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Storia economica

Lezione 1

Parte prima: La prima rivoluzione industriale (1750-1850)

CAPITOLO PRIMO: LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

1. PREMESSA: STORIA ECONOMICA

La storia economica è la storia dei fatti e delle vicende economiche a livello individuale, aziendale e
collettivo: gli eventi ed i fatti legati all’attività economica che coinvolgono le aziende, gli individui e la
società nel suo complesso. I fatti e le vicende sono legati ai tre fenomeni chiave dell’attività
economica:

- produzione: è quel fenomeno che si ottiene dall’insieme dei fattori produttivi (lavoro, capitale)
e capacità imprenditoriale per la messa a punto di beni e servizi;
- distribuzione: è quel fenomeno che prevede la ripartizione dei beni e servizi fra coloro che
hanno contribuito (alla realizzazione di beni e servizi) sia direttamente che indirettamente;
- consumo: è l’utilizzo che si fa dei beni e servizi prodotti (utilizzo sia destinato al
soddisfacimento dei bisogni, sia utilizzato per alimentare altre produzioni).

Produzione, distribuzione e consumo non sono solo oggetto d’indagine della storia economica ma
anche di altre discipline come l’economia politica o la politica economica. Per esempio l’economia
politica studia questi fenomeni per comprenderne i meccanismi di funzionamento e formulare delle
leggi a proposito di questi meccanismi di funzionamento.

La storia economica si caratterizza per un aspetto differente da queste discipline, nel senso che
guarda a questi fenomeni cercando di comprendere come si siano sviluppati in determinate epoche e
in determinati luoghi (all’interno di uno specifico contesto, non in maniera astratta ma in uno
specifico contesto spazio-temporale definito).

1.2. IL SISTEMA FEUDALE

Prima di osservare lo sviluppo di questi fenomeni in età industriale, bisogna comprendere che il
mondo industriale non è da sempre l’unico che sia esistito. In altre epoche fenomeni di produzione,
distribuzione e consumo hanno presentato problematiche diverse rispetto a quelle che studieremo in
maggior dettaglio. Un esempio è proprio il sistema feudale.

Nel medioevo ritroviamo il sistema feudale che si basava su una serie di rapporti personali e
patrimoniali, intercorrenti fra il sovrano e i suoi vassalli e tra i vassalli e i contadini.

Il vassallo prometteva fedeltà al signore ed era obbligato a fornire aiuto militare, finanziario, consiglio
e dall’altro lato, invece, il signore garantiva al vassallo la sua protezione e assicurava il mantenimento
attraverso l’assegnazione di un feudo (controllo su una porzione di possedimento) con cui il vassallo
poteva garantirsi un mantenimento.

Il feudo era costituito da tre aree principali:


1. la riserva dominica: parte che il signore faceva coltivare ai suoi servi;
2. i poderi: dati in concessione ai contadini liberi affinché li potessero lavorare per potersi
mantenere;
3. le terre comuni: riservate allo sfruttamento comunitario del popolo.

Grazie a questa divisione il signore entrava in contatto con l’altra parte del rapporto: i contadini. Nel
rapporto con i contadini, il vassallo (detto anche feudatario) garantiva difesa contro i nemici,
amministrava la giustizia, interveniva in questioni di carattere giuridico, soccorreva i contadini in caso
di difficoltà, costruiva ed era chiamato alla riparazione di frantoi, mulini (infrastrutture utili al
mantenimento del feudatario). Viceversa i contadini erano tenuti ad alcune prestazioni: pagavano il
censo, fornivano le corvè (prestazioni d’opera gratuita), mettevano a disposizione uomini armati in
caso di necessità.

Dal punto di vista sociale, il mondo feudale era visto come un’organizzazione distinta in tre ordini
fondamentali:

1. il clero: oratores (coloro che pregavano);


2. la nobiltà: bellatores (coloro che combattevano);
3. i contadini e gli artigiani: i lavoratores (coloro che lavoravano).

Il sistema feudale come sistema fondato sugli stretti legami intercorrenti fra sovrano e vassalli e fra
vassalli e contadini è in sistema che non si afferma in tutta Europa allo stesso modo ma inizia a
trasformarsi e che con il tempo inizia a sfaldarsi (pensiamo alla Gran Bretagna). Questo sistema inizia
a sfaldarsi per lasciare spazio in età moderna ad un’altra società che si innesta su quella feudale con
delle caratteristiche proprie, ovvero la società di Ancien Règime (insieme di società e istituzioni creati
prima della rivoluzione Francese).

1.3. LA SOCIETA DI ANCIEN RÉGIME

Nel primo settecento la società era ancora divisa in classi:

- la nobiltà, che esercitava un importante ruolo politico, spesso rafforzato dalla Chiesa e con il
clero che godeva di numerosi privilegi: aveva la possibilità di riscuotere decime per il
mantenimento e di non pagare i tributi;
- i lavoratori, cioè contadini che rappresentavano la maggioranza della popolazione;
- la borghesia, nata dalla dissoluzione del sistema feudale con l’affermarsi di alcune professioni
(mercanti, banchieri, notai, medici, burocrati). Questa classe media si consolidava ed assumeva
caratteristiche particolari a seconda dei Paesi in cui si sviluppava. Per esempio in Olanda,
Inghilterra si affermava la classe mercantile, mentre nei Paesi come la Prussia la principale
componente erano i funzionari e i burocrati. In Francia, invece, i più diffusi erano gli appaltatori
delle imposte e i finanzieri.

1.4. LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Su questa società si innesta, la prima rivoluzione industriale che stravolge la società di Ancien Règime.
I protagonisti di questa rivoluzione industriale sono i borghesi. Questa rivoluzione viene divisa in tre
momenti: prima, seconda e terza rivoluzione industriale.

La prima fase della rivoluzione inizia circa nel 1750 e termina verso il 1850.

I Paesi coinvolti sono Inghilterra (a tal punto che la prima rivoluzione industriale viene spesso definita
“la prima rivoluzione industriale inglese”) ed altre porzioni come il Belgio, Olanda, Francia ed oltre
oceano gli Stati Uniti.

Questi Paesi iniziano a sviluppare numerosi settori industriali che caratterizzano la prima rivoluzione
industriale come quello tessile, del ferro e dell’energia, trainato dallo strumento della caldaia a
vapore.

La prima fase della rivoluzione viene definita poco costosa, poiché non vi era bisogno di capitali
elevati come nelle prossime due fasi della rivoluzione (i capitali iniziali infatti provenivano da
proprietari terrieri o da mercanti che si erano arricchiti grazie al commercio estero). In virtù del basso
costo legato all’avvio dell’attività industriale, il ruolo delle banche avevano un ruolo marginale.

1.5. LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUTRIALE

Con la seconda metà dell’Ottocento (1850) si apre una nuova fase, quella della “seconda rivoluzione
industriale” che proseguirà fino alla seconda metà del Novecento (1950), passando anche attraverso
gli sconvolgimenti della prima e della seconda guerra mondiale.

Le locomotive di questa fase sono gli Stati Uniti e la Germania che scalzano anche la Gran Bretagna
dal suo primato. Vi sono anche altri Pesi che vengono definiti “late-comer” come Russia, Italia,
Giappone che avviano e si rendono protagonisti dello sviluppo solo più tardi.

Così come mutano i Paesi emergenti, cambiano anche i settori che caratterizzano questa seconda
fase. Importanti diventano: la chimica, l’elettricità, la meccanica, la siderurgia, l’acciaio, l’estrazione
del petrolio, l’applicazione del motore a scoppio e l’invenzione della radio.

Grazie all’integrazione dei processi che si rifanno al tailorismo (catena di montaggio), non vi sono più
imprese di piccole dimensioni ma la creazione di grandi imprese.

Nello stesso periodo ritroviamo un aumento demografico del 60% che vede la popolazione migrare
verso le Americhe e a livello locale, vede la popolazione abbandonare le campagne per stabilirsi nei
centri urbani.

Questo ci fa pensare a quanto la seconda fase della rivoluzione industriale abbia permesso un minore
impiego della materia umana e una maggiore produzione.

Grazie all’evoluzione dei mezzi di trasporto si realizza una integrazione dei mercati che apre la
prospettiva di un vero e proprio mercato globale ed incrementa di fatto le opportunità per gli
imprenditori e le imprese. Questi elementi ci fanno capire quanto sia più costosa la fase che rende più
importante anche il ruolo delle banche e della borsa.

1.6. LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE


La terza rivoluzione industriale si apre con il secondo dopoguerra, si sviluppa nei Paesi già
industrializzati e vede emergere nuovi settori, nuovi ambiti produttivi come: la produzione e l’utilizzo
dell’energia nucleare, la biochimica, le materie plastiche, l’elettronica, l’informatica e la robotica e
la diffusione della motorizzazione.

Per quanto riguarda le dinamiche demografiche, agricole e questioni logistiche, abbiamo una
accelerazione dei processi che abbiamo visto nella seconda rivoluzione industriale:

- una popolazione che aumenta in misura sempre maggiore anche aree esterne al mondo
occidentale;
- la produttività agricola aumenta e vede meno agricoltori impiegati invece in altri campi;
- per i trasporti, la diffusione di imponenti navi e la creazione dei containers che permettono il
movimento più rapido delle merci.

Ciò che caratterizza in maniera peculiare la terza rivoluzione industriale è il trionfo del settore dei
servizi, la terziarizzazione dell’economia, la crescita della rilevanza del settore terziario. Abbiamo
quindi imprese che acquistano sedi al di fuori dei confini nazionali e banche che si internazionalizzano
(spostando capitali da un’area del globo all’altra in pochissimo tempo).

1.7. UNA RIVOLUZIONE EUROPEA

Perché questo straordinario insieme di mutamento e trasformazioni che prende il nome di rivoluzione
industriale prende luogo in una specifica area del vecchio continente?

Gli storici hanno risposto a questa domanda identificato alcuni fattori:

 la presenza di elementi naturali favorevoli come il clima mite, la disponibilità di risorse naturali
come acqua, terreno;
 la presenza di un sistema istituzionale che favoriva la libera impresa (garanzie per i diritti di
proprietà);
 la frammentazione politica;
 una peculiare visione del mondo (pensiamo al cristianesimo e alla fiducia nella capacità
dell’uomo di dominare la natura, che si impone come elemento fondamentale della visione del
mondo);
 la progressiva affermazione della democrazia (dichiarazione dei diritti dell’uomo con la
Rivoluzione Francese);
 la scienza.

Parte prima: La prima rivoluzione industriale (1750-1850)

CAPITOLO SECONDO: LO SVILUPPO ECONOMICO

2.1. CRESCITA, SVILUPPO E PROGRESSO

Nel linguaggio comune questi termini vengono impiegati come sinonimi:

1. crescita economica: aumento complessivo del valore dei beni e servizi prodotti da una
determinata popolazione in un periodo definito (generalmente un anno);
2. sviluppo economico, crescita elevata e prolungata accompagnata da trasformazioni sociali,
strutturali e culturali;
3. progresso: legato alla moderna concezione del mondo che si afferma in Europa tra 1600 e
1700 ad opera di scienziati come Cartesio, Newton che riponevano grande fiducia nell’uomo e
nella sua possibilità di misurare il mondo per poi migliorarlo.
2.2. LA MISURAZIONE DELLA CRESCITA

Questo aumento di valore che si realizza nell’anno (crescita economica) nei beni e servizi prodotti da
una determinata situazione come lo misuriamo?

Per misurare la crescita si fa riferimento ad alcuni aggregati, ad alcune grandezze economiche


complesse (PNL, PIL, PIL pro capite).

1. PIL (prodotto interno lordo), cioè il valore monetario di beni e servizi prodotti in un
determinato periodo (in genere un anno) all’interno di un Paese da residenti e da stranieri al
lordo degli ammortamenti (valore dei beni consumati nel processo produttivo);
2. PNL (prodotto nazionale lordo), cioè il valore monetario di beni e servizi prodotti in un
determinato periodo soltanto dai residenti di un determinato Paese, all’interno del Paese e
all’esterno, al lordo degli ammortamenti;
3. PIL pro capite (valore medio per abitante del PIL), si ottiene dividendo il PIL per il numero degli
abitanti e permette di conoscere il valore dei beni e dei servizi che ciascun cittadino ha
mediamente contribuito a produrre.

Questi aggregati vengono utilizzati per comparare i Paesi delle diverse aree geografiche. Nell’utilizzo
di queste grandezze bisogna prestare attenzione!

2.3. I MODELLI DI SVILUPPO

Gli economisti hanno notato come il prolungarsi nel tempo della crescita sia accompagnato da alcuni
mutamenti nella società, nelle sue strutture, nelle sue istituzioni, secondo quel fenomeno che
normatemele prende il nome di sviluppo. Hanno fatto ricorso a dei modelli per poter spiegare lo
sviluppo economico.

Bucher (esponente della scuola storica tedesca del diciannovesimo secolo) elabora uno schema, un
modello che sintetizza lo sviluppo in quattro tappe fondamentali:

1. economia domestica chiusa;


2. economia cittadina;
3. economia nazionale;
4. economia mondiale.

Se nella prima fase l’attività si sviluppa nell’ambito familiare, quindi si produce e si scambia in
maniera ristretta, con l’economia cittadina l’attività economica si amplia alla città e al suo
circondario, con l’economia nazionale l’attività economica si sviluppa nei confini del Paese, con
l’economia mondiale l’attività economica coinvolge tutti i Paesi e, come prevedeva Bucher, si
costituisce di fatto una economia mondiale.
Rostow vede la realizzazione dello sviluppo economico attraverso cinque fasi:

1. fase della società tradizionale (società preindustriale) caratterizzata da:


 agricoltura predominante
 produttività bassa
 popolazione che stenta a crescere
2. fase della società di transizione (fase di mutamento) in cui si verifica:
 un incremento della produttività agricola che permette l’inizio di un processo di
creazione di capitali
 creazione di una classe imprenditoriale dinamica
 alto tasso di alfabetizzazione
 si susseguono innovazioni
 lo Stato permette la creazione di infrastrutture costose
3. fase della società del decollo o take off: è lo stadio più importante. L’economia e la società
conoscono una forte accelerazione:
 si impongono alcuni settori-guida che dinamizzano il resto dell’economia
 crescono la produzione, produttività e investimenti
 sorgono trasformazioni nel quadro politico e istituzionale
4. fase della società matura, una fase ormai decollata in cui:
 la produttività, le innovazioni tecnologiche continuano ad aumentare
 si impongono nuovi settori-guida
 lo sviluppo inizia ad autoalimentarsi.
5. fase della società di consumo di massa: economia e società sono ormai mature. In questa fase
ritroviamo:
 l’accumulazione delle risorse e del risparmio che produce un forte aumento della
domanda di beni di consumo durevoli
 e come conseguenza un miglioramento della qualità della vita.
2.4. CRISI E CICLI ECONOMICI

Gli storici notano anche alcune novità legate a periodi di crisi. La caratteristica principale del mondo
industrializzato è la comparsa di crisi di sovrapproduzione. Se prima dell’età industriale si
verificavano crisi di sottoproduzione, con il mondo industrializzato la logica delle crisi cambia: si
manifestano crisi di sovrapproduzione.

La popolazione aumenta e con lei anche la domanda di beni, grazie anche alla crescita di risorse e del
potere di acquisto. Al tempo stesso anche l’offerta che aumenta. Ad un certo punto la domanda
scende e l’offerta resta la stessa. Si verifica quindi una sovrapproduzione di beni, impedendo alle
imprese di remunerare il capitale investito e portando alle perdite per le imprese e alla perdita dei
posti di lavoro (il fallimento). Queste crisi presentano lo stesso schema ma sono differenti da quelle
avute nel sistema preindustriale.

Gli studiosi identificano all’interno dell’attività economica, nel corso del tempo delle continue fasi di
crescita e decrescita che, a seconda dei diversi settori considerati, possono avere una durata inferiore
o superiore. Possiamo distinguere cicli economici:
1. ciclo “maggiore”: crisi come il punto di inversione di tendenza fra espansione e depressione
secondo cicli della durata di 8-10 anni;
2. ciclo “breve” o “minore”: cicli della durata di 3/4 anni durante il quale si susseguono, appunto,
una fase di espansione e una di depressione;
3. ciclo “lungo”: onde lunghe nell’attività economica che durano intorno ai 50 anni.

Parte prima: La prima rivoluzione industriale (1750-1850)

CAPITOLO TERZO: LE PREMESSE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE- LA


POPOLAZIONE

3.1. POPOLAZIONE ED ECONOMIA

Lo studio della popolazione è particolarmente importante per comprendere i problemi economici di


un determinato territorio e di una certa epoca. L’aumento della popolazione genera:

 l’aumento della domanda;


 l’aumento dell’offerta di beni.

Interrogarsi sulle dinamiche demografiche è fondamentale per poter comprendere l’attività


economica di un determinato territorio ed una certa epoca.

3.2. LA DINAMICA DELLA POPOLAZIONE DEL MONDO PREINDUSTRIALE

Conoscere il numero degli abitanti di un paese non è semplice, soprattutto se pensiamo ai secoli
precedenti al XVIII e XIX secolo, quando furono realizzati i primi censimenti moderni. Possiamo però
affermare con sicurezza che a metà settecento la popolazione mondiale non raggiungeva gli 800
milioni di persone.

La popolazione europea aveva conosciuto nell’arco di duemila anni dal 400 a.C. momenti di aumento
e decremento.

- Aumentò fino al 200 a.C. (periodo di massima espansione dell’Impero romano);


- Decrebbe fino al 700(con la peste di Giustiniano del VI secolo);
- Aumentò fino al 1300;
- Decrebbe di nuovo nel corso del XIV secolo a causa della Peste nera;
- Dopo il quattordicesimo secolo gli andamenti della popolazione europea assumevano una
forma sinusoidale, cioè un andamento ad onde, fino ad arrivare a metà del XVIII secolo a livelli
mai raggiunti prima.

L’Europa preindustriale era caratterizzava dal vecchio regime demografico detto “primitivo”:

- l’Europa, dal punto di vista demografico era caratterizzata da un equilibrio estremamente


labile e precario a causa dell’alta natalità e alta mortalità (soprattutto infantile). La vita media
nell’Europa preindustriale andava dai 20 ai 25 anni;
- la popolazione era estremamente dipendente dagli andamenti dei trasporti;
- la popolazione del Settecento viveva in misere condizioni di vita, lavoro e abitazione e per la
maggior parte era analfabeta (la cultura riguardava solo le classi superiori).
3.3. LA RIVOLUZIONE DEMOGRAFICA

Questo particolare rapporto fra livello della popolazione e disponibilità dei generi alimentari si rompe
con la Rivoluzione industriale. Il regime demografico primitivo viene sostituito da un nuovo regime
definito “moderno”. L’Europa e dopo il resto del mondo subiscono una diminuzione del tasso di
mortalità, soprattutto quella infantile, alla quale solo più tardi fece seguito la diminuzione del tasso di
natalità.

Fra il 1750 e il 1850 la popolazione mondiale aumentò dal 800 milioni a quasi 1,3 miliardi (incremento
del 60%). Il Paese che registrava il più forte aumento era proprio la Gran Bretagna.

Il legame fra aumento della popolazione e disponibilità alimentari che fin ora aveva frenato la crescita
demografica si stava spezzando.

Grazie alle innovazioni della rivoluzione industriale si riesce ad incrementare la produttività dei
terreni e a rendere sostenibile la prosecuzione della crescita demografica oltre i due limiti
precedentemente sperimentati (Mathus aveva formulato una teoria: riteneva che la crescita della
popolazione rispondesse ad una legge naturale secondo cui la razza umana cresceva seguendo una
progressione geometrica -2-4-8-16- mentre la disponibilità dei generi alimentari potesse aumentare
solo secondo una progressione aritmetica – 1-2-3 .

3.4. LE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE DEMOGRAFICA

Le principali cause della crescita della popolazione, che inizia ad assumere caratteristiche nuove
dovute alla rivoluzione industriale, sono:

- Una migliore alimentazione, abbondante, diversificata (grazie all’incremento della produzione


agricola e a trasporti più veloci);
- condizioni igieniche migliori, per esempio nelle città venivano realizzate case in muratura, reti
fognarie ed era possibile anche godere di nuove pratiche legate all’igiene personale che
prevedevano l’impiego di panni di cotone e di sapone;
- la medicina (trattati medici per popolazioni meno istruite, accademie, vaccino contro il vaiolo
che fornisce un importante impulso e permette la riduzione del tasso di mortalità);
- la riduzione della mortalità infantile;
- la “famiglia allargata” lascia il posto al nucleo elementare genitori-figli.

Lezione 2

Parte prima: La prima rivoluzione industriale (1750-1850)

CAPITOLO QUARTO: LE PREMESSE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE –


L’AGRICOLTURA

4.1. L’AGRICOLTURA DI ANCIEN REGIME

In realtà una rivoluzione agraria non è sconosciuta alla storia: pensiamo a quando l’uomo scopre il
modo di coltivare la terra, allevare gli animali e fondamentalmente quando cambia in maniera
radicale il suo stile di vita abbandonando il nomadismo per costituire uno stile di vita stanziale. Cira
10000 anni fa, l’agricoltura diviene predominante. La predominanza del settore primario dura fino al
XIX, oltre la prima fase della prima rivoluzione industriale. L’agricoltura mantiene la sua
predominanza fra le aree economiche, nonostante il settore secondario sia essenziale nella
“rivoluzione industriale”.

Le caratteristiche principali dell’agricoltura dell’ancien regime sono due:

- la policoltura, cioè l’agricoltura si caratterizzava per un continuo sforzo verso la produzione di


tutto ciò che serviva per soddisfare la necessità della popolazione della regione in cui l’attività
agricola veniva condotta. Questa caratteristica era una condizione obbligata dovuta al fatto
che fosse difficile trasformare i prodotti agricoli da una regione all’altra, difficile e costoso.
Questo significava comportare basse rese.
- La ridotta commercializzazione, sia la difficoltà nello spostamento dei prodotti, sia la bassa
produttività, non erano condizioni necessarie affinché potesse crearsi una commercializzazione
dei prodotti agricoli.

L’agricoltura mirava al soddisfacimento dei bisogni. Solo i grandi signori poteva permettersi di
commercializzare il prodotto (potevano sostenere i costi elevanti del trasporto).

L’ agricoltura dell’ancien règime era un’agricoltura di sussistenza  orientata al soddisfacimento dei


bisogni di chi partecipava alla stessa produzione

4.2. LA RIVOLUZIONE AGRARIA: LE TECNICHE

Quali erano gli elementi che hanno rotto questo equilibrio all’interno dell’agricoltura del periodo
dell’Ancien règime? Il primo fattore è
certamente l’incremento demografico. L’esigenza di incrementare la produzione agricola, nata con
l’aumento della domanda di beni di prima necessità dovuto alla crescita della popolazione, diede il via
alla rivoluzione agraria caratterizzata dall’introduzione di nuove tecniche e dal mutamento del regime
della proprietà fondiaria.

L’Europa settecentesca non potendo attuare agricoltura estensiva percorse la via dell’agricoltura
intensiva:

1. Introduzione maggese (con rotazione biennale e rotazione triennale)


2. Eliminazione maggese con l’introduzione di coltivazioni a rotazione di leguminose e di piante
da foraggio (queste coltivazioni miglioravano la fertilità del terreno)
3. Utilizzo del letame per concimare (aumenta fertilità terreni)
4. Miglioramenti degli attrezzi e adozione delle macchine agricole

Tutti questi elementi sono cruciali per garantire l’aumento della produttività utile a rendere
sostenibile l’aumento demografico che aveva innescato la crescita della domanda di beni del settore
primario. Tuttavia, queste nuove tecniche non sarebbero state sufficienti se non ci fosse stato anche
un cambiamento della proprietà fondiaria.

4.3. LA RIVOLUZIONE AGRARIA: PROPRIETÀ FONDIARIA


Era necessario che i proprietari terrieri potessero godere della piena ed esclusiva proprietà delle loro
terre. Per poter realizzare gli investimenti necessari all’introduzione di quelle innovazioni si
rendevano necessarie delle ridistribuzioni delle terre (rispetto alla situazione dell’ancien règime e
ancora prima di quella feudale) improntate su uno sfruttamento di tipo comunitario delle terre. Con il
‘700 si registrano mutamenti da questo punto di vista (accordi tra privati, intervento dello Stato
portavano a maggiore definizione delle terre e alla costituzione di grandi proprietà):

Il tutto porta ad una ridefinizione dei ruoli nel settore dell’agricoltura da un lato con l’emergere di
nuovi proprietari dall’altro con l’emergere di lavoratori/braccianti. Ad esempio, coloro che ottennero
un piccolo appezzamento di terra spesso lo vendettero ai proprietari più grandi e si trasformarono in
fittavoli o in braccianti.

4.4. RIVOLUZIONE AGRARIA E RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

La rivoluzione agraria ha contribuito alla rivoluzione industriale inglese in almeno 4 modi:

1. sostenne una popolazione in aumento (fu importante per soddisfare i bisogni della
popolazione che aumentava, persone che potevano dedicarsi ad attività extra agricole;
aumento della produttività e diminuzione di posti di lavoro);
2. creò il potere d’acquisto (incremento dei redditi agricoli grazie alla possibilità di
commercializzare il prodotto agricolo, e vengono destinati sia al consumo diretto dei manufatti
dell’industria britannica, sia all’acquisto dei prodotti che l’industria britannica metteva a
disposizione dell’agricoltura stessa (macchinari erano spesso prodotti dall’industria del ferro);
3. Consentì lo spostamento di popolazione dalle zone rurali alle zone urbane, industriali e
concentrate nelle città;
4. Partecipò alla formazione del capitale necessario al finanziamento dell’industrializzazione.
Molti proprietari terrieri grazie al guadagno in crescita potevano anche divenire investitori nel
settore secondario.

Parte prima: La prima rivoluzione industriale (1750-1850)

CAPITOLO QUINTO: LE PREMESSE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE – TRASPORTO


E COMMERCIO

5.1. LA RIVOLUZIONE DEI TRASFPORTI: STREDE E FERROVIE

La rivoluzione dei trasporti vera e propria la vediamo realmente con la seconda rivoluzione
industriale.

In questa prima fase però bisogna registrare alcune trasformazioni che diventeranno decisive con la
seconda rivoluzione industriale.

Da un punto di vista viario, l’Inghilterra settecentesca era caratterizzata da strade malmesse,


costruite con materiali e tecniche che portavano a facile deteriorazione. Le strade inglesi erano
considerate le peggiori in Europa. La necessità di rifornimenti alle città rendevano queste strade
obsolete un problema. Il governo decide quindi di intervenire in maniera diretta per favorire il
miglioramento del sistema stradale inglese. I passi fondamentali erano due:
1. Intervento volto a favorire strade a pedaggio, che si potessero finanziare tramite il pedaggio;
Negli anni 30 dell’ottocento vi erano ormai trentamila di strade con pedaggio in Inghilterra. Un
impulso che anche dal punto di vista tecnico, con il XIX secolo assumeva maggiore consistenza
grazie al recupero di alcune tecniche costruttive che risalivano ai tempi dei romani che
prevedevano la costruzione di strade migliori rispetto a quelle conosciute dagli inglesi (che non
si deterioravano facilmente);
2. La ferrovia rappresenta una innovazione della prima metà dell’Ottocento, nel 1825 George
Stephenson perfeziona la locomotiva a vapore che abbinata con le rotaie permette al mondo
di conoscere la strada ferrata. Nel 1830 nasce la prima linea ferroviaria inglese che andava da
Liverpool a Manchester;
5.2. LA RIVOLUZIONE DEI TRASPORTI: LE VIE D’ACQUA

La navigazione marittima diviene centrale. In Inghilterra un grande ruolo nei sistemi logistici lo ebbe
la navigazione, sia in acque interne che marittime, nonostante una serie di problematiche che questo
sistema di trasporto presentava.

- Dal punto di vista della navigazione delle acque interne (fiumi/canali), ci si scontrava con la
corrente contraria, sbarramenti artificiali (es. presenza mulini), la presenza di corporazioni,
bassi fondali, pedaggi;
- Dal punto di vista della navigazione delle acque marittime, ci si scontrava con particolari
condizioni climatiche, la pirateria.

Nonostante queste problematiche, sia il trasporto marittimo che quello delle acque interne nel corso
del ‘700 ha un grande impulso, a tal punto che per la seconda metà del Settecento si può parlare di
una vera e propria febbre dei canali, che permette la connessione fra diversi corsi d’acqua. Dunque, le
merci potevano essere spostate fra le diverse città grazie alla navigazione.

Questo rappresentava uno stimolo positivo per il sistema assicurativo. Infatti, davanti a tutte queste
problematiche nasceva l’esigenza per le compagnie di trasporto di dotarsi di una assicurazione
(diventeranno poi essenziali nella seconda rivoluzione industriale).

