Sei sulla pagina 1di 171

STORIA CONTEMPORANEA

28.09
Nella storia non esiste mai una data netta che segni l’inizio di un nuovo mondo, il
cambiamento è sempre un processo che avviene gradualmente. Le date che noi utilizziamo
sono delle date simbolo che riassumono un cambiamento.
Per quanto rigurarda le origini dell’età contemporanea, è difficile trovare una data simbolo, è
più utile considerare l’ipotesi di una lunga fase di transizione, identificando questa fase a
cavallo tra ‘700 e ‘800 passaggio dall’età moderna a contemporanea.
In questo periodo, si avviò la rottura di quello che cominciò polemicamente ad essere definito
ancien régime (espressione che nasce quando comincia a manifestarsi il nuovo), dove i suoi
aspetti non spariscono improvvisamente, ma perdono via via funzione, sostanza e sostituiti
lentamente da un nuovo modello: il mondo contemporaneo che si manifesta.
È una fase caratterizzata dall’addensamento di una serie di fenomeni inediti, concentrati e
collegati, dal carattere rivoluzionario, in particolare di due fenomeni decisivi:
- Aspetto economico, prende piede la rivoluzione industriale: cambiamento radicale
nel modo di produrre beni, che in un certo arco di tempo è diventato fattore di
cambiamento per tutta l’umanità. Il cambiamento è stato piuttosto graduale, non
improvviso ma comunque significativo.
Inizia nelle isole Britanniche nei decenni 1760-1800. Nel giro di circa 50 anni ha cominciato
a diffondersi fuori da questi confini e conosce una diffusione sempre più rapida ed incisiva
nel cambiare il rapporto tra esseri umani e produzioni di beni. Fino a quel momento la
ricchezza era in gran parte proveniente dall’agricoltura anche se ovviamente esisteva
l’artigianato e circolazione della ricchezza di tipo monetario, tuttavia gran parte ricchezza
proveniva dalla terra sin dall’altra grande rivoluzione che aveva cambiato le sorti
dell’umanità: rivoluzione agricola del neolitico, 8000/9000 a.C. che aveva consolidato il
modello di gruppi umani stanziati in un territorio che si procuravano la ricchezza attraverso
l’agricoltura e l’allevamento, rispetto ad un periodo precedente di centralità dell’elemento
della caccia e della raccolta.
Qui la rivoluzione industriale inizia ad assumere un aspetto più marcato rispetto a un mero
fatto di innovazioni tecnologiche concentrate nell’attività dell’industria tessile, meccanica,
metallurgica delle regioni britanniche e in un angolino dell’Europa. Comincia proprio a
prendere le caratteristiche di uno straordinario evento epocale e nel giro di qualche decennio
appunto, con il diffondersi delle varie innovazioni tecnologiche, comincia a trasformare la
vita di molti popoli (e quindi di molti esseri umani), sebbene con una diffusione lenta e
diseguale, ma senza mai tornare indietro.
 uso del vapore come energia, non più l’uomo o l’animale, applicata alla produzione e
all’estrazione di carbone (risorsa mineraria cruciale per cambiare i metodi di
produzione)
I settori più sviluppati erano il settore tessile e meccanico. L’innovazione porta a un nuovo
modello con la concentrazione di operai in grandi fabbriche, in cui si moltiplica la capacità di
produrre beni a prezzi sempre più convenienti a standard di qualità e affidabilità crescente.

- Aspetto politico: riconosciamo due grandi episodi


Rivoluzione americana: nascita USA, distacco delle 13 colonie dalla monarchia britannica,
dichiarazione di indipendenza 1776. Sebbene questa vicenda sia collegata sul continente
americano, è chiaro che sia profondamente collegata all’Europa.
Rivoluzione francese 1789
Entrambe introducono l’elemento della critica del potere monarchico e l’introduzione di un
concetto di sovranità diffusa, di base, legata all’esistenza di un popolo organizzato che si
oppone alla monarchia.
Questo filone si allargherà poi nella politica contemporanea, con influssi anche fuori dai
confini in cui sono nati: infatti è questo il momento in cui il peso sociale della tecnologia si
amplia, la velocità della trasformazione sociale aumenta e i problemi iniziano ad assumere
una dimensione tendenzialmente mondiale.
Non solo queste due vicende, ma anche altri fenomeni contribuiscono alla trasformazione
della vita politica, che poi faranno nascere la politica così come la conosciamo oggi, la quale
affonda le sue radici in questo contesto, preparato da anticipazioni tipo Glorious Revolution
(1688), che apre una stagione nuova di contrattazione politica fuori dall’assolutismo
monarchico.

SFERA INTERNAZIONALE
Nella sfera internazionale (nei rapporti tra le comunità politiche) non è possibile indicare una
specifica rivoluzione alle origini della politica internazionale contemporanea. C’è una certa
continuità che però viene messa alla prova dai cambiamenti citati che nel giro di anni hanno
ripercussioni anche sulle relazioni tra comunità politiche, se non altro per il fatto che uno
degli effetti delle grandi rivoluzioni è dare alle comunità politiche europee una forza tale da
cominciare a cambiare tutto il resto del mondo, cosa non successa nei secoli precedenti.
Quindi il sistema internazionale non conosce una rivoluzione così marcata, ma un
cambiamento lento e marcato frutto delle rivoluzioni.

SISTEMA INTERNAZIONALE: sistema, cioè un complesso di interrelazioni


relativamente stabili e organizzate tra le diverse comunità politiche, in cui il comportamento
di ciascuno influenza le scelte degli altri. Quindi comunità politiche che entrano in relazione
tra loro. Non è quindi una definizione nuova, poiché la storia ne avrebbe conosciuti molti, più
o meno elaborati e complesse, fin dall’antichità trattandosi di comunità politiche che entrano
in relazione tra loro.

Le relazioni sono spesso faticose: ci sono parti del mondo dove nel 700 non ci si conosceva
reciprocamente. Dal punto di vista europeo, l’età delle scoperte geografiche (tra 400 e 500)
non era ancora stata conclusa; quindi, il sistema internazionale aveva relazioni con soggetti a
volte precari e a volte ancora di mancata conoscenza reciproca, ma esistevano delle
consuetudini e influssi tra i diversi attori istituzionali e politici sparsi nel mondo. Per questo il
passaggio verso la contemporaneità potrebbe apparire meno determinante e incisivo.

Il fatto che ci siano le varie rivoluzioni che si allargano lentamente anche in altre parti (anche
se attenuate) è uno dei segni di questo processo di lenta transizione.
Koselleck, ha proposto ipotesi per cui il periodo che va dal 1750 al 1850 potrebbe essere
considerata un’età cerniera verso la contemporaneità, cioè una lunga attenuazione dei
caratteri tradizionali e una lenta affermazione di modelli nuovi, in qualche caso accelerati per
esempio dagli eventi rivoluzionari, in qualche caso più lenti che gradualmente modificarono
molti quadri dell’esistenza umana.

In questi cambiamenti il sistema internazionale si evolve più lentamente rispetto


all’economia o alla politica. PERCHE?
Perché alla soglia dell’età delle rivoluzioni esisteva già un sistema internazionale come
rapporto tra alcune grandi realtà politiche ed istituzionali. “sovrane”, molte delle quali
avevano già assunto la forma si Stati. A fine 700 esisteva una catena di potentati del mondo
in cui un sottosistema originale e particolare era quello europeo, sull’onda della preminenza
economica, militare e politica, che nei primi decenni dell’800 era ormai chiara.

Com’era costituita la gran parte di questi grandi o piccoli potentati in giro per il mondo?
Alcuni potentati che esistevano erano molto localistici: piccole comunità che si
autoreggevano, raramente avevano rapporti a lungo raggio (spostamenti persone/merci molto
lenti e difficili prima della rivoluzione industriali).
In altri casi invece erano grandi aggregati che non escludevano la frammentazione interna ma
che avevano un vertice significativo, potremmo dire grandi imperi. La storia dell’età moderna
mondiale ma anche dell’età classica e del medioevo era caratterizzata dalla costituzione di
grandi imperi in cui il carattere fondamentale era il rapporto con la terra (la ricchezza era
estratta dall’agricoltura e poi dalla capacità di un vertice imperiale di imporre un sistema
fiscale (tasse) che permettesse di prelevare una parte di questa ricchezza agricola e di usarla
per costruire un esercito, un’amministrazione, un controllo di questi grandi territori).
Come, ad esempio, il Sacro romano impero nato nell’anno 800 e non dissimile a quelli diffusi
contemporaneamente in altre parti del pianeta.

Tra Asia ed Europa, circa nel 1600, vi erano alcuni grandi imperi così connotati:
- Impero Cinese: uno dei più avanzati all’epoca e riguardava un territorio ampio e
densamente abitato
- Impero Giapponese
- Imperi più piccoli tra Corea, Indocina e il Siam (l’attuale Thailandia)
- Impero dei Mogul: impero musulmano che aveva conquistato la parte settentrionale
del subcontinente indiano
- Impero persiano dei Safawidi
- Impero ottomano: guidato da popolazioe di lingua turca stanziato dove c’era stato
l’Impero Romano d’oriente
- Impero russo: una piccola zona controllata da una popolazione che aveva le sue radici
nella lingua russa e la sua religione nel cristianesimo ortodosso orientale.
Potremmo poi moltiplicare questo discorso anche per l’Africa, l’America qualche anno prima
l’arrivo degli europei, dove c’era un grosso impero Maya, un impero Azteco ecc. Anche in
europa qualche anno prima c’era stato una forma di grande impero unitario, cioè l’impero
carolingio (sacro romano impero), simile a questi grandi imperi agrari.

CONCETTO DI IMPERO TRADIZIONALE: l’impero così concepito non escludeva che la


vita delle città a livello locale fosse abbastanza indipendente dal centro dell’impero. Infatti, a
causa della fatica dei collegamenti, dei trasporti ecc. il grosso della vita scorreva a livello
localistico e di fatto anche in questi grandi imperi c’era una frammentazione interna.
Concetto di impero tradizionale è proprio questo: centro che tiene insieme una grande realtà
senza riuscire ad unificare anche le realtà periferiche causa scarse tecnologie e scarsa
organizzazione umana dell’epoca.

Questa esperienza molto comune e parallela a livello globale faceva parte di un sistema
internazionale: c’erano rapporti tra questi vari imperi, viaggiatori, diplomatici, scambi
(ovviamente rapporti condizionati da quei limiti).

L’ANTICIPO DELL’EUROPA
L’Europa, già verso la fine del 700 (quindi alla vigilia dell’età contemporanea) conosceva
un’esperienza che aveva già fatto passi avanti significativi: non era più una realtà simile ad
un impero agrario tradizionale, esisteva gia un pluralismo di esperienze impegnato sul
concetto di STATO SOVRANO, concetto di organizzazione più diffuso universalmente
oggigiorno (circa 200 stati sovrani, e non esistono altre forme di organizzazione anche se
utilizzano un’altra nomenclatura).
Questo è un concetto storico, non esisteva prima dell’europa del tardo medioevo dove si
inizia a creare qualcosa che poi verso il 500 inizierà ad essere chiamato stato sovrano.
Tra il tardo medioevo e l’inizio dell’età contemporanea, in europa lo stato sovrano aveva
preso piede come forma di organizzazione della vita istituzionale e politica. Non esisteva più
un grande impero agrario pluralistico, esiste un sistema internazionale fatto da un pluralismo
di stati sovrani.
Lo stato sovrano è la creazione di una figura autorevole all’interno di questo pluralismo, che
esisteva anche nei vecchi imperi, ma che ora si rende autonomo da un concetto
universalistico come quello degli imperi e fa riconoscere la sua autorità in un territorio,
entrando non più in una relazione gerarchica (potente locale e imperatore centrale), ma in una
relazione paritaria (io pari all’altro stato sovrano vicino a me) => innovazione europea: la
nascita degli stati e quindi di un sistema internazionale intendendolo come sistema di
relazionitra stati sovrani. Questo, come detto, era già strutturato alle origini della
contemporaneità

Questo anticipo dell’Europa (che verrà esportato anche al di fuori da se stessa), a fine 700
non voleva dire che l’Europa fosse già il centro del mondo, che fosse già dal punto di vista
civile, economico, tecnologico, la parte più avanzata del mondo, nemmeno che era il più
potente militarmente (era comunque un sistema pluralistico diviso al suo interno) anche se
bisogna dire che l’Europa aveva sviluppato meglio alcune tecnologie a livello militare ma
non è uno stacco che porta al dominio.
Anche sotto il profilo civile ci sono parti del mondo simili se non più avanzate dell’europa.
Es: conoscenza del pianeta terra, la civiltà cinese era più avanzata già nei secoli dell’età
moderna => coscienza dell’imperatore cinese di essere al centro del mondo (infatti il nome
della cina era l’impero di mezzo) al cui confine ci sono popoli e territori di tipo subalterno,
come lo pensavano tutti gli imperi.
Già tra 400 e 500 i navigatori cinesi avevano sicuramente presente il continente americano e
un’idea abbastanza precisa della loro estensione sul planisfero
 Ci troviamo nel periodo dell’inizio dell’esplorazioni degli europei (circa 400) vuol dire
quindi anticipare i tempi dell’Europa, se la collochiamo nel 500 parliamo quindi di
un’epoca contemporanea.

MA sistema europeo nel giro di un tempo relativamente breve (circa un secolo) si estenderà a
dominare il mondo in termini di conquista politico-militare o almeno in termini di influenza
economica e civile.
 Il resto del mondo sarà così assorbito dal dominio europeo da adattarsi all’esperienza
europea.
 Nel resto del mondo prenderà piede un modello molto simile a quello europeo degli
stati sovrani.

IL SISTEMA DEGLI STATI EUROPEI


Il sistema degli stati europei è un SISTEMA PLURALISTICO che nasce dalla dissoluzione e
dalla successiva riorganizzazione su basi diverse dell’universo della christianitas medioevale,
quindi di un qualcosa di molto simile ai vecchi imperi agrari universalistici che abbiamo
citato esistere in diverse parti del mondo.
Anche l’Europa del medioevo, che era uscita dal crollo dell’Impero Romano, sebbene si fosse
frammentata in molti rivoli, il concetto di una forza universale di ordinamento era rimasta
ben viva: il mito della renovatio imperii corse nei secoli, unendo l’eredità romana all’arrivo
delle popolazioni germaniche (i cosiddetti barbari). Questo intreccio era garantito da un
fattore unificante, cioè il cristianesimo. Infatti, l’Europa medioevale si era unificata in una
civiltà abbastanza comune che era la cosiddetta Res Publica Christianorum (modo per
definire l’Europa ai tempi). Il cristianesimo era stato un fattore importante per
quest’unificazione della regione europea, con il contributo dei popoli germanici, all’interno di
una civiltà comune, la quale si era anche dotata di una forma di organizzazione politica
comune, cioè il Sacro Romano Impero, nato nell’anno 800.

Quest’ultimo in realtà non è riuscito ad estendersi in tutta l’Europa, nel momento della
massima espansione aveva tenuto insieme l’europa occidentale ma non era riuscito a
estendersi alla penisola iberica (allora controllata dagli arabi), né alle isole britanniche. Verso
est aveva delle propaggini di controllo relativo e la stessa penisola italiana ne faceva solo
parzialmente parte, perché a sud c’era ancora l’influsso bizantino dell’impero romano
d’oriente.
Tuttavia, il Sacro Romano Impero era rimasto qualcosa di simile ad un impero agrario
tradizionale che era stato unificato con questa forte caratteristica politico-religiosa:
- Sacro: collegato all’idea di universalismo cristiano, Carlo Magno si fa incoronare dal
papa.
- Romano: simbolicamente e culturalmente mirato a portare in vita quel carattere
unificante collegato all’impero romano della classicità.

Il Sacro Romano Impero era un impero tradizionale come quelli prima citati, al suo interno
frammentato, con rimando ad un centro unico caratterizzato però da un estremo pluralismo: la
vita delle popolazioni scorreva in un ambito locale, dove l’anarchia era elevate e la
sovrapposizione di poteri diversi era la regola, infatti, i nobili avevano pretese sul controllo di
un certo territorio, avendo ottenuto l’ereditarietà dei possessi feudali, che li rendeva di fatto
indipendenti.
Progressivamente l’impero si riduce territorialmente, sparendo solo all’inizio dell’Ottocento.
Si riduce geograficamente perché molte parti cominciano a staccarsene e verso il 500
comincia ad assumere una denominazione nuova: Sacro Romano Impero della nazione
germanica, con confini più ridotti all’area tedesca sempre con pluralismo.
Dunque, un’idea imperiale continuerà ad esistere in Europa, l’imperatore continua a non
dismettere l’idea di essere il punto di riferimento ultimo di una catena di poteri che esce
anche dai confini della Germania (=> idea della restaurazione di un impero esteso a tutta la
cristianità europea ritorna più volte, rimanendo però solo un’aspirazione per molti sovrani del
S.R.I).

Rimane in vita un aspetto di questa tradizione, anche se pian piano quest’universalismo si


dissolve, al suo posto il potere si ristruttura attorno al nuovo concetto di pluralismo di stati di
cui un qualche potente, nella catena universalistica ma frammentata del vecchio impero,
afferma il concetto della propria sovranità.

La SOVRANITÁ è definita intorno al 500 in termini così chiari, intorno a due


caratteristiche:
- Il sovrano, il monarca nel suo territorio è superiorem non recognoscens, non
riconosce nessuno sopra di se. Nei vecchi imperi, l’imperatore, e accanto a lui il papa
(sistema dualistico e spesso conflittuario) avevano il potere di confermare, di
incoronare, di legittimare i potenti al di sotto del loro livello. Il ruolo universalistico
che assumevano era quello di essere il più alto punto di riferimento di una catena di
comando, poi lo stato sovrano nel suo territorio a un certo punto non riconoscerà più
la sovranità di nessuno al di sopra di lui ne di un imperatore ne tantomeno quella del
papa (spirituale in questo caso).
- Imperator in regnum suum: i poteri di ultima istanza, di ultimo riferimento di una
catena di potere che storicamente erano stati attribuiti all’imperatore, in quel territorio
sono tutti nelle mani del sovrano.

L’imperatore era solitamente rappresentato con scettro e globo: globo potere universale,
scettro tutti i poteri, essi diventano forme che ogni sovrano di un singolo stato si attribuisce
staccandosi dal vecchio universalismo.

Nel 500 questo concetto è chiaro, Machiavelli scrivo il suo “principe” parlando di stato in
questi termini. La teoria della sovranità viene poi riaffermata tra 500 e 600 da studiosi come
Butero che affermano questa realtà, che magari nella realtà non si era ancora affermata
definitivamente. I primi ad affermare questa volontà di sovranità sono monarchi risalenti già
al tardo medioevo (1200 e 1300), ma il processo definitivo per cui l ‘imperatore si
accontenterà di essere solo una parte e il papa non rivendichera più un rapporto diretto di
conferma della sovranità dei singoli stati arriverà verso il 600/700, quindi alle soglie dell’età
contemporanea. È un processo lungo, ma straordinariamente importante.

DATA SIMBOLO: TRATTATO DELLA WESTFALIA 1648 che chiude una serie di
lunghe guerre, rimaste nella storia con il nome di Guerra dei trent’anni. Il trattato fa si che
questi stati sovrani si riconoscano a vicenda come parti di un sistema pluralistico e
l’imperatore viene ricondotto ad essere uno dei tanti stati sovrani.
Il trattato di Westfalia chiuse un periodo di guerre iniziato con le guerre di religione, frutto
della dissoluzione dell’unità religiosa della cattolicità occidentale, avviata con la Riforma
protestante (toccarono Germania, dove iniziarono, Francia con conflitto tra cattolici e
calvinisti e Gran Bretagna con le guerre civili del ‘600), che videro il loro apice nella serie
di conflitti chiamati Guerra dei Trent’anni (1618-1648). Dovuta a un tentativo fallimentare
di riportare l’influenza di impero e papato sui paesi protestanti tedeschi.
Questo processo di riconoscimento portò alla definizione di confini in senso moderno e
rafforzò gli stati fissando definitivamente l’unificazione religiosa forzata delle popolazioni: i
sudditi di uno stato dovevano seguire la confessione fissata dal principe sul territorio.

Percorsi che portano a: sottrazione dell’autorità superiore e affermazione della sovranità


su un territorio
- Unificare un territorio con una lingua comune
la lingua dell’universalismo medioevale era il latino. Era la lingua dei dotti, degli ecclesiastici
(quindi di uno dei componenti di questa grande unità universalistica), era la lingua in cui si
scrivevano i decreti, era quella della cancelleria imperiale e quella che usavano i mercanti, i
colti, gli intellettuali e i romanzieri.
A un certo punto, nei secoli citati, in un certo territorio il sovrano comincia a scardinare il
latino a favore di una lingua volgare ufficiale per il suo potere e la sua amministrazione
(inglese, francese…) e si definisce una forma ufficiale.
es academie francese che nel 600 struttura una forma ufficiale.
Il latino continuerà ad essere usato, ma comunque in tutti gli stati il sovrano sceglie una
propria lingua come lingua del proprio potere, della propria amministrazione.
SCEGLIERE UNA LINGUA VUOL DIRE AFFERMARE UN’AUTORITÀ, non vuol dire
necessariamente che tutta la popolazione la utilizzi.
Quindi abbiamo proprio una distinzione dall’universalismo e la codificazione di una propria
realtà
 Amministrazione: il sovrano tende ad amministrare il territorio molto più
efficaciemente rispetto all’imperatore, al contrario dell’imperatore che non
amministrava il territorio direttamente. Francia (una delle prime a strutturarsi in questo
modo) inventa la figura degli intendenti, figure che dipendono dall re e vanno nelle
periferie dello stato per affermare l’amministrazione del sovrano, non la propria.
 Il prefetto moderno prende origine infatti dall’intendente, rappresentanti locali del
potere dello stato
Quindi lo stato non si limita a fissare le regole generali e far si che l’amministrazione locale
avvenga un po’ così per conto proprio. Il percorso di decentramento amministrativo che
avviene nei nostri stati attuali, per cui ci sono province, comuni, è un percorso che viene
riscoperto in età tardiva, ma il primo processo di affermazione della sovranità dello stato è di
accentramento amministrativo (anche se il caso francese è di accentramento più forte magari
rispetto a quello inglese). Questo vale per le leggi, ma anche per la religione. Per il discorso
della nascita degli stati moderni è fondamentale che ci siano delle chiese nazionali, collegate
al sovrano. La riforma protestante è la spaccatura dell’unità religiosa cristiana, con la linea di
tendenza per cui nascono delle chiese collegate al potere politico: le chiese protestanti
diventano in molti casi chiese di stati. Pensiamo anche allo scisma anglicano in Inghilterra
inizio 500: è proprio un concetto per cui sovrano diventa guida della chiesa nazionale,
staccandola dall’universalismo papale.

L’ordine interno vede nello stato sovrano l’idea che il monopolio della forza è nelle mani
nello stato. Nei vecchi imperi invece c’era pluralismo della forza, infatti, i vassalli avevano il
proprio esercito che poi portavano ad aiutare l’imperatore. Il sovrano, per esempio, abolisce
gli eserciti privati, deve essere dello stato e gli aristocratici esercitano cariche di corte ma
sempre sotto la forza del sovrano.
Il MONOPOLIO DELLA FORZA LEGITTIMA (espressione che userà Max Weber nel 900)
è una caratteristica di questa nuova creatura, cioè gli stati sovrani.
Questo ha a che fare anche con i rapporti dello stato sovrano con l’esterno: lo stato sovrano
all’esterno non riconosce vassalli (superiorem non recognoscem), ma una varietà di stati
sovrani riconosciuti in un rapporto di parità. Nei loro confronti ha il monopolio dell’uso della
forza: si forza per regolare i rapporti, ma in un rapporto di parità. Per cui gli eserciti
diventano ultima ratio regis (scritto sui cannoni dell’esercito prussiano): l’ultima razio del
sovrano è usare la forza, ma in una comunità di pari, ovvero gli stati sovrani.

Verso il 600/700 ormai il processo per arrivare al pluralismo è ormai completato. Gli stati
indipendenti, sovrani e competitivi si riconoscevano anche parte di una comunità, “c’era una
società internazionale di stati” (Hedlimbul): condividevano un po’ il retaggio del vecchio
universalismo; quindi, sebbene non ci fosse un vertice universale comune, c’era una
condivisione di usanze, costumi, tradizioni, culture e anche di lingua (inizialmente latino poi
francese, lingua della diplomazia perché la Francia è il paese più influente in questo sistema
pluralistico)

C’è un articolato sistema diplomatico, dove la diplomazia diventa un qualcosa di strutturato e


organizzato, dove l’extra-territorialità delle diplomazie è esattamente l’espressione del
pluralismo degli stati sovrano.
Poi ci sono anche delle regole comuni, uno IUS, un diritto pubblico comune, fatto di accordi.
Ovviamente non c’è un’autorità sovra nazionale per creare un diritto; quindi, per fare regole
che tutti rispettino bisogna creare degli accordi. Questa rete di accordi e trattati diventa
sempre più diffusa, i trattati sono da rispettare fin quando le cose cambiano: quando questo
avviene essi possono anche essere messi in discussione. Comunque, questa rete di regole e di
accordi diventa talmente importante che a fine 700 uno studioso come Benhtam in Gran
Bretagna conia l’espressione: esiste un diritto INTERNAZIONALE. Questa parola
“internazionale” nasce proprio in quel contesto lì, quindi quando si è completata questa
unificazione.

5.10
È anche una comunità competitiva in cui la guerra è un elemento presente, è un po’ una
particolarità europea. Per esempio, se pensiamo all’ impero cinese, è ancora molto unitario a
fine 700 pur contando 300 milioni di abitanti, mentre l’Europa ne contava 250 milioni.
Quindi da un punto di vista geografico l’impero cinese aveva una dimensione più o meno
uguale a quella europea, eppure aveva avuto una storia molto più unificata e verticistica,
mentre l’Europa aveva conosciuto questo pluralismo.
Tra 500 e 700 è difficile trovare lunghi periodi di convivenza pacifica. Certo queste guerre a
volte erano ad esempio per la definizione di confini (quindi circoscritte tra paesi vicini).
Oggi intendiamo il confine come qualcosa di tracciato sulla carta geografica, magari
addirittura con delle barriere fisiche, dei muri che dividono perfettamente il territorio. Non è
sempre stato così nella storia e spesso in passato il confine era una specie di limes romano,
venivano intesi come zona di transizione in cui si sovrapponevano le amministrazioni, le
economie, le forze armate, non era netto come oggi. Quindi fissare i confini è un processo
che fa parte di questa lenta costitituzione dello stato e della sua sovranità e si completa molte
volte dentro l’età contemporanea. Per farlo ci sono guerre d’attrito con stati vicino, magari
per la presenza di una regione particolarmente ricca che si voleva controllare, o ragioni di
tipo dinastico per successione al trono.
C’è anche una logica economica che porta a questa competizione: in quest’epoca pre-
contemporanea i sovrani condividevano la visione mercantilista, ossia l’idea che la
ricchezza degli stati era una realtà piuttosto definita dalla quantità di metalli preziosi presenti
in un territorio. Per impedire che questi metalli prendessero la via dell’estero, bisognava
controllare strettamente il commercio, quindi controllare le dogane per essenzialmente due
motivi:
- un po’perché imporre dei dazi sulle merci che arrivavano dall’estero era un elemento
di arricchimento del sovrano. Far pagare le tasse non era spesso facile e quindi
l’elemento delle dogane contava molto.
- Per arricchirsi ogni stato doveva tesaurizzare le risorse, incrementando le esportazioni
di beni e limitando al minimo le importazioni e il conseguente esborso di denaro
Il mercantilismo accompagnò l’accentramento del potere statuale: scopo dello stato divenne
sorvegliare rigorosamente la produzione (istituendo monopoli) e controllare il commercio
attraverso una rete di dogane e dazi per impedire l’uscita di flussi di metalli pregiati e
rafforzare finanziariamente il governo.
Spesso i commerci avvenivano via mare, date le scarse tecnologie per il trasporto via terra. In
questa logica mercantilistica a volte gli scambi vengono appunto limitati perché i sovrani, in
qualche fase, pretendono che le merci arrivino in un solo porto portate unicamente da navi di
quello stato, controllate dal sovrano: questo è ciò che decise l’inghilterra per scalzare il
semimonopolio marittimo olandese, imponendo con il Navigation Act del 1651 che tutte le
merci coloniali arrivassero nei porti inglesi su navi inglesi.
Spesso tra paesi che hanno reti di commercio internazionali (come Inghilterra e Olanda in cui
l’Inghilterra afferma la sua preponderanza nel controllo commerciale dei mari) ci sono guerre
navali per affermare questo concetto: il commercio, quindi, diventava uno strumento di
conflitto, e non come nell’800 quando diventerà uno strumento con cui ciascuno poteva
trovare il proprio vantaggio.

L’altro elemento di conflitto è il fatto che gli stati europei cominciano a guardare, agli albori
dell’età moderna, anche al di fuori dell’europa: ci sono le condizioni di tipo tecnologico ed
economico per espandersi e anche conoscere nuovi territori.

Il sistema europeo era in rapporto storico con altri sistemi conosciuti e vicini. Pensiamo al
discorso del sistema islamico: l’impero ottomano era diventato il centro di un sistema esteso
di potentati che facevano riferimento alla religione islamica e nel Mediterraneo dalla grande
espansione araba del VII secolo in poi c’era stata questa linea di scontro (crociate e
Reconquista spagnola), e allo stesso tempo di incontro e di scambio con il sistema islamico
(sfera economica e commerciale relativamente integrata). Inoltre, l’impero ottomano si era
addentrato nei Balcani, quindi collocato geograficamente in Europa, eppure non venne
riconosciutoi fino all’800 inoltrato come parte del sistema degli stati europei, tuttavia ciò non
toglie che esso era un termine di intese possibili nel gioco della competizione europea.
Pensiamo anche ai sistemi asiatici, fino al lontano sistema cinese: il rapporto con l’impero
era garantito da una catena di scambio con la famosa via della seta. Non era una relazione
facile, ma esisteva.

Tra 500 e 600 questo mondo si allarga grazie alle grandi scoperte geografiche, ai viaggi
colombiani, ai viaggi intorno al globo finanziate dalla monarchia spagnola o portoghese.
L’età delle scoperte geografiche, che andò di pari passo all’avvio di un’evoluzione
tecnologica e amministrativa, fa si che si incontrino anche mondi di altre civiltà, più fragili di
quella europea. Anche se l’Europa era lungi da dominare il mondo in quella stagione, la sua
influenza inizia pian piano ad espandersi.

Cartina: è una cartina dell’800 che fissava la diffusione del controllo europeo fuori del
continente tra 600 e 700, quindi alla vigilia dell’età delle rivoluzioni che stiamo
considerando. SPAGNA, FRANCIA e GRAN BRETAGNA (i più grandi colonizzatori) sono
colorati sulla cartina dell’Europa e le macchie di colore fuori dall’ Europa rappresentano le
zone controllate da questi paesi. Ci sono anche dei punti di appoggio e delle fasce costiere
vagamente controllate. Sul continente americano queste macchie si allargano, ma non
dobbiamo prendere come delle vere e proprie sovranità estese sul territorio, sono più
rivendicazioni che le monarchie europee facevano su questi territori. Sulle coste dell’Africa
ci sono punti di appoggio, dei porti, sottolineati in modo colorato a seconda del controllo di
una potenza o dell’altra. A sinistra vediamo l’ingrandimento della regione dei caraibi, in
basso vediamo le indie orientali (attuale Indonesia) in cui ci sono fasce costiere controllate da
alcuni paesi europei, tra cui i Paesi Bassi e la monarchia olandese segnata in nero.

Per regolare appunto questa lenta espansione europea al di fuori dei propri confini anche in
questo caso ci sono episodi di scontro e guerra. Ex. c’è una guerra dura tra francesi e inglesi a
metà del 700 nell’America del nord, dopo la quale le terre sotto il controllo francese verranno
ridimensionate e quasi annullate dalla monarchia britannica. Abbiamo anche altri episodi
simili, che però prevedono anche mediazioni e trattati. Ad esempio, le monarchie iberiche
Spagna e Portogallo già alla fine del 400 fanno un accordo per dividersi le aree di espansione
del proprio commercio extraeuropeo, Trattato di Tordesillas

Il tema dell’espansione è appunto cruciale: di frizioni, di riconoscimenti reciproci, di scontri


all’ interno di questa logica di comunità regolata ma molto molto competitiva.

Nella comunità pluralistica, pur mostrando originalità rispetto ai grandi imperi, però esistono
e ritornano le tendenze all’accentramento del potere, cioè le idee del ritorno dell’impero in
Europa, con tentativi di ripristinare una certa egemonia (idea della renovatio imperi). In
particolare, se ne ricordano due:
- Tentativo degli Asburgo d’Austria verso l’inizio del 500:
gli Asburgo erano una casata regnante di origine tra il Tirolo e la Svizzera (nelle Alpi) che
avevano pian piano allargato i propri territori tradizionali (colorati in blu nella cartina destra),
occupando varie regioni nell’area tedesca, boema, ungherese, con dei possedimenti anche in
Italia (avevano strappato il ducato Milano agli spagnoli). Dal 400 in poi era riuscita a
monopolizzare la carica imperiale (cioè il ruolo di imperatore del sacro romano impero, che
si era ridotto all’area germanica), che era diventata una carica formalmente elettiva ma dal
400 in poi eleggevano sempre un asburgo. Quindi essi avevano monopolizzato questa carica e
in qualche modo si facevano portatori visione universalistica tradizionale, che anche nell’area
tedesca non è che controllasse tutto territorio, ma faceva conti con i vari staterelli
Oltre a questo ruolo avevano fatto una politica di matrimoni che li aveva portati ad allargare i
propri possedimenti, unificando terre diverse:
Da una parte le terre dei paesi bassi, economicamente molto sviluppate, dove stava
prendendo piede quella che poi diventerà, staccandosi dagli Asburgo, una specie di
repubblica aristocratica marinara molto importante tra 600-700.
Dall’altra due fra i grandi regni della penisola iberica, i regni di Castiglia e di Aragona, che
vengono fusi con i matrimoni tra gli eredi delle due casate. Poi la figlia di questi due sposa
l’erede degli Asburgo e il loro figlio, Carlo V d’Asburgo, a inizio 500 si trova erede di
territori sparsi in tutta Europa e in più ha la dignità di imperatore; quindi, idea di una
potenziale influenza molto diffusa
 I conquistatori spagnoli hanno anche possedimenti molto grandi al di fuori
dell’Europa, ancora abbastanza fragili ma con possibilità economiche grandi, con la
possibilità di esportare materiali preziosi come l’argento dalle miniere latinoamericane
L’idea di egemonia degli Asburgo non riesce però a consolidarsi perché la politica
matrimoniale non porta a fondere i due territori, oltretutto non coesi dal punto di vista
geografico, quindi, non c’era la capacità di estrarre da questi territori risorse in modo coeso
per una politica di potenza. Dall’altra parte queste pretese imperiali provocano reazioni come
quella della monarchia francese, degli stati minori sotto l’impero (che vogliono mantenere
una loro autonomia), e ci saranno poi le guerre di religione (riforma protestante) con sovrani
che si oppongono alla volontà dell’imperatore di portare un’uniformità religiosa cattolica in
tutta Europa

Ogni spinta egemonica porta con se una reazione di questo pluralismo che si vuole salvare e
mantenere. Questa è una dimanica che si ripresenterà davanti ad altre spinte egemoniche,
come quella francese contrastata.

Nel 700 si elabora una teoria che porta in questa direzione: nel 700, secolo della cultura
illuminista, cosmopolita ma anche del trionfo della ragione e della scienza, l’idea diffusa è
che il rapporto tra gli stati del sistema europeo funzioni un po’ come quello tra i corpi celesti
 C’è una logica di gravitazione, attrazione, ma anche di spinte all’equilibrio, per cui
ogni spinta è controbilanciata da una reazione uguale e contraria.
Quindi, molti intellettuali al servizio dei sovrani nel 700 affermano che tra gli stati si
stabilisce un giusto equilibrio di potenza: ogni spinta ha una costrospinta che porta
all’equilibrio
Idea un po’ astratta, perché non è detto che le spinte e controspinte funzionino sempre così
efficacemente, ma diventa molto diffusa fissando il concetto che dal pluralismo europeo
non si tornerà indietro e non si ammetterà nessuna egemonia duratura, nessun ritorno
all’imperialismo.

COLLABORAZIONE – COMPETIZIONE – SPINTA ALL’EGEMONIA – PLURALISMO


MANTENUTO. => caratteristica del sistema di stati europei stabilizzato a fine 700

COME SI CONCEPISCE IL PLURALISMO:


Gli stati sono concepiti strutturalmente come uguali dal punto di vista giuridico e dei loro
rapporti, non esiste uno stato che per principio è superiore ad un altro, ed esiste in quanto
riconosciuto dagli altri.
Tuttavia, è normale che nel corso del tempo si crei una certa gerarchia. Non tutti gli stati che
sono uguali dal punto di vista del diritto e del principio sono uguali dal punto di vista dei
fatti, quindi per potenza, capacità e influenza esterna. Verso la fine del 700, si cominciano a
distinguere alcuni stati più influenti degli altri, che cominciano ad essere chiamati LE
GRANDI POTENZE.
Quelli territorialmente più grandi potenzialmente sono quelli più influenti, ma non è sempre
così
Es:
- stato polacco-lituano: è grande ma non trova un potere centrale efficiente, la
monarchia non riesce ad unificare nobili e signori feudali i quali non vogliono
conferire poteri ad una monarchia centralizzata
- monarchia spagnola che nel 700 perde influenza dopo essere stata militarmente e
grazie alle risorse estratte dai territori di oltremare una grande potenza
Ci sono anche grandi potentati, ma ai margini dell’Europa: l’impero ottomano, grande ma
non condivide la tradizione religiosa comune, è un po’ ai margini dell’europa
 La tradizione cristiana si era già spezzettata sia dopo la grande divisione tra oriente e
occidente (anno 1000) sia con la riforma protestante, ma comunque i sovrani europei si
riconoscono come sovrani cristiani anche al di la della diversità confessionale.
La sublime forza, come viene chiamato il trono del sultano a Istanbul è invece un potentato
esterno a questa tradizione. Non è che non ha rapporti con le potenze europee, anzi ha
rapporti di collaborazione e scontro, per esempio con gli Asburgo lottano per fissare i confini,
e gli ottomani arrivano ad assediare Vienna nel 600 e poi cacciati.

Emergono 5 grandi potenze:


1. Monarchia francese
2. Impero di Asburgo: hanno dalla loro la forza dell’eredità della forza imperiale.
3. Regno di Gran Bretagna: pian piano unifica tutte le isole (scozia, irlanda) fondando
questo Regno Unito proprio a inizio 700
4. Impero Russo: ai confini dell’Europa orientali, che ha una sua storia a cavallo tra
l’Europa e l’Asia
5. Prussia: si sta affermando come soggetto militare e politico in Europa.

AUSTRIA
Ha dalla sua parte la forza dell’eredità della tradizione imperiale. Carlo aveva tentato di
estendere l’influenza in tutta Europa, ma non ci era riuscito e a un certo punto il regno iberico
era stato separato. In ogni caso, questo aveva permesso all’imperatore di controllare i territori
ereditari della corona, più alcuni possedimenti in italia e altri nei Paesi Bassi.
C’era una solida presenza dell’impero, capace di estendere il controllo della monarchia verso
l’Ungheria con frizione con l’impero ottomano il quali li respingeva indietro. Dopo l’assiedo
di Vienna del 1683, il controllo va agli ottomani.
La carica imperiale era difficile da gestire, soprattutto perché all’interno dell’impero c’era un
pluralismo di stati. Alla vigilia dell’età contemporanea si parla di circa 390 “sovrani” (alcuni
anche solo cavalieri che rivendicavano il loro potere sul loro castello definendolo una parte di
questo pluralismo imperiale). Gli Asburgo dall’impero ottenevano risorse ma con questa
formula pluralistica non avevano possibilità di lucrare su questo ruolo, piuttosto erano le terre
imperiali agricole che erano state le basi dell’influenza asburgica (dalla Boemia all’attuale
Austria e zone della Polonia e Balcani)
In più la solidità demografica era un punto a favore di questa espansione asburgica: tra 700 e
800 l’impero asburgico con Francia e Russia era alla fine del secolo abitato da quasi 30
milioni di abitanti, molti da cui l’imperatore traeva risorse sufficienti per acere un esercito
capace di giocare in questa dinamica europea.

MONARCHIA FRANCESE
Francia e Austria avevano avuto questo dissidio fin dai tempi di Carlo V e dopo la sconfitta
del tentativo imperiale di Carlo quinto, la potenza francese era cresciuta. La Francia era la
potenza che era stata più in grado di unificare efficacemente un territorio sconfiggendo i
potenti locali o portando i potenti locali a diventare semplicemente dei nobili alla Corte del
sovrano.

Non a caso la Francia tra 600 e 700 aveva visto l'affermazione teorica dell'assolutismo
monarchico, cioè una specie di conclusione della parabola della centralizzazione statuale: il
re si dichiara assoluto, ma non dobbiamo intendere il re assoluto come una specie di tiranno
che possa fare quello che vuole.
Il re assoluto non è sganciato da una serie di vincoli, di obblighi però è assoluto nel senso che
si svincola dalla tradizione precedente: può creare nuovo diritto, può creare nuove leggi, è
legibus solutus quindi senza dover rispettare necessariamente la tradizione.
La monarchia francese aveva un rapporto con gli aristocratici, con i nobili per cui aveva
stabilito un sistema di Stati generali consultivi della monarchia. Ma pian piano i sovrani
francesi questi Stati generali neanche più li convocavano, quindi si staccavano da ogni tipo di
condizionamento. Avevano trovato il modo di concentrare il potere nelle loro mani.
Anche il controllo da parte della capitale Parigi sulla periferia era stato rafforzato molto dalla
monarchia francese attraverso il sistema degli intendenti (questo controllo era comunque
legato alle questioni tecnologiche del di tempo quindi l'esecuzione degli ordini e le relazioni
tra le diverse parti della monarchia non erano semplicissime, però rispetto ad altri Stati
europei, certamente la Francia aveva questa caratteristica di essere stata all'avanguardia)
Tra fine 600 inizio 700 aveva anche allargato poi i propri confini andando nella direzione
diciamo del Reno, grande fiume che corre dalle Alpi fino al Mare del Nord.
Luigi XIV, monarca che vuole allargare l’influenza francese verso il Reno, sottrae territori tra
fine 500 e fine 700 inglobandoli nella sua monarchia.
Si proclama il re sole, la monarchia protegge le culture più innovative dell’epoca, come per
esempio gli illuministi. Non a caso la cultura francese è quella più ricca e moderna e la loro
lingua diventa la lingua della diplomazia europea.
 Influenza che va oltre quella militare.
Il limite della monarchia francese nel 700 è un limite finanziario: mantenere il controllo di
questa struttura così ricca e complessa, del clero e aristocrazia, assoldare dei militari per
allargare conquiste sono tutte azioni costose e la capacità di estrarre risorse tramite tasse non
è così forte, per questo la monarchia si indebita da grandi ricchi banchieri in Europa. Per cui
la monarchia nel corso del 700 diventa sempre più fragile dal punto di vista finanziario.

La guerra tra Francia e Gran Bretagna in America nel 1763 per il controlllo del territorio è
stata una guerra molto dispendiosa, in cui la Francia perde e viene cacciata dall’America del
Nord, lasciando alle casse dello stato moltissimi problemi.
 Vicenda importante anche per le rivoluzioni

MONARCHIA BRITANNICA
Monarchia insulare, una volta completata l’unificazione a inizio 700 a livello di confini ha
una sicurezza molto alta perché non ha problemi di invasioni. L’ultimo tentativo lo fece
Filippo II (1587), con la famosa invincibile armata, cioè una serie di navi con cui il sovrano
spagnolo aveva tentato di invadere il regno fallendo miseramente.

La monarchia sviluppa una forza marittima che nella logica mercantilistica aveva portato a
sviluppare il commercio.
Rete di punti d’appoggio in giro per il mondo non era sempre controllata dalla monarchia,
molti erano stati costituiti non direttamente dagli eserciti, ma da compagnie di mercanti:
realtà semiprivate perché messe in piedi da case mercantili che si coalizzano tra loro e
comprano navi e gestendo rotte commerciali oltre che punti d’appoggio su altri continenti,
ottenendo dalla monarchia una carta, cioè un accordo in cui da loro poteri di gestione di
queste tratte commerciali e punti d’appoggio che sono poteri di tipo statuali per cui esigono
delle tasse, battono moneta, gestiscono una polizia amministratica ecc.
 Volontà della monarchia di affermare la visione mercantilista

I controlli marittimi portano una certa ricchezza ma non sono la fonte di una strardinaria
concentrazione di ricchezze, perché fino all’800 sono molto ridotti in termini di peso e di
valore, nel senso che da sole non possono costituire la ricchezza di un paese. L’unica relativa
eccezione in questo senso, che diventa un elemento veramente di arricchimento, è il
commercio Atlantico, che a un certo punto gli inglesi iniziano a dominare, e che potemmo
definire triangolare: tra madrepatria – terre africane – terre delle coste americane (caraibi,
america latina o settentrionale)
Nel 700 si rafforza il commercio che porta con sé l’estrazione da queste colonie di prodotti
agricoli derivanti dalle agricolture di piantagione (cotone e zucchero), prodotte su coste
americane da padroni europei che sfruttano una manodopera schiava africana.
Questo è il meccanismo della schiavitù che europei non si inventano -> è un meccanismo
endogeno: ci sono potentati africani che gestiscono il commercio degli schiavi. Nonostante
non sia un’invenzione europea, questi europei la sfruttano ampiamente fino al 700 (il primo
ripensamento avverrà nel corso dell’800). In cambio dall’ Europa vengono portati in Africa
beni artigianali, armi, tessuti.

Mentre quella francese aveva accentrato il potere nelle sue mani, la monarchia inglese riesce
a gestire un consolidamento del suo potere attraverso un rapporto più contrattuale con
l’arisotcrazia e con il pluralismo interno (città, anche borghesia ascendente).
Questo avvierne attraverso una serie di conflitti ma che già dall’epoca delle grandi guerre di
religione del 500 trovano un certo assessamento che si definisce a fine 600: la Glorious
Revolution del 1688 sancisce la fine di questo percorso, dove la monarchia fissa un equilibrio
con il parlamento che anticipa un percorso di regole e divisione del potere che si
diffonderanno nell’europa continentale a fine 700 con modalità diverse.

IMPERO RUSSO
È ai limiti del pluralismo europeo perché si stabilisce un grande potentato limitato a cavallo
tra Europa e Asia (no confini rigidi tra questi due continenti, è una grande marca
continentale).
Questo potentato accumula potere allargandosi nell’area soprattutto asiatica e fino alla fine
del 600 ha già affermato il proprio potere fino all’oceano Pacifico. Nei territori siberiani
conquistati ci sono risorse naturali come come legname e pellicce: non si è ancora in grado di
sfruttare quelle che poi nell’età contemporanea diventeranno risorse minerarie
importantissime. Ma comunque questo permette al grand ducato, poi al regno, poi all’impero
russo di espandersi. Parliamo della questione dell’impero: la parola zar è la corruzione della
parola Cesar, il riferimento imperiale tradizionale. Dopo la conquista ottomana di
Costantinopoli, la classe dirigente russa elabora questa teoria per cui la fine dell’impero
cristiano d’ oriente ha permesso l’immigrazione dell’idea imperiale a Mosca, e quindi la
costituzione del terzo impero di eredità romana.

Naturalmente gli altri stati europei con cui la Moscovia entra in contatto non riconoscono
questa rivendicazione imperiale, ma poi lo zar si accontenta che venga riconosciuta una parità
monarchica.

Questo potentato delle steppe non è molto diverso dai potentati dell’Asia centrale. Quando
questo si affaccia più fortemente in Europa? Lo fa all’ inizio del 700 quando lo zar Pietro il
Grande pone basi di una espansione territoriale verso occidente, sconfiggendo Stato svedese,
più volte l’impero asburgico, conquistando la Polonia (mettendo fine all’esistenza del
pluralistico stato polacco). Tutta questa spinta verso occidente porta anche ad una volontà di
ingresso sempre maggiore nel pluralismo europeo, nella comunità degli stati europei. Non a
caso Pietro il Grande fonda una nuova capitale sulle sponde del baltico: San Pietroburgo, con
l’idea di non essere un potentato asiatico, ma una potenza con un ruolo europeo.
Naturalmente con questa enorme estensione agricola (territori delle pianure centro-
meridionali della zona a cavallo tra Asia ed Europea sono anche parecchio fertili), lo zar
riesce a estrarre risorse sufficienti per costruire un grande esercito. Abbiamo anche la
questione della demografia: l’impero russo pur così esteso è abitato da un numero di abitanti
paragonabile a quello dell’Austria o della Francia. Questo basi per affacciarsi a vicenda
europea con un ruolo di potenza militare e politica che viene riconosciuto abbastanza
rapidamente

PRUSSIA
Inizialmente è uno staterello (inizialmente considerata come l’ultima delle potenze) che si
afferma con capacità militare notevole. Le sue origini affondano nella riforma protestante: la
regione del Brandeburgo era sotto il controllo feudale di un ordine monastico. Il generale di
questo ordine monastico a un certo punto laicizza i propri territori, aderendo alla riforma
protestante e fondando quello che poi diventerà un gran ducato e un regno. Questo regno
conoscerà un’espansione territoriale che durante le guerre di inzio 700, soprattutto con
l’acquisto della Slesia (regione mineraria) attraverso delle guerre con l’impero asburgico.
Quindi di fatto all’inizio del 700 ottiene una dignità monarchica e costruisce un esercito
solido, anche grazie al grande accordo tra monarchia e aristocrazia, difendendosi dai tentativi
di ridimensionamento e si afferma verso la fine del 700 come la 5 grande potenza europea.
Conquista territori anche separati verso ovest, in alcuni casi attraverso dinamiiche dinastiche,
in altri grazie a conquiste militari.

Erede della tradizione del sacro romano impero come l’impero asburgico.

EPOCA CONTEMPORANEA: uno dei modi per sottolineare questa cesura/novità è far
conto a una stagione di rivoluzioni e cambiamenti tra fine 700 e inizio 800.
Due aspetti:
- Economico: rivoluzione industriale che prende piede in GB (dopo spiegato meglio)
- Politico: grandi rivoluzioni politiche che mettono fine ad alcune esperienze e ne
creano di nuove. Sono particolarmente incisive.
Dal punto di vista europeo abbiamo la rivoluzione americana che da vita all’esperienza degli
USA e la rivoluzione francese, che segna la fine quasi definitiva della monarchia in Francia.
 due passaggi importanti che si collegano alle rivoluzioni già avvenute in GB nel 600,
con il consolidamento di un’esperienza di pluralismo costituzionale all’interno della
monarchia.

Sotto un aspetto più globale, ci sono altri grandi sconvolgimenti negli stessi decenni, con dei
nessi e collegamenti a volte piuttosto indiretti. Abbiamo accennato che la vita della gran parte
delle popolazioni, prima dell’età contemporanea, era una vita locale, scarsamente influenzata
da grandi traffici globali, da spostamenti o da scambi intellettuali o economici. Ma, in questa
dinamica prevalentemente locale, a volte succedeva che ci fossero comunicazioni a più largo
raggio: arrivavano notizie di ciò che succedeva in altre parti del mondo e queste cose avevano
una loro influenza.
Esempi: crollo dell’impero dei Safawidi in Persia o impero Moghul in India. Quest’ultimo era
un impero musulmano che aveva conquistato la parte settentrionale del subcontinente indiano
e alla fine del 700 crolla sotto la spinta di alcuni localismi, proteste, come la spinta dei “sick”
che si mettono in opposizione al dominio della cultura musulmana.
Es: impero ottomano, che vede un indebolimento della struttura imperiale perché ci sono
alcune parti della struttura dell’impero che si staccano prendendo una loro autonomia. Ad
esempio, in Egitto dove si afferma una dinastia locale che conquista dei margini di autonomia
politica in termini molto tradizionali e anche la penisola arabica (controllo dei più importanti
luoghi sacri musulmani) dove si afferma questa rivoluzione Wahabita, dal nome di un
intellettuale coranico, che convince le autorità locali a ripristinare un modello islamico molto
rigido e tradizionale contrapposto alla relativa modernità del controllo ottomano.

Quindi non necessariamente sull’onda della stessa cultura o di un fenomeno unico a livello
globale, nella stessa stagione ci sono indebolimenti di vecchi imperi e creazioni di nuove
esperienze.

RIVOLUZIONE AMERICANA
Questo vale anche per la vicenda della monarchia britannica, la prima ad essere scossa da una
rivoluzione:

Col tempo i coloni britannici avevano costituito degli insediamenti sul suolo americano, ossia
le 13 colonie.
- in alcuni casi prodotti direttamente dalla corona (soprattuto quelle del sud)
- in altri casi frutto di iniziative individuali, come le colonie del centro nord, soprattutto
quelle del New England, frutto di gruppi che abbandonano la madre patria in chiave
polemica. Citiamo ipadri pellegrini, legati a comunità religiose minoritarie che si
sentivano oppresse dalla religione anglicana.

Questi insediamente pian piano fondano strutture di tipo istituzionale, non indipendenti ma
autonome e autogovernate

Nel 700, la guerra dei 7 anni (1756-1763) vede la vittoria delle truppe inglesi contro i francesi
e l’abbandono dei francesi dall’ampia area su cui avevano rivendicato la sovranità, che si
estendeva dal Golfo del Messico al Canada, così come i possedimenti spagnoli che invece
risalivano sul Golfo del Messico e arrivavano tutti i territori del centro ovest, compresa la
penisola della Florida.
Guerra molto dispendiosa per GB, che però portò avanti questo grande controllo del
territorio.

Effetti di questa guerra: tensioni crescente tra colonie e corona, perché per scacciare i francesi
e per proteggere i coloni dalle popolazioni autoctone che si sono militarmente organizzate e
in alcuni casi si sono alleate con i francesi, la corona ha bisogno di una crescente quota di
risorse finanziarie e uno dei mezzi che trova è un inasprimento fiscale ai coloni.
Il problema, oltre essere pratico, diventa chi ha il potere di imporre le tasse: nell’equilibrio
costituzionale che ormai la GB conosceva, la monarchia imponeva le tasse solo in accordo
con il parlamento, ma questi territori/colonie sulla costa del continente americano non hanno
rappresentanza in parlamento. Sarebbero disposti a pagare più tasse, ma vogliono più
potere politico, cioè la vecchia regola che era stata adottata negli equilibri tra monarchia e
aristocrazia inglese.
Nasce il motto “no taxation without representation”, non si può tassare senza la
rappresentanza, quindi discutendo della tassazione in assemblee.
Questo è un primo problema, poi c’è il fatto che la corona traccia una linea che impedirebbe
ai nativi di espandersi nei più a ovest rispetto ai loro territori. Lo fa per proteggere
un’espansione ordinata, ma che si scontra con gli interessi di allargamento della
colonizzazione agricola da parte dei coloni.
Si crea questo braccio di ferro che porta ad una spaccatura. I coloni si trovano a distaccarsi
sempre più dalla monarchia, non avevano all'inizio l'idea di rivendicare un' indipendenza,
volevano semplicemente discutere questa inasprimento fiscale, ma progressivamente i
rapporti peggiorano, si crea una guerra civile locale (tra coloro che vogliono rompere con la
monarchia e i fedeli a quest’ultima), vedono un processo di consolidamento delle istituzioni
(dove ogni colonia proclama la propria autonomia statuale) e la creazione di un meccanismo
confederale tra questi stati ormai consolidati.

Dichiarazione indipendenza 1776: punto di caduta di questa frizione con poi seguito una
guerra che coinvolge anche altre potenze europee (colonie appoggiate dalla Francia,
nonostante la fatica a trovare risorse dopo il 1763) che finisce con la sconfitta della corona e
affermazione dell’indipendenza degli USA.
 Nasce un’esperienza nuova, inizialmente per ragioni tutte interne alla tradizione, no
rivoluzione intesa come novità che si afferma. I coloni combattono per affermare i
propri diritti tradizionali e solo alla fine arrivano a staccarsi ripensando la propria
esperienza sulla base di una cultura nuova (cultura dell’illuminismo repubblicano) ma
sottolineando un concetto di differenziazione dall’europa. Da vita ad una realtà
costituzionale nuova, si afferma un modello di limitazione del potere e di libertà degli
individui.

In termini di equilibri globali, la nascita degli USA non cambia molto perché sono una realtà
piuttosto isolata. L’atlantico resta una divisione.

RIVOLUZIONE FRANCESE
La dinamica francese è leggermente successiva, influenzata per certi versi da queste vicende
americane: la Francia partecipa alla guerra, aiuta gli americani a ottenere l’indipendenza, e
per questo a fine secolo cade in una specie di bancarotta. La monarchia viene messa ancora di
più a dura prova e viene costretta a convocare nuovamente dopo due secoli gli stati generali
(organo di rappresentanza dei tre ceti), sono l’idea che tutto cio che si muove all’interno della
monarchia si organizza per concepire se stesso di fronte al monarca.
La monarchia pone la questione del contributo fiscale: cerca di ottenere tasse dall’aristocrazia
e dal clero, le quali storicmente non avevano mai contribuito, e la risposta è una risposta di
scontro.
 Arriva la novità: incarnata dal terzo stato, i non privilegiati (primo e secondo sono
nobiltà e clero) dove prendono le idee di una svolta radicale nel sistema politico.
Succede che si mettono in moto una serie di idee perché non è più solo uno scontro tra il
sovrano e i nobili o il clero che non vogliono pagare le tasse, diventa uno scontro tra una
parte di questo popolo cioè il terzo stato (coloro che non avevano privilegi di status privilegi
di nascita oppure privilegi acquisiti in quanto membro della corporazione clericale) e parlano
di un diritto di tutti gli esseri umani di rappresentare un corpo politico nuovo di fronte al
sovrano e questo corpo politico nuovo viene definito la nazione.

L’abate Sieye pubblica un foglio di propaganda “che cos’è il terzo stato”, è tutto (salvo i
piccoli ambiti privilegiati) rappresenta la base dello stato, che non è riconosciuto nell’ordine
politico ma rivendica di esserlo proprio perchè base della nazione.

Concetto di NAZIONE espresso in forma nuova: viene da “natio” fa venire in mente la


nascita, chi condivide la stessa nascita ma nella storia dell’età pre-contemporanea non era un
concetto politico, voleva dire avere lingue e costumi comuni, ma questo era politicamente
ininfluente.
Sieyes e gli illuministi radicali che appoggiano il terzo stato, cominciano a dire che la nazione
è la base dello stato, intesa come corpo comune di coloro che condividono la stessa origine e
che condividono un’esperienza all’interno di un territorio.
È un potere che si afferma in contrapposizione a quello del sovrano
 il terzo stato lascia la sede degli stati generali e definisce l’Assemblea Nazionale: da
qui parte il processo della rivoluzione francese che porterà l’assemblea nazionale ad
approvare la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), contenente
l’articolo 16 dove si parla di costituzione:
Le società nelle quali non è assicurata la garanzia diritti, né la separazione dei poteri non
hanno costituzione: questo vuol dire che la costituzione è garanzia dei diritti e divisione dei
poteri. L’assemblea nazionale chiede alla corona questo accordo scritto, non più
consuetudinario come nel caso britannico. Noi sappiamo che la costituzione britannica ha
origini lontane, ma che non è mai stata scritta, perché affidata esattamente alla consuetudine,
alla condivisione della tradizione. l’illuminismo francese invece chiede la scrittura di questo
patto nuovo tra sovrano e nazione. Vediamo che allora la nazione assume un carattere
politico, molto maggiore di quello che poteva essere immaginato nella storia precedente.
Questo cambiamento nasce tradizionale, ma sì sviluppa in termini molto innovativi, perché in
crisi la supremazia del potere monarchico della storia precedente. Se lo stato si definisce sulla
base di un accordo scritto che limita i poteri tra nazione e sovrano, il sovrano non è più il
padrone dello stato.

Questa innovazione ha un carattere culturalmente forte nella storia europea ma ancora


limitata alla Francia. Investe tutta l’europa perché questa vicenda entra nel gioco di rapporto
tra potenze, cioè la novità francese viene proclamata da subito come una novità con un
orizzonte universale, che rappresentava un cambiamento che riguardava tutti i cittadini
europei e non solo francesi: questo spaventa le monarchie tradizionali, i vecchi sovrani che si
vedono messi in discussione e vengono fomentati dagli aristocratici francesi i quali scappano
dalla rivoluzione rifugiandosi all’estero. Inizialmente si sa in Europa grazie ai vari viaggi in
cui gli aristocratici parlavano anche di questo quando scappavano dalla rivoluzione.

Si crea quindi una tensione tra un processo rivoluzionario e un’esperienza tradizionale, che
diventa più radicale quando nel 1791 il re è costretto a concedere questa costituzione ma nel
93 sarà ghighiottinato perché la rivoluzione andrà avanti fino a proclamarsi repubblica.

Quali sono gli effetti di questa vicenda? La novità che nasce in Francia si diffonde in tutta
Europa cominciano a nascere dalle diverse parti d’Europa circoli che si ispirano e al modello
francese rivoluzionario, qualcuno si comincia a chiamare Giacobini come il gruppo dei
radicali che stavano nell’assemblea nazionale.

Sotto questa divisione ideologica tra nuovo universalismo costituzionale e rivoluzionario dei
patriotti francesi e la tradizione monarchica, le altre potenze temono che la Francia in questo
clima rivoluzionario rilanci una nuova volontà egemonica in Europa, quindi si apprestano a
combattere queste spinte all’espansione.

Qualcuno comincia a chiedere una costituzione. Questo tipo di universalismo francese


attraversa come una ventata di cambiamento molta parte dell’Europa. L'effetto più
immediato però è di tipo militare perché comincia a nascere uno scontro proprio tra La
Francia rivoluzionaria e le potenze tradizionali europee. Da una parte è uno scontro proprio di
tipo ideologico, perché i sovrani degli altri stati europei sono accomunati da una concezione
molto tradizionale in cui, salvo che in Gran Bretagna, lo stato è una creatura del sovrano, la
monarchia è assoluta e non ha vincoli nei limiti. Qui invece c’è questa volontà rivoluzionaria
francese di condizionare la monarchia, di limitarla con la costituzione. La risposta degli altri
stati è: dobbiamo fare una grande coalizione europea per sconfiggere la rivoluzione in
Francia perché altrimenti questa rivoluzione può diventare contagiosa, può diffondersi anche
nei nostri paesi.
Secondo il nostro ragionamento di prima dell’equilibrio europeo, avrebbe dovuto realizzarsi
esattamente qualcosa di simile: la grande coalizione antifrancese per riportare l'ordine. Non si
realizza questo, non è così spontaneo che si realizzi una grande coalizione antifrancese perché
ogni sovrano aveva in mente i propri obiettivi e dal 1792 al 1814 c'è un ciclo di guerra in
Europa, si succedono scontri tra la Francia e altre potenze europee, in cui però si deve
aspettare la fine per arrivare a una vera grande coalizione di tutti contro la Francia.
Ci sono delle guerre molto circoscritte in cui gli stessi francesi hanno uno spazio per allargare
la propria influenza ed è questo che succede all'inizio proprio di questo conflitto nel 1792:
sono i francesi giacobini rivoluzionari che avevano preso in mano il paese dopo avere
arrestato il re che muovono guerra alle potenze che più avevano eccepito la rivoluzione cioè
La Prussia e l'Austria. Quindi dichiara guerra sia per ragioni ideologiche, ma anche
opportinistiche proprio perché sono frammentate al loro interno.
La Francia inizia a considerarsi la Grande Nazione che porta all’esterno una logica di unità,
sebbene il consolidamento dello stato sia un po’ precario, ma unificare la rivoluzione perché
c’è un nemico (il nemico tradizionale europeo) p una potente arma di coesione. Per cui la
Francia comincia a proclamarsi la Grand Nation che guida verso la libertà anche gli altri
popoli.
 Portare la libertà estendendo la propria influenza politica e il proprio controllo
sull’Europa, quindi conquistando e facendo cadere i monarchi tradizionali.

Quindi la Francia inizia ad espandere il proprio controllo sull’Europa, riuscendoci perché le


coalizioni che si creano contro essa sono tutte fragili fino al 1812/13, quando ci sarà la svolta.
Non si creano coalizioni comuni di tutta l’Europa contro la Francia (che sarebbero state
richieste dalla teoria dell’equilibrio) perché ogni sovrano aveva in mente i propri obiettivi e li
mette prima dell’obiettivo generale di sconfiggere i francesi.
Pensiamo che la zarina di Caterina II, quando appunto la Francia dichiara guerra all’Austria e
la Prussia, l’imperatore d’Austria e il re di Prussia mandano un diplomatico dirle di dargli una
mano in questa guerra contro la rivoluzione, ma lei dice che il suo modo di combattere la
rivoluzione è quella di stroncare le velleità autonomistiche della Polonia, perché li ci sono
pericolosi giacobini (rivoluzionari francesi più radicali). Cioè sostanzialmente voleva dire che
lei era interessata al proprio consolidamento imperiale e non tanto ad aiutare austriaci e
prussiani contro la Francia.

La Francia, anche senza l’esercito militare aristocratico, si rivela una potenza significativa,
anche perché a volte può contare sull’aiuto dei rivoluzionari locali: la rivoluzione ha un eco,
una catena di influenze che corre in tutta Europa, con giacobini che aiutano le truppe francesi.

NAPOLEONE BONAPARTE
Poi la spinta della rivoluzione si radicalizza ancora di più dal 1801 in poi quando la
repubblica rivoluzionaria francese viene ad essere consolidata da Napoleone (prendendo il
potere con diverse cariche fino a proclamarsi imperatore), generale dell’esercito che sposa la
rivoluzione ma prende in mano tutto il potere nelle sue mani facendo in qualche modo
terminare la rivoluzione (per quanto riguarda il processo democratico-costituzionale) e
consolidandola per quanto riguarda l’esito civile => combatte l’aristocrazia, il clero, impone
un concordato favorevole allo stato nei rapporti con la chiesa: è quindi un erede della
rivoluzione in questo senso anche se ferma la dialettica politica e ripristina un controllo
autoritario.
Le armate napoleoniche sono ancora portatrici della modernità rivoluzionaria: aboliscono i
privilegi feudali, affermano un Codice civile favorevole alla libertà d’impresa e
all’uguaglianza giuridica delle persone. Quindi la spinta è modernizzatrice, che però ha
dentro un sistema di conquiste

Si fa proclamare imperatore dei francesi, con spinta alla ripresa di una tradizionale egemonia
e di immaginarsi come erede di una tradizione imperiale. È questo che nel 1806 porterà
Francesco d’Asburgo ad abolire la carica di sacro romano imperatore, per impedire che
Napoleone se la facesse attribuire dai dignitari della confederazione renana.

Gli altri stati:


- La Gran Bretagna rimane ostile all’impero francese, impone un blocco commerciale,
finanzia tutti gli stati che vogliano combattere contro Napoleone, ma non interviene
militarmente in modo diretto perche non ha un esercito abbastanza forte militarmente
a livello terreno.
- L’Austria e la Prussia vengono ripetutamente sconfitte nelle prime guerre di
coalizione e Napoleone gli impone una sorta di alleanza.
- In altri stati tipo Italia, Spagna e Svezia vengono messi al governo rivoluzionari
napoleonici, parenti di Napoleone.
- Il Gran Ducato di Varsavia è uno stato dipendente dall’impero
- La confederazione del Reno vede l’associazione di stati che vengono fusi rispetto ai
390 della tradizione. Ci sono rivoluzioni locali con forme di governo più vicine alla
Francia, i quali alcuni si alleano ad essa.

Quindi il risultato finale è la Francia che verso il 1810/11 egemonizza la maggior parte
dell’Europa. Li controlla istituendo dei regni subalterni nei territori conquistati.

L’impero Russo è un nemico. Lo zar dopo Caterina II conferma la sua logica autocratica e
tradizionalistica: non ci sono rapporti con la rivoluzione,

PROBLEMA: Napoleone non elabora mai un’idea europea che vada al di là del dominio
francese e il dominio diventa una questione pesante, voleva dire anche estrarre risorse da qua
per combattere i nemici (il blocco continentale britannico e l’impero russo)
 Sfruttatore delle risorse dei popoli soggetti. Non è un caso che ci siano reazioni in
nome dell’idea di nazione contro il dominio francese, come per esempio in Spagna, nel
Tirolo dove c’è una lunga guerra messa in atto da una rivolta locale che difende l’idea
di una nazione cristiana tradizionale contro la Francia rivoluzionaria.

Queste rivolte indeboliscono l’impero ma l’indeboliento più forte avviene nel 1812 quando
pensa di potere affrontare militarmente la Russia e quindi lancia la sua campagna di Russia,
ma è un grande fallimento militare.
 L’esercito zarista fa abilmente penetrare l’armata francese costituita da soldati che
venivano da tutta Europa, mercenari o ispirati dal sogno rivoluzionario. Con l’arrivo
dell’inverno i francesi arrivano a Mosca ma non trovano nulla per nutrirsi, la periferia
viene incendiata e in sostanza Napoleone deve ritirarsi sconfitto.
Si creano le confizioni perché venga fondata una vera coalizione antifrancese tra le 4 potenze,
le quali si mettono d’accordo per una reazione definitiva alla spinta imperiale francese, che
sul campo di Lipsia ottiene una vittoria militare.
Crollo dell’ impero e intenzione della coalizione antifrancese di ripristinare un pluralismo
tradizionale in Europa.
Ormai la diffusione della Rivoluzione francese con le sue idee aveva preso piede, aveva
portato a un grande cambiamento di mentalità e a questa spinta modernizzatrice. Non si può
semplicemente ritornare indietro.
 La rivoluzione è così importante perché cambia i modelli interni alle monarchie
attraverso una spinta all’influenza che sviluppa una spinta in tutta europa (culturale-
ideologica ma anche spinta dell’egemonia imperiale napoleonica che sconvolge tutta
europa).

Riassunto: rivoluzione francese


La rivoluzione francese è un passaggio importante. La Francia è il paese demograficamente,
culturalmente ed economicamente ancora più importante d’Europa in questo momento, e in
più da lì la rivoluzione si diffonde e i suoi effetti sconvolgono radicalmente tutto il sistema
europeo degli stati che si era coagulato nei secoli.
La forma specifica di questo sconvolgimento è all’inizio è il contagio rivoluzionario, e poi
diventano le armate napoleoniche che realizzano questo sistema imperiale francese che dura
alcuni anni, anche se poi non si riesce a consolidare perché questa immagine della Francia
come grand nation, che guida gli altri popoli verso la libertà, coinvolge una parte degli
interlocutori come la nuova borghesia rivoluzionaria che c’è in giro in Europa, ma appare poi
troppo imperialista e troppo legata allo sfruttamento delle conquiste per sostenere l’egemonia
francese, e gli enormi costi di un’organizzazione militare permanente come quella che la
Francia napoleonica ha costituito.
Questa cosa crea i primi dissapori e scontri, anche se non nasce subito una grande coalizione
antifrancese come teoricamente sarebbe dovuto succedere sulla base del principio dl
equilibrio (ad ogni forza, corrisponde una forza uguale e contraria). Questo non succede
perché le altre grandi potenze fanno per molti anni una politica particolaristica.

12.10
1812: mancata vittoria di Napoleone nella campagna russia, da qui inizia a smuoversi
qualcosa. Nel 1813, Austria, Russia e Prussia si alleano e sconfiggono i francesi a Lipsia.
Questo mette in crisi il sistema napoleonico, molti degli alleati iniziano a tentennare, come gli
alleati dell’area tedesca in cui molti principi iniziano a capire l’indebolimento del sistema
francese. Se prima volevano schierarsi dalla sua parte per ottenere un allargamento
territoriale, ora si distaccano.

Successivamente, le grandi potenze collaborano tra loro contro la Francia con maggiore
decisione: il gesto più significativo è il trattato di Chaumont (1814)che forma una
quadruplice alleanza antifrancese (le 4 grandi potenze). L’intento è quello di ridimensionare
la Francia e per fare ciò si promettono:
- collaborazione militare: mettono insieme delle energie, quindi chi aveva più soldati
(Russia)
- Collaborazione economica: risorse economiche (Gran Bretagna), li offre per questa
causa

Con questa alleanza militare, sconfiggono più volte Napoleone e la Francia viene
ridimensionata

Trattato: oltre a sconfiggere francia si impegnano a collaborare per 20 anni per mantenere
un ordine europeo: punto molto nuovo, in passato era molto raro, i trattati erano fatti per
risolvere questioni a breve termine. Questo impegno degli alleati simboleggia proprio questo
passaggio effetto del periodo rivoluzionario: non si devono più ripetere sconvolgimenti del
genere perché c’è bisogno di stabilità e ordine, in particolare di un ordine legittimo,
riconosciuto, che ottenga consenso quindi che abbia una sua ideologia.
 L’ideologia serve perché le vicende rivoluzionarie hanno messo in luce questo
bisogno: l’ancien regime non aveva bisogno di una grande ideologia dal punto di vista
del sistema (funzionava perché era tradizionalmente cosi), dopo la rivoluzione non era
più ovvio che il sistema funzionasse in un certo modo: l’opinione pubblica
(rivoluzionari sempre di una classe medioalta) aveva molta influenza e i sovrani si
rendono conto di dover fare i conti con questa sfera pubblica nuova in cui bisogna
creare un discorso che ottenga consenso. È questo il passaggio decisivo che la
rivoluzione lascia dietro di sé.

Quelli che si stanno delineando come vincitori contro la Francia si impegnano su due aspetti:

1. DISCORSO IDEOLOGICO: gli alleati cominciano un processo di restaurazione, questa


ideologia che vuole ripristinare un ordine dopo lo sconvolgimento rivoluzionario e il
perno di questo ordine è la sovranità dei monarchi, che devono essere riconosciuti da una
legittima successione dinastica secondo le regole riconosciute.
Il LEGITTIMISMO (espressione che si inizia ad usare proprio ora) è il perno di questo
sistema di restaurazione: bisogna rimettere sul trono i sovrani legittimi e che in futuro ci si
impegni a rispettare questa successione dinastica.
L’applicazione pratica sarà attuata con una certa flessibilità
2. Per garantire la tenuta di questo ordine, le potenze (come era stato scritto nel trattato di
Chaumont) si impegnano a collaborare tra loro per concordare le soluzioni migliori, non
affidandosi ad un principio astratto come quello dell’equilibrio ma mettendo sul tavolo i
problemi e mediare le soluzioni necessarie alle questioni che si presentano
 modello di CONCERTO EUROPEO delineato per la prima volta da Robert Stewart,
visconte di Castlereagh, ministro degli esteri della GB: parla di concert, di impegno a
collaborare per risolvere questioni internazionali che non devono essere affidate
all’anarchia del sistema ma ad un rapporto tra le potenze (leading powers)
 Si comincia ad affermare un’area delle grandi potenze che non sono per diritto divino
diverse dalle altre, ma sono stati che funzionano in un sistema pluralistico ma che
essendo le più importanti sostengono che loro stesse, insieme, costituiscono
tendenzialmente l’Europa.

Trova udienza anche tra figure importanti, come il principe di Metternich (ministro degli
esteri che poi diventerà anche capo del governo dell’impero ausburgico), che aveva ideato
l’ideologia della restaurazione, pensata in una grande collaborazione europea con idea di
riportare al centro i principi dell’ordine che la rivoluzione aveva portato via nell’ottica di una
grande collaborazione europea.

