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02/03/20
GLOBALIZZAZIONE dimensione polivalente
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04/02/20
STORIA ECONOMICA GLOBALE vuole comprendere la natura della ricchezza delle
nazioni.
Lo fa attraverso la costruzione di un processo dinamico che risponde alla domanda: perché alcune
nazioni si impoveriscono ed altre si arricchiscono?
• 1800-1900: era del catching up= aggancio e superamento dell’Inghilterra da parte degli
altri stati dell’Europa Occidentale e USA: lo sviluppo economico costituisce una priorità
conseguita attraverso quattro politiche economiche standard: costruzione del mercato
interno; costruzione rete di trasporti (ferrovie); ruolo del sistema bancario; sistema di
istruzione di massa
• xx secolo: era della divergenza= le politiche del catching up europeo ed USA si mostrano
meno efficaci per i paesi che non si erano ancora sviluppati. Gli unici paesi che si sono
sviluppati lo hanno fatto attraverso un big push che ha puntato sulla pianificazione e sul
coordinamento degli interventi.
della distribuzione della ricchezza rivela l’’esistenza di potenti meccanismi che spingono
alternativamente verso la convergenza e verso la divergenza della ricchezza per adulto all’interno
dei singoli Paesi e tra i singoli Paesi.
Forze di convergenza= ossia quelle che riducono la disuguaglianza. I principali fattori di
convergenza sono: la diffusione della conoscenza e gli investimenti in formazione e competenze;
Forze di divergenza= due principali forze di divergenza nella ricchezza degli individui:
1) l’abilità dei percettori di redditi più elevati di distanziare la propria retribuzione da quella del
resto della popolazione;
2) Il fatto che il tasso di rendimento del capitale (r) sia più elevato del tasso di crescita del PIL (g).
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24/03/20
PRIMA PARTE DEL CORSO= fasi della globalizzazione ed elementi che intervengono.
PERIODIZZAZIONE:
-LA PRIMA GLOBALIZZAZIONE(1870-1914)= siamo in un processo di intensa integrazione
del mercato internazionale;
-DEGLOBALIZZAZIONE(1914-1945);
-LA SECONDA GLOBALIZZAZIONE(1945-1970)= troviamo la ripresa del processo di
globalizzazione con Bretton Woods.
Quali sono le variabili che hanno concorso a riconfigurare il rapporto internazionale fra gli
stati? Il processo di PRIMA globalizzazione è determinato da un’accelerata mobilità di tutti i
fattori produttivi. Abbiamo quindi un forte andamento della mobilità delle merci e capitali da paesi
più avanzi (nord) a quelli non industrializzati (sud basso reddito agricolo); lo scambio fra sud e nord
è concentrato sulle materie prime (sud) e prodotti manifatturieri (offerti dal nord). Questa dinamica
presuppone un rapporto basato su uno scambio ineguale perché il rapporto basato sui prezzi dei
beni scambiati era fortemente sperequato (i prodotti manufatti hanno i prezzi che tendono a salire
mentre le materie prime hanno un prezzo anelastico, cioè non tendeva a crescere con la stessa
velocità per esempio dei salari del nord).
QUESTO SCAMBIO INEGUALE determina una ripartizione dei benefici sperequata che si
aggrava se si considera un altro flusso cioè i CAPITALI finanziari e gli investimenti diretti
all’estero. [Questo vuol dire che paesi del Nord avanzato trasferiscono verso il Sud enormi capitali
per esempio acquistando debiti pubblici dei paesi del sud o miniere, quindi appropriandosi
direttamente delle risorse che servono al loro processo produttivo]. Quanto più si intensifica il
flusso di capitale tanto più si arriva ad un processo di globalizzazione, perché si muovono merci,
forza lavoro,persone ecc… Le persone si spostano da vasti territori popolati a territori meno
popolati. UOMINI, MEZZI FINANZIARI E MERCI si muovono quindi tutti nella stessa direzione,
questo significa che se i paesi del nord in virtù di questi spostamenti vedono aumentare il loro
reddito i paesi del sud lo vedono crollare. Questa è la conseguenza della prima globalizzazione:
si allunga la differenza fra nord e sud.
LE POLITICHE: vengono attuate quelle di stampo liberista, gli stati decidono di far viaggiare
senza pesi doganali, dazi; questo incentiva la globalizzazione. Negli anni 60 tutti gli stati seguono le
indicazioni dell’Inghilterra la quale abbandona il protezionismo ( Trattato COBDEN-CHEVALIER,
tra l’Inghilterra e Francia, con clausola della nazione più favorita1); tutti i successivi trattati
assumeranno la clausola della nazione più favorita.
Questa ONDATA DI LIBERISMO tuttavia non produce un effetto positivo: tanto più si abbatte il
protezionismo quanto più si vuole scambiare; il problema è che i paesi più forti prevalgono troppo
sui paesi più deboli (in particolare alcuni prodotti es. grano). Perciò a causa di questa facilità degli
scambi ritroviamo una rivendicazione al protezionismo per recuperare la crisi del troppo liberismo.
Il protezionismo di adesso non ha più quei caratteri inibitori rispetto al sistema degli scambi.**
1 con la quale gli Stati contraenti si impegnano a concedersi reciprocamente il trattamento più favorevole che abbiano
concesso o eventualmente concederanno in futuro, in una determinata materia (ad es. commercio, navigazione, ecc.), a
uno o più Stati.
Circa le politiche si parla di liberismo COATTO [esempio sull’India pag.87 Fumian, fa capire
quanto queste politiche siano influenzate dal peso coloniale]; QUINDI abbiamo una
industrializzazione al nord e una deindustrializzazione al sud (EFFETTI DIVERSI DELLE
POLITICHE DA NORD A SUD).
Queste politiche non sembrano in realtà essere completamente fondamentali alla
globalizzazione ma comunque la favoriscono. Molto importante è anche la teoria di LIST sulle
industrie bambine (le industrie nazionali necessitano dapprima di protezionismo e poi una volta
cresciute a sufficienza per sostenere la concorrenza internazionale passano al liberismo).
Effetti:
• Economie di scala — diminuzione del costo medio di produzione all'aumentare delle
dimensioni dell’impianto (e, quindi, dell’output e dei fattori impiegati);
• Economie di agglomerazione — economie che si determinano in presenza di elevate
concentrazioni di attività produttive in una area e che dipendono dalla possibilità di relazioni
orizzontali tra di esse (acquistare prodotti intermedi di altre imprese, condividere comuni
attrezzature etc.) e di condividere alcune infrastrutture;
• Esternalità — effetti esterni, anche detti (dis)economie o esterne, derivanti dall’attività di
un'unità economica sulla produzione o sul benessere di altre unità;
• Processi di apprendimento — che porta ad una sorta di ‘democratizzazione’, sia pure solo
progressiva, del processo produttivo.
Queste trasformazioni del sistema industriale non avrebbero potuto manifestarsi se non in presenza
di cambiamenti paralleli nel settore de:
• la produzione di materie prime;
• il trasporto di materiali e prodotti finiti;
• il sistema distributivo;
• le attività e nei servizi collaterali (per es. attività assicurativa e bancaria).
Mercati finanziari:
La crescita degli scambi internazionali mise il settore finanziario sotto rinnovata pressione. In
risposta, l’attività bancaria inizia a specializzarsi rispetto al settore di credito (credito alle imprese;
credito retail, etc.). Per finanziare le attività economiche che le banche non potevano riuscire
nascono le borse come specifico modello di autofinanziamento delle attività produttive.
Ne discende la necessità di procedere ad una maggiore integrazione tra i mercati finanziari dei
diversi paesi. La garanzia della stabilità del sistema economico-monetario mondiale fu garantita
dall’adozione del cosiddetto gold standard. Trattasi del meccanismo che permise
l’omogeneizzazione complessiva dei sistemi monetari in un’epoca di depressione. Ciò fu possibile,
in particolare, poiché gli squilibri sistematici del passato sono perlopiù spariti. In un certo senso, il
mercato finanziario funzionò da nucleo solido attorno al quale condensarono i vari settori la cui
crescita fu sostenuta dalla seconda rivoluzione industriale.
