto degli USA abbiamo l’affermarsi del taylorismo/fordismo; Taylor
(ingegnere) diventa uno studioso dell’organizzazione del lavoro operaio e dice che la massima
produttività dell’operaio possa avvenire tramite l’uso di macchinari, infatti il lavoratore in modo
molto elementare grazie al macchinario ripete le stesse cose. Ford produce automobili e capisce
che per l’automobile in quel contesto di mercato si può avviare una produzione di serie su larga
scala e che bisognerà produrne tante perché la domanda sarà elevata. Nel 1908 Ford lancia il
modello T (modello standardizzato) di automobili adatte per il ceto medio e pochi anni dopo
introduce nel suo stabilimento di Detroit la catena di montaggio (Five dollars for day= era una
paga dignitosa per la working class) puntando sulle economie di scale, incrementi di produttività,
riduzione dei costi unitari di produzione, prezzi del prodotto standardizzato contenuti (in modo
che sia sempre meno un prodotto di elitè ma più alla portata di tutti i cittadini americani). Data
l’alta produttività i salari sono alti e danno accesso a livelli di consumo soddisfacenti, di fatto lo
scambio è tra un lavoro che ti spreme e da poca soddisfazione ma è pagato bene ed è sicuro e ti dà
la possibilità di consumare di più. Abbiamo un ceto medio anche nelle campagne e possono
permettersi di comprare l’automobile.

21/09/2020 (lezione in presenza)


Per sviluppo economico si intende la crescita economica. Abbiamo infatti alle spalle una grande
crescita economica cioè una cosiddetta aspirazione allo sviluppo. Questo sviluppo ha avuto
caratteristiche specifiche, questo sviluppo ha generato una grande aspirazione allo sviluppo. Per
quanto riguarda l'aspirazione possiamo dire che gli esseri umani aspirano a stare meglio e quindi
sono importanti le risorse disponibili. L'indicatore per stare meglio è il PIL. Il PIL da solo è stato
inserito nell'indice di sviluppo umano il quale è composto da PIL, durata media della vita (più è alta
per un paese più le sue condizioni igienico-sanitarie sono migliori) e l'istruzione. Porteremo la
nostra attenzione su come i singoli paesi si sono sviluppati, quindi i processi di sviluppo nazionali
per macroaree. Quando analizziamo lo sviluppo sono importanti i modelli di sviluppo ad esempio
l'innovazione tecnologica, il capitale umano, la dotazione di risorse naturali. Nello sviluppo c'è un
binomio fondamentale: il mercato (le dinamiche di mercato) e il ruolo dello Stato (le politiche
economiche). Questi processi di sviluppo portano a modelli economico-sociali: Il primo è il
modello economico sociale capitalistico (dalla prima rivoluzione industriale in avanti). Il mix di
diversi fattori hanno portato gli studiosi ad identificare modelli capitalistici diversi fra loro, ad
esempio quello degli Stati Uniti è diverso da quelli italiano tedesco e svedese. Nel corso del
Novecento c'è stato un modello pianificato antitetico, quindi un altro modello di sviluppo. Negli
ultimi tempi abbiamo un modello che i cinesi hanno chiamato economia socialista di mercato,
seguendo un modello dell'economia pianificata. Nel momento in cui lo stato utilizza i fondi sovrani
(quindi le risorse monetarie) per risanare un'impresa interviene nel sistema economico (in questo
caso nel sistema delle imprese) oppure utilizza il sistema della sanità o il sistema pensionistico
oppure incide anche l'IRPEF e l'IVA e anche dove si spende e che equilibro c'è fra entrate e spese. È
importante anche sapere quali sono gli obiettivi che si dà lo Stato. I Fondi europei sono importanti
e un tema è sapere come spenderli, un modo per spenderli è spenderli per lo sviluppo. Un tipo di

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sviluppo importante è lo sviluppo sostenibile quindi dedicato all'ambiente. Lo Stato sviluppista si
pone l'obiettivo dello sviluppo quindi di utilizzare al meglio le risorse per favorire lo sviluppo (un
esempio è l'Unione Sovietica che voleva far crescere il paese). Il tema della mentalità e della
cultura è importante per spiegare l'economia. Quella mentalità è funzionale allo sviluppo, lo
spirito di intraprendenza, lo spirito di iniziativa. Queste chiavi di lettura del programma guardano
alle imprese quindi consideriamo come le imprese si muovono quindi in quale contesto.
22/09/2020:
Riprendiamo il tema degli USA: tra i caratteri degli USA un carattere importante che permette di
arrivare alla prima guerra mondiale c’è l’importanza degli investimenti diretti esteri di capitale i
quali vengono investiti nel sistema economico americano, il quale lo abbiamo descritto per alcune
sue caratteristiche di fondo che sono: straordinaria ricchezza di risorse, relativa scarsità di
manodopera rispetto alle enormi possibilità di impiego, e sono inizialmente anche poveri di
capitale, per cui gli investimenti diretti esteri hanno un ruolo fondamentale nella crescita degli
USA fino alla prima guerra mondiale. Fino alla Prima guerra mondiale quel modello si è
strutturato.
Dopo la Prima guerra mondiale gli USA sono ancora molto dinamici ma ripiegati su sé stessi, non
esiste più una frontiera mobile che si ingrandisce, quindi la frontiera si è esaurita e iniziano a usare
una politica migratoria restrittiva e quindi stabiliscono delle quote sull’immigrazione su chi far
entrare e chi no, per cui si stabilisce il concetto di modernità. Per cui negli anni 20 gli USA crescono
ma hanno una battuta d’arresto nel 1929. La crisi del 29 è una crisi profonda come quella degli
anni successivi e non è solo una crisi finanziaria borsistica ma una crisi strutturale di sistema
perché il PIL cala del 40% tra il 1929 e il 1933. Dal 1933 c’è una ripresa, ma la vera ripresa ai livelli
pre-anni 30 si ha dal 1939-40. La crisi è aggravata dallo scoppio della speculazione della bolla, ma è
una crisi strutturale perché in quel momento c’è uno squilibrio tra una grande offerta di beni sul
mercato e domanda che è insufficiente. E’ un mercato fondamentalmente interno che non
esprime una domanda sufficiente, perciò le imprese devono diminuire la loro produzione e per
farlo licenziano i lavoratori e di fatto questi lavoratori non percependo più uno stipendio non
possono più permettersi di acquistare beni e questo influisce negativamente sulla domanda e di
fatto l’economia degli USA rimane in recessione per 4 anni.
Per uscirne il modo è cercare di rilanciare la domanda, ma la dinamica di mercato da sola non
riesce a esprimere una domanda adeguata. Di fatto entra in gioco la mano visibile, quindi lo stato,
infatti c’è un cambio di presidenza, viene eletto presidente Franklin Delano Roosvelt (presidente
del PD) che ha come obiettivo quello di sostenere la domanda tramite la spesa pubblica, quindi
usare denaro pubblico per cercare di creare lavori pubblici, quindi lo stato americano compra
eccedenze agricole aumentando la domanda in questo settore facendo in modo che i prezzi dei
settori agricoli non crollino, salvaguardando di fatto il reddito degli agricoltori. Altro aspetto
importante è come si pagano questi lavori pubblici; lo stato può pagarli indebitandosi, infatti il
bilancio dello stato può andare in deficit e questo comporta indebitamento. Abbiamo quindi il
deficit spending, una politica economica che prevede il disavanzo di bilancio e questo comporta
appunto l’indebitamento, ma questo permette anche di effettuare lavori pubblici che permette
una ripresa del PIL americano. Questa politica è cosiddetta politica “New Deal”, che si rifà alle
politiche Keynesiane (economista), ovvero è previsto l’intervento della mano visibile (erogando
sussidi) ovvero l’ente pubblico che cerca di correggere i fallimenti del mercato. La politica del new

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deal quindi supera principi rigidi come il deficit di bilancio. In questo momento la priorità è
rilanciare l’economia e non il vincolo di bilancio quindi si può avere un deficit di bilancio. Negli anni
30 il modello keynesiano non punta a diminuire le retribuzioni operaie, anzi devono essere
buone perché i lavoratori sono dei consumatori. Roosvelt ha nei sindacati statunitensi una base di
sostegno elettorale forte. Altro obiettivo sociale è la piena occupazione, infatti in questo paese che
dava opportunità per tutti ora si ritrova con un buon tasso di disoccupazione, quindi l’idea è il
fatto che tutti debbano avere un lavoro. Gli USA quindi si riprendono con questo tipo di politica,
anche con la situazione di guerra questo tipo di politica è portata avanti. Negli anni della guerra lo
stato deve essere rifornito di armi, quindi, c’è molta domanda di esse e quindi gli USA si occupano
della produzione di armi, solo che i soldati non possono essere impiegati come lavoratori, quindi
vengono impiegate per la produzione le donne e questo garantisce la piena occupazione
permettendo una ricrescita del PIL nel 1945 in misura maggiore rispetto al 1940.
Dopo il 1945 il modello USA diventa un modello da imitare molto più di quanto non lo fosse stato
prima. Molti industriali europei avevano visitato le fabbriche di Ford e quindi guardavano come
avrebbe potuto essere possibile introdurre strumenti americani nella loro economia. Gli USA nella
loro funzione politica di leadership sono molto disposti affinché il loro modello venga seguito e
quindi facilitano l’imitazione del loro modello. Danno aiuti economici col piano Marshall, in quanto
non faranno più distinzioni tra i paesi che sono stati alleati o nemici durante la seconda grande
guerra e tutti anche i nemici vengono aiutati come fossero alleati. Gli USA sono disponibili a
diffondere il loro know-how riguardo, ad esempio, la produzione che viene assorbito da paesi
alleati come Europa occidentale e Giappone. Questi ultimi crescono (anni 50-60) quando è
dominante il modello fordista che si diffonde in questi paesi, seguendo il modello americano, i
modelli europei diventano più moderni perché assorbono cultura manageriale americana. Per
esempio, i bambini europei giocano a indiani e cowboy e quindi vedono negli USA il mito della
frontiera. Dal punto di vista economico questo porta a una crescita dell’Europa occidentale e del
Giappone più rapida rispetto agli USA, infatti nel mondo occidentale si registra una nuova
competizione economica internazionale in cui le aziende americane subiscono la concorrenza
europea occidentale, per cui negli anni 60 gli USA che seppur continuano a crescere, in confronto
agli altri paesi europei crescono meno ed entrano più affaticati negli anni 70, infatti la loro
leadership politica viene messa in discussione negli altri paesi del mondo e quindi la posizione
degli USA è criticata negli USA perché la popolazione non vuole andare a combattere in Vietnam e
ci sono altri competitor. Di fatto il presidente Nixon nel 71 sospende la convertibilità del dollaro e
dà quindi il via a un sistema di cambi fluttuanti a livello del sistema monetario internazionale e
dopo la fine del sistema di Bretton Woods, ovvero la svalutazione del dollaro nel 1971 che avrebbe
dovuto ridare un po’ più di competitività ai prodotti americani, abbiamo nel 1973 la crisi
petrolifera, di fatto il paese produttore di petrolio fa aumentare il prezzo del petrolio
contingentando la produzione, l’aumento del prezzo del petrolio nel 1973 è uno shock perché
rallenta la crescita economica nel mondo e porta a un aumento dei prezzi quindi l’inflazione nei
paesi occidentali e nei paesi dell’est. Durante la piena occupazione, i lavoratori occupati hanno
maggior potere contrattuale in confronto ai datori di lavoro in quanto può chiedere aumenti
retributivi e in questa situazione i rapporti di forza sono più favorevoli ai sindacati, quindi
l’aumento dei costi del lavoro si scarica sull’aumento dei prezzi così come l’aumento del prezzo del
petrolio. Quindi gli anni 70 sono un oggetto di inflazione!!!
Quindi in questo periodo gli USA conoscono la fine di una grande crescita economica, quindi viene

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messo in discussione il modello keynesiano e abbiamo le linee politiche economiche neoliberiste,
che ribaltano il paradigma keynesiano, le quali sono realizzate dal presidente Ronald Reagan negli
anni 81-89, con la sua politica reaganiana la quale è opposta a quella di Roosvelt che prevede di
non avere nessun rapporto privilegiato col sindacato, mano libera degli imprenditori, riduzione
delle imposte sui redditi più alti e sulle imprese, tutto questo con delle conseguenze: ad esempio si
taglia il welfare (spesa sociale=con il termine welfare aziendale s'intende l’insieme delle
iniziative di natura contrattuale o unilaterali da parte del datore di lavoro volte a
incrementare il benessere del lavoratore e della sua famiglia attraverso modalità
“alternative” alla retribuzione che possono consistere sia in somme rimborsate, sia nella
fornitura diretta di servizi, o in un mix delle due soluzioni. Es i buoni pasto, i servizi di
trasporto collettivo casa-lavoro, l’assistenza sanitaria integrativa, l’assistenza a familiari o
anziani non più autosufficienti, l’istruzione a rimborso ) e per bloccare l’inflazione si aumenta
il tasso d’interesse, che contribuisce ad aumentare il dollaro e a bloccare l’inflazione, quindi è una
politica economica restrittiva, quindi poi c’è un taglio alle imposte (diminuiscono le entrate dello
stato) che però non si traduce in una diminuzione della spesa pubblica, perché c’è una
componente della spesa pubblica ovvero la spesa militare la quale con Reagan raggiunge livelli
altissimi, in quanto in questi anni c’è ancora un mondo bipolare ove c’è un contrasto tra USA e
Unione Sovietica. Di fatto con questa politica il debito pubblico americano aumenta per via di
queste spese militari. Quindi gli USA anche per finanziare il debito pubblico devono attrarre
capitali, quindi questo favorisce la politica della Federal Reserve. Se il dollaro aumenta il suo
valore, diventa più costoso e per gli altri paesi come quelli europei diventa più difficile comprare la
merce americana. Negli anni 80 USA continua a essere importatori di beni prodotti all’estero, di
fatto anche con le reaganomics gli USA continuano ad avere concorrenza dall’Europa occidentale e
dal Giappone.
Negli anni 80 quindi nonostante il dollaro forte non viene recuperata produttività contro gli altri
paesi occidentali, a partire dagli anni 70/80 il settore più importante diventa il terziario in quanto
diventa una società post-industriale per gli USA. In questo periodo alcuni paesi degli USA entrano
in una decadenza sociale che portano ad un cambiamento nella struttura sociale americana.
Quindi gli USA nei settori tradizionali perdono leadership e di fatto avviene una continua
integrazione dei mercati alla fine del ‘900 (quindi la globalizzazione). Questo perché i paesi
occidentali sono sempre più integrati economicamente. Le chiusure dei mercati negli anni 30
infatti si pensa che la chiusura dei mercati erano dovuti ai conflitti tra paesi, quindi c’è l’idea forte
del mondo occidentale che le economie si devono aprire. Solo che alcuni paesi come l’Africa,
l’America latina, la Cina e l’India non hanno la forza economica per integrarsi e per giunta c’è
anche il blocco sovietico. Con la fine del 900 non esiste più il blocco sovietico quindi i paesi dell’ex
blocco sovietico si inseriscono nel mercato mondiale come anche gli altri paesi asiatici. In questa
fase gli USA favoriscono l’integrazione, di fatto c’è un trattato fra USA, Canada e Messico, il NAFTA
(North America free trade agreement), ovvero accordo di libero commercio fra questi tre paesi i
quali abbattono i dazi doganali. Un altro effetto del NAFTA è che i prodotti industriali prodotti in
Messico entrano negli USA senza avere barriere all’ingresso, di fatto c’è la tendenza degli USA a
delocalizzare le attività produttive in Messico perché lì il lavoro costa meno che negli USA e poi
vendono questi beni prodotti in Messico negli USA avvantaggiati dal fatto che non ci sono barriere
doganali (es. Toyota prodotta in Messico e venduta sul mercato americano). Trump era
fortemente contrario al NAFTA, infatti, ha introdotto dazi doganali perché cerca di fermare un

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processo che è in corso da decenni, cioè la perdita della leadership industriale degli USA. Oggi
questa leadership viene minacciata nei settori dei social, del 5G e ad esempio Tik Tok. Le azioni di
Trump per la prima volta dal 1945 hanno messo in discussione l’idea di apertura e integrazione del
mercato, collegato anche al fatto che sembra che gli USA in alcuni segmenti patiscono la
globalizzazione. Uno dei punti di forza di questa economia è l’attenzione permanente
all’innovazione tecnologica, più precisamente la frontiera tecnologica. Alcuni studi dicono che
questa sua capacità, ad esempio, nell’informatica non era indipendente anche da una spesa
pubblica, come quella militare per esempio, la frontiera tecnologica è alimentata dalle imprese
americane che investono in ricerca e sviluppo, dall’istruzione, infatti le università americane
all’avanguardia sono quelle che sono in grado di attrarre cervelli dal mondo (anche se
complessivamente le uni americano non sono meglio di quelle europee). Un altro elemento
importante è la critica del welfare che consente agli USA di crescere anche se non come erano
cresciuti negli anni 50/60, però c’è il problema dell’aumento delle disuguaglianze, cioè si allarga il
divario di reddito tra le persone più ricche e quelle più povere. Quindi gli USA sono fortemente
influenzati dalla concorrenza e quindi Trump ha chiuso i mercati e ha enfatizzato l’acquisto dei
prodotti, anche con alcuni slogan, ad esempio “buy american”.
28/09/2020:

L’ECONOMIA DELL’UNIONE SOVIETICA E DELLA RUSSIA


Commento tabella aulaweb:

Si fa vedere l’andamento del PIL pro capite in Unione Sovietica in confronto al PIL procapite degli
USA, quindi è un confronto tra l’andamento dell’economia russa e quella statunitense. Nel 1913 la
Russia ha una popolazione maggiore di quella degli USA, il PIL è meno della metà di quello
statunitense e il PIL pro-capite è al livello del 28% di quello degli USA, quindi la Russia è in fase di
arretratezza. Dal 1917 al 1921 la situazione russa peggiora per via degli effetti economici negativi

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della Prima guerra mondiale e della guerra civile che segue la rivoluzione. Nel 1928 il PIL russo
rapportato a quello del 1913 è tornato ai livelli del 1913, ma nel frattempo il PIL degli USA era
cresciuto moltissimo perché si era mosso negli anni della Prima guerra mondiale e negli anni 20
che erano stati positivi per gli USA fino alla crisi del 1929. Al 1928 il PIL russo in rapporto al PIL
statunitense è il 29% e il PIL pro-capite è il 20% rispetto a quello statunitense. Il 1928 è un anno
importante per fare questo confronto perché in Unione Sovietica si lancia la politica economica dei
piani quinquennali di Stalin (1928-1929), quindi viene messo in atto il modello economico
completamente alternativo opposto al modello economico delle economie di mercato. Dalla
tabella possiamo distinguere due fasi in cui l’Unione Sovietica segue questa linea di pianificazione
dell’economia.
Prima fase (1928-1973): Il PIL dell’Unione Sovietica è il 43% di quello statunitense nel 1973, il PIL
procapite nel 1928 era poco meno del 21%, mentre nel 1973 è il 36,5% di quello degli USA. Nel
1973 dal punto di vista economico l’economia dell’Unione Sovietica è ben più debole di quella
degli USA perché il PIL totale è meno della metà di quello statunitense e il PIL pro-capite è ancora
inferiore nel 1973 quindi c’è ancora un divario economico netto fra USA e Unione Sovietica.
Nel 1929 mentre l’Unione Sovietica lancia i piani quinquennali gli USA affrontano la loro crisi del
1929, dopo la Seconda guerra mondiale l’economia americana conosce il boom della golden age.
Nel 1973, anno dello shock petrolifico, l’Unione Sovietica riduce le distanze recuperando diversi
punti percentuali di distacco di PIL, per cui si riduce il divario, questa riduzione del divario la
possiamo definire anche convergenza.
Convergenza e divergenza: considero due economie nazionali, le confronto e vedo se l’economia
più debole si avvicina a quella che stava meglio (convergenza), o se si allontana (divergenza). In
questo periodo storico di 45 anni c’è una convergenza tra l’economia dell’Unione Sovietica e
quella degli USA in termini di PIL e PIL pro capite, quindi i tassi di crescita dell’economia che
converge sono superiori ai tassi di crescita dell’economia che sta avanti e si vede relativamente
avvicinata.
Seconda fase (1973-1991): quando l’Unione Sovietica finisce di esistere c’è un andamento
opposto, quindi c’è divergenza tra andamento dell’economia Sovietica e di quella statunitense,
che prosegue fino al 1991, anno in cui l’Unione Sovietica, crolla, si frantuma e finisce la sua
esistenza.
Questi dati statistici ci dicono come l’economia pianificata ha avuto alcuni decenni in cui ha
funzionato come efficacia per raggiungere i suoi obiettivi per poi bloccarsi e funzionare sempre
meno bene. Per spiegare i periodi della convergenza (1928-1973) partiamo da alcuni concetti:
questo è un modello in cui l’offerta e la domanda non esistono con la logica dell’economia di
mercato. L’offerta nel sistema economico di mercato è determinata dalle strategie degli attori
economici che producono beni e servizi, nel sistema economico dell’economia pianificata l’offerta
è determinata dallo Stato che determina cosa produrre e in quali quantità. La domanda nel
nostro sistema eco è determinata dal potere d’acquisto dei consumatori, e il potere d’acquisto dei
consumatori è determinato dal loro reddito, quindi il PIL pro capite. Poi abbiamo anche le scelte
dei consumatori quindi l’orientamento dei consumatori, che è libero ma può anche essere
condizionato, infatti nel modello dell’economia pianificata non c’è una libertà di scelta, le scelte
dei consumatori partono dalla necessità di ciascun individuo di soddisfare alcuni bisogni ma

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nell’economia pianificata i bisogni sono decisi politicamente, e sulla base di queste scelte politiche
abbiamo la scelta di come allocare le risorse per creare una produzione tale da soddisfare i bisogni
determinati dal potere politico, quindi è lo stato stesso che lo pianifica. Quindi è un modello nel
quale la domanda e l’offerta di mercato non esistono. Questo modello è complesso perché
questo vertice politico deve organizzare una struttura burocratica estremamente articolata che
fissa obiettivi di produzione per soddisfare quei bisogni considerati importanti dal potere e per
fare in modo che il sistema articolato di un grandissimo paese sia in movimento per raggiungere gli
obiettivi della pianificazione che vengono definiti in piani quinquennali, in questo modo tutto il
sistema produttivo che è quasi totalmente controllato dallo Stato obbedisce a delle indicazioni di
piano che dice quanto bisogna produrre. Ad esempio, per far crescere la produzione ci devono
essere maggiori quantità di trattori e macchine agricole e fertilizzanti chimici, quindi i pianificatori
devono decidere quali sono le risorse da mettere a disposizione delle industrie dei trattori, delle
macchine agricole e dei fertilizzanti chimici per raggiungere quegli obiettivi integrati nel piano. La
decisione dell’allocazione delle risorse è centralizzata così come quali bisogni sono da soddisfare in
via prioritaria. Questo sistema consente una possibilità, cioè il potere riesce ad allocare le risorse,
a stimolare, a sviluppare i settori che ritiene importanti per lo sviluppo del paese. Questo rimanda
a pensare ai settori strategici per lo sviluppo economico di un paese, i quali sono le forze militari,
la tecnologia. In un’economia di mercato il successo del portare avanti fattori strategici è dato
dall’interazione tra imprese private e amministrazione pubblica, nell’economia pianificata la
definizione degli obiettivi strategici è più semplice, come ad esempio garantire lo sviluppo
industriale di un paese, dove ha molta importanza nei piani la produzione di beni di investimento.
Altro elemento importante è la produzione di armamenti, infatti l’Unione Sovietica vuole
rafforzarsi ulteriormente quindi la potenza militare è strategica. Dopo la Seconda guerra mondiale
l’Unione Sovietica compete con gli USA nel settore militare nonostante il PIL inferiore, e compete
nel settore missilistico per la corsa allo spazio. I risultati in questo settore sono di straordinaria
rilevanza sia per Unione Sovietica che per USA. Tra queste due superpotenze vi è una
competizione equilibrata e l’Unione Sovietica riesce a competere con gli USA nonostante un PIL
più debole perché alloca risorse in un settore considerato strategico. Per quanto riguarda i beni di
consumo c’è una forte differenza tra i due sistemi, nel sistema dell’economia di mercato il
soddisfacimento della domanda di beni di consumo è affidato al meccanismo della concorrenza tra
imprese, le quali sono in concorrenza tra di loro per soddisfare meglio la domanda dei
consumatori. Il modello sovietico non prevede questa concorrenza quindi lotte di prezzo tra
produttori in competizione fra di loro (di difendere le quote di mercato), ma punta sulle economie
di scala, quantità di prodotto predeterminato dallo Stato e su prodotti molto standardizzati, quindi
non c’è innovazione dei prodotti, quindi i beni di consumo vengono prodotti con meno attenzione
e non raggiungono i livelli qualitativi dei beni di consumo prodotti nel sistema eco occidentale,
quindi nel sistema delle economie di mercato. I cittadini dell’Unione Sovietica fanno un confronto
e vedono una notevole differenza qualitativa a vantaggio dei beni prodotti in occidente.
Sono soddisfatti nel sistema sovietico i bisogni di base. Tra i bisogni di base c’è il posto di lavoro
(non il mercato del lavoro), e quindi l’Unione Sovietica prevede con la pianificazione il pieno
impiego delle risorse (anche se non sempre efficiente), quindi non c’è disoccupazione, quindi i
cittadini trovano lavoro. Il livello di istruzione tende ad essere buono, seppur controllato in
materie più sensibili (ad esempio un professore di storia economica doveva dire che il modello
sovietico era perfetto e l’altro faceva schifo dato che c’era stata la crisi del 29. Anche se negli anni

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50 il modello eco occidentale era il migliore, il docente era costretto a nascondere questo). Per
arrivare alla definizione degli obiettivi di piano non c’era un processo solo top-down (dall’alto al
basso) e nemmeno bottom-up. Quindi c’era un’interlocuzione col direttore dello stabilimento
siderurgico in cui gli venivano dati gli obiettivi di piano, e quindi non c’era solo un mero percorso di
imposizioni dall’alto, ma c’era qualche interlocuzione (contrattazione tra il direttore e lo stato che
gli concedeva lo stabilimento) che diventa più diffusa quando diminuisce il terrore e l’imposizione
che viene dall’alto. Questo meccanismo funziona negli anni 30 ma dopo la Seconda guerra
mondiale funziona meno perché il potere dell’Unione Sovietica non deve spremere troppo i
cittadini che lavorano anche per avere consenso politico, quindi io potere politico ti garantisco un
lavoro, ma ti garantisco anche di non spremerti come un limone nel processo produttivo, quindi ti
lascio la possibilità di prendertela con calma. Inoltre, mancano gli incentivi ad aumentare la
produttività perché è un sistema che non premia in modo particolare chi produce di più, mentre il
modello economico occidentale è premiante perché si basa sul fare carriera, sul guadagno
personale, invece il sistema sovietica è molto più rigido, e i sistemi di incentivazione degli individui
sono più deboli. Nel caso dell’Unione sovietica il tema della produttività viene affrontato
efficacemente nei primi decenni della pianificazione perché si parte da livelli di produttività e
meccanizzazione così bassi che questo considerare la meccanizzazione strategica fa sì che la
dotazione di beni strumentali a disposizione dei lavoratori aumenti molto generando degli
automatici aumenti della produttività del sistema. Superata questa fase mancano elementi che
rendono stimolanti il sistema occidentale, infatti a partire dagli anni 70 il sistema economico
occidentale rallenta la sua crescita, ma nel sistema sovietico vediamo un accartocciarsi su sé
stesso, in quanto qualcosa non funziona e si allarga la divergenza. Negli anni 80 USA e Unione
Sovietica sono ancora in competizione fra loro, la spesa militare è forte per entrambi ma la
sopportabilità per la spesa militare è maggiore per gli USA, infatti Reagan spende molto per gli
armamenti, l’Unione Sovietica anche spende molto per gli armamenti (per la guerra in
Afghanistan). Quindi abbiamo il collasso di questo sistema che non riesce a modernizzarsi
economicamente, infatti negli anni 80 in Unione Sovietica va al potere Gorbaciov che cerca di
riformare il sistema dal punto di vista politico lasciando libertà di discussione e mandando quindi
un messaggio importante agli altri paesi europei dell’est, ovvero essi potranno discutere
liberamente dell’Unione Sovietica ed essa non interverrà militarmente per bloccare queste
discussioni. Questo crea entusiasmo negli altri paesi perché non vedono più una forma dittatoriale
nell’Unione Sovietica. Quindi Gorbaciov ha un ruolo importante ma non riesce a riformare il
sistema sovietico dal punto di vista economico. Sulla base di quello che vedono accadere in Unione
Sovietica, la Cina dice che il modello di pianificazione sovietica deve aprirsi al mercato e quindi Den
Xiaoping introduce elementi di economie di mercato in quel modello con particolare efficacia ma
non introduce alcun tipo di riforma del sistema politico (come ha fatto Gorbaciov). Nel 1989
quando crolla il muro di Berlino in Cina c’è un movimento che chiede più democrazia.
Tornando all’Unione Sovietica il modello collassa negli anni 80 e nel 1991 si dissolve l’Unione
Sovietica, quindi, finisce la fase del bipolarismo politico, quindi il modello dell’economia pianificata
lo vediamo realizzato con queste fasi nel 900. Il termine “modello” lo possiamo vedere come
sistema con le sue regole di funzionamento, e come modello da imitare, ad esempio quello degli
USA. Lo stesso modello lo possiamo adottare per il modello pianificato dell’economia sovietica. Il
modello dell’economia sovietica per un certo periodo per altri è un modello, un esempio di come
possono funzionare le cose. In una certa fase storica anche l’Unione Sovietica quando l’economia
pianificata sovietica funziona riesce a essere un modello per paesi arretrati soprattutto, in cui

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elementi di pianificazione economica possono consentire una crescita accelerata con possibilità di
collocare risorse in settori strategici. C’è un ulteriore elemento da considerare che è quello di
marketing politico, in cui nella fase di competizione del mondo bipolare ciascun paese ha i suoi
propagandisti. Per es, in Unione Sovietica si poteva dire che non c’era la disoccupazione. (libro
Valli: Ascesa e declino dell’URSS e dell’Europa dell’est).

