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Associazione Mnemosine

Saggio Breve

LA GLOBALIZZIONE

Modulo 1: Geografia

Dott.ssa
Maria Elena Barbera
La globalizzazione.

Il termine “globalizzazione” è usato così spesso che ormai la parola è entrata nel linguaggio
comune.
Si riferisce principalmente alla crescita degli scambi commerciali nel mondo ed è stato usato per la
prima volta nel 1983 dall’economista statunitense Theodore Levittin in un momento in cui i
processi di integrazione economica e culturale erano ancora allo stato embrionale.
Il fenomeno a cui il termine fa riferimento oggi suscita meno scalpore che in passato ma genera
ancora accesi dibattiti tra quanti sostengono che sia positivo in quanto capace di generare un
aumento di benessere e ricchezza per tutti e quanti ritengono invece che sia fonte di disparità sociale
foriera di conflitti.
Per comprendere meglio le ragioni degli uni e degli altri occorre interrogarsi sul significato del
termine e provare a comprendere l’evoluzione storica del processo evidenziando gli elementi di
continuità e di discontinuità rispetto al passato.
In dottrina il termine “globalizzazione” indica un processo tra le economie dei paesi del mondo
facendo riferimento alla mobilità delle merci, dell’informazione, dei fattori produttivi e alla capacità
di movimento globale del capitale e degli strumenti finanziari.
La globalizzazione dell’economia si basa su quella della comunicazione e dei valori culturali
teorizzata da Marshall McLuhan, sociologo canadese, che afferma che è stata l’evoluzione dei mass
media a trasformare il mondo in un “villaggio globale” dove i valori sono universali e condivisi.
Il mondo globale risulta così come un grande spazio di mercato governato dalla pubblicità e dai
beni di consumo.
Si possono distinguere varie declinazioni della globalizzazione: la “globalizzazione del sapere
scientifico-tecnologico” che riguarda la propaganda di nuove tecnologie frutto della cooperazione
internazionale; la “globalizzazione delle imprese” che riguarda i fattori produttivi le attività
economiche su scala mondiale, dove le imprese multinazionali operano sia in paesi industrializzati
che in via di sviluppo; la “globalizzazione del mercato del lavoro” che riguarda la tutela della mano
d’opera; la “globalizzazione finanziaria” per cui investitori, banche e società riescono a muovere
capitali acquistando e vendendo grazie alle tecnologie informatiche in tutto il mondo; la
“globalizzazione ambientale” dove la manifestazione più clamorosa è l’effetto serra o la scomparsa
di specie vegetali o animali; la ”globalizzazione culturale” che significa omologazione dei costumi
e delle esigenze comuni; la “globalizzazione geopolitica”, dove si assiste all’interdipendenza delle
decisioni, soprattutto politiche; ed infine la “globalizzazione delle istituzioni” che riguarda le
decisioni delle istituzioni mondiali quali ONU, NATO, WTO.
La globalizzazione economica

La “globalizzazione dell’economia” è il fenomeno che riguarda l’unificazione dei mercati a livello