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31/03/20
GOLD STANDARD= sistema collante fra i principali stati, che serviva a dare stabilità al mercato
internazionale.
Prima che si affermasse il meccanismo del Gold Standard, il mercato monetario e finanziario
internazionale era particolarmente instabile, gli stati si muovevano all’interno di regole autonome;
era perciò presente una forte difficoltà di organizzazione nel mercato degli scambi.
Il GOLD STANDARD è un sistema: semplice, automatico, impersonale (sembra che le azioni degli
uomini incidano poco su questo sistema), è dotato di una forte simmetria politica [gli attori
principali (GB, GERMANIA, USA) sono caratterizzati dallo stesso andamento in termini
economici ]. Questo sistema sembra funzionare senza l’intervento e controllo da parte di specifiche
istituzioni, è un meccanismo che si regge su 2 elementi : FIDUCIA TRA GLI ATTORI NEL
SISTEMA e CAPACITÀ DI COOPERARE.
[POLLARD= affermava che il periodo della prima globalizzazione non registra guerre perché
questi paesi accettano la religione del gold standard, essi accettano la visione e le regole di questo
sistema].
Dunque sembrerebbe che senza interventi esterni delle istituzioni, ma solo attraverso le 3 regole di
cui sopra, TUTTO funzioni in maniera perfettamente automatica. In realtà questo sistema risulta
essere funzionale grazie ad una serie di condizioni presenti in quell’epoca:
1. esiste un centro monetario internazionale (Gran Bretagna): è il cuore che distribuisce denaro
nel sistema internazionale e permette di avere le risorse monetarie utili a far funzionare il sistema
degli scambi internazionali;
2. simmetria politica (gli attori del gold standard presentano le stesse condizioni): sono paesi
creditori (creano ad altri dipendenza finanziaria verso se stessi), sono paesi che vivono l’imponente
processo di espansione industriale (seconda rivoluzione industriale);
3. presentano tutti un avanzato grado di innovazione finanziaria (hanno tutti una banca centrale
che stabilisce la quantità di moneta che assicura stabilità in un dato paese);
Grazie a questi elementi i principali paesi del gold standard (USA, GB, FR, GERM)
acquisiscono stabilità egemonica, essi presentano inoltre:
1. le stesse fluttuazioni cicliche, cioè meno problemi di aggiustamento della bilancia commerciale;
2. circolarità degli scambi tra paesi avanzati e paesi produttori di materie prime in virtù della
mobilità dei capitali, grazie al gold standard troviamo un innalzamento degli IDE (investimenti
diretti all’estero);
3. affinità politiche delle èlite nazionali, sono èlite politiche che pensano che l’obiettivo
fondamentale sia soltanto la stabilita monetaria. [Il gold standard non persegue obiettivi sociali di
supporto alla società ma ha come scopo solo la stabilità monetaria].
Effetti negativi: il gold standard non conferisce benefici a tutte le realtà, ad esempio si percepisce
un enorme difficoltà nei paesi dove non sono presenti le banche centrali (es. America Latina);
infatti, a causa del gold standar ora bisogna produrre molta più moneta pur non avendo la quantità
di riserve auree che necessitano a garantire il valore di quella moneta, per tal ragione il valore di
quella moneta si avvilisce e questo porta ad un innalzamento dei prezzi (inflazione). I paesi in
difficoltà chiederanno prestiti internazionali dei paesi più ricchi e questo porterà a maggiori effetti
distorsivi.
Quindi il sistema gold standard risulta essere ambiguo: se si guarda dalla prospettiva europea e
americana sembra essere un sistema perfetto, questa visione appare distorta invece se osserviamo il
gold standard da altre prospettive.
Le distorsioni compariranno a partire dalla fine dell’800 quando si riducono i filoni auriferi a livello
internazionale (miniere si esauriscono) portando alla contrazione dell’oro.
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01/04/20
LA DEGLOBALIZZAZIONE (1914-1945)
Dopo la prima guerra mondiale si assiste ad un passaggio verso la DEGLOBALIZZAZIONE.
- Chiedere alla Germania di pagare ai paesi vincitori le riparazioni di guerra: i tedeschi vedono
azzerati i vantaggi economici ottenuti fino a quel momento. Nello stesso tempo gli USA richiedono
ai paesi vincitori di saldare il loro debito.
Nasce così una SPIRALE DEI DEBITI DI GUERRA: per pagare gli USA i paesi vincitori
chiedono soldi alla Germania, questa però si trova in un processo di iperinflazione (il valore del
marco tedesco si riduce gradualmente). QUESTA SPIRALE DETERMINERÀ
L’IMPOSSIBILITA DI RICOSTRUIRE UN CLIMA DI RIPRESA ECONOMICA
COMPLESSIVA.
Nel 1924 si prova ad uscire da questa spirale attraverso il piano Dawes, si cerca di rinegoziare un
piano di ripresa per far si che gli USA recuperino i soldi dati durante la guerra, tuttavia il piano
fallisce e la spirale non si interrompe.
All’indomani della guerra tutti richiedono un ritorno al gold standard. Purtroppo però sono
cambiate le condizioni che rendevano il gold standard funzionale.
Condizioni che rendono il gold standard non più realizzabile:
PERCIÒ, nel 1922 con la Conferenza di Genova, si cerca di trovare una sorta di surrogato del Gold
standard: IL GOLD EXCHANGE STANDARD. Poichè la guerra aveva bruciato anche le risorse
auree delle nazioni, non ci si poteva più basare sul valore costituito dall’oro; si tenta nel 1922 una
possibile ricomposizione fra gli interessi in campo. Lo scopo del Gold exchange standard era quella
di abbinare all’oro un’altra moneta (si pensava alla sterlina), tuttavia la sterlina non aveva più la
forza necessaria. Quindi: da un lato, l’Inghilterra rivendica lo stesso ruolo centrare che aveva avuto
prima del conflitto; mentre dall’altro USA e Francia avversano questa richiesta della GB.
La Francia valuta la propria moneta ad un rapporto aureo più basso, questo fa sì che il franco
diventi più competitivo; la Francia immagazzina in virtù di questa competitività una maggiore
quantità di oro. Nonostante ciò, la Francia non ha intenzione di cooperare con l’Inghilterra per farla
diventare di nuovo il centro del sistema.
Il quadro complessivo: NON C’È PIÙ COOPERAZIONE FRA I PAESI, ognuno detiene le
quantità d’oro a disposizione per se; è evidente che questi sono dei comportamenti in contrasto con
il Gold Standard.
QUINDI, il ritorno al gold standard surrogato (o gold exchange standard) non si realizza, anzi
il fatto stesso di rincorrerlo aggrava l’instabilità del sistema.
2. i debiti realizzati in guerra pesano sulla bilancia commerciale dei paesi, questo fa registrare
enormi disavanzi che ostruiscono le riserve di capitali utili a ristabilire il sistema. La situazione è
inoltre aggravata dagli USA, che hanno tutte le condizioni per poter supportare l’Inghilterra (visto
che la loro capacità era accresciuta con la guerra) ma non vogliono farlo, anzi gli americani
attireranno altri capitali verso la loro nazione;
3. in virtù di questo atteggiamento gli USA agiscono avendo come obiettivo quello di deflazionare il
proprio sistema monetario. Essi riescono a farlo alzando il costo del denaro (quindi alzando i tassi
di sconto sui prestiti), questo comporterà un enorme flusso di capitali verso l’America.
I presupposti appena descritti giocheranno un ruolo fondamentale nella grande depressione del
1929.
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07/04/20
LA CRISI DEL 1929: rappresenta il picco di quelle difficoltà che possono essere fatte risalire alla
fine del primo conflitto mondiale. È una crisi che viene continuamente evocata e studiata ogni volta
che si arriva a periodi economici negativi; per esempio negli anni 70 oppure a partire dal 2008.
In ogni caso i risultati di questa crisi sono stati devastanti sia in termini sociali che economici; è una
crisi che coinvolge tutti i settori strategici di un’economia nazionale: è una crisi finanziaria,
dell’economia reale e del sistema bancario.
• Le premesse bancarie: troviamo un’ anarchia del sistema bancario, il ruolo determinante
delle banche centrali si era dimostrato funzionale con il sistema del gold standard ma con il
conflitto quel sistema perde di forza. All’interno dei singoli paesi si registra ora un crescente
conflitto fra tutti i segmenti del sistema creditizio.