ECONOMIA DELLA RUSSIA E DEI PAESI DELL’EST


Negli anni 90 accade che il modello crolla e il crollo di questo modello coincide con la
globalizzazione e permette di avere successo al modello opposto, cioè alle economie di mercato,
quindi in questa fase la cultura neoliberista è quella dominante. Quindi la Russia viene investita da
questo cambiamento radicale e abbiamo una privatizzazione del sistema economico, per cui la
nuova leadership politica non è più quella del partito comunista sovietico, subentrano nuovi leader
e questi notabili (uomini del vecchio regime (Putin che era un agente segreto inviato in Germania)
che si riciclavano nel nuovo sistema) abbracciano l’idea della privatizzazione, di conseguenza c’è
una pesante infiltrazione della criminalità organizzata nel sistema russo. Per cui nel 1995 c’è una
stima internazionale che dice quanto venga dal settore privato del PIL russo, che è il 55%. Oltre il
processo di privatizzazione, l’economia russa si apre al mondo globale e quindi subisce la
concorrenza del mondo globale e quindi non essendoci più quel sistema economico che non
prevedeva concorrenza, i soggetti dell’economia russa come le industrie pubbliche dell’est
europeo entrano in una fase di concorrenza pessima, perché i consumatori russi in quel periodo
cercano i beni di qualità. L’apparato produttivo della Russia oltre a vivere la fase della
privatizzazione è investito dalla concorrenza terrificante per cui ci sono molte aziende che
falliscono ed esplode la disoccupazione che non esisteva in quel sistema (al massimo
sottoccupazione, che avevano un lavoro e facevano poco), quindi gli anni 90 nella Russia post
Unione Sovietica e nei paesi dell’est europeo sono anni durissimi perché c’è una transizione da
un’economia pianificata a un’economia di mercato. Nel caso cinese questa transizione è stata
diretta con pugno di ferro dal governo cinese, invece nel caso russo questo è avvenuta in un forte
cambiamento politico.
29/09/2020:
L’economia pianificata mostra i suoi limiti a partire dagli anni 70 in quanto cresce più lentamente e
si trova in una situazione politica radicalmente diversa in cui cambia il regime, e si trova quindi in
un nuovo sistema economico. La fase di transizione è particolarmente complicata in cui ci sono
delle analogie in tutte le realtà dell’Europa dell’est e ci sono delle differenze da paese a paese. In
Russia c’è la privatizzazione delle imprese statali che avviene rapidamente e in maniera
disordinata in quanto si impossessano di molti pezzi di questo apparato produttivo, sono persone
che sono legati ai centri del potere. Quindi c’è uno scossone del sistema economico. Il 1989 è
l’indice 100 ovvero l’anno di riferimento, agli inizi degli anni 90 questa fase di transizione ha degli
effetti pesantissimi con un crollo della produzione e si blocca il sistema. Nel 1993 il PIL della Russia
è a 72%, quindi è calato del 28% rispetto a pochissimi anni prima, nel 2000 sono pochissimi i paesi
che hanno recuperato e superato i livelli del 1989 tra cui Polonia, Slovenia, Albania, Slovacchia,
Ungheria e Repubblica Ceca, tutti gli altri paesi europei sono indietro e non hanno ancora

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recuperato i livelli del 1989. Per cui questi sono stati anni abbastanza travagliati con l’emergere
della disoccupazione, forte aumento dei prezzi, l’inflazione è forte e nel 1992 è al 1500% in Russia
per cui il potere d’acquisto della moneta si azzera praticamente (si svaluta) e quindi il rublo non
viene più usato negli scambi e si torna ad utilizzare il baratto. La situazione si risolverà solo alla fine
del 900 quando il rublo verrà ritirato e verrà sostituito con un nuovo rublo il quale vale 1000 rubli
vecchi che non valevano più nulla, quindi c’è una fortissima inflazione e una grande confusione.
Nei paesi dell’Europa orientale ci sono delle analogie, per esempio nella Germania dell’est (che
aveva il modello pianificato come l’URSS) va detto che è inglobata/assorbita dalla Germania
occidentale, quindi l’economia della Germania est è investita dal cambiamento in cui ci sono
privatizzazioni e liquidazioni di imprese, il tasso di inflazione diventa subito molto alto, però ormai
fa parte della Germania unificata che è lo stato economicamente più forte d’Europa. Per quanto
rimangono ancora forti oggi dei divari fra est e ovest in Germania abbiamo comunque un forte
intervento del governo federale che migliora la rete infrastrutturale della Germania est, quindi
contribuisce a rendere meno dura questa fase di transizione.
In paesi come Polonia e Ungheria ci sono alcuni paesi che avevano avuto limitate aperture
all’iniziativa privata nel settore agricolo che avevano generato elementi di mercato in cui la
pianificazione non era così rigida, in cui i manager delle aziende avevano maggior autonomia
nell’allocazione delle risorse e c’era una politica di incentivi. Per cui da questo punto di vista c’era
una vitalità maggiore e una capacità maggiore di muoversi in un contesto che stava cambiando.
Altro elemento importante nell’andamento economico di questi paesi che favorisce la transizione

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all’economia di mercato è quello degli investimenti diretti esteri il quale fa sì che il tessuto
socioeconomico di questi paesi sia poi maggiormente pronto a reagire positivamente nel contesto
nuovo degli anni 90. Come vediamo i paesi dell’Europa orientale?? Sono mercato di sbocco per
prodotti dell’Europa occidentale perché l’economia dell’Europa orientale è un’economia che è
stata definita economia della penuria di beni, perché i cittadini potevano avere anche dei redditi
(magari anche non altissimi), ma il sistema produttivo non era in grado di soddisfare una domanda
di consumo durevole che quei cittadini esprimevano. Quindi c’è una capacità di consumo
nell’Europa orientale e quindi ci sono subito dei mercati molto interessanti, ad esempio quello che
colpiva nella Germania dell’est dopo la caduta del muro di Berlino era la circolazione delle
macchine prodotte in Germania occidentale dato che la gente comprava macchine che prima non
era possibile comprare oppure le televisioni a colori che iniziavano a comparire nelle case, quindi
c’era la possibilità di penetrare in questi mercati. Inoltre l’Europa dell’est era uno spazio molto
importante per gli investimenti diretti esteri che potevano essere di due tipi: di acquisizioni di
quelle parti dell’apparato produttivo dell’Europa dell’est che avevano dei pregi, ovvero imprese
che necessitavano di essere ristrutturate ma rappresentavano un valore, ad esempio Skoda era
una grande impresa moderna all’inizio del 900 la quale rimane con i suoi stabilimenti principale
nella Cecoslovacchia ma è di proprietà del blocco sovietico, successivamente con la privatizzazione
viene acquisita da Volkswagen, quindi essendo un’impresa che viene controllata rappresenta un
investimento diretto estero dato che viene acquistata da fuori. Secondo esempio è creazione ex
novo (daccapo) di unità produttive. Le ragioni di questi investimenti diretti esteri sono: andare a
investire in mercati che cresceranno, il costo del lavoro è particolarmente basso dato che anche il
costo della vita è più basso, quindi ci possono essere vantaggi competitivi che attirano gli
investimenti diretti esteri nell’Europa orientale. Il fattore lavoro oltre a costare meno ha anche un
altro ruolo nel senso che ci sono lavoratori qualificati (sanno fare il loro lavoro). Gli investimenti
diretti esteri si dirigono in quei paesi dove i governi creano rapidamente un sistema di regole in
modo che chi va a investire non si trova in un casino normativo, per cui non è un caso che siano
proprio paesi che appartenevano all’impero austro-ungarico ad avere un recupero economico. Gli
investimenti diretti esteri sono meno significativi in Russia perché ci sono degli elementi culturali
di efficienza della burocrazia. Altro elemento importante è l’ingresso di tutti questi paesi
nell’Unione Europea. E’ un grande vantaggio perché questi paesi essendo aree arretrate come PIL
e PIL pro capite godono del fatto di essere destinatari di politiche di aiuto che l’UE mette in atto
per favorire lo sviluppo delle aree arretrate dentro l’UE. Una parte del budget è finalizzata a
realizzare interventi nelle aree depresse basate su determinati parametri come PIL, PIL pro capite
e tasso di disoccupazione. I paesi dell’est quando entrano uno dopo l’altro nell’UE si trovano ad
essere destinatari di questi flussi di denaro per cui questo è un vantaggio, ad esempio l’Irlanda
quando entra nell’UE (nel 1973) è un paese arretrato che riceve dei fondi europei specifici che sa
usare molto bene e questo è un fattore della forte crescita irlandese nel 900. La Russia non è
ancora nell’UE e dal punto di vista della cultura economica diffusa non è assimilabile alla
Repubblica Ceca o all’Ungheria, perché era un paese molto povero che con la rivoluzione permette
di avere dei vantaggi sullo sviluppo economico ma non favorisce lo sviluppo imprenditoriale, per
questo motivo è un percorso molto diverso dagli altri due paesi. Putin che governa questo paese
da tanto tempo ha altri due terreni su cui deve muoversi, la politica estera di Putin è molto più
piccola ma è ancora molto forte militarmente seppur molto meno rispetto all’Unione Sovietica
mentre nell’epoca del bipolarismo la spesa militare era pari a quella degli USA, ora lo è meno.
Quindi la Russia è meno potente ma non vuole essere considerata di serie b quindi Putin è un

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nazionalista russo che difende a modo suo gli interessi russi, come ad esempio nella tensione con
l’Ucraina o l’acquisizione della Crimea dove per la Russia sono scattate sanzioni di tipo economico.
Secondo elemento: la Russia si relaziona col mercato internazionale, quindi si posiziona come
grande esportatore di materie prime e prodotti energetici dal punto di vista economico e quindi
questo crea l’interesse dei paesi dell’occidente per il commercio. Per cui c’è il bisogno di avere
prodotti energetici sul mercato internazionale. I rapporti tra Russia ed Europa occidentale sono
difficili. Per la creazione del progetto del gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2 realizzata da Putin
per ottenere un vantaggio economico, potrebbe stravolgere gli equilibri economici e geopolitici
con gli altri paesi, una su tutte, Il governo statunitense di Trump non vuole che entri in funzione
l’approvvigionamento di materiale energetico dalla Russia perché consolida le relazioni
economiche tra Russia ed Europa occidentale, ma anche altri paesi come l’Ucraina e Polonia che
hanno altre opere di gasdotto con la Russia e per loro sarebbe uno svantaggio per la creazione di
questa nuova opera perché ridurrebbero la loro esportazione. Questa è un’economia di forza per
la Russia, ma oltre a questo non ha nient’altro da minacciare l’Europa occidentale.
Dagli anni 90 in poi c’è un aumento delle disuguaglianze molto marcato dal punto di vista della
distribuzione del reddito all’interno dei singoli paesi. Altro elemento importante è il flusso
migratorio (come l’Albaaaa), dato che questi paesi si inseriscono con la loro forza lavoro in un
mercato del lavoro globale. Per cui si aprono questi flussi migratori dai paesi dell’Europa orientale
verso l’Europa occidentale, ad esempio un lavoro operaio qualificato (nel settore dell’edilizia e
della saldatura), o il lavoro domestico a domicilio.

ASIA E AFRICA
Ascesa economica relativa dell’Asia e declino economico relativo dell’Africa: anche qui sono
importanti i concetti di convergenza e divergenza economica.
L’Asia è un continente che si è avvicinato e che ha giocato un ruolo da protagonista, Asia e Africa
partono da due condizioni simili, fino alla Seconda guerra mondiale sono subordinati dall’Europa
e dagli USA, nella maggior parte dei casi sono colonie e non hanno conosciuto uno sviluppo
economico industriale moderno nel 800-900. L’esperienza del colonialismo europeo non ha
favorito lo sviluppo economico dei paesi colonizzati, l’ottica della potenza europea coloniale era
di sfruttare al meglio per sé stessa la colonia. Nella maggior parte dei casi il colonialismo finisce
dopo la Seconda guerra mondiale, quindi l’India diventa indipendente dopo questo periodo, come
la maggioranza dei paesi dell’Africa nera sotto il Sahara, l’Angola e il Mozambico (negli anni ‘70
contro il Portogallo). Questi paesi dopo la Seconda guerra mondiale diventano indipendenti ed
erano tutti economicamente arretrati ad eccezione del Giappone, quindi a partire dal post

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Seconda guerra mondiale cercano di ridurre la distanza ma in alcuni paesi come l’Africa
subsahariana non si riduce la distanza. Tra il 1950 e il 1973 c’è una crescita dei paesi asiatici che
crescono ad un ritmo consistente come ad esempio il Giappone la cui crescita si arresta negli anni
90, mentre le tigri asiatiche (Taiwan, Corea del Sud, Singapore e Hong Kong) hanno una crescita
che si mantiene forte per tutto il 900, la Cina ha uno sviluppo diverso in quanto cresce con un
tasso di crescita media annua del PIL del 5% e questo tasso di crescita diventa ancora più elevato
alla fine del 900 e all’inizio del 21esimo secolo. L’Africa invece ristagna in quanto dopo la fase del
colonialismo c’è un altro fenomeno che non favorisce lo sviluppo economico dell’Africa che è il
neocolonialismo cioè le vecchie potenze coloniali continuano a esercitare pesanti ingerenze nei
confronti dei paesi che sono diventati autonomi e indipendenti. Questo neocolonialismo si
accompagna a una debolezza delle classi dirigenti del posto le quali non hanno la forza o
l’interesse di promuovere delle politiche autonome di sviluppo del paese.

05/10/2020:
L’Africa subsahariana è stata a lungo sottoposta a dominazione coloniale, (che ha interessato
anche il Nord Africa), che ha piegato gli interessi di quei territori a quelli della potenza coloniale
che dominava politicamente queste porzioni ampie di territorio africano. La dominazione coloniale
termina dopo la Seconda guerra mondiale a cui segue una fase di neocolonialismo in cui le ex
potenze coloniali continuano ad esercitare di fatto una pesantissima influenza sull’economia di
questi paesi i quali cercano di raggiungere un’indipendenza economica ma non è facile. Il divario
tra questa parte del mondo e il resto del mondo è andato ampliandosi negli anni a causa dei
condizionamenti del passato e soprattutto del fattore climatico, ovvero il clima equatoriale che
non è favorevole all’attività umana che viene rallentata. Inoltre dobbiamo considerare l’aspetto
culturale quindi la formazione e l’istruzione che in quei paesi sono molto bassi (come sono bassi
col PIL pro capite e l’indice di sviluppo umano) e quindi c’è una debolezza del capitale umano e c’è
un altro elemento importante che è il senso di appartenenza civica (civicness) ad una comunità,
quindi l’interazione positiva fra una comunità di cittadini e l’amministrazione pubblica, quanto più
c’è coesione amalgama (fusione) e senso di appartenenza a una comunità, tanto più è forte questo
senso di appartenenza civica, e questo è un fattore socio-culturale fondamentale anche per lo
sviluppo economico in quanto garantisce un rapporto positivo tra pubblica amministrazione e
cittadini. Ulteriore elemento importante è la qualità della pubblica amministrazione e qualità dei
gruppi dirigenti, quindi le élite (la parte più autorevole) al potere. Il tema della qualità dell’élite è
un altro elemento importante, in quanto nell’élite i livelli di corruzione sono assai elevati e questo
non favorisce la crescita economica e lascia questa area del mondo in una condizione di
persistente arretratezza relativa e il gap con le altre aree del mondo è ben lontano dall’essere
colmato. Ora consideriamo che tutte queste aree del mondo sono inserite in un sistema globale e
quindi sono in grado di influenzarsi reciprocamente.

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2. La globalizzazione
La piena globalizzazione la collochiamo negli ultimi 30/40 anni la quale ha portato a grandi
cambiamenti politici, come ad esempio la fine del mondo bipolare. In tutto questo ci sono dei
precedenti: nella metà dell’800, due importanti pensatori comunisti, Marx ed Engels, nel 1848
guardano allo sviluppo industriale inglese e prefigurano e prevedono la capacità di influenza
globale che il modello economico capitalistico dell’economia di mercato ha (ne percepiscono già
una serie di segnali). Più tardi nel 1964 uno studioso di teoria della comunicazione di massa,
Marshall McLuan, parla di villaggio globale e quindi teorizza per primo un fenomeno che ha avuto
sempre più evidenza, cioè che tutti come villaggio siamo dentro lo stesso circolo delle
comunicazioni e delle informazioni; i media consentono di essere in un villaggio globale, come ad
esempio i grandi eventi sportivi come i mondiali di calcio o lo sbarco dell’uomo sulla luna,
l’attentato alle torri gemelle (2001), i quali attraverso la televisione hanno catturato l’attenzione
degli abitanti di questo villaggio globale. Un altro elemento da ricordare sempre è quello che
prevede rapporti di forza quindi di potere, per cui alcune aree sono più forti, quindi egemonia,
rispetto ad altre che invece sono subalterne, quindi questo nesso (rapporto) tra egemonia e
subalternità è una chiave di lettura importante che si lega ad un’altra chiave di lettura che ci porta
ad individuare nel sistema economico globale dei centri e delle aree periferiche.
Le caratteristiche economiche della globalizzazione sono: un mercato largo, per cui c’è
interdipendenza tra mercati diversi e produttori diversi, quindi i mercati si muovono da un paese
all’altro. In questa produzione della globalizzazione hanno un aspetto importante le imprese
multinazionali e le imprese transnazionali, quindi abbiamo imprese in grado di esportare, imprese
che all’estero aprono attività produttive, imprese transnazionali che non possono essere più
ricondotte a una sola area del mondo per la composizione del loro azionariato e del top
management. In questo contesto sono importanti anche gli investimenti diretti esteri (foreign
direct investment). Quindi imprese multinazionali, investimenti diretti esteri, un mercato sempre
più integrato e catene globali del valore hanno come conseguenza una competizione che diventa
globale. Accanto a questi elementi abbiamo anche elementi di costume, sociali, culturali, di
mentalità legati al flusso dell’informazione, per cui la globalizzazione tende a omogeneizzare un
mondo che è molto vario. Di fatto ha avuto negli ultimi tempi una forza dirompente e
apparentemente inarrestabile ma si scontrerà con delle resistenze, per esempio, in Cina le

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multinazionali ci sono ma le imprese occidentali non possono muoversi liberamente in Cina e poi ci
sono le critiche dei cittadini.
Elementi importanti: un primo elemento è quello del commercio internazionale che cresce molto
non solo perché cresce molto il PIL mondiale. La percentuale dell’export sul PIL mondiale è il 4,6%
nel 1870, il 7,9% nel 1913, il 5,5% nel 1950 per cui in questo periodo le economie sono meno
integrate rispetto a quanto non lo fossero nel 1913, dopo la Seconda guerra mondiale c’è una
grande spinta del commercio internazionale, per cui abbiamo il 10,5% nel 1973, il 17,2% nel 1998,
per cui verso la fine del 900 poco meno di 1/5 del PIL mondiale veniva esportato (logistica di
trasporto).
Altri grandi protagonisti sono le imprese che sono dentro la globalizzazione. L’es della
imprenditrice marchigiana che ha un’impresa che si occupa nel settore settile per l’Armani con
dipendenti alba/macedoni e Bangladesh e crea capi per venderli negli altri paesi soprattutto in
Cina.
Gli investimenti diretti esteri (IDE) al 2000 in termini di flussi (sono i capitali che vengono investiti
all’estero da un paese oppure che entrano in quel paese da altri paesi dell’estero) e di stock (tutto
ciò che si è accumulato nel tempo flusso dopo flusso), vedono al primo posto i paesi anglosassoni
(USA e Regno Unito), la Cina cominciava a comparire ma non era ai primissimi posti. Questa
classifica da vent’anni a questa parte è cambiata. I luoghi di partenza degli investimenti diretti
esteri sono luoghi di partenza in cui c’è stata un’accumulazione di capitali, i paesi che ricevono

capitali sono paesi in cui ci sono favorevoli condizioni di investimento. Gli investimenti diretti
esteri sono legati al fenomeno delle multinazionali e possono assumere il carattere di imprese
transnazionali, quindi si va a vedere dove sono collocati gli asset, quali sono le quote di mercato,
quanta parte hanno le vendite all’estero sul totale del fatturato, quanti sono gli addetti occupati
all’estero sul totale degli addetti e la composizione dell’azionariato.
Non abbiamo solo i movimenti di capitale legati agli investimenti diretti esteri, abbiamo anche
flussi di capitale che sono sempre stati legati all’economia finanziaria come ad esempio
compravendita di azioni, prestiti a stati sovrani, acquisto di azioni e acquisto di titoli del debito
pubblico di stati sovrani. I flussi finanziari hanno avuto un peso crescente nell’economia della
globalizzazione come sia gli investimenti in titoli privati sia gli investimenti in titoli pubblici.

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L’investimento in titoli privati può rispondere all’esigenza/speranza di realizzare in tempi molto
rapidi dei guadagni significativi con un aumento del valore del titolo comprato. Questo è un tipo di
investimento che non presuppone nessun tipo di attaccamento all’investitore all’impresa in cui si
investono i soldi, denotano solo un interesse legittimo nel veder aumentato il valore dell’azione in
modo da poterla rivendere facendoci un guadagno significativo (capital gain o plusvalenza).
L’investimento in titoli pubblici questo ha a monte il problema dei debiti pubblici, delle politiche
economiche delle amministrazioni pubbliche che cercano finanziamenti sul mercato internazionale
dovendo essere credibili come debitori, quindi devono avere un determinato rating. Altro aspetto
importante è il mercato del lavoro. Il mercato del lavoro è diventato molto più largo, ma alcuni
paesi come l’Italia erano inseriti nel mondo globale ma crescevano poco. La precarietà del lavoro è
un tratto distintivo molto più di quanto non fosse 40 anni fa in cui c’era una maggior stabilità nei
rapporti di lavoro. Questo mercato del lavoro globale si lega anche agli andamenti demografici
che sono diversi nel mondo. Nel 2020 ci sono state un po’ più di 100 milioni di nascite e un po’ più
di 40 milioni di morti, per cui c’è stato un saldo positivo tra nascite e morti di 62 milioni circa di
persone (a inizio ottobre) quindi questi andamenti demografici denotano come in alcuni paesi la
popolazione cresce più rapidamente ed è anagraficamente più giovane rispetto ad altri paesi dove
la popolazione non cresce ed è più anziana, questo significa che la disponibilità di trovare giovani
persone che entrano nel mercato del lavoro non è uguale dappertutto, e questo favorisce gli
spostamenti di popolazione, per cui parliamo di mercato del lavoro e flussi migratori: questi ultimi
possono essere all’interno dei paesi o anche a livelli internazionali. Questa tendenza della
globalizzazione è una forza dirompente e che suscita reazioni, in quanto c’è una tendenza ad
abbattere le barriere e far circolare le persone ha alla base delle tendenze demografiche diverse,
degli squilibri economici fortissimi e ci sono poi squilibri specifici in singoli mercati del lavoro
globale che chiamano e favoriscono il movimento di forza lavoro tutto ciò crea tensioni, c’è il tema
dell’identità collettiva e della multietnicità nelle nostre società.
06/10/2020:
L’andamento della popolazione nel mondo e in alcuni paesi importanti: vi è una fortissima crescita
nella popolazione mondiale, il dato riferito al 2015 è un dato stimato, oggi si superano i 7 miliardi
e mezzo di individui, nei prossimi anni raggiungeremo gli 8 miliardi. Nel 1980 c’erano 4 miliardi di
persone per cui c’è stata una crescita demografica straordinaria. All’interno di questa crescita

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abbiamo andamenti diversi a seconda dei paesi che consideriamo, nei paesi ad alto reddito la
crescita è assai meno sostenuta sia in numeri assoluti sia in tassi di crescita, la crescita è
particolarmente forte nei paesi a basso reddito con dei cambiamenti come ad esempio in Cina
dato che in questo paese la crescita è stata molto forte nel 900 ma è rallentata nel 21esimo secolo,
questo è stato dovuto alle politiche di controllo demografico del governo cinese che sono state
efficaci nel fermare la crescita cinese. Nel 1980 la popolazione italiana registrava 56 milioni di
abitanti, nel 1989 era di 58 milioni e c’era una previsione di 55 milioni di abitanti per il 2015,

invece oggi la popolazione italiana supera di poco i 60 milioni di abitanti, questo perché è entrata
in gioco una variabile che è quella dei flussi migratori in quanto non era considerata per le
dimensioni che è andata assumendo, infatti secondo l’ISTAT la popolazione italiana al 01/01/2018
è esattamente 60 milioni e mezzo di abitanti dei quali gli stranieri residenti sono 5 milioni di
persone che equivalgono all’8,5% della popolazione italiana. Quindi c’è stato un significativo
aumento del flusso migratorio verso l’Italia. Gli stranieri residenti in Italia passano dall’1,4% nel
1990 al 2,2% nel 1997 della popolazione totale, quindi abbiamo una crescita sostenuta dei flussi
migratori in Italia e la percentuale degli stranieri residenti in Italia dell’8,5% era già stata raggiunta
dagli altri paesi europei e dagli USA vent’anni, quindi l’Italia ha raggiunto livelli di immigrati
analoghi a quelli registrati da altri paesi da tempo.

