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I LIMITI DEL MERCATO

Da che parte oscilla il pendolo dell’economia?


-Paul de Grauwe

1.Il grande pendolo dell’economia

Il XIX secolo ha visto una protratta espansione del sistema capitalistico. Imitando la Gran Bretagna, che nel
XVIII secolo diede il via al processo di liberalizzazione, anche sul continente europeo un numero sempre
maggiore di paesi smantellò le restrizioni interne che inibivano la libera iniziativa degli imprenditori.

In Europa occidentale e in America la prosperità materiale, misurata in termini di Pil pro capite, cominciò a
crescere. La competizione tra gli imprenditori portò a una dinamica di progresso tecnologico. Il dominio dei
mercati sembrava non avere limiti.

1.1.La prima metà del XX secolo: il declino del mercato

Negli anni ’30 fece il suo ingresso la Grande depressione. In molti paesi le persone incolparono della miseria
economica l’espansione incontrollata del capitalismo. In molte nazioni l’ambito del mercato venne ridotto e
gli stati presero risolutamente il ruolo guida dell’economia.
Negli Stati Uniti il presidente Franklin Delano Roosevelt lanciò il suo New Deal, un programma governativo
che mirava a salvare l’economia attraverso investimenti pubblici su larga scala.
In Germania il governo nazista fece lo stesso una volta arrivato al potere nel 1933, e di fatto con grande
successo.

In molti paesi il governo divenne l’istituzione nelle cui mani passarono tutta una serie di decisioni di
investimento che precedentemente erano in mano ai mercati. Le industrie chiave vennero nazionalizzate e i
paesi chiusero i propri confini economici. Sembrava che il sistema di mercato fosse in ritirata e che il futuro
appartenesse ai paesi i cui sistemi economici erano controllati dal governo.

Dopo la Seconda guerra mondiale la crescita riprese, prima di tutto in virtù della ricostruzione delle
economie occidentali trainata dallo stato. Il motore della crescita fu dunque rappresentato dagli
investimenti statali. Gli investimenti pubblici e la costruzione dei sistemi di protezione sociale diedero ai
governi dell’Europa occidentale un posto centrale nel nuovo modello economico.

La crescente importanza degli stati si manifestava anche nell’aumento della spesa pubblica verificatosi nel
periodo successivo alla Secondo guerra mondiale.

Alla maggioranza delle persone del periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, l’ascesa dei governi in
veste di controllori dei sistemi economici sembrava un fatto inevitabile e permanente.

1.2.Gli anni ’80: il ritorno del sistema di mercato

Ancora una volta, la storia prese una direzione diversa. A partire dagli anni ’70 divenne sempre più chiaro
che le economie controllate dallo stato stavano raggiungendo i loro limiti. I paesi che erano andati più
avanti nel controllo da parte del governo presentavano le maggiori difficoltà nell’ottenere il progresso
economico. Soffrivano di una carenza di innovazione tecnologica. Le compagnie e i settori nazionalizzati
subivano grandi perdite che venivano sanate attraverso le tasse.

La causa di tale fallimento è dovuta principalmente a due problemi:


- Il 1° è legato all’informazione. Al fine di emanare tutte queste istruzioni, doveva essere disponibile
a livello centrale l’informazione relativa a tutte le opzioni e i metodi di produzione, assieme a quella
sulle preferenze di milioni di consumatori.
Si è dimostrato impossibile tenere aggiornate tutte queste informazioni, processarle e utilizzarle.
- Un 2° problema è che il modello economico della pianificazione centralizzata forniva troppo pochi
incentivi allo sforzo e alla creatività. La mancanza di sperimentazione di nuovi prodotti o nuovi
metodi produttivi che ne derivava ebbe l’effetto di un forte ristagno tecnologico.

Il fallimento della gestione statale dell’economia portò a un movimento di liberalizzazione proveniente


dall’America e dal Regno Unito che racchiuse nella sua presa gran parte del mondo. Ovunque i mercati si
aprirono nuovamente. I governi, che possedevano una larga fetta dell’economia, privatizzarono le aziende
pubbliche. Le compagnie telefoniche, le ferrovie, le fabbriche di automobili, le banche e le società di servizi
idrici che erano state nazionalizzate nel corso dei pochi decenni precedenti venivano di nuovo privatizzate.

I paesi riaprirono le frontiere. Il commercio mondiale venne liberalizzato, ponendo così le basi per una
enorme globalizzazione dell’economia.
Esattamente come nel XIX secolo, questo venne visto come un trionfo del sistema di mercato. Nei paesi che
liberarono le proprie economie, la prosperità materiale manifestò una crescita incredibile. La più
spettacolare tra tutte si ebbe nei paesi dell’Asia dell’Est, che cominciarono a crescere del 10% all’anno a
partire dagli anni ’60 (il Giappone), dagli anni ’70 (la Corea del Sud) e dagli anni ’80 (la Cina).

Questa crescita travolgente consentì a paesi come il Giappone e la Corea del Sud di avvicinarsi ai livelli di
ricchezza dell’America e dell’Europa occidentale.

1.3.Il mercato raggiunge tutto

I meccanismi e i principi di mercato si sono insinuati in aree della società dalle quali in precedenza erano
stati tenuti fuori (es. settore culturale).
Anche le imprese sono state sempre più indotte a seguire i principi del mercato al loro interno. Si
adottavano bonus per incentivare gli sforzi degli impiegati nella speranza che questo avrebbe portato a
performance migliori. Un altro modo di introdurre i principi del mercato anche all’interno delle imprese
erano gli appalti esterni.

Ancora una volta il capitalismo sembrava incontenibile e nessun ostacolo poteva impedirne la crescita. Fu in
quel momento che arrivò la crisi del 2008.

2.I limiti del capitalismo

Dopo la guerra di Corea degli anni ’50, il paese venne diviso in due. La Corea del Nord organizzò la propria
economia in base al modello sovietico di pianificazione centralizzata, mentre la Corea del Sud adottò i
principi dell’economia di mercato. L’effetto che questa divisione ha prodotto sulla prosperità materiale dei
due paesi è stato impressionante. Nel 1959 entrambi i paesi erano egualmente poveri. Dagli anni ’70, però,
il Pil pro capite della Corea del Sud è esploso, mentre quello della Corea del Nord è rimasto stagnante.
Di conseguenza, nel 2007 in Corea del Sud il reddito pro capite era quasi venti volte quello della Corea del
Nord.

