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La globalizzazione

A partire dagli anni 80 lo sviluppo delle nuove tecnologie e l’intensificarsi degli scambi di
persone capitali e informazioni determinano una crescente interconnessione tra le diverse
economie nazionali e la formazione di un mercato unico a livello mondiale.
Questo processo di globalizzazione comporta a livello produttivo la delocalizzazione di molte
industrie nei paesi in via di sviluppo dove il costo del lavoro è basso anche a spese dei diritti
umani a livello sociale la standardizzazione dli consumi e degli stili di vita.
Se dal crollo dei regimi comunisti la generale liberalizzazione dei mercati elimina molti limiti
e regolamentazioni nazionali considerati un freno alla crescita esigenze di coordinamento
globale e di equità portano alla creazione di organizzazioni internazionali di supervisione
come la WTO [nascita della word trade organization] non immuni da accese critiche. Il
movimento no global infatti contesta come conseguenze della globalizzazione le
speculazioni delle multinazionali l’iniqua distribuzione della ricchezza, la subordinazione
della politica alla finanza, l’omologazione culturale, il degrado ambientale.
Accanto al predominio degli Stati Uniti incontrastato negli ultimi decenni a fronte di una
crescente difficoltà dell’europa a partire dagli anni 90 si crea una nuova area di sviluppo
dell’economia mondiale in asia. Le cosiddette tigri asiatiche registrano tassi di crescita molto
rapidi mentre due colossi come Cina e India si affacciano sul sistema capitalistico
costringendo l’occidente a un confronto serrato.
La fragilità del mercato globale diventa evidente nel 2008 quando l’espansione fuori misura
della finanza estatunidense e la conseguente crisi immobiliare [inizio] innescano una spirale
recessiva in tutto il mondo travolgendo i paesi europei che si trovano ad affrontare cali di
produzione, disoccupazione diffusa, rischi di default.

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