23
Gli stranieri residenti oggi a Genova sono 56.000 su circa 580.000 di residenti totali (anno 2018),
quindi quasi il 10% della popolazione. C’è inoltre una quota non registrata di clandestini del 10%
rispetto agli stranieri registrati all’anagrafe. Di questi 56.000 stranieri residenti molti provengono
dalla comunità dell’Ecuador (13.500) e dell’Albania (quasi 6.000). Per ragioni storiche c’è un
movimento che dall’Ecuador si sposta verso l’Italia perché Genova è un mercato che per queste
persone offre degli sbocchi lavorativi. Questo è il cosiddetto fenomeno delle catene migratorie.

Questi flussi si collegano col mercato del lavoro.


Per quanto riguarda il mercato del lavoro genovese, Genova non sta attraversando una fase di
crescita economica ma esprimeva una domanda nel settore delle badanti, inoltre abbiamo una
realtà in cui il numero degli anziani in Italia aumenta decennio dopo decennio perché la vita si
allunga, abbiamo un indebolimento o trasformazione dei nuclei familiari e quindi quel tipo di
integrazione all’interno del nucleo familiare dei nonni è sempre meno presente. Il mercato del
lavoro può essere composto da altri sotto mercati del lavoro a seconda delle aree geografiche e
delle professioni (ad esempio quello dei piastrellisti, dei musicisti, degli insegnanti), quindi l’analisi
del mercato del lavoro può essere condotta guardando a specifici mestieri, settori e aree
territoriali. Quando guardiamo ai mestieri parliamo di lavoro in regola e abbiamo un ventaglio
retributivo che può essere anche significativo. Il mercato del lavoro diventa sempre più
concorrenziale e instabile, in quanto la forma di lavoro a tempo indeterminato è ancora la forma
dominante nel mercato del lavoro ma è affiancata da tante tipologie di contratti che rendono in
molti casi più precario il lavoro, inoltre abbiamo una differenziazione più marcata tra lavori
qualificati e lavori poco qualificati (bad jobs), quindi il mercato del lavoro ha avuto queste
trasformazioni con il diffondersi di questi bad jobs. Questa precarizzazione si lega anche a una
perdita di status di un ceto medio basso dato che ora c’è una situazione incerta dato che non c’è
una certezza di continuità di rapporti di lavoro. Questo mix di elementi, quindi, rende il tema
migrazioni così delicato in grado da generare tensioni da essere vissuto anche in modo
drammatico.
Riguardo le disuguaglianze economiche a livello internazionale, nel 2000 gli USA avevano il 4,5%
della popolazione mondiale e realizzavano il 22% del PIL mondiale, l’Europa occidentale aveva il

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6,5% della popolazione mondiale e produceva il 20% del PIL mondiale, quindi complessivamente
questi paesi avevano l’11% della popolazione e il 42% del PIL mondiale, dal lato opposto l’Africa
aveva il 13% della popolazione mondiale e solo il 3% del PIL mondiale. Abbiamo altri fattori
significativi dal punto di vista dell’analisi socioeconomica, infatti in Cina e in India ci sono centinaia
di milioni di persone che hanno aumentato il loro reddito personale, quindi si è affermato un
nuovo diffuso ceto medio in paesi emergenti e questo ci mostra una riduzione dei divari. In altri
parti del mondo c’è un ceto medio che cresce e crea un benessere che non è distribuito in modo
omogeneo, quindi il divario tra gli estremi si ampia. Le disuguaglianze quindi si possono leggere
dentro ai paesi oltre che a livello globale, o anche dentro aree regionali dello stesso paese come,
ad esempio, un’analisi storica o economica delle disuguaglianze in Italia tra nord e sud; poi
abbiamo le disuguaglianze di genere tra uomo e donna, e le disuguaglianze che guardano ai gruppi
etnici. Le disuguaglianze in termini di reddito sono misurate dall’indice di Gini (27,3 alla fine del
‘900 in Italia, gli altri paesi europei variano tra 25-30, USA 40,8, Brasile 59) che va a vedere la
distribuzione del reddito all’interno di una data popolazione e tanto più alto è questo indice tanto
più la distribuzione del reddito è sperequata (diversa). Gli economisti fanno una serie di riflessioni
sul rapporto che c’è tra la distribuzione del reddito e l’impatto sul sistema economico, e
sostengono che una domanda diffusa è sostenuta se c’è reddito per tutti, ma se il reddito è
concentrato nelle mani di pochi la domanda complessiva immediata tende ad essere più debole;
c’è chi difende questo modello sperequato e dice che coloro che sono molto ricchi potrebbero
investire. Quando la disoccupazione aumenta ovviamente diminuisce la contrattazione dei
lavoratori e viceversa se c’è piena occupazione, i datori di lavoro hanno meno potere di scelta per
quanto riguarda le assunzioni.
Nel paragrafo successivo invece, abbiamo nella governance organismi sovranazionali come l’ONU
(Organizzazione delle Nazioni Unite), Unione Europea, il Fondo monetario internazionale, la Banca
mondiale, la Banca centrale europea, l’organizzazione mondiale del commercio (World Trade
Organization). Riguardo le dinamiche di governance in Italia abbiamo il Parlamento e il Governo, i
sindacati come ad esempio Confindustria. La governance deve tenere conto degli orientamenti
molecolari, quindi di milioni e milioni di individui/famiglie/imprese che si muovono sul terreno
economico. Nella globalizzazione questa complessità della governance diventa ancora maggiore
perché ci sono dei soggetti che sono i grandi Gruppi nazionali/internazionali/investitori di capitali
che influenzano pesantemente il quadro complessivo e sono meno facilmente controllabili dai
soggetti sopracitati che dovrebbero garantire governance al sistema.

12/10/2020:
3° CAPITOLO VALLI

L’Europa dopo il 1945


Dobbiamo fare due considerazioni sull’andamento dell’economia europea:
1. La frammentazione politica dell’Europa deve tenere conto che fino al periodo fra il 1989 e il
1991 c’era una spaccatura politica dell’Europa con regimi politici ed economici diversi, solo dopo
gli anni 90 questa parte politica dell’Europa si apre e quindi c’è un processo di maggior
integrazione politica ed economica.

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2. Guardando all’Europa in generale, ma anche all’Europa occidentale, all’indomani della seconda
guerra mondiale esistevano differenze economiche rilevanti fra paesi, l’Europa non era un’area
omogenea, era un’area in cui le diversità fra regioni dello stesso paese erano significative, quindi
alcuni paesi come Regno Unito, Germania Occidentale, Svizzera, Francia e Norvegia, avevano una
percentuale inferiore di addetti all’agricoltura rispetto alla percentuale di addetti all’industria, non
era così per Italia, Spagna e Portogallo in cui l’agricoltura era ancora un settore in cui lavorava il
maggior numero di addetti. Nel corso della seconda metà del 900 fino ad oggi ci sono quei processi
di ridimensionamento del settore agricolo in quei paesi in cui il settore agricolo all’indomani della
Seconda guerra mondiale era più forte e quindi portano a una maggiore omogeneità delle
strutture economiche dei diversi paesi, e quindi negli anni finali del 900 abbiamo un passaggio dal
predominio del settore secondario al predominio del settore terziario. Quindi questa
terziarizzazione dell’economia investe il continente europea quindi gli dà un’omogeneità
strutturale ed economica. Il catching up (la riduzione del gap (l’avvicinamento rispetto
all’economia statunitense)) fra l’economia europea e gli USA è significativa tra il 1950 e il 1990.
Fino agli anni 70 questo catching up interessa sia i paesi dell’Europa occidentale che dell’Europa
orientale. Negli anni 70-80 la performance dei paesi dell’Europa orientale è meno brillante di
quella dei paesi dell’Europa occidentale, quindi per loro il processo di catching up agli USA si
blocca, continua invece l’avvicinamento agli USA da parte dei paesi dell’Europa occidentale. Quindi
c’è una riduzione del catching up tra il 1950 e il 1990. Questo avviene perché vengono introdotte
in Europa tecnologie avanzate e quindi abbiamo non solo una ricostruzione ma anche una
modernizzazione dell’economia europea con l’adozione di tecnologie più avanzate, con forti
incrementi di produttività di sistema che consentono di avere delle performance economiche
migliore degli USA. Nell’ultimo decennio del 900, gli USA vanno meglio rispetto all’Europa quindi la
distanza aumenta un po’. Facendo un confronto tra i dati del 1950 e quelli del 2000 il gap si è
ridotto. Quando si parla di introduzione di nuove tecnologie avanzate provenienti spesso dagli USA
abbiamo nell’Europa occidentale l’adozione di un modello che si era fermato da tempo, il modello
fordista (in Europa negli anni 50-60 golden age). Il fordismo è un modo per organizzare la
produzione della grande fabbrica, produzione di serie, centralizzata e di massa. Per cui quella
fordista è una società in cui si sviluppano i consumi di massa centralizzati, quindi ci sono molti più
beni di consumo a disposizione delle popolazioni interessate. Altro elemento importante è
l’allargamento e l’integrazione dei mercati, abbiamo una fase in cui i paesi occidentali sono
integrati a livello internazionale perché alcuni paesi aderivano all’accordo sul commercio e i dazi e
a livello europeo con la CECA (Comunità europea del carbone e acciaio creata col Trattato di Parigi
del 18 aprile 1951 ) e la CEE (comunità economica europea 1957 Trattato di Roma firmato da
Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Germania occidentale). In questo periodo che va
dalla Seconda guerra mondiale a oggi individuiamo alcune fasi: la prima fase è quella della
ricostruzione, si entra in una fase di sviluppo molto forte negli anni 50 e 60 che termina nel 1973
(anno del primo shock petrolifero), la seconda fase in cui la crescita dell’economia dei paesi
dell’Europa occidentale negli anni 70-80 (rallentamento della crescita) è più lenta ma non si ferma
in confronto alla crescita tra il 1950 e il 1973. Quel fenomeno fa parlare molti osservatori
economici per la crisi degli anni ’70 la quale non è una recessione ma un rallentamento della
crescita molto forte. Questo secolo sono decenni di crescita molto lenta per l’Europa, nel 2012
alcuni stati hanno una crisi legata a criticità dei conti pubblici e nel 2020 c’è la crisi covid. Per cui
gli ultimi 12-13 anni dal punto di vista economico sono stati tormentati. Confronto tra
l’andamento del PIL di alcuni paesi europei rispetto al PIL USA (indice 100) tra 1950 e 1990:

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Tabella 83-84

nel 1950 il PIL della Germania ovest è un po’ meno del 15% del PIL degli USA, nel 1990 è diventato
il 21,6% del PIL statunitense, il PIL italiano nel 1950 è l’11% di quello USA ed è quasi il 17% del PIL
statunitense nel 1990, il PIL francese è il 15% del PIL degli USA nel 1950 e il 18,5% nel 1990, gli
anni 90 registrano una crescita dell’economia statunitense maggiore di quella degli altri paesi
europei ma c’è una forte eccezione cioè il Regno Unito che ha un PIL equivalente al 23,7% di quello
USA nel 1950, al 17% nel 1990 e al 15,6% nel 1999. Nel 1995 il PIL pro capite inglese era più alto
rispetto al 1950. Facendo un confronto tra il PIL pro capite dei diversi paesi europei rispetto al PIL
pro capite statunitense Il PIL pro capite della Germania ovest è nel 1950 il 51% rispetto a quello
degli USA. Nel 1990 il PIL pro capite dei tedeschi occidentali è il 97,5% di quello statunitense.
L’Italia nel 1950 ha un PIL pro capite del 36% del PIL americano, nel 1990 siamo al 73% del PIL
statunitense. L’Austria passa dal 39% del PIL degli USA nel 1950 al 76,8% nel 1990. Si manifesta la
società della produzione dei consumi di massa e gli stili e le mode diventano più simili. All’interno
dei singoli paesi europei le condizioni materiali di vita diventano sempre più simili, c’è quindi un
forte avvicinamento.

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Nel 1950 gli USA del punto di vista economico erano superiori rispetto ai paesi dell’Europa
occidentale, alla fine del 900 questa superiorità non esiste più e gli USA non la recuperano più
rispetto all’Europa occidentale. Il discorso economico genera nella società americana un senso di
perdita di egemonia. Flash sulla campagna elettorale degli USA: Trump col suo slogan “make
America great again” evidenzia e ammette la perdita di supremazia totale degli USA, e un
desiderio di questo paese di tornare a primeggiare e l’abilità di Trump nel gestire un messaggio e
una comunicazione politica rispetto a pezzi di elettorato degli USA.

Processo di integrazione economica europea (pag 100 Valli)


Ci sono delle importanti fondamenta politico-ideali, infatti nel 1941 furono protagonisti alcuni
italiani, tra cui Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, i quali trovandosi confinati nell’isola di Ventotene
in quanto oppositori del fascismo, scrivono questo manifesto per un Europa libera e unita. I
nemici di Rossi e Spinelli sono la divisione dell’Europa, in quanto i paesi divisi si sono lanciati nelle
due guerre mondiali che li hanno visti contrapposti con dei danni enormi e loro volevano superare
questa divisione politica dell’Europa che aveva portato alle due guerre mondiali. Questo è un
grande messaggio culturale che all’indomani della Seconda guerra mondiale viene ritenuto
importante da molte persone. Questo manifesto deve fare i conti con la situazione reale
dell’Europa all’indomani della Seconda guerra mondiale, infatti l’Europa è suddivisa in due blocchi
e quindi diventa impossibile immaginare l’Europa libera e unita negli anni della Guerra fredda.
L’Europa dal punto di vista economico è molto fragile e per rinforzarsi ha bisogno di integrazione,
quindi se l’orizzonte del manifesto di Ventotene era un manifesto ideale, c’è una considerazione
che si aggiunge dopo il 1945, ovvero i singoli paesi europei devono integrarsi gli uni con gli altri per
non essere troppo deboli economicamente, quindi chi governa i paesi europei accettano di essere
alleati degli Stati Uniti ma si muovono per rafforzarsi dal punto di vista economico e questo ha un
elemento importante nell’integrazione dei paesi europei. Quindi c’è la nascita di un pensiero
europeista che tiene conto della divisione dell’Europa in due blocchi, della Guerra fredda (Fu
definita guerra fredda la situazione di conflitto non bellico che venne a crearsi tra due blocchi
internazionali, generalmente categorizzati come Ovest (gli Stati Uniti d'America, gli alleati
della NATO (L'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (in inglese North Atlantic Treaty
Organization, in sigla NATO, è un'organizzazione internazionale per la collaborazione nel settore
della difesa).ed i Paesi amici) ed Est (l'Unione Sovietica, gli alleati del Patto di Varsavia ed i Paesi
amici) tra la fine della seconda guerra mondiale e l'ultimo decennio del Novecento (circa 1945-1991).,
della leadership degli USA e si muove con un obiettivo economico funzionale, realizzando
l’integrazione fra paesi che hanno un denominatore comune. I denominatori comuni sono
l’appartenere all’Europa occidentale ed essere democratici. L’integrazione interessa alcuni paesi
dell’Europa occidentale, questo processo ha delle tappe, dei dialoghi e dei risultati che sono i
trattati fra paesi. Alla fine degli anni 40 i paesi dell’Europa occidentale si confrontano fra di loro
per trovare un accordo su come suddividere gli aiuti americani del piano Marshall, per cui alcuni
di questi paesi europei siglano degli accordi economici fra di loro, il primo è il Benelux cioè un
trattato di libero scambio con abolizione dei dazi doganali fra Belgio, Olanda e Lussemburgo. Il
processo viene sviluppato e diventano protagonisti di questo processo la Germania occidentale,
l’Italia e la Francia. Germania federale, Italia, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo stipulano nel
1951 un trattato che dà vita alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), il quale è un
esempio di integrazione funzionale, dove non ci sono dazi per cui il carbone della Ruhr (tedesco)

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può essere venduto in Francia. Per cui è un organismo sovranazionale che viene creato per dare
regole comuni a questi sei paesi nel settore della siderurgia e del carbone e che prevede dei fondi
di aiuti sociali per i lavoratori che perdono il posto di lavoro. Nel 1957 si firma il trattato di Roma
dove gli stessi sei paesi sopracitati danno vita alla Comunità Economica Europea (CEE). Questo è
un accordo fra stati sovrani che creano di comune accordo un’area di libero mercato, meno
settoriale rispetto alla CECA, in cui l’obiettivo è l’abolizione dei dazi doganali fra paesi. I dazi
doganali vengono progressivamente ridotti fino alla loro cancellazione nel 1968. Per quanto
riguarda la libera circolazione della forza lavoro, questi paesi fanno circolare liberamente oltre le
merci anche i lavoratori i quali possono andare a lavorare liberamente da uno stato all’altro di
quelli appartenenti alla comunità, quindi c’è un mercato unificato del lavoro. Questa è una
comunità che diventa progressivamente più larga in quanto ci sono altri tre paesi che entrano
nella comunità nel 1973, ovvero Regno Unito, Danimarca e Irlanda, nel 1981 entra la Grecia e nel
1986 Spagna e Portogallo (dopo la dittatura del decennio precedente). Negli anni 90 entrano nella
comunità, (ormai Unione Europea dopo il trattato di Maastricht del 1992), Finlandia, Svezia e
Austria, e con questo secolo entreranno anche i paesi dell’est europeo (27 paesi).
Abbiamo inoltre anche politiche agricole, sociali e regionali.

13/10/2020:

Abbiamo una serie di cerchi concentrici, l’economia mondiale, dentro l’economia mondiale c’è
l’economia europea, dentro la storia economica e politica europea abbiamo il processo di
integrazione economica-europea. Per leggere il processo di integrazione economica europea
dobbiamo considerare alcuni elementi: i contesti storici, quando parliamo del processo di
integrazione economica europea abbiamo in mente un’evoluzione nel tempo, quindi significa che
il processo che noi analizziamo si svolge e si sviluppa in contesti storici diversi. Per definire i
contesti storici adottiamo una prospettiva di storia politica, in quanto gli anni di grande svolta
sono il 1989 con la caduta del muro di Berlino e la trasformazione dell’Unione Sovietica in Russia
nel 1991, per quanto riguarda gli aspetti economici un turning point sono gli anni 70 in cui finisce
quella fase di intensa espansione che aveva caratterizzato tutti i paesi europei dalla fine della
seconda guerra mondiale all’inizio degli anni 70, per quanto riguarda il processo di integrazione
europea in sé abbiamo tre piani di analisi che si intrecciano gli uni con gli altri, il primo riguarda le
istituzioni dell’integrazione europea, il secondo gli aspetti economici dell’integrazione europea, il
terzo sono gli aspetti politici e ideali come l’europeismo, quindi cosa rappresenta l’Europa per noi
cittadini europei, poi se vogliamo possiamo dare anche un bilancio storico di quello che questo
processo ha dato ad oggi. Fra gli aspetti istituzionali abbiamo da un lato un progressivo
allargamento dei paesi partecipanti e delle istituzioni europee col trattato della CECA e della CEE. I
sei paesi della CEE stipulano anche l’EURATOM nel 1957, ovvero la comunità europea dell’energia
atomica, successivamente come abbiamo visto entrano nell’Unione europea anche altri paesi. Dal
punto di vista istituzionale l’altro aspetto importante è il trattato di Maastricht la CEE diventa
Unione europea.
Per quanto riguarda le politiche dentro il processo di integrazione europea abbiamo due filoni,
quello del libero mercato e le politiche di intervento delle istituzioni comunitarie. Le politiche di

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libero mercato rispondono a una filosofia di un area economicamente integrata e quindi dopo la
seconda guerra mondiale l’idea di abbattere le barriere doganali è molto forte, quindi c’è l’idea di
costituire un mercato unitario con la libera circolazione delle merci quindi significa che i prodotti
circolano liberamente nei paesi aderenti grazie all’abolizione dei dazi doganali e l’Unione europea
decide il tipo di dazio da imporre a prodotti che entrano nel mercato europeo venendo da paesi
extracomunità prima e unione dopo. Quindi siamo in un’ottica di libero mercato per quanto
riguarda la circolazione dei prodotti, la forza lavoro e la circolazione dei capitali.
Poi ci sono politiche di intervento diretto di regolazione del mercato oppure di intervento con
finanziamenti dedicati che hanno un obiettivo, alcuni esempi di intervento attivo nel sistema
economico sono stati quelli delle politiche agricole, in quanto l’agricoltura era un settore che
aveva conosciuto dei cambiamenti fortissimi e che occupava meno addetti ed espelleva addetti
che si trasferivano verso altri settori in cui era possibile produrre occupando sempre meno forza
lavoro e questa agricoltura pesava sempre meno sul settore economico nel complesso perché
contestualmente al declino relativo dell’agricoltura cresceva l’importanza del settore di industria e
quello terziario. L’agricoltura era però considerata un settore strategico dalle istituzioni
comunitarie, le quali la difendono in vari modi cercando di tutelare i produttori agricoli che sono
sempre meno numerosi ma sono anche capaci di fare pressioni sulle istituzioni comunitarie in
quanto hanno delle associazioni di categoria che li difendono quindi da un lato c’è la pressione di
interessi economici definiti e dall’altro c’è la consapevolezza che il settore agricolo è un settore
strategico. Per tutelare il reddito dei produttori agricoli bisogna che i prezzi dei prodotti agricoli
non crollino, per cui da un lato la CEE che ha la possibilità di imporre dazi doganali sulle
importazioni nette ai suoi confini dei dazi significativi sull’importazione di prodotti agricoli che
vengono da aree extraeuropee, questo frena la possibilità di esportare i prodotti verso l’Europa
per i paesi del terzo mondo e di attuare una politica volta a stabilizzare il livello prezzi nel mercato
comunitario, per fare ciò bisogna che l’offerta di prodotti agricoli sul mercato non sia largamente
eccedente la domanda, perché se l’offerta dei prodotti agricoli superasse di molto la domanda si
creerebbe un gap e il livello di prezzi dei prodotti agricoli tenderebbe a scendere, per far sì che non
accada quando la produttività agricola può offrire più prodotti sul mercato rispetto al livello della
domanda l’Unione europea si fa carico di comprare le eccedenza di prodotti agricoli che non
hanno sbocco sul mercato con i soldi del bilancio comunitario. La comunità con le eccedenze può
fare due cose, a volte distruggere il prodotto e poi queste eccedenze venivano esportate dall’UE
nei paesi del terzo mondo mettendo in difficoltà gli agricoltori del terzo mondo. Poi erano previsti
sussidi diretti agli agricoltori e per cercare di ridurre l’offerta, anche dei contributi se si lasciavano
incolti dei terreni per evitare che l’offerta crescesse molto, inoltre per evitare il calo dei prezzi la
comunità stabilì quote di produzione che i proprietari dovevano rispettare, in quanto l’offerta di
prodotti non è lasciata alla piena incontrollata iniziativa dei produttori ma viene decisa limitando
l’offerta per far sì che i prezzi non calino e si mantengano a un buon livello (quote latte per es). un
caso per es riguarda la protesta degli agricoltori sardi che vendevano il latte per venderlo
all’azienda “Pecorino”, il quale decise di comprarlo altrove, sempre nei paesi dell’UE perché lo
ritenevano più conveniente (Ungheria e Romania). Per quanto riguarda le politiche sociali nel
settore della CECA il trattato preveda che a livello comunitario potessero scattare dei contributi
per gli individui che si potevano trovare privati del posto di lavoro; nel campo delle politiche sociali
ci sono anche le politiche della formazione professionale. Dentro il bilancio della comunità dal
1957 ci sono stati sempre dei fondi che servivano per finanziare dei progetti per far arrivare
denaro alle aree economicamente arretrate all’interno della comunità, per individuare queste

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aree si prendono indicatori come il PIL pro capite regione per regione, il tasso di disoccupazione.
In questo intervento di politica economica la dinamica di mercato ha creato o non ha risolto delle
differenze fra regione e regione quindi si interviene per cercare di ridurre il problema. Riguardo le
aree depresse adottando una dimensione cronologica temporale, cioè quando la CEE è nata le
aree depresse che avevano un PIL pro capite molto più basso della media comunitaria e un tasso di
disoccupazione molto più alto, erano largamente aree dell’Italia meridionale. Per cui l’Italia era
beneficiaria degli aiuti per le aree arretrate della CEE. Il 1973 vede gli ingressi nella comunità di
Danimarca, Regno Unito e Irlanda. L’Irlanda quando entra era uno dei paesi più poveri, quindi
inizia a ricevere molti finanziamenti in quanto paese con tante aree che erano depresse. Grazie a
questi finanziamenti e il saper sfruttare al massimo tali finanziamenti, l’Irlanda ha un recupero
economico fortissimo, dato che si trova nella posizione di raccogliere finanziamenti che possono
essere utilizzati bene. Quando l’UE si allarga ai paesi dell’est Europa le aree depresse europee
sono beneficiari di aiuti significativi per lo sviluppo regionale. Abbiamo anche un altro campo di
intervento importante che è quello delle politiche monetarie, infatti i paesi fondatori della CEE
hanno ciascuno la sua moneta e si trovano dentro un sistema internazionale di cambi fissi ovvero
il sistema di Bretton Woods che prevede che i cambi tra le diverse monete nazionali siano
mantenuti stabili per escludere il rischio di cambi. Il sistema di Bretton Woods regge fino al 1971,
anno in cui il governo degli USA era il cardine di questo sistema in quanto il dollaro era l’unica
moneta convertibile in oro e quando il presidente Nixon decide di sospendere la convertibilità
allora finisce questo sistema. I paesi europei dell’Europa occidentale nel 1979 decidono di creare
un sistema di cambi fissi tra monete europee, il quale prende il nome di sistema monetario
europeo, quindi i paesi che sottoscrivono questo accordo decidono di creare questo sistema che
mantenga una certa stabilità fra i cambi e le valute nazionali. Nel 1992 col trattato di Maastricht la
CEE diventa Unione Europea e decide di arrivare ad adottare come moneta comune ovvero l’euro
la quale entra in circolazione come moneta effettiva nel 2002. I parametri del trattato di
Maastricht sono indicazioni da rispettare per quanto riguarda le politiche economiche e le
politiche dei bilanci pubblici, quindi non dà solo obiettivi ma anche regole, da un lato dà gli
obiettivi di seguire un percorso che porta all’adozione dell’euro per gli stati interessati, dall’altro
dà degli obiettivi e delle indicazioni di politica economica e di bilancio dello stato. Uno degli
obiettivi negli anni 90 è che il tasso di inflazione nei diversi paesi non deve superare dell’1,5% il
tasso di inflazione dei tre paesi più virtuosi dove l’inflazione è più bassa, quindi ci dev’essere un
controllo dell’inflazione. Riguardo le politiche di bilancio dello stato, esso non deve avere un deficit
nell’anno superiore al 3% del PIL, quindi fissa un rapporto percentuale tra il deficit annuale del
bilancio pubblico e il PIL del paese che si sta considerando, altro rapporto è fra lo stock di debito
pubblico e il PIL del paese quindi lo stock di debito pubblico non deve essere superiore al 60% del
PIL di quel paese. Quando il trattato viene siglato Italia e Belgio hanno un debito pubblico
superiore al 60% del PIL e quindi non sono in grado di rispettare i parametri del trattato di
Maastricht, per cui si stabilisce che il 60% del PIL sul debito pubblico non è una condizione
vincolante ma un obiettivo da raggiungere. Poi c’erano i parametri che riguardavano i tassi di
interesse che in ogni singolo paese non dovevano essere troppo alti rispetto ai tassi di interesse
applicati negli altri paesi, per cui i paesi aderenti al trattato di Maastricht dovevano seguire delle
politiche economiche omogenee. Questo tipo di politiche economiche hanno avuto anche dei
critici in quanto essendoci la crisi lo stato vede diminuire le sue entrate ma riceve anche richieste
di aiuti, per cui nei momenti di crisi la finanza pubblica è messa sotto pressione. Dal 2000 in poi
alcuni momenti di crisi sono stati vissuti spesso da alcuni paesi europei, le regole europee mettono

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dei paletti sulla finanza pubblica, questi paletti delle politiche di bilancio nel 2020 si è deciso di
metterli da parte a causa della crisi covid che nasce per una pandemia non prevedibile. Un dato
che possiamo assumere come bilancio è che il processo di integrazione economica con queste
istituzioni politiche europee si è accompagnato a decenni di pace tra i paesi europei.

