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STORIA DELLA LINGUA

Dobbiamo risalire ai tempi della latinizzazione della Spagna dovuta alla colonizzazione
romana della penisola iberica che inizia nel II sec a.C, più precisamente 218 a.C con sbarco
degli scipioni nelle Ampurie (Catalogna – motivi geografici), ad opera dei fratelli Pubio e
Gneo Scipione e danno inizio alla colonizzazione romana della penisola.
Non è stato un processo rapido, si è effettuata per tappe successive. Colonizzazione portata a
termine nel I sec a.C con la Pax Romana, stabilita da Augusto nel 25 a.C. con cui si
determina la fine della colonizzazione romana
 Arco cronologico: 218 – 25 a.C
Si tratta di un processo graduale e non facile nonostante la superiorità bellica: i romani hanno
dovuto contrastare delle forti resistenze come, ad esempio, in Cantabria o anche dai
Numantini che opposero una resistenza eroica all’avanzata dei romani. L’assedio della
Numanzia venne effettuato da Scipione nel 133 a.C ma in quel caso i romani persero
tantissime risorse umane proprio per la resistenza dei numantini.
 Cervantes molti secoli dopo dedica loro una sua opera teatrale, Numanzia.

I romani non erano l’unica popolazione presente in Italia e hanno dovuto conquistare anche
loro quindi, e i Sanniti (varie tribù abitavano questa zona, uniti nella lega sannita) opposero
quasi la stessa resistenza dei Numantini.

Tuttavia, una volta conquistato il territorio iberico (Spagna e Portogallo), danno a questa terra
il nome di Hispania.
Mentre i romani portano a termine la conquista, intanto l’Impero Romano si estende in altri
territori della Terra all’ora conosciuti. Quindi alcuni contingenti guerreggiavano nella
penisola iberica e altri negli altri territori da conquistare.
 Durante il periodo della conquista della Spagna (II sec), l’Impero Romano inglobava
tutta l’Italia, Grecia, Macedonia e Nord Africa.
 Nel I sec, finita la conquista dell’Hispania, avevano anche l’Asia Minore, Gallia,
Egitto, Sud del Danubio (Mittel Europa) e le Alpi.
Inizialmente, nella costituzione dell’Impero Romano, Roma godeva di una serie di privilegi
che non raggiungevano le province.
Ad esempio, la cittadinanza romana, che dava accesso a una serie di agevolazione, non si
dava agli abitanti delle province se non per qualche titolo onorifico per qualche impresa.
Tuttavia, Roma inizia a cedere le sue prerogative anche alle province e nel 212 a.c con
Caracalla, diventano cittadini romani i sudditi di tutte le province, le quali iniziarono a fornire
a Roma degli imperatori.
Es: due tra i più validi imperatori, che maggiore prosperità hanno dato all’impero,
provenivano proprio da Hispania, Adriano e Traiano.

Come conseguenza della conquista romana ci fu in Spagna una vera e propria acculturazione
che ha riguardato tutti i livelli della cultura: in termini antropologici, acculturazione vuol dire
il passaggio di elementi culturali da un gruppo a un altro e la direzione è dal gruppo
egemonico al gruppo subalterno.
L’acculturazione ha riguardato tutti i livelli di cultura (religiosa, materiale, tecniche agricole,
belliche, il diritto, letteratura) fino alla lingua, elemento culturale più importante insieme alla
religione, quello che maggiormente definisce l’identità culturale di un gruppo.

Focalizzandosi sulla lingua


LATINIZZAZIONE DELLA SPAGNA: i romani portano a termine un’acculturazione
linguistica che si definisce nella latinizzazione. Il latino giunse ad essere la lingua ufficiale, lo
strumento espressivo comune a tutto l’impero, la lingua internazionale in tutti i territori
dominati.
Dominazione linguistica totale, intensa ma ovviamente lenta perche dovette far sparire le
lingue preesistenti, il substrato linguistico prelatino.
Tutte le lingue gradualmente scomparvero, meno una che tutt’oggi è viva cioè la lingua dei
Paesi Baschi, l’Eusquera (non neolatina, è prelatina ed è l’unica che resistette alla
latinizzazione).

SUBSTRATO LINGUISTICO PRE-ROMANO:


- Centiberico: si estendeva lungo le attuali province di Burgos, Soria, Zaragoza e
Teruel, cioè il centro-nord
- Tartessio: si parlava nel basso Guadalquivir, quindi sud della Spagna.
- Iberico: zona del levante
- Basco/eosquera: lingua dotata di una struttura molto particolare sia dal punto di vista
fonologico sia da quello grammaticale, la cui origine non è indoeuropea e
assolutamente misteriosa: i linguisti sono spaccati in due ipotesi
a. lingua di provenienza africana, ipotesi che si basa su alcune coincidenze con delle
lingue parlate nel nord Africa come il berbero (popolazione nomade del nord
Africa, in particolare del deserto egiziano e la loro lingua, così come anche il
sudanese, presenta alcune somiglianze con il basco). Le somiglianze hanno
indotto parte dei linguisti a supporre un’origine africanao
b. provenienza caucasica.
Prima dell’arrivo dei romani, questa lingua aveva un’estensione territoriale molto più ampia,
lo sappiamo perché vi sono dei toponimi baschi diffusi oltre l’attuale confine dei Paesi
Baschi.

La scomparsa di queste tre lingue preromane è stato un processo lento che è passato
attraverso una fase di bilinguismo (lingua domestica, nella vita sociale si usa il latino) più o
meno intenso a seconda di fattori extra-linguistici:
- Livello di evoluzione culturale: nei luoghi con un livello di sviluppo culturale più
avanzato, l’assimilazione della lingua nuova fu più veloce. Es: Betica (Andalusia),
zona piuttosto evoluta all’epoca, e li l’acquisizione della lingua straniera è stata più
veloce
- Strato sociale: classi sociali con superiore livello di istruzione erano più esposti
all’acculturazione linguistica latina
- Contesto linguistico: nella conversazione familiare le lingue indigene hanno prevalso,
mentre nella vita pubblica si usava il latino.

Bisogna fare distinzione tra il latino colto (lingua letteraria scritta) e il latino volgare (lingua
dell’oralità, impiegata nella conversazione quotidiana). Quando una persona, anche con un
alto livello culturale, scriveva usava il registro del latino letterario, mentre quando parlava
usava il registro del latino quotidiano. Il livello è più accentuato rispetto a quello che
possiamo riscontrare oggi nelle nostre lingue.
Le differenze consistevano in:
- Nel latino letterario vigeva l’iperbaton: figura sintattica che consiste nell’alterare
l’ordine degli elementi all’interno della frase, per esempio mettendo il verbo alla fine.
Questa figura sintattica non si usa nel latino volgare
- Declinazione del sostantivo nel latino classico per indicare i diversi casi: i casi si
distinguevano attraverso la declinazione del nome, quando le desinenze erano uguali,
non potendo distinguerle con le preposizioni o con gli articoli, si utilizzavano gli
accenti quantitativi (lungo o breve) e differenziava la lunghezza dell’emissione della
voce. Nel latino volgare decade il sistema di declinazione del nome, che venne
riducendosi fino a decadere del tutto e rimasero solo due forme (una per il singolare e
una per il plurale) per tutti i casi.
Il latino volgare per differenziare i casi introduce gli articoli e le preposizioni, questa è la
grande differenza tra latino scritto e volgare
- Genere: il latino classico aveva anche il neutro, mentre nel volgare decade. I
sostantivi neutri diventano o maschili o femminili.
In Spagna rimane un retaggio di questi neutri, per esempio il sostantivo mare, la/el mar.
- Lessico: il latino volgare fece decadere molti termini del latino classico oppure li ha
fatti decadereper sostituirli con altri, oppure ha coniato neologismi oppure ha preso
dei termini del latino classico e li ha sottoposti a degli slittamenti semantici
(significato diverso, li risemantizza).
Esempi: nel latino classico si usavano due termini per identificare il termine grandezza:
grandis – dimensioni ; magnus – grandezza nel senso delle qualità morali.
Il latino volgare elimina magnus e conserva solo grandis per entrambi i significati, ha esteso
il termine grandis anche alla grandezza morale, ha operato una selezione.
Il latino classico usava la parola jocus per dire burla e ludus per dire gioco, nel latino volgare
il termine jocus rimpiazza ludus, così come il termine casa (in latino classico capanna)
rimpiazza domus (casa vera e propria), caballus-da carico/aequus-cavallo.

SOSTITUZIONE – SLITTAMENTO SEMANTICO – SELEZIONE

Le lingue neolatine venivano dal latino volgare: oggi utilizziamo il sistema degli articoli e
delle preposizioni senza declinazioni proprio come il latino volgare.

PECULIARITÁ DEL LATINO VOLGARE PARLATO IN SPAGNA (rispetto al latino


volgare parlato a Roma)
- Presenza di arcaismi: il centro delle innovazioni linguistiche era Roma, centro
dell’impero, così come delle mode linguistiche e il distanziamento geografico tra le
due fu una delle cause per le quali il latino cambiava con minore rapidità. Anche
perché il latino in Spagna era una lingua di importazione, quindi il livello di creatività
linguistica era minore rispetto a quello dei romani.
Es: locuui – parlare in latino classico. Quando scopare questo termine dal latino classico, in
Spagna di impone fabulari, più arcarico (da cui hablar) mentre a Roma si impone il termine
più nuovo parabolare (da cui parlare).
Ecco perché ci sono differenze tra italiano e spagnolo, l’italiano a volte deriva da un termine
più nuovo mentre lo spagnolo da un termine più arcaico.
Bello – pulcher in latino classico, quando scompare in Spagna trionfa formosus (da cui
hermoso), mentre a Roma si afferma il termine più recente bellus.
In spagnolo si afferma fervere (da cui hervir) mentre in italiano bullire da cui bollire.
Ladrare, (da cui ladrar), mentre in italiano baubare (abbaiare)
Mensa (da cui mesa), mentre in italiano tabula (tavola)
Arena (da cui arena), mentre in italiano sabulum (sabbia)
Triticum (trigo), mentre in italiano frumentum (frumento).

- Nello spagnolo esistono delle somiglianze con alcuni dialetti dell’Italia meridionale:
quest’influenza viene attribuita da alcuni linguisti proprio alla dominazione italica di
Hispania al tempo dei romani perché contingenti non erano soltanto romani, vi erano
anche popolazioni italiche, lasciando delle tracce dei loro dialetti. L’altra ipotesi è che
queste coincidenze siano attribuibili alla dominazione spagnola nell’Italia meridionale
(XVI – XVIII sec) dove domina nel regno di Sicilia, di Sardegna e di Napoli.
Le coincidenze sono innazitutto a livello fonetico: sia siciliano sia spagnolo conoscono il
raddoppiamento della “r” in posizione iniziale.
Dal punto di vista sintattico entrambe sono caratterizzate dall’uso della preposizione “a”
davanti al complemento oggetto, soprattutto se l’oggetto designa una persona; uso del verbo
“tenere” invece di “avere” per indicare possesso.
Lessico: livari = llevar // portare

Nel latino hispanico altre particolarità sono dovute:


- al substrato linguistico prelatino: sebbene sia scomparso è ovvio che abbia lasciato
delle influenze nel latino di spagna (soprattutto a livello lessicale)
es: perro, charco, manteca, galapago: non hanno un’etimologia latina, quindi necessariamente
devono essere più antiche rispetto alla latinizzazione
- processi evolutivi autonomi: una stessa lingua che vive in due territori diversi conosce
fattori extralinguistici diversi che finiscono per influenzarla.
Es: il latino hispanico estende l’avverbio “tarde” anche a un uso sostantivale, infatti tarde
vuol dire tardi, ma anche sera.
Il latino distingue tra ribus = ruscello e fluvius = fiume. Lo spagnolo genera uno slittamento
semantico per cui usa ribus nel senso di fluvius, e da qui deriva rio.
 Slittamento operato per percorsi evolutivi autonomi

DAL LATINO LINGUA UNICA ALLA FRAMMENTAZIONE IN LINGUE


NEOLATINE
È avvenuto in Spagna nell’epoca dei Visigoti, cioè i barbari che hanno generato la fine
dell’Impero Romano. Con la disfatta di questo impero a causa delle invasioni barbariche
(alani,vandali, svevi e visigoti), le province di questo ex-impero rimangono isolate una dalle
altre. Se prima facevano parte di un’unica grande nazione che aveva un centro propulsore di
mode anzitutto linguistiche, una volta caduta la centralità dell’impero si crea una grande
frammentazione che porta le diverse province a isolarsi, quindi a conoscere processi evolutivi
autonomi, quindi da qui nascono le lingue neolatine. La perdita dell’unità politica fa si che in
ogni provincia si inneschino delle innovazioni fonetiche, grammaticali e sintattiche
indipendenti e che si formino le lingue romanze/neolatine.

Con il termine “romania” si designa quell’insieme di popoli dove si parla una lingua romanza
o neolatina.
Distinzione tra romania continua, romania perduta e romania nuova
- Romania continua: si indicano quelle aree che subirono la latinizzazione linguistica
all’epoca dei romani e dove tutt’oggi si parlano delle lingue romanze/neolatine.
Parliamo quindi di Italia, Francia (con francese parlato anche in Lussemburgo, Belgio,
Svizzera, Val D’Aosta), franco-provenzale, occitano, castillano, catalano, galiziano,
portoghese, ladino, romeno.
- Romania perduta: include quei territori dell’impero romano in cui il processo di
latinizzazione non fu tale da originare lingue romanze, o territori dove si svilupparono
lingue romanze ma in seguito furono soppiantate da altre lingue
Es: Germania, il processo di acculturazione linguistica non ha generato una lingua
neoromanza
Ex-jugoslavia: il dalmatico parlato in Croazia e Montenegro era una lingua neolatina ma sotto
la pressione delle lingue slave finì per estinguersi.
- Romania nuova: territori dove la romanizzazione non è mai avvenuta dove però si
parlano lingue neolatine importate successivamente grazie alle colonizzazioni
Es: sudamerica, francese in africa, canada

SPAGNA COME LINGUA NEOLATINA


Stabilito che le lingue neolatine nascono dopo la caduta dell’impero romano a causa delle
invasioni barbariche, vediamo la Spagna:
In Spagna sono arrivati gli alani e i vandali ma hanno avuto un peso minimo e non hanno
generato una vera e propria acculturazione linguistica, a parte alcuni toponimi attribuibili a
questi: vandali si insediano in Andalusia per breve tempo e questo territorio ricevette il nome
di “Portu Vandalu” (attraverso il quale sarebbero passati all’Africa) e successivamente gli
arabi lo trasofrmarono in “Ar Andalus”, da qui Andalusia.

La popolazione barbarica che più ha pesato è stata quella dei Visigoti, che hanno lasciato una
maggiore impronta culturale seppur molto scarsa rispetto a quella dei romani, tra i gruppi
barbarici erano i più civilizzati.
Si stabilirono soprattutto nella Meseta Castillana (centro), in un primo momento cercarono di
evitare ogni tipo di incrocio culturale con gli spagnoli, che possiamo definire hispano-romani:
parlavano latino e vivevano secondo la cultura dell’Impero Romano appena infranto. I
visigoti vogliono mantenere ben differenziati i due gruppi, per esempio si proibivano i
matrimoni misti e poi si autoghettizarono sul piano urbano vivendo in quartieri separati
rispetto agli hispano romani.
Tuttavia con un re goto, questo atteggiamento inizia a cambiare perché si apre allo scambio
culturale con gli hispano romani portatori di una cultura molto più avanzata: unico caso di
una popolazione sottomessa che ha la forza di acculturare il popolo dominante
 Acculturazione avvenuta in senso contrario perché pur essendo più forti i goti non
avevano una superiorità culturale. Così anche i goti si latinizzarono anche dal punto di
vista linguistico, abbandonando l’uso della propria lingua. Di conseguenza la presenza
di gotismi in spagnolo è limitatissima. (es ambito bellico wardia-guardia, o
onomastica tipo Fernando, Alvaro che deriverebbe da All + wass, persona molto
informata, Rodrigo da rot ric = guerriero famoso…)
Le influenze linguistiche dei goti in Spagna si limitano a pochi ambiti.

Prestito: adozione di una parola straniera, la quale può avvenire con o senza adattamento
fonetico. Ci sono lingue particolarmente etnocentriche che non amano i prestiti, e se li
accettano li sottopongono a adattamento fonetico (spagnolo), altre particolarmente esterofile
che li amano e non li sottopongono ad adattamenti fonetici (italiano). Lo spagnolo tende a
incorporare o coniare un equivalente.
Es: prestito con adattamento fonetico: computadora, ma lo spagnolo conia anche ordenador.
Altro esempio: mitin => meeting

Prestiti necessari o di prestigio: sono necessari a fronte di un nuovo oggetto incorporato in


una cultura quindi o se ne conia una nuova o si prende la parola di quella cultura. Oppure
possono essere di prestigio,che derivano sempre da una lingua dominante, sono superflui
perché forse la lingua che lo acquisisce ha un termine equivalente.
Es: baby-sitter, in spagnolo si dice niñera, noi potremmo dire bambinaia.
Manager: director - direttore

Calco: procedimento di formazione delle parole che consiste nel coniare nuovi termini sulla
struttura di parole straniere.
Sky-scraper – rasca cielo; out-law – fuori legge, weekend – fine settimana

Scarsa l’influenza culturale e linguistica delle popolazioni germaniche in Spagna, la vera


importanza di queste invasioni germaniche per la storia della Spagna non consiste negli scarsi
elementi linguistici/culturali che depositano, ma perché hanno dato il pulso alla formazione
delle lingue neolatine data la distruzione dell’impero (perdita dell’unità culturale e linguistica
dell’impero generata dalle invasioni barbariche). Se non ci fossero state queste invasioni, non
si sarebbe generata quella frattura delle province che poi ha generato i percorsi evolutivi
autonomi delle lingue neolatine.

INVASIONE ARABA
In Spagna si parla una lingua neolatina che si sta appena formando, che potremmo definire
protoromanzo iberico: quindi lingua spagnola in uno stadio di formazione primitivo.
Con la dominazione gota e una lingua neolatina in prima formazione, a quel punto avviene
l’invasione araba
 Riescono a conquistare tutta la Spagna in 7 anni e riescono a dominarla per quasi 8
secoli (711 d.C al 1492 quando l’ultima roccaforte del potere arabo in spagna,
Granada, viene riconquistata dai re cattolici segnando la fine della dominazione
musulmana
La reconquista avviene per tappe molto lentamente, quando la Spagna si è già riconquistata
tutto il territorio, rimane solo Granada, poi nel 11492 si decreta la fine
L’invasione araba occupa tutto il suolo peninsulare tranne qualche punto delle montagne del
nord (Galizia, Cantabria) e tutta la Spagna araba viene chiamata “Al Andalus”, non solo
l’Andalusia.
Conquista araba favorita dal primitivo livello di organizzazione sociale e culturale dei
visigoti.
 Erano delle tribù poco strutturate.
La spagna cristiana e poi germanica ora si confronta con l’Islam.