Questo CONCERTO non è un’istituzione giuridicamente regolata, ma un principio pratico:


non ci sono delle leggi del concerto europeo, ma delle pratiche condivise. Oggi si
chiamerebbe meccanismo di governance, espressione coniata in analogia e differenza con il
concetto di government, ossia il governo giuridicamente costituito.
La governanc è quell’insieme di regole informali, non necessariamente fissate su carta o
codificate in termini giuridici, che però funzionano a gestire la convivenza di soggetti politici.
Qualche politologo ha provato a trarre le regole essenziali di questo discorso, per esempio il
concetto che:
1. se ci sono problemi europei, ci vogliono risposte europee e non risposte costruite da una
singola grande potenza secondo i propri interessi,
2. si vuole affidare un ruolo istituzionale alle grandi potenze
3. è necessario una sorta di negoziato permanente, basato anche sul fatto che qualcuno deve
in qualche modo autolimitarsi per ottenere bene superiore, che è quello della convivenza
pacifica nel sistema.
Come si concretizzano queste idee informali, in risposta specificatamente alla questione
francese?

1. PASSAGGIO: TRATTATO DI CHAUMONT, 1814


Sulla base di esso le quattro potenze continuano la guerra a Napoleone. La Francia sconfitta
militarmente vede una crisi di regime, Napoleone abdica e va in esilio sull’Isola d’Elba. In
Francia si ripristina la monarchia borbonica, con il legittimo erede al trono, ossia il nipote del
re ghighiottinato nel 1793, e si costituisce un trattato di pace, la pace di Parigi, tra le quattro
potenze e la Francia. Trattato non particolarmente punitivo nei confronti della Francia, alcuni
territori conquistati dopo la rivoluzione vengono maneuti sotto il suo regno, come Avignone e
altri piccoli territori di questo tipo. C’è una sorta di trattamento di favore per la Francia
monarchica restaurata.

2. PASSAGGIO: CONGRESSO DI VIENNA


Dopo aver sconfitto la Francia e imposto una pace, le quattro potenze vogliono capire gli
effetti della rivoluzione in tutta Europa quindi si ipotizza di convocare un grande congresso
di ridiscussione complessiva dell’assetto europeo, e non di pace, poiché è già stata fissata
Congresso di Vienna (1814-1815): rappresentati mandati da ogni stato, ma ogni casa
regnante spodestata da napoleone va li per cercare di ottenere compensazione in nome del
legittimismo, e ciò rende il congresso difficile da gestire.
I 4 vincitori allora, sin dall’inizio costituiscono un comitato che prende le decisioni
importanti e gli altri stati minori si adeguano.

Tra l’altro, il congresso verrà turbato nel 1815 quando Napoleone cerca di tornare sul trono:
sbarca in Francia, rimobilita i suoi sostenitori e si verifica la breve stagione ultima del suo
governo. Viene poi sconfitto a Waterloo, a cui segue poi una seconda pace di Parigi, che però
non sconvolge le decisioni del congresso.

Il problema di fronte al quale si trovano le quattro potenze è come trattare la Francia: pensano
ad un ripristino della carta d’europa che partisse da un contenimento della Francia ma i primi
passaggi del congresso vanno in modo diverso perché il governo francese agisce in modo
abile:
 Francia rappresentata da Talleyrand a Vienna: quando vede che l’impero napoleonico
sta perdendo forza, abbandona Napoleone e diventa la vera mente della restaurazione
monarchica in Francia. Nel 14 diventa ministro degli esteri e quindi partecipa a
Vienna. Mette in chiaro che rappresenta il re legittimo (REGOLA BASE SU CUI
BASARE LA RESTAURAZIONE), non Napoleone, così se la Francia viene esclusa
come stato legittimo minaccia di complicare il congresso mettendo gli stati minori
contro.
Sotto considerazione della minaccia di Talleyrand, gli altri quattro capiscono di non potersi
permettere di complicare così tanto il congresso e quindi accettano che la Francia venga
rimessa in gioco
 Il comitato dei 4 diventa dei 5, con Francia partecipante alle decisioni più importanti,
anche se naturalmente lo fa sempre sotto un’osservazione speciale.
La prima pace di Parigi, ma soprattutto la seconda, prevedevano che la Francia fosse
occupata militarmente per qualche anno dai vincitori. Solo nel 1819 al Congresso di
Acquisgrana, si riconosce il fatto che la Francia non sia più un problema e viene restaurata la
propria autonomia internazionale in senso pieno.
comunque, la Francia viene inserita nel gioco e non c’è uno strascico radicale del ventennio
di guerre. Questo, tra l’altro, sarà un elemento che diventerà molto più complicato nel 900,
quando le guerre diventeranno molto più radicali e totali -> qui reinserire lo sconfitto
nell’orizzonte del “concerto”, chiamiamolo così, dei vincitori, sarà molto più complicato.
Detto ciò, gli statisti di Vienna alla fine, un po’ sotto pressione e un po’ grazie all’abilità di
Talleyrand questa cosa la fanno.

A Vienna ovviamente vi è il padrone di casa, quello che in qualche modo rappresenta la


guida: è Metternich e non è un caso che il congresso sia convocato proprio a Vienna, cioè sia
l’imperatore d’Austria a guidare il tutto, che non è più l’ imperatore del sacro Romano
Impero, abolito per non rischiare che Napoleone si intestasse la corona. Ma, il fatto che il
congresso si trovi a Vienna dà l’idea che l’Austria, in questo gioco diplomatico tra vincitori,
abbia un ruolo importante.

LE DECISIONI DEL CONGRESSO


1. La Francia viene reinserita nel gioco
2. I 5 negoziano l’idea di tenere un’alleanza tra di loro che riesca a funzionare per 20
anni
per far funzionare questa alleanza, lo zar di Russia propone un’alleanza caratterizzata da un
forte contenuto religioso: È chiaro che la religione fosse uno degli aspetti fondamentali della
tradizione europea, che era appunto una tradizione cristiana: certo non mancava una divisione
interna (guerre di religione, contrapposizione di varie confessioni cristiana), ma comunque
l’elemento religioso riuniva quei territori e quelle esperienze, fungendo un po’da elemento di
base comune.
Alessandro vuole collaborare per il bene dei popoli in chiave religiosa. Quasi tutti sono
disposti ad accettare sebbene siano un po’ distaccati da questa logica, tranne il governo
inglese.
 L’idea di Castlereagh è che dietro questa enfasi con la collaborazione religiosa ci
stesse un’impostazione troppo generale del conservatorismo, una visione che
impedisse i progressivi aggiustamenti e che vincolasse le potenze in modo rigido al
mantenimento dell’ordine.
Considera la proposta russa un insieme di misticismo e “sublimi sciocchezze”. La sua
controproposta invece era di rinnovare la quadruplice alleanza, proprio perché c’era bisogno
di uno strumento flessibile e non una dichiarazione assoluta di staticità.
La quadruplice alleanza a suo tempo era stata firmata per ridimensionare le pretese francesi di
egemonia in Europa, e per l’Inghilterra è questo un elemento concreto che non impedisce poi
una certa flessibilità

Questo vuol dire che già nel dibattito di Vienna ci sono sfumature diverse su come intendere
questo ordine che stiamo per ripristinare. Alla fine la Santa alleanza viene firmata senza la
Gran Bretagna e la quadruplice alleanza viene rinnovata: ci sono quindi due modalità diverse
di concepire il concerto europeo: riconoscere novità o tenere tutto fermo?
3. Questioni territoriali rimaste aperte: il principio era restaurazione nel senso di
legittimismo dinastico, ma è molto difficile tornare alla carta del 1792 (prima dello
scoppio della guerra) e secondo i vincitori non è nemmeno del tutto sensato, perché è
importante che il risultato di questa restaurazione dia la formazione di stati solidi che
facciano da contenimento di una potenziale ripresa dell’espansionismo francese:
questa è proprio una delle cose che si temevano. Pensiamo che Napoleone ritorna:
certo poi viene di nuovo sconfitto, abdica e viene questa volta viene esiliato
nell’oceano Atlantico, lontano dall’Europa e non più all’Elba dove poteva sbarcare di
nuovo in Francia, però non c’è solo il problema di Napoleone, ma che anche la
monarchia francese potrebbe avere ancora delle età semi-egemoniche.
Quindi si costituiscono stati solidi ai confini con la Francia:

- Il Regno di Savoia viene rafforzato, allargato territorialmente. Non c’è più la


Repubblica indipendente di Genova che viene annessa a Torino, quindi al Regno
Sabaudo.
- Viene riconosciuta internazionalmente la confederazione svizzera con il suo status di
neutralità
- Sul Reno avviene la polverizzazione dell’impero, dei vecchi stati tedeschi: la Prussia
(solido stato militare) si vede attribuire i vecchi staterelli per essere sicuri che fossero
capaci di resistere alla Francia. La Prussia si vede quindi attribuita un nucleo nella
zona del Reno, che prima erano staterelli piccolissimi, ora accorpati sotto la sovranità
di Berlino. Non c’è una continuità territoriale, ma secondo il concetto dell’epoca
questo non era molto importante: ci possono essere stati che hanno anche nuclei
diversi, ma la comunicazione poi veniva negoziata con gli stati intermedi
- Si crea un regno dei Paesi Bassi a cui si collegano anche le fiandre austriache, che
l’imperatore cede con il fine di consolidare questa barriera.

Questa è una delle prime questioni che esce dal legittimismo: se prendiamo in considerazione
l’area tedesca alcuni sovrani sono ripristinati, altri unificati per ragioni di funzionalità, altri
ancora puniti perché rimasti alleati della Francia (es Sassonia, annesso alla Prussia sebbene
gli altri stati europei non fossero del tutto d’accordo), mentre altri neanche ripristinati. Alla
fine, rimangono 39 stati e non più 390 del pluralismo tedesco, ma poi per farli collaborare
meglio tra loro creano una cosa più morbida e flessibile rispetto al vecchio impero, ossia una
Confederazione Tedesca – Deutscherbund - con presidenza all’imperatore d’Austria che
aveva abdicato il titolo del sacro romano impero ma ha un primato negli affari tedeschi.
Il Bund non ha un grande potere, ma può servire per una supervisione di quest’area
pluralistica. Ricordiamo che vi era un vecchio concetto, che risaliva anche ai secoli
precedenti: al centro dell’Europa è meglio che rimanga un pluralismo, per fare in modo che si
sfoghino un po’ le tensioni tra le grandi potenze. Se nasce un grosso centro di potere al centro
dell’Europa, può diventare una minaccia: questo sarà poi questo uno dei problemi instabilità
tedesca nel corso dell’800.

Austria ha anche un’influenza al di fuori dei suoi confini, esercitata anche in Italia: qui
vengono ripristinati i vecchi stati ma non tutti, per esempio, la Repubblica di Genova e l’altra
repubblica aristocratica tradizionale che perde la sua indipendenza è la Repubblica di
Venezia, che rimane sotto l’Austria. In particolare, si crea uno stato lombardo-veneto che
mette insieme il ducato di Milano (storicamente austriaco già da molto tempo), con la
Repubblica veneta. Quindi l’Austria ha un controllo diretto di questa parte di territorio
italiano. Ha anche un controllo indiretto perché molti altri dei sovrani italiani restaurati sono
legati alla casa d’Asburgo, oppure imparentati. Pensiamo che sul ducato di Parma e Piacenza,
per esempio viene messa sul trono la figlia dell’imperatore d’Austria, Maria Luisa, che era
stata data in moglie a Napoleone e che adesso, finito l’impero, deve trovare una sua
sistemazione. Anche qui il principio del legittimismo viene preso con le molle ed adattato alle
esigenze di questo ordine europeo.

REGNO UNITO E RUSSIA


Fuori dal continente c’è il Regno Unito, che aveva avuto una forte importanza durante le
guerre napoleoniche (escludere merci britanniche dal continente) e aveva anche finanziato la
guerra contro Francia per ripristinare un ordine pluralistico in Europa: alla capacità di
commercio e di scambi della Gran Bretagna conviene che ci sia un’Europa pluralistica, e
soprattutto che l’interfaccia dei grandi porti della Manica o del mare del Nord non siano in
mano a una potenza dominante (per esempio il loro sostegno fu molto importante per la
nascita dei Paesi BassI)

C’è anche la Russia, grande potenza militare, che ottiene un’allargamento in Polonia che
aveva seguito Napoleone nel gran ducato di Varsavia, dopo una lunga discussione, viene
riconosciuta come Regno ma sotto la corona dello Zar.
Questo sarà un elemento di criticità nel tempo, ma vuol dire che lo Zar è arrivato ad avere un
controllo molto vicino alle grandi potenze di Austria e Prussia.
Lo zar ottiene anche un’altra cosa: preme per far partecipare solo potenze cristane nella santa
alleanza, nel concerto europeo e quindi nella soluzione collettiva negoziata dei problemi
europei; quindi, questo vuol dire escludere l’impero ottomano, il quale ha ancora i territori
ben dentro i Balcani e l’Europa continentale, però la prospettiva russa è quella di puntare ad
un indebolimento dell’impero e di un’espansione russa dal Mar Nero verso il medirettaneo.
Fissando però il concetto di lasciare fuori le potenze non cristiane, in qualche modo si
garantisce una sorta di autonomia d’azione in quella regione (poi non sarà così in realtà).

Allora vediamo che il concerto funziona anche se ha una sorta di diseguaglianza interna: ci
sono potenze più rilevanti, potenze che ottengono una sorta di semi-egemonia in alcune
regioni, potenze come l’Austria che esercita il suo controllo sull’area tedesca e italiana.
Quindi ci troviamo di fronte a un pluralismo, che però, nonostante alcuni scontri su alcuni
temi, come quello della Sassonia e della Polonia, alla fine arriva a creare un accordo, cioè c’è
un atto finale del congresso firmato dalle 5 potenze, a cui poi aderiscono anche gli altri stati
minori.

COME FUNZIONA IL CONCERTO


Il concerto nasce con Chaumont (come principio) poi si struttura al Congresso di Vienna e
l’idea delle 5 potenze è che il congresso continui a funzionare attraverso delle conferenze
convocate abbastanza frequentemente, solitamente a distanza di sei mesi. La diplomazia
britannica usa il concetto di diplomacy by conference: ci si deve incontrare, facendo
conferenze al vertice e tenere un contatto abbastanza stretto. Durerà per circa 10 anni o meno,
poi tra il 1822/23 si verificano degli incidenti che rendono più complicata la realizzazione di
questo modello

L’obiettivo era evitare nuove guerre (dopo 20 anni di guerre napoleoniche), infatti dopo
Vienna, per quasi 40 anni non c’è una grande guerra che coinvolga grandi potenze in europa.
Ci sono delle crisi e delle perturbazioni, ma che sicuramente non coinvolgono grandi potenze.
Ci sono guerre più ridotte, magari tra una grande potenza e uno staterello minore, o fra stati
minori.
La prima guerra tra grandi potenze sarà la guerra di Crimea come effetto della crisi
dell’impero ottomano.

Non vuol dire che funzioni in maniera lineare, ci sono ostacoli: il motivo per cui è stato
instaurato il concerto fu contenere la Francia dalle possibili spinte egemoniche. Quest’ultima
dopo il 1815 non crea grandi problemi, nonostante disordini interni e addirittura nel 1830 c’è
una rivoluzione a Parigi che provoca la caduta dei Borbone, diventato un sovrano autoritario
sempre meno sopportato dall’elite francese e sostituito da un sovrano di un ramo cadetto
quindi non più interno alle strutture del legittimismo, Luigi Filippo D’Orleans. Quest’ultimo
dice di non voler mettere in discussione l’orine europeo, anche se la preoccupazione c’è.
Nel 1848 ci fu un’altra rivoluzione a Parigi che fece cadere la monarchia e portò alla
restaurazione della repubblica
 quindi si sconvolgimenti ma interni, non costituiscono una minaccia all’ordine
europeo, la quale non sarà più costituita dalla Francia

Il punto di crisi è nuovo punto, collegato all’eredità della rivoluzione, che tornano a
manifestarsi in due direzioni:
1. Sovversione costituzionale-liberale: manifestazione della richiesta diffusa di mettere
limiti concordati al potere dei sovrani. La vittoria della coalizione antifrancese era
stata la vittoria del legittimismo dinastico, ma esso inteso come concetto di monarchia
assoluta, è stato indebolito molto dalla rivoluzione e dalla nuova cultura politica che si
è diffusa. in varie parti d’europa varie sovversioni contro i sovrani crescono.
Per dare un esempio in questa direzione, la stessa monarchia borbonica francese con Luigi
XVIII che riprende il trono nel 1814 (su consiglio anche di Tayllerand) concede subito una
costituzione al suo popolo. Non ignora quindi gli effetti della rivoluzione, al contrario, li
riconosce e si autolimita dicendo che dovrà esserci:
- un parlamento
- una divisione dei poteri
- la fissazione di alcune garanzie nei confronti della popolazione
Tutti questi elementi vengono accettati dalla monarchia anche se ovviamente costituzione del
14 è molto restrittiva: non dava grandi poteri al parlamento, ma almeno dava questo segnale.
In alti stati dove i sovrani pretendevano di tornare alla monarchia tradizionale, è ovvio che si
verificassero episodi rivoluzionari che mettono in crisi questa pretesa. Questo è il primo
orizzonte di crisi. Nel 1820/21 c’è un’ondata di moti rivoluzionari nel continente, per
esempio in Spagna: la vecchia monarchia spagnola era stata restaurata dopo Napoleone, ci
sono alcuni militari che nel ’20 si ammutilano chiedendo al re una costituzione e il re
(costretto) la concede. (i militari spesso in questa stagione sono elaboratori di teorie
pluralistiche perché sono un corpo abbastanza colto e danno vita magari anche a sette
innovative legate alla tradizione massonica: abbiamo la carboneria in Italia).

2. Sovversione nazionale, ossia tema dell’identità nazionale.


Con la Rivoluzione francese il termine nazione aveva preso un significato politico nuovo
(identità ocmune di un popolo di fronte al sovrano) e si diffonde in Europa anche nei decenni
successivi rafforzato dalla cultura diffusa dell’epoca, cioè una cultura romantica: il primo
‘800 è una stagione in cui alla critica del razionalismo cosmopolita del 700 si esprimono
queste nuove correnti che danno molto spazio al sentimento, individualità, senso di
distinzione di soggetti/gruppi che hanno il loro comune sentire. Questo clima favorisce molto
la diffusione di un concetto di nazione => noi che abbiamo una nascita comune (natio) siamo
diversi dagli altri (non più essere umano con ragione è uguale dappertutto)
Al contrario, c’è un’idea di specificità poiché appartenenti alla stessa nazione e spesso questa
concezione si scontra con le concezioni di altri sovrani tradizionali, che concepiscono lo stato
come loro proprietà.

Ciò vuol dire che le identità nazionali cominciano a confliggere con i confini degli stati
=> verso ovest troviamo una certa corrispondenza ma andando verso est no.
La lingua è un elemento di realizzazione di identità nazionale, ma in realtà non è l’unico:
pensiamo al caso svizzero, la quale nasce come una confederazione di repubbliche
aristocratiche montanare e ci sono dentro cantoni che hanno lingue diverse, ma l’identità
svizzera regge anche questo pluralismo di tipo linguistico. Ci sono anche altri casi come ad
esempio quello del Belgio, ma tendenzialmente la lingua è un elemento forte di identità
comune. Per cui sulla carta geografica d’Europa ci sono dei blocchi linguistici, che in qualche
caso coincidono più o meno coi confini nazionali -> anche perché comunque la storia
dell’evoluzione delle lingue è stata fortemente gestita dai sovrani: caso francese, spagnolo,
britannico.

Se iniziamo però a muoverci dall’Europa occidentale verso il centro Europa o verso l’Europa
orientale, notiamo che le cose si complicano: in qualche caso ci sono grossi blocchi
linguistici che hanno un pluralismo politico. In Italia c’è un blocco linguistico italiano
piuttosto coeso nel corso dei secoli, che ha come lingua letteraria codificato una certa
versione dell’italiano, ma c’è un pluralismo politico In Germania vale lo stesso discorso:
grandi blocchi linguistici che non hanno un riconoscimento politico unitario.

Procedendo verso est la situazione è quasi contraria: qui ci sono blocchi linguistici
frammentati (caso dell’ungherese, rumeno, altre lingue slave), sottoposti a un potere politico,
quindi a confini, molto più ampio. Perciò abbiamo grandi aggregati pluralistici al loro interno
-> l’impero asburgico e quello zarista hanno una struttura di questo tipo. Sotto lo zar vi sono:
polacchi finlandesi, baltici, ucraini; sotto l’impero asburgico ci sono: tedeschi, cechi,
slovacchi, ungheresi, polacchi rumeni, croati, italiani nel lombardo Veneto e nel Trentino).
Questa diversità tra, qui abbiamo detto le lingue, ma quello che conta è l’elaborazione
progressiva di un concetto di nazione -> noi ci riconosciamo in una nazione perché abbiamo
qualcosa di comune: lingua comune, storia comune, tradizione.

Ci sono elaborazioni intellettuali di questa unità nell’Europa dell’800 significativi. Qualche


studioso ha parlato di un’invenzione delle tradizioni nazionali, forse esagerando un po’: non è
che si inventano nel senso che si costruiscono sul niente, però si inventano perché non basta
l’esistenza di un dato di fatto (lingua comune, elemento storico comune) per costituire un
identità nazionale: ci vuole qualche elaborazione intellettuale di questa tradizione, che venga
rappresentata come fondatrice di un senso comune di una identità.

Se queste identità si raffrozano comincia ad affermarsi un principio che dice: la dove c’è una
nazione è un suo diritto costituire uno stato (principio di nazionalità) => passo in più oltre al
dire che esistono nazioni, c’è influsso del principio rivoluzionario secondo cui la nazione sta
di fronte al sovrano e rappresenta un’identità con cui il sovrano deve relazionarsi.
Il principio di nazionalità è una sovversione radicale nei confronti del legittimismo, lo stato
non ha il suo punto di legittimità nel suo essere costruito da una dinastia legittima, ma
dall’essere rappresentante di un’identità nazionale.
Come la costituzione e le rivendicazioni costituzionali mettono in crisi l’idea dell’assolutismo
dinastico, il pricipio di nazionalità mette in crisi il legittimismo.

Ovviamente questo pesa molto nelle vicende internazionali europee

Questi elementi di cambiamento diventano pian piano dei movimenti con una dimensione
organizzata collettiva, anche se c’è da dire che nell’800 la società era comunque ancora
elitaria e l’analfabetismo pesava molto: era ovvio che in società dove il 60-70-80% della
popolazione non sapesse nemmeno scrivere era difficile diffondere idee, coinvolgere e
mobilitare le masse. Quindi si tratta di minoranze, ma sono le minoranze che contano e che
stanno sulla scena pubblica con un ruolo civile e organizzato.
Dovuto a ciò, le crisi divengono sempre più frequenti, esempi:
- 1821: ci sono i primi moti liberali e anche l’avvio di un movimento nazionale in
Grecia, sotto l’impero ottomano, che comincia a contestare l’ordine imperiale
- 1830: rivoluzione a Parigi e movimento nazionale in Belgio
È un caso rilevante perché la vecchia componente austriaca dei paesi bassi che era stata
unificata al regno olandese, si trova sempre più in situazione critica ed elabora un’identità
nazionale belga mettendo insieme due componenti linguistiche (francese e neerlandese).
Conta anche l’aspetto religioso: sono regioni dove non a caso grazie all’autorità imperiale è
stato diffuso di più il cattolicesimo romano, mentre le province unite sono protestanti e
calviniste come storia. Questo elemento si lega al fattore economico che porta con sé una
volontà di distacco del Belgio dal regno, creando una crisi internazionale alla fine mediata dal
concerto europeo, che riconoscerà l’indipendenza del Belgio qualche anno dopo.

COME GESTISCE QUESTE CRISI IL CONCERTO EUROPEO?


Nella visione del concerto come elemento di governance flessibile, le crisi vanno considerate
con il ruolo delle grandi potenze che mediano i conflitti e che cercano di adeguare l’ordine e
la pace ai cambiamenti.
Si diffonde però un’idea più rigida del concerto che si radica intorno all’idea di salvare la
libertà dei sovrani legittimi di manovrare le istituzioni del regno a loro piacimento (anche
contro le richieste e le rivoluzioni costituzionali o liberale) e che identificano pian piano i
patriotti anche moderati che vogliono cambiare le cose come dei rivoluzionari.
 Con questa chiusura del conservatorismo, si traduce nel fissare l’idea che il concerto
sia un meccanismo per cui il sovrano che subisce delle pressioni rivoluzionarie possa
chiedere al concerto di intervenire, il quale ha l’obbligo di intervenire.
Si viene a creare questo PRINCIPIO DELL’INTERVENTO => negli anni 20 già si era
consolidato.
Non è che il Metternich e gli altri statisti di Vienna fossero tutti dei reazionari (favorevoli al
ripristino di un assetto politico storicamente superato): all’inizio, anzi, ci sono stati molti casi
in cui avevano rimesso sul trono vari sovrani, ma chiedendogli di fare riforme, di aggiornare
il loro modo di governare, perché non era più possibile tornare al periodo prerivoluzionario.
Però questa cosa era stata scavalcata dai timori che ogni cambiamento potesse diventare una
sorta di spinta verso il fallimento dell’ordine globale. E questo porta a irrigidire questo
principio: se un sovrano ci chiede di intervenire, noi concerto abbiamo il dovere di farlo.

CASO SPAGNOLO: discussione nel concerto, il governo razionario francese dell’epoca +


prussiano + russo + austriaco accettano di intervenire ma la Gran Bretagna no.
Il governo britannico era ormai ispirato da un’evoluzione nella logica liberale espressa da
Henning (ministro degli esteri) che sottolinea come la nazione indipendente sia più
importante del governo stabilito.
 Questo vuol dire che quando c’è una crisi che riguarda l’ordine interno di un paese è
bene lasciarla sviluppare all’interno di quel paese con una logica liberale. Quando ci
fosse una crisi che riguarda i confini, invece è bene che il concerto venga coinvolto.
Es: il governo britannico segue con interesse la vicenda belga, perché una delle possibilità di
questo distacco delle province belghe era che la Francia se ne approsittasse e questo
preoccupava molto la Gran Bretagna. Quindi l’idea che il governo francese arrivasse a
conquistare i porti di Anversa sul mare del nord era una cosa che preoccupava molto. Quindi
se bisogna cambiare i confini, il concerto, dicono gli inglesi, ha una sua responsabilità e deve
mediare e controllare che non ci sia un’egemonia, infrazioni dei diritti delle grandi potenze.
Quando la questione è interna, e per loro questo era il caso di quella spagnola, bisogna
lasciare il popolo esprimersi secondo logica liberale.
Questa cosa non poteva essere accettata dai governi più conservatori; infatti, in Spagna poi ci
fu un intervento da parte del governo francese che porta il sovrano ad essere libero di
eliminare la costituzione imposta dai militari ribelli.

La rottura del 1823 sul caso spagnolo con il congresso di Verona ha un suo peso: da quel
momento in poi il concerto diventerà più faticoso e si indebolisce. Non ci sarà più la
diplomacy by conference. Fino alla guerra di Crimea il concerto riuscirà però ad avere una
certa funzionalità, ma ovviamente con questi limiti ideologici su come gestire le crisi.

Effetto della crisi spagnola sulle colonie


La crisi della Spagna iniziata con l’intervento di Napoleone quando aveva messo al potere
suo fratello, ha portato delle conseguenze anche a lungo raggio, travolgendo anche le colonie
spagnole e portoghesi in America (anche il Portogallo era stato soggetto a sconvolgimenti
nell’epoca rivoluzionaria):
Le rappresentanze locali dei coloni iberici ormai segnati da un’identità locale abbastanza
forte (definiti creoli: europei nati in quel luogo ormai dopo generazioni cresciute in quel
territorio), sviluppano una logica di progressiva autonomia, soprattutto perché non
riconoscono il cambiamento rivoluzionario avvenuto nella madrepatria.
 Nel momento in cui il sovrano viene restaurato e vuole tenere sotto controllo il
processo di autonomia, ormai quest’ultimo è andato avanti e ha costituito forme di
governo locale che diventano sempre più difficili da sorvegliare da Madrid.
Questo discorso deve molto alla diffusione del modello statunitense con la vittoria dei coloni
nella guerra d’Indipendenza, la fissazione del concetto di indipendenza degli Stati Uniti, che
danno esempio a questi coloni.
Quindi questi si organizzano e costituiscono anche delle operazioni militari piuttosto
strutturate, con anche un’idea di cui si fa portavoce soprattutto Simon Bolivar, uno dei capi
militari di queste organizzazioni indipendentiste. Porta avanti un’ idea di collaborazione tra
queste diverse realtà che stanno per nascere, una sorta di idea panamericana con una
confederazione che li raggruppi tutti.
In realtà poi questi modelli non riescono a realizzarsi, ma si va verso la costituzione di nuovi
stati indipendenti gestiti dall’ elite creole di origine europea ma ormai profondamente
autonomizzate dalla madre patria.
L’Argentina e il Paraguay fissano per prime la loro dichiarazione d’indipendenza, poi c’è
un’ondata nei primi anni ’20 frutto di questo processo che si era innescato nell’età
rivoluzionaria

Primi anni 20: quando il concerto appoggia l’interventismo anticostituzionale in Spagna, si


diffonde anche l’idea di una sorta di grande sostegno europeo alla restaurazione del controllo
spagnolo nel continente americano, cioè che il concerto possa creare un esercito che aiuti il re
di spagna a riprendere il controllo di questi paesi: a parte che è un’ipotesi difficile da
realizzare in termini tecnici e fantasiosa in termini politici, l’ostacolo principale è che la Gran
Bretagna si è ormai staccata dalla versione rigida e reazionaria del concerto. Tuttavia, è
proprio lei la potenza maggiore nell’Atlantico dal punto di vista dei collegamenti marittimi
 Quindi questa ipotesi di un grande esercito portato con delle navi verso l’America era
molto difficile e avrebbe dovuto fare i conti con questo ruolo britannico.
Gli inglesi, inoltre, ipotizzando di doversi opporre ad un intervento della Santa Alleanza
nell’america latina, sondano il governo degli Stati Uniti per fare una grande alleanza per la
libertà degli stati americani (grandi passi avanti della GB rispetto a quando voleva ripristinare
il suo controllo 50 anni prima). Dopo l’ultima guerra tra USA e GB del 1812 sulla questione
del confine con le colonie canadesi, ci sono buoni rapporti tra le due, ma la proposta inglese
viene rigettata dal governo degli USA perché la logica che il governo USA inizia a seguire è
diversa:
non vogliono unificare le due parti dell’Atlantico sulla base di una visione liberale comune,
ma vogliono difendere l’originalità dell’esperimento americano.
Il presidente USA James Monroe tiene un discorso al congresso, che poi verrà consegnato
alla storia con il nome “dottrina di Monroe”, per cui gli USA hanno il compito di
proteggere la libertà del continente americano dalle ingerenze europee
 Quindi non accettano l’alleanza con GB perché non vogliono appunto che inferenze
europee si intromettano in America, ne da parte della Santa Alleanza ne da parte della
Gran Bretagna. Lo slogan è: “l’America agli americani”, il territorio americano è
teatro in cui si sta sviluppando un percorso di libertà diverso da quello dell’Europa
(principio di distinzione già venuto fuori negli anni 70 del 700, ora fissato sulla carta
con una sorta di tono disfida)
Non vuol dire solo che proteggeranno l’America dalle inferenze europee ma si considerano
anche delle guide di questo percorso di libertà. Anche se il governo degli USA rappresenta
ancora una realtà piuttosto modesta, la prospettiva di un’egemonia, un’influenza politica a
raggio continentale è già piuttosto presente. Qualche anno dopo si parlerà nel dibattito
americano di un “Manifest Destiny”, destino manifesto che la storia assegnava agli USA di
guidare e civilizzare il continente americano, anche con una logica un po’ paternalista nei
confronti dei coloni iberici del sud, ritenuti meno sviluppati. Ci sarà una frizione con il
Messico per il controllo di certi territori, e negli anni 40 ci sarà una guerra sul destino del
Texas). Insomma, sta di fatto che l’espansione degli Stati Uniti è ancora alle origini, ma già si
afferma una sorta di prospettiva di primato, che è declinata in termini nettamente antieuropei
per cui l’Atlantico deve diventare una barriera, e non un terreno comune, che protegga lo
sviluppo originale del continente americano.

Nonostante le velleità degli stati uniti di porre una barriera, c’è un processo globale che
collega la vicenda della nuova america latina al tema del legittimismo, dell’interventismo
europeo, del modo con cui si deve gestire il concerto e l’ordine di Vienna.

L’ipotesi di un interventismo europeo alla fine non si realizza e queste indipendenze degli
stati latino-americani aumentano il numero di stati indipendenti nel mondo. Si tratta di stati
concepiti sul modello degli stati europei, non imperi tradizionali: si legano tra loro tramite
una rete di riconoscimenti reciproci e di diritto internazionale. Questo fa si che questa storia è
la prima grande storia di espansione della società internazionale degli stati fuori dal confine
del continente europeo. Certo magari per il momento i rapporti sono ancora esili: negli anni
20 i traffici commerciali ci sono, ma sono molto modesti. Attraversare l’Atlantico su
bastimenti a vela vuol dire fare un’esperienza che ha una sua complessità pratica. Quindi i
legami tra le due parti del mondo sono ancora modesti ma c’è la premessa di questo
allargamento che sarà poi ineluttabile.

TORNIAMO ALLE DIFFICOLTÁ DEL CONCERTO: le pressioni liberali e nazionali


non si fermano
Il concerto è in difficoltà nel rispondere a questi stati di crisi, in alcuni casi riesce a trovare
delle mediazioni (come caso belga e greco), in altri casi il concerto si rompe (come intervento
legittimista in Spagna)

Le pressioni rivoluzionarie liberali e nazionali non si fermano dopo il 30, anno che che ha
dato segnali di grandi sconvolgimenti europei, ma effetti abbastanza modesti.
- Confermato il governo di Luigi Filippo in Francia perché nessuno pensa di poter
ripristinare la vecchia monarchia borbonica
- Negoziato sull’indipendenza del Belgio

Nel caso dell’altro grande processo rivoluzionario che avviene a Varsavia, l’elite locale in
nome di un’identità nazionale vuole sottrarsi dal controllo dello zar: intervento miliare dello
zar che riporta il controllo russo.
Episodi tedeschi e italiani: anche qua il governo austriaco si trova capace di ripristinare
l’ordine

Le cose diventano più complicate nel 1848: seconda grande ondata di rivoluzioni che è
favorita anche da ragioni di tipo socioeconomico. C’è un malcontento diffuso in Europa, sono
anni di crisi economica legata ad anni di cattivi raccolti, carestia e ci sono processi di tipo
sociale che fanno vedere che le rivoluzioni possono avere una base popolare più cospicua
proprio perché c’è questa pressione del malcontento popolare.
Il nocciolo però è ancora quello di movimenti rivoluzionari liberali e nazionali che cercano di
mettere in discussione l’ordine tradizionale.
Le rivoluzioni avvengono in quasi tutta l’Europa continentale, tranne:
- penisola iberica, dove vi era stata quella repressione precedente
- Gran Bretagna, anche se in Irlanda ci sono moti nazionali significativi
- Impero Russo con Polonia ricondotta all’ordine, spazzando via quel tanto di
autonomia concessa a Vienna nel 1831 e quindi l’impero russo, dato che per certi
versi è più tradizionale, con società meno articolata, con dei processi di tipo
economico-sociale più lenti, si trova in una situazione di relativa calma.

Il resto del continente vede moti che partono dalla Francia, dove il regno di Luigi Filippo
conosce una rivoluzione parigina che ha successo e da cui poi si afferma una repubblica.
 L’affermazione di una repubblica a Parigi diventa un segnale in tutta Europa, che
evoca il 1789. Ormai le comunicazioni nel 48 hanno fatto passi da giganti, con
diffusione di notizie molto più rapida e incisiva, a differenza di decenni prima. Questo
accadimento quindi, attraversa tutta l’Europa provocando la preoccupazione dei
sovrani e pressione rivoluzionaria da parte dei movimenti liberali e nazionali.

Rivoluzione anche a Vienna in cui si chiede di cacciare Metterlich, in Germania dove


prende non solo forma di richiesta ai sovrani di COSTITUZIONE (nelle capitali dei diversi
regni tedeschi), ma accanto a questa pressione liberale ve ne è anche una nazionale: i patriotti
sollecitano l’elezione di un’assemblea costituente tedesca nazionale rivoluzionaria che si
costituirà a Francoforte con rappresentati da tutta la Germania per porre il tema di una
possibile unificazione.
Processi rivoluzionari che si affermano perché i centri della tradizione del concerto sono
indeboliti, in particolare impero asburgico e Prussia. I russi potrebbero anche avere velleità
reazionario, ma non sono in grado di intervenire da soli per stroncare
queste rivoluzioni in Europa, vedremo che interverranno quando poi si saranno riconsolidati
gli altri partner.

Anche in Italia vi è una situazione rivoluzionaria: nel Lombardo-Veneto prende piede una
sommossa antiaustriaca: le famose 5 giornate di Milano, e ci sono pressioni per chiedere la
costituizione ai vari sovrani.
- Torino: Carlo Alberto concede una costituzione
- Papa: promette di discutere costituzione (uno degli stati piu tradizionalisti)
Ci sono movimenti liberali costituzionali che anche nel caso italiano preludono all’idea che si
possano mettere insieme in una forma almeno confederale questi stati escludendo l’influsso
straniero (cioè dell’Austria).
PROCESSO NAZIONALE CHE SI INTRECCIA A QUELLO COSTITUZIONALE: nel
caso italiano e tedesco si tratta di unire territori diversi con comune identità.

 In Austria ci sono casi di agitazione secessionista: gruppi reazionari pongono il tema


dell’autonomia e dell’indipendenza. Per esempio, lo pongono a Praga nel congresso
dei popoli slavi, approfittando della crisi di Vienna. Soprattutto lo pongono gli
ungheresi, uno dei popoli più numerosi all’interno dell’impero e che hanno una lunga
tradizione di autonomia che era stata poi combinata con la cessione del governo
all’imperatore d’Austria, ma a cambio della propria tradizione, lingua e costituzione
tradizionale. Gli ungheresi però pongono anch’essi un problema di autonomia e
indipendenza. L’impero asburgico sembra poter esplodere in questo caso.

Però le cose sono più complicate: i popoli slavi che hanno movimenti nazionali significativi
cominciano a temere che se avessero avuto successo gli ungheresi da una parte e i tedeschi
dall’altra nel creare una grande Germania, questo poteva creare problemi alla loro autonomia.
Quindi guarda caso i croati che temevano una grande Ungheria diventano difensori maggiori
dell’unità dell’impero Asburgico. Il movimento croato aiuterà l’impero a sopravvivere.
Quindi le identità nazionali già allora sono questioni delicate. È vero che secondo la cultura
romantica si è portati a chiedere la libertà per tutti. Giuseppe Mazzini, per esempio, fonda la
giovine Italia ma poi anche la giovine Europa: la sua teoria è “se c’è autonomia e libertà per
l’Italia, c’è autonomia e libertà per tutti”. Ma le sfere dell’autonomia e della libertà possono
anche venire a confliggere. Qual è il confine della nuova Germania che si vuole stabilire
nell’assemblea di Francoforte? Si discute fortemente e in qualche caso si arriva a teorizzare
che territori tradizionalmente imperiali tedeschi devono entrare in questo orizzonte: questo
preoccupa movimenti locali che possono avere invece velleità autonomistiche. Nella storia
torneremo più volte a queste dinamiche, perché l’idea di nazione è appunto una potente molla
di individuazione, riconoscimento e di identità ma anche di competizione con altre nazioni:
soprattutto se pensiamo a una situazione come quella dell’Europa orientale dove gli
insediamenti tradizionali, e anche le identità locali erano più frammentate e sovrapposte che
non nell’Europa occidentale.

La vicenda del 48 è un momento europeo in cui il concerto è quasi bloccato: non si pone il
tema di un intervento europe perché non ci sono più i soggetti, c’è una crisi dei pilastri
monarchici tradizionali, con una rivoluzione a Parigi, Berlino e Vienna. E quindi c’è questo
spazio in cui sembra potersi affermare un grande cambiamento basato su una protesta e su
una pressione dal basso di tipo liberal-nazionale. Quello che poi succederà tra la fine del 48 e
la metà dell’anno successivo sarà un processo diverso.

Tra fine 48 e metà 49 sarà un processo diverso: le monarchie tradizionali riescono a


sconfiggere le pressioni rivoluzionarie più forti
 Impero d’Austria ritrova il proprio equilibrio: Francesco Giuseppe riesce ad impostare
una sorta di dittatura militare che riesce a riprendere in mano il controllo militare
dell’impero.
 Berlino: processo simile
 Parigi: elezioni per il presidente della repubblica e viene eletto un personaggio non
rivoluzionario, cioè Luigi Napoleone Bonaparte (nipote)
Gli altri focolai si spegneranno, gli ungheresi verranno sconfitti perché Vienna chiede aiuto
militare all’impero zarista, i tentativi autonomisti italiani e tedeschi vengono anch’essi ad
esaurirsi nella sconfitta.
Italia: unico stato che prende le armi contro vienna è il Piemonte ma perde militarmente
quella che poi verrà chiamata prima guerra d’indipendenza italiana.

Nel ’49 c’è quindi una sorta di seconda restaurazione, dove l’assemblea nazionale tedesca
viene spazzata via e il pluralismo sotto controllo del Bund confermato. È una seconda
restaurazione che ha dentro elementi più fragili legati al fatto che il concerto è sicuramente
più debole e che gli stessi sovrani restaurati sono sicuramente più fragili.

LA QUESTIONE D’ORIENTE

si inizia a parlare dopo


Vienna di un problema, “la
questione d’Oriente”, tema
molto al centro
dell’attenzione nel
linguaggio diplomatico
europeo.

La centralità che l’impero


ottomano aveva avuto in
questa corona di stati
islamici sta manifestando
le sue difficoltà. L’impero
è in uno stato di relativa
crisi: all’epoca si parlava dell’impero come l’uomo malato d’europa, prefigurandone una
caduta imminente, ma dobbiamo notare che dopo Vienna l’impero ottomano dura ancora per
un secolo (quindi tutt’altro che sull’orlo di una crisi finale). Tuttavia, è vero che si sta
indebolendo e quindi comincia a conoscere delle crisi nella periferia (=> situazione tipica di
quando un impero è in crisi). Questa è la zona geografica più lontana ed è spesso tranquilla
quando un impero è solido, e quindi può anche permettere di lasciare alcuni magrini di
autogoverno alle periferie. L’impero ottomano, sotto questo profilo, era stato una costruzione
politica abbastanza lungimirante: quando la dinastia regnante, di origine turca conquista
queste aree del Mediterraneo ed inizia ad espandersi in Europa, non pretende di
omogeneizzare tutte queste regioni né dal punto di vista culturale, né da quello religioso o
amministrativo. Anzi, riconosce autonomie purchè i diversi organismi amministrativi locali
(spesso religiosi) obbediscano al controllo militare dell’impero e forniscano le tasse
necessarie. Quindi c’è un rispetto per le comunità.

Quindi il cattivo turco medioevale, reazionario, autoritario nei suoi comportamenti rigidi e
violenti è più che altro una costruzione ideologica. Il governo ottomano si rivela violento e
più duro quando inizia a indebolirsi (fine 700 inizio 800), quando appunto la preoccupazione
che alcuni parti della periferia dell’impero si stanno staccando porta a interventi repressivi
piu frequenti e quindi a peggioramenti delle crisi locali in cui si creano veri e propri
movimenti indipendentisti.
Esempi:
- Penisola arabica: fine 700 già si era un po’ distaccata con movimenti religiosi radicali
dal controllo turco.
- Anche l’Egitto, sotto il controllo di alcuni pasciá locali, ossia capi militari ottomani
staccati rivendicando una certa autonomia.
- Grecia a inizio anni 20 c’è un fermento autonomista simile: l’elite greca vuole
margini di libertà e l’impero zarista soffia per radicalizzare la situazione, perché?
Dalla relativa debolezza dell’impero ottomano che riesce sempre più a fatica a controllare le
periferie, si aggiunge la pressione esterna, inizialmente russa. I russi hanno un obiettivo
strategico:
 L’impero russo a inizio 700 aveva avuto questa pressione verso occidente che arriva
sulle coste del Baltico e del Mar Nero (Ucraina e Crimea conquistate nel tardo 700).
L’impero russo si affaccia quindi all’Europa, e così facendo non è più solo un grande
blocco continentale con controllo serrato di tutte le terre fino alla Siberia, ma comincia
a volere uno sbocco sui mari, quindi uno sbocco commerciale (legname, ceriali) e
anche eventualmente militare.
I porti del Baltico (come San Pietroburgo) non sono agevoli anche perché per periodi
dell’anno sono anche gelati, quindi dal Mar Nero, dove si iniziano a costruire porti soprattutto
in Crimea, è ovvio che ci sia una sorta di pressione verso sud, per poter arrivare a sboccare
nel mediterraneo e quindi poi nei mari aperti (già si era iniziato a parlare dell’istmo di Suez).
Questa è la ragione per cui l’impero russo ha questa spinta verso sud che si scontra con il
controllo ottomano degli stretti che bloccano il mar Nero: Dardanelli e Bosforo.
Per questo per i russi è importante indebolire il potere ottomano e poter negoziare con loro
condizioni favorevoli di transito negli stretti o almeno di condizionare l’impero ottomano.
Quindi tutte le mosse che indeboliscono l’impero vengono appoggiate dai russi in questa
prima parte dell’800 e questo è uno dei primi aspetti della questione d’oriente. (caso greco)

Certo è paradossale che lo zar conservatore appoggi un movimento rivoluzionario in Grecia.


Però da una parte Alessandro I non era inizialmente neanche alieno da una posizione
filoliberale, e in secondo luogo c’è anche il fatto che l’impero ottomano non fa parte dei
sovrani cristiani d’Europa, e quindi in qualche modo è esterno alla protezione della santa
alleanza.

 La Gran Bretagna si oppone alla pressione russa sull’impero ottomano, perché in quel
momento è la potenza navale che controlla il Mediterraneo (controlla Gibilterra, Malta,
ha una base a Corfù) ed è la più interessata alla costruzione del canale di Suez per
mettere in contatto l’impero indiano con l’Europa. Questo vuol dire preoccuparsi
molto delle pressioni russe per avere uno sbocco nel mediterraneo che potrebbero
mettere in crisi il sistema delle comunicazioni imperiali (via terra che vanno verso le
indie), se non l’egemonia marittima inglese nel Mediterraneo.

Nocciolo della questione d’oriente è lo scontro russo-britannico, con Gran Bretagna che
vuole consolidare la stabilità ottomana e creare una sorta di muraglia antirussa.

Questo si vede in tutte le crisi che riguardano questa vicenda dopo il 1814. La prima è la crisi
greca che inizia nel 21 e dura circa 10 anni:
Qui gli inglesi da una parte non vogliono che la crisi indebolisca troppo l’impero ottomano,
dall’altra sono condizionati dal fatto che la cultura romantica europea dell’epoca era molto
filoellenica;
 C’è questo movimento per l’identificazione dei patrioti greci nella tradizione classica;
quindi, non possono permettere una repressione eccessiva da parte ottomana. Non è un
caso che nel 1827 una flotta inglese protegge la Grecia dalla repressione che gli
ottomani volevano fare attraverso la mobilitazione dell’Egitto.

Alla fine, questa situazione viene risolta con una mediazione del concerto europeo. La
questione d’oriente è quindi una situazione di crisi ma non una situazione non mediabile, anzi
nel 27/28/29 si troverà l’accordo per rendere indipendente la Grecia sotto un re di una
dinastia tedesca, a patto che i russi riconoscono che non ci sia un’eccessivo indebolimento
dell’impero ottomano. La guerra che i russi avevano mosso e che aveva portato a cominciare
a far staccare dall’impero i due principati di Moldavia e di Valacchia viene fermata e
vengono rinegoziate delle condizioni per il passaggio negli stretti non eccessive dal punto di
vista britannico nel favore ai russi.

Discorso che si ripresenterà più volte e negli anni 30 e 40 ci saranno varie altre crisi, tutte
troveranno una modalità di mediazione all’interno del concerto fino all’ultima crisi che
invece sarà quella più rilevante negli anni 50. Questa non troverà una mediazione perché la
Russia si è rafforzata molto dopo le vicende del 48 (ha dalla sua parte l’alleanza con l’Austria
che gli ha permesso di venire a capo della questione ungherese) e le pressioni per ottenere un
protettorato sull’impero crescono.

C’è un incidente che aggrava queste questioni e che è legato alla questione dei luoghi santi di
Gerusalemme: la Palestina era in possesso dell’impero ottomano e li c’era una controversia
che durava da molto tempo sul fatto che gli ottomani tolleravano la presenza di ordini
religiosi europei (ortodossi o cattolici) nei luoghi santi e che però i russi pretendevano di
controllare direttamente, scontrandosi con il pluralismo confessionale, quindi con la presenza
di monaci francesi (Francia guidata dal nipote di Napoleone dal 1848, 1851 colpo di stato con
nascita del secondo impero)
1853 i russi procedono all’ooccupazione della Moldavia e della Valacchia, premono verso
Costantinopoli e la reazione franco-inglese è dichiarare guerra per proteggere la solidità
dell’impero ottomano.
Guerra con Russia complicata a causa della lontananza: l’unico modo è portare una guerra
marittima con uno sbarco in Crimea, assediando la fortezza di Sebastiopoli per cercare di
indebolire la presenza russa nel Mar Nero.
La guerra si trascina per tre anni senza grandi risultati perché la movimentazione è
complicata, quella che poi alla fine la sblocca è la diplomazia che mette in gioco l’impero
austriaco: nei primi decenni del secolo ha avuto poco coinvolgimento nelle vicende
balcaniche e d’oriente, perché è molto coinvolto nel tenere il controllo in Italia e in
Germania, in un ottica mittel europea. Non c’è più la pressione dei turchi che aveva
caratterizzato il 600 e il 700, anzi ci sono dei principati come quello di Serbia che si stanno
staccando dai turchi e non creano particolari problemi pur essendo a cavallo con i confini
asburgici. Una volta che l’Ungheria era stata ridimensionata e ricondotta al controllo
viennese nel 1849, i Balcani non sono un grosso problema.

Per cui la diplomazia è quella di coinvolgere da parte francese/inglese gli austriaci nelle
pressioni sui russi, staccandoli dall’alleanza austro-russa che aveva giocato nel 48/49.
L’Austria inizialmente tentenna ma poi si schiera nelle pressioni anti russe perche chiede
libertà di traffici sul Danubio (che si scontra col fatto che i russi hanno occupato i territori in
cui c’è anche la foce del Danubio)
La minaccia austriaca di schierarsi con gli inglesi/francesi è la goccia che fa traboccare il
vaso e che porta l’imperatore russo ad accettare la tregua e accettare di fare un grande
congresso europeo che risistemi queste cose e che non ci sarà un protettorato russo
sull’impero ottomano.
Congresso di Parigi: molto duro con i russi. Si fissa una ripresa dello status quo che prevede
il ritiro dei russi dalla Moldavia e dalla Valacchia in cui si comincia a fissare il principio di
un’autonomia dello stato rumeno e un ritorno all’ indipendenza ottomana, aggravata dal fatto
che ai russi viene negata la possibilità di tenere una flotta militare nel Mar Nero
(smilitarizzazione del mar Nero per i russi)

Guerra modesta in sé ma simbolicamente importante perchè dimostra che il concerto a un


certo punto non riesce più a mediare le crisi. Dal 53/56, cioè dalla Guerra di Crimea, il
concerto non scompare del tutto (il congresso di Parigi cerca di rimetterlo in vita) ma è ormai
debole e questo darà vita a 20 anni di grandi sconvolgimenti europei. Si affermeranno
reazioni indipendenti di alcune realtà non più mediate dal concerto.

Guerra di Crimea: prima volta in cui il conerto non riesce a mediare una crisi internazionale,
quindi si crea una guerra.
1851: colpo di stato di luigi bonaparte che fa tornare l’impero in francia.
19.10

Metà 800: il sistema europeo sta diventando un vero centro dell’esperienza di un mondo che
si sta progressivamente collegando. L’Europa aumenta il suo controllo sul resto del mondo,
che fino a inizio 800 certamente era uno dei più avanzati, ma non assolutamente in condizioni
di grande diversità rispetto ad altre grandi civiltà.
Nel corso dell’800 questa differenziazione si approfondisce in particolare sulla spinta del
fatto che in Europa si è avviato il grande processo di trasformazione, cioè la RIVOLUZIONE
INDUSTRIALE
 Cambiamento di modalità tecnologiche, capacità di utilizzare il vapore come energia,
moltiplicazione di opportunità che da l’applicazione dei nuovi modelli tencici
 Mette l’Europa in grado di influenzare e sottomettere il resto del mondo

Non è un processo istantaneo. Dagli anni 60 del 700 si erano iniziate le prime
sperimentazioni, ma circa 50/60 anni dopo quindi negli anni 20/30 dell’800 vi è il
consolidamento di questo modello e la diffusione geografica data da una specie di contagio,
di spontanea diffusione di modelli.

Bacini carboniferi: materia prima fondamentale per sfruttare la nuova tecnologia del vapore,
infatti l’industria si
afferma soprattuto vicino
a questi, anche perché
spostare il carbone era
complicato delle
condizioni dei traffici
dell’epoca.
L’area iniziale è quella
britannica, poi vi è un
contagio al di la della
manica (aree Francia,
Paesi Bassi, Belgio, area
renana tedesca con delle
diffusioni verso est come
Slesia, Boemia, Italia
Settentrionale anche se
poco)
Quindi sostanzialmente l’area interna dell’Europa: si parla di un quadrilatero tra Glasgow,
Barcellona, Lubiana (Slovenia) e Stoccolma che rappresenta l’Europa più sviluppata in
questa direzione.

La diffusione dell’industria diventa molto più rapida soprattutto dagli anni 40 perché in quel
periodo si verifica una seconda fase della trasformazione industriale, legata alla capacità di
impiegare la forza vapore per i trasporti, non più solo alla produzione. L’invenzione della
ferrovia è fondamentale, è il vero perno di un cambiamento radicale nel sistema dei trasporti.
In parallelo c’è anche l’applicazione delle macchine a vapore alle navi, ma con effetto più
lento perché per molti decenni la vela (con miglioramenti tecnici) rimane fondamentale.

Mentre in Gran Bretagna le prime locomotive vengono sperimentate negli anni 20 (perno
avanzato, luce che guida il processo), nel resto d’Europa le troviamo negli anni 30/40. Queste
si diffondono creando una crescita di un’economia mondiale integrata, molto cospicua e
rapida.
Il miglioramento dei trasporti è quindi cruciale, la rete ferroviaria si estende velocemente in
Europa, molto più rapidamente in quella interna che abbiamo detto essere più industrializzata,
e un po’ più lentamente nella periferia.

In GB nel 1840 vi erano già alcune


centinaia di kilometri, mentre sul
continente vi era relativamente poco
Nel 1850 nell’area tedesca, francese e un
po’ anche nell’area settentrionale italiana
vi è un’indubbia intensificazione.
Ormai verso il 1880 abbiamo un’europa
unita dai trasporti, ciò vuol dire anche
spostare le merci in modo molto più
efficiente e meno costoso, superando
quello che per secoli era stato
un’ostacolo allo spostamento di beni
(molto più facile spostarli per mare
nell’epoca preindustriale). Le uniche
eccezioni sono il mondo balcanico e l’impero russo (forse questo dipendeva anche dal fatto
che vi fosse una vasta dimensione geografica). C’è ancora debolezza in Spagna, in Italia
meridionale e nella penisola scandinava, ma sostanzialmente c’è un Europa attraversata da
queste reti.

Poi da qui si collega:


- la moltiplicazione di viaggi
- esplorazione di continenti ancora poco conosciuti: per esempio il continente africano
il quale era stato esplorato sulle coste, ma all’interno era ancora per buona parte
sconosciuto; la colonizzazione americana nelle zone più lontane dagli oceani anche
cresce molto
- fenomeni di migrazioni aiutate anche da questo miglioramento dei traffici: in europa
cresce la popolazione (fattore collegato al miglioramento dell’attività economica). Ma
la crescita non è solo interna, c’è anche una grande emigrazione verso gli altri
continenti (circa 40 milioni di europei)
- grande processo di crescita del commercio, dove il miglioramento delle
comunicazioni porta a conoscere ciò che possiede un altro paese per commerciare
AFFERMAZIONE DEL TELEGRAFO: fino agli anni 30 le notizie circolavano attraverso
lo spostamento di esseri umani, poi grazie a Samuel Morse e altri viene messa a punto la
tecnologia telegrafica. Le prime agenzie di stampa statunitensi erano costituite da persone che
affittavano barche e appena si delineava un bastimento a vela che arrivava dall’europa, gli
americani si avvicinavano agli europei per chiedere quali fossero le nuove notizie
dall’europa, che poi venivano scritte sui giornali. La cosa cambia radicalmente quando si
inventa il telegrafo: una comunicazione di impulsi elettrici che, grazie all’alfabeto Morse,
impulsi elettrici brevi e impulsi elettrici lunghi, formano le lettere di una parola e poi di una
frase. Vengono collegate con cavi elettrici le diverse parti del continente europeo, dapprima,
e poi anche in modo sottomarino, coi cavi posati sul fondo marino (attraversamento della
Manica dapprima, mediterraneo, negli anni 60 si cominciano a mettere i cavi da una parte
all’altra dell’atlantico). Questo collegamento consente di trasmettere notizie alla velocità
della luce, la velocità dell’impulso elettrico.

Se nel 1789, quando a Parigi scoppia la rivoluzione a Tolosa o a Marsiglia o a Brest (nelle
periferie) ci si mette una settimana o 15 giorni per sapere che è scoppiata la rivoluzione, nel
1848 invece il grande crogiolo delle rivoluzioni europee avviene in tempi molto più
ravvicinati e ristretti perché le notizie iniziano a diffondersi tramite il telegrafo. È un discorso
importante perché ad esempio il diplomatico che rappresenta il proprio paese a migliaia di km
in una capitale straniera, fino a quell’epoca doveva mandare un messaggio che parte con un
postale a cavallo, arriva a un porto, viene caricato su una nave, raggiunge la propria capitale
magari settimane dopo, ma con il telegrafo la cosa è molto più veloce. Dal punto di vista
degli investimenti finanziari, della decisione per i contratti economici tutto viene
straordinariamente accelerato. Questo grande peso del telegrafo si affianca alle dinamiche più
sottili e moderne che riguardano tutti i flussi di comunicazione.

REGOLE INTERNAZIONALI E MONETA


Rete delle regole diventa più estesa e integrata: nascono regole internazionali che permettono
ai vari paesi di integrarsi molto più facilmente.

Esempio, il discorso delle monete: l’uso di una moneta piuttosto che un’altra, per millenni era
stata una questione molto legata a livello locale che non aiuta gli scambi (o si doveva pesare
il contenuto del metallo prezioso della moneta o addirittura con l’introduzione delle
banconote cartacee il problema era ancora più complesso perché non c’era un contenuto
oggettivo di metallo prezioso) quindi via via si va nella direzione di diffondere dei modelli
comuni che permettano maggiore scambio: prende forma il GOLD STANDARD:
Un sovrano, quindi uno stato, emette moneta sulla base del valore dell’oro e quindi ad
esempio la sterlina aveva un certo valore fisso rispetto all’oro (valore fisso e riconoscibile).
Se uno stato era sufficientemente solito da poter fissare il valore della propria moneta in oro,
la banca dello stato (in GB inizia a nascere una Banca Centrale intorno al 700) aveva il
compito di cambiare in oro anche la carta moneta.
Inoltre, se le monete di diversi stati sono analogamente basate sul rapporto con l’oro, allora
diventa facile anche scambiarle reciprocamente.

Questa perazione si allarga a molti paesi, uscendo da sistemi molto più complessi che c’erano
in passato. Negli anni 70/80 il Gold Standard si diffonde ampiamente. La Germania lo sceglie
dopo l’unificazione e il discorso si allarga anche a paesi più periferici o di altri continenti.
Allora GS diventa un grande standard monetario, un grande uso comune per quanto riguarda
le monete e diventa un elemento fondamentale di questa integrazione economica, di questi
scambi più facilitati che in passato.
Pensiamo quindi all’importanza di questa diffusione di un modello comune sul tema
monetario. Ma, pensiamo anche alla rete di accordi che si iniziano a stabilire tra i vari stati,
riguardanti trattati di commercio che fissano delle barriere doganali sempre meno elevate. Ex:
tu puoi portare le merci nei miei porti e io per farle entrare metto un diritto di dogana meno
alto, se anche tu fai la stessa cosa nei tuoi porti per le mie merci. Questa è un po’la dinamica
dei rapporti commerciali che riducono le barriere.

Verso la metà dell’800 si diffondono nuovi modelli di collaborazione tra gli stati che rendono
più generali alcuni comportamenti che anche in questo modo hanno un effetto molto
importante di unificazione, esempi:
- Napoleone III 1853 convoca una conferenza per cercare di fissare delle regole nei
confronti dell’epidemie di colera. Non si riescono a trovare risultati comuni così forti,
ma si fa il primo passo verso un’importante direzione.

- 1864, Ginevra: alcuni paesi firmano un documento per cui quando ci saranno guerre
tra loro si dovranno trattare in un certo modo i prigionieri di guerra. Condurre la
guerra in un certo modo regolamentata. Anche questo potrebbe sembrare come un
fenomeno circoscritto, una questione abbastanza marginale, ma dà l’idea che le regole
iniziano ad essere comuni. Quindi quello degli stati non è un sistema anarchico, ma è
un sistema in cui ci sono delle accettazioni comuni di regole unificate.

- Berna: unione telegrafica globale per favorire l’evoluzione del telegrafo

- 1874 si ragiona allo stesso modo per le poste: il sistema postale che attraversa i
confini tra i diversi paesi è un altro elemento di integrazione economic

- 1884, Washington: conferenza sulla fissazione di un orario riconoscibile


 Ogni città aveva la sua modalità di misurare il tempo, nel 1884 si approva un modello
comune che poi sarà quello attuale, basato sui meridiani. (meridiano di Greenwich).
 Si arriva a questo per fare ad esempio orari ferroviari riconoscibili

Questa rete di regole molto esile a inizio 800 diventa molto incisive con il passare del tempo
RETE DI REGOLE E COLLEGAMENTI, con primato del sistema europeo legato a questa
anticipazione del percorso del cambiamento industriale.
Il dominio europeo, in questa prima fase, a cavallo della metà dell’Ottocento, è un primato
ancora prevalentemente informale affidato alla spontanea prevalenza di una certa capacità
produttiva, tecnologica, commerciale, comunicativa. Non c’è un controllo politico-militare,
tranne in poche parti del mondo: in sostanza abbiamo le colonie inglesi ma sono piccole
realtà, ma comunque rientrano in un ragionamento sul ruolo che la Gran Bretagna ha
all’interno di questo straordinario aumento del controllo europeo del resto del mondo.

Il primato della Gran Bretagna


Non sarà un caso che il primato della trasformazione economica che abbiamo più volte
evocato, dia al regno unito britannico un ruolo determinante nella crescita dell’influenza
europea, che è infatti in buona parte trainata dalla GB. Quindi c’è una sorta di ruolo nuovo di
questo paese. Finora abbiamo parlato della Gran Bretagna come una delle cinque grandi
potenze europee e sul piano del continente europeo questa era meno incisiva di altre
monarchie. Ma invece, rispetto a questo processo di estensione dell’influenza europea il ruolo
inglese è straordinariamente cruciale.

Negli anni centrali del secolo, i decenni 40/70/80 circa, si diffonde l’immagine della PAX
BRITANNICA: Palmeston (uomo politico più rilevante della politica inglese dagli anni 30
alla metà degli anni 60), evoca l’immagine della pax romana, della classicità, cioè un’idea di
egemonia che però impone un ordine benevolo e moderato, pacifico. Quindi egemonia
diversa da quelle costruite attraverso il dominio militare, è un’egemonia aperta in cui si fanno
i propri interessi rispettando gli interessi degli altri, in cui ciascuno può trovare il proprio
posto.

Nuovo ruolo della GB come potenza trasformata dal suo dominio economico:

1. Dominio economico-commerciale: siccome ha anticipato la trasformazione, verso la


metà dell’Ottocento la GB produce la metà del ferro prodotto in tutto il mondo, questo
perché aveva più capacità nelle industrie. Nel commercio dei prodotti industriali,
sempre verso il 1860, la Gran Bretagna rappresentava il 40% di tutto il commercio.
Capiamo che è prorpio l’anticipo, l’essere arrivata prima a questi cambiamenti che
consolida questo primato produttivo (quindi commerciale, poi più si accumulano
ricchezze con il commercio, quindi, diventa un centro finanziario)

2. Collegato al concetto di essere un centro finanziario, l’accumulazione di ricchezze


grazie al commercio porta poi alla mobilitazione di un capitale in grado anche di fare
investimenti: la City di Londra diventa il centro di una finanza sempre più sofisticata
e funzionale. Secondo alcuni studi, negli anni 80/90, ¼ della ricchezza inglese era
tradotta in investimenti che dalla GB si rivolgevano fuori dai propri confini. Questo
voleva dire, per esempio, comprare una banca negli USA, finanziare con dei prestiti la
costruzione di una ferrovia in Italia o in India, entrare nella proprietà di un grande
conglomerato industriale in qualche altra parte dell’Europa, prestare soldi a un
sovrano che voglia innovare il proprio apparato di infrastrutture, ecc. -> questi sono
gli investimenti di tipo finanziario. Il centro economico-commerciale diventa quindi
anche finanziario.

Strumento politico che rafforza questo primato commerciale: offerta a tutti i paesi di trattati
di libero scambio

Epoca pre-contemporanea: concezione mercantilista in cui il libero scambio era un pericolo,


perché ragionava come acculumazione di metalli preziosi da costruire nella competizione con
le altre monarchie.
Il libero scambio è la concezione per cui non è tanto importante accomulare metalli preziosi a
scapito degli altri, ma liberare il commercio perché cosi facendo ognuno può vendere sui
mercati internazionali ciò che è più bravo a produrre e la somma delle ricchezze che in questo
modo si crea sarà una somma che continuerà a crescere.
Quindi nel libero scambio ognuno trova il proprio ruolo e la ricchezza complessiva, che non
è, come nel sistema mercantilistico, limitata dal fatto che i metalli preziosi sono limitati e che
quindi la ricchezza di uno va a scapito della ricchezza dell’altro, qui la concezione è quella
che ognuno trovi il proprio posto e che le ricchezze continuino a crescere, puntando ad una
crescita comune.
Dopo il 1846, il parlamento inglese dopo una lunga discussione abolisce le famose leggi sul
grano che erano state introdotte nell’epoca napoleonica (1815) ed erano sostanzialmente
appunto dei dati protezionistici. In Inghilterra produrre grano era più scomodo che non sul
continente europeo. Gli inglesi mettono queste barriere doganali per impedire che la propria
produzione interna esca dal mercato spazzata via dagli esportatori stranieri che avevano grano
prodotto a condizioni migliori. Nel 1846 gli inglesi aboliscono queste leggi perché è inutile
proteggere una economia inefficiente: se noi non riusciamo a produrre grano a prezzi
convenienti compriamo il grano all'estero ci conviene e ci conviene invece vendere all'estero
quello che noi siamo capaci di produrre cioè appunto le nuove merci industriali. Cambia del
tutto la logica mercantilistica, non è più il problema di massimizzare sempre le esportazioni,
ma il problema è rendere il commercio un modello per favorire l'efficienza del sistema
economico. Ogni paese si concentrerà sulle cose capaci di far meglio. Dobbiamo favorire un
libero commercio (liberoscambismo). Dopo il 1846 c'è una rete di accordi con gli altri paesi
per cui la Gran Bretagna accetta di abbassare le barriere doganali e rendere il commercio
sempre più libero. La Gran Bretagna riesce a convincere parecchi paesi europei a fare trattati
di commercio libero scambisti cioè a favorire questo scambio libero di beni creando un
sistema quindi aperto in cui non c'erano privilegi anzi a un certo punto scatta questo
meccanismo della clausola della nazione più favorita che vuol dire che praticamente nei
trattati di commercio si inserisce un discorso per cui se un'altra nazione a un certo punto farà
il trattato di commercio che abbasserà ancora le tariffe, questo abbassamento verrà
automaticamente anche per la prima nazione. Verso il 1860 1870, l’Europa è tutta legata a un
sistema di scambi di questo tipo.

Sintomo dell’egemonia britannica è che molti paesi accettino trattati liberoscambisti anche se
accettarli non vuol die accettare passivamente la supremazia britannica, perché se qualcuno si
inserisce in questo circolo con capacità produttive e commerciali può migliorare la propria
posizione.

Abbiamo un grafico che dice quanto in GB e Francia pesano le tariffe doganali sul
commercio negli anni che vanno dal 1820 al 1910: praticamente nel corso dell’800. Abbiamo
un crollo, soprattutto per quanto riguarda la Gran Bretagna. Questo paese veniva da una
posizione mercantilista molto forte (guerre con olanda per il commercio navale ecc.) e faceva
si che i beni che arrivavano da porti inglesi erano molto protetti da barriere doganali, che
arrivavano addirittura al 60% attorno al 1820. Ma vediamo che però pian piano queste
barriere vengono ridotte. Qualcosa di simile succede in Francia partendo da livelli più
modesti fino ad arrivare intorno al 1860 a barriere che stanno sotto al 10%. Il famoso trattato
commerciale (famoso perché rimasto simbolico, nel 60/61) tra GB e secondo impero francese
è il simbolo di questi trattati molto liberoscambisti che la GB riesce ad ottenere con tantissimi
altri paesi. Quindi c’è una rete di trattati di libero scambio che permette questa a questa
egemonia commerciale di diffondersi in modo pacifico.
Ci saranno delle oscillazioni nel corso dell’800 ma tra 1846 e anni 70 grossomodo, quindi per
30/40 anni, il liberoscambismo diventerà veramente egemone in Europa: molti paesi entrano
in questo orizzonte, anche se magari all’inizio questo li disfavorisce un po’ -> se non sono
paesi che hanno un sistema industriale come quello britannico le merci prodotte dal sistema
industriale britannico, non fermate dalle barriere doganali, vanno in conferenza con
l’artigianato locale, sfavorendo il produttore locale. Però ciascuno pensa: prima o poi troverò
il mio posto in questo orizzonte, magari per produrre beni agricoli di qualità da vendere poi in
GB e completare lo scambio di beni industriali.
A volte per ottenere che gli altri paesi si aprano al commercio internazionale occorre
utilizzare la forza: il caso più eclatante è quello dell’impero cinese. Questo impero, che
abbiamo detto essere una civiltà imporante paragonabile a quella europea all’inizio dell’800,
si trova ad essere oggetto di una crescente pressione commerciale europea, e i cinesi cercano
di limitare al massimo questa influenza.

I cinesi permettevano un limitato scambio in cui gli inglesi riuscivano a comprare grandi
quantità di tè, seta, porcellani scambiandoli con l’oppio preveninete dall’India (gestita
compagnia delle Indie britannica) e che in Cina aveva un suo mercato. Per un certo periodo
commerciava direttamente la compagnia delle indie l’oppio con la cina, poi l’imperatore
cinese impone l’abolizione a causa degli evidenti effetti negativi sulla popolazione, ma gli
inglesi cercano di continuare a contrabbandarlo.
Si crea un braccio di ferro con il governo imperiale cinese, il quale cerca di bloccare alcuni
carichi, sequestrarli, mettere in carcere commercianti britannici:
 Reazione militare regno unito, prima guerra dell’oppio (1839-42): invio di una forza
marittima da parte della GB che battono rapidamente le forze militari cinesi. Dopo
questa sconfitta nel1842, l’imperatore cinese deve firmare una serie di trattati ineguali,
cioè imposizioni di alcune norme, ossia:
1. Ottengono che l’imperatore conceda una serie di porti aperti al commercio europeo
(non solo britannico, sistema non esclusivistico)
2. Ottengono una base sull’isola di Hong Kong che resterà per 150 anni un punto
d’appoggio per la marina militare britannica, per i commerci britannici e un punto
d’appoggio per la marina militare britannica e per le navi commerciali britanniche,
quindi un punto d’appogio per aiutare questa diffusione del commercio rispetto ad un
enorme mercato cioè quello cinese.

Rottura del protezionismo imperiale (elemento che indebolisce molto l’impero cinese) è uno
degli strumenti decisivi dell’allargamento dell’influenza britannica, che però ha come logica
quella del primato commerciale: non vuole un primato territoriale o di controllo militare, ma
quello di favorire la libertà dei traffici

Lo stesso meccanismo della guerra dell’oppio si diffonderà anche in altri paesi:


- sublime porta ovvero l’impero ottomano. Anche questo è un impero in decadenza, fa
fatica. A un certo punto gli inglesi si infileranno nella tutela indiretta dell’impero
ottomano attraverso il controllo delle finanze dell’impero. Il sultano spenderà troppo,
si indebiterà con le banche europee e a un certo punto non sarà più in grado di
restituire questi debiti e allora deciderà un sistema di controllo internazionale. nel
56/57 ci sarà un incidente che porterà alla crescita del controllo britannico.
- qualcosa di simile avverrà in Egitto, dove negli anni 60 viene costruito il canale di
Suez: uno dei punti cruciali di un sistema di traffici marittimi in cui la GB è molto
importante. In realtà il canale all’inizio viene costruito con un capitale francese:
un’impresa a metà francese e a metà egiziana (pascià d’Egitto aveva ottenuto una
certa autonomia dall’impero ottomano). Ma a un certo punto il pascià farà degli
investimenti eccessivi rispetto alla sua capacità finanziaria, si indebiterà e l’incapacità
di restituire il credito porterà a un controllo internazionale crescente in cui gli inglesi
saranno molto influenti. E quando una rivolta nazionalista cercherà di protestare
contro questo vincolo internazionale alle attività del pascià nel 1882 questo porterà gli
inglesi a mandare una forza militare che occuperà il canale di Suez e imporrà una
specie di protettorato a tutto l’Egitto. Anche in questo caso, capiamo bene che
l’influenza finanziaria, legata al crescente dominio commerciale si tradurrà anche in
un’influenza politica.

COLONIE
Gli inglesi hanno un sistema di colonie e
sono quasi l’unico paese europeo ad averlo a
inizio 800: avevano infatti smantellato, vinto
la guerra con la Francia nel nord America, si
erano indeboliti gli imperi iberici nel sud
America, in Asia meridionale c‘era ancora
qualche piccolo punto d’appoggio di altri
paesi europei (francesi, olandesi, portoghesi)
ma sostanzialmente l’impero britannico nel
1840 è l’unico grande impero europeo nel
resto del mondo.

Tre categorie di colonie:


1. Colonie di popolamento: dove vanno ad abitare molti inglesi, soprattutto nelle cosiddette
zone temperate (Canada, Nuova Zelanda, Australia, Colonia del capo in Sudafrica)
2. Impero britannico delle indie: non c’è tanto la presenza di inglesi, ma in questo
territorio c’è un controllo che nasce come controllo della compagnia delle indie che poi
dalla seconda metà dell’800 si consoliderà come controllo della corona. Unico territorio
in cui ci sono tanti sudditi non europei. Era considerata la perla dell’impero, è un
territorio utilizzato per le grandi operazioni commerciali utili per gli affari inglesi. Non
devono neanche sostenere grandi costi per controllare militarmente questa zona, dato che
non utilizzano un esercito britannico, bensì un esercito composto da locali stipendiato.
Con le tasse che estraggono dai sudditi indiani saranno sufficienti per mantenere questo
esercito
3. Punti d’appoggio marittimi: piccole realtà in Gambia, costa d’oro (Ghana), sierra leone,
honduras, guyana, caraibi, hong kong, dopo poco Suez. Sono tutte basi marittime, punti
d’appoggio per il controllo degli oceani.

