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DIRITTO COMPARATO DELL’ECONOMIA

CAPITOLO 1
3 significati della Costituzione Economica:
- formula riassuntiva delle norme della Costituzione in senso formale sui rapporti economici.
Per quanto riguarda la Costituzione italiana, ci riferiamo agli artt. 41 e 43 (relativi all’impresa), 42
e 44 (relativi alla proprietà), nonché alle norme speciali relative alla cooperazione o al risparmio,
come per esempio artt. 45 e 47. Inoltre indica, oltre alle disposizioni strettamente costituzionali,
anche norme contenute in leggi ordinarie che sono di rilevanza costituzionale (legge antitrust,
legge per la privatizzazione delle maggiori imprese pubbliche.
-insieme di istituti che, pur facendo parte del diritto, non appartengono necessariamente alla
Costituzione scritta. Non si deve tener conto solo delle analisi delle norme costituzionali e delle
leggi, ma anche delle analisi dei mutamenti dell’opinione pubblica.
-L’ultima accezione allarga lo sguardo anche agli aspetti amministrativi. Il suo significato non
abbraccia soltanto le norme costituzionali (primo significato), le leggi e l’opinione pubblica
(secondo significato), ma anche un cerchio più ampio, il “diritto vivente” (law in action).
L’espressione non si deve fermare ad abbracciare principalmente istituti, norme e prassi relativi ai
rapporti economici e alle imprese. Essa deve tener conto anche di altri aspetti, come quelli sociali
e culturali (ad es. l’assistenza sanitaria e l’istruzione scolastica, in quanto comportano spese).
Metodi di studio della Costituzione Economica:
1. Il primo è quello tradizionale, è un approccio giuridico classico che studia le relazioni tra Stato
e privati. Studia gli atti amministrativi e legislativi che incidono sulla proprietà e sull’impresa.
(metodo diffuso in Francia e Germania)
2. Metodo delle analisi delle politiche di settore, proprio degli studiosi che mirano a verificare le
caratteristiche dell’azione statale settore per settore. 3. Metodo generale, che considera il governo
degli aggregati, ovvero le politiche generali, le “quantità globali”(risparmio, reddito, spesa).

Tradizionalmente il diritto pubblico dell’economia nasce come disciplina giuridica volta a studiare
l’intervento dello Stato in campo economico.
• DIRITTO: naturale e primordiale tendenza dell’uomo a darsi regole di comportamento per
vivere pacificamente all’interno della comunità
• ECONOMIA: naturale e primordiale tendenza dell’uomo di ricercare beni per soddisfare i
propri bisogni e quelli dei suoi familiari
Nelle attuali società complesse, in cui i rapporti sono molto articolati, le regole giuridiche sono
principalmente raccolte in testi scritti; il potere di creare norme valide per tutti, farle applicare,
punire chi non le osserva è affidato a diversi ORGANI dello STATO (legislativo,
esecutivo, giudiziario). Attraverso le regole giuridiche si stabilisce: - quali interessi far prevalere in
caso di conflitto, - quali comportamenti regolare quali no, - quali sanzioni prevedere in caso di
trasgressione.
L’ampliarsi delle risorse disponibili, l’evoluzione tecnologica e l’invenzione di nuove strumenti di
produzione, l’ampio uso della moneta e l’estendersi dei rapporti commerciali su scala
internazionale,l’economia si è costituita come SCIENZA e TEORIA per spiegare il
comportamento economico del singolo e della collettività: come teoria, l’economia si occupa di
analizzare mezzi e strumenti dell’uomo per perseguire i suoi interessi e dei possibili effetti delle
sue scelte e le principali sono: quelle individuali e collettive.
L’insieme di ciò che le persone fanno e dei rapporti che stabiliscono fra loro a tale scopo
costituisce il sistema economico di un paese. Inizialmente, i rapporti economici erano molto
semplici: l’economia era di sussistenza e ciascuno produce per sé ciò di cui necessita per
soddisfare i bisogni primari; con l’avvento dell’agricoltura e dei commerci, nacque la divisione del
lavoro: ciascuno usava ciò che produceva (grano, ecc.) ma lo cedeva anche ad altri e nacque, così,
lo scambio prima come baratto e poi attraverso la moneta. Progressivamente nacquero le
macchine, riunite in un solo luogo (fabbrica) e chi le gestiva assumeva la forma di impresa e chi
deteneva il controllo delle macchine, controllava anche la forza-lavoro. Solo a partire da questo
momento, lo Stato iniziò ad acquisire un ruolo attivo
nella gestione dell’economia, attese le ricadute che i rapporti economici erano suscettibili di avere
sul benessere individuale e collettivo.
Il sistema economico è quindi l’insieme di istituti, norme, consuetudini, strutture sociali e prassi
inerenti all’organizzazione della produzione, esistenti in un determinato territorio e in un dato
periodo di tempo. Negli anni si sono susseguiti diversi sistemi economici:
• Sistema feudale: Si tratta di un’economia fondata sull’agricoltura di sussistenza e sulla
relazione «padrone-servo»; le terre sono di proprietà del regno, che il re distribuisce ai feudatari e
ai
nobili, i feudatari e nobili concedono ai servi di coltivare la terra, ottenendo in cambio parte del
raccolto, una casa e alcuni servizi economici e politici. Non esiste il diritto di proprietà, perché la
terra è del sovrano, gran parte della produzione agricola viene restituita al feudatario e ai servi
resta solo la parte sufficiente per soddisfare il bisogno alimentare
della famiglia.
• Sistema mercantile: Si afferma con la fine del Medioevo, alla fine del secolo XV, con l’ascesa
degli Stati nazionali, l’umanesimo, la riforma protestante, le grandi scoperte geografiche. In
questo periodo si avvia l’opera di colonizzazione e lo sfruttamento di nuovi continenti e si ha un
forte sviluppo del commercio internazionale. Lo scambio commerciale portò all’utilizzo sempre
più diffuso della moneta e alla sua circolazione.
(Attraverso questi fondamentali PASSAGGI, la civiltà occidentale entrò nella fase
dell’industrializzazione)
Il sistema economico mercantile si basava sul COMMERCIO su grandi distanze e
sull’acquisizione di PROFITTI MONOPOLISTICI
Il sistema mercantile si basava:
- MONETA: la ricchezza di una nazione era assicurata dalla quantità di metalli preziosi da essa
posseduti. I privati consegnavano alla ZECCA il metallo prezioso in loro possesso e ottenevano
in cambio l’equivalente in monete (dedotte le spese e il signoraggio)
- INTERVENTO STATALE: in tutti i settori dell’economia con dazi, controlli doganali
- ESPORTAZIONI: potenza dello Stato derivava da una politica volta al potenziamento delle
esportazioni che sarebbero state pagate in metalli preziosi.
• Sistema capitalistico: La sua origine va individuata nella rivoluzione industriale inglese e in
quella francese di fine XVIII secolo. È un sistema caratterizzato da:
• A) formazione e impiego produttivo di CAPITALE
• B) Divisione del LAVORO
• C) Impresa
• D) Proprietà privata dei mezzi di produzione
• E) Economia di mercato
• F) Proprietà privata
Il sistema capitalistico rappresenta il contesto economico prevalente nei paesi occidentali e la sua
condizione fondamentale è la libera concorrenza tra soggetti che operano all’interno del mercato
per la compravendita di beni e servizi.
Le figure umane principali del capitalismo sono gli imprenditori: questi reperiscono un capitale,
proprio o altrui, e lo investono in un’impresa con l’intento di recuperare quanto investito con
l’aggiunta di un profitto. Nella loro azione, gli imprenditori sono soggetti a un rischio
di impresa. L’imprenditore ha come fine l’ottenimento di un profitto (plusvalore)
L’accumulazione del capitale e il rischio di impresa consentono di ampliare i processi produttivi,
quindi si tratta di un’economia monetaria dove gli scambi passano attraverso il mercato.
PRIMA FASE DEL CAPITALISMO (1760-1820) = la fase nascente del capitalismo in Gran
Bretagna, Olanda, Belgio, Francia, Germania e Danimarca
In questo periodo, nasce il capitalismo industriale delle fabbriche e del liberismo, caratterizzato
dal lavoro SALARIATO, divisione del lavoro, sfruttamento, disponibilità illimitata di
manodopera, urbanizzazione; inoltre ci sono stati grandi cambiamenti sociali come la nascita
della classe operaia e del proletariato urbano e la coesistenza di borghesia e proletariato.
SECONDA FASE= La seconda rivoluzione industriale viene fatta partire dal 1830, con
l’introduzione dell’elettricità e dei prodotti chimici e del petrolio. Questa è la fase di
consolidamento che si protrae sino allo scoppio della prima guerra mondiale e che si caratterizza
per l’affermarsi degli USA come fornitore di materie prime e potenza industriale.
Il sistema bancario e del credito cambiò profondamente e alla fine di questa fase si affermò il
capitalismo dei grandi monopoli e oligopoli. Negli USA, il capitalismo monopolistico fu
caratterizzato anche dalla nascita della legislazione antitrust.
CAPITALISMO E LIBERALISMO= Il capitalismo si fonda su un sistema economico fondato
sulla proprietà privata e implica l’esistenza di un sistema sociale e politico noto come
LIBERALISMO o LIBERISMO. Il capitalismo è un sistema economico idealmente
caratterizzato dalla libertà o dal laissez-faire. È un sistema in cui il mercato non è governato dallo
stato mentre il liberismo si lega all’opera di Adam Smith, il quale nel suo studio Inchiesta sopra
la natura e le cause della ricchezza delle nazioni.
La «teoria della mano invisibile» è il concetto di Adam Smith più noto: ogni uomo, cercando di
seguire i propri interessi, è accompagnato come da una mano invisibile del mercato, a operare per
il benessere comune, agendo sul singolo. L’egoismo del singolo genera una situazione di
efficienza collettiva: gli individui sono in grado di servire l’interesse della collettività perseguendo
il proprio interesse personale.
• «Non dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro
benessere, ma dalla considerazione del loro interesse personale. Non ci rivolgiamo alla loro
umanità, ma al loro egoismo, e parliamo dei loro vantaggi, mai delle nostre necessità»
Questo è il «miracolo del mercato» che per sua natura tende all’equilibrio, ciò richiede però che i
produttori siano liberi di spostarsi da un settore all’altro, cioè che l’attività economica sia aperta
all’ingresso di nuovi operatori, in grado di entrare in concorrenza con i vecchi operatori già
stabiliti nel mercato
LIBERALISMO POLITICO= Se la massima utilità generale è garantita della libera
competizione, allora l’imprenditore (borghesia), per operare in un contesto libero e competitivo,
ha bisogno di un sostrato politico altrettanto libero.
Le Dichiarazioni dei diritti americana (1776) e francese (1789) si pongono al vertice di un
processo storico che porta al riconoscimento della libertà di parola, di associazione; principio di
eguaglianza dinanzi alla legge, diritto di proprietà
La borghesia, con queste rivoluzioni, diviene soggetto centrale dell’assetto della forma di stato
monoclasse e capitalista; la legge ha una funzione di garanzia per la borghesia; garanzia che si
sviluppa nel ruolo di preminenza del Parlamento (organo rappresentativo dell’interesse borghese,
grazie al sistema elettorale censitario)
CONTRADDIZIONI CAPITALISMO E LIBERALISMO= Il liberismo è la pretesa che il
sistema economico si autoregoli, ovvero che non abbia bisogno di interventi correttivi da
autorità “superiori” ai mercati economici. Ma, di lì a poco, l’esperienza dimostrò che non vi era
nessuna evidenza, non solamente pratica, ma neppure teorica, che i sistemi economici si
autoregolassero.
Per meglio dire, non vi fu nessuna evidenza che la “autoregolazione” procedesse sempre
compatibilmente con il bene della collettività, anzi fu subito evidente che il liberismo conducesse
ad un arricchimento di chi già ricco era fattore di ulteriore impoverimento dei meno abbienti.
Il capitalismo rende l’essere umano sacrificabile, perché lo riconduce ad un semplice
fattore tra gli altri nelle forze di produzione, che può essere spietatamente lasciato
andare nel momento in cui i costi salgono o si possono ottenere dei risparmi attraverso
la tecnologia.
Karl Marx, CRITICA AL CAPITALISMO= A partire dalla metà del XIX secolo alcuni
studiosi evidenziarono i molti problemi che il capitalismo non era riuscito a risolvere, e in
particolare la miseria in cui vivevano larghi strati della popolazione.
L’economia di mercato e il non interventismo dello Stato furono radicalmente messi in
discussione da Karl Marx, che credeva che i capitalisti riducessero gli stipendi dei lavoratori
quanto più possibile al fine di ottenere un ampio margine di profitto.
Mentre i capitalisti vedono il profitto come una ricompensa per l’ingenuità e il talento
tecnologico, Marx puntava il dito sul profitto, vedendolo semplicemente come un furto, e ciò che
viene rubato è il talento e il duro lavoro della tua forza lavorativa.
Per Marx il capitalismo si riduce a pagare un certo prezzo a un lavoratore per fare qualcosa e poi
venderla a un prezzo molto più alto. In pratica per Marx il profitto è un termine elegante per
‘sfruttamento‘.
Marx propose che i sistemi capitalistici fossero strutturati per avere delle crisi in serie periodiche,
infatti per lui le crisi sono endemiche nel capitalismo e sono causate dal fatto che siamo in grado
di produrre troppo – molto più di quanto abbiamo bisogno di consumare.
Le crisi capitalistiche sono crisi di abbondanza, piuttosto che – come nel passato – crisi di
scarsità, proprio per questo per Marx è sufficiente che pochi lavorino, perché l’economia
moderna è molto produttiva. Ma questa mancanza di bisogno di lavorare viene descritta col
termine spregiativo di “disoccupazione”, anziché chiamarla -come Marx suggerisce- “libertà”.
A questo punto secondo Marx si deve rendere ammirabile lo svago e ridistribuire la ricchezza
delle grandi corporazioni, che ricavano così tanto denaro in eccesso, e darla a tutti.
(Duecento anni dopo la sua nascita, l’evoluzione della robotica e dell’Intelligenza Artificiale,
fanno ipotizzare che la visione di Marx possa tornare in auge.)
In una società capitalistica, la maggior parte delle persone crede a cose che non sono altro che
giudizi sul valore che derivano dal sistema economico. ( Ad esempio, che una persona che non
lavora non valga nulla, che l’ozio (protratto per più di un paio di settimane l’anno) sia
peccaminoso, che più averi ci rendano più felici e che le cose (e le persone) di valore faranno
invariabilmente soldi.)
In breve, uno dei mali maggiori del capitalismo non è che ci siano persone corrotte al vertice,
questo vale per qualsiasi gerarchia umana, ma che le idee capitalistiche insegnino a noi tutti ad
essere ansiosi, competitivi, conformisti e politicamente compiacenti.
Fine del capitalismo per Marx:
La società si polarizza in due sole classi antagonistiche, laddove i proletari tendono a crescere
mentre i capitalisti a diminuire, finché la contraddizione tra le forze di produzione sempre più
sociali ed il carattere privatistico dei rapporti di produzione determina la fine del sistema
capitalistico stesso.
-Per aumentare il plus-valore occorre aumentare la produttività del lavoro, introducendo nuovi e
più efficaci metodi e strumenti di lavoro: NASCITA DELL’INDUSTRIA MECCANIZZATA->
la macchina aumenta la quantità di merce prodotta nello stesso tempo dal medesimo numero di
operai; tutto questo porta alle crisi di SOVRAPPRODUZIONE, che sono la disoccupazione e la
distruzione capitalistica dei beni.
-Caduta del saggio di profitto, dato dal rapporto fra plus-valore, capitale variabile (capitale mobile
investito in salari) e capitale costante (capitale investito nelle macchine e in tutto ciò che serve alla
fabbrica per funzionare).
La situazione finale del capitalismo sarà la seguente: da una parte una minoranza industriale con
una ricchezza ed un potere immensi, dall’altra una maggioranza proletaria sfruttata (i piccoli
capitalisti, per la legge della concorrenza, verranno espropriati dai grandi magnati dell’industria e
andranno ad ingrossare le fila del proletariato)
Le contraddizioni del capitalismo costituiscono la base oggettiva della rivoluzione del
proletariato, che svolgerà la missione storico-universale di attuare il passaggio dal capitalismo al
comunismo.
• Obiettivo della rivoluzione (pacifica o violenta che sia): abbattere lo Stato borghese e le sue
forme istituzionali, in quanto lo Stato moderno è visto come sovrastruttura di una società civile
prestatale dominata dagli interessi di classe della borghesia.
«Lo Stato è la forma in cui gli individui di una classe dominante fanno valere i loro interessi
comuni» (Ideologia tedesca, 1845-46); «il potere politico è il potere di una classe organizzata per
opprimere un’altra» (Manifesto, 1848).
«Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione
rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico di transizione, il
cui stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato»
(Critica del Programma di Gotha, 1875)
DITTATURA DEL PROLETARIATO: dittatura di una maggioranza di oppressi su di una
minoranza di (ex-)oppressori, destinata a scomparire. «Il proletariato si servirà del suo dominio
politico per togliere via via alla borghesia tutto il capitale, per concentrare nelle mani dello stato
tutti gli strumenti della produzione, ossia nelle mani del proletariato organizzato come classe
dominante, e per aumentare con la massima velocità possibile le forze produttive»
Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe
dominante attraverso una rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli
antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le condizioni di
esistenza dell'antagonismo di classe, cioè abolisce le condizioni d'esistenza delle classi in
genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe.
Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra
un'associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti».
(Manifesto del partito comunista, 1848)
COMUNISMO= A) Il primo passo verso il comunismo prevede che il proletariato si elevi a
classe dominante; B) Il secondo passo, il proletariato utilizzerà il dominio politico per strappare
alla borghesia tutto il capitale e per accentrare tutti gli strumenti di produzione nello Stato (anche
mediante l’uso della forza); C) La dittatura del proletariato servirà per instaurare la società
comunista; D) il «silenzio» di Marx sui caratteri del comunismo (superamento della proprietà
privata, abolizione dello Stato e delle classi sociali).
«Ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni»
Nella società comunista gli uomini non sono obbligati al lavoro, ma possono realizzarsi secondo
le proprie capacità e attitudini e il godimento dei beni non è soggetto alle restrizioni privatistiche,
ma avviene ciascuno per le proprie esigenze.
• Sistema collettivistico
Il comunismo è retto da un sistema economico di tipo collettivistico, in cui il mercato viene
sostituito con la pianificazione centrale da parte dello Stato. L’allocazione e la distribuzione delle
risorse è decisa direttamente dallo Stato, la proprietà delle imprese e delle risorse è collettiva
(Stato), il potere politico è concentrato nel partito comunista:
I principi sono:
• La soddisfazione dei bisogni collettivi deve prevalere sugli interessi individuali
• I mezzi di produzione devono essere di proprietà dello Stato
• Scomparsa del lavoratore e scomparsa dell’imprenditore privato
• Società senza classi
• (Cina, Corea del nord, Cuba, Laos, Vietnam)
(Storicamente, è difficile rintracciare esempi di sistemi puri, poiché in ciascuno di essi sono
presenti elementi di altri)