Tuttavia, la dominazione araba dell’epoca non aveva nulla a che fare con l’islam
fondamentalista ed estremista come quella odierna. All’epoca, la cultura islamica era
espressione di grande civiltà, molto più avanzata di quella europea su tutti i livelli della
cultura (matematica, filosofia, astronomia). Rispettarono in Spagna anche la libertà di culto,
la conversione all’islam non fu obbligatoria, e fondarono anche delle grandi scuole. Il primo
conservatorio in Europa fu fondato dagli arabi a Cordoba, quindi furono grandissimi
civilizzatori.
Nella dominazione musulmana in Spagna, un contingente importante fu rappresentato dai
berberi, popolazioni nomadi con identità linguistica e culturale differente da quella degli
arabi in senso stretto.

STORIOGRAFIA DELLA SPAGNA ARABA è spaccata in due. Ci sono due correnti:


- In otto secoli di dominazione, gli arabi ebbero un’influenza culturale determinante a
tal punto da considerare la Spagna l’oriente europeo. C’è quella storiografia che mette
in evidenza le influenze arabe della cultura spagnola, con Amerigo Castro capeggia
questa corrente.
- Tradizionalista: ritiene che nella Spagna musulmana, il passato preislamico (cioè
occidentale europeo) prevale rispetto alla cultura orientale importata dagli arabi. È
rimasta per lo più impermeabile, salvaguardando la continuità di un’identità culturale
occidentale
Sanchez Albornoz promuove questa tesi nonostante gli 8 secoli di dominazione.
Le argomentazioni dei due sono di carattere prevalentemente antropologico.
- Albornoz dice: gli invasori arabi costituirono un gruppo numericamente debole ed
erano gruppi esclusivamente maschili; quindi, necessariamente finirono per
assimilarsi alla società hispanica già a partire dalla seconda generazione in virtù dei
matrimoni che dovettero contrarre con donne necessariamente spagnole (per lo più
appartenenti dell’aristocrazia visigota, non con le donne del popolo). Queste donne,
spagnole, finorono per salvaguardare nell’ambito domestico il sostrato culturale
hispanico trasmettendolo ai propri figli durante la prima formazione spontanea. Nella
formazione più istituzionale, che però avveniva in un secondo momento, poi si
imparava anche l’arabo e solo nei figli di discendenze importanti
Quindi le spose erano un fattore di occidentalizzazione delle nuove generazione, ma al di la
di questo, un ruolo importante nell’occidentalizzazione della cultura hispano-musulmana
avevano anche le schiave:
 Importante funzione culturale, perché vnivano impiegate come poetesse, ballerine,
cantante nell’ambito delle feste aristocratiche. Erano di origine spagnola così
divulgavano un patrimonio culturale spagnolo, cioè il proprio. Potevano anche
divenire mogli legittime dei dominatori musulmanie trasmettere ai propri figli la
cultura spagnola.

Quindi secondo questa corrente i discendenti dei conquistatori arabi si sarebbero rapidamente
ispanizzati sia dal punto di vista biologico (figli di donne spagnole) e sia dal punto di vista
culturale (il primo imprinting culturale era quello trasmesso loro dalle madri spagnole, e solo
in un secondo momento venivano esposti ad una arabizzazione linguistica e islamizzazione
religiosa ma in modo tardivo e più superficiale).

Altro fattore di occidentalizzazione della Spagna musulmana, al di là delle donne, furono i


mosarabes, cioè spagnoli che non si convertirono all’islam e che continuarono a professare la
religione cattolica. Furono coloro che agirono come depositari della tradizione nazionale
cristiana occidentale.
Queste teorie vengono espresse in “Espana, un enigma historico”, libro di Sanchez Albornoz

- Amerigo Castro, la dilalia historica de Espana. Non ritiene che la Spagna sia rimasta
indenne dall’influenza araba ed insiste sul concetto di transculturazione.
 In un contatto tra due culture, il passaggio di elementi culturali non sarà mai univoco,
ma ci sarà sempre una reciprocità di influenze anche se la direzione prevalente sarà
quella dal gruppo dominante a quello subalterno, ma anche il gruppo dominato a sua
volta lascerà delle influenze nel gruppo dominante perché il contatto genera sempre
una reciprocità, quello che cambia è la grandezza dello scambio.
Sottolinea che questo contatto non portò solo un’acculturazione, ma transculturazione,
entrambi si influenzano reciprocamente. Se gli arabi erano i dominatori a maggior ragione
dovettero influenzare i cristiani che a loro volta influenzarono gli arabi.

Risponde punto per punto alla teoria di Sanchez Albornoz:


i guerrieri arabi non furono affatto dei guerrieri isolati, poco numerosi e di soli uomini, è più
opportuno pensare che a giungere in spagna furono intere tribù considerando
l’organizzazione tribale della società araba. Per organizzazione tribale intendiamo una società
dove l’identità è non tanto territoriale ma genealogica: a fare il gruppo non è il territorio ma i
rapporti parentali. Quindi se vado in un altro territorio tendo a portare tutta la tribù per
ricreare lì la mia identità. Pur ammettendo che gli arabi giungevano soli, è probabile che poi
si ricongiungessero con le famiglie nel nuovo territorio.
Considerando che la tradizione matrimoniale araba è endogamica (matrimonio con persone
facenti parti del proprio gruppo) è facile pensare che continuassero a sposarsi con donne
arabe. È vero che esistevano anche matrimoni misti, anche se non così frequenti come dice
Albornoz, ma all’interno di essi a contare non era l’elemento femminile, piuttosto l’elemento
maschile perché la società araba è patrilineare per la quale si ritiene che la trasmissione del
sangue, del nome e del patrimonio passa in linea paterna e quindi è facile pensare che se i
figli di questi matrimoni misti fossero biologicamente condannati non lo erano dal punto di
vista culturale perché a pesare era l’elemento paterno nella formazione di questi bambini. Le
madri alterarono il dato biologico ma non quello culturale.
Non è vero che le schiave indigene avevano un ruolo culturale importante, si formavano nei
conservatori fondati dagli arabi, dove imparavano la tradizione poetico-musicale araba ed era
quella che trasmettevano.
Mosarabes: se questi esponenti avessero voluto acquisire una formazione culturale
importante, sarebbero andati a studiare nelle scuole arabe (più importanti) ed inevitabilmente
finivano per orientalizzarsi.
Dice che è opportuno bilanciare l’ipotesi di Sanchez Albornoz di una totale continuità
occidentale della Spagna musulmana, al contrario fu fortemente islamizzata perché fu il frutto
di questa transculturazione

29.11.21

Indubbiamente hanno ragione entrambi, la Spagna si è orientalizzata in alcuni settori e in altri


meno, uno dei settori della cultura che in particolare ha ricevuto l’influenza araba è proprio la
lingua: la differenza tra italiano e spagnolo (lingue sorelle) nel lessico diverge perché lo
spagnolo ha accolto una grande quantità di arabismi, cosa che l’Italia non ha fatto sebbene
siano stati anche qui: intanto sono stati confinati in Sicilia e poi non sono stati 8 secoli a
dominare tutto il territorio.

INFLUENZA ARABA IN SPAGNA OLTRE AL SETTORE LINGUISTICO:


Esempio: azulejos di origine araba, architettura monumentale (alcazar, alambra – sede dei
regnanti arabi), architettura domestica (Andalusia caratterizzata da “casa patio” – case
monofamiliari caratterizzate attorno a un patio).

LETTERATURA
sorto in epoca medioevale, la jarcha : forma poetica frutto della transculturazione hispano-
araba.
 Brevi poesie di carattere lirico (non narrativo), cioè l’effusione sentimentale del
soggetto poetico, che risalgono circa all’XI secolo, di tradizione orale, anonime per lo
più cantatesostanzialmente di tema amoroso
Siamo quindi nell’ambito della poesia popolare, non colto: il poeta colto tiene alla paternità
della sua opera, mentre in ambito popolare i poeti spontanee del popolo cantano le proprie
poesie che passano di bocca in bocca dove ognuno che se ne appropria e ne apporta dei
cambiamenti, un elemento creativo proprio, è quindi un cocreatore. È una creazione poetica
liquida.
Il macrotema era il tema dell’abbandono amoroso subito da una donna: il soggetto poetico era
quasi sempre femminile, mentre nella poesia colta il soggetto poetico è sempre maschile (es
Dante, Petrarca) sempre caratterizzata da un macrotema dell’amore
Dal punto di vista linguistico, si caratterizza per un protoromanzo iberico macchiata da
spruzzi linguistici arabi: prestiti lessicali e sintattici arabi.
 Intorno all’anno 1000 le jarchas dimostrano la convivenza tollerante e fertile tra la
cultura araba e quella cristiana, proprio perché sono il frutto di questa
transculturazione hispano-musulmana possiamo dire a tutti gli effetti una forma
culturale mista

STRUTTURA POETICA:
la struttura strofica era costituita o da un distico (due versi che rimano tra loro) o da una
terzina (monorima, tre versi che rimano tra loro) o una quartina, dei quali rimavano solo i
versi pari

Que faré yo o que serad de mibi


Habibi
No te tolgas de mibi

 Forme arcaiche, come farè al posto di haré perché ancora è presente la “f” latina che
poi cadrà e si tramuterà in “h”.
 Arabismi: habibi = amato.

La lingua araba andava trasmettendo al romance hispanico che cominciava a formarsi proprio
in quel periodo molte parole.
L’elemento arabo dopo il latino è il più importante nel vocabolario spagnolo.
Tutte le parole che iniziano in a- o al- hanno un’etimologia araba
 Al è l’articolo in arabo. Lo spagnolo quando incorpora un prestito arabo, lo fa
aggiungendo l’articolo arabo e poi ci aggiunge anche l’articolo latino.
Es: alelí – al = incorporazione dell’articolo arabo a cui poi lo spagnolo aggiunge il suo
articolo (el alelí)
Invece gli stessi arabismi presenti nell’italiano non incorporano l’articolo arabo
Es: azucar – zucchero

Gli arabismi sono penetrati soprattutto in alcuni settpri della cultura.


- Settore bellico: essendo i dominatori avevano una superiorità bellica, es atalaya
(vedetta), tambor (tamburi)
- Tecniche agricole (in cui primeggiavano): azequia (canale), aljibe (cisterna). Prodotti
della terra: alcachofa, azafran, algodon, aceitunas, zanahorias, berenjenas
- Toponimi: Alcalá => al qalat, il castello; Aljeciras => al gazira, la isla; Guadalquivir
=> wadi = fiume, Rio Grande

Settori in cui è penetrato in modo più massiccio (bellico, agricoltura, onomastica).

TECNICA DELL’ACQUISIZIONE DEL PRESTITO:


- Arabismi prestati insieme all’oggetto che designano: se una cultura è portatrice ad
esempio di uno strumento tecnologico che non conosco, nel’aquisire questo strumento
posso acquisire anche il nome che lo designa. Se una cultura poi è particolarmente
etnocentrica o lo rifiuta o lo adatta.
Es: alambique (alambicco), altri prodotti della terra come albaricoque, albondiga, albornoz,
alcachofar, azotea, espinaca, jinete, limón, naranja
- Arabismi prestati nonostante l’esistenza di parole romanze equivalenti, magari per
questioni di prestigio. Ma lo spagnolo, lingua etnocentrica, anche quando accetta
l’arabismo lo mantiene in convivenza con il termine latino: si creano coppie
sinonimiche, dualità lessicali o addirittura il sinonimo romanzo viene soppiantato
oppure decade l’arabismo
Es: tejado – azotea (più in uso) ; zanahoria – pastinaca (caduto totalmente) ; alfostigo –
pistacho (decade alfostigo)

- Arabismi prestati senza l’oggetto in questione: quell’oggetto non è stato incorporato


nella cultura spagnola, ma se n’è acquisito il termine per definire quel culturema (che
si conosce anche se non è stato acquisito)
Es: mate (erba che si mette in infusione nell’acqua calda) con pratica comunitaria, cultura
argentina
- Prestito dell’oggetto senza il nome corrispondente adattato alla lingua della cultura
ricevente, prossimizzazione del termine
Es: ojalá, arabismo derivante da “allah”, slittamento anche semantico

CRONOLOGIA:
nel momento in cui gli arabi sono più forti in Spagna più forte è l’imprinting linguistico, più
la reconquista avanza, determinati arabismi (soprattutto quelli di prestigio) tendono a
decadere.
Dal 1300 al 1350, sono stati rintracciati 244 nuovi arabismi in vari settori della cultura, per
esempio baladí (= insignificante), azul, guay, jabalí, atun, limon, naranja, azucar, almohada,
zafiro, albornoz… sono rintracciati proprio in questo periodo
1350 – 1450: rintracciamo solo 400 nuove acquisizioni, quindi molto meno guardando l’arco
cronologico perchè nel frattempo, la reconquista andava avanzando quindi la componente
araba perdeva prestigio e dominio
1454 – 1514: calo significativo nella comparsa di nuovi arabismi, solo 300 alcuni dei quali
non si sedimentano nella lingua spagnola.
I fenomeni extralinguistici influiscono molto sulla lingua

Nell’alto medioevo la società cristiana attraversa un momento di forte stagnazione e quindi


assorbe tutto, mentre quando la Spagna riconquista politicamente e militarmente e l’Europa
occidentale entra nel rinascimento (fioritura culturale), la Spagna la cultura cristiana non ha
più bisogno di guardare al di fuori per alimentarsi.

Epoca dell’Umanesimo caratterizzata dallo studio dei classici, greci e latini assunti come alto
modello di cultura contro il buio della cultura medioevale: questo vuol dire che di fronte alla
nuova moda dei classici, si osserverà una nuova ondata di latinismi che andranno a
soppiantare gli arabismi.
 Rilatinizzazione delle lingue romanze

FONETICA SPAGNOLA INFLUENZATA DALLA LINGUA ARABA:


- suono fricativo velare sordo, segnalato graficamente dalla “j” o “g”, che non esiste ne
nel latino ne nell’italiano.
In origine la lingua spagnola ha soppresso questo suono, es “jarab” è diventato “árabe”
oppure lo ha sostituito con un “h” muta es “al jambra” (letteralmente la rossa) in spagnolo
“alhambra” (reggia dei sovrani arabi a Granada, rossa) o sostituito da una “f” es “al jaus”
(zona rurale piccola” diventa “alfos” ; “al jarabia” sostituito da una “g”, alguarabia.
È solo a partire dal 1500 quando il suono fricativo velare sordo è stato rappresentato dalla j o
g.
- Termini maschili che terminano con una consonante non tollerata dallo spagnolo:
risolto aggiungendo una vocale paragogica (d’appoggio). Esempio “jarab” diventa
“arabe”, la b finale scomoda per l’orecchio spagnolo viene risolta con l’aggiunta di
una -e. Altre volte viene sostituita da una consonante più sopportabile “al acrab” =>
“alacran”
- Nomi arabi che finiscono con vocale accentuata (parole tronche che finiscono in
vocale) poco tollerate dallo spagnolo: aggiunta di una consonante paragogica. Es “al
quirá” => alquiler

Arabo influenza solo il lessico, grammatica forgiata dal latino

SPAGNOLO DELLA RECONQUISTA:


Riconquista inizia con la presa di Toledo nel 1085 ad opera di Alfonso VI, l’ultima tappa è la
presa di Granada nel 1492 da Fernando e Isabella, ultima roccaforte.
Man mano che i re spagnoli riconquistano porzioni di territorio si vengono a creare in Spagna
dei regni indipendenti: la Spagna riconquistata non costituisce un territorio unitario ha un
frazionamento politico che si traduce anche in un frazionamento culturale e quindi anche
linguistico dando luogo a diverse fasce linguistiche
 Pluralità che prevale sull’unità

FASCE LINGUISTICHE una volta riconquistato il regno cristiano:


- Gallego – portugues in Galizia: galiziano, molto simile al portoghese
- Leones: Asturie confinanti a ovest con galizia a sud con Castilla
- Castillano: Castilla
- Navarro-Aragones: zona della Navarra che confina con i pirenei
- Catalano: Aatalogna

Derivano dal latino in modo parallelo e autonomo permesse dal frazionamento politico della
Spagna, ma tra queste lingue per stabilire l’unità politica il castillano ha prevalso su tutte.
 Il castillano prevale perché la Castilla ha costituito l’asse della Reconquista: quindi,
giunge a essere la lingua dominante nella vita istituzionale. Inoltre, il castillano è
diventato la lingua di un’espressione letteraria di enorme successo nel medioevo che
ha costituito un veicolo di affermazione del castillano: poesia epica, cantares de gesta.
Mentre nella poesia lirica medioevale prevalse il gallego-portugues.

POESIA EPICA
Poesia narrativa, poesie molto lunghe, anonime e di trasmissione orale, per lo più cantate o
recitate dai giullari nelle piazze. Poesia rivolta al popolo, non ai letterari, i giullari le
recitavano nelle piazze accompagnate per lo più da uno strumento a corda e cantavano la
storia delle grandi imprese della storia della Spagna, che in questo modo il popolo veniva
informato sulla storia spagnola (anche se a volte erano leggendarie).
Nel medioevo un poeta colto usava il latino, invece la poesia epica è la prima forma letteraria
che adotta la lingua castillana (può essere capita da tutti perché in quel periodo il castillano si
era affermata come lingua nazionale), diviene un grande veicolo di affermazione anche
linguistica del castillano.

Mester de jugaria: scuola letteraria dei giullari che raccontavano le avventure di eroi,
leggendari o eroi storici (per esempio eroi che avevano portato a temrine le imprese della
reconquista spagnola)
Cantar de Miosid: 1140, unico cantar dell’epoca che è giunto fino a noi quasi integro.
 Canti orali, quindi facilmente estinguibili se nessuno lo cantava.
Riflette avvenimenti storici avvenuti sotto Alfonso VI quando la reconquista raggiunge livelli
importanti proprio grazie al Sid Campeador, a capo della riconquista di Valencia del 1094.
Si tratta di poesie tirate: poesia lunga di versi senza suddivisioni strofiche, di versi dalla lunga
misura metrica (16 sillabe), divisi in due emistichi (8+8) in genere c’era una cesura dopo
l’ottavo verso
La rima era assonante (=> consonante, l’identità di suono tra due versi a partire dall’ultima
sillaba accentuata è uguale) cioè l’identità di suono riguarda solo le vocali

CASTILLANO DELL’EPOCA (medioevale):


- f latina di inizio parola (facer) diventa prima h aspirata e poi muta.
Fermoso => hermoso => ermoso
- sopprime la g e la i di inizio parola, ma solo davanti alla “e” atona.
Germanu => hermano
- se nella radice latina c’è un gruppo consonantico come kl, fl, pl o ll, interviene con
una palatalizzazione.
Clamare => llamar ; flama => llama ; pluere => llover

- riduce “ie” latino quando si trova davanti alla “l”, a una semplice “i”
castiello => castillo ; siella => silla

- “gl” diventa “j”


Muglier => mujer ; oreglia => oreja ; vieglio => viejo

- Kt e lt diventano ch
Lacte => leche ; multo => mucho

- Mb diventa m
Palumba => paloma ;

- Articolo maschile singolare oscillava tra el e lo, il castillano dell’epoca opta


definitivamente per “el”.