mondiale grazie alla diffusione delle innovazioni tecnologiche che hanno spinto verso modelli di
consumo e di produzioni uniformi e convergenti.
Sono tre i fattori basilari che hanno caratterizzato l’economia mondiale negli ultimi vent’anni: un
forte aumento degli scambi internazionali di merci e di servizi, un turbinoso aumento dei flussi
finanziari tra i diversi mercati, una spontanea impennata degli investimenti diretti esteri (IDE).
Tutto questo, però, ha anche portato all’indebolimento del potere politico, alla crescente
interconnessione delle regioni e degli stati e all’affievolirsi delle distanze geografiche funzionali.
L’abbattimento delle barriere economiche che ostacolavano il trasporto di merci e capitali ha
sicuramente favorito la globalizzazione economica soprattutto per le aziende multinazionali
americane che hanno sostenuto una politica di apertura e ha portato una grande opportunità di
sviluppo economico e di affermazione di modelli politico-culturali.
Nella nuova panoramica di integrazione mondiale le potenze economiche storicamente consolidate
sono però più fragili in quanto i loro settori produttivi sono minacciati dai paesi di nuova
industrializzazione.
L’evidenza più diretta dell’evento della globalizzazione è il progressivo trasferimento dagli storici
centri industrializzati progressivamente verso nuove realtà di produzione precedentemente
sottosviluppate. Con la diffusione dell'industrializzazione al di fuori dei suoi epicentri tradizionali,
quelle che erano le realtà più emarginate diventano ora protagoniste dell’economia mondiale e
tantissime persone possono aspirare a consumi e benessere prima impensabili.
La grande protagonista oggi è la Cina il cui decollo produttivo procede velocemente e con volumi
tali da colpire l’intera economia mondiale.
Altri modelli di modernizzazione si stanno avendo nel subcontinente indiano dove il progresso
economico, secondo il modello cinese, potrebbe rappresentare il prossimo sconvolgimento
dell’economia globale e di conseguenza una svolta nello sviluppo dell’umanità.
Un altro aspetto importante del fenomeno della globalizzazione dell’economia è lo sviluppo del
commercio internazionale.
Le esportazioni industriali sono aumentate cinque volte di più rispetto a quelle dei prodotti agricoli
e minerali. Questo aumento del commercio internazionale è dovuto a vari fattori: abbattimento delle
barriere doganali, miglioramento dei trasporti e delle comunicazioni, decentramento produttivo
delle multinazionali e creazione di zone di libero scambio sempre più estese che consentono ai paesi
di specializzarsi nelle attività produttive in cui sono più competitivi e allargare la propria
produttività aprendola ai mercati internazionali e agli scambi commerciali favoriti da nuove
tecnologie e sostenuti dalle istituzioni.
A livello istituzionale, il liberismo generale, è stato accompagnato dalle creazione nel 1995 del
World Trade Organization (WTO), Organizzazione Mondiale del Commercio, con l’obiettivo di
ridurre le barriere doganali e la liberalizzazione degli scambi.
Questa liberalizzazione va considerata come un progresso economico in contrapposizione
all’isolamento protezionistico.
La WTO è stato accusato di sacrificare, in nome della libertà di commercio, valori più importanti
come salute e ambiente imponendo la circolazione di prodotti nocivi realizzati spesso senza il
rispetto degli equilibri ecologici o con sfruttamento minorile.
La paura è che oggi il governo dell’economia mondiale risponda più agli interessi delle potenze
dominanti e delle imprese multinazionali che a quello del genere umano.
Il fondo monetario internazionale, la banca mondiale e il WTO, affermano invece che la
liberalizzazione dell’economia possa garantire una crescita della produzione della ricchezza così
velocemente da poter coprire le esigenze dello sviluppo sociale. Questa convinzione è molto
discutibile, il rischio è che lasciando campo libero alle forze economiche si crei la distruzione dello
stato sociale.
Queste possibili conseguenze antisociali vanno contrastate con l’innovazione e la diffusione dei
progressi sociali, poiché senza conquiste sociali o spartizione equa della ricchezza la
globalizzazione sarebbe soltanto sfruttamento e depauperazione.
Uno dei meccanismi di funzionamento della globalizzazione economica è rappresentato dagli
investimenti verso l’estero e questo costituisce la vera strategia che sta cambiando l’economia
mondiale. Gli IDE, Investimenti Diretti Esteri, sono impegni di capitale attraverso i quali
un’impresa crea una filiale all’estero, o ha il controllo di una società estera, acquistando una
percentuale del capitale. Sono investimenti fatti al di fuori del paese di origine ma all’interno della
struttura produttiva della compagnia che li effettua e che quindi conserva il controllo delle risorse
trasferite.
Gli IDE favoriscono il processo di delocalizzazione produttiva internazionale, cioè la tendenza delle
imprese a trasferire le proprie strutture produttive in paesi in via di sviluppo per abbassare i costi di
produzione, conquistare nuovi mercati e inserirsi strategicamente nel mercato globale. La
“delocalizzazione” è un’attività industriale che si sviluppa laddove gli imprenditori possono trovare
le condizioni ideali per creare un business.
Attualmente il 35% degli investimenti esteri è rivolto verso i paesi in via di sviluppo.
L’espansione degli IDE è determinata dal moltiplicarsi delle fusioni e delle acquisizioni delle
imprese che caratterizza da almeno vent’anni l’economia mondiale.
Il decentramento internazionale e i successivi processi stanno rendendo sempre più anonimi
l’identità geografica delle imprese dove va invece rafforzando il carattere transnazionale.
Manifestazioni di questo fenomeno sono le società multinazionali, ovvero associazioni industriali,
commerciali e finanziarie la cui sede principale è situata nei Paesi più ricchi dai quali operano
attraverso varie sedi secondarie ubicate in Paesi meno evoluti.