• Le premesse di carattere sociale: (boom economico, ottimismo,, consumismo); gli USA,
proprio perchè non coinvolti nel conflitto, hanno continuato a sviluppare un sistema
economicamente forte contraddistinto da alti livelli di occupazione e un generale
accrescimento della ricchezza complessiva. Grazie a queste condizioni ritroviamo negli anni
20 in USA uno spiccato processo di consumismo: a causa del forte incremento economico
ritroviamo un innalzamento della domanda interna. Vengono sopratutto acquistati beni
intermedi che aumentano la comodità della vita (lavatrici, macchina, redio ecc). Data una
domanda cosi forte la paura negli USA dovrebbe essere quella di ritrovarsi in una
condizione di eccesso dell’offerta rispetto alla domanda, TUTTAVIA la capacità di
produzione americana è talmente consistente tale da soddisfare la domanda interna. Il
mercato USA si sarebbe potuto anche espandere oltre i confini nazionali, tuttavia le forti
politiche protezioniste del tempo non lo concedevano.
• Le premesse finanziarie: le banche hanno bisogno di mettere in piedi una serie di strumenti
che facciano percepire ai clienti il fatto che siamo in una fase in cui il denaro può essere
ottenuto molto facilmente; questo alimenta ancora di più il processo di illusione monetaria.
È logico pensare che questo è un mercato che si alimenta da solo: se i titoli in borsa sono
accattivanti, la domanda di quei titoli accresce sempre di più portando ad un aumento del valore dei
titoli stessi; tuttavia si tratta di un valore illusorio dato dal gioco speculativo e non dall’effettiva
entità delle attività economiche svolte dalle imprese.
Si arriva ad un certo punto in cui qualcuno inizia a vendere i titoli acquistati. NEL SISTEMA
FINANZIARIO SE QUALCUNO INIZIA A VENDERE LE PROPRIE AZIONI
INTERROMPENDO IL GIOCO SPECULATIVO vengono in essere dei dubbi circa il valore
dei titoli. Adesso tutti fanno l’esatto opposto rispetto a prima, iniziano vendere le proprie azioni;
questo genererà una perdita di valore dei titoli stessi. Il 24 ottobre 1929 il valore dei titoli inizia a
scendere rapidamente fino a portare al crollo della borsa di Wall Street.
2 Errore di valutazione di cui sono vittime gli agenti economici quando prendono le loro decisioni in funzione delle
variazioni del valore nominale della moneta, piuttosto che in relazione alle modificazioni del suo valore reale.
A causa della perdita di valore dei titoli gli imprenditori devono pagare i loro debiti (caller loans)
alle banche, ma questi non sono più in grado farlo perchè i titoli sono crollati piuttosto che
aumentare. Qui inizieranno gli effetti della la crisi del 1929.
LA RIPRESA:
Nel corso degli anni ’30 il cambio alla Presidenza negli USA con l’elezione di Franklin Delano
Roosevelt (FDR) segna l’avvio di una policy economica anti-ciclica che punta ad alleviare le
sofferenze delle classi lavoratrici. Col New Deal le policy keynesiane3 si affermano come la nuova
norma sebbene la stessa amministrazione di FDR li volesse temporanei. Concretamente esso si
materializzò in:
Creazione della Tennessee Valley Authority per l’agricoltura;
Un programma di sussidi per la riduzione della produzione;
Riforma dell’agricoltura;
Riforma del settore bancario.
In Europa l’adozione di politiche interventiste fu la bandiera di regimi autoritari (e.g. la dittatura
di Boris III in Bulgaria), dei diversi fascismi (i.e. l’Italia, il Portogallo, etc.), del
nazionalsocialismo ed ovviamente del comunismo in URSS.
La vera uscita del sistema internazionale dalla Grande Crisi si avrà con gli investimenti massicci
degli Stati centrali e di alcuni Stati (semi-)periferici in armamenti per combattere quella che sarà la
Seconda Guerra Mondiale. La diversa policy degli USA nel secondo dopoguerra sarà, poi,
fondamentale per la ripresa definitiva delle economie occidentali nel post-1945.
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3 Keynes, riteneva necessario l'intervento dello Stato che, attraverso la spesa pubblica, può determinare un aumento
del livello di occupazione e, di conseguenza, un aumento dei redditi delle famiglie e, quindi, dei consumi.
08/04/20
LA SECONDA GLOBALIZZAZIONE (1945-1970)
Il periodo successivo alle due guerre mondiali è un periodo di ripresa sul piano dell’economia
internazionale che si traduce in una rapida capacità dei paesi di riconquistare le posizioni perse tra
il primo e il secondo conflitto mondiale. Questo periodo offre una visione della globalizzazione che
ha caratteristiche particolarmente diverse rispetto alla prima fase; infatti durante la seconda
globalizzazione viene più volte fatta una sorta “considerazione degli errori compiuti negli anni ‘20”
cos’ da evitare il riproporsi di quelle tragiche condizioni che erano avvenute con la crisi del 1929.
Ancor prima della fine della seconda guerra mondiale, gli USA immaginano di attuare un
comportamento contrario rispetto a quello che si era tenuto negli anni ‘20 (fatto da politiche
commerciali protezioniste, deflazionistiche); lo scopo era quello di costruire un modello di
cooperazione economica internazionale guidato dagli USA in cui la politica e i sistemi di
governance avessero un ruolo fondamentale che viene ovviamente visto in chiave keynesiana.
Inoltre, gli Stati Uniti mettono un punto al loro isolazionismo preoccupandosi di favorire
pienamente e rapidamente la ripresa dell’Europa attraverso l’instaurazione del PIANO
MARSHALL (1947). Come funzionava?
Il piano dura 4 anni (1948-1952), prevede un impegno finanziario degli USA verso i paesi alleati
e non, questo perché ormai gli americani non puntano all’umiliazione degli sconfitti e capiscono
che la ripresa dell’Europa passa per un contestuale ritorno ad un’economia internazionale di pace. Il
piano Marshall (particolarmente aderente alle teorie di Keynes) non prevede l’attribuzione di fondi
di capitale ai paesi europei da parte degli USA ma prevede piuttosto un complesso meccanismo di
aiuti materiali (merci, macchine della produzione, beni alimentari) forniti dagli Stati Uniti.
Inizialmente gli usa chiedono ai singoli paesi europei di formulare un loro fabbisogno che viene
preventivamente valutato e poi reso coerente in maniera complessiva dall’OECE (un’istituzione
voluta degli USA composta dai paesi europei); tuttavia la decisione finale spettava ad un altro ente:
l’ECA (voluto dal congresso americano) che gestiva il flusso di risorse tra USA ed EUROPA.
Con questo complesso sistema decisionale si comprende facilmente il fatto che gli Stati Uniti sono
disposti ad aumentare il flusso di risorse verso i paesi europei A PATTO CHE queste risorse
siano impegnate nelllo sforzo di riavviare l’economia di pace.
Perciò, dopo l’approvazione dell’ECA, cominciano a partire gli aiuti materiali verso l’Europa;
questi beni arrivano ai singoli stati europei i quali successivamente rivendono i suddetti beni agli
operatori economici nazionali ad un prezzo ‘politico’ (fuori mercato) che consente di acquisire
ulteriori risorse. Inoltre ogni governo doveva costituire un "fondo di contropartita" nella propria
moneta nazionale; tale fondo (in cui doveva essere versato il ricavato dalla vendita delle merci
ottenute) doveva essere utilizzato per la ripresa e lo sviluppo economico del paese, questo ha un
effetto di moltiplicatore nello sviluppare una forza di sostegno alla ripresa delle economie
internazionali; TUTTAVIA il fondo in questione poteva essere gestito solo attraverso le decisioni
prese dall’ECA (quindi dagli USA).
In appena 4 anni questo sistema, fortemente concentrato nelle mani degli USA, riesce a costituire
un punto di forza per la ripresa dell’economia europea.