Mester de Clerecia
Altra forma di letteratura assolutamente elitaria, che anch’essa userà il castillano al posto del
latino. Fenomeno assolutamente nuovo.
La prima forma di letteratura colta che usa il castillano è proprio il Mester de Clerecia, la
scuola dei clerici che per la prima volta utilizza il castillano, cioè la lingua volgare per una
creazione letteraria scritta e dunque colta. È un po’ più tardivo rispetto al mester de juglaria,
perché risale al XIII secolo.
Gli autori del mester de clerecia sono i primi a elevare l castillano come lingua della scrittura
che fino a quel momento aveva impiegato solamente il latino, vuol dire quindi sottoporre il
volgare a una forte regolamentazione.
Si tratta di poemi narrativi, ma in parte differisce la tematica, è prevalentemente religiosa:
vita dei santi, miracoli della Vergine e di fatto uno dei testi più importanti è “milagros de
nuestra senora” scritto da Gonzalo de Berceo (si conoscono gli autori).
Ci sono anche testi di carattere storiografico, ma si predilige la storia classica, per esempio
vita di alessandro Magno – libro de Alexander sempre di Gonzalo de Berceo.
Anche la storia nazionale entra in queste opere, come la storia della reconquista, quindi in
questo caso la tematica coincide con i poemi epici quindi con il Mester de Juglaria. Es poema
di Fernan Gonzales – campagna militare contro gli arabi operata da Fernan Gonzalez

Non è solo la tematica che differisce, ma soprattutto lo stile. Autori colti con uno stile molto
più elitario, aulico e ciò che cambia oltre allo stile è anche la funzione letteraria che si
riconosce a queste opere.
Mentre il mester de juglaria voleva sostanzialmente intrattenere, divertire (anche informare in
parte), la funzione del mester di clerecia è prevalentemente moralizzante, cioè insegnare la
dottrina cristiana. La funzione didattica prevale su quella dell’intrattenimento.
Altro aspetto differente è la metrica, impiega la quaderna via
 Strofe di quattro versi che presentano una rima consonante che cambia in ogni strofa.
Deriva dalla Francia. Queste strofe con rima consonante sono monorime, i quattro
versi rimano tutti tra di loro.
Riceve dalla Francia questa influenza perché in quel periodo i contatti tra i due paesi
avvenivano lungo il Camino de Santiago (città della Galizia la cui cattedrale è il più
importante santuario del medioevo) che parte dalla Francia attraversando tutto il nord della
Spagna. Qui avvenivano i traffici commerciali ma anche mode.
Questi contatti che si generano lungo il cammino spiegano le influenze francesi nella
letteratura ma anche nella lingua, è un periodo in cui penetrano molti gallicismi soprattutto
nel lessico, es ereje, preste, fraile, coraje, linaje, meson, jardin, viaje, doncel...
Nella fonetica si possono considerare dei francesismi delle parole apocopate, (caduta della
vocale atona finale) mar, pan, sal …
A volte quando la vocale di fine parola cade, la consonante si modifica (si può dire in
entrambi i modi val/valle, caso di palatalizzazione)
9.12

Le prime forme di uso letterario del castigliano, come abbiamo detto, fu la poesia narrativa,
quindi l’epica, che però era una tradizione letteraria orale, di carattere popolare. A tale
proposito abbiamo parlato del mester de juglaria. Ma il castigliano medievale era anche
impiegato a livello scritto, e quindi abbiamo anche parlato del mester de clerecia. Appunto le
prime forme di impiego del castigliano sono state nella poesia narrativa: orale e scritta,
mentre la lirica usava il gallego portuges.

LA PROSA MEDIEVALE
Anche qui, gradualmente si inizia a usare il castigliano in sostiuzione al latino. Ma questo
processo è più lento e come unici esemplari di prosa castillana medievale abbiamo alla fine
12 e inizio 13 secolo soltanto alcune cronache, quindi alcuni testi corrispondenti al
giornalismo attuale, e alcune traduzioni della Bibbia. Si tratta di opere senza una vera e
propria funzione letteraria ma con una funzione informativa, in caso delle cronache, e con
una funzione di evangelizzazione o di formazione religiosa nel caso della Bibbia.
Alfonso X, el sabio, si considera il vero creatore della prosa castigliana. Nasce nel 1221 e
muore nel 1284: ci troviamo in piena epoca medievale. E a questo re si deve un nuovo e
decisivo impulso alla scuola dei traduttori di Toledo, famosissima istituzione del medioevo
spagnolo. In realtà questa scuola era stata creata nel secolo precedente, sotto la dominazione
araba, e già nel secolo precedente la scuola di Toledo aveva costituito un asse importante
della cooperazione intellettuale tra arabi (mori), ebrei e cristiani. Questa scuola era stata il
veicolo di diffusione in Europa del pensiero greco e del pensiero filosofico musulmano, che
tuttavia nel secolo precedente quando la scuola venne fondata, traducevano queste opere
verso il latino e non verso il castigliano. Ma con Alfonso le opere del patrimonio culturale
arabo ed ebreo vengono tradotte in castigliano. Quindi questo patrimonio scientifico e
culturale arabo-ebraico acquisisce una disponibilità molto più vasta, perché diviene alla
portata di lettura non solo alla classe colta, ma anche al resto della popolazione con
un’alfabetizzazione tale da poter accedere alla lettura. Quindi con questo resi da un nuovo
vigore alla scuola di Toledo con la traduzione al castigliano di questo patrimonio.
Tra l’altro le traduzioni portano ad una maggiore coscienza linguistica e ad una maggiore
maturità del volgare.
 perché la lingua castigliana nel tradurre opere del pensiero filosofico e scientifico, e
non solo la habla coloquial, deve necessariamente giungere a un livello di
maturazione superiore. Insomma, la lingua volgare non viene usata per parlare
comunemente, ma per tradurre opere di alta levatura intellettuale, quindi con un
registro ben diverso. Quindi le traduzioni facilitano una maggiore maturità del volgare
e una maggiore coscienza linguistica. Il castigliano viene quindi usato con piena
dignità come mezzo espressivo della cultura alta in sostituzione del latino e non
soltanto nella habla quotidiana

Quali sono le opere che in questo periodo vengono tradotte? Un patrimonio culturale
importante sia sul terreno della storia, della scienza, della filosofia e letteratura. Si pensi al
“saber de astronomia”: trattato scientifico importante all’epoca, oppure un corpus di leggi,
che erano le “7 partidas” (opera giuridica), oppure la “cronica general”, opera storica
monumentale che parte da Mosè fino ad arrivare alla Spagna preromana, romana, alle
invasioni germaniche, alla Spagna araba, fino alle prime tappe della riconquista a quel
periodo.
Naturalmente, è importante dire che l’intervento del re Alfonso X il saggio in queste opere
non era di diretta traduzione, non era lui che le traduceva, ma supervisionava e dirigeva
l’equipe di traduttori ed esperti, selezionando le opere da tradurre e supervisionando la loro
traduzione, era un ruolo direttivo più che operativo.

Nella sua fase primitiva e di nascita e primo sviluppo l’impiego del Castigliano avviene nella
lingua parlata e nella lingua scritta: anzitutto nella poesia narrativa (mester de juglaria,
clerecia), ma anche alla prosa.
Ma al dilà di queste note sull’impiego del volgare, dobbiamo anche interrogarci su che tipo di
lingua era. Abbiamo detto che era in fase di nascita e primo sviluppo, e c’è da dire che la
situazione è caotica: prima di giungere a una configurazione simile a quella che conosciamo
oggi, il castigliano dovrà aspettare fino al 1600. In tutta questa fase medioevale e poi
successivamente rinascimentale dove compiere una serie di scelte complesse e in questa fase
medievale predomina sicuramente il caos. Ora andremo proprio a vedere in cosa consiste
questa situazione caotica.
- Dal punto di vista della fonetica e dell’ortografia (suoni e maniera di rappresentare i
suoni) notiamo certe caratteristiche: quel suono che conosciamo e rappresentiamo
graficamente con “j”, per esempio nella parola “bajo” nel medioevo non si
pronunciava come lo pronunciamo oggi, ma “bascio” e quel suono velare fricativo
sordo attuale era rappresentato con una “x”. Successivamente questo suono si è fatto
fricativo fino a diventare quel suono /j/ rappresentato dalla “j”
- Anche una parola come “mujer” anch’essa caratterizzata dal suono velare fricativo
sordo, oggi rappresentato con “j” in epoca medioevale si pronunciava “mugier” quindi
con un fonema prepalatale sonoro rappresentato con la “g”. Successivamente questo
suono da prepalatale sonoro è diventato fricativo sordo, rappresentato con la j.

Anche sul piano ortografico degli stessi suoni, mantenuti come tali, sono stati rappresentati
graficamente in modo diverso.
- Il fonema dentale fricativo sordo, /z/ di forza e allo spagnolo brazo, veniva
rappresentato anziché con la z con una c con la dieresi sotto. Solo più tardi questo
suono dentale fricativo sordo viene rappresentato ortograficamente con la z e non più
con la c. Lo stesso accade per esempio nel verbo hacer, la cui forma medievale ancora
rappresentava la f latina, “fazer”, questa parola si pronunciava con z (fazer e non
hacer). E quindi la z rappresentava ortograficamente il fonema dentale fricativo
sonoro, mentre quello sordo si rappresentava con la c con la dieresi sotto. Abbiamo
detto fazer, quindi ancora con la presenza della f latina che solo successivamente
verrà sostituita da “h” aspirata e solo dopo da una “h” muta. Nell’epoca medievale si
alternavano le due forme: hijo (h sorda e aspirata) e fijo. Entrambe le forme: sia quella
che manteneva la f latina sia quella che la perde e la sostituisce con “h” si
alternavano.

Ecco perche si dice che si è in una fase di stato caotico, perché era ancora possibile optare tra
forme equivalenti e non si era ancora optata una scelta definitiva. Poi questi fenomeni sono
pian piano scomparsi perché la lingua castigliana ha operato delle scelte, mettendo ordine in
questo stato caotico.

- ancora si manteneva la e latina a fine parola, che in alcuni casi hanno perso, per
esempio dopo la “d”. si poteva dire ancora “Madride” in luogo dell’attuale Madrid. Si
manteneva la e latina di fine parola anche dopo la “r”, quindi segnore e non solo
segnor. Si manteneva anche dopo la “s”, quindi mese. Si manteneva anche dopo la
“l”, quindi sole, dopo la “n”, viene, e dopo la “z”,paze.
Viceversa, questa “e latina! finale in fine parola, che oggi nello spagnolo attuale si è
mantenuta, all’epoca poteva essere omessa e questo avviene dopo determinati gruppi
consonantici. Per esempio: all’epoca esto si diceva aquesto/aqueste e in questo caso
perdeva la “e” finale, riducendosi ad “aquest”, oppure “fuert”, “fizist”.
Quindi anche nella definizione dell’uso della e latina di fine parola c’era una situazione
fluttuante e diversa da quella attuale: in alcuni casi si manteneva (casi che oggi l’hanno
persa), mentre in altri veniva omessa (e oggi l’hanno recuperata). È un altro esempio di
questa enorme fluttuazione che, come tutte le lingue, la ha conosciuta anche il castigliano.

- Dopodiché abbiamo un altro fenomeno legato alla perdita della e latina finale che è il
rilassamento della sillaba che precedeva questa e latina finale. Rilassamento nel senso
che questa sillaba o consonante precedente la e latina finale si faceva sorda. Per
esempio: nueve, anziché diventare nuev diventava nuef, con un’alterazione anche
della consonante che precedeva la e latina una volta caduta.
- Anche la d finale di parola aquisiva un suono sibilante, che a volte si scriveva con la d
come nel caso di verdad, o a volte con la t o con il th, quindi verdad, verdat, verdath.
Quindi anche in questo caso la rappresentazione ortografica della parola conosceva tre
varianti che equivalevano a tre suoni diversi.
- Un altro fenomeno di caos riguardava la fluttuazione delle vocali atone, che non erano
sede di accento forte. Per esempio, nel caso di mejor: la e è atona e quindi poteva
essere fluttuante, poteva variare. Quindi anziché mejor, troviamo mijor. In Sebastian
la prima e è atona e anziché sebastiàn potevamo trovare Sabastian. Soltura (soltúra)
poteva diventare sultura, voluntad => veluntad, decir => dicir.

- Coniugazione dei verbi: ecco che arriviamo al caso estremo di otto forme possibili,
come nel caso del passato remoto del verbo hacer. All’epoca si diceva “fazer”, ecco
che l’attuale forma “hiciste” poteva essere detta e scritta in otto modi: feziste, fiziste,
fizieste, fezist, fizist, fiziest, fezieste, feziest

- Anche sul piano lessicale erano ammesse delle alternative, per cui potevo dire: conde,
ma anche comde, sendero, ma anche sembdero, verdad ma anche verdat, semana ma
anche setmana, juzgar ma anche judgar.

Sarà lo spagnolo del XIV secolo che incomincia a mettere un po’ di ordine, ma poi il passo
decisivo dal punto di vista di una regolamentazione dello spagnolo avverrà nel periodo
barocco (XVII secolo).

- anche l’uso dell’articolo era diverso da quello attuale. Era molto esteso e vi erano
molti casi in cui l’articolo poteva essere omesso. Per esempio, quando il sostantivo
era un sostantivo determinato da un complemento: per esempio, “i vassalli del mio
signore”, in questo caso il sostantivo signore è determinato da un complemento (dei
miei signori). In questo caso non si diceva “los vassallos de mi senor” ma
semplicemente “vasallos de mi senor”. Si poteva omettere anche quando il sostantivo
era a termine di proposizione: “muriò en el campo, en el castillo”, campo e castillo
sono termini di proposizione (NEL campo), anche in questo caso il sostantivo poteva
fare a meno dell’articolo. Poteva essere omesso anche quando il sostantivo aveva
funzione di soggetto generico: un re può farlo, non si diceva: un rey bien puede
hacerlo, ma “rey bien puede hacerlo”, il sostantivo re ha una funzione di soggetto
generico. Lo stesso quando un sostantivo era un nome di un gruppo: i mori lo fanno,
si dice “moros lo hacen”, perché moros è un nome di gruppo. La cosa vale anche per
un nome astratto: l’amor vero è una cosa nobile: amor verdadero es noble cosa.

- i verbi intransitivi si ausiliavano ancora col verbo essere anziché avere: son idos, son
entrados. Oggi si ausilia con l’avere e non l’essere e il participio passato non è
flessivo: ella ha ido, non es ida. Come verbo ausiliare il verbo essere ancora si usa in
paesi latinoamericani: è un arcaismo che almeno lo spagnolo di Spagna ha modificato.
È importante ricordare che il participio ancora concordava col complemento diretto:
la hemos vista al posto di la hemos visto.

- La preposizione “a” davanti all’oggetto diretto all’epoca era opzionale. Si poteva dire:
recibo a Leonor, oppure recibo Leonor.

- La costruzione diretta poteva essere usata in libera alternativa con la costruzione


preposizionale. Me atrevo a decirlo (il verbo regge la preposizione “a”), si poteva
anche dire senza preposizione: me atrevo decirlo. Sabe cocinar, sabe de cocinar. La
costruzione diretta, senza proposizione era liberamente alternativa rispetto a quella
preposizionale.

- Tener e haber erano verbi che si equivalevano nell’esprimere la possessione, mentre


oggi si è fatta una distinzione di campo netto (haber come ausiliare e tener come
possessione). Lo stesso caso valeva per ser e estar.

- Anche l’uso del congiuntivo nelle proposizioni subordinate: all’epoca, anziché il


congiuntivo si usava il futuro: cuando vengas a Italia te lo cuento: questa subordinata
di carattere temporale richiede il congiuntivo, mentre in passato i potevano usare i due
futuri come in italiano, quindi cuando vendràs, te lo contarè.

Anche dal punto di vista del lessico, molti termini in uso nel medioevo in alternativa a dei
sinonimi sono del tutto decaduti in favore di una delle due opzioni.
Ex:
- cabeza conviveva con tiesta.
- Pierna conviveva con camba.
- Manana con matino.
- Tomar con prender.
- Salir con exir.
- Quedar con remanir.

Lo spagnolo medioevale ha compiuto delle importanti conquiste, per esempio affermarsi


nella lingua letteraria, scritta, in sostituzione del latino, rimasta come lingua della cultura alta,
è già un enorme conquista.
Ma dal punto di vista grammaticale, sintattico, lessicale e fonetico il lavoro da fare per una
messa a norma della lingua era importante.

EPOCA RINASCIMENTALE (400-500)


Il 400 è caratterizzato dal punto di vista della corrente filosofica e letteraria dall’umanesimo:
caratterizzato dall’interesse, dallo studio, recupero ed esaltazione del mondo classico greco-
latino, considerato a tutti gli effetti come un modello da imitare, cioè una civiltà superiore
rispetto a quella immediatamente precedente del medioevo. Il medioevo dagli uomini del
rinascimento è considerato un periodo buio, barbaro, di decadenza culturale, mentre si
considera l’antichità classica come l’esempio massimo di civiltà.
Ecco che gli uomini del 400 si dedicano allo studio, alla traduzione dei classici che ammirano
ciecamente e intendono resuscitare come un ideale di cultura superiore. Anche la lingua
volgare viene considerata ruda e deserta rispetto alla lingua latina e greca, molto più abilitate
e capaci a esprimere un pensiero alto.