La globalizzazione e le migrazioni internazionali.

Uno degli esiti più importanti e problematici della globalizzazione è sicuramente l'intensificarsi
delle migrazioni internazionali, che si diramano in prevalenza dal Sud al Nord del mondo, verso gli
itinerari più vari, spinti dalla ricerca di status di vita migliore. Il numero totale degli emigrati oggi
nel mondo (cioè di coloro che risiedono in paesi diversi da quelli di nascita) è valutato in circa 175
milioni di persone, pari a meno del 3% della popolazione mondiale. Il tasso migratorio non è molto
dissimile da quello storico di lungo periodo ma sta vivendo una rapida crescita (ca 6% in Europa
occidentale e oltre il 10% negli USA, cioè nelle principali aree di «accoglienza»). Le migrazioni
sono l'unico tra i grandi flussi della globalizzazione a essere arginato e ostacolato attraverso
impedimenti frapposti da un numero crescente di paesi con provvedimenti di dubbia legittimità
giuridica e morale. Mentre infatti le frontiere vengono aperte davanti a merci, capitali e
informazioni, tornano a chiudersi di fronte agli emigranti. La limitazione di clandestinità imposta ai
lavoratori stranieri molte vote rappresenta un modo per favorirne lo sfruttamento. Comunque li si
calcoli, i fenomeni migratori sono destinati a aumentare sia perché sono indotti da cause
insopprimibili, sia perché i paesi di destinazione hanno bisogno degli immigrati. Solo una
espansione reale della crescita economica nel Sud del mondo può veramente arginare i flussi
migratori, con tutti gli strazi e i diverbi che comportano.
Le cause dell'emigrazione dal Sud al Nord sono sostanzialmente cinque:
1) disparità di opportunità e di retribuzioni tra Sud e Nord;
2) instabilità e conflitti diffusi nei paesi in via di sviluppo;
3) difformità nell'età media della popolazione;
4) funzione attrattiva dell'emigrazione già stanziata;
5)diminuzione dei costi e delle difficoltà dei viaggi.
La conseguenza economica più diretta dei flussi migratori è l'aumento di denaro inviato dai
lavoratori verso i paesi di origine. Questo rappresenta per il Sud del mondo la seconda maggior
fonte di afflusso di capitali, minore agli investimenti esteri, ma pari a tre volte degli aiuti ufficiali
allo sviluppo.
Il trasferimento di ricchezza prodotto dalle rimesse è un elemento importante di riequilibrio nei
divari economici internazionali. Un'importanza anche maggiore delle emissioni di denaro hanno i
versamenti di competenza e di imprenditorialità che in qualche maniera rimbalzano verso i paesi in
via di sviluppo attraverso l'esperienza degli emigranti. L'emigrazione insomma può essere una
soluzione tale in prospettiva da eliminare le cause stesse che la determinano. Le rimesse degli
emigrati hanno una forte concentrazione geografica visto che nei primi 10 paesi riceventi affluisce
circa il 60% del totale. I principali paesi per afflusso delle rimesse sono India e Messico (circa 10
miliardi di dollari all'anno) seguiti da Filippine, Brasile, Egitto, Salvador, Repubblica Dominicana,
Marocco, Bangladesh. La Cina, nonostante la sua enorme popolazione, alimenta un flusso piuttosto
contenuto di rimesse, meno di 2 miliardi di dollari annui, a causa di un'integrazione più completa
nei paesi di nuova residenza. In alcuni paesi di piccole popolazioni ma a forte tradizione migratoria
le rimesse arrivano addirittura a formare quote eccedenti il 10% del PIL (Lesotho, Giordania,
Albania, Nicaragua, Marocco e Filippine).

I no-global.