Germania (pag 112 V.)


Dopo gli anni della 2° GM l’economia della Germania è a pezzi nel 1946, ed è occupata dai paesi
vincitori e perde territori a est dove prima della 2° GM abitava il 13% della popolazione tedesca i
quali vengono sottratti da Polonia e Cecoslovacchia. In questo contesto c’è un movimento di
profughi significativo da zone dell’est (che erano della Germania e dopo la 2°GM non lo sono più)
verso la Germania occidentale, perché in questa situazione la Germania si trova a essere
politicamente divisa, la zona occupata dall’Unione Sovietica nel 1949 diventa Germania est e
quella occupata dagli anglo-americani e dai francesi diventa nel 1949 Germania occidentale. La
Germania occidentale in quegli anni riceve circa 10 milioni di profughi tedeschi dalla Germania est.
Con la guerra fredda l’occupazione militare delle due zone fa cadere la possibilità di unificazione
della Germania e quindi c’è una situazione che si congela con la nascita di due stati la Germania
occidentale, nell’orbita occidentale la quale farà anche parte del processo di integrazione
economica europea e socio fondatore della CECA e della CEE, e la Germania dell’est controllata
dall’Unione Sovietica. Berlino era divisa in due in quanto quando la guerra era vinta non è ancora
scoppiato il contrasto tra USA e Unione Sovietico. Berlino era controllata militarmente solo dalle
truppe dell’Unione Sovietica e Stalin per lavorare a una Germania unita ritenne utile che una
parte della capitale dovesse essere assegnata anche agli americani, poi succede che esplode il
contrasto tra i vincitori della 2° GM, la Germania diventa l’emblema di questo contrasto e Berlino
viene controllata da USA e Unione Sovietica e Stalin cerca di mandare via gli americani da Berlino
ovest in modo che tutta Berlino torni sotto il controllo della Germania est. Il muro di Berlino verrà
costruito nel 1961, per cui Berlino è una città in cui per tutti gli anni 50 nonostante ci fosse la
guerra fredda, e la Germania dell’est e la Germania dell’ovest, i cittadini potevano andare dalla
Germania dell’est a quella dell’ovest e viceversa.
19/10/2020 (in presenza)

Le slides caricate su aulaweb di CSC (Centro Studi Confidustria: PIL etc..) e Banca d’Italia (economia
internazionale e italiana nel 2019 e l’inizio del 2020)

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Economia Italia 2020 e previsioni 2021 (nota sui materiali)
Nei primi giorni di ottobre 2020 il Centro Studi Confindustria (CSC) presente il suo rapporto in cui traccia un
bilancio-previsione (manca ancora il quarto trimestre dell’anno) sull’andamento dell’economia italiana nel
2020 e formula ipotesi su quella che potrebbe essere la dinamica economica del paese nel 2021.
Confindustria evidenzia inoltre alcune delle criticità da affrontare.
Alla presentazione del rapporto interviene anche il ministro dell’Economia Gualtieri. Da poco il governo ha
redatto la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF) e l’evento-presentazione
del rapporto CSC è occasione di confronto tra le stime sul PIL dell’Italia contenute nel documento
confindustriale e in quello governativo (non clamorosamente divergenti peraltro; le differenze si basano su
diversa previsione dell’andamento dell’economia nell’ultimo trimestre).
La Confindustria è la principale organizzazione rappresentativa delle imprese manifatturiere e
di servizi italiani, raggruppando su base volontaria oltre 150 000 imprese, comprendendo
anche banche[1] e dal 1993 anche aziende pubbliche
Il Csc parla di una crisi, quella del Covid, che in termini di ricchezza nazionale riporta
il Paese indietro di 23 anni. "Una vera e propria "tempesta perfetta", causata in marzo-
aprile da un doppio shock di domanda e offerta, che ha prodotto effetti dirompenti

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sull'economia italiana. Con la fine del lockdown, la domanda, che in vari settori si era
azzerata, è risalita, rilanciando l'attività nell'industria. Questo ha determinato un rimbalzo
del PIL nel terzo trimestre 2020, nonostante il recupero lento nei servizi, gravati dal crollo
dei flussi turistici". Il problema è che la tempesta è arrivata su una nave che faticava a
muoversi. "Nei 30 anni tra 1991 e 2021 il PIL italiano ha accumulato una distanza di 29
punti percentuali dalla Germania, 37 dalla Francia, 54 dalla Spagna, soprattutto a
causa della flebile - talvolta nulla o negativa - dinamica della produttività del lavoro negli
ultimi decenni. Tra il 1996 e il 2019 l’Italia ha registrato, in media, un aumento dello 0,3%
annuo della produttività del lavoro, mentre in Germania è salita dello 0,7% annuo e in
Francia e Spagna dello 0,8%”.
Il colpo sull'occupazione
Nella stima del Csc, il prossimo anno il Pil recupererà il 4,8%. Poco: "Il rimbalzo del PIL italiano nel
2021 compenserà solo parzialmente il crollo di quest’anno: nel quarto trimestre del prossimo
anno il livello del reddito sarà ancora inferiore di oltre il 3% rispetto a fine 2019. E molto lontano
dai massimi di inizio 2008, di circa otto punti percentuali".
Tutto questo ha già avuto e avrà ancora "un pesante riflesso sull’input di lavoro impiegato, che in
termini di monte ore lavorate è diminuito del 15,1% annuo nella media dei primi due trimestri del
2020: la maggior parte dell’aggiustamento è avvenuto tramite un calo di ore lavorate pro-capite (-
13,5%), mentre il numero di persone occupate è sceso solo dell’1,5%. Questo è dovuto al ricorso
imponente a strumenti di integrazione del reddito da lavoro, in primis la Cassa Integrazione
Guadagni, che il Governo ha messo a disposizione in deroga. In media d’anno, tuttavia, nel 2020 le
unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (ULA) registreranno un -10,2%, pari a un calo di 2 milioni
e 452mila unità. Il numero di persone occupate ha ricominciato a puntare verso l’alto
contemporaneamente alla ripresa dell’attività (+170mila unità a luglio-agosto), ma nel resto
dell’anno si prevede che questa tendenza non proseguirà, considerando un livello del PIL ancora
depresso rispetto al pre-COVID-19. L’occupazione registrerà, quindi, un -1,8% in media nel 2020,
pari a circa 410mila persone occupate in meno rispetto al 2019". Anche l'anno prossimo, inoltre,
"il numero di persone occupate si aggiusterà verso il basso: -230mila unità".
Gli strumenti Ue: bivio cruciale
Secondo gli economisti, le contromisure comunitarie all'impatto economico dell'emergenza Covid
- Sure, Mes e Next Generation Ue - offrono "una opportunità unica per programmare un futuro in
cui la dinamica del Pil sia più elevata". Il Centro studi di Confindustria, aggiornando le sue
previsioni economiche, sottolinea così che "per l'Italia l'utilizzo degli strumenti europei costituisce
un bivio cruciale: se si riusciranno a utilizzare in modo appropriato le risorse e a potenziarne
l'effetto, portando avanti riforme troppo a lungo rimaste ferme, allora si sarà imboccata la strada
giusta pe risalire la china. Altrimenti - avvertono gli economisti di via dell'Astronomia - l'Italia
rimarrà un Paese in declino, che non sarà in grado di ripagare il suo enorme debito pubblico".

Da un box di approfondimento del rapporto emerge anche il punto sull'effettivo impiego delle
risorse messe a disposizione dal governo, dal Cura Italia in avanti, in risposta alla crisi: ad oggi sono
stati effettivamente utilizzati circa 76,8 miliardi dei 100 miliardi messi in campo dal governo per
riequilibrare l'impatto devastante sull'economia del Coronavirus. All'appello mancano dunque
ancora 23 miliardi rispetto a quanto indicato nei documenti di accompagnamento dei decreti.

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Il Csc per fine anno stima però un ulteriore 'assottigliamento' del gap dell'ordine di 5-7 miliardi.
Una differenza, si legge, "riconducibile alla prudenza con cui ha correttamente operato il Governo
nelle quantificazioni", dicono gli economisti di viale dell'Astronomia che però non escludono anche
il fattore burocratico. "Non è da escludere anche la farraginosità dei provvedimenti adottati e le
difficoltà di implementazione che possono incidere sull'effettiva erogazione delle risorse", dice il
Csc. Complessivamente comunque, calcola Confindustria, gli interventi decisi dal Governo
prevedono l'adozione di 208 decreti attuativi ma di questi ad oggi ne sono stati adottati soltanto
64.

"Il nostro intervento è stato molto forte, per evitare la distruzione della capacità produttiva", ha
rivendicato Gualtieri. "Abbiamo realizzato interventi sulle causali che erano necessari e che spero
di poter prolungare nel nuovo quadro", ha poi aggiunto parlando delle misure per proteggere il
lavoro durante l'emergenza Coronavirus. "Abbiamo fatto bene, nei limiti del possibile, e abbiamo
tutelato l'occupazione nei momenti più difficili della crisi".

20/10/2020
La Germania è occupata per un pezzo dall’Unione Sovietica e per un pezzo da USA, Inghilterra e in
piccola parte anche Francia. Da questa occupazione nascono due stati diversi, Germania est e
Germania ovest. Nella divisione tedesca era un problema anche la divisione di Berlino perché in
parte era stata data dall’Unione Sovietica ai paesi occidentali, ovvero Berlino ovest. La Germania
occidentale alla fine della guerra era investita da un’ondata di profughi tedeschi che hanno reso
complicato il processo di ricostruzione del sistema economico.
La Germania ovest riesce a tornare al livello del PIL pro capite prebellico del 1938 solo nel 1955. La
Germania est raggiunge il livello prebellico nel 1956/1957. Per la ricostruzione della Germania
ovest contano tre elementi, ovvero la voglia di ripartire del popolo tedesco, le sue competenza,
quindi il capitale umano il quale è un fattore di sviluppo forte che non è stato intaccato dagli
sconvolgimenti bellici, e l’aiuto da parte degli americani col piano Marshall; questo piano prevede

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di fornire aiuti a tutti i paesi alleati degli USA nel 1947/1948 anche se sono stati nemici durante la
seconda guerra mondiale, quindi Germania ovest, Giappone e Italia. Questi aiuti non sono solo
capitali e prestiti ma sono anche contributi a fondo perduto che servono per pagare investimenti
e acquistare macchinari. L’acquisto di questi macchinari non si traduce semplicemente nel
ricostituire la capacità produttiva dell’economia tedesca occidentale o anche italiana com’era
prima della guerra ma si traduce anche in una modernizzazione dell’apparato tedesco-
occidentale. Quindi c’è una ristrutturazione-modernizzazione perché coi macchinari americani c’è
un’acquisizione di competenze.
A partire dalla metà degli anni 50 abbiamo una crescita economica sostenutissima da parte della
Germania, la performance economica per 10/15 anni fino agli anni 70, migliore rispetto agli altri
paesi europei. Quindi sia per Germania che Italia per descrivere la dinamica economica della fine
degli anni 50 e dell’inizio degli anni 60 si parla di miracolo economico. La Germania occidentale è
la punta di diamante di questa crescita europea ed è un modello vincente e questa sua capacità di
proporsi come modello crea un’ulteriore tensione con la Germania dell’est. Berlino aveva le
caratteristiche, quindi quello occidentale era uno stile di vita più attraente, brillante, infatti nel
mondo occidentale c’era la possibilità per le persone con formazione qualificata di fare carriera.
Quindi succede che quando la Germania ovest si mette in movimento nel 1958/1959/1960, ci sia
un flusso crescente di cittadini della Germania est che si trasferiscono in Germania ovest, e questo
processo indebolisce la Germania dell’est. Quindi nel 1961 si costruisce il muro di Berlino con
l’obiettivo di bloccare questo deflusso di persone. Nel 1962 il presidente degli USA John F.
Kennedy (c’è su YouTube) si presentò a Berlino ovest in visita ufficiale e lui rappresentava la
nazione che tutelava la Germania occidentale e quindi era il grande alleato che aveva aiutato la
ricostruzione, per cui questa visita di Kennedy a Berlino è una visita trionfale e gli fanno tenere un
discorso davanti a una folla sterminata davanti al muro di Berlino e lui davanti a questa folla
pronuncia un discorso politico esemplare e di un impatto notevole.
La Germania occidentale come la repubblica democratica tedesca nascono come stati nel 1949,
però per la Germania occidentale nel 1948 quando non esisteva ancora lo stato della Germania
ovest, ma c’erano le zone di occupazione americana, inglese e francese che avevano
un’amministrazione coordinata nelle zone della Germania occidentale viene introdotta la riforma
monetaria, quindi le autorità introducono il nuovo marco tedesco sostituito con quello vecchio
che deve dare stabilità al sistema e questo è un fatto importante perché da questo momento lo
stato tedesco segue i principi della stabilità dei prezzi, per cui della forza della moneta. Quindi
questa riforma monetaria è un anticipo della nascita (1948) della repubblica federale tedesca. Gli
americani nei primi anni di occupazione della Germania ovest introducono delle regole
antimonopolistiche o anti-oligopolistiche in favore di quella disciplina che deve garantire una
maggior concorrenza fra imprese. Queste regole vengono introdotte in Germania dagli americani e
quindi approdano nel continente europeo in particolare in Germania e sono regole a favore della
libera competizione della concorrenza (smantellamento dei trust industriali). Un altro elemento
importante è la cogestione (prevede la costituzione di un Consiglio di vigilanza), un percorso che
riguarda un aspetto delle relazioni tra datori di lavoro e lavoratori delle imprese, che però va
inserito in un quadro più generale. Il quadro più generale che caratterizza l’economia tedesca è la
concertazione (intesa tra questi soggetti) ovvero le grandi linee di politica economica in Germania
vengono discusse e concordate da tre soggetti: lo stato, gli imprenditori e l’organizzazione
sindacale (in Germania, infatti c’è un grande sindacato unico). In questo rapporto triangolare,
chiamato anche Neo-corporativismo (assignment problem si rovescia rispetto al modello

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tradizionale: il sindacato è responsabile per l’inflazione e il governo per l’occupazione), ciascuno dà
qualcosa, ad esempio lo stato si impegna a costruire il welfare (sistemi pensionistici, i sistemi di
istruzione che vengono finanziate dallo stato), imprenditori e sindacato seguono un percorso poco
conflittuale, in quanto viene rigettata da questa cultura l’idea di una lotta di classe e si deve
collaborare, per cui il sindacato riconosce che ci saranno degli aumenti salariali ma questo doveva
accompagnarsi a maggiori rendimenti del lavoro nelle fabbriche, quindi gli aumenti di produttività
erano un obiettivo condiviso che consentiva alle imprese di aumentare le retribuzioni dei
lavoratori (meccanismo virtuoso). Altro elemento di questo modello è che lo stato garantiva la
piena occupazione, quindi negli anni del miracolo economico nello stato tedesco non c’erano
disoccupati, anzi richiama forza lavoro da altri paesi. Dentro questo modello politico abbiamo in
alcuni settori la cogestione, quindi è un aspetto specifico che riguarda il settore del carbone e
dell’acciaio e riguarda le grandi imprese. La struttura degli organi societari delle grandi imprese è
una struttura duale (sistema dualistico). Nelle società italiane c’è un organo di vertice che è il
CdA. In Germania invece c’è il CdA e il consiglio di sorveglianza (controllo e nomina il CdA e
approva il bilancio) che si affianca al CdA. Inoltre, abbiamo il consiglio di sorveglianza che è
composto per metà del capitale del management e per metà dei lavoratori dell’impresa, questo è
importante perché riconosce un ruolo fondamentale dei lavoratori nella gestione dell’impresa. La
cogestione (Mitbestimmung) viene introdotta nel 1951 in tutti i grandi complessi dell’acciaio
siderurgici e nel 1976 viene esteso a tutte le imprese che avevano più di 2000 addetti. Lo sciopero
per es per farlo ci deve essere il referendum tra i lavoratori e soltanto se si raggiunge la
maggioranza si può esercitare lo sciopero. Questo modello della Germania è il modello della
Germania ovest il quale regge per molto tempo e viene definito il modello dell’economia sociale di
mercato (Soziale Markwirtschaft), influenzato dalle idee della scuola di Friburgo, che ha questa
visione di una società coesa (appartenenza a gruppi con il compito di collaborare collettivamente a
differenza di USA che pensano più a livello individuale). Si trattava di un modello che può essere
riassunto nella formula “quanto più libertà possibile, tanta regolazione quanto sia necessario”,
cioè che lo stato deve intervenire nell’economia salvo per garantire la libera concorrenza e per
correggere gli abusi. Quindi questo modello ha delle ottime performance economiche, fino al
1955 c’è questa ricostruzione che riporta la Germania ai livelli di PIL pro capite prebellico, dal 1955
in poi ci sono stati tassi di crescita fortissimi, poi c’è stato assorbimento della forza lavoro quindi
questo attrae lavoratori da altri paesi. Per cui sono moltissimi i lavoratori italiani che vanno a
lavorare in Germania, quindi questi lavoratori sono inseriti in un sistema che è sempre più
moderno ed efficiente. Il costo del lavoro tedesco aumenta ma aumenta molto anche la
produttività del lavoro. Questo fa sì che i prodotti tedeschi siano competitivi, quindi la
competitività tedesca non si basa sul basso costo del lavoro ma si basa sull’efficienza. Otre la
Volkswagen, ci sono l’Audi, la Mercedes e tante altri settori meccanici che hanno una crescita
notevole.
Tra il 1955 e il 1965 l’export tedesco cresce più velocemente del PIL e quindi questa economia
inizia a realizzare investimenti diretti esteri. È molto forte nell’export, ma anche una moneta forte
e questo è causata dalla qualità del prodotto. Abbiamo una sottovalutazione del marco.
La svalutazione della moneta tende a favorire l’export, invece una moneta forte la sfavorisce!!!
Negli anni 70 la Germania è investita dallo shock petrolifero quindi la crescita rallenta (ma non
perde le caratteristiche della svalutazione della moneta e l’aumento dei prezzi) e compare un
fenomeno che nell’economia tedesca dal 1945 in poi non esisteva ovvero la disoccupazione per
cui le imprese si devono ristrutturare e devono reggere questo quadro nuovo e i governi tedeschi

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mantengono fermo un punto che è il contenimento dell’inflazione.

In quegli anni, la Germania vive un fortissimo boom economico, sono gli anni del cosiddetto
"Wirtschaftswunder" (miracolo economico). Dopo le devastazioni della 2°GM, la Germania
Federale riesce in breve tempo a diventare nuovamente una nazione rispettata per la sua forza
economica. Ma ha un grande problema: mancano i lavoratori. Negli anni 60 i tedeschi lavorano
tutti, la percentuale di disoccupati
è intorno all'1% e c'è un disperato
bisogno di lavoratori stranieri.
Vengono chiamati i cosiddetti
"Gastarbeiter" (lavoratori ospiti) e
tra i primi, ancora negli anni 50, ci
sono gli italiani. Vengono a
lavorare soprattutto nell'edilizia,
nell'industria automobilistica e
nelle miniere di carbone. Ma quelli
che arrivano dai paesi dell'appena
fondata CEE (Comunità Europea
Economica, all'inizio di soli 6 stati)
non bastano. E così, la Germania
fa degli accordi, tra il 1960 e il
1968, con numerosi altri stati
(Spagna, Portogallo, Turchia,
Jugoslavia, Grecia e altri ancora)
per attirare lavoratori stranieri.
Solo con la crisi del petrolio nel
1973 che colpisce duramente tutte
le economie occidentali cessa il
sistematico reclutamento di
lavoratori stranieri.

L’aumento del prezzo del petrolio


è un fattore esogeno che spinge
all’aumento dei prezzi. Con gli anni
70 la Germania non perde queste
caratteristiche ma la crescita
continua a rallentare come quella
di tutti i paesi occidentali. Alla fine degli anni 80 vi fu il crollo del muro di Berlino, quindi la fine
del blocco sovietico e la fine della divisione della Germania. La riunificazione si conclude il 3
Ottobre del 1990. La parte dell’est è più debole, quindi ci sono delle differenze regionali
significative tra parte occidentale e parte orientale. Fino al 1998 circa il 4% del PIL della Germania
ovest si è trasferito nella Germania dell’est con investimenti e infrastrutture sociali (trasferimento
di risorse). Questo 4% del PIL della Germania ovest corrisponde a 1/3 del PIL delle zone dell’est
della Germania e questo comportò un aumento del deficit pubblico per l’ormai ex Ge dell’Ovest.
Negli anni 90 il rapporto di cambio tra marco orientale e marco occidentale divenne equivalente

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in quanto il governo della Germania ovest decise di offrire ai cittadini della Germania dell’est lo
stesso numero di marchi occidentali in cambio dello stesso numero di marchi orientali (si fa un
regalo perché la moneta del marco occidentale aveva un valore maggiore rispetto a quello
orientale), quindi ci fu l’unificazione della moneta. Il divario però a due Germanie ad oggi è ancora
notevole.
26/10/2020:

Il modello tedesco è servito anche per arrivare a descrivere un modello di capitalismo, nel 1991 fu
pubblicato un libro di uno studioso francese, Michèl Albert, che si intitolava “capitalismo contro
capitalismo” in cui
l’autore metteva a
confronto due modelli
di capitalismo, quello
anglosassone
(statunitense e
britannico) e quello
renano (franco-
tedesco).
Individuando in
questa Europa renana
(quindi Germania e
Francia) un’area in cui
il sistema
socioeconomico aveva
delle caratteristiche diverse rispetto a quelle del capitalismo anglo-americano. Sia gli USA che
l’Inghilterra nel 1991 sono guidati da Reagan e dalla Tatcher i quali sono due alfieri politici del
neoliberismo.
Le caratteristiche del capitalismo anglosassone sono una concertazione tra le parti sociali con lo
stato e tra di loro quindi abbiamo concertazione, e cogestione a livello di impresa. Per quanto
riguarda il finanziamento dell’impresa è molto più importante il sistema della borsa piuttosto che
quello bancario.