In questa fase occorre ricordare nel 1803 l’esperimento di Robert Fulton che sperimentò il primo
battello a vapore sulla Senna (la locomotiva a vapore diventerà cruciale fino a sostituire le
imbarcazioni a vela con la seconda rivoluzione industriale).

5.3. COMMERCIO E MERCANTILISMO

La questione dei trasporti è strettamente legata alle questioni commerciali. Dobbiamo registrare però
la presenza di mercati molto ristretti (già detto in riferimento all’agricoltura), la difficoltà di
commercializzare i prodotti, di spostarli da una regione all’altra e di garantire un mercato all’offerta di
beni alimentari. Gli ostacoli al commercio erano di diversa natura:

- Barriere naturali - es. montagne, mari, foreste


- Barrire artificiali - dazi, limitazione libera circolazione merci e persone imposte da governi
- Bassi redditi della popolazione - scarso potere d’acquisto
- Insicurezza dei viaggi terrestri - condizioni metereologiche, ladri, pirati
- Insufficienza della moneta in circolazione
- Difficoltà di accesso al credito - trovare qualcuno disposto a fare credito

Qual era l’approccio dei governi alle questioni del commercio nell’età dell’ancien règime? Nel corso
dell’età moderna, sull’onda delle nuove scoperte anche geografiche va delineandosi il cosiddetto
mercantilismo che ancora a metà ‘700 improntava l’azione di tutti i governi europei: era sia una
dottrina economica che una politica economica che aveva contribuito a sviluppare significativamente
il governo internazionale.

Secondo quale logica? Principio fondamentale della dottrina mercantilista era quello secondo cui la
ricchezza di un paese dipendesse dalla quantità di metalli preziosi a sua disposizione (oro e argento).
Pertanto, i governi dovevano guardare ad una politica economica che permettesse al Paese di
incrementare la disponibilità di metalli preziosi, con tutti i mezzi, leciti e illeciti. In questo contesto
acquisiscono grande importanza anche le colonie, e soprattutto il rapporto che si instaura tra
madrepatria e colonie.

5.4. IL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Il rapporto che si instaura fra madrepatria e colonie: la madrepatria costituiva, avviava dei rapporti
commerciali utili a drenare risorse (in termini di metalli preziosi) dalle colonie e mirava ad
incrementare i propri possedimenti per avere maggiori possibilità di crescere la propria disponibilità
di metalli preziosi.

Allo stesso modo quella che si sviluppava era una politica economica protezionista e nazionalista.

- Nelle esportazioni si fornivano sussidi ai produttori e commercianti perché fossero spinti ad


incrementare i propri commerci e garantire un flusso di metalli preziosi in entrata.
- Nelle importazioni invece si imponevano dei pesanti dazi in modo tale che il governo si potesse
garantire su queste importazioni un guadagno.

La situazione ereditata dai secoli precedenti è quella di un mercantilismo che domina nella politica
economica dei diversi governi europei, imponendo dazi e stimolando i flussi di esportazione. Con
l’imporsi della rivoluzione industriale, questo approccio mercantilista però comincia a mutare e
comincia progressivamente ad imporsi l’economia politica (ottica) liberista orientata all’intero
commercio (a partire soprattutto dall’Inghilterra che anche in questo ambito si impone come paese
leader). In Inghilterra il miglioramento delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto consentì un
notevole sviluppo sia del proprio mercato interno che del mercato internazionale.

- Il mercato interno era spinto dall’incremento dei consumi alimentato dall’aumento del reddito
pro capite (della popolazione) che evidenziava il miglioramento del livello di vita.
- Il mercato internazionale si configurava come commercio triangolare: ovvero l’Inghilterra
costruiva un proprio sistema di relazioni commerciali con Europa, Africa ed Antille in cui la
madrepatria (Inghilterra) era esportatrice di manufatti di lana ed altri prodotti di
riesportazione (ovvero lavorati sulla base di materie prime importate da queste altre zone del
globo). L’Inghilterra importava zucchero, cotone, tabacco, piante tintorie (dalle Indie
occidentali/Antille), materie prime che pagava con schiavi acquistati in Africa in cambio di
armi, ferramenta, pezza di cotone indiane etc. Si crea una specie di triangolo:

Europa - Africa - Antille

Parte prima: La prima rivoluzione industriale (1750-1850)

CAPITOLO SESTO: INDUSTRIE TRAENTI E INNOVAZIONI IN GRAN BRETAGNA

6.1. L’ORGANIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE

Il settore secondario esisteva anche nell’età moderna, vi erano produzioni manifatturiere che si
organizzavano secondo alcuni modelli – noi ne possiamo ricordare in particolare 3:

1. Artigianato

Presente sin dal medioevo ed era una forma di organizzazione della produzione manifatturiera basata
sulla figura del maestro che operava in una bottega e in genere faceva parte di una corporazione.
All’interno della bottega operavano anche artigiani, apprendisti.

Cruciale era la corporazione che radunava, raccoglieva le botteghe appartenenti alla produzione di
uno stesso settore, definendo le norme secondo cui i diversi maestri dovevano lavorare: le tecniche, i
prezzi, i salari, la quantità di materia prima da utilizzare, come doveva essere distribuita la materia
prima fra le botteghe e come gli ordini dovevano essere distribuiti fra le diverse botteghe. Importante
era il numero e le modalità secondo cui dovevano essere istruiti gli apprendisti. La corporazione in
questo modo, oltre a garantire il lavoro, garantiva anche su un lungo periodo il controllo sulla
competizione, di fatto la futura concorrenza. Dunque:

- Figure chiave: maestro, apprendisti e lavoratori


- Luogo: centri abitati
- Organizzato in botteghe e corporazioni
- Le corporazioni organizzavano l’attività produttiva
- Svolgevano anche una funzione di mutuo soccorso

2. Industria a domicilio (o putting-out sistem)

Ha come punto di riferimento non il maestro, bensì il mercante imprenditore. Era una forma che si
sviluppava nelle aree rurali e che aveva come lavoratori i contadini, che rappresentavano gli operai
che potevano dedicarsi a svolgere alcune attività di trasformazione per conto del mercante
imprenditore (a volte anche nella propria casa). Quest’ultimo portava nelle case dei contadini le
materie prime e gli strumenti rudimentali che venivano impiegati per trasformare le materie prime. È
un tipo di organizzazione della produzione che riguarda l’industria tessile (importanza classe media-
borghesia). Dunque:

- Figura chiave: mercante imprenditore


- Luogo: campagne
- Gli “operai” erano contadini che lavoravano per il mercante nei tempi morti dell’attività
agricola

3. Industria capitalistica (sistema di fabbrica)  grande manifattura

Può essere vista come ciò che precede l’industria capitalistica, il sistema di fabbrica. La grande
manifattura era la concentrazione in alcuni stabili, in un unico luogo, di diverse attività (normalmente
fra loro correlate) che richiamano il sistema di fabbrica e che si svilupperà a partire dalla metà del
Settecento con la rivoluzione industriale. Normalmente le manifatture venivano costituite su impulso
statale dedite alla produzione di beni strategici che i governi volevano assicurarsi per avere un punto
strategico a favore rispetto ad altri governi, per esempio la cantieristica è un punto strategico per un
paese che sviluppa in gran parte i propri commerci sul mare. Il sistema di fabbrica può essere definito
dunque come la forma più moderna della produzione che ha come figura chiave l’imprenditore che
investe il capitale necessario alla concentrazione dell’attività produttiva in un unico luogo. Dunque:

- Forma più moderna della produzione


- Figura chiave: imprenditore
- Origine: Stato (manifatture reali) e soprattutto imprenditori privati

6.2. LE FORME GIURIDICHE D’IMPRESA

Le imprese che emergono da questa forma di fabbrica a partire dalla prima rivoluzione industriale si
configurano secondo alcune forme giuridiche che vanno dalla ditta privata alle diverse forme di
società che prendevano l’apporto di capitale da parte di più persone partecipando al rischio
dell’impresa e suddividendo l’eventuale utile realizzato (si sviluppano le s.r.l.).

Quindi si passa dalla ditta individuale, in cui un'unica persona svolgeva la sua attività con il capitale
proprio, alla società, che prendeva l’apporto di un capitale da parte di più persone che partecipavano
ai rischi dell’impresa e ripartivano fra loro l’eventuale utile conseguito

Possiamo distinguere tra tre tipi generici di società:

1. Società in nome collettivo


2. Società in accomandita
3. Società anonima o società per azioni

6.3. MACCHINA A VAPORE E INNOVAZIONE

I maggiori settori (settori leader) in cui si sviluppano queste imprese private sono quello del cotone e
del ferro.

Gli imprenditori si cimentano nei campi per la lavorazione del cotone e del ferro. Le innovazioni di
questi due campi assieme all’applicazione della forza vapore rappresentano il “nocciolo” tecnico della
prima rivoluzione industriale.

La forza del vapore che può essere utilizzata grazie alla macchina a vapore, brevettata da James Watt
nel 1769. Brevetta la macchina a vapore sulla base di alcune migliorie apportate alla macchina di
Newcomen, una primitiva forma di macchina che veniva utilizzata per drenare acqua dalle miniere.
James Watt perfeziona una macchina a vapore applicata per generare energia che alimenta i processi
produttivi di più settori, in particolare quelli del cotone e del ferro.

Le innovazioni che caratterizzano la prima rivoluzione industriale sono per lo più innovazioni tecniche
ed incrementali e che possono trovare la propria applicazione grazie ad un sistema di brevetti (sono
innovazioni incrementali perché sono spesso il prodotto del lavoro di tecnici che lavorando su
questioni legate al processo produttivo arrivano alla messa a punto di macchine che si sviluppano su
problemi concreti e spesso sono concatenate l’una rispetto all’altra). È da sottolineare anche
l’importanza del sistema dei brevetti, già presente dal ‘600, ma nel ‘700 acquisisce una nuova
rilevanza.

6.4. L’INDUSTRIA DEL COTONE

L’industria tessile si era sviluppata soprattutto nelle campagne grazie all’industria a domicilio.
Riguardava soprattutto la lavorazione della lana, del lino e della canapa. Il cotone invece come
materiale faticava a svilupparsi. L’industria tessile consta di tre principali fasi:

- Filatura
- Tessitura
- Tintura

L’industria del cotone faticava a svilupparsi oltre che per la concorrenza di prodotti sostitutivi indiani
e grande richiesta di manodopera, anche per una sorta di “imbuto” che si verificava tra la fase della
filatura e della tessitura. Con la seconda metà del ‘700 cominciano ad emergere dei mutamenti
all’interno della lavorazione del cotone:

- la prima innovazione in campo tessile riguarda ancora la tessitura con la navetta volante
messa a punto da John Kay che incrementa questo squilibrio tra filatura e tessitura del cotone.
- uno squilibrio che spinge un altro tecnico inglese, James Hargreaves, nel 1764 a mettere a
punto un nuovo strumento, la giannetta o spinning jenny, che portò i filatoi a lavorare in
maniera più veloce rispetto a come facevano nella fase della tessitura.
- da una maggiore velocità della tessitura si passava ad una maggiore capacità produttiva della
filatura, che procedeva più speditamente rispetto alla tessitura. Questo squilibrio trovò una
soluzione nel 1785, quando Edmund Cartwright brevettò un telaio meccanico mosso dal
vapore, che permetteva una maggiore omogeneità dei tempi delle due fasi, della tessitura e
della filatura (sono degli esempi di tecniche incrementali, poiché maturano una dopo l’altra).

Questo insieme di invenzioni che si concentrò nel breve periodo apportò benefici a tutta l’industria
tessile. Più di tutte si sviluppò però l’industria cotoniera i cui motivi di espansione furono:

- l’essere un’industria nuova


- le macchine adoperate, in particolare lo spinning jenny, si adattavano al lavoro a domicilio
- era un’industria labour intensive
- aveva già un mercato
- fu subito orientata all’esportazione
Fu caratterizzata dalla concentrazione geografica nel Lancashire

6.5. L’INDUSTRIA DEL FERRO

Diffusa in tutti i Paesi europei, l’industria del ferro conosce un particolare sviluppo in Inghilterra;
questo particolare sviluppo si concretizzava grazie ad alcuni progressi tecnici dovuti:

- all’introduzione dell’altoforno, alla possibilità di dislocare altiforni vicino a zone ricche di


legname o alle miniere
- uso di magli azionati dall’energia idraulica

In Inghilterra l’industria siderurgica aveva le seguenti caratteristiche:

- era capital intensive, organizzata in forme capitalistiche


- utilizzava materie prime inglesi
- si sviluppava orientata alla produzione non tanto di beni di consumo quanto di beni
strumentali (cioè utili all’alimentazione di altri processi produttivi)

sviluppò in misura rilevante dopo la metà dell’Ottocento Si per la forte domanda delle ferrovie e dei
cantieri navali.

Ma con quale difficoltà doveva scontrarsi l’industria del ferro britannica? La difficoltà principale era
legata al ricorso al carbone di legna di cui l’Inghilterra non aveva grandi disponibilità. Ciò costrinse gli
inglesi ad utilizzare il carbon fossile, estratto dalle miniere, che però non era adoperato nella fusione
perché dava una ghisa molto fragile.

Importante fu l’introduzione dell’altoforno perché permise di estrarre il coke dal carbon fossile, che
attraverso la cottura viene liberato dalle impurità. Questo, assieme al brevetto del puddellaggio,
(processo di decarburazione, attraverso il quale la ghisa veniva anch’essa liberata dalle proprie
impurità) permetteva di arrivare alla produzione di una ghisa del ferro di maggiore qualità
(nonostante la mancanza del carbone di legna sostituito dal coke estratto dal carbon fossile). John
Wilkinson mise dunque a punto nuovi manufatti, come il ponte di ghisa sul fiume Severn o la prima
nave in lamiera bullonata.

6.6. LA DIMENSIONE REGIONALE DELL’INDUSTRIALIZZAZIONE

Lo sviluppo economico dei singoli paesi non significa ovviamente che nei medesimi vi sia una crescita
omogenea in tutte le aree geografiche che ne fanno parte. Ad esempio, per questa fase del processo
di industrializzazione due città di riferimento sono Liverpool e Manchester. Come evidenziato da
Sidney Pollard, già dalla prima rivoluzione industriale dobbiamo guardare al processo di
industrializzazione in un’ottica regionale dello sviluppo. Quest’ultimo ha studiato la dimensione
regionale dello sviluppo e ha evidenziato un processo a più fasi:

- Prima fase: le differenze regionali tendono ad aumentare, il decollo cioè genera squilibri
economici e amplia quelli già esistenti;
- Seconda fase (non avviene sempre): le industrie si impiantano anche nelle regioni più arretrate
dove i salari sono più bassi.
Lezione 3

Parte prima: La prima rivoluzione industriale (1750-1850)

CAPITOLO SETTIMO: LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE - I PROBLEMI

7.1. I MEZZI DI PAGAMENTO E LA FUNZIONE DELLE BANCHE

È possibile individuare tre principali categorie di problemi che si manifestano con mutamenti della
prima rivoluzione industriale:

1. Problemi di carattere finanziario


2. Problemi di carattere lavorativo
3. Problemi di carattere commerciale

7.2. Problemi di carattere finanziario (monetario e bancario)

Con la prima rivoluzione industriale comincia ad emergere un problema in termini di disponibilità di


mezzi di pagamento e la necessità di avere a disposizione sufficiente moneta e mezzi di pagamento
per concretizzare queste transazioni. A metà ‘700 in Europa erano presenti tre principali sistemi
monetari:

1. Monometallismo aureo
2. Monometallismo argenteo
3. bimetallismo

Al tempo le monete erano esclusivamente metalliche, non erano ancora cartacee. Queste monete
metalliche si componevano di due principali componenti: il fino (metallo prezioso) e la lega (metallo
vile). Il loro valore cambiava a seconda della percentuale di metallo prezioso contenuto e si
comparava la quantità di metallo prezioso nell’una e nell’altra moneta.

Gli stati coniavano le monete all’interno di zecche o sotto il controllo diretto dello stato o appaltate
ad operatori privati. Il fino poteva essere: oro, argento o entrambi. I più diffusi erano
monometallismo argenteo e bimetallismo. Solo l’Inghilterra adottava il monometallismo aureo. La
disponibilità dei metalli preziosi non era vasta. Con il crescere dei rapporti commerciali la moneta
esclusivamente metallica cominciava ad essere insufficiente e diventava necessaria la moneta
cartacea, che progressivamente alcune banche, dette banche di emissione, cominciavano ad
immettere sul mercato tra la popolazione.

Secondo quale logica? Non avendo un quantitativo sufficiente di monete metalliche da prestare,
davanti ad una richiesta di prestito, consegnavano a chi chiedeva la somma un biglietto con la
promessa di cambiarlo, a chi lo avrebbe ripresentato alla banca, in monete metalliche. Questi biglietti
non avevano un corso legale, non vi era una legge che imponeva il riconoscimento universale
all’interno del paese, semplicemente avevano un corso fiduciario, ovvero chi li riceveva lo faceva
sulla fiducia che riponeva sulla base dell’istituto che emetteva questi biglietti.
Nell’ambito finanziario ci sono però anche altri ostacoli legati alla strutturazione del sistema bancario:
a metà Settecento non esisteva ancora un vero e proprio sistema bancario.

- In Inghilterra, accanto alla banca di Inghilterra (banca centrale), esistevano le city banks e le
country banks.
- In altre città europee c’erano le banche pubbliche: accettavano depositi senza corrispondere
interesse, lasciavano ai depositanti una ricevuta che poteva essere girata ad altri per effettuare
un pagamento ed erano soliti investire nel debito pubblico assieme ad altri banchieri privati.

Innanzitutto, la rivoluzione industriale inglese non fu una rivoluzione troppo costosa soprattutto se
comparata alle altre due. Non potendo far leva su un sistema bancario ben consolidato, i primi
industriali ricorsero innanzitutto all’autofinanziamento e in caso di necessità costituivano società in
accomandita, società in cui vi è un socio forte che conferisce il capitale e rischia il capitale nell’attività
di gestione dell’impresa e poi vi è un altro socio che conferisce solamente il capitale e risponde solo
per quella quota senza partecipare all’attività d’impresa. Questa formula, a partire dai primi anni
dell’Ottocento, veniva affiancata da società anonime che potevano emettere obbligazioni sul mercato
per finanziarsi. Per queste ragioni le banche inglesi difficilmente intervennero per concedere alle
imprese finanziamenti cospicui e di lunga durata. Piuttosto le banche supportavano gli imprenditori
nelle attività e nelle spese ordinarie.

Se i primi imprenditori non avevano bisogno di capitale fisso necessitavano però di denaro per
l’acquisto di materie prime o semilavorati e per pagare i salari agli operai. Le banche di Londra e
quelle di provincia li finanziavano, mediante lo sconto di cambiali (operazione con cui la banca
anticipava una certa somma a imprenditori a fronte di un credito) a tre mesi che essendo solitamente
rinnovate si trasformavano di fatto in finanziamenti di lunga durata.

I problemi finanziari di natura bancaria venivano affrontati in questo modo. Per quanto riguarda la
scarsità dei mezzi di pagamento, gli imprenditori spesso a causa dell’adozione dell’oro come metallo
prezioso di riferimento si trovavano a fare i conti con delle monete dal valore troppo elevato per
poter far fronte ai piccoli acquisti o ai salari, non erano presenti assegni bancari per cui nasceva in
maniera più forte l’esigenza di dotarsi di un nuovo strumento: le banconote.

Queste cominciano a diffondersi con la seconda metà Settecento e la loro diffusione conosceva una
battuta d’arresto nel corso delle guerre napoleoniche, a cavallo tra 700 e 800, quando venivano
dichiarate inconvertibili a causa degli eventi bellici.

La loro convertibilità iniziava a partire dal 1821, quando veniva ristabilita la convertibilità dei biglietti
di banca e questo strumento poteva avviarsi verso il suo definitivo successo. Nel 1833 le banconote
della banca di Inghilterra furono dichiarate moneta a corso legale, non più a corso fiduciario come
prima. Da quel momento poterono essere utilizzate nei pagamenti senza che nessuno potesse
rifiutarle. Questa spinta viene ulteriormente rafforzata nel 1844: viene creata da una nuova legge
bancaria. Questa legge:

- regolamenta l’emissione delle banconote da parte della banca d’Inghilterra;


- stabilisce la quantità e proporzioni secondo cui le banconote dovevano essere stampate ed
emesse, alla luce del fatto che nel 1821, quando era stata ristabilita la loro convertibilità,
l’Inghilterra era passata al gold standard, ovvero al sistema monetario in cui la base della
moneta è data da una quantità fissata d’oro (ad una certa moneta viene data una fissata
quantità d’oro, ad una sterlina corrispondeva un certo quantitativo d’oro);
- si definisce anche che fino a 14 milioni di sterline la banca d’Inghilterra poteva stampare
sterline senza copertura di metallo prezioso (oro), oltre tale importo tutte le banconote
stampate dovevano essere coperte al 100% dalla presenza di oro.

Con questa legge bancaria la Banca d’Inghilterra viene riconosciuta la banca di riferimento e la
sterlina diventa la moneta dei pagamenti internazionali. Grazie alla leadership britannica nelle
industrie e nei commerci e grazie a questo insieme di norme che disciplinavano l’emissione delle
banconote e l’utilizzo della moneta, la sterlina acquisiva lo status di moneta dei pagamenti
internazionali.

7.3. Problemi di carattere lavorativo

La società preindustriale può essere definita come una società protetta (corporazioni) - ci si era dotati
di alcuni strumenti istituzionali volti a garantire una certa continuità del lavoro attraverso la
distribuzione delle commesse nelle botteghe, ecc.

Con la società industriale questo sistema comincia a cambiare: si ha la libera iniziativa e ricerca del
profitto, con poche o nessuna protezione per i lavoratori. Coloro che operavano nelle botteghe, gli
artigiani, non volevano perdere quello status che avevano acquisito nel corso del tempo e quei
privilegi che si erano guadagnati operando nel settore.

Dall’altra parte i contadini soffrivano il passaggio da una vita rurale ad una vita cittadina: avevano
perso il lavoro nei campi ma potevano dedicarsi al lavoro in fabbrica.

Tutto ciò era accompagnato anche da molta sofferenza, dovuta anche al cambiamento dei ritmi. Il
lavoro in fabbrica era estremamente duro, soprattutto per alcune categorie di persone quali le donne
e i bambini, impiegati in modo intensivo e con turni massacranti.

Di fronte a tali problematiche, oltre ad assentarsi dal posto di lavoro cominciano a nascere le prime
forme di associazioni tra i lavoratori: in particolare ad associarsi furono i lavoratori specializzati, che
provenivano dal mondo dell’artigianato e che nel corso del ‘700 costituivano i cosiddetti trade clubs
(unioni di mestiere fra gli specializzati create per difendere i privilegi di cui questi operai godevano e
che avevano il compito di ostacolare l’ingresso di figure intruse all’interno della categoria chiedendo il
rispetto dell’apprendistato, strumento fondamentale per l’accesso al lavoro della bottega).

Se da un lato nascevano queste forme di associazione tra i lavoratori specializzati, dall’altro qualche
difficoltà in più nell’organizzarsi veniva sperimentata dai lavoratori generici, i quali tardavano ad
associarsi e spesso si univano in proteste per difendere i loro interessi. Una difficoltà nell’associarsi
che veniva accentuata nel 1800 dall’introduzione dei cosiddetti Combination Acts, che vietavano
qualsiasi forma di associazione sia tra i lavoratori che tra i datori di lavoro (imprenditori).

Questo stato di cose mutava tra il 1824-1825, quando il governo faceva una completa inversione e
approvava delle leggi che revocavano i Combination Acts e legalizzavano le organizzazioni di
lavoratori, dando la possibilità alle Trade Unions, gli storici sindacati britannici, di costituirsi e
cominciare ad operare. Questi sindacati potevano dedicarsi alle rivendicazioni in tema di salario e
orario di lavoro.

7.4. Problemi di carattere commerciale

Assistiamo ad una prima fase “favorevole” a cavallo tra ‘700 e ‘800, fase delle guerre napoleoniche in
cui l’assorbimento dei prodotti britannici vede come principale protagonista lo Stato, che a fronte
delle guerre è chiamato a farsi fattore di coordinamento per rifornire gli eserciti al fronte, per
risolvere le questioni logistiche che la guerra imponeva. Nonostante le problematiche legate ad un
commercio estero ostacolato dal blocco continentale attuato da Napoleone per impedire alla Francia
e ai suoi alleati di commerciare con l’Inghilterra, le merci britanniche potevano trovare facile sbocco
in questa fase dando numerose opportunità di profitto alle industrie e ai produttori agricoli. Dunque,
il lungo periodo delle guerre napoleoniche durato vent’anni (1793-1815), che vide fronteggiare la
Francia rivoluzionaria e la Gran Bretagna, favorì la crescita economica britannica. Le esigenze belliche
funsero da potente stimolo all’attività produttiva.

Al termine del lungo conflitto nel 1815 si esaurì la fase “favorevole” e non solo in Inghilterra ma in
tutta Europa si assisteva ad un periodo caratterizzato da una riduzione dei prezzi e dei profitti. Fu un
periodo molto complesso per la Gran Bretagna e per le sue industrie: il prezzo dei cereali crollava e le
industrie erano colpite dal venir meno delle commesse militari. Sull’onda di queste difficoltà,
venivano varati alcuni provvedimenti di carattere protezionistico, in particolare volti a proteggere i
redditi dei produttori agricoli, le cosiddette Corn Laws che dovevano regolamentare le importazioni e
le esportazioni di grano. L’obiettivo delle Corn Laws era quello di garantire l’approvvigionamento e il
reddito ai produttori agricoli. Queste leggi erano:

- sostenute dai proprietari terrieri, poiché permettevano loro di avere maggiori opportunità di
guadagno e di vedere i loro prodotti difesi dalla concorrenza straniera;

- avversate da industriali (le ritenevano responsabili degli alti salari e le vedevano come un
ostacolo alle esportazioni di manufatti) e operai (lamentavano il basso potere d’acquisto dei
salari ulteriormente aggravato dai prezzi troppo elevati resi dalla barriera del dazio sui cereali).

A determinare un radicale cambiamento fu la carestia e la conseguente miseria del 1845-46 che


indusse il governo ad abolire queste leggi nel 1846, con una conseguente libertà di importazione dei
cereali. L’abolizione delle Corn Laws venne accompagnata dalla revoca degli Atti di navigazione, atti
legislativi dell’Inghilterra emanati ancora a metà del ‘600 e che erano volti a limitare l’attracco di navi
straniere nei porti britannici con l’intento di proteggere le produzioni locali. Con l’abolizione delle
Corn Laws, la revoca degli Atti di Navigazione, la dottrina liberista che cominciava ad affermarsi nel
corso del ‘700 grazie al risultato di studi di alcuni economisti poteva definitivamente avere successo e
affermarsi all’interno delle politiche commerciali britanniche. Per cui la dottrina liberista poteva
definitivamente affermarsi con imitazioni da parte di altri governi in Europa.

 Adam Smith (1723‐90), “La ricchezza delle nazioni” (1776):


- Esaltazione del libero mercato, guidato da una “mano invisibile”
- Il mercato si autoregolamenta senza bisogno di interventi statali
 David Ricardo (1772-1823), “teorema dei costi comparati”:

- Mostrare la convenienza nella divisione internazionale del lavoro e del commercio,


sostenendo che le varie nazioni hanno convenienza a specializzarsi, perché il vantaggio
che ne deriva è maggiore di quello ottenuto da una situazione in cui ogni paese produce
tutti i beni

 Jean‐Baptiste Say (1767‐1832), “legge degli sbocchi”:

- Ogni prodotto offre uno sbocco ad altri prodotti concludendo che in regime di libero
scambio non vi possono essere crisi di sovrapproduzione

Parte prima: La prima rivoluzione industriale (1750-1850)

CAPITOLO OTTAVO: I secondi - Francia e Stati Uniti

8.1. FIRST COMER E SECOND COMER

È possibile identificare l’Inghilterra come paese leader, o come first mover in questa ideale corsa che
rappresenta lo sviluppo. Guardando all’esempio inglese anche altri paesi occidentali hanno cercato di
imitare il modello della Gran Bretagna. Al first mover sono seguiti i second comers, o last comers.
All’interno di questo rapporto possiamo distinguere dei vantaggi e degli svantaggi:

 il first mover poté godere di una completa assenza di concorrenza, dall’altro lato doveva fare i
conti con i costi che ne derivavano da questi.
 I second comers invece poterono godere dei vantaggi dell’arretratezza, che rappresentano
l’opposto della situazione della Gran Bretagna. Essi avevano la possibilità di utilizzare le
innovazioni e i processi tecnologici sperimentati dalla Gran Bretagna.

Non tutti i paesi godono delle stesse risorse. La Francia e gli Stati Uniti cercavano di seguire il modello
inglese facendo leva però su dei fattori sostitutivi, delle caratteristiche proprie.