Le colonie non hanno un ruolo economico decisivo: il modello economico che ha portato al
grande successo della Gran Bretagna ad inizio secolo non si basa sulle colonie. Le materie
prime in gran parte non vengono dalle colonie e i mercati di sbocco sono per il 15% coloniali.
In realtà, l’orizzonte della crescita commerciale britannica è un orizzonte globale e non solo
coloniale.
Comunque, le colonie hanno un loro ruolo. Ricordiamo che i politici liberali inglesi, che
cominciano a diventare egemoni (anche se con un braccio di ferro coi conservatori: insomma
il bipolarismo inglese in parlamento si consolida già negli 30) e rappresentanti di questa
modernità industriale-commerciale, in molti casi cominceranno a dire: ma perché mai
dobbiamo tenere delle truppe per controllare le colonie, spendere dei soldi? Noi abbiamo un
rapporto con tutto il mondo, non ci servono le colonie. C’è un movimento nella cultura
liberale più radicale della scuola di Manchester che è contraria al mantenimento delle colonie.
In realtà poi i governi liberali saranno più pragmatici e diranno: ma no, ci servono, teniamo le
basi militari. Non abbandoneranno mai una colonia, ma ci sarà un certo pragmatismo
mettiamola così.
Allora capiamo che mentre fino all’età napoleonica, al primo concerto europeo, la Gran
Bretagna era comunque molto legata a una rete di rapporti con le potenze europee, man mano
cresce questa dimensione globale, l’influenza sul continente si riduce perché meno decisiva
per gli orizzonti britannici. Allora quindi salta fuori questo pragmatismo di uomini come
Palmerston e di altri che a un certo punto diranno di essere una potenza più asiatica che
europea: è un’esagerazione, ma per dire che questo orizzonte globale diventa molto
importante.

MAYER E IL PERIODO DI RICOSTITUZIONE NAZIONALE


Metà secolo: 50/70, molti casi di grosse perturbazioni, guerre, guerre civili che su larga scala
ridefiniscono il sistema internazionale.
Mentre la prima parte dell’800 era stata relativamente stabile, questi decenni centrali sono
molto turbolenti. Charles Meyer, un grande storico americano, ha usato l’espressione “questo
è un periodo di guerre di ricostituzione nazionale”: si tratta di guerre in cui in diverse parti
del mondo si prova a costruire o ricostruire solidi progetti statuari legati ad un’idea di nazione
(nata in Europa e che si sta diffondendo nel mondo). Alcuni di essi riescono dando vita a stati
relativamente solidi, mentre altri falliscono e nel fallimento mettono i binari di una tendenza
problematica che durerà per molto tempo.

Alcuni esempi di questi sconvolgimenti:


1. Guerra di secessione USA: è un passaggio che darà vita a un sistema originale diverso da
prima
2. Rivolta delle truppe indiane al servizio della compagnia delle indie
3. Rivolta dei Taiping nell’impero cinese
4. Rivoluzione Meiji in Giappone
5. Circa quindici guerre in Europa che ridefiniscono l’assetto di Vienna dando vita a due
nuovi stati: Italia e Germania

Perche proprio in questi decenni? La grande spinta di unificazione del mondo che viene
dall’Europa causa di per sé scompensi, e sono esattamente questi i motivi di crisi di vecchi
equilibri e di ricerca di nuove e più solide realtà istituzionali, politiche e poi
socioeconomiche. C’è un effetto di queste grandi dinamiche globali, si tratta di conflitti che
hanno permesso o impedito il consolidamento di nuovi stati a carattere nazionale. Il principio
di nazionalità ottiene dei successi in forma esplicita o implicita.

Guerra di secessione USA (1861-1865)


La dottrina di Monroe è da tener presente: gli USA vogliono staccarsi dall’Europa e
realizzare il proprio processo di crescita.
Si è ormai diffuso un modello economico-industriale che tocca almeno la parte settentrionale,
in cui prende piede un sistema industriale (zona del New England: Pennsylvania,
Massachussetts, Maryland), mentre al sud prevale l’economia di piantagioni con il ruolo
cruciale della schiavitù.

Dopo le guerre con la madrepatria britannica, man mano c’è un colonizzamento del
continente in cui vengono fondati vari nuovi stati.
Fin dalla fine del 700, liberati dal limite imposto dalla corona britannica sull’espansione
verso il centro del continente, ci si accorda sul fatto che l’espansione continuerà e che quando
nascerà una situazione per cui su un certo territorio ci sarà un certo numero di abitanti
consolidati, questi potranno fare domanda per costituire un nuovo stato e aggregarsi
all’unione nata dai 13 stati fondatori.
 L’allargamento, quindi, non è dei singoli territori, ma del numero di stati.
Il punto è che questa espansione territoriale crea delle frizioni e tensioni che si addensano sul
nodo della schiavitù, perché i due modelli di un’economia basata sul lavoro libero
prevalentemente industriale (quella del nord) e di un’economia di piantagione basata
sull’ampio ricorso alla manodopera schiava, tendono a divaricarsi anche con conflitti culturali
che stanno sotto.
Però l’equilibrio interno all’unione chiede di tenere una linea di compromesso, che per molti
decenni funziona. Per esempio, tutte le volte che si espande l’unione si fa si che entri uno
stato abolizionista e uno schiavista, così da non turbare l’equilibrio.

Ma siccome al congresso c’è una camera che rappresenta il numero di abitanti e non quello
degli stati (a differenza del senato) la popolazione degli stati del nord comincia a crescere e
gli stati del sud cominciano a sentirsi a rischio che ci sia uno spostamento di potere all’intero
dell’unione per cui le decisioni fondamentali (quali quella sulla schiavitù) possano essere
progressivamente spostate verso il centro.
 Questione su cui il rapporto tra i due peggiora progressivamente. L’unione salta con il
fatto che viene eletto un presidente repubblicano abolizionista, Abram Lincoln, che gli
stati del sud temono possa bloccare la loro tradizione ritenuta necessaria per il loro
modello economico-sociale.

Qui nasce lo scontro a cui segue la secessione. Si crea la confederazione degli stati del sud
che apre un conflitto militare durato cinque anni in cui entrambe le parti sperano di poter
ottenere appoggi e consensi internazionali, anche se l’Europa cerca di essere neutrale.
La vittoria del nord non è così garantita, arriva alla fine perché il nord è molto più ricco,
popolato e avanzato, ma è una vittoria che arriva a caro prezzo.
700 mila morti, una delle prime guerre moderne anche per durezza ed effetti sulla
popolazione civile.
Il risultato è che vince il nord e vince quindi l’unione, lo stato federale; quindi, da quel
momento il modello degli US si avvicinerà sempre di più a quello di uno stato unitario che
resterà federale (senato, bilanciamento dei margini di autonomia…) però le decisioni più
importanti verranno ad es abolizione della schaivitù verranno avocate a livello federale
 1865 abolizione estesa, gli stati del sud si dovranno adattare anche se dopo un periodo
di dura occupazione militare e mantenendo i margini di una società segregata. Gli
schiavi verranno liberati ma di fatto verranno esclusi da una serie di attività, questo
ancora per 100 anni.

Duro scontro, guerra civile, risultato: consolidamento di un modello isitituzionale moderno e


accentrato che farà fare agli USA un salto di qualità notevolissimo dal punto di vista
economico-politico.

Rivolta dei sepoy in India: (1857)


1/3 del subcontinente indiano è controllato dalla compagnia delle indie, ma c’erano anche dei
principati autonomi dell’India che erano in rapporti di equilibrio con la presenza britannica
nata nel golfo del Bengala, estesa anche sulla costa occidentale dell’India.
Anni 1856/57: ribellione dei sepoy, soldati indigeni arruolati dalla compagnia delle indie per
mantenere l’ordine all’interno del paese. La rivolta è in parte basata su motivi occasionali
(uso di grassi animali non ammessi dalle religioni indu o musulmana) ma oltre a queste
questioni basate sullo scarso rispetto, sotto la rivolta c’è una crescente ondata di
contrapposizione al controllo del territorio visto in modo problematico dal punto di vista
fiscale, militare, e di un razzismo più o meno esplicito. La rivolta diventa una dura rivolta
antieuropea con molti focoali e soprattutto da vita a un sentimento antieuropeo,
antibritannico, in radice di un nazionalismo indiano che cerca di cacciare il controllo europeo
eccessivamente invasivo.
La rivolta verrà stroncata militarmente, gli inglesi quindi ripristineranno il controllo di queste
regioni, allargandosi anche, mantenento però dall’ora in poi un equilibrio con i principi locali
non direttamente governati da Londra. Il governo passa direttamente alla corona, con la
Regina Vittoria che viene proclamata imperatrice delle indie (compagnia esaurtorata).
L’India viene riportata all’ordine con un fallimento dell’ipotesi di costruire una nuova realtà
statual-nazionale. Il fuoco di questa rivolta sarà importante per dare origine ad una
prospettiva nazionale indiana, che nascerà negli anni 80, sebbene non fosse mai stata una
realtà unita ma pluralistica (impero Moghul)

Rivolta dei Taiping nell’impero cinese


Impero cinese si trova indebolito dopo la guerra dell’oppio, subisce perdite di consensi
proprio per questo indebolimento in termini nazionali. Su questa onda nel 1851 nella regione
meridionale del Guangxi prende piede un movimento contro l’impero e contro le tradizioni:
nasce con una polemica molto forte contro la classe del mandarinato (spina dorsale
dell’impero centralizzato cinese) e contro l’imperatore, in particolare contro il fatto che
l’imperatore sia un Manciú, ossia venga da una dinastia concepita dai cinesi come straniera,
in particolare dai cinesi Han del nucleo centro-meridionale del paese. Inoltre, il movimento è
polemico contro la crescente influenza straniera: parliamo quindi dei trattati ineguali, della
presenza commerciale che sta diventando invadente, del fatto che continui ad arrivare oppio
da sud ecc…

Il movimento prende il nome di taiping dyanguong (regno celeste della grande pace), si basa
sulla rielaborazione di motivi tradizionali buddisti contaminati da un millenarismo dei
missionari cristiani allargati nella loro infuluenza in Cina anche sull’onda della penetrazione
straniera dopo la guerra dell’oppio. E quindi ci sono motivi appunto tipici cristiani: l’attesa
del regno celeste, enfatizzata soprattutto da alcuni gruppi di protestanti. E le guide del
movimento fanno questo sincretismo. Capiamo che quindi non è solo un caso locale, ma c’è
anche un’influenza di tipo internazionale.
Questo movimento prende piede e arriva a controllare un territorio in una delle zone più
ricche dal punto di vista agricolo della Cina e diventa una minaccia per la solidità
dell’impero. L’imperatore riuscirà a stroncare la rivolta solo 15 anni dopo con una durissima
guerra civile.
Nel 1865 la rivolta fallisce, ma la Cina non è riuscita a consolidare la sua dimensione statuale
moderna, pur partendo dai livelli di sofisticata civiltà, quindi l’influsso straniero continuerà:
nel 1860 c’è una specie di seconda guerra dell’oppio, in cui l’imperatore deve concedere
ulteriori privilegi alla presenza straniera. Verso fine secolo, la Cina verrà divisa in zone di
influenza straniera con imperatore ridotto a un esile potere tradizionale.

Giappone
Il Giappone è sempre stata una civiltà in un rapporto storico di vicinanza, subalternità e
autonomia dalla Cina. Data la pericolosità del mare intermedio tra i due, spesso il Giappone
ha avuto più rapporti con il sudest asiatico piuttosto che con la Cina.
Anche la civiltà giapponese era stata piuttosto florida nel tempo, e nei secoli dal 500 in poi si
era anch’essa chiusa dagli scambi internazionali, tuttavia, a metà dell’ottocento entra anche
essa nel circuito dell’influenza straniera che si manifesta con l’arrivo di alcune navi, le
cosiddette navi nere proveniente dagli USA (no europa). Queste navi attraversano il Pacifico
dove già avevano occupato delle isole, che potevano fare da “stepping stones” per allargare
poi l’influenza commerciale verso l’Asia.
Nel 1853 arrivano le navi nella baia di Tokyo, e attraverso una dimostrazione di forza
incutendo timore, ottengono dal Giappone di aprire dei porti al commercio internazionale.
 Imposizione imperialistica anche qua, ma al contrario della Cina, c’è una reazione
interna che porta una classe della giovane nobiltà a provocare un risveglio di tipo
identitario di difesa della propria civiltà che gioca sull’idea non tanto della
contrapposizione agli stranieri (si rendono conto che gli stranieri sono militarmente più
forti, con più risorse tecnologiche), ma sul fatto che per difendere la propria originaria
civiltà occorre consolidare una modernizzazione della società, dell’economia, dei
costumi.
Con questa rivoluzione cade il potere dell’aristocrazia tradizionalista che controllava il paese
fino alla metà dell’800, e attraverso una breve guerra civile la piccola nobiltà dei gruppi
innovatori vince sull’aristocrazia tradizionale. Nel 1868 si apre l’era Meiji, l’era di un nuovo
imperatore molto giovane che si circonda di consiglieri che vengono dalla piccola aristocrazia
i cosiddetti samurai che hanno l’intenzione di cogliere l’occasione dell’umiliazione delle
pressioni imperialistiche straniere per rinnovare tutto, cambiare le basi del potere,
appoggiando le riforme di queste elite.
Elite che sarà capace di strutturare uno stato amministrativo basato sugli standard europei,
con una grande opera di informazione, di diffusione di modelli, costruzione di un esercito
moderno, prima forma di industria locale
 processo di consolidamento della struttura statuale che riuscità ad avere successo: nel
giro di circa 20 anni, il Giappone è uno stato economicamente in via di sviluppo, con
questa solida struttura amministrativa e militare e divenerà un soggetto significativo
della realtà dell’asia orientale

EUROPA
Anche in europa questo periodo è un periodo di grandi trasformazioni: guerra di Crimea
(1853) con il primo fallimento del concerto.
In questi anni inizia a non contare più il comune sentire dell’Europa, ma quella che inizia a
essere chiamata la Realpolitik cioè l’impiego di strumenti decisi di forza da parte di soggetti
che vogliono cambiare le cose, non necessariamente consolidarle.

Uno dei primi punti di revisione è legato alle vicende dello stato francese: dopo la
successione di cambiamenti e rivoluzioni, la Francia diventa una presenza che non vuole più
apparire come un fattore di perturbazione dell’Europa.
La cosa cambia nei primi anni 50 quando va al potere Luigi Napoleone Bonaparte (nipote di
Napoleone) che fondamentalmente era un cittadino della repubblica francese stabilita con la
rivoluzione del 48. Viene stimolato a candidarsi presidente della repubblica dagli ambienti
conservatori francesi; infatti, vince le elezioni a fine 1848 e nel 1851 con un colpo di stato
mette fine alla repubblica: concentra i poteri nelle sue mani e proclama il secondo impero.
 Impero ispirato alle idee del grande zio, con l’idea che la Francia deve essere la guida
alla modernità, alla libertà nazionale ed europea e che debba essere il paese capace di
guidare l’Europa, sia pure con una prudenza maggiore rispetto a quella dello zio,
perche si rende conto che il fallimento dell’impero napoleonico era legato al fatto che
aveva sottovalutato la GB e la Russia, cioè la potenza marittimo-commerciale da una
parte e la potenza militare dall’altra.
Napoleone allora chiede una revisione della carta d’Europa, perché la carta di Vienna era
stata imposta e limitava troppo l’influenza francese. Inoltre, punta ad arrivare ad una nuova
associazione generale d’Europa cercando di farlo in intesa con la GB e anche con la Russia.
Il suo punto critico è il ruolo degli Asburgo come detentori del controllo dell’area tedesca e
italiana.

Dal 1852, il secondo impero diventa un fattore di perturbazione in Europa:


La guerra di Crimea è il primo episodio in cui Napoleone III ha un ruolo importante perché si
appoggia all GB per tentare di limitare le pretese russe nell’impero ottomano.
Nel 1856 il congresso che pone fine alla guerra di crimea, si trova appunto a Parigi.
Napoleone impone quei limiti alla Russia (limiti del trattato di Parigi per cui non può tenere
apprestamenti militare nel Mar Nero) ma poi cerca di mediare con lo zar e di non isolare del
tutto la Russia. Nello stesso tempo immagina di cercare qualche leva per modificare il
controllo asburgico della Mittel Europa.
La leva che gli si propone è la situazione incerta e critica presente in Italia:

ITALIA
rivolta del 48 nel Lombardo-Veneto e l’ipotesi di una guerra in una lega italiana all’Austria
erano fallite, c’era stata una seconda restaurazione del 49 che però non aveva spazzato via
l’originalità del regno piemontese.
I savoia avevano mantenuto lo Statuto Albertino ed erano diventati di fatto un punto di
riferimento per tutti quelli che in Italia continuavano a coltivare l’idea costituzionale e l’idea
nazionale (idee che nel 48 non erano riuscite ad affermarsi).
Non a caso molti patriotti/rivoluzionari che vengono perseguitati dalle monarchie restaurate,
si rivolgono a Torino e li si costituisce una società nazionale, una specie di movimento
indipendentista, patriottico, nazionale in cui si diffonde l’idea che il Piemonte può aiutare
l’autonomia dell’Italia allontanandola dall’influenza austriaca, anche a prezzo di una
limitazione dei discorsi sulla repubblica e sulla libertà che erano stati molto presenti nel 48: il
discorso sarebbe venire a patti con monarchia, ma alcuni democratici radicali, come Mazzini,
non lo faranno ma una figura come Garibaldi nato come libertario e democratico, a un certo
punto verrà a patti con la monarchia perché dirà che l’indipendenza è l’unico modo per
togliere l’Italia dall’influenza straniera.
In questa situazione il governo del regno di Sardegna diventa un fattore di potenziale
cambiamento, cambiamento che diventa più impegnativo quando sale al governo Camillo di
Cavour.
 Membro dell’aristocrazia che si è convertito a un ruolo di imprenditore moderno.
Liberale di cultura che guarda all’Europa più avanzata, non particolarmente esaltato
dall’idea dell’unità, vuole piuttosto modernizzare le sue terre e quando diventa
presidente del Consiglio, il suo regno. Vede con diffidenza l’Italia del sud arretrata e
lontana. Però pensa che possa utilizzare il regno dei Savoia (regno di sardegna) per
avviare un cambiamento nella penisola, che allontani l’influenza austriaca e porti ad
una maggiore dinamicità e libertà.
 Per farlo bisogna avere un qualche legame internazionale (idea che anche nel 48 la
sconfitta contro l’Austria fu legata alla mancanza di questo).
Napoleone ha bisogno di affermare questa volontà di cambiamento e vede il caso italiano
come un’opportunità per affermare l’influenza francese al posto di quella asburgica.
Cavour e Napoleone si incontrano, accordo di Plombier 1858: se si fa un’alleanza per
provocare una guerra all’Austria (non in modo sovversivo per evitare reazioni di Russia e
Prussia) si può ottenere:
1. L’allontamaneto dell’Austria dal Lombardo-Veneto e quindi l’allargamento del regno di
sardegna in tutta l’Italia settentrionale
2. La crisi dei ducati dell’Italia centrale in cui si potrebbe costituire uno stato nuovo a
influenza francese.
3. Il rispetto dello stato della chiesa: non dobbiamo dimenticare che Napoleone III è stato
eletto anche col voto cattolico ultramontano, cioè quei cattolici che volevano
dipendendole il potere temporale del papa come punto di riferimento essenziale contro la
rivoluzione.
4. Regno delle due sicilie che sarebbe potuto entrare nell’orbita francese più che in quella
austriaca,.
Questo era il progetto di modifica dell’assetto di Vienna, non si tratta di cambiamenti così
radicali.

1859-1861: guerra all’Austria scoppia. I franco-piemontesi vengono sfidati dall’Austria, il


quale governo si accorge che l’esercito piemontese si sta armando troppo e che quindi
bisogna smobilitarlo
 In qualche modo la provocazione funziona perché l’Austria appare la potenza che
aggredisce.
La guerra porta a una vittoria delle truppe franco-piemontesi con allontanamento dell’Austria
dalla Lombardia. Napoleone però ferma questa guerra prima di arrivare all’obiettivo del
Veneto perché si preoccupa che la Francia si isoli dal concerto, in crisi, ma che potrebbe
ricominciare a funzionare. È vero che la GB è dalla parte della Francia con cui ha fatto il
trattato commerciale, e che la Russia è mantenuta tranquilla con promesse di cambiamento
sul regime degli stretti, ma c’è comunque il timore che la Prussia possa mobilitarsi perché le
truppe volontarie garibaldine entrano nel Trentino che formalmente sta sotto il bund tedesco,
e questo porta Napoleone a fermarsi. Quindi chiede un armistizio, Cavour di conseguenza si
vede messo in discussione perché il suo progetto non si realizza e si dimette

Si mette in modo l’iniziativa popolare (elite borghesi patriottiche) che in diverse realtà
mettono in atto processi rivoluzionari, si sviluppa un processo rivoluzionario anche in Sicilia
contro il controllo borbonico e questi processi non riescono ad essere controllati dai sovrani
quindi si inflia l’azione piemontese: Cavour torna al governo e si presenta come colui che
può moderare la rivoluzione senza apparire sovversivi agli occhi dell’Europa per impedire un
intervento europeo.
In questi due anni si fanno i plebisciti che chiedono alla popolazione se volessero aderire al
regno di Sardegna che diventerà il nuovo regno d’Italia, i quali danno questa grande
maggioranza e Cavour riuscirà ad ottenere l’unificazione grazie al crollo degli staterelli
(fenomeno di indebolimento interno)
Napoleone III verrà ad essere in parte colpito da questi eventi, perché l’idea di sostituire il
controllo austriaco con quello francese si indebolirà.
Chiede al Piemonte di rispettare l’autonomia dello stato della chiesa sotto protezione
francese: questo avverrà anche se portando via alcuni territori, riducendolo al lazio.
In cambio ci sarà la cessione alla Francia della Savoia e di Nizza, territori francofoni che i
francesi avevano chiesto già dai tempi di Plombier.

Il concerto non si muoverà più di tanto, l’Austria rimarrà isolata (Russia che l’aveva aiutata
nel 48 con vicende ungheresi non la aiuterà più dopo lo scacco della Crimea, la Prussia vede
di buon occhio l’indebolimento austriaco per il dualismo sul caso tedesco) e quindi
riconosceranno il nuovo regno avvertito dall’Europa come sovversivo. Vittorio Emanuele e
Cavour fanno di tutto per farlo apparire il meno traumatico possibile:
- Non si creano nuove istituzioni, vengono semplicemente estese quelle già esistenti (le
istituzioni sabaude)
- Lo statuto albertino diventa la costituzione del nuovo regno
- Il Parlamento non avrà neanche una rinumerazione delle proprie legislature
- Vittorio Emanuele rimarrà Vittorio Emanuele II, e non I del nuovo regno d’Italia

Sebbene alcune questioni come il brigantaggio con una specie di guerra civile, il nuovo stato
alla fine si consoliderà e lo farà in una maniera tutt’altro che marginale e che anzi, siccome
basato sulla coltivazione di un’identità nazionale letteraria molto enfatica, tenterà di
presentarsi come sesta potenza europea basandosi molto su questa spinta: non avrà un
elemento economico-militare sufficiente per legittimare questa ambizione; infatti, non
diventerà mai reale questa ambizione, sarà trattata piuttosto come la prima delle potenze
intermedie, tuttavia l’intelletualità europea guardava Roma come la culla della civiltà romana
e cristiana, quindi abbiamo questo elemento di tradizione civile e culturale importante.

In termini di politica estera, per molti anni il regno rimarrà subalterno alla Francia, poi con la
sconfitta francese del 1870 cambierà e quindi si cercheranno maggiori autonomie.
La vicenda 1861 è la prima grande rottura dell’ordine del concerto (fatti della grecia, belgio
mediati dal concerto), è la prima volta in cui il concerto non interviene.
Lo zar convoca un’assemblea a Varsavia per discutere sul caso italiano ma lo fa a cose fatte,
quando gli eventi non possono più essere controllati.
Gli eventi vengono messi in moto da una combinazione di Realpolitik (intervento politico-
militare dall’alto, Napoleone III e Cavour) e sfide rivoluzionarie dal basso.

26.10

Quello che bisogna aggiungere è che c’è una seconda tappa di questa trasformazione europea,
ancora più rilevante perché l’esperienza del regno d’Italia abbiamo detto essere molto
significativa in termini culturali, etico-politici, ma ancora relativamente secondaria in termini
di capacità di influenza economica o politico-militare al di fuori dei propri confini. Il caso da
aggiungere è appunto quello tedesco, il quale ha una centralità molto maggiore in questo
panorama.

GERMANIA:
estremo pluralismo storico dell’area tedesca in cui però c’è la presenza di due poli di
riferimento politico di due grandi potenze, ossia quella austriaca e quella prussiana.
La prevalenza austriaca era stata fissata a Vienna con la presidenza del Bund affidata
all’imperatore d’Austria ma gli sconvolgimenti successivi avevano visto crescere pian piano
l’influenza della Prussia.
 Anni 30 Prussia costituisce unione doganale che escludeva gli austriaci e quindi
iniziava a consolidare un’influenza prussiana nell’area tedesca.

Grande sconvolgimento del 48-49 con il tentativo dell’assemblea nazionale di Francoforte di


realizzare un’unità imperiale tedesca da una parte era fallito, dall’altra aveva riposto la
questione: Germania può essere una grande Germania che comprende anche l’impero
asburgico o l’impero asburgico ha un’orizzonte diverso e quindi è bene puntare a un più
piccolo collegamento tedesco attorno alla Prussia? Oltre alla questione dell’unificazione
intravista, è questa la questione

Ipotesi fallita e c’era stata questa sorta di restaurazione in cui però l’impero asburgico non era
più così solido come prima.
50: nuova tensione austro-prussiana perché la prussia aveva tentato di collegare alcuni stati
del nord in una sorta di alleanza, ma l’intervento austriaco riafferma l’unità del Bund e umilia
ulteriormente la Prussia.
Quindi la situazione degli anni 50 è ancora una situazione molto tesa, in cui le spinte
unificanti si intrecciano con i particolarismi: ogni parte della Germania aveva la sua storia, le
sue tradizioni, c’erano stati liberal-progressisti che inziavano a rilanciare il tema di una
preminenza prussiana, ma c’erano anche stati cattolici che non avevano simpatia verso la
monarchia protestante prussiana.

La Prussia al suo interno viveva una situazione un po’ sospesa: il re aveva concesso una
costituzione nelle vicende del 48 e poi negli anni successivi da una parte non aveva una
grande simpatia per il parlamento dove si era affermata una maggioranza liberale (volevano
limitare la monarchia). Dall’altra il re non aveva abbastanza forza/decisione per abolire la
costituzione e tornare a un sistema di assolutismo.

In questa dialettica si rivolge nel 1862 a Bismark per guidare il governo: Bismark era un
politico fino ad all’ora considerato marginale. Aveva fornito i suoi servizi come ambasciatore
del regno di Prussia, era un grande proprietario terriero, conservatore nei principi: aveva
osservato le vicende del 48 con un certo distacco e critica. Ma era anche una figura che dalla
sua aveva una grande attenzione alle novità che egli riteneva in qualche caso necessarie
cercando però di metterle a servizio della tradizione. => principio
dell’ANTIRIVOLUZIONE CREATIVA
 I principi da affermare sono quelli tradizionali: il primato della monarchia, della
gerarchia, per questo la chiamiamo antirivoluzione, ma per riaffermare questi principi
usa la modernità: la costituzione, l’idea di nazione
Motivo per cui il re Guglielmo gli da la guida del governo, proprio perché non sapeva più
come trattare il parlamento e secondo Bismark l’unico modo per ottenere il consenso è quello
di far vedere di essere capaci di affermare la potenza prussiana in Europa, come? Allargando
l’influenza in Germania, non più attraverso le discussioni e i voti di maggioranza (come si era
pensato di fare nel 48) ma usando i metodi della forza => Eisen und Blut, espressione tipica
di quella Realpolitik.

Attraverso l’uso della forza la Prussia potrà ottenere dei successi, mandare avanti il proprio
controllo della Germania se serve usando anche l’idea nazionale per riaffermare le tradizioni.
Bismark non era un entusiasta della nazionalità poiché era un’idea sovversiva, ossio che c’è
stato perché rappresenta una nazione non perché è creazione del re. Anche se Bismark vuole
riaffermare la tradizione sostiene che per farlo, se serve, si possono utilizzare anche elementi
della rivoluzione
OBIETTIVO TATTICO: per rafforzare la monarchia prussiana utilizzando tutti i mezzi,
l’obiettivo tattico è quello di ridurre l’influenza austriaca in Germania: l’ostacolo
maggiore all’egemonia prussiana in Germania è proprio il ruolo austriaco codificato nella
formula della confederazione tedesca decisa a Vienna
 Bisogna quindi rompere la confederazione
Come farlo
nel 49 c’era stata una seconda restaurazione ma le vicende italiane avevano dimostrato che il
concerto era già in crisi. Per ridurre l’influenza austriaca occorre isolare l’Austria, che è già
in conflitto con Napoleone III, ma aveva avuto fino all’ora il protettore russo.
Bismark fa delle abili manovre per ottenere un atteggiamento di neutralità da parte russa,
sostenendo la repressione che lo zar mette in campo nel 1863 di una nuova insurrezione in
Polonia: nel 1830 c’era stato un tentativo di indipendenza da parte della Polonia stroncato
dallo zar, nel 63 ci sono nuovi movimenti nazionalisti e rivoluzionari, dove Bismark
appoggia la repressione russa ottenendo un atteggiamento benevolo da parte dello Zar che era
stato umiliato con la vicenda del 56 al congresso di Parigi e quindi cerca diplomaticamente
aiuti che Bismark gli promette.

Isolata diplomaticamente l’Austria, lui lavora praticamente utilizzando una crisi marginale,
locale, cioè quella con la Danimarca.
Il re di Danimarca aveva il controllo di due ducati di confine con la confederazione tedesca,
c’è una controversia tra la confederazione e il regno di Danimarca che alla fine Bismark
manovra per portare fino a una guerra.
Di fatto offrì cooperazione all’Austria per arrivare ad un’azione militare comune, però la
vittoria della guerra provoca un braccio di ferro con l’Austria: se la vittoria va gestita dalla
confederazione indicata da Vienna o da un accordo tra i singoli stati tedeschi (Bismark aveva
anche proposto la diretta annessione dei ducati alla Prussia)
 Occasione per arrivare a ciò che Bismark voleva, cioè la guerra all’austria che avviene
nel 1866, guerra rapida in cui Bismark non vuole immaginare l’Austria come un
nemico permanente, vuole solo ottenere un risultato politico cioè escludere l’impero
dagli affari della confederazione tedesca.
La vittoria militare in Boemia viene colta con entusiasmo dai militari prussiani che vogliono
marciare su vienna: Bismark non acetta, vuole solo chiedere all’Austria che la guerra finisca
e che l’Austria riconosca questa esclusione dagli affari tedeschi.

Bismark ottiene che si sciolga la confederazione, si annette alcuni territori di stati che
avevano appoggiato l’austria (particolarismo tedesco: non tutti sostengono Berlino, ma
appoggiano l’Austria) allargandoli fino quasi al centro, e i territori ancora indipendenti a nord
della linea del Meno formano una nuova confederazione tedesca del nord sotto ormai
definitivo controllo prussiano.
Gli stati del sud tendenzialmente filoaustriaci sono ancora indipendenti e staccati ma la
prussia ha ormai il controllo della germania settentrionale.

SUCCESSIVAMENTE: crisi interna all’Austria dopo due sconfitte (Italia 59 e Germania 66)
dove emerge la classe dirigente ungherese che era quella che era stata sconfitta nel 49 grazie
anche all’aiuto che Vienna aveva ottenuto anche dallo zar. Ora riemerge questa classe
dirigente che nel 1867 ottiene l’Ausgleich cioè accordo di parificazione tra Budapest e
Vienna, due parti del vecchio impero che si trasforma in una duplice monarchia austro-
ungarica
 Vuol dire riconoscere all’Ungheria un’ampia autonomia con unione tra lei e le terre
tradizionali della corona che restano sotto il controllo di Vienna e tra le quali c’è
un’unione nella figura di un governo imperiale comune: Francesco Giuseppe che nel
1848 era imperatore d’austria rimane imperatore del nuovo impero austro-ungarico
Da una parte riconoscimento del vecchio impero a una categoria nazionale e dall’altra vuol
dire che se la classe dirigente ungherese prende influenza maggiore negli affari imperiali, la
politica del nuovo impero austroungarico avrà un orientamento maggiormente balcanico e
non mittel europeo.
 L’austria non potrà/vorrà più rimettere in gioco la questione dell’influenza in Italia o
Germania; invece, il nuovo orizzonte diventerà il controllo degli affari balcanici su cui
sarà impegnata molto di più la parabola degli ultimi 50 anni di vita dell’impero.

In Germania, dopo che si è costituita la confederazione del nord, c’è ancora il problema degli
stati tendenzialmente antiprussiani che però vengono collegati alla nuova orbita
dell’egemonia prussiana.
Per completare manca un’occasione in cui ci sia un appello nazionale che Bismark possa
sfruttare per far convergere tutti intorno al primato di Berlino, e questa occasione si presenta
nel 1870 in modo meno pianificato.
 C’è una crescente tensione con la Francia dovuta al fatto che Napoleone III era
inquieto. Nel 66 era rimasto neutrale nella guerra con l’Austria ma aveva chiesto
sotterraneamente a Bismark dei compensi: una maggiore influenza nelle terre di
confine, come il Lussemburgo, e addirittura aveva ipotizzato una possibilità francese
di ottenere il Belgio, cosa piuttosto azzardata, perché la neutralità dello stato belga era
stata fissata internazionalmente negli anni 30.

Bismark sfrutta questa modalità diplomatica rendendo pubbliche alcune di queste pretese,
così che gli inglesi non avessero una buona opinione di queste mosse di Napoleone.

Su questo braccio di ferro sotterraneo si era innescata la questione del trono spagnolo: in
Spagna c’era stata una successione non regolata in modo tradizionale, e c’era la possibilità
che si rivolgessero a un principe cattolico prussiano, gli Hohenzollern. Questo a Parigi era
vista come una sorta di minaccia di una Spagna allineata alla potenza prussiana.

Quindi c’è una crisi sul punto e Bismark manovra questa crisi per ottenere una reazione
nazionale tedesca contro l’arroganza di Parigi e quindi di ottenere il consenso degli stati del
sud poco simpatetici con la Prussia.
 Questa è l’origine della guerra del 1870 tra Prussia e Francia, dove Francia non ha
alleati e viene sconfitta. L’impero di Napoleone III finisce, le truppe francesi vengono
ritirate da Roma e gli italiani vi entreranno contro il volere del Papa, unificando
finalmente anche Roma capitale.

In Germania questo porterà al completamento dell’unità: Bismark si rivolge ai tutti i principi


degli stati tedeschi seguendo il principio di legittimazione, proprio perché si tratta di un
principio tradizionale: non è un’assemblea eletta dal popolo, come era stato nel 48, a
proclamare la nuova Germania, ma i principi, la legittimazione tradizionale del potere. Questi
si trovano a Versailles (rimarcare umiliazione Francia) e danno uniti la corona imperiale
tedesca a Guglielmo I re di Prussia che diventa imperatore di Germania nel 1871.

Bismark quindi completa la sua opera, nella logica in cui era iniziata: la logica di una creatura
fortemente verticistica e guidata dalla Prussia tradizionale. Poi egli dà a questa creatura anche
una caratteristica moderna: nel nuovo stato si crea una struttura parlamentare moderna con un
parlamento eletto a suffraggio universale, proprio per dare sbocco alle pulsioni di modernità
della Germania. Questo parlamento però non ha un controllo del cancelliere, che viene deciso
dall’imperatore. I singoli stati mantengono poi una certa autonomia al loro interno.
Quindi capiamo che le vicende del 66/70 sono una nuova guerra di ricostituzione nazionale
secondo il modello citato, e sono una nuova grossa trasformazione rispetto all’ordine di
Vienna. Nasce un centro politico-militare rilevante, potente, demograficamente cospicuo ed
economicamente avanzato -> La Germania sta diventando una delle zone economicamente
più sviluppate nel continente nel cuore dell’Europa: e quindi si modifica non tanto la struttura
delle potenze, perché la Prussia era già prima una delle 5 potenze, ma allargandosi al
controllo della Germania il suo ruolo diventa molto più rilevante.

Dopo il 1871
epoca di grande stabilità tranne nell’area balcanica, equilibrio che durerà fino alla Prima
guerra mondiale. Ma è un sistema si stabile, che però è anche attraversato da modalità
competitive crescenti che non riguarderanno più solo l’Europa, ma un mondo allargato,
poiché gli effetti della grande integrazione europea procederanno ulteriormente.

I primi 20 anni sono dominati ancora dalla figura di Bismark, che governa come cancelliere
fino al 1890, governando su una linea di tendenze modernizzanti e tradizionali.
costituisce una rete diplomatica che viene chiamata sistema bismarkiano
 Idea per cui egli è il centro egemonico del continente, ma non un centro che voglia
affermare un controllo politico-militare o modificare ulteriormente la situazione.
Bismark infatti, reputa che la Germania abbia già ottenuto ciò che voleva, non si
interessa ad allargare ulteriormente i territori, ma che però esercita una sua egemonia
in forma diplomatica

La prima espressione di questa egemonia avviene nel 1873, quando Bismark convince il re
Guglielmo a fare una serie di accordi con l’imperatore d’Austria e lo zar di Russia che viene
chiamata “la lega dei tre imperatori” dando l’idea di una collaborazione tra le tre potenze
tradizionali imperiali per il controllo dell’Europa.

La lega di queste tre potenze aveva il ruolo di tenere l’equilibrio europeo di fronte al fatto
che:
- La Gran Bretagna aveva ormai un approccio relativamente meno concentrato sulle
questioni continentali: negli anni 70-80 si comincia a parlare di splendido isolamento
britannico, a differenza di ciò che era avvenuto nella prima metà del secolo quando gli
inglesi manovravano le questioni politiche europee. Ora ormai la Gran Bretagna dice
di essere una potenza più asiatica che europea, e quindi pensa di poter essere meno
coinvolta nelle vicende continentali.
- La Francia, che secondo Bismark va tenuta marginale nelle vicende europee. Bismark
è molto realista e sa che c’è una volontà di rivincita dal 1870. Non si limita nel
pensare che questa volotà va tenuta sotto controllo. Bismark nel 70 impone la
cessione dell’Alsazia e della Lorena alla Germania, territori sia strategici sia ricchi
(miniere di carbone, siderurgia), ma non così fondamentali: lo fa su questa spinta
dell’idea che li si parla tedesco quindi oggettivamente tedesche, ma è una copertura di
una scelta di tipo punitivo nei confronti della Francia legata all’idea che la Francia
andrà controllata, e non si può immaginare una ripresa di buoni rapporti diplomatici,
perché la sconfitta del 1870 è stata troppo drastica e definitiva

I balcani
Questo equilibrio immaginato da Bismark non è così stabile: tra Austria e Russia non va tutto
bene, perché la situazione nei balcani è sempre più instabile.
1875-1878: i balcani precipitano in una nuova grande crisi d’oriente
 Rivolte sull’onda della scoperta di identità locali che sotto l’impero ottomano erano
tollerate, mentre il nuovo fa sempre più fatica perché è più debole.
Ci sono manifestazioni autonomistiche soprattutto in Bulgaria e la Bosnia (incuneata tra
Ungheria e Dalmazia, due possessi austriaci)
Il governo imperiale turco reprime questi movimenti, in europa si diffonde una
preoccupazione per i massacri e la Russia è la prima a intervenire sulla questione, sia per
riscattarsi dall’umiliazione del 56, sia perché affiora un tema nuovo, ossia quello del
panslavismo: la russia deve essere una guida per i popoli slavi e proteggerli dalle repressioni
turche e dalla penetrazione asburgica. Già nel 70 la Russia a margini delle vicende tedesche,
franco-prussiane, aveva ottenuto una revisione dell’assetto degli stretti, quindi un
allentamento delle previsioni negative del congresso di Parigi, ma nel 1877 la Russia muove
guerra alla Turchia (all’ impero ottomano), e militarmente nel giro di pochi mesi arriva a
Costantinopoli e impone al sultano un trattato che ridimensiona il controllo ottomano dei
balcani creando i due stati indipendenti in Serbia e Romania e un grosso stato bulgaro sotto
l’influenza russa.

Cosa non ben vista dalla GB che manda una flotta per protestare e nemmeno dagli austriaci
dove il governo ungherese non vuole che i balcani vedano un’egemonia russa, quindi anche
lui mobilita una protesta e minaccia di intervento per ridimensionare questi successi russi.
inglesi e agli austriaci vedono questa penetrazione russa nei Balcani come una specie di
minaccia, perché sotto la protezione russa gli slavi avrebbero potuto costruire una sorta di
identità.

Bismark non ha ragione di intervenire in quella zona perché non gli interessa, ma essendo la
potenza dominante d’Europa possono avere un ruolo da mediatore.
1878 convoca un congresso a Berlino e impone un compromesso che ridimensiona
l’influenza russa (non troppo per non scontentarli troppo), quindi lo stato bulgaro viene
ridotto e la Bosnia viene affidata in amministrazione agli Asburgo e gli austriaci tengono
delle truppe in modo da poter avere uno sbocco verso il mar egeo.
L’amministrazione della Bosnia durerà 30 anni, al termine della quale ci sarà una nuova crisi.
Questo accordo secondo Bismark avrebbe dovuto creare un equilibrio tra austria e russia nei
balcani, ma in realtà questo equilibrio è sempre molto complicato, non si trova un accordo
per stabilire le influenze in modo chiaro. Tant’è che negli anni dopo il 78 il sistema
bismarkiano si rinnoverà
 Nuova versione del sistema dei tre imperatori dove sembra che austria e russia
collaborano ma sempre precario
 1879 Accordo militare tra impero ausburgico e Bismark di dare aiuti in caso di guerre
ma darà anche alla Russia un trattato di controassicurazione che doveva garantire che
nel caso di un’aggressione austriaca, l’impero tedesco avrebbe tenuto la neutralità

Sistema problematico che fino al 1890 garantisce una certa stabilità europea, mentre però
l’orizzonte mondiale vede ormai nuovi soggetti:
- USA che dopo la guerra di secessione hanno una grande fioritura economica con
volontà di iniziare a contare a livello mondiale.
La dinamicità economica del paese era tutta interna, non c’è da proteggere un commercio
internazionale. Si schierano con gli inglesi, open door diplomacy.
L’attenzione internazionale inizierà a diventare più forte verso la fine del secolo, con la
faccenda di Cuba: era ancora governata dalla corona spagnola, succede un incidente locale
per cui non vogliono più il controllo spagnolo, c’è una sorta di guerra civile in cui gli USA
vengono coinvolti con una grande campagna di stampa che appoggia l’arretratezza del
dominio coloniale spagnolo
1898: diventa l’occasione per una guerra hispano-amerciana che è il vero passaggio per
l’influenza globale degli stati uniti. Guerra che porta a conquistarsi territori come Porto Rico,
Cuba indipendente ma comunque sotto influenza USA e la guerra si sposta anche nel pacifico
con controllo delle Filippine
 Tutti nuovi territori che non vengono annessi agli USA, perche c’è ancora quel
pregiudizio razziale e poi perché non si vogliono creare colonie (pregiudizio
anticoloniale) e quindi questi territori vengono amministrati in una prospettiva di
controllo globale crescente senza ricalcare i modelli europei, con l’idea proclamata che
prima o poi concederanno l’indipendenza.

- GIAPPONE: tra gli anni 80 l’imperatore Meiji ottiene un grande consolidamento,


modernizzazione, crescita economica e si traduce in un ruolo di potenza regionale
ormai importante. L’orizzonte è quello di una riduzione dell’influenza cinese nelle
zone periferiche, in particolare nella regione della penisola coreana importante per
l’industrializzazione giapponese (carbone), fondamentale perché il Giappone aveva
poche materie prime
1894: guerra cino-giapponese che vince il giappone perché la Cina è indebolita dalle varie
rivolte.
 Mano libera in corea, annessione taiwan e altre isole del mar della cina che danno al
giappone questa caratteristica di potenza militare dominante nell’Asia Orientale.
Per limitare i suoi successi, interverranno Francia, Russia e Germania, che con il pretesto di
sostenere l’imperatore cinese di fronte a questa pressione esterna allargheranno a loro volta
l’influenza europea in cina.

ALLARGAMENTO DELL’INFLUENZA RUSSA VERSO L’ASIA CENTRALE: già 700


estensione territoriale in Siberia, ma la pressione verso sud è tipica di questa stagione (da una
parte verso le zone asia centrale turcofona, e dall’altra attraverso la Manciuria, mongolia
storicamente periferia impero cinese).
La pressione russa, porta a far si che questa pressione verso l’area cinese si scontri con
l’influenza giapponese (=> guerra nei primi anni 900) e dall’altra diventa una minaccia da
nord per l’impero britannico delle indie (tensione russa-inglese sulla zona dell’asia centrale
diventerà un elemento permanente di crisi di quest’ultima parte dell’800)
 Tutto questo all’interno di un contesto in cui il rafforzamento del ruolo degli stati e la
crescente competizione diventerà poi una competizione di tipo imperialistico

Tema della nuova concentrazione del potere: dove le guerre di ricostituzione nazionale
hanno portato al consolidamento di un potere, è il consolidamento di un potere ormai
moderno in cui lo stato controlla strettamente un territorio, e costituisce una realtà sempre più
unificante, c’è una centralizzazione che spazza via tutti gli elementi federali tradizionali (il
Bund tedesco viene spazzato via, nel caso USA, la vittoria del nord non elimina il carattere
federale dello stato, ma il rafforzamento del governo centrale è molto marcato, le regole di
autonomia dei singoli stati vengono ridotte).
Questa centralizzazione spesso si sposa con l’appello nazionale come appello unificante: la
nazionalità che era nata come elemento sovversivo, adesso viene invece utilizzata dagli stati
(percorso chiaro dopo il 1870, non c’è più bisogno di essere dei patrioti rivoluzionari
romantici per sostenere la nazionalità, sono anche gli stati che la sostengono proprio come
elemento di coesione), si parla di ufficialnazionalismi: i governi fanno proprio quel
riferimento nazionali, anche Bismark che è tutt’altro che patriottica lo usa e usandolo tanto
prende un’influenza crescente.
Tanto più che gli stati stanno diventando delle realtà in cui non sono più solo i ceti
aristocratici-borghesi a decidere, c’è ormai una pressione delle masse sulle decisioni anche
perché la crescita economica e demografica erano andata insieme all’alfabetizzazione, alla
necessità di creare lavoratori più esperti nell’uso delle macchine, gli stati si erano impegnati
nell’ istruzione pubblica obbligatoria… quindi ciò deve portare a inserire le masse
nell’orizzonte della fedeltà allo stato, con ovviamente il criterio nazionale per inserirle
George Mosse: parla di nazionalizzazione delle masse, per alludere al processo che porta tutti
gli stati a usare molto l’appello nazionale con una strategia, governata dal centro, di
diffusione di questo principio anche nelle masse popolari: quindi come elemento
fondamentale dell’estensione di questa identità nazionale c’è l’istruzione, la leva militare di
massa
 Erano strumenti per unificare una popolazione che storicamente spesso era rimasta
fuori dagli affari pubblici oppure che aveva manifestato delle spinte rivoluzionarie
nella prima parte dell’800. Ora per evitare che si mobilitino bisogna inserirle
nell’orizzonte nazionale

Spinta che rafforza molto l’identità e la forza degli stati, la spesa economica degli stati
comincia a crescere in un processo che sarà definitivo nel 900.

Il punto è che questo rafforzamento va insieme a una competizione (prima parte dell’800
cultura romantica diceva che le culture sono sorelle dove se cresce una deve aiutare le altre),
dopo il 1870 l’idea non è tanto quella di una cooperazione spontanea tra le nazione, ma che
ogni nazione debba affermare il proprio primato sulle altre e questo primato è anche legato ad
un elemento economico nuovo: cioè che la grande spinta della riv. Industriale aveva
sostenuto l’epoca del libero scambio e dell’influenza crescente dell’europa nel mondo e
questa era stata una fase di condivisione, in cui ciascuno poteva trovare il proprio ruolo. Dal
1873 (crisi finanziaria inizialmente a Vienna poi a Londra e in parte negli USA) questa crisi
inaugura un periodo di circa 25 anni in cui la crescità del capitalismo globale è tutt’altro che
solida
 L’economia industriale capitalistica europea conosce almeno dall’inizio dell’800 in poi
uno sviluppo non lineare, ma ciclico in cui ci sono periodi di espansione molto
evidenti, poi di consolidamento e periodi spesso di crisi
Cicli 30-40ennali in cui periodi di grande espansione vengono seguiti da periodi di grande
crisi
 48 crisi legata alle carestie, poi era cresciuta questa spinta espansiva che però nel 1873
ha un momento di stallo e che per 25 anni vede una situazione statica. Non tanto di
enorme crisi, ma una stasi in cui il capitalismo conosce una stagione di crescita più
lenta e problematica e collegato a questo c’è una crisi del mondo agricolo molto forte a
causa della meccanizzazione molto forte che colpisce lavoratori e proprietari terrieri: a
causa delle tecnologie e dei bassi prezzi costava meno comprare il grano dagli USA
che quello prodotto secondo i meccanismi tradizionali europei

Sommando queste cose, risulta un trentennio di incertezze che si porta dietro una crescita
della competizione (mentre momenti di espansione fanno pensare che ognuno può trovare il
proprio vantaggio, quindi liberoscambio favorito, in momenti di tensione la competizione
cresce). A questo va aggiunto la competizione di tipo nazionale e questo spiega come queste
spinte si rafforzano verso la fine del secolo.
Anni 78-79-80 un po’ in tutta europa i governi passano a posizioni protezioniste dove si
aboliscono i trattati di libero scambio, si aumentano le barriere doganali. L’unica potenza che
rimane fuori perché difende il principio del libero scambio è proprio la GB, che però
comincia a far fatica a causa di questi divieti, dominio già ridotto da industrializzazione di
altri paesi
 Spinte che portano all’epoca del nuovo imperialismo, epoca che inizierà tra anni 80 e
fine secolo

Competizione imperialista:
1880-prima guerra mondiale: l’imperialismo diventa un fattore centrale dell’esperienza
internazionale, questo perché:
- ragioni di tipo quantitativo: il controllo europeo del resto del mondo si allarga
moltissimo e diventa un controllo politico-militare. Cioè non è più come fino alla
metà del secolo un controllo informale (cioè si politico ma non tradotto in
un’acquisizione di sovranità), l’acquisizione di sovranità crescerà moltissimo perché
ci si metteranno soprattutto nuove potenze.
Fin ora abbiamo parlato solo dell’impero coloniale inglese, dopo il 1880 c’è una spinta molto
forte da parte della Francia, Germania, partecipazione anche di paesi minori come Paesi
Bassi, Italia, Belgio.
- Conta anche il discorso della competizione commerciale: se il commercio non è più
libero, i mercati anche esteri sono sempre più a rischio perché qualche altro paese che
detiene la sovranità può mettere delle barriere doganali.
Allora i mercati del mondo che la GB aveva tenuto nella logica multilaterale (si aprono i porti
cinesi all’europa non solo alla GB), ma se andiamo verso un mondo protezionista qualche
paese può sempre mettere dei limiti; quindi, i paesi europei cercano delle zone esclusive di
influenza. Queste si possono costruire con un controllo politico-militare.
 Quindi sono ragioni commerciali che portano a questa volontà coloniale, poi c’è anche
questo nuovo antagonismo imitativo rispetto alla GB, la quale è arrivata a quella
egemonia quindi si fa strada l’idea che uno degli elementi di questo successo sia stato
l’elemento coloniale, dunque anche gli altri vogliono costruirci un sistema coloniale
alla sua pari.
- C’è anche un elemento culturale: si rafforza in questo periodo l’idea che la statualità
abbia bisogno delle sue regole, dei suoi standard di civiltà. Si possono ritenere
interlocutori gli stati che abbiano un certo standard di civiltà.
Se non ha quegli standard si può anche considerare un territorio di nessuno
La cultura romantica aveva sostenuto le diversità e tollerato una gamma di diversità forte.
Positivismo logica più scientifica -> teoria evoluzionista applicata al rapporto tra le civiltà
umane, c’è una lotta alla sopravvivenza anche fra le civiltà umane: questo vuol dire che chi è
al vertice della catena, i popoli più civili, sono il frutto di un percorso scientifico, non di una
diversità tollerabile (c’è qualcuno che è portato dall’evoluzione ad affermare il suo potere) Il
darwinismo sociale è una corrente importante di fine secolo. Questo poi porta a teorie più
razziste (superiorità del modello ariano, gobineau).
Ci sono anche applicazioni giuridiche su questo livello: possono essere riconosciuti come
stati solo quelli dotati di un certo standard di civiltà.
Nel 1884 Bismark convoca una conferenza sull’Africa: non si dice che ci sarà una
spartizione europea dell’Africa, ma un trattamento dell’equilibrio tra le realtà diverse che
riguardano l’Africa, tra cui si afferma questo elemento del diritto internazionale segnato da
questi elementi di discriminazione.
Lo stesso discorso imperiale come definizione torna ad essere importante negli stati europei:
quando si afferma il concetto rivoluzionario di nazione, l’impero sembra essere un elemento
della tradizione -> lo stato monarchico nazionale si distacca dai vecchi imperi, adesso nuovi
stati assumono caratteri imperiali.
- Pensiamo alla nuova Germania di Bismark. Il capo di stato è il kaiser, ovvero
l’imperatore.
- Vittoria imperatrice delle Indie: il regno unito inglese assume anch’esso caratteri
imperiali.
- Quasi solo la Francia rimane fuori da questo discorso, dove era appena finito il
secondo impero e si proclama la repubblica, ma capiamo che c’è una tendenza
crescente.

Il controllo delle
potenze europee inizia
a crescere dall’80 in
poi. Il caso africano è
simbolo della cosa:
scoperte geografiche
ed esplorazione del
cuore del contienitene
crescono. Nel 1880 il
controllo europeo era
limitato ad alcune
porzioni sulle coste,
poi piuttosto
rapidamente nel 1914
si arriverà a una
situazione in cui l’impero britannico si estenderà da Suez fino al Sudafrica, l’impero francese
si allargherà nella zona dell’africa occidentale spingendosi verso il centro del continente e
prederanno piede anche alcune colonie tedesche, sebbene bismark non fosse amante
dell’imperialismo, il re dei belgi acquisterà dei territori nel bacino del fiume Congo
 rimarranno sovranità indipendenti solo l’antico impero di Etiopia tuttavia sotto
pressioni italiane che avevano occupato Eritrea e Somalia, e il Marocco che cadrà
presto sotto il controllo francese.

La crescita dell’influenza europea in questo continente è quindi marcatissima, ma anche in


altre regioni del mondo lo sarà

Come prenderanno gli inglesi la situazione di crescita di nuovi competitori? Con un travaglio
complesso perché l’ala liberale era un’ala distaccata delle colonie. Il capitalismo industriale
aveva sposato il libero scambio proprio in questa direzione (l’influenza si ottiene attraverso il
primato economico)
Però di fronte a questa pressione anche la politica britannica si riadatterà, in modo più
convinto nella parte conservatrice, per esempio Benjamin Disreli, primo ministro negli anni
60, proclamerà Vittoria imperatrice proprio per costruire un nuovo rapporto anche interno al
paese: cioè l’impero diventa un elemento di coesione come in altri paesi è il tema
nazionale//la forma britannica del nazionalismo diventerà l’imperialismo.
Più critico sarà il fronte liberale, Gladston capo dei liberali che si alternerà con Disreli in
questi anni fino all’86: Gladston è più critico dell’imperialismo ma alla fine lo accetta, anche
se continua per qualche tempo a sperare in una politica di cooperazione tra stati europei in
chiave umanitaria (polemica contro l’impero ottomano della repressione bulgara), ma alla
fine anche lui si adatterà all’idea di allargare l’influenza britannica, che era globale a metà del
secolo, diventa molto più estesa in termini territoriali nel 14 => apogeo dell’imperialismo

L’impero delle Indie, per esempio,


si estende verso Pakistan e
Birmania, il controllo di Aden si
estenderà a tutta la regione costiera
dell’Arabia, ci sarà un tentativo di
riconfermare il controllo di alcune
isole in Indonesia per impedire
l’allargamento dell’influenza
olandese, l’impero africano crescerà
sulla direttrice nord-sud
 Questi territori cresceranno in
parte anche per l’azione di
coloni locali, in parte per
proteggere i confini dei propri insediamenti, faranno operazioni militari a volte
governate dalle compagnie commerciali locali e non dalla corona, ma poi la corona
interverrà spesso per impedire che altre potenze controllino certi territori
L’impero quindi si allargherà e ci sarà una sorta di scambio tra un’influenza globale e
un’influenza più estesa territorialmente ma più circoscritta, che gli inglesi dovranno condurre
nonostante tentino di rimanere fedeli al principio di libero scambio: per loro le colonie non
diventeranno mai quest’idea per cui il commercio segue la bandiera, (i competitori la
useranno molto), ma comprenderanno pian piano anche loro che la chiusura di spazi
commerciali ridurrà il peso del commercio britannico anche perché la crescita di altri
capitalismi industriali ridurrà il primato inglesi che nel 1860 era così marcato (1/2 delle merci
erano prodotte dalla GB), nel 1880 era già ridotto e nel 1914 forse 1/10 dei prodotti che
circolavano erano britannici.
Non si parla di decadenza: è comunque quella di un paese che è straordinariamente ricco,
governa i flussi marittimi, ha ancora la marina più potente del mondo; quindi, è difficile
parlare di una decadenza, ma di un relativo ridimensionamento si.
 Porta a un dibattito acceso sulle alleanze: all’inizio si era affermato il concetto di
rifiutare qualsiasi alleanza permanente, vincolante, di non intervenire nelle vicende
continentali europee se non strettamente necessarie (ex. nei Balcani limitiamo
influenza russa, ma in altre questioni mostriamoci meno coinvolte)
Si parla di SPLENDIDO ISOLAMENTO, che però comincia a diventare una posizione
delicata. Dopo gli anni 90 il discorso sarà complesso

La competizione diventa anche occasione di guerre? Bisogna dire di no, mentre la profezia di
un grande scontro imperialistico circolerà ampiamente in Europe in quest’epoca, sostenuta
dai critici e dai fautori dell’imperialismo, che diranno che per affermare il proprio primato
imperiale si può anche ricorrere alle armi.

In realtà non ci saranno scontri tra potenze europee maturate sul tema coloniale, anche se ci si
arriverà vicino, tipico del periodo tra anni 80 e la guerra è una competizione sotterranea che
arriva a a peggiorare i rapporti tra alcune potenze, ma senza sboccare in un conflitto aperto:
ex: caso dell’influenza in Cina: l’impero cinese è in decadenza, la pressione giapponese nel
94 arriva a sconfiggere l’impero e a sottrarre la Corea ecc.
Le potenze europee, Russia Francia e Germania, “una triplice di estremo oriente”,
intervengono in tutela dell’impero cinese, ma chiedono all’imperatore di riconoscere delle
aree di influenza, delle concessioni: cioè emanazione da parte dell’imperatore di carte che
riconoscono alle potenze straniere in alcuni territori la possibilità di avere una giurisdizione
amministrativa sottratta a quella imperiale.
 Russi: Manciuria e alcuni porti nella penisola del Yaodong, penisola che chiude il mar
giallo
 Questo vuol dire anche ridurre l’influenza giapponese
 Francesi: zona meridionale ai confini con l’indocina che era stata colonia francese
dagli anni 60
 Tedeschi: zona nello Shandong dove si sviluppano imprese commerciali

Pressione tipicamente imperialista per chiudere zone d’influenza esclusive: gli inglesi
inizialmente protestano perché loro avevano aperto i porti al commercio per tutti, però questa
protesta inglese che si appoggia al sostegno degli USA (che sostengono il liberoscambio),
alla fine deve cedere e adattarsi alla richiesta da parte inglese al governo imperiale delle
proprie zone di influenza (Tibet ad alcune zone intorno Shangai e Hong Kong dove gli inglesi
hanno le posizioni commerciali più rilevanti).
L’impero cinese non verrà mai ad essere sostituito drasticamente nella sua sovranità, ma è
una sovranità fortemente ridimensionata che da spunto a questa competizione imperiale
molto accesa ma che non sfocia in uno scontro.

Anche la competizione anglo-russa in Asia centrale è molto accesa ma non sfoga in uno
scontro: competizione fatta di tentativi di influenza diplomatica presso i potentati locali,
gioco di operazioni segrete nascoste

Caso franco-inglese in Africa: influenza crescente ed esclusiva, contrapposizione delicata


perché alla fine la direttiva nord sud degli inglesi (da Suez a capo) si scontrerà con quella
ovest est francese che dal controllo dell’Africa occidentale punterà verso le sorgenti del Nilo
per arrivare a collegare la colonia presente nel mar rosso costituita in precedenza.
Le sorgenti del Nilodiventeranno il punto di frizione dei due imperialismi: nel 1898 si
sfiorerà la guerra perché una colonna francese guidata da Merchant si sconterà con una
inglese. Poi di fatto i francesi si ritireranno, ma di fatto la competizione rimane ancora viva
per parecchi anni.

Rivalità accesissime ma in qualche modo fermate appena al di qua di uno scontro militare.

Quali sono le logiche delle relazioni tra le grandi potenze in Europa che spiegano questa
condizione generale? Dobbiamo affondare l’indagine su come cambiano le relazioni in
Europa per dire qualcosa sulle dinamiche che porteranno queste tensioni europee a diventare
così radicali da sfociare in un tragico conflitto.

Abbiamo detto che fino al 1890 Bismark gestisce questo sistema diplomatico sempre più
delicato e complesso ma efficace a mantenere un ordine. Poi le cose cambiano, perché
cambia la politica tedesca: Bismark si scontra con il nuovo imperatore Guglielmo II che
prende il trono nell’ 88, ed è ambizioso e imprudente. Inizierà a governare con una modalità
più disinvolta e rischiosa di quella che Bismark aveva ipotizzato.
Liquida Bismark su un tema di politica interna (Bismark aveva preso una posizione troppo
tradizionalista e antisindacale) e lo sostitusice con una serie di cancellieri più dipendenti dalla
sua volontà: si parlerà di un’età Guglielmina, che indica che non c’è più una figura politica
dominante, ma si susseguono una serie di cancellieri sempre di fiducia dell’imperatore che
esprimono posizioni culturali e politiche strettamente legate alla figura dell’imperatore.
La sua logica è di lanciare l’idea (che in realtà prende piede nella classe dirigente tedesca
dell’epoca) per cui è arrivato il momento di un grande cambiamento degli equilibri in Europa
e nel mondo: la Germania non più una potenza soddisfatta che Bismark diceva, ma è una
realtà che ha un ruolo economico e politico-militare ormai così significativo da poter fare una
politica mondiale, una Weltpolitik
 cambiare a livello mondiale gli assetti di potere, ridiscutere quello che sembra un
sistema consolidato. Capiamo che questo vuol dire inserire un elemento di instabilità
nel sistema. Dire Weltpolitik non vuol dire porsi degli obiettivi di espansionismo
territoriale (sulla quale può essere anche prudente) ma un obiettivo di cambiamento di
equilibri politici, anche perché quest’idea si collega ad una riflessione sul fatto che gli
equilibri globali stanno cambiandoe che sempre più sembrano contare grandi imperi
(britannico, USA, giappone)

In questo orizzonte la Germania si pone questi obiettivi:


 rafforzare la propria egemonia in Europa. Non c’è più la rappresentazione di un
equilibrio tra potenze, ma di una Germania che subordinando a se l’impero asburgico
abbia una sorta di dominio della Mittel Europa estesa verso i popoli di confine con
l’impero russo che potrebbero essere sottomessi (popoli baltici) e che abbia
un’alleanza con l’impero ottomano in decadenza che garantisca anche una sorta di
influenza nei balcani a scapito dell’influenza russa.
 È un po’ la rappresentazione dell’Europa mittel tedesca che si viene a creare
nell’epoca guglielmina
Sulla base di questo slancio nuovo dell’egemonia tedesca sul continente si potrebbe poi porre
il tema di una ridistribuzione del potere mondiale, per esempio in Africa dove Bismark aveva
conquistato delle colonie, nell’Asia orientale, negli arcipelaghi del pacifico fino addirittura a
rimettere in discussione la classica egemonia inglese nel commercio con il continente
americano.

È uno slancio più di principi che non espresso in obiettivi politici circoscritti come quelli di
Bismark. Questo mette un elemento di reazione preoccupata da parte degli interlocutori
europei. Questo slancio cosa provoca? Provoca una reazione e un adattamento in tutto il
continente europeo:
Per un certo periodo di tempo la diplomazia tedesca coltiva l’idea che questa Mittel Europa
tedesca possa andare d’accordo con il grande ruolo internazionale della GB, quindi trovare
un’alleanza tra due popoli che dal punto di vista della retorica razziale venivano visti
accomunati da una radice anglosassone comune.
Una parte dell’élite inglese non avrebbe disdegnato questa alleanza quando si capisce che lo
splendido isolamento non funzionava più. Tuttavia, la pressione Guglielmina è tale da
rovinare l’ipotesi: Guglielmo e i suoi collaboratori insistono sul fatto che per convincere gli
inglesi a venire a patti bisogna mostrargli che sono deboli
 Gli inglesi alla fine del secolo sono impegnati in Africa per una dura vicenda di guerra
locale (guerra anglo-boera, i coloni inglesi della colonia del capo volevano inglobare
territori indipendenti istituiti da colonizzatori di origine olandese) che dura tre anni. La
diplomazia tedesca per insistere sulla debolezza inglese sostiene apertamente i boeri
Questo è esattamente ciò che fa fallire l’ipotesi di un’alleanza.
Mentre dall’altra parte, l’annuncio della Weltpolitik guglielmina mette in moto un processo
di superamento di vecchie resistenze tra francesi e russi.
I russi non si fidano più della Germania, mentre Bismark li aveva garantiti con il trattato di
controassicurazione ora vedono che i tedeschi sostengono l’impero asburgico fino all’ultimo
e loro rischiano di rimanere isolati nei balcani, i francesi sono alla ricerca di un’uscita dal
loro isolamento
 Quindi nei primi anni 90 si instaura un’alleanza militare russo-francese consolidata tra
il 91/94 con l’idea di resistere alle pressioni tedesche sul continente europeo e anche di
darsi una mano nei confronti dell’antagonista comune ovvero la GB (scontro anglo-
russo in Asia; scontro franco-inglese nei territori africani)
Non c’è un’esplicita promessa di sostegno nelle guerre coloniali, ma l’alleanza franco
russa potrebbe avere questa sfumatura antibritannica

L’alleanza porta l’impero tedesco a legarsi ancora di più all’Austria, nonostante i problemi
asburgici che continuano ad essere rilevanti: le nazionalità sono sempre più difficili da tenere
insieme.
Quello che per Bismark era una sorta di pluralismo governato dal centro, comincia a
diventare un bipolarismo: polo dell’alleanza austro-tedesca allargata all’Italia nel 1882 già
nell’epoca di Bismark (TRIPLICE ALLEANZA)
 L’Italia aderisce perchè il giovane regno era stato sotto l’influenza francese per molti
anni, ma dopo il 1870 cadendo il secondo impero aveva permesso una maggiore libertà
e un certo isolamento della politica italiana, che nel 1878 a Berlino si trova isolata e
non riesce ad ottenere nessun interesse italiano, nel 1881 a Tunisi si vede la Francia
sottrarle la colonia nonostante ci fossero molti coloni italiani.
Il governo della sinistra storica guarda sempre più Berlino per avere un sostegno.
Bismark, che aveva consolidato questa alleanza con l’Austria già dal 1879, accetta l’alleanza
difensiva ma devono passare per Vienna, cioè non può esserci un’eredità dello scontro
risorgimentale che metta in discussione la stabilità europea.
Questo per italiano questo non è privo di conseguenze, perché ci sono ancora territori sotto
l’Austria (Trento e Trieste) ma la scelta che si compie è quasi obbligata: abbandoniamo
l’irredentismo, la speranza di modificare questa situazionee accettiamo la triplice alleanza.
Attorno all’asse fondamentale Berlino-Vienna c’è questa triplice estesa all’Italia.

Dall’altro abbiamo la duplice franco-russa nata negli anni 90.

Sono due blocchi relativamente stabili perché ambedue hanno una potenza più fragile (Russia
da una parte e Austria dall’altra) e intorno alla competizione che si irrigidisce tra questi due
blocchi, si creano nazionalismi contrapposti.
La parola nazionalismo in italiano tende sempre più a significare l’idea che la mia nazione
abbia in qualche modo un diritto, un obiettivo e un significato di prevalenza sulle altre
nazioni. Nazionalismo diventa scontro nazionale. (in inglese non è accentuata la sfumatura di
scontro)
 Se parliamo di nazionalismo alla fine del secolo accentuiamo questo concetto: gli stati
che si sono riconosciuti in termini nazionali si contrappongono per il primato della
rispettiva nazione.

Quando questi nazionalismi diventano nazionalismi di massa il tutto diventa ancora più
delicato: c’è una corsa competitiva agli armamenti e una crisi degli internazionalismi:
Mazzini, socialisti. Marx aveva proclamato nel 1848 “proletari di tutto il mondo untevi”:
interessi classe operaia erano comuni in tutto il mondo e quindi prevalenti rispetto alle
logiche di adesioni ai governi o alla nazione: non a caso era nata un’associazione
internazionale, poi fallita, poi ricomposta negli anni 80 sotto la guida di partiti poi
riconosciuti in parlamento.
Questi internazionalismi fanno sempre più fatica

Universalismo ecclesiale cristiano: al di la delle confessioni cristiane, nel mondo cattolico


l’ottocento vede una concentrazione di guida attorno alla figura papale, ma egli ha un
criticare le derive dell’Europa in una direzione nazionalistica e ha influenza diplomatica più
fragile,

Gli anni intorno alla fine del secolo e i primi anni 900 sono anni costellati di crisi
diplomatiche che sembrano preludere a possibili guerre. Per anni queste crisi verranno
controllate: capacità delle diplomazie di creare compromessi.
Nonostante non ci siano più grandi congressi europei (come il concerto che Bismark aveva
cercato di ricreare) la diplomazia governa le crisi per un po’di tempo, ma la minaccia che
diventano più drammatiche è dietro l’angolo. Nel 14 accadrà questo, cioè una crisi locale che
uscirà di controllo.

In quella logica di pressione sulla GB del governo tedesco, quest’utlimo inizia a impiantare
una politica di riarmo navale dalle dimensioni cospique, in un paese come la Germania che
non aveva mai avuto una dimensione marittima significativa.
 Questo vuol dire creare una minaccia per la marina britannica.
Questo all’inizio poteva voler dire tentare di orientare la GB verso una attenzione a una
possibile alleanza con la Germania, ma la forma così provocatoria che assume questo tipo di
realtà fa si che la classe dirigente inglese prenda una linea diversa, ossia la linea di
identificare l’antagonismo con la Germania in quello che diventerà il perno delle
preoccupazioni ma anche delle strategie britanniche: se la vera minaccia è la Weltpolitik, il
governo inglese cerca di ridurre le altre possibili tensioni
 Accordo con la Francia in un’intesa che metta fine alla competizione in Africa: la GB
riconosce il primato francese nel Maghreb, i francesi riconoscono il primato inglese a
Suez. + compromesso tra Inghilterra e Russia sull’Asia centrale (Afghanistan territorio
cuscinetto, Persia spartizione di influenza tra le due)

Questo vuol dire che GB si affaccia al bipolarismo e diventa alleata per Francia e Russia?
Non ancora, l’idea di rifiutare alleanze permanenti continua, anche se in realtà un’alleanza
viene fissata dagli inglesi in questo periodo: Giappone per le questioni sull’estremo oriente
per contrastare le pressioni della triplice sul caso cinese, ma è un’alleanza circoscritta limitata
all’Asia orientale.

Altre crisi:
Nei territori balcanici continuerà ad esserci una situazione tesa, per il dualismo austro-russo
non si troveranno mai dei compromessi definitivi, un caso evidente sarà il caso del 1908
quando scadrà l’amministrazione trentennale della Bosnia affidata all’Austria a Berlino.
L’austria dovrà decidere cosa fare e nel cosa fare otterrà il sostegno della Germania per la
soluzione di annettere definitivamente la Bosnia
 Violazione degli accordi di Berlino, viene preso contro la volontà russa che avrebbero
voluto negoziare questo cambiamento. I russi si sentono quindi colpiti e umiliati da
questa operazione austriaca e coltiveranno un tentativo di ribaltare la situazione e di
allargare la propria influenza in questa regione.
L’occasione russa ci sarà nel 1911 quando l’impero ottomano conoscerà un nuovo
indebolimento con la perdita della sovranità sulla Tripoletania in seguito alla decisione
italiana di Giolitti di occupare questa parte di costa africana (negozia con i suoi alleati il
diritto di avere un punto d’appoggio sul mediterraneo).
Di conseguenza gli stati dei Balcani (Grecia, Serbia, Romania e Bulgaria) fanno una lega per
sottrarre altri territori ai turchi
Questa sostenuta dalla Russia che vuole indebolire l’impero ottomano e compensare
l’affermazione di potere che l’Austria aveva stabilito sulla Bosnia
Ci sono due guerre balcaniche tra il 12 e il 13 che vedono:
 sconfitta impero ottomano che si ritira da questi territori che vengono redistribuiti tra
gli stati balcanici
 la seconda guerra è legata al fatto che alleati vedono la Bulgaria come uno stato che si
vuole allargare troppo e quindi la ridimensionano in una seconda guerra
quindi sotto ci sta questo peggioramento dei rapporti Austria-Russia e questo fenomeno del
nazionalismo degli stati balcanici.

Ci sono anche due crisi, una nel 1905 e una nel 1911 sul tema del Marocco: dopo che nel
1904 i francesi si sono fatti riconoscere dagli inglesi un’influenza prevalente in Marocco, il
governo tedesco lavora per tentare di inserire un cuneo nell’intesa cordiale e rimettere in
discussione il ruolo francese nel Marocco.
entrambe le crisi hanno il rischio di portare a un conflitto europeo. Nel 1906 ci sarà una
conferenza europea dove i tedeschi cercheranno di affermare le proprie ragioni ma si
troveranno abbastanza isolati, ma nel 1911 ripresenteranno il problema e si troverà un
compromesso in extremis tra Francia e Germania

Anche fuori Europa situazioni critiche nei primi anni 900. Da una parte le nuove potenze
citate allargheranno le loro azioni per rafforzare l’influenza (USA e Giappone), ma dall’altra
ci saranno tentativi di rivolta di popolazioni extra europee che si vedranno pressate
dall’influenza della crescita europea. Questi elementi creeranno situazioni di incertezza e
instabilità.

