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Dobbiamo risalire ai tempi della latinizzazione della Spagna dovuta alla colonizzazione
romana della penisola iberica che inizia nel II sec a.C, più precisamente 218 a.C con sbarco
degli scipioni nelle Ampurie (Catalogna – motivi geografici), ad opera dei fratelli Pubio e
Gneo Scipione e danno inizio alla colonizzazione romana della penisola.
Non è stato un processo rapido, si è effettuata per tappe successive. Colonizzazione portata a
termine nel I sec a.C con la Pax Romana, stabilita da Augusto nel 25 a.C. con cui si
determina la fine della colonizzazione romana
Arco cronologico: 218 – 25 a.C
Si tratta di un processo graduale e non facile nonostante la superiorità bellica: i romani hanno
dovuto contrastare delle forti resistenze come, ad esempio, in Cantabria o anche dai
Numantini che opposero una resistenza eroica all’avanzata dei romani. L’assedio della
Numanzia venne effettuato da Scipione nel 133 a.C ma in quel caso i romani persero
tantissime risorse umane proprio per la resistenza dei numantini.
Cervantes molti secoli dopo dedica loro una sua opera teatrale, Numanzia.
I romani non erano l’unica popolazione presente in Italia e hanno dovuto conquistare anche
loro quindi, e i Sanniti (varie tribù abitavano questa zona, uniti nella lega sannita) opposero
quasi la stessa resistenza dei Numantini.
Tuttavia, una volta conquistato il territorio iberico (Spagna e Portogallo), danno a questa terra
il nome di Hispania.
Mentre i romani portano a termine la conquista, intanto l’Impero Romano si estende in altri
territori della Terra all’ora conosciuti. Quindi alcuni contingenti guerreggiavano nella
penisola iberica e altri negli altri territori da conquistare.
Durante il periodo della conquista della Spagna (II sec), l’Impero Romano inglobava
tutta l’Italia, Grecia, Macedonia e Nord Africa.
Nel I sec, finita la conquista dell’Hispania, avevano anche l’Asia Minore, Gallia,
Egitto, Sud del Danubio (Mittel Europa) e le Alpi.
Inizialmente, nella costituzione dell’Impero Romano, Roma godeva di una serie di privilegi
che non raggiungevano le province.
Ad esempio, la cittadinanza romana, che dava accesso a una serie di agevolazione, non si
dava agli abitanti delle province se non per qualche titolo onorifico per qualche impresa.
Tuttavia, Roma inizia a cedere le sue prerogative anche alle province e nel 212 a.c con
Caracalla, diventano cittadini romani i sudditi di tutte le province, le quali iniziarono a fornire
a Roma degli imperatori.
Es: due tra i più validi imperatori, che maggiore prosperità hanno dato all’impero,
provenivano proprio da Hispania, Adriano e Traiano.
Come conseguenza della conquista romana ci fu in Spagna una vera e propria acculturazione
che ha riguardato tutti i livelli della cultura: in termini antropologici, acculturazione vuol dire
il passaggio di elementi culturali da un gruppo a un altro e la direzione è dal gruppo
egemonico al gruppo subalterno.
L’acculturazione ha riguardato tutti i livelli di cultura (religiosa, materiale, tecniche agricole,
belliche, il diritto, letteratura) fino alla lingua, elemento culturale più importante insieme alla
religione, quello che maggiormente definisce l’identità culturale di un gruppo.
La scomparsa di queste tre lingue preromane è stato un processo lento che è passato
attraverso una fase di bilinguismo (lingua domestica, nella vita sociale si usa il latino) più o
meno intenso a seconda di fattori extra-linguistici:
- Livello di evoluzione culturale: nei luoghi con un livello di sviluppo culturale più
avanzato, l’assimilazione della lingua nuova fu più veloce. Es: Betica (Andalusia),
zona piuttosto evoluta all’epoca, e li l’acquisizione della lingua straniera è stata più
veloce
- Strato sociale: classi sociali con superiore livello di istruzione erano più esposti
all’acculturazione linguistica latina
- Contesto linguistico: nella conversazione familiare le lingue indigene hanno prevalso,
mentre nella vita pubblica si usava il latino.
Bisogna fare distinzione tra il latino colto (lingua letteraria scritta) e il latino volgare (lingua
dell’oralità, impiegata nella conversazione quotidiana). Quando una persona, anche con un
alto livello culturale, scriveva usava il registro del latino letterario, mentre quando parlava
usava il registro del latino quotidiano. Il livello è più accentuato rispetto a quello che
possiamo riscontrare oggi nelle nostre lingue.
Le differenze consistevano in:
- Nel latino letterario vigeva l’iperbaton: figura sintattica che consiste nell’alterare
l’ordine degli elementi all’interno della frase, per esempio mettendo il verbo alla fine.
Questa figura sintattica non si usa nel latino volgare
- Declinazione del sostantivo nel latino classico per indicare i diversi casi: i casi si
distinguevano attraverso la declinazione del nome, quando le desinenze erano uguali,
non potendo distinguerle con le preposizioni o con gli articoli, si utilizzavano gli
accenti quantitativi (lungo o breve) e differenziava la lunghezza dell’emissione della
voce. Nel latino volgare decade il sistema di declinazione del nome, che venne
riducendosi fino a decadere del tutto e rimasero solo due forme (una per il singolare e
una per il plurale) per tutti i casi.
Il latino volgare per differenziare i casi introduce gli articoli e le preposizioni, questa è la
grande differenza tra latino scritto e volgare
- Genere: il latino classico aveva anche il neutro, mentre nel volgare decade. I
sostantivi neutri diventano o maschili o femminili.
In Spagna rimane un retaggio di questi neutri, per esempio il sostantivo mare, la/el mar.
- Lessico: il latino volgare fece decadere molti termini del latino classico oppure li ha
fatti decadereper sostituirli con altri, oppure ha coniato neologismi oppure ha preso
dei termini del latino classico e li ha sottoposti a degli slittamenti semantici
(significato diverso, li risemantizza).
Esempi: nel latino classico si usavano due termini per identificare il termine grandezza:
grandis – dimensioni ; magnus – grandezza nel senso delle qualità morali.
Il latino volgare elimina magnus e conserva solo grandis per entrambi i significati, ha esteso
il termine grandis anche alla grandezza morale, ha operato una selezione.
Il latino classico usava la parola jocus per dire burla e ludus per dire gioco, nel latino volgare
il termine jocus rimpiazza ludus, così come il termine casa (in latino classico capanna)
rimpiazza domus (casa vera e propria), caballus-da carico/aequus-cavallo.
Le lingue neolatine venivano dal latino volgare: oggi utilizziamo il sistema degli articoli e
delle preposizioni senza declinazioni proprio come il latino volgare.
- Nello spagnolo esistono delle somiglianze con alcuni dialetti dell’Italia meridionale:
quest’influenza viene attribuita da alcuni linguisti proprio alla dominazione italica di
Hispania al tempo dei romani perché contingenti non erano soltanto romani, vi erano
anche popolazioni italiche, lasciando delle tracce dei loro dialetti. L’altra ipotesi è che
queste coincidenze siano attribuibili alla dominazione spagnola nell’Italia meridionale
(XVI – XVIII sec) dove domina nel regno di Sicilia, di Sardegna e di Napoli.
Le coincidenze sono innazitutto a livello fonetico: sia siciliano sia spagnolo conoscono il
raddoppiamento della “r” in posizione iniziale.
Dal punto di vista sintattico entrambe sono caratterizzate dall’uso della preposizione “a”
davanti al complemento oggetto, soprattutto se l’oggetto designa una persona; uso del verbo
“tenere” invece di “avere” per indicare possesso.
Lessico: livari = llevar // portare
Con il termine “romania” si designa quell’insieme di popoli dove si parla una lingua romanza
o neolatina.
Distinzione tra romania continua, romania perduta e romania nuova
- Romania continua: si indicano quelle aree che subirono la latinizzazione linguistica
all’epoca dei romani e dove tutt’oggi si parlano delle lingue romanze/neolatine.
Parliamo quindi di Italia, Francia (con francese parlato anche in Lussemburgo, Belgio,
Svizzera, Val D’Aosta), franco-provenzale, occitano, castillano, catalano, galiziano,
portoghese, ladino, romeno.
- Romania perduta: include quei territori dell’impero romano in cui il processo di
latinizzazione non fu tale da originare lingue romanze, o territori dove si svilupparono
lingue romanze ma in seguito furono soppiantate da altre lingue
Es: Germania, il processo di acculturazione linguistica non ha generato una lingua
neoromanza
Ex-jugoslavia: il dalmatico parlato in Croazia e Montenegro era una lingua neolatina ma sotto
la pressione delle lingue slave finì per estinguersi.
- Romania nuova: territori dove la romanizzazione non è mai avvenuta dove però si
parlano lingue neolatine importate successivamente grazie alle colonizzazioni
Es: sudamerica, francese in africa, canada
La popolazione barbarica che più ha pesato è stata quella dei Visigoti, che hanno lasciato una
maggiore impronta culturale seppur molto scarsa rispetto a quella dei romani, tra i gruppi
barbarici erano i più civilizzati.
Si stabilirono soprattutto nella Meseta Castillana (centro), in un primo momento cercarono di
evitare ogni tipo di incrocio culturale con gli spagnoli, che possiamo definire hispano-romani:
parlavano latino e vivevano secondo la cultura dell’Impero Romano appena infranto. I
visigoti vogliono mantenere ben differenziati i due gruppi, per esempio si proibivano i
matrimoni misti e poi si autoghettizarono sul piano urbano vivendo in quartieri separati
rispetto agli hispano romani.
Tuttavia con un re goto, questo atteggiamento inizia a cambiare perché si apre allo scambio
culturale con gli hispano romani portatori di una cultura molto più avanzata: unico caso di
una popolazione sottomessa che ha la forza di acculturare il popolo dominante
Acculturazione avvenuta in senso contrario perché pur essendo più forti i goti non
avevano una superiorità culturale. Così anche i goti si latinizzarono anche dal punto di
vista linguistico, abbandonando l’uso della propria lingua. Di conseguenza la presenza
di gotismi in spagnolo è limitatissima. (es ambito bellico wardia-guardia, o
onomastica tipo Fernando, Alvaro che deriverebbe da All + wass, persona molto
informata, Rodrigo da rot ric = guerriero famoso…)
Le influenze linguistiche dei goti in Spagna si limitano a pochi ambiti.
Prestito: adozione di una parola straniera, la quale può avvenire con o senza adattamento
fonetico. Ci sono lingue particolarmente etnocentriche che non amano i prestiti, e se li
accettano li sottopongono a adattamento fonetico (spagnolo), altre particolarmente esterofile
che li amano e non li sottopongono ad adattamenti fonetici (italiano). Lo spagnolo tende a
incorporare o coniare un equivalente.
Es: prestito con adattamento fonetico: computadora, ma lo spagnolo conia anche ordenador.
Altro esempio: mitin => meeting
Calco: procedimento di formazione delle parole che consiste nel coniare nuovi termini sulla
struttura di parole straniere.
Sky-scraper – rasca cielo; out-law – fuori legge, weekend – fine settimana
INVASIONE ARABA
In Spagna si parla una lingua neolatina che si sta appena formando, che potremmo definire
protoromanzo iberico: quindi lingua spagnola in uno stadio di formazione primitivo.
Con la dominazione gota e una lingua neolatina in prima formazione, a quel punto avviene
l’invasione araba
Riescono a conquistare tutta la Spagna in 7 anni e riescono a dominarla per quasi 8
secoli (711 d.C al 1492 quando l’ultima roccaforte del potere arabo in spagna,
Granada, viene riconquistata dai re cattolici segnando la fine della dominazione
musulmana
La reconquista avviene per tappe molto lentamente, quando la Spagna si è già riconquistata
tutto il territorio, rimane solo Granada, poi nel 11492 si decreta la fine
L’invasione araba occupa tutto il suolo peninsulare tranne qualche punto delle montagne del
nord (Galizia, Cantabria) e tutta la Spagna araba viene chiamata “Al Andalus”, non solo
l’Andalusia.
Conquista araba favorita dal primitivo livello di organizzazione sociale e culturale dei
visigoti.