Ma gli esempi del successo spettacolare del capitalismo nel generare progresso materiale sono
innumerevoli, e quello della Cina è forse il più ovvio. Quando dopo la morte di Mao Zedong il paese optò
per intraprendere il percorso del capitalismo, l’economia cinese cominciò a crescere a un ritmo del 10% e
oltre ogni anno. Oggi la Cina rappresenta la 2° più grande economia del mondo.
2.1.In lode al capitalismo

Il successo del capitalismo è tutto dovuto al suo carattere decentralizzato. I consumatori decidono
autonomamente quanto e cosa consumare e le aziende decidono quanto e cosa produrre. Queste decisioni
sono tra loro coordinate in mercati nei quali la domanda viene portata a confrontarsi con l’offerta di beni e
servizi. Se vi è una domanda maggiore rispetto all’offerta, i prezzi aumentano.
Ciò ha un duplice effetto: prezzi più elevati portano i consumatori a comprare di meno mentre incoraggiano
le aziende a produrre di più.
Le aziende non fanno questo per amore verso il consumatore, ma semplicemente per il desiderio di
accrescere i propri profitti. Questo meccanismo di autoregolazione consente infine di soddisfare la
domanda del consumatore. Tale sistema decentralizzato produce una dinamica per cui gli imprenditori
vanno costantemente alla ricerca di nuovi prodotti e di nuovi servizi, oltre che di metodi di produzione
meno costosi. Nel momento in cui nuovi prodotti e nuovi servizi prendono piede, gli imprenditori possono
fare più profitti.

Le dinamiche del sistema di mercato hanno portato il grande economista scozzese del XVIII secolo Adam
Smith alla conclusine che vi fosse una “mano invisibile” capace di assicurare che gli sforzi delle imprese nel
promuovere i propri interessi portassero automaticamente a promuovere il benessere generale. Tale
intuizione di A. Smith è stata rivoluzionaria, affermando di fatto che l’interesse collettivo viene soddisfatto
al meglio quando ognuno si sforza di soddisfare il proprio interesse, riconciliando in tal modo la razionalità
individuale con la razionalità collettiva.

2.2.Razionalità individuale e razionalità collettiva

Non sempre la ricerca del proprio interesse individuale da parte di milioni di persone conduce a una
situazione percepita da tutti come ottimale. Una delle prime ragioni sono i limiti esterni. Gli economisti li
chiamano effetti esternalità o effetti esterni. Si verificano quando ci troviamo di fronte a decisioni
individuali ma che non sono realmente individuali, in quanto influenzano direttamente il benessere di altre
persone. Un sistema di mercato non tiene in considerazione queste esternalità perché in questo sistema gli
attori (consumatori o aziende) non vengono ricompensati per farlo.

Quando la razionalità individuale e quella collettiva raggiungono un certo grado di divergenza, ciò produce
l’opposizione a un sistema che non riesce a garantire la prosperità per tutti. La soddisfazione individuale è
quindi insufficiente a mantenere il sostegno al sistema di mercato da parte della società.

2.3.Sistemi 1 e 2

Esiste una seconda categoria di situazioni che producono una frattura tra la razionalità individuale e quella
collettiva. Si tratta delle situazioni che chiamano in causa i limiti interni dei sistemi di libero mercato.
Il sistema di libero mercato fa appello alla razionalità individuale, ai calcoli che una persona fa allo scopo di
determinare al meglio ciò che è nel proprio interesse. Tale sistema si basa quindi su un’immagine
dell’umanità che gli economisti denominano Homo oeconomicus, che viene applicata a individui che
valutano continuamente ciò che più a loro conviene.

Tuttavia, gli psicologi, hanno scoperto che ogni individuo possiede anche un’altra dimensione, suscettibile
di entrare in contrasto con l’aspetto calcolatore del loro carattere. Daniel Kahneman ha sviluppato l’idea
che all’interno del nostro cervello siano in funzione due diversi sistemi.
Il Sistema 1 è legato al comportamento emotivo e intuitivo. Governa le emozioni come paura, panico,
euforia, simpatia, disgusto, etc., ed è anche il sistema che regola le emozioni come l’amore e il sentimento
di giustizia.
Il Sistema 2 è la parte della mente umana razionale e calcolatrice. È il sistema che ci porta a soppesare ciò
che è meglio per il nostro benessere, facendo analisi costi-benefici prima di arrivare a prendere una
decisione. A differenza del Sistema 1, che invece ci può condurre a decisioni molto rapide, il Sistema 2 è
lento. Secondo Kahneman, il Sistema 2 è pigro e ciò può eventualmente portare gli individui a fare calcoli
non sufficientemente razionali e a lasciar guidare il processo decisionale al Sistema 1 (il sistema emotivo).
I due sistemi sono tra loro connessi ed è quindi necessario che trovino un equilibrio.
Se uno dei due prende il sopravvento sull’altro le cose non funzionano. Siamo così arrivati al cuore della
questione dei limiti interni del sistema di mercato. Quest’ultimo chiama in causa principalmente il Sistema
2 razionale che è dentro ognuno di noi, e ciò produce negli individui un conflitto interiore.

Emerge un problema distributivo. In un sistema di puro mercato viene retribuita solamente la prestazione
individuale. Le persone che non possono fornire delle prestazioni perché sono ammalate o disabili non
ricevono niente e vengono essenzialmente lasciate morire. Il sistema di mercato è indifferente a tali esisti.
Che la distribuzione del reddito sia o meno equa, per il mercato non ha alcuna importanza.

Questo, in molte persone che il mercato remunera adeguatamente, fa sorgere un conflitto interno tra il
Sistema 1, che riconosce anche un senso di equità, e il Sistema 2 che sarebbe soddisfatto del risultato del
sistema di mercato.

L’esito collettivo del sistema di mercato si scontra con la nostra personale sensazione di felicità. Di nuovo,
vediamo qui una discrepanza tra la razionalità individuale e collettiva.

3.I limiti esterni del capitalismo

3.1.Primo limite esterno: l’ambiente naturale

Nel gergo degli economisti, non sono costretto a “internalizzare” i costi esterni, cioè a prenderli in
considerazione al momento di decidere se usare o meno la macchina quando devo andare da qualche
parte.
Il sistema di libero mercato non possiede alcun meccanismo capace di ridurre automaticamente questi costi
esterni. La conseguenza è che la razionalità individuale crea una irrazionalità collettiva.
Lo stesso problema emerge a livello di impresa. Quasi ogni azienda produce effetti esterni che essa non
prende in considerazione nel momento in cui decide se produrre di più o di meno.
Quando calcolano i propri costi e i propri guadagni, gli imprenditori non tengono conto anche dei costi
esterni subiti dagli altri.
Il problema può essere risolto solamente chiamando in causa un organismo esterno che ristabilisca l’ordine,
obbligando gli agenti individuali a tenere conto anche dei costi che producono. Il sistema di mercato non lo
fa automaticamente. Esso necessita di un controllo esterno e della definizione di confini.
Guidati dalle proteste di chi subisce i danni, il governo sarà obbligato a porre un freno a chi genera i costi
esterni e questi vincoli implicano la necessità di stabilire dei limiti al funzionamento del libero mercato.

Arriviamo con ciò al seguente paradosso: maggiore è il successo del sistema di mercato nella sua
espansione e nella sua capacità di creare progresso materiale, maggiore sarà la possibilità che il sistema
arrivi a scontrarsi con limiti stabiliti dallo stato, limiti che pongono freni alla sua libertà.

3.3.Ottimismo tecnologico

I problemi ambientali sono il risultato di costi esterni che non vengono tenuti in conto dalle aziende. Tale
comportamento non muterà in modo automatico e spontaneo senza che un’organizzazione esterna al
mercato costringa le compagnie a farlo.