La globalizzazione interessa una molteplicità di fattori sociali, economici e tecnologici ed è stata


coinvolta da eventi mediatici e storici importanti.
Nel dicembre del 1999, a Seattle, in occasione del vertice della WTO, compare per la prima volta
un movimento di protesta costituito da ambientalisti, solidaristi, sostenitori dei diritti umani, i NO-
GLOBAL, che si opponevano alla globalizzazione sostenuta dalle maggiori istituzioni mondiali
(WTO, FMI, Banca Mondiale e G8).
Il movimento no-global, formato da un gruppo di contestatori che consideravano inaccettabile
l’iniquità tra Nord e Sud del mondo, nasce come risposta agli avvenimenti che si sono svolti alla
fine della guerra fredda: crisi dello Stato sociale, caduta delle barriere economiche e
delocalizzazione dei comparti produttivi e anche da un denunciato divario dell’esclusione sociale in
alcune parti del mondo dovute ai cambiamenti economici dei paesi in via di sviluppo.
La critica principale mossa fu nei confronti delle multinazionali che, secondo questo movimento,
riducevano ancor più in modo penoso i paesi già arretrati a causa dello sfruttamento minorile, delle
guerre e dello sfruttamento ambientale, distruggendo interi paesi dal punto di vista politico, sociale
ed economico.
Inizialmente il movimento si schierò semplicemente contro la globalizzazione ma successivamente,
dopo discussioni all’interno del gruppo stesso, trasformò questa opposizione a favore di una
trasformazione che opera a beneficio di tutti.
Dopo i tragici scontri, come quello del G8 di Genova, il movimento ha intrapreso una corrente
pacifista, finalizzata alla costruzione di un modello di crescita proficuo.
È soltanto durante il forum sociale di Porto Alegre (Brasile), del 2002, che si sono poste delle basi
comuni come la proposta di applicare un “Tobin tax”, avanzata nel 1972 del James Tobin
economista premio Nobel, per evitare la speculazione e le transazioni finanziarie e sostenere i paesi
arretrati supportando i soggetti meno attivi alla globalizzazione.

La globalizzazione tra speranza e omissioni.

La crisi mondiale del 2007 e la crisi del debito europeo hanno determinato una forte contrazione
dell'economia mondiale e, di conseguenza, del commercio internazionale. Tuttavia, la presenza di
istituzioni internazionali e gli sforzi continui per coordinare l'economia non solo hanno contribuito a
contenere la crisi, ma hanno anche contribuito a evitare le immediate risposte nazionaliste (politiche
e militari) come quelle che un secolo fa ci furono al termine della crisi della Belle Époque. Negli
ultimi anni, tuttavia si sono osservati importanti cambiamenti che suggeriscono una possibile
inversione di tendenza. Si pensi, ad esempio, all’unilateralismo alternato dell’amministrazione
americana di Trump sulla politica commerciale estera e militare; all’uscita della Gran Bretagna
dall’Unione Europea (Brexit); alla diffusione dell’ideologia e della sovranità in Europa e in molti
paesi emergenti; alle discordie, militari e non, tra e all’interno dei paesi; alla crisi nella gestione
degli emigranti dei richiedenti asilo in Europa; alle difficoltà gestionali dell’OMC dovute alla
cooperazione limitata tra gli Stati membri. Un cambiamento importante riguarderà anche futuri
negoziati e confronti tra gli Stati.
Oggi a livello internazionale è sempre più auspicabile una gestione dei fenomeni migratori, delle
risorse non rinnovabili e le materie prime (acqua, combustibili, terre rare) e della gestione delle reti
di trasporto di gas, acqua, petrolio e dati informatici. È sempre più importante riformare le
piattaforme di integrazione più avanzate (come il NAFTA, e ancor di più l'UE), creare meccanismi
automatici per arginare gli squilibri economici internazionali, combattere il terrorismo
transnazionale, proteggere l'ambiente e frenare i cambiamenti climatici, diversi, la gestione dello
squilibrio delle dinamiche demografiche nel continente, adeguandosi all'introduzione di nuove
tecnologie digitali in grado di modificare la distribuzione dell'attività economica (soprattutto dei
servizi) tra persone, imprese e regioni del mondo, come lo è la regolamentazione delle
multinazionali che operano quasi come monopoli in tutto il mondo e l'uso più frequente di sanzioni
economiche per raggiungere obiettivi politici.
Di particolare rilievo sono le situazioni evolutive delle potenze emergenti (Cina, India, Russia e
Brasile), la capacità di alcune potenze africane di avviare un processo di crescita stabile e
sostenibile, e l'evoluzione dei paesi sviluppati di fronte all'evoluzione ed economica e al declino
demografico (Giappone e alcuni paesi europei, tra cui l'Italia).