Erano delle tribù poco strutturate.
La spagna cristiana e poi germanica ora si confronta con l’Islam.
Tuttavia, la dominazione araba dell’epoca non aveva nulla a che fare con l’islam
fondamentalista ed estremista come quella odierna. All’epoca, la cultura islamica era
espressione di grande civiltà, molto più avanzata di quella europea su tutti i livelli della
cultura (matematica, filosofia, astronomia). Rispettarono in Spagna anche la libertà di culto,
la conversione all’islam non fu obbligatoria, e fondarono anche delle grandi scuole. Il primo
conservatorio in Europa fu fondato dagli arabi a Cordoba, quindi furono grandissimi
civilizzatori.
Nella dominazione musulmana in Spagna, un contingente importante fu rappresentato dai
berberi, popolazioni nomadi con identità linguistica e culturale differente da quella degli
arabi in senso stretto.
Quindi secondo questa corrente i discendenti dei conquistatori arabi si sarebbero rapidamente
ispanizzati sia dal punto di vista biologico (figli di donne spagnole) e sia dal punto di vista
culturale (il primo imprinting culturale era quello trasmesso loro dalle madri spagnole, e solo
in un secondo momento venivano esposti ad una arabizzazione linguistica e islamizzazione
religiosa ma in modo tardivo e più superficiale).
- Amerigo Castro, la dilalia historica de Espana. Non ritiene che la Spagna sia rimasta
indenne dall’influenza araba ed insiste sul concetto di transculturazione.
In un contatto tra due culture, il passaggio di elementi culturali non sarà mai univoco,
ma ci sarà sempre una reciprocità di influenze anche se la direzione prevalente sarà
quella dal gruppo dominante a quello subalterno, ma anche il gruppo dominato a sua
volta lascerà delle influenze nel gruppo dominante perché il contatto genera sempre
una reciprocità, quello che cambia è la grandezza dello scambio.
Sottolinea che questo contatto non portò solo un’acculturazione, ma transculturazione,
entrambi si influenzano reciprocamente. Se gli arabi erano i dominatori a maggior ragione
dovettero influenzare i cristiani che a loro volta influenzarono gli arabi.
29.11.21
LETTERATURA
sorto in epoca medioevale, la jarcha : forma poetica frutto della transculturazione hispano-
araba.
Brevi poesie di carattere lirico (non narrativo), cioè l’effusione sentimentale del
soggetto poetico, che risalgono circa all’XI secolo, di tradizione orale, anonime per lo
più cantatesostanzialmente di tema amoroso
Siamo quindi nell’ambito della poesia popolare, non colto: il poeta colto tiene alla paternità
della sua opera, mentre in ambito popolare i poeti spontanee del popolo cantano le proprie
poesie che passano di bocca in bocca dove ognuno che se ne appropria e ne apporta dei
cambiamenti, un elemento creativo proprio, è quindi un cocreatore. È una creazione poetica
liquida.
Il macrotema era il tema dell’abbandono amoroso subito da una donna: il soggetto poetico era
quasi sempre femminile, mentre nella poesia colta il soggetto poetico è sempre maschile (es
Dante, Petrarca) sempre caratterizzata da un macrotema dell’amore
Dal punto di vista linguistico, si caratterizza per un protoromanzo iberico macchiata da
spruzzi linguistici arabi: prestiti lessicali e sintattici arabi.
Intorno all’anno 1000 le jarchas dimostrano la convivenza tollerante e fertile tra la
cultura araba e quella cristiana, proprio perché sono il frutto di questa
transculturazione hispano-musulmana possiamo dire a tutti gli effetti una forma
culturale mista
STRUTTURA POETICA:
la struttura strofica era costituita o da un distico (due versi che rimano tra loro) o da una
terzina (monorima, tre versi che rimano tra loro) o una quartina, dei quali rimavano solo i
versi pari
Forme arcaiche, come farè al posto di haré perché ancora è presente la “f” latina che
poi cadrà e si tramuterà in “h”.
Arabismi: habibi = amato.
La lingua araba andava trasmettendo al romance hispanico che cominciava a formarsi proprio
in quel periodo molte parole.
L’elemento arabo dopo il latino è il più importante nel vocabolario spagnolo.
Tutte le parole che iniziano in a- o al- hanno un’etimologia araba
Al è l’articolo in arabo. Lo spagnolo quando incorpora un prestito arabo, lo fa
aggiungendo l’articolo arabo e poi ci aggiunge anche l’articolo latino.
Es: alelí – al = incorporazione dell’articolo arabo a cui poi lo spagnolo aggiunge il suo
articolo (el alelí)
Invece gli stessi arabismi presenti nell’italiano non incorporano l’articolo arabo
Es: azucar – zucchero
CRONOLOGIA:
nel momento in cui gli arabi sono più forti in Spagna più forte è l’imprinting linguistico, più
la reconquista avanza, determinati arabismi (soprattutto quelli di prestigio) tendono a
decadere.
Dal 1300 al 1350, sono stati rintracciati 244 nuovi arabismi in vari settori della cultura, per
esempio baladí (= insignificante), azul, guay, jabalí, atun, limon, naranja, azucar, almohada,
zafiro, albornoz… sono rintracciati proprio in questo periodo
1350 – 1450: rintracciamo solo 400 nuove acquisizioni, quindi molto meno guardando l’arco
cronologico perchè nel frattempo, la reconquista andava avanzando quindi la componente
araba perdeva prestigio e dominio
1454 – 1514: calo significativo nella comparsa di nuovi arabismi, solo 300 alcuni dei quali
non si sedimentano nella lingua spagnola.
I fenomeni extralinguistici influiscono molto sulla lingua
Epoca dell’Umanesimo caratterizzata dallo studio dei classici, greci e latini assunti come alto
modello di cultura contro il buio della cultura medioevale: questo vuol dire che di fronte alla
nuova moda dei classici, si osserverà una nuova ondata di latinismi che andranno a
soppiantare gli arabismi.
Rilatinizzazione delle lingue romanze
Derivano dal latino in modo parallelo e autonomo permesse dal frazionamento politico della
Spagna, ma tra queste lingue per stabilire l’unità politica il castillano ha prevalso su tutte.
Il castillano prevale perché la Castilla ha costituito l’asse della Reconquista: quindi,
giunge a essere la lingua dominante nella vita istituzionale. Inoltre, il castillano è
diventato la lingua di un’espressione letteraria di enorme successo nel medioevo che
ha costituito un veicolo di affermazione del castillano: poesia epica, cantares de gesta.
Mentre nella poesia lirica medioevale prevalse il gallego-portugues.
POESIA EPICA
Poesia narrativa, poesie molto lunghe, anonime e di trasmissione orale, per lo più cantate o
recitate dai giullari nelle piazze. Poesia rivolta al popolo, non ai letterari, i giullari le
recitavano nelle piazze accompagnate per lo più da uno strumento a corda e cantavano la
storia delle grandi imprese della storia della Spagna, che in questo modo il popolo veniva
informato sulla storia spagnola (anche se a volte erano leggendarie).
Nel medioevo un poeta colto usava il latino, invece la poesia epica è la prima forma letteraria
che adotta la lingua castillana (può essere capita da tutti perché in quel periodo il castillano si
era affermata come lingua nazionale), diviene un grande veicolo di affermazione anche
linguistica del castillano.
Mester de jugaria: scuola letteraria dei giullari che raccontavano le avventure di eroi,
leggendari o eroi storici (per esempio eroi che avevano portato a temrine le imprese della
reconquista spagnola)
Cantar de Miosid: 1140, unico cantar dell’epoca che è giunto fino a noi quasi integro.
Canti orali, quindi facilmente estinguibili se nessuno lo cantava.
Riflette avvenimenti storici avvenuti sotto Alfonso VI quando la reconquista raggiunge livelli
importanti proprio grazie al Sid Campeador, a capo della riconquista di Valencia del 1094.
Si tratta di poesie tirate: poesia lunga di versi senza suddivisioni strofiche, di versi dalla lunga
misura metrica (16 sillabe), divisi in due emistichi (8+8) in genere c’era una cesura dopo
l’ottavo verso
La rima era assonante (=> consonante, l’identità di suono tra due versi a partire dall’ultima
sillaba accentuata è uguale) cioè l’identità di suono riguarda solo le vocali
- riduce “ie” latino quando si trova davanti alla “l”, a una semplice “i”
castiello => castillo ; siella => silla
- Kt e lt diventano ch
Lacte => leche ; multo => mucho
- Mb diventa m
Palumba => paloma ;
Mester de Clerecia
Altra forma di letteratura assolutamente elitaria, che anch’essa userà il castillano al posto del
latino. Fenomeno assolutamente nuovo.
La prima forma di letteratura colta che usa il castillano è proprio il Mester de Clerecia, la
scuola dei clerici che per la prima volta utilizza il castillano, cioè la lingua volgare per una
creazione letteraria scritta e dunque colta. È un po’ più tardivo rispetto al mester de juglaria,
perché risale al XIII secolo.
Gli autori del mester de clerecia sono i primi a elevare l castillano come lingua della scrittura
che fino a quel momento aveva impiegato solamente il latino, vuol dire quindi sottoporre il
volgare a una forte regolamentazione.
Si tratta di poemi narrativi, ma in parte differisce la tematica, è prevalentemente religiosa:
vita dei santi, miracoli della Vergine e di fatto uno dei testi più importanti è “milagros de
nuestra senora” scritto da Gonzalo de Berceo (si conoscono gli autori).
Ci sono anche testi di carattere storiografico, ma si predilige la storia classica, per esempio
vita di alessandro Magno – libro de Alexander sempre di Gonzalo de Berceo.
Anche la storia nazionale entra in queste opere, come la storia della reconquista, quindi in
questo caso la tematica coincide con i poemi epici quindi con il Mester de Juglaria. Es poema
di Fernan Gonzales – campagna militare contro gli arabi operata da Fernan Gonzalez
Non è solo la tematica che differisce, ma soprattutto lo stile. Autori colti con uno stile molto
più elitario, aulico e ciò che cambia oltre allo stile è anche la funzione letteraria che si
riconosce a queste opere.
Mentre il mester de juglaria voleva sostanzialmente intrattenere, divertire (anche informare in
parte), la funzione del mester di clerecia è prevalentemente moralizzante, cioè insegnare la
dottrina cristiana. La funzione didattica prevale su quella dell’intrattenimento.
Altro aspetto differente è la metrica, impiega la quaderna via
Strofe di quattro versi che presentano una rima consonante che cambia in ogni strofa.
Deriva dalla Francia. Queste strofe con rima consonante sono monorime, i quattro
versi rimano tutti tra di loro.
Riceve dalla Francia questa influenza perché in quel periodo i contatti tra i due paesi
avvenivano lungo il Camino de Santiago (città della Galizia la cui cattedrale è il più
importante santuario del medioevo) che parte dalla Francia attraversando tutto il nord della
Spagna. Qui avvenivano i traffici commerciali ma anche mode.
Questi contatti che si generano lungo il cammino spiegano le influenze francesi nella
letteratura ma anche nella lingua, è un periodo in cui penetrano molti gallicismi soprattutto
nel lessico, es ereje, preste, fraile, coraje, linaje, meson, jardin, viaje, doncel...
Nella fonetica si possono considerare dei francesismi delle parole apocopate, (caduta della
vocale atona finale) mar, pan, sal …
A volte quando la vocale di fine parola cade, la consonante si modifica (si può dire in
entrambi i modi val/valle, caso di palatalizzazione)
9.12
Le prime forme di uso letterario del castigliano, come abbiamo detto, fu la poesia narrativa,
quindi l’epica, che però era una tradizione letteraria orale, di carattere popolare. A tale
proposito abbiamo parlato del mester de juglaria. Ma il castigliano medievale era anche
impiegato a livello scritto, e quindi abbiamo anche parlato del mester de clerecia. Appunto le
prime forme di impiego del castigliano sono state nella poesia narrativa: orale e scritta,
mentre la lirica usava il gallego portuges.