Nel piano Marshall si notano degli elementi innovativi:
1. una scelta politica coerente, gli USA vogliono contribuire alla ripresa dell’Europa
indipendentemente da vincitori e vinti;
2. capacità di collegare questi aiuti anche alla prospettiva di non incorrere più in una crisi di
sovrapproduzione, perciò si preferendo risorse materiali piuttosto che monetarie;
3. gli USA esercitano con forza questo ruolo di promotore dello sviluppo, riservandosi anche la
facoltà di decidere sui fondi di contropartita;
La conferenza di BRETTON WOODS del 1944 favorisce la costruzione istituzionale del piano
MARSHALL; esso era formato da 3 istituzioni:
1. FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE (FMI): destinato a garantire la stabilita
monetaria dell’economia internazionale accogliendo quelli che erano i principi basilari del
gold standard ma con una correzione di rotta poiché ormai l’oro aveva lasciato il posto al
dollaro. Il compito era concedere crediti a breve termine ai paesi in difficoltà a patto di
impostare politiche di risanamento dei bilanci quindi occorre guardare alla prospettiva di
tenere i conti pubblici in ordine utilizzando 3 elementi:
a) controllo del mantenimento della parità aurea= nel caso di squilibri della moneta nazionale gli
stati possono eccedere del più o meno 10% rispetto a quella che è la parità aurea fissata ma è
possibile farlo solo in maniera temporanea;
b) attività di condizionalità= lo stato in difficoltà riceverà risorse monetarie dal FMI solo a
condizione che quelle risorse vengano impiegate per riuscire ad equilibrare la parità aurea fissata;
c) attività di sorveglianza= per esempio sui flussi complessivi di capitale di un paese all’altro;
2. BANCA MONDIALE: che oggi agisce come istituto di credito e che serve a rilasciare
una serie di capitali per finanziare progetti per la ripresa dello sviluppo economico dei
paesi più arretrati. In realtà all’origine, questo istituto era stato pensato per la ricostruzione
europea, tuttavia questa richiedeva molti più specifici impegni (ecco perchè nasce il piano
Marshall) perciò la Banca Mondiale verrà poi dirottata nel sostegno al processo di sviluppo
dei paesi più poveri;
La partecipazione dei paesi a queste 3 istituzioni è volontaria, tuttavia c’è un intreccio fra queste 3
istituzioni. Esse per funzionare hanno bisogno di un budget che viene conferito dai paesi, il paese
che fornisce maggiori risorse è anche colui che ha un maggior peso in sede decisionale.
[Ai tempi il paese con maggior peso era l’America, in virtù degli aiuti forniti ai paesi europei ma
anche a causa di implicazioni geopolitiche (basti pensare alla ‘Cortina di ferro’ della Guerra
Fredda)].
Il sistema GATT riguarderà in modo prevalente gli scambi di beni manufatti. Perchè?
Il commercio internazionale della prima globalizzazione era di tipo verticale: cioè beni manufatti
del nord erano scambiati con le materie prime e i prodotti agricoli provenienti dal sud (il così detto
scambio ineguale); all’indomani del secondo conflitto mondiale le politiche di stampo liberista
verranno applicate soltanto ai beni manufatti, si tengono fuori i paesi in via di sviluppo i quali
verranno concepiti come dei pericolosi concorrenti su almeno 2 mercati: prodotti tessili e prodotti
agricoli.
Questo significa che la partita si svolge soltanto tra i paesi sviluppati, mentre quelli in via di
sviluppo continuano ad incorrere in misure protezionistiche data la natura dei beni venduti.
Si passa così da un modello di scambio di tipo verticale come quello della fine dell’800 (che tra
l’altro garantiva maggiore partecipazione dei paesi più poveri al mercato internazionale) ad un
commercio orizzontale in cui i beni scambiati sono solo i quelli manufatti.
L’economia internazionale riparte grazie alla mobilità dei diversi fattori (capitali, fattori produttivi,
mobilità umana).
Se nella prima globalizzazione la mobilità dei fattori aveva un senso univoco, cioè i questi
andavano tutti nella stessa direzione ovvero gli USA; adesso invece, con la seconda globalizzazione
abbiamo flussi divergenti poiché troviamo una mobilità dei fattori solo tra i paesi ricchi.
TUTTAVIA i flussi migratori questa volta hanno un andamento diverso: non più da nord a nord ma
da sud a nord; questo alimenta la divergenza fra nord e sud.
Ciò che bisogna notare è che durante la prima globalizzazione le disuguaglianze economiche
all’interno dei paesi erano in qualche modo non troppo evidenti, anzi tendevano ad equipararsi;
nella seconda globalizzazione, invece, si registra uno scarto interno consistente fra nord e sud,
anche in virtù del fatto che i paesi del nord cercano di ‘raggiungere’ le economie di zone più
avanzate tramite processo di catching-up.
Durante questi 20 anni non ci sono crisi, lo stato gioca un ruolo fondamentale in piena
conformità con le teorie keynesiane.
LA CRISI DEGLI ANNI 70: tra la fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 70 concorrono una serie
di circostanze che cambiano il quadro di crescita, i grandi miracoli economici si tramutano in un
momento di stop. 2 elementi concorrono alla crisi:
1. il dollaro non è più in grado di sostenere il sistema di Bretton Woods: il dollaro con Bretton
Woods veniva definito come la moneta forte, come la moneta dei pagamenti internazionali.
Perciò il dollaro doveva essere coniato in quantità tali da sostenere non solo gli scambi
interni al paese ma anche gli scambi del sistema internazionale nel suo complesso. A causa
dell’importanza del dollaro il bilancio americano è strutturalmente in deficit, ma è un deficit
giustificato dal ruolo fondamentale che quella moneta gioca all’interno del sistema
internazionale.
Alla fine degli anni 70 il dollaro viene a subire una serie di interventi interni da parte degli USA che
ne minano la forza: gli USA finanziano la guerra in Vietnam. Sono anni in cui si comincia a
speculare sulla tenuta del dollaro; nel 1971 Nixon affermerà che il dollaro non è più in grado di
reggere il sistema dei cambi fissi di Bretton Woods.
Da quel momento in poi, il dollaro non può più rappresentare quella riserva su cui si erano costruite
le parità auree e il sistema dei cambi fissi viene sostituito da uno a cambi flessibili.
2. Lo shock petrolifero del 1973: precedentemente il mercato del petrolio era saldamente in
mano alle “7 sorelle” cioe sette multinazionali (5 americane e 2 inglesi) che gestivano
l’intero mercato e che offrivano il petrolio a prezzi assolutamente bassi.
A partire dagli anni 60, causa del prevalere di élite sovietiche, avviene un processo di
nazionalizzazione della risorsa del petrolio da parte dei paesi arabi produttori di petrolio insieme al
Venezuela e dunque (anche a causa di implicazioni geopolitiche) per andare contro all’America si
decide di aumentare il prezzo del petrolio ( che passa da 3 dollari al gallone a 11 dollari al gallone).
Questo cosa implica? Se prima il sistema economico si poteva dotare di petrolio a costi molto bassi,
adesso a causa dell’aumento del prezzo il sistema economico si trova all’interno di un quadro
disastroso dei costi della produzione (oltre ad aumentare il costo del petrolio aumenta anche il costo
del lavoro). Il sistema fordista non regge più a questi costi, come anche il sistema politico dei tempi.
i paesi poveri non sono in grado di convertire questo credito in processo di sviluppo, inizia quindi la
piaga dell’indebitamento finanziario dei paesi più poveri.
Dalla crisi degli anni 70 si uscirà grazie alla terza rivoluzione tecnologica, quella informatica.
Prima la tecnologia era di tipo materiale: carbone, vapore. petrolio ecc. , adesso il paradigma
prevalente è la conoscenza. In questa rivoluzione si registra anche il passaggio da un modello
classico di multinazionale ad un modello transnazionale.
-Modello classico: esiste un’impresa madre che costruisce delle sussidiarie in altri paesi;
-Modello transnazionale: l’impresa madre non ha più vantaggio a costruire una sussidiaria in un
altro paese ma è molto più conveniente costruire un rapporto di affari con imprese già esistenti in
altri paesi a condizione che queste utilizzino i nuovi linguaggi dell’economia e della conoscenza.
IL PROCESSO DI PRODUZIONE SI È ORA INTERNAZIONALIZZATO.