GEOPOLITICA ECONOMICA NEL XX SECOLO:


L’Occidente è la patria del capitalismo, sistema socio economico caratterizzato dalla proprietà
privata del capitale e dalla separazione tra proprietari e lavoratori. Sul finire del XVIII secolo, con
le opere di Adam Smith, la Gran Bretagna prese a veicolare i capisaldi del pensiero capitalista in
giro per l’Europa; gli Stati Uniti, a partire dal Secondo dopoguerra, sono stati in grado di
diffondere il sistema capitalistico in tutto il mondo.
I TRENTA GLORIOSI (1945-1971):
Alla fine della seconda guerra mondiale il predominio statunitense è assoluto: il Piano Marshall,
che era anche una necessità politica (per evitare che in un’Europa immiserita prevalessero
orientamenti rivoluzionari), ha due effetti economicamente rilevanti: crea rapidamente un
mercato di sbocco per i prodotti americani e consente la rapida ripresa dell’Europa occidentale.
Un ulteriore contributo alla ripresa venne dal riarmo, che si verificò in particolare dalla guerra di
Corea (1950-3), inoltre la forte crescita prima dell’economia europea, e poi anche di quella
giapponese, porta, nei primi anni Sessanta, ad una situazione di pieno impiego: la disoccupazione
scende all’1,5% in Europa, e all’1,3% in Giappone.
DAL LIBERALISMO AL NEOLIBERALISMO=
Nel mezzo secolo successivo al II conflitto mondiale, c’è stato un consenso ampio attorno al
capitalismo e alla sua diffusione nell’intero occidente, ciò ha portato ricchezza e la povertà è
diminuita perché i paesi si sono avvalsi di un’economia globale aperta.
Ma, a partire, dagli anni ‘70, si realizza una tendenza evolutiva dei sistemi capitalisti ispirata ad
alcuni principi teorici ed applicativi, ispirati alle teorie di Milton Friedman e della Scuola di
Chicago, il mercato è stato sempre più venerato e lo Stato sempre più demonizzato come nemico
della crescita economica.
CRISI DEL CAPITALISMO E COLLASSO DEL SOCIALISMO SOVIETICO=
I due decenni successivi sono stati all’insegna della disciplina del libero mercato, delle
privatizzazioni e delle liberalizzazioni, le cui massime espressioni politico-istituzionali (governi
Reagan e Thatcher). In parallelo al rallentamento della crescita e all’aumento della leva creditizia,
cresce l’instabilità finanziaria, torna ad aumentare il divario di reddito tra paesi occidentali e resto
del mondo.
A partire dalle metà degli anni ‘80, l’impennata dei prezzi, unitamente al crollo delle materie
prime energetiche contribuisce al crollo dell’URSS, che segna la «fine della storia».
La fine dell’URSS marca uno spartiacque nella storia del XX secolo, e conferisce al capitalismo
contemporaneo l’aura della definitività: «non esiste altra società al di fuori di me».
Secondo Fukuyama, la storia è fatta di fasi alterne di guerre e scontri, caldi e freddi. Con la
guerra fredda lo scontro era tra Occidente e Oriente comunista.
Con la caduta dell’URSS, le guerre sono cessate e di conseguenza la storia è finita.
Per Fukuyama, la democrazia liberale e il capitalismo sarebbero stati destinati a pervadere,
gradualmente, tutte le nazioni del pianeta.
La teoria di Fukuyama è alla base di tutte le ideologie della globalizzazione, presentata come
panacea di tutti i mali che avevano attanagliato l’umanità nel corso dei millenni. Una fine della
storia che doveva essere anche fine della geografia, elevando al rango di salvifico il nuovo corso
dell’utopia globalista del «non luogo».
Il liberalismo occidentale ha permeato la società nell’ultimo trentennio nella tecnologia,
nell’educazione, nella scienza, nell’arte, nei social media, non solo nei paesi occidentali, ma anche
in società semi-chiuse come la Cina e la Russia.
Negli anni ‘90, un altro autore americano, S. Huntington, ha contrastato la teoria di Fukuyama,
egli ha sostenuto che la fine della guerra fredda non avrebbe comportato la fine della storia, bensì
l’emersione di nuovi attori che sarebbero stati in competizione tra loro su scala mondiale.
Secondo Huntington la fine della guerra fredda, non solo non avrebbe portato all'affermarsi di
un modello unico, ma anzi avrebbe liberato le diverse civiltà dal giogo del bipolarismo politico ed
ideologico USA-URSS, lasciandole ben più libere di svilupparsi autonomamente con modi e
tempi differenti tra loro.
Tale situazione, secondo Huntington, non sarebbe tuttavia caratterizzata da una pacifica
convivenza visto che "l'elemento centrale e più pericoloso dello scenario politico internazionale
che va delineandosi oggi è il crescente conflitto tra gruppi di diverse civiltà".
Le diverse civiltà (Huntington ne enumera nove, di diversa importanza e con differenti rapporti
reciproci, cioè Occidentale, Latinoamericana, Africana, Islamica, Sinica, Indù, Ortodossa,
Buddista e Giapponese, confuciana) stanno infatti orientandosi sia su basi ideologiche sia,
soprattutto, su basi religiose (come succede per quella Islamica).
L'idea stessa di una civiltà che si afferma sulle altre come universale è quindi, secondo
Huntington, del tutto sbagliata e frutto di una visione del mondo schematica e ancora legata ai
meccanismi della guerra fredda per cui, se prima vi erano due modelli che si fronteggiavano,
ora, finito il comunismo, l'intero campo sarebbe rimasto libero per l'acquisizione del modello
liberaldemocratico occidentale.
«La guerra di Putin all’ordine liberale»
Il 4 marzo 2022, in un articolo pubblicato sul Financial Times, Fukuyama commenta l’invasione
dell’Ucraina da parte della Russia e pone l’accento sul pericolo che Putin rappresenta per l’ordine
liberale, confermando indirettamente la validità della tesi di Huntington, ossia dello scontro tra
civiltà ortodossa e civiltà liberale.
La condannabile invasione dell’Ucraina da parte della Russia va collocata in un contesto molto
più ampio e complesso, tra due diverse concezioni dei rapporti tra civiltà.
Secondo Fukuyama, quello che sta succedendo oggi in Ucraina è la «guerra di Putin all’ordine
liberale» (Eventi drammatici decidono il destino di quello che sarà il prossimo ordine mondiale,
tutto ciò che accadrà dipenderà dall’esito dello scontro armato e dai rapporti di forza che
verranno a stabilirsi al suo esito.)

La fine del capitalismo?


Fredric Jameson: Non posso dare torto a chi dice che sia più facile immaginare la fine del
mondo che la fine del capitalismo. Il capitalismo è mutato, ha assunto nuove forme e dimensioni
negli ultimi due secoli, ma sembra rimanere l’unica opzione concretizzabile per l’umanità
Tutto sembra dirci che è un sistema insostenibile, soprattutto dal punto di vista ambientale, ma la
fine del capitalismo porterà cambiamenti enormi, non necessariamente migliori.

Quattro modelli di futuro. C'è vita oltre il capitalismo - Peter Frase


Sembra essere un’opera di fantascienza, ma prova a tracciare 4 possibili scenari evolutivi del
capitalismo della sorveglianza scaturito dalla rivoluzione digitale
• Primo scenario: il comunismo
La tecnologia permetterà la transizione verso un futuro post-lavoro e post-inquinamento con
superamento delle divisioni di classe. Ma, per Frase, le gerarchie di status persisteranno; si pensi
al sistema di credito sociale a punti introdotto in Cina in base al comportamento del cittadino
• Secondo scenario: rentismo
Liberi dal lavoro, vivremo di rendita, in una sorta di comunismo di lusso, tuttavia, per Frase, le
ICT sono comunque nelle mani di un élite. Il lavoro potrebbe durare, dal momento che, per
questa élite, avere il potere sugli altri è la ricompensa
• Terzo scenario: il socialismo sostenibile
In un mondo dalle risorse limitate a causa del clima, lo Stato ha il potere di revisionare le
infrastrutture e distribuire equamente rischi e benefici. Il lavoro si riduce progressivamente, ma
pure il consumo: socialismo sostenibile ma non comunismo lussuoso
• Quarto scenario: lo sterminio
I ricchi (pochi) cercano di monopolizzare lo spazio e le risorse in un quadro apocalittico. La gran
parte dell’umanità è sempre più emarginata. Per Frase, il grande pericolo dell’automazione della
produzione è che dal punto di vista delle élite al potere rende superflua la grande massa di
persone; invece di trascurare o imprigionare i poveri, perché semplicemente non eliminarli?
(Droni autonomi, robt killer mancano una sempre maggior distanza tra un genocidio e un
semplice Click)