LA PROSA MEDIEVALE
Anche qui, gradualmente si inizia a usare il castigliano in sostiuzione al latino. Ma questo
processo è più lento e come unici esemplari di prosa castillana medievale abbiamo alla fine
12 e inizio 13 secolo soltanto alcune cronache, quindi alcuni testi corrispondenti al
giornalismo attuale, e alcune traduzioni della Bibbia. Si tratta di opere senza una vera e
propria funzione letteraria ma con una funzione informativa, in caso delle cronache, e con
una funzione di evangelizzazione o di formazione religiosa nel caso della Bibbia.
Alfonso X, el sabio, si considera il vero creatore della prosa castigliana. Nasce nel 1221 e
muore nel 1284: ci troviamo in piena epoca medievale. E a questo re si deve un nuovo e
decisivo impulso alla scuola dei traduttori di Toledo, famosissima istituzione del medioevo
spagnolo. In realtà questa scuola era stata creata nel secolo precedente, sotto la dominazione
araba, e già nel secolo precedente la scuola di Toledo aveva costituito un asse importante
della cooperazione intellettuale tra arabi (mori), ebrei e cristiani. Questa scuola era stata il
veicolo di diffusione in Europa del pensiero greco e del pensiero filosofico musulmano, che
tuttavia nel secolo precedente quando la scuola venne fondata, traducevano queste opere
verso il latino e non verso il castigliano. Ma con Alfonso le opere del patrimonio culturale
arabo ed ebreo vengono tradotte in castigliano. Quindi questo patrimonio scientifico e
culturale arabo-ebraico acquisisce una disponibilità molto più vasta, perché diviene alla
portata di lettura non solo alla classe colta, ma anche al resto della popolazione con
un’alfabetizzazione tale da poter accedere alla lettura. Quindi con questo resi da un nuovo
vigore alla scuola di Toledo con la traduzione al castigliano di questo patrimonio.
Tra l’altro le traduzioni portano ad una maggiore coscienza linguistica e ad una maggiore
maturità del volgare.
perché la lingua castigliana nel tradurre opere del pensiero filosofico e scientifico, e
non solo la habla coloquial, deve necessariamente giungere a un livello di
maturazione superiore. Insomma, la lingua volgare non viene usata per parlare
comunemente, ma per tradurre opere di alta levatura intellettuale, quindi con un
registro ben diverso. Quindi le traduzioni facilitano una maggiore maturità del volgare
e una maggiore coscienza linguistica. Il castigliano viene quindi usato con piena
dignità come mezzo espressivo della cultura alta in sostituzione del latino e non
soltanto nella habla quotidiana
Quali sono le opere che in questo periodo vengono tradotte? Un patrimonio culturale
importante sia sul terreno della storia, della scienza, della filosofia e letteratura. Si pensi al
“saber de astronomia”: trattato scientifico importante all’epoca, oppure un corpus di leggi,
che erano le “7 partidas” (opera giuridica), oppure la “cronica general”, opera storica
monumentale che parte da Mosè fino ad arrivare alla Spagna preromana, romana, alle
invasioni germaniche, alla Spagna araba, fino alle prime tappe della riconquista a quel
periodo.
Naturalmente, è importante dire che l’intervento del re Alfonso X il saggio in queste opere
non era di diretta traduzione, non era lui che le traduceva, ma supervisionava e dirigeva
l’equipe di traduttori ed esperti, selezionando le opere da tradurre e supervisionando la loro
traduzione, era un ruolo direttivo più che operativo.
Nella sua fase primitiva e di nascita e primo sviluppo l’impiego del Castigliano avviene nella
lingua parlata e nella lingua scritta: anzitutto nella poesia narrativa (mester de juglaria,
clerecia), ma anche alla prosa.
Ma al dilà di queste note sull’impiego del volgare, dobbiamo anche interrogarci su che tipo di
lingua era. Abbiamo detto che era in fase di nascita e primo sviluppo, e c’è da dire che la
situazione è caotica: prima di giungere a una configurazione simile a quella che conosciamo
oggi, il castigliano dovrà aspettare fino al 1600. In tutta questa fase medioevale e poi
successivamente rinascimentale dove compiere una serie di scelte complesse e in questa fase
medievale predomina sicuramente il caos. Ora andremo proprio a vedere in cosa consiste
questa situazione caotica.
- Dal punto di vista della fonetica e dell’ortografia (suoni e maniera di rappresentare i
suoni) notiamo certe caratteristiche: quel suono che conosciamo e rappresentiamo
graficamente con “j”, per esempio nella parola “bajo” nel medioevo non si
pronunciava come lo pronunciamo oggi, ma “bascio” e quel suono velare fricativo
sordo attuale era rappresentato con una “x”. Successivamente questo suono si è fatto
fricativo fino a diventare quel suono /j/ rappresentato dalla “j”
- Anche una parola come “mujer” anch’essa caratterizzata dal suono velare fricativo
sordo, oggi rappresentato con “j” in epoca medioevale si pronunciava “mugier” quindi
con un fonema prepalatale sonoro rappresentato con la “g”. Successivamente questo
suono da prepalatale sonoro è diventato fricativo sordo, rappresentato con la j.
Anche sul piano ortografico degli stessi suoni, mantenuti come tali, sono stati rappresentati
graficamente in modo diverso.
- Il fonema dentale fricativo sordo, /z/ di forza e allo spagnolo brazo, veniva
rappresentato anziché con la z con una c con la dieresi sotto. Solo più tardi questo
suono dentale fricativo sordo viene rappresentato ortograficamente con la z e non più
con la c. Lo stesso accade per esempio nel verbo hacer, la cui forma medievale ancora
rappresentava la f latina, “fazer”, questa parola si pronunciava con z (fazer e non
hacer). E quindi la z rappresentava ortograficamente il fonema dentale fricativo
sonoro, mentre quello sordo si rappresentava con la c con la dieresi sotto. Abbiamo
detto fazer, quindi ancora con la presenza della f latina che solo successivamente
verrà sostituita da “h” aspirata e solo dopo da una “h” muta. Nell’epoca medievale si
alternavano le due forme: hijo (h sorda e aspirata) e fijo. Entrambe le forme: sia quella
che manteneva la f latina sia quella che la perde e la sostituisce con “h” si
alternavano.
Ecco perche si dice che si è in una fase di stato caotico, perché era ancora possibile optare tra
forme equivalenti e non si era ancora optata una scelta definitiva. Poi questi fenomeni sono
pian piano scomparsi perché la lingua castigliana ha operato delle scelte, mettendo ordine in
questo stato caotico.
- ancora si manteneva la e latina a fine parola, che in alcuni casi hanno perso, per
esempio dopo la “d”. si poteva dire ancora “Madride” in luogo dell’attuale Madrid. Si
manteneva la e latina di fine parola anche dopo la “r”, quindi segnore e non solo
segnor. Si manteneva anche dopo la “s”, quindi mese. Si manteneva anche dopo la
“l”, quindi sole, dopo la “n”, viene, e dopo la “z”,paze.
Viceversa, questa “e latina! finale in fine parola, che oggi nello spagnolo attuale si è
mantenuta, all’epoca poteva essere omessa e questo avviene dopo determinati gruppi
consonantici. Per esempio: all’epoca esto si diceva aquesto/aqueste e in questo caso
perdeva la “e” finale, riducendosi ad “aquest”, oppure “fuert”, “fizist”.
Quindi anche nella definizione dell’uso della e latina di fine parola c’era una situazione
fluttuante e diversa da quella attuale: in alcuni casi si manteneva (casi che oggi l’hanno
persa), mentre in altri veniva omessa (e oggi l’hanno recuperata). È un altro esempio di
questa enorme fluttuazione che, come tutte le lingue, la ha conosciuta anche il castigliano.
- Dopodiché abbiamo un altro fenomeno legato alla perdita della e latina finale che è il
rilassamento della sillaba che precedeva questa e latina finale. Rilassamento nel senso
che questa sillaba o consonante precedente la e latina finale si faceva sorda. Per
esempio: nueve, anziché diventare nuev diventava nuef, con un’alterazione anche
della consonante che precedeva la e latina una volta caduta.
- Anche la d finale di parola aquisiva un suono sibilante, che a volte si scriveva con la d
come nel caso di verdad, o a volte con la t o con il th, quindi verdad, verdat, verdath.
Quindi anche in questo caso la rappresentazione ortografica della parola conosceva tre
varianti che equivalevano a tre suoni diversi.
- Un altro fenomeno di caos riguardava la fluttuazione delle vocali atone, che non erano
sede di accento forte. Per esempio, nel caso di mejor: la e è atona e quindi poteva
essere fluttuante, poteva variare. Quindi anziché mejor, troviamo mijor. In Sebastian
la prima e è atona e anziché sebastiàn potevamo trovare Sabastian. Soltura (soltúra)
poteva diventare sultura, voluntad => veluntad, decir => dicir.
- Coniugazione dei verbi: ecco che arriviamo al caso estremo di otto forme possibili,
come nel caso del passato remoto del verbo hacer. All’epoca si diceva “fazer”, ecco
che l’attuale forma “hiciste” poteva essere detta e scritta in otto modi: feziste, fiziste,
fizieste, fezist, fizist, fiziest, fezieste, feziest
- Anche sul piano lessicale erano ammesse delle alternative, per cui potevo dire: conde,
ma anche comde, sendero, ma anche sembdero, verdad ma anche verdat, semana ma
anche setmana, juzgar ma anche judgar.
Sarà lo spagnolo del XIV secolo che incomincia a mettere un po’ di ordine, ma poi il passo
decisivo dal punto di vista di una regolamentazione dello spagnolo avverrà nel periodo
barocco (XVII secolo).
- anche l’uso dell’articolo era diverso da quello attuale. Era molto esteso e vi erano
molti casi in cui l’articolo poteva essere omesso. Per esempio, quando il sostantivo
era un sostantivo determinato da un complemento: per esempio, “i vassalli del mio
signore”, in questo caso il sostantivo signore è determinato da un complemento (dei
miei signori). In questo caso non si diceva “los vassallos de mi senor” ma
semplicemente “vasallos de mi senor”. Si poteva omettere anche quando il sostantivo
era a termine di proposizione: “muriò en el campo, en el castillo”, campo e castillo
sono termini di proposizione (NEL campo), anche in questo caso il sostantivo poteva
fare a meno dell’articolo. Poteva essere omesso anche quando il sostantivo aveva
funzione di soggetto generico: un re può farlo, non si diceva: un rey bien puede
hacerlo, ma “rey bien puede hacerlo”, il sostantivo re ha una funzione di soggetto
generico. Lo stesso quando un sostantivo era un nome di un gruppo: i mori lo fanno,
si dice “moros lo hacen”, perché moros è un nome di gruppo. La cosa vale anche per
un nome astratto: l’amor vero è una cosa nobile: amor verdadero es noble cosa.
- i verbi intransitivi si ausiliavano ancora col verbo essere anziché avere: son idos, son
entrados. Oggi si ausilia con l’avere e non l’essere e il participio passato non è
flessivo: ella ha ido, non es ida. Come verbo ausiliare il verbo essere ancora si usa in
paesi latinoamericani: è un arcaismo che almeno lo spagnolo di Spagna ha modificato.
È importante ricordare che il participio ancora concordava col complemento diretto:
la hemos vista al posto di la hemos visto.
- La preposizione “a” davanti all’oggetto diretto all’epoca era opzionale. Si poteva dire:
recibo a Leonor, oppure recibo Leonor.
Anche dal punto di vista del lessico, molti termini in uso nel medioevo in alternativa a dei
sinonimi sono del tutto decaduti in favore di una delle due opzioni.
Ex:
- cabeza conviveva con tiesta.
- Pierna conviveva con camba.
- Manana con matino.
- Tomar con prender.
- Salir con exir.
- Quedar con remanir.
Ecco che il risultato di tanta ammirazione si traduce nel tentativo di trapiantare gli usi latini al
volgare. Quindi si assiste a un processo di rilatinizzazione della lingua e all’affermazione di
un ideale stilistico cultista: la lingua romanza per essere ben considerata deve assomigliare il
più possibile al latino. La lingua romanza derivava dal latino, ma dopo un lungo periodo di
distacco e di evoluzione autonoma da quella fonte, sentiva il bisogno di riavvicinarsi a quella
fonte, per questo parliamo di rilatinizzazione. Questa imitazione del latino comportò
l’insediamento nel castigliano rinascimentale di una serie di usi che poi però sono stati
dismessi, che magari sono tipici tutt’oggi nell’italiano ma che nello spagnolo non lo sono più.