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21/04/20
SECONDA PARTE DEL CORSO: le migrazioni, elementi che determinano questo fenomeno e le
metodologie utilizzate per studiarlo.
LE MIGRAZIONI
Le migrazioni sono uno di quei fattori di mobilità che determinano la qualità del processo di
globalizzazione; migrazione e globalizzazione sono fenomeni proporzionalmente correlati, come
anche la rivoluzione dei trasporti e della comunicazione. Altra questione che favorirà la
migrazione è il fatto che verranno a crearsi diverse velocità nei processi di sviluppo (diffusione
selettiva dei modelli di sviluppo), anche in virtù di questo processo le masse tenderanno a migrare.
Tutti questi fattori determinano, nel contesto di un economia che va sempre più globalizzandosi,
molte disuguaglianze economiche; infatti, la spinta che determina la scelta di migrare riflette in
primo luogo la percezione di queste disuguaglianze. È proprio a causa di questa percezione che le
persone saranno indotte a migrare, così da riuscire a migliorare le proprie condizioni di vita.
Il tema della disuguaglianza economica in realtà varia a seconda delle EPOCHE STORICHE:
-PRIMA GLOBALIZZAZIONE: con l’avvio dell’industrializzazione la disuguaglianza si determina
all’interno dei diversi contesti nazionali ma, ancor di più, determina un allargamento del divario tra
i diversi paesi (disuguaglianza esterna); l’800 quindi genera ineguaglianza interna ed esterna.
caso che in quest’epoca i processi migratori vadano lentamente a diminuirsi, anche a causa di scelte
costrittive degli stati per i cittadini in entrata (es. protezionismo degli USA).
Se invece questo processo industriale procede in maniera lenta (ad esempio si sceglie di essere
giocatori della partita finanziaria) tutto si traduce in una impennata delle disparità economiche
interne tra i paesi più sviluppati.
Nel periodo di riferimento, dunque si registra nei paesi una divaricazione interna causata della
mancanza degli ammortizzatori sociali (modelli di welfare, che aiutavano nella redistribuzione della
ricchezza) e dal forte livello di finanziarizzazione dell’economia.
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22/04/20
LA STORIA DELLE MIGRAZIONI IN TRE ONDATE (Colucci- Sanfilippo)
1) MIGRAZIONI NEL PERIODO COLONIALE
Dall’avvio del XIX secolo allo scoppio della Grande Guerra si assiste ad una notevole crescita dei
flussi migratori all’interno di vari vettori. In questo periodo, infatti, quello che è un elemento
connaturato all’esistenza umana cambia in qualità e quantità. Difatti, è nel secolo XIX che
l’emigrazione diventa fenomeno di massa in cui il colonialismo agisce come fattore coadiuvante.
In termini percentuali (ben il 10% della popolazione mondiale in movimento) questo periodo
rappresenta un picco nella storia delle migrazioni mai più raggiunto.
• Emigrazioni politiche: le emigrazioni per ragioni politiche sono, per tutta la prima
globalizzazione, particolarmente rilevanti. Basti ricordare le sostanziose minoranze di
Polacchi ed Ebrei russi presenti negli USA già all’inizio del secolo XX in fuga da un’Est
Europa autocratica o nel caos più completo; per renderci conto delle proporzioni del
fenomeno vale la pena di ricordare che circa i due quinti degli Ebrei russi emigrarono in
questo periodo solo verso gli Stati Uniti.
4 Quando le risorse alimentari disponibili sono insufficienti nel lungo periodo, a soddisfare i bisogni dell'intera
popolazione.
attraversata ininterrottamente da diversi conflitti, l’Europa del 1945 vede milioni di profughi
doversi spostare da una parte all’altra del continente. Troviamo i Tedeschi che si erano stanziati
nell’Est Europeo e che ora sono portati dall’instaurazione del socialismo reale a ritornare in
Germania; non possono poi essere dimenticati i flussi tra la Repubblica Federale Tedesca (BRD) e
la Repubblica Democratica Tedesca (DDR), e tra le due parti di Berlino. Al contempo, un flusso più
ridotto di migranti parte dall’Inghilterra per dirigersi verso gli USA. Il ciclo migratorio si esaurì
soltanto negli anni ’70, quando la crisi aprì – all’opposto – la questione del contro-esodo.
In ogni caso, la percentuale di persone in movimento sono prossime alla metà delle cifre registrate
nell’epoca precedente.
I migranti che si spostano nel secondo dopoguerra sono in media sensibilmente più istruiti rispetto
a quelli della prima globalizzazione. In questo caso, difatti, a guidare le migrazioni è la domanda
di lavoro, la quale richiede una certa specializzazione e qualificazione della manodopera
immigrante. Al fine di certificare la qualità della manodopera in ingresso, le ex-madrepatrie
pongono in essere, a mezzo accordi bilaterali, dei sistemi di controllo della adeguatezza della
preparazione degli immigrati. Archetipico in questo senso è il cosiddetto Immigrants Act approvato
nel 1962 nel Regno Unito.
L’Est Europeo: molti Est Europei iniziano a muoversi verso l’Occidente. Tra le 15 repubbliche
post-sovietiche si ingenerano dei flussi spesso perversi che portano allo svuotamento di aree
periferiche (Siberia, Ucraina, Moldavia) a favore di economie incapaci di assorbire ulteriore
manodopera (soprattutto la Russia). I Balcani Occidentali, negli anni ’90, vivono un periodo di
collasso economico con la fuga di diverse centinaia di migliaia di profughi.
Asia: prevale la dimensione macro-regionale dei flussi migratori. La Cina, ad esempio, per un verso
attrae un certo numero di abitati degli Stati vicini e per l’altro vede massici spostamenti interni
(perlopiù verso Sud ed Est).
TENENDO PRESENTE QUESTI LIMITI, è quindi necessario guardare allo spettro sociale
dell’emigrazione; esistono altri fattori che portano all’emigrazione anche di classi meno
povere:
-migliori assetti giuridici;
-migliore qualità di alcuni servizi (es. scuola);
-capacità di salvaguardare meglio i propri risparmi;
3)TEORIE STRUTTURALISTE
Sono teorie che per spiegare il fenomeno migratorio guardano al quadro mondiale, inserendo le
variabili strutturali che agiscono : povertà, mancanza di lavoro, guerre, sovrappopolazione, etc.
Rispetto alle teorie macroeconomiche, le teorie strutturaliste privilegiano lo studio dei fattori
storico-sociali per l’analisi del fenomeno; guardano al contesto mondiale ed a ciò che l’ha definito
per poi inserire come effetto il processo migratorio.
• La teoria del sistema mondo (Wallerstein, 2000): afferma che a partire dal ‘500 si
costruisce un modello economico basato su come i paesi del centro si rapportano con i paesi
della periferia. Wallerstein nel 2000 afferma che l’emigrazione è collegata al sistema
capitalistico, infatti la penetrazione del sistema capitalistico nei paesi della periferia porta ad
un impoverimento di quest’ultimi e ad un arricchimento dei paesi del centro; questo porterà
le persone a migrare in cerca di migliori condizioni (ritorna l’importanza del differenziale
salariale).
• Teoria del mercato del lavoro duale (Piore,1979): secondo questa teoria l’emigrazione
non è causata da fattori di “spinta” nei paesi di origine ma è determinata solo da fattori di
“attrazione” che si determinano nei paesi di destinazione, dati dal fatto che questi paesi
hanno bisogno di forza lavoro (che non riescono a soddisfare). Perciò, in questa teoria la
struttura economica dei paesi avanzati è il vero volano dell’emigrazione.
Inoltre, il mercato del lavoro nei paesi avanzanti funziona in maniera duale, è formato da 2
gruppi: uno stabile di lavoratori qualificati ben pagati e protetti e una categoria di lavoratori
flessibili non protetti, cioè coloro che emigrano).
Questo determina il fatto che una parte della componente forza lavoro (quelli qualificati) vengono
ad essere gratificati ed a beneficiare dell’esistenza del processo migratorio.
3)TEORIE SOCIOLOGICHE
Come la società agisce nel favorire o rallentare i processi miratori? Quali sono i livelli di
interazione sociale entro cui si formano i processi di migrazione?