3.5.Gli “effetti gregge” nei mercati finanziari

I consumatori e gli investitori che vogliono investire devono fare delle previsioni. Nessuno sa quello che
accadrà, per quanto alcuni pretendano di saperlo. Spesso ciò ci porta a seguire altre persone ritenute dei
guri, pensando che loro sappiano cosa accadrà. Quando imitiamo le altre persone si generano degli “effetti
gregge” che generano a loro volta delle esternalità. Una decisione da parte di un particolare imprenditore
di investire in un nuovo progetto, ad es., diventa un segnale dato ad altri che egli possiede un’informazione
circa il futuro. Altre compagnie seguono questo segnale e ciò può produrre un movimento collettivo capace
di spingere gli investimenti. Questo boom degli investimenti genera ottimismo, incoraggiando ancora
ulteriori compagnie a saltare sul treno. L’euforia prende il sopravvento. Le banche vedono succedere tutto
questo e si uniscono, concedendo elevati livelli di credito e portando a un boom finanziario generato dal
credito bancario.
Questi movimenti collettivi si verificano spesso nel mercato immobiliare. A un certo punto nasce un
processo di ottimismo collettivo. I prezzi di case e palazzi aumentano.
L’ottimismo circa i futuri sviluppi del mercato immobiliare porta le banche a fare più credito, aumentando
ulteriormente i prezzi e rafforzando tale ottimismo.
In questo meccanismo il carattere autoregolativo dei mercati finanziari scompare. I prezzi degli immobili e
delle azioni continuano a crescere, e il mercato non esercita alcun tipo di influenza disciplinare sul
comportamento delle persone.

Poi arriva il crollo. A un certo punto diviene chiaro che l’euforia aveva portato a gonfiare oltremisura i
prezzi delle azioni e delle proprietà immobiliari. Un aggiustamento diventa inevitabile. I prezzi delle azioni
collassano e quelli degli immobili scendono sensibilmente. Tutte le persone che si sono indebitate per
comprare azioni o proprietà subiscono perdite importanti e non possono più permettersi di pagare i propri
debiti. Esplode una crisi, subentra il pessimismo e l’economia va in recessione.

3.6.L’effetto di rischi esterni nel sistema bancario

Vi è poi una seconda fonte di esternalità nei mercati finanziari, legata innanzitutto ai rischi che emergono
all’interno del sistema bancario. Le banche tentano di tenere sotto controllo i loro rischi mettendo del
capitale da parte come scorta a fronte di possibili perdite sui propri crediti. Nel fare ciò, però, non tengono
in conto dei possibili rischi che creano al di fuori della singola istituzione.
Tale esternalità nasce perché le banche sono interconnesse, a causa del fatto che si prestano soldi l’una con
l’altra prima di tutto attraverso il sistema interbancario.

Le banche prendono fondi a breve termine (come i conti correnti e i depositi di risparmio) e li trasformano
in prestiti a lungo termine (prestiti di investimento alle imprese e per i mutui). Fintanto che i depositanti
hanno fiducia nel sistema bancario, non ci sono problemi. I depositanti tengono nelle banche i propri soldi e
i banchieri possono usare questi fondi a breve termine per concedere prestiti a lungo termine.
Una crisi di fiducia può però emergere in modo improvviso.

Una banca subisce delle perdite importanti sui propri crediti, per esempio perché l’azienda che ha ricevuto
il prestito è fallita. I depositanti accorrono alla banca per ritirare i propri soldi. Dal momento che i soldi sono
vincolati in prestiti a lungo termine, la banca non può soddisfare la richiesta ed è costretta a chiudere. I
depositanti di altre banche che temono che anche le loro banche abbiano fatto cattivi prestiti, scelgono di
andare sul sicuro e di correre anche loro agli sportelli a ritirare i propri soldi.

Il castello di carte crolla. Le banche devono sempre tenere in conto questa esternalità me in genere non lo
fanno.

3.7.Espansioni e crolli nel capitalismo

La combinazione di effetti gregge e di insufficienti coperture per i rischi esterni rende i mercati finanziari
instabili.
Durante la crisi bancaria del 2008, ad es., molte buone banche sono state sommerse dall’ondata di sfiducia
emersa a causa di rischi senza precedenti assunti da un numero relativamente ristretto di esse, tra le quali
alcuni dei nomi più grandi sul mercato.
Gli sconfitti si appellano allo stato affinché intervenga per limitare i danni. Il sistema di mercato raggiunge
quindi i suoi limiti. Questa protezione da parte dello stato può talvolta seguire una logica perversa. Le
grandi banche ne traggono profitto perché sono talmente grandi che il governo non può lasciare che a
causa della crisi queste falliscano, ciò finirebbe infatti per danneggiare ancora di più l’economia, mandando
in bancarotta miriadi di persone. Le grandi banche sono troppo grandi per fallire, e queste lo sanno. Il
governo, di fatto, fornisce loro la garanzia che non falliranno.
Questo ci porta a ciò che gli economisti chiamano AZZARDO MORALE.
Una grande banca che gode dell’assicurazione implicita dello stato tenderà per questo ad assumersi
maggiori rischi.

Questo è quanto è successo dopo la crisi bancaria del 2008.


I governi sono stati obbligati ad aiutare chi aveva subito le perdite. In molti paesi lo hanno fatto
aumentando la spesa pubblica e accrescendo i disavanzi, obbligando il settore bancario a introdurre regole
più strette per il controllo del rischio. Questo ha portato a una maggiore regolamentazione del settore
finanziario in generale.
Adesso le banche sono soggette significativamente a più controlli da parte degli stati.

3.9.Il problema del “free rider”

Si verifica quando una persona, ad es., farà finta di essere contraria ad una certa cosa solo al fine di evitare
di pagare, contando sul fatto di poter poi comunque utilizzare il bene pubblico al pari di tutti gli altri. La
conseguenza di questo comportamento di free riding è che le persone disposte a pagare saranno troppe
poche e che il bene pubblico non vedrà mai la luce, nonostante in realtà fosse desiderato da un’ampia
maggioranza.

Il problema del free rider comporta una sottostante esternalità. Evitando di contribuire a finanziare il bene
pubblico, il soggetto crea un effetto esterno, cioè che tale bene pubblico non viene prodotto e che nessuno
ne trae beneficio. Qui, di nuovo, emerge una discrepanza tra la razionalità individuale e quella collettiva.

Gli individuo generano dei costi esterni che altri devono sostenere, a causa del loro rifiuto ad agire. Per cui
quello che è razionale a livello individuale non è razionale per la collettività nel suo complesso.

Le persone che desiderano beni pubblici, dovranno appoggiarsi a meccanismi differenti da quello del
mercato. Quest’altro meccanismo è lo stato. Tramite il suo agire ognuno è obbligato a contribuire con il
pagamento delle tasse.