CAPITOLO 2
Dall’Unità d’Italia alla Costituzione repubblicana
Dal 1861 alla fine del XIX secolo (stato liberista); dalla fine del XIX secolo agli anni Venti (prima
industrializzazione); dagli anni Venti agli anni Cinquanta (economia mista); dagli anni Cinquanta
all’integrazione europea (WELFARE STATE); integrazione europea e modello economico
ordo-liberista e/o neo-liberista.
1 periodo: LO STATO LIBERISTA: Dall’unità d’Italia alla fine del XIX secolo
-1861: costruzione di un embrionale mercato nazionale attraverso l’unificazione legislativa:
1) adozione dei codici (civile – 1865; di commercio – 1865 e 1882): affermazione del diritto di
proprietà, ma carenza della disciplina dell’impresa.
2) Estensione dello Statuto Albertino e della legislazione piemontese a tutto il Regno, nonostante
i divari socio-economici tra le varie parti della Penisola.
• Presupposto: l’adozione di leggi moderne avrebbe “automaticamente” prodotto lo sviluppo
economico. In questo caso è fondamentale la difesa del mercato interno mediante il
protezionismo doganale:
• In un periodo di scarso sviluppo industriale, con un’economia agricola e stagnante, la creazione
di un mercato unico (che coincide con i confini nazionali) viene preservato attraverso una “rete
protettiva: le tariffe doganali (1878 e 1887) a difesa dei prodotti nazionali.
• Effetto: accentuazione degli squilibri nazionali.
Privatizzazione e liberismo
Vi è l’assenza di una macchina di governo dell’economia: il primo Ministero (unico per
agricoltura, industria e commercio) è del 1878 e ha poche competenze e i primi Governi
nazionali sposarono pienamente il modello capitalistico-liberale, con l’assunto che il mercato
sarebbe stato auto-sufficiente: quindi lo Stato crea e disciplina, ma non è attore del mercato.
2 periodo: la prima industrializzazione (primo ventennio del XX secolo)
Dopo la crisi economica degli ultimi anni del XIX secolo (che avevano avuto, tra le
altre, come conseguenza l'aumento della conflittualità sociale), agli albori del '900 l'Italia conobbe
una prima fase di industrializzazione, soprattutto per quanto riguarda il comparto siderurgico e
quello idroelettrico.
I limiti e gli squilibri dell'industrializzazione italiana di quegli anni vennero fuori solamente
durante la crisi economica del 1907: eccessiva concentrazione, carenza della classe
imprenditoriale, arretratezza dell'agricoltura e ristrettezza del mercato interno.
Differenziazione legislativa: in questo caso viene abbandonata l’uniformità legislativa, in seguito
vennero approvate leggi speciali per Napoli (1885 e 1904), la Calabria (1906), la Basilicata
(1908), con l’obiettivo di potenziare interventi infrastrutturali nelle aree meno sviluppate,
introducendo procedure speciali ed istituendo organi speciali.
Lo Stato interviene nel campo economico attraverso un forte incremento degli investimenti
infrastrutturali; nel 1905 venne fondata l’Azienda delle Ferrovie dello Stato e l’incremento degli
investimenti nei lavori pubblici assume una notevole rilevanza in un paese prevalentemente
agricolo. I lavori pubblici comportano l’aumento dei contratti stipulati con privati per
l’esecuzione delle opere, con immissione di denaro pubblico nell’economia privata.
In seguito vengono costituite numerose imprese pubbliche come: le Ferrovie dello Stato (1905),
l’Impresa per la telefonia inter-urbana (1907), l’ Istituto Nazionale delle Assicurazioni- INA
(1913), la Banca Nazionale del Lavoro (1914) e il Consorzio di Credito per le opere pubbliche
(1919). Tutto ciò porta alla crescita dell’intervento dello Stato che diventa gestore diretto delle
imprese.
3 periodo: L’economia mista: dagli anni Venti alla metà del XX secolo
Durante il fascismo, il rapporto tra poteri pubblici e mercato si sposta verso il controllo statale di
interi settori dell’economia, destinata a sfociare nel regime corporativo.
Proprio in questo periodo si sviluppa il regime del MONOPOLIO STATALE: 1922 = trasporto
marittimo e servizio di telefonia; 1923 = trasporto aereo; 1927 = radiodiffusione; 1933 = acque.
Però lo Stato esclude i privati e assume la gestione o in via diretta o in via indiretta, tramite
concessione.
Il modello dirigista è caratterizzato dal primato dello Stato sul mercato e a livello istituzionale, il
modello si traduce in: pianificazione e programmazione statale, monopoli pubblici e imprese di
Stato.
La crisi economica del 1929 e la «terza via» Keynesiana (sistema misto)
Negli anni successivi alla Grande guerra gli Stati Uniti conobbero un vero e proprio boom grazie
alla fiorente industria automobilistica e all’alta produttività, dovuta anche alla razionalizzazione
dei processi produttivi attraverso l’adozione di un’organizzazione del lavoro scientifica (il
cosiddetto Taylorismo), che permetteva di mantenere inalterati prezzi e salari, favorendo
investimenti e quindi di conseguenza produttività.
L’esistenza di risparmi cumulati e l’assenza di limiti alle attività speculative crearono le condizioni
per un ampio ricorso al credito da parte degli investitori e spinsero questi ultimi, insieme alle
banche, alla speculazione in Borsa.
Bolla agricola: La speculazione non fu comunque l’unica causa del grande crollo, che invece parte
anche dalla caduta dei prezzi dei prodotti agricoli avvenuta in conseguenza dell’enorme
accumulazione delle scorte rimaste invendute a seguito del miglioramento della produzione
agricola dei paesi europei; per cui si videro tonnellate di grano e di caffè rovesciate in mare o date
alle fiamme nel tentativo di far risalire i prezzi.
L’accumulo delle scorte che impedì agli agricoltori, fortemente indebitati, di corrispondere alle
banche gli interessi per le somme avute in prestito e la speculazione furono dunque tra le cause
che portarono allo scoppio della crisi.
(La Grande Depressione del 1929 fu la maggiore crisi nella storia degli Stati Uniti, ma colpì
praticamente tutto il mondo industrializzato; essa cominciò nel 1929, e durò circa dieci anni. La
crisi dell'economia americana iniziò nel 1928 con la caduta dei prezzi agricoli e esplose il 29
ottobre del 1929 quando affondò la Borsa di New York.)
Nel 1936 l’economista inglese J.M. Keynes pubblicò «Occupazione , interesse e moneta. Teoria
generale», aprendo così un capitolo nuovo nella scienza economica. K. confuta alcune
proposizioni della teoria economica classica fra cui quelle secondo cui il mercato tenderebbe
spontaneamente a produrre l’equilibrio tra la domanda e l’offerta e a raggiunger la piena
occupazione delle unità di lavoro disponibili. Attribuì allo Stato il compito di accrescere il volume
della domanda.
La spesa pubblica poteva essere finanziata anche con il ricorso al deficit di bilancio e con
l’aumento della quantità di moneta in circolazione. In seguito, con il rilancio dell’economia
sarebbero cresciute anche le entrate e il disavanzo sarebbe stato ridotto.
Occorreva imporre una tassazione progressiva che incidesse maggiormente sui ceti più abbienti
e meno sugli strati sociali più deboli, abbassare i tassi d’interesse, in modo che consumatori ed
aziende avessero più facile accesso al denaro e avviare un vasto programma di opere pubbliche
che assorbisse parte della manodopera disoccupata.
Modello: depressione-> intervento pubblico-> aumento dei salari -> più consumo -> più
investimenti -> diminuzione della disoccupazione -> ripresa economica
USA, NEW DEAL: La ripresa negli USA avvenne nel 1933 con l’elezione di Roosevelt e
l’adozione di un modello economico ispirato alla dottrina keynesiana. Venne abbandonato il
dogma liberista secondo cui il mercato ha la capacità di riequilibrare spontaneamente, senza
interventi esterni, le situazioni di crisi e si scelse una politica di intervento da parte dello stato,
mirante ad innalzare il reddito pro capite, a rafforzare la domanda e a ridurre le sperequazioni
sociali: queste erano le linee essenziali del New deal, il Nuovo corso che Roosevelt voleva
realizzare.
ITALIA: La crisi della Borsa americana del 1929 non poteva non ripercuotersi anche
sull’economia italiana, ma il suo impatto fu sicuramente inferiore che in altri paesi, a causa della
situazione di arretratezza economica in cui versava il Paese.
Vengono costruiti numerosi enti pubblici: nei settori della seta, del cotone, del riso, dei
fertilizzanti, dei trasporti, dell’artigianato, dello zolfo, della carta, del turismo e furono istituiti enti
con forma di società per azioni con partecipazione statale (AGIP, ROMSA).
Iri, Istituto per la Ricostruzione Industriale: Ente pubblico nato nel 1933 per salvare dal
fallimento le principali banche italiane (Commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma) che
avevano pesantemente risentito della crisi economica mondiale del 1929. Per evitare il fallimento,
il governo le acquistò, e con esse acquista la proprietà delle numerose imprese industriali
controllate da queste tre banche. In questo modo l’IRI, e quindi lo Stato, divenne proprietario di
oltre il 20% dell'intero capitale azionario nazionale e di fatto il maggiore imprenditore: dalla
cantieristica al settore automobilistico - con l' Alfa Romeo - e bancario.
4 periodo: Lo Stato del Benessere (Welfare State) del secondo dopoguerra
Dopo la caduta del fascismo e nel secondo dopoguerra muta la percezione del ruolo delle
istituzioni pubbliche in campo economico; lo Stato protagonista è chiamato ad intervenire
per fornire beni e servizi che, altrimenti, il mercato non offrirebbe in quanto non idonei a
produrre profitto.
Se muta il ruolo dello Stato, allora cambia anche la sensibilità delle costituzioni rispetto al fattore
economico: una costituzione «pesante» per uno Stato altrettanto «pesante».
Con l’avvento della costituzione repubblicana vengono approvate le carte che sono ricche di
disposizioni che riguardano direttamente o condizionano il sistema economico.
In particolare, la nostra Costituzione si occupa del fattore economico:
- l’art. 1 fonda sul lavoro la democratica Repubblica italiana;
- l’art. 2 esige anche l’adempimento dei doveri di solidarietà economica;
- l’art. 3 impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico che, di fatto,
impediscono il pieno sviluppo della personalità e l’effettiva partecipazione dei lavoratori alla vita
comunitaria;
- l’art. 4 definisce il lavoro come diritto/dovere per concorrere anche al progresso materiale;
- il Titolo III della parte I è intitolato “Rapporti economici”: in esso sono presenti sia norme sul
lavoro (artt. 35-40), sull’impresa (artt. 41 e 43), sulla proprietà (art. 42), e su altri
profili rilevanti dal punto di vista economico (artt. 44-47).
Dal punto di vista formale, si definisce «Costituzione economica» quell’insieme di norme
raggruppate sotto il titolo III «Rapporti economici» che vanno dall’art. 35 al 47, qui sono regolati
i diritti dei lavoratori, dei proprietari, degli imprenditori e dei risparmiatori.
Dal punto di vista sostanziale, la Costituzione economica è però qualcosa in più: la si può
definire.
Il programma ideale che esplicita quale modello di società volevano creare i nostri costituenti,
quali priorità essi avevano in mente e quali finalità il nostro Stato è tenuto a perseguire per non
tradire lo spirito della Costituzione.
La Costituzione italiana è il frutto della sintesi di due correnti di pensiero:
MODELLO LIBERISTA, che ha dominato sino ai primi del XIX secolo, caratterizzato
dall’autonomia, riconosciuta dallo Stato, ai soggetti economico; mancato intervento dello Stato
nella produzione,
MODELLO SOCIALISTA, che vedeva nello Stato non più un arbitro del mercato, ma il
principale concorrente attivo, con pieni poteri regolatori e repressivi, uno Stato proprietario di
imprese che gestisce il mercato, attraverso la pianificazione dell'economia e che concede il potere
al privato al fine di perseguire una distribuzione più equa della ricchezza.
La Costituzione italiana opera una sintesi fra questi due modelli estremi, costruendo un sistema
di capitalismo social-democratico che ha come base la ricerca della piena occupazione e la
partecipazione dei lavoratori alla gestione della produzione, attraverso una regolamentazione
considerata necessaria del mercato, che agisce sì liberamente, ma all’interno e con il rispetto delle
finalità poste dallo Stato all’azione economica.
In questo sistema il privato è proprietario dei mezzi di produzione e del reddito prodotto, ma le
ragioni del profitto trovano il limite della necessità dello sviluppo sociale. Lo Stato può riservarsi
alcune attività considerate strategiche ed agire comunque nel mercato per perseguire l’interesse
generale.
La sintesi più lucida la compie Aldo Moro: è effettivamente insostenibile la concezione liberale
in materia economica, in quanto vi è necessità di un controllo in funzione dell’ordinamento più
completo dell’economia mondiale, anche e soprattutto per raggiungere il maggiore benessere
possibile.
Quando si dice controllo della economia, non si intende però che lo Stato debba essere gestore
di tutte le attività economiche, ma ci si riferisce allo Stato nella complessità dei suoi poteri e
quindi in gran parte allo Stato che non esclude le iniziative individuali, ma le coordina, le
disciplina e le orienta.
Art. 41 COST.: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con
l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
Il primo comma garantirebbe la libertà di concorrenza, il secondo comma (non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale...) conferma l’incapacità del libero gioco della concorrenza di
raggiungere quelle finalità sociali e solidaristiche poste a fondamento del sistema.
Vi sono valori ed interessi non realizzabili partendo dal mercato (dignità della persona, salute,
ambiente), è quindi necessario un bilanciamento tra interesse economico e crescita sociale al fine
di assicurare «l’utilità sociale»; ciò impone una lettura sistemica delle norme sull’iniziativa
economica.
Il terzo comma: «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». Esso prevede il
potere di sottoporre l’attività economica alla potestà pubblica, quando ciò sia richiesto dagli
interessi pubblici. La Costituzione ritiene necessario un governo pubblico dell’economia: il
mercato da solo non è ritenuto in grado di assicurare il pieno affermarsi dei valori costituzionali
A tal fine sono previsti due strumenti: PROGRAMMAZIONE (democratica e partecipata),
CONTROLLI (strumenti di verifica dello stato di realizzazione della programmazione).
Art. 42 COST.: «La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad
enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i
modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla
accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo,
espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della
successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità».
L’obiettivo di fondo non è eliminare l’iniziativa economica e proprietà privata ma renderle
“accessibili a tutti”. Un pensiero unitario domina la Costituzione economica: allargamento del
numero dei proprietari, difesa della funzione sociale della proprietà e dell’attività economica.

ITALIA, II DOPOGUERRA:
La situazione dell’economia italiana uscita dal conflitto era molto seria e il terreno da recuperare
era immenso, basti pensare ai danni gravissimi subiti da tutte le infrastrutture, dai ponti alla rete
ferroviaria, alla perdita della marina mercantile, alla distruzione del patrimonio edilizio, al serio
impoverimento dell’agricoltura, ai danni a molti impianti industriali.
Le materie prime fondamentali per l’approvvigionamento energetico, carbone e petrolio, erano
insufficienti e occorreva pagarle in dollari, di cui c’era grande scarsità, l’energia elettrica stenta a
far fronte al crescente fabbisogno.
In quasi tutti i paesi dell'Europa Occidentale si assistette a un processo di accresciuto intervento
dello Stato nell'economia, a sostegno della produzione e a salvaguardia della diffusa domanda di
benessere e giustizia sociale. In Italia, perno dei finanziamenti statali all’industria fu nel
dopoguerra l’intervento a favore dell’IRI, la cui ricostruzione finanziaria fu avviata con l’aumento
del fondo di dotazione; il rilancio dell’IRI con una serie di investimenti pubblici in settori
strategici non era che uno dei tanti aspetti della presenza capillare dell’amministrazione
nell’economia. Molto significativo era anche il controllo statale sull’apparato creditizio, una parte
importante del quale era in mano pubblica.
Il «miracolo economico» 1953-1963: crescita annuale del PIL tra il 4% e il 7%, aumento della
produttività annua al 4,6%, disoccupazione annua al 3,9%, crescita dei salari, assorbimento di una
imponente migrazione interna, il rapporto tra Stato e mercato viene ritoccato a favore del primo
e accrescimento dell’intervento pubblico in economia.
Nel 1953 venne istituito l’ENI di Enrico Mattei (Ente Nazionale Idrocarburi) per la gestione, in
regime esclusivo, della ricerca dei ricchi giacimenti della Pianura Padana. L’Eni, costituito in
forma di ente pubblico economico con partecipazioni in società per azioni, vennero affidate le
partecipazioni azionarie dell’AGIP, nonché le attività dell’Ente nazionale metano e in seguito
SNAM, e SAIPEM.
Questi, in qualità di commissario straordinario dell’AGIP, pare fosse stato incaricato di liquidare
l’agenzia petrolifera, come richiesto da un largo schieramento di forze politiche ed economiche,
su pressione delle majors petrolifere che speravano in tal modo di rompere il monopolio
dell’esplorazione e dell’estrazione riservato alla compagnia di Stato. Ma Mattei, colpito dalle
capacità tecniche del management dell’impresa e dalle aspettative (poi parzialmente deluse)
intorno ai giacimenti della Pianura padana, si impegnò nel rilancio dell’azienda: questa in pochi
anni si trasformò in una impresa dinamica e aggressiva, in grado di reggere la concorrenza delle
“sette sorelle” grazie a strategie innovative tanto negli accordi con i paesi produttori di grezzo,
quanto nella politica dei prezzi e delle tariffe sul mercato interno. Al momento della scomparsa
di Mattei, nel 1963, l’ENI era un gruppo fortemente integrato e coeso, che mantiene un
sufficiente grado di autonomia verso il mondo esterno (partiti politici e lobby economiche).
ENEL: La legge istitutiva dell’Enel segna una tappa fondamentale nell’intera storia dell’Italia
repubblicana, capace di produrre conseguenze che durano ancora oggi. Istituita come ente
pubblico a fine 1962, si è trasformata nel 1992 in società per azioni e nel 1999, in seguito alla
liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica in Italia, quotata in borsa.
L'obiettivo della nazionalizzazione non è avviare la demolizione del libero mercato, di cancellare
le discriminazioni tariffarie, spesso presenti a danno del Mezzogiorno, per un bene, l'energia
elettrica, che rappresenta la prima condizione dello sviluppo industriale. L'obiettivo è erogare
l'energia non secondo la logica del profitto a vantaggio dell'erogatore, bensì secondo una logica
di programmazione e di sviluppo.
L’importanza del provvedimento in discussione non riguarda solo il profondo impatto su uno dei
settori trainanti dell’economia nazionale, con quasi 1.300 aziende interessate dalle pratiche di
cessione degli impianti, con l’entità degli indennizzi dovuti alle società espropriate e l’enorme
rebus della riallocazione di questo ingente flusso di denaro.
La legge istitutiva dell’Enel segna una tappa fondamentale nell’intera storia dell’Italia
repubblicana. Quel provvedimento rappresenta allo stesso tempo il punto di partenza di una
lunga stagione riformatrice, che si prolunga ben oltre la fine di quella formula politica per tutti gli
anni Settanta: scuola media statale (1962), legge urbanistica (1967), Università (1969), Regioni,
Statuto dei lavoratori, Referendum e divorzio (1970), obiezione di coscienza (1972),
finanziamento ai partiti (1974), nuovo diritto di famiglia (1975), tutela delle acque (1976), parità
uomo-donna (1977), servizio sanitario nazionale (1978).
STATO FINANZIATORE: Il potere pubblico può porre in essere rapporti giuridici di
finanziamento di privati; il finanziamento statale rappresenta un elemento peculiare della storia
degli anni Sessanta, durante i quali esso ha avuto uno straordinario sviluppo. La legge prevede
che, al verificarsi di certe circostanze (calamità, sotto-sviluppo) sorga un’obbligazione dello Stato,
per la quale è tenuto a erogare fondi ai privati -> 1950 = Cassa per il Mezzogiorno.
STATO PIANIFICATORE: Art. 41, c. 3, Cost.
«La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e
privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». Si discusse della differenza tra
pianificazione e programmazione, la prima coercitiva, la seconda indicativa; la prima compatibile
solo con i sistemi collettivisti, la seconda anche con i regimi a economia mista.
Venne adottata una LEGGE DI PIANO, la prima ed unica dell’esperienza italiana: il piano
INA-CASA: 1949-1963 (presentato dall’allora ministro del lavoro Fanfani). Con la l. 28 febbraio
1949 nr. 43 il Parlamento italiano approvò il progetto di legge Provvedimenti per incrementare
l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori, con il quale si sarebbe
dato avvio a un piano per la realizzazione di alloggi economici, noto come piano INA-Casa.
I quattordici anni di attività del piano rappresentano una fase significativa della politica
economica del dopoguerra, ma certamente anche una delle più importanti, consistenti e diffuse
esperienze di realizzazione nel campo dell’edilizia sociale nel nostro Paese.
-le istituzioni del benessere: Si fa riferimento agli interventi pubblici nei settori dell’istruzione,
della sanità, della protezione sociale e dell’occupazione. Le tappe fondamentali della realizzazione
dello Stato del benessere (Welfare State) sono il 1962 (istituzione scuola media dell’obbligo), il
1978 (Sistema Sanitario Nazionale), 1974 (pensione sociale), 1975 (Cassa integrazione).
Per finanziare questi compiti fu fatta la più importante riforma tributaria della storia italiana, che
ha introdotto un'imposta progressiva sul reddito delle persone fisiche (IRPEF)
Il Wefare State, o Stato sociale o Stato del benessere, è dunque una forma di Stato in cui si
persegue la sistematica riduzione delle disuguaglianze, effettuando interventi a favore delle
categorie meno agiate o socialmente più deboli. Lo Stato sociale si basa sulla cultura della
solidarietà̀ sociale: lo Stato interviene con sovvenzioni pubbliche a favore delle categorie meno
abbienti.
Il «compromesso storico» tra capitale e lavoro
«I movimenti dei lavoratori [...] abbandonarono, o perlomeno sospesero, le loro aspirazioni a una
più̀ vasta socializzazione dell’economia.
In cambio essi ottennero il welfare state, la contrattazione collettiva, e la loro accettazione
all’interno del sistema politico. Gli imprenditori abbandonarono, o perlomeno sospesero, il
desiderio di una forza lavoro passiva e atomizzata [...] e accettarono gran parte del welfare state e
la considerevole partecipazione del governo alla gestione dell’economia. In cambio essi ottennero
l’accettazione della proprietà privata, il primato del profitto e del mercato, il rifiuto della
pianificazione e della nazionalizzazione completa, il libero scambio e una moneta forte»
( Peter Gourevitch, La politica in tempi difficili, 1986)
Istruzione
In Italia, nel 1962, fu data attuazione all’art. 34 Cost., che sancisce l’obbligatorietà e la gratuità
dell’istruzione inferiore per almeno otto anni. Si stabilisce un obbligo per il cittadino e un
obbligo di spesa per lo Stato
Welfare State
L’introduzione di un radicato sistema di tutela delle classi svantaggiate e l’accesso al reddito della
gran parte della popolazione consentì la formazione della c.d. «middle class», che ha poi
ricoperto un ruolo fondamentale nel sostegno dei consumi, realizzando quello che sosteneva
Keynes.
L'EPOCA DELLA STATALIZZAZIONE -> L’Italia diventa potenza mondiale
A partire dal secondo dopoguerra, lo Stato imprenditore aveva in carico il 16% della forza lavoro
del Paese, controllava l’80% del sistema bancario, tutta la logistica (treni, aerei, autostrade), la
telefonia, le reti delle utility (acqua, elettricità, gas), pezzi importanti della siderurgia e della
chimica, il principale editore del Paese (la Rai).
Assicurazioni, meccanica, elettromeccanica, fibre, impiantistica, vetro, pubblicità, spettacolo,
alimentare. Persino supermercati, alberghi e agenzie di viaggi.
In ambito IRI, un altro tecnico di rilievo e grande imprenditore pubblico, Oscar Sinigaglia,
contribuì a portare il settore siderurgico del paese in pochi anni al sesto posto nella produzione
mondiale di acciaio e a garantire una costante disponibilità di semi manufatti per l’industria
automobilistica, allora in rapidissima espansione.
L’originale, e forse irripetibile, combinazione di pubblico e privato che allora si realizzò – acciaio
pubblico, benzina a buon mercato, una dorsale autostradale realizzata in un tempo
inimmaginabile per gli standard odierni, motorizzazione di massa – diedero un contributo
straordinario al miracolo economico degli anni Cinquanta e Sessanta.
• ENI e IRI divennero così due importanti agenti della politica economica del paese, che
operavano in relativa autonomia, coniugando obiettivi economici e fini sociali (come
espressamente contemplato nei loro statuti), con particolare riguardo alle questioni
dell’occupazione e della crescita al Sud.
Il che significava, però, che il profitto non era l’unica e principale missione dei due enti e che si
rendevano necessarie misure straordinarie di finanziamento – i fondi di dotazione – per
controbilanciare gli oneri impropri che ne potevano derivare. Come è facile intuire, da ciò
sarebbe venuto negli anni a seguire un progressivo aggravio per lo Stato.
EFIM: Gli anni Sessanta e Settanta furono anni di continua espansione dell’apparato dell’impresa
pubblica del paese; particolare enfasi veniva posta sulla sua funzione anticiclica e sullo sforzo di
difendere l’occupazione, soprattutto al Sud e ciò portò ad altre iniziative pubbliche nel campo
dell’acciaio e dell’automobile, non sufficientemente motivate sul piano economico.
Anche l’ENI incominciò a espandersi al di fuori del suo core business, nei tessili e nella chimica,
iniziativa che sarebbe sfociata poi nella guerra per il controllo della Montedison.
Venne costituito inoltre un nuovo ente di gestione, l’EFIM, allo scopo di organizzare le industrie
meccaniche, dell’alluminio e del vetro possedute dallo Stato.