Ecco che il risultato di tanta ammirazione si traduce nel tentativo di trapiantare gli usi latini al
volgare. Quindi si assiste a un processo di rilatinizzazione della lingua e all’affermazione di
un ideale stilistico cultista: la lingua romanza per essere ben considerata deve assomigliare il
più possibile al latino. La lingua romanza derivava dal latino, ma dopo un lungo periodo di
distacco e di evoluzione autonoma da quella fonte, sentiva il bisogno di riavvicinarsi a quella
fonte, per questo parliamo di rilatinizzazione. Questa imitazione del latino comportò
l’insediamento nel castigliano rinascimentale di una serie di usi che poi però sono stati
dismessi, che magari sono tipici tutt’oggi nell’italiano ma che nello spagnolo non lo sono più.
Ex:
- iperbaton, chn consiste nell’alterare l’ordine degli elementi dal punto di vista
sintattico nella frase, tipico dello stile latino: las potencias del alma tres (al posto di:
las tres potencias del alma).
- Si adottava il participio presente in luogo della proposizione relativa: o voi che
dubitate (proposizione relativa), si usa o voi dubitanti (latinismo)
- L’infinito retto da un altro verbo (l’italiano lo ammette tutt’oggi ma lo spangolo no):
no creo ir/honestidad no es duda ser virtud muy grande.
- Oppure anteporre l’aggettivo al sostantivo.
A proposito dell’uso dell’aggettivo in spagnolo dobbiamo fare un’osservazione: in spagnolo
l’aggettivo si può situare prima o dopo del sostantivo (hombre bueno/buen hombre).
Sebbene lo spagnolo ammetta l’uso dell’aggettivo prima del sostantivo, lo preferisce dopo.
Anche in questo caso, imitando il latino, i casi di aggettivi anteposti erano più frequenti
rispetto ad oggi dato che imitavano il latino.

Dal punto di vista sintattico sappiamo che il latino è famoso per l’uso ampio dell’ipotassi:
periodo lungo con molte proposizioni subordinate oppure simmetriche, contrapposizioni,
parallelismi, antitesi, enumerazioni, secondo l’architettura ciceroniana che si basa su una
complessa ipotassi. Anche in questo caso si imita lo stile ciceroniano non solo dal punto di
vista sintattico, ma anche lessicale. Vengono acquisiti nuovi latinismi molti dei quali che si
consolidano nella lingua spagnola, mentre altri decadono perché non vengono più mantenuti:
Fruir al posto di gozar, punir in luogo di castigar (primi usi decaduti).

Ma in questo periodo di umanesimo (400) e rinascimento (500), i forestierismi non si


limitano al latino grazie alla moda delle lettere classiche. In questo periodo dobbiamo anche
annoverare altri foriesterismi, in particolare francesismi (galicismos) e italianismi.
A cosa sono addebitabili queste due fonti lessicali italiana e francese? Se non si tratta di un
rapporto di forza politico-economico tra due culture per cui una si impone sull’altra a
giustificare i prestiti sono le mode culturali, e in questo caso parliamo proprio di una moda
letteraria.
 È la moda del cosiddetto amor cortes, lo stilnovo (Petrarca). Il canone letterario
dell’amore cortese nasce in Francia (Provenza) e poi conosce una declinazione
efficace con il dolce stilnovo in Italia in particolare con Petrarca.

A proposito di questo canone dell’amor cortese, che è un canone poetico (poesia lirica),
avevamo detto che la poesia lirica in Castiglia (colta che si avvale della scrittura) fino al
XIII/XIV secolo era composta nella lingua galiziana, mentre nella narrativa si era già imposto
il castillano.
Adesso, dal 1400 il castigliano si impone anche nella poesia lirica in sostizuione del gallego-
portuges. Il catigliano che viene adottato nella moda dell’amor cortese spagnolo imita i
modelli provenzale e italiano ed è per questo che acquisisce tanti prestiti da quelle lingue.
Esempi:
- si diceva donna al posto di mujer, che poi decade.
- Si diceva uxel, anziché ave a imitazione dell’italiano uccello.
E questi sono italianismi di uso passeggero, quindi passata quella moda sono decaduti. Altri
derivati da quella moda letteraria si sono poi consolidati, come il termine: escaramuza
(scaramuccia) e novelar.
Fino alla fine del 400 viene giustificata questa alluvione latinista da un lato e la moda
dell’italianismo che influisce non solo nelle mode letterarie ma anche nella lingua che veicola
quelle forme letterarie.
Ma arriviamo a fine 400, quando i re cattolici Isabella di Castiglia e Fernando di Aragona,
unificano il regno di Spagna e non solo: esportano lo spagnolo nelle colonie del nuovo
mondo che Colombo ha scoperto e iniziato a colonizzare grazie ai finanziamenti spagnoli,
quindi inizia la colonizzazione spagnola del nuovo mondo, ovvero l’ispanizzazione del nuovo
mondo. Il nuovo mondo era abitato da popolazioni cosiddette “precolombiane” che parlavano
le loro lingue, avevano le loro tradizioni e che vengono ispanizzati.
 Ispanizzazione innanzitutto linguistica e religiosa: i due elementi della cultura che
maggiormente caratterizzano un’identità.
Per poter esportare e imporre lo spagnolo a popolazioni che avevano tutt’altra lingua di
tutt’altra radice, era necessario sottoporre la lingua spagnola a una riflessione teorica e a uno
studio linguistico: come poter insegnare la lingua? non esistevano grammatiche, dizionari, la
lingua si acquisiva in modo informale, mentre la lingua della cultura scritta era ancora il
latino, nelle mani di pochi dotti. Pian piano che lo spagnolo comincia a diventare la lingua
alta anche della letteratura e non solo della conversazione quotidiana e a maggio ragione
quando deve anche essere insegnata a popolazioni esotiche, assolutamente altre, c’è bisogno
di strumenti didattici, come le grammatiche (sottopongono la lingua a una riflessione teorica
e i dizionari.
 Alla fine del 400 è il periodo in cui si pubblica la prima grammatica dello spagnolo:
Gramatica Castillana, 1492 da Antonio Nebrija, primo che fissa delle norme per
codificare la lingua
 Arte de Trobar (arte di comporre), scritto da Enrique de Villena: trattato di fonetica e
ortografia castillana.

La regolamentazione grammaticale delle lingue era stata fino a quel momento riservata alle
lingue colte, ovvero il greco e il latino antico, che si dovevano apprendere con un tirocinio
informale. Mentre la lingua volgare che si apprendeva in casa, non si riteneva che si dovesse
affidare a una grammatica e nemmeno a un apprendimento attraverso i libri, perché si
apprendeva parlando.
L’ispanizzazione linguistica delle popolazioni precolombiane necessita di strumenti ed ecco
che la lingua per la prima volta diventa oggetto di una riflessione teorica e quindi di una
regolamentazione, di una messa a norma che sia valida per tutti. Quindi grazie a questo
fenomeno extralinguistico, cioè la colonizzazione di un nuovo mondo, che però
nell’ispanizzazione linguistica vede uno degli elementi più importanti (perché solo quando le
popolazioni conquistate iniziano a parlare la lingua si possono effettivamente controllare,
dominare). Grazie a questo fenomeno anzitutto di portata politica si inizia a riflettere e a
normativizzare la lingua spagnola.

Le popolazioni indigene vennero sterminate da malattie portate dagli europei, poi


naturalmente dalle guerre di conquista e anche dalla schiavitù: mettere ai lavori forzati delle
popolazioni che non avevano delle risorse fisiche tali da poter sopportare tanto lavoro forzato,
i conquistatori ritennero di dover importare dall’Africa dei nuovi schiavi: popolazione da
sempre a contatto con l’Europa (malattie no), poi erano fisicamente più forti, quindi nel
quadro del nuovo mondo si aggiunge una terza componente etnica (india autoctona, europea,
africana).
Gli spagnoli tentano di acculturare, in primis con acculturazione linguistica e religiosa
Lo spagnolo medievale inizia ad essere sottoposto a una regolamentazione nel 400, anche
grazie alla scoperta del nuovo mondo che induce alla necessità di avere degli strumenti
didattici e quindi una messa a norma.

Ora arriviamo al 500, dove si sviluppa un ampio dibattito su due questioni:


1) Disputa tra volgare e latino: il latino deve continuare ad esse considerata la lingua
della cultura alta, oppure no? Nessuno ha più dubbi sul fatto che il volgare si fosse
affermato anche come lingua anche letteraria e a questa conclusione contribuiscono
due fattori:
a. L’esaltazione nazionalistica: la Spagna, grande Spagna colonialista che ha
conquistato il nuovo mondo, che ha cacciato gli arabi, che è la prima potenza
mondiale che conosce un’esaltazione nazionalistica tale per cui è ovvio che la
propria lingua è quella che viene riconosciuta da un lato. L’esaltazione
nazionalistica favorisce l’affermazione del castillano come una lingua che
ormai ha diritto di cittadinanza a tutti gli effetti rispetto al latino
b. Componente filosofica: esaltazione filosofica del concetto di natura per cui il
castillano è la lingua naturale (che si usa naturalmente) mentre la lingua latina
è appresa, quindi non fa parte della natura. C’è l’esaltazione della natura nel
senso della spontaneità, e quindi queste due componenti favoriscono
l’affermazione della lingua volgare come lingua ormai valida e autorevole da
tutti i punti di vista (anche impieghi colti, alti, aulici)
2) Il dibattito non è più tanto latino/volgare, ma sull’uso letterario del volgare: ormai è
affermato che il volgare ha la stessa dignità del latino. Ma ammesso che il volgare è
una lingua degna anche della cultura alta e scritta, quale deve essere il suo registro? Il
registro del volgare scritto deve essere uguale da quello parlato oppure la lingua
scritta si deve differenziare per un uso più dotto? Quindi di sviluppa un dibattito
caratterizzato da due fazioni:
a. NATURALISTI: anche nell’uso letterario il volgare deve essere una lingua semplice,
simile a quella orale
b. CULTISTI: uso letterario del volgare deve differenziarsi sul piano stilistico dall’orale
per essere diversa, più ricercata, più colta.

JUAN DE VALDESA
Tra le voci più significative all’interno di questo dibattio, si annovera quella di Juan de
Valesa, il quale è autore di “El Dialogo De La Lengua, 1535”: la lingua letteraria deve essere
semplice, essenziale, concisa, esatta, caratterizzata da un minimo dispendio verbale. È quindi
contrario alla retorica altisonante e all’esibizione di linguaggio ricercato anche nel registro
scritto.
Difende il volgare rispetto al latino: la lingua naturale che ci viene trasmessa con il latte che
assumiamo dalle nostre mamme e non la lingua che apprendiamo attraverso i libri, cioè il
latino.
Ma qual è il suo stile reale di questo volgare? L’essenzialità. Bisogna evitare un dispendio
verbale ed espressivo inutile, in vista della concisione, dell’esattezza, della chiarezza,
evitando i giri di parole,in vista sostanzialmente della semplicità
 Lui dice: scrivo come parlo, quindi una sorta di ideale oralista anche la lingua scritta,
la quale deve riflettere lo stile della lingua parlata, sempre in virtù di questo ideale
della naturalezza dice: el estilo que tengo me es natural y sin afectacion ninguna
escribo como hablo. Solamente tengo cuidado de usar vocablos que signifiquen bien
lo que quiero decir y digolo cuanto más saneamente es posible, porque a mi parecer,
en ninguna lengua està bien la afectacion
Afferma che in nessuna lingua (né latino, né castillano, né lingua scritta né parlata) risulta
bella l’affettazione, cioè la ricercatezza, l’artificiosità.

E a coronamento di questa sua postura pan-oralista vi è un gesto rivoluzionario: quando deve


esemplificare fenomeni fonetici, grammaticali, lessicali stilistici ed etimologici, insomma
ogni volta che si deve avvalere di esemplificazioni linguistiche, non le ricava dai grandi
classici, non si avvalere delle autorità, ma del repertorio paremiologico, quindi dei
PROVERBI.
Infatti i proverbi sono un’espressione naturale della lingua e soprattutto perché sono in sè
un’espressione che si basa sulla brevitas: la brevità in sé evita il rischio di ogni ricercatezza e
pesantezza retorica in vista dell’economia linguistica. Il proverbio è dire molto con poco, con
un’espressione coincisa che con poche parole racchiude una grande sostanza. Quindi il suo
ideale di stile è la semplicità e in funzione della semplicità la brevità. Se ho poco spazio
espressivo dovrò usare i termini più diretti, chiari possibili evitando ogni forma di giri di
parole, di appesantimento retorico.
Dice che la brevità nulla toglie all’intensità dell’espressione, alla chiarezza del senso,
all’eleganza e all’enfasi espressiva.
 Non è vero che usare poche parole sottrae all’espressione la sua intensità, tutt’altro: è
la brevità che ci induce a cercare le espressioni più dirette, esatte e quindi più chiare.
Il veicolo privilegiato di questa auspicata essenzialità espressiva sono i proverbi, mentre
generalmente la letteratura cosiddetta alta è invece pregna di affettazioni, di artificio.

Quindi Juan de Valdes che dice “scrivo come parlo” e mi avvalgo dei proverbi, rappresenta
un gesto rivoluzionario, proprio perché equipara la lingua scritta a quella orale.

JUAN BOSCAN
Sulla scia di Juan de Valdes troviamo un altro autore della metà del 500 che è Juan Boscan, a
sua volta difensore della chiarezza e dell’immediatezza della lingua e questo suo ideale di
stile è particolarmente evidente oltreché nelle sue opere poetiche, anche in quelle traduttive.
Lui è anche traduttore e in particolare traduce il Cortigiano di Castiglione, capolavoro del
rinascimento italiano, attraverso cui castiglione si fa arbitre eleganziarum della cultura
rinascimentale italiana ed è un’opera della prima metà del 500 che lui traduce nel 1534.
Boscàn nel tradurre questo testo (di per sé portatore di uno stile elevato) fa un’operazione di
abbassamento del registro stilistico, di semplificazione, non solo di prossimizzazione alla
cultura e alla lingua spagnola (introduzione di frasi idiomatiche, di proverbi spagnoli, quindi
un avvicinamento del testo alla lingua e alla cultura spagnola), ma anche in qualche caso di
semplificazione: non si tratta di un abbassamento, perché non sfiora il volgarismo, ma
sicuramente è una semplificazione.
Attraverso quali strategie ottiene questa semplificazione?
- evita gli italianismi, quindi prestiti che potevano essere non del tutto chiari a un
pubblico più ampio
- evita latinismi presenti nel testo italiano (quei latinismi lessicali e sintattici assimilati
dall’italiano), cioè quei latinismi assimilati dall’italiano
- vita anche ogni cultismo, arcaismo e tecnicismo a beneficio di una terminologia più
familiare, che non è volgare.
- Evita parafrasi, circonlocuzioni, anche quella costruzione ipotattica di tipo
ciceroniano troppo complessa.
Evita queste cose attraverso delle sostituzioni, dei sinonimi, delle parafrasi…
In sostanza un vero e proprio processo di non solo castillanizzazione del testo, ma anche di
famigliarizzazione che acquisice una veste più semplice, più domestica. Questo, sempre in
omaggio a un ideale di stile semplice primo di affettazione, ma anche grazie a un concetto
libero di traduzione che privilegia non tanto “el rigor de la letra”, ma “la verdad de la
sentencia”, ossia la sostanza della comunicazione, più che la forma.
 Questo concetto libero di traduzione permette di operare questo slittamento verso una
semplificazione del testo originario. Non ho una concezione così stretta della
traduzione che mi costringa a tradurre parola per parola, se c’è qualcosa che non si
rende bene nella nostra lingua, non ho nessun problema o di cambiarla o addirittura di
silenziarla.
Naturalmente questo concetto di prossimizzazione, famgliarizzazione non è una difesa di uno
stile addirittura basso: sempre uno stile sorvegliato ma lungi da una concezione troppo
artificiosa della lingua

FERNANDO DE HERRERA
Nell’altra corrente cultista si colloca un altro esponente della cultura rinascimentale spagnola:
Fernando de Herrera. È uno dei poeti e teorici più importanti della letteratura, della lingua e
della poesia.
La sua poesia si caratterizza per l’intenzione di creare un linguaggio poetico molto dotto,
erudito attraverso l’affluenza in esso di cultismi: feruleo, horrisono, flamigero, poi decaduti
dalla lingua spagnola. Ottiene questo stile elevato anche attraverso una complessità sintattica:
iperbaton, ipotassi, polisindeto e poi all’intensificazione di una serie di risorse retoriche come
antitesi, metafore, anafore, pleonasmi, amplificazioni sinonimiche.
Herrera esprime questo suo ideale di stile erudito non solo direttamente tramite il suo
linguaggio poetico, ma anche con un trattato sulla poesia, “Obras de Garcilasos de la Vega
con anotaciones de Fernando de Herrera”, 1580, in cui prende la poesia di Garcilaso de la
Vega e le analizza, trattato di critica letteraria.

Nell’analizzare le poesie, elabora una sua teoria estetica che possiamo definire una poetica
del cultismo, dove valorizza positivamente, al contrario di Valdes, (che aveva valutato
negativamente l’uso di artifici per difendere l’impeto naturale della lingua, la naturalità della
lingua), l’artificio e l’elaborazione dell’espressione, lo studio erudito, in contrapposizione alla
spontaneità espressiva. Dice che la vera lingua poetica è frutto di studio, riflessione, artificio
e non di un impeto naturale, improvvisazione e spontaneismo a cui è assolutamente contrario
perché dice che la lingua scritta deve differenziarsi da quella orale, perché la poesia consiste
nel rendere nuovo ciò che non è. Ciò che non è nuovo è il linguaggio, perché è usato da
ognuno di noi (mentre ad esempio il linguaggio pittorico è proprio della pittura, non è
condiviso). dice che il poeta è colui che rende nuovo ciò che non è, cioè la parola: fa di una
cosa di uso comune una cosa speciale attraverso la ricerca di una forma ideale
 Se noi gente comune usiamo lo stesso linguaggio, non lo sappiamo fare come lo fa il
poeta perché lui sa dire le cose in maniera diversa
L’ornamentazione che consiste nella varietà terminologica, nella grandezza dei vocaboli
scelti in maniera tale che le cose comuni di fanno nuove e le umili di elevano. Quindi far
poesia non è parlare di concetti difficili, è di parlare anche delle cose più banali ma in modo
nuovo in modo tale da elevare la cosa quotidiana, quindi bisogna puntare a uno stile elevato
attraverso proprio l’artificio. Quindi arcaismi, neologismi, forestierismi, in contrapposizione
al linguaggio di uso comune ordinario (vocaboli umili).
Questo suo concetto alto di stile è stato chiamato IDOLATRA DE LA FORMA: specie di
idolatria della ricercatezza formale del linguaggio. L’espressione deve essere frutto di studio
e non di spontaneismo, dicendo in modo non comune le cose comuni.
Fa appello a tre livelli dell’espressione per poter parlar bene
1. Inventio: cercare un tema adeguato, anche se qualsiasi tema potrebbe essere adeguato
all’espressione poetica
2. Dispositio: il modo di organizzare il discorso
3. Eloquitio: ornamentazione dell’espressione, importanza della musicalità del
linguaggio poetico, il ritmo attraverso la metrica e anche attraverso i giochi eufonici
(assonanze, allitterazioni)
Dice che la missione del poeta è che parli un'altra lingua rispetto a quella comune, ordinaria e
dell’oralità e della comunicazione colloquiale e quindi complessità ed erudizione del
linguaggio poetico.