FRANCIA E INGHILTERRA

In Francia e in Inghilterra abbiamo degli elementi comuni, infatti entrambi attraversano la Golden
age, ovvero gli anni 50 e 60 di grande crescita dell’economia occidentale, subiscono l’impatto del
rallentamento della crescita negli anni 70, sono entrambi proiettati nella globalizzazione negli
ultimi 30 anni ed entrambi questi paesi dopo la seconda guerra mondiale perdono i loro imperi
coloniali, la Francia perde il suo impero coloniale perdendo la guerra del Vietnam, negli anni 50
perde anche l’Algeria (comunità francese forte che faceva pressione sul governo per ottenere
l’Algeria).
L’Inghilterra rinuncia senza combattere ai suoi imperi coloniali, ad esempio nel 1947 avviene
l’indipendenza delle colonie indiane perché l’Inghilterra si ritira, inoltre, molla anche le sue colonie

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africane (Sudan, Nigeria). Dal punto di vista economico, la più penalizzata è la UK. Il
commonwealth britannico nel 1955 intercettava il 50% del commercio estero inglese, alla fine
degli anni 70 intercetta 1/7 del commercio britannico quindi un mercato verso cui i prodotti inglesi
potevano indirizzarsi è molto meno importante. La Francia è un socio-fondatore della Comunità
Economica Europea, quindi la Francia ha partecipato fin dall’inizio a questo processo in cui
l’Inghilterra si è inserita nel 1973, quest’ultima ha un rapporto sempre più conflittuale con la
costituzione
dell’Unione
Europea (con la
Brexit).
La Francia nel 1950
riesce a superare il
livello del PIL del
1939, e il tasso medio annuo di crescita del PIL francese tra il 1950 e il 1973 è sul +5%. Questo è un
risultato che è migliore di quello dell’Inghilterra e di quello degli USA. La crescita dell’economia
francese coincide con politiche economiche in un sistema di economie di mercato che vedono una
forte presenza dello stato. In Francia l’intervento della mano visibile (libro Volpi) è significativo,
all’indomani della 2°GM il governo francese comincia a nazionalizzare, quindi a rendere pubbliche,
alcune importanti imprese del paese, come ad esempio Air France e la Renault (confiscata dallo
stato perché la proprietà di Renault aveva finanziato con la Germania durante la 2°GM). Questo
elemento di dare indirizzi all’indomani della 2°GM è un elemento che è fortemente presente in
molte politiche economiche per cui implica il ruolo che lo stato deve avere nell’indirizzare
l’attività economica. Lo stato non obbliga le imprese perché siamo in un sistema di economia di
mercato quindi le imprese sono libere nella scelta di quanto e come investire, ma lo stato può
prevedere dei canali di finanziamento agevolati per un certo tipo di attività, degli incentivi che
vengono dati ai sistemi di imprese che seguono determinate situazioni, alla persuasion etc…. Lo
stato per orientare l’azione delle imprese può fare leva sulla spesa pubblica, ad esempio dopo la
2°GM negli anni 50 la Francia punta sul nucleare che ha una doppia valenza: economica e politico-
militare. Quest’ultima perché la Francia nonostante abbia perso il suo impero coloniale ha ancora
l’ambizione di essere una grande potenza. Dopo la 2°GM per quanto l’opinione pubblica sia
spaventata dagli effetti militari del nucleare, il governo francese segue comunque la sua
ambizione. Il governo francese fa costruire centrali nucleari per la produzione di energia elettrica.
I manager di più alto livello del mondo delle imprese private venivano da percorsi di formazione
che erano gli stessi. Le persone che andavano ad occupare i posti di vertice nell’amministrazione
pubblica e i posti di vertice nelle imprese private venivano dal sistema delle grandi scuole (grand
école= università molto selettive). Il sistema francese alla fine degli anni 80 vive per un certo
periodo qualche perdita di questi caratteri e gli uni agli altri. Però conserva ancora tratti del
modello descritto (es la Fincantieri aveva acquistato azioni di controllo a una società francese e c’è
stato un intervento dello stato nei confronti della società francese perché voleva controllare cosa
succedesse).
Nel 1958 in Francia c’era un sistema politico con tanti partiti ed era una repubblica parlamentare
con una certa instabilità dei governi. Nel 1958 la Francia vive una crisi politica legata in particolare
alla guerra di Algeria, infatti la Francia si ritrova a dover gestire la rivolta in Algeria e non è capace
e l’esercito pretende nel 1958 il ritorno al potere di quello che è stato il capo della resistenza
francese ovvero il generale De Gaulle che era stato ritirato dopo la 2°GM. Quest’ultimo riscrive la

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costituzione della repubblica presidenziale (prima era repubblica parlamentare) dove il
presidente viene eletto direttamente dagli elettori (il sistema proporzionale viene sostituito con il
collegio uninominale a doppio turno) e il presidente ha un ruolo esecutivo, ha un ruolo importante
per la politica estera e di difesa. De Gaulle successivamente viene eletto presidente della
repubblica francese. De Gaulle era a favore della forza militare-nucleare francese e del ruolo della
Francia nell’Europa.

L’Inghilterra durante la 2°GM è una società che è più avanti rispetto a quello degli altri paesi
dell’Europa continentale. Nel 1950 guardando la struttura dell’occupazione britannica, solo il 4%
della forza lavoro era attiva nel settore agricolo (si era ridimensionata rispetto al settore 2° e 3°.
Tra il 1945 e il 1951 viene governata dai laburisti, infatti il partito laburista inglese vince le elezioni
dopo la 2°GM, quindi viene sconfitto Churchill alle elezioni dai laburisti i quali portano avanti un
modello di costruzione del welfare quindi il modello inglese dopo la 2°GM non è il modello della
Tatcher (Inghilterra neoliberista), in quanto punta al welfare e quindi nazionalizza le imprese nel
settore siderurgiche, ferroviario etc. Crea anche il servizio sanitario statale che poi vedremo che
in Italia verrà dopo. L’Inghilterra quindi cresce, ma cresce più lentamente rispetto agli altri paesi
europei e conosce un declino, in quanto c’è una crescita lenta del PIL e quindi della produttività.
Quel modello in cui era forte il ruolo dello stato, anche a causa del declino economico negli anni
70 viene messo sotto accusa da una parte dell’opinione pubblica inglese che ha nella Tatcher il suo
leader politico, per cui i conservatori inglesi con la Tatcher alla guida alla fine degli anni 70
vincono le elezioni e inizia l’economia neoliberista della Tatcher in cui abbiamo la privatizzazzione
delle imprese che sono state pubbliche, la deregolamentazione dei mercati del lavoro
(deregulation= il governo cessa i controlli sul mercato ed eliminano le restrizioni
nell'economia, al fine di incoraggiare le operazioni del mercato stesso, che in questa
misura sarebbe considerato come un organismo autoregolatore.)in cui non riconosce nessun
ruolo di rilievo ai sindacati. Inoltre, aumenta la disoccupazione con un sistema che tutela meno, in
cui c’è un aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito.
Una delle caratteristiche dell’UK è la fidelizzazione della sterlina, infatti anche con l’entrata in UE
continuerà ad avere la sterlina. Negli anni 60-70 entra in crisi anche del carbone che è sempre
stata specializzata in quel settore e molte miniere verranno chiuse perché erano diventati molto
costosi e questo avrà un forte impatto sociale che porterà a ridurre il welfare (taglia della spesa
pubblica). La politica della Tatcher è molto rigida anche per quanto riguarda il bilancio pubblico,
segue una politica molto ortodossa, non deve essere in disavanzo.
L’Inghilterra ha la fortuna di scoprire tra fine anni 70 a inizio anni 80 il petrolio dei mari del nord,
questo avviene quando si era conclusa la parabola del carbone inglese in quanto esso non è più
redditizio dal punto di vista economico. Quindi negli ultimi anni la UK non ha avuto degli
andamenti clamorosamente diversi rispetto agli altri paesi citati nei paragrafi prec, e adesso la
vedremo con la Brexit + Covid.

Irlanda, Spagna e Portogallo:


Spagna e Portogallo sono più arretrati rispetto al resto dell’Europa occidentale, non partecipano al
processo di integrazione europea perché hanno delle dittature fascistoidi fino alla metà degli anni
70, tornano ad essere paesi democratici nella seconda metà degli anni 70 e negli anni 80 entrano
nel processo di integrazione europea. L’ingresso in Europa (1986) coincide con una forte

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modernizzazione dell’economia spagnola e portoghese, per cui alla fine degli anni 90 Spagna e
Portogallo crescono, tuttavia l’impatto del covid è abbastanza forte sulla Spagna.
L’impatto del covid è particolarmente forte anche sull’Irlanda ma quest’ultimo è il paese che ha
avuto la performance economica più positiva, quindi forte ruolo degli investimenti diretti esteri.
Nel 1950 solo il 4% degli addetti dei lavoratori inglesi erano occupati nel settore agricolo, in Irlanda
nel 1950 erano occupati in agricoltura il 45% degli addetti. Il boom irlandese è dal 1988-2000.

27/10/2020:

Italia
Nella composizione della forza lavoro per settori in Italia vi è una prevalenza dell’occupazione in
agricoltura fino alla 2°GM, all’indomani della 2°GM nel 1951 la composizione della forza lavoro in
agricoltura era il 44,3% (UK 4%,
Irlanda 45%), questo vuol dire che
l’Italia era un paese rurale. Quindi
c’è stato un calo enorme del peso
dell’agricoltura come settore che
assorbe la forza lavoro. Per quanto
riguarda industria e pubblica
amministrazione: l’industria ha un
andamento crescente fino alla 2°GM
e poi ha una grossa espansione negli
anni 50/60/70; il 1981 come anno di
censimento è quello che fa
registrare il massimo peso
percentuale degli addetti al settore
industriale sull’economia italiana,
quindi al calo dell’agricoltura
corrispondevano una crescita del
settore industriale e del terziario,
ma dal 1981 l’agricoltura continua la
sua discesa come numero di addetti ma comincia anche il calo del numero di addetti del settore
industriale mentre cresce il peso degli occupati del settore terziario. Quindi c’è un progressivo
declino dell’agricoltura, un grande sviluppo dell’industria dal secondo dopoguerra fino agli anni 70,
dagli anni 80 c’è un avvio del processo di deindustrializzazione o terziarizzazione dell’economia. Lo
spostamento dall’agricoltura al terziario è da collegare ai flussi migratori, i flussi migratori in Italia
furono dalle campagne alle città e anche da regioni meridionali a regioni settentrionali, quindi c’è
un aumento marcato del benessere. Per cui ricapitolando abbiamo cambiamenti strutturali
dell’economia, per cambiamenti strutturali dell’economia si intende il peso dei diversi settori,
spostamento delle persone sul territorio, quindi i flussi migratori, e aumento dei redditi, che si
traduce in aumento dei consumi e cambiamento degli stili di vita. Con riguardo ai tassi di crescita
del PIL reale notiamo che il PIL reale del paese cresce con il ritmo più alto tra il 1950 e il 1973
ovvero con un tasso medio annuo del 6%, nel periodo tra il 1973 e il 2000 il tasso di crescita è del
2% e negli ultimi 20 anni molto peggio.

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Nel periodo tra fine 800 e 1°GM si consolida in alcune parti d’Italia una struttura industriale
soprattutto nelle città del triangolo industriale, ovvero Torino, Milano e Genova. Il periodo atipico
e irripetibile era quello degli anni 50/60, poi i ritmi di crescita tornano ad essere più in linea con
quelli che si erano registrati prima. La produttività reale (PIL/forza lavoro e investimenti lordi) del
sistema cresce come tassi medi annui di crescita in maniera significativa nel periodo 1950-1973, e
nel periodo della Golden age crescono molto anche gli investimenti (beni reali come macchinari,
oppure le costruzioni come edilizia). Il settore edilizio in quegli anni era importantissimo. Gli
spostamenti dalle campagne alle città fanno crescere il tessuto edificato. Lo spostamento di forza
lavoro dal settore secondario a quello terziario significa il passaggio di forza lavoro da un settore
che ha una minore produttività (quello agricolo) a settori che hanno una produttività maggiore
(industria e terziario) quindi questo trasferimento di forza lavoro si traduce in una maggiore
produttività del sistema economico nazionale. La terziarizzazione dell’economia significa una serie
di lavori in cui non possiamo avere lo stesso incremento della produttività che si ha avuto quando
il settore industriale si è potenziato/allargato/modernizzato con gli investimenti (il settore terziario
in certi aspetti non consente l’incremento della produttività l’es della homebanking che ora si può
fare da solo il bonifico e non hai bisogno dell’impiegato).
Tra il 1950 e il 1973 c’è una grande crescita delle esportazioni la quale è legata all’apertura del
commercio internazionale con l’accordo GATT (General agreement on tariffs and trade) e per
l’Italia il processo di integrazione economica europea. Abbiamo in quei 20 anni la definitiva
affermazione dell’industria.
* Alla fine i paesi che erano stati sconfitti dalla 2°GM, sono quelli erano andati meglio (GE ovest,
Italia e Giappone), grazie anche agli aiuti della USA.
L’Italia vive come altri paesi europei l’affermarsi del modello fordista dopo la 2°GM; il modello
fordista vuol dire anche una produzione di massa e consumi di massa (eco di scala) che erano
sostenuti dall’aumento di produzione e di produttività. Il modello fordista italiano aveva dei luoghi
simbolici che erano le grandi fabbriche del triangolo industriale. In questa Italia che si trasforma
esistono dei problemi che non riescono ad essere risolti: un primo problema riguarda il mercato
del lavoro, in quanto c’è sempre una forza lavoro in eccesso, quindi l’offerta di lavoro è superiore
alla domanda di lavoro. Una parte della forza lavoro che non trova sistemazione in Italia si sposta
verso l’estero (anche in forte crescita economica). Negli anni 50 e 60 abbiamo nuove migrazioni
verso l’estero, non tanto verso l’America ma verso i paesi della CEE. Negli anni 60 la
disoccupazione interna si riduce moltissimo per l’effetto combinato di crescita economica che

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assorbe forza lavoro e per la forza lavoro che emigra e quindi non fa più pressione sul mercato del
lavoro interno al paese. A partire dagli anni 70 diminuisce il flusso migratorio verso l’estero e
quindi il problema della disoccupazione riemerge ed è un problema un po’ permanente nel nostro
sistema economico. Il meridione è l’area più arretrata. Data questa differenza tra nord e sud si
cerca di ridurla con delle politiche economiche. E’ importante nel 1950 l’istituzione di un’agenzia
dello stato, che si chiama Cassa per il Mezzogiorno che ha il compito di investire risorse pubbliche
nelle regioni dell’Italia meridionale per dotarle di migliori infrastrutture e agevolando investimenti
industriali. Altra cosa è che siamo nella fase del fordismo quindi lo sviluppo industriale viene
pensato (dai politici decision maker) come legato alla grande fabbrica, come modernità del
sistema economico. Le grandi fabbriche contribuiscono alla modernizzazione del territorio ma non
hanno però le ricadute positive che si pensava potessero avere. Fino agli anni 70 c’è una piccola
riduzione del divario ma poi aumenta di nuovo e ad oggi esiste ancora questo divario. Oltre la
parabola del fordismo c’è anche il rapporto tra grande impresa e piccola-media impresa (grande
fabbrica e piccole-medie unità produttive). Anche negli anni 50 e 60 era importante in Italia la
presenza di piccole-medie imprese, in quanto c’era un tessuto di piccole-medie imprese che
creava lavoro, ma quello che veniva osservato attentamente era la grande fabbrica. Negli anni 70
c’è un rallentamento dei tassi di crescita e quindi della domanda, la grande impresa fordista è
pensata avendo un’attenzione prevalente al momento della produzione che si basa sulla volontà di
raggiungere economie di scala crescenti e che parte dal presupposto che la domanda abbia una
espansione inevitabile e tale da assorbire tutto quello che viene prodotto dal sistema fordista.
Abbiamo una domanda che diventa un po' più varia e impone al sistema che produce la necessità
di essere più flessibile, quindi non si può puntare solamente alla produzione di massa perché
ormai i consumatori chiedono anche dell’altro. La seconda difficoltà del modello fordista: la
grande fabbrica era diventata di enormi dimensioni per cui non c’era più un miglioramento delle
economie di scala ma diventavano enormi i problemi di gestione di una grande fabbrica (uno degli
elementi più difficile da gestire è la forza lavoro). Le rivendicazioni sindacali rendono difficilmente
gestibili le grandi fabbriche, quindi questo modello viene messo in crisi e induce due tipi di risposta
ovvero l’esternalizzazione (certe attività vengono affidate all’estero e inducono alla riduzione
dell’attività) e la delocalizzazione (tanti paesi si sono delocalizzati nell’est Europa). Le piccole-
medie imprese non sono investite da questo tipo di crisi, erano meno dinamiche, meno oggetto di
attenzione ma c’erano e non subiscono la crisi del fordismo, i rapporti sindacali sono diversi
all’interno delle piccole-medie imprese. Le piccole-medie imprese non sono localizzate nei grandi
centri industriali dell’Italia del boom economico ma sono localizzate in aree di provincia e
soprattutto nel nord-est e nell’Italia centrale, quindi la crisi del fordismo si traduce nell’inizio di un
cambiamento di peso delle regioni trainanti dell’economia italiana, fino agli anni 70 le regioni
trainanti erano state quelle del nord-ovest, a partire dagli anni 70 il baricentro dell’economia
italiana si sposta verso nord-est (Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Umbra, Toscana) e si userà
l’acronimo NEC (Nord, Est, Centro). Sono importanti anche i distretti industriali caratterizzati dalla
presenza di un tessuto robusto di piccole-medie imprese e le quali sono attive nello stesso settore
produttivo. Altri distretti industriali sono per es i distretti della produzione della ceramica
(Sassuolo), delle calzature etc. Altri elementi importanti per le piccole-medie imprese sono la
dinamica sociale che si crea in quelle zone, infatti in queste zone le piccole-medie imprese
riescono a fare rete in queste zone, e la dimensione sociale.

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02/11/2020:
La presenza di un robusto tessuto delle piccole-medie imprese nell’economia italiana la si poteva
vedere negli anni del grande miracolo economico in cui l’attenzione generale era rivolta non tanto
alle piccole-medie imprese ma alle grandi imprese; negli anni 70 il modello fordista entra in crisi in
Italia nei paesi industriali più avanzati. Il tessuto delle piccole-medie imprese dimostra una gran
vitalità e nel fenomeno piccole-medie imprese abbiamo un tema specifico che è quello dei
distretti industriali, ovvero l’individuazione di una porzione limitata provinciale o sub-provinciale
del territorio italiano dove il tessuto industriale è caratterizzato dalla presenza rilevante di piccole
medie-imprese che si occupano in larga parte di una determinata filiera produttiva. Dentro il
distretto ci sono ulteriori elementi che presuppongono dei sistemi che possono essere supportate
dalle amministrazioni locali che promuovono delle azioni comuni per favorire lo sviluppo del
distretto e l’affermazione del distretto. Quando il distretto è calato nella realtà locale vuol dire che
in quella società locale ci sono elementi di contesto che favoriscono un certo tipo di cultura
industriale (cultura del distretto=voglia di fare, di intraprendere). Un secondo elemento è una
coesione sociale che è data dal ruolo delle famiglie, per cui nelle imprese distrettuali ci può essere
un’impresa che è quella dei fondatori di essa che viene continuata con passaggi generazionali. Un
ulteriore elemento è il senso civico (civicness), come senso di appartenenza alla comunità di cui si
fa parte, induce una serie di comportamenti positivi extraeconomici, ma che gli economisti l’hanno
ritenuto importante per lo sviluppo dei distretti. Le grandi imprese hanno più risorse da dedicare a
ricerca e sviluppo ma questo apre un problema per i paesi che hanno nelle piccole-medie imprese
dei punti di forza ovvero proprio la ricerca e sviluppo.
I punti di forza dell’Italia sono il made in Italy, il quale garantisce una capacità di esportare, il
patrimonio storico-artistico italiano, la qualità della gastronomia e la capacità di adattarsi.
I punti di debolezza sono il non essere posizionati nei settori ad alta tecnologia, i quali sono dei
settori che dal punto di vista economico possono essere considerati settori con basse barriere
all’ingresso (cioè possono entrare imprese di altri paese perché ne abbiamo poche) e questo porta
le piccole-medie imprese ad essere sempre più esposte a una concorrenza internazionale che si fa
sempre più aspra, bassa percentuale di occupati sulla popolazione, il divario regionale, problemi
dell’amministrazione pubblica, la quale è riconducibile al tema dell’efficienza complessiva e al
tema del debito del bilancio pubblico, altra grande debolezza dell’economia italiana è la forte
dipendenza energetica (fra i maggiori paesi industrializzati l’Italia è infatti uno dei paesi che più
dipende, per il proprio fabbisogno energetico, dalle importazioni come il petrolio, gas naturale e
carbone), la scarsa dotazione di infrastrutture (che colpisce tutto il paese, soprattutto il
Mezzogiorno) e l’elevata corruzione.
*L’export dell’Italia è mutata nel tempo: nel 1861 esportava solamente prodotti agricoli, all’inizio
del ‘900 il settore settile e verso la metà del ‘900 il settore meccanico

L’economia internazionale nei primi 20 anni del nostro secolo


Sono aree di grande forza economica l’America del Nord, il complesso dei paesi dell’Unione
europea, il Giappone, le quali erano aree di forza economica nel 900 ma ora non sono più sole in
quanto ci sono paesi che si sono affermati come le tigri asiatiche che modificano con la loro ascesa
il quadro economico internazionale, abbiamo inoltre paesi che sono in faticosa rincorsa come il
Brasile, la Turchia, e la Russia che però è molto indebolita in confronto all’Unione Sovietica. Al

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giorno d’oggi la povertà assoluta viene calcolata su un livello di reddito giornaliero che è la
povertà assoluta nel mondo ovvero chi vive con meno di 1,90 dollari al giorno e sono circa 700
milioni di persone nel mondo su 7.7 miliardi. In questo mondo così diverso in cui il tema
dell’egemonia economica e politica è così acuto (penetrante) è un mondo in cui ci sono
problematiche trasversali, tra cui le problematiche ambientali, le disuguaglianze, i flussi migratori.
Per quanto riguarda la Francia ad es, ci sono 6 milioni di musulmani in questo paese e ci sono stati
dei forti cambiamenti rispetto agli anni ‘50. Altro elemento importante è quello dei modelli di
capitalismo.

Crisi economiche e risposte e alle crisi


Il tema delle crisi si intreccia fortemente col tema dello sviluppo. Questo tema delle crisi ha
acceso un dibattito con le politiche economiche preferibili da adottare. Tra le crisi che analizziamo
abbiamo: la crisi del 1929, quella degli anni 70, quella del 2008 e quella del 2020.
(libro Volpi) La crisi del 1929 arriva dopo un periodo di forte espansione dell’economia
occidentale, si abbatte sugli USA e poi si propaga nel mondo più sviluppato dell’epoca, è quindi
una crisi mondiale che nasce con una forte dimensione dentro la crisi di speculazione borsistica
(wall street). Questa è una crisi che dura anni e non viene superata immediatamente, ma viene
superata progressivamente nei singoli paesi grazie a un forte intervento dello stato
nell’economia, che crea domanda, che sostiene comparti produttivi in crisi, che cerca di non far
crollare i prezzi, che eroga sussidi, che crea lavoro con bilanci pubblici in disavanzo. La crisi del 29 è
una lezione forte per chi pensa di costruire dopo la 2°GM il mondo post-bellico, il quale deve
differenziarsi dagli anni 30 per la frantumazione politica internazionale. C’è un elemento di
continuità dopo la 2°GM che è dato dal ruolo che viene maggioritariamente riconosciuto allo
stato. Il forte ruolo dello stato viene riconosciuto con un approccio che possiamo definire
istituzionalista, ovvero sottolinea l’importanza delle istituzioni pubbliche nell’economia, quindi
ritiene assolutamente centrale il rapporto tra istituzione ed economia per leggere l’economia. Gli
aspetti che le istituzioni garantiscono perché funzioni il sistema economico è il sistema delle
regole che permettono agli attori economici di agire per avere delle garanzie reciproche (il diritto,
i codici etc), il sistema monetario che è garantito dalle istituzioni, la regolazione dei rapporti di
lavoro, la forma dello stato e il ruolo delle istituzioni nel dare un’organizzazione alla società.
Cosa significa il bilancio dello stato in termini di prelievo da un lato e dall’altro in termini di spesa
pubblica?? Lo stato lo possiamo vedere anche come gestore diretto di attività economiche
oppure come orientatore dell’attività economica. Un es lo è il trasporto pubblico.
Questo ruolo dello stato dopo la 2°GM nel sistema delle economie di mercato è riconosciuto e
accettato e questo riconoscimento era diventato molto forte in seguito alla crisi del 29, con
l’affermarsi delle politiche Keynesiane. Questo ruolo dello stato era accettato con due grandi
ordini di motivazioni: 1. evitare il ripetersi di crisi economiche pesanti come quelle del 1929,
quindi garantire uno sviluppo economico senza clamorose battute d’arresto 2. Uno sviluppo che
dia più tutele sociali ai cittadini (renda la società più giusta), come ad esempio la lotta alla
disuguaglianza e la costruzione del welfare. Questa economia occidentale con questa
impostazione vive 25/30 anni di forte crescita, quindi tutto sembra funzionare bene fino agli anni
70, anni in cui il modello entra in difficoltà per una serie di ragioni come la difficoltà del modello
fordista, l’aumento dei prezzi del petrolio, la conflittualità sociale che diventa molto forte, e quindi

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c’è un rallentamento della crescita che porta a ripensare il modello fordista-keynesiano e quindi
porta a rimettere in discussione anche quel ruolo che lo stato aveva nell’economia, questo a causa
del peso fiscale e quindi il costo dello stato sociale e tutto ciò portò ad alcune critiche, quella alla
eccessiva pressione fiscale, quella al troppo potere delle organizzazioni sindacali e quella della
voglia di avere meno regole. Abbiamo quindi un ribaltamento delle filosofie economiche con
l’avvio della stagione neoliberista che ha come punta di diamante la presidenza Reagan negli USA
(1981-1989) e i governi della Tatcher in Gran Bretagna. Questa fase del neoliberismo porta una
forte crescita dell’economia a livello mondiale (i paesi emergenti) per decenni la quale ha una
battuta d’arresto nel 2008 (sempre in USA), in cui torna importante il ruolo dello stato che
interviene. Gli interventi dell’anticrisi dello stato ammontavano all’incirca 1/3 del Pil mondiale.
(La rivincita della mano invisibile (libro Volpi) esprime questo cambiamento dell’approccio).
Nel 1974 all’indomani dello shock petrolifero viene dato il premio Nobel dell’economia a due
grandi economisti, Gunnar Mirdal (svedese) il quale è un tipico economista del modello
keynesiano attento al welfare e quindi allo stato sociale, Freiderich Von Heich (filosofo economista
austriaco), il quale ritiene che lo stato debba fare il meno possibile per lasciare più spazio
all’iniziativa degli individui. Nel 1976 riceve il premio Nobel un economista americano neoliberista,
Milton Friedman. Questo approccio neoliberista trova nell’età della globalizzazione dei punti di
forza che sono dati dal crollo del modello sovietico e il fatto che la Cina si apre all’economia di
mercato, quindi questa corrente va avanti vincente fino al 2008. Nel 2008 riceve il premio Nobel
Paul Krugam, un economista statunitense neokeynesiano, quindi nell’ambito dell’intervento dello
stato.
Quindi la storia ci dice che in momenti di crisi si inizia a farsi delle domande di questi modelli e
vengono criticati.

03/11/2020:

Aspetti culturali dei paesi orientali (libro Volpi)


Il confucianesimo e il taoismo sono elementi forti della cultura orientale.
Il confucianesimo, recentemente denominato ruismo in alcune pubblicazioni specialistiche
("insegnamento dei ru"), è una delle maggiori tradizioni filosofico-religiose, morali e politiche
della Cina. Sviluppatosi nel corso di due millenni, esercitò un'influenza grandissima anche in
Giappone, Corea e Vietnam. Confucio elaborò un sistema rituale ed una dottrina morale e sociale,
che si proponevano di rimediare alla decadenza spirituale della Cina, in un'epoca di profonda
corruzione e di gravi sconvolgimenti politici.
Riguardo il confucianesimo, Confucio (intellettuale cinese vissuto A.C. a circa 2500 anni fa) come
filosofo e pensatore si prefigge di dare una serie di regole per disciplinare le relazioni sociali nei
rapporti tra il sovrano e il popolo, nei rapporti familiari tra padri e figli, tra marito e moglie, tra
fratelli, e tra le persone in relazione di amicizia. Queste sono regole morali che disciplinano queste
relazioni e sottolineano l’importanza della comunità (è impo essere membri della comunità,
rispettare le regole e venire accettati dalla comunità). Quindi è significativo il senso di appartenenza
alla comunità e lo è anche il giudizio del gruppo in cui si appartiene. Questo modo di pensare ha
due implicazioni, da un lato c’è un certo conformismo quindi la singolarità di un individuo non è
sottolineata, dall’altro c’è una forte spinta a una partecipazione sociale attiva degli individui in

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quanto elementi di una comunità (diverso dalla USA in cui l’individuo era attivo in quanto singolo
che seguiva il suo percorso individuale).