La caduta degli investimenti pubblici coincide con l’estensione del dominio del mercato. Sembra quindi che
vi sia un meccanismo in virtù del quale al crescere dell’importanza del mercato la creazione di beni pubblici
viene messa sotto pressione.
Questa analisi mostra che l’espansione del mercato porta anche a un aumento dei costi ambientali esterni.
In altri termini, l’espansione del mercato va mano nella mano con un aumento dei danni pubblici, la
scomparsa di aria e acqua pulite, e il deterioramento della natura.
L’espansione dei mercati ha quindi un doppio effetto: porta sia ad accrescere i danni pubblici che a ridurre i
beni pubblici. Quando questa dinamica si spinge troppo avanti, il mercato raggiunge i suoi limiti e in quel
momento le persone si organizzeranno per pretendere un mutamento. Esse potrebbero persino volere
abbattere il sistema di mercato.
4.I limiti interni del capitalismo

4.1.Primo divario: mercato e distribuzione

Il mercato raggiunge i suoi limiti perché va a scontrarsi con il sentimento di molti individui dell’ingiustizia
connessa alla distribuzione che vi si determina.

4.2.Secondo divario: motivazione intrinseca ed estrinseca

Il concetto di motivazione intrinseca significa che le persone sono motivate a impegnarsi nel loro lavoro, o
in altre attività, perché trovano gratificazione in esso in quanto tale. È l’attività in sé che dà senso alle loro
vite.
La motivazione può essere anche estrinseca. Con questo termine gli psicologi intendono che le persone
compiono degli sforzi con il solo obiettivo della retribuzione finanziaria prevista per una data attività.
Nella realtà le motivazioni intrinseche ed estrinseche sono spesso fuse insieme.

L’intera logica di un sistema di mercato si basa su questa idea della performance in termini di produttività.
Ciò implica che un sistema di libero mercato fa appello principalmente al Sistema 2, razionale e calcolatore,
che è dentro ognuno di noi.

Vi sono due scuole di pensiero. La prima, sostenuta principalmente da non-economisti, la seconda più dagli
economisti. La prima è ben rappresentata da Michael Sandel, secondo il quale il crescente dominio del
mercato sopprime la motivazione intrinseca e costringe sempre di più gli individui a focalizzarsi
esclusivamente sugli incentivi economici.
L’altra scuola di pensiero afferma che il trionfo del mercato non conduce necessariamente alla
soppressione della motivazione intrinseca. Un rappresentante di questo orientamento è Kenneth Arrow.
Secondo la sua prospettiva in un sistema di mercato possono coesistere entrambe le motivazioni.

4.3.Terzo divario: competizione e cooperazione

Il sistema del libero mercato attribuisce grande importanza alla competizione. Essa obbliga le imprese a
tenere bassi i prezzi, e da questo il consumatore ne trae dei benefici. In assenza di concorrenza le imprese
non esiterebbero ad aumentare i prezzi a scapito del benessere del consumatore. Ciononostante, in tutto
questo vi è un aspetto paradossale. Un’azienda è un’impresa collaborativa.
Ronald Coase prova a spiegare come mai all’interno delle aziende vediamo così tante relazioni cooperative.
La sua risposta era la seguente.
Le transazioni di mercato comportano dei costi di transazione: il compratore e il venditore devono potersi
trovare e poi fidarsi l’uno dell’altro; occorre stilare dei contratti e valutare la qualità dei beni e dei servizi
oggetto della transazione; se i termini del contratto non vengono soddisfatti, occorre intraprendere
un’azione legale. Tutto questo genera dei costi di transazione. Una partnership all’interno di una stessa
compagnia può ridurre o perfino eliminare un certo numero di questi costi.
Le compagnie cono quindi organizzate in modo tale da svolgere autonomamente al proprio interno una
parte di queste transazioni. Si realizzeranno quindi solo quelle che possono essere affrontate con più
facilità.
Coase presuppone che la cooperazione sia sempre il risultato di decisioni razionali da parte degli individui, i
quali bilanciano i costi e i benefici della loro collaborazione. Se i benefici superano i costi, allora lavoriamo
insieme.

La stessa visione era alla base della teoria de contratto sociale di Rousseau. Secondo questa prospettiva, noi
entriamo nel mondo come individui. Allo scopo di sopravvivere, elaboriamo un contratto di associazione
con altri giungendo così alla cooperazione.
Anche la competizione rimane certamente importante. Un’azienda è la simbiosi di due fenomeni:
competizione e cooperazione. È un’istituzione che organizza la cooperazione che ci appaga e allo stesso
tempo ci rende più resilienti per competere con il mondo esterno.
Il modello della competizione che si trova all’esterno delle imprese viene sempre più spesso impiegato
anche al loro interno. Questa tendenza genera uno squilibrio nelle persone. La competizione e la
cooperazione non seguono le stesse linee dei Sistemi 1 e 2. Anche il Sistema 2 razionale può spingerci a
cooperare.

4.4.Perché l’interesse per i beni pubblici diminuisce?

L’espansione del sistema di mercato incoraggia la razionalità individuale a cooperare. Si verifica una sorta di
effetto repressivo, dal momento che il mercato ci riguarda solo in quanto individui. Questo ci spinge ad
agire individualmente.

5.L’utopia dell’autoregolazione dei sistemi di mercato

Tre possibili meccanismi di autoregolazione interna. Il 1° riguarda la capacità dei liberi mercati di
internalizzare i costi esterni, il 2° è legato alla tecnologia e il 3° agli effetti di saturazione.

5.3.Crescita e saturazione

Secondo il duo Skidelsky, una volta che i nostri bisogni materiali sono stati soddisfatti, le esigenze non
materiali diventano la priorità. Questa visione dello sviluppo dei bisogni umani contiene una sorta di freno
incorporato alla stessa crescita materiale. Al crescere della prosperità economica le persone cercano la
felicità attraverso la soddisfazione delle loro esigenze non materiali. Tale dinamica assicura quindi che la
spinta ad aumentare la produzione materiale si riduca, allentando la pressione sull’ambiente naturale. Il
capitalismo porta automaticamente alla saturazione di beni materiali ed è pertanto capace di autoregolarsi.

Gli Skidelsky, però, sono obbligati a osservare che questo ideale della vita buona non sta funzionando. In
primo luogo, le dinamiche del capitalismo si basano sulla continua ricerca di nuovi prodotti.
Attraverso lo sviluppo continuo di nuovi, eccitanti prodotti, il capitalismo sposta di continuo il punto di
saturazione per la soddisfazione dei bisogni materiali.

5.4.Il sogno di Kuznets

Kuznets stabilì che il capitalismo possiede una legge che garantisce che all’aumentare della ricchezza di un
paese la disuguaglianza tra i redditi diminuisce. Egli espresse questa tesi con quella che in seguito sarebbe
stata chiamata la “curva di K.”, secondo la quale quando il reddito pro-capite aumenta, la disuguaglianza in
un primo periodo aumenta, ma una volta arrivati a un certo livello di ricchezza la disuguaglianza di reddito
comincia a scendere.