LUIS DE LEON
L’altro autore che si colloca sulla linea di Herrera è Luis de Leon. Appartiene a questa
costellazione di segno cultista ed esclusivista del linguaggio poetico che mira
all’innalzamento del registro stilistico poetico, che mira a quello che definisce un bien hablar.
Questo bien hablar esige:
1. CULTIVO: linguaggio che deve essere frutto di studio e non deve essere frutto di un
gesto spontaneo, di un’improvvisazione, letteralmente di coltivazione
2. CONCIERTO: lo associamo alla musica, quando più strumenti suonano in modo
armonico, coordinato, connesso. Quindi parliamo di ordine e regolazione
3. ESCOGIMIENTO: letteralmente è scelta, ma in questo caso potremmo ben parlare di
una selezione. Il linguaggio poetico è frutto di una attenta selezione.

Ideale stilistico che si riflette molto nella sua poesia, caratterizzata dalla cura dell’espressione
e ricerca della forma perfetta dove importanti sono le risorse foniche, per creare questo
concierto, armonia anche dal punto di vista musicale del linguaggio poetico (rime, rime
interne, omofonie, allitterazioni). E la cura degli aspetti formali non fa altro che esaltare il
contenuto del testo.
Pensiamo che nella sua poesia esistono dei latinismi, ma anche parole che restituiscono il
significato etimologico latino: in luogo di dìa, dice luz, in luogo di ahorrar dice perdonar,
quindi usa le parole spagnole con il significato etimologico latino e questo rende la lettura
della sua poesia molto difficile e questo atteggiamento iper-cultista alza tantissimo lo stile.

Il dibattito tra queste due correnti su quale registro di lingua castillana è bilanciato, se non
che nel periodo successivo (barocco) viene qualcosa che da ragione alla corrente cultista: a
livello storico nel periodo successivo prevarrà la corrente cultista. Il barocco è
un’enfatizzazione del concerto di artificio sostenuto già dalla corrente cultista all’interno del
rinascimento

BAROCCO (a cavallo tra 500/600)


Le frontiere cronologiche del barocco sono sostanzialmente il regno di Filippo III, dal 1598 al
1621, fino a quello di Filippo IV 1621, 1665.
Questa epoca che abbiamo definito in questo modo cronologicamente è per la Spagna
un’epoca di grandissima fioritura culturale su tutti i livelli artistici. Sul piano letterario
abbiamo: Cervantes, Lope de Vega, Gongora. Sul piano artistico pensiamo invece a
Velasquez. È un grande periodo di fioritura culturale nonostante la decadenza politica ed
economica: Quell’impero in cui non tramonta mai il sole, ovvero la Spagna del 500,
politicamente forte che caccia i mori e conquista il nuovo mondo acquisendo da esso risorse
di metalli preziosi (minere di oro, argento dalle quali affluiscono quantità di ricchezze
enorme), nel 600 inizia ad andare in contro a un declino innanzitutto economico e poi
politico, anche perché pian piano le colonie conquistano l’indipendenza fino a scomparire dal
controllo spagnolo.
Mentre l’Inghilterra nel colonizzare gli USA mette in opera una politica di re-investimento
capitalistico dei beni e delle risorse ricavate dalle colonie, la Spagna mette in opera una
politica di rapina e di consumo di tutti i beni del nuovo mondo, che non sono solo metalli
preziosi, ma anche beni alimentari fino a quel momento sconosciuti in Europa. Quindi è
chiaro che pian piano questi beni iniziano a scarseggiare e se non vengono riprodotti
finiscono.
Ovviamente tutte queste ricchezze vengono acquisite dal clero e dal sovrano.
Anche l’incipiente classe borghese in Spagna, grazie all’acquisizione di queste nuove
ricchezze dal nuovo mondo, acquistarono titoli nobiliari, smisero le attività produttive e si
assimilarono alla classe nobiliare che disconosce il lavoro manuale
 quindi l’economia spagnola entra in crisi in modo decisivo, che dura fino agli inizi del
900 che poi si concluderà nel 1898 con la perdita di Cuba, l’ultima colonia americana.

Il 600, nonostante veda innescarsi questa crisi economica, dal punto di vista letterario e
culturale è un periodo di grandissima fioritura.
ESTETICA DEL BAROCCO: rottura dell’equilibrio rinascimentale, del senso dell’armonia,
della naturalizza (le cose devono sembrare naturali e non frutto di studio), la chiarezza. Nel
rinascimento prevale questo senso di chiarezza, questi principi estetici vengono accantonati
dal barocco in favore del principio dell’artificio, della ricercatezza, complicazione, enfasi,
smisurato e anche dell’oscurità: gli autori non hanno l’esigenza di essere capiti da tutti, si
rivolgono a una elite di lettori che siano in grado di capire tanto artificio.
Quindi in qualche modo Herrera e Leon sono un ponte verso la sensibilità barocca o degli
antecedenti. Quell’idea di equilibrio naturale, soccombe di fronte al prevalere dell’idea
dell’artificio.

In Spagna il barocco letterario si identifica sostanzialmente in due correnti, che tra loro erano
fortemente contrapposte ma che in realtà sono le due facce della tessa medaglia dell’idea di
artificio: concettismo e culteranesimo. Applicano l’idea dell’artificio a due diverse realtà o
elementi dell’espressione letteraria.
- Il concettismo, come dice il suo stesso termine, applica il senso dell’artificio sul piano
del concetto, del pensiero, del contenuto dell’espressione letteraria, del significato, e
quindi si avvale delle figure retoriche del pensiero: giochi di parole, doppi sensi,
antitesi, paradossi. Quindi l’artificio si applica al contenuto dell’espressione letteraria.
Il massimo rappresentante è Quevedo, mentre il massimo teorico è Graciàn che
scrive: agudeza y arte del ingenio, opera del 1648.
- Il culteranesimo applica l’artificio non al significato dell’espressione poetica, ma al
significante, non al contenuto ma alla forma. Quindi si caratterizza per un lusso
formale, per la volontà di innalzare il linguaggio attraverso per esempio citazioni
mitologiche, latinismi, neologismi, metafore audaci, perifrasi eufemistiche (figure
retoriche dell’espressione, non del pensiero). Il risultato è un estremo decorativismo
della forma linguistica, un linguaggio aristocratico che giunge ad essere fortemente
ermetico, oscuro, perché non ha intenzione di essere capito, capisca chi è in grado di
farlo. La figura di maggior spicco di questa corrente è Gongora (=> generazione del
27 riconosce in lui un maestro anche per la questione della metafora visionaria
(metafore audaci): accosta elementi eterogenei, ma il poeta scorge una connessione tra
elementi tanto distanti)

Quindi la guerra che si scatena tra concettisti e culteranisti è in realtà falsa: entrambe le
correnti comunque inneggiano all’artificio anche se una la applica alla forma del contenuto e
l’altra alla forma dell’espressione.

Le opere di Gongora che maggiormente danno mostra di questa concezione estetica sono “Le
soledades”. È l’opera maestra di Gongora, il quale ha dettato legge, divenne una moda
poetica nel barocco assoluta. Addirittura vi erano schiere di imitatori del linguaggio
gongorino che naturalmente non aveva la stessa forza del suo inventore.
C’è da dire che se da un lato Gongora detta legge d’altro canto fu anche un notevole bersaglio
polemico da parte dei suoi avversari. Per esempio: lo stesso Quevedo fece delle satire
assolute nei suoi confronti: nei vari trattatelli lo prende proprio in giro, fino a che Gongora
non viene sottoposto a una vero e propria damnatio memoriae nel secolo successivo quando
invece torna un ideale classicista di stile poetico e quindi Gongora verrà criticato per essere
oscuro, ultraartificiale, incomprensibili.
Al di là di queste teorie estetiche bisogna comunque vedere l’evoluzione concreta della
lingua spagnola nel barocco. Abbiamo detto che se nel XVI secolo si è ricominciato a mettere
a norma la lingua per estrarla da quello stato caotico che era stato il medioevo, nel 600 si
arriva a una regolamentazione della lingua tale che si può dire che la lingua del 600 è più
vicina a quella odierna.

Vocalismo: abbiamo detto che vi erano oscillazioni vocaliche per quanto riguarda le vocali
atone. A questo punto si fa una scelta definitiva per una delle due forme: non più cobrir ma
cubrir, non roido ma ruido ecc. Cioè si riducono le oscillazioni di timbro delle vocali atone
che prima consentivano addirittura due forme.

Consonantismo:
- cade definitivamente la f latina sostituita dalla h, e cade anche l’aspirazione di quella
h, pronunciata come muta. L’aspirazione si è mantenuta come segno di volgarismo in
alcune parlate regionali.
- Poi si è giunti alla semplificazione di determinati gruppi consonantici: non più
cobdiciar ma codiciar, non cobdo ma codo, non dubda ma duda. Il gruppo latino kt
evolve fino a diventare ch, quindi nokte diventa noche. Il suono gn diventa la n con
tilde: pregnare diventa prenar. E il suono pt diventa ie: septem diventa siete. Quindi
questa riforma dei gruppi consonantici è a favore di una semplificazione.
- Tuttavia, in altri casi abbiamo delle complicazioni: si afferma la pronuncia bilabiale
indistinta tra b (b larga) e v (ve corta): gli stessi spagnoli quando scrivono si possono
confondere tra b e v perché si pronunciano allo stesso modo.
- Per questioni eufoniche, l’articolo femminile “la” sostituisce “el” nel caso delle parole
che cominciano con “a”, soprattutto accentuata: el agua, el aguila. Per quanto sia
eufonicamente utile, può generare confusioni.
- Per la formazione del condizionale, si ristabilisce la forma integra dell’infinito:
deberìa dalla forma integra dell’infinito deber, anziché la forma contratta medievale
debrìa. Al contrario, nel futuro si afferma la forma contratta valdrà in luogo di valerà.
Non è che una scelta sia meglio di un’altra, l’importante è stabilire la forma.
- Abbiamo anche forme di crasi: vuestra merced diventa vuestrarsed, vusted, usted.
Spariscono il nos e il vos in alternativa a nosotros e vosotros: la forma contratta
sparisce perché potevano generare degli equivoci dal punto di vista dell’uso del
nominativo oppure del pronome. Ma poi vedremo che l’uso del voseo come forma
nominale permane nello spagnolo d’Argentina.
- Per la formazione del superlativo si afferma il suffisso in -isimo mentre fino a quel
momento il superlativo aveva prediletto la forma con muy: muy dificil al posto di
dificilismo, e questo è un latinismo e anche un italianismo. Si definisce l’ambito d’uso
dei verbi haber e tener: haber funzione ausiliare e tener esprime possesso. Anche ser
ed estar definiscono il loro uso.
- Si estende l’uso della preposizione “a” davanti all’accusativo di persona.
Quindi si mette ordine a questi punti confusi nel tardo medioevo, ma ancora si ammette il
pronome davanti all’infinito, all’imperativo e al gerundio, mentre l’uso attuale postpone il
pronome. Per svegliarci: ora para despertarnos, si poteva dire para nos despertar, si poteva
dire no te prometiendo, no tienes que me cansar.

13.12
Epoca barocca: la lingua spagnola ha conosciuto un forte lavoro di selezione,
normativizzazione della lingua e quindi una fissazione di alcune regole che hanno messo fine
a quello stato caotico osservato nel medioevo e in parte anche nell’epoca rinascimentale
 600: modernizzazione della lingua che è quella che grosso modo si parla tutt’oggi, ma
le scelte forti sono state prese in questo secolo

VARIANTE ANDALUSA: l’andaluso non costituisce un dialetto, ma una variante


regionale. La differenza sta nel livello di autonomia rispetto alla lingua standard: il dialetto ha
spesso un livello di autonomia molto alta tanto quasi da costituire una lingua a sé stante,
mentre la variante regionale ha un livello minimo di autonomia rispetto alla lingua standard.
Ovviamente all’interno dell’andaluso esistono ulteriori differenze.

L’andaluso presenta differenze non grammaticali ma sicuramente fonetiche e lessicali, e in


parte anche sintattiche.
La variante andalusa ha iniziato il suo periodo di gestazione già nel XV/XIV sec., tuttavia è
uscito dal suo stato di latenza soltanto nel ‘600, affiorando allo sguardo anche dei linguisti e
degli hispanohablantes anche al di fuori dell’Andalusia.

CARATTERISTICHE FONETICHE: dobbiamo distinguere tra due tipologie:


- Quelle che possiedono una limitata diffusione socioculturale, cioè appartengono solo
al registro basso o popolare, chiamati volgarismi
- Caratteristiche fonetiche di ampia diffusione, in tutti gli strati sociali.
Il secondo ci interessa, le caratteristiche sono:
- SESEO: sostituzione della “c” e “z” con “s”. corazones > corasones.
È un fenomeno che produce delle confusioni, perché ci sono termini la cui pronuncia
varia solo su quell’asse; es consejo = consiglio – concejo = riunione. Segar =
mietere//cegar = acciecare
- YEISMO: consiste nella sostituzione del suono “ll” con il suono della “y”. Calle >
caye
- ASPIRAZIONE DELLA S IMPLOSIVA: cioè in posizione finale di parola, si può
pensare che la “s” cada, ma in realtà è sostituita da una lieve aspirazione. E
ovviamente caduta della “s” nei plurali: los arboles > loh amigoh
- “S” DAVANTI A UNA CONSONANTE SI ASSIMILA ALLA CONSONANTE
CHE SEGUE, PRENDENDO IL SUO PUNTO DI ARTICOLAZIONE: Cristina
> Crittina; mismo > mimmo
- DAVANTI A UNA NASALE, LA R SI ASSIMILA A ESSA: carne > canne
- PERDITA DELLA “D” INTERVOCALICA: todo > too; comprado > comprao. La
“d” cade anche in posizione finale: Madrid > Madri. La “d” cade anche davanti alla
“r”: padre > pare; madre > mare.

Poi ci sono caratteristiche classificabili come volgarismi


- METATESI: inversione della posizione dei fonemi all’interno della parola
 pobre > probe
- SOSTITUZIONE DELLA “B” CON “G” NEI DITTONGHI CHE
COMINCIANO CON U: buena > guena; abuela > aguela
- ROTACISMO: sostituzione della “l” con “r” colción > corcion; alma > arma
- RILASSAMENTO DEL SUONO “CH”: invece di “ch” viene pronunciato “sc”
- ASPIRAZIONE DELLA “H” INIZIALE: hierro > jierro, ma non tutte le “h” sono
suscettibili dell’aspirazione, tipo hombre, honor e haber non si aspirano. Le “h”
aspirate erano in latino una “f” latina, mentre negli altri casi, è perché nell’etimologia
latina erano già delle “h” non aspirate. Si aspirano le h derivanti dalla “f” latina, che
inizialmente si aspirava poi è diventata muta ma la “h” aspirata è rimasta come
volgarismo
- SUONO DELLA “J”: è una lieve aspirazione, più morbida di quella standard.

Volgarismi sintattici:
- INVERSIONE DI CERTE FORME NOMINALI: no se me occurre > no me se
occurre.
- DEQUEISMO: mettere la preposizione “de” laddove il verbo non lo esige, dile que
me traiga > dile de que me traiga
- USO DELL’ARTICOLO DAVANTI AL POSSESSIVO: mis padres > los mis
padres

RAGIONE STORICA
Ci occupiamo di questa variante perché fu la variante che si impose nella colonizzazione
delle Americhe, il primo imprinting linguistico avvenuto tra 500/600 è stato proprio
l’andaluso. Il Nuovo Mondo è stato linguisticamente andalusizzato, questo si spiega con il
peso quantitativo degli andalusi nel saldo migratorio nel primo periodo della colonizzazione,
cioè i primi colonizzatori erano prevalentemente originari delle città andaluse. Nel primo
periodo della colonizzazione (prima metà del 500), l’andalusia contribui con l’80%
dell’emigrazione e di questi, il 60% di colonizzatori era costituito da sivigliani. Negli anni
successivi, già intorno alla metà del 500, si cominciarono ad aggiungere anche colonizzatori
di altra provenienza, ma ormai quell’imprinting era stato dato.
Quindi i due fattori importanti sono:
- Preponderanza numerica
- Priorità temporale
Imprinting decisivo nella costruzione linguistica delle colonie.

Questo fenomeno di migrazione dall’Andalusia si spiega perché Siviglia a quell’epoca aveva


il ruolo di “Cabecera de Indias”, cioè chi regolava le faccende delle indie (nuovo mondo). In
termini più concreti, questo significa che il porto di Siviglia (sul fiume Guadalquivir, presso il
ponte di Triana) era stato concesso il monopolio di tutti gli scambi commerciali con il nuovo
mondo; quindi, tutte le merci dovevano passare da li e pagare dei dazi. Era un monopolio non
solo di merci (metalli preziosi, generi alimentari) ma anche di uomini.
 Tutti coloro che volevano cercare fortuna nel nuovo mondo all’inizio in veste di
conquistatori poi colonizzatori e poi come gente che cerca fortuna, in generale chi
voleva superare l’Oceano si doveva imbarcare nel porto di Siviglia e molto spesso i
tempi per concedere i permessi erano molto lunghi.
Quindi coloro che non erano sivigliani ma si recavano li per partire, capitava che ci
rimanessero per molto tempo e quindi finivano per siviglianizzarsi linguisticamente.

Questo protagonismo andaluso nella costruzione culturale del nuovo mondo si osserva
anzitutto nella lingua, per esempio troviamo il seseo diffuso in tutto il latinoamerica, oltre che
nell’architettura hispano-araba (quella delle città andaluse, case patio dipinte a calce) e anche
nel tipo di religiosità popolare molto enfatica, il culto mariano.