Il taoismo è una dottrina che ha origini in Cina. La filosofia enfatizza il concetto di vivere in armonia con
il Tao, cioè la via. Taoismo significa insegnamento della via, del percorso. Nei testi del Taoismo si
parla chiaramente dei comportamenti da tenere: essere umili e cercare di rendere il mondo un posto
migliore. Mentre si fa questo, bisogna comprendere che l’uomo è fallace, che ogni sua azione comporta
delle conseguenze, e che pertanto, se non si raggiunge uno stato di armonia, nel quale l’intervento
umano è limitato, le cose possono andare solo peggio. Il taoismo si basa su una morale: la religione
disapprova gli omicidi, i furi, le bugie, la promiscuità sessuale e tutte quelle pratiche pericolose che
possono pregiudicare la sicurezza e l’incolumità dei membri della comunità. Incoraggia invece un
approccio positivo e altruistico, nonché un comportamento solidale e collaborativo. La differenza tra
Taoismo e Confucianesimo risiede nel fatto che non adotta rigidi rituali e non prevede un ordine sociale
ben preciso. C’è però un richiamo al digiuno rituale e alla pratica del mangiare vegetariano. Un altro
aspetto del Taoismo riguarda l’impiego dell’astrologia e della divinazione.
Dal punto di vista dei generi sessuali, per il Taosimo non fa differenza che a seguire i principi sia un
uomo o una donna. Secondo il concetto dello yin yang, uomini e donne sono complementari,
inseparabili e uguali. La religione ritiene che le donne siano uguali agli uomini e che debbano avere
importanti ruoli nella vita spirituale della comunità. Tra le divinità del Taoismo vi sono infatti delle figure
femminili, che rappresentano la morbidezza di carattere, la modestia, la concordia.

Il taoismo si basa sui due elementi che compongono l’unità che sono elementi diversi e il rapporto
tra l’uomo e la natura. Il taoismo è molto più attivo rispetto al confucianesimo e quindi induce
meno all’attività sociale. Secondo gli autori c’è un denominatore comune tra taoismo e
confucianesimo che è quello della composizione dei punti di vista, il taoismo ricerca l’armonia
evitando la contrapposizione, il confucianesimo ricerca questa armonia in una dimensione più
sociale. Il confucianesimo dal 500 a.C. si diffonde come cultura, valori e modi di pensare
nell’estremo oriente (Cina e Giappone). Il confucianesimo va tenuto presente per leggere le
dinamiche sociali ed economiche.

Giappone
Alla metà dell’800 quando il mondo occidentale aveva già avviato un processo di
industrializzazione, il Giappone aveva contatti limitatissimi col mondo occidentale (solo le navi
olandesi), ed era estremamente arretrato dal punto di vista della tecnologia rispetto ai paesi
europei che si stavano muovendo verso una moderna industrializzazione. Nel 1854 una squadra
navale statunitense arriva davanti alla baia di Tokyo portando un messaggio del governo degli USA
che impone al governo giapponese di aprire il mercato giapponese ai prodotti occidentali. Questo
episodio è vissuto dal Giappone come una profonda umiliazione nazionale dai paesi occidentali per
la quale decide di non reagire militarmente perché non ha la stessa forza militare dei paesi
occidentali ma che non viene dimenticato. Dopo alcuni anni, il governo del Giappone viene
travolto e rimane al vertice dello stato giapponese la figura dell’imperatore, ma l’impero vuole
assolutamente evitare che questa umiliazione si ripeta e vuole recuperare il distacco economico,
tecnologico e militare che lo separa dai paesi occidentali, quindi avvia un percorso di
modernizzazione. Per farlo non può imporre dei dazi doganali perché sono stati vietati da una
serie di trattati imposti dagli occidentali, per cui deve imparare a essere competitivo cercando di
impadronirsi delle tecnologie occidentali e deve cercare di acquisire conoscenze e competenze.

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Fino alla 1°GM lo stato ha un ruolo molto importante perché fa nascere delle aziende industriali
che poi vengono cedute a imprenditori privati giapponesi, favorisce l’acquisizione di know-how e
modernizza la struttura sociale abolendo un sistema di caste (gruppi sociali chiusi). Questa
rincorsa del Giappone ha dei risultati eccellenti e porta il Giappone a voler essere pari ai paesi
occidentali dal punto di vista economico, industriale e militare. Di fatto il Giappone alla fine
dell’800 occupa la Corea e successivamente Taiwan 1937 a cui impediscono di usare la loro lingua
per imporre l’uso della lingua giapponese, inoltre sconfigge la Russia zarista nel 1904-1905 e
questo atteggiamento militarista del Giappone permane anche dopo la 2°GM. Dagli anni 30,
nonostante la crisi mondiale, del 900 grazie alla sua voglia di riscatto l’aggressività giapponese è
evidente e porta a occupare nel 1931 la Manciuria, ad attaccare la Cina nel 1937 e ad entrare in
guerra (aveva posto l’alleanza con la Germania e Italia, cosiddetto asse Roma , Berlino e Tokyo) nel
1941 attaccando gli USA alle Hawaii al porto di Pearl Harbour. Nella 2°GM il Giappone vorrebbe
proporsi come il paladino dell’Asia contro gli USA. Il Giappone combatte la 2°GM fino ad essere
pesantemente sconfitto dagli USA con le due bombe atomiche statunitense sganciate sulle città di
Hiroshima e Nagasaki (1945 che causarono 3 mila morti). Tutta questa rincorsa dal 1800 fino alla
2°GM era un percorso di tipo imperialistico che invade praticamente tutta l’Oriente, voleva
invadere anche le indie inglesi e questo dimostra la sua forza militare.
Dopo la sconfitta nella 2°GM il Giappone è militarmente occupato dalle truppe americane e viene
governato fino agli inizi degli anni 50 dal Generale McArthur, il quale riscrive la costituzione
giapponese (norme a favore di USA). L’occupazione militare degli USA favorisce dei cambiamenti
nella società giapponese, viene introdotta una riforma scolastica in cui si va da 6 a 9 anni di
scuola obbligatoria, il governo americano fa alcuni processi ai criminali di guerra giapponesi e
introduce una riforma agraria nella quale espropria grandi latifondi e queste terre vengono
suddivise in appezzamenti che vengono cedute a prezzi molto bassi ai contadini, smantella le
zaibazu, ovvero le grandi holding conglomerate che esistevano nell’economia giapponese e
introduce alcune norme antimonopolistiche. Questo formare e plasmare riforme governative
giapponesi è un evento significativo. Questo controllo politico degli USA perde presto ogni
connotazione punitiva nei confronti del Giappone e viene considerato un prezioso alleato. Da lì a
poco inizierà la guerra fredda e in questo contesto il Giappone diventa un importante tassello del
sistema delle alleanze statunitensi. Quindi gli USA danno aiuti finanziari significativi per la
ricostruzione dell’economia giapponese. È importante nella storia giapponese la guerra di Corea
(ancora oggi è divisa in due), in quanto nel 1950 la Corea del nord attacca la Corea del sud e la
guerra dura fino al 1953; la Corea del nord è aiutata militarmente e finanziariamente dall’Unione
Sovietica, la Corea del Sud è aiutata dagli USA che inviano loro delle truppe; al fianco della Corea
del nord arrivano truppe dell’esercito cinese in quanto alleate con l’Unione Sovietica. Il confine tra
Corea del nord e Corea del sud però rimane lo stesso di quello che c’era all’inizio della guerra,
quindi nessuno dei due paesi conquista territori, ma tuttavia dal punto di vista economico questo
fornisce l’occasione al Giappone di essere un valido alleato degli USA e la struttura produttiva del
Giappone produce per rifornire le truppe americane. Per cui nel 1951 viene siglato il definitivo
trattato di pace fra USA e Giappone e c’è anche un trattato di alleanza e nel 1952 c’è la definitiva
conclusione dell’occupazione militare americana. Il Giappone dopo la 2°GM cambia la strategia
geopolitica rispetto a quella che aveva adottato fino alla 2°GM, quindi non segue più una politica
di tipo militarista e si concentra sull’economia. Dal punto di vista storico i giapponesi dopo la
2°GM, cercano di non raccontare mai la loro storia passata (anche nei libri di scuola), dei crimini e
delle sconcezze che hanno fatto.

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Da questo momento in poi la
crescita giapponese nella fase
iniziale è sostenuta dagli aiuti
americani, il PIL giapponese nel
1956 supera quello degli anni
30 e i tassi di crescita dalla metà
degli anni 50 fino al 1973
registrano il 9% e si traduce in
un’esplosione del benessere
giapponese e nella capacità di fare diventare il Giappone una delle più forti economie del mondo.
I fattori che determinano la crescita economica post-bellica del Giappone sono il rapporto con gli
USA con gli aiuti da parte di questi ultimi, l’eredità culturale del Giappone (le guerre sconfitte non
cancellano la mentalità e i valori di un popolo), l’innovazione tecnologica (favorita dagli stessi
statunitensi) e il ruolo dello stato giapponese, il quale si pone l’obiettivo dello sviluppo economico
e in questo ha un ruolo molto importante il MITI (ministero of international trade and Industry), il
quale è un organismo di ottimo livello che si propone degli obiettivi economici e che vuole
indicare al sistema eco giapponese degli obiettivi da perseguire.

Altri interventi da parte dello stato lo abbiamo visto:


- UK: governo laburista che nazionalizza alcune imprese in certi settori come nel carbone e
interviene sul welfare
- Francia: intervento alle imprese tramite il commissario au plan (intervento tecnico) e
nazionalizza tante imprese anche per punizione (es Renault)
- Germania: con la congestione e la concertazione con il rapporto reciproco tra lo stato, sindacalisti
e imprenditori
- Italia: con la Cassa per il Mezzogiorno e abbiamo anche le imprese pubbliche come IRI (grande
holding che viene salvata dallo stato), ENI, ENEL etc….

Il MITI fissa degli obiettivi di sviluppo incentivando economicamente le imprese perché puntino
su determinati settori, concedendo dei contributi all’export, incitando a fare e favorendo processi
di fusione tra imprese. Il Giappone quindi si sviluppa molto industrialmente, aggredisce il mercato
mondiale in quanto è un paese fortemente esportatore (made in Japan) chiamato anche export
led. Le esportazioni giapponesi sono favorite dalla loro capacità di lavorare e di assimilare le più
avanzate tecnologie statunitensi (avendo negli anni 50-60 una retribuzione più bassa di quello di
USA ed Europa occidentale). Per cui l’economia giapponese si industrializza, cresce
significativamente ed è capace di essere competitiva sul mercato internazionale.

09/11/2020:
Il Giappone dopo la 2°GM era ripartito dopo una catastrofe pesantissima, e negli anni 60 conseguì
una grandissima crescita economica e un grandissimo benessere. Nel 1967 la classe media
corrisponde all’88% della popolazione giapponese, per cui il benessere è largamente diffuso nella
società giapponese. Questa crescita del benessere è coincisa con l’industrializzazione. Nel 1964 si

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inaugura la ferrovia ad alta velocità che collega Tokyo e Osaka e questo contribuisce alla crescita
urbana.

Struttura dell’industria giapponese


È assolutamente corretto parlare di dualismo dell’industria giapponese, individuando due realtà
distinte: la realtà delle piccole-medie imprese e la realtà delle grandi aziende. Al sistema delle
grandi imprese può essere ricondotto il 30% della forza lavoro industriale. Negli altri paesi a
quell’epoca la tensione è rivolta alla grande impresa giapponese. Le grandi imprese giapponese
hanno una storia che inizia ben prima della 2°GM, e nella quale si erano formate da tempo dei
grandi gruppi industriali, ovvero gli zaibatsu che erano delle grandi conglomerate che ruotavano
attorno a una grande famiglia imprenditoriale. Essi avevano una holding controllata dalla famiglia
che detenevano delle azioni su grandi varietà di aziende. Nel caso dei zaibatsu più grossi esisteva
una banca che garantiva alle imprese del gruppo una specifica attenzione riguardante i
finanziamenti delle attività aziendali. Con la 2°GM e quindi con l’occupazione degli USA questi si
occupano di smantellare gli zaibatsu in quanto gli americani hanno una cultura antimonopolistica e
considerano gli zaibatsu colonne portanti del Giappone militarista e aggressivo degli anni 30.
Tuttavia, nel tempo gli zaibatsu si ricostituiscono con forme leggermente diverse, chiamandosi
keiretsu e cambia anche la forma del grande gruppo in quanto non c’è più la holding della famiglia
che controlla una serie di imprese, ma ci sono molte imprese collegate tramite un meccanismo di
partecipazioni azionarie incrociate; c’è sempre una banca dentro il gruppo, e una trade company,
quindi c’è una strategia unitaria e c’è un’apertura al management (non appartengono alla
famiglia). In queste grandi imprese c’è una cultura specifica che rimanda al modello culturale
confuciano in cui ci sono dei pilastri che sono la cultura del lavoro, la comunità, l’accettazione di
un sistema di regole. Le grandi imprese giapponesi grazie ai modelli confuciani si considera una
grande famiglia allargata, chiamata kaisha, in cui ci sono dei riconoscimenti impliciti di membro di
una famiglia allargata anche per il dipendente. L’essere parte di una famiglia responsabilizza
l’impresa nei confronti dei dipendenti, di fatto ha l’obiettivo di garantire il posto di lavoro a
tempo indeterminato al dipendente. Il verbo “licenziare” si traduce in lingua giapponese come
tagliare la testa. Dentro la famiglia è importante inoltre riconoscere il ruolo degli anziani, dentro
la kaisha è importante riconoscere il valore dell’anzianità aziendale. Il fattore anzianità aziendale è
importante anche nei percorsi di carriera interni. Le grandi imprese oltre la retribuzione danno ai
lavoratori dei benefits extra monetari allo scopo di favorire il welfare aziendale. Negli anni 50
l’associazione dei manager giapponesi già teorizza dei concetti che noi occidentali abbiamo
ricondotto dentro la responsabilità sociale dell’impresa ed è un modello culturale che ha anche
degli esempi nelle culture industriali europee (da noi si è usato tantissimo il termine
paternalismo).
Negli anni 70 anche l’economia giapponese rallenta la sua crescita a causa dello shock petrolifero
del 1973, il quale ha un impatto significativo sull’economia giapponese in quanto il Giappone è una
di quelle potenze industriali prive di materie prime energetiche proprie (come l’Italia) e quindi
aumentano i prezzi, per cui c’è una combinazione tra rallentamento della crescita economica
unito a una dinamica inflazionistica, la cosiddetta stagflazione (fusione tra stagnazione e
inflazione). Abbiamo una situazione di stagflazione anche nell’economia giapponese degli anni 70
e reagisce bene ai due shock petroliferi perché le imprese si adeguano in quanto il rallentamento

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della crescita è pagato soprattutto dai lavoratori molto meno garantiti delle piccole imprese, e
perché il Giappone dimostra una capacità di innovazione nella gestione manageriale
dell’impresa. In questo frangente è importante il toyotismo il quale è un modello di gestire
l’impresa e di organizzare la produzione, diverso dal modello fordista. Il toyotismo aveva delle
radici in Giappone le quali erano individuabili negli anni 50 e uno dei primi teorici di un modello di
organizzazione non strettamente fordista in Giappone è uno statunitense, William Deming
(ingegnere studioso), il quale tiene dei seminari in Giappone e mette al centro dei suoi seminari il
ciclo di Deming chiamato PDCA (plan-pianificare, do-eseguire, check-controllare, act-
azione/intervento). Il fordismo non seguiva tanto il check e l’act, infatti aveva dei top/down nel
processo. Quindi il toyotismo parte da questo e poi si adatta a un mondo che è cambiato, in
quanto rallenta la crescita e rallenta anche la domanda, i consumatori hanno dei gusti più
complessi e quindi la produzione dev’essere flessibile, per cui negli anni 70 si concettualizza la
produzione snella (lean production) contrapposta al modello fordista. Il signor Ohno è il top
manager della Toyota che scrive dei testi sullo spirito Toyota e da questo venne fuori il termine
“toyotismo”. I risultati della Toyota negli anni 70 e 80 sono eccellenti. Nell’impresa
automobilistica uno degli indicatori che viene assunto per misurare la produttività per addetto è
quello di quante vetture ogni anno siano prodotte da un dipendente, per cui si divide il numero di
vetture prodotte dall’impresa per il numero di dipendenti. Alla fine degli anni 80 in Toyota
questo indicatore è di 56 vetture per ogni dipendente, nettamente migliore in confronto a
Chrysler (16 vetture per dipendente) e Ford (12 vetture per dipendente), non sappiamo l’unità di
tempo considerata però. Un fenomeno che potrebbe spiegare in parte questa differenza è quello
dell’esternalizzazione (il prof è convinto che il toyota sia esternalizzata più di ford e chrysler), il
quale si lega sia al fordismo che al toyotismo. Tanto più è alta e ampia la gamma di attività che
sono esternalizzate, tanto più cala il numero dei dipendenti dell’impresa e quindi il rapporto
vetture/dipendenti tende a migliorare. Il modello Toyota viene guardato sempre di più anche dalle
imprese occidentali e nord-americane. Altri ingredienti del toyotismo sono il controllo della
qualità, la riduzione degli scarti e la lotta agli sprechi. Il modello fordista considerava le scorte
come immobilizzazione di capitali, in quanto più alto è il volume delle scorte più alto è la quantità
di capitale che ho impegnato per il loro acquisto e questo per il modello fordista non è un
problema perché la produzione aumenta costantemente ed è automatico che le scorte vengano
usate pienamente. Con gli anni 70 il problema delle scorte come elemento di immobilizzazione di
capitale diventa un problema molto più stringente e quindi bisogna ridurre le scorte in
magazzino. Abbiamo una differenza anche su forza lavoro perché nel modello fordista il lavoratore
non qualificato è inserito in un sistema produttivo senza avere alcuna autonomia di movimento e
svolge una mansione composta da azioni ripetute le cui direttive sono impartite dall’alto, un
esempio è la catena di montaggio che svolge la stessa ripetuta azione. Nel modello toyotista il
lavoratore è attivamente partecipe a un processo ed è più qualificato che gli si riconosce il ruolo e
deve avere anche una formazione più varia. Nel toyotismo il lavoratore è coinvolto nel processo
produttivo (casette delle idee da parte dei lavoratori per il miglioramento del processo e che i
manager potevano tener conto), nel modello fordista invece questo coinvolgimento non c’è;
inoltre è prevista la partecipazione del lavoratore all’azione e alla strategia aziendale. Il quadro
descritto fino adesso viene usato con la denominazione Kaizen (miglioramento continuo).
Nel fordismo c’era solamente un aspetto contrattuale invece nel toyotismo era un po' diverso e
questo lo era anche per la loro cultura.
Per quanto riguarda la partecipazione del lavoratore all’azione alla strategia aziendale era

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leggermente diversa anche rispetto al modello della cogestione tedesco che si dava un ruolo
specifico ai lavoratori e ai loro rappresentanti nel definire le strategie dell’impresa e non
l’organizzazione del lavoro a livello di reparto. Di fatto riconosce ai lavoratori e ai loro
rappresentanti sindacali un ruolo formale come di un soggetto autonomo (governance dualistica).
Il Giappone negli anni 70 nonostante la stagflazione e il rallentamento della crescita è molto forte
sul mercato internazionale.

10/11/2020:
Al mondo delle grandi imprese poteva essere ricondotto il 30% della forza lavoro industriale. Oltre
ai benefits della grande impresa esiste anche un sistema di differenziazione dei salari, in quanto le
retribuzioni dei lavoratori delle piccole-medie imprese sono del 30% inferiori delle retribuzioni dei
lavoratori delle grandi imprese.
Ohno (ingengere che aveva passato tutta la vita nella toyota) comincia a dedicarsi dopo la 2°GM
ad occuparsi di quella parte del settore della Toyota che si occupava della produzione di
automobili e studia un modello di organizzazione della produzione che è altamente produttivo.
L’elemento della produttività per addetto è il risultato di diversi fattori: le esternalizzazioni (se
sommiamo il numero degli addetti diretti Toyota al numero di addetti delle forniture abbiamo un
cambio del coefficiente di vetture prodotte per addetto), l’industria automobilistica (ci sono degli
stabilimenti dove si produce la panda o la punto in cui abbiamo un numero di vetture prodotto per
addetto sensibilmente alto, all’interno del gruppo Fiat Chrysler FCA in Italia abbiamo anche gli
stabilimenti Ferrari e Maserati
dove il numero di vetture
prodotto per addetto è più
basso perché il prodotto auto
non è lo stesso, è un prodotto
molto sofisticato e richiede dei
tempi di lavorazione molto più
lunghi), il monte ore lavorativo
annuo che può essere diverso
(in Giappone il monte ore
annuo dei lavoratori dell’auto
era superiore a quello dei
lavoratori dell’auto statunitense).
Si possono ottenere dei risultati rilevanti anche se si riesce a sostituire addetti con macchine. Gli
operai si occupavano anche di verniciare le auto, ma questo era un lavoro un po’ nocivo per la loro
salute, e infatti successivamente in questo lavoro è stato automatizzato in quanto sono stati
impiegati dei robot che si occupavano di spruzzare la vernice sulla carrozzeria dell’auto. Poi ci sono
tutti i principi di controllo organizzativo e capacità gestionale per cui il toyotismo è stato campione
come modello di organizzazione produttiva.
Riprendendo l’andamento dell’economia giapponese, la quale abbiamo detto che è stata brillante
fino agli anni ’70 per poi risentire del rallentamento generale della crescita economica nei paesi
più avanzati e degli shock petroliferi del 1973 e del 1979. Nonostante ciò, la capacità di reagire del

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modello giapponese è consistente e il toyotismo è uno degli elementi forti di questa reazione che
fa sì che il Giappone pur rallentando la sua economia sia sempre molto capace negli anni ’70 e ‘80
di entrare coi suoi prodotti nei mercati esteri, in particolare nel mercato nordamericano e in
quello dell’Europa occidentale. Negli anni ’70 e ’80 il Giappone viene presentato a volte come un
competitore sleale e accusato di praticare il dumping, ovvero di andare a vendere all’estero
prodotti sotto costo di produzione. Il Giappone è comunque capace di tenere però suscita
polemica in particolare da parte degli USA, i quali negli anni ’70 cominciano a percepire il declino
della loro struttura industriale tradizionale perché in un sistema multipolare con molti più
competitor, il sistema industriale degli USA ha molta più concorrenza e quindi c’è un
ridimensionamento della struttura industriale statunitense. Nel 1985 gli USA con i loro due
concorrenti più forti sul mercato, ovvero il Giappone e la Germania, concordano-spingono
fortemente questi due paesi a rivalutare le loro monete (accordo di Plaza), per frenare la capacità
di queste due economie di penetrazione nel mercato americano (cosi diventano più cari i
prodotti). Quindi nel 1985 il Giappone vede rallentare la crescita del suo export e deve puntare di
più sul mercato interno, ovvero deve compensare il rallentamento della domanda estera che è
effetto di questa rivalutazione dello yen con una maggiore vivacità del mercato interno. Negli anni
’80 si affermano anche in Giappone le politiche neoliberiste che si traducono in privatizzazioni
delle ferrovie, della società statale delle telecomunicazioni; c’è inoltre un tentativo di controllare
la spesa pubblica e di stimolare il mercato finanziario e immobiliare. Tutto questo crea un forte
trend di crescita dei valori azionari alla borsa di Tokyo. L’indice della borsa di Tokyo è il “Nikkei“
fondato nel 1950 (in USA c’era invece l’indice Dow Jones Industrial Average). Questo indice nel
1989 si aggira sui 40.000 yen, ed è un valore di cinque volte superiore ai valori degli anni ’70. Nel
1990 questa bolla speculativa esplode e precipita il valore delle azioni. Nel 2009/2010 l’indice
oscillava tra i 10.000 e 11.000 yen, quindi aveva perso il 75% rispetto al 1989.
Negli anni ’80 abbiamo una politica economica espansiva decisa dal governo giapponese che
finanzia i lavori pubblici, l’euforia finanziaria si accompagna a fenomeni di aumento delle
disuguaglianze sociali perché in quel momento c’è un mondo legato alla finanza che guadagna di
più del mondo legato alla produzione di beni e inoltre abbiamo un individualismo che arriva nella
società giapponese dal mondo occidentale. Altro elemento di grande crescita dal punto di vista dei
valori è quello delle case che da un lato è legato al processo di urbanizzazione giapponese e
dall’altro la crescita dei valori immobiliari (era un po' come puntare sulle azioni) e anche in questo
caso scoppia una bolla speculativa nel 1990 un po’ com’era avvenuto con la crisi del 1929, con
degli effetti a catena in quanto il valore degli immobili era stato alla base di mutui ipotecari,
ovvero le banche concedevano dei prestiti che non avevano più la garanzia che avevano prima,
quindi le persone non riescono più a restituire il capitale concesso a prestito e le banche che
avevano concesso il credito non sono più garantiti dalle ipoteche sul valore degli immobili, quindi
la crisi diventa sistemica e il Giappone entra in recessione economica negli anni ’90 e quindi in
una lunga fase di stagnazione. Viene definito anche il decennio perduto perché il Giappone dopo
questo non cresce più. Di questa crisi nei risentono anche i keiretsu e quindi anche i grandi gruppi
i quali messi sotto pressione sull’attenzione della gestione delle risorse umane licenziano
personale. Il debito pubblico giapponese aveva iniziato a crescere significativamente negli anni ’80
e arrivava al 200% del PIL, e questo era un debito pubblico detenuto da soggetti giapponesi. Nel
1997 sul Giappone si abbatte la crisi asiatica (non la Cina) che interessa paesi asiatici che avevano
rapporti col Giappone. In questo contesto il governo interviene per promuovere dei processi di
raggruppamento e ristrutturazione piuttosto efficaci. Nel 2003 quando finisce questo ciclo

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economico negativo (il cosiddetto “decennio perduto”) il mercato azionario ha perso l’81% dei
suoi valori borsistici e il mercato immobiliare ha perso l’85% del valore medio dei fabbricati
commerciali. Questo suscita anche nella società giapponese un senso di diffidenza nei confronti
dell’élite, in quanto il Giappone era un paese abituato a credere molto in chi governava. Il
Giappone come tutti i paesi nel 21esimo secolo si muove in un contesto internazionale che è stato
segnato dalla crisi dei mutui subprime del 2008-2009 (crisi sistemica) e dalla crisi del 2020; inoltre
l’economia giapponese si muove in un contesto in cui sono comparsi dei nuovi competitors come,
ad esempio, la Cina che è molto forte nel mercato internazionale e soprattutto in Asia. Con
riguardo alla demografia il Giappone è un paese vecchio come l’Italia e la Germania in cui la quota
di anziani è molto alta ed è un paese molto meno dinamico rispetto agli anni ’50 e ’60 e questo
porta a dei costi sociali più elevati. Altro problema è il debito pubblico.