L’Olivetti ha avuto il merito di aver proiettato l’Italia nell’era tecnologica, proponendo un


modello gestionale e produttivo altamente innovativo, aperto al mercato internazionale.
Nell’Ordine politico della Comunità, sua opera fondamentale, scritta durante gli anni della
Seconda Guerra Mondiale, possiamo leggere: «Affinché la persona sia libera e riesca a possedere
un valore spirituale assoluto, infinitamente più importante e più alto di ogni valore economico e
politico, occorre che lo Stato esista per l’uomo e non l’uomo per lo Stato».
Questa la matrice a partire da cui si svilupperà l’olivettismo, un pensiero e una visione del mondo
coerente in ogni ambito della cultura e della scienza, un prodotto dello spirito che in Italia sarà
difficile trovare nuovamente.
Nel celebre discorso tenuto in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli, nel
1955, si domanda: «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei
profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una
vocazione, anche nella vita della fabbrica? La nostra società crede nei valori spirituali, nei valori
della scienza, crede nei valori dell’arte, crede nei valori della cultura, crede soprattutto nell’uomo,
nella sua fiamma divina e nella sua possibilità di elevazione e riscatto». Dal momento che la
fabbrica richiede all’operaio un enorme prezzo da pagare, in termini di risorse ed energie, essa
dovrebbe restituire l’equivalente attraverso benessere materiale e produzione di cultura, che
aspira a un elevamento dell’uomo. La fabbrica deve farsi produttrice di beni, non solo di beni.
I dirigenti della Olivetti costituiscono un’anomalia rispetto ai loro colleghi europei, perché
annoverano tra le proprie fila – accanto a scienziati e ingegneri – scrittori, poeti, artisti, psicologi,
sociologi e architetti.
L’attenzione maniacale al marchio, alla reputazione e alla comunicazione
Olivetti è diventata il simbolo nel mondo di un’azienda che investe nella comunicazione
d’impresa per promuovere il proprio marchio e la propria reputazione.
A Ivrea hanno lavorato – la lista è impressionante, qui ci limitiamo a qualche citazione – i
migliori architetti, grafici, designer, registi e musicisti, scrittori, sociologi, fotografi, che si sono
impegnati a dare forma e immagine alla bellezza creata ogni giorno ad Ivrea e nei diversi
stabilimenti italiani e stranieri.
I negozi Olivetti, progettati da grandi architetti e designer (Gae Aulenti, Nivola, Scarpa) sono
diventati luoghi di culto – antesignani degli Apple Store, ma con la differenza che ciascun
negozio Olivetti era un unicum.
La Olivetti è stato il simbolo dell’azienda sensibile ai diritti dei lavoratori (e dei loro figli), a cui
venivano offerti ambienti di lavoro, salari, servizi sociali – asili nido, colonie e borse di
studio, servizi sanitari, biblioteche ed emeroteche – senza eguali nel mondo, la possibilità di
crescita professionale e persino le abitazioni.
Erano stati avviati progetti di partecipazione attiva dei lavoratori alla gestione aziendale.
Ad Ivrea non erano consentite discriminazioni sulla base delle idee politiche
Quando decise di costruire la fabbrica di Pozzuoli chiamò il geniale architetto Luigi Cosenza,
incaricandolo di progettare una fabbrica a misura d’uomo, in cui nessun operaio dovesse lavorare
a più di sette metri da un punto luce, nonché le case destinate ai dipendenti.
•Personal computer: una invenzione italiana
Steve Jobs aveva dieci anni quando nello stand Olivetti del BEMA di New York, il salone
dell’elettronica, il pubblico trascurando le macchine da scrivere si mise a cercare incuriosito il
fascio di cavi che collegava una macchina grande come una telescrivente a un
“computer-armadio” perchè quella macchina da tavolo veniva presentata come un computer!
Il 14 ottobre 1965 fece il suo esordio pubblico quello che è considerato il primo personal
computer la P101 Olivetti, ribattezzata “Perottina” poiché era stata realizzata da un manipolo di
“ingegneri folli” capitanati da Pier Giorgio Perotto
La stampa americana definì la P101 il primo computer da tavolo del mondo.
I risultati erano stampati su un rotolo di carta, tutte le elaborazioni erano elettroniche. Costava in
Italia 2 milioni di lire, in America 3200 dollari. Gli Stati Uniti avevano un enorme interesse a
tenere fuori l’Italia nel campo delle ricerche sui calcolatori, in quanto Paese confinante con
ex-URSS. Il modello di Adriano Olivetti non aveva avuto sostenitori nel mondo politico né,
tantomeno, sostegno da parte di Confindustria.
I primi venti di crisi:
Proprio mentre si avvicinava al suo acme, tuttavia, l’apparato delle partecipazioni statali cominciò
a mostrare la sua intrinseca fragilità. Se negli anni Cinquanta, la relazione tra holding pubbliche e
sistema politico era stata di carattere cooperativo piuttosto che gerarchico, con il rarefarsi delle
condizioni che sottostavano alla sua efficienza il sistema gradualmente si indebolì e la confluenza
di interessi e l’unità di intenti fra imprese pubbliche e sistema politico cominciarono a incrinarsi.
I tardi anni Settanta e gli anni Ottanta scandirono la crisi dell’impresa pubblica, la recessione
seguita allo shock petrolifero e la crescente conflittualità sociale ebbero conseguenze
drammatiche sul sistema delle imprese italiane e, nello specifico, sulle partecipazioni statali.
In più, le condizioni economiche e finanziarie delle aziende pubbliche peggiorarono decisamente
a seguito della caduta dell’autofinanziamento e del crescente indebitamento. Al tempo stesso
corruzione e pratiche illegali penetravano nei gangli del sistema. Il modello di Adriano Olivetti
non aveva avuto sostenitori nel mondo politico né, tantomeno, sostegno da parte di
Confindustria.
Le occasioni perdute dall'Italia: la cessione della divisione elettronica
A causa della morte di Adriano Olivetti (1960) e della crisi finanziaria dell’azienda, gli Olivetti
furono costretti a chiedere aiuto allo Stato e alla classe imprenditoriale italiana.
Fu creato un gruppo di intervento affidato a Bruno Visentini (vice-presidente IRI), con la
partecipazione delle famiglie Agnelli e Pirelli, Mediobanca, IRI. Nonostante le affermazioni che
davano l’azienda per fallita, in pochi mesi essa riuscì ad aumentare le vendite, anche grazie
all’enorme successo della «Perottina». Ma nel 1964 il gruppo di intervento decise di cedere la
divisione elettronica di Olivetti alla General Electric
Un'occasione perduta?
E' probabile che sulla frettolosa decisione del gruppo di intervento di cedere nel 1964 la
Divisione Elettronica abbiano influito più le pressioni esterne che i risultati di accurate
valutazioni sulla reale situazione dell'azienda.
Molti hanno criticato non solo la miopia di alcuni industriali e finanzieri, ma anche il disinteresse
della classe politica che ha ignorato l’importanza strategica delle nuove tecnologie e non ha
salvaguardato il patrimonio elettronico della Olivetti, ma la politica decise che il futuro
economico italiano dovesse essere segnato dall’industria automobilistica e non dai computer.

CAPITOLO 3
Le politiche infrastrutturali (solo da leggere)
L’infrastrutturazione del paese ha costituito un fattore fondamentale per l’unità d’Italia,
soprattutto tramite un’efficace politica dei lavori pubblici, i mutui di Cassa Depositi e Prestiti,
l’azione del Consorzio di credito per le opere pubbliche (CREDIOP), l’Istituto di Credito per le
imprese di pubblica utilità (ICIPU).
A seguito del II conflitto mondiale, il settore pubblico ha mantenuto un importante ruolo di
investitore infrastrutturale anche grazie al Piano Marshall. Negli anni ‘70 e ‘80, lo Stato ha avviato
l’ammodernamento delle infrastrutture (autostrade, ferrovie); a partire dagli anni ‘90, l’UE ha
imposto agli Stati membri di avviare processi di liberalizzazione dei servizi pubblici, di
privatizzazione degli enti pubblici e di regolazione dei servizi di rete (avvio delle privatizzazioni).
Allo Stato imprenditore si è affiancato lo Stato REGOLATORE, caratterizzato dall’istituzione e
dall’azione di autorità amministrative indipendenti, chiamate a regolare e vigilare e promuovere
gli investimenti degli operatori economici nei diversi mercati di riferimento.
A partire dall’inizio del XXI secolo, la crescita della produttività italiana si è progressivamente
ridotta e tale dinamica si è aggravata con la crisi economico-finanziaria globale del 2008.
La crisi globale è mutata nel 2013 in una vera e propria crisi dell’economia reale e delle finanze
pubbliche in Europa; gli Stati membri UE, compresa l’Italia, hanno effettuato una serie di
interventi pubblici di salvataggio e di sostegno dell’economia, che hanno deteriorato
ulteriormente la finanza pubblica nazionale, con riduzione degli investimenti.
Dal 2014, l’UE ha elaborato appositi piani e programmi che hanno inaugurato una nuova politica
di investimenti, con nuovi strumenti finanziari; da ultimo, la crisi da Covid-19 ha determinato
una nuova espansione dell’intervento pubblico nazionale e un rafforzamento dell’intervento
dell’UE con possibilità che la Commissione UE possa emettere prestiti obbligazionari garantiti
dal bilancio europeo.
-Modi di intervento pubblico: fino al 1994, la programmazione degli interventi infrastrutturali è
stata caratterizzata da discipline settoriali; a partire dalla legge Merloni del 1994, ciascuna
amministrazione pubblica ha elaborato un proprio programma triennale dei lavori
pubblici; agli inizi del XXI secolo, il legislatore ha introdotto ex novo una disciplina speciale –
c.d. «legge obiettivo» del 2001 – da inserire nel «Programma infrastrutture strategiche» (PIS),
allegato annualmente al DEF.
La programmazione pubblica è stata poi riformata con il Decreto Legislativo 50/2016, il Codice
dei Contratti Pubblico, si parla di finanziamento pubblico attraverso la frammentazione delle
fonti di finanziamento e scarsa qualità dei progetti; per superare tali problematiche sono stati
elaborati nuovi strumenti finanziari che prevedono il possibile coinvolgimento di soggetti privati.
Sono stati aperti fondi destinati a sostenere la qualità della progettazione degli interventi pubblici,
sia statali che locali; si fa ricorso a due strumenti che si sono evoluti in una prospettiva
promozionale: la finanza di progetto e le società a partecipazione pubblica; vi sono le
competenze e la governance istituzionale caratterizzate da un quadro complesso, con
competenze ripartite tra Stato e Regioni e infine troviamo le procedure amministrative, cioè le
misure di semplificazione e di partecipazione: l. 241/90 che ha istituito la conferenza dei servizi;
da ultimo la conferenza è stata resa permanente con DL 104/2020, la dimensione europea delle
politiche infrastrutturali – Trattato di Maastricht e reti transeuropee.