Altri andalusismi linguistici che troviamo nel Nuovo Mondo sono ad esempio l’uso di
ustedes al posto di vosotros, implicando anche un cambio nella forma verbale (la terza al
posto della seconda). Oppure lo yeismo, aspirazione della s implosiva, confusione tra l e r,
caduta della “d” intervocalica (non molto ma ad esempio a Cuba si, che è un andaluso molto
marcato).
Perché in particolare a Cuba gli andalusismi si sono sedimentizzati e addirittura sono stati
enfatizzati? Stretti contatti del Caribe con l’Andalusia, i primi territori che incontrano le navi
partendo da Siviglia sono proprio questi, gli interlocutori più diretti delle rotte navali
dell’Andalusia erano proprio le zone del Caribe

La storia dello spagnolo americano ha poi altri due fattori importantissimi che generano poi le
differenze interne:
- SOSTRATO LINGUISTICO PRE-COLOMBIANO: nei diversi territori prima che
arrivasse colombo vivevano queste popolazioni precolombiane, i tre gruppi etnici più
famosi erano inca, maya e aztechi ma ce n’erano tantissime altre. Queste lingue di
sostrato naturalmente contano molto nella configurazione dello spagnolo sovrapposto
a queste lingue. In alcuni casi sono sparite del tutto, in altri sono tutt’oggi vive e
hanno riconosciuto lo statuto di lingua ufficialie generando un bilinguismo.
- FENOMENI EVOLUTIVI AUTONOMI:

Le colonie si sono hispanizzate culturalmente e linguisticamente e negli incontri interculturali


esiste una direzione prevalente dell’acculturazione, ma non è mai così assoluto e netto, esiste
sempre (per quanto sbilanciata) una reciprocità. Anche il gruppo dominato passa elementi
culturali al gruppo dominante, così parliamo di transculturazione.
Dal punto di vista linguistico, i rapporti tra lo spagnolo e lingue indigene sono caratterizzati
da fenomeni di:
- Superstrato: influsso della lingua dominante su quella dominata. Ci fa pensare alla
penetrazione di ispanismi nelle lingue indigene
- Aastrato: influenza reciproca tra lingue coesistenti. Le lingue precolombiane hanno
resistito e hanno anche ottenuto lo statuto di lingua coufficiale.
- Substrato: influenza della lingua dominata su quella dominante

SUBSTRATO: in che misura le lingue indigene hanno influenzato lo spagnolo ad esse


sovrapposto? Le influenze hanno riguardato il livello più superficiale della lingua (lessico)
senza intaccare le strutture sintattico-grammaticali. Il lessico e vocabolario spagnolo in alcuni
casi è stato fortemente influenzato, incorporando diverse componenti da queste lingue,
acquisite in genere dopo un processo di adattamento fonetico e spesso i nuovi termini sono
stati incorporati insieme all’oggetto designato (oggetti che non si usavano in Spagna).
Es: amáca
Questo repertorio lessicale è più corposo soprattutto in rapporto al mondo animale, vegetale e
paesaggistico sconosciuto in Spagna e che evidentemente non possedeva una denominazione
in spagnolo, anche in riferimento a usi e costumi.

CASO DEI CARAIBI:


[Nell’america latina ci sono tre componenti etniche: indigena, europea, africana. Poi queste
tre componenti si sono combinate in modo diverso nei diversi paesi: Argentina ha prevalso il
bianco, per le continue immigrazioni dall’Europa e la veloce scomparsa della componente
africana, Cuba (e i caraibi) è il paese tra i più neri perché la componente autoctona indigena è
scomparsa, ma i bianchi che erano elite sociale quindi erano numericamente inferiore mentre
tutta la piramide era nera. Poi in paesi come Peru ed Ecuador ha prevalso la componente
india.]

Cuba era abitata dalla popolazione dei tainos, che tuttavia a causa dei virus importati dagli
europei, furono dimezzati e in trent’anni scomparvero dalla terra. Tuttavia, delle parole del
tainos hanno fatto in tempo a entrare e sedimentarsi nello spagnolo.
Es: patata, casique (capotribu), canibal (riti di cannibalismo), canoa, amaca, huracan, iguana,
mais, tabaco, papaya

Poi dal nawatl, la lingua degli aztechi hanno preso termini come: chocolate, tomate, chicle,
coyote, aguacate,

Dal quetchua, lingua degli indigeni dei peru: condor, pampa, puma, alpáca.

Dalla famiglia dei tupiguaraní: maracas, tapioca, peitunia, ananas


Ananas: gli spagnoli sono molto etnocentrici nelle questioni linguistiche, non amano i
forestierismi e se sono constretti a prendere un prestito tendono ad adattarlo foneticamente o
si inventano un termine equivalente. Nel caso dell’ananas, che prima di allora era
sconosciuto, dagli spagnoli non viene chiamato ananas (come ha fatto il portoghese) che
deriva dal lessema indigeno nanas, a cui hanno incorporato la “a” dell’articolo femminile. Lo
spagnolo lo chiama pina, per un processo molto comune per inventare un termine per un
oggetto nuovo, cioè la comparazione con qualcosa di conosciuto: l’ananas somigliava alla
pigna, quindi viene chiamata nello stesso modo

Oltre al lessico, l’influenza indigena è possibile che si sia verificata sulla fonetica, in
particolare sull’intonazione. Nello spagnolo d’america si osserva una ricchezza di
melodia/toni, e questa diversa intonazione potrebbe essere dovuta all’influenza di sostrato
della lingua precolombiana.

Meno influente fu l’apporto delle lingue africane, anche se il loro peso sociale era nulla
quindi non avevano la forza sociale di influenzare, ma comunque ha lasciato qualcosa. In
piccola parte l’ha fatto sulla lingua ma in grande parte sulla cultura musicale e coreutica
dell’america latina. Sul piano linguistico troviamo banana, samba, mambo, -co, -mbo.
Influenza anche sul piano dei sincretismi religiosi, religioni africane che si nascondevano
sotto un apparente cattolicesimo, ha dato luogo a forme miste di sincretismo come per
esempio la santeria afrocubana.

QUINDI, lo spagnolo in alcuni luoghi si è imposto e ha scardinato completamente le lingue


di sostrato (Argentina) in altri ha acquisito un ruolo sociale predominante ma a fianco di una
riconosciuta titolarità linguistica della lingua indigena, e in ogni caso ha ricevuto influenze
soprattutto lessicali da quelle lingue di sostrato che hanno resistito e soprattutto che hanno
avuto la forza di influenzare.
La componente bianca, nera e indios a volte sono rimaste divise ma la maggior parte delle
volte si sono fuse generando una nuova sintesi, generando una neo-cultura, con gradazioni
diversa a seconda dei territori latino-americani.

Già nel 700 la Spagna non è un impero coloniale forte e le guerre di indipendenza
cominciano nell’800
700 spagnolo: secolo caratterizzato dalla corrente filosofico-culturale dell’illuminismo
(ilustración) che si sviluppa nel periodo tra la Rivoluzione inglese (1688) fino alla
Rivoluzione francese (1789).
Estetica di questo periodo: si caratterizza per il culto della ragione e dell’esperienza, non
esistono fonti di conoscenza indipendenti dall’esperienza. Conosco solo ciò che si possa
sottoporre a prova sperimentale.
È chiaro che la realtà viene ridotta a pura immanenza, si esclude tutto ciò che è
sovrannaturale perché questo non è esperibile. La stessa idea di Dio si affida alla fede
(credere senza vedere). Si determina quindi uno spostamento di interessi dal sovrannaturale al
naturale e dalla trascendenza all’immanenza.
 Da grande impulso alla scienza e si afferma un processo di laicizzazione della cultura.
Il valore autonomo dell’opera d’arte, della scienza e della politica che non hanno una
relazione con il trascendente, con la religione, mentre nel medioevo ogni forma di attività
umana non poteva essere considerata al di fuori della sua relazione con il trascendente.

RUOLO DELL’INTELLETTUALE NELL’ILLUMINISMO


Anche l’intellettuale si dedica all’osservazione della società per migliorare la vita pubblica in
vista della perfettibilità dell’uomo, dell’utilità pubblica. Ecco che prevale nell’intellettuale
uno spirito di riforma e una funzione sociale. La letteratura è vista come uno strumento di
comunicazione in vista del fine pratico, dell’utilità sociale.
Quindi, non è una funzione puramente estetica quella che si riconosce nella letteratura,
perché il bello semmai coincide con l’utile. Ed ecco che si viene a creare una stretta
connessione tra etica ed estetica: è bello ciò che è utile, non ciò che è bello.
Dal punto di vista strettamente letterario prevale l’interesse per i contenuti, non per la forma e
affinchè essi abbiano una reale utilità devono essere espressi mediante una lingua semplice,
chiara, capace di arrivare a tutti. Si opta quindi per una letteratura didattica (volta insegnare
qualcosa di carattere filosofico che da peso al piano del contenuto) e quindi posto questo, tra i
generi letterari quello prediletto è la prosa.
 Poesia campo della soggettività, mentre la prosa soprattutto nella forma del saggio,
del trattato, più che del romanzo è il veicolo più adatto a comunicare contenuti
didattici
Premesse che incidono anche su una lingua letteraria comunicativa che non ha niente a che
fare con il culteranismo o il concettismo (culla dell’artificio, dell’enfasi espressiva a costo
addirittura di una oscurità del messaggio). Qui è tutto il contrario, la letteratura deve essere
comunicativa attraverso uno strumento linguistico immediato con funzione utilitaristica.

Due spagne:
- Spagna progressista e cosmopolita degli illuministi: auspicano un’apertura della
Spagna all’Europa affinchè intraprenda un percorso di svecchiamento e l’apertura
europea si volge in particolare verso la cultura francese, che nel ‘700 la fa da padrone
in Europa.
L’illuminismo nasce in inghilterra con l’empirismo di Lock ma ha avuto uno sviluppo più
ampio in Francia.
Questi intellettuali spagnoli progressisti che si volgono verso l’Europa e in particolare
alla Francia, superlativizzano l’importanza della traduzione, che permette il mutuo
commercio delle idee. Se non ho accesso alla produzione di un grande filosofo a
causa della barriera linguistica, è come un interruttore spento. La traduzione ha
l’importanza culturale di creare un mutuo scambio delle idee
- Spagna tradizionalista e nazionalista: rifiuta la tendenza extranjerista degli illuministi
e questi tradizionalisti o negano il ritardo culturale della Spagna del ‘700 e si volgono
solo verso l’elogio della Spagna passata (Carlo V), oppure se riconoscono questo
attardamento, cercano le soluzioni non osservando i modelli culturali più avanzati, ma
nella storia del passato spagnolo (passato glorioso). Atteggiamento introverso di
carattere nazionalista e di carattere tradizionalista.

Il dibattito tra questi due riguarda anche il problema della lingua, diviso tra:
- Puristi: rifiutano ogni prestito linguistico straniero
- Innovatori: aperti soprattutto ai gallicismos. Tra essi vi è un frate, Benito Geronimo
Feijoo, il quale è favorevole ai neologismi, ai prestiti linguistici, ma nella misura in
cui questi siano necessari a colmare un’insufficienza terminologica della propria
lingua e non nella forma dei prestiti di prestigio.
Definisce la lingua come organismo vivente in continua evoluzione e quindi è necessario che
integri costantemente altre parole laddove siano necessarie. E proprio per questa concezione
dinamica della lingua, è contrario ai dizionari: hanno una natura conservatrice, bloccano la
lingua in un determinato momento e a quel momento la fissano.

Nonostante la resistenza dei tradizionalisti, il predominio culturale della Francia illuminista fa


si che sia inevitabile un’alluvione di francesismi:
esempio: coqueta, chaqueta, pantalon, chalet, corset (moda)
secreter, sofa, neceser (interni)
croqueta, merengue, jefe (viene da chef in cucina, ora ha esteso il suo ambito
semantico), jardin, besamela, choffer, garaje, toilet, buffet, beige, clichet
 Alcuni termini adattati, altri invece sono rimasti uguali anche se lo spagnolo lo
pronuncia in modo differente.

Clachi:
peti metre > petit maitre: è una figura scomparsa, tipica della società settecentesca, cioè il
cavalier servente, uomo esperto nelle mode dell’alta società che accompagnavano e
istruivano le dame dell’alta società nelle mode parigine.
Composizione rispettata e adattata foneticamente a “petite maitre”

Non ci sono solo dei francesismi, ma anche italianismi. Un italianismo per petit maitre è
chicisbeo

Anglicismi: riguardano in particolare il mondo dello sport: futbol, tenis, golf, ma anche
roastbeef, tunel, lider, reporter, revolver
Alcuni di essi penetrano attraverso il francese e altri in modo diretto

Nel 700 non si afferma solo la corrente estetica dell’illuminismo, ma anche quella del
neoclassicismo: neo perché il classicismo si era già imposto nell’umanesimo, con riscoperta
dei classici e ora si ripropone in modo più o meno nuovo, e Ignacio de Luzan se ne fa teorico.
Il suo trattato, “poetica” viene pubblicato nel 1737 e vi è l’affermazione assoluta del gusto
neoclassico: l’arte classica è contrassegnata da una tale perfezione che non vale la pena
inventare nuovi sistemi, quanto più copiare quelli già esistenti che erano già perfetti
Dal punto di vista della letteratura: proporzione tra le parti del tema, ordine nella
presentazione degli argomenti, chiarezza e naturalezza. Ecco perché Gongora (alfiere del
culteranismo), viene stigmatizzato come stile ampolloso ma vuoto.
Si rende omaggio a una semplicità aggrazziata, alla chiarezza che non è bassezza e quindi una
nuova corrente estetica che influenza direttamente la lingua letteraria.
Nel XVIII secolo si accelera il processo di fissazione e messa a norma della lingua che
avevamo visto nel 600. Si formano due importanti istituzioni preposte a questo. 1713, si
forma la Real Academia de la Lengua Espanola, con il fine di vigilare sulla esattezza della
lingua e tra il 1726 e il 1739, vede la sua pubblicazione il Diccionario de Autoridades
 Dizionario dove il significato di ogni termine viene sostenuto dall’autorità di grandi
scrittori del passato.
Dal punto di vista dell’evoluzione linguistica si risolvono due problemi:
- Decidere se i gruppi consonantici che presentano le parole colte si debbano
pronunciare in modo fedele alla pronuncia latina o se si possono utilizzare le abitudini
della fonetica spagnola attuando quindi una semplificazione
La Real Academia si comporta diversamente a seconda dei casi
Ha imposto le forme con l’articolazione latina nel caso di: concepto (non conceto), efecto
(non efeto), digno (non dino), excelente (non ecelente), quindi non ammette la
semplificazione
In altri casi invece ammette semplificazione: fruto (non fructo), oscuro (non obscuro),
sustancia (non substancia)
- L’altro problema era la riforma ortografica, cioè come rappresentare graficamente
determinati suoni: prima del 700 si poteva usare la U e la V in modo equivalente
come segno grafico. Ora il suono vocalico “u” e “v” vengono così distinti.
Confusione tra “b” e “v” si optò per attenersi all’etimologia latina: caballo (non
cavallo), voz (non boz), beber (non bever)
Si eliminano altri latinismi: ph sostituito dalla f => filosofia
Si elimina il “th” a vantaggio della semplice “t” => teatro, non theatro
Si elimina il “ch” a favore del “q” => quimera, non chimera
Si opta definitivamente per la “c” in luogo della “q” => cuanto, cual, frecuente
Si riserva la “x” per il gruppo “cs” e la “j” per il fonema fricativo velare sordo

Anche nel 700 si va avanti anche se il grosso era stato nel 600.
Alle soglie dell’800 non ci sono grandi evoluzionii sul piano strettamente linguistico, Si può
parlare di lingue spagnole? Si certo, dato che lo spagnolo parlato nei diversi paesi
dell’america latina differisce da quello parlato in Spagna e nella misura in cui all’interno
della stessa America Latina lo spagnolo varia a seconda dei diversi paesi dipendendo sia da
vie evolutive autonome sia dalle influenze del sostrato linguistico indigeno a sua volta
differenziato.
Inoltre, nei 400 anni successivi alla colonizzazione, il costante flusso di migrati verso
l’america latina dall’Europa ha contribuito a introdurre ulteriroi fattori di differenziazione:
pensiamo al peso che ha la lingua italiana in Argentina

SPAGNOLO ARGENTINO
In Argentina la popolazione attuale è quasi tutta di origine europea (successive ondate
migratorie) e gli immigrati, in gran parte italiani, vi approdano dopo che il paese aveva già
conquistato l’indipendenza dalla Spagna nel 1816 ed ebbero un grandissimo influsso sulla
lingua.
Argentino caratterizzato dal VOSEO, che è la maniera di TUTEAR (dare del tu). Si
sostituisce il pronome “tu” con il promome “vos”, che comporta a una particolare
coniugazione del verbo che interviene nella seconda persona plurale (non nella seconda
persona singolare) sopprimendo la vocale debole della seconda persona plurale
Vosotros cantáis => vos cantas = tu canti – tu sei = tu eres = vos sos
- Anche l’imperativo della seconda persona singolare vede la soppressione della “d”:
cantad => cantá
- Dal punto di vista lessicale, l’argentino conserva molti arcaismi: linda al posto di
bonita.
- Uso del “che”: per richiamare l’attenzione, in spagnolo “oye”. È talmente tanto usata
che addirittura divenne il soprannome di Che Guevara, in realtà Ernesto Guevara,
chiamato Ernesto Che Guevara perché un argentino a Cuba chiamava l’attenzione con
il “che”, quindi era un modo diciamo di “prenderlo ingiro”.
- Lessico ricco di forestierismi dovuto alle forti migrazioni sobrattutto italiane: trabajar
=> laburar

INTERLINGUA LUNFARDO
Si tratta appunto di un’interlingua, di una lingua mista formata a Buenos Aires: nasce alla
fine dell’800 nella periferia di Buenos Aires (si dice nell’ambito carcerario come linguaggio
segreto per non essere capiti dalle guardie). Di fatto le prime documentazioni sono per mano
di alcuni ufficiali di polizia.
1878, “El Dialecto de los Ladrones”, trattato sul lunfardo da parte di un anonimo ufficiale.
Si tratta di un linguaggio speciale delle classi bassi di buenos aires, come varietà lingüística
addizionale, perchè non rimpiazza la prima lingua ma la sostituisce a seconda dei contesti di
comunicazione. Non è un dialetto e nemmeno una lingua (no sintassi e grammatica proprie)
ma è solo un vocabolario molto esteso che usa strutture sintattico-grammaticali della lingua
ufficiale.
Vocabolario estremamente esteso (5000 termini) che si oppongono alla lingua dominante

Meccanismi di formazione:
- Riscatta arcaismi del castillano
- risemantizzazioni (parole in uso alle quali viene affidato un nuovo significato in virtù
di uno slittamento semantico per restrizione o ampiamento) es: gringo, in spagnolo
significava straniero, nel lunfardo significato più ristretto di persona con capelli
biondi e pelle bianca (anglosassone).
- Combinazione tra due parole che genera un significato nuovo: mataburro: matar el
burro = uccidere l’asino, l’asino è metafora di ignorante, è il dizionario.
Mangiapapeles = avvocato
- Parole inventate, in realtà che scaturiscono dall’inversione dell’ordine delle sillabe
all’interno della parola, tecnica definita VESRE (reves): sabeca = cabeza; biarru =
rubia (raddoppiamento consonantico); cabo = boca; rioba = barrio. A volte però
questo genera un’alterazione delle consonanti e un’abbreviazione:
Lompa = pantalon, pa +alterazione consonantica della “n” che diventa “m” e cade la
sillaba “ta”: inversione + alterazione consonantica + abbreviazione
Feca: café, cambiamento d’accento, totin = vino tinto
Tombo: botón cambiamento d’accento + alterazione consonantica

- Extrajerismos: soprattutto italianismi e si spiega grazie alla massiccia migrazione


italiana in Argentina avvenuta per ondate successive per quasi un secolo, proprio
dopo l’unità d’italia (1861-1951).
È solo nel 1876 quando l’emigrazione diviene non solo legale ma viene favorita in entrambi i
versanti.
Ley de Avellaneda: favorisce entrata legale di manodopera contadina europea esperta, per
favorire immigrazione si riconoscono uguali diritti agli immigrati.
Legge Crispi 1888: liberalizza immigrazione, per evitare il conflitto sociale in un’Italia post-
unitaria che però aveva tantissimi problemi.