16/11/2020:

La Cina
Individuiamo due macro-periodi della storia della Cina: il primo va dal 1839 al 1949. Nel 1839 c’è la
prima guerra dell’oppio. Il 1949 è l’anno della nascita della Repubblica popolare cinese. Il secondo
va dal 1949 al 2049. Il 2049 è stato indicato dalla leadership cinese come l’anno in cui la Cina sarà
davvero la prima potenzia mondiale. Il 1839 è importante perché ha come protagonisti la Cina da
un lato e l’Inghilterra dall’altro. Nel 1839 la Cina era un grande impero dell’Asia che però era
molto arretrato dal punto di vista economico e tecnologico rispetto ai paesi europei che stavano
conoscendo (in UK soprattutto) una trasformazione industriale sconosciuta ai cinesi. L’Inghilterra
utilizza questa sua forza economica per affermarsi nel mondo. Nel 1839 l’Inghilterra controlla
economicamente vaste zone dell’India che viene esercitata dalla compagnia inglese delle Indie
orientali la quale sviluppa business tra cui la coltivazione del papavero per produrre droga per poi
fare in modo di venderla. Gli inglesi vogliono vendere l’oppio sul mercato cinese e quindi le navi
inglesi partono dall’India portandolo in Cina ma il governo dell’impero cinese non gradisce questa
diffusione dell’oppio sul mercato cinese e quindi cerca di impedirlo, per cui nel 1839 a Canton dei
soldati dell’esercito cinese impediscono lo sbarco di un carico d’oppio e lo sequestrano.
L’Inghilterra considera questo un atto non accettabile e comincia quindi la prima guerra dell’oppio
(Succo condensato, parzialmente solubile in acqua e in alcol, ottenuto per incisione delle capsule dei fiori
del papavero indiano (o papavero bianco ); per l'alto tenore di alcaloidi, esercita, a dosi terapeutiche, azione
antispastica, analgesica, ipnotica e sedativa sui centri respiratori; a dosi eccessive provoca disturbi di entità
variabile, che possono compromettere le funzioni cardio-circolatoria, respiratoria, nervosa, fino a provocare il
coma e la morte; fino al XIX sec., ingerito o fumato, fu anche in occidente la droga più comune; oggi viene
inoltre usato come materia prima per estrarne o ricavarne diversi stupefacenti (morfina, eroina)) fra
Inghilterra e Cina e finisce nel 1842 con il successo dell’Inghilterra la quale è militarmente molto
più forte e viene siglato un trattato, considerato ineguale dai cinesi, il quale prevede che gli inglesi
possono continuare a vendere in Cina tutto l’oppio che vogliono; inoltre gli inglesi non hanno la
forza e l’interesse di arrivare a dominare politicamente la Cina in quanto a loro basta poter
penetrare nel mercato cinese per cui si prendono Hong Kong come base per gestire le loro attività
economiche nei confronti della Cina. Dopo la guerra dell’oppio tra Inghilterra e Cina anche gli altri
paesi occidentali stipulano dei trattati ineguali con la Cina imponendo il fatto di poter penetrare

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coi loro prodotti nei mercati cinesi e di avere delle zone da loro controllate per commerciare con la
Cina. Questi trattati ineguali sono visti come una grande umiliazione dalla Cina (come uno
schiaffo). Oltre la Cina pure il Giappone subisce un’umiliazione siglando trattati coi paesi
occidentali. Il Giappone si risolleva molto più velocemente mentre la Cina si dimostra incapace di
risollevarsi/trasformarsi, per cui rimane un grande paese ma molto debole dal punto di vista
economico e politico. Nel 1911 questa debolezza della Cina porta a un cambio di governo e nasce
la Repubblica cinese (non la popolare); il cambiamento istituzionale non riesce però ad avviare una
significativa trasformazione economica del paese, un paese contadino il quale è molto povero.
Negli anni ‘20 esplode una guerra civile in Cina che vede contrapposti il partito comunista cinese e
il movimento nazionalista borghese. Oltre questa guerra civile abbiamo un paese allo sfascio in
cui ci sono delle zone comandate da generali delle loro truppe chiamati signori della guerra. A
tutto questo si aggiunge l’aggressione giapponese alla Cina che vede nel 1931-1932 l’occupazione
della Manciuria (Cina del Nord) da parte del Giappone e nel 1937 il resto della Cina. Tutto questo
termina con la sconfitta del Giappone nel 1945. Con la sconfitta del Giappone nel 1945 riesplode
la guerra civile interna tra i comunisti guidati da Mao Tze-Tung e i nazionalisti guidati da Chiang
Kai-shek che avevano momentaneamente sospeso le ostilità reciproche per fronteggiare il
comune nemico giapponese; la guerra civile si concluse nel 1949 con la vittoria dei comunisti.
Quindi nel 1949 nasce la Repubblica popolare cinese guidata da Mao Tze-Tung. Dopo la sconfitta
Chiang Kai-shek fugge nell’isola di Taiwan che faceva parte della Cina e crea uno stato che non
riconosce il governo di Pechino. Per cui abbiamo la Repubblica popolare cinese nella Cina
continentale e a Taiwan si crea un altro stato cinese. Entrambi questi stati ritengono di essere i
veri rappresentanti legittimi della Cina dal punto di vista politico. Nel 1949 siamo in piena guerra
fredda, l’Unione Sovietica appoggia la Cina e gli USA appoggiano Taiwan. Nel 1949 Mao Tze-Tung
che è andato al potere, si trova davanti a problemi enormi perché la Cina aveva sì fatto dei
progressi ma era un paese estremamente povero, per cui egli si pone come obiettivo di sviluppare
l’economia cinese e risolvere i problemi di base della società cinese (sfamare il popolo e lottare
contro l’analfabetismo). L’Unione sovietica è il modello per la Cina di Mao Tze-Tung e quindi il
modello dal punto di vista economico è quello dell’economia pianificata e il modello dal punto di
vista politico è quello del partito unico al potere, ovvero il partito comunista cinese. Quindi con
l’economia pianificata lo stato cinese controlla il sistema economico e quindi ci sono i piani
quinquennali con cui lo stato controlla le fabbriche che vengono create e nel 1957 la grande
maggioranza delle famiglie contadine cinesi aderisce a un sistema cooperativo. Questo avviene
anche grazie ad alcuni aiuti dell’URSS come l’USA fece con l’Europa occidentale e con il Giappone.

Quindi in questi anni si devono ricordare:


- l’arretratezza della Cina
- la subordinazione della Cina ai paesi occidentali vissuta come un umiliazione
- la nascita dei due stati che non si riconoscono (Cina e Taiwan)

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Considerando il macro-periodo 1949-2049 dobbiamo fare una suddivisione in due sottoperiodi, la
Cina di Mao dal 1949 al 1976 (anno della morte di Mao), dal 1976 e in particolare dal 1978 si apre
una fase nuova, la fase post-maoista. Dopo la morte di Mao c’è una lotta interna al partito
comunista cinese in cui si afferma un nuovo leader, Deng Xiao Ping, il quale succede a Mao nel
1978 e aprirà al mercato l’economia cinese. Per cui nel periodo di Mao il modello è quello
dell’Unione sovietica, nel periodo di Deng invece c’è la progressiva apertura al mercato
dell’economia cinese. Xi Yin Ping, l’attuale leader della Cina nel 2020 è un continuatore della linea
aperta da Deng Xiao Ping nel 1978. Il
regime politico cinese non cambia è
sempre concentrato sul partito
comunista sia nel periodo di Mao, che in
quello di Deng che in quello di Xi Yin Ping.
Il modello maoista è un modello che ha
alti e bassi, però ha anche dei risultati,
infatti alla fine degli anni ’50 col primo piano quinquennale 1953-1958, secondo stime occidentali,
il PIL cinese cresce del 4,6% l’anno. Alla fine degli anni 50 Mao vuole accelerare lo sviluppo
industriale per cui vengono spinti investimenti nella creazione di nuove fabbriche, i contadini sono
obbligati ad andare a lavorare nelle fabbriche e il risultato di quest’azione forzata è un crollo della
produzione agricola del 20% tra il 1958 e il 1960 che si traduce in carestia e quindi si verifica una
mortalità per denutrizione di circa 30 milioni di cinesi. In questo caso Mao voleva prendere le
distanze e rendersi autonomo dall’Unione sovietica. La Cina di Mao, infatti, non accetti di essere
agli ordini dell’Unione sovietica. Negli anni ’60 si verifica la frattura dell’alleanza fra Cina e
Unione sovietica. Dal punto di vista economico dopo il fallimento del tentativo del grande balzo in
avanti la leadership cinese torna a fare attenzione alla produzione agricola, cerca di aggiustare il
tiro per una crescita graduale e dà più peso ai quadri tecnici come ad esempio ingegneri, periti
agrari ecc. Nella Cina di Mao esistevano dei contrasti politici tra due correnti politiche
(comuniste): una corrente politica tecnocratica/pragmatica di persone meno attente all’ideologia
e più attente a privilegiare l’esperienza e le competenze e una corrente che è più ideologica ed
egualitaria (populista). Nel 1966 la corrente egualitaria-ideologica sostenuta da Mao lanciò la sua
offensiva contro i tecnici-pragmatici in cui c’è un attacco politico-ideologico. Tra il 1966 e il 1969
gli esponenti della corrente ideologica-egualitaria prendono il sopravvento sui pragmatici e
quest’ultimi vengono perseguitati e mandati in galera. Questa emarginazione viene sofferta dal
padre di Xi Yin Ping il quale apparteneva alla corrente tecnocratica e viene emarginato e spedito a
zappare la terra. La stessa emarginazione viene sofferta da Deng Xiao Ping, il quale anche lui viene
allontanato (suo figlio viene paralizzato proprio alla sua università).
Nel 1969 questa fase termina e i pragmatici prendono il potere e alla metà degli anni ’70 lanciano
l’idea delle quattro grandi modernizzazioni della Cina che sono la modernizzazione
dell’agricoltura, dell’industria, dell’apparato militare cinese e la modernizzazione scientifica e
tecnologica. La Cina dal punto di vista diplomatico comincia a guardare di più agli USA e gli USA
cominciano a guardare con più interesse alla Cina dato che è lontana dall’Unione Sovietica.
L’avvicinamento diplomatico tra Cina e USA ha avuto nel viaggio della nazionale di ping-pong
(come viene presentato nel film di Forest Grump) statunitense in Cina per fare alcuni incontri
sportivi contro i cinesi un suo momento iniziale perché per la prima volta una delegazione
statunitense andava con un viaggio ufficiale nella Repubblica popolare cinese, di fatto nel 1971 gli
USA riconoscono la Repubblica popolare cinese presidiata da Mao. Nel 1971 gli USA riconoscono

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la Cina come paese sovrano e non più Taiwan (perché così lo riteneva come contro regola il
governo cinese). Fino al 1971 nel consiglio di sicurezza dell’ONU il quinto seggio è occupato da
Taiwan, ma quando gli USA riconoscono la Cina essa entra al posto di Taiwan. Nel 1976 Mao
muore e c’è un anno di scontri violenti tra le due correnti del partito comunista cinese e gli eredi
della rivoluzione culturale vengono sconfitte da Deng e dai suoi sostenitori, quindi nel 1978 si
afferma il potere di Deng Xiao Ping (elimina gli oppositori politici come loro avevano fatto con lui).
Deng si pone l’obiettivo di proseguire il cammino della modernizzazione. (slide proiettate:
l’aspettativa di vita è cresciuta nel periodo di Mao dal’60 al ‘76 (da 45 a 65), questo vuol dire che è
migliorata la condizione alimentare e sanitaria, anche la popolazione è aumentata fino agli anni
’70 e poi vedremo che scenderà anche dalle nuove norme attuate (1 child for family)). Con Deng
c’è una rivoluzione alla maniera cinese nel senso che egli vuole accelerare la crescita economica
della Cina e si rende conto che per farlo bisogna aprire il sistema economico al mercato. Di
conseguenza fa questo e tiene molto fermo il sistema politico. Deng dal 1978 dà il via a riforme
importanti: nelle campagne esisteva il sistema delle cooperative (lavorano tutti per lo stato e poi
si divideva in parti uguali) e Deng decide di dare alle famiglie contadine la responsabilità diretta
ed economica della coltivazione di appezzamenti di terra, per cui se lo coltivano per conto loro e
poi vendono il loro appezzamento sul mercato. Quindi c’è una forte spinta all’incentivazione dei
nuclei familiari di produrre sempre di più. Questo fa sì che tra il 1978 e il 1984 la produzione
agricola lorda reale cresca quasi dell’8% l’anno e tra il 1984 e il 1994 di quasi il 6% all’anno. C’è
una crescita ulteriore e molto significativa che consente un’ulteriore crescita demografica e un
miglior nutrimento della popolazione cinese. Inoltre, Deng fa nascere nelle zone rurali delle
imprese collettive sotto la supervisione dell’autorità locale (quindi abbandona il modello
pianificato) chiamate TVE (Township village enterprise). Viene liberato anche il mercato, cioè i
prezzi vengono fatti da domanda e offerta e quindi non c’è più una predeterminazione a monte
delle quantità da produrre, ma sono i soggetti produttivi a decidere autonomamente la quantità
necessaria da produrre. Altro aspetto importante è la creazione delle zone economiche speciali
(ZES) le quali sono delle zone che il governo cinese individua dove si creano delle aree piuttosto
estese dov’è possibile per gli investitori internazionali avviare delle attività in Cina. Per cui le ZES
sono fatte per attirare in Cina investimenti diretti esteri. Una delle prime e più importanti di
queste ZES è quella di Shenzen il cui ideatore è il padre di Xi Yin Ping (il leader di adesso). Le ZES
sono zone di rapida crescita, arrivano investimenti di capitale dall’estero, si avviano delle attività
le quali richiamano forza lavoro dalle zone interne della Cina e quindi c’è la crescita di
importantissime città che sono dei formidabili centri di crescita economica e di arrivo in Cina di
tecnologie.
17/11/2020:
L’apertura al mercato dell’economia cinese si sostanzia in alcune linee di azione:
- il mondo delle campagne con la gestione di appezzamenti di terra da parte dei contadini che
permette di far crescere la produzione e di conseguenza la popolazione (con un aumento notevole
della popolazione la Cina cerca di contenere la crescita demografica tramite la politica del figlio
unico la quale dà degli incentivi alle famiglie con un solo figlio),
- la creazione delle Township and village enterprises,
- una maggiore autonomia delle imprese statali nella retribuzione dei dipendenti,
- un’apertura al sistema della fissazione dei prezzi affidata al mercato
- le ZES per attirare investimenti diretti esteri in Cina e anche conoscenze tecnologiche.

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Dal punto di vista giuridico Deng promuove l’approvazione di una nuova costituzione della Cina
(1982) in cui c’è un riconoscimento esplicito alla funzione dell’imprenditoria privata e quindi sono
accettate le imprese individuali che abbiano fino a otto dipendenti e c’è ancora nel 1982 l’idea di
apertura al mercato in presenza di un ruolo ancora molto forte delle imprese pubbliche.
Nel 1989 succede che mentre nell’Europa dell’est si sentono molti movimenti di protesta contro i
regimi dell’Europa dell’est dei fenomeni analoghi avvengono anche in Cina in quanto i giovani
vogliono aggiungere una quinta modernizzazione ovvero un’apertura alla democrazia, quindi
libera circolazione delle idee, possibilità di riunirsi liberamente e di associarsi. Queste
manifestazioni hanno come sede piazza Tien Amnem a Pechino e avvengono fino alla repressione
nell’estate del 1989 ordinata da Deng il quale fa intervenire l’esercito coi carrarmati, i quali
pongono fine alla manifestazione. La situazione dal punto di vista economico accelera e nel 1992
Deng compie un viaggio nelle zone meridionali della Cina e lancia una politica e una definizione
che riguarda la creazione di un’economia socialista di mercato, la quale è un’economia molto
aperta al mercato pur conservando il ruolo della mano visibile all’interno dello stato. Nel 1999 c’è
una nuova revisione della costituzione della Repubblica popolare cinese in cui si leva il limite degli
otto dipendenti nelle imprese private, si ritiene che le imprese private abbiano un ruolo essenziale
(es. Huawei, Ali Baba). Dopo il viaggio a sud di Deng nel 1992 abbiamo un’accelerazione
dell’apertura al mercato dell’economia cinese in quanto cominciano processi di privatizzazione
delle imprese statali e inizia quindi una progressiva riduzione dell’importanza delle imprese
statali nel sistema dell’economia cinese. Nel PIL che cresce abbiamo una fetta vasta prodotta da
imprese private, ma alcune imprese come quelle bancarie rimangono statali. La Cina
contemporaneamente a questa apertura al mercato vive in modo accelerato ed estremamente
veloce una grande trasformazione strutturale dell’economia col cambiamento di peso dei
macrosettori dell’economia, ad esempio l’agricoltura perde peso in confronto a settori che
crescono di più. Nel 1998 la forza occupata in agricoltura era il 47%, nel 2008 il 36-37%, nel
2018/2019 il 19%. Questo 30% in meno di forza lavoro significa centinaia di milioni di lavoratori
che si spostano da un macrosettore economico ad un altro che porta a una crescita formidabile
del settore industriale e dei servizi. C’è quindi una forza lavoro molto meno numerosa in
agricoltura ma con innovazioni tecnologiche, miglioramenti gestionali, meccanizzazione
dell’agricoltura, abbiamo comunque un fortissimo incremento della produzione agricola. Queste
trasformazioni strutturali dell’economia vedono lo spostamento di forza lavoro da un settore
all’altro e lo spostamento della popolazione da una parte all’altra della Cina, per cui si creano delle
macroaree differenziate in Cina. Abbiamo tre macroaree:
- le aree costiere dove il processo di industrializzazione e di trasformazione economica è stato
molto più intenso, dove ci sono anche le ZES;
- le aree interne che sono soprattutto rurali dal punto di vista economico, sono state dei serbatoi
di manodopera per il settore industriale
- aree ancora più interne come il Tibet (buddisti) e un’area della Cina che va verso l’Asia centrale
(gli Uiguri che sono di religione musulmana). Su queste zone si esercita un controllo ferreo militare
da parte di Pechino perché non sono accolte dallo stesso governo, ma hanno interesse di tenerle
all’interno dello stato perché sono zone ricche soprattutto quello degli Uiguri (danno meno
autonomia anche per la paura della diffusione islamica) -> movimento indipendentista simile alla
Catalogna con la Spagna, e la Scozia con UK (non accettano la situazione della Brexit).
Il lavoro cambia in Cina e nel mercato del lavoro dobbiamo considerare i flussi migratori interni e i
lavori che si vanno a fare perché abbiamo degli occupati in imprese grosse che sono più tutelati e

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abbiamo una massa di forza lavoro che va a lavorare in quello che viene definito il settore
informale dell’economia dove c’è più precariato, minor retribuzioni e meno tutele per i lavoratori.
L’etnia degli Han rappresenta il 92% della popolazione cinese, quindi il popolo buddista e
musulmano è ridottissimo. Il miglioramento c’è lo stesso anche sulla forza lavora che operano nel
settore informale. Queste trasformazioni dell’economia cinese hanno lanciato da decenni la Cina
nell’economia mondiale.

La repubblica popolare cinese nel mondo


La Cina si riavvicina agli USA e riallaccia rapporti diplomatici con essi nel 1971. Con l’apertura al
mercato dell’economia cinese abbiamo l’inizio di una storia di relazioni economiche forti, un primo
esempio sono le ZES con gli investimenti diretti esteri, di questi investimenti diretti esteri i primi
protagonisti sono investitori cinesi che vivevano all’estero (nel corso dei tempi la Cina era
emigrata dappertutto). Oltre gli IDE in ingresso abbiamo anche gli IDE in uscita con diverse
destinazioni geografiche ed economiche, ad esempio gli investimenti cinesi in titoli del debito
pubblico degli USA, investimenti cinesi nelle infrastrutture. La Cina recupera l’idea della via della
seta per sottolineare la sua volontà di intensificare gli scambi commerciali con l’Europa. Dentro la
strategia della via della seta c’è la volontà di investire all’estero in infrastrutture (un esempio il
porto Pereo di Atene, Suning l’Inter). I cinesi cominciano a investire nei paesi a loro vicini come
l’Asia per poi allargarsi in Africa perché è un continente ricco di risorse naturali e materie prime e
perché ci sono delle zone agricole che possono essere controllate per garantire in prospettiva
strategica una produzione agricola in Africa per sostenere la domanda di prodotti agricoli-
alimentari cinesi. Dal punto di vista del commercio internazionale la Cina apre progressivamente il
suo mercato a prodotti esteri e penetra nei mercati esteri; la Cina aderisce all’Organizzazione
mondiale del commercio (WTO) nel 2001 e i prodotti made in China invadono il mondo. Tuttavia,
bisogna considerare anche i prodotti che entrano nel mercato cinese.
L’export cinese è sempre stata una componente molto forte della crescita del PIL cinese; all’inizio
riguardano prevalentemente prodotti industriali di livello tecnologico medio-basso (settore
tessile, elettrodomestici etc), progressivamente diventa più alto il livello tecnologico medio
dell’industria cinese (huawei, 5G). La Cina, il Giappone, la Corea del Sud, Australia e Nuova
Zelanda (in totale sono 15 paesi dell’Asia e dell’Oceania) fanno un trattato di libero scambio che
abbatte i dazi doganali creando una grande area commerciale per cui i prodotti di alcuni paesi
(soprattutto quelli cinesi) possono andare negli altri (accordo stipulato qualche mese fa).

23/11/2020:

Taiwan e Corea del Sud


Sono due possibili potenze industriali:
Taiwan: nel 1945 si conclude la 2°GM, il Giappone è sconfitto, termina l’occupazione della Cina
da parte del Giappone e riprende in Cina la guerra civile combattuta dalle forze comuniste guidate
da Mao e dalle forze nazionaliste guidate da Chiang kai-shek. Nel 1949 la guerra civile della Cina si
conclude con la vittoria delle truppe comuniste di Mao e nasce la repubblica popolare cinese e
Chang kai-shek si rifugia nell’isola di Taiwan (che è povera) portandosi dietro persone, oro della

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banca nazionale cinese, competenze, ma è uno sconfitto. Chang kai-shek quindi governa Taiwan
che però ha l’appoggio degli USA in quanto questi riconoscono il governo di Chang kai-shek come
governo legittimo della Cina che quindi conserva il seggio che spetta alla Cina nel consiglio di
sicurezza dell’ONU e Taiwan non potrebbe resistere se non avesse la protezione statunitense.
Taiwan da un’isola abitata da contadini e pescatori diventa una potenza industriale, ovvero un
paese molto sviluppato e dal reddito elevato. Il governo di Chang kai-shek è una dittatura di tipo
militare che viene giustificata dagli USA in ottica della guerra fredda. Nel 1950 scoppia la guerra di
Corea con l’intervento degli USA. Chang kai-shek avvia un grande processo di modernizzazione e
di sviluppo dell’economia di Taiwan puntando sull’industrializzazione. Le politiche di sviluppo si
legano allo sviluppo del settore industriale, nel caso di Taiwan il ruolo dello stato è importante
(mano visibile), in quanto lo stato nel promuovere le industrializzazioni ha delle aziende statali che
sono o create dal governo di Chan kai-shek oppure sono le imprese che sono diventate statali dello
stato di Taiwan che erano quelle che erano state create dai giapponesi che avevano controllato e
dominato a lungo sull’isola. Le imprese pubbliche daranno una bella fetta della produzione
industriale e le imprese pubbliche sono i settori a maggior intensità di capitale e di dimensioni
considerevoli. Accanto a queste imprese pubbliche che forniscono una buona parte dell’output
industriale di Taiwan abbiamo un tessuto crescente di piccole-medie imprese. Per cui c’è una
grande attenzione all’export. Il costo del lavoro è basso, una libera sindacalizzazione non è
consentita quindi le condizioni di lavoro di Taiwan sono pesanti, ci sono dei sussidi governativi per
l’import di materie prime necessarie per la loro trasformazione su Taiwan. In Taiwan si formano
delle zone economiche speciali ZES per attrarre investimenti diretti esteri che in prima battuta
sono giapponesi. Chang kai-shek governa fino agli anni ’70 poi muore e gli succede il figlio. Questo
processo di crescita economica si accompagna ad un progressivo upgrading del livello tecnologico
dell’industria di Taiwan in quanto all’inizio la produzione industriale di Taiwan si basa su
produzioni di basso livello tecnologico poi progressivamente si consolida la struttura e abbiamo
questo upgrading dove prendono sempre più peso settori tecnologicamente più avanzati. In
questo upgrading abbiamo una perdita di peso dell’industria leggera (il tessile, il giocattolo etc) e si
passa quindi ad industrie più avanzate, negli anni ’70 a Taiwan è forte il settore della siderurgia, è
forte il settore della petrolchimica, è forte il settore della cantieristica navale. Questi settori sono
poco labour intensive e si rivolgono al mercato internazionale. Negli anni ‘70/’80 Taiwan viene
considerata una delle 4 tigri asiatiche emergenti; era già emerso il Giappone che non faceva parte
delle 4 tigri asiatiche. Le altre tigri o dragoni asiatiche erano Corea del Sud, Singapore e Hong Kong.
Alla fine del ‘900 a Taiwan la dittatura di Chan kai-shek e di suo figlio lascia spazio ad un processo
di democratizzazione. Taiwan oggigiorno ha un’economia che si è molto trasformata, gli addetti
all’agricoltura rappresentano il 5% della forza lavoro, gli addetti all’industria sono il 27% della forza
lavoro, gli addetti nel settore dei servizi il 67%, quindi è un’economia che da agricola nel 1950
diventa una forte economia industriale. Questa economia avanzata è tale anche guardando ai
redditi in quanto è incredibilmente cresciuto il prodotto interno lordo e questo ha portato alla
crescita del reddito (dagli anni 50 in avanti). Alla fine del ‘900 nel periodo neoliberista c’è stato un
processo di privatizzazione di imprese anche a Taiwan.
Resta il problema con la Cina, la quale rivendica la sua piena sovranità su Taiwan (in quanto lo
considera cinese), ma non è facile in quanto Taiwan nel corso degli anni ha acquisito una notevole
potenza militare (24esima alla classifica mondiale) e la popolazione di Taiwan da un lato è
interessata ad avere delle relazioni economiche con la Cina ma dall’altro vuole mantenere una
serie di diritti che ha ottenuto dopo tanto tempo. I principali clienti di Taiwan sono la Cina al

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primo posto, Hong Kong al secondo posto, Stati Uniti al terzo posto e Giappone al quarto posto, i
principali fornitori invece sono la Cina al primo posto, seguita da Giappone e USA, e Corea del Sud
al quarto posto. I computer e cellulari Aceer sono taiwanesi.
Anche a Taiwan valgono i valori confuciani come in Cina, Giappone e Corea del Sud.