La curva di K. ha avuto una grande influenza su generazioni di economisti e di responsabili politici, in quanto
contrastava l’idea marxista per cui il capitalismo avrebbe portato a una crescente disuguaglianza. Secondo
K., un meccanismo autoregolativo avrebbe garantito che il capitalismo non avrebbe portato agli esiti
rivoluzionari predetti da Marx.
A uno sguardo retrospettivo, però, sembra che la visione di K. fosse solamente un sogno, basata su un
periodo storico molto limitato, relativo al lasso di tempo tra le due guerre mondiali. Durante questo
periodo, in effetti, la disuguaglianza scese in molti paesi occidentali.
Questa diminuzione della disuguaglianza dei redditi era il riflesso delle circostanze rivoluzionarie evocate
dalle guerre. Circostanze che in molti paesi indebolirono la posizione di chi percepiva i redditi più alti e che
si espressero anche in uno straordinario aumento delle tasse sui redditi più elevati.

Vi è un aumento della disuguaglianza di reddito a partire dagli anni ’80.


Nel sistema capitalistico non esiste alcun meccanismo autoregolativo capace di ridurre la disuguaglianza di
reddito e di evitare che il sistema vada violentemente a sbattere contro i suoi limiti.
6.Chi può salvare il mercato dalla distruzione?

Stato -> regolatore del sistema di mercato. Ha un ruolo da giocare in tre ambiti principali: nell’affrontare le
esternalità, nel fornire beni pubblici e nella redistribuzione.

6.1.Il ruolo dello stato: le esternalità

Arthur Cecil Pigou, un economista inglese della prima metà del XX secolo, ha sostenuto che se un’azienda
genera dei costi esterni emettendo sostanze nocive, lo stato dovrebbe stabilire la dimensione di questi costi
e imporli all’azienda. Si pone però un problema di informazione.

Pigou distingueva tra esternalità negative e positive. Le esternalità negative provocano danni che devono
essere affrontati dallo stato mediante la tassazione. Ma ci sono anche degli effetti esterni positivi.
L’esempio classico è quello del restauro delle facciate delle case in città, un’azione privata che rende però
anche più luminose le strade, portando così benefici anche ad altre persone oltre ai proprietari delle case.

6.3.Il ruolo dello stato: la redistribuzione

Il sistema di mercato non risente in alcun modo del tipo di distribuzione del reddito e della ricchezza. Si può
avere un “equilibrio di mercato” anche nel caso in cui vi siano persone che non hanno alcun reddito e che
muoiono di fame. Ci sono però molte persone che ritengono un equilibrio di questo tipo moralmente
inaccettabile.
Al fine di rendere il sistema di mercato socialmente tollerabile e per evitare che l’insoddisfazione si
trasformi in violenta reazione, è necessaria un’istituzione al di fuori del mercato che ridistribuisca i redditi. Il
mercato non lo farà autonomamente. Soltanto lo stato può svolgere tale funzione.
In modo abbastanza paradossale, è lo stato che può salvare il sistema di mercato da sé stesso
ridistribuendo il reddito e la ricchezza.

Se intendiamo salvare il sistema di libero mercato, lo stato dovrà tassare i redditi e i patrimoni più elevati
più pesantemente di quanto viene fatto adesso. Le critiche a questo approccio si fondano sull’idea che
tasse elevate sui redditi più alti producano effetti economici negativi.

Gli economisti vedono la relazione tra crescita e uguaglianza di reddito (negativa) come un’alternativa (un
trade-off) in cui, per avere dei miglioramenti in un aspetto, occorre sacrificare qualche cosa dell’altro. La
prospettiva di guadagnare grandi somme di denaro incoraggia le persone a sviluppare nuove iniziative che
col tempo spingono la crescita economica.

La questione è quanto possiamo accettare di far diventare ampia la disuguaglianza. Quando l’uguaglianza
tende a zero, la crescita economica raggiunge il suo massimo. Circostanza che però appare improbabile.
Quando la disuguaglianza è al suo livello massimo è infatti improbabile che la crescita sia elevata.
In tale situazione di estrema disuguaglianza la crescita economica andrebbe addirittura al collasso, anche
solo per il fatto che si tratterebbe di una società piena di instabilità politica e di sommosse popolari.

Possiamo riassumere il punto nel modo seguente. Troppa uguaglianza (come nei regimi comunisti) non fa
bene alla crescita economica. Ma neanche troppa disuguaglianza fa bene, in quanto innesca dei meccanismi
(come l’instabilità politica e sociale) che mettono gravemente in pericolo la crescita economica. Il Fmi
giunge alla conclusione che in media i paesi che sono cresciuti più velocemente sono quelli in cui la
disuguaglianza è minore. Il Fmi rileva inoltre che le politiche redistributive generalmente non inibiscono la
crescita.

Durante il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, quando le aliquote fiscali erano ai loro massimi
livelli, la crescita economica ha raggiunto il suo massimo storico. Dal 1980 le aliquote sono state
drasticamente abbassate sotto l’influenza di una nuova filosofia di mercato e da quel momento in poi anche
la crescita economica è calata nettamente.
Il meccanismo in virtù del quale i paesi con una maggiore uguaglianza fra i redditi sperimentano in genere
una crescita maggiore (come nei paesi scandinavi) è legato agli effetti socialmente e politicamente
stabilizzanti di una maggiore uguaglianza.

Al di sopra di un certo reddito la tassazione produce effetti del tutto trascurabili sull’impegno produttivo.

Una drastica politica di redistribuzione focalizzata sui più ricchi che ricevono redditi estremamente alti,
andrebbe pertanto a beneficio del sistema di mercato, rafforzando nella società il sostegno al sistema
evitando che esso si scontri con i suoi limiti interni.

7.I limiti esterni dello stato

Il compito fondamentale dei governi è quello di promuovere l’interesse collettivo là dove il mercato non è
in grado di farlo.

7.1.Le lotte per attivare l’azione dello stato

Gli stati devono entrare in campo proprio nei momenti in cui le circostanze sono più sfavorevoli. È infatti
nei casi di ampie divergenze tra gli interessi individuali e quelli collettivi che lo stato ha il dovere di agire.
Per promuovere l’interesse collettivo, lo stato dovrà danneggiare gli interessi privati.

7.2.La democrazia aiuta

Quando i governi difendono sistematicamente gli interessi capitalistici, si parla di “capitalismo clientelare”
(crony capitalism). Le compagnie sfruttano impunemente i propri lavoratori, distruggono l’ambiente e
cospirano per spinger al rialzo i prezzi. I politici, che vengono corrotti o magari hanno ampie partecipazioni
dirette nel settore in questione, difendono apertamente i capitalisti. Viene così a crearsi una simbiosi tra lo
stato e il capitale.

Daron Acemoglu e James Robinson distinguono tra sistemi politici inclusivi ed esclusivi.
Un sistema politico inclusivo è basato sullo stato di diritto, cioè sul governo delle leggi. Abbiamo quindi un
sistema aperto, in cui la prosperità economica viene condivisa tra tutti i cittadini, i quali hanno la possibilità
di intraprendere iniziative economiche.
I sistemi politici di tipo esclusivo sono invece sistemi chiusi, in cui una piccola élite prende sia le decisioni
politiche sia quelle economiche e si appropria di una larga fetta del surplus economico. La maggioranza
della popolazione finisce così per essere emarginata.