2.11

Utilimi 30 anni dell’800 e primi anni del nuovo secolo caratterizzate da cessazione di guerre
tra grandi potenze (si guerre locali soprattutto nei balcani): si era chiuso il 20ennio centrale
dell’800 che aveva portato a scontri che avevano anche cambiato l’assetto del Congresso di
Vienna.
 Europa che ormai ha completato la sua parabola di controllo del resto del mondo, con
controllo entrato in una stagione nuova, non più prevalentemente economico informale
(prima metà dell’800) dall’ottanta in poi era diventato un controllo politico-militare
sempre più stretto, con la crescita delle colonie, la gara imperialistica.
Oltre a questo, il sistema europeo sta diventando per certi versi sempre più competitivo:
Bismarck, in fondo, aveva ancora tentato fino al 90 quella mediazione favorita dal fatto che la
Germania era diventata la potenza più ricca, più dinamica, militarmente, più solida del
continente
 Dopo il 1890 la Germania aveva cambiato ruolo, quindi lanciando la metafora, lo
slogan della Zelt politik aveva cominciato a chiedere un significativo rimescolamento
degli assetti tradizionali senza una linea lineare ed evidente ma con questa appunto
pressione per il mutamento. Anche per questa pressione i rapporti tra le grandi potenze
si era consolidato un certo bipolarismo: due gruppi ancora non cosi solidi ma si
instaurava un’iniziale contrapposizione radicale. Questi gruppi erano stati messi alla
prova da diverse crisi (perturbamento dell’ordine, no più concerto europeo – braccio di
ferro tra le potenze e tra le alleanze)
Crisi coloniali (compromesso-mediazione) sia euopee (soprattutto balcani, sempre più
importanti)

Fuori dall’europa le ccose stavano iniziando a cambiare già dalla fine dell’800 ai primi del
900: da una parte c'era l'ascesa di quei nuovi soggetti, es gli Stati Uniti, soprattutto dopo la
guerra ispano-americana del 98 e il Giappone.
Dall'altra c'erano situazioni in cui cominciavano ad esserci reazioni anti europee, anti
imperiali che magari non avevano successo immediato, ma che cominciavano a mettere in
luce un fermento di cambiamento disperso in varie parti del mondo.
- 1912 cade l'impero cinese definitivamente. Si tenta di instaurare una Repubblica, in
parte anche ispirata da un linguaggio, da una teoria politica, da punti di riferimento
che avevano a che fare naturalmente con la lezione europea. È una Repubblica fragile.
Dl li a poco la Cina torna ad essere una specie di dittatura militare. Tra l'altro la Cina
a sua volta, è un sistema molto più unitario di quello pluralistico europeo, ma è una
specie di continente con i suoi allora già forse 400 milioni di abitanti.
Il debole potere repubblicano comincia non riesce poi a controllare le periferie.
Quindi c'è una sorta anche di pluralismo interno, con quella pressione delle
concessioni europee che era cresciuta nel corso degli ultimi decenni.
- rivoluzione analoga, c'è in Persia, dove si tenta di avviare un percorso a cavallo tra
riforzo di un potere tradizionale e lezioni che vengono dall'Europa, per esempio,
appunto, il tentativo di una Costituzione (poi fallisce).
- C'è un tentativo simile nel 1908 nell'impero ottomano. Questi giovani militari che
avevano fatto parte di un comitato, alla fine impongono al sultano di formare un
governo più dinamico, più operativo che va un po nella linea di un nuovo
ottomanismo: non più, appunto, un impero pluralistico tenuto insieme da un vago
riferimento religioso comune, ma appunto, un'ideologia più moderna, un tentativo di
riforma amministrativa. Anche qui non c'è un grande successo di questo tentativo. I
giovani turchi e del comitato unione progresso alla fine porteranno l'impero ad allearsi
con la Germania per cercare di ottenere un punto d'appoggio internazionale. Non
riesciranno molto a gestire le crisi balcaniche (11 sconfitta di tripoli, 12 sconfitto
contro la lega balcanica)
- Messico, finisce una dittatura e c’è un tentativo complesso di riforme in senso liberal-
costituzionale che sono viste anche come una modalità per evitare le pressioni
eccessive dal nord. Questa crisi durerà fino agli anni ’20 per trovare una
stabilizzazione

MONDO CHE SI STA RENDENDO COMPLESSO, quella che prima poteva sembrare una
continua espansione del potere europe, comincia a trovare i primi momenti di incertezza.

EUROPA:
1914, esplode da una parte imprevista ma che però è stata preparata, cioè la Grande Guerra.
 Europa abituata a lungo periodi di pace tra le grandi potenze, si teorizzava che in
Europa era impossibile un’altra guerra significativa: il progresso economico aveva
legato i grandi stati, c’erano degli interessi comuni a mantenere la pace, anche se
competitivo ma collegato da strutture di interessi reciproci.
Anche se ai tempi di ricostituzione nazionale a metà dell’800 i legami economici tra paesi
che si facevano la guerra non venivano meno normalmente, comunque all’epoca si riteneva
impossibile perché ormai l’economia collegava tutti

 Ma dall’altra parte c’erano molti segnali che molte forme di preparazione alla guerra in
corso: stati maggiori mettevano in conto che fosse possibile una guerra (piani militari,
preparazioni, innovazioni tecnologiche sempre più forti in qualche caso sperimentate
ad esempio nelle guerre coloniali => es mitragliatrice per la prima volta)

MIX che spiega perché da una parte tutti gli attori seguono un percorso in cui la guerra era
ritenuta passata mettendo però insieme preparazioni e tecnologie: quindi la guerra non è che
si trova in guerra inconsapevolmente, ma in realtà c’è una convinzione radicale della
lontananza di una guerra ma ci sono anche forme di preparazioni che portano in una direzione
difficile da fermare.

Ciò succede su una crisi locale, la crisi del luglio del 1914 non è molto diversa da quella del
12 dei balcani, quella dell’11 sul marocco… solo che queste vengono sorvegliate e risolte,
ora portano alla guerra.
Il caso che scatena la crisi è l’assassinio dell’erede al trono d’Austria, Francesco Ferdinando
in visita a Sarajevo – Bosnia (annesso recentemente all’Austria nel 1908).
 Rivoluzionari, patriotti di origine serbo-bosniaca che uccide l’erede al trono.
Gavrilo Prinzi: giovane accusato e arrestato, voleva mobilitare le popolazioni slave contro il
dominio d’Austria

!! qui c’è sotto una dura situazione di scontro relativa al tema dei nazionalismi slavi
all’interno della duplice monarchia: la monarchia era stata storicamente pluralistica, ora
questo pluralismo e il suo controllo era sempre più faticoso.
Il punto internazionale però era che la polizia austriaca e il governo di Budapest (che
controllava questa parte della bosnia) e il governo imperiale si convincono che diestro questo
assassinio ci sia l’istigazione staniera del Regno di Serbia.
 Ritenuto lo stasto sobillatore di queste spinte nazionalistiche e autonomistiche delle
popolazioni slave.
Costruzione di un modlelo nazionale: nell’800 si lavorò molto a mettere insieme gli stati del
sud (Jugoslavia) mettendo insieme le lingue serba e croata, che vengono unificate: operazioni
per giustificare la fusione di questi gruppi e questo viene percepito come una minaccia alla
stabilità dell’impero.
 L’austria allora manda un ultimatum alla Serbia che di fatto è una preparazione a uno
scontro militare: l’idea di Conrad (capo di stato maggiore) è che bisogna impartire una
lezione definitiva alla Serbia affinchè non diventi il Piemonte dei Balcani

Ultimatum: vogliono prendere la setta armata (La mano nera) che aveva fornito le armi per
questo attentato; e vuole possibilità di lavorare come polizia all’interno del loro confine.
 Nella logica degli stati moderni è un’umiliazione impossibile da accettare

La serbia negli anni fino al 14 era diventata una protetta dell’impero russo, perché i sovrani
protendevano per questa logica pan-slava.
 I russi quindi si preoccupano di perdere potere e influenza dopo aver già perso nel
1908 (accettano annesionee bosnia a austria) se ancora cedono la loro influenza nei
balcani entra in crisi. Quindi si irrigidiscono
 Minaccia l’austria di entrare in guerra contro di loro se ancora minacciano la serbia.
Sotto la questione del nazionalismo slavo (che da il materiale infiammabile per l’incendio, is
muove il dualismo austro-russo nel balcani

Crisi che dura un mese tra diplomazia, ma dietro il dualismo austro-russo di muove il
meccanismo delle alleanze:
- Austria ha l’alleato potente cioè il Reich tedesco, il quale fa una diplomazia che
sollecita l’Austria ad andare infondo con quell’ultimatum perché è arrivato il
momento di ridimensionare il ruolo della Russia
- Russia alleato francese, di cui il reich tedesco non ha paura ma dove già ha un piano
pronto
ALLEANZE CHE PORTANO A UN ALLARGAMENTO DELLE CRISI, invece di
diventare un meccanismo di controllo

A un mese dall’assassinio, si crea questo scontro tra i due blocchi che sfoga il 1° agosto 1914
in una guerra europea: ruolo della GB (incertezza), non aveva alleanze vincolati.
 Germania sperava in una neutralità,
GB nel suo splendido isolamento aveva portato a spegnere le tensioni con Russia e Francia e
quindi aveva portato ad un avvicinamento con Russia e Francia che non aveva portato a una
triplice alleanza, ma comunque porta a decidere nei primi giorni di Agosto di entrare in
guerra contro la Germania (minaccia di una volontà egemonica tedesca, tensione ad es sul
riarmo navale).

Due fronti che nel giro di qualche tempo si allargano, con ad esempio l’italia, alleata
all’Austria e Germania nella triplice alleanza firmata nel 1882, rinnovata. Aveva posizione
politica un po’ defilata e la triplice impegnava di essere andata in guerra solo se le altre
avessero subito una guerra di tipo difensivo.
 Italia che vuole restare neutrale, alla fine prende lo slancio una parte interventista che
porta ad agire contro i vecchi alleate, da una parte per la questione delle terre che
ancora stavano sotto l’Austria (congelata al momento della triplice, ora torna ad essere
un elemento importante per l’unità nazionale) ma sotto ciò c’era l’idea ambiziosa di
allargare la propria influenza verso i balcani (sorta di ipotesi imperialistica).
1915: si allea alla triplice intesa
L’impero ottomano abbiamo detto essere legato di più alla germania nell’ipotesi di un
sostegno tedesco alla durata dell’impero, quindi alla fine del 1914 entra in guerra dalla parte
degli imperi centrali

Questo è l’aspetto politico della guerra, quindi una guerra non voluta ma messa nel conto
come una possibilità durante la crisi del 1914.
 La diplomazia di rischio, cioè minacciare una guerra per poter ottenere risultati
politici, alla fine scappa di controllo e porta alla guerra

È una guerra che non rimane nei limiti di una guerra ottocentesca (come solitamente si
faceva) come ci si aspettava: guerra con grandi scontri nella campagna che sarebbe durata
un’estate e poi scontri che avrebbero portato a un risultato come nel caso delle guerre
dell’unificazione tedesca
Infatti, i piani che si erano fatti andavano tutti in questa direzione, come il piano Schlieze
tedesco (Germania con esercito più forte): difronte a una guerra con Francia e Russia,
avrebbero concentrato le truppe a occidente, facendo un’offensiva che annienti la potenza
francese non passando dal confine (Alsazia e Lorena molto presidiate), ma passando
attraverso il Belgio neutrale, questione che porterà la GB ad essere decisamente antitedesca e
fare l’ultimo passo che mancava per entrare in guerra. L’idea era quella di una rapida
battaglia nel nord della Francia annientandola, poi spostare le truppe a oriente contro
l’esercito zarista, più numeroso ma molto più arretrato, lento a far arrivare le reclute…

 non si realizza perché la tecnologia militare era così sviluppata per fermare
un’aggressione militare piuttosto che quelle per spostare un esercito. Primi mezzi con
motore a scoppio ancora sperimentali, c’erano i primi camion, aviazione ancora
all’inizio nel 1909.

La grande offensiva tedesca incontra una resistenza: non si riesce a sfondare la linea e sia sui
fronti occidentali, orientali e poi anche meridionali (con l’Italia) si cominciano a stabilire le
condizioni per una guerra statica: guerra legata al fatto che ciascuno costruisce un esteso
reticolato di trincee.

Cio vuol dire un cambiamento strutturale, la guerra diventa di logoramento: non viene più
decisa da una grante battaglia, ma da quanto i due schieramenti riusciranno a sostenere lo
sfronzo per tenere in piedi uno scontro di questo tipo: esseri umani da sostituire man mano
che i morti crescono, armamenti (risorse alimentari). Diventa sempre più importante il tema
dell’economia e delle risorse industriali per sostenere questo enorme sforzo di logoramento,
che durerà quattro anni

Questo comporta due grandi elementi:

1. Ruolo dello stato che viene portato a diventare più importante: deve mobilitare tutte le
risorse che ha, gli stati più efficenti metteranno in campo un sistema di pianificazione
strutturale per cui alle varie industrie sarà fatto produrre tot per riuscire per riuscire a
rispondere a questa sfida.
2. Mobilitazione della società, di massa. Non ci sono più solo gli eserciti come erano
state ancora le guerre dell’800. Devono fare uno sforzo tutti, la mobilitazione sociale
diventa fondamentale per la partecipazione attiva delle masse (il termine masse è
ancora legata a una società 800 molto elitaria)
Ma il tema della mobilitazione delle masse era già presente, con consenso di tutti anche delle
donne (lavorare al posto degli uomini), economiche per i debiti della guerra
3. Per ottenere mobilitazione bisogna alzare sempre più i toni dello scontro: la classe
dirigente radicalizza il livello dello scontro, quindi non più guerra per ridimensionare
la Serbia oer mantenere la solidità dell’impero asburgico oppure da parte russa per
mantenere la propria filiera di alleati nei balcani (che sarebbero ancora ragioni
circoscritte). Diventa una guerra per la sopravvivenza dell’unità nazionale, guerra di
nazionalismi che si scontrano, di rappresentazione del nemico come il diavolo.

I motivi politici che possono aver scatenato la guerra si annullano in un’idea che l’unico
obietivo è la vittoria e annientare il nemico, smontarlo come stato (guerra totale)
Questo porta anche a unioni intorno alla patria tra gruppi che inizialmente erano anche su due
fazioni diverse, che appoggiano il proprio governo.
 Es socialisti che avevano proclamato “proletari di tutto il mondo unitevi” non mettono
davanti la solidarietà proletaria mondiale alla solidarietà nazionale

Profondo cambiamento nel senso della guerra: guerra di movimento => logoramento.
Guerra di mobilitazione di massa + guerra totale
 non più concezione di Bismark per ottenere obiettivi specifici e poi può essere
rapidamente fermata. Dal 14 in poi è molto più difficile, l’elemento di guerra totale
inserisce questo scontro nazionale complessivo più difficile da gestire.

Dura 4 anni con offensive, rientri, cambiamenti di alleanze.

Il cambiamento che porterà alla fine, nel corso del 1917, sarà dovuto al fatto che tutte le
società in guerra cominciano ad essere provate dallo sforzo: la stessa Germania fa fatica ad
ottenere rifornimenti per nutrire lo sforzo bellico; la marina britannica era risciuta a escludere
i traffici commerciali tedeschi al di fuori del contesto europeo: i tedeschi avevano fatto la
guerra sottomarina per cercare di limitare questo dominio dei mari da parte britannica. La
grande flotta da guerra di Tirpiftz quasi non riesce ad uscire dai porti del baltico, proveranno
a uscire una volta nel 1916, ci sarà una grande battaglia navale, verranno danneggiate quelle
tedesche che torneranno nei porti
 la guerra d’alto mare non ci sarà mai
Tuttavia, anche la triplice intesa che aveva un controllo dei mari più ampio farà anch’essa
fatica a tenere insieme tutte le risosrse necessarie per la mobilitazione militare.
In molti eserciti ci sono sommosse militari che si ammutinano, non rispondono più agli
ordini.

 In molti paesi questo causa delle crisi ma la situazione viene sorvegliata, i paesi più
fragili a causa di ciò conosceranno i cedimenti.
Il meno forte è la Russia zarista che non regge la guerra totale, era un paese con
trasformazione industriale molto più lenta di modernizzazione molto più arretrata.
Questo nel 17 porta all’orlo di un crollo interno

Rivoluzione a Febbraio: proteste popolari per il cibo, proteste dei militari, nelle campagne,
nelle fabbriche e la stessa guardia imperiale non obbedisce di sopprimere la folla e Nicola II è
costretto ad abdicare.
Si tenta di creare un governo provvisorio che si appoggia all’assemblea parlamentare per
sviluppare un governo costituzionale e si tenta di tenere in vita la guerra.
 È difficile e questo permette al partito social-democratico russo, o meglio alla fazione
di maggioranza, cioè la fazione bolshevica (con capo Lenin) di agitare le folle e si
realiza il colpo di mano che porta i bolsheviki a prendere il potere nel mese di
ottobre/novembre per il calendario gregoriano
Prenderanno in mano le cose promettendo al popolo (soprattutto contadini) che chiederanno
la pace. Questo non vuol dire realizzarla subito, i tedeschi e gli austriaci sono molto
soddisfatti di questo crollo dello zarismo, la Lenin non vuole negoziare all’inizio una pace
punitiva e i tedeschi e gli austriaci hanno bisogno di ottenere dall’uscita dalla guerra della
Russia un sostegno. Quindi questi negoziati andranno avanti parecchi mesi
Dall’inizio del 17 si capisce che c’è questo allontamaneto della russia dal colflitto.

Per reazione, questa crisi della Russia porta con se la decisione dei militari che guidavano il
governo in Germania vuole spostare le truppe verso il fronte francese e riuscire nell’ultima
offensiva francese, ma per riuscire in questa ultima offensiva, devono limitare gli
approvigionamenti che francesi e inglesi riescono a comprare negli USA controllando il
traffico oceanico nell’atlantico.
 Vuol dire rilanciare una guerra sottomarina, non solo mirata ad affondare il naviglio
mercantile inglese, ma anche tutti coloro che commerciano con il nemico comprese le
armi neutrali.
C’era già stato uno scontro con gli USA all’inizio del conflitto: il presidente Wilson eletto nel
1913, dichiara il paese neutrale (legato alla dottrina di Monroe), ma replicarono il loro diritto
di commerciare con chi volevano.
 Lo scontro già era avvenuto inizialmente quando la GB fermò i traffici con i nemici,
ora ancora di più perché la Germania che fa guerra marina (anche se a merci americane
su navi inglesi) un’offesa alla neutralità.
Questo porta inizialmente alla fine del 1914 alla sospensione della guerra marina
indiscriminata. Tuttavia, nel 1917 viene ripresa perché c’è quest’idea che le risorse sono
poche, la capacità di mobilitare l’esercito è ridotta quindi o si tenta la spallata definitiva o la
guerra non si riuscirebbe a vincere.
Se questo porterà un ingresso degli USA la Germania pianifica di tollerarlo perché ormai la
guerra la avranno vinta
 offensiva sottomarina porta all’intervento americano e Wilson dice di voler entrare in
guerra non per introdursi negli affari imperialistici europei: addirittura dice di entrare
come potenza associata e non alleata, ossia non vogliono partecipare agli obiettivi di
potenza di nessuno, vogliono solo sconfiggere lo stato tedesco che è arrivato a non
rispettare gli stati neutrali (NEW DIPLOMACY DI WILSON).

Esercito americano ancora piuttosto modesto, ci mette circa un anno a mobilitare gli eserciti
(diventerà efficiente nel 18).
L’offensiva tedesca prevista arriverà nell’estate del 18 perché a Oriente la guerra finirà con il
trattato di Brest-Litolsk in cui il governo dei bolsheviki accetterà di firmare una pace che
sottrarrà all’impero russo tutti i territori tra la filnandia, i paesi baltici, polonia, bielorussia,
ucraina
 manterranno un’occupazione militare perché hanno risorse per la guerra: per questo
c’era stato un prolungamento prima della pace, perché i tedeschi avevano bisogno di
risorse per portare le truppe a occident

Primavera 1918 c’è l’ultima offensiva a occidente, con imperi centerali vicini a vincere
(Austria che da la spallata all’Italia rischiando di farla uscire poiché era arrivata fino al
Piave), ma questa offensiva non funziona. L’esercito tedesco si accorge di non poter più
avanzare anche per la resistenza delle truppe statunitensi schierate in francia, l’esercito
italiano reagisce e inizia la battaglia che porterà le truppe austriache in difficoltà.
Germania senza munizioni e richiesta al Kaiser di una trattativa: anche se dal punto di vista
militare si chiude non con un crollo totale di uno dei due eserciti, dato che l’esercito tedesco
stava ancora abbondantemente nel territorio francese, con sconfitta non militare ma politica e
istituzionale.
 Chiedere la pace non poteva voler dire possibilità di molte trattative.
La richiesta di armistizio da parte tedesca-austriaca porta a un no, volevano solo che la
Germania dichiarasse la sconfitta.
Questo aggrava la situazione interna, quelle tensioni legate al grande logoramento porta al
crollo istituzionale, c’è una rivoluzione repubblicana che porta il Kaiser ad abdicare, in
Austria rivoluzione nazionale con le varie nazionalità che si separano.
 Novembre 18 finisce così.

Si apre una stagione complessa in cui si cerca di rimettere in gioco un ordine, con alcuni
protagonisti che lanciano l’idea di una novità radicale di futuro, con Lenin che prende in
mano il debole stato russo, in cui ci sono ancora reazioni zariste in corso, è uno stato in cui le
“armate bianche” sono finanziate dagli stati occidentali che vedono pericoloso uno stato
socialista.
Lenin lancia l’idea che il futuro è nel futuro di una rivoluzione mondiale: hanno vinto in
russia (paese arretrato) nonostante Marx avesse fatto la profezia che la rivoluzione sarebbe
iniziata dai paesi avanzati, ma è arrivato il momento di una rivoluzione mondiale.
 In alcuni paesi tipo la Germania che sono distrutti, si ipotizza che ci potrebbe essere
una rivoluzione sovietica, in Baviera per un breve periodo i soviet prendono il potere.

Sullo sfondo di questa minaccia si capisce la profezia riformista di Wilson che sull’onda della
sua new diplomacy, diventa interlocutore di tutti quelli che vogliono creare un nuovo ordine
diverso da quello di Lenin, impregnato su due idee:
- Idea dell’autodeterminazione dei popoli: il futuro va visto come un punto in cui il
principio di nazionalità prevale. Per pensare al riordino territoriale dell’Europa
bisogna rispettare l’identità nazionale dei popoli (ancora elite)
- Sa che un mondo di stati nazionali non è necessariamente più stabile, ma c’è la
possibilità che tra questi stati si crei un’organizzazione giuridica permanente che li
tenga insieme, che medi i conflitti e che permetta dialogo e stabilizzazione del mondo.
 Non concerto europeo, non semplicemente buona volontà, ma qualcosa di più solido e
strutturato dove ci sia una forma giuridica permanente

Parigi, 1919 dove si convoca la pace: porta le sue idee, che gli altri vincitori dovranno
accettare. Wilson rappresenta un paese molto forte economicamente, che ha finanziato molta
parte della vittoria.
Giappone, GB, Francia e Italia avevano i loro obiettivi di tipo imperialistico, ma alla fine
accettano la proposta di Wilson per far nascere una società delle nazioni: si forma una
organizzazione giuridica permanente con assemblea in cui ogni stato ha un voto, segretariato
permanente e poi c’è un consiglio permanente con stati più importanti (Francia, GB,
Giappone, USA, Italia) e altri paesi che vengono eletti dall’assemblea.
 Società delle nazioni diventa una realtà che dovrebbe fare mediazione in caso di
scontro o punire chi cerca ancora strumenti militari per risolvere i conflitti.

L’altra grande questione è come trattare gli sconfitti: Russia già uscita dalla guerra, Austria
ormai esplosa (non c’è più impero asburgico), il grande problema è quello tedesco, non solo
perché la Germania rimane l’unico grosso paese sconfitto, ma anche perché è lo stato più
importante d’Europa.

 Il modo in cui si era chiusa la guerra militarmente deponeva a favore dell’idea di


trovare compromessi (nn era stato un crollo militare quello tedesco) ma dall’altra gli
effetti della guerra totale si allargano fino alla pace, quindi nei paesi vincitori passa
l’idea che si debba imporre una pace decisa dai vincitori.
Wilson promuove l’idea di una new diplomacy in cui c’era anche l’aspetto di superare le
ostilità belliche, ma non si oppone al fatto che le decisioni a Parigi vengano prese dai paesi
vincitori. Wilson aveva lanciato l’idea che si devono trattare in pubblico tutte le questioni, ma
a Parigi Wilson si adatta all’idea che tutte le discussioni debbano restare privati.
Anche sul problema tedesco non riesce a imporre una grande mediazione, o meglio si crea
una mediazione al ribasso:
IPOTESI:
1. Reinserire la Germania, cercando di trattare il nuovo governo repubblicano per
trovare un accordo per farla reinserire nella società delle nazioni
2. Ridimensionare definitivamente il potere tedesco per impedire una possibile reazione,
problema sentito particolarmente dai francesi. Volevano portare la Germania a prima
del 1871

Seconda idea bocciata da Wilson e dagli inglesi che hanno l’idea che la Germania sia un
partner economico importante per l’Europa.
Quindi non si deve ridimensionare la Germania, ma nello stesso tempo bisogna punire gli
effetti dell’aggressione del 1914.
 Lascia la sensazione di una pace punitiva a un paese che ha le risorse per combatterla e
per reagire.
Gli aspetti punitivi sono che la colpa della guerra è della Germania (non aveva fatto niente
per evitarla, ma non è l’unico responsabile), è affermazione non storica ma politica perché
dando la colpa alla Germania vuol dire fissare una responsabilità che si traduce con tutti costi
della guerra attribuiti alla Germania
 Non è un’indennità, ma proprio calcolo di tutti i costi da attribuirle, quindi la
Germania sarà legata ai vincitori per molto tempo

Poi c’è il problema dei confini: alcune delle correzioni sono prevedibili, es Alsazia e Lorena
ritorno alla Francia, ma a oriente c’è il problema della ricostituzione dello stato polacco,
attuato con principio di nazionalità (teoricamente il miglior principio), ma loro da 120 anni
erano sotto la sovranità austriaca/russa/tedesca, ma alcune zone c’è una maggioranza polacca
ma anche una consistente minoranza tedesca che però vengono aggregati alla Polonia
 Infrazione del principio di nazionalità per quanto riguarda i tedeschi, quindi da parte
tedesca è uno dei modi peggiori per far accettare la pace

Poi scelta di ridurre drasticamente l’esercito, solo 100 mila soldati (affari interni), si stabilisce
che la regione renana deve stare sempre smilitarizzata, non più flotta d’alto mare, aviazione.

Somma di tutto questo configura in un trattato che in Germania quasi nessuno accetta. Infatti,
i rappresentanti della fragile Repubblica di Weimar che vanno a Parigi per firmare il trattato
sotto la minaccia che se non l’avessero firmato sarebbero riprese le ostilità, tornano a casa
trattati come dei traditori. Questo indebolisce ancora di più la neonata repubblica, vivendo
con grande frustrazione questa vicenda

PREMESSE PER UNA REALTA PIUTTOSTO POCO STABILE

Poi c’è il discorso di come attuare il principoo di autodeterminazione nazionale di Wilson: si


fissano dei confini che però lasciano molti stati insoddisfatti.

Problema italiano: è vincitore e vuole ottenere il patto di Londra, cioè il Trentino (abitato da
italiani ma comprende una parte del vecchio tirolo austriaco che era abitata da molti tedeschi,
allargamento territoriale che non è solo nazionale ma anche strategico), Trieste, Istria,
Dalmazia (c’erano popolazioni italiane che però vivevano in città ma il contado agricolo
abitato da slavi) e isole dell’adriatico.
 L’idea era che quando esisteva la monarchia asburgica, dare quest’estensione
dell’Italia un carattere anche imperiale avrebbe ridimensionato questa monarchia
Tuttavia, nel 19 alla conferenza di pace c’è di nuovo che di la non c’è più l’impero asburgico,
ma c’è un giovane regno nazionale di slavi serbi e sloveni.
Wilson oltre ad avvertire gli italiani che così facendo non rispettano il principio di
nazionalità, sottolinea che quando avevano firmato quel patto nel 1915 lui non c’era, era un
patto con inglesi e francesi.
Qui il governo italiano cerca di ottenere il rispetto del trattato di Londra, dall’altro si pone la
questione di Fiume, che nel patto di Londra non era stato attribuito all’italia perché a fronte
della cessione di Trieste si pensava che Fiume dovesse rimanere il porto dell’impero
asburgico sull’adriatico. Però a Fiume, italiana, c’erano dei movimenti che volevano
annettersi, così l’Italia chiede anche Fiume in base al principio di nazionalità (ma in base a
questo principio dalmazia e istria non dovevano esserci).
 Si scontrano con USA e con gli alleati, in italia si diffonde il concetto di vittoria
mutilata coniata da D’Annunzio, situazione pericolosa e ambigua.
Guardano gli interessi senza guardare il quadro europeo. Alla fine, la Dalmazia non verrà
riconosciuta e ci sarà una mediazione con il giovane stato jugoslavo che attorno al 23/24
risolverà la situazione.
Questo lascia dietro di sé un ulteriore strascico problematico della guerra

PROBLEMI EXTRAEUROPEI
1. Questione coloniale: nelle colonie c’era stata una guerra (colonie europee si
combattono in base alle divisioni delle madrepatrie) e alla fine le colonie tedesche
erano state occupate da francesi o inglesi; quindi, erano da sistemare
Francesi e Inglesi avrebbero semplicemente distribuito le colonie tra loro ma Wilson si
oppone, vuole che il tempo del colonialismo sia finito, occorre muoversi verso
l’autodeterminazione dei popoli anche non europei
Wilson non vuole scontrarsi con Inghilterra e Francia a cui sta facendo pressioni per ottenere
la società delle nazioni e accetta un compromesso: si fissa la categoria dei mandati della
società delle nazioni, che attribusce a una potenza un mandato per controllare una regione
extraeuropea non come sovranità politica ma per preparare questi popoli all’indipendenza.
Varrà per le colonie ex tedesche ma anche per il medioriente: impero ottomano che era
alleato con imperi centrali crolla alla fine della guerra, quindi si muovono movimenti di
nazionalità di elite locali che cercano di ottenere autonomia (es Egitto, popolazioni arabe
della penisola arabica dove gli inglesi avevano fomentato una volontà di indipendenza in
nome dell’aiuto per sconfiggere la sovranità turca).
Nello stesso tempo francesi e inglesi vogliono ottenere vantaggi imperialistici dal crollo
dell’impero ottomano, dove ci sono anche risorse petrolifiche, la prima guerra mondiale era
diventata una guerra meccanizzata, e la crescente influenza dei petrolio per far muovere carri
armati, camion, navi, sta diventando un problema:
 Negoziano questa spartizione di controllo.

Questo va a scapito dei potentati arabi che avevano collaborato alla guerra, per esempio il
sovrano dell’ejatz aveva rivendicato l’idea di uno stato arabo autonomo invece si deve
accontentare di stare sotto sovranità britannica, mentre i Saud (interno arabia saudita)
rinforzano la propria autonomia.

il vecchio nucleo turco accetterà il trattato di Sevr che ridurrà il controllo ottomano a una
piccola zona intorno a Instanbul perché anche nell’area anatolica ci saranno rivendicazioni
greche, italiane di ottenere aree di influenza. Ciò darà vita a una reazione da alcuni militari
collegati ai giovani turchi che lanceranno l’idea di una riscossa nazionale turca contro le
potenze europee che avevano imposto questa umiliazione e i greci che avevano occupato il
territorio e riusciranno a vincere una guerra di riscatto.
Kemal farà cadere il governo del sultano a istambul e afferma una repubblica turca nella zona
dell’Anatolia con idea nazionale laica.
 Unico caso in cui una potenza sconfitta riuscirà a modificare il trattato di pace nel
breve periodo, perché nel 1923 Kemal otterrà un nuovo trattato che darà il
riconoscimento di uno stato turco

La GB nel corso della guerra che voleva cercare di indebolire a tutti i costi la sovranità
ottomana darà un’assicurazione al movimento sionista che era nato in europa di voler creare
una focolare nazionale ebraico nei territori della palestina
SIONISTI: movimento di agitatori sviluppato nelle comunità ebraiche in europa che avevano
elaborato l’idea di una ricostituzione di uno stato nazionale ebraico, collegando l’identità
ebraica non più ad un’identità strettamente religiosa (comunità che potevano vivere in diversi
stati), ma a una nuova identità di tipo nazionale.
 Riflessione di tipo secolare, con necessità di intendere il popolo ebraico come popolo
che si desse un’indipendenza nazionale, cercandola in Palestina
Per il momento ottiene la dichiarazione di simpatia britannica e ottiene il fatto che molti ebrei
europei cominciano ad andare in palestina a comprare terre sotto l’amministrazione inglese,
però ponendo le basi di tensioni con le popolazioni arabe che vivevano li da secoli

2. Estremo oriente: la guerra aveva avuto effetti, perché il Giappone era dalla parte della
triplice intesa (1902 trattato di alleanza cin GB quando voleva uscire dper la prima
volta dallo splendido isolamento sulla questione cinese). I Giapponesi dopo la guerra
con la russia del 5 avevano ottenuto di occupare le posizioni tedesche nel mar cinese.
La corea così come formosa era giapponese, questo voleva dire collegarsi ad
un’influenza ancora maggiore nell’entroterra cinese, con un impero ormai crollato nel
1912 e con una repubblica fragile
Giappone potenza dominante dell’estremo oriente fino a minacciare la persistenza di una
sovranità cinese: il trattato di pace riconosce le posizioni giapponesi di influenza (es in
Manciuria dove si sostituisce alle posizioni russe) la presenza di una potenza giapponese
viene riconosciuta , ponendo dei limiti cioè il rispetto della sovranità cinese.

Dopo tutto ciò non appare una situazione stabile, evidente dal fatto che tra il 19 e la metà
degli anni 20, sono anni agitati e problematici.
 Il mondo passa a una crisi postbellica, a volte anche drammatica con paura di ripresa
della guerra
Verso il 24 si troverà un modo di convivere.

Aspetti di questa crisi:


1. La società della nazione avviata con enfasi come nuova formula per garantire che la
Grande Guerra sarebbe stata l’ultima guerra, comincia a funzionare a fatica a causa
degli Stati Uniti che l’avevano sostenuta, nel giro di due anni non partecipano
neanche alla costituzione degli organismi a Ginevra
Per Wilson gli spostamenti verso l’Europa erano faticosi, sta per molti mesi fuori dagli USA
ma quando torna vede che molti rifiutano l’idea che gli USA debbano impegnarsi a
collaborare con gli altri paesi per manterere la pace.
Molti volevano tornare alla dottrina di Monroe, alla tendenza isolazionista e unilaterali (non
impegnarsi in alleanze vincolanti che poi ci chiedano di andare a combattere per una causa
lontana).
Questa mentalità prende piede, nel 20 con le elezioni politiche Wilson perde dopo che il
Senato rifiuta di ratificare il trattato di Versailles, la cui prima parte parlava dell’istituzione
della società delle nazioni.
Eleggono un presidente repubblicano che incarna la mentalità unilaterale, gli USA rifiutano
di aderire alla società delle nazioni

 Situazione della società delle nazioni critica dove l’Italia aveva già avuto quella mezza
crisi, i giapponesi non erano disposti a sostenere un impegno con la società, restano
solo francesi e inglesi, potenze che all’inizio non erano molto entusiaste che non
riuscirà a gestire molte delle crisi
Es: grande crisi franco-tedesca, non ancora parte della società, sul tema delle riparazioni.
Conferenza che fissa un montante di circa 132 miliardi di marchi oro che viene avvertita
come un’affermazione intollerabile da parte tedesca (tutta l’economia tedesca avrebbe dovuto
funzionare per parecchi anni solo per pagare)
I tedeschi iniziano a impostarsi sull’impossibilità di pagare, resistenza passiva.
Il governo francese eletto da una camera in cui le prime elezioni dopo la fine della guerra
avevano dato molto fiato all’orgoglio della vittoria nazionale, ha una reazione impositiva. Nel
1923 questo braccio di ferro farà si che i francesi entreranno nella zona industriale tedesca
per prendersi materie prime se il governo non paga le riparazioni.
ANTICAMERA DELLA RIPRESA DELLA GUERRA, con il governo inglese che non è
d’accordo con la scelta francese ma che allo stesso tempo non vuole opporsi.

Questo porta anche il crollo economico della repubblica di weimar: sotto la minaccia di una
ripresa delle ostilità, con queste grandi riparazioni da pagare, in Germania si diffonde una
condizione di inflazione (tipica di tutte le situazioni post-belliche perché tutti i foverni hanno
destinato grosse risorse allo sforzo militare, quindi si sono indebitati. Ora che devono
restituire questi debiti cercano di far si che il debito sia restituito in una moneta svalutata,
quindi si stampa più moneta e quello che nominalmente si era fissato come prestito viene
restituito con costi molto minori)
In Germania nel 23 in coincidenza con l’occupazione francese della Rur, l’inflazione diventa
fuori controllo, nel giro di pochi mesi il valore diventa bassissimo.

Germania in crisi – riparazioni che non si riescono a far funzionare, che portano a un
peggioramento dei rapporti tra vincitori europei e USA perché il governo francese e inglese
affermano che rimborseranno i debiti contratti per la guerra, solo quando i tedeschi
ripagheranno le riparazioni, i quali fanno questa politica di resistenza passiva
 Indebolimento molto forte della Repubblica di Weimar + crisi tra gli stessi vincitori

Europa orientale: paesi di nuova indipendenza nati come democrazie, che però avevano radici
fragili
 Vedono chiusure nazionalistiche e svolte autoritarie molto precoci
L’equilibrio tra i vari stati eredi dei vecchi imperi è un equilibrio tutt’altro che semplice. Ci
sono sei revisionismi con stati sconfitti che vogliono cambiare le cose (ungheria, bulgaria,
austria che si ritrova ad essere una piccola realtà di lingua tedesca e che chiedono di unirsi
alla Germania, in nome del principio di nazionalità. I vincitori non possono alalrgare i
territori della Germania sconfitta proprio mentre la devono ridimensionare. Si fissa nei trattati
il divieto di annessione
 Risentimento per il principio di nazionalità.

In contrasto a questi revisionismi si ipotizza di collegare tra loro gli stati soddifatti
(jugoslavia, romania, cecoslovacchia) sostenuti dall Francia, gaante di questa stabilità
europea in chiave di controllo della Germania e di altri revisionismi a oriente
 Francia non ha tutta questa stabilità per garantire questo stabilimento.

16.11

Effetti di crisi dopo la guerra che per qualche anno e in alcune situazioni in Europa
soprattutto fanno pensare ad una nuova guerra o alla ripresa delle armi per risolvere situazioni
(situazione franco-tedesca). La situazione dell’europa orientale non è per niente pacificata
con nazionalismi contrapposti

RUSSIA: in preda a uno sconvolgimento rivoluzionario dal 17, non avevano partecipato alla
conferenza di pace. Lenin aveva preso il potere di uno stato basato sul proletariato, con
ipotesi di rivoluzione mondiale che però nel giro di pochi anni dopo la fine della guerra si
spegne come possibilità concreta, e si cambia prospettiva.
 In germania rivoluzioni fino al 20/21, breve esperienza in ungheria spazzata via
velocemente
Quindi i dirigenti comunisti che hanno preso il potere in Prussia cambiano prospettiva: hanno
di fronte il problema di consolidare un potere che è in grossa difficoltà. il governo bolshevico
che aveva preso il potere a San Pietroburgo che poi si era spostato a Mosca controllava solo
questa zona rosso scura (slide) perché dalle altre parti dello sterminato territorio che era stato
dell'impero zarista si muovevano le armate bianche controrivoluzionarie sostenute anche da
finanziamenti e invii di truppe dai paesi occidentali europei e dal giappone.
 ipotesi che lo Stato socialista possa essere soffocato in culla.
Dal punto di vista militare questa cosa viene scongiurata: l'armata rossa, organizzata
soprattutto da Trotsky (vicino a Lenin) riesce a sconfiggere questa minaccia.
Intorno al 20/21 la guerra civile, quasi risolta, Lenin riesce a ottenere un maggior consenso
nella popolazione agricola dando un’interpretazione delle regole più favorevole alle famiglie,
ai contadini: passaggio che aveva portato al successo della rivoluzione era stata la promessa
di uno spazio per l'autoproduzione delle famiglie viene garantita da questa nuova politica
economica che sostituisce l'epoca durissima del comunismo di guerra, quando il punto focale
era requisire tutte le proprietà per sostenere uno Stato che stava vivendo sotto questa
minaccia continua e quindi la situazione sembra ammorbidirsi.

C'è una guerra vera e propria con la Polonia, perché il confine tra Polonia e Russia non era
stato definito a Versailles alla conferenza della pace. È un confine piuttosto problematico,
dopo varie discussioni la Polonia aveva cercato di inglobare più territori e a un certo punto
aveva messo in difficoltà le truppe sovietiche che però poi erano riusciti a reagire e quindi si
era formato appunto un confine relativamente intermedio rispetto alle spinte di avanzata dello
Stato polacco.
Attorno al 21, 22 questa situazione si normalizza e nel 22 i dirigenti bolsheviki riescono a far
nascere un nuovo Stato che viene chiamato Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche
(URSS).
 Nasce nel 22 perché insieme al nucleo russo dove c’era stata la costruzione dello stato
rivoluzionario si riescono a collegare alcune repubbliche socialiste periferiche, dove
grazie anche alla risoluzione della guerra civile, i bolsheviki erano riusciti a riprendere
il potere: unione di repubbliche socialiste
Carattere confederale è poi superato dal fatto che ciò che conta è il partito dominante, cioè
quello comunista.
Riesce a ricostituire una forma geopolitica simile a quello dell’impero zarista, rispetto alla
Pace di brest litosk (1918) è una sorta di ricostituzione della tradizione imperiale russa.
Ricostituendosi come stato e superando la guerra civile, i bolsheviki riescono a entrare in una
prospettiva più tradizionale, di uno stato simile agli altri: non rimane l’idea della rivoluzione
mondiale, la rivoluzione mondiale non è più un un evento a breve termine. Negli ultimi anni
di Lenin si afferma l’idea che a breve termine bisogna consolidare il comunismo in un solo
stato.
 Rimane l’internazionale comunista (la terza internazionale: internazionale dei paesi
marxisti che seguono il modello sovietico), ma non è più l’unico modo con cui questo
stato fa politica estera, quindi si può presentare agli altri stati non più come il punto di
riferimento di un’organizzazione sovversiva, invece come uno stato con cui si possono
costruire relazioni tradizionali e inizia ad essere riconosciuta tra 22/24.
Ci si presenta come uno stato con cui si possono stabilire relazioni tradizionali, addirittura
accordo sotterraneo con la repubblica di weimar per aiutarsi ad uscire dalla guerra da cui
erano usciti in modo devastato.

Fino al 24 la crisi dell’unione sovietica è relativamente stabilizzata, il paese resta comunque


ai margini dell’Europa (es il rapporto con la società delle nazioni per molti anni sarà ancora
molto incerta)

ITALIA: dura crisi post-bellica nonostante sia un vincitore. La vicenda della vittoria viene
gestita piuttosto male dalla classe dirigente e la polemica della minoranza nazionalista sulla
vittoria mutilata avvelena le condizioni del paese: la cosa che rende molto più drammatica la
situazione è che quella spinta di massa verso una democrazia più aperta, verso una
valorizzazione delle masse popolari, assunzione politica di un ruolo dei partiti nati fuori dalle
istituzioni dello statuto albertino fa fatica a concretizzarsi
 Perché questa spinta avviene in modi confusi e violenti con partito socialista che sogna
di fare come in russia ma nello stesso tempo non riesce.
19/20 BIENNIO ROSSO, situazione di scontro in cui si indeboliscono i partiti liberali ma
non si riesce a conosolidare una situazione democratica avanzata. Il liberalismo al massimo
riesce con Giolitti ad ammorbidire le tensioni, ma in questa situazione di crisi emerge
l’alternativa fascista, con partito fondato da un ex-socialista, Mussolini che prende in mano le
cose, da piccolo manipoli di rivoluzionari che voleva portare l’idea del rinnovamento
collegato alla partecipazione alla tragedia della prima guerra mondiale portandola in politica
con un progetto rivoluzionario, diventano qualcosa di diverso:
 il partito che appoggia le reazioni sociali, con nazionalismo vitalistico che sfrutta il
mito della vittoria mutilata e che pian piano prende piede finchè nel 22 Mussolini si fa
dare la guida del governo (governo di coalizione – i fascisti sono pochi non hanno la
maggioranza) attraverso una pressione di piazza, armata presentata come uno sbocco
rivoluzionario => MARCIA SU ROMA : operazione di pressione violenta sulle
istituzioni che fa cedere il re e la classe dirigente liberale che fa dare a Mussolini
l’incarico di guidare un governo in cui si pensa che Mussolini metterà le cose apposto

Nel giro di cinque anni si trasforma in un governo dittatoriale: l’italia è insieme a Francia e
GB una delle tre potenze presenti nel territorio europeo, si trasforma in un paese che minaccia
di rivedere gli accordi di Versailles per la grandezza imperiale dell’Italia, questo è un fattore
di instabilità
 Nonostante questa volontà, per molti anni non fa niente di straordinario, politica estera
antifrancese a parole (proprio perché aveva questo ruolo di garante dell’assetto di
Versailles), che per molti anni non lo vedrà uscire dalla logica di migliorare le
posizioni italiane all’interno dell’alleanza dei vincitori. NO politica estera di rottura
dal 26-27 in poi.

La dittatura non è una dittatura simile ai modelli delle monarchie assolute tradizionali o delle
dittature militari (es balcani o penisola iberica); si ispira a una logica TOTALITARIA: lo
stato, guidato da un partito unico, si ripromette di cambiare profondamente la società per
renderla adatta ai propri obiettivi (cioè obiettivi di grandezza nazionale).

Logica che rischia di essere gravemente sovversiva anche se per molto tempo rimane
sorvegliata perché Mussolini è consapevole delle forze modeste dell’Italia, segue una linea
prudente per anni.

 Il fascismo in italia non sarebbe stato comprensibile senza la prima guerra mondiale,
perché è la spinta delle masse che pesa sulla società e la guerra ha portato a questo:
applicazione in politica dei metodi della guerra totale (in guerra l’obiettivo è vincere,
non è un obiettivo circoscritto) e questi si prolungano e rendono il tentativo già privo
del sostegno americano di stabilizzare il mondo in una situazione di cooperazione
internazionale ancora molto complicato

A metà degli anni 20 c’è una stabilizzazione della situazione europea e quindi internazionale:
avviene attraverso una serie di passaggi.
Intanto non avviene grazie al successo della Società delle Nazioni perché il tentativo di
Wilson sopravvive ma in una chiave molto limitata: nel 1924 c’è un ultimo tentativo di dare
forza alla società con l’approvazione di un protocollo proprosto dal governo britannico che
avrebbe dovuto prevedere un obbligo per gli stati aderenti di sottoporre le controversie alla
società affinche avesse potuto fare un arbitrato. (=> avrebbe favorito il ruolo della società).
Alla fine, questo protocollo non approvato e le iniziative della società restano circoscritte.
 Es: questione del disarmo: iniziare un disarmo prima dai paesi sconfitti poi anche dei
vincitori. Es a Washington nel 21 si tiene una conferenza per il disarmo navale (cosa
controllabile, non possono essere nascosti). Ma non è con queste soluzioni che si riesce
a stabilizzare la situazione

Il vero punto critico di questa stabilizzazione è il dissidio tra Francia e Germania, che viene
appianato, si trova una formula per impedire che le cose si avvitino in una crisi irrisorvibile:
grazie a cambiamenti d governo nei due paesi.
Francia – accordo tra partiti di sinistra, ministro degli esteri Aristi de Brian, fautore del
primato francese in Europa ma con modalità diverse rispetto al presidente della repubblica
francese ultranazionalista Raimond Buancarè (che voleva imporre gli accordi sulla
Germania), Briann invece prende il conto la possibilità di negoziare.
Germania: Gustav Stresemann, nazionalista tedesco, rappresentante del partito tedesco
popolare che non aveva votato la costituzione di Weimar (votata dal partito liberale, social
democratici, cattolici del zentrum). I tedesco-popolari sono rappresentativi di un liberalismo
di destra piuttosto critico di Versailles, del cedimento tedesco, della pugnalata alla schiena
delle istituzioni tedesche del 18 ecc.., eppure una figura così si rende conto che la Germania
non può continuare nella linea di dire che non sono in grado di pagare e quindi di non
accettare l’effetto dei trattati, perché non può reagire militarmente, quindi vuole cercare di
negoziare l’accettazione dei punti che si possono accettare per avere la possibilità di
cambiarne altri.

Stresemann e Brian trovano un compromesso sulle riparazioni, favorito dal fatto che il
pagamento delle riparazioni è importante anche per la finanza degli USA (centro delle
finanze).
Il governo americano disinteressato ormai alla società delle nazioni, ma comunque
stabilizzare la situazione europea per gli interessi americani è solo favorevole, quindi crea il
Piano Daws: Daws, banchiere, elabora un piano per rateizzare e quindi rendere più
accettabili le riparazioni che la Germania doveva ai paesi vincitori e soprattutto alla Francia.
Elemento in più che Daws riesce ad aggiungere è dare l’assicurazione che se Francia e
Germania si fossero accordate, la finanza US poteva iniziare un percorso di investimenti
sull’economia tedesca per riportarla alle alte condizioni di produttività.
Meccanismo che sblocca la situazione
 Non gradito da tutti in Germania, es la destra tedesca, ma gran parte del paese viene
sollevata da queste ipotesi
Quindi il contemporaneo approccio dialogante del governo Stresemann, la delineazione del
piano Daws fermano la deriva dell’economia tedesca iniziata nel 23 con l’occupazione della
Rur, Stresemann emette un nuovo carco che cambia la valuta rispetto a quella che ormai
aveva perso valore con l’inflazione del 23 basato sulla garanzia di tutte le riserve e proprieta
dello stato (ragionamento teorico, la moneta funziona se le persone si fidano ad usarla):
questo nuovo marco incontra la fiducia del paese.
 L’economia tedesca si stabilizza, si cominciano a pagare le prime rate, SITUAZIONE
DI STABILITA.

STABILITA che arriva fino ai negoziati che portano alla conferenza di Loncarto del 25 in cui
il governo tedesco si spinge ad accettare il confine di Versailles, almeno quello occidentale.
Motivo: il confine più inaccettabile era quello orientale con la Polonia e l’implicito
ragionamento era stabilizzare la situazione con la Francia, dialogo, tenendosi aperta l’ipotesi
aperta di una revisione a est.

Stresemann morirà e non potrà continuare la sua strada politica e la sua linea, inaugurata tra
24 e 25, riguarderà tutta la seconda metà degli anni 20, con situazione molto più stabile.

Stati più rivoluzionari come Italia, Russia non creavano problemi di politica internazionale, il
modus vivendi franco-tedesco funzion, si crea un nuovo circuito economico liberista
internazionale che sembra riprendere il modello tra fine 800 e primi 900 (BELLE EPOQUE):
ritornano al gold standard quasi tutti – alcuni fanno un po’ fatica, tipo Italia – ma le economie
riprendono a funzionare grazie anche a un rapporto più organico con le istituzioni sociali.
Soprattutto si crea un circuito finanziario internazionale piuttosto stabile: il piano Daws fa
funzionare questo circuito perché la germania paga circa 2 miliardi di dollari in riparazioni ai
paesi alleati europei, i quali restituiscono questi soldi agli Usa che era il pagamento dei debiti
contratti per lo sforzo militare (che avevano suscitato sommosse tra la popolazione americana
che voleva i soldi dei prestiti, ma gli europei non avrebbero pagato finche non pagava la
germania).
Lo sblocco delle riparazioni sblocca il pagamento dei debiti e questo porta la finanza
statunitense (non dobbiamo pensare a un organo governativo, anche il piano Daws era stato
fatto da un banchiere privato appoggiato dal governo americano) a fare investimenti in
Germania, perché la Germania poteva essere la grande economia trainante dell’Europa
com’era stata prima della guerra.
 Quindi la finanza statunitense pensa di poter guadagnare su questi investimenti, era
una scelta di tipo liberista privato
Fino al 29 questo sistema funziona.

UNICO PROBLEMA: non c’è un centro politico perché la societa delle nazioni è stata
ridimensionata, non c’è nessuna grande potenza che si assuma questo ruolo perché il governo
americano nella logica isolazionista/unilaterale non vuole intervenire a garantire la stabilità
del sistema e la banca americana non può avere lo stesso ruolo stabilizzatore ultimo che
aveva avuto la banca inglese nell’800.

La stabilizzazione della seconda metà degli anni 20, fallisce alla fine del decennio a causa
dello scoppio di una crisi economica che nasce come una crisi piuttosto ricorrente
dell’esperienza del capitalismo internazionale, ma che diventa drammatica e radicale.
 Crisi del 1929, al suo scoppio era un fenomeno non nuovo all’interno dell’economia
capitalistica (sin dal 600-700 si succedono dei cicli in cui l’economia capitalistica
basata sul fatto che esistessero mercati dove si poteva fissare il prezzo dei beni
seconda la logica della domanda e dell’offerta, vedeva stagioni in cui il prezzo di
particolari beni saliva vertiginosamente perché tutti cercavano di comprarli e poi
improvvisamente crollava quando il prezzo era troppo alto e qualcuno cominciava a
vendere e questo trascinava una catena di vendite) => scoppio di una bolla speculativa:
accumulo di acquisti che fa aumentare il prezzo di beni e poi improvvisa caduta.
Borsa: mercato in cui si scambiano azioni, aveva già sperimentato episodi di questo, tipo nel
1873 o nel 1907 ma spesso si traducono in una redistribuzione di potere, chi perde viene
estromesso dal sistema e il capitalismo riprende la sua marcia.
Nel 1929, questa cosa non succede perchè la situazione degli USA è piuttosto particolare: dal
16 al 29 c’era stata un’ascesa dei titoli in borsa, c’era quindi un’euforia economica perché il
paese andava molto bene (produttivo, finanziario) e il governo aveva favorito questa crescita
con una politica di libertà per il business di funzionare. Sotto questa condizione di apparente
benessere, c’era una situazione economica complessiva più complicata, perché non si era
ancora consolidato un mercato di massa, c’erano grandi potenzialità produttive, ma
disuguaglianze di reddito, un’ampia quota di popolazione che non poteva permettersi
consumi capitalistici e questo a un certo punto da indicazioni critiche, colte da coloro che si
affacciano alla borsa e cominciano a vendere, così la bolla speculativa scoppia e in Ottobre
c’è un crollo di borsa.
 La liberalizzazione dei governi repubblicani degli anni 20 aveva indebolito le basi del
sistema, es banche non avevano vincoli a prestare denaro e quindi quando comincia a
invertirsi il ciclo (persone tolgono i propri risparmi dalle banche) le banche crollano
perché non hanno risorse sufficienti.
CRISI DEL SISTEMA FINANZIARIO – BANCARIO - PRODUTTIVO (perché era
cresciuto rapidamente senza avere un ampio mercato, non c’è una base di massa solida), con
fenomeno della disoccupazione di massa.
Si crea una stagnazione dell’economia: l’indice di borsa continua a crollare per molti mesi, e
quando arriva a livelli molto inferiori a quelli del 24 si riprende ma molto lentamente, poi
crolla ancora. Non è una ripresa solida.
Dal punto di vista dell’economia reale c’è questo peggioramento radicale e progressivo, nei
cui confronti le autorità sono incerte perché la vecchia politica liberista era quella di
affrontare le crisi lasciandole semplicemente finire (crisi percepite come momenti in cui gli
operatori incapaci sarebbero stati espulsi dal mercato a vantaggio di quelli capaci), ora questo
non era più possibile.
Il presidente Hoover, repubblicano eletto nel 28, non riesce ad affrontare la situazione, quindi
l’economia del paese più avanzato entra in questa stagione di drammatica recessione, con
effetto internazionale.
 USA era un paese che prestava denaro al mondo, tutti coloro che si erano esposti a
investimenti internazionali ritirato quei soldi e quindi esportano la crisi, facendo
ripiombare l’economia tedesca (ma non solo, quelli più legati agli USA soffrono di
più, quelli meno legati di meno) in una crisi.
Crisi anche dei paesi produttori di materie prime fuori dall’Europa: molti o coloniali o
comunque legato al circuito capitalistico internazionale dell’800 vivevano sull’esportazione
di beni dei paesi ricchi. Materie prime che iniziano ad essere non più richieste, quindi crisi
mondiale

Cambiano drasticamente anche le relazioni internazionali a causa di ciò:


- da una parte con rafforzamento dei nazionalismi (chiudono le frontiere, barriere
protezionistiche alle dogane, commercio internazionale crolla per permettere ognuno
alla propria industria di occupare il mercato).
- Ma il punto essenziale è che ogni singola grande potenza economica e politica non
può, al livello a cui erano arrivate le dinamiche tecnologiche, chiudersi
semplicemente nei propri confini: ogni grande paese ha bisogno di tenere un legame
con altre aree del mondo che funzionino da sbocco per le esportazioni e
approvvigionamento di materie prime.
 Quindi lungo tutta questa lunga crisi degli anni 30, tutti i grandi paesi cercando di
costruire o ristrutturare delle aree economiche chiuse attorno alla propria economia
nazionale. Si segmenta il mondo in “aree economiche imperiali”, aree economiche
guidate da un paese e chiuse al proprio esterno.
Es:
1. USA: per uscirne, Hoover (presidente) annaspa per alcuni anni, nel 1932 ci sono le
elezioni e vince il partito di opposizione, cioè i democratici con Roosvelt. Nel giro di
poche settimane lancia la sfida del “New Deal”, slogan che copre una serie di
politiche un po’ sperimentali diverse da quelle tradizionali secondo cui i governi
avrebbero dovuto far passare la crisi.
Si tratta di un intervento pubblico molto maggiore nell’economia per cercare di riattivare il
circuito di attività economica. Es Agricultural Adjustment Act, i ceti produttori contadini non
riescono ad avere redditi perché l’agricoltura meccanizzata produce talmente tanti beni a
prezzi bassi: intervengono comprando questi beni anche a prezzo di distruggerli.
Oppure: sostenere i salari operai affinche ricomincino a comprare quindi a far funzionare il
sistema, quindi designano i sindacati (sostegno esplicito del governo alle attività sindacali, la
vecchia politica non lo avrebbe mai fatto).
Oppure, per creare lavoro dove c’è disoccupazione il governo può assumere anche per lavori
pubblici (a volte anche inutili) per fargli avere un salario e riattivare il ciclo economico.

Tentativo che piano piano riesce a riattivare l’economia, accanto a ciò c’è l’idea di crearsi
un’area di influenza privilegiata: lancia una politica di buon vicinato in america latina, dove i
paesi continuano a usare il dollaro (uscito dal gold standard, dollaro non più convertibile,
vuol dire che il dollaro è utilizzabile solo a chi decide di utilizzarlo per gli scambi
internazionali), si crea un’area del dollaro – continente americano – chiusa, protezionista.

2. GB cede al protezionismo, novità. Sterlina sganciata dall’oro, aumentano barriere


doganali, cerca di creare un’area di influenza chiusa cioè l’impero e in più legame con
ex territori coloniali che avevano ottenuto indipendenza e che ora nel 1926 inizia a
chiamarsi Commonwealth of British Nations: legami commerciali privilegiati per
affrontare la crisi in modo congiunto. Da questo vincolo non riesce a ottenere gran
chè in termini strettamente economici, ma è il tentativo che fa di fronte a una
situazione così drammatica
3. Francia: sistema francese con alleanze dell’europa orientale con paesi soddisfatti, area
del franco il quale rimane legato all’oro per molti anni (fino al 36).
4. Unione Sovietica: abbastanza isolato, con scambi molto limitati. Di fronte alla crisi si
consolida la liedership di Stalin, che vince una dura guerra di successione impostando
il suo ragionamento politico sull’estremizzazione del socialismo politico in un solo
paese.
Trotzky, competitore, voleva tenere in piedi una rivoluzione socialistica mondiale, mentre
Stalin vuole consolidare l’unione sovietica come stato autoritario, anche dal punto di vista
economico rendendo drastica la pianificazione centralizzata, cioè il modo con cui i
bolsheviki traducono l’idea che l’economia socialista è un’economia collettiva, in cui non c’è
la proprietà privata: vuol dire che la proprietà di tutti i mezzi di produzione passa
formalmente allo stato, con sistema dei consigli dei proletari rimane alla base del sistema ma
chi decide è lo stato (cosa produrre in base alle esigenze del sistema).
 Non è un meccanismo inventato, prendono il meccanismo fondamentale del sistema
dall’esperienza della prima guerra mondiale, in particolare il sistema dello stato
maggiore tedesco che aveva cercato di gestire in modo efficiente l’economia tedesca
per lo sforzo militare fino al 18.
La pianificazione centralizzata è il tentativo di applicare il modello militare all’economia e
anche al sistema agricolo russo, che viene collettivizzato e ciò, a prezzi drammatici, permette
allo stato di estrarre risorse che vengono investite nell’industrializzazione (si parla di
industrializzazione forzata) per diventare un paese industriale moderno e poter competere con
il capitalismo.
Questo successo in parte c’è anche se a costi straordinari e con un uso della violenza
sproporzionato, alla fine degli anni 30 non è così debole com’era negli anni 20. Stalin fa
quest’operazione per mettersi in questo orizzonte di competitività.

I paesi che non hanno un’orizzonte di territori politici, consegnatogli dalla storia, cercano di
costruirselo con le armi,
es caso del Giappone: potenza dominante dell’estremo oriente, paese industriale moderno
negli anni 20-30 che però dipendeva molto dall’estero:materie prime che non possedeva
(tentativo della corea per controllare i giacimenti di carbone) ma aveva anche bisogno di
mercati di esportazioni dei propri beni.
Quando intorno al Giappone inizia a delinearsi questa segmentazione del mondo, vuol dire
che ad esempio la gomma della malesia comincia ad essere molto più costosa a causa di
vincoli imperiali.
La sensazione della classe dirigente giapponese è quindi quella di essere soffocati da questo
orizzonte problematico.
 Primo paese che dopo la grande crisi del 29 cerca di reagire anche con strumenti
militari.
Es crisi della Manciuria: regione di influenza a cavallo tra Cina e Russia, la russia l’aveva
controllata fino alla guerra con il Giappone del 1905, il Giappone poi l’aveva allontanata
prendendo un controllo informale di questa regione consolidata con i trattati a fine della
prima guerra mondiale. Ma nel 31l’esercito giapponese di sede locale sfrutta alcuni incidenti
legati al controllo della ferrovia che legava il nord e il sud della manciuria per interviene con
una occupazione militare: non ci si accontenta di un’influenza estera perché può sempre
diventare una cosa messa in dubbio a causa la chiusura delle aree economiche. Quindi
l’esercito giapponese occupa militarmente e viene istituito uno stato formalmente
indipendente (a capo un giovane sovrano erede della dinastia che aveva governato la Cina
fino alla rivoluzione repubblicana del 1911/12, ed è un’operazione che di fronte alla comunità
internazionale passa per un’azione aggressiva, finchè il Giappone abbandona la società e
avvia una politica che continuerà per tutti gli anni 30, perché dall’occupazione della
Manciutia si avvia questo processo di espansione a nord della Cina che nel 37 diventerà una
vera e propria operazione militare di espansione.

Germania, non ha un’area di influenza. la repubblica comincia a pensare di non avere più un
circuito internazionale favorevole intorno a se (si chiudono investimenti stranieri, la francia
cerca di far chiudere i rapporti con gli stati dell’est in rapporti agricoli con la Germania) e poi
c’è la drammatica crisi di disoccupazione, che porta a dissidi politici.
 La repubblica di Weimar è una repubblica democratica, ma dal 1930 in poi non si
riescono a creare maggioranze di governo stabili perché crescono voti verso partiti che
contrastavano la repubblica: da una parte il partito comunista (regole dettate da Stalin,
ma i partiti social-democratici che si presentano come eredi del socialismo ma non
seguono il modello sovietico in realtà sono allo stesso livello del fascismo, social-
fascisti, sono nemici non partiti vicini con cui si può collaborale), mentre sul fronte di
destra crescono i tedesco nazionali e crescono partiti polemici, come il partito nazional
socialista dei lavoratori tedeschi, guidato da un ex soldato della prima guerra
mondiale, cioè Adolf Hitler.
 Comincia a prendere sempre più voti su una battaglia polemica contro la repubbblica,
contro l’eredità della sconfitta della Prima guerra mondiale.
La Repubblica era stata congegnata in modo che, in caso di mancanza di una maggioranza
parlamentare, si accrescessero i poteri d’eccezione del presidente della repubblica: quindi dal
30 in poi non più maggioranza parlamentare, quindi si creano governi sulla fiducia del
presidente.
Dal 25 il presidente è Hindemburg, scelto come candidato in quella situazione di stabilità che
la Germania sembrava aver trovato perché rappresentava l’esponente dell’esercito che aveva
visto con sospetto la repubblica di Weimar, era rimasto alla tradizione dell’Impero della
Prussia.
Quando la repubblica entra in crisi, avere un presidente come Hindemburg è più predisposto
a dare sbocchi autoritari alla crisi.

La deriva che il sistema internazionale conosce è una deriva a segmentare il sistema in aree
economiche imperiali chiuse e contrapposte, ognuna guidata da una grande potenza. Quindi
tendenza a competizione che mette in discussione la cooperazione internazionale stabilita coi
trattati di pace di Parigi. Questo spiega di quello che sarà la deriva verso la guerra e come si
riprenderà dopo la guerra. Il che sarà legato a un giudizio critico su questa situazione degli
anni 30.

Effetti della crisi della repubblica di Weimar


Entra in questo circuito di difficolta dopo il 29 e si susseguono governi deboli di fiducia del
presidente, non si risponde bene alla crisi e la propaganda nazista comincia a dilagare. Nelle
elezioni del 32 il partito di Hitler diventa il primo partito al Reichstag, da un piccolo partito
estremista marginalizzato. Nella stagione confusa del dopoguerra Hitler aveva tentato un
colpo di mano in Baviera ed era fallito e quindi Hitler era stato imprigionato per alcuni anni.
In prigione aveva scritto la bozza del Main kampf, e quello che appunto sembrava un piccolo
partito diventa una forza dominante del panorama tedesco.
Come arriva Hitler? Sfrutta la propaganda polemica contro la repubblica legata ai fallimenti
economici del paese. La Germania tradita dagli stati ricchi del mondo che adesso si chiudono
nelle loro aree di influenza imperiali, sia da una classe dirigente interna debole che aveva
accettato l’umiliazione del 19. In questa propaganda lancia anche il messaggio
dell’antisemitismo: bisogna utilizzare la spada per uccidere i nemici della Germania. In parte
sono nemici interni (tra i nemici interni si sottolinea la presenza degli ebrei che per motivi
razziali sono esclusi dalla comunità di popolo tedesca e non a caso sono una classe dedita alla
finanza e agli affari internazionali che fanno gli interessi di questi ambienti contro quelli veri
del popolo) Per liberare l’aquila tedesca che deve uscire dalle sue catene e riprendere a
volare, bisogna sconfiggere i nemici internazionali e interni. Questo messaggio di un popolo
che si deve rilanciare prende piede nella situazione drammatica del paese: la promessa di un
riscatto che si basa anche su metodi già sperimentati da Mussolini in Italia, quindi
l’armamento di una milizia privata che cominica a combattere contro gli avversari politici, a
incendiare le sedi… non c’è solo un elemento democratico di battaglia delle idee, ma c’è un
intimidazione legata all’applicazione di metodi militari alla politica sul modello fascista che
Hitler sfrutta in modo efficace finché nel 33, di fronte a uno stallo del nuovo parlamento, il
maresciallo Hindenburg da l’incarico di cancelliere a Hitler.
Questo discorso è quindi legato al fatto che vi è un’ascesa al potere apparentemente legale,
legata a uno straordinario allargamento del consenso elettorale. questo è avvenuto in modo
diverso rispetto alla situazione italiana, dove Mussolini è stato chiamato a guidare un governo
di coalizione quando aveva poco più di un 5% in parlamento: Hitler è il rappresentante del
maggior partito politico in parlamento, ma non ha la maggioranza assoluta: la maggioranza
assoluta la ottiene col voto di altri partiti che in parte grazie a pressioni violente, in parte per
questo senso di crisi approvano la sua proposta di leggi eccezionali che danno tutti i poteri al
cancelliere.
Mussolini crea la dittatura durante un passaggio lungo e complicato di 5 anni di azione
politica, mentre Hitler la ottiene in pochi mesi
Egli acquista pieni poteri e mette fuori legge gli altri partiti, e lanci il messaggio “vi è una
nuova Germania” cambia l’assetto degli equilibri europei. Questa Germania diventa una
Germania che si basa su una rivendicazione nazionalista radicale. Hitler aveva già scritto nel
Main Kampf una strategia generale che rifletteva sulla sconfitta del 18 per capire come uscire
dalla situazione e identificava sostanzialmente tre passaggi:
1) Uscire dai vincoli di Versaile. Stabiliva che la Germania non poteva avere un esercito,
oltre ai vincoli di tipo finanziario. In realtà questi vengono a rientrare perché la crisi
spazza via anche quelli: nel 30 c’è il piano Yang ma le riparazioni vengono bloccate
perché si capisce che non c’è più un sistema che può reggere quel modello. Quindi è
più che altro un problema di limiti militari
2) Una volta usciti dai limiti militari di Versaile, riunificare i tedeschi all’interno dei
Reich: portare all’interno del Reich i territori abitati dalla popolazione tedesca.
Tedeschi: razza ariana dominante nel mondo, deve tradursi in una forza politica
consistente che si allarghi.
3) Una volta allargato il Reich bisognava lanciare la competizione per costruire lo spazio
vitale della razza ariano-tedesca verso est. Cioè verso quell’Europa slava e della
periferia dove abitavano le razze considerate inferiori. Quindi il dominio tedesco in
Europa arriva a questo obiettivo finale.

Hitler, che diventa il cancelliere nel 1933, disegna un grande progetto sovversivo rispetto agli
equilibri non solo di Versailles, ma degli equilibri europei.
Il problema è riuscirà a realizzarlo? Il realizzarlo si avvale situazione in Europa come
conseguenza della crisi. Hitler è abile nel gestire il progetto muovendosi in questo contesto.
I primi tre anni sono quelli in cui deve realizzare il primo obiettivo: uscire dai vincoli di
Versailles: per farlo c’è questa azione diplomatica che gli permette di distruggere sistema
francese, di inserirsi all’interno di una logica di scambio con molti altri paesi dell’europa
centro orientale, cercando di offrire soluzioni milioni di quelle che offriva la Francia (che dal
punto di vista finanziario erano significative ma che dal punto vista delle complementarità del
sistema economico no).
Quindi riesce a rilanciare l’attività economica interna tedesca grazie a un enorme
investimento pubblico basato su lavori pubblici, e da un sistema di infrastrutture costruito nei
limiti delle poche risorse -> logia del New Deal Roosevelt, investimento indebito per
rilanciare l’economia. Questo poi da a Hitler un forte consenso da parte della popolazione.
Es: costruzione di una rete autostradale, inserimento dello stato il alcune grande imprese
automobilistiche come la Volkswagen.
Questo porta a una ripresa industriale, mettiamoci anche degli ordini da parte del ministero di
difesa di armamenti al di là dei limiti legali del trattato di Versailles, e questo porta a cercare
di allargare l’influenza oltre ai propri confini, con anche l’offerta di uno scambio tra merci
imperiali tedesche e merci agricole dell’area mittel europea e balcanica.
 sgretolamento dell’influenza francese a oriente
Poi si passa a una politica che alterna offerte di distensioni e colpi di mano nella logica di
scalare le condizioni di debolezza dal punto di vista militare ed essere in grado di resistere
alle eventuali reazioni delle potenze vincitrici: il punto è riuscire ad armare il paese senza
scatenare una reazione militare nei paesi vincitori.

Nel 33 propone una sorta di patto a 4 con l’Italia, Francia, GB per una sorta di supervisione
europea al di fuori della Società delle Nazioni che sembra una specie di offerta di distensione,
ma di li a poco rilancia la leva obbligatoria, sfida agli equilibri di Versailles.
 Lancio una sfida, quando capisco che la sfida non ha creato una reazione distruttiva
offro una possibilità di distensione in modo da non aggravare le reazioni
Dal punto di vista dei vincitori, Gran Bretagna e Francia, la risposta non è semplice: intanto
vi è una divisione fin dal principio dei negoziati di pace: la GB aveva favorito un’ipotesi della
lenta reintroduzione Germania nel sistema, mentre Francia atteggiamento punitivo.
Gran Breagna normalizzazione rapporti finché Hitler non mantiene di essere aggressivo oltre
i confini attuali della germania avrebbe potuto essere possibile, mentre i francesi
immaginavano una linea più dura, ma dall’altra parte non immaginano a una reazione da soli:
l’idea della Germania che pagherà non aveva portato lontano.
Quindi divisione tra i due grandi vincitori e aggiungiamoci anche il terzo grande vincitore:
l’Italia, divisa da un divisionismo nascente che Mussolini sta cercando di coltivare dalla
Francia soprattutto.
Questa cosa si aggiunge al fatto che le opinioni pubbliche dei paesi democratici di Francia e
Gran Bretagna sono sempre meno favorevoli a una mobilitazione militare contro la Germia.
Si crea il clima dell’appeasement: pacificazione intesa in modo deteriore -> pacifichiamo la
minaccia tedesca senza intraprendere un’azione militare. L’appeasment ha ottenuto una
sfumatura polemica negli anni: molti hanno criticato la debolezza sotto a questa visione, ma
oggi alcuni studi rivalutano la cosa dicendo che poteva essere una strategia di tipo realistico
se avesse poi previsto una possibilità di mettere dei limiti a questa normalizzazione delle
condizioni militari tedesche

Ma Hitler ha già in mente il secondo passaggio: il rilancio militare è legato alla necessità
espansionistica; quindi, trovare risorse anche all’eterno per rilanciare l’economia.
Tema della riunificazione con l’austria: dell’Austria era più che altro importante Vienna, una
piazza finanziaria erede del ruolo di capitale asburgica: idea acquisire risorse della banca
centrale viennese stuzzica le mire espansionistiche del dittatore. Hitler riconosce un debito
all’esperimento di Mussolini: il nazional socialismo si ispirava per qualche aspetto
all’esperienza fascista italiana.
I primi rapporti tra i due paesi non sono però molto solidali perché li divideva il tema
austriaco. Mussolini ha una vicinanza col regime semi-autoritario che si è stabilito in Austria
nei primi anni 30, regime nazionalistico antitedesco.
In Austria nel 18 l’assemblea costituente aveva votato per l’annessione alla Germania, ma nel
33 c’è meno simpatia e siccome i nazisti austriaci (piccolo partito di minoranza) tentano di
fare un colpo di mano nel 34 (tra l’altro con l’uccisione del cancelliere cattolico molto in
simpatia con il regime fascista italiano), Mussolini si oppone apertamente con Hitler e
minaccia che se i colpo di mano dei nazisti-austriaci avesse portato all’invasione tedesca
questo avrebbe mobilitato le truppe italiane.
 Salvaguardare l’indipendenza dell’Austria come una specie di stato cuscinetto con la
grande Germania in cui l’Italia si illudeva di avere influenza politico-ideologica.

Quindi c’è vicinanza ideologica, ma non solidarietà internazionale, perché questa si scontrava
con il fatto che due regimi nazionalisti avevano mete contrapposte tra loro. Quindi un blocco
nazi fascista non si costituisce subito, ma solo lentamente.