Secondo queste teorie la decisione di migrare è una scelta influenzata da gruppi di
appartenenza (famiglia, gruppi sociali, etc.) e dalle caratteristiche di quest’ultimi.
Le teorie sociologiche propongono un’integrazione fra fattori di spinta all’emigrazione (teorie
micro e macro) e interazione sociale.
Teoria istituzionale (Guilmoto e Sandron, 2005) : accanto a reti primarie come la famiglia e la
comunità di appartenenza incidono sul fenomeno migratorio anche le entità intermedie: cioè tutta
una serie di istituzioni (es. comitati d’immigrazione, agenzie dello stato, etc.) che in qualche modo
favoriscono questo processo di fuori uscita dalla nazione.
La teoria transnazionalista sembra costituire la teoria più adeguata per integrarsi in quelli
che sono i temi della global history. PERCHÈ?
1. Sul piano metodologico non assume a priori gli Stati nazione come unità di analisi prevalente;
2. Valutata il lavoro umano in tutte le sue forme, piuttosto che concentrarsi su alcune di esse.
Vengono considerate: migrazione volontaria, forzata, internazionale, interna, stagionale;
3. Non presuppone non modello lineare che individua un’unica causa la genesi dell’emigrazione;
In virtù di questi studi è possibile nominare la così detta EMIGRAZIONE VITTORIOSA cioè
quella componente di emigrazione che non ha come motivazione esclusiva l’estrema povertà e che
invece ha la capacità di muoversi in spazi economici ben più ampi in cui costruisce realtà
imprenditoriali molto significative nei paesi di destinazione. L’emigrazione vittoriosa si distingue
dall’emigrazione forzata che appartiene alla grande massa di contadini che alla fine dell’800 è
costretta a partire.
L’emigrazione vittoriosa trasporta queste comunità, che si costituiscono fuori dei paesi di arrivo (es.
Little Italy), in una dimensione che via via induce all’integrazione con il paese di destinazione.
6)TEORIE ANTROPOLOGICHE
Fanno riferimento agli studi che hanno segnato il concetto di sviluppo e sottosviluppo a partire dal
secondo conflitto mondiale; si fondano su tre diversi orientamenti metodologici:
• Teoria della modernizzazione: i paesi più sviluppati immaginano di favorire un processo di
sviluppo ad imitazione del proprio nei paesi meno avanzati. Secondo questa teoria i flussi
migratori dovrebbero consentire alle società tradizionali l’accesso alla modernità: le
migrazioni vengono viste come un fenomeno necessario ed inevitabile. Il tutto viene però
studiato in chiave astorica, senza tenere conto degli aspetti economici e politici dei paesi
della periferia.
• Teoria della dipendenza: il fenomeno migratorio segue un percorso simile a quello dello
sviluppo economico: entrambi negano la possibilità ai paesi della periferia di riuscire ad
emergere; l’unico modo per farlo sarebbe soltanto in una prospettiva “rivoluzionaria” che
possa abbattere la subalternità della periferia al centro.
• Teoria dell’articolazione: (potremmo anche definirla come teoria di mezzo) non considera
le società dei paesi in via di sviluppo come se fossero totalmente dipendenti dalle potenze
capitalistiche (come fa la teoria della dipendenza) o interamente tagliate fuori (teoria della
modernizzazione), piuttosto concepisce queste società come sicuramente influenzate dalle
potenze capitalistiche MA anche dotate di una propria logica economica, sociale; tramite
collegamenti vascolari fra questi due elementi, i migranti (riconoscendo la diversità dei
modelli che riscontrano nei paesi di destinazione rispetto a quelli di arrivo) possono
costituire un vettore attraverso cui mettere in moto uno sviluppo credibile, poggiato sulle
variabili cultuali e sociali di appartenenza.
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05/05/20
LE FONTI PER LA STORIA DELL’EMIGRAZIONE
La pluralità delle teorie fin qui esposte induce ad una sorta di approccio sistemico basato sulla
capacita di combinare varie suggestioni prese dalle diverse teorie; bisogna intendere il tutto coma la
capacità di combinare variabili micro e macro. Tuttavia il problema preliminare di quest’approccio
sistemico è dato dalla quantità e dalla qualità di dati a disposizione.
■ FONTI INTERNAZIONALI
• Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: essendo le nazioni unite un agenzia
internazionale nata anche per salvaguardare i diritti degli uomini, è ovvio che l’ONU curi
l’emigrazione in chiave umanitaria;
• Organizzazione delle Nazioni Unite Divisione Popolazione: che studia i temi
dell’emigrazione tenendo in considerazione le disuguaglianze economiche;
• Banca Mondiale : contiene anche i dati sulla circolazione delle rimesse;
• Eurostat (Ufficio statistico della Commissione Europea): immigrazione nei paesi
dell’Unione europea
• OCSE: immigrazione del continente europeo
■ FONTI ITALIANE
• Registro dei permessi di soggiorno: che passa attraverso il canale delle autorità, questo offre
però una visione molto limitata perché contabilizza solo quella parte di immigrati regolari (e
non anche quelli clandestini);
• Centro per l’impiego: si registra solo quella parte di migranti regolari;
• INPS: misurare l’incidenza contributiva dei migranti (stima: 8% migrantti regolarizzati)
• Registro delle Imprese della Camera di Commercio: imprese i cui titolari sono persone
proveniente da altre realtà nazionali;
Perciò, i LIMITI alle fonti italiane sono principalmente dati dalle politiche interne stringenti e che
favoriscono in misura minore la regolarizzazione del migrante.
■ LE FONTI STORICHE
Le statistiche ufficiali nazionali, datano dalla fine dell’800 nel quadro di una ideologia positivista
che fa ricorso al dato come elemento connaturale alla scienza del governo.
Il caso italiano:
Le prime statistiche vengono prodotte dalla fine degli anni 70 del 1800, la logica applicata era:
raccogliere pochi dati che abbiano però un elemento di certezza (riducendo i campi di rilevazione
possiamo avere dati più certi del fenomeno nel suo complesso).
In quegli anni viene fatta un’indagine statistica circa la contrapposizione tra favorevoli e contrari
all’emigrazione.
Fonti:
• Fino al 1094 abbiamo il registro dei nullaosta dei sindaci per il rilascio passaporti: i sindaci
segnano coloro che fanno richiesta di autorizzazione a richiedere il passaporto;
• Nel 1094 il registro di passaporti concessi (Pubblica sicurezza): nel momento in cui si
rilascia il passaporto si pagano anche delle tasse (da parte di chi lo riceve9 che vanno a
costituire una parte del budget del Commissariato Generale dell’emigrazione (prevista dalla
legge del 1901).
TUTTAVIA, entrambe le fonti, in maniera diversa, sono molto approssimative nella stima del
fenomeno (emigrazione clandestina, nazionale da porti esteri dove arrivano con il treno).
A causa di ciò si fa strada la necessità di incrociare le diverse fonti (registri del nullaosta, dei
passaporti che vengono confrontati anche con le liste di imbarco che sono redatte dal
Commissariato dell’emigrazione.
■ LE FONTI DI POLIZIA
(ci riferiamo ovviamente alla documentazione di queste istituzioni)
• Questura: aveva competenza su tutto ciò che riguardava l’ordine pubblico e provvedeva alla
vigilanza sugli avvenimenti e sui fattori di turbamento e di trasgressione delle disposizioni
in materia di pubblica sicurezza. Suo referente diretto era la Prefettura che assicurava il
costante raccordo con il Ministero dell’Interno. Un ruolo particolarmente delicato svolgeva
l’Ufficio di Polizia che operava presso lo Scalo marittimo, accanto all’ispettore
dell’emigrazione. L’attività di polizia riguardava sia il rilascio delle autorizzazioni, sia il
perseguimento dei reati commessi dai protagonisti delle vicende migratorie. Erano infatti di
competenza della Polizia Amministrativa la concessione di passaporti, rinnovo o rilascio,
agli emigranti. [Importanza della documentazione dei PASSAPORTI].
• Le lettere degli emigranti: si rivelano una fonte preziosa per indagare sull’integrazione degli
emigranti nei paesi d’accoglienza, reti, disgregazione familiare, conflitti di classe, l’uso
delle rimesse ecc…
commercio all’estero.