A livello mondiale il commercio internazionale è governato da regole che determinano non solo il
potere politico ed economico degli stati sviluppati o il potere autonomo delle imprese
transnazionali ma anche l’impotenza negoziale dei paesi poveri e vulnerabili che operano nel
mercato delle materie prime dei mercati sviluppati con l’imposizione dei sistemi protezionisti. La
penetrazione dei prodotti agro-alimentari sussidiati ha abbassato i prezzi sul mercato globale
danneggiando i contadini.
La riduzione dei prezzi delle materie agricole è stata enfatizzata dai paesi sviluppati, infatti gli Stati
Uniti e L’Europa hanno deprezzato i beni primari delle economie dei paesi in via d sviluppo. Questa
alterazione degli scambi è uno dei fattori che determina il debito dei paesi che dipendono
dall’esportazione di materie prime. Il punto principale dovrebbe essere quello dell’equità sia nel
commercio internazionale che nel sostegno alla diversificazione produttiva.
La Banca Mondiale, nel Global Economie Prospects, auspica la diversificazione come un degli
obiettivi per i paesi in via di sviluppo e una revisione delle tariffe a favore dei paesi poveri.
I paesi sviluppati hanno creato un sistema di esportazioni, soprattutto prodotti agricoli, dai paesi in
via di sviluppo dove si assiste alla vendita sotto i costi di produzione (dumping) perché più sale il
valore aggiunto dei prodotti dei paesi in via di sviluppo tanto più salgono i dazi.
Anche la certificazione d’origine dei prodotti si sta trasformando da una protezione ambientale e
sanitaria in una norma di tipo-protezionistico. Questo sistema è veramente deleterio per lo sviluppo
e la diversificazione produttiva dei paesi poveri, inoltre questi meccanismi di dumping non operano
a favore dell’ambiente, la politica agricola europea, infatti, con l’accordo del 2003, ha
ridimensionato le aspettative di riduzione della produzione con una eliminazione del sostegno al
dumping delle esportazioni e con la conversione verso una tutela dell’ambiente e dello sviluppo
rurale. Infatti nel 2001 l’Unione Europea ha azzerato il dazi doganale nell’iniziativa “Everything
but Arms”, che lancia l’apertura dei mercati ai paesi più poveri. L’iniziativa stabilisce dei dazi
permanenti con lo scopo di creare condizioni anche per una diversificazione produttiva.
Il problema di questa riforma è l’efficacia, infatti non si applica a tutti i paesi in via di sviluppo ma
solo ai paesi meno sviluppati i cosidetti “Deast Developed Contries”. Ulteriore problematica è che
European Banking Authority (EBA) ha fatto liberalizzare un gran numero di prodotti che non sono
esportati che ha portato al rischio protezionistico collegato ai vincoli e agli adempimenti burocratici
e amministrativi per la certificazione d’origine con la conseguenza per molti paesi di dover
rinunciare all’utilizzo delle agevolazioni daziarie. Bisognerà quindi in futuro per una
globalizzazione economica sostenibile favorire la diversificazione produttiva, richiedere la
semplificazione delle regole di tracciabilità dell’ origine dei prodotti, adottare una combinazione tra
sostegno e assistenza tecnica, soprattutto per paesi meno sviluppati che sono privi di tecnologia e
strutture amministrative adeguate.

