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Introduzione
Lingue: realtà in continuo mutamento ma percepite dal parlante come stabile; Le lingue cambiano
con lui.
Il mutamento linguistico non avviene secondo modalità uniche, le lingue romanze ad esempio, pur
derivando tutte dal latino, si sono evolute in modi diversi. Possiamo quindi spiegare i mutamenti a
posteriori, ma ci è difficile prevederli.
Capitolo 1
Classificazione genetica
1786, Sir Williams Jones scriveva dall’ India un memoriale alla regina di Inghilterra sulle
somiglianze tra latino greco e sanscrito. Questa data è comunemente riconosciuta come quella
della nascita della classificazione genetica delle lingue.
Si iniziò così a definire l’appartenenza di tutte le principali lingue europee e parte di quelle dell’asia
alla famiglia indoeuropea. Fra le altre famiglie ben presto viene identificata anche quella semitica.
Classificazione tipologica
Es. la discrepanza tra il francese e altre lingue romanze non è di ordine genetico, ma di ordine
tipologico, in una tipologia dell’espressione del soggetto.
La tipologia linguistica classifica le lingue in tipi e può dare diversi risultati in base ai parametri
impiegati. I campi privilegiati della tipologia linguistica sono due: morfologia e sintassi.
Classificazione areale
Classificazione delle lingue per aree linguistiche, dette che leghe linguistiche. La linguistica areale
studia la parentela fra lingue sviluppata per contatto; si dimostra utile per studiare le lingue per le
quali è difficile ricostruire una parentela genetica.
Lingue del mondo
Lingue indoeuropee
Una delle prime suddivisioni a essere stata individuata è quella tra lingue kentum (1 a 7) e satem
(circa, occidentali e orientali)
Le lingue romanze moderne più importanti: italiano, francese, portoghese, spagnolo, gallego,
catalano, ladino, rumeno. Importanti sono anche il sardo e il provenzale che non sono lingue
nazionali ma che presentano abbastanza diversità da poter essere considerate autonomamente.
Se torniamo invece ad esaminare il panorama delle lingue nell’Italia antica, accanto al latino
c’erano altre lingue indoeuropee, dette lingue italiche; fra queste ci sono l’osco (lingua dei
sanniti), primi secoli a.C. parlata nel meridione (tranne che in Sicilia), e l’ umbro, nei primi secoli
a.C. nell’Italia centrale. Queste due lingue sono strettamente imparentate tanto che spesso
vengono chiamate oscoumbro; la prima attestazione scritta è costituita dalle Tavole Iguvine,
ritrovate nei pressi di Gubbio e che contengono la regola della congregazione religiosa.
Importante è anche la presenza, nell’Italia meridionale già a partire dal II sec a.C, del greco.
Questo ha avuto moltissima influenza sul latino, in quanto i romani riconoscevano i greci come
popolo dall’elevatissima cultura. In epoca arcaica lo stesso ruolo fu giocato dall’etrusco verso il
latino. Nell’Italia settentrionale, fino al III sec a.C. (con la conquista romana) erano parlate lingue
del gruppo celtico
2. Il greco
Primi testi risalenti al 1150 a.C., sono tavolette di argilla incise; la lingua in cui sono scritte queste
tavolette viene detta greco miceneo.
La lingua letteraria antica si può dividere in 3 periodi: periodo arcaico (in cui vengono scritti i
poemi omerici); periodo classico (opere in prosa di Platone e Teuclide); periodo tardo (rispetto alla
frammentazione dialettale dei secoli precedenti si impone una varietà, detta koinè, da base per lo
sviluppo del bizantino e il neogreco). Il passaggio dall’antichità al medioevo vede, come per il
latino anche per il greco, una crescente scissione fra lingua parlata e lingua scritta; la koinè si può
considerare come il volgare per il latino.
Greco e latino ebbero contatti per moltissimo tempo e, quando la Grecia divenne provincia
romana in epoca imperiale, divenne anche sede di un crescente bilinguismo che ha influenzato
anche le lingue moderne: ciò si nota dai numerosi prestiti in entrambi i sensi.
3. Lingue germaniche
Europa centrale, penisola scandinava e Islanda. In origine, le popolazioni germaniche dovevano
essersi stanziate lungo le coste del baltico; a differenza dei romani e dei greci però, i germani non
conoscevano la scrittura e infatti le loro lingue sono state attestate solamente a partire dal II
secolo d.C. Già ai tempi delle prime attestazioni le lingue germaniche presentavano molte
differenze e per questo è stato possibile suddividerle a loro volta in 3 sottogruppi: germanico
settentrionale, orientale e occidentale.