8.2. FATTORI FAVOREVOLI E SFAVOREVOLI ALLO SVILUPPO ECONOMICO FRANCESE

La Francia seguì un processo di industrializzazione più lento rispetto all’Inghilterra caratterizzato da:

- una forte permanenza dell’agricoltura: un settore primario più ingombrante nelle


dinamiche produttive
- la prevalenza di medie e piccole imprese
- maggiore presenza dello Stato: più presente nelle dinamiche economiche e di
industrializzazione del paese

Il paese poteva godere di alcuni fattori favorevoli:

- per certi versi la Rivoluzione Francese: che portò ad una veloce e completa liquidazione della
feudalità all’interno della società francese. Portò alla fine del sistema delle corporazioni di
mestiere e permise l’affermazione della piena proprietà della terra. Permise una completa
abolizione dei dazi interni del paese dando vita ad un mercato nazionale più libero ed
omogeneo.
- Lo Stato intervenne in maniera positiva sul sistema dell’insegnamento e della ricerca,
puntando sullo studio della matematica e della fisica, discipline particolarmente utili per quel
complesso di trasformazioni che andavano emergendo in questa fase.

La Francia non conobbe uno sviluppo in senso industriale contemporaneo a quello inglese, ma in una
posizione di inseguimento della Gran Bretagna. C’erano dei fattori sfavorevoli che frenarono lo
sviluppo della Francia:

- Il lungo periodo di guerre che vide protagonista la Francia (1792-1815); rappresenta un


ostacolo allo sviluppo della Francia
- Modesta crescita demografica, si assiste alla diminuzione dei tassi di natalità rispetto alla Gran
Bretagna.

- La scarsità di alcune risorse naturali, in particolare il carbone e minerali di ferro

- Ritardo nella costituzione di una grande proprietà terriera. In Francia con l’abolizione fra 1789-
1793 dei diritti feudali e i contadini che diventavano i pieni proprietari della terra da loro
lavorata, si affermava una frammentazione della proprietà terriera con i possedimenti nobiliari
che venivano divisi in piccoli appezzamenti e assegnati a famiglie di mezzadri e fittavoli. Questo
bloccava però il travaso della popolazione dalle campagne alle città.

N.B. il passaggio al regime demografico moderno non si caratterizza per una diminuzione della
mortalità ed un aumento della natalità, ma da una diminuzione della mortalità ed una contestuale,
seppur in proporzioni minori, diminuzione della natalità.

8.3. L’INDUSTRIALIZZAZIONE FRANCESE

L’industria si caratterizzava per la prevalenza di piccole e medie imprese, si sviluppava grazie


all’importazione di tecniche dalla Gran Bretagna.

 Il settore siderurgico rimaneva ancora arretrato, non utilizzava il carbon coke ma ancora il
carbone di legna, che accusava ritardi nell’utilizzo della macchina a vapore e che doveva fare i
conti con la scarsità di minerale di ferro.
 All’interno del settore tessile si faceva ricorso alle tecnologie inglesi nonostante l’Inghilterra
cercasse di frenare questo travaso di conoscenze e tecnologie. Dunque, la Francia fece ricorso
a spionaggio, contrabbando per poter importare queste tecnologie e fu in grado anche di
migliorare questo strumenti grazie all’ingegno di alcuni inventori francesi: un esempio è il
famoso meccanismo Jacquard, che applicato al telaio consentiva di realizzare disegni sulla
stoffa.
 Un altro elemento è l’antica tradizione in molte industrie del lusso (che si affermava
all’interno del processo di industrializzazione francese).

Il tutto viene sospinto da altri due fattori:

- Importanza della rete stradale  il sistema dei trasporti ebbe un’importanza rilevante per
l’industrializzazione e si basò sulla rete stradale e sul lento avvento delle ferrovie (diverso dal
caso inglese – febbre dei canali e strade molto scarse). In Francia vennero meno impiegati i
canali e i corsi d’acqua interna, ma aveva più fortuna il sistema stradale.

- Il ruolo propulsivo dello Stato  si rendeva presente grazie ad alcune riforme sia durante il
periodo rivoluzionario che durante l’impero napoleonico: la riforma del 1791 con cui venivano
abolite le corporazioni e l’introduzione nel 1804 e 1807 del Codice civile e del Codice di
commercio che regolavano con chiarezza i rapporti tra individui e quelli relativi all’attività
economica.

Un alto fattore positivo fu la costituzione voluta da Napoleone della Banca di Francia nel 1800: veniva
costituita una società privata promossa da un gruppo di banchieri, autorizzata a emettere banconote;
nel 1848 poi divenne l’unico istituto di emissione presente nel Paese. Da sottolineare è che
Napoleone la sottopose al controllo dello Stato, riservandosi la nomina del governatore e dei due
sotto-governatori.

8.4. LA NASCITA DI UN PAESE LIBERO E NUOVO: GLI STATI UNITI D’AMERICA

Che cosa caratterizza il contesto americano? Ciò che caratterizza il contesto americano è il fatto che
gli Stati Uniti siano una nazione estremamente giovane. Con la Guerra d’Indipendenza (1775-1783) 13
colonie inglesi si ribellano alla politica mercantilistica della madrepatria (la Gran Bretagna) che
imponeva vincoli alla libera espansione dell’attività economica, oltre ad imporre tasse senza
rappresentanza politica. Esse con questa guerra si guadagnano l’indipendenza. Al momento della loro
costituzione questi 13 Stati si presentarono come un «Paese nuovo e libero»:

- Niente feudalesimo e corporazioni  gli abitanti erano per lo più immigrati che avevano scelto
di andare alla ricerca della libertà per fuggire da una situazione di oppressione religiosa o
politica del paese d’origine;
- Era un contesto in cui prevaleva classe media, non erano presenti classe privilegiate o interessi
precostituiti;
- Era ancora un Paese inesplorato con a disposizione vasti territori ancora da colonizzare e da
scoprire.

Tutto ciò fece sì che lo sviluppo degli USA fosse unico e molto rapido:

- fu caratterizzato da uso diffuso ed accentuato delle macchine, elevata produttività, mercato


interno in continua espansione;
- fu caratterizzato da un tasso di crescita maggiore di quello britannico.

8.5. LA COLONIZZAZIONE E IL MITO DELLA FRONTIERA

Una rilevanza particolare ha il cosiddetto “mito della frontiera” e la colonizzazione dell’ovest, che
hanno avuto un’importanza notevole nella storia economica e politica del Paese. L’esistenza della
frontiera, infatti, permise di mantenere una popolazione in continua crescita, che a sua volta faceva
aumentare la domanda di beni e servizi e stimolava gli investimenti delle imprese e le grandi opere
intraprese dal governo e dai privati.
La colonizzazione interessò dapprima il Midwest e successivamente il Far West, un’avanzata
caratterizzata anche dalla conquista in guerra di nuovi territori, in particolare nel 1803 gli Stati Uniti
acquistavano la Louisiana dalla Francia, nel 1819 la Florida dalla Spagna e tra il 1845 e il 1848
sottrasse al Messico il Texas, il Nuovo Messico e la California. L’avanzata dell’uomo bianco distrusse la
povera economia dei pellerossa.

8.6. LA PRIMA INDUSTRIALIZZAZIONE DEGLI STATI UNITI

Inizialmente la prima industrializzazione degli Stati Uniti era caratterizzata da una manifattura
prevalentemente domestica volta a produzioni destinate all’autoconsumo. Ma ben presto
l’industrializzazione fu caratterizzata da tre elementi:

- Un mercato interno in continua espansione  un mercato sempre meglio connesso grazie alle
vie d’acqua interne e più avanti grazie alla costruzione capillare delle reti ferroviarie

- Il macchinismo  si faceva ricorso a strumentazioni inglesi anche grazie al fatto che la


disponibilità di manodopera era limitata. Da un lato i lavoratori non temevano di perdere il
posto di lavoro difronte all’introduzione di nuove macchine, dall’altro non si lamentavano
anche perché i loro salari potevano rimanere elevati.

Si andava così definendo l’American System of Manufacturing, che rappresenta il fondamento della
produzione in serie, orientato alla standardizzazione dei prodotti e all’applicazione della catena di
montaggio, che soprattutto a partire dalla seconda rivoluzione industriale si diffonde dagli Stati Uniti
al resto del mondo occidentale.

Le industrie che si sviluppavano maggiormente furono: tessili, calzaturiero, siderurgico. Si determinò


negli Stati Uniti una divisione del lavoro in tre aree distinte:

- l’Est industrializzato;
- l’Ovest agricolo;
- il Sud produttore di cotone coltivato in grandi piantagioni con schiavi neri.

Parte seconda: la seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO NONO: LE FASI DELLA CRESCITA (1850-1950)

9.1. I DATI DELLA CRESCITA

La seconda rivoluzione industriale si snoda tra la metà dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale
(1914) per poi proseguire anche successivamente sino alla fine del secondo conflitto mondiale.
L’economia dei vari Paesi del mondo verso la metà del secolo XIX era ancora caratterizzata dalla
prevalenza dell’attività agricola, ma è proprio in questo momento che si ha la predominanza
dell’industria sull’agricoltura. È in questa fase che si assiste ad uno sviluppo economico senza
precedenti, grazie alla produttività del settore primario e alla disponibilità di fonti di energia – carbon
fossile e petrolio.

 L’industria divenne il settore più importante


 L’estensione delle reti ferroviarie crebbe di ben 31 volte in Europa e Stati Uniti  rivoluzione
nel mondo dei trasporti (grande ruolo delle ferrovie, della navigazione marittima e
successivamente automobile ed aeroplani)
 La borghesia assunse il ruolo di classe dominante  si impadronisce del potere politico ed
economico
 La crescita non fu uniforme e si alternano due fasi di espansione ed una di recessione

9.2. L’ESPANSIONE DI METÀ SECOLO 1848-1873

La prima fase di espansione è contraddistinta da un incremento non eccessivo dei prezzi, bensì
moderato e regolare. Nel periodo in esame vi fu un rapido sviluppo dovuto a vari fattori:

- Il libero scambio che fu adottato da tutti i Paesi che seguirono l’esempio della Gran Bretagna,
secondo trattati che guardavano ad una riduzione dei dazi;
- Lo sviluppo dei mezzi di trasporto, soprattutto delle reti ferroviarie e della navigazione
marittima;
- Scoperta di ricchi giacimenti d’oro (California, Australia, Canada, Nuova Zelanda) che
consentiva di avere una maggiore disponibilità di metallo prezioso per i mezzi di pagamento
(stampare banconote ed alimentare i diversi sistemi monetari)

9.3. LA DEPRESSIONE 1873-1896

Si ha una crisi finanziaria che investe i mercati di Berlino, Vienna e New York ed inaugura un periodo
di depressione che si protrae fino al 1896. Si tratta di una crisi di sovrapproduzione caratteristica del
mondo capitalistico. Grazie allo sviluppo tecnologico vengono prodotti più beni rispetto a quelli
richiesti, l’offerta supera la domanda. Questo grazie ad una riduzione dei tempi e dei costi di
trasporto che permette a diversi prodotti di arrivare sui mercati europei più competitivi, cioè a prezzi
più bassi e quindi ad essere competitivi rispetto ai prodotti nazionali generando una crisi soprattutto
per i prodotti agrari.

Quindi le cause della depressione furono:

- Aumento dell’offerta superiore a quello della domanda;


- Riduzione dei costi di trasporto: consentiva alle merci di raggiungere anche mercati molto
lontani  provocò la crisi agraria;
- Diminuzione della produzione d’oro  andavano esaurendosi le miniere d’oro e la quantità di
moneta in circolazione cominciava ad essere non più sufficiente.

Tra le contromisure adottate dai governi e dai diversi operatori vi erano:

- Ritorno al protezionismo
- Riduzione dei costi di produzione
- Ripresa del colonialismo

9.4. LA BELLE ÉPOQUE 1896-1918


Durante questo nuovo periodo di espansione i prezzi, i profitti, i salari e gli investimenti ripresero a
crescere.

 La produzione industriale si sviluppò particolarmente nel settore dei metalli e della chimica,
grazie all’affermazione di una nuova fonte di energia: il petrolio.
 Si diffuse l’impiego dell’elettricità.
 Si assiste ad una formalizzazione all’interno delle imprese e delle aziende della funzione di
ricerca e sviluppo con dipartimenti costituiti per queste attività e per allacciare rapporti con
università, scuole professionali e quindi un nuovo rapporto tra industria e scienza.
 La crescita fu sostenuta ancora una volta dalla scoperta di nuovi giacimenti di oro in Canada e
in Alaska.

Lezione 4

Parte seconda: la seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO DECIMO: LE CONDIZIONI DELLA CRESCITA - LA POPOLAZIONE

10.1. LE DINAMICHE DELLA POPOLAZIONE

Come per la prima rivoluzione industriale, risultano cruciali, per poter comprendere le trasformazioni,
le dinamiche della seconda rivoluzione industriale gli andamenti demografici. In questa fase, la
popolazione mondiale aumenta del 40% e quella europea del 67%. Un incremento demografico
notevole nel vecchio continente che coinvolge anche aree al di fuori dell’Europa. Alla base di questo
incremento della popolazione vi sono quei fattori che già abbiamo analizzato nel corso della prima
rivoluzione industriale (o rivoluzione industriale inglese). Anche in questa fase infatti:

- continuano a verificarsi miglioramenti dal punto di vista dell’alimentazione (i generi alimentari


sono abbondanti e diversificati, anche grazie ai progressi dell’agricoltura);
- le condizioni igieniche, seppur lentamente, continuano a migliorare;
- si registrano migliorie in ambito medico, sanitario, chirurgico: abbiamo il contributo
determinante di Louis Pasteur che identificando una serie di bacilli, permette la preparazione
di una serie di sieri e vacchini, importanti per ridurre il tasso di mortalità; si diffondono
l’anestesia ed alcune tecniche chirurgiche; le cure mediche iniziano ad essere organizzate con
maggiore precisione da parte dello Stato ed iniziano ad essere organizzate ed in maniera più
capillare sul territorio (più cittadini possono accedere a questi servizi); i farmaci crescono in
maniera determinante grazie all’industria farmaceutica che si sviluppa sulla base dei
miglioramenti della chimica, una industria farmaceutica che permette la creazione di farmaci.

I fenomeni che accompagnano l’incremento demografico della seconda rivoluzione industriale sono
diversi:

- si assisteva ad una riduzione del tasso di mortalità;


- si assisteva ad una riduzione del tasso di natalità (il primo diminuisce in misura maggiore
rispetto al secondo);
- nascevano forme di previdenza sociale, soprattutto nel periodo fra le due guerre (con lo Stato
che si occupava dei cittadini in difficoltà);
- si assisteva ad un incremento della vita media che arrivò ad una media di 60 anni per gli uomini
e 65 per le donne;
- lo Stato si presentava più attento al capitale umano facendosi carico dell’istruzione primaria
soprattutto per le fasce d’età minore, riducendo il tasso di analfabetismo;
- vi fu nuova spinta verso l’inurbamento (rinnovata attrazione che i centri urbani esercitavano
verso la popolazione)

Questo incremento della popolazione era accompagnato da intensi fenomeni migratori, soprattutto
verso i centri urbani, sia interni al singolo Paese, sia internazionali cioè tra Paesi diversi.

10.2. L’URBANESIMO

Le campagne sotto la spinta di questo incremento demografico divenivano sovrappopolate ma al


tempo stesso dovevano fare i conti con un disimpiego (riduzione del tasso di impiego) nel settore
primario (si aveva sempre più difficoltà nel trovare lavoro): quindi, fasce di popolazione rurale erano
spinte a cercare lavoro nei centri urbani (questo fenomeno lo abbiamo già visto con la prima
rivoluzione industriale, con la seconda questo fenomeno si accentua).

La spinta che si verificava sia all’interno dei singoli Paesi (dalle campagne alle città) o da un Paese
all’altro, con la popolazione in cerca di fortuna all’esterno, determinava delle trasformazioni sui centri
abitati. Chiaramente, con l’aumento della popolazione, le caratteristiche delle città mutavano e il
centro delle attività nelle città si spostava nel quartiere degli affari, normalmente quartieri di nuova
produzione che si collocavano fra il quartiere antico e la nuova stazione ferroviaria:

- venivano aperte nuove strade anche tramite il decoro urbano (per esempio con viali alberati);
- sorgevano quartieri che si caratterizzavano per la presenza di un preciso ceto, cioè le nuove
città che erano capaci di attrarre la nuova popolazione presente nelle campagne
contrapponevano quartieri borghesi a quartieri operai, abbandonando la tipica caratteristica
che prevedeva la condivisione degli spazi dalle diverse classi sociali della popolazione.

Queste città in espansione richiedevano un’attenzione maggiore ai problemi di urbanizzazione. Oltre


a mutare secondo una spinta naturale mutavano le città poiché si ritenevano necessari degli
interventi da parte della autorità governative che dovevano andare in contro alle esigenze di questa
popolazione crescente.

I problemi dell’urbanizzazione erano due:

- l’illuminazione, di fronte al quale sarà importate la spinta che verrà da un settore tipico della
seconda rivoluzione industriale (mediante il gas, veniva impiegati in maniera crescente
l’elettricità, l’energia elettrica);

- gli acquedotti e le fognature.

10.3. I GRANDI FLUSSI MIGRATORI

L’emigrazione fu un’altra conseguenza dell’esodo delle campagne. Alla base dei flussi migratori vi
erano sia motivi di “espulsione” sia motivi di “attrazione”: i primi rappresentati dalle cattive
condizione economiche in cui versavano le persone che nelle campagne avevano difficoltà a trovare
un posto di lavoro e che volevano migliorare il proprio status, i secondi rappresentati dalle possibilità
che i migranti potevano trovare nel Paese di destinazione in termini di impiego, di lavoro. Quindi,
numeri crescenti di persone partivano fino agli anni 80 dell’800 soprattutto dai Paesi dell’Europa
Settentrionali (Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Paesi Bassi) per cercare fortuna negli Stati Uniti, in
Argentina, Brasile, Canada, Australia e Nuova Zelanda.

A partire dagli anni 90 dell’800 i Paesi che producevano questi migranti economici erano non più i
Paesi dell’Europa settentrionale ma dell’Europa meridionale come Italia, Spagna, Grecia, Portogallo.

Il tutto era accompagnato dall’emergere di un nuovo fenomeno: le migrazioni dei profughi. Con gli
anni fra le due guerre mondiali assistiamo ad una crescita di migranti (profughi) che abbandonano le
proprie terre per sfuggire agli eventi belliche e alle persecuzioni (per esempio se pensiamo alla prima
guerra mondiale il caso della popolazione di etnia russa; se pensiamo agli anni della seconda guerra
mondiale ricordiamo la popolazione ebrea).

10.4. GLI EFFETTI DELL’EMIGRAZIONE

Questi flussi migratori ebbero effetti negativi e positivi, sia per i Paesi di provenienza che per quelli di
destinazione.

 Per i Paesi di partenza:


- gli svantaggi erano legati ai costi sostenuti per mantenere, far crescere e istruire le
persone che andavano a lavorare altrove;
- i vantaggi invece erano rappresentati dall’aumento dei salari (perché diminuendo la
manodopera, la manodopera diventa più scarsa e meno presente nel Paese e vi era una
tendenza all’aumento dei salari) e le rimesse, cioè quel flusso di denaro che i migranti
facevano pervenire in patria sulla base del lavoro che svolgevano all’estero, un flusso di
preziosa valuta straniera che risultava importate per coloro che ne beneficiavano (cioè
le famiglie in patria) ma anche per la bilancia dei pagamenti.
 Per i Paesi di destinazione:
- fra gli svantaggi vi erano la difficoltà legate all’integrazione (molto spessi i nuovi
arrivati faticavano ad entrare in sintonia con le popolazioni locali e dovettero subire
soprusi, maltrattamenti come per le condizioni di lavoro estenuanti);
- i vantaggi invece erano legati alla motivazione con cui i migranti arrivavano sul posto,
perché chi lasciava il proprio Paese d’origine lo faceva per migliorare la propria
condizione e questo portava alla crescita del Paese in cui il migrante si insediava.

Parte seconda: la seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO UNDICESIMO: LE CONDIZIONI DELLA CRESCITA – TRASPORTI, BANCHE E MONETA

11.1. LO SVILUPPO DEI TRASPORTI: FERROVIE E AUTOMOBILI

Con la Seconda rivoluzione industriale, la crescita degli scambi e la necessità di una maggiore mobilità
diede una forte spinta al miglioramento dei mezzi di trasporto e allo sviluppo del sistema delle
comunicazioni (sia una rivoluzione dei trasporti per persone e beni ma anche di informazioni e
notizie).
• Per quanto concerne la rete stradale non risultò protagonista di molti progressi, ma venne
comunque migliorata ed estesa; nel 1870 le differenze tra Paesi iniziavano ad assottigliarsi.

• Per quanto concerne le ferrovie conoscono, dopo il varo della prima linea nel 1830
(Manchester-Liverpool), uno sviluppo incredibile che permette di arrivare (nel 1914) a
superare un milione di km di estensione: per vedere concretizzato questo sviluppo si dovettero
affrontare una serie di problematiche, sia tecniche, sia economiche:

– Le problematiche tecniche prevedevano la necessità di costruire i trafori (per


attraversare le montagne), ponti (per attraversare i fiumi), anche con l’obiettivo di
incrementare la potenza e velocità delle locomotive;

– Le problematiche economiche, come la necessità di reperire il capitale per poter


sostenere gli investimenti utili ad ampliare la rete ferroviaria. Inizialmente i capitali
venivano forniti da grandi banchieri privati, in seguito invece vennero costruite le spa (le
più grandi large corporation americane sono delle imprese ferroviarie). Queste spa
immettevano in Borsa le azioni che generavano speculazioni (che portarono a crisi come
quelle del 1936, fra il 46-48 e nel 57). La creazione delle ferrovie diede vita ad una
nuova categoria di lavoratori: i ferrovieri.

L’automobile riuscì ad affermarsi con l’avvento del motore a scoppio grazie al contributo dato da
alcuni pionieri fra cui il famoso Carl Benz; l’automobile conosce uno sviluppo un po’ più tardivo
rispetto alla ferrovia: se negli ultimi anni dell’800 e i primi del 900 essa era presente veniva prodotta
solo con metodi di produzione artigianali, ed era prodotta per un élite.

La prospettiva cambia con gli anni della Prima Guerra Mondiale quando si affermano i principi del
Taylorismo (si applicano i principi della catena di montaggio e la produzione in serie). Grazie
all’introduzione di Henry Ford della catena di montaggio della produzione delle proprie automobili, il
mezzo dell’automobile vedeva diminuire sensibilmente il proprio costo divenendo più accessibile ai
consumatori. Dopo la Prima Guerra Mondiale che spingeva verso l’adozione della catena di
montaggio all’interno dei processi produttivi, anche l’automobile poteva conoscere una diminuzione
del proprio costo divenendo più accessibile ai consumatori. Chiaramente questo portò ad una serie di
ricadute su altri settori (questo perché la produzione delle autovetture, anche oggi coinvolge diversi
settori, pesiamo alla produzione del vetro, dell’alluminio, di tutte quelle componenti che sono alla
base della costruzione di una automobile).

11.2. LO SVILUPPO DEI TRASPORTI: NAVI E AEREI

Lo sviluppo dei trasporti vede anche l’affermazione delle navi e degli aerei.

L’affermazione delle navi a vapore continua ad essere ottima anche in questa fase, poiché conosce
grazie a dei perfezionamenti tecnici (come l’introduzione della elica a tre pale) possono sostituire le
navi a vela: navi a vapore che sempre più spesso vengono costruite in ferro, sono caratterizzate da
una maggiore stazza, potendo alloggiare motori e essendo dotate di ampie stive in cui collocare
pesanti merci da trasportare.
Rispetto al passato presentano maggiori possibilità in termini trasporto di prodotti e persone e navi
che si specializzano grazie all’introduzione di nuovi sistemi nascono navi specializzate per il trasporto
di una specifica materia prima (petroliere, navi frigorifero). Queste navi a vapore permettono alle
merci e alle persone di spostarsi con maggiore affidabilità anche a grandi distanze, permettendo per
esempio, alla fine dell’800 a prodotti agricoli di arrivare da luoghi di produzione estremamente
distanti (Nord America e Sud America) fino ai mercati dell’Europa.

Come per le ferrovie era necessario risolvere problemi tecnici ed economici

Vengono costituite grandi società di navigazione utili convogliare nuovi capitali verso queste tipologie
di mezzi di trasporto. I capitali erano necessari anche alla ristrutturazione dei porti (in quanto i porti
più vecchi non erano dotati di tutto ciò che era utile per accogliere le nuove navi più attrezzate).
Ingenti capitali vennero utilizzati anche per aprire i canali come quello di Suez (1869) e di Panama
(1914) per ridurre il tempo della tratta.

Un altro mezzo protagonista e tardivo come per l’automobile è stato l’aereo. Nel 1903 i fratelli
Wright: riescono a far volare il primo aeroplano.

Conobbe da subito un grande progresso proprio a partire dalle due guerre mondiali

- Nel corso della Prima Guerra Mondiale gli aerei venivano utilizzati per azioni di
bombardamento, di ricognizione e sulla base delle migliorie tecniche negli anni venti-trenta si
poteva iniziare ad utilizzare l’aereo per scopi commerciali (come distribuire la posta).

- Nella Seconda Guerra Mondiale invece l’aereo è un mezzo essenziale: pensiamo al loro
impiego cruciale nelle tattiche di guerra per aggredire il nemico (sia per offesa che difesa); nel
corso del secondo dopogurrra questo mezzo anche in considerazione di una serie di
miglioramenti (creati per renderlo più performante), conosce una diffusione straordinaria (oggi
infatti l’aereo è il mezzo più rapido per il trasporto di merci e persone).

I passi in avanti compiuti da tutti questi mezzi determinano una serie di vantaggi per tutti i settori.

- Il commercio ebbe i maggiori e immediati vantaggi grazie all’ampliamento e all’integrazione


dei mercati
- L’agricoltura poté proseguire nel suo processo di specializzazione delle colture facilitata
(specifiche regioni si specializzavano su una determinata coltura in base al territorio)
- L’industria vide grazie alla possibilità di trasportare le merci in minore tempo e con maggiore
velocità vide l’incremento della domanda di manufatti (siderurgia, meccanica).

11.3. LE COMUNICAZIONI

La seconda rivoluzione industriale conosce una rivoluzione dei trasporti ma anche una rivoluzione
negli spostamenti delle notizie, delle informazioni. Alla vigilia della Grande Guerra, ormai le notizie
potevano viaggiare grazie ad una serie di nuove invenzioni che si diffondevano fra l’800 e il 900 come:
il telegrafo ideato da Morse nel 1840, il telefono ideato da Antonio Meucci nel 1871, la radio da
Guglielmo Marconi nel 1896 e il radar ideato dagli americani che trovò diffusione negli anni della
Seconda Guerra Mondiale quando il radar venne utilizzato per monitorare lo spazio e il campo di
battaglia. Sulla base di queste invenzioni divenne possibile velocizzare e rendere più affidabile la
trasmissione delle informazioni.

11.4. I SISTEMI BANCARI

Importanti, oltre alle dinamiche demografiche e ai mezzi di trasporto sono alcuni elementi legati al
mondo della finanza.

I sistemi bancari si formarono nel corso della rivoluzione industriale quando le banche acquisirono un
ruolo più centrale per il reperimento dei capitali, per finanziarie il processo di industrializzazione.
Emergono nuove banche con profili ben definiti come:

 casse di risparmio: raccoglievano i piccoli risparmi delle persone in modeste condizioni;


 istituti di credito fondiario: si approvvigionavano di fondi attraverso l’emissione di proprie
obbligazioni;
 banche cooperative: forme di società cooperative che avevano il compito di accettare depositi
e concedere prestiti ai soci;
 banche commerciali o di deposito: raccoglievano depositi dal grande pubblico che
remuneravano con interesse e investivano i fondi disponibili prestandole in varie forme a
operatori economici grandi e piccoli;
 banche di emissione: acquisivano ancor più rilevanza divenendo il perno di questi sistemi
bancari nascenti e agivano come banche delle banche, quindi ad esse si rivolgevano: le banche
per anticipazioni (su cui vi era l’interesse in base al tasso ufficiale di sconto); con il tempo
operavano per conto dello Stato (con la funzione di controllare il sistema bancario nel suo
complesso); le monete che venivano emesse erano riconosciute ovunque come moneta a
corso legale.

Si consolidavano quei fenomeni che già abbiamo incontrato con la Prima Rivoluzione Industriale in
alcuni Paesi come per la Francia e la Gran Bretagna.