CAPITOLO 4
Mercato interno e le politiche dell’Unione Europea
Origini: Le radici affondano nel periodo che intercorre tra la fine del II conflitto mondiale e
l’inizio della “guerra fredda”; periodo in cui l’economia degli Stati appariva fortemente
compromessa e vi era il problema della ricostruzione economica degli Stati europei.
Integrazione, idee propulsive: Movimenti federalisti europei, Manifesto di Ventotene (1941),
Ricerca di una soluzione pacifica e stabile al problema tedesco, Ristabilire i rapporti diplomatici e
politici fra Francia e Germania, Evitare l’implementazione di una situazione di anarchia
internazionale, Problema dell’isolamento politico dell’Italia, Rilancio dell’economia,
Ricostruzione post-bellica e Rapporti con l’Europa dell’Est e con l’Unione Sovietica.
Fine guerra: Il 29 luglio 1946 iniziano a Parigi le trattative che condurranno l’anno dopo alla
stipulazione dei Trattati di pace; gli aiuti americani e il piano “Marshall” e gli aiuti economici
erano subordinati alla realizzazione di una forma di cooperazione tra gli Stati europei. Perché?
A) per rilanciare l’economia e ricostruire il mercato in cui esportare le merci americane
B) per allontanare il pericolo che l’URSS potesse ampliare il proprio raggio d’influenza
sull’Europa occidentale.
European Recovery Program («Piano Marshall»)
Il Piano Marshall fu il principale strumento di intervento economico messo a punto dagli USA
per la ricostruzione dei paesi europei distrutti dalla guerra, per un ammontare di circa 14 miliardi
di dollari. Gli Usa vincolarono l’invio dei contributi alla realizzazione di una forma di
cooperazione economica tra gli stati partecipanti per costruire un primo embrione di mercato in
cui esportare le proprie merci e per legare politicamente alla politica americana l’Europa
occidentale, in funzione anti-sovietica. Il 16 aprile 1948, a Parigi 16 Stati europei aderirono al
piano di aiuti americani firmando la Convenzione per la Cooperazione Economica europea.
(Non vi parteciparono i Paesi dell’Est, ormai attratti sotto l’orbita di influenza sovietica. Era
scesa quella che Churchill chiamò la “cortina di ferro”).
Il Patto Atlantico (NATO)
La tendenza all'integrazione europea assume una valenza complessiva, caricandosi di significati
politici e militari: - il 4 aprile 1949 venne sottoscritto il patto atlantico North Atlantic Treaty
Organisation (NATO) tra Canada, USA, Norvegia, Danimarca, Italia, Portogallo, Islanda, nel
1951 Grecia e Turchia, e nel 1954 la Germania occidentale.
(Attualmente, conta 30 Stati membri, 11 membri associati e 4 membri associati del Mediterraneo)
PROGETTO DI UN’EUROPA UNITA:
L’Europa occidentale, cioè quella parte del continente rimasta fuori dall’orbita sovietica, venne
ricostruita con il forte sostegno economico e politico degli USA. La costruzione di un legame tra
questa parte del continente europeo e gli USA divenne obiettivo della politica estera di
quest’ultima. Il legame doveva essere economicamente forte e militarmente efficace per
contrastare l’eventuale avanzata sovietica; per questo motivo, la costruzione di una Europa unita
è stata effettuata di pari passo con l’ampliamento e il rafforzamento della NATO
Il progetto di un mercato unico europeo era, in quel momento, essenziale per il rilancio
economico europeo e strategico e per delineare nuovamente i rapporti di forza all’interno del
continente.
La Dichiarazione “Schuman”
È il discorso tenuto a Parigi il 9 maggio 1950 da Robert Schuman, l’allora Ministro degli Esteri
del governo francese, ed è considerato il primo discorso ufficiale in cui compare il concetto di
un’Europa unita, prospettando il superamento delle rivalità storiche tra Francia e Germania.
L’obiettivo era quello di avviare un processo di integrazione economica tra gli Stati europei nel
campo del carbone e dell’acciaio, mettendone insieme la produzione e la commercializzazione e
facendo gestire tale ambito da un’amministrazione comune composta dai rappresentanti degli
Stati partecipanti che avrebbe agito non nell’interesse dei singoli, ma nell’esclusivo interesse di
tutti. (aderirono all’iniziativa: Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Italia)
Costruire una Europa unita: come?
Due erano le teorie che si scontrarono su questo tema:
- la tesi FEDERALISTA, sostenuta soprattutto da Altiero Spinelli, prevedeva la costruzione di
una grande federazione europea, mediante un processo costituente che prevedesse l’abolizione
degli Stati nazionali
- la tesi FUNZIONALISTA, sostenuta da Schuman e Monet, che sosteneva la necessità di
costruire un’Europa unita mediante una politica di «piccoli passi», realizzando prima l’unione
economica e sociale e poi quella politica.
Integrazione europea e funzionalismo: Progressiva cooperazione in campo: economico, sociale e
politico dei Paesi europei e armonizzazione degli ordinamenti europei.
Il presupposto iniziale è la costruzione di un mercato unico: tesi funzionalista che implicava la
realizzazione di un’integrazione economica come presupposto per lanciare poi l’unione politica.
L’unione economica doveva basarsi su un assunto di partenza: la costruzione di un’economia
fondata sul mercato, dunque, di stampo capitalistico.
• Ma quale capitalismo? Il capitalismo liberale che richiede di lasciar funzionare l’economia
limitando l’interferenza dei governi? Il capitalismo social-democratico, su modello di quanto
delineato, ad esempio, nella Costituzione italiana, in cui l’economia di mercato veniva sottoposta
a un forte controllo da parte dello Stato, temperandone gli effetti dannosi in termini sociali grazie
al Welfare State?
«Laissez-faire» e «interventismo pubblico»
Lo scontro tra i fautori del liberismo e i sostenitori dell’interventismo pubblico in economia
iniziò immediatamente, in quanto un mero approccio liberista non avrebbe prodotto un vero e
proprio mercato unico quanto, piuttosto, un’area di libero scambio; inoltre, gli Stati che erano
impegnati nella costruzione del mercato comune avevano, nel frattempo, adottato Costituzioni
(come quella italiana) piuttosto distanti dalle politiche tipicamente liberiste. Bisognava trovare una
punto di equilibrio tra i dettami liberisti e un intervento politico che avrebbe distorto la
concorrenza, uccidendo il mercato stesso.
La «via tedesca» al liberismo: «ordo-liberismo» (Fu questa la soluzione sperimentata per
delineare il sistema economico su cui basare il nuovo mercato comune europeo)
La soluzione concettuale all'impasse politica venne dalla Germania dove, durante gli anni della
Repubblica di Weimar, un gruppo di economisti aveva sviluppato una teoria economica generale
incentrata sui concetti di costituzione economica e di economia sociale di mercato: la teoria
ordoliberale. Questo gruppo assunse il nome di Scuola di Friburgo e la filosofia che la
ispirava venne chiamata »Ordo-liberismo", dal titolo della rivista "Ordo", fondata da Eucken nel
1940. Decisamente più critici di Adam Smith rispetto alla fede in una spontanea armonia che
sarebbe dovuta scaturire dall'opera della "mano invisibile", gli ordoliberali hanno contribuito a
definire il concetto di ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO
«Ordo-liberalismo»: caratteri -> A differenza del liberismo classico, l’ordo-liberismo non
prefigura l’ordine del mercato come un ordine spontaneo che si autocorregge nel tempo.
Esso prevede e richiede l’intervento dello Stato che crea le condizioni per la creazione e il
mantenimento di un mercato competitivo e si differenza però anche dall’idea socialista
dell’interventismo pubblico nell’economia, in quanto lo Stato deve limitarsi agli interventi
necessari a far fiorire il mercato senza però sostituirlo.

Ceca: comunità europea del carbone e dell’acciaio (1951)


Italia, Francia, Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda - approvvigionamento e sfruttamento
delle risorse da parte di tutti gli stati membri.
Trattati di Roma (1957)
CEEA - EURATOM, Comunità europea dell’energia atomica / CEE, Comunità economica
europea con l’obiettivo della realizzazione di un mercato unico generale fondato su quattro
libertà fondamentali: merci, servizi, persone, capitali e basato sul principio della libera
concorrenza.
Assetto istituzionale dell’UE -> L'Unione europea si fonda su un sistema istituzionale unico al
mondo, gli Stati membri operano una delega di sovranità a favore di istituzioni indipendenti che
rappresentano, al tempo stesso:
- interesse comunitario = organismi sovranazionali (Commissione e Corte di Giustizia UE)
- interessi nazionali = organismi intergovernativi (Consiglio Ue e Consiglio europeo)
- interessi dei cittadini = organismi transnazionali (Parlamento europeo
ORGANI SOVRANAZIONALI:
•COMMISSIONE EUROPEA, promuove l’interesse generale dell’UE proponendo la
legislazione e assicurandone il rispetto e attuando le politiche e il bilancio dell’UE (composta da
un commissario per Stato membro)
•CORTE DI GIUSTIZIA, garantisce che il diritto dell'UE venga interpretato e applicato allo
stesso modo in ogni paese europeo, garantire che i paesi e le istituzioni dell’Unione rispettino la
normativa dell’UE (composta da un giudice per Stato membro)
ORGANI MULTINAZIONALI:
•PARLAMENTO EUROPEO, è l'unica istituzione dell'UE eletta direttamente dai cittadini
europei e contribuisce a garantire la legittimità democratica del diritto europeo.
E' composto da rappresentanti dei cittadini dell'Unione eletti a suffragio universale diretto con
un mandato di cinque anni (751 membri). Il ruolo dei parlamentari europei è quello di garantire il
funzionamento democratico delle istituzioni dell'UE e rappresentare gli interessi dei cittadini nel
processo legislativo europeo, ed esercita il potere legislativo unitamente al Consiglio UE
ORGANI INTERGOVERNATIVI
• CONSIGLIO EUROPEO, definisce le priorità e gli orientamenti politici generali dell'UE. I
membri del Consiglio europeo sono i capi di Stato o di governo dei 27 Stati membri dell'UE, il
presidente del Consiglio europeo e il presidente della Commissione europea.
• CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, i ministri dei governi di ciascun paese dell'UE si
incontrano per discutere, modificare e adottare la legislazione e coordinare le politiche. Sono
autorizzati a impegnare i rispettivi governi a perseguire le azioni concordate in tale sede. Assieme
al Parlamento europeo, il Consiglio UE è il principale organo decisionale dell’UE.
Processo decisionale UE: il Consiglio Europeo definisce gli orientamenti e le priorità politiche
dell’UE, la Commissione Europea ha normalmente potere di iniziativa legislativa e vigila sul
rispetto della normativa UE da parte degli Stati membri, il Parlamento e il Consiglio approvano
gli atti normativi (regolamenti, direttive, decisioni e pareri).
GLI ATTI NORMATIVI DELL’UNIONE
• Regolamento: atto avente portata generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente
applicabile in ciascuno degli stati membri
• Direttiva: atto che vincola lo stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da
raggiungere, entro un certo termine, salva restando la competenza degli organi nazionali in
merito alla forma e ai mezzi
• Decisione: atto obbligatorio in tutti i suoi elementi, ma soltanto nei confronti dei destinatari se
da essa designati
• Raccomandazioni e pareri: atti non vincolanti
REALIZZAZIONE INTEGRAZIONE:
• Trapianto di istituti da singoli paesi europei nel diritto europeo
• Armonizzazione delle normative nazionali
• Ravvicinamento delle legislazioni
Il principio del primato (chiamato anche «preminenza») del diritto dell'UE si basa sull'idea che
ove insorga un conflitto tra un aspetto del diritto dell'UE e un aspetto della legge di uno Stato
membro (diritto nazionale), il diritto dell'UE prevale.
1951: Trattato CECA: 1951
1957: Trattati di Roma: istituzione CEEA e CECA
1973: primo allargamento con ingresso di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca
1981: secondo allargamento con ingresso della Grecia
1986: Atto unico europeo (Cooperazione politica europea, modifiche ai trattati istitutivi delle
Comunità europee)
1986: quarto allargamento con ingresso di Spagna e Portogallo
1992 - Trattato di Maastricht: Unione europea (UE), Comunità europea (CE), Unione economica
e monetaria
1995: quarto allargamento con ingresso di Austria, Finlandia e Svezia
1997 - Trattato di Amsterdam: Modifiche al trattato UE e ai trattati istitutivi delle Comunità
europee
2001 - Trattato di Nizza: Modifiche al trattato UE e ai trattati istitutivi delle Comunità europee
per ingress dei Paesi dell’Est
2009 - Trattato di Lisbona: riprende alcune parti del fallito Progetto di Costituzione europea
(2003) e normativizza la Carta dei Diritti UE.

Il mercato unico è nato il primo gennaio 1993, al termine di una gestazione lunga più di
quarant’anni: - 1951 = CECA, - 1958 = CEE, -1968 = La CEE abolisce i contingenti e i diritti di
dogana per lo scambio di merci fra i sei Stati membri. Sono mantenute però le differenze non
tariffarie fra i Paesi in questione. Di fatto, questo impedisce un’autentica liberalizzazione degli
scambi, -1985 = La Commissione lancia un piano globale per la realizzazione di un vero mercato
unico senza frontiere alla fine del 1992. In quel lasso di tempo la stessa Commissione approva
280 direttive che saranno successivamente e gradualmente introdotte nelle legislazioni nazionali, -
1993= Il primo gennaio vede la luce il mercato unico, - 1993-2008 = mentre l’Europa si allargava
ulteriormente, il mercato unico è cresciuto ancora: numerosi altri ostacoli sono stati eliminati, i
commerci si sono estesi.
Alla formazione di un mercato interno si è pervenuti utilizzando tre strumenti:
A) libertà di circolazione delle merci, delle persone (lavoratori), dei
servizi e dei capitali;
B) la disciplina della concorrenza
C) la limitazione degli aiuti di Stato alle imprese
Il principale strumento che ha consentito la realizzazione del mercato unico è stato il processo di
progressivo riconoscimento delle quattro libertà di circolazione:
A) libertà di circolazione delle merci
B) libertà di circolazione delle persone (lavoratori)
C) libertà di circolazione dei servizi
D) libertà di circolazione dei capitali
Libera circolazione delle merci:
La libera circolazione delle merci è garantita attraverso l'eliminazione dei dazi doganali e delle
restrizioni quantitative e dal divieto di adottare misure di effetto equivalente.
Viene attuata la “Fusione” dei territori di diversi Stati in un unico territorio ai fini degli scambi
commerciali, è come se fra gli Stati membri UE non esistessero frontiere.
I principi fondamentali che governano la libera circolazione delle merci sono:
• un prodotto fabbricato secondo le leggi vigenti nell'ordinamento dello Stato membro di
produzione deve, di regola, poter liberamente circolare in tutti gli altri Stati membri senza
incontrare ostacoli fondati sulle normative applicabili in tali Stati (principio del "mutuo
riconoscimento");
• gli Stati membri di destinazione possono opporsi alla circolazione di tale prodotto nel proprio
territorio soltanto per comprovate ragioni di tutela della salute pubblica, di ordine pubblico e di
protezione di esigenze fondamentali e inderogabili.
Divieto misure effetto equivalente:
Per misura di effetto equivalente si intende ogni normativa commerciale degli Stati membri UE
che possa ostacolare direttamente o indirettamente gli scambi intracomunitari, determinando un
effetto pratico sul commercio in ambito UE comparabile a una restrizione quantitativa
all'importazione di merci.
La ratio della disposizione è quella di garantire la libertà di circolazione delle merci, funzionale
alla realizzazione di un compiuto mercato comune europeo. La Corte giustizia UE si è
pronunciata in materia con la nota sentenza Dassonville.
Sentenza Dasonville (1974)
Il Sig. Dassonville vuole importare whisky scozzese dalla Francia in Belgio. La normativa belga
impone che l’importatore sia in possesso del certificato di origine del prodotto rilasciato dal
produttore. La Corte di giustizia ha stabilito che imporre ai prodotti degli altri Stati membri le
norme tecniche del Paese di importazione, senza una valida giustificazione, equivale a stabilire
una misura equivalente, in quanto si penalizzano i prodotti importati. La mancanza di
armonizzazione non può giustificare questo atteggiamento, che equivale a ostacolare la libera
circolazione delle merci.
-Difficoltà nel settore agro-alimentare: il principio della libera circolazione delle merci si è
dimostrato di difficile applicazione allorquando occorre risolvere casi relativi a prodotti
alimentari dotati di caratteristiche qualitative particolari che li distingue da altri prodotti simili e
concorrenti. Vendita "yogurt", che in alcuni Paesi membri viene riservata al prodotto
contenente una elevata quantità di fermenti lattici vivi (es. Francia) mentre in altri Paesi può
essere utilizzata anche se il prodotto risulta del tutto sprovvisto di tali fermenti lattici vivi (es.
Olanda).
• DIRETTIVA = la Commissione riconosce che gli Stati membri nei quali la denominazione di
vendita "yogurt" è riservata a un prodotto contenente un'elevata quantità di fermenti lattici
vivi, possono opporsi all'impiego della denominazione yogurt quando questa fosse utilizzata
per designare un prodotto sprovvisto delle predette caratteristiche
Normative sulla qualità dei prodotti: mutuo riconoscimento
Corte di Giustizia, sentenza «Cassis de Dijon», 1979: Una società tedesca voleva importare in
Germania dalla Francia un liquore denominato «Cassis de Dijon». La Germania blocca
l’importazione in quanto il tasso alcolico della bevanda è inferiore a quella che, per il diritto
tedesco, è da considerarsi «bevanda alcolica». Il tasso deve essere non inferiore al 25%, mentre il
liquore francese aveva un tasso di 20%. La società impugna il provvedimento e il giudice tedesco
avanza questione pregiudiziale alla Corte di giustizia per chiedere se il diritto tedesco violasse il
principio del mutuo riconoscimento.
Non sussiste alcun valido motivo per impedire che bevande alcoliche, a condizione che esse
siano legalmente prodotte e poste in vendita in uno degli Stati membri, vengano introdotte in
qualsiasi altro Stato membro senza che possa essere opposto un divieto legale di porre in
vendita bevande con gradazione alcolica inferiore al limite determinato dalla normativa
nazionale.
Ostacoli alla libera circolazione delle merci derivanti da disparità delle legislazioni nazionali
devono essere accettati qualora tali prescrizioni sono finalizzate a tutelare esigenze imperative
(es., efficacia dei controlli fiscali, tutela della salute, difesa dei consumatori, ecc.).
• Legislazione italiana che vieta lo smercio di pane con un grado di umidità superiore ad una
certa percentuale (CG 16/3/97, causa C-358/95, Morellato).
• Legislazione belga che vieta lo smercio di pane il cui tenore di sale eccede un limite massimo
(CG 14/7/94m causa C-17/93, van der Veldt).
•Legislazione tedesca che vieta lo smercio con la denominazione “bier” di birre legalmente
prodotte in altri SM senza determinate materie prime (CG 12/3/97, causa 178/84, Commissione
c. Italia).