Le iscrizioni più antiche sono state ritrovate in Danimarca nel II sec d.C. e sono dette iscrizioni
runiche; la lingua di queste iscrizioni è l’antico nordico, che può essere considerato la lingua da cui
derivano tutte le lingue scandinave: norvegese, danese, svedese e islandese (appartenenti al
gruppo germanico settentrionale).
La fonte letteraria germanica più antica è costituita dalla traduzione gotica dei Vangeli e di una
parte dell’antico testamento per opera di Wulfila, che evangelizzò le popolazioni germaniche dei
Balcani nel IV sec. d.C. La lingua di Wulfila era il gotico e la sua traduzione dei vangeli è il
documento più importante che testimonia la lingua germanica orientale, che è oggi scomparsa.
Le lingue a noi più vicine per posizione geografica appartengono al gruppo occidentale e si tratta
di inglese, tedesco, nederlandese, frisone e afrikaans. I primi testi letterari risalgono a un periodo
relativamente recente, il VIII d.C., come il poema del Beowulf (scritto in anglosassone) e
l’Hildebrandslied, scritto in longobardo.
La Germania ebbe una storia politica molto simile a quella dell’Italia: il tedesco era generalmente
diviso in alto, medio e basso. Il tedesco standard moderno di oggi deriva dall’alto tedesco antico.
Una varietà basso tedesca era invece il sassone antico. Varietà basso tedesche sono ancora parlate
nella Germania settentrionale ma non hanno generalmente lo statuto di lingue scritte.
Dall’anglosassone discende l’inglese moderno, lingua che ha subito notevoli mutamenti rispetto
alle varietà più antiche, dovuto soprattutto alla situazione di bilinguismo che si instaurò per 5
secoli a seguito della conquista normanna, che parlava francese antico. L’influenza di questa lingua
sull’inglese si riconosce per i numerosissimi prestiti (beef-ox/pig-pork) gli anglosassoni erano la
classe dominata ed allevavano il bestiamo; gli animali domestici infatti presentano nomi di origine
germanica, per le rispettive carni invece l’inglese moderno usa prestiti dal francese.
4. Lingue celtiche
Le varietà celtiche erano diffuse in buona parte dell’Europa continentale, estendendosi fino alla
penisola iberica e fino al territorio dell’odierna Ucraina. Come i germani, i celti non conoscevano la
scrittura. Le lingue celtiche sono sopravvissute fino ad oggi solamente in un’area ristretta: Irlanda,
Scozia e Galles. Le lingue celtiche si possono dividere in due gruppi: celtico continentale
(celtiberico, lepotonico, galatico) e insulare (gallese, irlandese, gaelico, scozzese, mannese,
cornico, bretone). Le prime fonti di irlandese antico sono dette fonti ogamiche (dal nome
dell’alfabeto in cui sono scritte) del IV sec d.C.
5. Lingue anatoliche
Lingue indoeuropee di più antica attestazione. La più importante a livello di quantità di
attestazioni è l’ittita, decifrata solo a partire dal 1916. La decifrazione dell’ittita e la crescente
comprensione delle altre lingue di questo gruppo hanno portato a una riconsiderazione profonda
della ricostruzione dell’indoeuropeo.
Le lingue anatoliche sono attestate a patire dal 1800 a.C ., tavolette di argilla scritte in sillabario
cuneiforme.
6. Albanese
Parlata nell’odierna Albania, le sue prime attestazioni risalgono al XV sec. d.C. Si divide in due aree
dialettali, il tosco, nell’Albania meridionale, su cui si basa la lingua ufficiale della Repubblica, e il
ghego, parlato in Albania settentrionale e in parti dell’ex Jugoslavia (Kosovo)
7. Tocario
A somiglianza dell’ittita, il tocario è di scoperta recente. I documenti in nostro possesso furono
rinvenuti solo a partire dell’800 nel Turkestan Cinese; si possono identificare due varietà: il tocario
A e il tocario B. Il tocario è importante perché si tratta della lingua indoeuropea più orientale a noi
nota ma che mantiene le caratteristiche del kentum. Essendo la suddivisione tra lingue kentum e
satem si basava sulla distinzione dell’area geografica, il tocario ha contribuito a mettere in
discussione l’utilità di questa suddivisione.