Ex:
- iperbaton, chn consiste nell’alterare l’ordine degli elementi dal punto di vista
sintattico nella frase, tipico dello stile latino: las potencias del alma tres (al posto di:
las tres potencias del alma).
- Si adottava il participio presente in luogo della proposizione relativa: o voi che
dubitate (proposizione relativa), si usa o voi dubitanti (latinismo)
- L’infinito retto da un altro verbo (l’italiano lo ammette tutt’oggi ma lo spangolo no):
no creo ir/honestidad no es duda ser virtud muy grande.
- Oppure anteporre l’aggettivo al sostantivo.
A proposito dell’uso dell’aggettivo in spagnolo dobbiamo fare un’osservazione: in spagnolo
l’aggettivo si può situare prima o dopo del sostantivo (hombre bueno/buen hombre).
Sebbene lo spagnolo ammetta l’uso dell’aggettivo prima del sostantivo, lo preferisce dopo.
Anche in questo caso, imitando il latino, i casi di aggettivi anteposti erano più frequenti
rispetto ad oggi dato che imitavano il latino.
Dal punto di vista sintattico sappiamo che il latino è famoso per l’uso ampio dell’ipotassi:
periodo lungo con molte proposizioni subordinate oppure simmetriche, contrapposizioni,
parallelismi, antitesi, enumerazioni, secondo l’architettura ciceroniana che si basa su una
complessa ipotassi. Anche in questo caso si imita lo stile ciceroniano non solo dal punto di
vista sintattico, ma anche lessicale. Vengono acquisiti nuovi latinismi molti dei quali che si
consolidano nella lingua spagnola, mentre altri decadono perché non vengono più mantenuti:
Fruir al posto di gozar, punir in luogo di castigar (primi usi decaduti).
A proposito di questo canone dell’amor cortese, che è un canone poetico (poesia lirica),
avevamo detto che la poesia lirica in Castiglia (colta che si avvale della scrittura) fino al
XIII/XIV secolo era composta nella lingua galiziana, mentre nella narrativa si era già imposto
il castillano.
Adesso, dal 1400 il castigliano si impone anche nella poesia lirica in sostizuione del gallego-
portuges. Il catigliano che viene adottato nella moda dell’amor cortese spagnolo imita i
modelli provenzale e italiano ed è per questo che acquisisce tanti prestiti da quelle lingue.
Esempi:
- si diceva donna al posto di mujer, che poi decade.
- Si diceva uxel, anziché ave a imitazione dell’italiano uccello.
E questi sono italianismi di uso passeggero, quindi passata quella moda sono decaduti. Altri
derivati da quella moda letteraria si sono poi consolidati, come il termine: escaramuza
(scaramuccia) e novelar.
Fino alla fine del 400 viene giustificata questa alluvione latinista da un lato e la moda
dell’italianismo che influisce non solo nelle mode letterarie ma anche nella lingua che veicola
quelle forme letterarie.
Ma arriviamo a fine 400, quando i re cattolici Isabella di Castiglia e Fernando di Aragona,
unificano il regno di Spagna e non solo: esportano lo spagnolo nelle colonie del nuovo
mondo che Colombo ha scoperto e iniziato a colonizzare grazie ai finanziamenti spagnoli,
quindi inizia la colonizzazione spagnola del nuovo mondo, ovvero l’ispanizzazione del nuovo
mondo. Il nuovo mondo era abitato da popolazioni cosiddette “precolombiane” che parlavano
le loro lingue, avevano le loro tradizioni e che vengono ispanizzati.
Ispanizzazione innanzitutto linguistica e religiosa: i due elementi della cultura che
maggiormente caratterizzano un’identità.
Per poter esportare e imporre lo spagnolo a popolazioni che avevano tutt’altra lingua di
tutt’altra radice, era necessario sottoporre la lingua spagnola a una riflessione teorica e a uno
studio linguistico: come poter insegnare la lingua? non esistevano grammatiche, dizionari, la
lingua si acquisiva in modo informale, mentre la lingua della cultura scritta era ancora il
latino, nelle mani di pochi dotti. Pian piano che lo spagnolo comincia a diventare la lingua
alta anche della letteratura e non solo della conversazione quotidiana e a maggio ragione
quando deve anche essere insegnata a popolazioni esotiche, assolutamente altre, c’è bisogno
di strumenti didattici, come le grammatiche (sottopongono la lingua a una riflessione teorica
e i dizionari.
Alla fine del 400 è il periodo in cui si pubblica la prima grammatica dello spagnolo:
Gramatica Castillana, 1492 da Antonio Nebrija, primo che fissa delle norme per
codificare la lingua
Arte de Trobar (arte di comporre), scritto da Enrique de Villena: trattato di fonetica e
ortografia castillana.
La regolamentazione grammaticale delle lingue era stata fino a quel momento riservata alle
lingue colte, ovvero il greco e il latino antico, che si dovevano apprendere con un tirocinio
informale. Mentre la lingua volgare che si apprendeva in casa, non si riteneva che si dovesse
affidare a una grammatica e nemmeno a un apprendimento attraverso i libri, perché si
apprendeva parlando.
L’ispanizzazione linguistica delle popolazioni precolombiane necessita di strumenti ed ecco
che la lingua per la prima volta diventa oggetto di una riflessione teorica e quindi di una
regolamentazione, di una messa a norma che sia valida per tutti. Quindi grazie a questo
fenomeno extralinguistico, cioè la colonizzazione di un nuovo mondo, che però
nell’ispanizzazione linguistica vede uno degli elementi più importanti (perché solo quando le
popolazioni conquistate iniziano a parlare la lingua si possono effettivamente controllare,
dominare). Grazie a questo fenomeno anzitutto di portata politica si inizia a riflettere e a
normativizzare la lingua spagnola.
JUAN DE VALDESA
Tra le voci più significative all’interno di questo dibattio, si annovera quella di Juan de
Valesa, il quale è autore di “El Dialogo De La Lengua, 1535”: la lingua letteraria deve essere
semplice, essenziale, concisa, esatta, caratterizzata da un minimo dispendio verbale. È quindi
contrario alla retorica altisonante e all’esibizione di linguaggio ricercato anche nel registro
scritto.
Difende il volgare rispetto al latino: la lingua naturale che ci viene trasmessa con il latte che
assumiamo dalle nostre mamme e non la lingua che apprendiamo attraverso i libri, cioè il
latino.
Ma qual è il suo stile reale di questo volgare? L’essenzialità. Bisogna evitare un dispendio
verbale ed espressivo inutile, in vista della concisione, dell’esattezza, della chiarezza,
evitando i giri di parole,in vista sostanzialmente della semplicità
Lui dice: scrivo come parlo, quindi una sorta di ideale oralista anche la lingua scritta,
la quale deve riflettere lo stile della lingua parlata, sempre in virtù di questo ideale
della naturalezza dice: el estilo que tengo me es natural y sin afectacion ninguna
escribo como hablo. Solamente tengo cuidado de usar vocablos que signifiquen bien
lo que quiero decir y digolo cuanto más saneamente es posible, porque a mi parecer,
en ninguna lengua està bien la afectacion
Afferma che in nessuna lingua (né latino, né castillano, né lingua scritta né parlata) risulta
bella l’affettazione, cioè la ricercatezza, l’artificiosità.
Quindi Juan de Valdes che dice “scrivo come parlo” e mi avvalgo dei proverbi, rappresenta
un gesto rivoluzionario, proprio perché equipara la lingua scritta a quella orale.
JUAN BOSCAN
Sulla scia di Juan de Valdes troviamo un altro autore della metà del 500 che è Juan Boscan, a
sua volta difensore della chiarezza e dell’immediatezza della lingua e questo suo ideale di
stile è particolarmente evidente oltreché nelle sue opere poetiche, anche in quelle traduttive.
Lui è anche traduttore e in particolare traduce il Cortigiano di Castiglione, capolavoro del
rinascimento italiano, attraverso cui castiglione si fa arbitre eleganziarum della cultura
rinascimentale italiana ed è un’opera della prima metà del 500 che lui traduce nel 1534.
Boscàn nel tradurre questo testo (di per sé portatore di uno stile elevato) fa un’operazione di
abbassamento del registro stilistico, di semplificazione, non solo di prossimizzazione alla
cultura e alla lingua spagnola (introduzione di frasi idiomatiche, di proverbi spagnoli, quindi
un avvicinamento del testo alla lingua e alla cultura spagnola), ma anche in qualche caso di
semplificazione: non si tratta di un abbassamento, perché non sfiora il volgarismo, ma
sicuramente è una semplificazione.
Attraverso quali strategie ottiene questa semplificazione?
- evita gli italianismi, quindi prestiti che potevano essere non del tutto chiari a un
pubblico più ampio
- evita latinismi presenti nel testo italiano (quei latinismi lessicali e sintattici assimilati
dall’italiano), cioè quei latinismi assimilati dall’italiano
- vita anche ogni cultismo, arcaismo e tecnicismo a beneficio di una terminologia più
familiare, che non è volgare.
- Evita parafrasi, circonlocuzioni, anche quella costruzione ipotattica di tipo
ciceroniano troppo complessa.
Evita queste cose attraverso delle sostituzioni, dei sinonimi, delle parafrasi…
In sostanza un vero e proprio processo di non solo castillanizzazione del testo, ma anche di
famigliarizzazione che acquisice una veste più semplice, più domestica. Questo, sempre in
omaggio a un ideale di stile semplice primo di affettazione, ma anche grazie a un concetto
libero di traduzione che privilegia non tanto “el rigor de la letra”, ma “la verdad de la
sentencia”, ossia la sostanza della comunicazione, più che la forma.
Questo concetto libero di traduzione permette di operare questo slittamento verso una
semplificazione del testo originario. Non ho una concezione così stretta della
traduzione che mi costringa a tradurre parola per parola, se c’è qualcosa che non si
rende bene nella nostra lingua, non ho nessun problema o di cambiarla o addirittura di
silenziarla.
Naturalmente questo concetto di prossimizzazione, famgliarizzazione non è una difesa di uno
stile addirittura basso: sempre uno stile sorvegliato ma lungi da una concezione troppo
artificiosa della lingua
FERNANDO DE HERRERA
Nell’altra corrente cultista si colloca un altro esponente della cultura rinascimentale spagnola:
Fernando de Herrera. È uno dei poeti e teorici più importanti della letteratura, della lingua e
della poesia.
La sua poesia si caratterizza per l’intenzione di creare un linguaggio poetico molto dotto,
erudito attraverso l’affluenza in esso di cultismi: feruleo, horrisono, flamigero, poi decaduti
dalla lingua spagnola. Ottiene questo stile elevato anche attraverso una complessità sintattica:
iperbaton, ipotassi, polisindeto e poi all’intensificazione di una serie di risorse retoriche come
antitesi, metafore, anafore, pleonasmi, amplificazioni sinonimiche.
Herrera esprime questo suo ideale di stile erudito non solo direttamente tramite il suo
linguaggio poetico, ma anche con un trattato sulla poesia, “Obras de Garcilasos de la Vega
con anotaciones de Fernando de Herrera”, 1580, in cui prende la poesia di Garcilaso de la
Vega e le analizza, trattato di critica letteraria.