Divieto di imposizioni fiscali discriminatorie (art. 110 TFUE)


Nessuno Stato membro applica ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne di
qualsiasi natura superiori a quelle applicate ai prodotti nazionali similari; lo scopo è di evitare di
eludere il divieto di dazi doganali e di altre tasse di effetto equivalente attraverso l’applicazione di
altri tributi aventi carattere discriminatorio.
Divieto di restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione e di misure di
effetto equivalente (art. 34 e 35 TFUE)
Restrizioni quantitative: Lo scopo è di vietare ogni misura che abbia per oggetto o per effetto di
restringere le correnti commerciali tra gli Stati membri e di creare una disparità di trattamento tra
commercio interno di uno Stato membro e commercio intra-UE.
LE DEROGHE AL DIVIETO DI MISURE DI EFFETTO EQUIVALENTE (art. 36
TFUE) Moralità̀pubblica, Ordine pubblico, Pubblica sicurezza, Tutela della salute e della vita di
persone e animali, Protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, Tutela
della proprietà̀ industriale.
Libera circolazione dei lavoratori:
•Una delle quattro libertà di cui beneficiano i cittadini dell'UE è la libera circolazione dei
lavoratori, essa include i diritti di circolazione e di soggiorno dei lavoratori: Diritto di ingresso e
di soggiorno dei loro familiari, Diritto di svolgere un'attività lavorativa in un altro Stato
membro e Divieto di discriminazione fondata sulla nazionalità.
Libera circolazione delle persone / Direttiva n. 38 del 2004
La Direttiva n. 38 del 2004 disciplina il regime della libera circolazione dei cittadini UE, delimita
e restringe i poteri dello Stato accogliente di allontanare un cittadino Ue dai propri confini anche
se non cancella i requisiti economici condizionanti la fruizione della suddetta libertà, al fine di
evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il
Welfare dello Stato
La Direttiva del 2004 configura tre tipi di soggiorno: - breve - lungo - permanente
Soggiorno di breve durata
Il soggiorno di breve durata, anche chiamato “periodo di circolazione”, il diritto di soggiornare
nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi non è soggetto
ad alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in
corso di validità, idoneo a provare la nazionalità di uno degli Stati membri.
Per non aggravare le finanze pubbliche degli Stati membri, l’art. 24 della direttiva in discorso
specifica che lo «Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni
d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno».
Soggiorno di lunga durata
Il diritto di soggiorno di lunga durata è quello che va da un periodo di tre mesi a cinque anni e
viene attribuito: al lavoratore, allo studente e al soggetto non economicamente attivo alla
condizione di «disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti,
affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante
durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato
membro ospitante » (art. 7); per il soggetto non lavoratore il diritto di soggiorno di lunga durata
rimane condizionato al possesso di un minimo di reddito: la crisi dei sistemi di previdenza e
assistenza sociale e le difficoltà di bilancio degli Stati membri li hanno evidentemente condotti a
subordinare il diritto di soggiorno al possesso di sufficienti risorse economiche, per evitare quello
che viene chiamato “turismo delle prestazioni sociali”, ossia lo spostamento di un cittadino
comunitario al solo fine di ottenere i vantaggi sociali di un altro Stato membro.
Soggiorno permanente
Il diritto di soggiorno permanente, che si acquista dopo cinque anni di residenza regolare e
costante nel territorio dello Stato ospitante, è stato configurato come un diritto incondizionato,
in quanto il suo godimento non è subordinato al possesso di determinate risorse economiche.
Le istituzioni dell’UE hanno ritenuto che, dopo cinque anni di residenza, l’integrazione e il
radicamento del cittadino comunitario migrante nella comunità sociale dello Stato ospitante è tale
che le esigenze economiche e finanziarie degli Stati membri devono cedere dinanzi a
considerazioni di ordine umano e sociale.
Il titolare di un diritto di soggiorno permanente gode di tutti i vantaggi sociali e previdenziali che
lo Stato ospitante attribuisce ai suoi nazionali.
Limitazioni per motivi di ordine pubblico e pubblica sicurezza
Secondo quanto stabilito dall’art. 27 della citata direttiva n. 38 del 2004, la limitazione della libertà
di circolazione e soggiorno può avvenire solo per «motivi di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza o di sanità pubblica». I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di
pubblica sicurezza «non possono essere invocati per fini economici», devono rispettare «il
principio di proporzionalità» ed essere «adottati esclusivamente in relazione al comportamento
personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati».
La disposizione prosegue stabilendo che : la sola esistenza di condanne penali non giustifica
automaticamente l’adozione di tali provvedimenti. Il comportamento personale deve
rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse
fondamentale della società; le giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di
prevenzione generale non sono prese in considerazione.
Corte di giustizia: caso «Bonsignore»
È interessante citare il caso di Angelo Bonsignore, un italiano residente a Colonia (Germania),
che nel 1974 era stato colpito da una misura di espulsione dopo essere stato condannato per
possesso illegale di arma da fuoco e omicidio colposo del fratello, ma non anche ad una misura
detentiva, in ragione della sofferenza morale patita per la perdita del fratello.
Secondo le autorità tedesche, l’espulsione dalla Germania dell’italiano, trovato in possesso illegale
di un’arma, era finalizzata a produrre un « effetto dissuasivo nell’ambiente degli immigrati, di
fronte ad una recrudescenza della violenza nei grandi centri urbani»
Non volendo lasciare la Germania, il Bonsignore impugnava il provvedimento di espulsione
davanti al Tribunale amministrativo di Colonia che si rivolgeva, in via pregiudiziale, alla CGUE.
La Corte decise che un provvedimento di allontanamento nei confronti di un migrante – in
possesso della nazionalità di un altro Stato membro – non fosse ammissibile se diretto a fungere
da deterrente per altri migranti, ossia se emanato al fine di dissuadere altri stranieri dalla
commissione di futuri reati.
Corte di giustizia: caso «Calfa»
Altro caso interessante è quello dell’italiana Donatella Calfa che, durante un soggiorno turistico a
Creta (Grecia), veniva trovata in possesso di stupefacenti vietati e veniva, conseguentemente,
condannata dal Tribunale penale di Heraklion ad una pena detentiva di tre anni.
Lo stesso Tribunale disponeva anche l’espulsione a vita dal territorio greco della Calfa che
proponeva un ricorso per cassazione contro la decisione del tribunale, impugnando il
provvedimento di espulsione a vita dal territorio greco deducendo la contrarietà con il diritto
UE.
Adita in via pregiudiziale dall’Areios Pagos greco (Corte suprema), la Corte di giustizia ha
statuito che: l’espulsione a vita dal territorio non può essere pronunciata «in modo automatico a
seguito di una condanna penale, senza tener conto del comportamento personale dell’autore del
reato né del pericolo che esso costituisce per l’ordine pubblico»; è incompatibile con il diritto
comunitario una normativa nazionale che «impone al giudice nazionale di disporre l’espulsione a
vita dal territorio dei cittadini degli altri Stati membri riconosciuti colpevoli di essersi procurati e
aver detenuto stupefacenti per uso strettamente personale ».
Libera circolazione dei servizi:
Art. 56 TFUE = sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro
retribuzione (attività industriali, attività commerciali, attività artigiane, libere professioni)
Il prestatore può, per l’esecuzione della sua prestazione, esercitare a titolo temporaneo la sua
attività nel paese ove la prestazione è fornita alle stesse condizioni imposte dal paese stesso ai
propri cittadini.
La nozione di libera prestazione di servizi ha come caratteristica fondamentale la temporaneità e
l’occasionalità della prestazione stessa.
Libera prestazione di servizi: permette al cittadino l’esercizio temporaneo e occasionale della
propria professione in qualsiasi Stato dell'UE, senza necessità di dover ottenere il riconoscimento
della propria qualifica professionale; una verifica preliminare della qualifica è prevista solo
in relazione a prestazioni nel settore della sicurezza e della sanità pubblica
Attività economica indipendente: l’attività esercitata dal prestatore di servizi deve avere
natura economica reale ed effettiva, il servizio deve essere fornito normalmente dietro
retribuzione. Sono invece da ritenersi esclusi i servizi per cui non sia previsto alcun compenso o
altro tipo di controprestazione economica e i servizi resi dallo Stato o finanziate dal bilancio
pubblico.
Libertà di stabilimento: La libera circolazione dei servizi non va confusa con la libertà di
stabilimento. Per libertà di stabilimento si intende la possibilità di costituire e gestire un'impresa o
intraprendere una qualsiasi attività economica in un paese UE, tramite l'apertura di agenzie, filiali
e succursali. Devono essere garantite nello spazio di ciascun Paese nel quale l’operatore straniero
comunitario abbia scelto di andare ad operare, le stesse condizioni che questo Paese riconosce
agli operatori nazionali.
Per le persone fisiche, il riconoscimento della libertà di stabilimento ha comportato la necessità
di approvare una legislazione europea dedicata al reciproco riconoscimento dei diplomi e delle
qualifiche professionali tra gli Stati membri.
(Il reciproco riconoscimento ha riguardato le professioni mediche, professioni legali, architetti,
dentisti)
Previsione di misure di compensazione in caso di differenze sostanziali tra la formazione nello
Stato membro di origini e quella prevista dallo Stato ospitante.
LIBERTA’ DI STABILIMENTO (artt. 49-55 T.F.U.E.)
Insediamento del prestatore di servizi in uno Stato Membro dove viene svolta l’attività. Lo
stabilimento presuppone un legame stabile con l’economia di uno Stato Membro.
LIBERTA’ DI PRESTAZIONE SERVIZI (artt. 56-62 T.F.U.E.)
Svolgimento di attività da uno Stato ad un altro senza stabile insediamento e in via temporanea
-Tipologia di servizi: 1.SPOSTAMENTO PRESTATORE, (medico che va a curare oltre
frontiera); 2. SPOSTAMENTO DESTINATARIO, (paziente che va a farsi curare oltre
frontiera); 3. NESSUNO SPOSTAMENTO, (vendita di polizza a soggetto residente in Paese
diverso da quello dove ha sede la compagnia assicurativa); 4. SPOSTAMENTO PRESTATORE
E DESTINATARIO, (guida turistica in viaggio con i turisti).
Parità di trattamento:
Il prestatore ha diritto allo stesso trattamento che lo Stato membro accogliente riserva ai cittadini
che erogano lo stesso servizio; le eccezioni al principio della parità di trattamento nel diritto
primario: ordine pubblico, sicurezza pubblica, sanità pubblica ed esercizio di pubblici poteri.
LA DIRETTIVA BOLKESTEIN (2006/123), è stata approvata dalla Commissione Europea
con uno scopo ben preciso: dare attuazione alla libera circolazione dei servizi all’interno del
Mercato Unico Europeo.
La Direttiva mira ad agevolare sia l’esercizio della libertà di circolazione del prestatore del
servizio, sia la libera circolazione del servizio e il suo obiettivo non è l’armonizzazione completa
delle procedure amministrative, ma l’eliminazione degli ostacoli ingiustificati.
- Obbligo per gli Stati membri di procedere ad un esame delle procedure e formalità̀relative
all’accesso ad un’attività̀di servizi e al suo esercizio e di semplificarle
- Creazione di sportelli unici presso i quali i prestatori di servizi possono espletare tutte le
procedure e le formalità̀richieste nonché́ ottenere tutte le informazioni necessarie
- Obbligo per gli SM di consentire l’espletamento delle procedure e delle formalità̀relative
all’accesso ad un’attività̀di servizi e al suo esercizio con facilità, a distanza e per via elettronica.
La Bolkestein in Italia, una storia difficile
Nel 2010 la direttiva è stata recepita dall’Italia e, sotto la guida di Berlusconi, è iniziato il processo
dei rinvii di cinque anni in cinque anni. Nel 2012 l’esecutivo Monti è intervenuto di nuovo,
allungando la scadenza di quelle concessioni al 2020.
In una fuga continua dall’applicazione di una serie di norme che garantirebbero trasparenza e
concorrenza. Ora va in scena la nuova estensione, che durerà addirittura fino al 2035.
Nel 2020, la Commissione europea ha avviato la messa in mora dell’Italia per violazione della
Direttiva Bolkestein, in ragione del mancato adeguamento del demanio marittimo.
Liberalizzazione dei servizi e le spiagge italiane: Dalla messa in mora nel 2009/2010 fino alla bagarre
proroghe
A gennaio 2009 e maggio 2010 la Commissione UE mette in mora l’Italia: il “principio di
insistenza” e il rinnovo automatico delle concessioni sono incompatibili con la Bolkestein e con i
principi comunitari; l’abolizione del “principio di insistenza” e del rinnovo automatico delle
concessioni.
Il primo è stato abrogato dal Parlamento italiano già prima dell’arrivo seconda lettera da parte
dell’Ue (febbraio 2010), mentre è datata dicembre 2011 la cancellazione del rinnovo automatico
delle concessioni ogni 6 anni. A seguito di questi provvedimenti, nel febbraio 2012 la
Commissione Europea ha archiviato la procedura d’infrazione che aveva avviato quattro anni
prima nei confronti del nostro Paese. In apparenza: tutto risolto. In realtà: l’inizio di una lunga
bagarre sulle proroghe.
Nel 2010 il Parlamento proroga le concessioni degli stabilimenti fino al 2015, impegnandosi a
varare nel frattempo una riforma in grado di conciliare le norme europee sulla concorrenza con
la tutela degli investimenti realizzati dai concessionari. Già nel 2012, però, arriva una seconda
proroga, stavolta fino al 31 dicembre 2020. La motivazione è quella di sempre: permettere ai
gestori degli stabilimenti di continuare a lavorare fino all’arrivo della riforma.
Nel 2016 interviene la Corte di giustizia europea, che condanna le proroghe indiscriminate in
quanto contrarie alla direttiva Bolkestein. Nemmeno questa sentenza, però, convince il
Parlamento a occuparsi della riforma. Anzi: con la manovra del 2019 l’Italia estende ancora la
proroga delle concessioni, e non più di cinque, ma fino al primo gennaio 2034.
• Nel novembre 2021 arriva un’altra sentenza: il Consiglio di Stato italiano cancella le proroghe e
dichiara direttamente applicabile la direttiva Bolkestein. Per evitare che le concessioni saltino
immediatamente creando il caos, la loro scadenza viene fissata – stavolta in via definitiva – al 31
dicembre 2023.
La riforma del Governo Draghi
Le concessioni degli stabilimenti balneari e degli ormeggi turistici dovranno essere assegnate
nuovamente entro il 2023 attraverso delle gare pubbliche, prevedendo degli indennizzi per i
precedenti titolari a carico dei nuovi gestori, che riconoscano sia il valore aziendale che gli
investimenti non
ancora ammortizzati.
Le concessioni dovranno essere riassegnate tramite bandi pubblici entro il prossimo anno, e in
questo la proposta del governo Draghi è piuttosto esplicita:
• «Il governo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, è delegato ad
adottare [...] uno o più decreti legislativi volti a riordinare e semplificare la disciplina in materia di
concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, per finalità turistico-ricreative, nonché la
disciplina in materia di concessioni per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla
nautica da diporto, ivi inclusi i punti d’ormeggio», che preveda «l’affidamento delle concessioni
sulla base di procedure selettive nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione,
parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità».
Libera circolazione di capitali:
La libera circolazione dei capitali è uno degli elementi principali del mercato unico dell’UE ed è
stata sancita dal trattato di Maastricht. Con l’entrata in vigore di tale trattato nel 1994 tutte le
restrizioni sui movimenti di capitali e sui pagamenti transfrontalieri sono state vietate.
L’obiettivo della liberalizzazione è consentire la creazione di mercati finanziari europei aperti e
integrati. Per i cittadini europei la libera circolazione dei capitali comporta la possibilità di
svolgere molte operazioni, quali: aprire un conto in banca all'estero, acquistare azioni di società
estere, investire dove è possibile ottenere il miglior rendimento, acquistare beni immobili in un
altro paese.
Per le imprese, significa essere in grado di: possedere e investire in altre imprese europee e
raccogliere fondi laddove risulta più economico.
Art. 63 TFUE
1. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai
movimenti di capitali tra Stati membri, nonché́ tra Stati membri e Paesi terzi.
2. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui
pagamenti tra Stati membri, nonché́ tra Stati membri e Paesi terzi.
Liberalizzazione dei capitali e concorrenza fiscale
La libertà di movimenti di capitale (senza armonizzazione fiscale e finanziaria) ha attivato forme
di concorrenza fiscale e contribuito a destabilizzare le economie nazionali. Il vero fattore
destabilizzante è stata la decisione di istituire la libera circolazione dei capitali non solo all’interno
dell’UE ma anche con Stati terzi. Tale decisione ha esposto gli Stati alla speculazione
internazionale e l’obiettivo dell’UE era quello di favorire, all’interno del mercato, l’ottimale
allocazione delle risorse finanziarie di cui tutti avrebbero beneficiato.
Invece, all’interno del mercato europeo la libera circolazione dei capitali ha consentito lo
spostamento della sede all’estero di molte imprese a costi limitati, alla ricerca del paese che
applica la più bassa tassazione dei profitti.
Concorrenza fiscale
Ciò è stato possibile a causa dell’esistenza di un’unione monetaria accompagnata da una
crescente integrazione dei mercati reali e finanziari, ma in assenza di un'autorità fiscale sovrana e
con marcate differenze tra i paesi in merito alle aliquote o alle basi imponibili dei tributi e agli
stessi criteri contabili che determinano i redditi fiscali.
Il punto è che la concorrenza fiscale genera anche la delocalizzazione produttiva, ovvero lo
spostamento dell’attività produttiva di un’impresa da un paese a un altro paese con salari e
tassazioni più bassi.
L’esistenza di paradisi fiscali e di enorme differenze di tassazione e di salari provoca non solo
delocalizzazione dei profitti e delle attività produttive, ma spinge anche i paesi ad abbassare le
aliquote fiscali sul capitale.
L’esistenza di differenze salariali in presenza di libera circolazione di capitali spinge non solo alla
migrazione dei capitali ma ad una pressione salariale interna in tutti i paesi UE, specie quelli a
salari più alti, verso la riduzione del costo del lavoro.
Sono, in particolare, Olanda, Cipro, Malta, Ungheria, Lussemburgo e Irlanda ad attuare una
politica fiscalmente aggressiva; queste pratiche sono poi facilitate dalla possibilità che alcuni paesi
danno, per esempio Malta, nel concedere la residenza fiscale senza che vi sia una reale attività
economica nel paese.
Politiche fiscali disallineate e pianificazione fiscale aggressiva delle multinazionali portano a
grosse perdite di basi imponibili per molti paesi. Nel solo 2019 l’Italia avrebbe perso quasi 24
miliardi di dollari (il 19 per cento dei ricavi dalla tassazione delle multinazionali), a causa di
paradisi fiscali e paesi fiscalmente aggressivi. Di questi 24 miliardi, 21 sarebbero andati a paesi
UE.