8. Indoiranico
Importante per la ricostruzione linguistica delle lingue indoeuropee del gruppo satem. A questo
gruppo appartiene il sanscrito, che all’inizio dell’800 era considerata la capostipite di tutte le
lingue indoeuropee.
Divisione in due gruppi: lingue iraniche e lingue indoarie.
a. Lingue iraniche: avestico e persiano antico. Attualmente parlate sono persiano moderno
(farsi), il curdo e il pashtun (Afghanistan).
b. Gruppo indoario: sanscrito (la sua varietà più antica è detta vedico). Due importanti poemi
epici che testimoniano la lingua: Ramayana e Mahabharata. Le popolazioni indoarie si
stabilirono nella valle dell’Indo ma non giunsero mai a ricoprire l’intera area del
subcontinente indiano: la parte meridionale rimane popolata da popoli che parlano lingue
non indoeuropee come il tamil.
c. Lingue arie moderne: hindi, marathu e gujarati e l’urdu (Pakistan); queste lingue hanno
subito forti influenze dalle lingue non indoeuropee parlate in India.
9. Lingue slave
Già dall’epoca delle prime fonti scritte, le lingue slave si presentano divise in 3 macrogruppi: slavo
meridionale, orientale e occidentale.
Slavo meridionale: attestazioni più antiche, traduzione della Bibbia ad opera di due monaci il
moderno alfabeto cirillico deriva dal greco maiuscolo con l’aggiunta di qualche segno. Dopo lo
scisma d’Oriente l’alfabeto cirillico rimase legato alle popolazioni di fede ortodossa mentre quelle
di fede cattolica adottarono l’alfabeto latino. Appartengono a questo gruppo le lingue moderne
sloveno, serbo, croato, bulgaro e macedone.
Slavo orientale: russo, bielorusso e ucraino
Slavo occidentale: è l’ultimo gruppo in ordine di attestazione a cui appartengono: ceco, slovacco e
polacco
Lingue afroasiatiche
Lingue dell’Africa settentrionale e del vicino oriente; si dividono in 7 sottogruppi.
- Lingue semitiche: più antiche, varietà dell’arabo; fra le prime lingue documentate al
mondo, risalgono al III millennio a.C. La lingua semitica più antica è l’accadico, lingua degli
assirobabilonesi
- Egiziano
- Lingue cuscitiche: somalo e oromo
- Lingue omotiche
- Lingue ciadiche: Africa Subsahariana e Chad
- Lingue berbere
- Sumerico: lingua isolata
Lingue uraloaltaiche
Tra le due famiglie che compongono questo gruppo, le lingue uraliche e le lingue altaiche, esistono
per lo più somiglianze tipologiche, come la morfologia agglutinante e la presenza di armonia
vocalica.
La famiglia uralica è divisa a sua volta in due sottogruppi: ugrofinnico e samoiedo. Le prime sono
lingue non indoeuropee parlate nell’Europa settentrionale e orientale: il finlandese, l’estone, il
lappone e l’ungherese.
Le lingue samoiede sono di attestazione recente, parlate nell’area della catena degli Urali e in
Siberia da piccole popolazioni nomadi.
La famiglia altaica si divide in 3 sottogruppi: turco, mongolo e tungusomanciuro. Le prime notizie
che abbiamo di queste tribù risalgono al III secolo d.C., quando gli unni vennero in contatto con il
romano impero. Il sottogruppo più grande e meglio noto di lingue altaiche è il turco. Varietà del
turco sono oggi parlate in Anatolia, repubbliche della Federazione Russa, Asia Centrale e Turkestan
cinese.
Lingue del gruppo mongolo sono parlate in Mongolia e parte della Cina settentrionale, le lingue
tunguso-manciurie sono parlate in Siberia e nella Cina nordorientale, fino alla penisola della
Manciuria.
Lingue caucasiche
Lingue palate nelle montagne del Caucaso. Si dividono in 3 macrogruppi: caucasico,
nordoccidentale, nordorientale e cartvelico. Non è chiaro come questi gruppi siano legati tra loro
nonostante coesistano in un’area piuttosto ristretta, dato che la loro somiglianza è di ordine
tipologico.
Al gruppo cartvelico appartiene la lingua caucasica meglio documentata, il georgiano.
Dal punto di vista linguistico l’area del Caucaso è molto interessante perché presenta un’elevata
frammentazione linguistica ma che allo stesso tempo è accompagnata da un’elevata stabilità; il
territorio montagnoso non avrebbe favorito l’ingresso (e quindi nemmeno l’uscita) delle
popolazioni, risultando in pochi contatti con l’esterno.