In Europa si definivano due modelli bancari:

 Modello anglosassone, che era caratterizzato da una specializzazione bancaria:


- da un lato vi erano le banche che raccoglievano i depositi a vista e concedevano prestiti
a breve termine;
- dall’altro vi erano le merchant banks, orientate ad operazioni bancarie di lungo periodo
(collocavano sul mercato titoli obbligazionari di governi esteri, società e
rappresentavano un punto di riferimento all’interno dei pagamenti internazionali)
 Modello continentale o tedesco che consisteva nella prevalenza della banca mista cioè una
banca che operava a breve, medio e lungo termine, (finanziavano le imprese acquistandone
obbligazioni oppure sottoscrivendo parte del loro capitale sociale).

11.5. IL GOLD STANDARD

Nel corso della Seconda Rivoluzione Industriale assistiamo all’adozione da parte di numerosi Paesi al
gold standard (sistema monetario già incontrato in riferimento alla rivoluzione industriale inglese).
Difronte ai mal funzionamenti del bimetallismo, un numero crescente di Paese scelse il gold standard.
Questo si verificò perché:

- Vi fu la diminuzione del valore delle monete d’oro con la scoperta di nuove miniere;
- Vi fu la diminuzione del valore delle monete d’argento per una grande produzione del
medesimo

Fra il 1873 e il 1900 i Paesi industrializzati preferirono aderire al gold standard.

La sterlina ormai accettata in ogni parte del mondo diventò una sorta di moneta internazionale.

Parte seconda: la seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO DODICESIMO: LE ATTIVITÀ PRODUTTIVE

12.1. LE INNOVAZIONI IN AGRICOLTURA


Nell’Europa occidentale, con la seconda rivoluzione industriale, scomparvero le carestie grazie ad un
incremento della produttività agricola europea e la messa a coltura di enormi estensioni di terra negli
altri continenti. In questo periodo è possibile riconoscere due tendenze:
- in Europa una agricoltura mirata all’incremento della produttività del singolo ettaro di terreno
messo a coltivazione;
- negli altri continenti si cercavano tecniche che permettessero di coltivare nuovi ettari, quindi
territori crescenti e, essendo disponibili vaste aree del mondo, si poteva mirare a
miglioramenti in senso estensivo dell’agricoltura (soprattutto nelle Americhe ed in Asia).
Tutto questo era possibile grazie all’utilizzo di macchine agricole che inizialmente utilizzavano il
vapore, dopo il motore a scoppio e grazie alla diffusione dei concimi naturali e chimici.
12.2. L’AGRICOLTURA MONDIALE E L’EUROPA
Anche in Europa si cercava di incrementare lo spazio destinato all’agricoltura ma chiaramente la
ricerca di nuovi spazi aveva proporzioni assai inferiori rispetto alle Americhe e all’Ansia (dove si
sostituivano gradi proprietà terriere mettendo a coltivo le cosiddette terre vergini e attraverso la
coltivazione di piantagioni dedite a prodotti che in Europa non erano disponibili come il caffè, le
banane, il cacao). L’incremento della produttività agricola non andò a discapito dell’industria.
- Abbiamo aree dell’Europa in cui vi è una forte produttività agricola affiancate da altrettanta
forte produttività industriale. Abbiamo anche altre aree in cui vi è un’agricoltura debole
affiancata da un’industria debole.
12.3. LO SVILUPPO DELLA TECNOLOGIA E DELLA RICERCA
Nel corso della seconda rivoluzione industriale assistiamo al saldarsi del rapporto fra ricerca, scienza,
tecnica e industria. Diventava sempre più importante per le imprese dotarsi di strutture per andare a
caccia di quelle innovazioni che garantivano alle proprie produzioni una maggiore competitività.
Questa ricerca poteva essere fatta da quelle aziende che si dimostravano capaci di crescere da un
punto di vista dimensionale e quindi dotarsi di quelle strutture utili a svolgere la funzione di ricerca e
sviluppo.
12.4. UNA NUOVA FONTE DI ENERGIA: IL PETROLIO
Accanto alla rilevanza della funzione di ricerca e di sviluppo va sottolineata la presenza di una nuova
fonte di energia: il petrolio. Veniva affiancato al carbone. L’utilizzo del petrolio ha inizio negli Stati
Uniti per alimentare l’illuminazione domestica, per la lubrificazione delle macchine. Conosce una
grande diffusione grazie alla diffusione del motore a scoppio (all’automobile). Sulla base del suo
utilizzo si sviluppa un nuovo ramo dell’industria chimica che è il petrolchimico che consentì di
produrre le fibre tessili, le resine sintetiche, i detersivi, insetticidi, gomma sintetica; prodotti che oggi
presentano il conto dal punto di vista dell’inquinamento, ma che nelle dinamiche del tempo
giocarono un ruolo importantissimo.
L’utilizzo di questa risorsa crebbe nel periodo della seconda guerra mondiale, quando vennero
scoperti ricchi giacimenti nel Medio Oriente: lo sfruttamento del petrolio in Iraq, in Arabia Saudita, il
Qatar. Il tutto portava alla formazione di un cartello internazionale fra le principali società produttrici,
denominate poi “sette sorelle”.
12.5. VECCHIE E NUOVE INDUSTRIE
I settori della prima rivoluzione industriale conservavano una certa rilevanza sia quello dell’industria
tessile che dell’industria siderurgica: se la prima però si ridimensionava perché l’Europa diventava
sempre più dipendente in termini di materie prime dagli altri continenti, la seconda cresceva grazie al
convertitore Bessemer e al forno Martin Siemens che permettono di produrre acciaio direttamente
dalla ghisa senza passare per la fase del pudellaggio (prima rivoluzione industriale). Iniziava quindi
l’era del ferro e dell’acciaio, materiali importantissimi all’interno delle dinamiche produttive di
molteplici settori.
Fra i nuovi settori possiamo menzionare:
- l’industria metallurgica che iniziò la lavorazione su vasta scala di numerosi metalli come
l’alluminio, il nichel, il rame;
- l’industria automobilistica che si sviluppò rapidamente (soprattutto negli Stati Uniti) grazie
all’imporsi dei principi del Taylorismo e della catena di montaggio; si passa dalla costruzione
artigianale alla produzione in serie (Ford, Fiat, Renault);
- altre invenzioni diedero luogo a nuove attività produttive che diedero vita alla macchina da
scrivere, macchina fotografica.
12.6. CHIMICA ED ELETTRICITÀ
Centrali sono anche i settori chimico ed elettrico.
 le industrie chimiche che si sviluppano grazie a numerose innovazioni e ai processi di ricerca e
che danno vita a: coloranti artificiali, dinamite, materie plastiche sintetiche, fibre tessili
sintetiche;
 l’industria della gomma (un nuovo comparto che nasce dalla chimica) grazie ad un processo di
vulcanizzazione da parte di Goodyear (1839) sulla base del quale, nel 1888, John Dunlop
brevettò il primo pneumatico.
 l’industria elettrica che conosce particolare sviluppo grazie al generatore di corrente che
trasforma l’energia sviluppata dalla macchina a vapore in elettricità riducendo i costi di questo
processo che rappresentavano un problema fino a quel momento.
L’elettricità trovò un gran numero di applicazioni:
- Illuminazione
- Industria
- Trasporti
- Vita domestica
- Sistemi di comunicazione a distanza
- Industria cinematografica
12.7. IL COMMERCIO INTERNO
Nel corso di questa rivoluzione vengono stravolti i commerci interni ed internazionali. La crescita del
settore primario e secondario stimolava ed era stimolata da un incremento dei traffici regolari, sia
interni ai Paesi che internazionali.
Il commercio interno veniva rivoluzionato dalla figura del commesso viaggiatore che erodeva
l’importanza delle fiere (ambito in cui i commerci interni si sviluppavano). Quest’ultimo aveva il
compito di collocare le merci per conto delle diverse case produttrici presso i negozianti. In questa
fase infatti si sviluppava il commercio fisso con l’apparizione dei primi negozi (dopo che le merci erano
state collocate dal commesso viaggiatore queste venivano inviate tramite la ferrovia (mezzo di
trasporto importante per le dinamiche logistiche).
Si sviluppano i primi negozi che, inizialmente si configuravano come bazar, poi come negozi
specializzati fino ad arrivare a metà dell’800 all’apparizione dei Grandi magazzini.
Questo era affiancato dal diffondersi della pubblicità. A partire dagli Stati Uniti si diffondevano le
prime forme moderne di pubblicità commerciale (il sistema dei saldi, la vendita per corrispondenza e
la vendita a rate).
12.8. IL COMMERCIO INTERNAZIONALE E GLI INVESTIMENTI ESTERI
Il commercio internazionale cresceva in maniera esponenziale.
L’Europa:
- esportava carbone e manufatti;
- importava materie prime.
Oltre a questo circuito che vedeva l’Europa commerciare con i Paesi esteri, vi era un circuito di
scambio di manufatti fra i Paesi industrializzati, un commercio internazionale che si concretizzava sia
per i rapporti dell’Europa con i continenti meno industrializzati e sia per i rapporti con Paesi
industrializzati.
Gli scambi internazionali potevano crescere sotto forma di investimenti diretti esteri, cioè i rapporti
fra i diversi Paesi crescevano perché un numero crescente di imprese investiva all’estero acquistato
altre aziende o creandone di nuove: andavo definendosi delle multinazionali che operano su diversi
mercati.
Lezione 5

Parte seconda: la seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO TREDICESIMO: LA GRANDE IMPRESA

13.1. LA FORMAZIONE DELLA GRANDE IMPRESA


Negli ultimi decenni del XIX secolo si assiste alla costituzione di grandi imprese (large corporation)
anche nei settori di produzione dei beni di consumo come calzature, abbigliamento… (non solo beni
intermedi e strumentali).

Queste grandi imprese presentavano delle caratteristiche:

 erano imprese che disponevano di un capitale elevato;


 concentravano nella fabbrica un gran numero di lavoratori;
 erano centro di conoscenze scientifiche e tecniche;
 adottavano la forma giuridica della società anonima o per azioni.

La grande impresa si formò in seguito a un processo di concentrazione che poteva essere di tue
tipologie:

a) Verticale: quando venivano riunite imprese appartenenti alla medesima filiera produttiva sotto
un’unica direzione strategica, per cui le imprese che lavoravano sotto una specifica filiera si
fondevano o venivano riunite nella stessa realtà (l’impresa più grande accorpava quelle più
piccole) (per esempio, imprese siderurgiche che acquistano miniere di carbone o altri minerali
ferrosi; oppure imprese siderurgiche che si fondono con imprese che operano nella
commercializzazione di prodotti ferrosi che seguono l’impresa siderurgica, ne pubblicizzano il
prodotto);
b) Orizzontale: quando sotto la stessa direzione strategica venivano riunite le imprese che
lavoravano nello stesso comparto o stadio della produzione (più imprese siderurgiche
andavano a costituire un’unica grande realtà).

Il contesto geografico protagonista erano gli USA dove iniziavano ad affermarsi le large corporation a
partire dal settore della ferrovia.

I fenomeni che accompagnavano l’avanzata della grande impresa erano diversi:

- Si cercavano economie di scala e diversificazione:

 Economie di scala: fenomeno di riduzione dei costi e di aumento dell’efficienza legato


ad un maggior volume di produzione- all’aumentare della produzione una diminuzione
dei costi e aumento dell’efficienza;
 Diversificazione: risparmio derivante dalla produzione congiunta di prodotti diversi con i
medesimi fattori produttivi) - in entrambi i casi la ricerca del risparmio, l’aumento
dell’efficienza attraverso la diversificazione dei prodotti proposti sul mercato da parte
dell’azienda;

- Si diffondevano le imprese multinazionali (un numero crescente di imprese diveniva


internazionale, acquisiva la fisionomia dell’impresa multinazionale, sia attraverso operazione di
greenfeel sia attraverso l’acquisizione di imprese già esistenti);

- Altri due fenomeni accompagnavano la definizione delle grandi imprese: si giungeva ad accordi
per definire una strategia comune al fine di operare in maniera coordinata nel settore di
riferimento. Questi accordi erano di due tipologie:
 Cartelli: si diffondevano in Germania e venivano stipulati fra imprese che trattavano lo
stesso prodotto ed avevano lo scopo di fissare prezzi, arrivare ad una spartizione di
quote di mercato;
 Trust: si diffondevano negli Stati Uniti e a differenza dei cartelli si fondavano
sull’acquisizione di quote azionarie da parte di un’impresa. Un’impresa definita holding
acquistava azioni di altre società fino ad avere di fatti il controllo. Queste altre imprese
venivano poste sotto un’unica direzione strategica per poter controllare le dinamiche
collettive all’interno del settore.

Questi accordi però furono contrastati in diversi Paesi attraverso apposite leggi
antitrust per garantire la possibilità a tutti di partecipare alle dinamiche competitive dei
vari settori produttivi (cioè una logica di protezione delle piccole e medie imprese che
finivano per soccombere alle logiche dei trust). Di fronte al divieto di questi trust le
grandi imprese americane concretizzando delle fusioni (portando alla nascita di realtà
imprenditoriali ancora più grandi, arrivando ad un risultato opposto rispetto a quello
per cui la legge trust nasceva).
- Progressiva separazione fra proprietà e controllo, cioè i proprietari delle grandi imprese non
potevano più gestire tutti quei processi che la grande impresa si trovava a dover mettere in
campo. Era necessario introdurre i manager che erano figure formate. I proprietari
controllavano l’operato dei manager sedendo nel consiglio di amministrazione, definendo i
macro-obiettivi dell’impresa, aspettando degli utili (un ritorno) dell’investimento realizzato.

13.2. TAYLORISMO E FORDISMO

All’interno della grande impresa si definiva una maggiore organizzazione del lavoro:

Frederick Taylor realizza una serie di studi attraverso cui si accorge che nelle aziende il lavoro era
spesso organizzato in maniera casuale ed era quindi necessario definire dei principi per poterlo
organizzare in maniera più efficiente. I suoi studi guardano ad una riduzione e una semplificazione dei
compiti da far svolgere a ciascun operaio. E questi principi elaborati attraverso i suoi studi portano
alla definizione di quella che oggi è conosciuta come catena di montaggio (un nastro trasportatore su
cui scorrevano componenti del prodotto e attorno al quale vi erano gli operai che eseguivano questi
compiti semplificati in tempi ben definiti. Questa innovazione trova applicazione nel settore
automobilistico grazie al contributo di Henri Ford. Ford:

- applicava su larga scala i concetti del Taylorismo e della catena di montaggio


- applicava una politica di maggiori salari che rendevano gli operai i primi acquirenti del
prodotto

Si ponevano le basi della società di consumo di massa. Da questo esempio, la catena di montaggio, la
produzione di beni standardizzati si diffondeva anche in altre produzioni di beni (ad altri settori).

13.3. LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE E LA COOPERAZIONE


Le piccole e medie imprese continuavano ad esistere e conservavano un ruolo molto importante,
soprattutto all’interno delle attività tradizionali (alimentari, lavorazione del legno) ma anche in
attività nuove come la produzione e riparazione di macchine elettriche.

Fra le piccole e medie imprese si diffondevano anche le imprese cooperative, costituite da persone
che si associavano per gestire una attività economica alla luce dei valori della solidarietà. Erano
imprese che a seconda dell’ambito si distinguevano:

 Cooperative di consumo: acquistavano beni di consumo all’ingrosso per rivenderli al minuto a


prezzi più convenienti (senza scopo di lucro) a partire dal Regno Unito per poi diffondersi in
Europa occidentale;
 Cooperative di produzione: riunivano un gruppo di lavoratori per svolgere un’attività
produttiva assicurando la parità di salario e l’uguale distribuzione degli utili, nascevano in
Francia (attive nei trasporti, in ambito agricolo, metallurgico);
 Cooperative di credito: che nascevano per raccogliere risparmi e esercitare il credito a favore
dei soci (a partire dalla Germania per poi diffondersi in Francia e Italia).

Parte seconda: la seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO QUATTORDICESIMO: I PAESI INDUSTRIALIZZATI - GRAN BRETAGNA E FRANCIA

14.1. I DIVERSI RITMI DELLO SVILUPPO

È importante analizzare l’andamento dello sviluppo nei diversi Paesi, in quanto non si concretizza
sempre in maniera omogena. Guardando ai diversi Paesi notiamo delle differenze anche piuttosto
marcate.

La Gran Bretagna, negli ultimi tre decenni dell’800 andava in contro a quello che può essere definito
come un declino relativo: conosceva una diminuzione del tasso di crescita, mentre altri Paesi
acceleravano il proprio processo di industrializzazione.

Nel 1820, la Gran Bretagna quando era leader del mondo aveva come principale competitor gli Stati
Uniti e Francia che rappresentavano rispettivamente il 59% e il 58% del PIL inglese.
Nel 1870 solo Stati Uniti e Germania si erano avvicinati alla Gran Bretagna (perché in questi anni la
Gran Bretagna aveva accelerato lo sviluppo). Mentre gli Stati Uniti rappresentavano il 70 % del PIL
britannico, la Germania il circa il 72%.

Dopo il 1870 la Gran Bretagna rallentava mentre gli altri Paesi accelerarono:

- gli Stati Uniti nel 1913 completano il processo di catching-up (di recupero in termini
economici);
- Francia e Germania si avvicinarono molto al livello del PIL della Gran Bretagna.

14.2. IL DECLINO DELLA GRAN BRETAGNA

L’età vittoriana (regno della Regina Vittoria – 1837 al 1901) si chiuse con un rallentamento della
crescita che prese il nome di “declino relativo” della Gran Bretagna, durante il quale manteneva il suo
primato e conosceva un avvicinamento degli inseguitori.
In questo “declino” l’industria inglese conservava un posto di primissimo piano ma rimaneva ancorata
ai settori tradizionali che ne avevano contraddistinto nel corso della prima rivoluzione. In questo
modo se l’industria inglese rappresentava il 32% della produzione mondiale nel 1870, alla vigilia della
Prima Guerra Mondiale la sua quota di produzione si era ridotta al 14%, superata da USA (36%) e
Germania (16%).

L’industria siderurgica veniva superata, mentre l’industria tessile manteneva il suo primato,
continuando ad essere protagonista di un grande flusso di esportazioni ma dipendeva in maniera
sempre più persistente dall’esportazione di materie prime che sul suolo britannico non erano
disponibili (le materie prime non erano locali ed in termini economici andavano a beneficio di
produttori stranieri).

Il commercio estero continuava ad essere fiorente, grazie all’esportazione di prodotti e a quel


complesso di servizi che veniva fornito agli stranieri e ai proventi derivanti dagli investimenti diretti
esteri (che venivano realizzati all’estero). Ciò permetteva al commercio estero britannico di
conservare un ruolo di primo piano.

14.3. LE CAUSE DEL DECLINO

Le principali cause del declino della Gran Bretagna sono quattro:

1. Svantaggi del first comer (mover) si può comprendere l’obsolescenza e l’inerzia che
caratterizzavano l’apparato industriale britannico; l’industria inglese si era sviluppata per
prima e in questa fase dimostrava la sua staticità: gli imprenditori faticavano a modificare
gli apparati produttivi e preferivano rifugiarsi in posizioni ormai consolidati.
2. Dipendenza dall’estero: l’incremento della produzione richiedeva una consistente
importazione di materie prime dall’estero (che erano assenti in Gran Bretagna), che erano
essenziali per alimentare i processi produttivi.
3. Sistema d’istruzione inadeguato in quanto, di fronte alle esigenze dello sviluppo
industriale, le scuole restavano ancorate ad una eduzione classica, poco attenta alle
preparazioni scientifiche
4. Ruolo dello Stato che erano meno incisivo che in altri Paesi. Lo Stato manteneva un ruolo
secondario, ispirandosi ai principi della dottrina economica liberista, tendeva a non
intervenire in ambito economico.
14.4. LA FRANCIA DEL SECONDO IMPERO

La Francia continuava a soffrire di un lento aumento demografico e di un’eccessiva presenza del


settore agricolo.

Industria presentava pochi centri industriali ed era un Paese caratterizzato per la più da
microimprese, piccole e medie imprese (era quindi difficile per l’industria francese ricercare quei
vantaggi competitivi legati alle economie di scala e alle economie di diversificazione).
Con il Secondo Impero (1852-70) la Francia si avvicinava la first mover (Gran Bretagna), e conosceva
un’accelerazione dello sviluppo economico grazie ad alcuni elementi:
- Napoleone III rivolgeva la sua attenzione all’economia, in particolare allo sviluppo della rete
ferroviaria (che passava da 3.000 a 22.000 chilometri);
- Lo Stato avviava un vasto programma di lavori pubblici (sia per la costruzione o
ammodernamento di alcuni porti, sia per il rinnovamento edilizio di Parigi.
- Lo sviluppo bancario del Paese: di diffondevano diverse banche che garantivano supporto
finanziario alle imprese. Queste banche venivano costituite sotto l’impulso di banchieri privati
che finanziavano imprese di qualsiasi ramo:
a) sia quelle operanti nel credito fondiario (Crédit Foncier) che nacque per
incoraggiamento dell’imperatore;
b) sia quelle operanti nel credito mobiliare (Crédit Mobilier), una forma di credito fondata
sulla raccolta di fondi attraverso l’emissione di obbligazioni da parte della banca e la
concessione di finanziamenti a lungo termine.

Secondo l’esempio della Gran Bretagna anche la Francia abbandonò il protezionismo e si avviò al
libero scambio. Questo periodo di importante sviluppo economico per la Francia (nel Secondo
Impero) si interrompeva con la sconfitta della guerra franco-prussiana.

14.5. DALLA GUERRA FRANCO-PRUSSIANA ALLA BELLE ÉPOQUE

Con la sconfitta nella guerra franco--prussiana vi fu la caduta del Secondo Impero. Venne instaurata la
Terza Repubblica e la Francia perdeva i territori dell’Alsazia e della Lorena ed era costretta al
versamento di una grossa indennità di guerra

Nonostante questa battuta di arresto, conobbe un nuovo periodo di espansione fino al 1881.

Come altri Paesi europei conobbe la crisi agraria europea e solo con il finire del XIX secolo conosceva
una nuova fase di forte ripresa. Con questa fase di forte ripresa (a fine secolo con la Belle époque):

 L’agricoltura conobbe un ulteriore sviluppo una volta messa al riparo da nuovi strumenti
commerciali di protezione (come i dazi);
 L’industria ottenne importanti risultati sia nei settori tradizionali che nelle industri recenti (nei
settori della seconda rivoluzione industriale; la Francia diventava il primo produttore di
bauxite, cioè di alluminio)
 Il commercio estero ricominciò a crescere.

Parte seconda: la seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO QUINDICESIMO: I PAESI A FORTE CRESCITA – GERMIANIA E STATI UNITI

15.1. L’ECONOMIA DEGLI STATI TEDESCHI

Prima delle guerre napoleoniche la Germania era un Paese molto frazionato, diviso in 360 Stati. Il
Congresso di Vienna (1814-15) diede vita alla Confederazione Germanica, riducendo il numero degli
Stati a 39. Proprio a causa di questa frammentazione l’economia tedesca risultava ancora poco
sviluppata e l’agricoltura costituiva ancora l’attività prevalente.
Agli inizi dell’800 l’industria era ancora più arretrata dell’agricoltura: il sistema di fabbrica si affermò
con molto ritardo e la produzione di beni veniva rimandata a botteghe, corporazioni (organizzazioni
tipiche dell’età preindustriale).

15.2. L’EMANCIPAZIONE DEI SERVI E L’UNIONE DOGANALE

Un altro problema da cui era afflitta la Germania era la permanenza di una serie di privilegi legati al
mondo feudale: questo era evidente soprattutto dopo la sconfitta contro la Francia di Napoleone
dopo la quale vi era la necessità di creare una nazione di uomini liberi, affinché si potesse fare leva su
un esercito efficiente.

I primi provvedimenti in questo verso, vennero presi in Prussia che si propone come area di maggior
riferimento (innovazione)

In Prussia si giunge all’emancipazione dei servi secondo un processo che venne imitato dagli altri Stati
tedeschi (vengono aboliti i diritti feudali e si procede con la redistribuzione fra contadini e signori, che
già si era avuto da qualche decennio in Gran Bretagna.

L’altro evidente problema era la creazione di un “mercato comune”. Nonostante la riduzione del
numero di Stati e del numero delle dogane, continuavano ad esistere numerosi dazi interni ai singoli
stati (che non erano più presenti in Francia e in Gran Bretagna). Nel tentativo di risolvere questo
problema, nel 1828 si crearono tre leghe entro le quali furono aboliti i dazi:

- al Nord quella prussiana;


- al Sud una Lega fra Baviera e Wurttemberg;
- al Centro una Lega favorita dall’Austria.

In seguito ci furono una serie di problematiche che portarono la lega centrale a disgregarsi e molti
stati aderirono a quella del Nord (prussiana).

Prendeva corpo nel 1833 un Unione doganale (dal nome Zollverein), un percorso che veniva
ingentivato anche grazie al miglioramento dei mezzi di trasporto che amplificava gli effetti dello
Zollervein, in particolare, grazie allo Stato erano le ferrovie e la costruzione di navi a svilupparsi. E
nuovi elementi apportati anche apportati dalle nuove banche di emissione (la più importante fu la
Banca di Prussia).

15.3. L’ESPANSIONE TEDESCA

Nel 1871 ci fu l’unificazione tedesca conseguita dalla Prussia grazie all’azione del cancelliere Otto von
Bismarck. Sotto la guida della Prussia quindi, si forma l’Impero (il Reich). La Germania conobbe in
pochi decenni un vero e proprio miracolo economico (noto come miracolo tedesco), divenne quindi
una grande potenza industriale.

Nel settore industriale si formavano imponenti complessi e venivano costituite migliaia di società per
azioni con tre settori che si imponevano come traenti
 La siderurgia divenne settore di riferimento grazie al bacino e allo sfruttamento dei minerali
preziosi disponibili nella Lorena (che come abbiamo già visto passava, dopo la guerra franco-
prussiana sotto il controllo dei tedeschi);
 L’industria chimica;
 L’industria elettrica.

15.4. I FATTORI DELL’ESPANSIONE

Questo sviluppo tedesco venne agevolato da diversi fattori:

 Il sistema bancario fungeva da propulsore di sviluppo industriale del Paese:


 al vertice c’era la Reichsbank (costituita nel 1875) che regolava l’emissione di una nuova
moneta che veniva adottato, definita in oro (il marco), secondo il sistema del gold
standard.
 e poi vi erano le banche miste che favorivano la creazione di società industriali,
finanziandole o acquisendo parte dei loro pacchetti azionari (facendo così entrare i loro
rappresentanti all’interno dei consigli di amministrazione delle società).
 I trasporti con la creazione di ferrovie e lo sviluppo della navigazione interna e della flotta
mercantile
 I cartelli, accordi fra imprese che si diffusero specialmente durante la grande depressione
(1929). Lo Stato dopo averli inizialmente contrastati li regolamentò con l’obiettivo di regolare
la concorrenza e evitare la sovrapproduzione.
 Lo Stato sostenne lo sviluppo economico in diversi modi:
 Imponendosi come grande acquirente: con la sua domanda sosteneva la produzione
(attraverso un sostegno alla costituzione di cartelli e dumping – pratica commerciale
con cui un’azienda vende ad un prezzo inferiore di quello del costo di produzione
all’estero, al fine di guadagnare un vantaggio e sbaragliare la concorrenza)
 Sosteneva lo sviluppo attraverso una efficace politica protezionistica
 Permise la diffusione dell’istruzione tecnica e scientifica (elemento importante per
fornire capitale umano qualificato di fronte alle esigenze dei complessi industriali che si
stavano sviluppando).

Grazie agli interventi la Germania divenne il primo Paese a rendere obbligatoria l’assicurazione per i
lavoratori

15.5. IMMIGRAZIONE E COLONIZZAZIONE DEGLI USA

Gli Stati Uniti completarono il processo di catching-up e proseguirono il proprio imponente sviluppo
economico facendo leva su alcuni elementi:

1. L’aumento della popolazione;


2. Il compimento della colonizzazione;
3. L’affermazione della grande impresa;
4. La formazione di un vasto mercato interno (in cui si affermavano le large corporation)

15.6. COTONE E ALLEVAMENTO DEL BESTIAME


Sulla base di questi fattori, gli Usa conoscevano uno sviluppo economico abbastanza equilibrato:
coinvolse sia l’industria che l’agricoltura.

L’agricoltura: venivano utilizzate nuove tecniche di coltivazione estensive, che permettevano al


Midwest di divenire la cosiddetta “Corn Belt” (fulcro del settore primario del Paese ma anche il
centro dell’allevamento del bestiame). Gli agricoltori americani non producevano più per
autoconsumo ma guardavano al mercato e commercializzavano i propri prodotti.

15.7. GRANDI IMPRESE E MERCATO

Lo sviluppo industriale statunitense fu eccezionale sia per quantità (produzione di manufatti) che per
organizzazione della produzione.