Ma tra 33 e 36 Hitler persegue in modo tattico la dinamica (colpi di mano – distensioni –


tentativi di cambiare gli equilibri in Europa), dopo il 35/36 la crisi europea si aggrava.
Il logoramento della linea francese è evidente dalla scelta dei governi di immaginarsi una
guerra con la Germania basata sulla necessità di costruire una linea difensiva sul confine, che
poi sarà inutile nella 2GM, ma concentrando le esigenze su questo portaerà a rendere ancora
più debole l’influenza francese sui paesi dell’est.
 Per tenerli amici bisognava anche investire in questi, con almeno un sostegno
finanziario che invece viene concentrato su uno sforzo difensivo poco lungimiranti

È vero che dopo il 34/35 c’è una cauta revisione sovietica: la minaccia costruita dal successo
di Hitler in Germania smuove qualcosa nella politica di Stalin: vede il partito comunista
spazzato via in Germania e pensa che la strategia del social-fascismo sia stata efficiente,
isolare partito comunista lo aveva indebolito.
Stalin comincia a intraprendere una correzione di questa linea che fa parlare all’unione
sovietica sempre più apertamente dell’idea di una sicurezza collettiva, fa chiedere un ingresso
alla società delle nazioni che alla fine approva, fa costituire nuove alleanze tra partiti
comunisti europei e partiti di sinistra liberale in vari paesi. Stalin non avrebbe mai detto:
abbiamo sbagliato in passato, ma impara dalla storia e coregge la sua linea.
1935: patto franco-sovietico che sembrerebbe un aiuto reciproco nel fermare una potenziale
minaccia tedesca, ricordando l’alleanza franco-russo degli anni 90 di fronte alla Weltpolitik
dell’impero guglielmino.
il patto del 35 assomiglia al precedente, ma è molto più fragile perché non ha quell’elemento
di garanzia militare reciproca.
Però il fatto che l’unione sovietica entri nel sistema è importante perché potrebbe consolidare
il sistema in chiave di isolamento della minaccia hitleriana.
Quello che però da una sponda alla minaccia di Hitler è la politica di Mussolini.
Nel 1936 c’è una svolta in questo senso
 Mussolini è alla ricerca di un revisionismo ma aveva rinviato il momento in cui
acquisire vantaggi, e nel frattempo si era stabilizzato su fatti interni. Dopo gli anni
della conquista del potere, gli anni dal 35 possono chiamarsi gli “anni del consenso”,
cioè gli anni della stabilità in cui avevano accettato un compromesso con il regime.
Quindi stabile sul piano interno si avvicina l’idea di poter ottenere qualcosa sul piano
internazionale: Hitler gli da un’opportunità
Come successo del 1934 che Hitler si è opposto all’Anschluss dell’Austria, Mussolini intende
rivolgersi a francesi e inglesi, eredi dei vittoriosi alleati della guerra, dicendogli di essere
disponibile a continuare a svolgere una funzione di contenimento della minaccia nazista
tedesca, a patto che riconoscessero qualche vantaggio all’Italia fondamentalmente sul terreno
imperiale.
Si era ispirato all’idea dei nuovi imperi economici che stavano nascendo nel mondo, era
legato a questa idea di prestigio per cui il fallimento della vecchia Italia liberale per
conquistarsi una fetta in Africa doveva essere risanato, e quindi aveva volto la sua attenzione
all’Etiopia, stato indipendente, uno dei pochi che si era sottratto all’imperialismo europeo,
proprio perchè l’Italia aveva fallito la sua conquista nel 1896.
 Quindi dalle basi coloniali italiane: Somalia a sud ed Eritrea a nord, immagina di
potersi inserire in Etiopia, negoziando con Francia e GB un riconoscimento di un
protettorato italiano.
All’inizio del 1935 ci sono dei negoziati che sembrano riconoscere questa cosa all’Italia, su
ciò che non potevano cedere era la sovranità etiope e dell’imperatore Selassiè, poiché era uno
stato indipendente della società delle nazioni quindi avrebbe voluto dire far fallire tutta
l’operazione della società delle nazioni
Mussolini sembra anche disposto a fare un negoziato di questo tipo, ma quando i negoziati
vengono resi pubblici, vi è una sollevazione dell’opinione pubblica colta dei partiti sia in
Francia che in Gran Bretagna che rende impossibile questo compromesso.
Allora Mussolini deluso decide di portare avanti l’occupazione militare: dicendo Francesi e
inglesi la accetteranno perché hanno bisogno di me per frenare Hitler. Quindi vi è alla fine
del 1935 questo attacco militare in Etiopia: uso di gas proibiti dalla società delle nazioni e
operazione di una forza inaudita.
Quindi vi è un’operazione drastica e tragica, e alla fine mussolini proclama la rinascita
dell’impero sui colli fatali di Roma nel 1936, ma l’effetto di questa cosa è
1. la reazione della società delle nazioni ma che è blanda: Francia e GB guidano le
sanzioni economiche all’Italia ma blande, concepite per evitare una rottura: l’italia era
fortemente dipendente dall’importazione di petrolio, e si poteva soffocare il regime di
mussolini imponendo un imbrago sulle forniture, ma invece viene imposto su tante
altre merci ma non sul petrolio (vogliono tenere uno spazio di negoziato aperto).
Mussolini però lancia l’idea ambiziosamente nazionalistica dicendo: noi ci ribelliamo alle
sanzioni con la nostra capacità di autarchico economica e questo gli da uno spazio di
consenso interno di cui lui è molto soddisfatto.
Hitler coglie questa frattura tra il fronte dei vincitori che lo limitava e ne approfitta per fare
l’ultimo gesto di rottura con Versailles: porta le truppe a rioccupare la Renania, che a norma
di trattati doveva rimanere smilitarizzata.
 Sfida aprta al trattato, pensa di essere arrivato a un livello di riarmo nascosto
sufficiente per opporsi all’eventuale reazione alleata che però non c’è.
E non c’è la reazione alleata, anche perché Mussolini ha rotto il fronte.
Quindi di fronte all’episodio della guerra di Etiopia la dinamica verso un peggioramento delle
condizioni si aggrava.
Mussolini si sente sempre più forte e capace di fare a meno della Francia e della Gran
Bretagna e proclama un nuovo asse. L’asse Roma-Berlino, della collaborazione ormai
esplicita tra le due dittature fasciste, di segno ultranazionalista di destra.
Non è un’alleanza ineluttabile, precoce, ma che si comincia saldare nel 36 perchè
l’espressione asse è vaga ma tra 36 e il 39 la saldatura diventerà sempre più forte e porterà a
una radicalizzazione della situazione europea.

23.11
Ripasso
Abbiamo riflettuto sulla vicenda del sistema internazionale dopo la 1gM raccontando il
tentativo di stabilizzazione della seconda metà degli anni 20 affidato a una ripresa del
meccanismo di libero mercato che stabilizzo la situazione franco-tedesca, ma si scontrò con
la grande crisi del 29. Questo è un passaggio cruciale sia all’interno della gran parte dei paesi
europei, ma non solo: parte dagli USA, ma è importante anche per gli effetti sul quadro
internazionale. Innesca un processo che porta alle grandi potenze a cercare di costruirsi aree
di influenza politico-economiche chiuse e competitive. Quindi il sistema illuso di essere
tornato a un livello di integrazione secondo i modelli ottocenteschi, in realtà si segmenta in
pezzi collegati ciascuno all’influenza di una grande potenza.
E le potenze che si trovano oggettivamente o soggettivamente (da un punto di vista reale o
per la percezione della propria classe dirigente) sfavorite da questa situazione vengono tentate
di costruirsi questa area di influenza con le armi.
Il processo che Hitler mette in campo è il tentativo di ricostituire una sorta di indipendenza e
poi un primato tedesco in Europa che a metà anni 30 porta alla prima fase: liberazione dai
vincoli di Versailles.

Parliamo della tendenza dopo il 35/36 a un peggioramento dei rapporti in Europa che fa
parlare del rischio di una nuova guerra, nonostante le potenze occidentali facessero di tutto
per evitarla.
L’esito dell’isolamento dell’Italia fascista dopo la conquista dell’Etiopia costituisce
l’avvicinamento alla Germania con l’asse Roma-Berlino, non scontato (all’inizio le politiche
estere dell’Italia e della Germania era contrapposte essendo ambedue nazionalistiche). Ma i
limiti dello scontro sull’Austria vengono superati e l’asse diventa un novità della politica
europea, che sembra portare a una prospettiva di uno scontro tra le potenze totalitarie di
destra nazifasciste e, diciamo, gli antifascismi. L’antifascismo era per definizione una realtà
pluralistica (c’erano antifascismi di diversa origine), ma la convergenza italo-tedesca sembra
portare a un avvicinamento di tutti gli antifascismi.
Per esempio, la revisione della politica sovietica: Stalin non mette più sullo stesso piano i
non-comunisti perché capisce che il pericolo nazista è più rilevante degli altri. Ma questa
situazione si sviluppa con grande incertezza.

Il momento in cui diventa più evidente questo scontro sembra essere l’estate del 36 con la
Guerra Civile spagnola.
La guerra civile spagnola
Cosa succede? Non abbiamo detto granché della Spagna, ma dobbiamo ricordare che la sua
era stata una storia turbolenta: si tratta di un paese grande d’Europa ma che poi passa ad
essere un po’la periferia dello sviluppo industriale.
Nel 31 vede una rivoluzione che porta al crollo della monarchia e poi l’ instaurazione di un
repubblica in cui la polarizzazione interna cresce finché nel 36, in un clima teso e violento,
vince le elezioni un fronte popolare delle sinistre, formato da: liberali progressisti, radicali,
socialisti e anche comunisti (in piccola parte).
 Frutto della revisione staliniana, anche in Francia vince le elezioni un cartello delle
sinistre che si ispira alla logica del fronte popolare.

Ma, in Spagna vi è una sollevazione militare, che non accettano questa vittoria (vicenda già
successa nella storia del paese ma stavolta è più drammatica): la sollevazione militare porta a
un tentativo di conquistare il potere che all’inizio non riesce. Franco, che diventa il capo dei
ribelli nazionalisti contro governo repubblicano, porta le truppe dal Marocco spagnolo in
Spagna, ma non c’è una vittoria immediata dei golpisti e si viene a creare una situazione di
scontro duraturo.
La guerra dura tre anni e diventa la prova dello schieramento europeo:
- nazionalisti ribelli sostenuti dalla Germania e soprattutto dall’Italia: Hitler manderà
delle truppe soprattutto forze aeree (per sperimentare modalità nuove di guerra –
Guernica). Mussolini manda molti volontari a sostenere i nazionalisti.
- La repubblica ha il sostegno delle forze antifasciste europee: è prudente da parte del
governo britannico, che vorrebbe una linea di neutralità, un po’ più impegnato da
parte sovietica (che favorisce la parte comunista, quindi viene vista un po’ con
sospetto dagli altri), mentre il governo francese di fronte popolare si barcamena, non
interviene direttamente, fa una politica di sostegno indiretto alla repubblica
Però il quadro sembra ormai di questo tipo: scontro fascismi e antifascismi. Alla fine, anche
grazie all’intervento italo-tedesco le truppe di Franco nel 39 vincono la guerra civile e questa
sarà una conferma del successo fascita in Europa, anche se Franco farà una politica
nazionalista piuttosto anche tatticamente abile di appoggio fino a un certo punto sulla guida
nazista dell’Europa che si profilava.

Però, questa tendenza da un ulteriore slancio al revisionismo di Hitler e nel 38 comincia la


sua politica di colpi di mano territoriali per cambiare i confini (era il 2 passaggio, riportare
tutti i tedeschi ai confini del Reich).
La prima era la questione austriaca: nel 34 tentativo fallito di Anschluss e nel 38 si riprende,
con meccanismo poi usato anche nel caso cecoslovacco e polacco, cioè Hitler finanzia un
partito nazista locale che solleva il problema contro i governi locali, crea una situazione
insostenibile di protesta contro i governi che non vogliono rispettare i diritti nazionali dei
tedeschi, e sull’onda di questa protesta promette l’intervento esterno di truppe tedesche per
riportare la pace ottenendo il risultato che si propone. Nel marzo del 38 la situazione riguarda
l’Austria, la pressione interna fa indebolire il governo di Vienna ancora contrario
all’annessione, anche vista dalle democrazie occidentali come una cosa che non si poteva
rimandare perché Versailles aveva promesso il discorso del rispetto del principio di
nazionalità: quindi trionfalmente le truppe tedesche entrano in Austria.

Dopo sei mesi, la situazione passa alla Cecoslovacchia: nella regione di confine, cioè la
regione dei sudeti, c’era una popolazione di lingua tedesca, che non era mai stata sotto il
controllo Germania (era una regione austriaca fino alla guerra), ma anche li un partito nazista
si attrezza, polemizza contro Praga chiede il rispetto del principio di nazionalità e Hitler è
disposto a mandare truppe per aiutarli.
Qui la cosa è complicata: il governo di Praga fa appello agli occidentali e vi è una minaccia
da parte occidentale
 Tedeschi, se intervenite rischiate di far scoppiare una guerra europea
Non è una minaccia così determinata ma basta per far preoccupare Hitler, quindi si Muove
mussolini che propone una conferenza europea per risolvere il problema (meccanismo che
sembrerebbe quasi ottocentesco)

Gli occidentali accettano ma questa conferenza è condizionata da Hitler: invita tutti a


Monaco, cioè italiani che hanno fatto la proposta, il governo tedesco, il governo inglese e
francese, il governo di Praga non lo si invita: la debolezza occidentale è che accetta questa
cosa, anche il governo sovietico non viene invitato.
Allora capiamo che la conferenza di Monaco è tipica di questa situazione: per non peggiorare
le condizioni europee gli occidentali accettano una posizione di Hitler imperialista perché la
logica che lui promette è che questa sarà l’ultima cosa che chiederà e poi contribuirà alla
stabilità e alla pace europea: cosa poco credibile ma per evitare di mettere in discussione
l’equilibrio europeo, le potenze occidentali accettano questa cessione di sovranità sui Sudeti
alla Germania, la Cecoslovacchia
viene smembrata perché la slovacchia vede un governo nazionalista autoritario filofascista
che prende il controllo della situazione staccandosi dal governo di Praga, la Boemia e la
Moravia resteranno indipendenti ma ancora per pochi mesi: nella primavera del 39 Hitler le
ridurrà in una sorta di protettorato.
Il terzo caso in prospettiva è la situazione polacca: vedeva molti tedeschi in questa zona di
confine (minoranza nel momento dei trattati del 1919). c’era questa situazione incerta di
Danzica: città tedesca che stava tra Prussia orientale e occidentale, dividendo in due il
territorio polacco perché era stato creato questo corridoio per dare alla Polonia uno sbocco al
mare: questa situazione viene messa sotto fuoco della polemica Hitleriana perché non rispetta
i tedeschi, agitazione del partito nazista locale.
A questo punto le potenze occidentali la immaginano come una sfida radicale e vi è un
passaggio importante per lo scoppio della guerra: decisione del governo inglese e francese di
dare una garanzia al governo polacco, cioè in caso di minaccia all’integrità territoriale della
Polonia, Francia e GB dichiareranno guerra.
La minaccia è più credibile e solida anche se Hitler pensa ancora che non succederà niente
perché le potenze occidentali siano deboli, anche nonostante pressioni più forti sul caso
polacco.

La questione polacca è quindi decisiva su cui si confronta il quadro dell’estate del 39. Qual è
il punto che porterà allo scoppio della guerra? È che la garanzia alla Polonia fa pensare a
Hitler al rischio di una guerra europea, e rispetto alla riflessione sulla 1GM pensa che non sia
il caso che questa guerra europea sia ancora come nel 14 una guerra su due fronti: quindi si
rivolge all’Unione Sovietica promettendo a Stalin un patto di non aggressione e una
spartizione dell’influenza nell’est Europa. Questo avrebbe tenuto pacifico il rapporto all’est e
permesso alla Germania nazista di affrontare le democrazie occidentali nel caso avessero
veramente portato a fondo l’idea della garanzia alla Polonia.
Stalin è un cinico realista: si fa tentare da questa offerta di Hitler perché anche lui non si fida
degli occidentali. Un po’ perché ha la sindrome di accerchiamento dello stato socialista che
era stato minacciato nella guerra civile anche dagli interventi occidentali, un po’ perché ha
visto cos’è successo negli ultimi anni (caso di Monaco). Non è che l’unione sovietica sia stata
molto coinvolta nonostante l’adesione alla Società delle Nazioni, la volontà di fare una
politica di sicurezza collettiva, gli occidentali l’hanno tenuta al margine. Quindi quando una
missione occidentale va a Mosca dicendo che bisognava opporsi all’ipotetico assalto
hitleriano alla Polonia, Stalin risponde che allora è necessario far entrare delle truppe
sovietiche per contrastare una minaccia nazista
 Il governo polacco non voleva l’unione sovietica sul suo territorio, nonostante era
ovvio che inglesi e francesi non avevano nessuna possibilità e voglia di mandare le
proprie truppe sul suolo polacco
Quindi quando gli occidentali dicono a Stalin non possiamo convincere Varsavia, è un altro
elemento che da a Stalin la convinzione che non avessero questa determinazione di
combattere Hitler e che volevano lasciare da sola l’unione sovietica in una guerra contro
Hitler per combattere i due totalitarismi.

Questo è il grosso della motivazione per cui Stalin accetta la proposta di Hitler con il patto
Ribbentrop-Molotov del 1939. Pubblicamente un accordo di non aggressione ma sotto sotto
vi era un protocollo segreto di spartizione del sud est europeo.

La spartizione della Polonia è quello che avverrà esattamente allo scoppio della guerra: Il 1°
settembre del 39 le truppe tedesche entrano il Polonia e questo porta alla dichiarazione di
guerra degli occidentali: Inghilterra e Francia dichiarano guerra alla Germania.

La prima parte della guerra è semplicemente portata all’occupazione tedesca della Polonia e
alla spartizione con la URSS che manda delle truppe per entrare ad Oriente (guerra russo-
polacca nel 20/21, riprendono quella fascia che era stata storicamente zarista dalla fine del
700)

Inglesi e francesi non hanno né la possibilità né la volontà di contrastare: l’atteggiamento


francese era stato più che altro difensivo, con costruzione di una linea fortificata al confine.
Per 6 mesi la guerra resta bloccata in tutto l’inverno del 39/40.

Sembra essere una guerra tradizionale per l’egemonia, una specie di ripresa dello scontro
14/18. Apparentemente è questo, il patto Ribbentrop Moltov ha tenuto fuori l’unione
sovietica, gli USA fanno ancora una politica di neutralità, Roosevelt ha delineato negli anni
30 una politica unilaterale: di suo era più legato a una posizione internazionalista, però si
rende conto che il paese non è maturo per questo, il congresso americano addirittura nel
1935/36 vota delle leggi per una neutralità permanente, quindi rimane fuori dalla guerra
europea, una guerra continentale di democrazie contro lo stato nazista tedesco.
Certamente c’è sotto l’orizzonte maturato nella 1GM di una guerra civile europea, di uno
scontro sempre più totalizzante in questo caso con un elemento ideologico in più. Quello che
sembrava essere uno scontro tra fascismi e antifascismi non è così perché la scelta di Stalin
del 1939 crea una dura crisi all’interno dello schieramento antifascista, perchè ancora una
volta i comunisti si isolano in tutti i paesi perché la potenza guida sovietica aveva detto di
essere neutrale nella guerra europea.

Ma nella primavera del 40 la guerra diventa una cosa ben diversa. Perché? Perché le
condizioni militari non sono più quelle del 18: la situazione è cambiata e non è una guerra di
logoramento e di trincea, ma diventa una guerra di movimento più accentuata. La grande
innovazione è duplice:
1) Motorizzazione degli eserciti, che nel 14/18 era ancora molto iniziale. Le grandi
colonne corazzate, ovvero i carri armati permettono uno spostamento rapidissimo
degli eserciti e se si sfondano le linee del fronte la guerra diventa di nuovo una guerra
di movimento
2) Si aggiunge l’uso tattico dell’aviazione, esattamente quello che Hitler aveva
sperimentato nella guerra civile spagnola.

La Prima Guerra Mondiale era diventata una guerra di trincea perché c’era stata prevalenza
delle difese sugli attacchi, nel 39 le cose erano cambiate.
Nel 40 Hitler lancia questa grande offensiva dopo aver occupato la Norvegia per impedire
agli inglesi di fare operazioni diversive nell’area scandinava, Hitler lancia un’offensiva verso
il fronte francese aggirando la linea Magineau costruita dai francesi tra il Belgio e l’Olanda e
qui però si sfondano le linee: nel giro di pochi mesi l’esercito francese crolla, quello inglese
si ritira con la faccenda di Danquirq.
E il governo francese nel giro di poche settimane è costretto a chiedere un armistizio, nel
giugno del 1940.
La vittoria schiacciante che Hitler sta ottenendo sul fronte francese convince Mussolini che è
arrivato il momento di entrare in guerra. Mussolini nell’agosto del 39 aveva stretto un patto
d’acciaio, ma aveva anche continuamente ottenuto da Hitler un ragionamento per cui la
guerra europea sarebbe arrivata di lì a 3-4 anni: quando invece Hitler precipita le cose sulla
questione polacca, Mussolini all’inizio proclama nell’agosto del 1939 la non belligeranza
(garantisco a Hitler che siamo alleati ma non entro in guerra) perché non era pronto per una
guerra.
Entra invece nel 40 perché ormai sembra che il crollo francese possa portare alla
realizzazione effettiva di questo nuovo ordine nazista in Europea (Spagna neutrale ma
filofascista, la Svezia è neutrale ma permette la vendita del ferro svedese in Germania che ne
aveva bisogno, la Turchia è neutrale ma con una posizione simpatetica verso l’asse)
Cosa fa Mussolini quando entra in guerra? Comincia a ragionare sulla possibilità di una
guerra parallela per ottenere un’area di influenza italiana nel Mediterraneo e nei Balcani
(ambiziosa logica imperiale collegata all’idea che tutte le grandi potenze hanno un’area di
influenza). Ma peccato che l’Italia aveva strumenti limitati per costruirsela
 La prima cosa che fa è quasi antiproducente, ossia lancia dall’Albania, annessa nel 39,
un attacco alla Grecia. Ma l’attacco non riesce a sfondare, fatto sta che bisogna
aspettare la primavera del 41 perché truppe tedesche arrivino in aiuto in Grecia
smembrando lo stato jugoslavo e riportando i Balcani sotto un controllo dell’asse.
Ricordiamo che in quest’area c’erano stati che non erano rimasti soddisfatti
dell’assetto di Versailles: ungheria si schiera dalla parte del fronte filotedesco, così
come la Bulgaria, lo stesso governo rumeno malgrado fosse soddisfarro si allerà con
l’asse.
La Jugoslavia viene quindi smembrata, la Croazia viene occupata dagli italiani, resterà un
piccolo stato serbo isolato.
E l’Europa nel 41 è ormai sotto al controllo nazi-fascista, quasi pare che lo spazio vitale
tedesco si sia realizzato.
Resta la resistenza britannica: per Hitler il regno unito non poteva neanche essere considerato
un nemico assoluto. L’idea di Hitler è che la GB aveva un’impero e che quindi dovessero
occuparsi di ciò, mentre loro controllavano il continente

Il delfino di Hitler fa un volo segreto in GB alcuni dicono per trattare un compromesso con
la Gran Bretagna. In realtà Churchill, conservatore e gran difensore dell’impero britannico
arriva ad un governo deciso a portare avanti la guerra alla potenza nazista in Europa. Hitler
tenta un’invasione della GB che viene respinta e quindi la GB rimane un ostacolo.
Dall’altra parte abbiamo il gigante sovietiche fino al 41 legato al patto.
Stalin nonostante abbia informazioni che Hitler non voleva tenere questa situazione di stallo
per grande tempo, non fa niente per prepararsi alla guerra, mentre Hitler comincia a pensare
che all’ombra della neutralità l’Unione Sovietica possa diventare un ostacolo sempre
maggiore e quindi prepara un’aggressione all’unione sovietica.
Dall’altra parte gli Stati Uniti sono neutrali. Ma la neutralità di Roosevelt è legata al fatto che
il paese non sia pronto, ma d’altra parte pensa di non poter accettare la linea strategica che è
la divisione del mondo in grandi imperi militari, non possono rimanere esclusi dall’Europa
sotto il controllo nazista: per il momento ciò che possono fare è aiutare la resistenza
britannica. Quindi non è una neutralità assoluta e imparziale come aveva cercato di essere
quella di Wilson nel 14 fino alla questione sottomarina e della libertà di commercio con la
Germania.
Quindi vi è un approccio molto più contrapposto alla Germania. Nel 40 Roosvelt approva una
legge affitti e prestiti: il presidente americano ha la facoltà di affittare e prestare materiali
militare ai paesi ritenuti fondamentali per la sicurezza gli Stati Uniti. Quindi vi è un sostegno
indiretto di sostentamenti economico militari alla Gran Bretagna.
Nel 1941 Churchill e Roosvelt firmano la carta atlantica: dichiarazione dei principi in
comune sul futuro contrario a tutte le restrizioni di tipo economico, quindi con grande
opposizione al controllo nazista.

Sotto a questo controllo nazista, in molti paesi si realizzano governi di nazionalismi


subalterni, cioè nazionalismi che accettano egemonia nazista cercando di far collocare il
proprio paese in una situazione favorevole all’interno di questo mondo.
Si parla di governi di tipo Grizzling: funzionario norvegese che quando i tedeschi occupano
la Norvegia nel 40 forma un governo collaborazionista; quindi, per esempio in Francia
quando si fa l’armistizio, la Francia è divisa in due perché:
- La parte nord (militarmente importante nello scontro con la Gran Bretagna) viene
occupata completamente dalla potenza tedesca
- La parte sud rimane in mano a un governo francese, che però è un governo
collaborazionista, che deve fare i conti con questa superiorità tedesca, è in mano ad
alcuni dirigenti militari francesi conservatori che formano il cosiddetto Regime di
Vichy: tenta di proteggere la nazionalità francese ma a prezzo di un compromesso
forte con Hitler (così come succede a est).

L’idea del collaborazionismo è l’idea di nazionalismi subalterni che accettano l’egemonia


nazista pur di ritagliarsi uno spazio per le proprie piccole rivendicazioni. Questo porta alla
logica di una guerra civile europea: la civiltà europea divisa da nazionalismo nazifascista
contrapposto a quello di fronti antifascisti più o meno fragili che cercano di collegarsi tra
loro.
 Una resistenza contro il fronte fascista è molto difficile fino al 41, ma proprio in
questo anno le cose inizieranno a cambiare
La situazione dell’estate del 41 sembra che sia arrivata un certo sviluppo ma non conclusione,
nonostante il dilagare delle truppe naziste in Europa, resisteva una condizione di possibile
alternativa al nuovo ordine nazista.
Questa situazione cambia tra l’estate e la fine del 41 stesso:
cambia non tanto per un’iniziativa delle forte antinaziste ma per una duplice decisione presa
nell’alleanza tra le potenze totalitarie di destra. Nel 40 queste potenze: Italia, Gippone e
Germania avevano stretto un patto tripartito, uno sviluppo del patto anticomintern (cioè
contro la internazionale comunista già firmato nel 37): vi era quindi questa sorta di solidarietà
ideologica evidente tra nazismo, fascismo e militarismo giapponese e una sorta di promessa
di collaborazione all’interno di un ripensamento del mondo in cui ciascuno voleva costituire
la propria grande area di influenza. Quello che succede nel 41 è che Germania e Giappone (le
due potenze più significative, Italia ruolo faticoso e marginale) fanno delle scelte che
diventano appunto decisive per l’orientamento della guerra.
1) La prima è la scelta di Hitler di mettere fine al patto di non aggressione con l’URSS e
di lanciare un’invasione dell’Unione Sovietica, ossia la cosiddetta operazione
Barbarossa avviata nel giugno del 41.
Era stata preparats qualche mese prima poi nel 41 c’era stata la vicenda balcanica
dell’aggressione italiana alla Grecia, e questo aveva ritardato di qualche settimana il lancio
dell’aggressione.
Questo attacco avviene su tutto il confine dal Mar Nero a Mal Baltico e ha tre direttrici
importante: una a nord per arrivare a Leningrado, vecchia capitale san Pietroburgo
ribattezzata dai comunisti sovietici, un’altra è Mosca (capitale attuale) e la terza,
strategicamente più importante è a sud per conquistare l’Ucraina e arrivare al Caucaso dove
vi erano pozzi petroliferi legati al Mar Caspio.
Il problema dei rifornimenti petroliferi era uno dei problemi della fortezza di Hitler, gli
approvigionamenti erano difficili.
Perché proprio nel giugno del 41 Hitler rompe l’alleanza? Era difficile da risolvere la guerra
in occidente e Hitler pensa che dietro allo scherno del patto Stalin potesse rafforzarsi
militarmente rendendo la guerra ancora più complicata.
L’idea è che con un’aggressione e un esercito mobilitato ampio si possa ottenere un crollo
vicino dell’URSS.
All’inizio la risposta di Stalin è difficile, e per qualche settimane tutto sembra andare nella
direzione immaginata da Hitler, e quindi vi è davvero uno sfondamento del fronte e una
capacità delle truppe tedesche a invadere molto in profondita: si arriverà ad assediare
Leningrado, si arriverà non lontani da Mosca e ad occupare gran parte dell’Ucraina (questo
entro l’inverno 41 e 42). Poi l’offensiva continua ma rallentata dal fatto che la resistenza
sovietica si organizza: Stalin riesce a fare un’operazione di spostamento di alcune grandi
industrie militari al di là degli Urali, per proteggerle anche dai bombardamenti tedeschi e c’è
un lento riequilibrio, una lenta capacità sovietica di rispondere all’aggressione
Questo però dal punto di vista del tripartito avrebbe dovuto comportare che iniziativa doveva
essere sostenuta anche dai giapponesi. Hitler però la lancia in modo unilaterale, non
concordandola molto con l’alleato giapponese (politica ultranazionalista)
Quindi i giapponesi che potevano aiutare le truppe, mandando delle truppe ad esempio in
Siberia, quindi costringendo Stalin a dividere quello che era già un esercito in condizioni di
difficoltà (tra l’altro l’esercito sovietico aveva ottenuto grandi risorse nell’operazione di
militarizzazione forzata che Stalin aveva messo in campo, ma aveva conosciuto anche
difficoltà di vertice perché la stagione delle grandi purghe interne al partito aveva toccato
molti dei dirigenti più esperti.
Dopo il 37 Stalin aveva lanciato un irrigidimento del controllo poliziesco anche paranoico e
questo aveva toccato l’esercito, in condizioni di fragilità nel 40-41)
Ma i Giapponesi nel giro di qualche mese fanno scelta diversa. Discutono l’opzione di un
attacco a oriente per sostenere i nazisti, ma poi prevale l’impostazione diversa sostenuta dalla
marina che vede come primo grande nemico non l’unione sovietica ma gli USA perché la
politica americana di embargo commerciale (di limitazione dei rapporti economici) era
proseguita e si era intensificata quando i giapponesi avevano iniziato a occupare le ex colonie
francesi in Indocina dopo la sconfitta del governo di Parigi nella logica di proseguire il
progetto di coprosperità asiatica, il sudest asiatico era molto importante per le materie prime.
Quindi l’estensione del controllo giapponese vede un irrigidimento di Roosevelt che
radicalizza la politica di embargo commerciale. Nei confronti di questo irrigidimento, la
decisione di Tokyo è di scatenere una guerra contro gli USA.
Ci si poteva concentrare sulla strategia di una sorta di attacco di sorpresa delle postazioni
militari nel pacifico distruggendo le forze navali e aeree americane che permettessero di
indebolirli talmente tanto da allontanarli dall’Asia orientale.
 Stessa scommessa di Hitler nell’operazione Barbarossa

Nel giugno barbarossa e nel dicembre le forze aereo-navali giapponese lanciano l’attacco a
Pearl Harbour. La flotta americana non viene totalmente distrutta, ma indebolita: quindi
l’attacco è un successo parziale. Una parte delle navi non saranno danneggiate e pian piano si
metterà in gioco la possibilità di una reazione militare.
I giapponesi avevano già occupato la Cina del nord, l’Indocina francese e poi questa
offensiva contro le Filippine e la Birmania inglese per arrivare vicini all’area indonesiana
dove volevano ottenere un controllo di tipo soprattutto economico.

quindi cosa succede di fronte a questa duplice decisione tedesco-giapponese?


La guerra si mondializza e vede la costituzione di due grandi fronti ideologicamente
connotati: fronti delle potenze nazifasciste e il fronte degli antifascismi.
La strana alleanza tra democrazie occidentali (Stati Uniti, GB) e unione sovietica comunista,
quindi la guerra non è un’iniziativa degli antifascismi e per questo l’alleanza ha dei problemi
di stabilità -> c’è una spinta esterna provoca questa saldatura. Questa saldatura non è totale
perchè quando Hitler attacca l’unione sovietica il Giappone rimane neutrale e confermerà
questa neutralità anche dopo l’attacco agli USA nel dicembre del 1941.
 La guerra tra Giappone e Unione Sovietica non scoppierà mai fino agli ultimi mesi del
conflitto. Questo è il punto incoerente
Invece, quando i giappnesi lanciano l’offensiva a Pearl Harbour, Mussolini e Hitler
dichiarano guerra anche agli USA.

Tra questi due raggruppamenti ci sono sproporzioni di forze: dal punto di vista demografico,
economico e quindi potenzialmente militare, l’Unione sovietica, Usa e GB ha la capacità di
mobilitazione di risorse maggiori.
Però, nel breve periodo il vantaggio militare va alle potenze del tripartito perché hanno
sfruttato meglio la sorpresa ottenendo i primi vantaggi
 Questi non si trasformano in uno squilibrio militare duraturo, la resistenza della strana
alleanza comincia ad essere strutturata e quindi convertire la guerra da una guerra di
movimento e vittoria lampo a una guerra di logoramento simile alla prima, non è un
buon investimento per le potenze dell’asse perché pian piano soprattutto lo
straordinario potenziale economico-militare degli USA emerge e porterà la guerra ad
assumere caratteri diversi: cominceranno a finanziare e sostenere l’invio di materiali e
lo sforzo sovietico di resistenza, l’idea iniziale che si elabora tra Mosca, Londra e
Washington è quello di dare la priorità alla resistenza in Europa dell’Unione Sovietica.
Nella guerra del pacifico si prende una posizione difensiva, per tutto il 42 il giappone
resterà un’offonsiva nel Pacifico ma le truppe americane limiteranno e perdite e pian
piano si costruiranno le basi per una controffensiva.

Sul fronte russo la contro offensiva inizia nel gennaio del 43 con la battaglia di Stalingrado
(ultimo punto di avanzata delle truppe tedesche) L’assedio di questa città sul volga sarà la
battaglia cruciale perché dimostrerà che l’offensiva verso le fonti petrolifiche del Caucaso
non aveva più risorse, uomini, carri armati…
quindi dal gennaio del 43 le cose si invertiranno. Anche nel pacifico ci saranno le prime
sconfitte giapponesi e di fatto dalla primavera del 43 la guerra invertirà il senso e le potenze
dell’asse si metteranno sulla difensiva e con qualche incertezza e colpi di coda da parte di
Hitler e dei giapponesi, la linea di tendenza sarà quella di una vittoria che si delinerà piuttosto
ineluttabile della strana alleanza antifascista.

Sul fronte africano Mussolini tenterà di fare quella guerra parallela. Al di là del fallimento
offensivo contro la Grecia, iI punto importante sarebbe stato partire dalla Libia e sconfiggere
le truppe inglesi in Egitto per arrivare al canale di Suez, snodo strategico importante: voleva
dire mettere in discussione la navigazione coloniale britannica e il controllo britannico del
mediterraneo. Ma Mussolini inizialmente disperde le forze invece di concentrarle su Suez, e
quando lancia nel 42 l’offensiva su Suez le truppe italiane non riusciranno a combattere la
battaglia decisiva nonostante il sostegno di un corpo tedesco e anche il fronte africano vedrà
un riflusso con la controffensiva anglo americana fino all’estate del 43 quando e truppe
dell’asse verranno spazzate via dal territorio africano.
La linea di tendenza è chiara, la guerra diventerà sempre più tragica per due motivi:
1) Esteso coinvolgimento dei civili legato al fatto che il fronte sarà molto più in
movimento della Prima guerra mondiale
2) I civili saranno coinvolti nelle operazioni militari perché riguarderanno molto anche le
città anche a causa della politica dei bombardamenti a tappeto. Non saranno
occasionali (come quelli della prima oppure bombardamenti militari strategici), ma
già nel 40 quando Hitler aveva tentato la battaglia d’Inghilterra, la politica di
bombardare le città per fiaccare il morale della popolazione avversaria sarà comune. E
quello che verrà fatto su Londra dalla forza aerea tedesca verrà fatta poi su Berlino,
Dresda, Monaco di Baviera.

Un'altra forma di radicalizzazione della guerra si avvera ad opera dei nazisti, perché proprio
quando l’offensiva sembra non riuscire verso est, viene a irrigidirsi l’aspetto razziale della
guerra, cioè il fatto che le persecuzioni nei confronti della popolazione ebraica d’Europa (già
drammatiche con le occupazioni militari del 39/40) diventeranno sempre più totali.
Nel 42 maturerà “la politica della soluzione finale della questione ebraica”, proprio quando
l’ipotesi del controllo nazista dell’Europa si comincierà a rivelare fragile Hitler parla con i
suoi sulla questione degli ebrei ritenuti inferiore: l’ipotesi era deportarli in addirittura isole
dell’Africa, alla fine prenderà piede la politica dello sterminio, la “shoah” (catastrofe in
linguaggio ebraico), ossia vengono costituiti campi di sterminio veri e propri come per
esempio Aushwitz.
 Circa 6 milioni di ebrei europei, genocidio: uccisione di una popolazione nel suo
insieme.
Anche dal punto di vista economico le pressioni tedesche sull’Europa occupata diventeranno
sempre più dure perché per organizzare la resistenza ci sarà bisogno di mobilitare davvero
tutte le risorse in questo atteggiamento coloniale che veniva tenuto nei confronti dell’Europa
occupata
Atteggiamento coloniale: i tedeschi fanno addirittura fatica a ottenere aiuti di popolazioni per
esempio minacciate da comunisti. Sono veramente limitate le forze che danno un sostegno
alla guerra nazi-fascista nell’Europa orientale perché l’approccio tedesco è di tipo di
sprezzante superiorità nei confronti dei popoli slavi inferiori: quindi limita la possibilità di
alleanze e sforzo collettivo che anche nel momento della guerra sarebbe stato significativa

Il fatto che nella strana alleanza antifascista l’ipotesi della vittoria si inizia a concretizzare
verso il 43, fa si che il discorso sul futuro diventi diverso da quello della 1GM.
 Nella prima si era arrivati alla conclusione senza avere una chiara idea di cosa si
avrebbe fatto poi. Ma nella 2 siccome la vittoria è più attesa, c’è una collaborazione
strategica e un’alleanza che pianifica di più il futuro. Non è una collaborazione
semplice:
A Teiran nel 43 e poi soprattutto a Jalta nel 45, i tre capi di stato Churchill, Roosevelt e Stalin
discutono delle opzioni in campo sulla conduzione della guerra e per esempio una delle
discussioni più forti è legata al fatto che Stalin si reputa l’unico a sostenere lo sforzo bellico
(con una parte di ragione) in tutta Europa, salvo sul fronte africano. I sovietici per resistere e
contrattacare hanno bisogno di un aiuto, c’è bisogno quindi di aprire un secondo fronte in
Europa.
 Discussione accesa, e Stalin nella sua logica non si fida molto degli alleati e pensa che
il ritardo che mostrano nell’aprire un secondo fronte sia legato a una cinica politica di
indebolimento del comunismo
Alleanza non è facile.
Il secondo fronte viene aperto nel 44 con l’offensiva in Francia. Per la verità un secondo
fronte c’era già prima perchè nell’estate del 43 c’è il crollo della resistenza italiana: quando le
truppe italiane vengono allontanate dall’africa, inglesi e americani tentano lo sbarco in Sicilia
che viene ad essere coronato dal successo militare.
Le truppe italiane e tedesche non resistono e questo porta al crollo del regime fascista in Italia
 Il grande successo e consenso di Mussolini era legato all’idea: siamo il regime che
ripristinerà la grandezza italiana, ma la sconfitta militare è la smentita di quel discorso.
In modo imprevisto e drammatico, il partito fascista si squaglia. Il re, che aveva sostenuto dal
22 in poi Mussolini o comunque non si era opposto, nel 43 di fronte alla sconfitta prende in
mano le cose appoggiandosi a un manipolo di fascisti dissidenti che cerca di sganciarsi dalla
sconfitta militare e imprigiona Mussolini nominando un governo militare Badoglio. Questo fa
crollare la resistenza italiana, ma i tedeschi non vogliono affatto abbandonare la penisola
perché l’idea è che se gli alleati occupano rapidamente la penisola, poi quel secondo fronte,
quell’attacco da sud alla fortezza Europa sarebbe molto favorito.

Quindi mentre il nuovo governo monarchico militare negozia con gli alleati (cosa
difficilissima da negoziare, perché gli alleati avevano esplicitamente detto che tutti i paesi che
si volessero staccare da Hitler avrebbero dovuto semplicamente dichiarare la resa
incondizionata.). Resa accettata l’8 settembre del 43, pochi giorni dopo la resa di Mussolini
del 25 luglio, però a quel punto i tedeschi avranno già occupato metà dell’Italia.
 Gli italiani che speravano di essere usciti dalla guerra con l’armistizio dell’8 settembre,
si troveranno coinvolti in una guerra che passerà sul confine, che attraverserà il fronte
militare in una situazione però di evoluzione molto lentà perché Churchill avrebbe
all’inizio voluto dare una priorità al fronte italiano, sconfiggere rapidamente i tedeschi
e lanciare poi una linea di offensiva da Slovenia verso nord che avrebbe portato a
combattere il nazismo occupando una parte dell’Europa centro-orientale prima
dell’armata rossa.
Gli americani in realtà non accettano quest’operazione perché dicono che l’unico modo per
sconfiggere la Germania è un attacco frontale dalla frontiera francese e quindi ha la priorità lo
sbarco in Normandia. Il fronte italiano si riduce nella sua importanza dopo l’inverno del 43 e
questo vuol dire che nel 44 ci sarà una risalita delle truppe anglo-americane che arriveranno
fino alla linea dell’appennino tosco-emiliano, però poi ci sarà un altro inverno di guerra
durissimo tra 44 e 45, mentre al nord ci sarà intanto la resistenza che prenderà piede in chiave
antitedesca e antifascista perché Mussolini liberato dal Gran Sasso e portato a Salò sotto la
tutela tedesca per costruire un altro regime collaborazionista.

Sotto l’europa in cui c’è questo andamento militare che porta una lenta riconquista del
territorio da parte degli antifascisti, si radicalizza lo scontro ideologico quindi in ogni paese
vi è una divisione tra fascisti e antifascisti.
Le resistenze europee sono un fenomeno militare non certo decisivo ma rilevante:
l’occupazione nazi fascista viene disturbata dalla resistenza partigiana. E soprattutto sono un
fenomeno politico importante: il fronte antifascista da l’idea che in ogni paese è possibile
radicalizzare questo scontro.
Quindi abbiamo la creazione di due grandi fronti contrapposti che spaccano dall’interno i
paesi in guerra.

Col successo dello sbarco in Normandia nel giugno del 44 è chiaro che per l’asse il discorso è
vicino alla conclusione. Ci sarà la morsa delle truppe angloamericane da occidente e
dell’armata rossa sovietica da oriente che pian piano che arriverà a sconfiggere i tedeschi.
Le truppe angloamericane e sovietiche si ritrovano sull’Elba nel 45, mentre la guerra in
oriente andrà ancora avanti per qualche mese perché il Giappone continuerà a resistere e la
startegia americana a quel punto farà una scelta: per non dover riconquistare a prezzo di
perdite di vite umane americane molto alte le singole isole che i giapponesi avevano via via
occupato, i capi militari americani useranno un’arma nuova, messa a punto molto
frettolosamente anche perché si sapeva che in Germania si stava mettendo a punto qualcosa
di simile, cioè la BOMBA ATOMICA
 Le due atomiche lanciate nell’Agosto del 45 su Hiroshima e Nagasaki.

Nel breve periodo il bombardamento atomico non è molto diverso dai bombardamenti a
tappeto fatti in precedenza, perché gli esiti su Hiroshima simili a quelli su Tokyo delle bombe
incendiarie che radono al suolo le città, però simbolicamente e anche dal punto di vista del
futuro le armi portano capacità distruttiva sconosciuta e conseguenze a medio-lungo periodo
che a tempo non si erano ponderate: l’idea della radioattività ed i sui effetti nocivi non erano
state granché studiate prima di usare le due bombe sul Giappone.

La situazione della fine della 2GM è particolare perché il mondo è cambiato. La guerra è il
crollo definitivo dell’egemonia europea nel mondo: quell’egemonia costruita con fatica e che
aveva visto lo straordinario divario tecnologico civile, militare ed economico tra metà 800 e
900 è consumato perché l’Europa si è consumata nella drammatica vicenda del trentennio
delle due guerre mondiali. Quindi cosa resta sulla scena? Una situazione del potere a livello
globale in cui emergono due superpotenze legate all’Europa ma fuori da essa: USA ed
Unione Sovietica.
SUPERPOTENZE: espressione nuova fino a questo momento, solo col 45 è ormai evidente
che le sorti del mondo non vedono più solo un pluralismo di potenze contrapposte tra loro,
ma l’emergere di due realtà che hanno un orizzonte molto più incisivo ed ampio. Hanno
caratteri demografici e territoriali di tipo semi-continentali, e ambedue questi enormi stati e
concentrazioni di risorse straordinari, sono in grado di gerarchizzare, controllare e influire il
resto del mondo, in un modo più largo delle tradizionali potenze europee. Se vogliamo anche
in modo più ampio di quello che la GB avrebbe potuto fare nell’arco di tempo in cui era stato
il più grande impero del mondo: la GB essendo un paese dal punto di vista demografico e
territoriale piuttosto ridotto, la sua influenza era esercitata in modo indiretto ma qui ce n’è
una diretta più estesa e ampia.
Quindi si conia proprio in quest’epoca il termine Superpotenze:

Ma queste due superpotenze sono anche molto diverse tra loro. Non solo ideologicamente,
ma il punto importante è che lo sono proprio dal punto di vista della capacità di influenza.
 C’è una prima superpotenza, gli USA, il cui primato finanziario, produttivo e militare
è straordinariamente più rilevante di quello sovietico.
Gli Stati Uniti sono finalmente usciti dalla crisi degli anni 30 proprio grazie alla guerra. Negli
USA dove non c’è stato un fronte militare, la guerra ha voluto dire un enorme volano di
crescita economica, sostenuto dalla centralità finanziaria che gli USA avevano già costruito ai
tempi della Prima guerra mondiale e di essere in grado di esportare beni capitali ingiro per il
mondo.
Alcune statistiche dicono che gli USA nel 45 producevano il 50% di tutta la produzione
mondiale, stessa percentuale della GB nel 1869, ma la GB nel 1860 era in quelle condizioni
perché gran parte del mondo era ancora sottosviluppato e non aveva conosciuto la rivoluzione
industriale, ora siamo in un mondo industrializzato. Questo numero ovviamente si ridurrà
molto negli anni successivi alla guerra, quando l’Europa riprenderà la produzione e
ricostruità

Questo primato si ricollega per la prima volta nella storia a una condizione politico-culturale
nuova, cioè che negli USA diventa maggioritaria un’impostazione che riprende il classico
eccezionalismo (gli USA paese che ha una missione eccezionale fin dalle origini, di libertà ed
eccezionalismo)
Questo eccezionalismo viene per la prima volta declinato in termini universalistici. Cosa
vuol dire? Che non si difende più dal resto del mondo, non si preoccupa più che il resto del
mondo possa disturbare il proprio primato (ricordiamo neutralità 1GM e isolazionismo degli
anni 30 – non si mischiano nelle beghe europee perché non vogliono mettere in discussione la
loro situazione eccezionale con conflitti di cui non siamo responsabili), ora l’approccio è
siamo ormai in grado di dettare la linea al mondo e di egemonizzare la situazione venuta fuori
dalla guerra.
Siamo in grado di impegnarci a creare un mondo coerente al nostro orizzonte fondamentale,
ma nello stesso tempo un mondo che sarà benefico per tutti
 Logica dell’eccezionalismo, il modello americano è il vero modello che può garantire
benessere e libertà condivise. Questo è il cosiddetto Great Designing che matura
ancora nel corso della guerra: non dobbiamo aspettare le bombe atomiche per vedere
questo disegno, il disegno c’è già prima proprio perché non bisogna aspettare la guerra
finire ma la guerra è tendenzialmente vinta già da prima.
Il disegno è un disegno di tipo globale che gli USA lanciano per la prima volta nel 41 quando
sono in guerra con i giapponesi e poi nel 45.

Quindi: gli USA sono in una condizione di potere straordinario nel 45, primato finanziario-
produttivo-militare. Hanno questa maturazione interna ormai di un approccio diverso dal
passato, il quale era sempre stato eccezionalista ma che tendeva a proteggersi dagli effetti
negativi del resto del mondo (eccezionalismo difensivo), da questo momento in poi diventa
con grande forza quello che in qualche modo già Wilson tra il 17 e il 19 aveva tentato di
impostare: idea che noi americani abbiamo la chiave per spiegare a tutto il resto del mondo
qual è la strada, ma il limite di allora era che Wilson non era riuscito a portarsi dietro il paese.
Adesso Roosvelt ha un approccio possibile nuovo: certo lui muore prima della fine della
guerra, ma il suo successore Trumann guiderà comunque il processo di costruire un grande
disegno sul futuro del mondo, ossia l’idea che se ci sarà un mondo integrato, unificato
soprattutto dal punto di vista economico, questo permetterà a ciascuno di trovare il suo posto:
quindi sarà un mondo pacifico e, come aveva promesso Wilson nel 19, sicuro per la
democrazia.
Perché? È la logica dell’esportare a livello globale quello che nella percezione delle classi
dirigenti del paese aveva funzionato all’interno, cioè il mito di un mondo libero, ossia che
negli USA ciascuno poteva mettere alla prova la propria capacità e questo aveva portato negli
anni a una crescita in cui si era arrivati a realizzare un obiettivo tale per cui non c’era più
bisogno di scontrarsi per dividersi i risultati della crescita economica. Più la torta cresce più è
facile spartirsela
 Gli anni 30 erano stati la logica di un mondo che faticava a spartirsi risorse scarse. La
crisi aveva fatto precipitare il mondo in una competizione drammatica.
Adesso se tutto il mondo ascolterà il messaggio dell’eccezionalismo americano sarà possibile
invece superarlo. Non più mondo diviso e contrapposto, ma mondo unificato in cui
naturalmente va da se che chi è in condizioni economiche più fiorenti all’inizio ha posizioni
più favorevoli.
Se unifichiamo i mercati chi ha capacità di esportare di più e più efficentemente guadagna più
spazio in questi mercati, ma in prospettiva l’idea è che questi mercati potranno diventare
vantaggio per tutti.
L’aggiunta a questo grande disegno è che non possiamo affidarlo solo alla spontaneità delle
leggi economiche: tentativo degli anni 20 dove il mercato conosce fallimenti.
Quindi ci vuole un progetto costituzionale che rafforzi il multilateralismo e sorvegli in modo
limitato e prudente (nessuno vuole immaginare una specie di governo mondiale USA) una
maggiore stabilità a questo mondo economicamente unito.
Quali sono allora i progetti istituzionali?
1. Il ripristino di qualcosa di simile alla Società delle nazioni:
tra 44 e 45 viene rifondata un’organizzazione delle nazioni unite (Nazioni Unite è la sigla
dell’alleanza di guerra), di paesi vincitori che stanno collaborando. All’inizio quelli che
firmano la carta di San Francisco sono una quarantina di paesi, che fondano
un’organizzazione che riprende la società delle nazioni, con un elemento nuovo in più, ossia
una valorizzazione maggiore del ruolo dei grandi paesi, quelli che Roosevelt chiama
“poliziotti del mondo” (grandi paesi che in chiave di una garanzia dell’ordine multilaterale
per tutti, che sorveglino le parti più importanti del mondo)
per lui questi sono i tre vincitori (USA, Unione Sovietica, Gran Bretagna) e poi ci vuole un
paese sull’Europa, ovviamente la Francia, e uno sull’Asia che non può che essere la Cina.
L’idea è che i cinque avranno un ruolo particolare.
- Membri permanenti del consiglio di sicurezza
- Diritto di veto: se uno di loro si oppone nessuna risoluzione del consiglio di sicurezza
potrà passare.
Il senso del diritto di veto, a differenza di ciò che potremmo pensare, non è un elemento che
blocca: almeno, potenzialmente è un elemento che blocca ma viene introdotto perché così se
uno dei cinque grandi ha diritto di veto potrà bloccare qualche soluzione che non gli piace ma
allo stesso tempo rimanere all’interno della organizzazione
 Con la società delle nazioni precedente, quando un paese fondatore o comunque una
delle grandi potenze incontrava un’ostilità o un voto contrario prendeva e se ne
andava. Questo era successo spesso tanto che la società era stata frantumata.
L’idea dell’ONU era stata: teniamola in vita anche se è meno efficiente, meno capace di
risolvere i problemi. Meglio un’organizzazione in cui tutti rimangono e tengono aperto un
fragile filo di dialogo piuttosto che una in cui la maggioranza si imponga ma che alla fine
veda minoranze anche importanti uscirsene.
Poi l’ONU viene articolato con molte agenzie specializzate che vengono create ex novo come
l’UNESCO, FAU.
Oltre all’ONU gli USA dicono fin dall’epoca in cui ancora si combatteva, che ci vogliono
delle organizzazioni economiche perché il limite del 19 di Wilson era stato questo. Qui gli
USA convocano nel 44 una conferenza nel New England e la conferenza partorisce l’idea di
costituire due organismi per garantire una certa stabilità:
1) Un fondo monetario internazionale: stabilità sulle cose più contingenti, sugli squilibri
delle bilance commerciali. Quando un paese ha troppe importazioni rispetto alle
esportazioni, il rischio è che la sua valuta perda peso e sia indotto pian piano a
chiudersi. Gli USA dicono che se c’è un fondo monetario internazionale che può fare
dei prestiti per bilanciare le situazioni contingenti di squilibrio questo può aiutare a
funzionare il sistema
2) Una banca mondiale: strumento per fare investimenti di più lungo periodo. La crescita
è uno dei prerequisiti della stabilità e della condivisione per evitare i conflitti.

Obiettivi di queste due istituzioni:

Fondo Monetario internazionale (Fmi, o Banca Mondiale (World Bank; Ibrd)


Imf)

To promote international monetary To assist in the reconstruction and


cooperation    development of territories of members by
facilitating the investment of capital for
productive purposes,

To facilitate the expansion and balanced To promote private foreign investment …;


growth of international trade and when private capital is not available on
reasonable terms, to supplement private
investment by providing, on suitable
conditions, finance for productive purposes
out of its own capital, funds raised by it and
its other resources.

To promote exchange stability  

To assist in the establishment of a


multilateral system of payments  

To give confidence to members … providing


them with opportunity to correct
maladjustments in their balance of
payments
L’idea di istituzioni elastiche, non particolarmente invasive, ma che aiutino a stabilizzare un
mondo economicamente unito. Badiamo bene: in questo disegno sembra che all’inizio ci
siano anche i sovietici: Stalin partecipa alla conferenza nel New England e dice di voler far
parte del fondo monetario internazionale e nella banca mondiale.
 Chiaro che lo fa per ragioni strumentali: ha bisogno dell’ aiuto degli USA per finire il
combattimento contro Hitler.
Però questo cosa vuol dire? Che non si può ragionare sul concetto: la guerra finisce con
l’alleanza antifascista e poi subito dopo parte la guerra USA-Unione Sovietica perché uno era
capitalista e l’altro socialista.
NON È COSI

È chiaro che avessero una visione diversa delle cose, che nessuno si fidava fino in fondo, che
l’alleanza antifascista era stata complicata, strana però non è che si passi subito dalla
collaborazione allo scontro, all’inizio c’è una fase in cui sembra possibile continuare la
collaborazione anche perché l’URSS è sicuramente molto più debole.
La guerra per l’Unione Sovietica è stata un vero massacro, un bagno di sangue. La 2GM nel
suo insieme è stata molto più sanguinosa della prima, alcuni dicono che sui 50 milioni di
morti sui diversi fronti di cui 20 siano sovietici (su una popolazione di 120/130 milioni di
abitanti).
 Questione problematica anche sul lato economico.
Stalin governa un paese fragile ma che ha un elemento di forza: elemento legato al mito che
si crea della capacità sovietica di essere il paese che ha contribuito di più alla sconfitta
tedesca, del nazismo perché militarmente questo sforzo sanguinosissimo e tragico però è stato
decisivo per sconfiggere in nazismo. Quindi vi è un mito, un alone di riconoscimento di
questa centralità sovietica in gran parte dell’opinione pubblica mondiale e non solo nel
mondo comunista.
E bisogna dire che militarmente il paese ha avuto successi indubbi: è arrivato ad avere le
suetruppe al centro del continente, ha occupato Berlino, è arrivato sull’Elba.
Cosa vuole ottenere Stalin da questa vittoria? Abbiamo detto che è cinico realista e anche
paranoico nei suoi approcci al mondo: vede anche minacci maggiori di quelle che vi sono.
Anche a livello globale nel 45 ha un approccio simile: abbiamo collaborato nella sconfitta del
nazismo ma il capitalismo prima o poi continuerà a volerci cancellare dalla faccia della terra,
non siamo sicuri che questa alleanza possa continuare, al momento strumentalmente la
teniamo in vita ma la guerra prima o poi tornerà e sarà inevitabile perché il capitalismo non
può sopportare uno stato comunista/socialista. Quindi dobbiamo prepararci, ma come? Visto
che siamo molto più deboli economicamente e come struttura sociale rispetto agli USA
abbiamo bisogno di una protezione territoriale, quindi dobbiamo trasformare la presenza di
truppe dell’armata rossa nell’Europa centro orientale in quella che viene chiamata una vera e
propria sfera di influenza, una cintura di stati amici ai nostri confini che allontanino la
minaccia di una nuova invasione.
 Se l’impero zarista era stato attaccato nel 14 da occidente, se l’Unione Sovietica era
stata attaccata nel 41 da Occidente, se ci sarà una nuova guerra allontaniamo la
minaccia cioò creiamo una sfera di stati amici ai nostri confini che ci permettano di
essere più protetti
Repubbliche baltiche, Bielorussia, ucraina occidentale: territori aggregati con patto
Ribbentrop-Molotov che Stalin non ha nessuna intenzione di restituire, anzi arriva ad
allargarli leggermente perché vuole simbolicamente prendersi una parte di Germania, ossia la
città di Königsberg, città del Baltico. Al di là di questi confini già spostati verso occidente
dobbiamo ottenere stati amici. Come? La linea fondamentale è quella di preminenza dei
partiti comunisti locali, anche perché avendo firmato con gli occidentali a Yalta una
dichiarazione sull’Europa liberata che dice che finito il giogo nazista dappertutto ci saranno
elezioni libere e democratiche, ma Stalin sa benissimo che se si lascia libera la politica in
questi paesi intanto la democrazia sarebbe stata fragile (lo era già stato tra le due guerre) e poi
i sentimenti popolari diffusi non sarebbero stati filorussi anzi: questi popoli avevano sofferto
sotto l’impero zarista o costituito un antagonismo (Polonia percepita come baluardo della
cattolicità verso l’ortodossia, i polacchi avevano questo immediato sospetto nei confronti del
vicino russo). Ottenere un governo amico in Polonia era piu facile a dirsi che a farsi: Stalin
pensa che l’unico modo sia che il partito comunista prenda pian piano in mano le cose.
La creazione di una sfera di influenza di fatto diventa la progressiva sovietizzazione di questi
paesi. Dove c’è l’armata rossa si fanno delle elezioni in cui alla fine ci sono un po’ di trucchi
e brogli, il partito comunista prende il controllo del Ministero dell’Interno, si fanno governi di
coalizione, di fatto poi pian piano vengono emarginati i nemici
 Tra il 44, in Romania e Bulgaria, e il 46/47 in tutti gli altri paesi (Polonia,
Cecoslovacchia e Ungheria) la vicenda porta in questa direzione
Il caso della Jugoslavia è un po’ diverso: qui non c’è l’armata rossa. La jugoslavia si libera,
caccia le truppe tedesche con una grande mobilitazione partigiana, in cui il partito comunista
è molto forte tra l’altro.

Agli occidentali questa cosa dell’influenza della sfera sovietica non piace più di tanto ma ne
Roosevelt ne Churchill si oppongono drasticamente. Quindi la sfera d’influenza nell’Europa
centrale da parte russa non è la vera causa dello scontro, certo peggiora i rapporti il metodo
drastico e a volte anche violenta. Questo maturerà tra poco e sarà legato alla questione
tedesca: cosa fare della Germania, ma quando la guerra finisce non siamo ancora in questa
condizione.

Ci sono degli spazi d’intesa? C’è la possibilità che questo assetto, con il progetto americano
del grande disegno, con l’esigenza sovietica della sfera d’influenza, trovi modo di convivere
nel mondo multilaterale delle nuove organizzazioni internazionali? Si, non è un caso che nel
48 con l’assemblea dell’ONU che voterà senza un voto contrario si approverà una
dichiarazione internazionale dei diritti umani.
 Significa avere un orizzonte comune condiviso da tutti anche quelli che hanno
ideologiche diverse. questo da una base di convivenza potenziale.
Questo però diventerà difficile da continuare perché il tema che si delinea è come questo
assetto potrà strutturare il futuro dell’Europa (europa divisa e indebolita)

In Europa:
I vincitori, in realtà solo GB perché la Francia è un vincitore per modo di dire: quando ci sarà
lo sbarco in Normandia ci saranno anche delle truppe francesi legate al movimento che il
generale De Gaulle avrà coltivato (la france libre) dopo la sconfitta del 40 aveva lasciato la
francia andando a londra e coltivando questo movimento di francesi antitedeschi, ma il
contributo diretto della francia alla vittoria è relativo e la Francia deve ricostituire la sua
posizione di grande potenza (faticoso, vuol dire anche riprendere il controllo delle colonie, e
il governo non ha una forza per promuovere un’egemonia in Europa)

I britannici sono in una condizione simile: per loro la guerra è stato un esaurimento
drammatico di risorse.
Quello che era ancora il più grande impero coloniale del mondo, per resistere all’offesa di
Hitler, ha dovuto vendere i gioielli di famiglia -> liquidare investimenti sparsi per il mondo,
investire risorse mettendo in discussione la solidità economica e sociale del paese, la GB
finita la guerra fa fatica a tornare a ritmi incredibili di normalità economica. Churchill
combatte per difendere l’impero, quando finisce la guerra gli elettori inglesi danno la
maggioranza al partito laburista stranamente, che si trova di fronte a un impero non più auto
sostenibile, anche perché in molti paesi dell’impero ormai si erano diffuse tendenze
autonomiste, nazionaliste: in India vi era un fermento del partito del congresso nato a fine
800, c’era stata la battaglia non violenta di Ghandi.
Il governo britannico alla fine prende la decisione che: se vogliamo salvare l’impero
dobbiamo abbandonare alcune parti, ridimensionandolo, per esempio l’India, negoziano
l’abbandono dell’India, cioò significa che nel 47 gli inglesi si ritirano e sul posto si crea uno
scontro tra due parti del paese (indù contro musulmani) e alla fine nel vecchio impero indiano
si creano due stati: India, con maggioranza indù, e Pakistan, con maggioranza musulmana.
Certamente la GB non è in grado di esercitare un controllo dell’Europa.

Quindi come si risolve la questione cruciale? I governi occidentali e orientali hanno già
orientato la ricostruzione dei paesi che hanno occupato, l’Italia nel 43 era stata occupata dagli
anglo-americani, ovviamente viene fuori un paese di orientamento liberal-democratico
occidentale.
Stalin nel 43 protesta perché gli angloamericani non lo hanno voluto coinvolgere in Italia, ma
in Romania e Bulgaria lui fa la stesa cosa.
 Tendenziale divisione dei due mondi, ma non era detto che la divisione dei due mondi
diventasse uno scontro.
Il bipolarismo (polo sovietico e polo statunitense) è un dato di fatto nel 45, madeve diventare
per forza conflittuale? No, può essere anche concordato e in qualche modo negoziato.
Nel 46/47 l’ipotesi di un bipolarismo concordato era possibile, come lo è per oggi tra USA e
Cina, ma in cosa si rompe questa ipoetesi? Sul tema cruciale.
Il tema cruciale del 19 era stato il tema della questione tedesca, ma cosa si ripete anche nel 45
e nell’89. Quindi per qualsiasi sistemazione dell’Europa, la collocazione della Germania è
decisiva: è una realtà storico, economico, culturale, sociale che abbiamo detto. Non solo ha
lanciato per due volte la sfida sull’egemonia europea negli ultimi trent’anni, ma è un paese
che può diventare determinante in qualsiasi orizzonte.
Quindi che la Germania debba essere ridimensionata sono d’accordo un po’ tutti, soprattutto
Stalin fa una richiesta molto precisa, che è quella di ricostituire una indipendenza polacca.
(39 guerra scoppia sulla Polonia, quindi ritornare a una Polonia indipendente e libera è
necessario). Nel ricostituire l’indipendenza polacca, noi sovietici non restituiamo niente di
quello che abbiamo occupato nel 39, quindi alla Polonia dobbiamo dare nuovi territori a
occidente
 Si sposta a ovest il confine polacco, comprendendo una gran parte della Prussia
orientale, la Slesia e la Pomerania fino alla linea Eorder-Neisser e questi territori
tedeschi andranno definitivamente alla Polonia

Questa cosa gli occidentali tardano ad accettarla.


Ma oltre a questo ridimensionamento la Germania che trattamento avrà? L’unica decisione
comune che si prende nelle conferenze di guerra è occuparla militarmente, denazifichiandola,
cioè estirpiamo qualsiasi tratto del regime sconfitto.
 Differenza con la1Gm, dove la Germania aveva ceduto chiedendo un armistizio, ma il
governo non era affatto sparito, c’era stata una rivoluzione ma era ancora il governo
autonomo tedesco

questo foverno nel 45 non c’è più: il controllo è preso dagli alleati che all’inizio ritagliano tre
zone e poi una 4 per la Francia (una specie di contentino per il generale de Gaulle).
Queste zone dovevano essere zone di occupazione militare temporanee, fino a quando si
spazzeranno via tutte l’eredità del nazismo, per fal tornare la Germania ad essere un paese
inserito nell’orizzonte internazionale.
 Orizzonte internazionale: è possibile immaginare che la Germania riprenda una sua
autonomia e che si faccia un elezione libera in tutto il paese e che il governo venga
deciso dal popolo tedesco?
Il punto è che ciascuno dei due gruppi di vincitori (occidentale e unione sovietica) vincitori
hanno il timore che lasciando qualche spazio di libertà o comunque che le proprie truppe si
ritirino e quello dell’avversario magari continuino a interrvenire in modo nascosto, si abbia
un risultato sfavorevole al proprio fronte: Germania rischi di scivolare dalla parte del
bipolarismo che non è la propria.
 Questo diventa il tema cruciale: non ci possiamo permettere di perdere la Germania, e
quindi nessun tipo di accordo si riesce a trovare sulla riunificazione e la liberazione
della Germania dopo la fase dell’occupazione militare

L’ultimo colloquio a proposito avviene alla fine del ’46 e all’inizio del ’47 è ormai chiaro che
non vi sarà né un accordo né un trattato di pace con la Germania.
Al’inizio del 47 i vincitori firmano un trattato di pace con gli alleati minori della Germania
(compresa l’Italia, Ungheria, Romania), ma con la Germania non si riesce ad arrivare a una
pace e nemmeno a un’intesa su come trattare questo paese cruciale per l’Europa per il futuro.

Allora la situazione provvisoria che era stata creata con le zone di occupazione militare
tenderà a diventare rapidamente definitiva, cioè: gli alleati metteranno insieme le proprie
zone, faranno le prime riforme economiche, introdurranno un marco comune nella zona
americana, inglese e francese e questo viene inteso dai sovietici come segnale che si va verso
una separazione delle due aree.
Quindi si crea una Germania divisa in due.

La questione è che: dalla situazione dello scontro sul futuro della Germania inizia uno scontro
tra Unione Sovietica e USA che nel giro di un anno si trasforma in una condizione di guerra.
Certo è una guerra che rimane fredda.
GUERRA FREDDA: espressione coniata in contemporanea a questi fatti da qualche
Giornalista, forse il primo fu Orwell e la popolarizza è Wlater Litman. La guerra fredda vuol
dire scontro ideologico e geopolitico, basato sulla divisione dell’Europa, tra due mondi
contrapposti ideologicamente che cominciano a non itendersi su niente, a contrapporsi su
tutto, a rifiutare qualsiasi dialogo diplomatico, quindi uno scontro da caratteri totali e assoluti
come le due guerre totali precedenti, condotta però con tutti i mezzi precedenti lo scontro
militare. Short of war: al limite alla guerra, fredda in questo senso, perché non diventa guerra
militare aperta.
Ma soprattutto la decisione americana del 47 diventa proprio quella di procedere a un
consolidamento delle forze in occidente per bloccare qualsiasi nuovo avanzamento
dell’unione sovietica. Contenere vuol dire accettare la sfera d’influenza che si erano creati,
ma impedire in tutti i modi di andare oltre.
I due punti di crisi che si creano nel 47 sono relativi al Mediterraneo:
 Grecia: guerriglia comunista che minaccia il governo monarchico
 Turchia: pressione sovietica per avere delle regole favorevoli sui confini e sulla
navigazione nel mar Nero
Gli americani dicono: sosterremo questi governi. Truman al congresso tiene un discorso che
dice che gli Usa sono disposti a intervenire militarmente ovunque nel mondo per sostenere i
governi liberi minacciati da minoranze interne (partiti comunisti) o potenze internazionali
(unione sovietica).
È una sorta di dichiarazione pubblica di intendere il contenimento in modo ostile all’Unione
Sovietica.

Passano due mesi e il governo americano lancia un altro piano, ossia il PIANO MARSHALL:
idea che il governo americano (non più investitori privati com’era successo negli anni 20)
metta dei fondi per sostenere l’Europa nella sua ricostruzione e naturalmente per sostenerla in
modo che diano garanzia di partecipare al mondo integrato, aperto, economicamente
connesso che gli USA avevano in mente dal 41.
Molotov (ministro degli esteri sovietico) quando Marshall fa questo discorso che dice che gli
usa sono disposti ad aiutare l’Europa, lui dice: noi sovietici siamo disponibili ad ottenere
anche noi questi aiuti e va alla conferenza di Parigi per gestire l’avvio del piano Marshal,
salvo sentirsi dire che gli aiuti arrivano solo a quei paesi che sono disposti a cooperare con
una missione americana per gestirli.
Non sono aiuti a scatola chiusa come quelli della 1GM, ma aiuti collegati all’idea che gli
USA vogliono rompere le barriere, integrare tutti i paesi nella grande economia mondiale
integrata e partecipare all’utilizzazione di questi fondi per la ricostruzione a livello periferico
per tutti i paesi.
Molotov quindi dice: abbiamo capito male e se ne va, Stalin dice: noi non possiamo
partecipare a un piano di ricostruzione fatto in questo modo
 Sanzione definitiva della spaccatura, la sanzione del fatto che l’Europa si divide in
due, quella a influenza americana nella logica della grande unificazione economica nel
mondo e quella del ridotto sovietico di un’economia socialista difesa con una tutela di
un’influenza militare che è un po’ un’eredità di quel mondo segmentato degli anni 30
Rimane un mondo chiuso: gli USA hanno la capacità di portare avanti il loro disegno in tutta
la parte che resta fuori da questo ridotto sovietico, contenendo l’eventuale diffusione ulteriore
del modello sovietico, e la vicenda del 48/49/50 è esattamente la vicenda del progressivo
rafforzamento di questi due fronti e anche la vicenda di alcune crisi che minacciano
continuamente di portare lo scontro sul piano militare.
La guerra fredda ha questo di particolare, i contemporanei non sapevano di essere in una
guerra fredda, ma avevano la paura costante di scivolare in una guerra calda.

30.11
Nel 47 è ormai palese che la strana alleanza che sebbene i suoi limiti aveva funzionato fino
alla sconfitta del tripartito, sulla questione su come sistemare il mondo dopo la fine della
guerra non funziona più, in particolare sulla questione tedesca.
 La questione della definizione del ruolo della Germania è cruciale per l’Europa.
Per le potenze che si stanno delineando l’Europa è l’orizzonte in cui si decidono le sorti del
mondo.

Siccome su quella questione non si riesce a trovare un accordo, si congela li la diplomazia, si


va verso una situazione che in Germania porta lentamente alla divisione delle due parti
provvisoriamente occupate dagli eserciti vincitori e si imposta un rapporto tra le due
superpotenze, soprattutto per iniziativa americana.
 Nella delineazione della guerra fredda è molto importante la strategia americana: non
negare l’idea già maturata dal 41 in poi del grande disegno del mondo unificato, ma
riadattare quel disegno con la necessità di utilizzare di più sia la disponibilità ad un
intervento militare sia le risorse economiche da usare come investimenti all’estero per
contenere il blocco comunista, il mondo influenzato dalla potenza sovietica.

Il contenimento diventa chiave nel 47. Qui ci sono due eventi:


 la dottrina di Truman: capo di un paese che aveva sempre negato la possibilità di
fare alleanze permanenti in tempi di pace, che aveva impostato il discorso del periodo
tra le due guerre in una logica unilaterale, isolazionista, questo lo traduce in un
discorso che è: siamo disponibili a intervenire ovunque ci sia un problema di
contenimento del comunismo. Non dice esattamente queste parole, ma parla di tutela
della libertà di stati che hanno pressioni straniere o di minoranze rivoluzionarie
interne (ovvio che la minoranza rivoluzionaria è il comunismo). È una promessa di
intervento esteso, lui la fa per una questione contingente, ossia avere dal congresso
l’autorizzazione a mandare aiuti alla Grecia e alla Turchia premute dai sovietici e
dove gli inglesi avevano appena detto di non avere più le risorse per gestire questo
problema. La sostituzione al ruolo britannico è legata a questa promessa con una forte
componente ideologica. La vernice ideologica della guerra fredda diventa questa
radicalizzazione progresiva.
 piano Marshall qualche mese dopo: diamo risorse a chi vuole ricostruire l’Europa, a
patto che questa ricostruzione sia integrata, cioè sia collegata al mondo capitalista,
libero, segnato dall’economia integrata che vogliono promuovere a livello mondiale. I
sovietici quando capiscono che la cosa è così: prendono, se ne vanno, e costringono i
paesi dell’Europa dell’est che hanno governi segnati dalla preminenza comunista ma
non così omogenei, a ritirarsi dal piano Marshall.
 Capiscono benissimo che il piano Marshall ha di fatto con questa logica di sostenere
l’Europa non comunista e di riformarla, anche nel senso di rompere quella tendenza
alle aree economiche chiuse che era stata consegnata dagli anni 30. È una specie di
prima grande divisione del mondo, perché chi sta da una parte chi sta dall'altra siano
quindi dal 47 in poi il discorso non è più solo le due superpotenze, ma diventa quello
dei due raggruppamenti, dei due blocchi, dei due fronti contrapposti.

I sovietici reagiscono con questa ripresa della solidarietà internazionale tra partiti comunisti
(cominform), ma è una risposta un po’ fragile: gli stessi partiti comunisti italiani e francesi
fanno fatica a non accettare gli aiuti perché sono comunque significativi.

Da questa vicenda del ’47 si delinea una guerra fredda, cioè una contrapposizione totale che
per molti anni non ha dialogo, ne spazi di collaborazione neanche minimali. In realtà l’ONU
non cessa improvvisamente di funzionare anche se in grave difficoltà, però non c’è intesa, né
scambio, c’è un linguaggio che diventa di guerra totale come le due guerre mondiali, ma per
il momento condotta in modo non aperto, che si ferma un attimo prima dello scontro militare
aperto tra le due superpotenze.