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06/05/20
LE IMPLICAZIONI ECONOMICHE DELLE MIGRAZIONI
Diversi aspetti economici del fenomeno migratorio:
• Effetti sul paese di partenza: qui collochiamo il fenomeno migratorio nella teoria dello
sviluppo economico;
• Effetti sui fattori della produzione: il peso dell’emigrazione per esempio sulla competitività
del sistema paese e questo si proietta nello scenario dell’economia internazionale;
• Effetti sul salario e l’occupazione: dobbiamo assumere a riferimento l’economia del lavoro;
• Effetti sulla spesa pubblica: entriamo sul terreno della finanza pubblica;
Questi sono i filoni entro cui si è tentato d’interpretare il fenomeno migratorio e che incrociano 4
temi fondamentali:
- Effetti sui paesi di partenza;
- Effetti sui paesi di arrivo;
- La determinanti della scelta migratoria;
- Efficacia delle politiche migratorie e costi sociali;
Quali effetti concretamente può determinare questo grande flusso di risorse attivate dagli
emigranti sui paesi di partenza (considerando che questi paesi partono da una soglia molto
bassa di stile di vita) ?
Innanzitutto bisogna valutare se queste rimesse possono contribuire allo sviluppo. Infatti, se le
rimesse sono dirette a forme di investimento nella madre-patria allora il contributo nei paesi di
origine è positivo, se invece queste risorse non si rivolgono a forme d’investimento MA si
rivolgono semplicemente al consumo delle famiglie l’effetto in questo caso è di tipo negativo,
perché questo aumento del reddito delle famiglie finirà per generare fenomeni inflattivi nel paese.
[Inoltre, se l’emigrazione è promossa dai giovani, il paese si vedrà in difetto di forza lavoro e questo
potrebbe minare al processo di sviluppo; ancora se in un paese l’emigrazione è maggiormente
femminile questa potrebbe produrre un ribasso nel settore dell’agricoltura nel paese di origine.]
L’altro aspetto è quello della capacità delle rimesse di contenere i disavanzi che si creano nella
contabilità pubblica sopratutto nelle importazioni pagate in valuta straniera.
Per quanto riguarda il miglioramento delle esportazioni le comunità emigrate all’estero possono
incidere nel miglioramento delle export sfruttando il rapporto che riescono a creare con la società
che li accoglie (nel caso italiano ritroviamo una lentezza nelle aperture del sistema degli scambi
internazionali).
Quindi, esiste un contrasto tra coloro che affermano gli effetti positivi dell’emigrazione e
coloro che affermano gli effetti negativi:
-effetti negativi: l’emigrazione ha generato effetti inflazionistici, a causa dell’aumento del
consumo);
-effetti positivi: attraverso l’economia della circolazione si erano create forme di investimento nei
paesi di provenienza;
Lo scopo fu quello dare una risposta a questa domanda servendosi dei dati; i percorsi analitici:
- Impatto dei lavoratori stranieri sul mercato del lavoro;
- Assimilazione salariale (cioè la capacità dello straniero di raggiungere un profilo salariale simile a
quello dei lavoratori nazionali);
- Effetto dell’emigrazione sulla crescita del reddito pro-capite;
- Impatto sulla spesa sociale (qui ritroviamo atteggiamenti xenofobi basati sul presupposto che in
realtà questa grande migrazione finiva col costituire un peso per il paese a causa dei servizi da
erogare agli immigrati);
- Impatto sulla struttura demografica e sul sistema pensionistico (gli emigranti riescono a sostenere
il sistema pensionistico ed il sistema demografico, le componenti giovani immigrate contribuiscono
attraverso a miglioramento di questi fattori anche pagando i contributi previdenziali);
irregolare (altri stranieri soprattutto). Invece, l’effetto sui lavoratori regolari è minimo, ma in ogni
caso l’aumento del lavoro informale tende a penalizzare, all’interno del mercato del lavoro, chi
rispetta le regole.
- POLITICA MIGRATORIA
Le politiche migratorie dei diversi stati incidono particolarmente sull’effetto di competitività o
complementarietà nel mercato del lavoro.
Es. circa gli effetti complementari: nel settore HI TECH degli USA (si richiedono ingegneri di altri
paesi poiché gli USA sono in difetto di forza lavoro in questo settore).
Le politiche migratorie impattano anche sulla qualità dell’inserimento sociale, la formazione
professionale e ciò influenza l’occupazione dei migranti.
- Una grande disponibilità di lavoro non qualificato induce le imprese a persistere in attività
produttive di tipo tradizionale ed a bassa intensità di capitale con scarsa innovazione tecnologica,
questo produce una diminuzione dei salari e un possibile spostamento verso il settore informale.
- Una minore disponibilità di lavoro non qualificato invece spingerebbe l’impresa ad investire in
settori più efficienti con maggiore intensità di capitale ed una più alta innovazione tecnologica,
questo conduce ad un aumento del lavoro qualificato e quindi dei salari.
1. Minore flessibilità del lavoro nei mercati europei (qui impatta sopratutto la diversità del ruolo dei
sindacati e delle normative);
2. La difficoltà anche da parte dei lavoratori nazionali di spostarsi dove esistono possibilità
occupazionali e salari migliori (gli immigrati sembrano più legati al luogo dove è insediata una
comunità del paese di origine);
3. Rigidità del mercato immobiliare statunitense;
4. Le maggiori barriere linguistiche;
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12/05/20
LA RICERCA STORICA SULL’EMIGRAZIONE (una rassegna)
Quali sono i filoni di ricerca, limiti, contenuti, prospettive nella storia della migrazione e del
grande esodo fine 800-900?
Un altro volume:
2009, ANNALE 24: STORIA DI ITALIA, ENAUDI LE MIGRAZIONI (A CURA DI
SAN FILIPPO E CORTI)
Questo nuovo «Annale» della Storia d’Italia dedicato alle Migrazioni prende spunto da due
considerazioni di fondo. La prima considerazione è la rilevanza che nel lungo periodo i processi di
emigrazione e di immigrazione hanno avuto nella storia italiana. Innanzi tutto è stata la posizione
strategica nel Mediterraneo a rendere l’Italia uno dei nodi di quell’intensa mobilità che ha
conferito unitarietà culturale alle civiltà del grande bacino marino. In secondo luogo è stata la
dinamica demografica esistente nelle aree di frontiera settentrionali a conferire all’Italia un altro
rilevante ruolo strategico. Le Alpi, ritenute a lungo una frontierabarriera, nelle ricerche più recenti
si sono rivelate l’altro grande spazio di comunicazione e di scambio, in virtù della radicata
mobilità delle popolazioni locali. In terzo luogo è stata l’incessante mobilità interna che,
nonostante la reiterata frammentazione politica del paese, ha caratterizzato i rapporti fra diverse
realtà, mettendo costantemente in contatto le popolazioni di differenti aree economiche e sociali. E
infine, a conferire un altro ruolo decisivo all’Italia è stato il contributo predominante che in termini
quantitativi il nostro paese ha fornito alle grandi emigrazioni europee otto-novecentesche. La
seconda considerazione investe l’attualità che i fenomeni di emigrazione e immigrazione hanno
assunto oggi, nel breve periodo, sotto lo stimolo delle tendenze affermatesi negli ultimi venti anni.
In questo arco temporale, infatti, al pari di altri paesi dell’area mediterranea, l’Italia è diventata
uno dei poli di destinazione dei flussi migratori internazionali, stimolati dalle grandi
trasformazioni economiche e politiche del mondo contemporaneo. Negli stessi anni in cui si è
andata affermando l’immigrazione straniera si è assistito inoltre alla ripresa dell’emigrazione da
parte degli italiani. Molti storici italiani e stranieri lamentano che l’emigrazione sia quasi del tutto
esclusa dalle grandi riflessioni d’insieme sulla storia del paese. Si tratta di un vuoto storiografico
che questa nuova «Grande Opera» colma in modo davvero esemplare.