17.12
Il lunfardo in particolare, la lingua straniera dalla quale il lunfardo attinge un maggior
numero di lessemi è proprio l’italiano (ripetute e numerose ondate migratorie), soprattutto i
dialettalismi: perché nella stessa Italia la diffusione della lingua standard (e quindi
l’unificazione linguistica) è stato un fenomeno relativamente recente, al quale ha contribuito
in modo determinante la televisione. Quindi all’epoca delle prime ondate migratorie l’italia
non era unita linguisticamente. Inoltre, chi emigrava in Argentina erano le classi più basse,
con scarso livello di alfabetizzazione e quindi dialettofoni.
Tra l’altro si tratta di dialettalismi sia del nord sia del sud, in particolare i genovesi hanno
costituito il gruppo prevalente a Buenos Aires, insediati particolarmente nel quartiere “La
Boca”.

Al lunfardo quindi giungono particolarmente dialettalismi sia del sud sia del nord. Tra i
termini più diffusi abbiamo baffi al posto di bigotes, esbornia – borrachera, estufar – fastidiar,
chitrulo – bobo, iuorno – día, escochar - cargocear, birra – cerveza.
Questi prestiti sono stati adottati senza nessuna risemantizzazione, altre invece hanno
mantenuto la stessa fonetica e la stessa grafia però hanno acquisito dei significati diversi.
Es: girar (pronunciato con “g” di beige) = girare per la strada – passeggiare – prostituirsi

Dialettalismi del nord:


vento = dinero dal genovese; napia = nariz dal genovese; cana = carcel dal veneto

Dal sud:
cucuza = cabeza, pomarola = salsa de tomate

Gli extranjerismos non si limitano all’italiano, abbiamo francesismi che generalmente


riguardano il mondo dell’eleganza, della moda e dell’erotismo (champan, cabaret, cocot,
gigolo)
Poi ovviamente dato che si tratta di una lingua nata dalle classi sottoprivilegiate, indigenismi
per contatto con indios (dal guaranì o quetchua) o termini derivati dal contatto con
afroamericani (quilombro = alboroto).

Quindi gli extranjerismos derivano soprattutto dal contatto tra argentini sottoprivilegiati e
tutti quei gruppi etnici che entrano a far parte del sottomondo argentino per questioni
socioeconomiche: immigrati, argentini poveri che convivono nei quartieri della periferia si
contagiano linguisticamente.

Il lunfardo ha conosciuto una notevole estensione sia sul piano verticale (cioè si è esteso in
modo interclassista, da lingua dei poveri è diventata una lingua di uso molto diffuso
naturalmente a seconda dei contesti) e anche sul piano orizzontale in tutta l’Argentina. (mina
– da femina= mujer; guita = dinero)
 Da codice segreto è diventata la coinee che identifica soprattutto il Rio platense ma
anche l’argentino.
Questa diffusione è avvenuta perché la lingua ha conosciuto un processo di mediatizzazione:
media che si sono impossessati di questa lingua e che hanno facilitato la sua ampia
diffusione.
Questi media sono: anzitutto il tango, il lunfardo è divenuto la lingua del tango, canzone
classica argentina. Quindi il tango è stato un veicolo di diffusione considerevole, che quindi
grazie a questo processo di mediatizzazione da etnoletto primario è diventato etnoletto
secondario, cioè lingua del tango, che veicolando la sua più ampia diffusione gli ha permesso
di diventare etnoletto terziario, cioè parlato anche da persone che non appartengono allo
strato sociale che ha visto nascere il lunfardo.
Ciò ha permesso al lunfardo di perdere quella stigmatizzazione di malativa, povertà fino a
diventare non solo lingua del tango che poi si è diffusa in tutto il mondo, ma una lingua di
fusione interclassista nella stessa Argentina in tutto il suo territorio.

COCOLICHE
Varietà linguistica nata a Buenos Aires ove, ugualmente al lunfardo, il fattore italiano ha un
ruolo ancor più preponderante.
Il cocoliche era la maniera di parlare dei primi immigrati italiani in Argentina, quindi
un’interlingua tra italiano e castillano argentino, propria di quegli immigrati italiani che
capivano poco e cercavano di farsi capire come potevano, mescolando le due lingue. La
componente italiana era prevalentemente composta da dialettalismi.
Questa lingua mista deriva o dall’alternanza di parole italiane e argentine nella stessa frase o
parole inventate date dalla combinazione di desinenza argentine e radici italiane o il
contrario: generalmente per fare i plurali si utilizzava una parola italiana e si aggiungeva una
“s”.
Si inventavano quindi parole che erano estranee a entrambe le lingue di contatto e si
inventava una neolingua. Questa fusione di elementi rifuardava anche la sintassi, la
morfologia e la fonetica.

Generalmente i cambiamenti più comuni erano


- Struttura del plurale a favore dello spagnolo
- Tempo verbale con ausiliare: in favore dell’italiano, verbo essere anziché avere come
ausiliare

La prima testimonianza di questa lingua in Italia si deve a Edmondo de Amicis,


corrispondente di una rivista italiana, fornisce le prime testimonianze del cocoliche in seguito
a un suo viaggio in Argentina
“si precisa molta plata guastar capitali. Sono salito con un carigo di trigo”
 Parole italiane alternate a spagnole, insieme a neologismi derivati dalla fusione delle
due lingue
- Si precisa: precisar = aver bisogno di, è un argentinismo
- Molta plata = soldi
- Guastar: gastar e guastare (spendere)
- Sono salito: ausiliare essere + salire sulla barca
- Carigo: carico + cargo
- Trigo: ispanismo

Pronunciata da italiani da poco sbarcati in Argentina.


 A differenza del lunfardo questa lingua si è prodotta spontaneamente e per essere
capiti.
Inoltre, il cocoliche mischia solo due fattori linguistici: italiano di provenienza e
spagnolo acquisito. Nel lunfardo invece, che nasce da hispanohablantes si mescolano
varie lingue sebbene l’italiano prevalga.
Il cocoliche, lingua spontanea, ma è una lingua necessariamente di transizione: tanto
più gli italiani permanevano in argentina e conoscevano la lingua spagnola questa
lingua mista veniva abbandonata, tanto più la seconda generazione. Infatti, già dalla
seconda generazione veniva abbandonata data l’acculturazione linguistica. Al
contrario il lunfardo è una lingua a tutt’oggi viva.
Inoltre, si può dire che esisteva un cocoliche per ogni parlante: perché non solo il
fattore temporale era una variabile importante (se sto da più tempo parlerò pochissimo
il cocoliche), ma anche il fattore della provenienza dialettale (se vengo dalla Calabria
mescolo lo spagnolo con un sustrato calabrese).

Mentre il Lunfardo deriva da “lombardo”, perché gli emigrati lombardi facevano gli strozzini,
quindi ritenuti truffatori. Il cocoliche deriva da Cuccolicchio, personaggio del teatro comico
di Buenos Aires, Sainete, che aveva immortalato l’italiano ignorante che parlava questa
strana lingua.

Situazione dell’Argentina dove le lingue indigene si sono perse, dove l’afro ha influito poco e
prevale uno spagnolo rioplatense con questi due fenomeni interlinguistici.

PARAGUAY:
situazione diglossica, dove coesistono almeno tre livelli linguistici:
- Lingua precolombiana: guaraní, lingua di uso solo orale che dal 1992 è stata
dichiarata lingua ufficiale o co-ufficiale accanto allo spagnolo.
- Lo spagnolo: è la lingua di prestigio, anche scritto, e lingua di interazione con la
nazione con il mondo intero
Il paraguay ha le sue specificità, con varianti interclassiste (voseo, seseo) e poi volgarismi.
Tuttavia, lo spagnolo del Paraguay è molto contaminato dal guaranì, soprattutto dal punto di
vista lessicale, soprattutto relativi a realtà localizzate (flora, fauna, cibo) ma anche a livello
morfo-sintattico
- Jopara: pronunciato come “gio”. interlingua basata sulle strutture grammaticali del
guaranì e con un lessico misto tra guaranì e spagnolo.
Si tratta della modalità linguistica più diffusa a livello colloquale. Falsi amici tra castillano e
paraguay: guapo => nello spagnolo di spagna vuol dire bello, in Argentina coraggioso,
arrogante (guappo), in Paraguay vuol dire una cosa completamente diversa, cioè lavoratore.
Valle = valle, in paraguay vuol dire paese.
Querer = volere, amare, in paraguay vuol dire anche essere soliti.
Luego = in paraguay non ha soltanto il valore temporale di dopo o causale, ha un valore
asseverativo, enfatico. “una renga como yo, no sirve luego como hija de María” => non serve
mica, nemmeno, proprio
“Simon ya me lo dijo luego” = eddire che simon me lo aveva detto
“ese arbol, luego era la senal” = proprio quell’albero.

QUESTIONE DELLE VARIETÁ DELLO SPAGNOLO


Rapporto tra spagnolo di Spagna e gli spagnoli presenti in America Latina, lingue piena di
varietà influenzate da lingue afro, indigene e lingue dell’immigrazione europea, conosciuta
da tutta l’America Latina.
Dopo l’indipendenza dalla madrepatria, con guerre di indipendenza cominciate all’inizio
dell’800 e l’ultimo paese a conquistarla è stato Cuba nel 1898, fino a questa data si sono
susseguite una serie di guerre di indipendenza con la madrepatria e si è trattato di eventi
cruenti che poi hanno portato alla nascita delle giovani nazioni dell’America Latina, le quali
per una rivendicazione identitaria hanno per lo più assunto una posizione critica nei confronti
della cultura e della lingua spagnola, rivendicando la propria varietà linguistica.
In contrapposizione con questo desiderio di indipendenza linguistica, ha fatto resistenza il
purismo linguistico delle accademie sorte nel ‘700 in Spagna che miravano alla
conservazione della lingua spagnola di Spagna, miravano a stabilire una norma, una centralità
dello spagnolo di Spagna.
Tuttavia, una volta ottenuta l’indipendenza, iniziano a dotarsi di accademie proprie
indipendenti: la prima è stata l’accademia colombiana nel 1871, l’ultima è l’accademia
norteamericana de la lengua espanola, dovuta alle forti migrazioni, nata nel 1973.
Alla fine dell’800 ottenute le indipendenze il dibattito sulla lingua si fa sempre più acceso
questo perché la lingua è uno dei primi fattori di rivendicazione identitaria: il dibattito si
divide tra coloro che rivendicano il diritto ad una identità linguistica propria, e altri invece
che temono che venuta meno la forza centripeta della Spagna, che si potesse verificare quanto
avvenuto nell’impero romano: finita l’unità politica si generò una frammentazione linguistica
tale che dal latino si passò alle varie lingue romanze. Si temette che potesse accadere lo
stesso in Latino America, perché venendo meno l’unità politica della Spagna, si potesse
verificare una frammentazione linguistica analoga a quella verificatasi nell’impero romano
che avrebbe portato alla nascita di nuove lingue completamente diverse (sorelle, ma
indipendenti le une dalle altre, diversificate per tratti importanti).
Questo perché si considerava lo spagnolo corretto solo quello di Spagna quindi ogni
variazione da quel modello era considerata come un fenomeno patologico anziché un
processo fisiologico.
Ormai oggi come oggi è impossibile reclamare una norma assoluta e unica per tutto il mondo
ispanofono, come magari poteva essere come il periodo coloniale quando la Spagna aveva un
ruolo predominante nella standardizzazione. Oggi la lingua spagnola è un complesso sistema
di lingue nazionali che hanno i propri termini, usi.
Legittimare la pluralità normativa della lingua sapngola non significa metterne in pericolo
l’unità (paura ottocentesca), oggi la pluralità significa anzi ricchezza, che bisogna prendere
atto di questa varietà enorme, anziché imporre una norma unitaria impraticabile.
La stessa Real Academia ha superato questa visione monocentrica e considera le varietà dello
spagnolo americano non più come deviazioni ma come legittime varianti, non più una
minaccia ma una ricchezza, a tal punto che il motto della Real Academia è “unidad en la
diversidad “: riconoscimento del carattere pluricentrico dello spagnolo, cioè il riconoscimento
di diversi centri non sottomessi a una autorità egemonica.
 Dal punto di vista filosofico è la recente decisione della Real Academia, però c’è da
dire che se prendiamo in considerazione il Diccionario Panispanico de Dudas, fondato
circa nel 2000: prende in considerazione tutte le varietà linguistiche (ammette anche il
voseo argentino) e tuttavia il 70% degli errori sanzionati corrispondono a usi
americani. In Spagna vi è solo il 10% dei parlanti spagnoli, il 90% è in America
Tuttavia, la realtà dice che se questo carattere pluricentrico è riconoscibile sul piano della
lingua parlata, non lo è altrettanto nel caso della lingua scritta, più uniforme alla norma
peninsulare: o gli usi locali vengono usati nei dialoghi per caratterizzare il livello socio-
culturale di un personaggio ecc… ma sennò il registro dello spagnolo scritto è molto più
uniforme che non quello dell’oralità.

DIBATTITO SULLA LINGUA SCATURITO IN ARGENTINA DOPO


L’INDIPENDENZA:
Avvenuta nel 1810 ufficializzata nel 1816. Per gli uomini dell’indipendenza era importante
togliersi di dosso la situazione coloniale attraverso l’affermazione della propria lingua, cioè
eredità linguistica da parte della Spagna doveva essere messa in discussione in funzione di
un’affermazione identitaria nazionalista.

Il dibattito si articolava intorno a una sostanziale domanda: si può parlare di una lingua
nazionale rioplatense (spagnolo argentino)? A dare il via è il gruppo di intellettuali argentini,
esponenti della Generazione del ’37, figli dell’indipendenza caratterizzati da uno spirito
nazionalista, con un forte desiderio di affermazione nazionale a partire dalla lingua. Avallano
l’idea di una lingua nazionale, in alcuni casi pensando che l’argentino fosse una lingua meno
ricca, pura, contaminata dalle lingue dell’immigrazione, però pur ammettendo l’eventualità di
una corruzione si accetta come dato inevitabile (è la lingua che di fatto si usa).
Esteban Echeverría è stato il primo intellettuale a occuparsi di questa questione. Abbraccia
l’atteggiamento antispanista pur non portandolo alle estreme conseguenze. “la nostra lingua è
ancora fortemente dipendente da quella spagnola, così come la letteratura, anzi il patrimonio
letterario autoctono è scarsissimo” – infatti Argentina inizia a produrre una propria letteratura
nel corso dell’800 – “a causa della scarsità di una letteratura autoctona nazionale, la nostra
lingua continua necessariamente a dipendere da quel centro a noi esterno. Però noi dobbiamo
impegnarci nel creare una lingua nostra arricchendola con americanismi, coltivando
l’argentino attraverso la legittimazione di americanismi (degli usi locali), senza mai scadere
nel gauchismo”
GAUCHO: figura sociale tipica dell’Argentina, cowboy argentino, il contadino, che
rappresenta un soggetto sociale che appartiene al popolo, non colto, con un livello linguistico
non erudito. Gauchismo: popolarismo, volgarismo.

Juan Bautista Alberdi: uomo politico, diplomatico, intellettuale. Durante gli anni giovanili,
cioè nel periodo post-indipendentista, Alberdi assume una posizione fortemente nazionalista
e antiispanista. “Reaccion contra el espanolismo”: afferma la necessità di una lingua
assolutamente autoctona che non abbia niente da invidiare né da imitare allo spagnolo di
spagna. Ricerca di una lingua argentina a costo di identificarla con quella dei ceti più bassi
(ancor più estremista di Echevarría)
Questa passione antispanista cieca si assopisce con gli anni, viaggia anche in Spagn legge
grandi classici e mitiga questo suo estremismo e ammette che vi è un’uguaglianza di base tra
le due lingue, è sostanzialmente la stessa lingua e la apprezza nella sua variante ispanica
grazie alla lettura dei classici spagnoli.

Domingo Faustino Sarmiento: presidente dell’Argentina dal 1868 al 1874. Secondo lui,
costruire una lingua nazionale è il presupposto identitario irrinunciabile per la costituzione di
una nazione (ogni nazione deve trovare anzitutto nel veicolo linguistico la sua specifica
identità). Abbraccia l’antispanismo alla ricerca di una lingua che fosse solo americano,
coltivare una lingua autonoma è il presupposto per consolidare il sentimento nazionale.

 Alberdi pensa a una lingua specificamente argentina, Sarmiento a una lingua generale
ispano-americana, ma è un’utopia.
Questo suo desiderio di una lingua unitaria lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni pur
dovendosi sgretolare di fronte alla costatazione che al di là di una base comune, il castillano,
le differenze nazionali sono irriducibili.
Sarmiento attribuisce questo fenomeno all’isolamento delle nazioni latino-americane (vivono
isolate l’una dall’altra).
Critica il fatto che vi sono pochi rappresentanti letterari autoctoni: la letteratura argentina
ancora non ha dei suoi rappresentanti, ne numerosi ne particolarmente importanti. È un paese
che ancora non genera letteratura, impedimento importante.