Disciplina della concorrenza


Il funzionamento del mercato unico viene garantito attraverso una restrittiva normativa a tutela
della concorrenza.
Con il termine concorrenza si intende quella situazione nella quale più̀ imprese che producono
medesimi beni e servizi competono nel medesimo mercato per soddisfare una pluralità̀
di consumatori.
In una condizione di concorrenza perfetta, il mercato deve presentare una serie di caratteristiche:
A) Le imprese che operano in un determinato mercato sono considerate price-taker, ovvero non
possono in alcun modo condizionare i prezzi di vendita;
B) I beni e i servizi offerti sono omogenei;
C) Assenza di asimmetrie informative e costi di transazione;
D) Assenza di barriere all’ingresso e all’uscita.
E) Assenza di posizioni monopolistiche
Tuttavia queste ipotesi rimangono solamente teoriche poiché nella realtà̀ vi sono imprese con
posizioni dominanti, costi di transizione e asimmetrie informative.
Questo genera contraddizioni del mercato che costringono ad accettare la concezione di una
concorrenza imperfetta come un normale stato di funzionamento del mercato, il che impedisce
la piena adozione delle ipotesi di mercato e di concorrenza considerati dai teorici della
concorrenza perfetta; ciò richiede interventi regolativi da parte delle istituzioni pubbliche,
come previsto dall’ordoliberismo.
Per questo, nell’UE è stato previsto il principio di concorrenza affiancato da una pervasiva e
articolata politica anti-trust (anti-concorrenziale), tesa a sanzionare ogni comportamento sleale
che possa falsare la concorrenza.
La ratio della politica anti-trust: L’obiettivo della politica della concorrenza dell’ordoliberalismo
consisteva nel preservare una società libera; per raggiungere quest’obiettivo occorreva perseguire
la sistematica eliminazione della concentrazione del potere economico privato attraverso la
garanzia di una completa competizione nel mercato.
La struttura pienamente concorrenziale doveva servire non soltanto a realizzare l’efficiente
allocazione delle risorse, ma soprattutto a garantire una società libera in cui lo Stato non cadesse
preda degli interessi riferibili alle grandi concentrazioni di potere economico.
L’articolazione della politica della concorrenza UE
Ai sensi dell’art. 101 TFUE, la politica UE in materia di concorrenza si articola in cinque profili:
• A) DIVIETO DI PRATICHE CONCORDATE, ACCORDI E ASSOCIAZIONI TRA
IMPRESE che possano pregiudicare il commercio e che siano finalizzate a impedire o falsare il
gioco della concorrenza
• B) DIVIETO DI ABUSO POSIZIONE DOMINANTE
• C) CONTROLLO PREVENTIVO sulle operazioni di concentrazione di dimensioni europee
• D) DIVIETO DI AIUTI DI STATO
• E) LIBERALIZZAZIONI E PRIVATIZZAZIONI delle aziende pubbliche statali che
operano in situazioni di monopolio
A) Decisioni e accordi vietati: Questi accordi, detti anche cartelli, sono vietati perché limitano
la concorrenza. Possono assumere diverse forme. Le pratiche più comuni: fissazione dei prezzi,
ripartizione dei mercati, ripartizione della clientela, limitazione della produzione, accordi di
distribuzione tra fornitori e rivenditori dove, ad esempio, il prezzo al consumatore viene imposto
dal fornitore.
Possono essere considerati anticoncorrenziali tutti gli accordi e scambi di informazioni tra
un'impresa e i suoi concorrenti che mirano a ridurre la sua incertezza strategica sul mercato (per
quanto riguarda costi di produzione, fatturato, capacità, piani di commercializzazione, ecc.).
Quali azioni intraprendere? Per evitare qualsiasi rischio è opportuno: non fissare prezzi o altre
condizioni commerciali, non limitare la produzione, non ripartire i mercati e non scambiare
informazioni strategiche sulla propria impresa.
Alcuni accordi non sono vietati, se vanno a vantaggio dei consumatori e dell'economia nel suo
insieme (ne sono un esempio gli accordi su ricerca e sviluppo e trasferimento di tecnologie).
B) Divieto di abuso di posizione dominante: Art. 102 TFUE: «È incompatibile con il
mercato e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri,
lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato
interno o su una parte sostanziale di questo»
Tali pratiche abusive possono consistere: a) nell’imporre direttamente o indirettamente prezzi
d’acquisto, di vendita o altre transazioni non eque b) Nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo
sviluppo tecnico, a danno dei consumatori c) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri
contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi
uno svantaggio per la concorrenza.
L’art. 102 TFUE vieta lo sfruttamento abusivo della posizione dominante, non la posizione
dominante in quanto tale. Un’impresa può essere in posizione dominante semplicemente perché
è più efficiente delle altre. Secondo la Corte di giustizia: la posizione dominante consiste nella
posizione di forza economica detenuta da un’impresa che le consente di ostacolare la persistenza
di una concorrenza efficace sul mercato e di adottare comportamenti indipendenti nei confronti
dei propri clienti, concorrenti e consumatori.
Cosa fare?
Se l'azienda detiene un'importante quota di mercato, occupa una posizione dominante e deve
stare particolarmente attenta a non: applicare prezzi irragionevolmente elevati, a danno dei
consumatori, applicare prezzi eccessivamente bassi per escludere i concorrenti dal mercato,
operare delle discriminazioni tra i clienti e imporre certe condizioni commerciali ai partner.
Google e Commissione europea
Negli ultimi cinque anni, Google è stata multata dall’UE per quasi 8 miliardi di Euro, per abuso
di posizione dominante
• 2019 = 1,4 miliardi di Euro per il servizio AdSense con cui avrebbe imposto una serie di
clausole restrittive nei contratti con i siti di parti terze per prevenire la pubblicazione di annunci
concorrenti del motore di ricerca
• 2018 = 4,3 miliardi di Euro per Android che sarebbe stato imposto ai dispositivi
• 2017 = 2,4 miliardi per manipolazione dei risultati di ricerca riguardo il servizio di Google
Shopping
D) CONCENTRAZIONI: Le concentrazioni tra aziende sono, in linea di principio, ammesse,
ma vengono osservate dall’UE in quanto possono ridurre la concorrenza.
Alcune concentrazioni possono ridurre la concorrenza in un mercato creando o rafforzando un
giocatore dominante e danneggiando il consumatore, le concentrazioni sono ammesse nella
misura in cui sono in grado di aumentare la competitività, migliorare la crescita.
Quali concentrazioni vengono esaminate dalla Commissione europea?
Se il fatturato annuo delle imprese che decidono una fusione supera determinate soglie in termini
di vendite globali ed europee, la fusione proposta deve essere notificata alla Commissione
europea, che deve esaminarla.
Al di sotto di queste soglie, le autorità nazionali garanti della concorrenza negli Stati membri
dell'UE possono esaminare la fusione. La Commissione europea può anche esaminare le fusioni
che le vengono deferite dalle autorità nazionali garanti della concorrenza degli Stati membri
dell'UE.
Fusione FCA-Peugeot: 21 dicembre 2020
La Commissione europea ha approvato la proposta di concentrazione tra le imprese
automobilistiche Fiat Chrysler Automobiles N.V. ("FCA") e Peugeot S.A. ("PSA"); la decisione fa
seguito a un’indagine approfondita da parte della Commissione sulla concentrazione FCA e PSA,
due grandi case automobilistiche a livello mondiale.
Entrambe le imprese operano su scala mondiale, con una solida base industriale nello Spazio
economico europeo (SEE). L'operazione porterà alla creazione di un gruppo automobilistico
denominato "Stellantis" che, per le sue dimensioni, è il quarto nel mondo.
Fasi dell’indagine FCA-PSA
1. In un primo momento, la Commissione ha bloccato la fusione ritenendola lesiva della
concorrenza nel mercato delle auto all’interno dell’UE
2. Per rispondere alle preoccupazioni della Commissione, FCA e PSA hanno proposto una serie
di evidenze volte a consentire l'ingresso e l'espansione di altre società nel mercato
dell’automobile
3. La Commissione, alla luce degli impegni assunti dalle due società, ha approvato la fusione
E) AIUTI DI STATO ALLE IMPRESE: l’art. 107, par. 1, del Trattato sul Funzionamento
dell’Unione europea (TFUE), definisce gli aiuti di Stato come “aiuti concessi dagli Stati, ovvero
mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni,
falsano o minacciano di falsare la concorrenza, nella misura in cui incidono sugli scambi tra gli
Stati membri”.
Ai sensi del TFUE e sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia
dell’Unione europea, salvo deroghe contemplate dai trattati, gli aiuti di Stato sono incompatibili
con il mercato interno.
Gli elementi essenziali dell'aiuto di Stato:
• Un intervento è configurato come aiuto di Stato quando sussistono cumulativamente tutti gli
elementi costitutivi:
• la sussistenza di un’impresa;
• l’imputabilità della misura allo Stato ovvero il finanziamento mediante risorse statali;
• il conferimento di un vantaggio;
• la selettività della misura;
• la possibile distorsione della concorrenza e l’incidenza sugli scambi tra Stati membri.
Quali aiuti di stato sono ammissibili?
• Aiuti a carattere sociale, a sostegno dei consumatori
• Aiuti destinati a sostenere danni derivanti da calamità naturali
• Aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico in aree ove il tenore di vista sia basso, oppure
vi siano forme gravi di sottoccupazione
• Aiuti destinati a promuovere importanti progetti di comune interesse europeo e a porre rimedio
a turbamenti gravi dell’economia
• Aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio.
L’articolo 108 TFUE attribuisce alla Commissione un ruolo di controllo sui regimi di aiuti
esistenti presso gli Stati membri (paragrafo 1) nonché di verifica dei progetti di nuovi aiuti o di
modifica degli aiuti esistenti (paragrafo 3).
Allorché riscontri un’incompatibilità dell’aiuto, essa può adottare una decisione con cui viene
ordinato allo Stato di sopprimere o modificare la misura.
Nel caso in cui lo Stato non si conformi alla decisione, la Commissione ha la possibilità di adire
direttamente la Corte di giustizia senza attivare la procedura pre-contenziosa di infrazione.
• Gli aiuti di Stato possono essere suddivisi in tre categorie:
- gli aiuti soggetti a notifica preventiva
- gli aiuti esenti dall’obbligo di notifica preventiva
- gli aiuti cd. de minimis
SANZIONI: L'UE applica a tutela della libera concorrenza norme severe che vietano
certe pratiche. L'ammenda per chi infrange le regole di concorrenza dell'UE può arrivare
fino al 10% del fatturato annuale mondiale. In alcuni paesi dell'UE i singoli dirigenti delle
imprese coinvolte rischiano sanzioni penali.
Le regole di concorrenza dell'UE si applicano direttamente in tutti i paesi membri, e i tribunali
nazionali devono farle rispettare. Sono applicabili non soltanto alle imprese, ma anche a qualsiasi
organizzazione che esercita un'attività economica (ad esempio le associazioni di categoria ed altre
organizzazioni industriali).

Disciplina della concorrenza in Italia:


Con la legge 10 ottobre 1990 n. 287 viene varata la normativa italiana antitrust, in linea con
quanto già previsto dalla normativa comunitaria, questa normativa italiana ricalca in gran parte la
disciplina comunitaria in materia di concorrenza.
Le fattispecie considerate consistono nel divieto di intese restrittive della concorrenza, nel divieto
di abuso di posizioni dominanti e nel controllo preventivo delle operazioni di concentrazione.
La disciplina della legge n. 287/90 contiene altresì le regole relative alla l’Autorità Garante della
Concorrenza e del mercato designato come soggetto competente per l’applicazione delle norme
di concorrenza.
• L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nota anche come Antitrust o AGCM, è
un'autorità amministrativa indipendente italiana; per autorità amministrative indipendenti si
intendono quei soggetti o enti pubblici, istituiti con legge, che esercitano in prevalenza funzioni
amministrative in ambiti considerati sensibili o di alto contenuto tecnico (concorrenza, privacy,
comunicazioni ecc.), tali da esigere una peculiare posizione di autonomia e di indipendenza nei
confronti del Governo, allo scopo di garantire una maggiore imparzialità (cd. neutralità) rispetto
agli interessi coinvolti.
• L’Antitrust è un organo collegiale e le sue decisioni vengono assunte a maggioranza; il
Presidente e i componenti sono nominati dai Presidenti di Camera e Senato e durano in carica 7
anni, non rinnovabili (tre membri) e se l'autorità competente italiana reputa una fattispecie
sottoposta al suo esame non rientrante nell’ambito di applicazione della Legge 287/90,
sussiste l’obbligo di informare la Commissione; nei casi, poi, in cui è già iniziata una procedura
dinanzi alla Commissione, è dovere dell’autorità italiana sospendere l’istruttoria per tutti gli
aspetti che non sono di esclusiva rilevanza nazionale.