Tutte le crisi tra 48/49/50 chiariscono come funziona questo meccanismo: Pensiamo al tema
del 48 che scoppia intorno al destino di Berlino: è una delle prime crisi della guerra fredda,
che potrebbe diventare anche qualcosa di più drammatico. Berlino è al centro della zona della
Prussia, la zona che nell’iniziale divisione dell’occupazione della Germania in 4 zone, era
rimasta sovietica. Ma li vi era una situazione particolare perché per essendo al centro della
zona sovietica, siccome era la capitale, il segno della vittoria alleata, la stessa Berlino era
stata divisa in quattro zone di occupazione militare (questo nel 45). Quando nel 47 il dialogo
inizia a diventare impossibile sul futuro della Germania, gli alleati occidentali cominciano a
mettere insieme le zone di occupazione, si delinea una collaborazione che stacca la parte
occidentale da quella orientale, a Berlino succede che i sovietici cominciano a dire: quelle
enclaves (zone di occupazione francese, inglese e americana nella capitale) sono al centro
della nostra zona sovietica e iniziano a darci fastidio. Stalin nel 48, prima che si chiuda il
discorso con la nascita delle due Germanie (che avverrà nel 49), prova a dire: cacciamo gli
occidentali da Berlino. Non sarebbe stato impossibile mandare carri armati a Berlino ovest
per cacciare gli occidentali, ma sa che questo poteva far scoppiare la guerra e non se lo può
permettere, Stalin realista sa che è più fragile.
Quindi si inventa un blocco. Le strade di comunicazione tra Berlino ovest e le parti
occidentali della Germania vengono chiuse. Viene bloccato Berlino ovest. Bloccare le
comunicazioni costringeva gli occidentali ad andar via.
Allora la risposta occidentale, in particolare americana non è quella di mandare carroarmati
(la guerra non è fra le opzioni al momento), quindi si inventano un ponte aereo, piuttosto
complicato ma alla fine avviene con particolare successo.
 Stalin abbatte qualche areo americano? No, non se lo può permettere.
Si capisce il circuito delle azioni, cioè si cerca di modificare le cose a proprio vantaggio ma
evitando che questo porti a uno scontro aperto.
Evitare uno scontro aperto oggi sappiamo che era nelle cose da parte di tutti, ma allora non
era così chiaro. I protagonisti dei fatti temono ogni giorno che il peggioramento delle cose
possa portare a una nuova guerra globale. Quindi questo è il clima drammatico che si instaura
con la guerra fredda in Europa e non solo. Stalin nel 49 mette fine al blocco della città, ma
Berlino rimane un luogo in cui da li a poco vi sarà una nuova crisi.

La cosa che riguarda a Berlino si può estendere anche a qualcosa che vi è fuori dall’Europa:
la guerra fredda nasce sul destino dell’Europa, ma dal 49 in poi la guerra fredda si allarga
anche ad altri mondi, il primo mondo è l’Asia e in particolare quella orientale:
A est vi è l’enorme territorio cinese in cui dal 45 vi è una guerra civile in corso, perché la
tregua interna negoziata tra le varie fazioni delle guerre cinesi per combattere il Giappone dal
37 in poi era stata interrotta ed era ripresa una guerra civile in cui i due protagonisti più
importanti erano il governo nazionalista da una parte (erede del processo della rivoluzione di
inizio 900) e dall’altra il partito comunista di Mao Zen D’Hong che aveva ottenuto un certo
consenso nelle campagne.
La guerra civile si conclude nel 49 con la vittoria dei comunisti, quindi Mao instaura una
repubblica popolare cinese. La Cina è un’area demografica, economica importante e non a
caso era stato previsto che ci fosse un seggio permanente per la Cina nel consiglio di
sicurezza dell’ONU. Questa cosa viene vista dall’America come una grande sconfitta: il capo
del governo nazionalista (Jan jaijek) non era certo una figura amata a Washington, aveva
questo approccio molto tradizionalista dittatoriale, però Mao era rappresentante di una
minaccia ancorapeggiore.
Jan Gaijek si rifugia nell’isola che in Europa si chiamava Formosa (cinese Taiwan) e
continua un governo di una cina nazionalista.
Il governo degli Stati Uniti continua a riconoscere come governo ufficiale della Cina, il
governo nazionalista di Jan e la repubblica popolare di Mao non viene riconosciuta dagli
USA e dai suoi alleati.
Mentre dalla Russia viene visto come un successo. Mao e Stalin non avevano buoni rapporti:
Stalin diffidava da tutti quelli che non erano i suoi sottoposti, equando Mao vince si appoggia
all’URSS e costituisce un modello di stato vicinissimo allo stalinismo.

Il punto è che questa vittoria sembra poter modificare gli equilibri anche in Asia, e Stalin
cerca di provarci e lo fa in Corea. Perché? La Corea è una penisola già incontrata nel nostro
ragionamento: sta a cavallo tra l’arcipelago giapponese e l’entroterra manciuriano cinese. In
Corea (colonia giapponese fino al 45) al nord erano entrate le truppe sovietiche quando Stalin
negli utlimi mesi di guerra aveva dichiarato guerra al Gippone
 Unico aspetto non del tutto coerente della guerra, Stalin si era ben guardato
dall’entrare in guerra con Giappone.
Occupa il nord della Corea, al sud della corea erano arrivate le truppe americane quando
avevano preso il controllo del Giappone con la vittoria nel 45.
E vi era stata una situazione simile a quella tedesca: due parti del territorio occupate da due
truppe all’inizio alleate, pian piano sempre più rivali e si erano costituiti due governi. Uno
comunista al nord e uno nazionalista filoamericano al sud. Il governo del nord dice a Stalin:
fammi riconquistare il sud, e Stalin non voleva rischiare. Ma nel 50 Stalin da la sua
autorizzazione, ma dice: tieni conto che se le cose vanno male io non intervengo, al massimo
lo farà Mao (il confine con la corea del nord è legato al territorio manciuriano cinese). Quindi
il nord invade il sud e per il momento sembra una vittoria militare enorme, ma gli USA,
secondo la dottrina Truman, mandano delle truppe per respingere l’invasione.
Paradossalmente questo esercito avrà le bandiere dell’ONU perchè i sovietici quando succede
il fatto del mancato riconoscimento del governo di Mao in Cina, per protesta non avevano
partecipato alle riunioni del consiglio di sicurezza ONU, quindi quando gli USA presentano
la mozione che attribuisce alla Corea del Nord il carattere di paese aggressore e dice che
bisogna reagire, al consiglio di sicurezza non c’è nessuno che pone il veto:
Stalin si accorge di aver fatto un errore, ma comunque porta a questo fatto.

Sta di fatto che in Corea avviene una guerra drammatica (corea all’ora abitata da tanti abitanti
quanti l’Italia). La guerra diventa non piu fredda ma calda. Dura 3 anni e vi è una complicata
vicenda di truppe che prima arrivano quasi a cacciare gli occidentali dal nord, poi il rientro
americano passa la linea di divisione del 38esimo parallelo e caccia i nord coreani fino quasi
al confine cinese, e a quel punto i “volontari” cinesi ricacciano le truppe americane.
Il generale McArtu, capo dell’esercito americano propone di reagire con una bomba atomica,
cosa che ovviamente non viene autorizzata perché anche in questo caso la logica è quella che
le due superpotenze provano a cambiare gli equilibri, sondano la possibilità di allargare la
propria influenza, ma non vogliono rischiare che una guerra locale diventi una guerra globale.
Quando nel giugno del 50 c’è l’attacco del nord corea al sud, tutti dicono che è la nuova
Sarajevo, ma questo non succede
A distanza di 3 anni si capirà che nonostante le difficoltà nord e sud coreani con la presenza
dei cinesi e degli americani troveranno un armistizio che congela la situazione tra le due
coree che esiste ancora oggi:c’è quel 38esimo parallelo che dal 53 oggi è una zona di
ricorrenti tensioni e possibili scambi, una zona delicata di un paese diviso.

Questo meccanismo poi si presenta altre volte nel corso della guerra fredda perché l’idea di
cambiare equilibri, di cercare di allargare la propria influenza, comincia a non riguardare più
solo l’Europa ma anche tutto il mondo e però viene in genere gestito all’interno di questa non
detta situazione di controllo per evitare uno scontro mondiale.
La tensione si struttura e diventa permanente. Vuol dire 2 cose:
 si struttura una rete di alleanze: quella sovietica limitata, paesi dell’Europa centro
orientale e mondo cinese
 quella americana: si estende come una specie di grande cintura di contenimento, di
controllo esteriore dei confini del ridotto territoriale sovietico.

1. Alleanza del sud-est asiatico che coinvolge Australia, Filippine, Tailandia, Giappone
(dopo il 51 che torna ad essere libero dai vincoli della guerra)
2. Alleanza centro-asiatica che deriva dal patto di Bagdad che gli inglesi avevano
negoziato con l’Iraq (ex zona di controllo britannico anch’essa che aveva ottenuto
l’indipendenza) che coinvolge il Pakistan, l’Iran, Turchia
3. Alleanza atlantica, da non confondere con la Carta Atlantica (Roosevelt e Churchill
nel 41) -> si chiamerà anche NATO. Viene a essere firmata nella primavera del 49 tra
le potenze europee occidentali e gli Stati Uniti ed è la prima cronologicamente di
queste alleanze. È una novità: gli US firmano in tempo di pace un’alleanza che li
impegna a intervenire se ci fossero aggressioni sovietiche in Europa e a tenere anche,
a seguito di questa promessa, truppe permanentemente stanziate in Europa

L’isolazionismo sparisce dall’orizzonte americano, e dall’altra parte è un altro strumento che


gli americani concedono ai paesi europei occidentali perché sono loro che chiedono aiuto agli
americani, non vogliono che, come in passato, gli americani intervengano quando ormai il
nemico ha occupato tutta l’Europa.
 Parallelismo tra minaccia nazista e minaccia cosacca, irrealista perché Stalin non aveva
un esercito in grado di fare ciò, però occupa l’immaginario della guerra fredda e anche
la politica, perché porta a questa alleanza che vuol dire strutturare progressivamente i
blocchi: collaborazione militare permanente.

È chiaro che questa logica del contenimento non impedisce che in qualche caso ci sia la
tensione e la ricerca di vantaggi. Perché questa ricerca di vantaggi non si traduce nella
volontà di scontro totale? Qui dobbiamo far riferimento al discorso strettamente militare.
Da una parte c’è un elemento nuovo dal punto di vista militare: la bomba atomica, ma non è
questa che scoraggia l’ipotesi di una GM, in particolare all’inizio perché nel 45 solo gli USA
hanno la bomba atomica. Stalin fa di tutto per averla, ma prima che riesca a sperimentare la
prima, che avverrà nel 49, non si limita nella sua politica estera, ciò che voleva cerca di
ottenerlo. Quindi non c’è una minaccia della supremazia americana legata alla nuova bomba
che lo convinca a limitare le sue intenzioni politiche. Nel 49: prima bomba atomica sovietica,
per molti anni non ci sarà parità, quello sovietico è un arsenale parziale, quindi la bomba avrà
ancora un ruolo marginale.
Nella prima parte della guerra fredda (quella più tesa) non è tanto la bomba atomica che
contribuisce a evitare uno scontro globale drammatico, ma la memoria della stessa vicenda
del 30ennio precedente: nessuno dei grandi che governava questo sistema voleva riportare i
propri popoli all’interno di un dramma simile a quello appena vissuto. L’ipotesi di rituffarsi
in una tragedia, che anche senza la bomba atomica sarebbe diventata una vicenda di
distruzione drammatica, diventa irrealistica.
Quando la bomba diventa piu rilevante? Verso la fine degli anni 50. Qui la novità è che si
inventa una nuova tecnologia: i missili balistici, strumento che serve per portare o in orbita, o
nei livelli alti dell’atmosfera, fino a un obiettivo da un’altra parte del mondo, un oggetto. Nel
caso russo, nel 1958 si sperimenta per la prima volta il lancio di un satellite artificiale, lo
Sputnik. I missili vengono rapidamente convertiti in strumenti per portare a destinazione
anche a distanza da un continente all’altro, ordigni nucleari.

La tecnologia missilistica cambia molto: portare una bomba con un aereo su un obiettivo non
era così sicuro, caricarlo su un missile lo è di più, anche perché è molto meno vulnerabile.
Quindi l’idea della distruttività della bomba atomica cresce fortemente e si collega a una
nuova consapevolezza degli effetti a lunga gittata perchè all’inizio il tema delle conseguenze
dell’inquinamento nucleare era stato sottovalutato. Gli USA avevano fatto gli esperimenti
nucleari nel deserto del Nevada, non lontano dalle città e la ricaduta radioattiva era stata
ritenuta poco rilevante, i sovietici le scorie radioattive all’inizio le buttavano nei fiumi.
Ma quando si fanno esperimenti nei deserti del pacifico, ci sono ricadute nucleari che
coinvolgono pescherecci ecc. e c’è quel drammatico laboratorio umano di Hiroshima e
Nagasaki in cui si vedono gli effetti a distanza. Quindi il tema della distruttività della nuova
bomba a fine anni 50 diventa cruciale: porta acqua all’idea che una nuova guerra mondiale
diventa sempre più insostenibile.

Primi anni 50 in Europa


Si va verso una progressiva stabilizzazione di confini. I blocchi si erano delineati tra 47 e 49
(fase costituente della guerra fredda), c’era stato qualche tentativo di modificare i confini ma
ormai le due Germanie sono nate, le alleanze costituite. L’ultimo momento in cui vi è forse la
possibilità che i due fronti vengano modificati è il 1956.
 Perché Stalin muore nel 1953, quindi diciamo che il dittatore ombroso, cinico viene
sostituito da una direzione collegiale, all’inizio, in cui pian piano emerge uno dei
vecchi collaboratori di Stalin: Chruscov, comunista di origini ucraine, collaboratore di
Stalin che però pian piano lancia l’idea da segretario del partito che bisogna prendere
le distanze dall’eredità di Stalin e immaginare un comunismo più moderno, più
credibile all’estero e meno dittatoriale e soprattutto meno legato alla personalizzazione
estrema che Stalin aveva dato. Tiene un discorso segreto che pian piano viene ad
essere conosciuto in fretta, ai suoi sodari del partito comunista nel cogresso di Mosca
del 1956, in cui fa una vera e propria condanna ai crimini di Stalin (accusato di aver
usato il potere in modo personalistico)
Cruschev non ha in mente un comunismo sul modello consigliare Trozkista ma una gestione
meno personalizzata e dittatoriale. Si comunica però a diffondere l’idea del disgelo, e parla
anche di una possibile coesistenza pacifica con l’occidente.
Questa cosa è poi ricca di scontri sotterranei: molti dirigenti prendono le difese di Stalin, che
era stato quello che in un epoca in cui l’unione sovietica poteva essere spazzata via,
schiacciata dai nemici, aveva difeso il paese, permesso la crescita industriale di una grande
potenza.
Fatto sta che il turbamento riguarda i paesi sovietizzati da poco in Europa dove il controllo
comunista era ancora fragile. Li si delinea sull’onda delle rivelazioni di Kruscev uno scontro
tra stalinisti e riformatori, sotto al quale c’è anche uno scontro tra autonomia del paese e
controllo sovietico. Gli scontri sono durissimi soprattutto a Poznan (Polonia) e Budapest:
Polonia, lo scontro porta a un governo riformatore che sconfigge gli stalinisti e nella guerra di
posizione questo governo riformatore prende posizioni che dicano noi tolleriamo altri partiti
oltre a quello comunista, potremmo anche uscire dal patto di Varsavia: cosa che Crushev
ritiene inaccettabili, quindi la Rivolta di Budapest stroncata. Gli occidentali non reagiscono:
intervenire in quel precario equilibrio avrebbe voluto dire un rischio di guerra. Quindi
proteste, minacce ma nessun intervento sostanziale. Quindi le truppe sovietiche a Budapest
nel 56 fa vedere che i due fronti in Europa non si modificheranno più, che la cortina di ferro
(come è stata chiamata da Churchill nel 47) rimarrà a dividere l’Europa.
La vicenda de 56 è la chiusura di questa stagione iniziale della guerra fredda.

Questa vicenda stabilizza la guerra fredda in Europa ma non c’è niente di scontato: fa parte di
questo meccanismo il concetto che la situazione è instabile, a rischio, sempre potenzialmente
in movimento.
Crushev aveva lanciato la parola d’ordine di una nuova coesistenza pacifica possibile, che era
un concetto significativo rispetto all’idea di Stalin che prima o poi una guerra con il
capitalismo sarebbe stata ineluttabile, però fa una polifica alla fine degli anni 50/primi anni
60 che lo vede al controllo dell’URSS tutt’atro che ispirata a un idea collaborativa, l’unione
sovietica si dibatte tra l’idea collaborativa e l’idea che bisogna affermare un proprio ruolo di
superpotenza che gli USA tendono a negare.
Nel 54 c’è una prima conferenza al vertice a e quindi le superpotenze si parlano ma senza
grandi risultati pratici.
Negli anni 60 ci sono ancora delle crisi perché Crushov manifesta questa linea che in qualche
caso sfiora ancora uno scontro dalle potenziali proporzioni serie: nel 61 c’è una nuova crisi su
Berlino, in cui la situazione congelata nel 49 è diventata difficile da gestire soprattutto per la
Germania comunista.
La ricostruzione della parte occidentale della Germania ha raggiunto ritmi di successo piu
rapidi che nella parte orientale e c’è una parte di cittadini della DDR che vuole rifugiarsi a
occidente. C’è un controllo non significativo sui propri cittadini. Il governo della DDR pone a
Mosca la questione, chiede di discuterne con gli alleati per convincerli ad andare via da
Berlino e si crea una nuova crisi internazionale.
il giovane presidente americano Kennedy dopo due mandati del generale Eisenhower che non
aveva agito secondo linee non molto lontane da Truman, va a Berlino per dire siamo coinvolti
in questo scontro “ich bin ein berliner”.
Alla fine la minaccia di Cruschev di dare al governo della DDR mano libera per risolvere
militarmente la questione di Berlino si traduce in modo diverso. Nell’agosto del 61 le truppe
sovietiche costituiscono il famoso muro che divide le due parti della città. Questo muro nasce
dopo due crisi e con la logica che:
 da parte del modello sovietico è un’ammissione di difficoltà, di incapacietà di ottenere
il consenso dei propri cittadini, ma questo per Crushev è il male minore rispetto al
rischio di una destabilizzazione delle democrazie popolari.
 Questo stabilizza la situazione nel medio periodo, perché anche da parte occidentale
piuttosto che rimettere in discussione la presenza occidentale a Berlino ovest si può
anche accettare che ci sia questa barriera.

Ma dopo un altro anno Crushev fa un'altra mossa avventata, stavolta sul continente
americano provocando un’altra crisi. Non abbiamo parlato molto dell’America Latina ma
dobbiamo ricordare che nei Caraibi, che dalla fine dell’800 era il cortile di casa degli USA
dove questi avevano un controllo così forte da controllare direttamente i governi. A cuba
c’era un dittatore che da decenni governava facendo gli interessi delle grandi compagnie
americane. Questo dittatore viene fatto cadere da una banda di rivoluzionari nel 1959, guidati
dal giovane carismatico Fidel Castro. Si stabilisce una situazione che gli americani vedono
con fastidio: Castro inizia a nazionalizzare le tenute di produzione della frutta e a fare una
politica di distacco dal controllo americano. Questo porta al tentativo della CIA nel 61 di
farlo cadere con una sommossa di cubani anticastristi, in realtà armati e finanziati dalla CIA:
episodio della baia dei porci.
La cosa fallisce e Castro preoccupato: non è un comunista, ma un esponente di questa
borghesia progressista latino-americana, anti yanky, antiamericana, ma fortemente legata ad
una tradizione localistica, però dice: l’unico che mi può proteggere dall’ingombrante vicino
statunitense è il nemico degli USA, cioè l’URSS.

Cruschev decide di difendere Castro inviando li alcune armi nucleari. È una decisione
azzardata messa in atto tra 61 e 62, ma gli USA scoprono la cosa tramite gli aerei spia. La
cosa viene presa come una sfida diretta agli USA.
Kennedy, presidente democratico, con impostazione riformatrice, e che non può per questo
presentarsi come un debole, porta la cosa in pubblico: protesta pubblicamente, va in TV a
dire che è una sfida inaccettabili contro gli USA.
La minaccia era di un attacco molto più imprevedibile, deciso, pericoloso e vicino. Su questa
crisi, su questa minaccia di Kennedy di ritorsioni armate se i sovietici non fermassero le navi
che stavano portando le testate nucleari a Cuba, si rischia una nuova contrapposizione
radicale. Ma ancora una volta Kennedy non bombarda Cuba: minaccia un blocco delle navi.
Cruschev non manda le navi a scontrarsi col blocco americano, a un certo punto fanno marcia
indietro.
La crisi è quindi drammatica, anche perché vissuta in modo molto più unito (TV) però non è
ancora una volta l’anticamera vicina della 3GM: la crisi viene pacificata con una specie di
compromesso: i sovietici ritirano i missili e tacitamente il governo americano promette di non
cercare più di far cadere Castro. (non c’è un documento ufficiale ma sarà così)

Il punto nuovo è che se colleghiamo il rischio seppur moderato di guerra a Cuba con la nuova
condizione atomica generale, cioè l’equilibrio dei missili, questo configura una situazione
molto piu drammatica che in passato nell’ipotesi di arrivare ad una nuova guerra e quindi
porta alle due superpotenze di scegliere ciascuna in modo autonomo ma alla fine
incontrandosi tra loro, di stabilizzare la guerra fredda e di rendere lo scontro piu stabile anche
instaurando un dialogo formalizzato, che è tracciabile negli incontri tra Kennedy e Crushev
che metteranno capo a una diplomazia tra le due superpotenze che nel 1963 porterà al primo
accordo. L’ultimo era stato il trattato di pace con le potenze minori del tripartito nel 1947.
Nel 1963 c’è questo nuovo accordo che riguarda una questione che sembrava marginale, cioè
la questione dei test nucleari nell’atmosfera: nessuno di noi farà più nell’atmosfera, se
serviranno li faremo sotterranei. È l’avvio di una stagione nuova che si intensificherà molto
alla fine degli anni 60.

Se parliamo della guerra fredda come una cosa che inizia nel 47, ha la sua fase più dura tra il
47 e il 53, poi conosce un ammorbidimento e poi nonostante alcune crisi una stabilizzazione,
dobbiamo ragionare su un aspetto molto importante: intanto che la guerra fredda si
stabilizzava i due sottosistemi (occidentale e orientale) non erano affatto statici. Da una parte
vi era un equilibrio tra dominio sovietico e originalità delle singole democrazie popolari che
diventa più morbido e flessibile. Dopo la crisi del 56 anche Cruschev si rende conto che non
poteva governare il sistema solo coi carri armati: accetta che in Polonia vada al governo
qualche comunista molto nazionalista, che il governo ungherese che succede ad Anaghi
(dopo la repressione sanguinosissima degli eredi della rivoluzione), prenda una linea più
morbida sul futuro. Insomma, si accettano delle varianti nazionali del comunismo. Quella più
complicata di queste varianti nazionali è quella cinese: la Cina è quello che abbiamo detto,
cioè l’erede di una grande civiltà e impero. Anche se per tutti gli anni 50 Mao è dipendente
dall’unione sovietica (appoggio militare, tecnologico), questo non gli impedisce di costruire
una politica in cui il comunismo cinese ha una sua indipendenza, originalità e volontà di non
farsi comandare da quella Mosca erede di un piccolo potentato delle steppe che era stato
subalterno ai cinesi. La logica imperiale di un paese come la repubblica popolare che è
fragile, isolato dal mondo, in cui il governo di Mao fa disastri che portano a una
compressione del tenore di vita della popolazione cinese. Tuttavia, Mao e i suoi collaboratori
si pensano come gli eredi del grande impero, il partito si pensa come l’elite mandarina dei
burocrati che avevano governato razionalmente la Cina.
 Si traduce in un dissidio con Mosca, che è un dissidio sia di interpretazione del
comunismo (Mao comincia a rimproverare Chrushov di essere troppo debole, noi
siamo rivoluzionari, dobbiamo essere più duri, non dobbiamo accettare l’offerta
americana della coesistenza). Sotto al dissidio ideologico c’è un fattore statuale: lo
stato cinese non può sottostare al controllo di Mosca.
Il dissidio prende piede nelle conferenze internazionali dei partiti comunisti già alla fine degli
anni 50, ormai palese nei primi anni 60 con spaccatura palese e questa spaccatura giungerà a
mettere i due paesi quasi sulla rotta di scontri militari di frontiera (se la questione diventa di
un rapporto tra i due stati, la frontiera tra Unione Sovietica e Cina era stata legata
all’imperialismo russo di fine 800 con una debole risposa cinese e Mao rivendica che quella
frontiera è tutt’altro che ritenere immutabile). Nel 68/69 si arriverà a degli scontri di frontiera
in Manciuria.
Sinteticamente diciamo che: il dissidio cinosovietico comincia a mettere una limitazione
all’universalismo sovietico, la capacità di interpretare quel ridotto territoriale, quell’area
circoscritta ma comunque enorme e demograficamente cospiqua che il comunismo si era
ritagliato alla fine della Seconda guerra mondiale, come un’area tuttaltro che compatta e
solida e questo è un evento che a lungo periodo avrà un’importanza molto radicale.

Capiamo che se questo è vero, è ancora più vero che le cose sono ancora più complicate nel
mondo occidentale, nel mondo occidentale c’è un controllo statunitense legato al fatto che gli
USA sono in condizione dominante, ma c’è anche un pluralismo molto più strutturale (gli
USA lanciano l’idea del mondo unificato come un mondo anche democratico, libero, in cui ci
sono dinamiche di controllo molto meno verticistiche)
Cosa succede in questo mondo? vi è un’evoluzione legata a questa dinamica. Da una parte ci
sono le pressioni americane per l’integrazione dei mercati , la liberalizzazione: no chiusure
economiche degli anni 30. Dall’altra ci sono risposte europee e non solo prudenti sul punto.
Da una parte questi paesi hanno esigenze di sicurezza (abbiamo visto che chiedono l’alleanza
che poi gli americani concedono) ma dall’altra anche di difendere la loro statualità che nel
caso francese e inglese è anche imperiale. E comunque hanno un’impostazione sul ruolo degli
stati nella dinamica economico-politica più significativa in Europa che negli USA. Il peso
dello stato nello stabilizzare l’economia dopo la grande crisi degli anni 30 è in Europa molto
decisivo.
È la stagione in cui si consolida quell’egemonia culturale di una teoria economica legata alla
figura di un liberale progressista di Cambridge Keynes Maynard, che aveva riflettuto sulla
dinamica macroeconomica della crisi degli anni 30 e aveva detto che aveva scalzato le
fondamenta dell’economia neoclassica di fine 800 e aveva portato al centro del sistema
l’attenzione al ruolo dello stato, i mercati non si autogovernano, se non c’è lo stato che
governa il tasso d’interesse e che governa l’occupazione con interventi pubblici in caso di
crisi (modello del New Deal).
Keynes dice che il ruolo dello stato è fondamentale per impedire che il capitalismo si anti
distrugga, riflessione che diventa l’orientamento mainstream che spiega perché nella
ricostruzione del dopoguerra c’è questo importante ruolo degli stati. Quindi le pressioni
americane per la liberalizzazione si scontrano con quelle europee per salvaguardare il ruolo
degli stati e questo porta a tanti compromessi (non a una imposizione degli USA). La vera
logica egemonica americana è saper proseguire nella direzione che a loro interessa ma senza
irrigidirsi in imposizioni che sarebbero state probabilmente rifiutate.
Es: organizzazione mondiale del commercio. Nel 1947 gli americani la propongono già, gli
europei sono riluttanti (inglesi con questione dell’impero ecc), e la risposta degli USA è
quella di accettare questa integrazione, propone dei negoziati permanenti, costituendo la
struttura del GAT (General Agreement on Tarifs and Trade) che è esattamente una specie di
rallentamento nel tempo dell’obiettivo di creare una vera organizzazione mondiale del
commercio che imponga la liberalizzazione degli scambi a livello globale.

Pensiamo a un altro discorso che si delinea nei primi anni 50, che è su come reintegrare la
Germania nel sistema. È la questione dominante dopo che nel 49 le due Germanie erano state
divise. La Germania est ormai è persa ma nella Germania ovest cosa facciamo? Non è
possibile prolungare all’infinito l’occupazione militare, bisogna dare qualche autonomia;
quindi, questo vuol dire ammettere una ricostruzione economica e di conseguenza
dell’industria pesante? Qualcuno dice no a queste proposte e questo qualcuno è in primo
luogo il governo francese, scettico. Mentre gli USA vogliono accelerare in questo senso
perché vogliono che l’economia del continente riprenda e senza ripresa tedesca non ci sarà
mai una rinascita europea.
 Con la guerra fredda che incombe gli americani hanno bisogno di una ripresa
economica e potenzialmente anche militare tedesca.
Il braccio di ferro dura qualche mese e alla fine cosa viene fuori? Un’operazione di
compromesso proposta dai francesi, e in particolare dal governo in cui l’intellettuale di
riferimento è Jean Monnet che dice: proponiamo agli americani di accettare la ricostruzione
economica tedesca (poi di li a poco si arriverà anche al riarmo), ma proponiamo che avvenga
in un quadro di controlli europei. La proposta del piano Schumann (ministro degli esteri
francese) è quella che darà vità nel 1951 alla comunità europea del carbone e dell’acciaio:
struttura in cui la produzione europea e anche della Germania, viene controllata come
mercato, come scelte e strategia da un'alta autorità negoziata dei paesi che entrano in questa
formula comunitaria.
Non si era mai vista prima l’idea che gli stati cedessero parte di sovranità in favore di
un’autorità comune negoziata come parte di accordi, la prima volta che avviene è sulla
questione del carbone e dell’acciacio che vuol dire sulla ricostruzione economica tedesca
fondamentalmente.
Hadenauer, nuovo cancelliere del governo tedesco (che è ancora un governo sotto
occupazione militare) non può che accettare e quindi si allarga sia alla Francia che l’ha
proposta sia all’Italia che accetta sia ai tre paesi del Benelux (Belgio, Olanda Lussemburgo).
È una cosa che avrà un futuro, è l’inizio di quella che oggi è l’Unione Europea, ma nasce con
questo carattere di compromesso specifico che nasce per risolvere un problema, cioè il
problema del futuro della Germania occidentale.
Gli USA sono contenti che gli europei gestiscano tra loro il mercato del carbone e
dell’acciaio? Avrebbero preferito che fosse inserito in un grande mercato unificato a livello
globale, però accettano che provvisoriamente si faccia questa cosa in una logica di
progressiva apertura.
La GB nel 50 quando nasce la CECA non partecipa poiché non si reputa un paese
continentale europeo, ha l’impero ecc.

Passano pochi anni e c’è il problema dell’esercito. Nel 52 si pone il tema di fare la stessa cosa
sul tema dell’esercito. vogliamo riavere un esercito tedesco? gli americani dicono sì, i
francesi no; quindi, elaborano un progetto con la stessa logica della ceca, ossia la comunità
europea di difesa, la quale sembra entrare in funzione ma nel 54 fallirà all’ultimo momento a
causa del voto sfavorevole dei francesi, ma sarà un passaggio di una prospettiva che
continuerà.
Nel 55/56 la cosa verrà rilanciata con l’idea di fare un mercato comune europeo, di mettere
insieme il commercio tra tutti i paesi europei. Gli USA non sono entusiasti, perché fare un
mercato comune europeo tra questi sei paesi vuol dire mettere delle barriere all’esterno, ma
accettano la cosa perché vuol dire un passo in una direzione verso un’obiettivo di
integrazione e liberalizzazione che è quello che loro hanno in mente.
Il rapporto fra i membri di questa area occidentale è un rapporto articolato, complesso. Per
esempio nel 58 in Francia torna al governo De Gaulle (inventore del piccolo movimento della
France Libre che collabora con gli alleati contro l’occupazione tedesca e che poi per un breve
periodo era primo ministro nel 45) nel 58 la repubblica è in crisi sulla questione della
decolonizzazione e si rivolge al generale come una sorta di ultimo pilastro dell’unità
nazionale. Ha quest’idea fortemente nazionalista della guida francese dell’Europa, ma anche
legata a una collaborazione tra i paesi europei che possa essere non tanto quella di cedere
sovranità alla comunità (blocca l’evoluzione della comunità come governo sovrannazionale)
ma insiste sull’autonomia europea dagli USA e dall’Unione Sovietica, lancia questa idea di
Europa che potrebbe mettere in discussione la cortina di ferro -> non è molto realizzabile,
porta qualche simpatia in Germania tanto che nel 63 si farà un trattato francotedesco di
collaborazione che però sarà subito ridimensionato perché Hadenauer verrà sconfessato dal
suo stesso partito e in Germania si riaffermerà l’idea che si la collaborazione europea è
importante, quella con la Francia è decisiva, ma nell’orizzonte dell’alleanza atlantica, quindi
non c’è una rottura che De Gaulle riesce a costruire nell’alleanza atlantica, ma è un altro
segnale che le cose sono tutt’altro che così statiche. L’Europa ha una potenzialità di crescita
che diventa significativa.

Caso giapponese
Dopo Hiroshima e Nagasaki il Giappone occupato militarmente solo dagli USA (sovietici
non partecipano a guerra con Giappone). Per 4/5 anni gli USA cercano di imporre un
cambiamento radicale del paese: ricordiamo che c’era stato questo sviluppo capitalistico
molto legato ai grandi gruppi familiari, tradizionali, a un intreccio tra stato ed economia. Il
proposito è quello di riformare tutto, smontare grandi gruppi, liberalizzazione dei mercati,
costituzione che parli del rifiuto di usare la forza militare all’estero, demitizzazione della
figura dell’imperatore. idea di controllo esclusivo radicale portato a omogenizzare il
Giappone all’egemonia degli stati uniti.
Ma cosa succede nel 50 vicino al Giappone? La guerra di Corea: momento in cui gli USA
capiscono che hanno bisogno del retroterra giapponese per controllare il contenimento
nell’estremo oriente.
Quindi elaborano compromesso: nel 51 trattato di pace con Giappone. Da la possibilità di
riprendere con una certa autonomia lanche di politica economica lo slancio imprenditoriale
Giapponese, purché il Giappone stia all’interno di questo orizzonte, più favorevole rispetto a
quello degli anni 30, adesso questa economia molto guidata dallo stato con il ruolo portante
del ministero dell’industria e del commercio, con il suolo importante dei grandi gruppi
integrati tra industria, banca e rapporti politici, ha la possibilità di riprendere a crescere in un
mondo in cui le esportazioni sono più libere perché gli USA garantiscono questi margini e
questo da vita a un vero e proprio boom economico giapponese
Grafico. La crescita degli USA era stata molto più precoce nonostante l’industrializzazione
giapponese degli anni 80 dell’800. Dal 1890 procede parallela più o meno a quella degli stati
uniti. La Guerra porta a un crollo del Pil significativo, ma poi abbiamo una grande crescita
più rapida di quella degli USA tanto che negli anni 70 arriva ad essere alla stessa intensità di
sviluppo industriale capitalistico degli USA, il PIL si avvicina in modo significativo.
Abbiamo un modello che ancora non piace molto agli USA: il ministero che promuove
l’esportazione all’esterno, dal punto di vista americano è infrazione alle regole del
capitalismo liberale.
Quando negli USA cominciano ad essere vendute le auto giapponesi che costano molto meno
rispetto a quelle americane, questo comincia ad essere visto come una specie di offesa, quindi
ci sono frizioni e tensioni, ma non impediscono un orizzonte di grande lungimiranza:
accettare un compromesso per ottenere le misure che volevano ottenere.

Questa elaborata serie di rapporti all’interno del mondo occidentale da vita a un contesto
altamente favorevole allo sviluppo economico, la prima serie di anni del dopoguerra: almeno
dal 48/50 fino a metà anni 70 sono stati chiamati l’età dell’oro del capitalismo globale:
straordinaria crescita del capitalismo industriale sia geograficamente, sia di intensità. E i
paesi cresciuti di piu sono stati quelli che erano più indietro, sconfitti dal 45. Grande boom
giapponese, della repubblica federale tedesca dopo il compromesso del 50 sulla CECA e
anche dell’Italia: la marginale e periferica Italia col boom economico diventa un paese
industriale moderno favorito dalla trama che gli USA avevano garantito (libertà di scambio
ma all’interno di un orizzonte in cui gli stati governano il sistema). Questo allargamento
comporta un certo avvicinamento delle posizioni anche fuori dai confini del mondo
capitalistico. Tema della lotta alla fame, il dopoguerra vede modelli di integrazione dei
sistemi di produzione agricola che in India per esempio fa sviluppare molto di più la
produzione del riso per rispondere ai bisogni della popolazione. L’idea della modernizzazione
tecnologica che sta sotto questo etusiasmo ottimista del capitalismo viene vista da una figura
come Kennedy come l’obiettivo della grande egemonia americana: l’egemonia americana è
benevola perché si ispira all’idea della modernizzazione, che tra l’altro sarà anche l’arma per
combattere il comunismo.
Comunismo: frutto della povertà. Se noi capitalisti dimostriamo che la crescita economica
alla fine è positiva per tutti, questo distruggerà il comunismo.
L’egemonia americana non è solo imporre gli interessi delle aziende bananiere nei caraibi,
ma collaborare per portare la borghesia e la classe dirigente degli altri paesi a questa
consapevolezza di quanto si possa ottenere con un processo di riforme moderne,
tecnologiche, economiche e legate all’istruzione
Questa è la grande trama che regge questi 30 anni significativi per la storia dei paesi
incontrati a livello globale.

In questo periodo, proprio le regole essenziali avviate dopo la ripresa postbellica, instradano
un meccanismo favorevole di questo tipo: costi bassi dei capitali legati anche alla stabilità
monetaria garantita dagli accordi di Bretonne-Woods, costi bassi dell’energia,
sostanzialmente costi limitati del lavoro (questo diventerà un problema con gli anni 60/70),
aumento degli spazi commerciali liberi, serie di elementi convergenti che portano a un
risultato, che non è omogeneo: sono gli stati europei a crescere di più.
Gli USA crescono, non è che sono in crisi, qualche paese europeo cresce di meno (es GB),
ma ci sono paesi come la Francia, il Giappone, la repubblica federale tedesca e l’Italia hanno
crescite a tassi che oggi chiameremo cinesi (straordinaria stagione di cambiamento)
Quando un paese cresce del 7/8% all’anno in 5/6 anni diventa quasi un raddoppiamento
dell’economia, vuol dira anche una trasformazione sociale conseguente di dimensioni
straordinarie.

Tutto ciò avviene in un mondo che sta cambiando anche al di fuori dell’orizzonte dei due
sistemi contrapposti. Perché cambia? Perché il mondo extraeuropeo è in grande fermento
dopo il 45 in cui si fermano volontà di autonomia, indipendenza, soggettività. Entrano in crisi
i vecchi imperi perché ci sono ormai minoranze, attive politicamente impegnate e
significative che hanno ruoli di guida di processi di costituzione di autonomia. Questi
vengono ricalcati su lezioni occidentali: molti di questi leader hanno studiato in Europa: la
stessa idea di democrazia, nazione, sovranità popolare che guida gran parte di questi
movimenti nazionali è un’idea europea (pensiamo che nel mondo arabo la parola nazione non
esisteva fino agli anni 20 del 900). Quindi questi processi crescono molto anche grazie
all’indebolimento complessivo dell’Europa dopo il 45.
Ci sono fasi di de-colonizzazione: Asia e Africa non erano mai stati colonizzati formalmente
(anche se oggetto di imperialismo europeo non avevano mai avuto una storia di colonialismo
europeo o erano già usciti dal percorso coloniale prima del 45) I paesi bordeaux diventano
indipendenti dopo al fine della guerra (grossa vicenda dell’india e dell’Indonesia, ex colonie
italiane). I territori arancioni sono quello collocati tra metà anni 50 e fine anni 60: grosso dei
paesi africani.
Nel 63/64 questa ondata è ormai diventata molto estesa, l’ONU viene fondato da vari paesi,
circa 40, che sono quelli che collaborano all’alleanza di guerra nel 1944,
e l’ONU del 64 avrà già 120 paesi indipendenti.

Ci sono casi diversi: un conto è l’impero britannico dove il governo laburista nel 45
ridimensiona come scelta l’impero, un conto è il caso francese in cui vi è quella resistenza
che porta alla guerra di indocina, fino al 54 quando i francesi devono andarsene e che porta
alla guerra di Algeria che metterà in crisi il governo democratico francese nel 58.
Quindi ci sono casi di decolonizzazione relativamente indolore: caso indiano per quanto
riguarda il distacco dalla GB ma non per quanto riguarda la sistemazione del territorio che
porta poi alla distinzione con scontro drammatico tra India e Pakistan. Ci sono casi invece di
scontri drammatici come la stessa Indonesia con guerra di liberazione molto dura rispetto al
governo dei Paesi Bassi.

C’è questo nuovo allargamento della società internazionale, ci sono nuovi soggetti, nuovi
stati, ma spesso fragili. Dal punto di vista politico l’effetto del colonialismo è stato
devastante, ha rallentato molto la modernizzazione politica in questi territori: gli inglesi
permettevano una sorta di amministrazione semi indipendente, quindi sotto al governo
britannico ci sono stati casi più efficaci, ma spesso la maturazione è stata lenta e quindi anche
le élite fanno fatica a gestire i nuovi stati indipendenti, anche perché molti di loro si trovano a
dover mobilitare in termini elettorali una popolazione legata a schemi di vita diversi da quelli
europei (tema partiti, libero dibattito pubblico pensiamo a società con strutture
completamente diverse). Naturalmente, collegato a questo c’è anche l’aspetto economico:
non tanto perché ci sia stato sempre un aspetto predatorio del colonialismo (lo sviluppo
industriale europeo non era avvenuto nella totalità ad opera di un elemento di sfruttamento
dei paesi non europei, ma perché comunque il controllo europeo aveva certamente bloccato
molte delle potenzialità locali). Quindi se è vero che nel dopoguerra c’è questa illusione di un
avvicinamento o in qualche caso più di un’illusione, ma una dinamica economica di
cambiamento anche in molti paesi ex-coloniali, però la fatica dell’emancipazione politica si
collega a queste difficoltà sociali ed economiche.
Gli stati sono fragili, le democrazie durano poco ma nonostante questo vi sono degli attori
che cominciano a parlare di una volontà di marcato protagonismo di questi nuovi paesi.
Analizzando queste cose un demografo francese di nome Sovie lancia l’espressione: esiste
ormai un terzo mondo.
 Espressione che viene poi anche valorizzata da molti capi politici africani e asiatici
(non da tutti, ma da molti). Pensa all’esistenza di un mondo, al fatto che questi paesi
iniziassero a collaborare tra loro, ad avere una voce se non comune, ispirata a una
forma di convergenza all’interno delle organizzazioni internazionali e che questo
mondo non era né il primo nel il secondo della guerra fredda: ne identificabile col
mondo capitalista ne con quello socialista, anche se molti dei movimenti di liberazione
sono ispirati ad una logica marxista, anche se altri partiti guida erano sicuramente
democratici e liberali.

Allora l’idea di un mondo terzo è legata al fatto di non essere né il primo né il secondo, ma
pensiamo anche a un altro aspetto: nel linguaggio francese l’espressione terzo mondo
evocava l’espressione “terzo stato”: il terzo stato della rivoluzione, cioè era l’insieme dei non
privilegiati che prende in mano le sorti della nazione con la rivoluzione e diventa l’assemblea
nazionale nell’89 francese. Sotto al concetto non era solo l’idea di un mondo neutrale, fuori
dai due raggruppamenti, ma un mondo che vuole contare di più, emancipandosi, collaborando
e ragionando insieme.
Nel 1955 c’è una prima grande conferenza dei rappresentanti africani e asiatici in Indonesia: i
paesi organizzatori sono India, Pakistan, Indonesia, Silon e Birmania. I paesi che partecipano
sono quasi tutti i paesi del sud est asiatico e molti paesi arabi e alcuni africani dell’area
soprattutto egiziano sudanese.
I lider di Bandung: da una parte abbiamo Nasser, presidente dell’Egitto che aveva scalzato la
monarchia prendendo il potere (capo militare ispirato alla logica di un socialismo panarabo),
Sucarno, presidente dell’Indonesia, Chuen Lein, Cina (comunista, questa partecipazione
mette un po’ in discussione l’idea di un mondo non connesso ai due grandi blocchi), Al Neru,
primo ministro dell’india.

Cosa dicono? C’è una lunga discussione sulla loro potenzialità di collaborazione esucarnu e
neru parlano dei pancha sila, i grandi precetti della tradizione induista che parlano di nuove
regole di rapporto tra individui e popoli di tipo collaborativo e pacifico.
Non si approda a un risultato politico significativo, ma è il primo segnale di una volontà di
collaborazione di questo nuovo mondo di paesi indipendenti che punta ad avere una voce
nell’assemblea delle nazioni unite (i paesi contano per essere ciascuno un voto, non si pesano.
Più paesi indipendenti nuovi ci sono più questa area di un mondo che si sottrae al controllo
tradizionale europeo cresce e quindi può avere una voce.)
L’assemblea dell’On diventerà un luogo di battiti accesi sul colonialismo, sull’indipendenza,
sulle regole economiche mondiali.
Negli anni 60 la cosa si condenserà in un movimento di paesi non allineati, in cui i lider non
saranno piu i cinesi che usciranno da questo gruppo, sucarno ci sarà ancora poi viene
sostituito da un colpo di stato nel 65, ma ci sarà soprattutto il ruolo di Neru, Nasser e di Tito,
presidente della Iugoslavia: era un comunista ma emarginato da questo mondo dal 48, dalla
paranoia di Stalin che lo vedeva troppo indipendente. Cacciato dal COMINFORM inaugura
una linea di socialismo flessibile, autogestito, sostanzialmente si sgancia dal mondo sovietico,
entra in relazioni più positive col mondo occidentale e partecipa all’iniziativa politica per
costituire il movimento dei paesi non allineati che tra anni 60/70 avrà il suo peso, tentando di
porre questioni:
Conferenza ONU 1964 sul commercio e lo sviluppo: nascerà la formula -> dobbiamo cercare
un nuovo ordine economico-globale, voleva dire ragionare sul fatto che il libero commercio
ispirato alla logica in cui i paesi che potevano vendere prodotti industriali aveva un valore
aggiunto, metteva in discussione la sopravvivenza di paesi esportatori di materie prime.
 Ragionamento su come modificare queste implicite regole del commercio mondiale
Il punto: i paesi rivendicano una loro originalità ma di fatto la guerra fredda arriva a
coinvolgere anche loro. Diventa un fenomeno pervasivo che si infila laddove vi sono realtà
instabili, magari per ragioni anche del tutto locali.
Esempi: la Guerra Fredda arriva nei Caraibi con la vicenda della crisi di Cuba, ma questa non
è frutto del fatto che USA e URSS erano volosi di conquistare un’influenza su Cuba, ma
arriva uno scontro tra le superpotenze a causa dell’equilibrio locale che entra in crisi, cioè la
rivoluzione castrista: da qui si delinea lo spazio per l’influenza dei due grandi.
Pensiamo che questo discorso accade anche in altre parti del mondo. abbiamo due esempi:
1) Situazione mediorientale collegata alla nascita dello stato di Israele:
alla fine del primo conflitto mondiale c’era stata una spartizione di influenze tra francesi e
inglesi con il crollo dell’impero ottomano.
in Palestina vi era un’amministrazione britannica, il mandato britannico. Sotto al mandato
britannico era iniziata l’immigrazione di una popolazione ebraica ispirata alla logica sionista
(ideologia che vedeva il popolo ebraico disperso nel mondo come una nazione moderna che
quindi avesse il diritto di costituirsi uno stato nazionale, e dove se non nella terra dei padri)
La logica dell’emigrazione sionista si collegava a quella di ebrei perseguitati sotto il nazismo
e in Palestina si crea una dialettica tra popolazione palestinese locale di origine araba e
popolazione emigrata ebraica. Gli inglesi fanno sempre piu fatica a gestire la situazione e nel
47 decidono di abbandonare l’amministrazione della Palestina restituendo il mandato ricevuto
alla società delle nazioni (la quale non c’è più quindi lo restituiscono all’ONU).
L’assemblea generale dell’ONU deve prendere in considerazione la questione e propone una
sorta di compromesso: siccome ci sono due popoli che fanno fatica a stare insieme, creiamo
uno stato arabo e uno ebraico a seconda della maggioranza della popolazione. Stacchiamo
Gerusalemme, città così importante per almeno tre grandi religioni globali e ne facciamo una
città internazionale per eccellenza.
La proposta ha una radice ma fa fatica a realizzarsi perché sul territorio nessuno la accetta: ne
gli ebrei che volevano stabilire un loro stato, ne gli arabi locali, ne i paesi arabi circostanti
che erano diventati indipendenti alcuni da tempo altri da poco (Siria e Transgiordania) e nel
45 avevano costituito una lega araba.
Data questa mancata accettazione della proposta dell’ONU, nel 48 scoppia un primo
conflitto, una guerra locale tra il movimento sionista organizzato nello stato di Israele e la
lega araba che protegge gli interessi della popolazione palestinese e che comunque vuole
evitare la costituzione di uno stato ebraico. Questo scontro porta alla vittoria di Israele: per il
momento è ancora localizzato, non c’è un ruolo della guerra fredda. Israele allarga i suoi
territori, prende anche territori a maggioranza araba, ma non la cosiddetta Cisgiordania e la
Striscia di Gaza abitata dalla popolazione araba sul mediterraneo. La Cisgiordania viene
aggregata al regno transgiordano, Gaza annessa all’Egitto.
Quindi non c’è neanche il piccolo segnale di uno stato indipendente arabo in questi territori
mentre si costituisce l’indipendenza israeliana. Siccome questa situazione rimane legata a una
tensione permanente, pian piano il discorso rientra nell’orizzonte della guerra fredda
 Gli stati arabi da una parte cercano un sostegno internazionale nell’Unione Sovietica,
che in questa regione non ha una presenza diretta ma che punta ada llargare l’influenza
nel mediterraneo.
Nasser, il presidente della giordania ecc non sono per niente comunisti, ma si avvicinano
all’URSS per avere un aiuto nello scontro con Israele.
Israele invece viene spinto a cercare i protettori in Occidente (GB ha rapporti faticosi perché
era l’ex potenza mandataria). Dalla fine degli anni 50 e poi negli anni 60, il grande protettore
dell’indipendenza dello stato d’Israele saranno gli USA.
Progressivamente quello che era un conflitto locale si traduce in una manifestazione della
guerra fredda. Si traduce in una dinamica che quando scoppia la guerra nel 1967 (48-56-67)
diventa tipicamente uno scontro della guerra fredda e questo comporta che da una parte le
due superpotenze tutelano ciascuno il proprio alleato impedendo che vengano sconfitti: la
guerra fredda in qualche modo perpetua lo scontro (la sconfitta drastica di ciascuna delle due
parti è esclusa dato che c’è un grandeprotettore internazionale), dall’altra controlla lo scontro
perché nessuno dei due governi vuole che uno scontro locale rischi di trasformarsi in una
guerra mondiale. Entro certi limiti bisogna tutelare quell’alleato e impedire che faccia
qualcosa per gli equilibri globali.
Nel 1973 ci sarà la quarta guerra che avrà effetti devastanti a livello globale, ma non sul
piano di una terza guerra mondiale perché quando il rischio diventeraà quello di una
mobilitazione più forte degli alleati, alla fine gli alleati imporranno un limite ai propri stati
tutelati a livello locale.

2) Caso indiano
La divisione India-Pakistan è una divisione locale, circoscritta, legata alla drammatica
difficoltà di venire a capo dell’eredità del colonialismo, la divisione tra indù e musulmani.
Questa divisione diventa però anche uno scontro della Guerra Fredda quando il Pakistan
diventerà un alleato degli USA e l’India si vedrà costretta a rivolgersi all’URSS nonostante
non sia un paese comunista.

3) Caso dell’indocina
I francesi dopo la durissima guerra per ripristinare il loro controllo militare, se ne vanno nel
54. Nel 54 si fa una conferenza internazionale, una delle prime in cui c'è un tentativo di
collaborare tra Stati Uniti e Unione Sovietica, perché naturalmente ciascuno vede le
potenzialità di scontro che ci sono in questa situazione.
Si creano due Stati indipendenti, la Cambogia e Laos è uno Stato del Vietnam che però per il
momento è diviso in due parti. Perché? Perché lì ci sono eredità di componenti diverse: c'è al
Nord la presenza di questo forte movimento di liberazione del fronte di guida comunista,
mentre al sud c’è la presenza di eredi di strutture politiche tradizionali legate alla
colonizzazione francese, ma anche componenti cristiane, componenti buddiste eccetera.
Quindi l'idea è. Provvisoriamente dividiamo al diciassettesimo parallelo i due vietnam
nell'attesa che si pongano le condizioni per una riunificazione democratica.
Situazione che rimane in tensione per parecchi anni, fine anni 50/primi 60 dal nord si decide
di sostenere una guerriglia che anche sfruttando l’attraversamento di sentieri nel Laos vada ad
influenzare il governo del sud che progressivamente era diventato sempre più dittatoriale e
poco ben visto dalla popolazione agricola locale.
Questa sovversione dall’interno comincia ad essere vista dagli americani come un pericolo: si
comincerà ad elaborare l’idea della Teoria del Domino
=> nella guerra fredda se anche un solo piccolo paese cede all’allargamento dell’influenza
comunista, questo porterà al crollo di tutto il sistema.
La teoria di Kennan del 47 (in cui però tutti i paesi venivano reputati come diversi) viene
applicata alla teoria del domino in modo molto rigido.
 Il governo USA comincia a sostenere prima finanziariamente poi con le proprie truppe
la resistenza al regime di Saigom

Da li si allarga una guerra che gli americani cominceranno a combattere non solo contro le
inflitrazioni di questo esercito guerrigliero, ma contro le stesse basi e contro lo stesso esercito
del Vietnam del Nord; quindi, allargando la guerra dopo il 64/65 sarà una condizione
esplicita in Vietnam (vietnam nord con sostegno cinese e sovietico i quali faranno la guerra
tra loro per un’influenza reciproca maggiore).
Originariamente è uno scontro locale, ma ben presto diventa uno scontro della guerra fredda.

Questa guerra ha una caratteristica un po’ particolare: dal punto di vista degli USA, è una
guerra che si rivela sempre più complessa e difficile da gestire: è una guerra non tradizionale,
di invasione di un esercito straniero che vuole occupare un territorio (semplice per la
superiprità degli USA). Questa è una guerra di inflitrazione, in cui i guerriglieri hanno
rapporti con la popolazione locale, in cui gli americani non sanno bene come riuscire a
controllare un territorio, bombardano il nord con bombe incendiarie che fanno vittime ma alla
fine non verranno a capo di questa guerra.
 Esito negativo per USA.
A parte questa specificità, la guerra è ricollegabile ad altri casi citati, in cui la vicenda del
terzo mondo e della decolonizzazione si intreccia con la pervasività della guerra fredda.

14.12
Riassunto
Il ragionamento fatto era legato alla condizione della Guerra Fredda ormai sviluppata negli
anni 60. Parlavamo della decolonizzazione e della creazione del cosiddetto terzo mondo:
cosiddetto da un punto di vista europeo, ma cosiddetto anche perché alcuni degli stati
protagonisti e leader politici che avevano costituito questi stati di nuova indipendenza
iniziano a pensare alle collaborazione tra loro come collaborazioni organiche e durature. Da
Bandung, conferenza in Indonesia, in poi la collaborazione cresce e negli anni 60 nasce il
movimento dei paesi non allineati. Avevamo ragionato tra questa nuova dimensione della
politica internazionale e la guerra fredda, che è un conflitto globale. Nasce specificamente in
Europa, nei primi anni 50 si allarga all’Asia orientale, ma siccome le due superpotenze hanno
un orizzonte globale, questa coinvolge tutto il mondo (prima USA che URSS che assume un
orizzonte globale più lentamente, anche per ragioni di risorse).
Si delinea questo intreccio abbastanza complesso, dove ci sono conflitti locali legati a
particolari situazioni che si creano, indipendenti dalla GF, che hanno ragioni specifiche. Sono
poi questi conflitti che tendono a venire assorbiti dall’orizzonte della guerra fredda. La
struttura del bipolarismo da una parte sfrutta questi conflitti, occasioni per segnare uno
spostamento di influenza tra due blocchi, e dell’altra calmierano: nessuna delle due
superpotenze può permettere che il conflitto locale si sviluppi fino a una sconfitta totale del
proprio alleato e referente locale. Abbiamo parlato della:
 NASCITA ISRAELE NEL 48
siamo a fine della seconda GM, e il contesto è il ridimensionamento dell’impero britannico.
La Palestina era diventata nei suoi confini un mandato affidato dalla società delle nazioni al
Regno Unito dopo la Prima guerra mondiale. La GB nel 47 dice: non posso più gestire la
situazione. Un po’ a causa del ridimensionamento (indipendenza India ecc), un po’ perché la
situazione locale è particolarmente complessa: c’è una popolazione araba presente in quei
territori da secoli ma c’è un immigrazione di popolazione ebraica (da Europa, poi anche dal
Medio oriente e Africa) -> ci sono ebrei che dopo la diaspora dell’inizio dell’era cristiana
dopo la conquista romana di quelle regioni si erano stabiliti in diverse parti del mondo, e
adesso una parte di questi ebrei rientrano in Palestina perché c’è questa dottrina sionista
elaborata a fine 800 in Europa da intellettuali, che dice che il popolo ebraico si può
considerare come una nazione (no solo comunità religiosa dispersa nel mondo) e quindi a
inserirsi nel ragionamento per cui secondo il principio di nazionalità ogni nazione ha diritto a
costituirsi in uno stato.
Il sionismo come stato in cui costruirsi indica la Terra dei Padri: Israele biblico. E questo
vuol dire un’immigrazione privata che inizia a comprare terre, e costituire attività agricole ed
economiche. Ma questa immigrazione si scontra con le popolazioni locali e il conflitto
diventa difficile da sostenere da parte dell’amministrazione britannica.
Gli inglesi restituiscono il mandato all’ONU erede della società delle nazioni. Nel 47
l’assemblea dell’ONU vota una risoluzione: siccome vi è la situazione in cui ci sono due
popoli, l’unica soluzione è di creare due stati -> uno ebraico e uno arabo. Gerusalemme
secondo l’ONU doveva rimanere una città internazionale: città santa sia per il mondo ebraico,
sia per quello musulmano, e anche poi per quello cristiano. Ma questa divisione sulla carta
non funziona nella realtà perche di fatto nessuno è soddisfatto e quando nel 48 si sarebbe
dovuta realizzare, gli ebrei già residenti in loco proclamano la nascita dello stato di Israele, e
gli stati arabi circostanti intervengono militarmente per impedire questa nascita appoggiando
gli arabi di Palestina che non volevano la divisione della loro terra (Egitto, Transgiordania,
Siria anch’essi in parte di nuova indipendenza in parte già ottenuta). Avevano costituito nel
45 una lega araba e gli eserciti entrano in campo contro quello messo in funzione dagli ebrei
che costituiscono israele.
La guerra viene vinta sul campo dall’esercito israeliano che riesce ad allargare i suoi territori.
Dai territori rimasti dalla divisione del 47 prevista dall’ONU, non si crea uno stato arabo
palestinese, ma la striscia di Gaza viene annessa all’Egitto e la Cis Giordania annessa alla
Transgiordania che diventa il nuovo regno di Giordania. Non c’è uno stato palestinese, ma un
c’è un problema palestinese che resta aperto: arabi palestinesi locali rivendicano un ritorno
alle loro terre e creano un movimento che negli anni avrà anche una sua identità politica.

Anche questo è un conflitto locale che si crea per una dinamica complessa legata a quei
fattori descritti. Diventa anche questo, pian piano, un conflitto della Guerra Fredda: i paesi
arabi, che non sono comunisti, ma in caso Egitto e Siria sono legati a regimi legati a una
specie di nazionalismo arabo dai caratteri socialisteggianti, più o meno legate alle caste
militari (Nasser militare). Anche se non sono comunisti guardano a Mosca per avere un
sostegno perché Israele viene interpretato come una specie di trapianto occidentale in quella
regione. Israele all’inizio è sostenuto soprattutto dalla Francia poi dagli anni 50 diventa
sempre più forte il legame con gli USA.
 Quindi non è originaria la sovrapposizione della guerra fredda a quesoto conflitto, anzi
nel 48 sono quando lo stato di Israele viene creato sono tutti d’accordo: URSS è uno
dei fattori politici più importanti che porta a questa decisione dell’ONU, però la
dinamica che si crea man mano è questa.
Già a metà degli anni 50 la cosa è evidente e diventerà del tutto evidente con la terza guerra
arabo-israeliana del 67, guerra dei 6 giorni, che vedrà saldarsi il rapporto tra Tel-Aviv e
Washington e tra Paesi Arabi e Unione Sovietica
Anche in questo caso il legame impedisce che la guerra locale veda un vincitore solo, per
esempio nel 67 quando gli israeliani stanno vincendo, la minaccia di un intervento sovietico
limita la loro espansione territoriale e questa dinamica si ripresenterà.

 QUESTIONE DI CUBA IN AMERICA LATINA

 GUERRA DEL VIETNAM: La penisola indocinese era stata una colonia francese
fin dalla fine dell’800. Abbiamo detto che la presenza francese era stata cacciata con
invasione giapponese nel 41. Dopo la sconfitta della Francia le colonie erano state
lasciate a sé stesse e nel 41 il collegamento con l’offensiva per creare sfera di co-
prosperità asiatica i giapponesi invadono. Dopo la sconfitta dell’imperialismo
giapponese, il governo francese cerca di riconquistare il controllo dei territori con
un’operazione militare complessa, costosa e impegnativa, che dura dal 45 per una
decina di anni. Ma si scontra con una guerriglia locale, che ha uno dei suoi punto di
forza nella presenza di un partito comunista. Soprattutto nel Vietnam del nord, questo
movimento di liberazione vietnim, guidato da O CI MIN, vietnamita che ha avuto
occasione di studiare in francia, di accostarsi al partito comunista, che si è collegato a
una cultura e riflessione di tipo europeo. Questa guerra di riconquista coloniale dal
punto di vista francese e di liberazione dal punto di vista vietnamita locale dura quasi
10 anni e nel 54 finisce con la sconfitta francese. Nonostante in cospicuo sforzo
militare i francesi perdono alcune battaglie significative, e decidono di ritirarsi. Cosa
accade allora? La situazione è un conflitto locale, di liberazione, ma assume da subito
una caratteristica non solo locale. E siccome siamo nel 54 (primi timidi segnali di
disgelo, di uscita da quella contrapposizione totale anche di tipo diplomatico che era
stata la prima parte della Guerra Fredda), i maggiori attori internazionali e locali si
accordano per una conferenza di pace, la quale mette capo a una situazione in cui
l’Indocina francese (gran parte della penisola, eccezione Thailandia), viene divisa in 3
stati a seconda di antiche realtà storiche, etniche e locali. Laos, Cambogia e Vietnam.
Mentre Laos e Cambogia trovano un assetto istituzionale provvisorio che pian piano
diventerà duraturo, in Vietnam l’accordo della conferenza di Ginevra nel 54 non
prevede da subito un governo unico: USA non volevano che il governo fosse guidato
da O CI Min quindi dai comunisti
 La soluzione che si trova è quella di dividere il paese in 2 sulla linea del 17esimo
parallelo
nord governo affidato al vietnim e al sud governo affidato a una parte degli eredi della classe
dirigente locale che si era formata sotto ai francesi.
La teoria della conferenza di Ginevra era questa situazione provvisoria fin quando ci saranno
le condizioni per una riunificazione democratica, elezioni uniche in tutto il paese. È un
discorso come era già stato fatto in altre situazioni: allontanamento del rischio conflitto a
breve, creando però una situazione rinviata a una incerta ridefinizione futura.
Ora cosa accade? Al nord si consolida il governo comunista, che decide fin dalla seconda
metà anni 50, in modo inizialmente prudente e poi via via sempre più incisivo di sostenere
una guerriglia che si infili nel vietnam del sud e metta in crisi l’assetto politico locale, tra
l’altro un assetto autoritario, sgradito a molta parte della popolazione contadina locale. O ci
min e il fronte vietmin ha ovviamente rapporti con Mosca, ma qua siamo più lontani dalla
Russia quindi il punto di riferimento del Vietnam è più la Cina comunista. Fin quando Mosca
e Pechino vanno davanti a questi temi internazionali in relativo accordo, fin quando il
consolidamento del comunismo in Cina è molto legato agli aiuti sovietici, questo tema è poco
rilevante, nel senso che o ci min è legato al comunismo perché è un movimento ancora
unitario. Quando si divaricheranno Cina e URSS dalla fine degli anni 50 poi esplode nei
primi anni 60, O Ci Min da una parte è in una condizione pericolosa perché i due grandi
alleati non collaborano più, dall’altra potrebbe essere sfruttata perché ciascuno dei due vuole
mantenere il controllo e l’abilità che O Ci Min dimostra è esattamente quella di muoversi a
cavallo delle due influenze: ottenendo aiuti dall’uno dicendo che altrimenti li avrebbe
richiesti dall’altro. È un gioco sottile che svolge con efficacia e lo porta a poter affermare
scelte proprie: quella di destabilizzare il sud attraverso l’infiltrazione dei guerriglieri viet
kong che iniziano a mettere in crisi il regime del sud.
Le strade rosse sulla cartina: piste guerrigliere che dal nord attraversano Laos, Cambogia ed
entrano in Vietnam per fare queste operazioni, iniziano alla fine degli anni 50, nei primi anni
60 diventano un problema cospiquo per il regime del sud.
 Non è una decisione ne sovietica ne cinese di aprire questo conflitto, è un conflitto
locale che o ci min gestisce nella logica di riunificare il Vietnam sotto il controllo di
Anoy, del regime esistente
Però inevitabilmente diventa un conflitto della guerra fredda: dietro o ci min c’è il sostegno
sovietico cinese in quella forma complessa, mentre il regime di Saigon, Vietnam del sud, è
ancorato al sostegno occidentale: i francesi, per la verità dopo il ritiro del 54 non hanno più
tanta voce in capitolo, ma quello che interviene a sostenere il regime è il governo degli USA.
E perché lo fa? Ricordiamo la teoria del contenimento di Kennan nel 47 => non abbiamo la
possibilità e la voglia di trasformare la GF in una terza guerra mondiale, ma dobbiamo
limitare e contenere in ogni maniera l’influenza comunista, dobbiamo stare dentro la sfera
d’influenza sovietica e impedire che questa si allarghi.
Questo ragionamento, a fine anni 50 con Hainsenawer, viene caratterizzato dalla teoria del
domino: se comunismo vince in qualsiasi posto anche periferico del mondo, prendendo delle
posizioni che prima erano occidentali, questo è pericolosissimo, perché ogni mattoncino, se
cade, fa cadere tutti gli altri -> se cade Vietnam ne sud questo porterebbe portare a un
dilagare dell’influenza comunista nell’Asia orientale.
 La teoria del domino è una specie di estremizzazione del contenimento. Kennan
pensava al contenimento come una cosa flessibile, sofisticata, attenta, bisogna
scegliere i punti più delicati. Qui diventa invece opponiamoci a qualsiasi avanzamento
dell’influenza comunista costi quel che costi anche se si tratta di difendere situazioni
difficili in termini strettamente militari o politicamente piuttosto indifendibili.
(Vietnam del sud regime corrotto, impresentabile, lontano dalla popolazione,
certamente non è un alleato modello per gli Usa, e dall’altra parte non c’erano neanche
interessi economici per tenere queste posizioni, ma la teoria del domino impone questa
rigidità)

Dall’idea di sostenere il regime di Saigon con aiuti, consiglieri militari, finanziamenti, pian
piano questo diventa mandare truppe per addestrare quelle locali, truppe che pian piano si
impegnano anche nei combattimenti, insomma tra il 60/63 (ultimi anni presenza Kennedy)
64/65 (primi anni della presidenza Johnson) questa guerriglia nel Vietnam del sud diventa
una guerra in cui gli USA sono impegnati di persona con centinaia di migliaia di soldati. La
guerra dura dal 64 al 73, parecchi anni, con una condizione dal punto di vista americano
particolare: difendere un regime politico da una guerriglia nemica, in un contesto lontano, in
cui non si conosceva il territorio, in cui la popolazione era spesso favorevole ai ribelli,
diventa un’operazione militare sempre meno facile da condurre. L’escalation della presenza
americana vuol dire anche che a un certo punto di comincia anche a non combattere solo con
i guerriglieri al sud, ma anche bombardare il nord, imporre limiti alla circolazione marittima -
> la guerra si estende ma si fa fatica a vincere.

Diventa anche una guerra poco popolare sia negli USA sia tra i suoi alleati.
 All’interno del paese nasce un movimento contro la guerra che si collega all’ondata
della protesta studentesca degli anni 60, che mette in crisi la presidenza progressista di
Johnson. Tant’è che Johnson nel 68 non si ricandida alle elezioni presidenziali, cosa
insolita: non lo fa perché è stravolto da questa crisi politica, che è l’impossibilità di
vincere una guerra in Vietnam tra “Davide e Golia” -> la prima superpotenza
americana non riesce a sconfiggere questo manipolo di guerriglieri.
La guerra finisce nel 73: gli USA negozieranno dopo avere voluto evitare fino all’ultimo.
Anche Nixon, che diventa presidente nel 68 inizialmente è ancora più duro ma poi assume
una posizione più realistica, e dice che l’unica soluzione è sganciarsi, lasciando la guerra in
dimensioni locali e questo è proprio quello che viene negoziato intorno al 73.
Di li a poco il vietnam del nord occuperà definitivamente anche quello del sud: il regime del
sud lasciato solo collasserà su sé stesso.

Questo discorso da l’idea di una realtà che poi si moltiplica in tanti altri casi. Lo schema è
simile: conflitto locale, ciascuna delle due parti cerca un riferimento internazionale, e se
questo diventa fare appello a uno dei due grandi la guerra fredda, questa si traduce in questa
dimensione locale di perpetuazione del conflitto, ma allo stesso tempo di sua limitazione:
nessuna delle due superpotenze vuole tra anni 50/60 anche nel periodo più duro, che questa si
trasformi in una terza guerra mondiale, anche se allora c’era una preoccupazione diffusa che
potesse succedere.

PASSO SUCCESSIVO DELLA GUERRA FREDDA


Tra gli anni 60 e 70 in questo ordine bipolare, in questa guerra fredda che si sta pian piano
consolidando (anni 60 inizia un certo dialogo tra le due superpotenze, non c’è più una
situazione di totale incomunicabilità), la GF diventa un sistema che progressivamente però
mostra i suoi limiti.
E quali sono? I limiti del fatto che le due superpotenze si scoprono man mano che procede il
decennio sono meno sicure, meno solide, della loro egemonia rispettiva nei loro campi. La
loro leadership non è più così marcata come poteva essere nel 45 o negli anni
immediatamente successivi. Questo per motivi diversi e paralleli: pensiamo a quello che
abbiamo già detto sulla guida americana dell’occidente. Questa guida aveva incontrato un
periodo straordinario e negli anni 60 c’era ancora l’eco di quella grandissima capacità politica
che gli USA avevano avuto di costruire dopo il 45 un sistema globale che avesse un orizzonte
solido, capace di integrare alleati, paesi ex-sconfitti, di costruire quell’articolato sistema di
compromessi per cui ogni parte trovava il suo vantaggio nell’essere dentro questo sistema, e
questo però diventa più difficile nella seconda metà degli anni 60 verso gli anni 70.
Quali sono le manifestazioni della difficoltà?
- DISCORSO DEL VIETNAM: Il Vietnam è la classica guerra che gli USA non
riescono a vincere proprio per le caratteristiche diverse dalle guerre precedenti, e
siccome non riescono a vincerla questa diventa una grossa ferita della coscienza
dell’essere la prima superpotenza. Anche quel consenso interno intorno ai pilastri del
modello del dopoguerra che aveva tenuto insieme i diversi partiti, le diverse forze
culturali (USA storicamente divisi su tante questioni: interventisti internazionalisti vs
isolazionisti). Questa divisione si era ridotta molto nel primo dopoguerra, torna ad
essere presente dopo il fallimento del Vietnam. Incertezza, questioni interne,
movimenti polemici contro il ripristino della leva obbligatoria. Questo è il primo
grosso momento di difficoltà.
- ELEMENTO COMMERCIALE: nel 45 gli USA erano l’officina del mondo, un paese
con capacità straordinaria di esportazione di beni in un sistema capitalistico
all’avanguardia. Fino a metà anni 70 la cosa non sparisce di colpo: c’è un periodo di
benessere, gli USA continuano a crescere, tanto che le amministrazioni di Kennedy e
Johnson possono anche porsi la questione di una ridistribuzione della ricchezza,
quindi non è una crisi, ma bisogna prendere atto che proprio la grande espansione del
sistema capitalistico globale, l’età dell’oro del capitalismo porta altri paesi
capitalistici a crescere più rapidamente degli USA. Vuol dire che già a fine anni 60,
dal punto di vista commerciale, gli USA non sono più capaci di dominare il mondo
coi loro beni perché ci sono paesi che cominciano a produrre beni concorrenziali a
prezzi magari migliori. Pensiamo alla crescita economica della Germania, del
Giappone e parzialmente anche dell’Italia.
nel 71 c’è un primo deficit dopo un lungo periodo di surplus, poi si riprende un po’ e poi dal
75/76 questo deficit diventa elevato e soprattutto stabile.
Dal 71 in poi gli USA sono in deficit con il resto del mondo
Cosa vuol dire? Che cominciano ad essere scosse le basi dell’equilibrio finanziario globale
perché per finanziare questo deficit, non possono più continuare a esportare capitali nel
mondo, ma devono importare capitali, non possono più fare spese militari ad limitum, non
possono più tenere le basi che avevano tenuto.
Uno dei fattori sarà il problema monetario. Quindi ripetiamo: non c’è una crisi, ma
riequilibrio di rapporti che porta con sé il fatto che non c’è più la capacità americana di essere
l’unica guida del sistema.

Questo ragionamento si collega alla crescita della conflittualità interna. Dalla metà degli anni
60 il poi cresce un movimento di contestazione interno al paese, che da una parte è anche
contro guerra del Vietnam, ma non c’è solo quella, c’è anche un forte elemento di
contestazione della stessa capacità del sistema di non essere equo e stabile, forte
costestazione delmodello riformatore: Jhonson come Kennedy (per alcuni versi in modo più
decisivo) aveva rappresentato negli anni 60 l’idea che l’egemonia americana doveva portare a
un sistema più inclusivo all’interno del paese, a una maggiore giustizia sul rapporto tra le
componenti della società americana, verso gli afro americani, doveva portare ad un
iseriemnto ordinato delle classi lavoratrici nel benessere americano (centro dello straordinario
successo del modello fordista). Questa cosa aveva creato consenso fino a un certo punto, ma
poi comincia a manifestarsi un movimento critico: questa redistribuzione è un tentativo di
inserire anche le masse popolari in una società ingiusta e troppo rigida, in cui l’integrazione è
un problema perché non rispetta la soggettività e la libertà delle persone. perché uno
dovrebbe sgobbare tutta la vita per potersi comprare una casa o una macchina (sogno
americano degli anni 50)
Questa contestazione mette in crisi il consenso interno. C’è anche una crescita anche delle
lotte sociali: i lavoratori iniziano a chiedere non solo salari adeguati per poter partecipare al
consumo, ma a contestare l’aumentare dei profitti, e questo diventa un problema che spesso
assume caratteri politici.