In Italia vengono ad introdursi delle normative che rendono fortemente sperequate il processo di
integrazione. Un esempio attuale: in Italia predomina il principio dello ‘ius sanguinis’ e si dibatte
molto sul grande tema dello ‘ius soli’ (cioè il riconoscimento della cittadinanza italiana a chi
dimostra di essersi costruito una vita nel nostro paese). Perciò, mentre l’attuale normativa permette
di avere la cittadinanza italiana anche a figli di emigranti di seconda, terza e addirittura quarta
generazione (anche se ormai non hanno più rapporti con il nostro paese), chi invece vive nella
nostra nazione regolarmente non può accedere alla cittadinanza; troviamo un evidente disparità di
trattamento.
Con l’Annale sulle migrazioni siamo di fronte ad una concezione del fenomeno come un fatto
sociale totale (cit. Robert Marton), questo indica una stretta aderenza con la storia complessiva del
Per tal ragione gli storici economici si avvicinano allo studio del fenomeno migratorio ed esplorano
diversi campi, per esempio:
1. I rapporti tra migrazione e dinamiche dei consumi (la vita materiale dei migranti e quindi i riflessi
sul mercato dei consumi soprattutto alimentari);
2. Aspetti illegali e criminali legati alle migrazioni (l’economia del malaffare);
3. Le migrazioni delle catastrofi (attenzione particolare alle grandi catastrofi che sul luogo di lavoro
dei paesi di destinazione coinvolgono i nostri emigranti, per es. miniera di Marcinelle in Belgio);
4. Come la forza migratoria unskilled partecipa al progresso fordista delle economie di scala;
Attorno al 1880–1910 questo spostamento verso sud delle aree di partenza vede protagoniste
l’Italia, che fornì il 32% di tutti i migranti del primo decennio del secolo XX, la Spagna (ca. 10%)
e la Russia (con appena l’8%). Sono le realtà agrarie a fare la parte del leone tra le aree di
partenza, spingendo perlopiù uomini soprattutto giovani e single a emigrare. Talvolta, specie gli
immigrati negli USA, vedono quote di rimpatri abbastanza elevati. Lo stesso non si può dire
dell’America Latina, ove i contadini alle volte diventano piccoli proprietari terrieri e si
traferiscono con tutta la propria famiglia. Questa prospettiva di ascesa sociale spiega la
irreversibilità delle migrazioni verso il Brasile e, ancor di più, l’Argentina. Guardando ancora ai
dati italiani, il grande esodo è perlopiù migrazione transatlantica sebbene esistano flussi intra-
europei sostanziosi per tutto il periodo 1876–1988. Circa il 70% di quanti sono partiti tra il 1876 e
il 1915 è di origine meridionale e rurale. I flussi si indeboliscono nel periodo della Grande
Guerra e con le numerose misure restrittive messe in campo dagli USA. La migrazione riprenderà
nel periodo interbellico sia pure indirizzata sempre più marcatamente verso il Sud America —
ove i limiti all’immigrazione sono più laschi.
EMIGRAZIONI E RITORNI
Adottando una prospettiva di più lungo periodo, tra il 1870 e il 1970 il dato dell’emigrazione netta
risulta praticamente dimezzato rispetto all’emigrazione lorda da un numero di rimpatri stimato
attorno ai 11–13 milioni di persone (circa il 50% dei 27 milioni di emigrati). In questo senso, spicca
una varietà di cause:
Il ritorno dei fallimenti — proprio di tutto coloro che non riescono a integrarsi nella
società d’immigrazione nonostante il supporto delle catene migratori. In alcuni casi I
ritorni dei fallimenti sono prematuri e causati dai fiscali controlli che le autorità dei paesi
di arrivo (specie gli USA) eseguivano sui migranti. Ad ogni modo, questi ostacoli poterono
essere superati dall’emigrazione clandestine od optando per altre mete (e.g. scartando la
più gettona New York per la Louisiana e New Orleans);
Il ritorno della conservazione — proprio di quanto emigrano soltanto per accumulare le
risorse necessarie per poter tornare nella propria terra natia migliorando però il proprio
status sociale. In questo senso la mentalità del migrante resta immutata, specie nei suoi
tratti conservatori e retrogradi;
Il ritorno d’investimento — talvolta, i contadini urbanizzatisi nelle are di immigrazione
possono rimpatriare realizzando, però, una nuova attività economica slegata dal settore di
attività originario (i.e., spesso, l’agricoltura). In questo caos la mentalità del migrante muta
diventando dinamica e imprenditoriale;
Il ritorno per pensionamento — alcuni decidono, dopo aver raggiunto la pensione nel
paese di immigrazione ed esservisi integrati, decidono di rimpatriare. Questo rimpatrio
ha un sensibile impatto sulla struttura demografica dei paesi di partenza ai quali si fa
ritorno, che invecchiano precocemente.
La massa dell’emigrazione italiana è stata quantificata in circa quasi 60 milioni di individui, i.e. la
popolazione del paese nel primo decennio del XXI secolo.
LE SPINTE ALL’EMIGRAZIONE
Resta sorprendente che cotante persone fosse permesso loro di emigrare. Difatti, nell’Otto-
Novecento gli Stati europei di partenza furono restii a introdurre norme che potessero limitare
incisivamente i flussi migratori. Diversamente essi si mossero nel corso del secondo dopoguerra,
quando furono adottati accordi bilaterali in materia tra Stati di partenza e di arrivo. In assenza di
ogni ostacolo politico sensibile, i fattori strutturali poterono avere la meglio rendendo possibili
tali migrazioni:
il diverso stadio a cui la transizione demografica è giunta in paesi diversi — soprattutto
in Europa, in boom demografico, e nel Nuovo Mondo, ancora nel cosiddetto regime
tradizionale;
l’inesistenza di vincoli economici alla mobilità della manodopera;
i progressi tecnologici nel campo dei trasporti — Almeno fino agli anni 1880 si registrò
infatti una forte riduzione del costo dei biglietti. Dopo di allora i costi di viaggio
riprendono a salire, con rialzi fino al 30% per almeno due ragioni:
o Rinnovamento delle flotte col passaggio dalla vela al vapore;
In realtà, l’esperienza migratoria di Italia e Spagna dimostra un certo ritardo temporale e una
minore intensità degli effetti restrittivi sulle emigrazioni. Ciò è forse dovuto significativamente
alla maggiore povertà e i più stringenti vincoli di reddito per gli abitanti delle aree rurali più poveri
di questi paesi.
pilotata in cui al singolo viene lasciata piena libertà di emigrare ma anche l’onera di dover fare da
sé per quanto atteneva la ricerca di un lavoro.
Il programma di Crispi si traduce nel controllo della autorità di pubblica sicurezza su eventuali
illeciti e la loro repressione. Si prova a migliorare la disciplina degli agenti della polizia
migratoria attraverso l’emissione di un patentino di agente che, però, fallisce miseramente nel
proprio scopo.
Di fatto, però nessun limite venne posto allo strapotere delle compagnie di navigazione e della
borghesia meridionale nella gestione del traffico migratorio. Si riscontra, ad esempio, l’assenza
di qualsivoglia regolamentazione del contratto di trasporto. Ne derivano condizioni di trasporto
al limite della lesione della dignità umana. Tuttavia, viene istituita una commissione per la gestione
delle vertenze tra emigranti e vettori. In una parola, affermò Nitti, «l’emigrante veniva
accompagnato per mano all'imbarco per poi essere gettato in mare e abbandonato a sé stesso».
L’EMIGRAZIONE TUTELATA
La legge sulle migrazioni approvate dal governo Giolitti nel 1901 fu una forma primordiale di
legislazione sociale espressione del liberismo sociale, contrapponibile al liberismo conservatore.
Tuttavia, resta notevole l’assenza di qualsivoglia dibattito sulle cause dell'emigrazione di massa.
Rottura o continuità?
La legge arrivò sino a fissare i noli e i costi dei biglietti per legge. Tuttavia, non va esagerata la
sua carica di rottura rispetto al passato. Difatti, la legge del 1901 conserva il vecchio impianto
privatistico della legge del 1881. Insomma, essa non interviene a regolamentare il rapporto tra
emigrante e vettore in maniera diretta. La stessa abolizione dell’agente di emigrazione viene
facilmente aggirato dalle compagnie di navigazione conferendo agli ex-agenti la veste giuridica dei
rappresentanti.