Juan Maria Gutierrez: poeta, nel 1876 la Real Academia Espanola gli conferisce l’incarico di
corrispondente estero da Buenos Aires. Rifiuta perché gli fu richiesto di impegnarsi a
mantenere la lingua pura ed elegante nella variante standard europea. Lo rifiuta perché: dice
che ammesso che la lingua argentina sia una lingua corrotta dalle lingue dell’immigrazione,
“en las calles de Buenos Aires resuenan los acentos de todos los dialectos italianos, del
catalan, del gallego, del frances, del ingles ecc… y estos diferentes sonidos cosmopolizan
nuestro oido”. Nel termine “cosmopolitizan” non c’è un’accezione positiva, nel senso che
queste lingue dell’immigrazione contaminano la lingua argentina. “
Nonostante questa contaminazione europea sul nostro spagnolo, ammettiamo il dato di fatto
che questo è lo spagnolo che si scrive nei giornali, che si discute nelle nostre leggi, che
ascoltano le nostre orecchie, e questo è lo spagnolo veicola la comunicazione tra noi, quindi
tanto vale accettarlo.
La lingua castillana in america esiste, presenta queste influenze che mai la potranno rendere
simile alla variante peninsulare dello spagnolo, quindi questo purismo è come combattere
contro i mulini a vento, è un male? È tuttavia un male necessario
 Accettazione della varietà linguistica locale

Arturo Costa Alvarez: giornalista, traduttore, scrive “Nuestra Lengua”, esprime un’idea
molto precisa di lingua nazionale
 Nei paesi americani, la madrelingua spagnola è stata profanata dalle ondate migratorie
che l’hanno allontanata dagli standard peninsulari rendendola incolta e sgrammaticata.
Quel male necessario diventa inaccettabile nel suo caso.
Questa profanazione non è addebitabile solo ai parlanti comuni, la colpa è anche degli stessi
intellettuali che si lasciano contaminare dalle altre lingue anche a livello colto, che non
difendono la purezza, e che accolgono queste contaminazioni anche nel registro scritto.
Il suo progetto verte sulla purificazione e unificazione di tutti gli spagnoli a quello standard,
avvalendosi di strumenti di divulgazione di massa come grammatiche, dizionari. Dice che
questo non sarà possibile a casua dell’atteggiamento antispanista che ha dominato il mondo
intellettuale argentino almeno nella fase post indipendentista.

Amado Alonso: spagnolo. In una sua prima pubblicazione del 1935 “el problema de la lengua
en America”. Valuta in modo assolutamente negativo la variante rioplatense dello spagnolo,
affermando che in Argentina la lingua è di qualità inferiore, definendola “estrumento
estropeado, inadequado, corrotto”. Dice che il problema che riscontra è che a parlare male
sono non soltanto gli individui senza istruzione, ma anche le persone dei ceti più abbienti che
alimentano la diffusione di questo spagnolo corrotto attraverso questi scrittori che lui
definisce “escritores masa”, ossia scrittori che contribuiscono a massificare uno spagnolo
corrotto attraverso le loro opere.
Dice che in Argentina il poeta di una giusta e sorvegliata istruzione riguarda anche gli
scrittori. Condanna l’atteggiamento antispanista che ha allontanato la popolazione rioplatense
dalla purezza della lingua e poi dice che ciò che ha contribuito a questa assoluta corruzione
dello spagnolo rioplatense è il fenomeno migratorio che ha raddoppiato la popolazione di
Buenos Aires e da questi nuovi arrivati non si poteva certo pretendere un utilizzo corretto
della lingua spagnola (estrazione bassa, anche stranieri e che influenzano attraverso i loro
prestiti, che tra l’altro parlavano i dialetti).
Si propone di sensibilizzare il pubblico di Buenos Aires invitandolo a dare una dignità alla
parlata locale, fuoriuscendo da quello che definisce il suo “isolamento linguistico” per
difendere quella specificità. Invita la popolazione ad aprirsi verso la norma custodita in
Spagna.
Cinque anni dopo la pubblicazione di questa lingua, Alonso torna a parlare della lingua
rioplatense in cui la sua posizione è mutata: afferma che l’Argentina avrà un posto di
comando nei destini futuri della lingua spagnola, questi giudizi positivi permangono anche
nel 43 quando pubblica “Argentina y la nivelacion del idioma” nel quale afferma di confidare
nella variante argentina per la creazione di una lingua generale americana (concetto
discutibile); ma dice che se c’è uno spagnolo che imparenta i diversi paesi dell’america
latina, in questo spagnolo generale la variante argentina avrà un suo peso.
Dietro questo cambiamento cosa si cela? La realtà socioculturale argentina ha conosciuto una
sua evoluzione storica e negli anni 40 brulicava di nuove tecnologie della parola (radiofonia,
cinema, editoria), mentre in Spagna con lo scoppio della guerra civile, il focus dell’industria
culturale si sposta in America Latina: molti intellettuali spagnoli si autoesiliano per sfuggire
alla centura inizialmente vanno in Francia, ma poi la maggior parte di loro va proprio a
Buenos Aires (questioni linguistiche). Qui molti intellettuali trovano una piattaforma
editoriale per continuare a pubblicare.
Il focus della vita culturale si sposta soprattutto in Argentina e in questo senso Alonso si apre
alla variante regionale rioplatense proprio anche per i grossi progressi fatti.
Dal 40 in poi Alonso ritiene che ci debba essere un equilibrio tra l’aspetto evoluzionistico
della lingua (che deve tenere conto anche delle novità, varianti) e la norma cristallizzata,
l’alternativa non deve essere a scapito dell’unità.

Tra gli intellettuali che prendono parte a questo dibattito nel 900, si arriva a Amerigo Castro
(sul versante spagnolo) e Jorge Luis Borges (versante rioplatense): hanno una visione molto
diversa e aumentano questo dibattito dando grande visibilità.

Borges: “el idioma de los argentinos”, 1927. Dice che la lingua degli argentini è profanata da
almeno due influenze antagoniste, da un lato la lingua delle periferie, dai volgarismi e
dall’altro dai promotori del purismo spagnolo.
Tra questi due estremi bisogna trovare una giusta via di mezzo: il popolo porteno possiede un
idioma indubbiamente proprio, quest’accettazione vuol dire non chiudersi all’evoluzionismo
della lingua ma neanche appozzare nei gauchismos. Quindi l’idea di lingua per Borjes costa
in un gioco di equilibri. Riconoscere le peculiarità fonetiche, le intonazioni proprie, il lessico
proprio ma senza rompere la norma grammaticale che è centralizzata negli spagnoli.

Amerigo Castro: 1941, “la peculiaridad lingüística rioplatense y su sentido historico”. Si


oppone alla visione di Borges e traccia un percorso storico, cronologico della lingua e
asserisce che nella lingua argentina vi sia una falla a causa dell’accantonamento del progetto
di unificazione ispanica della lingua. Anziche gli argentini coltivare una lingua unitaria, si
sono voluti ghettizzare in un loro proprio isolamento. Dice che l’argentino non è altro che un
gergo orale corrotto da parlate del volgo e dai forestierismi. Condanna con fermezza quella
che secondo lui è una negligenza assoluta della norma grammaticale, cioè il voseo: è un uso
nato dal basso poi istituzionalizzato. Condanna l’avallo di istituzioni gauchesche sulle quali
esprime un assoluto dissenso e quindi responsabilizza di questa corruzione assoluta dello
spagnolo argentino una colonizzazione tardia
 È stato colonizzato per ultimo e quindi qui si è in qualche modo sedimentata meno la
lingua, una colonizzazione tardiva,
un altro motivo è l’arretratezza storica dell’Argentina rispetto agli altri stati sudamericani e
poi al successivo boom migratorio e quindi tutto questo rende una lingua che soprattutto dal
punto di vista lessicale presenta origini multietniche che ne hanno sporcato la purezza.

Borges imputa a Castro un’aspirazione ceca al purismo della lingua: dice che la lingua è una
realtà concreta, non è fatta di norme che si trasmettono a usi concreti, semmai sono gli usi
concreti che poi si normativizzano. Tutti coloro che sostengono il purismo dello spagnolo
peninsulare disdegnando la variante rioplatensi sono fautori di una caratteristica che non
esiste, perché nota Borges che se a livello orale esistono differenze, non ugualmente a livello
scritto quindi a livello scritto la lingua è più unitaria che non a livello orale.

20.12
RAPPORTO DEL CASTILLANO CON LE LINGUE MINORITARIE PRESENTI IN
SPAGNA: Catalano, Basco, Galiziano
 Lingue parallele che sono nate autonomamente dalla comune matrice latina con
percorsi evolutivi autonomi rispetto al castillano
Questo indipendentismo anche sul piano linguistico ha portato anche a uno scontro civile
molto violento.

Momento storico fondamentale: il franquismo, che impose il monolinguismo castillano. Il


franquismo si propose di eliminare le altre realtà linguistiche minoritarie presenti in Spagna,
di sradicarle mediante la proibizione del loro uso, almeno sul piano pubblico.
Motivo: il franquismo è una dittatura quindi molto centralista e le autonomie regionali erano
percepite come delle minacce separatiste contro l’unità spagnola rappresentata dal regime e
soprattutto in vista dell’ideologia nazionalista propria di tutti i regimi dittatoriali.
 Ci fu un’esplicita politica linguistica, si trattò di una vera e propria pianificazione
istituzionale di una condotta politica per vigilare sull’unità del regime.
Questo monolinguismo fu imposto non soltanto verso l’interno della Spagna, ma riguardò
anche la politica estera, venendo a declinarsi sottoforma di xenofobismo linguistico:
chiusura verso le lingue straniere, non solo non dovevano adottarsi prestiti stranieri (spiega
questo etnocentrismo anche tutt’oggi), e si tradusse anche come rifiuto di apprendere e
diffondere in Spagna le lingue straniere.
 Il motivo è perché il poliglottismo era considerato un segno di decadenza culturale,
perché la logica era: la Spagna storicamente è stato un paese imperialista e ha imposto
a tutti la sua lingua. I popoli che devono apprendere altre lingue sono i popoli
dominati, non i dominanti. Chi deve imparare un’altra lingua è perché è un popolo
dominato. Tra l’altro, gli ideologi del regime franquista dicevano che chi impara le
lingue straniere vuol dire rinunciare alla propria identità culturale e questo manifesta
un carattere collettivo della nazione debole e una personalità culturale povera.

Se il franquismo ha emarginato le lingue minoritarie spagnole e ha reso il castillano


impermeabile nei confronti delle lingue straniere, dall’altra parte ha anche modificato il
castillano, producendo una vera e propria colonizzazione linguistica dello stesso castillano:
attraverso dei tabú linguistici, per esempio basura (troppo diretto): residuos solidos.

POLITICA LINGUISTICA
Il regime ha conosciuto la sua fase di più aspra repressione nella prima metà, nella seconda
metà si è resa meno stringente la censura. Leggi applicate:
- 1939: il Ministero di Giustizia proibisce i nomi che non figurano nel Santoral
Cristiano; un’ordinanza del Ministero di Organizzazione e Azione Sindacale proibisce
le lingue stranieri nei titoli, negli statuti, nei regolamenti, nelle giunte… tutte le
società, organizzazioni così come i loro regolamenti devono avere nomi spagnoli
- 1940: tutte le insegne, le etichette e le marche dei prodotti dovevano essere in
castillano
- 1941: in Spagna si ammette solo il castillano come lingua dei telegrammi (per
comunicare con l’estero), oltre che l’obbligo di un linguaggio chiaro. Le lingue
straniere non erano facili da controllare e il linguaggio chiaro era per evitare linguaggi
in codice ecc; si emette una norma per la quale tutti i film devono essere in spagnolo e
quelli stranieri doppiati, così come tutta l’editoria doveva essere in spagnolo. Veniva
proibito l’uso di altre lingue anche in chiesa e soprattutto nelle scuole.

Si diceva che le altre lingue peninsulari fossero dialetti dello spagnolo, quindi con dignità
inferiore (sbagliato).

Viene attribuita a una serie di funzionari la missione di censurare, ma anche castigare tutto
ciò che uscisse da questa ortodossia voluta da Franco e il linguaggio era uno degli ambiti
principe su cui si esercitava questo controllo.

Prima che si imponesse il franquismo, la situazione linguistica era:


- Il GALIZIANO era d’uso comune in Galizia, diffuso sul piano orale non molto sul
piano scritto. I documenti, giornali si scrivevano in castillano
- EUSQUERA, lingua basca: meno parlato, gli stessi separatisti parlavano castillano
 Queste due non avevano una grammatica e di dizionari, che rendevano la situazione
poco solida anche nella trasmissione.
Di fatto prima del franquismo la maggior parte dei baschi e galiziani attribuiva una scarsa
importanza a queste lingue: erano considerate un ostacolo a una comunicazione culturale più
ampia.
- CATALANO: 1918 viene scritta una grammatica e nel ’32 un dizionario. La
coscienza linguistica era ben diversa. Inoltre, in Catalogna era già nutrita la
produzione editoriale (libri, stampa) già sotto la prima dittatura ma anche durante la
seconda repubblica ebbe una fioritura, durante la seconda repubblica di pubblicavano
in Catalogna ben 25 riviste in questa lingua. Quasi la totalità della popolazione
catalana era bilingue.
Il franquismo abolì questa co-ufficialità.

Con il tempo la censura franquista si indebolì, verso gli anni 50 si permetteva la celebrazione
religiosa in catalano e eusquera, poi gradualmente fu anche accettata la pubblicazione di libri
e nel 1945 fu approvata la fondazione di accademie della lingua basca e galiziana.
Nel 1957 nascono le cosiddette “icastolas”, cioè scuole che usano l’eusquera come lingua
ufficiale dell’insegnamento. Dal 57 al 65 ne sono nate ben 130. L’editoria è anche esplosa
con la fondazione di varie case editrici e negli utlimi anni del franquismo sia il galiziano sia il
basco conobbero l’impiego editoriale più ampio, addirittura vennero istituiti dei premi
letterari per opere in basco e in galiziano.
1951: viene fondata Galaxia, che inizialmente pubblicava solo in galiziano, ora è una delle
case editrice più importanti.
Cattedre di filologia galiziana, catalana (1944), basca, lingue diventate oggetto di uno studio
scientifico e di teorizzazioni.

Anni 40-metà anni 50: forte controllo della politica di Franco, dopodichè meno.

Dopo il periodo franquista, si parla di PERIODO DI TRANSIZIONE, cioè il passaggio dalla


dittatura alla democrazia che è stato rapido ma ha avuto bisogno di un periodo di
assesstamento per poter riassestare tutte le leggi, le istituzioni in funzione di una politica
democratica.
 Dopo la Spagna è esplosa per recuperare il ritardo storico novecentesco, è come se
avesse fatto una corsa nella conquista dei diritti civili, sociali, di tutte le istanze della
vita democratica.
Politica linguistica nel periodo della transizione:
- Liberazione del castillano da tutti i tabu linguistici imposti dal franquismo
- Liberazione delle lingue minoritarie rispetto al castillano che a quel punto ha un
riconoscimento ufficiale ampio.
Questo processo di transizione si avvia nel 1975 e con il successivo cambiamento di
direzione politica in senso democratico, con riflessi propulsivi straordinari. Tra i fenomeni
più significativi:
- Ricambio di una serie di espressioni, vocaboli esclusivi del vecchio regime,
sostituzione di un altro vocabolario connotato in senso democratico
- Riaprirsi ai forestierismi e incentivare l’insegnamento delle lingue straniere nelle
scuole

Influenza dei foriesteriesmi:


Latinismi – arabismi – italianismi (rinascimento) – francesismi (illuminismo) – anglicismi
(non quelli del 700 che penetravano attraverso il francese, ma la grande ondata che risale
proprio al periodo della transizione)

RAPPORTO CON L’INGLESE D’AMERICA


Grande emigrazione latino-americana negli stati uniti che ha fatto si che il castillano sia
entrato in stretto contatto con l’inglese. Lo spagnolo ha acquisito le dimensioni di seconda
lingua per gli USA con oltre 30 milioni di castillanofoni.
1977: viene modificato lo statuto della Real Academia in otto punti per adeguare all’attualità
la definizione dei compiti dell’accademia.
Tra le modifiche più significative abbiamo un comma aggiunto all’articolo 1 che prescrive
una più organica apertura dell’istituzione verso l’esterno, sia in patria sia in america latina.
Quindi quelle aperture della Real Academia non sono più soltanto nei confronti degli
spagnoli d’america, ma anche verso l’interno (lingue minoritarie spagnole).
la collaborazione con le accademie latino americane viene sancita per statuto, quindi diviene
parte della politica linguistica dello stato e poi viene esplicitamente indicata la collaborazione
con le altre accademie nazionali (delle altre accademie spagnole)
 Queste modifiche statuali comportano: apertura verso l’esterno, verso l’interno, e
anche verso il linguaggio parlato, quindi anche il linguaggio giovanile, gerghi ecc.. si
stabilisce anche un livellamento tra lingua scritta e parlata. Fino a quel momento la
lingua scritta era la lingua vera riconosciuta sul piano normativo, piano piano la
lingua parlata ha acquisito un riconoscimento paritario

BATTAGLIA FEMMINISTA per sottarre le incrostrazioni del linguaggio patriarcale: due


correnti nello stesso movimento femminista
- Usare la forma femminile anche in termini tradizionalmente maschili: quindi la
ministra
- Usare la forma maschile con l’articolo femminile.
In un caso viene affermata la radicale differenza di genere come un fatto positivo (non voglio
assimilarmi all’altro sesso distinguendomi da esso proprio perché sono sessualmente diversa),
l’altra mette l’accento sulla forma comune perché l’uguaglianza dei sessi va riconosciuta
nell’uguaglianza anche terminologica (non esistono maschi e femmine ma persone).

La Spagna ha fatto un grande lavoro per il riconoscimento formale del pluralismo linguistico
(territoriale, di genere…) e poi la costituzione democratica ha dato un grosso impulso a
questa politica, nell’articolo 2 si riconosce e garantisce il diritto all’autonomia delle
nazionalità e regioni che integrano la Spagna, e la ricchezza delle distinte modalità
linguistiche della Spagna è un patrimonio culturale che sarà oggetto di speciale rispetto e
protezione.
 Filosofia costituzionale fondata su un’organizzazione unitaria ma articolata in un
sistema largamente autonomistico (riconoscimento delle autonomie)

Gli statuti di autonomia di Catalogna, Paesi Baschi e Galizia sono stati approvati alla fine
degli anni 70 e all’inizio degli anni 80, sanzionando l’ufficialità delle rispettive lingue
accanto al castillano.
Tuttavia, dall’altro lato la costituzione attuale dice che gli abitanti delle nazionalità autonome
hanno diritto di parlare le loro lingue ma hanno anche il dovere di conoscere il castillano
come il diritto di utilizzare le altre lingue.
 Co-ufficialità e non una totale ufficialità

Da un’inchiesta è emerso che nei Paesi Baschi, oggi il 54% degli abitanti non capisce
l’eusquera, e oltre il 61% non lo parla, mentre appena l’8% è in grado di scriverlo.
Catalogna: 70% parla il catalano, ma solo l’11% lo scrive o lo usa a livello scritto
Galizia: 81% parla, appena il 6% lo scrive.

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