Il problema di un sistema politico esclusivo è che il divario tra l’interesse individuale e quello collettivo
diventa eccessivamente ampio. La pressione politica esercitata dalle vittime dell’inquinamento tenderà a
diventare sempre più forte. Dal momento, però, che non esiste alcun canale democratico (come le
elezioni), questa pressione politica dovrà essere esercitata attraverso proteste, azioni sociali e violenze,
destabilizzando il sistema. Questo può portare a sconvolgimenti politici che danneggiano seriamente il
sistema di mercato.

Incorriamo così nel seguente paradosso. Sul lungo periodo, per salvaguardare il capitalismo è necessaria la
democrazia.

7.3.I limiti esterni dello stato

Un elemento di coercizione (es. tassa sui prodotti che inquinano l’ambiente) è inevitabile.
8.I limiti interni dello stato

Il libero mercato fa appello principalmente alle capacità razionali e calcolatrici degli individui (il Sistema 2),
anche a spese delle loro emozioni. Questo lascia molte persone insoddisfatte del carattere freddo e
inumano del sistema di mercato e le porta a opporvisi.

8.1.Lo stato come calamita per il Sistema 1

Questa insoddisfazione crea per lo stato l’opportunità di colmare il gap emotivo lasciato dal libero mercato
e di focalizzarsi sul Sistema 1 che guida le nostre emozioni. Attraverso l’azione pubblica molte emozioni
hanno così la possibilità di trovare uno sbocco. I responsabili politici traducono questa spinta in politiche di
redistribuzione del reddito.
Altri sentimenti, tuttavia, sono negativi. In molte persone, ad esempio, alberga la paura di ciò che non si
conosce, specialmente quando l’ignoto proviene da paesi stranieri.

Il mercato e lo stato si specializzano in ambiti differenti, in quanto il mercato si appella al Sistema 2 mentre
lo stato si appella al Sistema 1.
Il mercato si concentra nel fare riferimento al Sistema 2 per una ragione. Il consumatore ha un budget
limitato e deve fare delle scelte. Questo lo obbliga a utilizzare il Sistema 2. La scelta sbagliata del
consumatore viene immediatamente punita.
Quando compiono scelte politiche, di contro, le persone non devono considerare alcun vincolo di bilancio.
L’elettore nell’immediato non è influenzato finanziariamente dalla scelta che fa.

Tali differenze generano la focalizzazione sui problemi di efficienza da parte del mercato e sui problemi
distributivi da parte dello stato.

8.4.Primo limite: redistribuzione a spese dell’efficienza

Troppa redistribuzione porta a perdite economiche.


Il trade-off tra efficienza e uguaglianza rappresenta un limite importante alla politica di redistribuzione. La
perdita di prosperità può essere tanto grande che molte persone potrebbero opporsi al sistema. Questa
reazione è stata un fattore importante nell’implosione dei regimi comunisti, i quali non erano più in grado
di garantire livelli minimi di prosperità economica. Essi avevano chiaramente oltrepassato i propri limiti e
sono stati puniti. Con l’eccezione della Corea del Nord, come sistemi politici i regimi comunisti sono
scomparsi dal mondo.

Quando l’uguaglianza è molto bassa abbiamo anche un livello molto basso di efficienza economica,
probabilmente perché la disuguaglianza estrema si accompagna a una forte conflittualità interna che
disgrega la società. In un ambiente politico e sociale instabile, il sistema di mercato non può funzionare
correttamente e l’efficienza economica è bassa.

Uno studio del Fmi mostra come nei paesi industrializzati maggiore uguaglianza non porti a una crescita
economica più bassa.

Lo stato può proseguire nella politica redistributiva solo fino a quando la prosperità materiale non ne viene
danneggiata.

8.6.I limiti dei sistemi di protezione sociale

La previdenza sociale, così come ogni altro meccanismo assicurativo, conduce all’azzardo morale, termine
con cui gli economisti intendono quanto segue: ogni volta che ci assicuriamo contro un particolare rischio,
la nostra vigilanza rispetto a tale rischio tenderà a ridursi.
L’assicurazione contro la disoccupazione può portare il disoccupato a cercare lavoro meno intensamente.
Ciò entra in contrasto con il nostro senso di giustizia.
Alcuni paesi, in particolare i paesi scandinavi, hanno avuto un successo relativamente buono nel tenere
sotto controllo tale azzardo morale. Sono riusciti a raggiungere questo risultato attraverso una politica di
attivazione dei disoccupati, incoraggiandoli e aiutandoli a rientrare nel mercato del lavoro. L’effetto di
questa politica è che nonostante la generosità del sistema di protezione sociale scandinavo gli occupati
rimangono sul posto di lavoro a lungo e i disoccupati restano tali per poco tempo.

Se ci spingiamo troppo avanti nello smantellare il welfare e la previdenza, daremo al sistema di mercato
libero sfogo, generando disuguaglianza e povertà. E questo continuerebbe fino a che le persone non
reagiranno nuovamente contro il sistema di mercato.

Se lo stato non tiene sotto controllo il fenomeno dell’azzardo morale si ha un contraccolpo, anch’esso
derivante dal nostro senso di giustizia offeso dall’eccessiva presenza del free rider. Tale sentimento può
diventare così forte da richiedere di tagliare la spesa sociale.

9.Chi comanda, lo stato o il mercato?

10.Ascesa e caduta del capitalismo: ciclica o lineare?

10.1.Le predizioni di Karl Marx

L’analisi di Marx delle dinamiche che avrebbero in ultima istanza portato il capitalismo al collasso, si basa
sulla nozione per cui esso possiede delle contraddizioni interne. I capitalisti accumulano sempre maggiori
ricchezze mentre i lavoratori diventano sempre più poveri.
Tutto ciò innesca una seconda contraddizione interna. Con il loro progressivo impoverimento, i lavoratori
non ottengono i mezzi finanziari per poter acquistare i beni prodotti dalle imprese capitalistiche.
Di conseguenza, i profitti dei capitalisti tendono nel lungo periodo a declinare.
In ultimo, queste contraddizioni non possono far altro che portare alla distruzione del modo di produzione
di tipo capitalistico, quando i lavoratori impoveriti e alienati daranno vita a una rivoluzione contro un
rapporto di produzione diventato sempre più fragile, a causa della sua incapacità di generare sufficienti
profitti.

A rivoluzione avvenuta, si instaura un sistema produttivo di tipo comunista, caratterizzato dalla


collettivizzazione dei mezzi di produzione. Questo avvierà l’inizio di un “paradiso rosso” in cui lo
sfruttamento dei lavoratori, da parte dei possessori privati dei mezzi di produzione, sarà diventato
impossibile.

Marx aveva predetto che le società capitaliste sarebbero passate al comunismo e che quasi tutti i paesi che
a un certo punto sono passati dal capitalismo al comunismo, adesso sono tornati al capitalismo. La teoria
lineare di Marx della morte del capitalismo si è quindi dimostrata errata e dovrebbe essere rifiutata.

10.2.Altre teorie lineari della morte del capitalismo

I teorici marxisti ci hanno offerti molte varianti delle tesi di Marx. Rosa Luxemburg è una esponente di
primo piano di questa scuola di pensiero ed era una filosofa ed economista tedesca di origini polacche che,
insieme a Karl Liebknecht, fondò il movimento Spartacus durante la Prima guerra mondiale.
Il movimento guidò la rivoluzione spartachista del 1918, che venne duramente repressa dai gruppi di
estrema destra paramilitari che infuriavano in Germania dopo la guerra. Purtroppo, Rosa Luxemburg e Karl
Liebknecht vennero assassinati.