Lingue sinotibetane
Lingue di tradizione antichissima. Particolarmente per il cinese, le prime fonti scritte risalgono al II
millennio a.C.; la storia della lingua cinese però è più difficile da ricostruire di quella delle lingue
semitiche e indoeuropee di analoga antichità a causa dell’assenza di un alfabeto (e quindi di
regole scritte di pronuncia).
La famiglia sinotibetana si divide in due sottogruppi: cinese e tibetoirmano. Elevata
frammentazione linguistica, alcune varietà sono talmente diverse da non essere mutualmente
intellegibili. Le varietà cinesi si dividono in 5 grandi aree dialettali: mandarino (putonghua) che è il
dialetto di Pechino; wu, area di shanghai; min, varietà di taiwan; yue, cantonese e hongkong;
hakka, varietà nell’area sud-orientale.
La storia del cinese si divide in 3 periodi: cinese antico (epoca delle opere di Confucio), medio e
moderno.
Grazie al peso culturale dato dall’antichità della lingua, il sistema grafico cinese è stato adottato da
molte altre lingue, come il giapponese.
Nel gruppo tibetoirmano la lingua di attestazione più antica è il tibetano le cui fonti scritte
risalgono al VII sec d.C.
Coreano e giapponese
Presentano somiglianze dal punto di vista tipologico ma non hanno una parentela genetica
stabilita con sicurezza.
Il giapponese è attestato a partire dal VIII sec d.C., poiché il sistema grafico adottato fino a quel
momento è stato quello del cinese. Oltre al sistema grafico, il giapponese ha accolto numerosi
prestiti dal giapponese.
Il coreano ci è noto a partire dal XV sec d.C., quando venne inventata la scrittura alfabetica.
Lingue amerindiane
Anche le Americhe presentano una situazione linguistica molto differenziata che presenta una
certa continuità in America latina grazie alla colonizzazione da parte degli europei.
Le principali famiglie linguistiche dell’America latina sono l’utoazteco, che comprende il nahuatl, il
maya e il quechua, usato in Perù.
Sia gli Aztechi che i Maya avevano sviluppato propri sistemi di scrittura sillabica.
Un alto numero di lingue, i cui rapporti sono difficili da stabilire, è diffuso nell’America
meridionale, soprattutto nella foresta dell’Amazzonia; in questa zona infatti la penetrazione
europea è stata quasi nulla.
Le principali famiglie linguistiche del nord-America sono: eschimo-aleutino, varietà parlata in
Alaska e lungo lo stretto di Bering; il na-dene, a cui appartengono alcune lingue del Canada come il
gruppo dell’atapasco e il gruppo algonchino.
Pidgins e creoli
Quando gli europei colonizzarono le Americhe, fondandovi grandi coltivazioni di tabacco,
iniziarono a rapire gente delle popolazioni delle coste occidentali dell’africa vendendole come
schiavi. Queste persone che venivano portate a lavorare a stretto contatto però spesso non
parlavano la stessa lingua: dalla necessità di comunicazione, sia tra gli schiavi che tra schiavi-
padroni, nacquero nuove lingue, dette lingue creole. Queste sono caratterizzate da una forte
presenza nel lessico della lingua coloniale (anche detta lingua lessificatrice).
I pidgins (o lingue di contatto) si sviluppano dal contatto fra comunità diverse che hanno fra loro
soprattutto scambi economici. Particolarmente nota è i russenorsk, inizio del xx secolo nelle zone
di scambi commerciali tra Russia e Norvegia; è importante sottolineare che però i pidgins non
hanno statuto di lingue ufficiali perché non vengono tramandate e vengono utilizzate solo in
determinati contesti per il periodo di tempo necessario.
Capitolo 2
Modificazioni di foni
Assimilazione e dissimilazione
Ogni segmento sonoro dell’apparato fonatorio umano appare in un contesto che ne condiziona la
realizzazione: ciò avviene per un fenomeno chiamato di coarticolazione. Fenomeno per cui
normalmente articolando un suono, il nostro apparato fonatorio si prepara, per quanto possibile,
ad articolare in fono successivo.
L’assimilazione è la principale conseguenza della coarticolazione e può essere di vario genere:
assimilazione parziale, per cui il modo di articolazione resta diverso mentre il luogo di articolazione
diventa lo stesso; l’assimilazione fra segmenti può anche essere totale, ad es. in+ logico= illogico;
in+ reale=irreale; in questi casi la nasale del prefisso negativo -in si è assimilata totalmente alla
consonante che la segue. In questi casi l’assimilazione è di tipo regressivo, ovvero va “all’indietro”;
l’assimilazione può però anche agire in senso inverso, in questo caso si dice progressiva. L’italiano
presenta soprattutto fenomeni di assimilazione regressiva.