 Le industrie più importanti erano quelle che trasformavano i prodotti dell’agricoltura,


dell’allevamento;
 Continuavano a svilupparsi le imprese relative al settore della filatura e la tessitura del cotone;
 I progressi più consistenti venivano realizzati dall’industria siderurgica e da quella meccanica
che venivano stimolate dalla domanda di materiale ferroviario, ma anche dalla richiesta di
ferro e acciaio per la costruzione di macchine e navi.
 Si svilupparono industrie come quelle elettriche, dei telegrafi e dei telefoni oltre che del
petrolio e dell’automobile.

Le industrie producevano una gran quantità di beni e si organizzarono sotto forma di grandi spa che
cercavano di controllare le dinamiche attraverso la costituzione di trust. Di fronte all’impedimento
della costituzione di trust le grandi imprese americane reagivano dando il via a nuovi processi di
fusione che davano vita alla costituzione di ancor più grandi aziende.

15.8. UN PUNTO DEBOLE: IL SISTEMA BANCARIO

Un punto debole nel processo di industrializzazione degli Stati Uniti è rappresentato dal sistema
bancario. Mentre per la Germania era un elemento essenziale per lo sviluppo del Paese non si può
dire lo stesso per l’America, dove il sistema bancario non risultava adeguato al grande sviluppo del
Paese ma rimaneva ancorato ad una riforma adottata nel periodo della Guerra di secessione

Il problema principale di questa riforma era l’assenza di una banca centrale di emissione, che
potesse fungere da “Banca delle banche”.

In seguito alla crisi finanziaria del 1907, gli Stati Uniti scelsero di intervenire anche su questo fronte
nel 1913 con una nuova riforma con la quale veniva introdotto il Sistema della Riserva Federale (si
costituiva un consiglio, con sede a Washinton, composto da 12 banche federali, ognuna delle quali
aveva giurisdizione su un proprio distretto di competenza ed emetteva moneta a corso legale).

Lezione 6

Parte seconda: La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO SEDICESIMO: DUE CASI PARTICOLARI - RUSSIA E GIAPPONE

16.1. LA CONDIZIONE DEI SERVI IN RUSSIA


La Russia è un caso particolare perché vi sono diversi elementi che la distinguono dalle traiettorie
degli altri casi analizzati:

 Il primo elemento di differenza (rispetto alla Gran Bretagna, alla Francia, agli Stati Uniti) è
quello demografico: la popolazione russa conobbe l’incremento demografico più pronunciato
rispetto ai paesi europei; ma questo a differenza degli altri paesi non costituì un elemento di
forza su cui costruire il processo di industrializzazione.
 Il principale problema della Russia era legato alla permanenza della servitù della gleba. Vi
erano dei tipi principali di servi che costituivano i 2/3 della popolazione:
– I servi dello stato che erano gravati da minori compiti.

– I servi della famiglia imperiale che si trovavano in una posizione intermedia.

– I servi dei pomesciki (grandi proprietari terrieri): erano quelli che versavano in
condizioni peggiori; lavoravano nelle terre dei loro signori ricevendo la quantità di terra
da coltivare a seconda del numero di persone che costituivano la famiglia e che quindi
potevano concorrere all’attività di coltivazione.

16.2. L’EMANCIPAZIONE DEI SERVI

La presenza di un così ampio strato di servi all’interno ella popolazione costituiva un grande limite per
lo sviluppo del Paese stesso: le cattive condizioni in cui versavano i servi erano spesso motivo di
tumulti e non permettevano la costituzione di una società moderna capace di mobilitare un esercito
di uomini liberi per fronteggiare le questioni belliche. Questo emerge con la guerra di Crimea, quando
la Russia si trova a fronteggiare eserciti stranieri (Gran Bretagna, Francia) e viene sconfitta in maniera
netta.

Nel 1861, lo zar Alessandro II, decise di decretare la fine dell’emancipazione dei servi. Questi ultimi
ottenevano quindi terre e case in cambio di un canone che dovevano pagare annualmente al loro
vecchio signore: la casa in cui vivevano non era di loro proprietà. Per divenire proprietari era
necessario pagare un riscatto che spesso risultava gravoso per le tasche dei contadini. Lo Stato
interveniva anticipando l’80% della cifra del ricatto, un anticipo che veniva garantito dando ai signori
(ai quali doveva essere pagata la terra e la casa) obbligazioni statali che maturavano un interesse
annuo. Il restante 20% doveva ancora essere pagato dai contadini e l’80% anticipato dallo Stato
poteva essere restituito nel giro di 50 anni.

Le terre continuavano ad essere gestite dalle comunità di villaggio (mir) che le ridistribuivano
secondo i vecchi criteri (cioè in base a quante persone componevano la famiglia). In una situazione in
cui i vecchi servi erano liberi ma non proprietari della casa continuavano ad amministrare queste
proprietà e le ridistribuivano secondo la composizione del nucleo familiare delle famiglie dei
contadini (contemporaneamente all’aumento demografico, la redistribuzione portava alla riduzione
delle quote di terra affidate a ciascuna famiglia di contadini, non permettendo così l’incremento della
produttività del terreno).

Nel corso della rivoluzione del 1905 il primo ministro Stolyplin varava una nuova riforma agraria che
aveva lo scopo di costituire una classe di piccoli proprietari terrieri che dovevano costituire la cellula
fondamentale dello stato. Questa riforma ebbe dei risultati contrastati: i contadini continuavano a
preferire di restare nelle comunità di villaggio, spesso finivano per vedere le proprietà per
trasformarsi in salariati (vi è la costituzione di alcuni grandi proprietari terrieri: i kulaki, proprietari di
terre).

16.3. L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELLA RUSSIA ZARISTA

Contemporaneamente alle trasformazioni in ambito demografico e agricolo, la Russia conobbe il suo


sviluppo negli ultimi 25 anni che precedono la prima guerra mondiale e hanno il più evidente sviluppo
fra il 1890 e il 1900 quando la crescita della produzione industriale va in intorno all’8% l’anno. Poi vi
fu un rallentamento. Fra il 1905 e il 1913 con una crescita intorno al 6% annuo.

Per procurarsi i capitali necessari all’industrializzazione si fece ricorso all’esportazione del grano.

Progressi apprezzabili veniva compiuti nell’industria siderurgica, grazie alle risorse carbonifere e
minerarie presenti nel Paese. I due poli industriali si sviluppavano intorno a San Pietroburgo e Mosca:
intorno a San Pietroburgo si sviluppava una fiorente industria metallurgica, con cantieri navali,
fabbriche di macchine a vapore, mentre nella zona di Mosca un importante industria cotoniera. Altri
settori che si svilupparono furono quello alimentare, della lavorazione del cuoio e della produzione
della carta.

Lo Stato:

1. si sostituiva alla domanda privata nell’acquisti di beni e servizi, puntando sull’industria pesante
(comparti come quello siderurgico, metallurgico) anche a costo di sacrificare la produzione di
beni di consumo e utilizzando per reperire capitali una tassazione sui contadini.
2. costituiva ferrovie.
3. si impegnava ad attrarre capitali stranieri accogliendo imprenditori dall’estero che potessero
apportare tecniche produttive e denaro.
4. collaborava in maniera stretta con il sistema bancario nazionale, sia attraverso la Banca di
Stato (costituita nel 1860 e che nel 1897, dopo l’adesione della Russia al sistema del gold
standard diveniva istituto di emissione), sia attraverso salvataggi delle banche miste russe
(garantendo il soccorso ad istituti di credito che si trovavano in difficoltà).

16.4. LA SOCIETÀ GIAPPONESE E L’APERTURA ALL’OCCIDENTE

Il Giappone seppe far emergere una classe imprenditoriale, giovandosi dell’aiuto dell’Occidente dal
quale importò tecniche e assetti istituzionali, senza consentire però all’iniziativa straniera di sostituirsi
a quella nazionale.

A metà Ottocento il Giappone era ancora un Paese con una società ed economia chiuse guidate dallo
shogun (dittatore militare), una economia ancora feudale in cui vi erano i signori (daimyo) che per
conto dello shogun governavano sul territorio del paese aiutati dai samurai (uomini d’armi alle
dipendenze dei daimyo) e al di sotto vi era il popolo a cui era proibito cambiare la propria condizione.
In sintesi, una società costituita da caste impermeabili fra di loro.
Qualcosa inizia a cambiare nel 1854 quando gli Americani costrinsero il governo nipponico a stipulare
degli accordi commerciali con gli americani stessi.

Nel 1868 una parte dei signori feudali, una parte dei samurai, in collaborazione con alcuni occidentali
orchestra quello che passa alla storia come rivoluzione Maishi. Questo porta alla fine dello shogunato
e all’ascesa al trono dell’imperatore Mutushito che diviene simbolo di una e nuova classe al potere
costituita dai vecchi signori che decidono di orientare il Paese verso un nuovo percorso di sviluppo.

16.5. Le riforme e la modernizzazione del Giappone

Questa nuova classe dà vita alla rivoluzione Meiji (nel 1868) caratterizzata da importanti riforme
come l’abolizione del feudalesimo e l’avvio alla modernizzazione:

 Viene decretata la fine delle distinzioni fra classi;


 Le terre precedentemente nelle mani dei damyo vengono redistribuite;
 Investimenti statali in vari ambiti;

Contestualmente la popolazione giapponese aumenta e passa dai 32 milioni nel 1850 a 52 milioni nel
1913.

Comincia a diffondersi l’occidentalizzazione della società giapponese favorita dalla cultura


giapponese stessa (fondata sui valori del dovere, della realtà, della rettitudine) e si diffondono
all’interno del paese conoscenze e tecnologie già collaudate dai Paesi occidentali. Questo grazie sia
all’attrazione dei capitali stranieri, ma anche grazie a dei programmi di studi secondo cui i giovani
giapponesi dovevano formarsi presso università dei paesi occidentali.

Il principale obbiettivo era avviare il Giappone sulla strada dell’industrializzazione: un obiettivo che
viene raggiunto grazie a delle misure e degli interventi dello Stato che anche in questo ambito è
protagonista.

Lo Stato creò impianti pilota cioè strutture produttive che dovevano avviare la produzione del paese
in settori ritenuti strategici. Lo Stato doveva sostituirsi agli imprenditori, sostenere costi di avvio
dell’attività attraverso le finanze pubbliche e vendere questi impianti agli imprenditori che avrebbero
voluto proseguire quell’attività in quello specifico settore (permettere agli imprenditori privati di
entrare nel settore attraversando barriere meno significative).

Si costituivano gli zaibatsu (grandi gruppi industriali che davano vita a concentrazioni industriali che
comprendevano più industrie di più settori che potevano giovarsi di una certa protezione garantita
dalle barriere tariffarie imposte dallo Stato giapponese e dalle commesse statali per l’acquisizione di
prodotti e servizi da queste stesse imprese).

Lo Stato interveniva in ambito economico attraverso la costituzione della Banca del Giappone
(fondata nel 1882) a cui veniva affidato il monopolio di emissione e il compito di stabilizzare la
moneta; divenne fulcro (sulla scorta di ciò che avveniva in occidente) di un sistema bancario
caratterizzato dalla presenza di numerose banche commerciali di tipo misto, con una moneta che
come per i Paesi occidentali aderiva al gold standard (grazie all’indennità di guerra che la Cina
sconfitta doveva pagare al Giappone, la banca centrale poteva dotarsi di riserve auree che le
garantivano di aderire al sistema del gold standard avendo sufficiente oro a copertura delle moneta
emesse).

Quali sono quindi gli elementi decisivi nello sviluppo economico del Giappone?

1. Il ruolo dello Stato che agiva secondo diverse modalità;


2. L’ampia disponibilità di manodopera;
3. L’ampia disponibilità di capitali che si erano concentrati nelle mani dello Stato, dei grandi
proprietari terrieri e di quella nuova classe salita al potere (a seguito della rivoluzione Meiji);
4. L’ampia disponibilità sul mercato di una moderna tecnologia già collaudata dai Paesi
occidentali;
5. Un buon livello di istruzione;
6. L’esistenza di sbocchi commerciali all’estero.

Parte seconda: La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO DICIASSETTESIMO: L’UNITÀ D’ITALIA E L’ECONOMIA NAZIONALE

17.1. GLI OSTACOLI ALLO SVILUPPO ECONOMICO DELL’ITALIA

L’evoluzione italiana rispecchia per molti tratti quella tedesca (rispetto alla Germania l’Italia ebbe
però più difficoltà). L’Italia rimase ai margini dell’economia europea fino a dopo l’unificazione e perse
ancora molto terreno nei confronti del Paese d’oltremanica.

Il decollo industriale del Paese si verificò solo all’inizio del XX secolo, perché le condizioni necessarie
mancavano a causa di vari ostacoli:

 La popolazione cresceva lentamente e non permetteva di dare un impulso sia in ambito


agricolo che industriale;
 Era presente una dotazione fattoriale, perché i terreni della penisola erano poco fertili
e le risorse minerarie erano scarse;
 Scarsa disponibilità di capitale utili per alimentare il processo di industrializzazione
 Assenza di un mercato nazionale (sempre a causa della frammentazione)

17.2. LE RIFORME SETTECENTESCHE E NAPOLEONICHE

Nonostante questo ampio numero di problematiche anche in Italia intervennero alcuni cambiamenti
tra fine 700 e inizio 800:

 Ci fu un’abolizione delle corporazioni nel Granducato di Toscana e in Lombardia;


 Vennero soppresse le dogane interne quasi dappertutto fra il 1781 e il 1794
 Ci fu l’abolizione del regime feudale nel Regno di Napoli nel 1806 da parte di Giuseppe
Bonaparte (si procedeva con le ridistribuzioni delle terre ed altre numerose riforme
come l’introduzione del Codice Civile, del Codice di Commercio).

Dopo il Congresso di Vienna l’Italia era divisa in 7 stati: Regno delle due Sicilie, Regno di Sardegna,
Granducato di Toscana, Stato Pontificio, ducati di Modena e di Parma, Lombardo-Veneto

17.3. AGRICOLTURA E INDUSTRIA PRIMA DELL’UNITÀ


L’economia italiana era caratterizzata da una prevalenza dell’agricoltura: fra 1750-1800 si registrò un
aumento della produzione, specialmente di quella cerealicola ma al tempo stesso, con l’aumento
della popolazione la quantità di grano prodotto però, divenne insufficiente ai bisogni della
popolazione e l’Italia, da allora, diventò un Paese importatore di beni alimentari. Il riso alimentava
una discreta esportazione mentre importati per l’alimentazione dei contadini erano le produzioni di
granturco e di castagne.

– Nella prima metà del secolo XIX aumentarono le attività rivolte alla produzione di beni
destinati al mercato e in parte all’esportazione: importanti divennero le produzioni di
formaggi, l’allevamento di bovini, la bachicoltura (produzione di bachi da seta), la
produzione di canapa, vino, olio, agrumi.

Questo era possibile grazie ad una maggiore applicazione dei fattori lavoro e capitale in Pianura
Padana e in Piemonte dove andavano creandosi imprese di tipo capitalistico. Nell’Italia centrale e
meridionale continuavano a persistere vecchi schemi di organizzazione della produzione agricola
come la mezzadria (centro Italia) e il latifondo (meridione).

L’industria era ancora più arretrata dell’agricoltura a tal punto che l’Italia assunse in Europa un ruolo
marginale di Paese esportatore di prodotti alimentari e materie prime. Le sue esportazioni più
importanti riguardavano la seta, lo zolfo, il piombo e lo zinco. Era un’industria che non riusciva a
svilupparsi nell’ambito siderurgico a causa della mancanza del carbon fossile.

Qualche passo in avanti era compiuto solo in ambito cotoniero, dove iniziava la sostituzione del
putting-out sistem (lavoro a domicilio) con il sistema di fabbrica. Questo fu possibile grazie ai capitali
provenienti dalla svizzera diretti in tre nuclei produttivi presenti nel Paese dediti alla filatura del
cotone: quello lombardo, piemontese e salernitano.

Nonostante questi progressi, sia l’attività cotoniera che quella laniera continuavano ad essere
ostacolati nel loro sviluppo a causa della dipendenza dei fornitori stranieri che fornivano le materie
prime.

17.4. TRASPORTI E BANCHE

I problemi dell’Italia, come già detto erano legati alla frammentazione che portava all’impossibilità di
creare un unico mercato: la necessità della formazione di un mercato nazionale era avvertita dagli
stati preunitari che cercarono di creare accordi per seguire l’esempio tedesco dello Zollverein (unione
doganale che riuniva diversi stati per avviare il percorso di formazione di un mercato unico) portò al
tentativo di dar vita a un unione doganale (regno di sardegna, granducato di toscana e lo Stato
pontificio, un accordo naufragato ben presto a causa dello scoppio della prima guerra
d’indipendenza).

Le difficoltà del creare un mercato unico erano accompagnate anche dai problemi nell’ambito dai
trasporti e del sistema del credito (dovuti sempre alla frammentazione del Paese):

• I trasporti conseguivano pessimi risultati:


– nell’ambito dello sviluppo ferroviario, con linee frammentate a causa di motivi politici;
– qualche risultato veniva conseguito con la marina mercantile, anche se spesso le
imbarcazioni erano datate e caratterizzate da una tecnologia vecchia (spesso si trattava
di velieri e non di navi che cominciavano a dotarsi di motori e ad essere meglio
equipaggiate).
 Per quanto riguardava il credito, esistevano alcune banche in alcune città che erano del tutto
inadeguate a dare impulso all’attività economica.

Parte Seconda: La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO DICIOTTESIMO: L’ITALIA UNITA

18.1. L’ITALIA AL MOMENTO DELL’UNITÀ E IL DIVARIO NORD­­SUD

Un punto di svolta per l’Italia è rappresentata dal 1861, la data dell’unificazione nazionale, che
avveniva quando negli altri Paesi la rivoluzione aveva già preso piede

L’Italia si trovava in uno stato d’arretratezza, aggravato dall’insufficienza di capitali:

– L’agricoltura era complessivamente arretrata;

– L’industria era quasi inesistente;

– La rete ferroviaria molto limitata e frammenta;

– La marina era arretrata, costituita prevalentemente di velieri;

– Il sistema bancario del tutto inadeguato.

Ulteriore problema era il divario regionale tra le regioni del nord e quelle del sud. Già dai primi anni
dell’unificazione risultava evidente l’arretratezza del mezzogiorno e questo divario sarebbe andato
aumentando nel corso degli anni. Era un divario che si manifestava soprattutto nel prevalente settore
agricolo:

 l’agricoltura settentrionale che aveva il proprio punto di forza in aziende agrarie che
erano in grado di assicurare gli investimenti necessari per guardare ad un sviluppo del
settore primario in chiave moderna;
 un’agricoltura meridionale che si caratterizzava per una cerealicoltura e la pastorizia
transumante (ancorata a sistemi preindustriali).

Per quanto riguardava il settore secondario, era ancora basato sull’artigianato e sul lavoro a domicilio
e si caratterizzava per la presenza di pochi nuclei moderni sia a Nord che a Sud. Le industrie
meridionali oltretutto veniva colpite dalla nuova politica commerciale che il nuovo stato unitario
decideva di adottare. Il nuovo stato si apriva alle politiche del libero scambio e l’industria meridionale
si trovava esposta alla concorrenza dall’estero.

Un altro problema era il divario fra le regioni del Nord e del Sud che non erano complementari dal
punto di vista economico poiché dedite alle stesse tipologie di prodotti.
L’ incremento demografico del 40% che si verificava tra il 1861 e il 1911 era fiaccato dall’alto tasso di
analfabetizzazione.

18.2. L’UNIFICAZIONE DELLE STRUTTURE ECONOMICHE

Realizzata l’unificazione politica fu necessario unificare le strutture economiche del Paese, attraverso
un lungo processo in cui lo Stato, così come gli altri casi analizzati era costretto a prendere le redini.

a) Il primo passaggio era la dotazione di una moneta propria, caratterizzata da un sistema


bimetallico e che poteva essere emessa da tre banche di emissione: Banca Nazionale Toscana,
Banca Nazionale Sarda, Banca Toscana di Credito.

b) Il secondo passaggio fu l’unificazione debito pubblico da compiere per stimolare maggiore


fiducia nei confronti dei risparmiatori nazionali e stranieri; lo Stato decideva di farsi carico di
tutti i debiti degli Stati preunitari, volendo dimostrare di essere affidabile.

c) Ultimo passaggio la creazione di un mercato unico, attraverso l’unificazione doganale (attuato


tramite l’adozione della tariffa doganale piemontese.

18.3. LA SCELTA LIBEROSCAMBISTA E I SUOI EFFETTI

Tra il 1861 e il 1880 lo Stato interveniva in ambito economico per la costruzione di infrastrutture
necessarie allo sviluppo del Paese e orientando il Paese verso il libero scambio: scelta molto dibattuta
e molto rilevante in quanto, vi era la contrapposizione fra industriali per il protezionismo, proprietari
terrieri per il libero scambio.

Prevale l’idea dei proprietari terrieri, che l’Italia non avrebbe mai potuto competere con gli Stati più
industrializzati a causa della mancanza di materie prime, di capitali. Questa scelta aveva degli effetti
immediati:

1. Vi fu un raddoppio delle esportazioni;


2. Uno stimolo nella specializzazione dell’agricoltura;
3. Industria continuava ad essere minoritaria (tendeva a svilupparsi solo nelle zone del nord
Italia, mentre nelle regioni del sud, lo sviluppo tendeva ad essere tardivo).

18.4. IL RUOLO DELLO STATO E LE SUE FONTI DI FINANZIAMENTO

Lo Stato fece grandi sforzi nel tentativo di modernizzare il Paese soprattutto intervenendo nella
creazione di opere pubbliche (strade, creava e modernizzava porti, provvedeva alla costruzione della
ferrovia, modernizzava la marina e i servizi telegrafici e postali).

Per sostenere le proprie spese lo Stato fece ricorso a:

1. Entrate tributarie che crebbero grazie:


a) all’imposizione dei dazi di consumo;
b) alle imposte sui terreni sui fabbricati e sulla “ricchezza mobile” (imposta sul macinato che
diede luogo a notevoli tumulti in questo periodo);
2. Indebitamento pubblico, vennero emessi titoli sotto la pari (prezzo di vendita inferiore al
valore nominale);
3. Vendita dei beni demaniali (vendita di terreni e fabbricati di proprietà dello Stato o confiscati
agli enti ecclesiastici);
4. Introduzione del corso forzoso dei biglietti di banca (impossibilità di convertire le banconote in
metalli preziosi perché così sgravava le banche che potevano affrontare i prestiti con minori
pressioni).

18.5. LA CRISI AGRARIA E IL RITORNO AL PROTEZIONISMO

Il modello di sviluppo economico incentrato sulle esportazioni entrò in crisi quando l’Europa fu colpita
dalla crisi agraria europea. L’arrivo del grano russo e americano sui mercati europei provocava una
riduzione dei prezzi agricoli nel vecchio continente.

Le conseguenze prevedevano:

 una diminuzione della produzione;


 una riduzione della superfice agricola coltivata
 spingeva gli industriali a coalizzarsi per chiedere una reintroduzione di misure
protezioniste.

Crisi agraria e crescita industriale crearono una coalizione tra industriali e proprietari terrieri che
chiesero a gran voce un ritorno al protezionismo che avvenne nel 1887 con l’introduzione di una
tariffa fortemente protezionistica

18.6. LA CRISI BANCARIA

Nel periodo che va dal 1888 al 1894 il Paese venne scosso da una profonda crisi economica e
bancaria. Questa crisi era legata alle speculazioni edilizie verso cui i capitali provenienti dall’estero
erano stati diretti e che portarono al fallimento di numerose banche di credito immobiliare (che fino a
quel momento avevano accompagnato lo sviluppo eonomico del Paese).

Anche in questo caso, lo Stato intervenne con cospicui finanziamenti attraverso una legge del 1893
che portava alla riduzione a tre istituti di emissione:

 la Banca d’Italia;
 il Banco di Napoli;
 il Banco di Sicilia.

Contestualmente le banche di credito immobiliare vennero sostituite da alcune banche miste che poi
avrebbero rappresentato lo scheletro fondamentale del sistema bancario italiano negli anni
successivi.

18.7. IL DECOLLO

Dopo il 1896 fino al 1907 l’Italia riprese a crescere rapidamente:

 l’agricoltura poté giovarsi dei prezzi elevati e della formazione di buoni mercati di
consumo in tutta la Penisola;
 l’industria conobbe uno sviluppo di tutti i rami: si concentrò in tre regioni quali il
Piemonte, la Lombardia e la Liguria (triangolo industriale italiano). L’industria della seta
conservava una quota rilevante del mercato mondiale e garantiva all’Italia canali
importanti sui mercati internazionali che permettevano accumulazione di capitali (che a
loro volta potevano essere investiti in altri rami dell’industria). L’industria siderurgica
grazie all’appoggio dello Stato e alla formazione di un cartello conosceva una notevole
espansione. L’industria meccanica, chimica ed elettrica furono altri tre settori che
permettevano assieme ai settori più importanti di avviarsi definitivamente verso la
rivoluzione industriale.
 I commerci aumentavano in misura considerevole seppur la Bilancia commerciale del
Paese rimanesse negativa, il cui disavanzo veniva colmato solo dalle rimesse dei
migranti.

18.8. FATTORI DI SVILUPPO E PUNTI OSCURI DELL’ECONOMIA ITALIANA

In sintesi, quali sono quindi i fattori che caratterizzano lo sviluppo economico italiano fra la seconda
metà dell’800 e l’inizio del 900?

1. il ruolo dello Stato, si parla infatti di “capitalismo di Stato”;


2. il ruolo delle banche che intervengono in maniera consistente per finanziare le imprese, le
industrie prima attraverso gli istituti di credito mobiliare e poi attraverso le banche miste;
3. il protezionismo;
4. gli investimenti esteri;
5. i bassi salari (una manodopera disponibile in grande quantità e a costi contenuti);

Nonostante questo sviluppo intenso (in particolare nell’età giolittiana) le condizioni della popolazione
continuavano ad essere più difficili di quelle degli altri Paesi industrializzati.

Continuerà ad essere un grande ostacolo allo sviluppo del Paese il divario fra Nord e Sud.

Lezione 7

Parte seconda: La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO DICIANNOVESIMO: LA PRIMA GUERRA MONDIALE E LE SUE CONSEGUENZE

19.1. LA GRANDE GUERRA

Nell’estate del 1914 scoppiò la Prima guerra mondiale (definita anche Grande guerra) che vide
contrapposti due schieramenti: l’Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia) e gli Imperi Centrali
(Germania e Austro-Ungheria)

Successivamente entrarono in guerra altri Paesi:

– L’Impero turco che si schierò con gli Imperi Centrali;

– Il Giappone, l’Italia (1915) e gli Stati Uniti (1917) che si schierarono con l’Intesa.

Il conflitto fu scatenato da rivalità politiche, economiche e militari.


1. Un fattore scatenante fu la crescita economica tedesca (abbiamo infatti analizzato la
Germania, sottolineando come quest’ultima abbia raggiunto, dopo l’unificazione, i livelli
del Paese leader in termini di PIL e produzione industriale);

2. Un secondo fattore scatenante fu la rivalità fra Russia e Germania (due potenze che
erano proiettate berso una grande crescita);

3. Ultimo fattore fu la Questione balcanica (era ancora oggetto delle mire delle diverse
potenze europee che desideravano espandere la propria potenza politica ed economica
sulla regione).

Fu così che il 28 giugno 1914 l’arciduca erede al trono di Ungheria, veniva assassinato con sua moglie
a Sarajevo.

Un mese più tardi, il 28 luglio del 1914 l’Austro-Ungheria dichiarava guerra alla Serbia trascinando nel
conflitto anche le altre potenze e gli schieramenti già definiti.

Questa guerra nasceva in principio come una guerra lampo che non avrebbe dovuto impegnare
troppo a lungo le diverse potenze coinvolte. Questa idea si rivelò ben presto un’illusione e la Grande
Guerra si presentava come una guerra di logoramento durata dal 14 al 18 con la Germania che dopo
aver invaso il Belgio si insediava sul fronte occidentale francese. Dopo questo, la guerra diveniva una
guerra combattuta nelle trincee.

Alcuni studiosi definiscono la Prima guerra mondiale come la Prima guerra del mondo
industrializzato. Tutti i Paesi erano impreparati e si trovavano difronte ad un conflitto in cui
bisognava incrementare la produzione per affrontare e vincere la guerra (la distribuzione dei
carburanti e dei generi alimentari). Di fronte all’importanza che assumeva tutto l’apparato
distributivo, i due schieramenti adottavano tecniche commerciali che ostacolassero l’organizzazione
del nemico in questo sforzo produttivo. L’Intesa proponeva un blocco continentale, gli Imperi Centrali
avviavano una guerra sottomarina per isolare i rifornimenti di tutti i Paesi dell’intesa provenienti dalla
Gran Bretagna.