Nell’analizzare le poesie, elabora una sua teoria estetica che possiamo definire una poetica
del cultismo, dove valorizza positivamente, al contrario di Valdes, (che aveva valutato
negativamente l’uso di artifici per difendere l’impeto naturale della lingua, la naturalità della
lingua), l’artificio e l’elaborazione dell’espressione, lo studio erudito, in contrapposizione alla
spontaneità espressiva. Dice che la vera lingua poetica è frutto di studio, riflessione, artificio
e non di un impeto naturale, improvvisazione e spontaneismo a cui è assolutamente contrario
perché dice che la lingua scritta deve differenziarsi da quella orale, perché la poesia consiste
nel rendere nuovo ciò che non è. Ciò che non è nuovo è il linguaggio, perché è usato da
ognuno di noi (mentre ad esempio il linguaggio pittorico è proprio della pittura, non è
condiviso). dice che il poeta è colui che rende nuovo ciò che non è, cioè la parola: fa di una
cosa di uso comune una cosa speciale attraverso la ricerca di una forma ideale
Se noi gente comune usiamo lo stesso linguaggio, non lo sappiamo fare come lo fa il
poeta perché lui sa dire le cose in maniera diversa
L’ornamentazione che consiste nella varietà terminologica, nella grandezza dei vocaboli
scelti in maniera tale che le cose comuni di fanno nuove e le umili di elevano. Quindi far
poesia non è parlare di concetti difficili, è di parlare anche delle cose più banali ma in modo
nuovo in modo tale da elevare la cosa quotidiana, quindi bisogna puntare a uno stile elevato
attraverso proprio l’artificio. Quindi arcaismi, neologismi, forestierismi, in contrapposizione
al linguaggio di uso comune ordinario (vocaboli umili).
Questo suo concetto alto di stile è stato chiamato IDOLATRA DE LA FORMA: specie di
idolatria della ricercatezza formale del linguaggio. L’espressione deve essere frutto di studio
e non di spontaneismo, dicendo in modo non comune le cose comuni.
Fa appello a tre livelli dell’espressione per poter parlar bene
1. Inventio: cercare un tema adeguato, anche se qualsiasi tema potrebbe essere adeguato
all’espressione poetica
2. Dispositio: il modo di organizzare il discorso
3. Eloquitio: ornamentazione dell’espressione, importanza della musicalità del
linguaggio poetico, il ritmo attraverso la metrica e anche attraverso i giochi eufonici
(assonanze, allitterazioni)
Dice che la missione del poeta è che parli un'altra lingua rispetto a quella comune, ordinaria e
dell’oralità e della comunicazione colloquiale e quindi complessità ed erudizione del
linguaggio poetico.
LUIS DE LEON
L’altro autore che si colloca sulla linea di Herrera è Luis de Leon. Appartiene a questa
costellazione di segno cultista ed esclusivista del linguaggio poetico che mira
all’innalzamento del registro stilistico poetico, che mira a quello che definisce un bien hablar.
Questo bien hablar esige:
1. CULTIVO: linguaggio che deve essere frutto di studio e non deve essere frutto di un
gesto spontaneo, di un’improvvisazione, letteralmente di coltivazione
2. CONCIERTO: lo associamo alla musica, quando più strumenti suonano in modo
armonico, coordinato, connesso. Quindi parliamo di ordine e regolazione
3. ESCOGIMIENTO: letteralmente è scelta, ma in questo caso potremmo ben parlare di
una selezione. Il linguaggio poetico è frutto di una attenta selezione.
Ideale stilistico che si riflette molto nella sua poesia, caratterizzata dalla cura dell’espressione
e ricerca della forma perfetta dove importanti sono le risorse foniche, per creare questo
concierto, armonia anche dal punto di vista musicale del linguaggio poetico (rime, rime
interne, omofonie, allitterazioni). E la cura degli aspetti formali non fa altro che esaltare il
contenuto del testo.
Pensiamo che nella sua poesia esistono dei latinismi, ma anche parole che restituiscono il
significato etimologico latino: in luogo di dìa, dice luz, in luogo di ahorrar dice perdonar,
quindi usa le parole spagnole con il significato etimologico latino e questo rende la lettura
della sua poesia molto difficile e questo atteggiamento iper-cultista alza tantissimo lo stile.
Il dibattito tra queste due correnti su quale registro di lingua castillana è bilanciato, se non
che nel periodo successivo (barocco) viene qualcosa che da ragione alla corrente cultista: a
livello storico nel periodo successivo prevarrà la corrente cultista. Il barocco è
un’enfatizzazione del concerto di artificio sostenuto già dalla corrente cultista all’interno del
rinascimento
Il 600, nonostante veda innescarsi questa crisi economica, dal punto di vista letterario e
culturale è un periodo di grandissima fioritura.
ESTETICA DEL BAROCCO: rottura dell’equilibrio rinascimentale, del senso dell’armonia,
della naturalizza (le cose devono sembrare naturali e non frutto di studio), la chiarezza. Nel
rinascimento prevale questo senso di chiarezza, questi principi estetici vengono accantonati
dal barocco in favore del principio dell’artificio, della ricercatezza, complicazione, enfasi,
smisurato e anche dell’oscurità: gli autori non hanno l’esigenza di essere capiti da tutti, si
rivolgono a una elite di lettori che siano in grado di capire tanto artificio.
Quindi in qualche modo Herrera e Leon sono un ponte verso la sensibilità barocca o degli
antecedenti. Quell’idea di equilibrio naturale, soccombe di fronte al prevalere dell’idea
dell’artificio.
In Spagna il barocco letterario si identifica sostanzialmente in due correnti, che tra loro erano
fortemente contrapposte ma che in realtà sono le due facce della tessa medaglia dell’idea di
artificio: concettismo e culteranesimo. Applicano l’idea dell’artificio a due diverse realtà o
elementi dell’espressione letteraria.
- Il concettismo, come dice il suo stesso termine, applica il senso dell’artificio sul piano
del concetto, del pensiero, del contenuto dell’espressione letteraria, del significato, e
quindi si avvale delle figure retoriche del pensiero: giochi di parole, doppi sensi,
antitesi, paradossi. Quindi l’artificio si applica al contenuto dell’espressione letteraria.
Il massimo rappresentante è Quevedo, mentre il massimo teorico è Graciàn che
scrive: agudeza y arte del ingenio, opera del 1648.
- Il culteranesimo applica l’artificio non al significato dell’espressione poetica, ma al
significante, non al contenuto ma alla forma. Quindi si caratterizza per un lusso
formale, per la volontà di innalzare il linguaggio attraverso per esempio citazioni
mitologiche, latinismi, neologismi, metafore audaci, perifrasi eufemistiche (figure
retoriche dell’espressione, non del pensiero). Il risultato è un estremo decorativismo
della forma linguistica, un linguaggio aristocratico che giunge ad essere fortemente
ermetico, oscuro, perché non ha intenzione di essere capito, capisca chi è in grado di
farlo. La figura di maggior spicco di questa corrente è Gongora (=> generazione del
27 riconosce in lui un maestro anche per la questione della metafora visionaria
(metafore audaci): accosta elementi eterogenei, ma il poeta scorge una connessione tra
elementi tanto distanti)
Quindi la guerra che si scatena tra concettisti e culteranisti è in realtà falsa: entrambe le
correnti comunque inneggiano all’artificio anche se una la applica alla forma del contenuto e
l’altra alla forma dell’espressione.
Le opere di Gongora che maggiormente danno mostra di questa concezione estetica sono “Le
soledades”. È l’opera maestra di Gongora, il quale ha dettato legge, divenne una moda
poetica nel barocco assoluta. Addirittura vi erano schiere di imitatori del linguaggio
gongorino che naturalmente non aveva la stessa forza del suo inventore.
C’è da dire che se da un lato Gongora detta legge d’altro canto fu anche un notevole bersaglio
polemico da parte dei suoi avversari. Per esempio: lo stesso Quevedo fece delle satire
assolute nei suoi confronti: nei vari trattatelli lo prende proprio in giro, fino a che Gongora
non viene sottoposto a una vero e propria damnatio memoriae nel secolo successivo quando
invece torna un ideale classicista di stile poetico e quindi Gongora verrà criticato per essere
oscuro, ultraartificiale, incomprensibili.
Al di là di queste teorie estetiche bisogna comunque vedere l’evoluzione concreta della
lingua spagnola nel barocco. Abbiamo detto che se nel XVI secolo si è ricominciato a mettere
a norma la lingua per estrarla da quello stato caotico che era stato il medioevo, nel 600 si
arriva a una regolamentazione della lingua tale che si può dire che la lingua del 600 è più
vicina a quella odierna.
Vocalismo: abbiamo detto che vi erano oscillazioni vocaliche per quanto riguarda le vocali
atone. A questo punto si fa una scelta definitiva per una delle due forme: non più cobrir ma
cubrir, non roido ma ruido ecc. Cioè si riducono le oscillazioni di timbro delle vocali atone
che prima consentivano addirittura due forme.
Consonantismo:
- cade definitivamente la f latina sostituita dalla h, e cade anche l’aspirazione di quella
h, pronunciata come muta. L’aspirazione si è mantenuta come segno di volgarismo in
alcune parlate regionali.
- Poi si è giunti alla semplificazione di determinati gruppi consonantici: non più
cobdiciar ma codiciar, non cobdo ma codo, non dubda ma duda. Il gruppo latino kt
evolve fino a diventare ch, quindi nokte diventa noche. Il suono gn diventa la n con
tilde: pregnare diventa prenar. E il suono pt diventa ie: septem diventa siete. Quindi
questa riforma dei gruppi consonantici è a favore di una semplificazione.
- Tuttavia, in altri casi abbiamo delle complicazioni: si afferma la pronuncia bilabiale
indistinta tra b (b larga) e v (ve corta): gli stessi spagnoli quando scrivono si possono
confondere tra b e v perché si pronunciano allo stesso modo.
- Per questioni eufoniche, l’articolo femminile “la” sostituisce “el” nel caso delle parole
che cominciano con “a”, soprattutto accentuata: el agua, el aguila. Per quanto sia
eufonicamente utile, può generare confusioni.
- Per la formazione del condizionale, si ristabilisce la forma integra dell’infinito:
deberìa dalla forma integra dell’infinito deber, anziché la forma contratta medievale
debrìa. Al contrario, nel futuro si afferma la forma contratta valdrà in luogo di valerà.
Non è che una scelta sia meglio di un’altra, l’importante è stabilire la forma.
- Abbiamo anche forme di crasi: vuestra merced diventa vuestrarsed, vusted, usted.
Spariscono il nos e il vos in alternativa a nosotros e vosotros: la forma contratta
sparisce perché potevano generare degli equivoci dal punto di vista dell’uso del
nominativo oppure del pronome. Ma poi vedremo che l’uso del voseo come forma
nominale permane nello spagnolo d’Argentina.
- Per la formazione del superlativo si afferma il suffisso in -isimo mentre fino a quel
momento il superlativo aveva prediletto la forma con muy: muy dificil al posto di
dificilismo, e questo è un latinismo e anche un italianismo. Si definisce l’ambito d’uso
dei verbi haber e tener: haber funzione ausiliare e tener esprime possesso. Anche ser
ed estar definiscono il loro uso.
- Si estende l’uso della preposizione “a” davanti all’accusativo di persona.
Quindi si mette ordine a questi punti confusi nel tardo medioevo, ma ancora si ammette il
pronome davanti all’infinito, all’imperativo e al gerundio, mentre l’uso attuale postpone il
pronome. Per svegliarci: ora para despertarnos, si poteva dire para nos despertar, si poteva
dire no te prometiendo, no tienes que me cansar.
13.12
Epoca barocca: la lingua spagnola ha conosciuto un forte lavoro di selezione,
normativizzazione della lingua e quindi una fissazione di alcune regole che hanno messo fine
a quello stato caotico osservato nel medioevo e in parte anche nell’epoca rinascimentale
600: modernizzazione della lingua che è quella che grosso modo si parla tutt’oggi, ma
le scelte forti sono state prese in questo secolo
Volgarismi sintattici:
- INVERSIONE DI CERTE FORME NOMINALI: no se me occurre > no me se
occurre.
- DEQUEISMO: mettere la preposizione “de” laddove il verbo non lo esige, dile que
me traiga > dile de que me traiga
- USO DELL’ARTICOLO DAVANTI AL POSSESSIVO: mis padres > los mis
padres
RAGIONE STORICA
Ci occupiamo di questa variante perché fu la variante che si impose nella colonizzazione
delle Americhe, il primo imprinting linguistico avvenuto tra 500/600 è stato proprio
l’andaluso. Il Nuovo Mondo è stato linguisticamente andalusizzato, questo si spiega con il
peso quantitativo degli andalusi nel saldo migratorio nel primo periodo della colonizzazione,
cioè i primi colonizzatori erano prevalentemente originari delle città andaluse. Nel primo
periodo della colonizzazione (prima metà del 500), l’andalusia contribui con l’80%
dell’emigrazione e di questi, il 60% di colonizzatori era costituito da sivigliani. Negli anni
successivi, già intorno alla metà del 500, si cominciarono ad aggiungere anche colonizzatori
di altra provenienza, ma ormai quell’imprinting era stato dato.