Per quanto riguarda l’articolazione dei segmenti in forme come banca, possiamo osservare che la
vocale della prima sillaba subisce gli effetti della coraticolazione: essa infatti presenta nella parte
finale una leggera nasalizzazione [bannca]. Il modo di articolazione della vocale si avvicina a quello
della consonante che la segue.
Fonologizzazione
Avviene qualora due allofoni vengano a trovarsi almeno in un contesto nella stessa distribuzione.
Ad esempio, in inglese in finale assoluto di parola il gruppo consonantico [ng] si è semplificato nel
senso che è caduta l’occlusiva finale. Fenomeno molto comune perché in realtà molte lingue non
supportano le code consonantiche complesse. La scomparsa del fono [ng] ha lasciato senza
contesto il fono [ng] che ha quindi assunto funzione distintiva. Ad esempio, nelle coppie di parole
son /son/ e song /song/, nonostante la grafia conservi l’occlusiva, essa non è più realizzata nella
pronuncia. Importante sottolineare che questo fenomeno riguarda la fine di parola; all’interno
della parola infatti il gruppo consonantico non è scomparso a livello fonetico; ad esempio in singer
/singger/.
Un altro caso di fonologizzazione è costituito dalla nasalizzazione della vocale che precede una
consonante nasale in francese.
Defonologizzazione
Rifonologizzazione
Fenomeno che non agisce sul numero delle opposizioni fonologiche. Essa consiste piuttosto nella
sostituzione completa dell’allofono principale di un fonema con un altro allofono. Prima rotazione
del germanico (vedi + avanti). Le lingue indoeuropee presentano sistemi accentuali di vario
genere. In base alle testimonianze delle lingue più conservative possiamo ricostruire per
l’indoeuropeo un accento con sede libera: si trattava di un accento musicale o di altezza.
Ricostruzione
Verso la fine del XIX sec. un gruppo di studiosi tedeschi chiamati neogrammatici giunse a
individuare le caratteristiche di regolarità del mutamento fonologico. Fu elaborato allora in
concetto di legge fonetica (fonetica ma in realtà si parla di mutamento fonologico)
La legge di Grimm
All’inizio del XIX secolo, Rask e Grimm, due studiosi, indipendenti, osservarono che a una fricativa
del germanico corrispondeva un’occlusiva nelle lingue indoeuropee. Il germanico presentava una
discrepanza rispetto alle altre lingue indoeuropee nel caso di tutte le occlusive.
Le consonanti occlusive per l’indoeuropeo si sono “spostate” in germanico: si è avuta una
rotazione per cui l’occlusiva sorda è diventata una fricativa sorda (spirantizzata) l’occlusiva sonora
è diventata un’occlusiva sorda (desonorizzata) e l’occlusiva sonora aspirata ha perso l’aspirazione.
Per questi motivi questo mutamento è chiamato rotazione consonantica.
Questo mutamento però non cambia il numero di fonemi: ci troviamo sempre davanti allo stesso
numero di ostruenti; questo mutamento è pertanto da considerarsi un caso di rifonologizzazione.
La legge di Verner
Spiegazione delle irregolarità riguardo alla legge sopra.
Anni 70 del XIX secolo, Verner da una spiegazione per quelle che sembravano delle irregolarità.
Osservando la posizione dell’accento nelle lingue che avevano conservato un accento libero,
Verner notò che le eccezioni si trovavano tutte in posizioni interne di parola e non erano
immediatamente precedute dalla sillaba che in origine portava l’accento. Possiamo enunciare la
legge di Verner in questo modo: in posizione interna di parola, se non preceduta immediatamente
dalla sillaba tonica, una occlusiva sorda diventa una fricativa sonora.
Diffusione del mutamento fonologico: isoglossa, indica una linea che su un’area geografica
delimita la comparsa di un certo fenomeno fonologico. È importante tenere presente che i limiti
di diffusione del mutamento non sono netti ma che si vanno spesso a intersecare con i limiti di
mantenimento della situazione precedente.
Il modello ad albero genealogico presuppone, erroneamente, che le lingue si separino in origine e i
mutamenti interessino in maniera globale un intero ramo.