19.2. L’ECONOMIA DI GUERRA E IL COSTO DEL CONFLITTO

Non appena scoppiò la guerra, i governi dichiararono:

 l’inconvertibilità dei biglietti di banca (banconote) in monete metalliche;


 l’introduzione del corso forzoso: si poneva fine al sistema monetario del gold standard;
 la chiusura delle Borse con l’intento di limitare le speculazioni sui titoli;

Inoltre vennero creati una serie di organismi governativi che in maniera centralizzata dovevano
procurare le materie prime e gestire i rifornimenti e tutto ciò che serviva agli eserciti occupati al
fronte. Per evitare che di fronte alla scarsità dei beni alimentari si verificasse una spirale inflattiva,
venne creata la possibilità di introdurre un calmiere.

Tutte queste misure, parallelamente portarono nell’economia reale allo sviluppò del mercato nero
(che andava ad alimentare dei facili guadagni soprattutto per chi disponeva di questi beni di prima
necessità).
Per sostenere questo sforzo si dovette giungere al razionamento dei generi di prima necessità e
ricerca dell’aumento della produzione agricola. Erano soprattutto i prodotti alimentari a mancare e a
dover essere reperiti ma anche altri prodotti (prodotti succedanei, alternativi che in precedenza
potevano essere importati - l’imposizione del blocco)

Lo Stato si impose maggior acquirente di molti beni e orientò l’intero apparato economico e
produttivo. Intervenne aumentando le proprie possibilità di finanziamento tramite:

1. Aumento delle imposte;


2. Aumento del debito pubblico;
3. Contraendo prestiti delle banche di emissione e prestiti interalleati. Questo sforzo volto a
reperire nuovi capitali venne fatto dallo Stato per acquistare i prodotti dell’industria nazionale,
divenendo così il maggior acquirente di beni, prodotti e servizi e favoriva fenomeni di
concentrazione industriale (concentrazione delle imprese).

19.3. LE CONSEGUENZE DIRETTE DELLA GUERRA

Possiamo distinguere conseguenze dirette ed indirette in ambito economico della Guerra mondiale.

Fra le conseguenze dirette troviamo:

1. 9 milioni di morti, quindi danni umani;

2. Ingenti danni materiali di cui soffrivano i territori in cui si era combattuto (pensiamo alle
trincee del fronte occidentale francese);

3. La sostituzione del lavoro maschile con quello femminile (con gli uomini impegnati nei
combattimenti e con la necessità di dover incrementare la produttività delle industrie e
dell’agricoltura bisognava trovare una forza alternativa: diventa comune guardare le donne
che guidano tram, donne impiegate in ruoli prima svolti dagli uomini);

4. Il pesante intervento dello Stato nell’economia;

5. La diffusione di nuovi processi produttivi (per risparmiare tempo e manodopera: per esempio
la catena di montaggio);

6. Un forte impulso per ricerca scientifica;

7. I facili arricchimenti (dati dal mercato nero).

19.4. LE CONSEGUENZE INDIRETTE DELLA GUERRA

Le conseguenze indirette della Guerra sono:

1. La crisi di riconversione (1920-21)


Con il ritorno alla pace nel 1918 era necessario ricreare una economia di pace. Era necessario:
fare ritorno ad una industria civile. Anche in questo caso vi fu un periodo di sovrapproduzione
(diminuzione prezzi, incremento magazzino, chiusura fabbriche);
2. L’inflazione che si sviluppa nel dopoguerra a causa di:
 un innalzamento dei costi di produzione;
 una diminuzione dell’offerta di beni
 un forte incremento dei biglietti di banca e di stato messi in circolazione
 l’inflazione provocò una violenta redistribuzione della ricchezza
3. La nascita di un nuovo sistema monetario denominato Gold exchange standard:
Problema: riserve auree non erano più sufficienti
Soluzione: i biglietti di banca potevano essere convertiti in diverse monete estere, a loro volta
convertibili in oro.
4. I debiti interalleati: per finanziare lo sforzo bellico, si faceva ricorso a prestiti da parte dei
Paesi alleati e gli Stati Uniti e Gran Bretagna assunsero la posizione di creditori. Concluso il
conflitto ci furono una serie di difficoltà nel saldarli.

• Venivano imposte riparazioni di guerra erano a carico della Germania:

– i francesi occupando insieme al Belgio il bacino della Ruhr (un’importate bacino


carbonifero che rappresentava una regione e poteva garantire importanti risorse per il
processo di industrializzazione).

– Nel 1924 veniva varato il piano Dawes, con cui veniva ridotto il costo delle rate, anche
se rimaneva immutato l’ammontare complessivo.

– Nel 1929 (pre-crisi) viene varato il piano Young che riduceva il debito complessivo con
cui la Germania doveva fare i conti;

– Nel 1929, (post-crisi) veniva decretata una moratoria dei debiti tedeschi (cioè veniva
completamente eliminati i debiti tedeschi).

19.5. I MUTAMENTI STRUTTURALI DELL’ECONOMIA

La prima guerra mondiale comporta come mutamenti strutturali dell’economia:

 Un forte intervento dello Stato nell’economia.


 La perdita dell’egemonia politica ed economica dell’Europa che venne conquistata da paesi
come gli USA e il Giappone. Mentre, i Paesi del Vecchio Continente dovevano fare i conti:
 con i danni causati dal conflitto;
 e il frazionamento politico ed economico.

Parte Seconda-La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO VENTESIMO: L’UNIONE SOVIETICA

20.1. LA RIVOLUZIONE E IL COMUNISMO DI GUERRA

Nel febbraio 1917 (ma marzo per il calendario adottato in occidente) scoppia la rivoluzione in Russia.

Intanto si rafforzava il partito bolscevico, poi detto comunista, sotto la guida di Nikolaj Lenin che
aveva come programma la fine della guerra senza annessioni né indennità, il diritto di
autodeterminazione dei popoli, distribuzione delle terre ai contadini, controllo degli operai sulle
fabbriche.
I comunisti (partito bolscevico) conquistarono il potere con la rivoluzione di ottobre nel 1917
(novembre per il calendario gregoriano). Viene stipulata la pace con la Germania, quindi esce dal
conflitto mondiale per entrare in un conflitto interno, una guerra civile al termine della quale nel
1922 si costituiva l’unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS). In questa guerra civile si
fronteggiavano: l’armata rossa e quella bianca (vincitrice).

La realizzazione del socialismo in Russia passò attraverso tre fasi distinte:

1. Fase del comunismo di guerra;


2. Fase della nuova politica economica (la NEP);
3. Fase della pianificazione.

Il comunismo di guerra venne realizzato fra il (1917-21) mentre si stava sviluppando la guerra civile
che vedeva contrapporsi l’armata rossa a quella bianca.

Il comunismo di guerra prevedeva:

 L’abolizione della proprietà privata delle terre: vennero sottratte le terre ai nobili e alla
corona, divennero statali ed assegnate ai Soviet;
 La requisizione forzata dei generi alimentari in eccedenza per rifornire le città, quei
generi alimentari non destinati all’autoconsumo e che sarebbero stati destinati al
mercato, venivano requisiti dallo Stato per rifornire le città.
 Si decideva per la nazionalizzazione delle industrie e delle banche che vennero
assorbite dalla Banca di Stato.

20.2. LA NUOVA POLITICA ECONOMICA

La Nuova politica economica venne varata da Lenin fra il 1921-1928. Dopo il comunismo di guerra
venne varata una Nuova politica economica.

• Per quanto riguardava il settore agricolo:

– Venne abolito l’obbligo di cedere le eccedenze;

– Venne ristabilito il mercato libero;

– Prevedeva che i contadini venissero suddividersi in 4 categorie: il proletariato rurale, i


contadini poveri, i contadini medi e i kulaki (contadini ricchi);

• Per quanto riguardava il settore industriale vide il crearsi di:

– Un blocco privato: piccole medie imprese che fornivano il 5% della produzione


nazionale;

– Un blocco pubblico: grandi imprese pubbliche a gestione decentralizzata;

• Il commercio interno venne liberalizzato e permise la creazione di una vastissima rete di punti
vendita;

• Il commercio estero rimase di competenza dello Stato, sotto il controllo pubblico;


• Il sistema bancario e monetario venne ricostituito: venne fondata una nuova Banca di Stato, la
Gosbank (una monobanca) che poteva emettere il nuovo rublo (questa moneta non aderisca al
gold exchange standard.

Si costituirono diverse tipologie di istituti di credito che ruotavano attorno alla Gosbank:

 Banche specializzate in forme particolari di credito (nel credito alle industrie, nel credito
a favore dell’elettrificazione)
 Casse di risparmio;
 Rete di cooperative di credito.

20.3. LA PIANIFICAZIONE

Nel 1924 la morte di Lenin portò ad una lotta per la successione fra Josif Stalin e Lev Trockij.

Fra questi due schieramenti prevalse l’idea di Stalin che, nel 1928, promosse l’economia pianificata.
Stalin considerò conclusa la fase della NEP e diede inizio alla nuova economia pianificata.

1. In ambito agricolo venne attivata una rapida collettivizzazione delle terre con lo scopo di
creare aziende di vaste dimensioni e favorire ingresso delle macchine e incremento della
produttività. Il portare avanti questa collettivizzazione delle terre portò allo scontro fra i kulaki
e i nepmen (le figure che avevano preso piede durante la fase della NEP). Vennero quindi
create due tipologie di aziende agricole:

– i kolschoz (cooperative volontarie: si conferisce la terra ad aziende collettive in cui si


radunano contadini per una gestione comune delle terre);

– i sovchoz (aziende di proprietà statali in cui i contadini sono dipendenti pubblici).

2. In ambito commerciale ed industriale, vi fu eliminazione graduale del settore privato e


introduzione della pianificazione;

Attività economica venne completamente pianificata. Lo Stato creava:

 Un nuovo comitato denominato Gosplan: doveva preparare i piani quinquennali e


controllare che fossero attuati;

– Creava sia piani generali che piani per ciascun settore e ciascuna fabbrica;

– Importava Tecnologia dagli USA;

Il Gosplan, fino al 1941 varòi tre piani quinquennali: i primi due furono in grado di ottenere buoni
risultati in termini di industrializzazione del Paese; il terzo piano non venne mai portato a termine per
lo scoppio della Seconda guerra mondiale in cui anche la Russia venne coinvolta.

Parte Seconda- La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO VENTUNESIMO - LA GRANDE DEPRESSIONE

21.1. L’ESPANSIONE DEGLI ANNI VENTI NEGLI STATI UNITI


Conclusa la Prima guerra mondiale e la Crisi di riconversione fra il 1922 e il 1929 si aprivano i felici
anni Venti per gli USA che conobbero un periodo di prosperità:

– Il mercato interno era in continua espansione;

– Lo sviluppo della vendita a rate;

– La diffusione della pubblicità commerciale;

L’elemento di punta per questa fase di prosperità americano fu il ramo automobilistico in evidente
espansione grazie al diffondersi dei principi della produzione di massa. In più, la fabbricazione di un
grande numero di automobili stimolava anche altri settori (petrolio, gomma, vetro, ecc.) ed era anche
in grado di stimolare la costruzione di nuove strade.

Altre industrie in grande espansione furono quelle elettrica e chimica.

Gli Stati Uniti perseguivano una politica isolazionista, perseguita tramite l’introduzione di elevati dazi
doganali ai quali gli altri Paesi rispondevano in egual misura.

21.2. LA LENTA CRESCITA DELL’EUROPA

Mentre gli Stati Uniti vivevano una fase positiva, alcuni Paesi dell’Europa erano ancora impegnati
nella ripresa dopo la Prima guerra mondiale.

 La Gran Bretagna sperimentava una crescita lenta che presentava difficoltà che erano già
emerse prima della guerra:
 La prima difficoltà era rappresentata dalla saturazione dei mercati dall’esportazione;
 La seconda difficoltà era rappresentata dalla sopravalutazione della sterlina (una
moneta che diveniva disincentivo all’esportazione e faticava nel tenere testa al dollaro,
adottata come moneta di riferimento nei pagamenti internazionali).
 La Germania era afflitta dalle riparazioni di guerra, veniva obbligata a cedere gran parte del
ricavato del proprio export, perdeva il 13% del territorio, un territorio ricco di materie prime
che avrebbe potuto aiutare il Paese ad alzarsi dai danni del conflitto. Solo dopo la
stabilizzazione del marco, si poté attrarre l’affluenza di capitali stranieri che permettevano alla
produzione di tornare ai livelli prebellici.
 La Francia realizzava i progressi migliori: vedeva l’aumento della produzione industriale del
40%, del PIL pro capite del 35% e anche un aumento delle esportazioni. Le ragioni di questi
progressi erano dovute al recupero dell’Alsazia e della Lorena (ottenute come risarcimento
della Germania) e alla stabilizzazione del franco che permetteva alle esportazioni di crescere.

21.3. IN ITALIA: BATTAGLIA DEL GRANO, BONIFICHE E STABILIZZAZIONE DELLA LIRA

L’Italia approfittò della congiuntura positiva degli anni Venti. Dopo il biennio rosso (1919-20) i fascisti
prendevano il potere con la Marcia su Roma e nel 1924, in seguito all’assassinio di Giacomo
Matteotti, venne instaurata la dittatura.

Il nuovo governo realizzava il pareggio del bilancio statale e dava spazio alla libera iniziativa
avvantaggiando industriali e proprietari terrieri; tuttavia la bilancia commerciale rimase in passivo a
fronte della cronica mancanza di materie prime che l’Italia non possedeva ed era costretta a
richiedere all’estero.

Nel 1925 si avviava la battaglia del grano per provare ad incrementare la produzione di frumento e
ridurre la dipendenza dalle importazioni. Nonostante questa battaglia, i risultati furono deludenti: le
importazioni continuarono ad aumentare e conseguentemente la domanda di valute estere per poter
pagare queste importazione, determinava il progressivo peggioramento del cambio della lira rispetto
ad altre monete.

Nel 1927 il governo decise di intervenire per stabilizzare il valore della lira: il valore della lira veniva
fissato per far sì che il cambio con la sterlina raggiungesse la cosiddetta “Quota 90”. Questa misura
aggravava la situazione di import-export:

• Le esportazioni furono scoraggiate perché con una moneta più forte era difficile per i
Paesi stranieri recarsi in Italia per acquistare prodotti;

• Le importazioni invece, potevano ancora essere incoraggiate.

Nel 1926 il governo diede vita ad un sistema con un’unica banca di emissione, la Banca d’Italia,
l’unica a poter emettere banconote.

Anche l’Italia ebbe così un unico istituto di emissione incaricato di assicurare la stabilità monetaria e
di svolgere compiti di vigilanza sull’intero sistema bancario nazionale (sulle altre banche).

23.4. LA CRISI DEL ’29

L’economia mondiale presentava alcuni squilibri fondamentali:

 Una sovrapproduzione cronica, che era una eredità della Prima guerra mondiale e della Crisi di
Riconversione. Quindi continuava a persistere una sovrapproduzione che come conseguenza
portò la disoccupazione a livelli elevati.
 Il forte isolazionismo degli USA che rifiutavano ruolo di leader dell’economia mondiale.

Nell’ottobre del 1929, proprio in America, si manifestò una grave crisi borsistica cui fece seguito una
depressione durata alcuni anni. Dopo diversi anni in cui i valori dei tioli azionari erano continuati a
crescere (anche per effetto di una speculazione finanziaria), al manifestarsi di alcuni dati di
arretramento dell’economia si scatenò il panico sulla piazza di Wall Street. Alcuni investitori decisero
di vendere in massa i propri titoli generando una caduta dei valori della Borsa che si concretizzava nei
cosiddetti giovedì 24/10 e martedì 29/10 del 1929).

23.5. LA DEPRESSIONE NEGLI STATI UNITI E IN EUROPA

La speculazione borsistica portò ad un aumento della produzione. Successivamente, per via della crisi,
sorsero numerosi problemi:

1. Molte fabbriche chiusero e la disoccupazione iniziò a dilagare;


2. Migliaia di banche fallirono (poiché le fabbriche alle quali negli anni precedenti avevano
concesso prestiti, con la chiusura, non poterono restituirli);
3. Il governo dovette intervenire per salvare le banche più solide e sottopose la Borsa al controllo
di un apposito ente (la security exchanged commission);
4. L’agricoltura venne colpita a causa del crollo dei prezzi;
5. E fra il 1929 e il 1932 la produzione industriale scese del 38% e con lei anche il Pil pro capite del
29%.

La depressione si diffuse dappertutto.

La Germania fu il paese europeo maggiormente colpito: uscì dalla Guerra indebitata e aveva fatto leva
su numerosi prestiti agli Stati Uniti per poter rilanciare la propria economia dopo la stabilizzazione del
marco. Di fronte allo scatenarsi della Crisi, molti investitori americani scelsero di richiamare il capitale
in patria: questa scelta mise in difficoltà le banche tedesche.

I Tedeschi furono salvati dalla “moratoria Hoover”, con cui vennero cancellati tutti i debiti derivanti
delle riparazioni di guerra.

Parte Seconda-La seconda rivoluzione industriale (1850-1950)

CAPITOLO VENTIDUESIMO: LE POLITICHE CONTRO LA DEPRESSIONE

22.1. IL DEFICIT SPENDING

I Paesi colpiti dalla depressione, adottarono quasi tutti politiche ispirate ai principi keynesiani che
prevedevano un maggiore intervento dello Stato in economia.

Per contrastare la diminuzione dei prezzi ricorsero tutti a un inasprimento della politica
protezionistica.

 Gli Stati Uniti aumentarono i dazi d’importazione in media al 60% provocando reazioni di
rappresaglia da parte degli altri paesi.
 La Gran Bretagna, la Francia e il Giappone incrementarono gli scambi con i loro possedimenti e
cercarono di far fronte alla crisi stringendo rapporti commerciali più intensi all’interno delle
aree che controllavano.

I governi si convinsero con ritardo che era necessario sostenere la domanda globale dei prodotti, sia
interna che internazionale.

La domanda interna→ fu aumentata con la politica del deficit spending, che si rifaceva alle teorie di
Keynes, ricorrendo all’indebitamento per sostituire la domanda privata con quella pubblica. Furono
avviati dappertutto grandi lavori pubblici che assicuravano un salario ai lavoratori.

22.2. LE SVALUTAZIONI COMPETITIVE

Il sostegno alla domanda interna non bastava, era necessario stimolare la domanda estera.

La domanda estera→fu aumentata con le svalutazioni competitive, vale a dire un ribasso dei prezzi
espressi in valuta estera attraverso la svalutazione della propria moneta.
Nel 1931 il governo britannico decise di dichiarare l’inconvertibilità della sterlina, che era stata
sottoposta a pressioni dagli altri paesi che avevano deciso di cambiare in oro le riserve che
detenevano in sterline. La Banca d’Inghilterra non cambiò più la sterlina alla parità con l’oro e lasciò
che il suo valore fosse liberamente determinato dal mercato sulla base della domanda e dell’offerta
di sterline. La domanda di sterline diminuì e la moneta inglese perse il 30% del suo valore.

La sterlina usciva così dal gold exchange standard.


Il dollaro fu svalutato del 41% e la moneta statunitense fu dichiarata inconvertibile.
Tutti i paesi svalutarono le proprie monete e uscirono progressivamente dal gold exchange standard

– 1931 Inghilterra
– 1934 USA
– 1935-36: Francia, Italia, Belgio
Alla fine tutte le monete erano state svalutate e nessuno godeva dei relativi vantaggi. Alla vigilia della
WWII non esistevano più monete convertibili in oro.
22.3. L’INTERVENTO STATALE NEGLI STATI UNITI: IL NEW DEAL

Le misure ricordate determinarono una forte ripresa dell’intervento dello Stato nell’economia. Negli
Stati Uniti fu attuato con il New Deal del nuovo presidente Roosvelt, che prevedeva una serie di
misure in diversi campi:

 Nel settore industriale, fu approvata una legge, il Nira (National Industrial Recovery Act). Si
favorì la concentrazione delle imprese per diminuire i costi, e si fissarono per ogni ramo
industriale dei codici, che fissavano i prezzi, i salari e l’orario di lavoro. Lo scopo era quello di
rilanciare l’attività produttiva ed evitare la sovrapproduzione.

 Nel settore agricolo, il governo americano ritirò le eccedenze dal mercato e concesse sussidi a
chi riduceva le terre coltivate, nonché un’indennità a chi lasciava i propri campi a maggese o vi
coltivava leguminose.
 In campo bancario una legge pose fine alle banche miste e stabilì una netta distinzione fra
banche commerciali e banche d’investimento.
 Venne creato un piano di sviluppo della valle del Tennessee e fu avviato un vasto piano di
lavori pubblici.
22.4. L’INTERVENTO STATALE NEI PAESI EUROPEI

 La Gran Bretagna incoraggiò le fusioni di imprese e la razionalizzazione dei settori in crisi. Il


governo incentivò con sussidi la creazione di fabbriche nelle zone depresse.
 In Francia si puntò su un incremento dei salari, in seguito agli accordi fra imprenditori e
lavoratori (come la riduzione della settimana lavorativa e una politica di grandi opere
pubbliche che avevano lo scopo di ridurre la disoccupazione).
 In Germania il nuovo governo nazista di Adolf Hitler, introdusse piani quadriennali.
 Il primo piano: ridurre la disoccupazione mediante lavori pubblici e favorendo la
concentrazione industriale.
 Il secondo piano puntò sulla realizzazione dell’autarchia (vale a dire
dell’autosufficienza economica), ma il suo reale obbiettivo era il riarmo della
Germania.
 In Italia l’intervento dello Stato fu particolarmente deciso e si orientò verso l’autarchia.
 Nel settore industriale si favorirono la concentrazione e varie forme di consorzi e di
intese per ridurre la concorrenza e i costi di produzione.
 Furono inoltre realizzate numerose opere pubbliche e concessi assegni familiari ai
lavoratori e si estesero le assicurazioni sociali.
 Le banche miste vennero salvate dallo Stato
Nel 1933 fu costituito l’Iri (istituto per la ricostruzione industriale):
 Obiettivo dello Stato → risanare e rivedere le partecipazioni industriali a privati.
 Realtà → lo Stato non riuscì a raggiungere l’obiettivo, perciò dovette conservare i
pacchetti azionari e costituire diverse holding per gestirli (es. Fincantieri, Fin
meccanica).
Nel 1936 con una legge bancaria si metteva fine alla banca mista e si riorganizzava la Banca
d’Italia.
22.5. LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Molto più della prima questa fu una guerra “mondiale”.
Questa volta la guerra fu preparata:
 scoppiò nel 1939 →dopo l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, la
Francia e la Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania;
 nel 1940-1941 Russia e Stati Uniti si schierarono contro la Germania mentre Italia e
Giappone invece si allearono con essa (Germania).

La capacità produttiva dei belligeranti fu determinante e la produzione industriale crebbe


enormemente. L’organizzazione dell’economia di guerra fu accuratamente preparata.
Gli Alleati attuarono nuovamente il blocco contro la Germania.

L’evoluzione tecnica subì una forte accelerazione in tutti i campi ma soprattutto in quello della
chimica. Fu inventato il radar e si portarono avanti sperimentazioni sui razzi e sull’utilizzazione
dell’energia atomica.
Il costo della guerra fu 5 volte quello della Prima guerra mondiale, fu finanziato con l’imposizione
fiscale, il debito pubblico e i debiti con le banche e interalleati grazie ai quali gli Stati Uniti si
arricchirono notevolmente.
Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)
CAPITOLO VENTITREESIMO - UNA NUOVA RIVOLUZIONE: I PROBLEMI DEMOGRAFICI
23.1. I CARATTERI DELL’ECONOMIA CONTEMPORANEA
L’elemento più caratteristico del periodo è la terziarizzazione dell’economia.
Possiamo dividere il periodo in esame in due fasi:

1. prima fase: di vigorosa espansione → effettuata rapidamente la ricostruzione, prese avvio una
lunga fase di sviluppo (elevata crescita economica, conquiste tecnologiche, popolazione in
aumento);
2. seconda fase (a partire dagli anni Settanta): l’economia mondiale rallentò senza però
esaurirsi, anzi molti paesi asiatici, fra i quali spiccano la Cina e l’India fecero registrare una
crescita straordinaria e un miglioramento delle condizioni di vita.
Altra caratteristica del periodo fu la contrapposizione fra due modelli economici:
 l’economia di mercato (USA);
 l’economia pianificata (URSS).

Si trattò di una vera sfida fra sistemi economici e politici diversi, condotta sotto la guida delle due
superpotenze dell’epoca, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Il crollo dell’economia pianificata segnò il
predominio dell’economia di mercato.
23.2. L’ESPLOSIONE DEMOGRAFICA
La popolazione mondiale non è mai cresciuta come negli ultimi sessanta anni.
 L’Africa ha visto una crescita impetuosa;
 L’Europa ha visto il declino.
Il regime demografico moderno si è ormai affermato nella maggior parte del mondo:
 vita media: 80 anni;
 necessità di mantenere classi di età non produttive o poco produttive;
 profonde trasformazioni nel nucleo familiare (la famiglia del XXI secolo è composta
mediamente da tre unità).

Le cause del forte incremento demografico sono:


 i progressi della medicina e della chirurgia (si sono diffusi nuovi medicinali, si è diffuso
l’uso dei vaccini, ma soprattutto si sono diffusi i trapianti di organi);
 la forte diminuzione delle epidemie.
23.3. URBANESIMO E GRANDI MIGRAZIONI

All’inizio del XXI secolo si sono formati enormi agglomerati urbani.

Le migrazioni hanno assunto nuove caratteristiche:

1. con la Comunità economica europea (1958) si è verificata una forte corrente migratoria dai
paesi del Mediterraneo verso quelli dell’Europa centrale e settentrionale (fino agli anni 70).
2. negli ultimi decenni del XX secolo, nei paesi dell’Europa occidentale risultava difficile reperire
manodopera per lo svolgimento di lavori domestici o per l’assistenza agli anziani o per
effettuare lavori pesanti, divenne perciò necessario accogliere immigrati.
3. gli Stati Uniti nel 1965 approvarono una nuova legge sull’immigrazione che eliminò il sistema
delle quote (anni 20) stimolando enormemente l’ingresso degli emigrati (da America Latina e
Asia).

Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO - UNA NUOVA RIVOLUZIONE: I SETTORI PRODUTTIVI

24.1. AGRICOLTURA E MEZZI DI SUSSISTENZA


La produzione agricola è aumentata grazie all’introduzione di nuove macchine e all’uso sempre più
esteso di insetticidi e di fertilizzanti, all’introduzione di nuovi metodi di allevamento e di nuove
varietà di grano, mais e riso, nonché mediante la diffusione dell’irrigazione.

Dopo la guerra il numero degli addetti all’agricoltura diminuì, fino a portarsi nei paesi
maggiormente sviluppati, sotto il 5% della popolazione attiva. L’incremento riguardò soprattutto i
paesi asiatici. Nei paesi ricchi si diffuse l’obesità.

Gli effetti furono diversi nelle varie aree del mondo:


 Nei paesi industrializzati la produzione agricola divenne eccedente e i prezzi mostrarono una
tendenza a diminuire.
 Nei paesi asiatici la produzione riuscì a soddisfare le esigenze della popolazione.

 Nell’Unione Sovietica e nei paesi orientali vi fu un iniziale incremento della produzione agricola
e dopo gli anni ‘70, un crollo che li costrinse a importare generi alimentari dall’estero.
 Nei paesi più poveri (Africa), si andò spesso incontro a crisi alimentari e periodi più o meno
lunghi di malnutrizione.
24.2. INDUSTRIA E TECNOLOGIA

Lo sviluppo industriale fu condizionato dal progresso della scienza e della tecnica.

 La metallurgia si rinnovò profondamente e si diffuse la produzione di leghe leggere.


 L’industria chimica iniziò a produrre fibre artificiali e sintetiche e numerose materie
plastiche che pian piano sostituirono il metallo in molti settori.
 L’industria elettrica diventò indispensabile, oggi l’elettricità è ottenuta per due terzi da
centrali termiche e per il resto in parti quasi uguali da centrali idroelettriche e nucleari. Il
petrolio continuò ad alimentare numerosi metodi di trazione e diverse macchine che lo
utilizzano per la combustione. Anche l’estrazione del gas naturale (Cina e Stati Uniti)
costituisce un importante fonte di energia.
 L’industria automobilistica è diventata l’industria simbolo di questo periodo:
l’utilizzazione delle autovetture richiede→l’esistenza di un efficiente rete stradale (ciò
diede impulso alla costruzione di grandi autostrade).
 L’industria aereonautica produsse una gran quantità di aerei sia per scopi commerciali
che turistici (costruzione di aeroporti in tutto il mondo).

Tra le nuove industrie:


 le centrali nucleari, che producono energia elettrica attraverso l’utilizzo di uranio
arricchito;
 le industrie aereospaziali che determinarono una lotta per la conquista dello spazio che
contrappose Stati Uniti e Unione Sovietica.
24.3. LA RIVOLUZIONE INFORMATICA

Le innovazioni più rivoluzionarie ebbero luogo nel campo dell’elettronica. Le scoperte fondamentali
furono: 1) il diodo e il triodo ai quali si affiancò nel 1948 quella del transistor; 2) vi fu una tendenza
crescente alla miniaturizzazione e alla produzione di microelettronica.