Quindi i due fattori importanti sono:
- Preponderanza numerica
- Priorità temporale
Imprinting decisivo nella costruzione linguistica delle colonie.
Questo protagonismo andaluso nella costruzione culturale del nuovo mondo si osserva
anzitutto nella lingua, per esempio troviamo il seseo diffuso in tutto il latinoamerica, oltre che
nell’architettura hispano-araba (quella delle città andaluse, case patio dipinte a calce) e anche
nel tipo di religiosità popolare molto enfatica, il culto mariano.
Altri andalusismi linguistici che troviamo nel Nuovo Mondo sono ad esempio l’uso di
ustedes al posto di vosotros, implicando anche un cambio nella forma verbale (la terza al
posto della seconda). Oppure lo yeismo, aspirazione della s implosiva, confusione tra l e r,
caduta della “d” intervocalica (non molto ma ad esempio a Cuba si, che è un andaluso molto
marcato).
Perché in particolare a Cuba gli andalusismi si sono sedimentizzati e addirittura sono stati
enfatizzati? Stretti contatti del Caribe con l’Andalusia, i primi territori che incontrano le navi
partendo da Siviglia sono proprio questi, gli interlocutori più diretti delle rotte navali
dell’Andalusia erano proprio le zone del Caribe
La storia dello spagnolo americano ha poi altri due fattori importantissimi che generano poi le
differenze interne:
- SOSTRATO LINGUISTICO PRE-COLOMBIANO: nei diversi territori prima che
arrivasse colombo vivevano queste popolazioni precolombiane, i tre gruppi etnici più
famosi erano inca, maya e aztechi ma ce n’erano tantissime altre. Queste lingue di
sostrato naturalmente contano molto nella configurazione dello spagnolo sovrapposto
a queste lingue. In alcuni casi sono sparite del tutto, in altri sono tutt’oggi vive e
hanno riconosciuto lo statuto di lingua ufficialie generando un bilinguismo.
- FENOMENI EVOLUTIVI AUTONOMI:
Cuba era abitata dalla popolazione dei tainos, che tuttavia a causa dei virus importati dagli
europei, furono dimezzati e in trent’anni scomparvero dalla terra. Tuttavia, delle parole del
tainos hanno fatto in tempo a entrare e sedimentarsi nello spagnolo.
Es: patata, casique (capotribu), canibal (riti di cannibalismo), canoa, amaca, huracan, iguana,
mais, tabaco, papaya
Poi dal nawatl, la lingua degli aztechi hanno preso termini come: chocolate, tomate, chicle,
coyote, aguacate,
Dal quetchua, lingua degli indigeni dei peru: condor, pampa, puma, alpáca.
Oltre al lessico, l’influenza indigena è possibile che si sia verificata sulla fonetica, in
particolare sull’intonazione. Nello spagnolo d’america si osserva una ricchezza di
melodia/toni, e questa diversa intonazione potrebbe essere dovuta all’influenza di sostrato
della lingua precolombiana.
Meno influente fu l’apporto delle lingue africane, anche se il loro peso sociale era nulla
quindi non avevano la forza sociale di influenzare, ma comunque ha lasciato qualcosa. In
piccola parte l’ha fatto sulla lingua ma in grande parte sulla cultura musicale e coreutica
dell’america latina. Sul piano linguistico troviamo banana, samba, mambo, -co, -mbo.
Influenza anche sul piano dei sincretismi religiosi, religioni africane che si nascondevano
sotto un apparente cattolicesimo, ha dato luogo a forme miste di sincretismo come per
esempio la santeria afrocubana.
Già nel 700 la Spagna non è un impero coloniale forte e le guerre di indipendenza
cominciano nell’800
700 spagnolo: secolo caratterizzato dalla corrente filosofico-culturale dell’illuminismo
(ilustración) che si sviluppa nel periodo tra la Rivoluzione inglese (1688) fino alla
Rivoluzione francese (1789).
Estetica di questo periodo: si caratterizza per il culto della ragione e dell’esperienza, non
esistono fonti di conoscenza indipendenti dall’esperienza. Conosco solo ciò che si possa
sottoporre a prova sperimentale.
È chiaro che la realtà viene ridotta a pura immanenza, si esclude tutto ciò che è
sovrannaturale perché questo non è esperibile. La stessa idea di Dio si affida alla fede
(credere senza vedere). Si determina quindi uno spostamento di interessi dal sovrannaturale al
naturale e dalla trascendenza all’immanenza.
Da grande impulso alla scienza e si afferma un processo di laicizzazione della cultura.
Il valore autonomo dell’opera d’arte, della scienza e della politica che non hanno una
relazione con il trascendente, con la religione, mentre nel medioevo ogni forma di attività
umana non poteva essere considerata al di fuori della sua relazione con il trascendente.
Due spagne:
- Spagna progressista e cosmopolita degli illuministi: auspicano un’apertura della
Spagna all’Europa affinchè intraprenda un percorso di svecchiamento e l’apertura
europea si volge in particolare verso la cultura francese, che nel ‘700 la fa da padrone
in Europa.
L’illuminismo nasce in inghilterra con l’empirismo di Lock ma ha avuto uno sviluppo più
ampio in Francia.
Questi intellettuali spagnoli progressisti che si volgono verso l’Europa e in particolare
alla Francia, superlativizzano l’importanza della traduzione, che permette il mutuo
commercio delle idee. Se non ho accesso alla produzione di un grande filosofo a
causa della barriera linguistica, è come un interruttore spento. La traduzione ha
l’importanza culturale di creare un mutuo scambio delle idee
- Spagna tradizionalista e nazionalista: rifiuta la tendenza extranjerista degli illuministi
e questi tradizionalisti o negano il ritardo culturale della Spagna del ‘700 e si volgono
solo verso l’elogio della Spagna passata (Carlo V), oppure se riconoscono questo
attardamento, cercano le soluzioni non osservando i modelli culturali più avanzati, ma
nella storia del passato spagnolo (passato glorioso). Atteggiamento introverso di
carattere nazionalista e di carattere tradizionalista.
Il dibattito tra questi due riguarda anche il problema della lingua, diviso tra:
- Puristi: rifiutano ogni prestito linguistico straniero
- Innovatori: aperti soprattutto ai gallicismos. Tra essi vi è un frate, Benito Geronimo
Feijoo, il quale è favorevole ai neologismi, ai prestiti linguistici, ma nella misura in
cui questi siano necessari a colmare un’insufficienza terminologica della propria
lingua e non nella forma dei prestiti di prestigio.
Definisce la lingua come organismo vivente in continua evoluzione e quindi è necessario che
integri costantemente altre parole laddove siano necessarie. E proprio per questa concezione
dinamica della lingua, è contrario ai dizionari: hanno una natura conservatrice, bloccano la
lingua in un determinato momento e a quel momento la fissano.
Clachi:
peti metre > petit maitre: è una figura scomparsa, tipica della società settecentesca, cioè il
cavalier servente, uomo esperto nelle mode dell’alta società che accompagnavano e
istruivano le dame dell’alta società nelle mode parigine.
Composizione rispettata e adattata foneticamente a “petite maitre”
Non ci sono solo dei francesismi, ma anche italianismi. Un italianismo per petit maitre è
chicisbeo
Anglicismi: riguardano in particolare il mondo dello sport: futbol, tenis, golf, ma anche
roastbeef, tunel, lider, reporter, revolver
Alcuni di essi penetrano attraverso il francese e altri in modo diretto
Nel 700 non si afferma solo la corrente estetica dell’illuminismo, ma anche quella del
neoclassicismo: neo perché il classicismo si era già imposto nell’umanesimo, con riscoperta
dei classici e ora si ripropone in modo più o meno nuovo, e Ignacio de Luzan se ne fa teorico.
Il suo trattato, “poetica” viene pubblicato nel 1737 e vi è l’affermazione assoluta del gusto
neoclassico: l’arte classica è contrassegnata da una tale perfezione che non vale la pena
inventare nuovi sistemi, quanto più copiare quelli già esistenti che erano già perfetti
Dal punto di vista della letteratura: proporzione tra le parti del tema, ordine nella
presentazione degli argomenti, chiarezza e naturalezza. Ecco perché Gongora (alfiere del
culteranismo), viene stigmatizzato come stile ampolloso ma vuoto.
Si rende omaggio a una semplicità aggrazziata, alla chiarezza che non è bassezza e quindi una
nuova corrente estetica che influenza direttamente la lingua letteraria.
Nel XVIII secolo si accelera il processo di fissazione e messa a norma della lingua che
avevamo visto nel 600. Si formano due importanti istituzioni preposte a questo. 1713, si
forma la Real Academia de la Lengua Espanola, con il fine di vigilare sulla esattezza della
lingua e tra il 1726 e il 1739, vede la sua pubblicazione il Diccionario de Autoridades
Dizionario dove il significato di ogni termine viene sostenuto dall’autorità di grandi
scrittori del passato.
Dal punto di vista dell’evoluzione linguistica si risolvono due problemi:
- Decidere se i gruppi consonantici che presentano le parole colte si debbano
pronunciare in modo fedele alla pronuncia latina o se si possono utilizzare le abitudini
della fonetica spagnola attuando quindi una semplificazione
La Real Academia si comporta diversamente a seconda dei casi
Ha imposto le forme con l’articolazione latina nel caso di: concepto (non conceto), efecto
(non efeto), digno (non dino), excelente (non ecelente), quindi non ammette la
semplificazione
In altri casi invece ammette semplificazione: fruto (non fructo), oscuro (non obscuro),
sustancia (non substancia)
- L’altro problema era la riforma ortografica, cioè come rappresentare graficamente
determinati suoni: prima del 700 si poteva usare la U e la V in modo equivalente
come segno grafico. Ora il suono vocalico “u” e “v” vengono così distinti.
Confusione tra “b” e “v” si optò per attenersi all’etimologia latina: caballo (non
cavallo), voz (non boz), beber (non bever)
Si eliminano altri latinismi: ph sostituito dalla f => filosofia
Si elimina il “th” a vantaggio della semplice “t” => teatro, non theatro
Si elimina il “ch” a favore del “q” => quimera, non chimera
Si opta definitivamente per la “c” in luogo della “q” => cuanto, cual, frecuente
Si riserva la “x” per il gruppo “cs” e la “j” per il fonema fricativo velare sordo
Anche nel 700 si va avanti anche se il grosso era stato nel 600.
Alle soglie dell’800 non ci sono grandi evoluzionii sul piano strettamente linguistico, Si può
parlare di lingue spagnole? Si certo, dato che lo spagnolo parlato nei diversi paesi
dell’america latina differisce da quello parlato in Spagna e nella misura in cui all’interno
della stessa America Latina lo spagnolo varia a seconda dei diversi paesi dipendendo sia da
vie evolutive autonome sia dalle influenze del sostrato linguistico indigeno a sua volta
differenziato.
Inoltre, nei 400 anni successivi alla colonizzazione, il costante flusso di migrati verso
l’america latina dall’Europa ha contribuito a introdurre ulteriroi fattori di differenziazione:
pensiamo al peso che ha la lingua italiana in Argentina
SPAGNOLO ARGENTINO
In Argentina la popolazione attuale è quasi tutta di origine europea (successive ondate
migratorie) e gli immigrati, in gran parte italiani, vi approdano dopo che il paese aveva già
conquistato l’indipendenza dalla Spagna nel 1816 ed ebbero un grandissimo influsso sulla
lingua.
Argentino caratterizzato dal VOSEO, che è la maniera di TUTEAR (dare del tu). Si
sostituisce il pronome “tu” con il promome “vos”, che comporta a una particolare
coniugazione del verbo che interviene nella seconda persona plurale (non nella seconda
persona singolare) sopprimendo la vocale debole della seconda persona plurale
Vosotros cantáis => vos cantas = tu canti – tu sei = tu eres = vos sos
- Anche l’imperativo della seconda persona singolare vede la soppressione della “d”:
cantad => cantá
- Dal punto di vista lessicale, l’argentino conserva molti arcaismi: linda al posto di
bonita.