Privatizzazioni in Italia:
Il modello di Stato-imprenditore era incompatibile con il funzionamento del mercato interno
europeo, proprio per questo la sottoscrizione del T. di Maastricht e l’adozione dell’Euro richiese
altresì agli Stati un esteso programma di contenimento del debito pubblico, in Italia aumentato in
maniera esponenziale durante gli anni Ottanta.
I Governi tecnici che guidarono, in Italia, il processo di adesione all’Euro ritennero essenziale
privatizzare gran parte dell’apparato economico in mano allo Stato anche allo scopo di abbassare
il debito pubblico (valutazione rivelatasi poi errata....)
Dal liberismo al neoliberismo:
Negli anni ‘80 si affermano le teorie neoliberiste, sulla scia della Scuola di Chicago e
dell’economista Milton Friedman; le teorie neoliberiste si consolidano nuovamente attorno ai
dogmi di: – riduzione intervento dello stato nell’ economia; – stabilita’ dei prezzi; – indipendenza
della banca centrale. Gli strumenti di intervento del neoliberismo sono basati su: –
privatizzazioni; – smantellamento dello stato sociale; – abbassamento delle tasse.
Art. 3 TFUE
1. L'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli
2. L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere
interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per
quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della
criminalità e la lotta contro quest'ultima.
3. L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa,
basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di
mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un
elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso
scientifico e tecnologico.
La «privatizzazione» della moneta: Per l’Italia, il processo di privatizzazione inizia molto prima di
Maastricht; nel 1981 avviene il c.d. «divorzio» tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia, dal 1975
la Banca d’Italia garantiva che i Titoli di Stato collocati ed invenduti sul mercato primario
venissero dalla stessa acquistati. In questo modo i tassi d’interesse rimanevano stabili e controllati
dal Tesoro: Si chiamava ‘’ base monetaria creata dal canale del tesoro’’: si trattava di una semplice
operazione contabile fittizia. Anche Luigi Spaventa nel 1984 sottolineava: ‘’Lo stock di base
monetaria creato dal Tesoro può essere considerato un debito solo convenzionalmente’’.
A partire dal «divorzio», deciso mediante un semplice scambio di lettera tra l’allora Governatore
Ciampi e il Ministro del Tesoro Andreatta, la Banca d’ Italia non è più obbligata ad acquistare i
TDS invenduti sul mercato primario; può solo intervenire in via facoltativa.
Il pretesto è l’alta inflazione attribuita alla spesa pubblica (dovuta in realtà ai due shock petroliferi
del ‘74 e del ‘79), ma il vero motivo e’ che l’italia doveva adeguare il proprio tasso di cambio all’
ecu essendo entrata nel sistema monetario europeo o sme.
Dopo il 1981 il potere monetario è praticamente fuori dal controllo dello stato.
Il T. di Maastricht 1/11/1993: vieta completamente scoperti di conto a enti ed imprese pubblici,
viene abolita la possibilita’ di ottenere scoperti da parte della bce sul c/c di tesoreria, è vietato l’
acquisto diretto di tds da bce (banca centrale europea) e bce (banche centrali) nazionali, viene
imposto un tetto massimo al deficit annuo del 3% rispetto al pil, al debito pubblico del 60%, all’
inflazione del 2%, il liberismo si dota definitivamente di una struttura giuridica che assegna alla
politica monetaria obiettivi precisi e infine vi sono stabilita’ dei prezzi, forte competitivita’ e
indipendenza della banca centrale.
Dall’avvento della costituzione repubblicana fino agli inizi degli anni ‘80, la regolazione del
patrimonio statale ha risposto ad una finalità di carattere pubblicistico e sociali, miranti al
sostegno del welfare ma con scarsi obiettivi economici.
A partire dall’avvento del neoliberismo e del processo di smantellamento dello stato
dall’economia, gli stati europei e l’UE iniziano a perseguire finalità di carattere
economico-produttivo attraverso un’imponente privatizzazione di enti ed aziende pubbliche e i
mercati finanziari che si sono sostituiti allo stato.
Un impulso deciso arriva dall’UE con la sottoscrizione del T. di Maastricht e la decisione di
riduzione del debito pubblico
• 1993 = Accordo «Savona – van Miert» (ministro dell’industria e commissario alla concorrenza)
prevedeva che l’UE accordava la ricapitalizzazione dell’industria siderurgica italiana solo se veniva
simultaneamente avviata la sua privatizzazione
• 1993 = Accordo «Andreatta – van Miert» prevedeva che il Governo doveva impegnarsi a
ridurre l’indebitamento delle imprese pubbliche fino a livelli accettabili per gli investitori privati.
Avvio delle privatizzazioni
È a partire dal 1990 con la costituzione di una Commissione Ministeriale (Commissione
Scognamiglio), seguita poi da altri programmi di governo che si è dato l’avvio a una serie di
interventi legislativi atti a delineare un programma di privatizzazione delle imprese pubbliche.
Con la legge del 1992 n. 35 erano state previste due fasi
A) nella prima si attuava la trasformazione delle Aziende Autonome e degli Enti pubblici in
società per azioni
B) nella seconda fase invece si procedeva alla vendita delle azioni pubbliche.
• Privatizzazione formale: la semplice trasformazione dello status giuridico di un ente o di una
impresa di proprietà pubblica in una società di diritto privato. Spesso in questo caso la
privatizzazione non è totale, ma lo Stato mantiene la maggioranza delle azioni mantenendo il
controllo direttivo della società oppure rimane comunque tra gli azionisti di maggioranza.
• Privatizzazione sostanziale: nel caso in cui la gestione dell’impresa viene assunta totalmente dai
privati, ossia si attua un trasferimento della proprietà dell’azienda pubblica al settore privato. In
questo caso, il privato diviene a tutti gli effetti titolare della proprietà. Lo Stato si limita a regolare
il funzionamento del settore.
Le fasi principali
Il processo di privatizzazione italiano ricostruibile sulla base dei dati del PB può essere suddiviso
in cinque fasi:
• (i) lo stadio preliminare, che abbraccia gli anni ’80 fino al 1991
• (ii) lo stadio di lancio, dal 1992 al 1995
• (iii) la fase di accelerazione, dal 1996 al 2000, durante la quale sono avvenute le transazioni
maggiori;
• iv) la fase di consolidamento, cominciato dopo la crisi mondiale del 2001 ed arrivato fino al
2005
• (v) la fase attuale, di declino e di incertezza, in cui l’unica grande privatizzazione è stata la
vendita, nel 2008, di alcuni asset della compagnia aerea Alitalia alla società CAI appositamente
costituita.
Il lancio (1992-1995): Il primum movens del grande programma di privatizzazione su larga
imponeva la trasformazione in società per azioni dei conglomerati pubblici e l’immediato
trasferimento di tutte le azioni al Tesoro. Ebbe così avvio la prima fase, la c.d. «privatizzazione
formale o privatizzazione fredda», consistente nella privatizzazione del solo assetto giuridico del
soggetto oggetto di privatizzazione e non nella privatizzazione dell’assetto proprietario.
Fondamentali, nel processo di privatizzazione formale delle società pubbliche, furono, due testi
normativi:
A) la delibera del CIPE del 30 dicembre 1992, contenente le “Direttive concernenti le modalità e
le procedure di cessione delle partecipazioni dello Stato nelle società per azioni derivanti dalla
trasformazione degli enti pubblici economici e delle aziende autonome”
B) il decreto legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito in legge 30 luglio 1994, n. 474, contenente
“Norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli
enti pubblici in società per azioni”.
La delibera del CIPE del 1992 dettava e disciplinava, per la prima volta, le modalità con cui
operare la dismissione delle partecipazioni azionarie pubbliche, individuando, in particolare, tre
possibili ed alternative procedure:
• A) offerta pubblica di vendita
• B) asta pubblica vera e propria
• C) trattativa diretta con alcuni soggetti preselezionati dall’azionista pubblico
La legge 474/94, considerata il vero caposaldo delle privatizzazioni formali in Italia, stabiliva (e,
in parte stabilisce ancora, seppur più volte modificata ed integrata) i principi generali alla base
delle alienazioni delle partecipazioni pubbliche.
In particolare, vi è da evidenziare come, con tale disposizione normativa, il legislatore abbia
affermato il principio dell’assoluta preferenza per l’utilizzo del procedimento di offerta pubblica
di vendita per l’alienazione delle partecipazioni pubbliche, mantenendo, invece, la trattativa
privata come procedura residuale, da utilizzarsi solamente in casi particolari e qualora l’offerta
pubblica di acquisto non fosse concretamente attuabile.
Accanto a tali alternative, il legislatore aveva previsto anche la possibilità di alienazione delle
partecipazioni mediante il ricorso alla procedura c.d. mista tra offerta pubblica di acquisto e
trattativa privata, nonché la facoltà, per l’ente competente, di scegliere di volta in volta anche
ulteriori e differenti modalità di vendita da applicarsi alla fattispecie concreta.
STATO REGOLATORE: il legislatore ha introdotto l’obbligo di far precedere la privatizzazione
delle società pubbliche esercenti pubblici servizi dalla costituzione di appositi organismi di
vigilanza destinati alla fissazione delle tariffe e al controllo della qualità che tali società, una volta
privatizzate, avrebbero dovuto mantenere nei confronti dell’utenza.
•Perché enti regolatori? Le imprese privatizzate erano chiamate a esercitare attività di interesse
generale; per garantire accesso a tutti i cittadini a parità di condizioni di mercato era necessario
una qualche forma di controllo da parte dell’apparato pubblico.
Privatizzazione degli istituti di credito pubblici e la nascita delle fondazioni bancarie
I primi provvedimenti normativi di rilievo furono le c.d. leggi Amato, ovvero la legge 30 luglio
1990, n. 2018 e il decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356
Con tali disposizioni il legislatore disciplina una generale ristrutturazione delle banche e degli
istituti di credito, detenuti da enti pubblici. Con la legge Amato, venne elaborato un complesso
procedimento volto a dividere l’attività bancaria dall’attività pubblicistica, attraverso il
conferimento della prima in apposite società per azioni, nonché il mantenimento della seconda
attività in soggetti di diritto pubblico, ovvero nelle c.d. fondazioni bancarie.
Il processo di trasformazione era previsto come facoltativo, ma l’allettante obiettivo di sottoporre
il settore bancario alla disciplina privatistica fece decollare l’operazione.
La legge attribuiva alle fondazioni bancarie compiti differenti rispetto a quelli tipicamente
bancari, ovvero il perseguimento di scopi di interesse pubblico e di utilità sociale nei settori della
ricerca scientifica, dell'istruzione, dell’arte e della sanità.
La deregolamentazione del sistema bancario ha portato all’azzeramento del controllo pubblico
sulla finanza (l’Italia controllava il 75% del sistema bancario agli inizi degli anni ‘90, dopo la
privatizzazione e la riforma del sistema bancario il processo di concentrazione è andato
peggiorando lasciando nelle mani di 5 gruppi bancari il 50% del capitale totale)
La Cassa Depositi e Prestiti che dovrebbe funzionare come ente regolatore pubblico è
controllata dalle fondazioni delle principali banche private e l’obiettivo di privatizzare il sistema
bancario per renderlo più competitivo è stato totalmente mancato. Al contrario, l’unico
rafforzamento ottenuto è stato quello del mercato borsistico e finanziario, frutto non della scelta
del consumatore, ma principalmente attraverso l’ingresso massiccio di investitori esteri che
hanno sottoscritto i titoli di stato e comprato azioni delle società privatizzate (Vivendi)
La privatizzazione degli enti pubblici economici
Con il decreto legge n. 386/1991, il legislatore italiano previde la possibilità di trasformare gli
enti di gestione (ENI, IRI), in società per azioni; l’operazione impiegò tempo per decollare
definitivamente e per questa ragione, con un successivo decreto legge (n. 359/1992) venne
disposta la trasformazione automatica ex lege di alcuni tra i più importanti enti pubblici
economici esistenti (IRI, ENI, INA, ENEL).
In attuazione di detta norma, furono prontamente trasformati in società per azioni altri due
rilevanti enti pubblici economici (Ferrovie dello Stato e Poste Italiane).
Con legge n. 59/1997 (legge Bassanini) fu avviata anche la privatizzazione formale degli enti
pubblici nazionali non economici operanti in settori diversi dall’assistenza e dalla previdenza
(Istituto Poligrafico dello Stato, Ente Autonomo Acquedotto pugliese).
Legge n. 127/1997 procedura di privatizzazione delle aziende autonome degli enti locali (aziende
municipalizzate).
L’accelerazione (1996-2000)
Durante il periodo 1996-2000, il processo di privatizzazione italiano, come quello di molti
altri paesi, raggiunse il suo picco massimo. I proventi derivanti dalle vendite raggiunsero un
ammontare ragguardevole, pari a 80 miliardi di euro, corrispondenti a circa i due terzi dei ricavi
complessivi da privatizzazione del Paese. In questo caso progredì la privatizzazione dell’ENI e
nell’ottobre del 1997, dopo un lungo processo 30 di riorganizzazione delle imprese pubbliche nel
settore delle telecomunicazioni, si realizzò la fusione della società STET del gruppo IRI e
Telecom Italia (TI); la newco fu successivamente privatizzata, raccogliendo 11,9 miliardi di euro.
(Ci furono anche problematiche legate alla privatizzazione della TELECOM e della rete
nazionale delle telecomunicazioni)
Nel 1997 e 1998 si concretizza la privatizzazione del settore dei trasporti e anche la
privatizzazione del settore bancario ha continuato il percorso cominciato nei primi anni ’90.
Furono vendute ulteriori partecipazioni nella Banca di Roma (anch’essa parte del gruppo IRI),
dell'Istituto Mobiliare Italiano, in BNL e nella Banca Monte dei Paschi di Siena (MPS), in linea
con l’obiettivo di dismettere in toto il settore bancario.
La più importante privatizzazione durante questa ondata è stata però la quotazione in borsa di
ENEL.
a cosa serviva l’enel?
L’’ENEL in qualità di ente pubblico nasce nel 1962 attraverso la nazionalizzazione di quasi 1.300
aziende elettriche di natura privata. Il fine istituzionale è quello di operare in regime di
monopolio e concessione con lo specifico mandato istituzionale di garantire una disponibilità di
energia elettrica che debba essere sempre adeguata per quantità e prezzo alle modalità di uno
sviluppo economico equilibrato dell’Italia, mantenendo nel contempo minimi costi di gestione,
elettrificando la totalità del Paese e assicurando un servizio pubblico, cioè a costi contenuti e
differenziati anche attraverso la tariffazione sociale.
la privatizzazione enel
La legge n. 359 dell’agosto 1992 ha disposto la trasformazione dell’ENEL in società per azioni
suggerendo per la collocazione sul mercato il modello della public company in quanto questo
schema è considerato il più adatto a consentire un avvicinamento dei piccoli risparmiatori
(orientati da sempre verso i titoli di Stato) alla proprietà azionaria. Tale legge, inoltre, ha conferito
al Ministero del Tesoro l’incarico di elaborare un programma di riordino anche in merito al
collocamento della proprietà azionaria sul mercato.
Il riordino del settore elettrico si sta svolgendo secondo due processi separati che però si
intrecciano intimamente: la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica e la privatizzazione
dell’ENEL.
Per quanto concerne l’operazione di privatizzazione in senso stretto dell’ENEL, il settore
elettrico è altamente strategico in tutte le strutture economiche e in particolare per il nostro Paese
che è fortemente dipendente dall’estero per quanto attiene le materie prime e i prodotti
energetici.
Il principale problema che bisogna porsi è quello di verificare se è possibile conciliare l’esigenza
di un buon livello di economicità con quella di pubblico servizio. La privatizzazione, infatti,
imponendo una logica che persegue esclusivamente il profitto tende a privilegiare nettamente
l’economicità a scapito dell’utilità del servizio pubblico.
Il processo di privatizzazione comporta necessariamente dinamiche di concentrazione aziendale
che fanno sì che i presidi nelle zone a “bassa convenienza” devono essere eliminati per esigenze
puramente finanziarie, affossando la logica del sistema a rete. Basti pensare che mentre prima
anche le città piccole avevano comunque sedi operative, amministrative e commerciali
dell’ENEL,si è ora avviato un processo di smantellamento.
• Un esempio: in Basilicata e in Molise la struttura locale dell’ENEL in pratica non esiste più; i
processi di concentrazione della presenza aziendale ha chiaramente penalizzato oltre ai lavoratori
anche i cittadini, come si può notare in gran parte nel Meridione.
Bilancio sulle privatizzazioni: imprese e contribuenti
Il punto di vista comunemente accettato sulle privatizzazioni è che in generale sono desiderabili
perché́ le imprese pubbliche sono inefficienti. L’inefficienza delle imprese pubbliche a sua volta
deriverebbe da vari fattori: un eccesso di obiettivi, anche contraddittori, loro assegnati dai
governi; la cattura del management da parte dei sindacati dei lavoratori o da altri soggetti sociali
non interessati all’efficienza; la corruzione dei manager e quindi del processo decisionale in
imprese usate come strumento clientelare; lo spreco di denaro pubblico.
Le imprese sono state collocate in borsa a prezzi inferiori al loro potenziale valore di mercato,
per forzarne il collocamento. Uno studio approfondito del caso britannico, che è stato l’archetipo
delle privatizzazioni in Europa, conduce ad escludere che il contribuente abbia tratto beneficio
dalle privatizzazioni e vi è semmai evidenza in senso opposto.
I settori maggiormente colpiti dalle privatizzazioni: 1. Settore industriale; 2. settore bancario; 3.
settore infrastrutture; 4. Settore telecomunicazioni e servizi .
Il bilancio è particolarmente critico non tanto in relazione a questioni ideologiche, quanto dal
punto di vista degli esiti economico-finanziari che dalla pessima gestione delle privatizzazioni
sono derivati al sistema economico nazionale.
A distanza di qualche decennio dal secondo giro di grandi privatizzazioni non è un azzardo dire
che è stato un errore cedere ai privati l'intera azienda delle telecomunicazioni, rete di trasmissione
compresa, e la principale concessionaria autostradale. Intanto c' è il problema dei monopoli
naturali: in un bilancio sulle privatizzazioni pubblicato nel 2010, la Corte dei Conti notava che le
principali criticità per il sistema produttivo italiano e per i consumatori si erano viste nei settori
delle banche, dell' energia e delle strade.
A cosa sono servite le privatizzazioni? Non sono servite per abbattere il debito pubblico ma solo per
ripagare i Titoli di Stato in scadenza e i suoi introiti non sono utilizzati per la spesa sociale.
L’obiettivo sembra essere stato quello di favorire un modello economico fondato sul mercato e
fortemente competitivo, cui il modello proposto dai costituenti si pone in netta antitesi.

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