Lo sviluppo dell’elettronica è associato a quello del calcolatore e dell’informatica:

 anni ’40 → primo calcolatore (con il grande elaboratore);


 anni ’70 → minielaboratori;
 anni ’80 → microelaboratori (personal computer).
La rivoluzione informatica aveva preso piede. Le trasformazioni indotte dalla tecnologia hanno
portato a una disoccupazione tecnologica grazie a nuove apparecchiature “labour saving”

24.4. VERSO UNA NUOVA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA

L’uso dei combustibili fossili non può durare ancora per molto tempo dato che la loro quantità è
limitata (tutte le attività economiche sono dipendenti dai combustibili fossili → causa del
surriscaldamento del Pianeta).

Negli ultimi anni si è preso coscienza della necessità di ricorrere a fonti energetiche rinnovabili alla
base di quella che si chiama economia verde o green economy che prevede: diffusione delle cellule
fotovoltaiche nel campo dei trasporti dei veicoli elettrici, che sostituiranno il motore a scoppio.

Nuova rivoluzione tecnologica→ l’Unione Europea ha dottato la cosiddetta strategia 20-20-20 con la
quale entro il 2020 i paesi europei dovranno:

 ridurre almeno del 20% l’emissione di gas serra rispetto al livello del 1990;
 ridurre del 20% il consumo di energia previsto, accrescendo l’efficienza energetica;
 arrivare ad una produzione di almeno il 20% dell’energia consumata con fonti
rinnovabili.

24.5. LA TERZIARIZZAZIONE DELL’ECONOMIA

L’elemento che maggiormente ha caratterizzato questo periodo è stato lo sviluppo del settore
terziario (settore predominante).

Si parla di terziarizzazione dell’economia, di deindustrializzazione o anche di società postindustriale.


(aumentano notevolmente i servizi pubblici e privati a disposizione della collettività).

24.6. IL SETTORE DEI SERVIZI

Il settore terziario ha messo a disposizione delle persone, delle imprese e delle istituzioni una vasta
gamma di servizi:

1. Il commercio interno: caratterizzato da una rapida diffusione di 1) supermercati, 2) centri


commerciali, 3) discount, 4) commercio elettronico tramite gli acquisti via internet.
2. Il commercio estero: agevolato da 1) una politica di libero scambio, 2) dal ripristino di un
sistema di cambi fissi, 3) dalla costituzione di organizzazioni internazionali.
3. Il sistema bancario: 1) presta una vasta gamma di servizi, 2) formazione di grandi gruppi
bancari, 3) apertura di filiali all’estero (diventando multinazionali), 4) affermazione della banca
universale (tipo di azienda di credito in grado di servire qualsiasi servizio ai clienti), 5)
diffusione della carta di credito (moneta elettronica).
4. Il turismo diventò di massa e acquistò notevole rilevo economico grazie all’aumento medio del
reddito e all’evoluzione dei mezzi di trasporto.

Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)

CAPITOLO VENTICINQUESIMO - La ricostruzione dell’economia mondiale


25.1. GLI ACCORDI POLITICI: YALTA E ONU

Le intese più politiche furono quelle di Yalta e di San Francisco.

Alla conferenza di Yalta (1945) si incontrarono>:

 il presidente degli Stati Uniti → Franklin D. Roosvelt;


 il primo ministro britannico→ Winston Churchill
 per l’Unione Sovietica → Josif Stalin.

Questa portò alla divisione del mondo in due zone di influenza: americana e sovietica.

Si estese sull’Europa quella che Churchill chiamò “cortina di ferro”, ed era iniziata la cosiddetta
Guerra fredda.

La Germania fu divisa in due Stati: a ovest la Repubblica Federale Tedesca e a est la Repubblica
Democratica Tedesca.

Berlino fu divisa in quattro zone: una controllata dai Sovietici e le altre tre da Francesi Inglesi e
Americani; fu eretto un lungo muro che divideva la parte est dalla parte ovest che rimase in piedi
quasi 30 anni.

A San Francisco nacque nel 1947 l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) con lo scopo di:

1. mantenere la pace e la sicurezza;


2. realizzare cooperazione internazionale in campo economico, sociale, culturale e umanitario;
3. promuovere il rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti dell’uomo.

I paesi aderenti aumentarono progressivamente fino a comprendere tutti gli Stati indipendenti della
Terra. I cinque paesi vincitori della guerra si riservarono il “diritto di veto”.

25.2. GLI ACCORDI ECONOMICI: BRETTON WOODS E GATT

A Bretton Woods i rappresentanti ripristinarono nel 1944 un sistema monetario internazionale


basato sui cambi fissi. Si diede vita a un nuovo gold exchange standard stabilendo la sola
convertibilità in oro del dollaro da parte delle banche centrali.

Ogni paese doveva definire in oro la propria moneta dichiarandone la parità, in modo da poter
determinare il cambio fra tutte le monete: questa poteva oscillare entro una banda dell’1 % in più o in
meno ed era compito delle banche centrali intervenire sul mercato dei cambi per assicurare il rispetto
di tali limiti. Quando la banca centrale non possedeva una sufficiente quantità di valuta straniera
poteva attingere al Fondo monetario internazionale (Fmi). Sorse anche la Banca Mondiale, che era
stata istituita per finanziare la ricostruzione postbellica.

A Ginevra nel 1947, 23 paesi firmarono il General Agreement on Tariffs and Trade (Gatt). Questo si
proponeva come obbiettivo: 1) la fine degli accordi bilaterali; 2) l’affermazione della multilateralità
nei rapporti commerciali internazionali; 3) la progressiva riduzione delle barriere doganali.
Nel corso della sua esistenza si tennero diversi lunghi negoziati o round, i più importanti furono: il
Kennedy Round, il Tokyo Round e l’Uruguay round. Al termine di quest’ultimo i rappresentanti di 125
paesi formarono la World Trade Organization (WTO), il cui scopo principale era favorire il commercio
internazionale attraverso la liberalizzazione dei traffici.

25.3. IL PIANO MARSHALL

Durante la guerra, gli Stati Uniti avevano rifornito i loro alleati di materiale bellico e altri beni di prima
necessità. Alla fine del conflitto risultarono creditori netti di oltre 40 miliardi. L’Europa, che versava in
condizioni drammatiche, non avrebbe mai potuto ripagare il suo debito.

Per favorire la ricostruzione gli USA utilizzarono 2 strumenti: gli Aiuti UNRRA e il Piano Marshall
(European Recovery Program).

Obiettivo Piano Marshall: finanziare, per massimo 4 anni, le importazioni necessarie per l’Europa e
che eccedevano la sua capacità di pagamento
– In cambio: l’Europa si impegnava a iniziare senza esitazione il processo di
liberalizzazione.

Attraverso il Piano Marshall il governo USA fornì ai Paesi dell’Europa occidentale aiuti per circa 13
miliardi di dollari dell’epoca. Inoltre vennero realizzate altre 2 azioni:

– Eliminazione del plafond produttivo imposto alla Germania dopo la guerra


– Concessione ai governi europei di approntare con carattere transitorio sistemi
preferenziali per fortificare il commercio intraeuropeo
25.6. L’ECONOMIA MISTA E IL WELFARE STATE

L’affermazione in molti Paesi di un’economia mista si ebbe per la contrapposizione fra modello
capitalista e socialista (per evitare movimenti rivoluzionari). Furono nazionalizzati importanti rami
dell’economia e si avviò una politica di pianificazione.

Le nazionalizzazioni, non furono statizzazioni. In Italia fu nazionalizzata la produzione e la


distribuzione dell’energia elettrica e venne costituito l’Enel.

La pianificazione, fu adottata in alcuni paesi europei in forma molto diversa da quella sovietica.
Essa non fu coercitiva ma solamente indicativa e si fondò su un accordo fra le parti sociali
(imprenditori e sindacati).

Gli interventi più consistenti furono quelli che portarono alla nascita del Welfare State o Stato
sociale. Questo nacque in Gran Bretagna grazie a William Beveridge secondo il quale era
necessario giungere a quella che chiamava “liberazione del bisogno”. Il progetto si basava su tre
pilastri fondamentali:
1. un efficiente sistema di previdenza sociale;
2. un sistema di assistenza sanitaria gratuita;
3. una politica economica basata sulla riduzione della disoccupazione.

Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)

CAPITOLO VENTISEESIMO – DALLA GOLDEN AGE ALLA CRISI


26.1. LA GOLDEN AGE

Con il nome golden age gli storici fanno riferimento al periodo di crescita economica continua e
stabile, che riguardò tutti i paesi sviluppati e andò dal 1970 al 1973.

Nell’età dell’oro:
 la crescita del Pil pro capite raggiunse livelli mai registrati prima, soprattutto in
Giappone, Germani e Italia.
 la nuova contrapposizione era fra gli Stati Uniti da un lato e l’Unione Sovietica e il
Giappone dall’altro. URSS → si trattò di un confronto politico, ideologico, militare e
anche tecnologico. Giappone→ temibile avversario economico.
 la crescita riguardò tutti i settori e si diffuse il consumismo.
 il commercio internazionale riprese a pieno ritmo e fece registrare un fortissimo
incremento, grazie al trasporto delle merci in pratici e capaci “containers”.

26.2. I FATTORI DELLA CRESCITA

I fattori della crescita furono:


 La disponibilità di una tecnologia pronta ad essere utilizzata.
 Il ruolo dello Stato che assunse il compito di stabilizzare la domanda e garantire l’occupazione
estendendo le sue funzioni.
 La cooperazione internazionale.
 La formazione del capitale umano garantito da vasti programmi di alfabetizzazione.
 La disponibilità di capitali.
 Un sistema di cambi fissi con il dollaro diventato la moneta internazionale
 I bassi prezzi delle materie prime (prezzi di vendita contenuti),
 I bassi salari dovuti all’abbondanza di manodopera.
26.3. LA CRISI DEGLI ANNI ’70
Il periodo di intenso sviluppo economico s’interruppe all’inizio degli anni ‘70 per via di una profonda
crisi scaturita da due eventi:
1. Il crollo del sistema monetario internazionale che fu causato da due fattori:

 incremento delle richieste di cambio in oro dei dollari posseduti dai vari paesi, che portò
alla diminuzione delle riserve auree americane;
 incapacità dei paesi europei di garantire la parità con l’oro delle proprie monete e
quindi del derivante obbligo di svalutarle o rivalutarle nel caso della Germania.

Ciò indusse Richard Nixon nel 1971 a dichiarare l’inconvertibilità del dollaro, ponendo
così fine al nuovo gold exchange standard.
2. Lo shock petrolifero del 1973:

 Scoppio della quarta guerra arabo israeliana (fra i Palestinesi e lo Stato di Israele).
 I paesi produttori ed esportatori di petrolio decisero di penalizzare gli Stati che
appoggiavano Israele.
 I paesi industrializzati subirono uno shock e avviarono una politica di risparmio
energetico. Nel 1979 si verificò un secondo shock petrolifero quando la produzione
iraniana venne a mancare a causa della rivoluzione islamica.
L’aumento del prezzo del petrolio fece crescere i costi di produzione e mise a
disposizione dei paesi esportatori di una grande quantità di petrodollari: questi furono
depositati in banche europee e americane che li prestarono ai paesi in via di sviluppo. Il
peso per i paesi debitori si fece insopportabile e risultò impossibile per loro pagare,
intervennero allora il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale e così il
debito contratto con banche private divenne pubblico.
26.4. STAGFLAZIONE E DISOCCUPAZIONE

Per la prima volta in un lungo periodo inflazionistico si verificò in tempo di pace e


contemporaneamente a una fase negativa del ciclo economico si verificò la stagflazione (la
coesistenza di stagnazione e inflazione).

Cause:

1. dall’aumento del prezzo del petrolio;


2. l’aumento dei salari rivendicato dai sindacati;
3. l’aumento della domanda di beni.

La disoccupazione assunse dimensioni simili a quelle dell’immediato dopoguerra→indebolimento dei


sindacati e nascita di forme di lavoro flessibile e precario.

La tecnologia continuava a realizzare notevoli progressi e l’automazione industriale, fece parlare


alcuni economisti di “jobless growth”.

26.5. DAL FORDISMO AL POSTFORDISMO

A partire dagli anni ‘70, il modello fordista entrò in crisi per diverse ragioni:

 la riduzione della possibilità di realizzare economie di scala;


 saturazione dei mercati.

Si andò affermando allora il nuovo modello della produzione snella (lean production) che venne
sperimentato per primo dalla fabbrica automobilistica giapponese Toyota. Questo:

1. si fondava su una maggiore flessibilità operativa;


2. prevedeva il decentramento produttivo;
3. prevedeva la delocalizzazione, le imprese trasferivano alcune fasi del processo produttivo o
l’intero processo dove vi erano condizioni più favorevoli.

Questo modello prese il nome di modello postfordista, e stimolò la nascita di moltissime piccole e
medie imprese.

Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)

CAPITOLO VENTISETTESIMO – NEOLIBERISMO E GLOBALIZZAZIONE


27.1. LE POLITICHE NEOLIBERISTE

Con la svolta degli anni Settanta si modificò il ruolo dello Stato nell’economia.
Keynes: l’intervento statale era l’unico modo per rimediare alle carenze del capitalismo e del
mercato.

Liberisti: ritenevano che il mercato sarebbe stato capace di risolvere autonomamente la crisi.
A partire dalla Grande depressione degli anni Trenta le teorie keynesiane presero il sopravvento su
quelle liberiste.
Esauritasi la fase espansiva del dopoguerra, i neoliberisti ripresero il sopravvento con teorie
rielaborate e più sofisticate di quelle precedenti. Per risolvere il problema dell’inflazione → era
necessario un sostegno della domanda attuando una politica dal lato dell’offerta. Secondo questa
teoria era necessario: attuare una decisa deregolamentazione dei mercati e anche forti sgravi fiscali.

27.2. LA GLOBALIZZAZIONE

Le politiche neoliberiste favorirono la globalizzazione dell’economia, con cui si intende il fenomeno


che ha portato alla formazione di un mercato mondiale dei fattori della produzione, dei prodotti, dei
servizi e dei capitali.

Questa fu caratterizzata dal trionfo delle imprese multinazionali ormai trasformatisi in imprese
transnazionali. Conseguenza: enorme intensificazione degli scambi e degli investimenti
internazionali, causa di una crescente interdipendenza delle diverse economie.

Le classi medie hanno incrementato i loro consumi e crescono a ritmo elevato.

Particolare importanza riveste la globalizzazione finanziaria, cioè la formazione di un mercato


mondiale di capitali, capaci di muoversi in tempo reale grazie alla tecnologia informatica.

27.3. LA CRISI DEL 2008-09

Durante gli anni Novanta, gli Stati Uniti avevano attirato capitali da altri paesi.

Agli inizi del nuovo secolo la Borsa americana conobbe una forte espansione.

Fra il 2002 e il 2004, grazie al credito facile accordato dalle banche si moltiplicarono gli investimenti in
titoli speculativi, come i derivati o gli “hedge funds”.

Le famiglie furono sostenute nei loro consumi da prestiti facili mediante i cosiddetti mutui subprime.
Questi venivano elargiti per l’acquisto della casa a soggetti che non erano in grado di addossarsi
impegni finanziari continuativi, ed erano garantiti da un’ipoteca sulla proprietà acquistata e perciò
ritenuti sicuri dalle banche perché il prezzo delle abitazioni era in aumento per la forte domanda.

Le banche provvedevano poi a rimettere sul mercato questi crediti emettendo su di essi vari titoli
derivati, venduti a investitori di tutto il mondo.
Nel 2007 la domanda di case cominciò a diminuire, mentre molte famiglie non riuscirono più a
pagare le rate del mutuo e persero la loro abitazione.

Nell’autunno del 2008, vi fu il crollo delle quotazioni di Borsa di tutto il mondo e il panico si diffuse
fra i risparmiatori. Scoppiò nuovamente una crisi borsistica e le banche ridussero i loro finanziamenti
così i risparmiatori limitarono l’acquisto dei beni con ingente danno per le industrie che non
riuscivano più a vendere i loro prodotti.

Lo Stato richiamato in causa dovunque dovette intervenire per salvare molte banche e imprese in
difficoltà. La Lehman Brothers fallì a causa di un’eccessiva immobilizzazione in titoli derivati e ad alto
rischio (fallimento più grave della storia americana).

27.4. LA CRISI CONTINUA

La crisi sembra non arrestarsi e assume nuove forme.

Nel 2011 furono colpite principalmente alcune nazioni europee, come la Grecia, la Spagna, il
Portogallo, l’Irlanda e, infine, l’Italia.

In Grecia la crisi si manifestò nel 2011, dove venne alla luce il debito pubblico tenuto nascosto
ammontante al 142% del Pil, per giunta, il deficit del bilancio statale era vicino al 13%.

Il nuovo governo dovette intervenire con drastici provvedimenti: tagli alle spese pubbliche,
licenziamento dei dipendenti pubblici e aumento di tributi (misure di risanamento del bilancio su
impulso dell’Unione Europea, per ottenere aiuti dal Fondo monetario internazionale e dalla BCE).

Le agenzie di rating, continuavano a declassare i titoli pubblici greci facendo ulteriormente


precipitare la situazione (grosso rischio sulla sopravvivenza dell’euro).

La crisi del debito pubblico si estese successivamente all’Irlanda, alla Spagna e al Portogallo che
furono contagiati dalla situazione greca.

Nell’estate del 2011 maturò anche la crisi italiana, il cui debito pubblico complessivo era giunto al
120% del Pil:

 questo debito risaliva agli anni Ottanta ed era necessario garantire rendimenti più alti.

Furono adottate dappertutto, su spinta dell’Unione Europea, misure recessive per risanare i conti
pubblici, come:

1. aumento della pressione fiscale;


2. duro taglio alle spese.

Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)

CAPITOLO VENTOTTESIMO – SVILUPPO E SOTTOSVILUPPO

28.1. LO SVILUPPO INEGUALE


L’eccezionale sviluppo dell’economia mondiale nella seconda metà del Novecento produsse un forte
divario fra paesi ricchi e paesi poveri.

 Solo l’Europa occidentale raggiunge un Pil pro capite pari a poco di più di due terzi di quello
degli Stati Uniti.
 L’ex Unione Sovietica, l’Europa orientale, l’Asia e l’America Latina producono un Pil che si
colloca fra il 21 e il 28% di quello americano.
 L’Africa arriva solo al 12%.

Negli ultimi tempi il mondo sembra potersi dividere in tre diverse parti:

1. i paesi sviluppati;
2. i paesi in via di sviluppo;
3. i paesi arretrati.

A partire dagli anni Novanta è stato messo a punto un nuovo indice, l’Indice di sviluppo umano (Hdi).
Esso tende a misurare la ricchezza e il benessere e si basa su parametri che riguardano tre dimensioni
fondamentali dello sviluppo:

1. il livello culturale (tasso di alfabetizzazione e accesso all’istruzione);


2. la durata della vita (speranza di vita alla nascita);
3. la quantità di ricchezza disponibile (Pil pro capite).

Questo può variare tra 0 e 1 e l’Italia con 0,881 occupa il venticinquesimo posto. Le principali
economie del mondo sviluppato continuano ad essere l’Unione europea, gli Stati Uniti e il Giappone.
Per indicare i maggiori cinque stati emergenti è stato coniato l’acronimo Brics (Brasile, Russia, India,
Cina, Sud Africa). I principali ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali delle maggiori
potenze cominciarono a riunirsi periodicamente nel 1975 prima nel G6 e successivamente nel G7, G8
e attualmente G20.

28.2. IL PROCESSO DI DECOLONIZZAZIONE

Dopo la Seconda guerra mondiale la decolonizzazione ricevette un forte impulso. Gli indipendentisti
delle varie colonie organizzarono movimenti politici per rivendicare l’indipendenza che si basavano
sui valori di libertà, democrazia e autodeterminazione dei popoli affermati nella Carta Atlantica e
nella Carta delle Nazioni Unite. Gli stessi ambienti dei paesi colonialisti cominciarono a non ritenere
più vantaggiose le colonie dal punto di vista economico.

Il primo paese a ottenere l’indipendenza fu l’India. A metà degli anni ‘70 quasi tutte le nazioni
europee avevano concesso l’indipendenza alle loro colonie. I nuovi Stati indipendenti conservarono
legami economici e culturali con le ex potenze coloniali, ad esempio quelle sotto il dominio britannico
formarono il Commonwealth.

28.3. LE STRATEGIE ECONOMICHE DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

Le politiche dei paesi in via di sviluppo presentano vari punti in comune. L’intervento diretto dello
Stato che aveva due esempi ai quali rifarsi: la pianificazione di tipo sovietico e le varie forme di
economie miste introdotte nell’Europa occidentale. Un secondo elemento strategico comune fu
l’adozione di politiche di sviluppo basate sulla sostituzione delle importazioni e in alcuni paesi sulla
promozione delle esportazioni. Un terzo elemento fu il ricorso ai prestiti esteri sia sotto forma di aiuti
sia sotto forma di prestiti commerciali da parte delle banche estere. Infine i Paesi in via di sviluppo
poterono giovare della diffusione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche in tutti i campi.

Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)

CAPITOLO VENTINOVESIMO – LE ECONOMIE SVILUPPATE STATI UNITI E GIAPPONE

29.1. L’EGEMONIA DEGLI STATI UNITI

Durante il conflitto gli Stati Uniti sfruttarono a pieno la loro capacità produttiva e incrementarono la
produzione agricola e industriale per soddisfare la forte domanda bellica. La tecnologia americana fu
esportata ovunque e in Europa prese avvio una sorta di processo di “americanizzazione” che si
rifaceva all’economia statunitense come al modello da imitare.

Gli Stati Uniti erano definitivamente la maggior potenza, militare economica e politica del Pianeta, si
sentivano responsabili della grande missione di combattere il comunismo mondiale e affermare e
diffondere i loro principi.

Il dollaro, posto alla base del sistema monetario internazionale, divenne la moneta dei pagamenti
internazionali privilegiando l’America.

La crescita riguardò tutti i settori dall’agricoltura al commercio estero e a quello interno, dalle banche
al turismo. Le imprese continuarono a ingrandirsi le corporations divennero più numerose e si diffuse
l’impresa multidivisionale (composta da più settori con autonomia funzionale e gestionale), si
realizzò la separazione fra la proprietà, estremamente frazionata, e il management aziendale.

Il punto debole dell’egemonia americana risiedeva nella sua dipendenza dalle importazioni per
l’approvvigionamento delle materie prime soprattutto delle fonti energetiche (petrolio).

Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)

CAPITOLO TRENTESIMO – LA REAGANOMICS

30.1. INTRODUZIONE

Negli anni 70, la fase di stagflazione portò alla vittoria di Ronald Reagan alle elezioni del 1980 e
all’adozione della politica neoliberista che da quel presidente prese il nome di: reaganomics.

Si cercò di incentivare la domanda con la diminuzione delle imposte, specialmente sui redditi medio-
alti, e si sostenne l’offerta mediante misure significative di deregolamentazione per dare maggiore
libertà alle imprese.

La deregolamentazione riguardò soprattutto il sistema bancario, le banche si orientarono verso il


tipo di banca universale, con l’abolizione della distinzione fra banche commerciali e banche
d’investimento.

Le disuguaglianze sociali aumentarono sia a causa della riduzione delle imposte sui redditi più elevati,
sia per i tagli dei fondi per l’assistenza ai disoccupati e agli indigenti.
Le elevate spese per la difesa, ritenute necessarie per contrastare l’Unione Sovietica, ebbero una
funzione propulsiva dell’economia e servirono anche a evitare la sovrapproduzione di beni di
consumo. Queste però non consentirono di diminuire il deficit statale e a partire dagli anni Ottanta
(’80) gli Stati Uniti divennero debitori, perché importavano capitali indebitandosi verso l’estero.

Nonostante qualche difficoltà l’economia americana continuò a crescere e nella seconda metà degli
anni Novanta (’90) conobbe un lungo ciclo espansivo che fece scomparire il disavanzo del bilancio
statale e ridurre il debito pubblico.

30.2. LA CRISI E LE TRASFORMAZIONI DELLA SOCIETÀ AMERICANA

Ancora una volta, come nel 29, gli Stati Uniti e il mondo dovettero affrontare una crisi di
sovrapproduzione, manifestatasi con la caduta dei consumi e con l’impossibilità di assorbire la gran
quantità di manufatti che l’apparato industriale era in grado di produrre. La società americana stava
subendo profonde trasformazioni. Il sogno americano cominciava a venir meno e diventava sempre
più difficile aspirare a migliorare significativamente la propria condizione economica e sociale.

Anche la composizione della popolazione si stava modificando a causa della forte immigrazione.
Particolarmente numerosi divennero gli ispanici. La conseguenza fu una diminuzione della
percentuale di popolazione bianca.

30.3. IL MIRACOLO ECONOMICO GIAPPONESE

Il Giappone divenne, nel corso degli anni Ottanta, la seconda potenza economica mondiale per il Pil
prodotto. Dopo la guerra, la nazione umiliata e sconfitta, vide diminuire drasticamente la sua
produzione, a partire dal 1950 fino al 1973 il Giappone conobbe il suo miracolo economico.

L’eccezionale sviluppo economico giapponese si basò su diversi fattori:

 La guerra di Corea (1950­52) durante la quale il Giappone fu in grado di rifornire le truppe


americane di materiale bellico, in cambio di dollari.
 Gli americani aiutarono il Giappone a risollevarsi per farne il fedele alleato asiatico contro il
comunismo.
 La disponibilità di una tecnologia avanzata. I Giapponesi seppero profittare meglio degli altri per
due ragioni: disponevano di un capitale umano di alto livello e avevano un elevato volume di
risparmio.
 La partecipazione al commercio internazionale: il Giappone seppe inserirsi sul mercato mondiale
come paese esportatore di prodotti ad alta tecnologia.
 L’azione dello Stato: il governo tenne bassi i tassi d’interesse e indusse le banche a finanziare le
imprese, ridusse le imposte, concesse sgravi fiscali alle imprese che investivano nella ricerca, varò
misure protezionistiche, realizzò un imponente riforma agraria.
 La collaborazione fra governo e imprese: i ministeri predisponevano direttive concordate con gli
imprenditori.

 La collaborazione fra le singole imprese: si formarono i keiretsu, ossia gruppi di imprese senza
struttura gerarchica con partecipazioni azionarie incrociate e con incarichi direttivi intrecciati.
 La collaborazione fra il management e i dipendenti: i manager garantivano la sicurezza del posto
di lavoro e prevedevano una serie di benefici in cambio della fedeltà dei dipendenti.
30.4. IL DECENNIO PERDUTO DEL GIAPPONE

Negli anni Novanta (’90) vi fu una grave crisi. Le cause dell’inversione di tendenza sono da ricercarsi
proprio nella crescita precedente, durante la quale le esportazioni verso gli Stati Uniti erano
aumentate e il governo aveva adottato una politica di espansione del credito, mediante la riduzione
dei tassi d’interesse. I Giapponesi effettuarono investimenti in titoli azionari e in immobili. Nella
seconda metà degli anni Ottanta (’80) i prezzi degli immobili quasi raddoppiarono e l’economia
sembrava solida. La bolla speculativa scoppiò nel 1990 e il Giappone entrò in crisi con le conseguenze
solite di tali casi. Per contrastare la crisi fu varato un piano di grandi lavori pubblici il costo del denaro
fu portato a livelli bassissimi e si avviò un processo di deregolamentazione.

Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)

CAPITOLO TRENTUNESIMO – LE ECONOMIE E L’UNIONE EUROPEA

31.1. IL MERCATO COMUNE

Nel secondo dopoguerra si avviò un processo d’integrazione economica fra i paesi europei che
successivamente portò alla nascita dell’Unione Europea.
Il primo passo verso l’integrazione fu compiuto da i paesi che diedero vita al Benelux (Belgio-
Olanda‐Lussemburgo) nata nel 1948 come un’unione doganale che decise la libera circolazione di
beni al suo interno.

Nel 1951 fu fondata, con il trattato di Parigi, la Ceca (comunità europea del carbone e dell’acciaio),
alla quale parteciparono oltre ai paesi del Benelux, la Francia, la Germania occidentale e l’Italia. Essa
era un’unione doganale per il minerale ferroso, il carbone, il coke e l’acciaio ed esercitava il controllo
sulla loro produzione e vendita.
Nel 1957, con i trattati di Roma, i sei paesi della Ceca diedero vita:
 alla Comunità economica europea (Cee): si prefiggeva la creazione di un mercato comune
tramite la libera circolazione delle merci, dei lavoratori dei capitali e dei servizi;
 alla Comunità europea per l’energia atomica (Ceea): si proponeva di promuovere lo sviluppo
delle ricerche e la diffusione delle conoscenze in materia nucleare.