- Uso del “che”: per richiamare l’attenzione, in spagnolo “oye”. È talmente tanto usata
che addirittura divenne il soprannome di Che Guevara, in realtà Ernesto Guevara,
chiamato Ernesto Che Guevara perché un argentino a Cuba chiamava l’attenzione con
il “che”, quindi era un modo diciamo di “prenderlo ingiro”.
- Lessico ricco di forestierismi dovuto alle forti migrazioni sobrattutto italiane: trabajar
=> laburar
INTERLINGUA LUNFARDO
Si tratta appunto di un’interlingua, di una lingua mista formata a Buenos Aires: nasce alla
fine dell’800 nella periferia di Buenos Aires (si dice nell’ambito carcerario come linguaggio
segreto per non essere capiti dalle guardie). Di fatto le prime documentazioni sono per mano
di alcuni ufficiali di polizia.
1878, “El Dialecto de los Ladrones”, trattato sul lunfardo da parte di un anonimo ufficiale.
Si tratta di un linguaggio speciale delle classi bassi di buenos aires, come varietà lingüística
addizionale, perchè non rimpiazza la prima lingua ma la sostituisce a seconda dei contesti di
comunicazione. Non è un dialetto e nemmeno una lingua (no sintassi e grammatica proprie)
ma è solo un vocabolario molto esteso che usa strutture sintattico-grammaticali della lingua
ufficiale.
Vocabolario estremamente esteso (5000 termini) che si oppongono alla lingua dominante
Meccanismi di formazione:
- Riscatta arcaismi del castillano
- risemantizzazioni (parole in uso alle quali viene affidato un nuovo significato in virtù
di uno slittamento semantico per restrizione o ampiamento) es: gringo, in spagnolo
significava straniero, nel lunfardo significato più ristretto di persona con capelli
biondi e pelle bianca (anglosassone).
- Combinazione tra due parole che genera un significato nuovo: mataburro: matar el
burro = uccidere l’asino, l’asino è metafora di ignorante, è il dizionario.
Mangiapapeles = avvocato
- Parole inventate, in realtà che scaturiscono dall’inversione dell’ordine delle sillabe
all’interno della parola, tecnica definita VESRE (reves): sabeca = cabeza; biarru =
rubia (raddoppiamento consonantico); cabo = boca; rioba = barrio. A volte però
questo genera un’alterazione delle consonanti e un’abbreviazione:
Lompa = pantalon, pa +alterazione consonantica della “n” che diventa “m” e cade la
sillaba “ta”: inversione + alterazione consonantica + abbreviazione
Feca: café, cambiamento d’accento, totin = vino tinto
Tombo: botón cambiamento d’accento + alterazione consonantica
17.12
Il lunfardo in particolare, la lingua straniera dalla quale il lunfardo attinge un maggior
numero di lessemi è proprio l’italiano (ripetute e numerose ondate migratorie), soprattutto i
dialettalismi: perché nella stessa Italia la diffusione della lingua standard (e quindi
l’unificazione linguistica) è stato un fenomeno relativamente recente, al quale ha contribuito
in modo determinante la televisione. Quindi all’epoca delle prime ondate migratorie l’italia
non era unita linguisticamente. Inoltre, chi emigrava in Argentina erano le classi più basse,
con scarso livello di alfabetizzazione e quindi dialettofoni.
Tra l’altro si tratta di dialettalismi sia del nord sia del sud, in particolare i genovesi hanno
costituito il gruppo prevalente a Buenos Aires, insediati particolarmente nel quartiere “La
Boca”.
Al lunfardo quindi giungono particolarmente dialettalismi sia del sud sia del nord. Tra i
termini più diffusi abbiamo baffi al posto di bigotes, esbornia – borrachera, estufar – fastidiar,
chitrulo – bobo, iuorno – día, escochar - cargocear, birra – cerveza.
Questi prestiti sono stati adottati senza nessuna risemantizzazione, altre invece hanno
mantenuto la stessa fonetica e la stessa grafia però hanno acquisito dei significati diversi.
Es: girar (pronunciato con “g” di beige) = girare per la strada – passeggiare – prostituirsi
Dal sud:
cucuza = cabeza, pomarola = salsa de tomate
Quindi gli extranjerismos derivano soprattutto dal contatto tra argentini sottoprivilegiati e
tutti quei gruppi etnici che entrano a far parte del sottomondo argentino per questioni
socioeconomiche: immigrati, argentini poveri che convivono nei quartieri della periferia si
contagiano linguisticamente.
Il lunfardo ha conosciuto una notevole estensione sia sul piano verticale (cioè si è esteso in
modo interclassista, da lingua dei poveri è diventata una lingua di uso molto diffuso
naturalmente a seconda dei contesti) e anche sul piano orizzontale in tutta l’Argentina. (mina
– da femina= mujer; guita = dinero)
Da codice segreto è diventata la coinee che identifica soprattutto il Rio platense ma
anche l’argentino.
Questa diffusione è avvenuta perché la lingua ha conosciuto un processo di mediatizzazione:
media che si sono impossessati di questa lingua e che hanno facilitato la sua ampia
diffusione.
Questi media sono: anzitutto il tango, il lunfardo è divenuto la lingua del tango, canzone
classica argentina. Quindi il tango è stato un veicolo di diffusione considerevole, che quindi
grazie a questo processo di mediatizzazione da etnoletto primario è diventato etnoletto
secondario, cioè lingua del tango, che veicolando la sua più ampia diffusione gli ha permesso
di diventare etnoletto terziario, cioè parlato anche da persone che non appartengono allo
strato sociale che ha visto nascere il lunfardo.
Ciò ha permesso al lunfardo di perdere quella stigmatizzazione di malativa, povertà fino a
diventare non solo lingua del tango che poi si è diffusa in tutto il mondo, ma una lingua di
fusione interclassista nella stessa Argentina in tutto il suo territorio.
COCOLICHE
Varietà linguistica nata a Buenos Aires ove, ugualmente al lunfardo, il fattore italiano ha un
ruolo ancor più preponderante.
Il cocoliche era la maniera di parlare dei primi immigrati italiani in Argentina, quindi
un’interlingua tra italiano e castillano argentino, propria di quegli immigrati italiani che
capivano poco e cercavano di farsi capire come potevano, mescolando le due lingue. La
componente italiana era prevalentemente composta da dialettalismi.
Questa lingua mista deriva o dall’alternanza di parole italiane e argentine nella stessa frase o
parole inventate date dalla combinazione di desinenza argentine e radici italiane o il
contrario: generalmente per fare i plurali si utilizzava una parola italiana e si aggiungeva una
“s”.
Si inventavano quindi parole che erano estranee a entrambe le lingue di contatto e si
inventava una neolingua. Questa fusione di elementi rifuardava anche la sintassi, la
morfologia e la fonetica.
Mentre il Lunfardo deriva da “lombardo”, perché gli emigrati lombardi facevano gli strozzini,
quindi ritenuti truffatori. Il cocoliche deriva da Cuccolicchio, personaggio del teatro comico
di Buenos Aires, Sainete, che aveva immortalato l’italiano ignorante che parlava questa
strana lingua.
Situazione dell’Argentina dove le lingue indigene si sono perse, dove l’afro ha influito poco e
prevale uno spagnolo rioplatense con questi due fenomeni interlinguistici.
PARAGUAY:
situazione diglossica, dove coesistono almeno tre livelli linguistici:
- Lingua precolombiana: guaraní, lingua di uso solo orale che dal 1992 è stata
dichiarata lingua ufficiale o co-ufficiale accanto allo spagnolo.
- Lo spagnolo: è la lingua di prestigio, anche scritto, e lingua di interazione con la
nazione con il mondo intero
Il paraguay ha le sue specificità, con varianti interclassiste (voseo, seseo) e poi volgarismi.
Tuttavia, lo spagnolo del Paraguay è molto contaminato dal guaranì, soprattutto dal punto di
vista lessicale, soprattutto relativi a realtà localizzate (flora, fauna, cibo) ma anche a livello
morfo-sintattico
- Jopara: pronunciato come “gio”. interlingua basata sulle strutture grammaticali del
guaranì e con un lessico misto tra guaranì e spagnolo.
Si tratta della modalità linguistica più diffusa a livello colloquale. Falsi amici tra castillano e
paraguay: guapo => nello spagnolo di spagna vuol dire bello, in Argentina coraggioso,
arrogante (guappo), in Paraguay vuol dire una cosa completamente diversa, cioè lavoratore.
Valle = valle, in paraguay vuol dire paese.
Querer = volere, amare, in paraguay vuol dire anche essere soliti.
Luego = in paraguay non ha soltanto il valore temporale di dopo o causale, ha un valore
asseverativo, enfatico. “una renga como yo, no sirve luego como hija de María” => non serve
mica, nemmeno, proprio
“Simon ya me lo dijo luego” = eddire che simon me lo aveva detto
“ese arbol, luego era la senal” = proprio quell’albero.
Il dibattito si articolava intorno a una sostanziale domanda: si può parlare di una lingua
nazionale rioplatense (spagnolo argentino)? A dare il via è il gruppo di intellettuali argentini,
esponenti della Generazione del ’37, figli dell’indipendenza caratterizzati da uno spirito
nazionalista, con un forte desiderio di affermazione nazionale a partire dalla lingua. Avallano
l’idea di una lingua nazionale, in alcuni casi pensando che l’argentino fosse una lingua meno
ricca, pura, contaminata dalle lingue dell’immigrazione, però pur ammettendo l’eventualità di
una corruzione si accetta come dato inevitabile (è la lingua che di fatto si usa).
Esteban Echeverría è stato il primo intellettuale a occuparsi di questa questione. Abbraccia
l’atteggiamento antispanista pur non portandolo alle estreme conseguenze. “la nostra lingua è
ancora fortemente dipendente da quella spagnola, così come la letteratura, anzi il patrimonio
letterario autoctono è scarsissimo” – infatti Argentina inizia a produrre una propria letteratura
nel corso dell’800 – “a causa della scarsità di una letteratura autoctona nazionale, la nostra
lingua continua necessariamente a dipendere da quel centro a noi esterno. Però noi dobbiamo
impegnarci nel creare una lingua nostra arricchendola con americanismi, coltivando
l’argentino attraverso la legittimazione di americanismi (degli usi locali), senza mai scadere
nel gauchismo”
GAUCHO: figura sociale tipica dell’Argentina, cowboy argentino, il contadino, che
rappresenta un soggetto sociale che appartiene al popolo, non colto, con un livello linguistico
non erudito. Gauchismo: popolarismo, volgarismo.
Juan Bautista Alberdi: uomo politico, diplomatico, intellettuale. Durante gli anni giovanili,
cioè nel periodo post-indipendentista, Alberdi assume una posizione fortemente nazionalista
e antiispanista. “Reaccion contra el espanolismo”: afferma la necessità di una lingua
assolutamente autoctona che non abbia niente da invidiare né da imitare allo spagnolo di
spagna. Ricerca di una lingua argentina a costo di identificarla con quella dei ceti più bassi
(ancor più estremista di Echevarría)
Questa passione antispanista cieca si assopisce con gli anni, viaggia anche in Spagn legge
grandi classici e mitiga questo suo estremismo e ammette che vi è un’uguaglianza di base tra
le due lingue, è sostanzialmente la stessa lingua e la apprezza nella sua variante ispanica
grazie alla lettura dei classici spagnoli.
Domingo Faustino Sarmiento: presidente dell’Argentina dal 1868 al 1874. Secondo lui,
costruire una lingua nazionale è il presupposto identitario irrinunciabile per la costituzione di
una nazione (ogni nazione deve trovare anzitutto nel veicolo linguistico la sua specifica
identità). Abbraccia l’antispanismo alla ricerca di una lingua che fosse solo americano,
coltivare una lingua autonoma è il presupposto per consolidare il sentimento nazionale.