Corea del Sud: all’indomani della 2°GM, la Corea è divisa in due stati: Corea del Nord e Corea
del Sud. Nel periodo 1950-1953 c’è la guerra di Corea dove la Corea del Sud è invasa dalle truppe
della Corea del Nord, poi intervengono le truppe statunitensi le quali ricacciano a nord le truppe
nordcoreane, intervengono dei volontari cinesi e nel 1953 la guerra termina. La Corea aggiunge
questa pesantissima guerra a decenni precedenti in cui era stata colonizzata fino al 1945 dai
giapponesi. Nel 1953 la Corea del Sud ha un PIL che deriva per il 90% dal settore agricolo e quindi
è un paese caratterizzato da una miseria diffusa e caratterizzato da regimi autoritari. Nel 1961
prende il potere il Generale Park Chung e lo conserva fino al 1979 quando viene ucciso dai servizi
segreti. Park ha un ruolo fondamentale nel promuovere la modernizzazione dell’economia
coreana (stato sviluppista). Park dal 1962 introduce dei piani quinquennali e crea sul modello del
MITI giapponese un’agenzia per la pianificazione economica in un sistema in cui non c’è il
controllo totale dello stato sulle imprese, in quanto le imprese sono private ma nel caso MITI c’è
un’agenzia che orienta, definisce dei progetti prioritari riguardanti l’allocazione delle risorse, il
sistema bancario è controllato dallo stato quindi le linee di credito alle imprese rispondono anche
a delle indicazioni strategiche nazionali, quindi c’è un controllo dello stato sul settore del credito. I
grandi gruppi industriali coreani chiamati CHAEBOL (cebol) sono confrontabili con i keiretsu
giapponesi, ad esempio Hyundai, Daewoo, Samsung ecc. In generale si caratterizzano come
gruppi di imprese controllati da una famiglia. I CHEABOL coreani vedono i rapporti familiari di
sangue molto più forti rispetto ai keiretsu giapponesi. In questo modello le donne erano escluse
dalla leadership dell’impresa. Nei keiretsu giapponesi in confronto ai CHEABOL c’è sempre una
banca del gruppo e quindi c’è una certa autonomia nelle imprese del gruppo nell’avere dei canali
di credito specifici che sono garantiti dalla banca del gruppo, nei Cheabol invece è controllato dallo
stato. Un’altra differenza tra i CHEABOL coreani coi keiretsu è che il concetto dell’impresa come
famiglia nel ‘900 in un regime dittatoriale della Corea del Sud è vissuto in maniera molto più
autoritaria di quanto non lo sia in Giappone. Nel caso della Corea abbiamo l’upgrading
tecnologico come a Taiwan, ovvero la Corea si afferma nei settori dell’industria leggera, poi nella
siderurgia, nelle costruzioni navali e poi nell’industria automobilistica. Alla fine del ‘900 abbiamo
l’apertura al sistema della democrazia per la Corea del Sud, nel 1990 si allacciano relazioni
diplomatiche con la Russia, nel 1992 con la Cina e nel 1993 c’è il ritorno alla democrazia e alle
libere elezioni. Il punto in comune di Taiwan e Corea del Sud è l’istruzione, in quanto questo
processo di sviluppo industriale si accompagna a un processo di aumento di livello di istruzione
della popolazione con dei punti di eccellenza (PISA Programme for International Student
Assesment). Tra i fattori del successo di Taiwan e Corea del Sud c’è il fatto che il costo del lavoro è
più basso rispetto a quello dei competitor a livello internazionale, inoltre migliorano le condizioni
di vita dei lavoratori, migliorano le condizioni salariali, inoltre c’è stato l’upgrading tecnologico
per cui il livello di istruzione di questi lavoratori è aumentato.
A Taiwan il valore complessivo dell’export corrisponde al 60% del PIL, in Corea del Sud siamo al
42%. Sono elevamenti alti rispetto a quelli europei e Cina e Usa anche per la variabile
dimensionale (i piccoli paesi tenderanno sempre ad avere un impatto maggiore su export rispetto

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ai grandi paesi) e il costo del lavoro basso. Dati pre-Covid: in Germania il valore dell’export sul PIL
è del 46%, in Italia è 30%, in Francia è il 29%. Per Germania, Italia e Francia vale il discorso
dell’integrazione economica europea. Per la Cina il valore dell’export è il 20% del PIL, per gli USA è
il 12%. Per USA e Cina per quanto sia importante l’export la domanda interna è ancora largamente
dominante e ci sono dei margini di crescita per la popolazione cinese, invece per quanto riguarda
le tigri asiatiche non crescerà particolarmente la popolazione così come in Europa.
24/11/2020:

India
L’India conosce dei percorsi simili a quelli della Cina (paese arretrato), infatti nell’800 e per quasi
tutta la prima metà del ‘900 fino al 1947 è una colonia inglese. L’indipendenza di queste colonie
riguardava stati come l’India e il Pakistan (comprendeva anche il Bangladesh), e quindi nascono
questi due stati, in quanto quest’area del mondo era abitata da popolazioni con religioni diverse,
nella zona a nord-ovest dove c’è l’attuale Pakistan e nella zona a nord-est dove c’è l’attuale
Bangladesh la maggioranza della popolazione era di religione musulmana, in quella che oggi è
l’India la maggior parte della popolazione è di religione induista. Gli induisti e i musulmani erano in
contrasto fra di loro e nel momento in cui gli inglesi si ritirano scoppiano delle ostilità e degli
scontri sanguinosi fra gli indù e i musulmani, per cui si arriva a una spartizione politica del paese in
quanto i musulmani creano uno stato che ha due parti separate fra di loro, il Pakistan e il Pakistan
orientale (attualmente è il Bangladesh) e il resto è dell’India. In tempi successivi la parte del
Pakistan orientale si separerà con una guerra da quello che oggi è il Pakistan. L’India vede nel 1948
l’assassinio di Ghandi il quale era il leader del movimento non violento di opposizione al
colonialismo inglese; venne assassinato da un fanatico estremista indù perché nella visione di
Ghandi c’era una coesistenza dentro lo stesso paese di induisti e musulmani. Al potere va Nehru,
uno dei suoi collaboratori, che guiderà l’India fino al 1964 e dopo di lui sarà sua figlia a guidare
l’India per altri vent’anni la quale si chiamava Indera Ghandi perché aveva sposato un signore che
si chiamava Ghandi che però non aveva alcuna parentela con Ghandi. Anche lei sarà assassinata
da estremisti dell’etnia sic. Successivamente per alcuni anni prende il potere il figlio di Indera
Ghandi fino a quando non viene assassinato anch’egli dall’etnia degli estremisti tamil. I
musulmani rappresentano quasi il 15% della popolazione indiana (tot 1mld e 300 mila). India non
ha rapporti tranquilli con i suoi vicini anche adesso con il Pakistan e la Cina.
Il governo indiano è sempre stato il risultato di elezioni parlamentari libere con più partiti e
schieramenti politici in contrapposizione gli uni con gli altri. L’obiettivo del governo indiano è
garantire lo sviluppo economico al paese che era mancato al paese che arriva all’indipendenza in
condizioni di grande arretratezza, di conseguenza il confronto con la Cina viene naturale in quanto
quest’ultima ha un nuovo governo nel 1949 e si pone come l’India il problema dello sviluppo e
della crescita. Il modello di sviluppo scelto dai governi di Nehru e dalla figlia prevede il ruolo dello
stato, nel caso indiano siamo in un sistema di economie di mercato, più precisamente un modello
di economia mista che prevede un ruolo dello stato che introduce protezioni doganali per
consentire una maggior capacità di crescita riducendo la concorrenza dei produttori esteri coi
dazi doganali. C’è l’idea di rendere migliore l’agricoltura in paese prevalentemente abitato da
agricoltori e questo vuol dire dare cibo a una popolazione che cresce. L’India ha avuto negli ultimi
20-30 anni una crescita molto significativa ma rimane un paese dalle enormi contraddizioni, dalle
profonde disuguaglianze e rimane ancora un paese che ha molto cammino da compiere per

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arrivare al livello dei giorni nostri nei paesi occidentali. L’India è un paese di enormi dimensioni
dove possiamo trovare delle zone dove lo sviluppo e l’eccellenza è significativa accanto a zone
dove la miseria è fortissima. Un esempio è Madre Teresa di Calcutta (città indiana), in quanto il
pensare quello che ha fatto dà un’idea di una larga parte dell’India urbana. Facendo altri esempi,
vicino alla città di Bangalore si era sviluppato un distretto industriale dell’informatica e
dell’elettronica che era diventato una punta dell’industria a livello mondiale; Mital è il nome di
una famiglia indiana che ha costruito un impero economico forte in particolare nel settore della
siderurgia. Questa impresa indiana era cresciuta molto e aveva anni fa acquisito una grande
impresa siderurgica europea chiamata Arselor (franco-lussemburghese). L’ex Ilva per es è stata
acquisita da loro e ora è diventata Arselor-Mital.
Nel 1999 tra gli adulti in India gli analfabeti erano il 43%, nel 2018 l’analfabetismo degli adulti è al
37-38%. Uno degli elementi forti di trasformazione di questa economia è il ridimensionamento del
settore agricolo come in tutti i paesi e in tutti i processi di sviluppo. Nel 1980 il 70% dei lavoratori
sulla popolazione totale lavorava nel settore agricolo, nel 2018 siamo al 43%. Questo
cambiamento ha significato la crescita delle aree urbane e il tasso di crescita della popolazione
indiana è significativo.
L’indice per ogni figlio donna indiana è di 2,3 e questo ovviamente porta a una notevole crescita
della popolazione, invece in Cina è 1,6 (grazie alle nuove norme emesse come la politica del figlio
unico (avevano provato anche in India ma non ha avuto successo) e questo porterà a recuperare la
popolazione cinese e lo supererà. Invece in Europa adesso succede il contrario, cioè si incentivano
le famiglie a fare più figli (es baby bonus)
*Alla fine del ‘900 hanno avuto anche loro il neoliberalismo. Il modello dell’India è un’economia
emergente ma ha avuto molte criticità rispetto a quello cinese.
Riguardo le automobili in India abbiamo 17 automobili ogni 1000 abitanti, in Italia invece ogni
1000 abitanti abbiamo 629 automobili.

Energia
La produzione di carbone è aumentata di quasi 6 volte tra il 1955 e il 2014, la produzione di
petrolio è aumentata di 5,5 volte e la
produzione di energia elettrica è
aumentata di oltre 16 volte, quindi il
sistema dell’economia mondiale ha
prodotto e consumato molta più
energia. La produzione mondiale di
petrolio grezzo e gas naturale nel 1950
ipotizziamo fosse 100, nel 1999 era
659. Riguardo i paesi produttori e
consumatori di petrolio abbiamo al
primo posto sia come produttore che
come consumatore gli USA che hanno
una forte produzione ed un ancor più forte consumo, inoltre sono i maggiori produttori e
consumatori di gas naturale. Nell’ordine abbiamo tra i produttori di petrolio Arabia Saudita,
Russia e Iran che ritroviamo anche fra i consumatori (anche se l’Iran non è tra i primi 10) e Arabia

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Saudita e Russia hanno una produzione di petrolio che è largamente eccedente i loro consumi che

sono significativi, quindi sono due paesi che sono esportatori netti di petrolio.
Tra i paesi produttori abbiamo anche la Cina la quale deve importare parecchio petrolio. Il
problema dell’approvvigionamento energetico diventa un problema fondamentale: la Cina ha una
buona capacità di produzione, è forte sulla produzione di carbone ma la produzione di carbone si
lega anche ad un elevato livello di inquinamento. La riduzione o il controllo dei consumi è un
obiettivo importante
economicamente perché i
consumi sono costosi. Il
tema
dell’approvvigionamento
energetico rende molto
sensibile il tema del
contesto internazionale e
quindi si aprono delle
questioni di politica estera di
approvvigionamento di fonti
energetiche. Il consumo di
risorse energetiche ha un
impatto significativo sugli
equilibri ambientali del
pianeta. Il tema ambiente è
stato oggetto di accordi
internazionali che l’amministrazione di Trump negli USA non aveva voluto ratificare, Biden invece
dopo la sua vittoria ha detto che tornare ad accordare. È importante in questo contesto tenere
conto delle zone del mondo politicamente instabili dove ci sono delle forti concentrazioni di

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risorse di materie prime energetiche. La zona medio-orientale come la Libia che è ricchissima di
risorse energetiche e non esiste più uno stato unitario libico in quanto è divisa (governo di Tripoli
e Bengasi) ed è difficile avere rapporti con questi paesi e c’è un elevato tasso di criminalità.
L’Arabia Saudita, gli Emirati arabi e il Kuwait sono paesi autoritari, l’Iraq ha una situazione
politica piuttosto instabile dove ci sono delle truppe americane che dovrebbero mantenere la
stabilità. L’Iran ha una forte conflittualità con l’Arabia Saudita. Di fatto il quadro della zona medio-
orientale è molto confusionario. A sud-est abbiamo quindi quest’area medio-orientale che è ricca
di petrolio ma è piena di conflittualità. In ottica Europa occidentale possiamo guardare a sud-est
dove tra i fornitori di petrolio ci sono la Russia la quale ha interesse a esportare le sue materie
prime energetiche. Anche l’Azerbaigian è un esportatore del gas naturale, il quale esporta anche in
Puglia. Un ruolo importante per la produzione di energia lo hanno le centrali idroelettriche, a
carbone e a gas. Anche i pannelli solari producono energia elettrica, così come le pale eoliche e le
centrali nucleari (Francia, Chernobyl), che se non viene controllato porta all’esplosione come a
Chernobyl. L’Italia ha una dipendenza per quanto riguarda l’energia in quanto le importazioni
nette di energia sono del 76%, per cui le risorse energetiche italiane coprono il 24% dei nostri
consumi. In Giappone le importazioni nette di energia coprono il 93% dei consumi energetici
giapponesi, cioè il Giappone è autosufficiente per il 7% dei suoi consumi, negli USA le
importazioni coprono il 7% del consumo energetico statunitense, quindi, sono autosufficienti al
93%, infine riguardo alla Cina le importazioni nette di energia coprono il 15% del fabbisogno
energetico cinese e hanno un 85% di autosufficienza. La Germania importa oltre il 60% del suo
fabbisogno energetico, quindi è autosufficiente al 39% e la Francia importa il 44-45% del suo
fabbisogno energetico e per metà è autosufficiente (tra cui il nucleare ha circa il 20%).

30/11/2020:
Riflessione del prof.: Le imprese e gli imprenditori sono tanti e diversi. Molti sono imprenditori di
successo, mentre la stragrande maggioranza sono persone normali che conducono in modo
normale la loro azienda. L’imprenditore di successo è una persona che ha bisogno di due insiemi di
elementi per essere vincente: un insieme di qualità personali, ovvero deve essere bravo in
qualcosa e di fortuna, ovvero deve trovarsi nel posto giusto e nel momento giusto. Questo ci
riconduce ad alcune fasi storiche, ad esempio un’impresa familiare con tre generazioni: il nonno
che l’ha creata e sviluppata, il padre che l’ha portata avanti e poi il nipote, immaginiamo che
questa sia un’impresa italiana, il nonno è nato nel 1930 e fa partire l’impresa negli anni ’50 e la fa
crescere negli anni ’60 e ’70, il padre è nato nel 1955 e gestisce l’impresa dagli anni ‘80/’90 e va
incontro ad un rallentamento e alla crisi del 1992 quindi si muove in un contesto più complesso, il
nipote nasce nel 1980 e gestisce l’impresa a partire dal 2010 per cui si muove in un contesto molto
meno favorevole; queste tre persone hanno tutte una grande intelligenza e dedizione al lavoro
comune ma non tutti loro si sono mossi nello stesso contesto economico quindi l’elemento
fortuna è molto rilevante. Accanto alle figure di successo ci sono persone normali e vivono
l’economia senza essere dei protagonisti.
Nome di persone che abbiamo incontrate nel corso i quali le abbiamo citate e non:

- Ohno e Ford (imprenditori) - Tibetani e confucianesimo


- Mital - Uomini della frontiera (USA)
- Mao Tze-Tung - Piccoli e medi imprenditori italiani

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- Regan (politica neoliberista) - Migranti (il portoghese in Ge)
- Tatcher - Burocrati dell’eco pianificata in
Russia

Israele
Negli ultimi giorni di novembre 2020 è stato compiuto in Iran un attentato in cui è stato ucciso
uno scienziato a capo di un programma di sviluppo del nucleare. Questo programma è osteggiato
da altri paesi per ragioni politiche per questo si è commesso questo attentato. La stampa iraniana
dice che è stato il governo israeliano a farlo. Fino alla 2°GM non esiste lo stato di Israele, in realtà
ci sono pochi ebrei che abitano in Palestina dove c’è Israele oggi, e quelle terre sono parte
dell’impero ottomano fino alla 1°GM e poi sono controllate dall’Inghilterra fra la prima e la 2°GM
quando l’impero ottomano perde i suoi domini coloniali. Il popolo ebreo fino alla Shoà era stato
perseguitato ripetutamente; alla fine dell’800 si diffonde fra le comunità ebraiche in Europa un
pensiero politico che è quello del ritorno degli ebrei in Palestina dove costituire uno stato ebraico
chiamato Sionismo, ovvero il ritorno degli ebrei nella terra di Sion. Nel mondo degli ebrei europei
all’inizio del ‘900 ci sono due tendenze: c’è una tendenza degli ebrei che vivono in Francia,
Germania e Italia di essere accettati e integrati nei paesi dove vivono per essere cittadini con pieni
diritti e c’è la tendenza che ha l’obiettivo quello dello stato ebraico. Successivamente arriva la
2°GM con lo sterminio degli ebrei, all’indomani della seconda grande guerra c’è un grande
afflusso di ebrei (sopravvissuti ai campi di sterminio) in Palestina nel 1948 con l’obiettivo di creare
lo stato di Israele. In quel periodo l’Inghilterra finisce di amministrare quel territorio e quando gli
ebrei tornano nelle loro terre e trovano le popolazioni arabe le quali non hanno voglia di avere lì
lo stato degli ebrei, per cui si crea una situazione di grande tensione e l’ONU decide la spartizione
della Palestina in cui una zona è abitata dagli ebrei che possono creare lo stato di Israele e un altro
dove non c’è lo stato di Israele ma ci sono gli arabi. Quest’ultimi non accettano la spartizione in
quanto non si sentono responsabili della persecuzione degli ebrei e non si sentono di ospitarli per
cui c’è subito una guerra fra arabi ed israeliani vinta dai primi. Nel 1973 con la prima crisi
petrolifera del mondo occidentale c’è un’altra guerra fra Israele e paesi arabi dove Israele non la
vince ma resiste e i paesi arabi (produttori di petrolio) aumentano per ragioni economiche e
politiche il prezzo del barile greggio per fare pressioni nei confronti delle potenze occidentali
accusate di stare dalla parte di Israele. Questo tema è costantemente presente. Gli USA sono
sempre stati dei grandi sostenitori dello stato di Israele da quando è nato lo stesso stato.
01/12/2020:

America del Sud


Brasile: il Brasile diventa indipendente all’inizio dell’800 dopo essere stato una colonia del
Portogallo. L’economia brasiliana è un’economia costruita dai colonizzatori portoghesi che si
basava sull’agricoltura e sulle materie prime. L’agricoltura era un’agricoltura di piantagione con
schiavi come nelle colonie inglesi del Nord America, che usavano una forza lavoro composta da
schiavi che venivano portate sia nell’America dei Caraibi che del Sud. Queste piantagioni
presupponevano un’integrazione di quel sistema economico nel mercato internazionale. Oltre
all’agricoltura di piantagione che è schiavista abbiamo anche lo sfruttamento di risorse naturali,
ad esempio legnami pregiati. Nel corso del ‘900 l’élite brasiliane si pongono il problema della

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modernizzazione economica del paese. La modernizzazione economica del paese significa sempre
porsi il problema dello sviluppo industriale. La modernizzazione coincide con lo sviluppo
dell’industria quindi l’élite brasiliane ponendosi il problema dello sviluppo economico si pongono
come obiettivo quello di far sviluppare l’industria nazionale. Le scelte strategiche per sviluppare il
settore industriale sono il protezionismo, per proteggere i produttori locali, e la sostituzione delle
importazioni. Il protezionismo frena una concorrenza libera e quindi viene considerato in certi
momenti non idoneo a migliorare il livello di efficienza tecnologica delle imprese di un sistema-
paese. Negli anni ’80 la fase neoliberista interessa anche il Brasile, quindi c’è una maggiore
liberalizzazione degli scambi brasiliani, una graduale riduzione del protezionismo e una maggior
apertura del mercato internazionale al settore industriale. Il settore agricolo era da sempre aperto
al mercato internazionale. Negli anni ’90 c’è la creazione di un’area di libero scambio nell’America
del Sud, il MERCOSUR. Nella fase neoliberista ci sono anche le privatizzazioni, un Brasile più
integrato nel mercato internazionale vede anche la crescita della presenza di capitale estero in
Brasile nel settore industriale. Quindi c’è un cambiamento degli assetti proprietari. Il Brasile è uno
dei paesi in cui le disuguaglianze sono più forti, ad esempio ci sono molte disuguaglianze nel
sistema delle piantagioni, negli ultimi decenni del ‘900 quando in Brasile c’è una crescita delle aree
urbane c’è gente miserabile che lascia le zone più povere per andare nelle città dove non trova
sempre un lavoro stabile e sicuro, quindi il precariato ha uno spazio larghissimo. La crescita del
Brasile è stata molto forte dopo la 2°GM negli anni della Golden Age che spesso si lega al settore
industriale che comporta aumenti di produttività del sistema e del PIL. Sul finire del ‘900 c’è un
rallentamento della crescita nell’economia brasiliana. La disuguaglianza del Brasile è una
disuguaglianza sociale, è una disuguaglianza di istruzione, ad esempio alla fine del ‘900 il tasso di
analfabetismo fra gli adulti è del 15%, a distanza di una ventina d’anni abbiamo un analfabetismo
del 7%, ma rimangono le disuguaglianze e le zone molto povere. L’Amazzonia è un grande
polmone per la creazione di ossigeno nell’atmosfera, quindi è una risorsa del mondo ma è nello
stato brasiliano e quindi la sua conservazione negli equilibri naturali impedisce ai brasiliani di
sfruttare al massimo le risorse naturali dell’Amazzonia.

Messico: Il Messico raggiunge l’indipendenza all’inizio dell’800, è un paese agricolo dove ci sono
grandi proprietà terriere e masse di contadini molto poveri. Nel ‘900 anche il governo messicano si
pone il problema della crescita economica, in questo caso lo stato interviene e crea le condizioni
di base per la crescita economica, ad esempio con la nazionalizzazione del petrolio e con una
politica che porta alla sostituzione delle importazioni (import substitution strategy) per lo
sviluppo di un’industria nazionale. Il Messico verso la fine del ‘900 diventa un sistema sempre più
aperto al mercato internazionale, e negli anni ’90 stipula il trattato di libero commercio
nordamericano con USA e Canada, ovvero il NAFTA, il quale favorisce l’afflusso di investimenti
diretti esteri in Messico. Questi possono essere investimenti diretti esteri sia degli USA sia europei
che giapponesi, i quali contribuiscono allo sviluppo ulteriore del tessuto industriale messicano,
all’opposto aggrediscono l’industria statunitense in quei segmenti in cui non ha più primati
tecnologici, quindi l’industria siderurgica, automobilistica, di materiale elettrico. Questo porta a
una deindustrializzazione che ha come effetto quello di diffondere questo senso di primato, di
perdita di benessere e di declino degli USA. Alla fine del ‘900 il 10% più ricco della popolazione
dispone del 43% del PIL, il 10% più povero dispone dell’1,4% del reddito del paese. L’economia di

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piantagione può essere un elemento di debolezza perché rende fortemente dipendente da un
solo settore produttivo l’economia nazionale.
Venezuela: in Venezuela c’era la vecchia colonizzazione spagnola che creava una struttura sociale
di grandi proprietari terrieri dove lavoravano gli schiavi. Nel ‘900 comincia ad avere giacimenti
petroliferi, il confronto con gli emirati arabi va bene ma fino a un certo punto perché dobbiamo
tenere conto della ricchezza di risorse petrolifere e la numerosità della popolazione e in
popolazioni molto ridotte come quelle degli emirati arabi o dell’Arabia Saudita la ricchezza
petrolifera cade su una popolazione molto ridotta e quindi il benessere materiale cresce per tutti,
il Venezuela ha molto risorse petrolifere ma ha una popolazione molto numerosa, come la Russia,
e quindi questo combinato con una disuguaglianza con una distribuzione del reddito non si
traduce subito in un miglioramento nel tenore di vita della popolazione. In Venezuela Chavez
aveva seguito una politica di tipo nazionalistico e aveva posto sotto il controllo dello stato la
principale compagnia venezuelana che si occupava del settore petrolifero entrando in rotta di
collisione con gli investitori diretti esteri e creando quindi delle tensioni molto forti. Queste scelte
fatte dal governo venezuelano non hanno favorito lo sviluppo.

Paesi asiatici
Il Giappone è il primo paese asiatico che si è industrializzato ed è il paese capofila, subito dopo
abbiamo le tigri asiatiche (’50), Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore. Dal punto di vista
industriale lo sviluppo industriale parte sempre da settori a tecnologia considerata non di
particolare livello e pian piano si passa a settori più avanzati. Il vantaggio competitivo di questi
paesi è il costo del lavoro e quindi riescono a costruire una base industriale e ad essere
competitivi sui mercati internazionali. In terza fila abbiamo paesi come Thailandia, Malesia,
Indonesia, Filippine e Vietnam. Questa immagine descrive le dinamiche dello sviluppo industriale
in Asia.
Abbiamo due linee interpretative, la prima di carattere economico: ovvero guardano da un lato al
progressivo inserimento di questi paesi in un mercato più ampia e alle dinamiche di mercato e
dall’altro al ruolo dello stato sviluppista. Riguardo le dinamiche di mercato, il mercato è un
mercato internazionale con il quale questi paesi interagiscono e si propongono. Fondamentale è la
categoria dei vantaggi economici comparati, in questo caso il vantaggio comparato è il costo del
lavoro. Questo vantaggio comparato progressivamente si riduce. Altro elemento importante è
l’upgrading tecnologico, il quale aumenterà anche il costo del lavoro.
Dal punto di vista della linea interpretativa culturale è importante il tema della cultura e della
mentalità orientale, quindi ad esempio il confucianesimo. Dal punto di vista culturale possiamo
individuare delle macroaree, quella confuciana, quella europea-nordamericana, una grande area
culturale dell’Americana Latina, il mondo islamico e l’Africa, dove si individuano dei denominatori
culturali comuni che poi pesano anch’essi sull’economia. Quindi il mondo è sempre più integrato
ma ci sono sempre delle parti di mondo che si scontrano fra loro. Fra i punti di debolezza della
Cina abbiamo: la mancanza della democrazia può essere un punto debole in Cina perché può
creare tensioni (un es ce l’abbiamo ultimamente col caso Wuhan che il governo impedì al popolo
di raccontare la vera storia), come i comportamenti demografici, il consumo di risorse
energetiche e il problema dell’ambiente, le differenze culturali ecc.
*1° Rivoluzione industriale (seconda metà del 700) e 2° (1870)

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