La crescita economica dei paesi durante l’età dell’oro fu veramente imponente. Una notevole
importanza riveste la politica agricola comunitaria (Pac) che si proponeva d’incrementare la
produttività dell’agricoltura e di assicurare un equo tenore di vita ai ceti agricoli. Così furono sostenuti
i redditi degli agricoltori e protetta la produzione dalla concorrenza estera.

31.2. L’UNIONE EUROPEA E L’EURO


Le crisi petrolifere degli anni Settanta (’70) e il crollo del sistema dei cambi fissi colpirono in modo
particolare i paesi dell’Europa occidentale. I principali problemi dell’economia europea erano la
disoccupazione (11%) e l’inflazione.
La necessità di combattere l’inflazione portò all’adozione di politiche restrittive del credito, che
scaturirono effetti positivi e un primo sintomo di ripresa, e alla definizione dell’unione monetaria
come obbiettivo.
 Nel 1979 fu compiuto il primo passo con la fondazione del Sistema monetario europeo (Sme) che
prevedeva la fissazione di una parità fra le monete aderenti che fu calcolata in una nuova unità di
conto, l’Ecu (European Currency Unit) composta di un paniere di monete europee. Con la
possibilità di oscillazioni del 2,25 per cento in più o in meno. Lo Sme conseguì modesti risultati
fino a quando entrò in crisi nel 1992 e l’Italia e il Regno Unito ne uscirono.
 Nel 1992 venne stipulato il Trattato di Maastricht, con il quale la Comunità economica europea si
trasformò in Unione Europea, con lo scopo di perseguire l’unione politica, economica e
monetaria. Fu decisa l’introduzione di una moneta unica, l’euro (entrò vigore nel 1999 come
moneta di conto e nel 2002 come moneta effettiva).
Fu creata la Banca Centrale Europea a cui fu affidato il compito di emettere la nuova moneta e di
garantire il suo potere d’acquisto nonché la stabilità dei prezzi.

31.3. LA LENTA CRESCITA DELLA GRAN BRETAGNA


Nel secondo dopoguerra la Gran Bretagna si trovò in grande difficoltà. Durante il conflitto aveva
accumulato un pesante debito estero e fu costretta a chiedere un prestito a Stati Uniti e Canada per
pagare le importazioni.
Il nuovo governo laburista mise mano a una serie di nazionalizzazioni ma, l’80% delle industrie
rimasero in mano ai privati. Molto importanti furono i provvedimenti tesi a realizzare il Welfare State
che avviarono un vasto programma di edilizia pubblica, forme di assistenza ai lavoratori e ai cittadini e
il miglioramento del sistema dell’istruzione.

L’economia riprese a crescere lentamente fino alla dura crisi petrolifera che bloccò nuovamente
l’economia britannica. Negli anni Ottanta (’80) la politica neoliberista di Margaret Thatcher portò alla
privatizzazione di molte industrie statali, alla riduzione della spesa pubblica, con conseguente
peggioramento della qualità dei servizi, e a un processo di ristrutturazione industriale.

Negli anni Ottanta e Novanta (’80-’90) si svilupparono nuovi settori in particolare l’elettronico. La
Gran Bretagna dal 1975 iniziò a sfruttare ricchi giacimenti di petrolio scoperti nel Mare del Nord.
Negli ultimi anni Novanta conobbe una crescita accelerata che le consentì di recuperare il ritardo
accumulato nei confronti degli altri paesi. La City di Londra diventò il centro finanziario mondiale. La
Gran Bretagna decise di non aderire all’euro e conservare la sterlina.
31.4. L’ECONOMIA FRANCESE
In Francia la popolazione era rimasta praticamente invariata nei cinquant’anni precedenti, l’economia
era chiusa verso l’esterno e riusciva a sostenersi solo con misure protezionistiche. Lo Stato, non aveva
né gli strumenti né la volontà per impegnarsi a fondo in un’efficace politica economica.
All’indomani della liberazione la Francia fu capace di uno slancio nazionale e di riprendersi
rapidamente. La ricostruzione fu realizzata a tempo di record. L’obbiettivo fu la modernizzazione
sotto la guida dello Stato. Così la Francia si indirizzò verso una forma di economia mista con la
creazione di un ampio settore pubblico. Il primo passo fu la nazionalizzazione e successivamente
l’introduzione della pianificazione economica di Jean Monnet mediante l’approvazione di piani
quadriennali. Lo Stato promosse anche l’apertura dell’economia verso l’esterno. La popolazione
rinnovato il clima di fiducia riuscì finalmente a crescere e si incrementò del 60%.
La crisi petrolifera indusse la Francia a puntare sulle centrali nucleari per la produzione di energia
elettrica, in questo campo, è ora seconda solo agli Stati Uniti. Dopo la crisi la politica economica fu
caratterizzata da un alternarsi di privatizzazioni e nazionalizzazioni.
31.5. LE DUE GERMANIE
La Germania rimase senza governo fino al 1949. Gli occupanti cominciarono subito a smantellare
l’industria degli armamenti e altre industrie pesantI. Furono smembrate le grandi imprese e le grandi
banche, nel 1948 gli Americani introdussero una nuova moneta, il Deutsche Mark, senza consultare i
Sovietici. Questo provvedimento acuì i contrasti fra le potenze occupanti e portò alla definitiva
divisione della Germania in due Stati separati:
 La Germania occidentale, Repubblica federale tedesca (Americani): era la parte più
industrializzata e meglio dotata di risorse naturali. Il clima della Guerra fredda indusse gli
Americani a interrompere gli smantellamenti e a avviare un programma di ricostruzione e
sviluppo, inserendola nel Piano Marshall, con lo scopo di trasformarla in un alleato in funzione
anticomunista. Da allora ebbe inizio il miracolo economico tedesco. La Repubblica Federale
Tedesca si ispirò a un’economia sociale di mercato, cioè una forma di economia mista basata sul
libero mercato che prevede un’incisiva azione pubblica per perseguire la giustizia sociale e la
solidarietà fra le diverse componenti della collettività.

 La Germania orientale, Repubblica Democratica Tedesca (Sovietici): nacque come uno Stato
accentrato e attuò, sull’esempio sovietico, l’economia pianificata. Essa costituiva la parte meno
sviluppata della Germania.

31.6. LA RIUNIFICAZIONE TEDESCA


La riunificazione fu realizzata nel 1990 dopo la fine del regime comunista nella Germania orientale.
Avvenne pacificamente per annessione, i territori orientali chiesero di entrare a far parte della
Repubblica Federale Tedesca come nuovi Lander. Il costo dell’operazione fu molto elevato, i Tedeschi
dell’Est indussero il governo a fissare la conversione del marco orientale con quello occidentale alla
pari, mentre valeva molto di meno.

Per affrontare le spese ingenti il governo dovette ricorrere a nuove imposte, per la modernizzazione
delle infrastrutture e il risanamento dell’apparato industriale della parte orientale.
Negli anni Novanta (’90), perciò l’economia rallentò la sua crescita e furono necessari dolorosi
interventi di ristrutturazione produttiva e di riduzione delle spese pubbliche.
Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)
CAPITOLO TRENTADUESIMO – L’ECONOMIA ITALIANA
32.1. LA RICOSTRUZIONE

Le condizioni dell’Italia alla fine del secondo conflitto mondiale, erano disastrose. Essa subì ingenti
danni al patrimonio abitativo e dei trasporti, mentre relativamente pochi furono quelli registrati
dall’apparato industriale. Nell’ immediato dopoguerra il Pil pro capite crollò nel 1945 al 55% di
quello del 1939.
Negli anni della ricostruzione la nuova classe politica repubblicana dovette affrontare alcuni
immediati problemi come:
 La ripresa della produzione fu rapida e possibile grazie agli aiuti americani giunti con il Piano
Marshall che finanziò sia il governo che poi distribuì gli aiuti alle imprese, sia direttamente le
imprese.
 L’inflazione che fu causata dalla scarsità di beni che non riuscendo a soddisfare la domanda
fecero lievitare i prezzi, dalla massiccia emissione di biglietti di banca e di Stato e
dall’introduzione da parte degli americani dell’“amlira” che avendo un valore superiore rispetto
alla lira fece aumentare i prezzi. La lotta all’inflazione fu condotta con la cosiddetta linea
Einaudi, costituita da una serie di misure prese dal ministro del Bilancio, Luigi Einaudi, che
miravano alla riduzione della circolazione monetaria. Si elevò il tasso ufficiale di sconto
rendendo i prestiti più cari, si aumentarono le riserve obbligatorie delle banche in modo che
non potessero investire parte dei depositi raccolti.

La scelta fondamentale del governo costituito dal partito della Democrazia cristiana, fu di optare
per un’economia aperta, non vi furono nazionalizzazioni dato che in Italia esisteva già un
consistente settore, basti pensare alle numerose imprese controllate dall’Iri. In mano pubblica era
pure l’Agip (Azienda generale italiana petroli) che fu rilanciata da Enrico Mattei. Mattei promosse
anche la costituzione dell’Eni (ente nazionale idrocarburi) che doveva assicurare all’Italia il
rifornimento delle fonti di energia. Le imprese pubbliche operavano sotto forma di società per
azioni, possedute dallo Stato. Perciò fu istituito il Ministero delle partecipazioni statali.

Nel 1950 furono varati due importanti provvedimenti:

 La riforma agraria con l’espropriazione di 800 mila ettari di terre ai grandi proprietari che
vennero assegnati a famiglie di braccianti agricoli. Si venne a formare una piccola proprietà
coltivatrice che si organizzò in un vasto movimento cooperativo.
 La Cassa per il Mezzogiorno che doveva finanziare opere straordinarie di pubblico interesse
nelle regioni meridionali. Nei primi anni rivolse il sostegno all’agricoltura e successivamente alla
creazione di industrie.
32.2. IL MIRACOLO ECONOMICO
Dal 1950 al 1973 furono gli anni del miracolo economico, durante i quali il Pil pro capite aumentò
del 5,8% l’anno. La crescita fu accompagnata da profondi mutamenti strutturali che consistettero
nell’esodo dalle campagne e dal conseguente aumento degli addetti all’industria e al settore
terziario (industrializzazione e terziarizzazione).

L’agricoltura si modernizzò, grazie all’aiuto dello Stato e mediante una rapida meccanizzazione e
una più diffusa utilizzazione dei concimi chimici. Lo sviluppo dell’agricoltura inoltre, fornì forza
lavoro a basso costo all’industria.

Le principali industrie erano quelle dedite alla produzione di automobili, di elettrodomestici e di


fibre sintetiche. Si affermò la grande impresa sull’esempio americano, che fu organizzata secondo
criteri della fabbrica fordista.
La bilancia dei pagamenti si portò in attivo a partire dal 1957 grazie alle accresciute esportazioni, alle
rimesse degli emigrati e per lo sviluppo del turismo. L’Italia era diventata in pochi decenni una
nazione industrializzata.

Ricapitolando le ragioni del miracolo economico furono:


 gli aiuti americani;
 la scelta per un’economia aperta orientata alle esportazioni;
 la disponibilità di manodopera a basso costo;
 bassi prezzi internazionali;
 il ruolo dello Stato;
 un solido sistema bancario.
32.3. MEZZOGIORNO ED EMIGRAZIONE
Il divario Nord – Sud riuscì ad essere parzialmente ridotto. La storia di tale divario è passata attraverso
5 fasi:
1. Il periodo della stabilità (1861-1890) durante il quale il divario si mantenne entro limiti modesti,
in un paese sostanzialmente arretrato le differenze infatti erano poco rilevanti e vi era una sorta
di eguaglianza nella povertà.
2. Il periodo della formazione del divario (1890-1920) ci fu quando l’Italia conobbe il suo decollo
industriale che si concentrò nelle regioni del triangolo industriale mentre il Mezzogiorno restava
indietro.
3. Il periodo della divergenza (1920-1950) nel corso del quale il divario aumentò notevolmente.
4. Il periodo della convergenza (1950-1975) coincidente con il miracolo economico, durante il quale
il Mezzogiorno crebbe più del Nord e il divario si ridusse.
5. Il periodo della stagnazione (1975 2010) durante il quale il divario riprese a crescere portandosi a
oltre 40 punti percentuali.

Se si fa riferimento all’Indice di sviluppo umano (anziché al Pil pro capite) la situazione risulta molto
diversa: il divario, abbastanza elevato dopo l’Unità, si ridusse costantemente in seguito fino quasi ad
annullarsi. Il Mezzogiorno quindi beneficiò del processo di modernizzazione dell’intero Paese,
specialmente nel campo dell’istruzione e della durata della vita. La modernizzazione è stata però
passiva e non riuscì ad avviare un autonomo percorso di crescita.

Dopo la Seconda guerra mondiale riprese l’emigrazione dalle regioni meridionali che fu sia esterna→
verso le Americhe, sia interna→ verso il Nord.
32.4. L’ITALIA NELLA CRISI DEGLI ANNI SETTANTA (’70)
L’economia italiana risentì della crisi petrolifera del 1973 e rallentò la sua crescita. Una delle
conseguenze fu la forte inflazione, per via dell’aumento del prezzo del petrolio furono varate diverse
misure per il risparmio energetico. L’Italia cominciò a utilizzare sempre di più il gas naturale fornito
soprattutto dall’Algeria e dalla Russia.

La crisi fu affrontata grazie all’intervento dello Stato.


Il sostegno alle imprese fu attuato in vari modi:

 Fu decisa la fiscalizzazione degli oneri sociali. I salvataggi avvennero tramite la Gepi (Società per le
gestioni e partecipazioni industriali), un’agenzia pubblica, incaricata di concedere finanziamenti
agevolati alle aziende industriali in difficoltà transitorie.
 Fu costituita anche la Cassa integrazione guadagni, incaricata di versare una parte dello stipendio
ai lavoratori licenziati o momentaneamente sospesi dal lavoro per riduzione della produzione.
I redditi delle famiglie furono sostenuti mediante l’allargamento del Welfare:
 furono introdotte le pensioni sociali;
 fu riformato il sistema pensionistico;
 venne istituito il Servizio sanitario nazionale gratuito.
La conseguenza fu un aumento della spesa pubblica. Fu necessario aumentare il prelievo fiscale,
mediante la riforma del sistema tributario, che prevedeva l’introduzione dell’Iva e dell’Irpef. Fu
necessario ricorrere all’indebitamento pubblico che superò la soglia del 100% del Pil annuo. Per ridare
competitività alle imprese sui mercati internazionali si fece ricorso a svalutazioni della lira.
La lotta all’inflazione fu adottata con una politica restrittiva del credito:

- fu deciso il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro che liberava l’istituto di emissione dall’obbligo di
sottoscrivere i titoli di Stato invenduti;
- venne decisa la riduzione della scala mobile, ossia un sistema di adeguamento automatico dei
salari e stipendi al costo della vita.
D’altra parte la riduzione dell’inflazione era, assieme al risanamento dei conti pubblici, fra le
condizioni previste dal trattato di Maastricht per poter entrare nell’euro.
Una strada percorribile fu quella della privatizzazione che riguardò le imprese dell’Iri, l’Eni, l’Enel, il
sistema dei trasporti e delle comunicazioni. Anche il sistema bancario fu privatizzato con la riforma
attuata dal Testo Unico Bancario del 1993 che ridusse le categorie di banche a due: quelle sotto
forma di società per azioni e le banche cooperative. Si adottò il sistema della banca universale e vi
furono numerose fusioni fra banche che formarono i grandi gruppi.
32.5. IMPRESE E DISTRETTI INDUSTRIALI

Dopo la crisi degli anni Settanta (’70) le grandi imprese procedettero a una ristrutturazione
produttiva.
Anche in Italia il modello fordista cominciava a tramontare per cui si ricorse:
- all’automazione dei processi produttivi;
- al decentramento;
- alla delocalizzazione.

I rami più produttivi continuarono ad essere quello meccanico e il cosiddetto made in Italy, formato
da un insieme di imprese di medie dimensioni che operavano nel comparto tessile-abbigliamento-
calzature producendo beni destinati alle fasce alte del mercato e all’esportazione.

Aumentava il peso delle piccole e medie imprese che ebbero il compito di trainare l’economia del
Paese. La loro presenza pose fine allo storico predominio del triangolo industriale.
Le Pmi ispirate al modello giapponese di lean­production, anche in Italia:

- contribuirono a riequilibrare la bilancia dei pagamenti;


- si dimostrarono, per la loro struttura flessibile, in grado di resistere alla crisi.

La nuova caratteristica fu la nascita di concentrazioni in aree geografiche di più Pmi, che si dissero
distretti industriali. Questi furono riconosciuti dal legislatore con una legge del 1991.

Nel momento in cui le grandi imprese si trovarono in difficoltà e dovettero procedere a drastiche
ristrutturazioni e le piccole imprese non riuscivano a crescere, furono le medie imprese a far
registrare i maggiori successi. Queste cominciarono ad affermarsi negli anni Ottanta (’80), divennero
le nuove protagoniste del sistema industriale italiano.
32.6. LE DIFFICOLTà DELL’ECONOMIA ITALIANA
A partire dagli anni Settanta (’70) la crescita rallentò notevolmente, realizzando fino alla vigilia della
crisi del 2008-2009 un misero incremento del 1,2% annuo. Vi erano alcuni problemi strutturali che
non consentivano all’economia italiana di crescere:
1. Un primo problema è la perdita di competitività del Paese che non può più ricorrere a
svalutazioni competitive dopo la sua adesione all’euro. Il suo modello di specializzazione a
livello internazionale non risulta più all’altezza delle sfide globali. L’Italia ha risentito sempre di
più della concorrenza dei paesi in via di sviluppo, che possono fare affidamento su bassi costi di
produzione.
2. Un secondo problema è rappresentato dalla presenza di pochi fattori produttivi.
3. Un terzo problema è costituito poi dall’enorme debito pubblico nonostante le pesanti misure
adottate dal governo che aumentano sempre di più.
4. Un'altra causa dell’elevato indebitamento è l’evasione fiscale.
L’Italia soffre anche di una consistente disoccupazione accompagnata da una elevata precarizzazione
del rapporto di lavoro.
Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)
CAPITOLO TRENTATREESIMO – LA FINE DELL’ECONOMIA PIANIFICATA: IL BLOCCO SOVIETICO
33.1. I LIMITI DELLA PIANIFICAZIONE
Fra i paesi che avevano combattuto la Seconda guerra mondiale, l’Unione Sovietica fu quello che subì
i maggiori danni. Dopo la guerra fu ripresa la pianificazione, che puntò sull’industria e sugli
armamenti.
Morto Stalin nel 1953, il nuovo segretario generale del partito comunista Nikita Chruschev (1953‐64)
dichiarò di voler portare la produzione di numerose derrate alimentari al livello degli Stati Uniti, per
ovviare al problema della scarsa produttività agricola sovietica.
Fu proseguita inoltre la strada della pianificazione, ma la mutata articolazione dell’attività economica,
che diventava sempre più ampia, evidenziò l’incapacità di:
- assicurare un buon coordinamento fra imprese;
- prevedere la quantità da produrre e il prezzo dei beni in modo da coprire i costi e consentire
un’accumulazione di capitale (i prezzi erano tenuti artificialmente bassi).
Inoltre fu scarso lo stimolo alle invenzioni alle innovazioni e bassa la produttività del lavoro.

33.2. I TENTATIVI DI RIFORMA IN UNIONE SOVIETICA


Michail Gorbacev passò alla guida dell’Unione Sovietica dal 1985 al 1991. Pose mano a riforme volte
a conferire maggiore autonomia alle imprese, incisive rispetto a quelle attuate precedentemente,
basate sul concetto di profitto sul capitale come criterio di valutazione della produttività. Queste
prevedevano:

 La trasparenza o pubblicità, volta a realizzare forme democratiche di gestione del potere


pubblico, attraverso la libertà di espressione e d’informazione.
 La ristrutturazione, che richiamava in qualche modo la Nep e si concretizzò in provvedimenti
legislativi che resero le imprese statali più libere di fissare le loro quote di produzione. Lo
scambio di beni fra le imprese doveva avvenire al prezzo di mercato e non più ai prezzi imposti
e si costituì la Borsa merci di Mosca.
 Il consenso all’iniziativa privata per creare piccole e medie imprese.
 L’assegnazione di terre ai contadini.
 Il ridimensionato il potere del Partito comunista.
Il tentativo di Gorbacev di conservare il sistema socialista attraverso una sua radicale trasformazione
risultò fallimentare. Infatti le riforme prettamente politiche portarono al crollo del Partito comunista
e alla disintegrazione dell’Unione Sovietica.
La liberalizzazione di alcuni prezzi li fece aumentare facendo conoscere ai russi due fenomeni loro
estranei: l’inflazione e la disoccupazione.
33.3. IL CROLLO DEI REGIMI COMUNISTI
Dopo la Seconda guerra mondiale i paesi liberati dall’Armata Rossa entrarono a far parte del
Comecon (1949) (in contrapposizione al Piano Marshall), adottando il sistema politico ed economico
dell’Unione Sovietica. Questo si proponeva di:

- coordinare lo sviluppo economico dei paesi membri;


- realizzare un efficiente divisione del lavoro;
- favorire gli scambi.

Le condizioni per la caduta dell’Unione Sovietica maturarono con le riforme di Gorbacev che diedero
maggiore forza ai gruppi che si opponevano ai regimi comunisti.

Il 1989 fu l’anno della svolta: vi fu una transizione pacifica a catena verso governi non comunisti di
Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia (si divise in Repubblica ceca e Repubblica slovacca). L’evento
simbolico della fine del regime fu il crollo del Muro di Berlino, che fu distrutto nella notte fra il 9 e il
10 novembre 1989 da una moltitudine di Tedeschi dell’est che si riversò nella parte occidentale della
città senza che le autorità tedesco-orientali potessero intervenire.
33.4. LA CRISI DELLA TRANSIZIONE

Il tentativo di riforme di Gorbacev non riuscì e le repubbliche slave (Russia, Ucraina e Bielorussia)
dichiararono nel 1991, lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Nacquero così 15 repubbliche
indipendenti tra le quali la nuova Federazione russa era la più grande.

La transizione al capitalismo fu lunga e difficile (risultati disastrosi).


I primi provvedimenti riguardarono la liberalizzazione del commercio interno e di quello estero e
l’apertura del mercato russo al commercio internazionale e agli investimenti esteri.
La privatizzazione delle imprese statali fu l’operazione più difficile. Tale compito fu affidato a una
Commissione statale che trasformò le imprese pubbliche in società cedendo parte delle azioni a poco
prezzo ai lavoratori delle imprese stesse. Furono distribuiti voucher gratuiti ai cittadini ma lo scopo
non fu raggiunto, perché, i proprietari dei voucher preferirono venderli ai vecchi dirigenti che
divennero ricchissimi.

Lo Stato mantenne comunque la proprietà di numerose attività strategiche (telecomunicazioni,


energia, armi).

Esplose una violenta inflazione che si trasformò in iperinflazione a causa della liberalizzazione dei
prezzi e dell’enorme emissioni di biglietti per supplire alle imminenti necessità dello Stato.
L’agricoltura fu ancora una volta sacrificata e vi fu un inquietante calo demografico (droga, malattie
veneree, omicidi, suicidi).
La transizione Russa fu la più complessa fra quelle degli altri paesi dell’Unione Sovietica, per via del
costo dell’enorme apparato industrial-militare e dalla prevalenza della monocultura industriale.

33.5. LA RIPRESA DELL’ECONOMIA RUSSA


La crisi della transizione fu superata verso la fine degli anni Novanta, dopo un’ulteriore crisi valutaria
del rublo che fu sottoposto ad attacchi speculativi e si svalutò rispetto alle altre monete.
Con il nuovo secolo la Federazione Russa conobbe una forte ripresa economica grazie a due fattori:

 consistenti esportazioni di petrolio e di gas naturale oltre che di metalli e legname;


 la debolezza del rublo che favoriva le esportazioni e scoraggiava le importazioni, sostenendo in
tal modo le industrie nazionali.
Le grandi industrie russe finirono nelle mani di pochi gruppi privati, ma lo Stato conservò parecchie
grandi aziende, specialmente nel settore energetico (ad esempio la Gazprom che è il maggiore
estrattore di gas naturale) e le banche (sotto il controllo dello Stato).
Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)
CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO – IL RISVEGLIO DELL’ASIA
34.1. LA CINA COMUNISTA
Nel 1820 Cina e India producevano da sole quasi la metà del Pil mondiale.
Nel 1820 l’Asia nel suo complesso (senza Impero russo e poi Urss) produceva il 60% del Pil mondiale,
nel 1950 era al 20%, nel 2008 al 44%.
Il Novecento è caratterizzato da una lotta tra nazionalisti e comunisti (sospesa durante la seconda
guerra per combattere i giapponesi e poi ripresa)

Nel 1949 Mao proclama la Repubblica popolare cinese.


La storia economica della Cina di divide in due grandi periodi:

1) Economia pianificata (1949-1978)


2) Economia socialista di mercato (fino ad oggi)

L’agricoltura costituisce a lungo il settore portante.


34.2. LE RIFORME CINESI E L’ECONOMIA SOCIALISTA DI MERCATO

Dopo la morte di Mao (1976) vengono avviate delle riforme con una graduale liberalizzazione del
mercato

- Aumento dei salari e dei consumi


- Ristrutturazione del sistema agricolo (meno comuni più imprese familiari)
- Progressiva privatizzazione delle imprese
- Riforma del sistema bancario con banche private
- Basso costo di manodopera, enormi esportazioni di prodotti
- Apertura di società straniere
- Afflusso di valuta estera
- Elevata crescita del Pil
- Generale miglioramento economico per molte persone (quasi un miliardo e mezzo, 18% della
popolazione mondiale)
Dal 2013 è l’economia più grande del mondo come Pil complessivo.
34.3. L’INDIA INDIPENDENTE

Nel 1947 nel subcontinente indiano si formano due stati: India (induista) e Pakistan (musulmano)
I rapporti non sono distesi.
L’India ha bastato la sua industrializzazione su: sostituzione delle importazioni, protezionismo e
intervento diretto dello stato nell’economia.

L’industrializzazione si basa su tre gruppi di imprese:


- Pubbliche (industria pesanti e energia)
- A parziale partecipazione pubblica
- Private (consumi)
Potenziamento delle piccole imprese e sostegno all’agricoltura. Due carestie negli anni Sessanta.

34.4. RIFORME E LIBERALIZZAZIONE IN INDIA


Uno sviluppo con tante contraddizioni e divari. Dal 1991 si avvia un’economia più libera e competitiva

Vi è una grande crescita dell’industria del software. Resta molto da fare nell’internazionalizzazione
ma l’industria indiana ha enormi potenzialità.

Nel 2016 gli abitanti erano 1.320 milioni.


34.5. LE TIGRI ASIATICHE

Chi sono? Hong Kong, Taiwan, Corea del sud e Singapore (vivono qui quasi 90 milioni di persone).
Queste economie stanno contribuendo a spostare il centro dell’economia da Occidente a Oriente e si
avviano sempre di più a divenire protagoniste.
Parte Terza: L’economia contemporanea (1950-2017)
CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO – AMERICA LATINA E AFRICA
35.1. STATO E POPULISMO IN AMERICA LATINA
Parola chiave: instabilità

Nel secondo dopoguerra in America Latina ci fu crescita ma anche battute di arresto.


Ci fu un fattore di iperinflazione e un costante aumento demografico.
Le politiche protezionistiche sono state liberalizzate negli ultimi anni.
35.2. LE LIBERALIZZAZIONI
Le liberalizzazioni furono avviate in America Latina dai vari paesi: Cile, Perù, Argentina ecc.
Ci furono anche pesanti crisi finanziarie legate al debito e alle politiche monetarie.
Si definiscono le economie emergenti seppure con diverse contraddizioni: Messico e Brasile.

35.3. IL RITARDO DELL’AFRICA


In molte zone dell’Africa vige ancora di fatto un’agricoltura di sussistenza.

Dal 1880 Francia e Gran Bretagna controllavano il sistema coloniale e sfruttavano uomini e risorse.
La decolonizzazione è avvenuta solo tra anni Cinquanta e Sessanta del Novecento (1950-1960).
Nel nuovo secolo è possibile riconoscere crescite molto evidenti.

35.4. I PROBLEMI DEL CONTINENTE AFRICANO


Ancora molte situazioni impediscono lo sviluppo:
- Crescita della popolazione
- Mancanza di acqua
- Guerre e instabilità politica
- Esclusione dal commercio internazionale
Ci sono molti problemi ma si è intrapreso un cammino per cercare soluzioni.

35.5. EPILOGO
Non solo Pil…

I problemi e le sfide del futuro dovranno riguardare uno sviluppo più umano, più omogeneo, senza gli
enormi divari di oggi! → Oggi si parla di “sostenibilità dello sviluppo” che ha come obiettivo la crescita
globale dell’umanità.
Più giustizia e meno ingordigia!
RINGRAZIAMENTI FINALI

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