Alberdi pensa a una lingua specificamente argentina, Sarmiento a una lingua generale
ispano-americana, ma è un’utopia.
Questo suo desiderio di una lingua unitaria lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni pur
dovendosi sgretolare di fronte alla costatazione che al di là di una base comune, il castillano,
le differenze nazionali sono irriducibili.
Sarmiento attribuisce questo fenomeno all’isolamento delle nazioni latino-americane (vivono
isolate l’una dall’altra).
Critica il fatto che vi sono pochi rappresentanti letterari autoctoni: la letteratura argentina
ancora non ha dei suoi rappresentanti, ne numerosi ne particolarmente importanti. È un paese
che ancora non genera letteratura, impedimento importante.
Juan Maria Gutierrez: poeta, nel 1876 la Real Academia Espanola gli conferisce l’incarico di
corrispondente estero da Buenos Aires. Rifiuta perché gli fu richiesto di impegnarsi a
mantenere la lingua pura ed elegante nella variante standard europea. Lo rifiuta perché: dice
che ammesso che la lingua argentina sia una lingua corrotta dalle lingue dell’immigrazione,
“en las calles de Buenos Aires resuenan los acentos de todos los dialectos italianos, del
catalan, del gallego, del frances, del ingles ecc… y estos diferentes sonidos cosmopolizan
nuestro oido”. Nel termine “cosmopolitizan” non c’è un’accezione positiva, nel senso che
queste lingue dell’immigrazione contaminano la lingua argentina. “
Nonostante questa contaminazione europea sul nostro spagnolo, ammettiamo il dato di fatto
che questo è lo spagnolo che si scrive nei giornali, che si discute nelle nostre leggi, che
ascoltano le nostre orecchie, e questo è lo spagnolo veicola la comunicazione tra noi, quindi
tanto vale accettarlo.
La lingua castillana in america esiste, presenta queste influenze che mai la potranno rendere
simile alla variante peninsulare dello spagnolo, quindi questo purismo è come combattere
contro i mulini a vento, è un male? È tuttavia un male necessario
Accettazione della varietà linguistica locale
Arturo Costa Alvarez: giornalista, traduttore, scrive “Nuestra Lengua”, esprime un’idea
molto precisa di lingua nazionale
Nei paesi americani, la madrelingua spagnola è stata profanata dalle ondate migratorie
che l’hanno allontanata dagli standard peninsulari rendendola incolta e sgrammaticata.
Quel male necessario diventa inaccettabile nel suo caso.
Questa profanazione non è addebitabile solo ai parlanti comuni, la colpa è anche degli stessi
intellettuali che si lasciano contaminare dalle altre lingue anche a livello colto, che non
difendono la purezza, e che accolgono queste contaminazioni anche nel registro scritto.
Il suo progetto verte sulla purificazione e unificazione di tutti gli spagnoli a quello standard,
avvalendosi di strumenti di divulgazione di massa come grammatiche, dizionari. Dice che
questo non sarà possibile a casua dell’atteggiamento antispanista che ha dominato il mondo
intellettuale argentino almeno nella fase post indipendentista.
Amado Alonso: spagnolo. In una sua prima pubblicazione del 1935 “el problema de la lengua
en America”. Valuta in modo assolutamente negativo la variante rioplatense dello spagnolo,
affermando che in Argentina la lingua è di qualità inferiore, definendola “estrumento
estropeado, inadequado, corrotto”. Dice che il problema che riscontra è che a parlare male
sono non soltanto gli individui senza istruzione, ma anche le persone dei ceti più abbienti che
alimentano la diffusione di questo spagnolo corrotto attraverso questi scrittori che lui
definisce “escritores masa”, ossia scrittori che contribuiscono a massificare uno spagnolo
corrotto attraverso le loro opere.
Dice che in Argentina il poeta di una giusta e sorvegliata istruzione riguarda anche gli
scrittori. Condanna l’atteggiamento antispanista che ha allontanato la popolazione rioplatense
dalla purezza della lingua e poi dice che ciò che ha contribuito a questa assoluta corruzione
dello spagnolo rioplatense è il fenomeno migratorio che ha raddoppiato la popolazione di
Buenos Aires e da questi nuovi arrivati non si poteva certo pretendere un utilizzo corretto
della lingua spagnola (estrazione bassa, anche stranieri e che influenzano attraverso i loro
prestiti, che tra l’altro parlavano i dialetti).
Si propone di sensibilizzare il pubblico di Buenos Aires invitandolo a dare una dignità alla
parlata locale, fuoriuscendo da quello che definisce il suo “isolamento linguistico” per
difendere quella specificità. Invita la popolazione ad aprirsi verso la norma custodita in
Spagna.
Cinque anni dopo la pubblicazione di questa lingua, Alonso torna a parlare della lingua
rioplatense in cui la sua posizione è mutata: afferma che l’Argentina avrà un posto di
comando nei destini futuri della lingua spagnola, questi giudizi positivi permangono anche
nel 43 quando pubblica “Argentina y la nivelacion del idioma” nel quale afferma di confidare
nella variante argentina per la creazione di una lingua generale americana (concetto
discutibile); ma dice che se c’è uno spagnolo che imparenta i diversi paesi dell’america
latina, in questo spagnolo generale la variante argentina avrà un suo peso.
Dietro questo cambiamento cosa si cela? La realtà socioculturale argentina ha conosciuto una
sua evoluzione storica e negli anni 40 brulicava di nuove tecnologie della parola (radiofonia,
cinema, editoria), mentre in Spagna con lo scoppio della guerra civile, il focus dell’industria
culturale si sposta in America Latina: molti intellettuali spagnoli si autoesiliano per sfuggire
alla centura inizialmente vanno in Francia, ma poi la maggior parte di loro va proprio a
Buenos Aires (questioni linguistiche). Qui molti intellettuali trovano una piattaforma
editoriale per continuare a pubblicare.
Il focus della vita culturale si sposta soprattutto in Argentina e in questo senso Alonso si apre
alla variante regionale rioplatense proprio anche per i grossi progressi fatti.
Dal 40 in poi Alonso ritiene che ci debba essere un equilibrio tra l’aspetto evoluzionistico
della lingua (che deve tenere conto anche delle novità, varianti) e la norma cristallizzata,
l’alternativa non deve essere a scapito dell’unità.
Tra gli intellettuali che prendono parte a questo dibattito nel 900, si arriva a Amerigo Castro
(sul versante spagnolo) e Jorge Luis Borges (versante rioplatense): hanno una visione molto
diversa e aumentano questo dibattito dando grande visibilità.
Borges: “el idioma de los argentinos”, 1927. Dice che la lingua degli argentini è profanata da
almeno due influenze antagoniste, da un lato la lingua delle periferie, dai volgarismi e
dall’altro dai promotori del purismo spagnolo.
Tra questi due estremi bisogna trovare una giusta via di mezzo: il popolo porteno possiede un
idioma indubbiamente proprio, quest’accettazione vuol dire non chiudersi all’evoluzionismo
della lingua ma neanche appozzare nei gauchismos. Quindi l’idea di lingua per Borjes costa
in un gioco di equilibri. Riconoscere le peculiarità fonetiche, le intonazioni proprie, il lessico
proprio ma senza rompere la norma grammaticale che è centralizzata negli spagnoli.
Borges imputa a Castro un’aspirazione ceca al purismo della lingua: dice che la lingua è una
realtà concreta, non è fatta di norme che si trasmettono a usi concreti, semmai sono gli usi
concreti che poi si normativizzano. Tutti coloro che sostengono il purismo dello spagnolo
peninsulare disdegnando la variante rioplatensi sono fautori di una caratteristica che non
esiste, perché nota Borges che se a livello orale esistono differenze, non ugualmente a livello
scritto quindi a livello scritto la lingua è più unitaria che non a livello orale.
20.12
RAPPORTO DEL CASTILLANO CON LE LINGUE MINORITARIE PRESENTI IN
SPAGNA: Catalano, Basco, Galiziano
Lingue parallele che sono nate autonomamente dalla comune matrice latina con
percorsi evolutivi autonomi rispetto al castillano
Questo indipendentismo anche sul piano linguistico ha portato anche a uno scontro civile
molto violento.
POLITICA LINGUISTICA
Il regime ha conosciuto la sua fase di più aspra repressione nella prima metà, nella seconda
metà si è resa meno stringente la censura. Leggi applicate:
- 1939: il Ministero di Giustizia proibisce i nomi che non figurano nel Santoral
Cristiano; un’ordinanza del Ministero di Organizzazione e Azione Sindacale proibisce
le lingue stranieri nei titoli, negli statuti, nei regolamenti, nelle giunte… tutte le
società, organizzazioni così come i loro regolamenti devono avere nomi spagnoli
- 1940: tutte le insegne, le etichette e le marche dei prodotti dovevano essere in
castillano
- 1941: in Spagna si ammette solo il castillano come lingua dei telegrammi (per
comunicare con l’estero), oltre che l’obbligo di un linguaggio chiaro. Le lingue
straniere non erano facili da controllare e il linguaggio chiaro era per evitare linguaggi
in codice ecc; si emette una norma per la quale tutti i film devono essere in spagnolo e
quelli stranieri doppiati, così come tutta l’editoria doveva essere in spagnolo. Veniva
proibito l’uso di altre lingue anche in chiesa e soprattutto nelle scuole.
Si diceva che le altre lingue peninsulari fossero dialetti dello spagnolo, quindi con dignità
inferiore (sbagliato).
Viene attribuita a una serie di funzionari la missione di censurare, ma anche castigare tutto
ciò che uscisse da questa ortodossia voluta da Franco e il linguaggio era uno degli ambiti
principe su cui si esercitava questo controllo.
Con il tempo la censura franquista si indebolì, verso gli anni 50 si permetteva la celebrazione
religiosa in catalano e eusquera, poi gradualmente fu anche accettata la pubblicazione di libri
e nel 1945 fu approvata la fondazione di accademie della lingua basca e galiziana.
Nel 1957 nascono le cosiddette “icastolas”, cioè scuole che usano l’eusquera come lingua
ufficiale dell’insegnamento. Dal 57 al 65 ne sono nate ben 130. L’editoria è anche esplosa
con la fondazione di varie case editrici e negli utlimi anni del franquismo sia il galiziano sia il
basco conobbero l’impiego editoriale più ampio, addirittura vennero istituiti dei premi
letterari per opere in basco e in galiziano.
1951: viene fondata Galaxia, che inizialmente pubblicava solo in galiziano, ora è una delle
case editrice più importanti.
Cattedre di filologia galiziana, catalana (1944), basca, lingue diventate oggetto di uno studio
scientifico e di teorizzazioni.
Anni 40-metà anni 50: forte controllo della politica di Franco, dopodichè meno.
La Spagna ha fatto un grande lavoro per il riconoscimento formale del pluralismo linguistico
(territoriale, di genere…) e poi la costituzione democratica ha dato un grosso impulso a
questa politica, nell’articolo 2 si riconosce e garantisce il diritto all’autonomia delle
nazionalità e regioni che integrano la Spagna, e la ricchezza delle distinte modalità
linguistiche della Spagna è un patrimonio culturale che sarà oggetto di speciale rispetto e
protezione.
Filosofia costituzionale fondata su un’organizzazione unitaria ma articolata in un
sistema largamente autonomistico (riconoscimento delle autonomie)
Gli statuti di autonomia di Catalogna, Paesi Baschi e Galizia sono stati approvati alla fine
degli anni 70 e all’inizio degli anni 80, sanzionando l’ufficialità delle rispettive lingue
accanto al castillano.
Tuttavia, dall’altro lato la costituzione attuale dice che gli abitanti delle nazionalità autonome
hanno diritto di parlare le loro lingue ma hanno anche il dovere di conoscere il castillano
come il diritto di utilizzare le altre lingue.
Co-ufficialità e non una totale ufficialità
Da un’inchiesta è emerso che nei Paesi Baschi, oggi il 54% degli abitanti non capisce
l’eusquera, e oltre il 61% non lo parla, mentre appena l’8% è in grado di scriverlo.
Catalogna: 70% parla il catalano, ma solo l’11% lo scrive o lo usa a livello scritto
Galizia: 81% parla, appena il 6% lo scrive.