Conclusione.
La globalizzazione genera accesi dibattiti. Talvolta è presentata come uno strumento di
modernizzazione in altri casi come un emergenza, secondo alcuni contribuisce alla ricchezza delle
nazioni, per altri implica l’impoverimento delle masse a beneficio di una classe privilegiata.
È accusata di aver prodotto la deregolamentazione finanziaria, la deflagrazione delle disuguaglianze,
le delocalizzazioni, la perdita delle frontiere e l’inaridimento della cultura.
Uno dei problemi più scottanti è sicuramente la deflagrazione delle disuguaglianze. L’economista
Piketty (1971) sostiene che sia più urgente che mai oggi rimettere la questione della disparità
sociale al centro dell’analisi economica. Per troppo tempo è stato trascurato il problema della
ripartizione delle ricchezze e della disuguaglianza sociale.
L’economista e filosofo indiano Sen ritiene che la preoccupazione principale che suscita la
globalizzazione è il livello della disuguaglianza e spinge per attuare una più equa distribuzione dei
beni a livello globale. Una giustizia totalmente condivisa. Ci si interroga quindi sulla complessità
filosofica di formulare un’ idea di giustizia universale ma anche sulla necessità di trattare le troppe
ingiustizie che sono di fronte a noi a partire da quelle più eclatanti, che riguardano la dignità umana
e colpiscono a fondo la nostra coscienza.
La globalizzazione è come uno stato di connettività complessa della società che ha degli effetti
sociali molto profondi. L’impressione è che la collettività in cui viviamo stia cambiando di scala
non più la nazione ma il mondo intero. La globalizzazione dell’economia ha portato, infatti, a una
tale integrazione che nessuna parte del sistema economico mondiale può essere considerata come
un fenomeno a sé stante. La disuguaglianza riguarda le differenze dei livelli di benessere derivanti
principalmente dalle disparità in differenti aree tra cui il livello dei redditi e dei consumi. In
generale si tende a dare per scontato che la disuguaglianza sia solo un problema di tipo economico e
questa visione rischia però di mettere in secondo piano la complessità del fenomeno. Esistono
svariate forme di disuguaglianza sociale, economica, politica, digitale. La più evidente e quella più
facilmente calcolabile è la disuguaglianza economica che può basarsi sulle disparità di reddito degli
individui: spesso si sente l’affermazione “ I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri diventano
sempre più poveri”. C’è da dire che esiste una povertà assoluta che caratterizza chi non ha nessuna
possibilità di procurarsi i mezzi di sostentamento di base e una povertà relativa che riguarda altre
fasce di popolazione, che pur avendo i mezzi di sussistenza, hanno un livello di vita nettamente più
basso rispetto all’ambiente sociale in cui vivono e dal quale rischiano di essere estromesse.
Risulta dunque importante avviare una direttiva generale nella valutazione della disuguaglianza
mondiale. Un metodo funzionale potrebbe essere quello di stabilire una soglia assoluta di povertà e
di considerare le persone al di sotto di tale soglia.
Secondo la Banca Mondiale, il numero di persone che vive con meno di 1 euro al giorno è di circa il
25 della popolazione mondiale. Se invece usiamo una soglia meno estrema (si fa per dire) di 2 euro
al giorno la cifra è ancora più incontrovertibile secondo questo metro di giudizio, il pianeta
conterebbe 4 miliardi di poveri cioè circa la metà dell’umanità.
La disuguaglianza economica riguarda quasi la metà del genere umano e rende precaria la
sopravvivenza stessa.
“Globalizzazione delle disuguaglianze” non è un’affermazione ideologica perché c’è stata
globalizzazione dei mercati ma non dei diritti sociali per tutelare gli individui degli individui.
Il capitalismo è la causa delle disuguaglianze. Se analizziamo i casi dell’anno scorso 26 ultra
miliardari possedevano l’equivalente ricchezza della metà più povera del pianeta. Enormi fortune
nelle mani di pochi che evidenzia l’iniquità sociale e l’infondatezza dell’attuale sistema economico.
Mentre le multinazionali e i “super ricchi” accrescono le loro fortune a dismisura, milioni di ragazzi
non hanno accesso all’istruzione di base. Ad esempio, se quell’1% dei più ricchi del mondo pagasse
appena in più di imposte sul proprio patrimonio, si avrebbero le risorse per mandare a scuola 262
milioni di bambini e salvare la vita a milioni di persone nel prossimo decennio. La globalizzazione
aumenta il gap tra il nord e il sud del mondo.
La globalizzazione è presente in tutti i settori e può e deve essere usata per costruire un mondo
migliore. Ultimamente si parla sempre di più di “globalizzazione dei diritti” che riguarda il rispetto
dell’ambiente, della donna e dei bambini, dell’eliminazione della povertà e della pena di morte.
Certo questi sono degli ottimi propositi tuttavia non sono poche le difficoltà essendo di difficile
attuazione e concretizzazione.

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