Citavamo la presenza gollista (seguaci del generale Charles de Gaulle) in Europa come uno
dei segnali politici di questa di questa difficolta di leadership. De Gaulle vuole un Europa
sganciata dalla guida americana, contesta la NATO, porta la Francia a uscire dal sistema
integrato di difesa. La minaccia di De Gaulle non è una minaccia duratura, alla fine la Francia
rimarrà isolata, ma è un sintomo che mentre nei primi anni del dopoguerra questa capacità
straordinariamente inclusiva del grande modello politico americano funzionava, dagli anni 60
comincia a funzionare sempre meno.
Questo vale anche per l’URSS in modo diverso: qui siamo di fronte più a una situazione che
potremmo dire di divisione ideologica all’interno della compattezza comunista. La divisione
ideologica per eccellenza è quella del conflitto con la Cina. Nei primi anni 60 questo conflitto
diventa fuori controllo: non si riesce più a rientrare all’interno di un orizzonte cooperativo
tant’è che le riunioni dei partiti comunisti internazionali si diradano, e non si riescono a fare
vertici partecipati da tutti perché Mao introduce l’elemento ideologico di critica della scelta
di Crushov della distensione, ma anche portata a sottolineare la maggior coerenza
rivoluzionaria del comunismo cinese a prezzi molto elevati all’interno della Cina.
È un dato importante perché la Cina è la Cina: con tutto che è un paese ancora povero, però
già allora ha 6/700 milioni di abitanti e la cui sottrazione alla guida sovietica rappresenta un
punto delicato per gli equilibri del sistema.
Di più, l’illusione della classe dirigente sovietica di poter stabilizzare una situazione di
relativo sviluppo, che si era creato fino dai primi anni 50 con Leonin Breznev che nel 64
diventa segretario del partito quindi capo del sistema comunista sovietico, grazie a una sorta
di operazione degli alti vertici del partito che estromettono Kruscev (visto ormai come un
avventurista. Era stato importante il suo stimolo per il disgelo, ma la classe dirigente sovietica
interpretava ora la necessità di una guida più stabile, prudente, moderata che non mettesse più
in discussione con l’alternanza tra gesti distensivi e provocatori i rapporti con gli USA e
Breznev è esattamente un comunista di questo tipo).
Breznev è un austero dirigente del partito, molto conservatore come prospettiva. La
sostituzione di Kruscev non è sanguinosa, ma è un segnale di questo tipo: la normalità di
Breznev va incontro a delle sfide, che ancora una volta viene dal comunismo dell’Europa
centro orientale, soprattutto in Cecoslovacchia.

CECOSLOVACCHIA
Diventa guida del partito una componente riformatrice che lancia lo slogan della primavera di
Praga, di un socialismo dal volto umano (meno repressivo, più aperto alla soggettività delle
persone, più partecipato sotto il profilo anche economico). È un esperimento che si pensa
anche come ortodosso, senza la volontà di rompere con l’unione sovietica, non è ai livelli di
uscire dal patto di Varsavia fatto dal governo Naghi in Ungheria nel 56. Siamo in una linea di
pluralità di volti del socialismo, ma che non viene, anche in questo caso, accettata da Mosca.
Dopo pressioni, tentativi di far rientrare la svolta di Durchev, Breznev prende la decisione di
utilizzare la forza: nel 68 a Praga si mandano i carri armati sovietici e delle altre democrazie
popolari circostanti e l’esperimento di socialismo dal volto umano, la primavera di Praga
viene fermata. Non è drammatica come la vicenda del 56 ungherese. Durchev non è né
processato né messo in condizioni di subire trattamenti violenti, viene pensionato fin quando
poi vent’anni dopo lo ritroveremo nelle vicende del crollo del sistema sovietico nell’est
europeo.
Ma questa scelta nel 68 da parte di Breznev è un’altra dimostrazione di debolezza, lo era già
stata la costruzione del muro nel 61, nel 56, ma ora anche un sistema più stabile e più sicuro
come quello sovietico mostra di non saper risolvere la situazione con mezzi politici, ma di
dover usare la forza.
In una parte del comunismo fuori dai confini di influenza sovietica, queste scelte vengono
viste come negative: c’è la rottura del partito comunista italiano con Mosca su questi punti.
Mentre Togliatti aveva appoggiato nel 56 la scelta antireazionaria di Budapest, nel 68 questa
cosa diventa più difficile da sostenere.

Dal punto di vista economico il sistema è migliorato rispetto ai drammi della guerra, ma non
è né stabile né sicuro, e si comincia a parlare di una stagnazione economica. Queste cose
messe insieme, danno l’idea che anche il sistema sovietico (per ragioni diverse da quelle della
superpotenza americana) fosse meno solido e certo riguardo alla propria area di influenza.

La cosa più importante da notare è che dopo questi segnali di incertezza di fine anni 60, il
decennio 70 diventa di svolta. Perché? Perché una serie di eventi e dinamiche mettono in crisi
quel sistema complesso costruitosi sotto l’etichetta dell’età dell’oro del capitalismo (formula
storico Hobsborne): si esaurisce un certo equilibrio nel sistema occidentale diventato
tendenzialmente globale, al di fuori dell’area sovietica ancora molto circoscritta, anche se
questa aveva iniziato ad avere presenze anche lontane dalla propria area di influenza, ma
rimaneva un sistema circoscritto. Il sistema occidentale aveva dimensioni più globali e aveva
conosciuto un periodo di sviluppo straordinario nei primi 30 anni dopo la guerra. E il sistema
entra in crisi, e la cosa pone le basi per un cambiamento profondo. Dinamiche di questa
difficoltà che il sistema incontra: ne possiamo citare 3 con un sotto elemento importante,
quello culturale. la prima dimensione della crisi:
1) Legata al sistema monetario globale:
il periodo dell’età dell’oro era stato governato dal punto di vista monetario da una grande
stabilità. I rapporti di cambio erano relativamrnte stabili grazie a quel perno del sistema che
era il dollaro (gold exchange standard stabiilito a bretton-woods) . è la centralità del dollaro
nel sistema monetario internazionale che entra in difficoltà a fine anni 60.
La ragione è semplice da spiegare: il dollaro come unica moneta convertibile in oro di tutto il
sistema internazionale aveva avuto quel ruolo centrale perché aveva fluidificato la crescita in
quanto gli USA erano in grado di usare una moneta stabile ma disponibili in quantità notevoli
per il fatto che gli US esportavano tanti dollari ingiro per il mondo.
Le condizioni nuove sono che gli usa non dominano più le esportazioni globali, anzi inizia ad
essere in deficit commerciale; quindi, un paese in deficit secondo le vecchie regole
dell’economia classica prima o poi avrebbe dovuto svalutare la propria moneta, per
permettere al sistema di riequilibrarsi: se paese svaluta la moneta questo vuol dire che diventa
più costosa, e disincentivata l’importazione, favorendo le proprie esportazioni. Ma non
potevano svalutare la moneta perché era la moneta perno del sistema: questo provoca già a
partire anni 60 più di una tensione internazionale. Il generale de Gaulle è uno dei primi che
dice: americani state esportando inflazione in giro per il mondo, non vogliamo avere una
moneta come il dollaro per tutti gli scambi internazionali che prima o poi perda valore.
Contestiamo che possiate fare una politica di alte specie sociali e questo non vi crei nessuna
difficoltà perché potete semplicemente stampare dollari, questo vi da un privilegio eccessivo
che noi contestiamo.
 Nella pratica coloro che potevano permetterselo (il sistema degli scambi di capitali a
livello globale era ancora un sistema molto sorvegliato dagli stati. Non è che un
qualsiasi cittadino italiano poteva spostare il conto in una propria banca fuori
dall’Italia ecc, ma c’era chi poteva fare operazioni di questo tipo, es grandi operatori).
Se questi grandi operatori vedono che ci sono queste situazioni commerciali problematiche
degli USA, il rischio è che il dollaro possa essere svalutato prima o poi. Negli 30 anni
precedenti avevano tenuto dollari nei loro portafogli, e avere dollari era come avere riserve
auree, adesso se la cosa inizia ad essere a rischio, un operatore accorto cosa poteva fare?
Andare a dire: questi sono i nostri dollari, dateci l’oro corrispondente. E questo inizia a
succedere: la Federal Reserve vede una perdita delle riserve auree perché molti scambiano
dollari in oro. Quindi la banca centrale dice al presidente di fare attenzione, ci sono limiti alla
capacità di reggere il sistema delle riserve.
Nixon nell’agosto del 71 prende la decisione storica perchè mette fine a un’epoca e dice, in
un giorno in cui i mercati sono chiusi: da domani il dollaro non sarà più convertibile, si
sospende la sua convertibilità in oro.
 Il perno del sistema di Breton-Woods si dissolve.

Breton Woods era stata conferenza convocata dal governo americano coi partner dell’epoca.
Nel 71 non succede una cosa simile, ma è una mossa unilaterale americana: Nixon decide
questa cosa per rispondere a degli interessi urgenti del paese anche se questa cosa aveva
influenze forti all’estero.
E questo solo fatto è il simbolo di una difficoltà di leadership: un paese super dominante
come stati uniti del 44 coinvolgevano tutti gli altri intorno allle scelte necessarie, ma quelli
del 71 non sono più in condizioni di fare questo e quindi fanno una mossa unilaterale.
In pratica cosa vuol dire? Il dollaro diventa una moneta come le altre, sui mercati
internazionali cosa accade? Il dollaro inizia a perdere valore perché tutti si aspettano che la
moneta sia svalutata dopo le condizioni nuove dell’equilibrio commerciale americano. In
effetti è quello che comincia ad esserci, per un paio di anni si discute molto tra i maggiori
stati del sistema globale per trovare un altro sistema per riequilibrare i rapporti tra le monete,
ma non si riesce a realizzare niente di nuovo. il sistema internazionale, invece che un sistema
regolato in quel modo efficiente deciso a Breton Woods, diventa affidato alle regole del
mercato. Le monete fluttuano liberamente sul mercato, e ci possono essere grandi incertezze
perché nel giro di qualche mese i rapporti possono portare anche a cambiare drasticamente i
valori rispettivi delle valute.

2) Energia:
il trentennio di grande espansione del dopoguerra aveva avuto come base un’energia a buon
prezzo, ampiamente disponibile, il petrolio era stato scoperto in diverse parti del mondo
(soprattutto medioriente) e questo aveva permesso di tenere bassi i prezzi, diventando spinta
notevole al boom del dopoguerra. Nel 73 la cosa finisce per una ragione politica: nel 73 c’è la
4 guerra arabo-israeliana, che vede un nuovo tentativo dei paesi arabi di muovere guerra a
Israele per ricacciarli indietro dalle conquiste che Israele aveva fatto nel 67 (Sinai,
Cisgiordania, striscia di Gaza, alture del Golan). La guerra nasce con un attacco di sorpresa
degli eserciti arabi in un giorno di festa religiosa del mondo ebraico. La guerra è un episodio
circoscritto di quella lunga crisi e si chiude ancora una volta con una vittoria israeliana dopo
le prime incertezze legate all’attacco di sorpresa, e ripristina lo status quo precedente, anche
qui con una tensione sotterranea legata al fatto che Israele ipotizza di conquistare una vittoria
militare più estesa, c’è una minaccia di intervento sovietico... Il risultato sul terreno è
modesto, mentre quello generale è importante: i paesi arabi produttori di petrolio (no totalità
ma maggioranza significativa) di quel cartello creato negli anni 60, che si chiamava OPEC,
vede al suo interno i paesi arabi coordinarsi tra loro e decidere di usare il petrolio, per la
prima volta, come arma politica. Facciamo pressione in termini politici sull’occidente,
massimo acquirente di petrolio, per rivalerci sul fatto che ha appoggiato Israele (usa e altri
paesi occidentali schierati) e come facciamo? Alcuni dei paesi radicali dicono: imponiamo un
embargo, non vendiamo petrolio a questi paesi. Naturalmente il concetto dal punto di vista
pratico è difficile da gestire perché il petrolio è fatto per essere venduto.
Ben presto l‘idea rientra, ma sostituita da un’idea più efficace: basta che noi restringiamo in
modo coordinato la produzione, mettiamo sul mercato meno barili, e questo comporta che il
prezzo cresca. Prima costava sotto ai 20 dollari al barile, ma questo prezzo nel 73/74 più che
raddoppia dopo la crisi, negli anni 70 continua a crescere, alla fine del decennio 70 avrà un
altro raddoppio legato alla crisi iraniana, e nel giro del decennio il prezzo si moltiplicherà
quasi per 5 volte. È uno shock per i paesi che avevano un apparato industriale.
La questione pone un problema politico nuovo. I paesi produttori si sentono svantaggiati
rispetto ai paesi produttori di beni industriali e cercano di utilizzare questo per acquisire un
loro ruolo. Questa cosa non vale solo per il petrolio, ma anche per altre materie prime, anche
se il petrolio è il cuore del problema per molti anni.
Questa improvvisa difficoltà sull’energia si collega anche su un nuovo problema che inizia a
nascere in quegli anni: il modello di sviluppo fordista era stato un modello scarsamente
attento agli impatti ambientali e legato a una forte consumazione di materie prime, energie,
anche non rinnovabili
E questo diventava un argomento discusso. Nel 1972 esce un rapporto del Massachussets
Institute of Technology: “The Limits of Growth” (i limiti dello sviluppo). É un testo che fa
epoca perché anche se da una parte prevede cose che si rivelavano sbagliate nel medio
termine, ma al di là di questo mette in questione per la prima volta la sostenibilità del modello
fordista legato alla continua espansione del mercato. Nel 72 c’è stata la prima conferenza
dell’ONU sull’ambiente che indica che c’è un limite ambientale a quella continuazione di
sviluppo.
 La crisi petrolifera del 73 è un forte momento di crisi del modello vincente fino all’ora

3) Crisi sociale.
Elemento meno legato ad un singolo passaggio, non è un elemento così visibile ed immediato
come la crisi del 71/71: è meno puntuale ma forse più importante. Sotto all’equilibrio del
modello fordista si manifesta una nuova frattura sulle rivendicazioni sociali. Il modello
fordista aveva bisogno di un continuo aumento dei salari dei lavoratori affinché diventassero
consumatori sul mercato, ma la crescita di richieste sul mercato del lavoro diventava
incompatibile agli occhi dei datori di lavoro. La conflittualità sindacale cresce tantissimo in
tutti i paesi occidentali alla fine degli anni 60/primi 70 ma molti datori di lavoro cominciano a
teorizzare che non c’è più margine per questa crescita, la crescita sta creando un sistema che
non è più accettabile dal loro punto di vista e quindi in molti paesi inizia ad esserci uno
“sciopero degli investimenti”
 Gli imprenditori dicono: se il costo del lavoro è così alto noi non investiamo più.
È un altro limite del modello. D’altra parte, i sindacati avevano accresciuto il loro ruolo
proprio perché i sistemi occidentali erano entrati in una situazione di piena occupazione, e
quindi potevano far valere il loro punto di vista nelle trattative sindacali.
È proprio della logica del capitalismo fordista il fatto che i salari dei lavoratori crescono
perché bisogna far sì che tutte le classi popolari partecipino al mercato, quanto la base del
sistema è che la continua crescita è possibile solo se la base del mercato si espande. Quello
che succede fine anni 60, primi anni 70 e che le rivendicazioni salariali dei lavoratori un po’
dappertutto in tutto il sistema occidentale globale crescono a livelli che i datori di lavoro
cominciano a ritenere inaccettabili, siccome il sistema era ormai un sistema di piena
occupazione. Quindi i datori di lavoro non è che potessero dire va bene se tu non vuoi
lavorare per questo salario io trovo un disoccupato che viene al tuo posto, non c'è più questa
possibilità. E quindi le rivendicazioni sindacali crescenti cominciano a venire percepite dai
datori di lavoro come una minaccia al sistema. La minaccia che porta qualcuno a dire, allora
io ritiro gli investimenti allora io piuttosto chiudo le fabbriche perché non ho più una
remunerazione di profitti per il mio capitale.

4) La crisi culturale:
è un elemento sottostante a tutte queste crisi. È un po’evidenziata dalla questione della
contestazione giovanile e dal movimento del 68, il quale è solo la punta dell’iceberg di un
cambio di cultura più generale, legato alla critica dell’autoritarismo del vecchio sistema, della
messa in primo piano della soggettività, della libertà personale. Porta a una società più
vivace, ricca articolata ma anche meno gestibile in termini politici.
La Commissione Trilaterale (europei, americani, giapponesi) che produceva dei report sulla
situazione politica del mondo capitalistico, nel 75 pubblica un libro sulla crisi della
democrazia in cui la resi è: c’è un eccesso di domanda, ci sono troppe pressioni per far
diventare protagonisti diversi soggetti e questo diventa difficile da governare.
 Tutto questo si deve collegare ad una manifestazione di una difficoltà, l’età dell’oro
del capitalismo fordista finisce, la manifestazione pratica di questa crisi è evidente nel
fenomeno nuovo chiamato “Stagflazione”: compresenza di alta inflazione dei prezzi e
stagnazione dell’attività economica, rallentamento della crescita.
Dal 70: basso tasso di inflazione e basso tasso di disoccupazione, ambedue questi tassi
crescono nel corso del decennio.
80: disoccupazione intorno al 6% e inflazione intorno al 16/18% poi si stabilizza intorno al
10%.
Cosa vuol dire? Una cosa mai vista. Di solito l’inflazione (crescita prezzi abnorme) o era un
effetto di una guerra, o un fenomeno meno marcato o radicale, collegato ai tempi di
accentuato sviluppo (crescita forte del sistema economico c’è qualche tensione
inflazionistica, è normale).
La stagnazione, il rallentamento insieme all’inflazione non era mai stata sperimentata, ma
negli anni 70 si realizza perché l’inflazione alta è legata all’aumento di costi (energia, lavoro,
incertezza monetaria)

La situazione è particolare, sintomo di una maturazione del sistema che non riesce ad andare
avanti sulle regole precedenti, di un cambio di epoca, di incertezza di liedership che porta con
sé una difficoltà legata al fatto che le risposte classiche che erano soprattutto nel periodo dei
vent’anni post-bellici legati alla cultura economica Keinesiana non sembrano funzionare.
Keynes diceva: nei momenti di difficoltà del sistema gli stati possono aumentare la spesa
come arma, anche in deficit pur di stimolare l’economia: siccome la crescita si riduce come la
disoccupazione cresce, molti stati provano a fare questa operazione keinesiana. (anni 70 molti
governi progressisti in Europa), ma la cosa non funziona: l’aumento della spesa non rimette
in circolo un processo di sviluppo ma crea solo nuova inflazione. Paesi come la GB e l’Italia
vedono l’inflazione arrivare al 20%, che è quasi un clima post-bellico. È l’incertezza di un
modello che non funziona più, in cui le reazioni nazionaliste sono quelle in cui ciascun paese
cerca di risolvere i propri problemi: Nixon agosto 71, non abbiamo più riserve, blocchiamo la
conversibilità. Ma in questa direzione non si va molto lontano perché la moltiplicazione di
scelte nazionaliste rischia di creare un altro scenario da anni 30 (preoccupazione del sistema
economico integrato che era stato messo in campo). Non si arriverà mai a questa
esagerazione nazionalista, nel 70 i legami tengono ma tengono in una condizione di dubbio
molto forte e questo da le connotazioni ad una sorta di percezione di instabilità e cambio
d’epoca molto problematica.

LA GRANDE DISTENSIONE
In realtà le superpotenze ma anche gli altri maggiori paesi, cercano di gestire questa fase di
instabilità non in un modo eccessivamente competitivo, ma cercando di stabilizzare il
bipolarismo e approfondire il dialogo iniziato nel decennio 60. Sotto il profilo internazionale,
l’epoca di cui parliamo (metà anni 60- fine anni 70) va sotto al nome della “grande
distensione”.
 Il sistema bipolare sembra avviarsi verso un dialogo strutturato.
Ognuna delle due superpotenze pensa per il proprio punto di vista che sia piu saggio non
aggiungere altra tensione a un sistema già instabile, invece cerca di dialogare.
Dal punto di vista degli USA è una specie di riconoscimento di fragilità: non essere più la
potenza capace di dettar legge come nei primi anni del dopoguerra. Nixon vince le elezioni
del 68 e nei primi anni 70 grazie anche alla collaborazione di Kissinger (intellettuale teorico
della relazioni internazionali che poi diventerà segretario di stato), imposterà questa nuova
visione realistica della situazione americana del mondo che lo porterà a dire: gli USA devono
consolidare il proprio sistema riconoscendo anche i propri limiti, cioè limitando le spese
militari, redistribuire i pesi nei confronti degli alleati. Se gli alleati rivendicavano il principio
per cui gli USA sarebbero intervenuti in tutte le parti del mondo per aiutare i propri alleati in
condizioni di difficoltà (Truman), se la cosa aveva funzionato per tutto il dopoguerra, oggi
nel periodo più critico della stabilità internazionale, gli USA possono ridurre le loro basi in
giro per il mondo, intervengono di meno e gli alleati devono fare la loro parte. Nixon e
Kissinger inaugurano una pressione forte nei confronti dei paesi europei: noi abbiamo
garantito la vostra sicurezza per 30 anni, ora investite più risorse nella difesa. Si appoggiano
anche a paesi non del tutto credibili per avere aiuti nel tenere in equilibrio diverse parti del
mondo (discorso dittatura indonesiana, Pakistan, Iran, di alcune dittature Latino-americane) -
> negli anni 60 l’esperimento dell’alleanza per il progresso messo in campo da Kennedy
andava verso il fallimento e gli USA si adattano ad appoggiare nuove dittature, come anche
quella in Brasile, o del golpe cileno del 73.

Accanto a questa presa d’atto di un certo ridimensionamento, dal punto di vista degli USA
c’è un’operazione politica: cerchiamo di mettere un cuneo nel campo degli avversari. il punto
delicato è il rapporto URSS-Cina. Nei primi anni 60 la cosa era sotto gli occhi di tutti. Ma
l’approccio statunitense alla questione cinese era rimasto debole, si era rimasti fermi al rifiuto
di riconoscimento legato alla rivoluzione del 49 e alla dfesa dei propri rapporti con il Taiwan.
Quello che Nixon introduce è maggiore flessibilità che porta a una diplomazia per cui nei
72/73 si arriva al riconoscimento della Cina.
È una svolta epocale: si prende atto della situazione creata dopo la rivoluzione, si smette
questa politica di difesa ad ogni costo del ruolo di Taiwan, la quale viene garantita dal punto
di vista militare nella sua libertà dalla tutela della presenza americana in estremo oriente, ma
il governo nazionalista deve accettare di lasciare il seggio permanente all’ONU che inizia ad
essere occupato dalla repubblica popolare cinese.
 Normalizzare i rapporti è anche un elemento per introdursi nel gioco delle tensioni tra
Cina e unione sovietica, anche se da una parte è una sorta di riconoscimento finale
della situazione non favorevole all’equilibrio americano che si era creata in estremo
oriente.
La Cina continua ad essere un paese che normalizza rapporti con USA ma proclama una
politica estera aggressiva nel terzo mondo: a sostegno di regimi con quello di o ci min in
Vietnam.

La scelta per la stabilità vuol dire accompagnare questa presa d’atto realistica di un certo
ridimensionamento di potere.

Il punto di vista sovietico è diverso, perché accettare le offerte americane di dialogo e


stabilità viene interpretato come un grande successo. L’ondivaga e minacciosa diplomazia di
Kruscev era stata legata proprio al mancato riconoscimento americano della parità, dello
status di superpotenza sovietica.
 Gli americani ci hanno sempre guardato dall’alto al basso, se adesso vengono a patti
con noi vuol dire che invece siamo una vera superpotenza
Nonostante ci fosse ancora questo notevole divario e condizione di disparità, però l’approccio
distensivo è concepito come un approccio che da fiducia al ruolo URSS nonostante tutti i
limiti.
Questo anche perché i sovietici prendono la linea del dialogo che gli americani offrono in
modo selettivo: continuano a teorizzare che da una parte la parità va coltivata, ma dall’altra
questo non impedisce di pensare a un continuo rapporto competitivo in giro per il mondo. il
terzo mondo nell’ottica sovietica sarà il luogo della rivoluzione: qui possiamo continuare a
fare politiche di destabilizzazione di equilibri politiche occidentali (discorso Vietnam) ->
questo deve essere accettato dai partner occidentali come un elemento del gioco anche se a
livello globale c’è stabilità.
La convergenza di questi due punti di vista porta i due paesi a iniziare un dialogo che
stabilizza il bipolarismo con una logica conservatrice: bisogna stabilizzare gli elementi che si
sono creati lungo la storia precedente, non si pensa alla distensione come una fine della
Guerra Fredda, non è il sciogliete le righe, i paesi alleati devono comunque compattarsi
dietro di loro perché la stabilizzazione dei rapporti con il rivale implica che noi stiamo
comunque solidi e in grado di tenere le posizioni.

In questo orizzonte ci sono i risultati maggiori del dialogo sono non a caso quelli sul terreno
nucleare: più delicato e visibile di un equilibrio. Primo accordo era già stato raggiunto nel 63,
ma sull’onda del dialogo si arriva:
 trattato di non proliferazione nucleare nel 1968: idea che i paesi che hanno la bomba
atomica non aiuteranno altri paesi a costruirsela. Congelare la situazione dei paesi
nucleari.
 accordi SALT: quando dai colloqui si arriva un trattato si parla di SALT 1 nel 72 e
SALT 2 nel 79. Quello del 72 ha un ruolo molto importante perché al centro c’è una
sistematizzazione della questione della deterrenza. La guerra nucleare non si fa perché
ognuno dei paesi teme una ritorsione, nel trattato questa cosa viene codificata, tutti i
paesi si mettono d’accordo di limitare le misure di difesa antimissile. Non sono facili
(bunker sotterranei): limitare vuol dire che ciascuno de due paesi resta
consapevolmente vulnerabile, e così mostra di non avere voglia ne tendenza di
attaccare per primo in un eventuale conflitto nucleare, altrimenti sarebbe oggetto di
una reazione incontrollabile. Questo è codificato coi trattati, e in particolare il SALT
del 72.

Non è solo questo il punto fondamentale della stagione della distensione, si normalizzano
anche gli scambi commerciali e scambi di dialogo culturale.
il tema del commercio è importantissimo. normalizzare il commercio tra i due mondi è un
riconoscimento dei limiti reciproci: fino agli anni 60 da parte degli USA chi dei paesi
occidentali voleva commerciare con Mosca era soggetto a limitazioni. Ovviamente non si
poteva vendere al nemico del materiale bellico, ma anche altri elementi non erano
commercializzabili. Ora sembra quasi che vengano in primo piano invece i vantaggi
economici reciproci di questi scambi. In una condizione di crisi petrolifera i paesi occidentali
potevano comprare gas e petrolio da Mosca cercando di spuntare prezzi migliori di quelli
dell’OPEC, o Mosca poteva comprare dall’occidente tecnologia avanzata anche la dove il suo
sistema economica non era capace di produrla da sola in cambio di beni energetici.
 Le difficoltà reciproche trovano un incentivo alla stabilizzazione di questi rapporti
commerciali.
Per l’URSS è sicuramente più importante, ma anche per il mondo occidentale questa stagione
non è marginale.

Il punto è che la condizione dell’Europa inizia ad essere originale. Tutti i paesi europei
accettano la linea dettata dalle due superpotenze della stabilizzazione dei blocchi, ma in
Europa inizia a nascere una qualche esigenza aggiuntiva rispetto all’idea di limitare le
tensioni: cioè nasce l’idea che la distensione possa pian piano diventare un elemento per
superare i blocchi e non solo per consolidarli.
Facciamo gli esempi più importanti: abbiamo citato de Gaulle e la politica di
ridimensionamento dei due blocchi in Europa., ma non è andata molto lontana.
a fine anni 60 c’è un altro soggetto europeo che rilancia una politica di cambiamento, la
repubblica federale tedesca (paese ricco, stabile e avanzato).
Pone un nuovo approccio alla questione della divisione delle due Germanie.
L’approccio dei fondatori della repubblica federale era stato quello sintetizzato nel disegno
della “politica della forza” -> non riconosciamo l’esistenza DDR e se saremo forti
economicamente, politicamente, militarmente (entro i limiti), con alleanza occidentale che ci
sostiene, prima o poi questo stato fantoccio della DDR crollerà e potrà avvenire la
riunificazione. Questa era linea politica fondatori.

Man mano che la DDR si stabilizza la politica diventa sempre più irrealistica, quindi pian
piano c’è un cambiamento di posizioni, legato anche a un cambiamento politico: nel 66 il
governo democristiano precedente non ha più la maggioranza e si forma un governo di
coalizione con social democratici (un partito non comunista, ma che all’inizio ritenuto poco
credibile per l’occidente perché tendenzialmente neutralista). Quando questo governo si
realizza, nel 69 i social democratici vincono le elezioni e vanno al governo in alleanza con i
liberali: il governo Brant ribalta la politica precedente sull’unificazione tedesca.
Punto: si potranno cambiare le cose solo passando dal riconoscimento dello stato di fatto. Se
avvicineremo le due Germanie questo permetterà di negoziare passaggi che mostreranno che
il nostro sistema è più solido e avremo la possibilità di rafforzare la nostra posizione e
affermare l’esigenza di una Germania unita.
 Non è più la politica della forza, ma è quella che si chiama Hostpolitik

Brandt inizia una diplomazia che tra 69/72 raggiunge i paesi del patto di Varsavia per limitare
le ostilità rimaste in piedi dopo la guerra. Nel caso cecoslovacco, andare a Praga vuol dire
chiudere tutta la questione che Hitler aveva messo in campo dei tedeschi e dei sudeti, andare
in Polonia e inginocchiarsi nel ghetto di Varsavia vuol dire riconoscere che la Germania non
richiederà indietro quei territori che erano suoi prima della guerra. Andare a Mosca: porre la
questione per la prima volta che si è disponibili a riconoscere l’esistenza della DDR, infatti
nel 70 si arriverà a un trattato su Berlino che sarà una sorta di riconoscimento dello status
quo, mai stato riconosciuto dagli occidentali.
Infatti, molti in occidente iniziano a dire: perché voi tedeschi accettate l’imposizione
sovietica? È un cedimento alla potenza sovietica? La risposta di Brandt, che all’inizio lascia
perplessi ma poi viene riconosciuta come dotata di significato è: riconosciamo l’esistente, e
quindi diamo al punto di vista sovietico e delle democrazie popolari un riconoscimento, ma in
cambio chiediamo di ammorbidire i confini. Per quanto riguarda la Germania dell’est vuol
dire ottenere accordi che permettano a più cittadini tedeschi di andare all’ovest: punto per cui
era nato il muro.
Fare accordi economici: vuol dire finanziare la sussistenza di questi paesi, ma al contempo,
legarli a noi. L’indebitamento che contrarranno sarà un elemento che prima o poi li
indebolirà. La politica viene denominata dal consigliere di Brandt, Egon Bar, come politica di
CAMBIAMENTO MEDIANTE L’AVVICINAMENTO. L’avvicinamento è quello che i
sovietici chiedono (riconoscere che le cose non cambino territorialmente) il cambiamento è
quello che i tedeschi pensano di poter inserire all’interno di questi accordi. È una strategia
non a breve periodo (sembra un rafforzamento), ma a lungo periodo.
La Hostpolitik tedesca è un reale fattore di sviluppo: se fosse andato avanti il clima della
distensione anche dopo gli anni 70, questi passaggi avrebbero potuto intensificarsi e forse
cambiare il discorso della cortina di ferro e quindi il rapporto tra i paesi europei dell’est e
dell’ovest.
Insieme all’iniziativa tedesca c’è una risposta occidentale a quella che era stata la risposta
sovietica di fare una conferenza paneuropea che sistemasse le questioni lasciate aperte a fine
guerra (non c’era stato un accordo di pace con la Germania).
Gli occidentali all’inizio avevano resistito, un po' perché all’inizio i sovietici l’avevano
proposta solo ai paesi occidentali e non agli USA e un po’ perché dicevano di non voler
riconoscere l’espansione sovietica del 45, senza prezzo, ma poi matura l’idea che il prezzo è:
mettere nei trattati anche il riconoscimento dei diritti umani, della libertà di movimento, cioè
di quelle cose che possono indebolire dall’interno i regimi popolari.
CSCE - Helsinki, nella neutrale Finlandia, che inizia nel 73 e finisce nel 75 con un atto finale,
è il simbolo di questa dinamica. L’atto finale dice: c’è un’inviolabilità di confini, no
immodificabilità, ma che tutti i paesi si impegnano a non creare un conflitto suoi confini, a
non modificarli unilateralmente. Ma insieme paniere sui diritti umani: i sovietici accettano
questo paniere dicendo che però questo sistema applica i diritti umani a modo suo, l’ illusione
Breznev è di continuare a decidere le cose secondo i propri criteri, ma non sarà così, perché
c’è un opinione pubblica internazionale ormai avvertita e questo porta a una prudenza da
parte sovietica. Anche quando Breznev vuole tornare indetro rispetto al disgelo di Krusvov ci
saranno ancora episodi di dissidenti perseguitati, però l’occhio internazionale impedirà di
superare certi limiti.
 Cecoslovacchia: dopo le repressioni del movimento di praga nasce un movimento
clandestino che si rifà alla carta di Helsinki. Hai firmato questi accordi sui diritti
umani, quindi devi considerarlo nella tua politica governo.

Tra 74 e 75 una dopo l’altra cadono le dittature di destra che erano sopravvissute nell’europa
mediterranea, tutti e tre i regimi cadono per questioni interne:
- Grecia: non riesce a gestire lo scontro con la turchia su Cipro
- Portogallo: tema delle colonie
- Spagna: morte di Franco
La caduta è sintomo comune di un processo che indebolisce la versione reazionaria della
linea occidentale (queste dittature non erano il massimo di presentabilità agli occhi americani
ma erano state sostenute), ora che cadono sono invece i paesi europei ad accompagnare una
transizione democratica che alla fine pone per ciascuna di esse l’obiettivo di poter entrare
nella comunità europea (tra 81/89 tutti diventeranno membri).
La transizione democratica si collega un po’ a questo clima, di una possibile revisione della
durezza dello scontro della guerra fredda anche epr quello che riuarda questa parte
dell’Europa

Certo questi processi hanno bisogno della distensione bipolare: si può aprire i confini tra
Bonn e la DDR se URSS e Usa sono d’accordo. Quando tra 77-78-79 la distensione
comincerà a entrare in crisi, anche i margini per i cambiamenti europei si ridurranno. Ma al
contempo la dinamica in moto in Europa potrebbe andare al di là di quello che USA e URS
volevano quando parlavano di distensione.
Europa, nuovo ruolo della comunità:
Anni 70: vedono superamento di alcuni empasse negli anni 60. De Gaulle aveva causato un
rallentamento dei lavori della comunità ponendo la questione della critica alle dimensioni
sovrannazionali che la commissione europea pensava di poter raggiungere. Quando de Gaulle
nel 69 si dimette come presidente, la Francia prende una linea che anche se ancora sotto
presidenze di matrice gaullista fino all’81 prende una posizione meno rigida sul tema del
sovranazionalismo, e soprattutto toglie il veto all’ingresso della Gran Bretagna posto da De
Gaulle.
La Gran Bretagna già negli anni 60 aveva fatto domanda di adesione perché si era resa conto
che la decisione anni 50 di stare fuori dalla ceca era insostenibile, l’economia inglese
propendeva per legami con l’Europa, però continuava a volere un’Europa centrata sul libero
mercato e meno impegnata in politiche comuni.

I 6 membri originari accettano con un negoziato complicato questo ingresso della GB e


questo da una parte da l’idea del successo alla comunità nel 1973, però quando la comunità
vuole fare politiche comuni unpo’ più incisive e quindi vuole dare l’idea che questi sei (poi 9)
paesi collaborino tra loro, questo diventa difficile: in occasione crisi energetica. L’unico
aspetto su cui vi è un certo successo è quello monetario
 la questione della moneta è molto legata a quella del commercio. Un sistema
fluttuante, di continui cambiamenti dei valori scoraggia la durata dei flussi
commerciali. Siccome il mercato interno della comunità è così importante, i paesi
membri devono ridurre queste fluttuazioni almeno tra loro.
All’interno dei 6 prima e dei 9 dopo, meno si amplificano le fluttuazioni, meglio è. E questo è
l’obiettivo del “serpente monetario europeo” istituito nel 72, poi nel 79 sistema monetario
europeo, rappresentato come serpente nella galleria.
Cosa significa? Grafico, sono rappresentati gli andamenti delle diverse monete e su come si
rapportano tra loro. I serpenti sono la rappresentazione grafica delle fluttuazioni. L’idea
dell’accordo dei 9 del 72 è creare un tunnel, quindi mettere limiti, e tenere i serpenti
all’interno di questo tunnel. Limiti: oscillazione massima del 10% tra le diverse monete.
Come si ottiene? È una decisione dei singoli governi aderenti, che si impegnano a far di tutto
per tenere le loro monete in questa banda di oscillazione, e in questo modo ottenendo
l’obiettivo di favorire il commercio interno. E il concetto è che: i paesi più fragili con monete
più a rischio di svalutazione dovevano tenere alto valore moneta comprandola sui mercati
internazionali, e i paesi più ricchi e solidi (Germania) avrebbero dovuto fare il contrario.
Questa cosa funziona per modo di dire, i serpenti scappano presto fuori dal tunnel e questo
avviene soprattutto perché l’onere di riequilibrare, di fare una politica più austera per
difendere la propria moneta viene posto soprattutto sulle monete deboli: la Germania non
vuole pilotare al ribasso il valore del marco, perché c’è un dogma della ricostruzione tedesca
del dopoguerra che è quello della stabilità e lotta all’inflazione.

Lira e Sterlina e Franco francese scappano fuori presto, quindi il primo serpente non è un
grande successo. Anche il secondo conosce delle crisi: 80-81 nuova crisi petrolifera e
recessione economica di molti paesi europei, ma superata questa fase iniziale il serpente si
stabilizza, sintomo di un relativo successo dello snake: relativo perché la stabilità incentiva la
continua crescita del commercio, obiettivo che si voleva ottenere.

La politica monetaria è quasi l’unico elemento di politiche comuni che la comunità riesce a
mettere in campo, e quindi questa diventa un soggetto più largo, più incisivo. Dopo il
passaggio a nove del 73 ci sarà un allargamento a Grecia, Spagna e Portogallo nei primi anni
80, arrivando a 12 membri, ma c’è un limite persistente, no forza politica interna per fare
politiche comuni più solide che avrebbero portato ad un’influenza comune della comunità
ancora più incisiva.

Pian paino, fine decennio 70, il mondo occidentale prende le misure della grande crisi degli
anni 70: c’è una capacità lenta di uscita. Ancora una volta non è capacità negoziata o
multilaterale. Gli USA non immaginano di convocare un'altra grande conferenza simile a
Breton Woods, rimettere le basi del sistema in modo collettivo. Quello che succede è che
alcuni dei paesi piu importanti (USA) prendono una certa strada per rispondere alla crisi, e la
cosa induce gli altri a seguirli. Qual è l’idea che questi stati mettono in campo? Da una parte
un aspetto ideologico, e dell’altra un più pratico: le due cose non sono esattamente
coincidenti.
1) Aspetto ideologico è preponderante primo momento: c’è un dominio di questo
cambiamento dell’ideologia. Se l’ideologia prevalente nei primi anni del dopoguerra
era stata dell’equilibrio stato-mercato, del capitalismo controllato, da fine anni 70 e
inizio 80 l’ideologia è del neoliberismo: teorizzazione che è arrivato il momento di
limitare fortemente l’influsso dello stato nell’economia e di lasciare l’economia più
libera. Nelle elezioni del 1980 per la presidenza americana, il candidato repubblicano
Regan combatte contro il presidente uscente Carter, che era democratico che aveva
vinto sostanzialmente per l’eco del fallimento di Nixon (empeechment). Carter aveva
governato su una linea di distensione e di gestione di difficoltà della leadership
americana. Regan lo batte perché si intesta un orizzonte ottimistico: rilancia l’idea che
la forza e la ricchezza degli USA potranno diventare fondamentali per il mondo se si
lasceranno libere le energie del business, di libertà individuale di iniziativa economica
del cittadino americano. Lo slogan: lo stato è il problema, e non la risoluzione. Vuol
dire una politica contraria a quella keinesiana: smantellamento degli interventi
pubblici, riduzione delle tasse ai redditi medio alti, con l’idea che fosse la ricetta per
rilanciare il sistema.

Nel 79 elezioni anche in GB e dopo anni di governo laburista che aveva faticato a rispondere
con metodi keinesiani alla crisi, anche in questo caso vince il partito conservatore guidato da
Margaret Thatcher: altra esponente di questa visione conservatrice neoliberista molto più
radicale di quella degli anni 60/70 che impersona il forte ridimensionamento del ruolo
pubblico nell’economia per lasciare libere le forze del mercato.
 smantellerà delle nazionalizzazioni fatte dai laburisti e introdurrà un sistema almeno
dal punto di vista ideologico fortemente diverso.

Cosa sta sotto, in termini pratici, a questa nuova ideologia? Sono alcune scelte politiche
compiute per contrastare la crisi degli anni 70, situazione rappresentata dalla staglazione. Le
scelte politiche fondamentali sono due e sono legate a una scelta del governo, quindi non
semplicemente un lasciar libera l’attività economica. Si tratta di lasciar libera l’attività
economica in un nuovo orizzonte di possibilità che alcune scelte del governo mettono in
campo.
Quali sono?
- La scelta di battere l’inflazione mediante una politica monetarista delle banche
centrali,cioè riducendo la disponibilità di capitali, e con l’aumento del tasso
d’interesse (l’elemento che regola l’andamento di tutti gli orizzonti finanziari e i tassi
di interesse che circolano in un paese sono legati ai tassi d’interesse fissati dalla banca
centrale). I tassi di interesse, lungo tutto il dopoguerra erano stati bassi e ora con
l’inflazione erano stati aumentati, ma spesso facevano fatica a superare l’inflazione.
Se presto denaro a scadenza un anno con un tasso di interesse del 10% e l’inflazione
sale del 5%, il tasso di interesse reale che guadagno alla fine dell’annoè solo del 5%.
Quindi i tassi erano stati erosi dall’inflazione.
Fine anni 70/inizio 80 la Federal Reserve americana e poi la Banca d’Inghilterra e poi molte
altre banche aumenteranno molto i tassi di interessi: vuol dire rendere ovviamente più costoso
il denaro per chi si vuole indebitare, ma rendere anche molto più lucroso l’investimento
finanziario per chi ha risorse di capitali.
Questo è il primo punto fondamentale politico: aumentare i tassi d’interesse e introdurre
politiche monetariste per difendere la moneta e battere l’inflazione.

- Si devono liberalizzare i movimenti dei capitali: in tutto il dopoguerra si era


liberalizzato lo scambio di merci, un po’ lo scambio di persone, e si erano tenuti
regolati i mercati dei capitali perché si pensava che far spostare capitali da una parte
all’altra del mondo fosse un elemento di instabilità. Ora a partire da metà anni 70, non
per decisione collettiva ma per orientamento paesi dominanti che poi tirano tutti gli
altri, inizia una linea di forte liberalizzazione.
La liberalizzazione dei mercati dei capitali si aggiunge alla lotta all’inflazione e che
messaggio da politicamente parlando? chi vuole fare denaro attraverso l’uso di altro denaro,
può trovare grande disponibilità nel sistema. Sotto all’ideologia di dare più libertà
all’economia ci sta in realtà l’appoggio diretto o indiretto al cambiamento progressivo del
centro del sistema.
 Il centro del sistema non è più l’industria perché il modello fordista ha mostrato i suoi
limiti. Il centro del sistema dei paesi avanzati diventa la finanza, la finanziarizzazione
del sistema è il modo di evitare i limiti del modello fordista che si erano così
palesemente mostrati negli anni 70

Questo vuol dire che negli USA iniziano ad arrivare masse di capitali disponibili ingiro per il
mondo che vengono investite nell’attività finanziaria di Wall Street.
Ma per portare li i capitali, bisogna liberalizzare i movimenti dei capitali.
 Petrodollari: gli sceicchi del petrolio avevano guadagnato moltissimi dollari
dall’aumento dei prezzi degli anni 70 e adesso li vogliono investire e ottenere
vantaggi.
Come si fa a investire in un sistema in cui c’è alta inflazione? Non ha molto senso, in un
sistema invece dove la moneta è tutelata, i tassi di interessi sono alti questo è un sistema che
finanziariamente rende molto bene.
Dall’altra parte ci vorrà sempre qualcuno che produca dei beni in giro per il mondo: i mercati
di massa non si possono fermare, ma i produttori intelligenti potranno iniziare a spostare i
loro capitali e creare nuove fabbriche dove il costo del lavoro sia minore, perché nel mondo
occidentale il costo del lavoro era diventato insostenibile agli occhi dei datori di lavoro.
 C’è un nuovo circuito produttivo-commerciale in cui si creano industrie in altri paesi
dove c‘è questa disponibilità.
È il grande inizio di un ciclo che poi viene chiamato con un neologismo:
GLOBALIZZAZIONE. Parola coniata a inizio anni 80, rappresenta l’idea di un mondo che
rispetto a quell’equilibrio fra stati e mercati che si era creato nel periodo del dopoguerra è
passato a un equilibrio molto diverso in cui la liberalizzazione dei mercati finanziari ha dato
più potenza alla finanza e ai capitali rispetto al lavoro.

Oggi si può anche discutere sul fatto che la globalizzazione sia ancora attiva o se ci sia una
deglobalizzazione, ma certamente i 40 anni che abbiamo alle spalle, sono ancora un ciclo
magari non concluso del tutto, fortemente contrassegnato dalle dinamiche accennate. Per dare
un’idea della profondità del cambiamento possiamo pensare a due grafici che spiegano
quanto la finanziarizzazione dell’economia contemporanea sia cresciuta. Grafico sinistra:
fatto un valore 100 nel 1987 si va a vedere come 20 anni dopo, nel 2008 questo sia cambiato.
L’87 è l’inizio del percorso di cambiamento, mentre nel 2008 questo è dispiegato mentre
nell’87 era l’inizio del percorso. Si va a vedere com’erano cambiate una serie di dimensioni
della ricchezza finanziaria dei: governi, famiglie, istituzioni finanziarie e delle ditte non
finanziarie. Tre di queste sono cresciute entro limiti del 50%: al massimo sono aumentate di
circa metà. Ma la linea che scappa è quella delle istituzioni finanziarie, che nel 2008 si sono
moltiplicate per 3. L’istogramma di dx: in modo schematico mostra quanto nel 2001 pesano
in miliardi di dollari al giorno alcune variabili. La colonnina di destra dice: il commercio
mondiale nel 2001 vale 17 miliardi di dollari al giorno, cioè più o meno tutte le merci che
attraversano un confine in un giorno possono valere 17 miliardi di dollari. Quello stesso
giorno avvengo 700 miliardi di dollari sull’acquisto e vendita di valute.
Quindi l’aspetto reale delle transazioni che attraversano le frontiere è surclassato a una
distanza di quarantina di volte tanto dai flussi puramente finanziari (l’economia finanziaria ha
preso una centralità). Già nel 2001, vent’anni dopo, queste dinamiche sono cresciute.

Abbiamo l’idea di una strabordante centralità della finanza rispetto alla stagione precedente,
ultima stagione di grande centralità dell’industria nel modello capitalistico mondiale:
quell’industria che aveva segnato quella grande rivoluzione 700/800centesca da cui ha preso
le mosse che aveva giustificato, spiegato e rafforzato la grande novità dell’Europa sullo
scenario globale e che ora si tramuta in questi cambiamenti così importanti.
Questi cambiamenti non sono concordati da un grande disegno comune. Partono da paesi con
capacità di avviarli e altri si adattano più o meno: più o meno vuol dire che non tutti i paesi
del circuito stretto occidentale si mettono su questa strada in termini di imitazione delle scelte
USA o GB.
Nei casi GB e USA il ridimensionamento dell’industria ha voluto dire blocco di una serie di
produzione, desertificazione economica di alcune aree del paese, smantellamento di imprese,
la de-industrializzazione. Altri paesi non hanno preso questa scelta: fedeli a
manufatturizzazione forte come nel caso giapponese o tedesco.
 La scelta di mantenere un asse del sistema produttivo industriale deve andare insieme a
modalità di stare sul mercato diverse da quelle di prima, e anche adattandosi a
concorrenza internazionale che diventa più forte. Se l’acciaio, le macchine
fotografiche, i computer e altre cose si fanno a costi minori fuori dall’Europa, vuol dire
che i paesi manufatturieri europei devono trovare un posto diverso nel mercato,
mettersi in campo dove hanno meno concorrenza. E questo sarà per certi paesi
possibile, e per altri meno.

Ciò che alla fine è comune è che tutte queste innovazioni hanno anche il senso di
depoliticizzare gli scontri: il 68, gli scontri tra sindacati e imprenditori erano stati vivaci
scontri anche politici. Quella politica era ritenuta un eccesso di carico: commissione
trilaterale, la crisi della democrazia è legata a un eccesso di domande, bisogna ridurre le
domande e affidare la risoluzione di questi problemi ad una competizione strettamente
privata, personale, economica, sociale, in cui i gruppi più forti saranno in grado poi di
affermarsi. Questo comporta una certa ridislocazione degli assetti di potere nelle società
avanzate, perché per esempio tutti coloro i cui redditi riescono ad essere ancorati ad un
sistema finanziario, si trovano ad essere in condizioni migliori rispetto a quelli che hanno
semplicemente redditi da lavoro.

La depoliticizzazione vuol dire anche evitare il rischio di scontri di tipo nazionalistico: il


clima degli anni 70 non è mai diventato uguale al clima degli anni 30, ma c’erano rischi che
si potesse andare in una situazione simile, di provare a risolvere l’instabilità affermando con
metodi anche drastici gli interessi nazionali contro l’esterno.
A un certo punto tutti i paesi potevano adottare misure di svalutazione competitiva della loro
moneta per compensare la fluttuazione continua. Se tutti continuavano a svalutare, il sistema
a un certo punto sarebbe uscito fuori controollo. Allora depoliticizzare, affidare ai mercati
una logica di maggiore automonia era un’ideologia, ma rispondeva anche a queste esigenze:
ci sarà competizione tra le economie dei vari paesi, la globalizzazione non è priva di questi
aspetti, ci saranno perdenti e vincenti, ma essendo spalmati in una competizione più
spontanea, libera e di tipo economico in senso stretto, questo rischiava di meno di creare
conflitti statuali.

Non si fa il grande convegno internazionale. È vero che in realtà qualcosa nasce in questa
direzione, ma è qualcosa che ancora una volta vista un po’ più da vicino da l’idea di una
modalità particolare nel gestire i rapporti tra i paesi più importanti.
Nel 1975 inizia l’esperienza delle riunioni del cosiddetto gruppo dei paesi più industrializzati.
Conferenza di Rambouillet (castello vicino a Parigi) il presidente francese Desteng convoca i
paesi più industrializzati del mondo (GB, Usa, Francia, Germania, Giappone e Italia, con Pm
Aldo Moro). Le riunioni del G6 che poi diventerà G7 allargandosi al Canada, diventando G8
negli anni 90 con un’inserzione temporanea della russia post-sovietica.
Il G6/G7 è un tentativo di far convenire attorno a una conferenza i capi di stato e di governo
di questi maggiori paesi per porre sul tavolo i problemi di regolazione politica del sistema.
 Non sono memorabili per le soluzioni o mediazioni trovate e condivise. Spesso si tratta
più di una passerella propagandistica, quindi di un immagine di governo piuttosto che
di un governo reale.
Qualche passaggio di efficacia in realtà c’è: nell’85 non tanto in una riunione nel G6/G7 ma
in un incontro dei ministri del tesoro dei paesi più avanzati si trova un compromesso tra il
rapporto delle monete che comporta un controllo dell’ascesa del dollaro, il quale si era
svalutato negli anni 70 quando poi la Federal Reserve aumenta i tassi di interesse, i capitali
cominciano ad affluire negli USA, il dollaro
cresce nei mercati internazionali fino all’85, a dimensioni di cui gli stessi americani non sono
entusiasti.
 Se il dollaro si apprezza vuol dire che chi vuole investire dall’estero in dollari trova più
vantaggi e quindi porterà più capitali negli USA, ma se il dollaro si apprezza troppo
vuol dire anche che le merci americane diventano molto più costose per chi le compra
all’estero e quindi le esportazioni crollano e a un sistema che è già squilibrato con il
deficit commerciale degli USA, questa cosa diventa molto difficile da gestire.
È esigenza di tutti pilotare il dollaro in una posizione meno estrema ed è quello che avviene
con questi accordi del Plaza e permettono di far scendere la parità del dollaro nel giro di
qualche mese

Cosa vuol dire tutto il discorso? Quando governi dei paesi più industrializzati si mettono
d’accordo per intervenire sui mercati e vogliono pilotare il valore del dollaro vuol dire che i
mercati finanziari sono ancora di dimensione gestibile perché la potenza che il tesoro
americano o cancelliere dello scacchiere britannico riesce a mettere su questi mercati è
rilevante, ma ottiene i suoi risultati, influenza il prezzo vendendo e acquistando le monete
solo se si è all’interno di un orizzonte relativamente limitato (85, inizio di questa fase, solo
7/8 anni dopo ci sarà un’ondata speculativa mondiale intorno ai tassi di cambio delle monete
che sarà gestita da operatori finanziari che stanno sui mercati ormai esponenzialmente più
grandi che farà si che i singoli stati possano ben poco, perché anche mobilitando le risorse
enormi che ogni stato ha, non riescono ad essere quantitativamente sufficienti rispetto a una
esplosione enorme della dimensione di questi mercati finanziari globali. Naturalmente
quando si dice “la speculazione all’interno di questi mercati” non si intende un singolo
operatore, il mercato è fatto da una miriade di operatori dove però si realizza un trend per cui
nella miriade di operatori c’è una maggioranza che ritiene necessario moversi per far perdere
valore a una certa moneta piuttosto che guadagnarci con l’aumento di un’altra, qui siamo di
fronte a una situazione difficilmente controllabile anche da grossi attori politici. I mercati
finanziari diventano sempre più autonomi dalla politica.)

Cosa succede in questo orizzonte? Si riprende a crescere? C’è un’un uscita dalla
stagflazione? Si, l’inflazione si rifuce in tutti i paesi occidentali, ma la ripresa non è
straordinaria: mentre anche i paesi che nel mondo occidentale crescevano meno (del 3%
all’anno negli anni 50/60) dopo il 73 nei decenni successivi questa crescita è molto più
limitata, sembra una tendenza alla riduzione progressiva dei tassi di crescita.
Anche il Giappone entra in una stagnazione negli anni 90: l’economia giapponese non cresce
più e anche nei primi anni 2000 l’economia americana non ha una gran performance.

Qualcuno ha parlato di una nuova stagione di “accumulazione flessibile” che fa uscire il


mondo occidentale dalla crisi ma senza straordinarie accelerazioni, senza tornare a una solida
e cospicua crescita quantitativa.
Dinamiche di questo tipo non potevano che riguardare tutto il mondo, compreso il terzo
mondo: paesi estranei al dualismo dei due mondi principali est-ovest che avevano impostato
questa rivendicazione di sviluppo anche in termini battaglieri e che fino agli anni 70
speravano di poter condizionare le grandi organizzazioni internazionali nell’ascoltare la loro
voce. Il tema di un nuovo ordine mondiale era stato posto più volte, però quello che succede
tra fine degli 70 e inizio anni 80 è indicativo di un cambiamento di prospettiva: il terzo
mondo si frammenta e diventa sempre più difficile parlare di un terzo mondo unificato, di
paesi che collaborano per prospettiva comune di emancipazione e influenza negli equilibri
globali.
E perché? Per motivi che hanno a che fare con i cambiamenti citati e che portano anche a
significative dinamiche politiche in questi paesi.
 L’effetto della crisi di leadership degli USA e dell’URSS è anche un effetto di crisi di
modello per i paesi del terzo mondo, ispirati all’uno o all’altro. Da una parte modelli
socialisti che facevano fatica a mostrare la capacità della pianificazione centralizzata di
superare le prime fasi dello sviluppo, dall’altra quelli capitalisti continuavano a vedere
i paesi poveri come paesi che non potevano uscire dal circuito della povertà attraverso
i meccanismi che negli anni 60 sembravano così efficaci.
Questa crisi di modelli si vede anche dal fatto che emergono ipotesi alternative: non ci
ispiriamo più all’imitazione di processi di sviluppo avvenuti fuori di noi, ma ci ispiriamo alla
tradizione.

RIVOLUZIONE IRANIANA
L’Iran, erede dell’impero persiano, aveva avuto un ruolo di stabilizzazione occidentalista con
il regime dello Sha fino a tutti gli anni 70, e lo Sha negli anni 70 tenta un’ambiziosa politica
di modernizzazione del paese, anche grazie al ruolo del petrolio, i prezzi del petrolio crescono
nel mondo, ha un incameramento di risorse significativo e quindi tenta di impegnare queste
risorse in un processo di modernizzazione.
Si tratta della cosiddetta “rivoluzione bianca”: incentivo alla rivoluzione agricola, alla rottura
delle tradizioni di villaggio, alla diffusione dell’istruzione, un processo che pare collegato
anche se un po’ in ritardo, alle pressioni modernizzatrici degli ambienti americani degli anni
50/60.
Ma il tentativo ha esiti controproducenti: mette in movimento una parte della società, ma non
da immediatamente un esito di benessere collettivo. Anzi, rompe le tradizioni di villaggio ma
non si costituisce al suo posto una struttura imprenditoriale efficace. Si crea una pressione
inflazionistica che provoca scontento generale. Questo precipita verso una situazione che tra
78/79 diventa rivoluzionaria. La politica dello Sha era stata una politica repressiva durissima,
ma è vero che c’era una forte presenza comunista fin dagli anni del dopoguerra, c’era una
certa elite borghese di segno liberale ecc. quelli che invece riescono a prendere in mano la
rivoluzione sono quelli che nessuno si aspettava, cioè gli Ayatollah: Tomeiny era un capo
religioso islamico della versione sciita dell’islam (ha conosciuto una spaccatura precoce,
pochi decenni dopo lo slancio espansionistico di Maometto e dei suoi eredi si è creata
spaccatura per cui un gruppo di capi religiosi hanno rotto con gli altri per una questione di
interpretazione delle volontà del profeta e per una lettura diversa del rapporto con le
tradizioni locali dei paesi dove l’islam si andavan espandendo). Il mondo sciita è diventato di
minoranza rispetto a quello sunnita. Ma la componente sciita si è insediata soprattutto in Iran,
Iraq, Siria e altre regioni del medioriente influenzata anche da eredità delle culture locali.
Uno degli elementi particolari della componente sciita dell’islam è che ha una struttura
clericale più solida: le comunità sono guidate da delle voci di Dio (Ayatollah) che nel mondo
sunnita non esistono (imam guida preghiera ma no distinzione status).
In questo caso avere questa struttura comunitaria con una forte guida organizzativa e
ideologica permette all gruppo degli Ayatollah di diventare una forza di trasformazione
politica.
 prendono in mano la guida della rivoluzione, a inizio 79 la proclamano questa
rivoluzione con una carta fondamentale della rivoluzione che si ispira all’idea di
ripristinare la legge religiosa tradizionale come legge fondamentale del paese: la
sharia, legge islamica, diventa perno della trasformazione politica.

La rivoluzione iraniana è uno shock per l’occidente perché assume un carattere fortemente
antiamericano ma anche un segno di limitazione dell’influenza sovietica: i sovietici
pensavano di potersi introdurre in questa lotta per l’influenza all’interno di un ex-bastione
filoamericano e invece ne vengono estreomessi.
Per tanto, la repubblica teocratica islamica rimane isolata, proprio perché legata alla variante
sciita ma segnale di un cambiamento di clima in cui riemerge un uso della tradizione che
potrebbe diventare segnato in chiave politica sia antioccidentale e sovietica.

Questa citazione dell’importanza della rivoluzione iraniana si collega ad altri fattori di


cambiamento del terzo mondo, legati a come si reagisce ai cambiamenti indotti all’avvio
della globalizzazione.
Se questa ha concentrato lo sviluppo in termini finanziari nel nord del mondo ma va alla
ricerca di nuovi terreni per impiantare iniziative produttive nel sud del mondo, la differenza
che si comincia a fare è tra chi riesce ad approfittare dell’occasione e quelli esclusi.
 I paesi che riescono ad approfittarne sono i paesi che possono dimostrare di avere una
struttura politica relativamente stabile, disponibilità ad aprirsi a capitali stranieri,
manodopera a buon mercato ma nello stesso tempo minimamente istruita in modo da
poter partecipare al processo di cambiamento industriale.
Le condizioni ci sono soprattutto in una parte dell’ex terzo mondo, legate al mondo dell’Asia
orientale dove c’è una cultura tradizionale, un assetto politico, una condizione anche civile
della popolazione che è più vicina a questi requisiti.
Questo permette ad alcuni paesi dell’Asia orientale di essere i primi ad utilizzare queste
nuove occasioni che si creano, i primi convenzionalmente sono le 4 tigri del sud est asiatico:
due paesi intermedi come la Corea del Sud e l’isola di Taiwan, e due poco più di città stato
come Hong Kong (ancora colonia britannica) e Singapore.
In questi si sperimenta il nuovo processo di impianto di strutture industriali grazie a capitali
stranieri in gran parte del Giappone, ma pian piano arrivano anche quelli occidentali perché la
delocalizzazione è conveniente per tutti paesi avanzati.
 Innesca un processo di crescita molto rapido, i paesi che hanno ancora una struttura
politica tradizionale molto autoritaria in cui l’afflusso di capitali stranieri poco per
volta mette in campo anche la crescita di iniziative proprie: prendono piede delle
corporation locali come la Hyundai, Samsung per quanto riguarda la corea del sud.
E questo processo pian piano dagli anni 80 a 90 si allarga anche ad altri paesi del sud est
asiatico: Filippine, Malesia, Indonesia, Thailandia.

Non mancano neanche alcuni paesi africani o dell’America latina che riescono inizialmente a
sfruttare queste occasioni, ma non sono molti quelli fuori dall’area asiatica.
Anzi, in un'altra parte del terzo mondo quello che avviene all’inizio degli anni 80 è na crisi
molto marcata legata alla sostenibilità dei debiti pubblici: molti governi indebitati
precedentemente per avviare i processi di indebitizzazione e ora con aumento tassi di
interessi il debito esplode e ci sono fallimenti e stati che non riescono più a restituirli.

La differenziazione di questo mondo comincia a diventare marcata.

Il mondo sovietico come reagisce a questa lenta uscita dalla crisi degli anni 70
dell’Occidente?
Da una parte Breznev dice che il mondo sovietico è solido, dall’altra dice che nel terzo
mondo possiamo continuare a espandere l’influenza: c’è una sorta di incomprensione delle
novità e convinzione di poter continuare all’infinito in questa modalità di sviluppo.
Dal punto di vista economico, fino a metà anni 80 l’alto costo del petrolio garantiva ancora
all’unione sovietica una rendita tale da permetterle di tenere insieme il mondo socialista (es
comprare zucchero cubano, sovvenzionare paesi che non avevano petrolio e continuare quel
lento miglioramento popolazione civile, che era riuscito tra anni 60/70) ma ci sono limiti
sempre più evidenti di un sistema di pianificazione centralizzata che fa fatica a rispondere
alle sfide del miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. In parallelo Breznev si
sente così sicuro da fare mosse provocatorie: l’impressione è che Breznev e i suoi
collaboratori non vogliano esplicitamente contrastare il clima della distensione, cioè fare di
tutto per provocare gli stati uniti, ma fanno delle cose che secondo loro stanno nella logica
della distensione che invece vengono percepite in occidente come delle sfide. Alcuni sono
interventi in africa di sostegno ai regimi rivoluzionari (corno d’Africa, ex colonie portoghesi)
che vengono percepite come minacciose. Qui però on c’è un intervento diretto sovietico, c’è
un intervento a fornire armamenti, le truppe che si stabiliscono sul campo sono casomai
cubane in nome della solidarietà internazionale.
In Indocina c’è la vittoria del Vietnam che si ingloba il sud.
Breznev fa alcune cose anche su altri settori: inizia a modernizzare la propria dotazione di
missili in Russia europea, missili di teatro dotati di una lunghezza di lancio da usare solo in
conteso europeo (gli euromissili in versione giornalistica). Aggiornare missili per lui non era
una provocazione, ma per alcuni governi europei la è.
 In particolare il cancelliere tedesco Smith la avverte in questo modo e quindi protesa in
sede NATO, e dice che se i sovietici migliorano i missili vogliono ricattare l’Europa
minacciando di usare la loro arma che sarebbe stata poi controbattuta solo dalle
lontane bombe atomiche americane in caso di conflitto. Ci vuole invece un equilibrio
europeo.

La NATO entra in un loop di decisioni difficili, è un tema molto ipotetico, di un’ipotesi vaga
che porta con sé una tensione e un braccio di ferro crescenti: c’è un circuito di continua
crescita dello scontro che durerà almeno fino all’81/82. Alla fine, nell’83 i missili americani
verranno dispiegati in Francia, Germania e Italia ma il tutto peggiora i rapporti su questo
tema coi sovietici.

Altra mossa che appare aggressiva da parte sovietica, dal loro punto di vista magari non lo
era ma appare tale: è quella di intervenire in Afghanistan (a cavallo tra Pakistan, Iran e
URSS). Era un paese piuttosto pacificamente neutrale ai confini dell’unione sovietica per
tutto il dopoguerra, in cui nel 78 prende il potere un partito comunista locale, non tanto
guidato da Mosca, ma da persone avventurose, che lanciano una rivoluzione interna talmente
radicale da contrastare le tradizioni locali (ricorda l’iran)
 modernizzazione imposta dall’alto, in questo caso comunista ma con il risultato stesso
di sconvolgere le tradizioni locali senza dare un grande sviluppo positivo alle
popolazioni.
Si crea quindi una guerriglia locale contro questo governo ispirata ad una logica di islam
politico, in questo caso sunnita.

I sovietici sono preoccupati che la radicalizzazione dell’islam dall’Iran e dall’Afghanistan


possa arrivare nell’Asia centrale sovietica (repubbliche asiatiche a grande maggioranza di
popolazione islamica, Turkmenistan, Kazakistan ecc). Importare i germi di una sovversione
di tipo religioso era l’ultima cosa che volevano gestire; quindi, decidono di mandare un corpo
di spedizione militare in Afghanistan per sistemare situazione. Dal loro punto di vista è una
questione di tutela dei confini prima che non di espansione.
Questo avviene nel dicembre 79 e viene invece percepito in Occidente come minaccia di
un’espansione perché è la prima volta dal 47 che truppe sovietiche escono dai confini della
vecchia sfera d’influenza (in Corea e Vietnam c’era stato solo un sostegno indiretto)
Quindi la domanda è: è una prospettiva di espansione verso il Golfo? Verso l’area
petrolifera? Su quella mossa sovietica, il peggioramento dei rapporti con gli USA, la crisi
della distensione è veramente al suo apice.

Accomunando tutta questa serie di eventi si capisce come la risposta sovietica ai cambiamenti
occidentali è una risposta da una parte unpo avventata, dall’altra che si illude in una
continuità che è ormai piuttosto difficile da sostenere. Quindi c’è un indebolimento
progressivo delle posizioni del grande impero laddove apparentemente si è in una condizione
di espansione.

Quindi
I primi anni 80 sono segnati da una sorta di ripresa di una conflittualità globale, e qualcuno
impropriamente parla di una seconda Guerra Fredda: non si ritorna di certo a quelle
condizioni del 47/53 ma si accrescono certamente i rischi di uno scontro (anche se il trattato
SALT 2 viene approvato ancora nel 79 però guarda caso il senato americano rifiuterà di
ratificarlo). Non mancano ancora i tentativi di controllare il gioco con la diplomazia, ma i
rapporti apparentemente peggioreranno. Anche perchè Regan approfitterà di questo clima per
rilanciare il nazionalismo americano con un carattere ideologico molto assertivo per fare
pressione sulle condizioni sovietiche.
A pensare a quello che poi succederà nell’89 e la crisi definitiva del sistema sovietico
qualcuno dirà Regan voleva far cadere l’URSS facendole alzare le spese militari, ma non è
così, ma sta di fatto che l’aumento delle spese militari e la la minaccia americana di cambiare
alcune cose su temi militari (propaganda di Regan dello scudo stellare: avvenieristico sistema
di laser, satelliti eccetera che avrebbe potuto fermare gli eventuali missili nemici sugli USA.
Progetto irrealistico ma su cui il governo americano mette una quantità enorme di dollari e
che viene percepita da mosca pericolosamente come tentativo di annullare quel senso di
bulnerabilità reciproca fissata nei trattati del 72.)
Mettere un sistema di difesa antimissile voleva dire violare il trattato che chiedeva di evitare
questo apprestamento. Ma questa spesa e altre fa crescere il deficit militare americano (risale
del 60%, grosso impegno dello stato). Proprio quando Regan ideologicamente aveva detto “lo
stato va ridotto”, l’unico settore dove non si riduce lo stato è il settore militare anche perché è
il settore che finanzia una parte dell’economia americana situata ancora nel territorio del
paese e quindi è una specie di aiuto a una società che l’inizio dei provvedimenti dell’aumento
dei tassi di interesse non aveva visto proprio bene, c’era stata una recessione negli USA nella
presidenza Regan, poi questo massiccio aumento di spesa militare aiuta anche a consolidare
l’economia: Regan viene rieletto nell’84 sull’onda di un andamento economico positivo.

URSS
Nuova crisi in Polonia nell’81, dove nasce contro le difficoltà del paese un sindacato
autonomo (Inaudito nel mondo delle democrazie popolari) e questo per molti mesi mette in
crisi il governo polacco poi alla fine Breznev porta il generale Jaruzewsky che è il segretario
del partito unico operaio polacco a mettere in ordine le cose con minaccia di mandare i
carrarmati e nell’81 c’è una dichiarazione di stato di emergenza, viene imprigionato e si
blocca quell’esperimento di sindacalismo autonomo.
 Ma è un altro segnale di crisi del sistema, a cui non si riesce a rispondere se non con
mezzi violenti.

21.12
Anni 80: periodo della distensione del periodo precedente si era incrinata, era ricominciata
una stagione di polemiche, dialoghi mancati tra le due superpotenze, etichettato come
SECONDA GUERRA FREDDA.
 I sovietici fanno cose che mettono in crisi il rapporto con gli USA magari non
consapevolmente cercando di continuare quella linea di sfida periferica che cercasse di
tenere insieme il dialogo a livello centrale con l’altra superpotenza.
Questa cosa però non funziona più e dall’altra parte con Regan che rilancia questo
nazionalismo americano in reazione alle lunghe conseguenze negative della guerra del
Vietnam che aveva messo in crisi l’ambizioso ruolo di guida internazionale degli USA. In
questa posizione rilancia la sfida sugli armamenti, polemizza con l'Unione sovietica e
sostanzialmente mette fuoco ulteriore in situazioni che mettono in crisi il ruolo sovietico:
pensiamo all'Afghanistan e pensiamo al fatto che, mentre i sovietici sono andati lì per cercare
di consolidare il loro fronte meridionale, Regan non si trattiene dal finanziare la guerriglia
islamista per creare, come si dice anche allora, il Vietnam dell'Unione sovietica, cioè questa
guerra lunga da cui i sovietici a un certo punto fanno fatica a sganciarsi e avere ragione degli
avversari.
Questa situazione di seconda guerra fredda nasconde un dato più rilevante: di fronte alle
situazioni cambiate degli anni 70, alla crisi di quegli anni, la risposta del mondo occidentale
sia pure con tutti i limiti che abbiamo detto (risposta non concordata, non multilaterale, con
una liedership statunitense non certo così solida) però, tale risposta porta il rapporto politica-
economia nel sistema occidentale fuori dalla crisi mentre il mondo sovietico mostra ormai
chiaramente tutti i suoi limiti.
 Il sistema economico dell’area sovietica che bene o male aveva retto negli anni di
Krushev la sfida anche della modernizzazione, ora che è arrivato il momento di
orientare le risorse in una direzione diversa (cioè migliorare i consumi privati della
popolazione) non riesce a reggere la sfida.

Quindi inizia nei primi anni 80 la stagione della GLOBALIZZAZIONE che è poi il vero dato
di lungo periodo importante che arriva fino a noi, nato con alcune scelte politiche (quindi non
è semplicemente un trascinamento dei miglioramenti della tecnologia o dell’economia che
spinge verso nuove forme di integrazione), è una scelta, legata alla finanziazione crescente
del mondo ed è una scelta che si rivelerà duratura.

Appena si gratta sotto la superficie della seconda guerra fredda si capisce la divergenza che
ormai si è stabilizzata tra i due grandi sistemi internazionali (la fatica del sistema sovietico a
reggere la sfida).
 Dato che a metà degli anni 80 viene fuori con chiarezza.
La forma con cui questa storia si concretizza è particolare: non c’è un vero e proprio crollo
del sistema sovietico, ma c’è un ambizioso tentativo di rinnovare il sistema che però non ha
esiti positivi
Il protagonista di questo tentativo è Gorbachov che nel 1985 è segretario del partito
comunista dell’unione sovietica, è un giovane lieder ambizioso con un curriculum di alto
profilo (era stato ai vertici del sistema per molti anni), ed è il primo capo dell’unione
sovietica da molti anni dotato di una volontà di affrontare i problemi del sistema: prima di lui
ci sono stati due lieder fragili e poco duraturi come Chernienko e prima di lui Andropov che
quando viene eletto segretario muore. Prima c’era stato il lungo declino dell’era Breznev che
dal 77/78 comincia ad essere malato.
Sostanzialmente l’URSS da quasi 10 anni era governata da un’elite molto poco dinamica.
Gorbachov si propone di rinnovare il sistema sovietico rimanendo fedele alla impostazione
leninista (il punto della rivoluzione di Lenin è: il partito è l’avanguardia della classe
proletaria che si propone di realizzare la rivoluzione e di cambiare il sistema con quella
dimensione attivistica e volontaristica che nella seconda internazionale socialista mancava
perché tutti interpretavano le parole di Marx semplicemente con l’idea che prima o poi
l’economi asi sarebbe evoluta in un modo tale da portare il proletariato al governo. Lenin
dice: no, bisogna prendere in mano la situazione.), ha questa certezza del ruolo guida del
partito, solo che non credo che il modo con cui fin ora si sia gestita la situazione sia efficace
per dimostrare il ruolo di trasformazione del partito.
 Imposta una riforma che ha fondamentalmente due parole chiavi e un aspetto
necessario collegato a queste due parole chiavi.
PERESTROJKA e GLASNOST:
1. Perestrojka: significa ristrutturazione, ricostruzione ma ha a che fare con il significato
di un profondo cambiamento delle regole del sistema economico. Il punto che non
funziona, Gorbachov se ne rende conto, è esattamente la pianificazione centralizzata,
cioè quella cosa che i sovietici avevano imparato negli anni 20 dall’esempio dello
stato maggiore tedesco durante la guerra che aveva gestito l’economia con una ferrea
mano centralizzata decidendo da un ufficio centrale che cosa i singoli attori del
sistema dovevano produrre per le esigenze militari. Qui diventa cosa devono produrre
per l’esigenza rivoluzionaria del partito, e questo sistema per un po’ di anni aveva
funzionato (aveva portato il paese fuori dalla povertà ovviamente a prezzi elevati di
autoritarismo, pressione sulla società), ma negli anni 80 questo sistema non funziona
più.
L’ultimo ruolo che Gorbachov era quello nel settore dell’agricoltura e si rendeva conto che
l’agricoltura sovietica era un disastro, la parte collettivizzata dove c’era un ufficio di piano
cosa e quando produrre alle singole aziende agricole era una parte totalmente inefficiente che
faceva si che il paese, nonostante avesse grandi estensioni di territorio agricolo fertile,
dovesse comprare i cereali all’estero ecc..
Allora Gorbachov dice che bisogna rendere più efficiente il sistema, introdurre delle
flessibilità, più responsabilità alle singole aziende.
Sono quei tentativi iniziali che sta cominciando a fare anche Deng Xiaoping in Cina.
Potremmo dire forse che Gorbachov è meno radicale, meno determinato di Deng in questa
direzione. Cioè le riforme economiche sono più prudenti, Gorbachov le annuncia e poi le
rinvia, anche perché ha delle resistenze interne, però l’idea è simile.