Rosa Luxemburg sosteneva che nelle società capitalistiche si verificasse una mancanza di crescita dei
consumi e che questa fosse di per sé una conseguenza dello sfruttamento e dei bassi salari dei lavoratori.
Questo fenomeno avrebbe portato a un eccesso cronico di capacità produttive, il quale a sua volta avrebbe
innescato il declino dei prezzi e la depressione economica, aumentando la disoccupazione e la miseria dei
lavoratori. La rivoluzione sarebbe quindi divenuta inevitabile.
Lenin, il fondatore del partito bolscevico in Russia che prese il potere nel 1917, estese le tesi di Rosa
Luxemburg. Nella sua concezione, i paesi capitalisti che lottavano fra loro per trovate uno sbocco per i loro
prodotti, avrebbe tentato di ampliare i propri mercati attraverso l’espansione coloniale. In tal modo il
capitalismo avrebbe inevitabilmente condotto all’imperialismo e alla guerra tra i paesi imperialisti in cerca
di estensioni coloniali.

Shumpeter, nel suo libro Capitalismo, socialismo e democrazia, affermava l’ostilità degli intellettuali nei
confronti di un sistema di mercato decentralizzato. Come aveva chiarito Adam Smith con la sua analisi della
mano invisibile, il sistema di mercato funziona in maniera decentralizzata, portando a un certo equilibrio tra
la domanda e l’offerta, riuscendo a fare ciò in assenza di un intelletto centrale che guidi questa ricerca
dell’equilibrio. L’autointeresse dei produttori e dei consumatori all’interno di mercati competitivi è tutto ciò
di cui c’è bisogno. Il capitalismo sarebbe quindi un sistema che non ha bisogno di essere guidato a livello
centralizzato.

10.3.La predizione di Karl Polanyi

Una delle caratteristiche fondamentali di tale sistema è che esso mercifica qualsiasi cosa, rendendola
scambiabile sui mercati. Il lavoro, in particolare, diventa una merce al pari delle mele e così via. Di
conseguenza, il sistema di mercato trasferisce il controllo della sopravvivenza degli esseri umani a forze
astratte e impersonali. Esso rende così la loro sussistenza dipendente dai capricci delle fluttuazioni dei
mercati.

I protagonisti di un sistema di questo genere vedono tali movimenti come la sua qualità più importante, per
il fatto di possedere una dimensione di autoregolazione. I soggetti che non sono abbastanza forti
soccombono, ma ciò rende più forte il sistema di mercato nel suo complesso.

Ovviamente le persone soggette ai movimenti di questi mercati non la vedono nello stesso modo. I
meccanismi distruttivi dei processi di autoregolazione conducono inevitabilmente allo sviluppo di contro-
movimenti. Le persone colpite da queste forze cieche del mercato si organizzano usando il potere dello
stato per costruire meccanismi protettivi, la forma più importante dei quali è quella dei sistemi di
protezione sociale. Questi meccanismi protettivi possono prendere anche altre forme, come la protezione
dalle importazioni o la protezione contro l’ingresso di nuovi concorrenti sui mercati.

La convinzione di Polanyi era che questi meccanismi protettivi avrebbero distrutto il sistema di mercato, in
quanto ne avrebbero minato la flessibilità. In particolare, essi finirebbero per rendere inaffidabili le
dinamiche dei prezzi che dovrebbero guidare il sistema verso un qualche equilibrio. Di conseguenza, il
sistema di mercato smetterà di produrre il miglior risultato possibile per tutti, non essendo più possibile
affidarsi alla sua dissoluzione, venendo visto sempre di più come inefficiente e corrotto.

11.L’euro è una minaccia al sistema di mercato

11.1.L’eurozona indebolisce gli stati nazionali

In un’unione monetaria, come l’eurozona, i governi nazionali sono vulnerabili ai movimenti dettati dalla
paura e dal panico che nascono sui mercati finanziari. Queste paure aumentano quando un paese viene
colpito da una recessione. I movimenti dei mercati finanziari possono spingere i governi a una crisi di
liquidità che li obbliga a prendere misure di riduzioni radicali della spesa pubblica, essi hanno quindi dovuto
effettuare tagli proprio nel momento in cui per l’economia le cose si stavano mettendo male.

Una delle più importanti conquiste degli ultimi decenni è il fatto che i bilanci degli stati moderni possiedono
degli stabilizzatori automatici, in modo tale che quando un paese entra in recessione, il bilancio va
automaticamente in rosso, a causa della diminuzione delle entrate fiscali e dell’aumento delle spese per gli
ammortizzatori sociali.
Il bilancio pubblico possiede in questo modo una proprietà riequilibratrice nei confronti dell’economia, dal
momento che, durante una recessione, lo stato spende di più di quanto raccoglie con le tasse. In tal modo
si assicura la permanenza del livello del potere d’acquisto nell’economia. Questo mitiga la recessione e
riduce le sofferenze umane. In un’unione monetaria questo stabilizzatore automatico viene eliminato.

I movimenti ciclici, le espansioni e i crolli che fanno tanto parte del capitalismo, diventano più profondi,
generando enormi impoverimenti. Dalla crisi dell’euro, in alcuni paesi dell’eurozona la disoccupazione è
salita al 30% e oltre, una situazione intollerabile, che ha portato molte persone a rivoltarsi contro il sistema
di mercato, come avvenne negli anni ’30. In questo senso l’eurozona costituisce per esso un pericolo.

Maggiori sono state le misure di austerità, maggiori sono diventati i rapporti debito/Pil. Un aumento dei
tagli alla spesa si associa di fatto a un aumento del rapporto debito/Pil. Questo è legato all’effetto che
abbiamo osservato più sopra: i tagli alla spesa portano a una caduta del Pil.
Il risultato delle misure di austerità (imposte dai mercati finanziari) è stato quindi non solo quello di
generare una profonda recessione e un drammatico aumento della disoccupazione, ma anche quello di
aumentare in modo vertiginoso il rapporto debito pubblico (Pil) nei vari paesi.

La miseria che questi paesi hanno imposto a sé stessi sotto la pressione dei mercati finanziari non ha
portato a niente.

L’eurozona ha quindi un problema strutturale. Essa ha gravemente indebolito i governi nazionali di fronte ai
mercati finanziari. Ciò porta a una pericolosa supremazia di questi ultimi, che col tempo comprometterà il
consenso sociale sui vantaggi del sistema di mercato.

Come possiamo uscire da questa situazione salvando non solo l’eurozona ma il mercato stesso? Primo, il
ruolo della Bce come meccanismo di sostegno degli stati nazionali deve essere rafforzato. Secondo,
dobbiamo creare un governo a livello di eurozona che si faccia carico delle responsabilità degli stati
nazionali adesso indeboliti.