2. Glasnost = trasparenza: l’altra cosa è che Gorbachov introduce affianco di queste


riforme economiche, una riforma politica. Allude a tutte una serie di misure legate
all’idea che bisogna cambiare il modo con cui il partito funziona. Rimane la guida del
partito, ma non si può più permettere per esempio di usare la censura, deve allargare il
clima di libertà, confronto, dibattito, non può usare la doppia verità (le statistiche
dicevano che quella certa azienda aveva prodotto davvero quello che gli era stato
chiesto ma in realtà non era vero). Nello stesso tempo la sua idea è vitalizzare il
partito anche attrraverso una dialettica interna, cioè non un pluralismo di opinioni tali
da scardinare il ruolo guida del partito, ma nel partito è benvenuta la discussione, si
possono formare gruppi diversi e Gorbachov arriverà dopo qualche anno a accettare
che si creino situazioni di elezione degli organismi statali (secondo il modello
sovietico erano elettivi, naturalmente con una partecipazione unica dei candidati del
partito), dice che si possono presentare anche diversi candidati sempre del partito per
dare quest’idea di dialettica.
Mette in moto un processo di cambiamento incisivo. Rende anche meno stabile la situazione,
si comincia a discutere e si cominciano a creare le posizioni di coloro che pensano che così le
cose non vanno bene perché le riforme economiche, per esempio, non sono così incisive nel
breve periodo, e quindi la discussione comincia a creare questa sensazione per cui qualcuno
dice che Gorbachov sta facendo poco, altri dicono che sta facendo troppo e rischia di far
cadere il partito (situazione non facile da gestire politicamente)

 Questa è una grande differenza con Deng Xioping in Cina, che riafferma la guida
solidissima del partito comunista senza nessuna grossa discussione, anzi mantenendo
la repressione del dissenso. Alla fine vedremo che questa esperienza sarà più solida di
quella di Gorbachov

Perestrojka e Gasnost sono quindi i due grandi obiettivi. Aggiungiamo il fatto che per
realizzare questi due obiettivi, Gorbachov ha bisogno di una premessa: ridurre l’enorme
immobilizzazione di risorse che c’è nel settore militare, fiore all’occhiello del sistema
sovietico (sin dall’inizio con quella logica di potenza accerchiata come unica potenza
socialista in un mondo ostile).
L’unica risorsa di primo piano prima di tutto era indirizzata al sistema militare ma era
diventata un vincolo eccessivo: se si volevano liberare le risorse per cambiare il sistema
economicamente, bisognava ridurre le spese militari.
 Qui c’è un’altra grossa divergenza rispetto alla Cina di Deng: Deng apre agli
investimenti stranieri.
Gorbachov potrebbe anche pensare di farlo, ma è molto meno appetibile la situazione
sovietica rispetto a quella cinese: gli investimenti stranieri arrivano in cina in primo luogo
dalla popolazione cinese della diaspora e in Russia non c’è una situazione di questo tipo. In
secondo luogo, arrivano inCina perché Deng offre un sistema ordinato, con una classe
operaia istruita, dedita al lavoro, ispirata alla logica dell’etica confuciata rafforzata anche
dall’elemento repressivo che c’è nel partito che erano appetibili per chiunque volesse
investire dall’estero, cosa che non c’era in Unione Sovietica: sistema di lavoratori spesso
considerati poco efficenti, dediti all’alcool ecc.

Questi elementi pesano nella diversità del sistema e quindi la riduzione delle spese militari a
un certo punto diventa necessaria e Gorbachov si impegna a realizzarla. L’unico modo per
ridurre le spese militari è evitare che ci siano rischi di guerra e quindi chiudere la parentesi di
scontro con gli USA, anzi non vuole solo ridurre gli effetti della seconda guerra fredda e
tornare all’epoca della distensione, ma vuole andare molto più radicalmente nella linea di
dire: dobbiamo chiudere le premesse stesse della guerra fredda, creare un clima di dialogo
con l’Occidente che allontani definitivamente la prospettiva di uno scontro armato.
 Non è facile: lui comincia ad essere interpretato dai sovietologi di Washington legati al
partito conservatore repubblicano di Regan che all’inizio pensano che i propositi di
Gorbachov siano una presa in giro quindi invece di ridurre gli armamenti, pensano di
dover essere duri e circondare l’URSS di una rete di alleanza di ferro in modo di
impedirle di nuocere.
Regan stesso che aveva lanciato lo slogan dell’impero del male è perplesso all’inzio: bisogna
anche dire però che Regan ha una lungimiranza politica di andare a vedere le carte di
Gorbaciov, cioè di dire, va bene, allora dimostriamola questa volontà di superare la guerra
fredda, cioè aprono un dialogo. Ci sono un paio d'anni sostanzialmente di discussioni,
piuttosto complesse e poco efficaci, ma poi tra 86 87 si arriva ad una proposta di Gorbaciov
che alla fine è un po quella che scardina il sistema di crisi della distensione di seconda guerra
fredda. Questo perché interviene su un punto che è quello degli euromissili: Gorbachov
sceglie l'opzione zero, cioè noi ritiriamo gli SS20 che avevamo stanziato nel 76 77, voi
ritirate i Cruise e Pershing che avevate messo in risposta a quella mossa sovietica. Regan
all'inizio è perplesso, ma poi accetta la proposta opzione zero.
Il trattato degli euromissili dell’87 è praticamente il primo, anche in tutta la lunga stagione
della distensione, che elimina definitivamente una categoria di missili. Questo vuol dire che
in qualche modo sostanzialmente e simbolicamente la guerra fredda potremmo chiusa
nell’87, nel senso che Gorbachov dall’87 in poi lancerà quest’idea di un dialogo pacifico
internazionale che superi le preocupazioni di una nuova guerra e si metteranno le premesse di
un mutamento profondo del sistema.

La complicazione per Gorbachov è:


- Una legata al fatto che le riforme non vanno avanti tanto bene, nel giro di ¾ anni
questo porterà a dissolvere il suo capitale politico interno.
- Tutto questo cambiamento ha degli effetti anche sugli alleati dell’unione sovietica,
cioè sul sistema imperiale, che viene scosso profondamente
Se Gorbachov dice che non ci sono più le condizioni della guerra fredda (quindi non c’è più il
rischio di una terza guerra mondiale) e Regan accetta questa cosa, la sfera di influenza
sovietica intesa come territori governati da governi amici che devono allontanare la minaccia
per una possibile nuova invasione da Occidente dell'URSS che Stalin aveva avviato nel
dopoguerra ha ancora senso? Perde una premessa fondamentale della logica della sfera
d’influenza, tanto più che Gorbachov dice a questi regimi che non hanno più risorse per
tenerli in piedi, mettendo in crisi la dottrina Breznev della sovranità limitata (che avrebbero
fatto di tutto per mantenere a galla questi regimi).
 Gorbachov dice a questi regimi che se sono capaci di stare in piedi da soli bene, sennò
non sono più in grado e non vogliono più fare di tutto per tenerli in piedi.
Ci sono le premesse di una rapida crisi di questi sistemi fragilissimi, tenuti in piedi con un
esile spiegameto di energie repressive: alcuni regimi nel giro di 2/3 anni fanno la scelta di
seguire Gorbachov sulla linea delle riforme che vuol dire anche andare oltre per certi versi,
un dialogo anche con le opposizioni.
Si fa un ritorno indietro rispetto alla svolta dell’81, Iarusevsky libera i prigionieri politici di
Solidarnosh e inizia un dialogo che porterà nell’89 alle prime elezioni libere in Polonia (passo
in più rispetto a Gorbachov, possono partecipare anche partiti non comunisti) e questo vede
una vittoria di Solidarnosh all’elezioni e si forma un governo che per la prima volta non è
guidato da un comunista nell’est europeo.
L’altro regime che fa una linea riformatrice più economica che politica è quello ungherese.

Altri regimi fanno la scelta opposta, cioè sono convinti di poter tenere una linea repressiva
come DDR e Cecoslovacchia oltre a quelli balcanici come Romania e Bulgaria.

DDR: anche li c’è una protesta della società civile per aprire un dibattito, ripristinare la
libertà. Il partito cerca di reprimere questi cambiamenti ma quando la protesta diventa più
forte e c’è la richiesta di aprire il muro di Berlino, anche perché il cambiamento ungherese
aveva permesso a molti cittadini della DDR di attraversare l’Ungheria e andare in occidente
in modo legale, questo era un altro campanello d’allerme per la solidità del regime.
In sostanza, quando arriva il momento in cui bisogna davvero sparare sulla folla per tenere
l’ordine, il regime della DDR non se la sente più di farlo perché ha troppi vincoli
internazionali: durante la distensione c’era stato questo indebitamento crescente e la tesi era
che se gli occidentali tagliano i cordoni del finanziamento del debito non siamo più in grado
di sopravvivere.
 L’89 si spiega in parte per gli effetti delle riforme di Gorbachov e in parte per gli
effetti della distensione precedente, è questa che aveva scavato un cuneo sotto la
stabilità di questi regimi, come i social democratici tedeschi avevano previsto quando
avevano lanciato la Hostpolitik. Era il modo per mettere un cuneo sotto la stabilità di
quei sistemi che avrebbero portato alla crisi.

CECOSLOVACCHIA: vuole mantenere la repressione, proteste, non c’è più la solidità per
portare a fondo queste proteste e nel Novembre 89 proprio pochi giorni del crollo del muro di
Berlino il regime abdica, si richiama il capo della Primavera di Praga e uno dei dissidenti che
aveva protestato contro il regime di Praga in nome delle cose che lo stesso regime aveva
firmato nell’atto di Helsinki del 75.

La caduta del muro è il simbolo di questo cambiamento: si diffonde la voce che il regime non
impedirà più di passare da una parte all’altra del confine, fanno una domanda a una
conferenza stampa e un protagonista secondario del regime dice: si la decisione arriverà, tutta
la folla si presenta e le guardie non sanno se possono sparare come facevano di solito e quindi
pacificamente la gente attraversa il Muro che viene smantellato senza una reazione del
regime.

 Fine semipacifica del sistema sovietico in tutta l’Europa centro-orientale perché in


realtà in Romania e Bulgaria c’è qualche episodio di violenza minore e grosso
cambiamento europeo

Diversamente da ciò che sta succedendo in Cina: le cose sono molto analoghe, Deng ha
portato a fondo il cambiamento economico iniziato nei primi anni 80, nell’89 sono già visibili
segnali di efficacia, le zone economiche cominciano a funzionare, le esportazioni di beni
industriali portano a riserve valutarie che rendono il regime capace di fare investimenti.
Intanto c’è una protesta contro l’autoritarismo interno soprattutto tra gli studenti, molti si
accampano nella piazza centrale di Pechino; quindi, la situazione sembra simile a quella di
Berlino/Praga/Lipsia ma nel giugno dell’89 Deng manda nella piazza i carrarmati.
 Repressione, deng può permettersela perché al contrario di Gorbachov ha ormai
consolidato l’aspetto economico del sistema.

Per qualche mese l’occidente protesta ma le misure di ritorsione contro la Cina durano
abbastanza poco perché realisticamente la grande capacità produttiva cinese comincia ad
essere importante per tutti i mercati internazionali.

Questo è segno di una differenza che sarà duratura: quello che Deng poi chiamerà socialismo
di mercato è un sistema in cui il partito comunista detiene ancora il controllo politico totale
del sistema con una linea molto rigida e molto chiusa, ma affida l’economia a quasi
integralmente alle leggi di mercato e all’iniziativa privata (mai successo nel comunismo), che
mostrerà che il sistema cinese funzionerà.
Il tentativo di riforma di Gorbachov invece si arenerà e nel giro di un paio d’anni si rivelerà il
suo fallimento definitivo.

EFFETTI DELL’89
- La questione tedesca torna in primo piano. Il governo comunista della DDR subisce le
pressioni che fanno aprire le frontiere con occidente, di li a poco la disfatta è totale e
l’unica cosa che si può fare sono nuove elezioni aperte anche a partiti non comunisti
che si tengono nella primavera del 90 e danno grande vittoria ai partiti non comunisti.
Il nuovo governo viene dato a un democristiano: vuole unificarsi con la Germania
occidentale, ma il punto è che Kohl (cancelliere della repubblica federale) ha tutte le carte per
accettare. La costituzione del 49 della repubblica prevedeva che qualsiasi parte del territorio
tedesco avesse fatto richiesta sarebbe stato accettato all’interno della repubblica come dei
nuovi Land.
Kohl però non può decidere da solo perché ci vuole il consenso dei quattro grandi che
avevano vinto la guerra come fissato nei trattati dei primi anni 70 che avevano regolato la
situazione di Berlino e il rapporto tra le due germanie.
 Il consenso arriva facilmente da parte americana, da parte sovietica viene negoziato da
Kohl in cambio di investimenti che Gorbachov ha bisogno (all’inizio resiste perché
tiene la classica linea di Stalin, si riunificazione ma fuori dalla NATO, ma Kohl non
vuole assolutamente accettare, al massimo concede che le truppe della NATO non
entreranno nelle zone della nuova Germania ex DDR e Gorbachov si accontentà
perché ha bisogno degli investimenti tedeschi). Francia e GB non sono entusiaste non
tanto per ragioni di tipo tradizionale (nazionalismo tedesco) ma perché la
riunificazione avrebbe messo in crisi quel regime quasi di vicinanza tra repubblica
federale e altri stati all’interno del contesto europeo che si era stabilito con la CEE.
Una Germania unita diventava un fattore troppo cospiquo per l’equilibrio europeo (già
era il centro economico).

Kohl allora dice a Francia e Inghilterra che in cambio del fatto che loro sostengano la
riunificazione, la Germania è risposta a rafforzare l’integrazione europea, non a diventare un
ostacolo.
Con questo negoziato, una potenza non militare come la Germania ottiene il grande successo
della riunificazione, per annessione della vecchia DDR alla ex BRD che quindi non comporta
un discorso costituente, è semplicemente un inglobamento che sarà anche faticoso perché per
10 anni in Germania le condizioni economiche diventeranno tese perché bisogna investire per
il rinnovo, il sostegno della popolazione della DDR nel momento del rinnovo e rimarrà anche
una differenza sociale, culturale.
Tuttavia, è un grande successo ottenuto da una potenza ottenuto da una superpotenza
economica e non militare (cambiano le strutture dell’influenza politica).

- Tendenza alla frammentazione micronazionale: alcuni stati che erano stati costruiti
con operazioni politiche impegnative ma non così durature saltano in questo periodo
perché torna a galla un tema nazionalistico.
Questo perché l’uniformità socialista non era riuscita a spazzare del tutto queste diversità.
Dopo il 56 i comunismi sono più attenti all’elemento nazionale, ma c’è una cosa in più, cioè
che proprio il fallimento del comunismo come collante politico porta una parte di queste
classi dirigenti in modo anche disinvolto a trasformarsi da comunisti in nazionalisti locali.
Questo avviene nel modo più significativo nella vicenda dell’URSS, che era la grande
superpotenza socialista ma era anche un’unione di repubbliche (Lenin fondata nel 22 come
unione di repubbliche): c’è una repubblica molto cospiqua che è a sua volta una repubblica
federativa russa, poi ci sono le repubbliche collegate all’unione che sono quelle europee
(Ucraina, Bielorussia, Baltiche, Moldova, caucasiche e asiatiche). Il totale è 14 repubbliche e
il totale significa che in queste repubbliche dove l’unione era garantita dalla predominanza
del partito comunista, quando esso si indebolisce dopo l’89, dopo che le proposte di
Gorbachov sono sempre più difficili da realizzare, c’è una protesta sia dal fronte progressista
sia dal fronte conservatore, nell’agosto dell’91 c’è un colpo di stato a Mosca: comunisti
tradizionalisti cercano di fare fuori Gorbachov perché dicono che sta portando il partito alla
crisi finale. Colpo di stato poco significativo e respinto perché si erano ormai creati dei
governi autonomi delle singole repubblche e quindi anche della federazione russa, il quale
governo autonomo era in mano a un comunista riformatore, Boris Jelzi
 È il presidente della federazione russa, per la prima volta eletto nell’epoca di
Gorbachov con un elemento competitivo. Nella federazione russa aveva vinto Jelzi su
queste posizioni di un riformatore che voleva criticare le lentezze di Gorbachov,
voleva andare più avanti. Quando i comunisti conservatori con alcuni dei militari a
mosca tentano il golpe per far fuori Gorbachov e ripristinare un sistema più rigido,
Jelzi reagisce e da una struttura di sicurezza (che gli permette di reagire con le armi) e
questo rende impossibile ai golpisti di continuare la loro operazione, già fragile.
Quindi Gorbachov viene richiamato dopo che era stato arrestato e il partito comunista
perde definitivamente la sua legittimazione. Da quel punto Jelzi lavora insieme agli
altri presidenti delle altre repubbliche per dire: non ha più senso tenere insieme
l’unione perché non c’è più il partito comunista che era il vero collante; quindi, si va
verso lo scioglimento dell’unione che avviene verso la fine del 91.

Questo significa che non c’è più il collante e le singole repubbliche vedono i capi che erano
tutti comunisti del vecchio sistema dispersi: l’unica soluzione che hanno è quella di
presentarsi come nazionalisti.
 È una sorta di prospettiva anche strumentale ma che in molti casi funziona. Alcuni dei
capi comunisti restano presidenti anche per molti anni di queste repubbliche vantando
il loro credito come nazionalisti.

In realtà prima del 91 era solo nelle repubbliche baltiche che portavano un vero e proprio
sentimento collettivo di ostilità al regime sovietico, dalle altre parti sono invece meccanismi
disinvolti.

Il risultato è che i capi di queste repubbliche non rinnovano più il patto di unione alla fine del
91 e quindi fondamentalmente Gorbachov che era stato eletto presidente dell’unione sovietica
un anno prima si trova senza la sua carica perché le 14 repubbliche si dividono, non c’è un
grande mantenimento nemmeno di una formula di cooperazione (dura poco) e quindi l’unione
sovietica si dissolve. Resta una repubblica, ossia la federazione russa, più estesa, ed è la
repubbica che eredita anche alcuni elementi della superpotenza (seggio permanente all’ONU,
apparato nucleare).
 Stagione di incertezze anche per la nuova russia, legata a una transizione economica
che a questo punto precipita rapidamente verso l’idea di passare a un’economia di
mercato capitalista con grandi sofferenze della popolazione (crollo del PIL)

Nel 91 sostanzialmente finisce anche il bipolarismo perché l’unione sovietica non è più
esistente e la Russia non è certamente in grado di essere un polo globale sia pure il secondo
come lo era stato l’unione sovietica.

Il tema si ripresenta anche in altre situazioni: di li a un paio d’anni si smembrerà anche la


cecoslovacchia, stato nato ai tempi della prima guerra mondiale con un consenso tra le due
parti del paese (Boemia e Slovacchia) che però nei primi anni 90 non tiene più nonostante il
passaggio a un regime democratico con Avel come presidente le due parti del paese
negoziano una separazione consensuale, in questo caso senza violenza e senza problemi
nascono due Stati indipendenti.

La cosa diventa molto più complicata, invece in Jugoslavia: Tito era riuscito a guidare un
paese resistendo alla pressione polemica di Stalin da una parte e costruendo rapporti con
l’occidente dall’altra. Aveva costruito questo modello socialista sedicente dell’autogestione,
più flessibile anche se molto legato alla centralità del partito, però era anche riuscito con una
politica a volte di equilibrismi a superare le diversità interne del paese legate non solo a
lontane origini di diverse tradizioni nazionali, ma anche a violenze molto più recenti durante
la Seconda guerra mondiale tra Serbi, Croati ecc.
Quando Tito muore negli anni 80 per un po’ di tempo la Jugoslavia continua ad essere gestita
in modo collegiale con un modello che era appunto il modello di tipo federale inventato da
Tito
 6 repubbliche unite da un patto federale.
Il punto è che anche qui il partito comunista perde capacità di guida in parallelo alle vicende
europee dell'89-91 e perdendo capacità di guida il partito comunista, i capi delle diverse
repubbliche slittano progressivamente verso posizioni di tipo nazionalista locale (Serbia, il
presidente diventa un nazionalista serbo, Croazia e in tutte le altre maggiori repubbliche).

Questo nazionalismo porta con sé una difficoltà a convivere all’interno di una stessa realtà
istituzionale: nel 91 sono soprattutto le due repubbliche più avvantaggiate economicamente
cioè Slovenia e Croazia a dire di voler uscire dalla federazione. Questo porta nel caso della
Slovenia a una brevissima tensione, nella Croazia a una fuerra di qualche settimana
nell’estate del 91 perché ci sono dei territori che sono abitati sia da croati sia da serbi, la cosa
diventa più complicata quando dichiara l’indipendenza la Bosnia-Erzegovina: perché la
Bosnia era una Repubblica composita in cui ci sono molti croati,molti serbi e alcuni che non
vogliono essere riconosciuti né come croati ne come serbi e che Tito aveva previsto si
potessero registrare all'anagrafe come musulmani. Perché l'idea di Tito era, non diamo un
carattere nazionale alla bosnia proprio per non scontentare le due grandi repubbliche croata e
serba, allora registrarsi come musulmani non voleva dire essere musulmani di religione, ma
avere un’identità altra rispetto ai due gruppi dominanti.
Questo equilibrio era durato nell’epoca di Tito, ma quando in Bosnia prende piede un partito
per l’indipendenza diventa un elemento di complicazione perché nel 92 scoppia una guerra
durissima tra croati locali, serbi locali, musulmani e serbi e croati dall’esterno che sostengono
il proprio gruppo nazionale.
 Differenza di realtà in precedenza vissuta in modo tranquillo, ma che sotto l’onda di
questo risentimento nazionale che mette capo alla formazione di gruppi che si
radicalizzano che vogliono cacciare quelli che non sono della propria nazionalità, la
cosa diventa drammatica
Questo riporta la guerra in Europa dopo anni in un contesto ambiguo e sospeso: tutte queste
dichiarazioni di indipendenza sono condotte anche perché si pensa che ci sia un clima
favorevole ad accogliere e riconoscere l’autonomia delle piccole nazionalità. In parte questo è
vero proprio perché il clima della globalizzazione ha ridotto il ruolo dello stato, quindi c’è la
sensazione che non c’è più bisogno di essere uno stato cospiquo, che abbia un mercato esteso
all’interno, basta essere anche piccoli che se si aprono alla globalizzazione possono aver eun
loro ruolo e un loro riconoscimento.
 Non a caso l’indipendenza croata e slovena viene riconosciuta da molti stati
abbastanza rapidamente. Questo da la spinta a procedere su questo orientamento.
Però, di fronte a un’indipendenza che crea una guerra civile la cosa diventa più complicata e
in questo orizzonte può intervenire l’ONU perché l’idea è che quest’ultimo dopo la fine della
guerra fredda possa ritrovare la sua relativa solidità, ma vedremo che funziona nella misura in
cui le potenze dominanti al suo interno si mettono d’accordo su come farla funzionare e se
non si mettono d’accordo perché ci sono visioni diverse, l’ONU è molto bloccato nel suo
reale funzionamento.
Cosa che succede per esempio per la missione di alcuni caschi blu: truppe che i singoli paesi
membri forniscono all’ONU che nel caso della Bosnia sono olandesi, mandati a sorvegliare
alcune regioni che si fanno chiudere in una caserma perché non hanno istruzioni su come
resistere ad eventuali pressioni dei gruppi nazionalisti locali, non riescono a impedire uno dei
peggiori massacri durante la guerra civile.

La guerra dura altri tre anni, c’è una durissima vicenda di assedio di Sarajevo da parte dello
truppe serbo-bosniache, alla fine l’unico modo di fermare la guerra è la decisione di Clinton
(USA) di intervenire con raid militari contro le postazioni serbe che lasciano un piccolo
spazio per spostare la cosa a una mediazione politica: i capi bosniaci vengono convocati negli
USA e li si media questa situazione.
 La bosnia viene divisa in due realtà territoriali: la repubblica serba di Bosnia e la
Federazione croato-musulmana e tra queste due aree che sono due stati divisi
all’interno dei quali ciascun gruppo ha attuato una certa pulizia etnica. Vengono unite
al vertice da un piccolo governo comune, quindi fondamentalmente la Bosnia
Erzegovina è una repubblica indipendente con un governo comune ma esso è una
specie di paravento per questa separazione sul territorio
Intervento esterno fuori dalla cornice ONU, fuori da un dialogo internazionale, una sorta di
iniziativa della superpotenza che cerca di fermare il conflitto di fronte al fatto che anche i
paesi europei erano molto divisi.

La vicenda durerà fino al 1999 perché in questo anno ci sarà una nuova crisi legata al
Kosovo, che era una regione autonoma della repubblica serba abitata prevalentemente da una
popolazione di origine albanese.
 Ci sono resistenze localistiche perché i serbi riducono alcune delle autonomie concesse
in precedenza
Nuova crisi, nuovo intervento militare statunitense che ferma la potenziale repressione serba.
Sta di fatto che i bombardamenti su Belgrado mettono in crisi lo stesso regime e che il
Kosovo proclama una sua indipendenza più faticosamente accettata nella comunità
internazionale in questo caso (non era una repubblica federata).

La dissoluzione jugoslava è una testimonianza di questo clima internazionale nuovo ma è


anche un dramma per le popolazioni locali che non riesce a essere mediata dalla comunità
internazionale.
Questo discorso fa parte di un nuovo orizzonte della superpotenza, legato alla fine della
guerra fredda e alla crisi del sistema sovietico: USA resta l’unica superpotenza militare. Si
parla di UNIPOLARISMO, che dimostra di voler esercitare ancora un ruolo globale anche se
con dei limiti: che è l’unica superpotenza lo si vede già dalla sterminata erie di basi militari in
tutto il mondo e dalla rete di alleanze (addirittura all’epoca di Jelzi si crea una partner tra
Russia e Nato).
Cio che la limita è da una parte un discorso economico: dimostrato con la crisi del dollaro
degli anni 70 e dall’altra il fatto che la sindrome del Vietnam qualcosa ancora conta: Regan si
era ben guardato da mandare truppe americane all’estero o di esercitare un ruolo di
supremazia che comportasse intervenire nelle crisi, perché la lezione del Vietnam pesava
ancora.
Nei primi anni 90, in assenza di un secondo polo qualcosa cambia: gli USA vengono portati a
pensare di poter esercitare di più il loro ruolo globale, soprattutto tra 90-91 c’è una crisi che li
porta a volere esprimere questo nuovo ruolo.

CRISI DEL MEDIORIENTE


Nel 90 c’è l’invasione da parte dell’Iraq dell’emirato del Q8 (zona del petolio). Era un
emirato indipendente dopo essere stato colonia britannica fino agli anni 60 e l’Iraq non aveva
mai riconosciuto le frontiere perché erano decise dalla potenza coloniale inglese.
Questa cosa era rimasta congelata per decenni, quando negli anni 80 c’è la durissima guerra
tra Iran e Iraq: dopo la rivoluzione islamista a Teiran, l’Iraq di Saddam Hussein aveva
attaccato l’Iran e c’era stata questa guerra durata fino all’88 che non aveva praticamente
modificato la situazione di confine. Tuttavia, la guerra era stata discussa da Saddam Hussein
(dittatore di impostazione del partito di nazionalismo socialisteggiante arabo simile a Nasser)
si era presentato, sia pure in una posizione polemica contro l’occidente, come quello che
aveva fermato la potenziale della rivoluzione iraniana. Sadam aveva pensato di poter
invadere e annettersi il Q8 e che sarebbe stata riconosciuta in occidente perché lui aveva delle
benemerenze legate al blocco dell’espansione comerista.
 Questo ovviamente crea problemi internazionali: Q8 ha la sua sede all’ONU.
All’ONU Saddam si trova molto isolato, ma gli USA cercano di guidare una coalizione che
faccia pressioni su Saddam perché si ritiri dal Q8 oppure costruisca una situazione da
permettere di intervenire per liberare il Q8.

Questo da l’idea che il primo passaggio dell’unipolarismo americano si appoggi molto


all’ONU: Bush eletto nell’88 ha un’impostazione prudente nella ripresa del ruolo
internazionale degli USA, intervenire nelle crisi per ripristinare l’ordine ma con il sostegno
dell’ONU e anche con il sostegno che lui cerca dai paesi arabi circostanti.
 Saddam infatti resta molto isolato, anche l’arabia saudita, siria, egitto, sono tutti
schierati contro di lui.
Questo permette di costruire questa coalizione estesa e l’altra cosa interessante è che questa
viene gestita da Washington con la richiesta a molti paesi che non abbiano
intenzioni/possibilità di mettere risorse militari di mettere risorse economiche.
Le pressioni su Saddam non hanno esiti nonostante il tentativo di mediazione di Mosca dove
Gorbachov cerca di mediare per ottenere che non ci sia un intervento militare americano.
 Saddam resiste a qualsiasi mediazione e nel 91 c’è l’intervento militare, anche qui
legato all’importanza della memoria del Vietnam: intervengono con una massiccia
concentrazione di risorse dall’aria e legata ad un dominio tecnologico ormai assoluto
(bombardamenti selettivi cercando di limitare l’impatto sui civili), senza iniziare la
guerra con un’invasione militare da terra. E anche quando si è distrutta la potenza
dell’avversario con aerei, l’intervento militare di terra avviene in modo da limitare le
forze militari del nemico ma non con un’occupazione militare permanente (punto
critico visto durante vietnam)
L’intervento militare sconfigge Saddam, non lo si fa crollare, si impongano solo dei limiti.

Da quel punto in poi questo vuol dire tenere delle basi americane in arabia saudita che non
c’erno mai state, controllare il medioriente, cioè la logica della superpotenza globale si vede,
ma si vede anche con certe modalità che ripensano proprio ai limiti della vicenda vietnamita.

La confidenza nell’ONU mostrata in questa guerra (Guerra del Golfo) vacillerà negli anni
successivi, il nuovo ordine mondiale di cui si parla doopo la guerra fredda voleva dire proprio
riportare l’ONU come grande centro di mediazione tra le varie posizioni dei paesi maggiori,
però questo ONU fa fatica a gestire le crisi perché i paesi maggiori non riescono a mettersi
d’accordo in certi casi.
Nel caso del Q8 questo era stato possibile, nel caso Jugoslavo le cose diventano più
complicate tra 92-95 e in altri casi fuori dall’Europa e dal Medioriente è ancora peggio: nel
92 c’è la crisi in Somalia, situazione di una guerra civile durissima, l’ONU decide di mandare
delle truppe per salvare i civili ma questa cosa funziona talmente poco che le stesse truppe
ONU vengono prese a colpi di arma da fuoco, muoiono marines americani (Bush sostituito da
Clinton nel 92) e Clinton decide di ritirare i caschi blu americani.
Di li a poco nuova crisi in Ruanda, si minaccia un vero e proprio genocidio, l’ONU resiste a
non mandare le truppe, i paesi non si mettono d’accordo: le truppe vengono mandate quando
ormai il genocidio viene compiuto.

Questo da una parte rilancia il ruolo della superpotenza, dall’altra in questa fase porta essa a
una certa prudenza perché ci si rende conto che la superpotenza ha i suoi limiti.

In tutto ciò c’è anche la nuova stagione dell’europeismo: dopo l’89 cambia molto, la chiave
politica per spiegare quello che cambia, il discorso è sempre quello. Perchp succedono i
cambiamenti? Perché i 12 paesi che aderivano all’Europa nel 92 firmano il trattato di
Maastricht, che porta con sé l’idea che la comunità diventi Unione Europea?
Perché c’è un motore politico, ossia l’unificazione tedesca che ha cambiato le cose, la
Germania è diventata molto più forte e incisiva in Europa, ci vogliono delle istituzioni più
solidi e lo stesso Kohl dice di essere disposto a rafforzare l’Europa.
Cosa c’è in questo rafforzamento dell’Europa di Maastricht? Ci sono da una parte l’idea che
bisogna estendere le competenze che erano della comunità: l’unione europea dopo Maastricht
si concepisce come una cosa che si appoggia su tre pilastri
- EREDITA COSTRUITA NEI 40 ANNI PRECEDENTI: comunità europea, mercato
comune che funziona con il metodo comunitario con decisioni prese a maggioranza,
insomma tutta la struttura di governo economico precedente in cui si aggiunge il
completamento del progetto di Unione economico-monetario
- IDEA DI UNA POLITICA ESTERA COMUNE: idea di consultazioni permanenti, si
parla della costruzione di qualche forza armata comune (fallita nel 54). Questo nuovo
pilastro viene gestito con metodo intergovernativo, cioè bisogna mettersi d’accordo
tutti. Molto difficile, lo si vede sul caso della Jugoslavia, nonostante la guerra fosse
così angosciante, ogni stato pensa ai propri interessi, a idee che risalivano nella storia
precedente (Francia rapporto stretto con Belgrado, tedeschi con indipendenza di
slovenia e croazia perché pensavano potesse diventare parte di una Mittel Europa in
cui gli interessi economici tedeschi sarebbero stati importanti), ognuno continua a
ragionare con i propri criteri
- COOPERAZIONE NEGLI AFFARI INTERNI: funziona con metodo
intergovernativo. Ha qualche risultato maggiore nel medio-periodo ma non è un tema
politicamente così pregnante

Il punto più pregnante di Maastricht è il primo pilastro, questo completamento dell’Unione


monetaria: Kohl dice che se vogliamo davvero rafforzare il nostro mercato interno dobbiamo
creare una moneta unica.
Quest’idea circolava già da tempo ma i tedeschi si erano sempre opposti perché il marco era
una moneta solidissima, fare una moneta unica che avrebbe rispecchiato la media delle
monete europee rischiava di essere una moneta più fragile sui mercati internazionali, quindi
portare quella situazione di inflazione e debolezza contraria alla tradizizone della politica
economica tedesca del dopoguerra.
Kohl accetta che si faccia una moneta comune, ma almeno l’euro deve essere una moneta
solida. Allora i suoi partner concedono a Kohl dei criteri per entrare nell’euro, entrano solo
quelli che hanno parametri di buona finanza pubblica, non deve esserci un debito eccessivo.
Se quelli che partecipano sono ortodossi, con una politica economica austera questo potrà far
si che la moneta sia solida.
 Questo nel medio periodo funziona perché l’euro si consolida, viene usata anche per i
pagamenti internazionali, c’è l’idea almeno di affiancare l’euro al dollaro quindi dare
anche all’Europa in prospettiva una potenza politica perché avere una moneta solida
che ogni paese si possa gestire senza troppe preoccupazioni, ossia che in un sistema di
mercati globalizzati in cui ormai i soldi si muovono liberamente da un posto all’altro
con un click, la potenza di fuoco dei mercati, inteso anche i sggetti speculativi che
funzionano a livello globale, è talmente alta che gli stati devono essere prudenti. Non a
caso quando si era appena firmato Maastricht c’è una crisi finanziaria in europa e nelle
more della realizzazione dell’euro la speculazione colpisce la lira e la sterlina nel 92 e
le mette ko.
Quale stato è così solido da poter reggere alla speculazione internazionale in questi
mercati liberi? Deve essere uno stato con un economia ampia, strutturata, solida. L’euro
può diventare una moneta al riparo dalle speculazioni internazionali e quindi con una certa
autonomia (se ogni cosa che un paese fa in politica economica rischia di subire un attacco
speculativo, questo è un paese fragile, l’europa potenzialmente queste autonomie le ha
acquisite con l’euro)

L’euro viene negoziato a Maastricht, entrerà in gioco formalmente 10 anni dopo e si


sostiene con questo percorso che è un successo, mentre non è un successo la politica estera
comune.

In più l’europa rilancia quest’idea di influenza nel mondo con un modello di potenza
civile, cioè una potenza che risolve i conflitti non con le armi: cosa che in diverse parti del
mondo ha un suo appeal, in particolare nella periferia dell’europa. I paesi ex comunisti
fanno a gara a chiedere di entrare nell’Europa: vuol dire risorse, stabilizzazione delle
relazioni diplomatiche e l’allargamento oltre al consolidamento diventa un altro grande
fattore.
L’allargamento da parte dell’unione non può essere istantaneo: per entrare deve esserci un
mercato funzionante, una democrazia solida, acquisizione di tutte le possibilita per essere
capaci di stare dentro le strutture comunitarie e questo vuol dire che i primi ingressi dei
paesi ex comunisti sono dilazionati per circa 15 anni. Entrano più rapidamente quelli che
prima erano stati paesi neutrali, allargamento quasi naturale.

Al momento di Maastricht si era in 12, si diventa 15 con i nuovi paesi neutrali, nella
prospettiva di diventare 24/25 c’è un ripensamento sulle regole: quindi negli anni 2000 ci
sarà il tentativo di consolidare queste istituzioni che però non riuscirà ad essere molto
sviluppato.
I limiti dell’unione continueranno ad essere questi, ossia un meccanismo molto dipendente
dalla capacità di trovare un accordo tra i singoli stati. Quando trovano l’accordo gli stati
più importanti già è significativo, ma portarsi dietro tutti è complicato.
Anche questi cambiamenti europei sono molto frutto della vicenda successiva all’89.

VERTICE DELLA GLOBALIZZAZIONE


La globalizzazione si è palesata in quel modo frutto di decisioni singole senza una grande
struttra con un adeguamento progressivo dei diversi protagonisti nei primi anni 80, dopo
l’89 e il 91, la globalizzazione ormai si è dispiegata significamente.
Anche perché si può fare un paragone tra 89/91 e il 45 o il 18: finiva una guerra anche in
quel momento (guerra particolare), c’era una stagione in cui si poteva pensare di
immaginare un sistema totalmente nuovo, quando si parla di nuovo ordine mondiale si
parla di questo.
Il punto da notare è che l’89 è per certi versi meno previsto della vittoria della strana
alleanza antifascista nel 45, è più improvviso. il crollo lascia tutti senza un grande disegno
per il futuro perché non c’è una liedership degli USA a livello di dominio del sistema
simile a quello del 45. Quello che succede è un’estensione delle regole e delle istituzioni
che già funzionavano in occidente, che vengono estese ai nuovi stati indipendenti, agli ex
stati comunisti che si convertono al capitalismo e che però non vede un grande
adattamento di quelle realtà.
Ci sono realtà nuove, ma legate semplicemente al fatto che si completa quel percorso di
negoziato continuo durato 40 anni: tema del commercio, dopo i decenni del Gats viene
creata una realtà che per la prima volta nel 95 struttura un sistema di regole in cui ci sia la
possibilità non solo di continuare quel dialogo per ridurre le barriere commerciali, ma
anche di imporre sanzioni. E un completamento di un percorso, ma non è una cosa nuova
rispetto alla nuova situazione mondiale che si crea.
Il dato rilevante è per esempio che nel 2001 entrerà anche la Cina, riconoscimento di
quesato interlocutore che non si può più fare a meno, le proteste di Tiemenamen erano
state messe da parte perché l’idea è che fare entrare la Cina nell’organizzazione permetterà
anche di controllare certi comportamenti sui temi per esempio dei brevetti, dei
riconoscimenti.
 Ineluttabile allargamento di un modello che però non è fortemente ripensato; quindi, le
istituzioni restano quelle un po’ fragili.
Attorno al G7 si allarga un G20, cioè una riunione periodica di stati che comprendono i 7 stati
più industrializzati e molte delle potenze emergenti che nello schema della globalizzazione si
siano affermate. Dagli anni 2000 in poi diventerà un luogo di confronto importante.
Quindi qualcosa di nuovo c’è ma non c’è un ripensamento complessivo. Lo stesso ONU
viene chiamato a interbenire sempre più spesso, a mandare caschi blu, ma non c’è un
ripensamento della struttura di governo dell’ONU anche perché per ripensarla si sarebbe
dovuta utilizzare la regola dell’unanimità; quindi, mettere d’accordo tutti che non è
certamente facile soprattutto quando si devono cambiare i rapporti di forza tra i paesi che
hanno un seggio permanente al consiglio di sicurezza. Qualcuno nel 91 comincia ad
accorgersi del gigante della Germania, non è un paese che potrebbe avere un seggio
permanente all’ONU? Si, ma allora bisogna ripensare tutto il modello, bisogna far si che ci
sia un seggio europeo invece che uno francese e uno britannico dato il ridimensionamento di
questi due a livello mondiale.
Di queste cose si discute molto negli anni 90, ma il punto di caduta è modesto: c’è una
piccola riforma dell’elezione dei membri del consiglio di sicurezza (quelli non permanenti,
eletti a scadenze prefissati), ma non è un cambiamento sostanziale che rispetti di più il nuovo
stato di cose esistenti a livello globale.
In questo orizzonte di regole che non sono tanto cambiate, la globalizzazione dispiega i suoi
processi.

La globalizzazione è un fenomeno importantissimo, ma non è un fenomeno che abbia


davvero unificato il mondo in un solo grande mercato globale: le catene di produzione sono
diventate sempre più internazionali, anche la cultura è stata influenzata sempre di più
(McDonaldizzazione del mondo), ma non si può evitare di considerare come queste situazioni
siano parziali:
per esempio, i flussi commerciali e di capitali sono ancora molto concentrati tra i maggiori
attori del sistema. È vero che il mondo è un grande mercato comune ma è anche vero che la
parte più grossa è nel triangolo tra europa occidentale, america del nord e asia orientale.
In queste tre parti, la parte di commercio interna alla zona è di circa il 50% in Asia, 40% in
america e 65% in Europa, dove gran parte del commercio è tra i singoli paesi europei.
Quindi globalizzazione si ma molto regionalizzata, le regioni più importanti fanno la parte del
leone, le altre sono coinvolte in modo più limitato.
Inoltre, la globalizzazione vede un enorme spostamento di flussi di merci (già dopo il 45 il
commercio mondiale si era impennato, c’è continuità), la novità dagli anni 80 in poi sono gli
enormi flussi di capitali, non vede gli stessi spostamenti internazionali di persone: si flussi
migratori di lavoratori in tutto il mondo, ma questi al contrario degli altri sono controllati,
limitati, a volte scoraggiati.
I posti dove c’è una condizione tale per cui c’è un mercato del lavoro che potrebbe attirare
persone che vengono da paesi più svantaggiati spesso sono paesi che hanno barriere molto
significative: fin dagli anni 90 barriera mediterranea, dell’est europeo, australiana,
nordamericana.

Di per sé è una sorta di contraddizione all’idea dell’enorme dispiegamento della


globalizzazione perché i mercati lasciati a loro stessi avrebbero portato un rimescolamento
molto forti anche di lavoratori, che si porta con se difficoltà di tipo politico perché ci sono
gruppi che si oppongono a questa libertà di movimento e questo è un altro fronte che limita la
forza della globalizzazione.

L’altro discorso è: la globalizzazione è un fatto o qualcosa di più? Da una parte è una serie di
scelte e di dinamiche che hanno questo peso rilevante, ma intrecciato strettamente con questo
dato di fatto e con questo cambiamento oggettivo, porta con se anche un’ideologia,
un’elemento prescrittivo: per farla funzionare bisogna accelerare in una certa direzione. La
cultura che viene definita neoliberista, già apparsa all’inizio della globalizzazione nella
teorizzazione di Regan sulla rduzione del peso dello stato, è continuata poi negli anni 90 a
diventare una sorta di mantra.
 Più la globalizzazione prenderà piede, più i confini degli stati verranno resi poco
influenti piu ci sara la spontanea risoluzione dei conflitti. È quell’orizzonte ideologico
che spiega anche la tematica della frammentazione degli stati tradizionali perché si
possono anche immaginare staterelli più modesti perché tanto la dinamica di crescita e
innovazione è garantita dai mercati e non dagli stati (ideologia della globalizzazione)

Questo tipo di logica accompagnata negli anni 80 ad una posizione di destra conservatrice
che aveva modificato molto le disposizioni classiche dei grandi partiti moderati, si allarga
anche verso le sinistre. Anche i partiti progressisti sono coinvolti, non con formule identiche
a quelle di Regan o di Tatcher, ma con formule più soft che però condividono questo apsetto.
Pensiamo al ritorno dei democratici al governo degli USA o alla stessa social democrazia
tedesca che interrompe dell’98 il governo di Kohl: sono tutte posizioni che sono pro-
globalizzazione e convinte dell’idea che essa si possa governare e anche un po’
addomesticare a favore delle classi povere ma fondamentalmente senza mettere in
discussione le premesse fondamentali.
Questa è una stagione che porta i partiti del centro-sinistra più dalla parte della solidità del
sistema, mentre alcune frange iniziano a contestare (manifestazioni no-global, Shuttle 1999,
Genova G8 2001), ma stanno un po’ sullo sfondo. L’impressione è che il successo sia tale che
coinvolga anche i partiti della sinistra.

Certamente la globalizzazione ha delle conseguenze, che per la parte del mondo


sottosviluppata, dell’ex terzo mondo (ormai non più terzo mondo dagli anni 80) che è entrato
nell’orizzonte del cambiamento ha conosciuto l’uscita della povertà di cospique parti di
queste popolazioni, quindi conseguenze positive.
La grande crescita sta soprattutto nell’area asiatica, anche alcuni paesi africani, latino-
americani.
I paesi negativi sono soprattutto quelli dell’area ex-sovietica che fanno fatica ad adeguarsi al
meccanismo del mercato.

Sicuramente non è vera la dichiarazione di principio: la globalizzazione ha accentuato le


divisioni nel mondo. Non è vero, ha redistribuito le ricchezze, c’è una parte del mondo che si
è agganciata a questi processi ed è cresciuta di più dei paesi ricchi, però questa cosa è legata a
significative disomogeneità.

In questa crescita crescono aree nuove, poli economici che piano piano diventano poli
politici. Polo lo abbiamo usato nella guerra fredda come superpotenza attorno a cui si aggrega
un’area di paesi, nella globalizzazione non succede questo, sono paesi che hanno legami e
interdipendenze più ampie.

Tuttavia, dobbiamo parlare della Cina che si solleva negli anni 70 dopo decenni di
appiattimento, il vero decollo è negli anni 90 e dal 2000 in poi c’è una moltiplicazione ogni
due/tre volte ogni pochi anni. Corrispondente a questa straordinaria crescita del PIL c’è una
straordinaria crescita del surplus commerciale: più esportazioni in confronto alle
importazioni.
Economia basata sulle esportazioni prodotte da un sistema dove c’è un forte ruolo di
investitori internazionali ma dove c’è ormai anche un forte ruolo di soggetti cinesi che
compartecipano a questa struttura.
 È un sistema che quindi accumula risorse come valute pregiate, ancora controllate
fortemente dallo stato, e questo da allo stato possibilità di investimenti in
infrastrutture, ma anche di tipo sociale ma con grande prudenza: la società cinese vede
ancora una parte di emersione dalla povertà e una parte di tradizione e marginalità
agricola anche perché per lunghi anni gli spostamenti sono rigidamente controllati, che
comporta dei limiti alla redistribuzione del reddito.

Il caso riguarda anche altri paesi asiatici come l’India dove questa stessa logica avviene in un
clima meno legato all’esportazione di beni commerciali e più legato all’esportazione di
servizi: l’india è un paese che nei primi decenni del dopoguerra aveva avuto un economia
molto governata dallo stato (democratico), l’india degli anni 90 ammorbidisce questi legami
pubblici dell’economia, da fiato a parte dell’economia privata, ha molta minore uguaglianza
della crescita rispetto al caso cinese (persistono caste, scarsa distribuzione del reddito) e
quindi anche la modernizzazione del sistema produttivo indiano è più diseguale e lenta, lascia
più spazio alla contrapposizione interna tra i favoriti e i perdenti della globalizzazione, ma
comunque esce dal sistema dell’arretratezza.
GIAPPONE
Era stato l’avanguardia di questa regione, anche centro del modello fortemente esportatrice
che poi viene imitato.
Negli anni 90 conosce una battuta di arresto e il crollo porta a una lunga stagnazione: dagli
anni 90 in poi dopo lo strordinario successo dagli anni 70, il PIL si appiattisce.
Non è una crisi permanente, ma una dinamicità ridotta. È arrivato a livelli di benessere
diffuso ma la crescita si ridimensiona e questo porta con sé un ruolo pubblico nella
ridistribuzione del reddito che è fortemente incisivo ma anche fortemente costoso
 Indebitamento pubblico altissimo che nel 2010 si arriva a superare il 200% del pil. È
un debito in gran parte tenuto da soggetti risparmiatori interni al paese, legato agli alti
costi, al fatto di essere un paese storicamente sovrappopolato rispetto alle risorse.
Dinamiche particolare che non impedisono al Giappone di continuare, seppur in chiave di
maggior stabilità, il suo ruolo di potenza commerciale.
Se regge questa rappresentazione della globalizzazione come elemento di grande
cambiamento per i paesi che riescono a cogliere la dinamica del sistema e invece una
condizione di difficoltà per quelli che ne restano esclusi allora si deve pensare ai paesi in cui
l’esclusione comincia a diventare un problema
Un’area tipica è l’area mediorientale, contrassegnata dal dominio dell’islam, dove sono
veramente pochi i paesi che riescono a cogliere un vantaggio nell’inserirsi in questo
orizzonte. Le classi dirigenti locali erano spesso laiche, in qualche caso legate ai partiti del
nazionalismo panarabo.
I paesi esportatori di petrolio continuano ad avere risorse cospique da gestire in termini
finanziari, gli altri più deboli in questa direzione o deve c’è una popolazione maggiore che
richiede più risorse spesso fanno fatica a governare il tenore di vita delle loro popolazioni
 Questo comporta una diffusione del radicalismo islamico crescente, risposta al
fallimento di queste classi dirigenti. Aveva funzionati negli anni 80 come guerra al
nemico lontano (Invasione sovietica afghanistan, subalternità all’occidente dello Sha),
stava diventando una guerra anche al capitalismo occidentale ma era ancora di più una
guerra alle proprie elite interne ritenute incapaci di garantire un sano sviluppo per le
popolazioni locali. Molti gruppi radicali che si sperimentano nella guerra antisovietica
vengono finanziati dalle monarchie del golfo ma esse fanno di tutto per impedire la
crescita di questi gruppi all’interno dei loro paesi perché sanno che sono ostili allo
status quo.
È una radicalizzazione di gruppi che in qualche caso hanno radici nel paese (Fratelli
musulmani in Egitto) ma fino ai primi anni 2000 è un fenomeno che resta molto sottotraccia.
In afghanistan dopo il ritiro dei sovietici e una guerra civile, a metà degli anni 90 prende il
potere un regime islamista radicale (dei Taliban) ricalcato sul modello sciita iraniano un po’
ancora più radicale su modelli tribali tradizionali dell’afghanistan, ma negli anni 90 sembra
un episodio piuttosto locale e relativamente marginale. Di li a poco il tema esploderà molto
più pesantemente tanto che dopo gli anni della grande fiducia nella globalizzazione anche
come elemento di pacificazione globale, qualcuno comincerà a suggerire l’idea che
rimangono gruppi contrapposti nel mondo, delle civiltà come elemento politico-cultural-
religioso e che la globalizzazione non basta per evitare scontri di civiltà.

Anche nei paesi avanzati il sistema non è del tutto stabile, perché ci sono situazioni di
cambiamento. Cambiamento nei rapporti tra i diversi paesi: alcuni si sono inseriti in modo
più efficiente nella globalizzazione, non solo quelli che avevano le risorse per partecipare alla
finanziarizzazione del capitalismo (GB) ma anche paesi che conservano una proprio struttura
manifatturiera come la germania trasformata però in una struttura moderna capace di
sostituire le tecnologie e le produzioni di basso contenuto intellettuale e tecnologico con una
specializzazione sempre più marcata negli alti livelli di valore aggiunto nel sistema.
Quindi paesi che hanno mostrato questa capacità di adattamento hanno una resa migliore, ma
c’è anche un problema interno ai singoli paesi che non lascia stabile la situazione politica: gli
anni 90 vedono il fenomeno di una serie di governi di centro-sinistra, progressisti, negli anni
2000 ci sarà un ritorno indietro in diverse parti anche perché le nuove destre cominceranno ad
appoggiarsi sul fatto che una parte dei lavoratori che tendenzialmente erano affiliati ai partiti
di sinistra, si scoprono dimenticati dalla globalizzazione e quindi diventano degli interlocutori
potenziali anche di partiti che rilancino i temi dell’identità, del localismo, della resistenza
verso la globalizzazione.

Quanta parte del PIL negli USA va a costituire la quota che viene distribuita in compensi per
i lavori dipendenti: nel 1970 ai vertici dell’epoca fordista, questa parte era intorno al 50/52%,
da quel momento in poi c’è una progressiva discesa che conosce anche un momento di
ripresa nella seconda metà degli anni 90 ma poi ritorna a scendere e arriva a una quota del
42/43%.
 10 punti percentuali vuol dire che il lavoro viene penalizzato all’interno
dell’acquisizione dei vantaggi dall’uscita della crisi degli anni 70. Questi vantaggi si
indirizzano prevalentemente verso il capitale e non verso il lavoro.
Questo è il dato strutturale che non è molto diverso in altri paesi ricchi, che mostra che dopo
la fine dell’epoca fordista, la condizione del lavoro peggiora e questo porta una parte della
popolazione a disamorarsi nei confronti della globalizzazione e a scegliere strade di protesta
che in qualche caso sono verso la sinistra anti-global (marginale senza grandi effetti sul
sistema), queste incertezze vengono intercettate invece dalla destra che si ispirano a logiche
identitarie, di difesa nei condronti degli stranieri (crescita tema immigrazione) e critiche della
globalizzazione più su un fronte moderato/conservatore.
Questo negli anni 90 è ancora iniziale come discorso, esempio in Italia cresce la Lega Nord
che pone il tema della secessione della parte più ricca d’Italia.

Questo avrà un influsso sempre più forte con il passare degli anni e che dopo il 2000 danno
l’idea di un sistema tutt’altro che consolidato e stabile. Il motivo è perché per esempio la
reazione del mondo islamico, la creazione di questo radicalismo così diffuso e endemico che
si era rivolto verso il nemico lontano ma anche verso le classi dirigenti interne, torna ad avere
la capacità di influenzare anche a lungo raggio il sistema internazionale e il momento
simbolicamente decisivo è la vicenda dell’11 Settembre 2001 compiuti da questa scheggia
dell’estremismo islamico, chiamato Al Queida messa in piedi da un personaggio molto noto
all’intelligence americana, cioè Osama Bin Laden (aristocratico saudita) che negli anni 80 si
era dedicato alla Jihad, cioè alla guerra santa contro l’invasore sovietico in Afghanistan. In
quello si era già incontrato con la superpotenza americana, perché nell’epoca di Regan questi
gruppi jihadisti erano stati sussidiati, quindi era stato un alleato che però oggi si rivolta contro
il suo patrono internazionale e che vuole tentare di rilanciare questa guerra internazionale
contro il nemico capitalista/imperialista americano a cui si addebita la responsabilità per la
situazione di minorità delle masse islamiche.
Il radicalismo identifica il nemico perché gli USA sono alla guida di questo sistema della
globalizzazione che hanno sfavorito le masse islamiche in cui non hanno trovato il loro
benessere, cittadinanza ecc.
 La guerra terroristica è una delle modalità di guerra.
Osama bin laden e i suoi hanno rivendicato a distanza di tempo di essere responsabili di
questo attentato simbolicamente molto duro perché oltre ai morti, dal punto di vista della
potenza americana è la violazione del territorio nazionale per la prima volta da Pearl Harbour
(sebbene fosse un’isola nel pacifico e non era il centro pulsante del sistema globale
americano).
Il paese in quel momento è nelle mani di un’amministrazione che ha vinto di un soffio e in
modo controverso le elezioni del 2000 con Bush figlio, quindi un ritorno dei repubblicani
dopo gli 8 anni di Clinton democratico e una amministrazione che aveva già in mente di
rilanciare una sorta di New American Century e una assertività del ruolo della superpotenza a
livello globale.
La sfida del 2001 è significativa e comporta una nuova risposta della superpotenza che si
sente in grado di lanciare una duratura guerra al terrorismo a livello globale.
 Si coglie un po’ di eredità della retorica della guerra fredda. Dal punto di vista
americano la guerra fredda era stata quest’idea di una guerra di posizione di lungo
periodo contro un nemico ideologico, il comunismo, che bisognava contenere che però
era un nemico assoluto perché si contrapponeva al sogno americano. Si trovano gli
stessi stilemi retorici nella guerra al terrorismo proclamata da Bush. Non è questione di
combattere Al Queida, ma un nemico globale, una sorta di spettro globale che si
insinua in varie parti del mondo e che esprime questa contrapposizione globale al
modello americano e che va contenuto, combattuto con l’uso di tutti i mezzi, con il
compattamento della nazione dietro il suo lieder politico.
Ruolo guida degli USA molto più marcato che in qualche modo supera i limiti dei
primi anni 90, cioè quei limiti in cui l’amministrazione repubblicana di Bush padre
aveva cercato la legittimazione dell’ONU, la coalizione di forze e l’aiuto economico
dei propri partner per combattere la guerra del golfo. Qui l’idea è che gli USA devono
guidare di più in termini autonomi questa grande crociata, del resto anche Clinton un
po’ di unipolarismo l’aveva sviluppato (caso somalo, jugoslavo) e quindi c’è questa
sorta di rilancio. I consiglieri di Bush cercano di consigliargli di sostenere che non era
il caso di lanciare una crociata contro l’islam, qui il tema rimane il terrore, anche se
negli USA dopo l’11 settembre ci sono casi di “caccia alle streghe” e persecuzione di
cittadini islamici innocenti, ma si cerca di mantenere la barra sul tema che il nemico è
il terrorismo, quindi anche il radicalismo islamico ma non l’islam.

Questo significa che però bisogna dar vita ad una reazione militare evidente.
Per arrivare a una condizione di vittoria alla guerra al terrorismo, c’è bisogno di modificare
profondamente le strutture politiche dei paesi alleati da coinvolgere nella difesa del mondo
libero, perché non ci si può accontentare (come faceva il conservatorismo) dei regimi
moderati, vicini alla politica estera americana ma magari conservatori, autoritari, reazionari al
loro interno. Se si vuole veramente tenere il mondo libero per la democrazia bisogna
cambiare la struttura di questi paesi e favorire la nascita di meccanismi democratici.
 Cambiamento radicale. Se Bush padre si accontenta di ridimensionare Saddam, qui il
discorso diventa: non saremo veramente sicuri fin quando non ci sarà un mondo
omogeneo in cui si diffonderanno modelli di democrazia di tipo occidentale.
Questa sfida è cospiqua perché comincia ad applicarsi ad una situazione del medioriente
travagliata e complessa. La prima volontà di reazione all’11 settembre diventa punire chi
aveva sostenuto Al Queida: negli ultimi tempi Bin Laden si era rifugiato in Afghanistan, dove
c’era il regime dei taliban con impostazione islamista radicale. Quindi la logica della prima
reazione statunitense è combattere l’aFGHANISTAN che è un regime nemico che ha protetto
Al Quida.
 Viene compresa da molti interlocutori globali degli USA, non c’è una grande ostilità e
dopo pochi mesi c’è l’attacco militare ai Taliban compiuto secondo il dominio
tecnologico e dell’aria (distruggere basi militari velocemente) ma il punto è che
contrariamente al 91, dopo la sconfitta dell’esercito dei Taliban si passa a
un’occupazione militare permanente del territorio che deve permettere la nascita sul
terreno di un afghanistan diverso.
Da una parte bisogna limitare Al Qeuida (Bin Laden si rifugia in una zona difficile da
sorvegliare) e l’occupazione americana dell’Afghanistan comincia a dare l’idea di una
profonda riforma: si fanno cadere i Taliban, si convoca un’assemblea costituente secondo
modelli che cercano di rispettare la tradizione.
Naturalmente non sarà un successo, lo stato afghano democratico non si è affatto consolidato
e recentemente nel giro di poche ore è stato fatto cadere dai taliban

 Si cominciano a vedere rapidamente questi limiti


In un paese come l’Afghanistan instaurare un modello di stato occidentale non è semplice, in
alcune parti c’è una guerriglia, situazione difficile abbastanza presto.
Cosa complicata dal fatto che Bush decide di estendere la guerra al terrorismo in medioriente,
in un altro paese che deve essere “normalizzato” secondo la logica democratica, ossia l’Iraq
si Saddam. Qui con una giustificazione meno comprensibile perché un conto è voler
eliminare Al Quida un conto è dire che Saddam è un pericolo per l’intera regione.
 Accusa poco provata e diventa nel dibattito pubblico che saddam ha aiutato bin laden,
cosa non vera.
Il discorso è: Saddam è un dittatore inaccettabile ma anche debole (strascichi guerra 91)
quindi lo spazziamo via e avviamo la dmocratizzazione come altro passaggio di questa
normalizzazione di questo mondo mediorientale. C’è un tentativo anche in Libano.

La guerra in Iraq lanciata nel 2003 quando la situazione in Afghanistan è tutt’altro che
consolidata porta con se una spaccatura molto più forte del fronte filostatunitense. In europa
alcuni paesi rifiutano questa guerra (Germania, Francia, solo Italia e Gran Bretagna
appoggiano).

Saddam non aveva più risorse per combattere una guerra paritaria. La superpotenza
americana si impantana in questo tentativo di modificare strutturalmente il medioriente,
cresce il dissenso anche per il numero di morti

Questo discorso sul medioriente vede la guerra per la democrazia nella sua forma più
radicale, ma non è l’unico punto dove si tentano di realizzare questioni simili. Pensiamo
all’europa orientale: qui c’è una situazione di alcuni paesi ex sovietici avvicinati all’occidente
dove è tornata fuori una preoccupazione per l’ex potenza russa e molti di questi paesi hanno
chiesto e ottenuto di entrare nella NATO negli ultimi anni 90.
 Per altro si discute di tenerla in vita perché è un’istituzione della guerra fredda, ma la
logica americana è quella di salvarla per altre operazioni di cooperazione militare
com’era successo nella guerra jugoslava, ma soprattutto per stabilizzare politicamente
queste regioni dell’est che vedono la russia ancora come un potenziale pericolo.
Pericolo: la Russia dopo Jelzi si afferma un governo nazionalista nelle mani di Putin che
lancia un’idea nazionalista nuova e consolida un regime semi autoritario e però anche con
elememti di volontà di consolidamento nazionalista e di controllo della periferia del sistema
che si era distaccata con l’esplosione dell’unione sovietica nel 91.
Tra l’allargamento ad est della NATO e la ripresa di una volontà egemonica russa, si
manifesta scontro per esempio in Ucraina dove nel 2003 c’è una rivolta contro il regime
filorusso di Kiev, sostenuta indirettamente dagli USA. Qualcosa di simile anche in Georgia
dove viene sostituito il vecchio lieder filorusso con uno più filoccidentale e queste sono
manifestazioni di una pressione nei confronti della Russia che per qualche anno sembra
ridimensionare il potere di Putin, poi tornerà questo potere.
Qui si tratta di operazioni politiche, non militari, non c’è un intervento diretto e non ci sono
neanche i pericoli.

Questo discorso è legato alla necessità di considerare come la superpotenza sia ancora l’uncio
grande fattore militare con orizzonte globale ma anche una realtà con molte più limitate
capacità su altri fronti. In termini militari gli USA quasi il 50% totale della spesa totale del
mondo sia in mano agli USA, ma è una forza militare che funziona benissimo quando deve
occuparsi di spazzar via un esercito nemico, ma funziona meno bene quando si deve
controllare una situazione ostile su un territorio lontano.
L’altro punto importante sono le basi economiche, sempre più incerte perché il deficit
commerciale degli USA cresce continuamente nonostante le condizioni economiche negli
anni 90 non siano negative, ma c’è questo deficit ormai struttuale che va insieme a un
indebitamento del paese. Il sistema della globalizzazione fa si che a livello internazionale chi
compra questi titoli del debito per finanziare lo stato americano e il suo deficit costituito dalle
enormi spese militari siano molti paesi tra cui molti non necessariamente amici (una quota
cospiqua è nelle mani della Cina, interesse reciproco). Il debito è un vincolo come l’enorme
quantità di spesa necessaria per tenere in piedi il sistema. C’è un vincolo forse ancora più
significativo, che è quello che Nay chiama indebolimento del soft power americano
(espressione degli anni 80): significa la capacità egemonica, capacità di una guida esclusiva,
di coinvolgere gli alleati, potenzialmente gli avversari, costruire compromessi, diffondere la
propria cultura.
Questi elementi che hanno dato tantissimo al ruolo egemonico degli USA dopo il 45, secondo
Nay si stanno indebolendo alla fine del secolo perché il modello americano si presentava
come il modello indispensabile anche per gli altri popoli perché aveva insieme quella
promessa di benessere e libertà. Questa pero non si è rivelata efficace per tutti, quelli fuori
dalla globalizzazione e questo porta con se una fragilità maggiore. L’intervento in
Afghanistan e Iraq viene visto come una classica espressione di imperialismo, non come
guida di un processo di cambiamento che avrebbe dpvuto essere democratico condiviso
secondo le intenzioni.

CAPACITA MILITARI PARZIALI – BASI ECONOMICHE COMPROMESSE- SOFT


POWER IN RIDUZIONE = superpotenza con i suoi limiti, che non riesce più a tradurre
facilmente in pratica i propri disegni.

Questo discorso diventa ancora più complicato quando la solida trama che ormai la
globalizzazione ha costituito sembra improvvisamente esplodere perché scoppia una crisi
economica proprio al centro del sistema: non è che la globalizzazione non era stata anche
teatro di momenti critici (es 1996 crisi nell’area asiatica per classico problema di bolla
speculativa con sconvolgimento che tocca anche econonomie abbastanza solide come quella
di Taiwan ma poi viene superata).
La crisi scoppia al centro del sistema, ossia a Wall Street. Nel 200 aveva conosciuto un crollo
borsistico perché la stagione dell’entusiasmo per le imprese nate dalla rivoluzione
informatica degli anni 90 aveva portato a una bolla speculativa ma è un episodio circoscritto.
Quello del 2007 non è così, come nel discorso fatto per il 1929, la bolla speculativa di
accompagna a una condizione strutturale fragile che porta con se effetti maggiori. Nel 2007 il
problema è che scoppia una bolla speculativa legata ai costi delle case che erano continuati a
crescere in modo abnorme nel periodo precedente perché anche qui c'era una dimensione
finanziaria che si è rivelata poi disastrosa: molte istituzioni concedevano mutui e
guadagnavano sull'interesse dei mutui -> e quindi guadagnando così, hanno cominciato a
concederli anche a quelli non in grado di ripagarli (i cosiddetti mutui sub price). Questa era
una condizione fragile e tutti lo sapevano, ma cercavano di coprire la cosa con dei palliativi:
se una persona firma un mutuo e io non so se sarà in grado di restituire il debito, io questo
pezzo di carta che dice che lui ha un debito lo cartolarizzo, lo metto insieme ad
altri pezzi di carta simili, e lo rivendo senza che si sappia bene cosa ci sia sotto. Cioè si era
creata una finanza non difficile da definire tossica intorno a queste dinamiche pericolose e
quando per la prima volta l'indice dei prezzi delle case inizia a scendere perché si è visto che
è arrivato a livelli incredibili, si comincia a capire che sotto c'è questo sistema finanziario così
deregolato da essere diventato tossico.
 Quindi la crisi diventa rapidamente una crisi del sistema finanziario, e questo vuol dire
che il motore della globalizzazione si inceppa. La crisi del sistema finanziario degli
USA cioè del centro finanziario globale vuol dire essere arrivati al punto in cui
nessuno si fida più di nessuno, cioè una crisi di liquidità enorme perché mai io banca
che ho un improvviso bisogno di liquidità chiedo a un'altra banca se mi fa un prestito,
che mi dice che non me lo fa perché forse i miei bilanci sono taroccati da enormi dosi
di mutui sub prime.

Ed è proprio questo il clima del 2007/8 negli stati uniti. E questa diventa una recessione di
portata globale anche in termini di recessione nell'economia reale perché soprattutto i settori
più fragili che si stavano ristrutturando come il sistema automobilistico conoscono un
momento di grande fragilità.
La crisi quindi dilaga e presto diventa non solo degli USA ma anche di una parte della
finanza europea. In Europa in realtà il caso è un po' diverso perché ci sono paesi più legati al
centro finanziario globale e ci sono paesi relativamente meno legati e ci sono paesi in cui la
finanza era stata un po’ più controllata e altri in cui era stata molto deregolata e quindi aveva
comportato la diffusione di modalità disinvolte di gestione del credito. Quindi potremmo dire
che la crisi è più settoriale e meno generalizzata.

Negli USA vicini a un implosine del sistema. Quando fallisce la Lehman Brothers, una delle
banche di investimenti più storiche negli USA c'è l'impressione che da un momento all'altro il
crollo possa diventare globale. Quello che in realtà succede è che nel frattempo ci sono state
le nuove elezioni presidenziali a fine 2008 e, non a caso viene eletto un democratico e proprio
per la crisi un democratico sui generis: Barak Obama, senatore relativamente marginale e
afroamericano che ha fatto della propria nerezza un elemento identitario (anche se ha una
madre americana bianca e un padre kenyota africano, ma si identifica con l'identità black).
E appunto reagisce alla crisi con un’iniziativa che fa salvare il sistema: un grosso
investimento pubblico, molte banche vengono salvate attraverso un indebitamento pubblico
che schizza verso l’alto anche se molti dollari spesi rientrano perché non è un’acquisizione
definitiva di parti del settoee bancario ma un prestito per superare l’emergenza.
Sta di fatto che questo intervento salva il sistema aiutato poi dalla dinamica della Federal
Reserve che inietta liquidità al sistema in crisi di fiducia e quindi il centro del sistema globale
si salva ma in questa condizione in cui è necessario un intervento straordinario di questo tipo.

Europa:
la crisi diventa più grave nel 2011 quando succede una crescita di speculazioni finanziarie
contro il debito pubblico dei paesi più fragili dell’Europa: le banche salvate nel 2008
cominciano quest’operazione speculativa nei confronti dei titoli del debito pubblico dei paesi
più fragili perché la crisi aveva messo in luce queste diversità.
Quanto devono pagare i paesi europei per indebitarsi: all’inizio nel 95 le differenze di tasso di
interesse che dovevano pagare erano altissime, con la nascita dell’euro si sono ridotte fino a 0
perché l’euro diventava una specie di copertura (vantaggio dei paesi più fragili sotto l’euro,
margine maggiore per indebitarsi a costi bassi). Quando però scoppia la scrisi del 2007 le
linee iniziano a dividersi, quindi costi notevoli per stare nell’euro.
 C’è il rischio che l’euro stesso scoppi e che si dividano alcuni paesi virtuosi dai paesi
ritenuti dai mercati inernazionali più fragili
La cosa viene bloccata perché la Banca centrale europe interviene dicendo: metterò risorse
per salvare l’euro ma dietro questo salvataggio c’è l’idea che bisogna un po’ uscire da quella
linea dell’austerità che la Germania aveva imposto all’unione europea. Quindi si può uscire
se si allenta quella rigidità.

Alla fine con la crisi del 2007 torna in primo piano il ruolo degli stati, la necessità di stati
solidi che affrontino le perturbazioni della globalizzazione in chiave di capacità di governo.
Non è un caso che proprio in questa occasione si manifesti la diversità tra stati che questa
cosa la sanno fare (solidità) e casi di stati molto più fragili.
La necessità che l’UE si rafforzi nella dimensione non di uno stato, ma in una logica di
rafforzamento dei poteri tali da affrontare queste difficoltà.
 Stati efficaci, qualche volta la risposta alla crisi non è necessariamente di questi ma di
stati che rispolverano vecchie impostazioni nazionaliste (salviamoci chiudendo le
barriere, dogane, risposta sovranista nuovo neologismo espressione di un idea non del
tutto solida perché si diffonde anche in stati anche periferici, ma in termini di politica è
un elemento che conta molto) => il ritorno di dinamiche sovraniste in alcune parti del
mondo aiuta anche processi di relativo autoritarismo (Putin in Russia, erdogan in
turchia), dove la risposta alla crisi non è facile ma viene a consolidare un’ideologia di
tipo nazional-sovranista.)

In altre parti del mondo la risposta alla crisi appare aprire processi di segno democratico: nel
mondo arabo nel 2011 scoppiano le cosiddette Primavere Arabe che il mondo dice che quella
crisi del mondo islamico che si era tradotto nel favore al radicalismo in alcune frange che
criticavano le classi dirigenti interne adesso sembra la base di una rivoluzione di tipo
democratico. A distanza di 10 anni non si sono consolidate (segno di fragilità); anzi in paesi
come la Siria hanno dato vita a guerre civili durature con sconvolgimento tale da permettere
ancora inflitrazioni di estremismi islamici di vario tipo, in altri casi il tentativo democratico è
stato stroncato (Egitto, Marocco, Arabia Saudita).

CRISI DELLA GLOBALIZZAZIONE


Oggi qualcuno parla appunto di una crisi della globalizzazione. Non so se ci sia veramente
una crisi della globalizzazione e se questa ondata sovranista/nazionalista abbia veramente
portato con sé processi di ritorno indietro e di rinazionalizzazione delle economie. Non pare
in realtà perché anche quando per esempio la nuova amministrazione Trump degli USA ha
lanciato l’idea delle nuove barriere doganali contro la Cina è stata più propaganda che
sostanza. Le interdipendenze della globalizzazione non sono affattoparite anche se qualche
stato ha messo delle barriere in più, ma si tratta di interdipendenze talmente forti che ora è
difficile tornare indietro. Certo, l’impressione è che questa interdipendenze non sono più
legate a un epoca di ottimismo e di solida fiducia nel futuro com’era quella degli anni 90 e
primi anni 2000, ma più a una preoccupazione e anche alla rinascita di una serie di conflitti,
che ancora una volta sono spesso conflitti locali e legati a situazioni di stati falliti: di lunghe
guerre civili e incertezze sul futuro legate a questa situazione problematica della statualità -
> come i casi dell’India o della Siria, o quelli di Iraq e Afghanistan nel Medioriente, anche
dopo il ritiro americano in Afghanistan.
Tutto questo per dire che la stagione della globalizzazione è tutt’altro che chiusa, anche se la
crisi economica del 2007 e 2011 per alcuni è una crisi strutturale paragonabile a quella degli
anni 70, cioè dovrebbe portare a una correzione significativa dell’assetto della
globalizzazione. E questa correzione per ora è avvenuta in modo prudente; pensiamo per
esempio al fatto che Obama salvando il sistema negli stati uniti ha anche reintrodotto alcune
norme di limiti alla finanza, ma sono norme che i più giudicano molto militate e non
stabiliscono un ritorno indietro alla liberalizzazione degli anni 80. Pensiamo anche che la
stessa Europa ha corretto la sua linea di austerità: certo, ci è voluta la pandemia per
correggere questa linea e lanciare il progetto Next Generation Eu che vuol dire che la stessa
comunità europea si indebita sui mercati per finanziare la risposta alla pandemia, quindi per
aiutare tutti gli europei a rispondere alla crisi. E quindi è un approccio certamente diverso da
quello della prima stagione della globalizzazione, ma dire che è già il segno di un
cambiamento strutturale è difficile. Guardare il passato per trarre lezioni è normale, ma farlo
col futuro è difficile perché non abbiamo certezze.

Potrebbero piacerti anche