11.2.La Bce come prestatrice di ultima istanza

È essenziale che la Bce si assuma il compito svolto dalle banche centrali nazionali in America e in Gran
Bretagna. La Bce dovrebbe essere disposta, in tempi di difficoltà, ad acquistare i titoli di debito dei governi
quando i mercati vanno nel panico, come accaduto nel 2010-2011. All’inizio della recessione, la Bce non era
attrezzata per farlo. Quando la crisi divenne così intensa da minacciare di distruggere l’eurozona, il
presidente della Bce, Mario Draghi, annunciò che essa sarebbe stata disposta ad acquistare quantità
illimitate di obbligazioni. Questo programma di acquisto venne chiamato Outright Monetary Transactions
(Omt). Tale dichiarazione ebbe un effetto enorme. I tassi di interesse nei paesi in difficoltà, che avevano
raggiunto livelli record, calarono in modo impressionante. Il semplice annuncio fu sufficiente a pacificare i
mercati finanziari dell’eurozona. La Bce non ha di fatto avuto bisogno di comprare neanche un titolo di
stato, solamente l’annuncio di tale politica è stato sufficiente a convincere molti investitori che acquistare
titoli di stato dei governi greci, spagnoli o portoghesi era sicuro.

Questo dimostra quanto i mercati finanziari siano guidati dai sentimenti di fiducia o sfiducia.

La Bce è posta al di sopra dei governi e non può essere obbligata a fornire supporto nei momenti di crisi. I
governi sono così completamente dipendenti dalla buona volontà di amministratori non eletti. Una
situazione che a lungo andare è insostenibile.

11.3.L’euro è una moneta senza un paese

Esistono solo due modi per risolvere il problema della debolezza strutturale dei governi nazionali all’interno
dell’eurozona. Da una parte, possiamo creare un governo europeo, legittimato da un parlamento europeo,
a cui i governi nazionali decidono di trasferire significative funzioni di bilancio. Ciò dà vita a un’unione
politica, con un governo europeo che può direttamente spendere denaro e prelevare le tasse, potendo
quindi anche emettere un proprio debito. Un governo di questo tipo avrà anche il potere di obbligare la
banca centrale a fornirgli supporto finanziario.

Questa soluzione trasformerebbe l’Europa in uno stato federale.

12.Il mondo di Piketty

12.1.Il capitale è tornato

Il punto di partenza dell’analisi di Piketty è lo sviluppo di lungo periodo della quantità di capitale presente
nelle economie del mondo occidentale. Col termine capitale gli economisti intendono l’insieme dei beni e
dei servizi utilizzati come fattori di produzione o che vengono impiegati per produrre beni e servizi.
I componenti più importanti del capitale sono la terra, le risorse naturali, gli edifici, i macchinari e le
infrastrutture.
Il capitale può essere di proprietà privata o pubblica. Quando è in mani pubbliche costituisce un asset
pubblico, vale a dire un asset che è proprietà collettiva della nazione.

Piketty deduce dal capitale il debito, perciò quando parla di capitale si riferisce sempre al capitale netto.

12.2.Una legge ferrea: r > g

Nel lunghissimo periodo il rendimento del capitale (r) è maggiore della crescita dell’economia (g), concetto
che si esprime nella formula: r > g.
Questa fondamentale asimmetria, nella prospettiva di Piketty, è basata su osservazioni storiche che si
estendono sull’arco degli ultimi 2000 anni.

All’inizio di questo periodo fino alla metà del secolo scorso il rendimento del capitale è sempre stato molto
elevato. Dal 1913 alla fine della Seconda guerra mondiale il rendimento è collassato dopodiché ha
ricominciato nuovamente a salire.
La crescita economica dell’economia segue una forma completamente diversa. Fino alla rivoluzione
industriale non c’è stato quasi nessun incremento. A partire dal XVIII secolo, la crescita inizia ad aumentare,
raggiungendo un picco nel periodo 1950-1970, per poi scendere nuovamente.
Per tutto questo periodo la relazione è quindi r > g, tranne che nel periodo relativamente breve dopo la
Seconda guerra mondiale (1950-1970). Da allora siamo ritornati a una situazione in cui r > g.

Qual è il significato di r > g? Questa la risposta di Piketty: se il tasso di rendimento del capitale (r) è
maggiore della crescita del Pil (g), questo significa che il capitale manifesta la tendenza a crescere più
velocemente del Pil.

Il fatto che questo processo si verifichi o meno dipende dalla quantità di risparmio di coloro che possiedono
il capitale. Se questi risparmiano poco allora la crescita del capitale sarà decisamente più lenta.
Se invece il loro tasso di risparmio è elevato allora quest’ultimo crescerà velocemente.
La quantità di capitale rispetto al Pil dipende quindi dall’ammontare risparmiato.

La formula r > g si applicava anche nel periodo preindustriale, quando i capitalisti risparmiavano in grande
quantità, generando un elevato rapporto capitale/Pil. Questa asimmetria venne disturbata, durante la metà
del secolo, dalle due guerre mondiali che distrussero intere fette della dotazione di capitale. In tale periodo
anche il rendimento del capitale si ridusse, poiché in molti paesi le tasse sul reddito e sui patrimoni vennero
drasticamente aumentate. Ciò fu dovuto principalmente alla fortissima lotta scatenatasi contro il sistema di
mercato a causa della Grande depressione.

Ben presto in questo periodo si ebbe un rovesciamento dell’asimmetria r > g, portando a una crescita del Pil
superiore al rendimento del capitale.
A partire dagli anni ’80 la crescita economica si è indebolita mentre il tasso di rendimento del capitale è
tornato ad aumentare, innanzitutto a causa della nuova ascesa del sistema di mercato.

Sembra che l’inversione nel rapporto di r su g nel periodo del secondo dopoguerra sia stata un’eccezionalità
storica. Per Piketty questo è chiaro. La sua tesi è che ci troviamo in un processo di ritorno a una situazione
che assomiglierà di più alle circostanze presenti nel periodo tra l’Ancien Régime e la Francia del XIX secolo,
quando r era molto elevato e g molto asso. Egli pensa che r continuerà a crescere mentre le prospettive
della crescita del reddito (g) sono tutt’altro che rosee. Ci stiamo quindi avvicinando nuovamente a una
situazione in cui r > g.

Dal momento che i possessori di capitale risparmiano una grande proporzione dei loro redditi, l’ammontare
del capitale in rapporto al Pil continuerà a crescere.

12.3.Il ritorno delle rendite

Secondo Piketty stiamo tornando a una situazione in cui la ricchezza viene determinata prima di tutto dalla
famiglia in cui una persona nasce piuttosto che dai risultati individuali. Emerge un problema. Il sistema
verrà visto come iniquo dalla maggior parte della popolazione, la quale a un certo punto lo rigetterà.
Secondo, nasce un problema politico, dovuto al fatto che i super-ricchi esercitano un’influenza
spropositata, mettendo sotto pressione la credibilità della democrazia.

Se quindi intendiamo salvare sia la democrazia sia il capitalismo, la grande disuguaglianza nel possesso degli
asset deve essere ridotta. Secondo Piketty ciò può essere perseguito solamente attraverso una tassa sui
patrimoni.

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