Già verso la meta del XX secolo venne proposta una teoria alternativa, la teoria delle onde; lo
studioso Schmidt propose di considerare i mutamenti linguistici come fenomeni che partendo da
un centro di irradiazione si diffondono a cerchi concentrici indebolendosi man mano che si
allontanano dal centro. Con questa teoria si inizia a tener conto deli possibili effetti della
variazione diatopica su quella diacronica.
Nel 1878, Saussure, formulò un’ipotesi secondo la quale partendo dalla vocale di base e gli altri
timbri vocalici sarebbero derivati per l’aggiunta di altri fonemi che egli chiamò coefficienti
consonantici; questi fonemi sarebbero poi scomparsi in tutte le lingue storiche lasciando come
traccia la colorazione, cioè il timbro, della vocale e la sua quantità. Si giunse poi alla ricostruzione
per opera di Herman Møller di 3 fonemi, detti laringali e attualmente trascritti come /h1/, /h2/ e
/h3/ (/H/ per una laringale generica). In particolare, le laringali che precedevano la vocale /e/
davano come esito tre vocali brevi mentre quelle che la seguivano davano l’effetto di allungare la
vocale.
Gli studiosi hanno ricercato motivazioni di di vario genere pe spiegare il mutamento fonologico.
1. Spiegazioni sostanzialiste, dei neogrammatici, primi a porsi il problema del mutamento
linguistico. A loro avviso la principale causa sarebbe quella di avere la tendenza a diminuire
sempre di più lo sforzo nell’articolazione dei foni. Questo modo di vedere le cose però
tiene in considerazione soltanto il punto di vista del parlante e non dell’ascoltatore che ha
comunque necessità di comprendere il messaggio. La caratteristica principale del
mutamento fonologico secondo i neogrammatici è la sua regolarità; le eccezioni a una
determinata legge possono essere spiegate solamente attraverso un’altra legge, a meno
che le parole non siano dei prestiti.
2. Spiegazioni formali, strutturalisti e generativisti. All’inizio del ‘900 Saussure introduce in
linguistica il concetto di sistema. Secondo gli strutturalisti il motivo per cui dalla creazione
di allofonia si passa a un mutamento vero e proprio è da vedersi nella tendenza del sistema
fonologico a rimanere in equilibrio. Gli strutturalisti introducono il concetto di casella
vuota, catena di propulsione e catena di trazione per spiegare le cause del mutamento: se
tutti i timbri vocalici presentano un’opposizione di quantità, il fatto che un solo timbro non
la presenti creerà un’asimmetria nel sistema che tenderà quindi a ristrutturarsi. Un
mutamento interno può creare uno squilibrio e portare con sè altri mutamenti : in questo
caso parliamo di catena di trazione. Mutamento a catena di propulsione avviene quando
viene a crearsi un fonema che riempie la casella già riempita da un altro; per mantenere le
necessarie opposizioni il vecchio fonema viene spinto via dalla sua posizione originaria e
inizia un nuovo mutamento. Il mutamento a catena può essere esemplificato dalla legge di
Grimm.
Anche la linguistica generativa, proposta negli anni ‘50, si era rivolta inizialmente allo
studio sincronico del linguaggio; il primo importante lavoro dedicato al mutamento
fonologico nel quadro generativo è stato quello di King. In questo quadro teorico, il
mutamento fonologico è spiegato come dovuto ad aggiunta, eliminazione o riordino di
regole. Secondo i generativisti, ciò avviene solamente nello scambio generazionale: il
bambino è responsabile del fatto che in contesti identici ciò che viene interpretato come
distintivo non sia più ciò che l’emittente adulto interpreta come tale; questa è una teoria
del mutamento linguistico in generale.
Il latino
L’alfabeto usato dal latino presenta un buon grado di corrispondenza tra grafemi e fonemi; i pochi
casi per cui la corrispondenza non è biunivoca sono rappresentati dalle vocali, per le quali non è
notata la quantità <sc> indica sempre la sequenza /sk/, <gn> indica sempre /gn/ e <ti> indica
sempre /ti/: anche se nel latino volgare veniva pronunciato come /ts/ es. in patientem
/patsjentem/, è solo una caratteristica del latino volgare.
Principali mutamenti fonologici che hanno caratterizzato il latino volgare e che sono quindi
caratteristici alle lingue romanze:
- palatalizzazione delle velari davanti a vocale anteriore: ad esempio, la parola latina
“centum” si pronunciava /kentum/ in latino classico, ma in latino volgare è poi diventato
/centum/ e anche nelle lingue romanze ha poi mantenuto la palatalizzazione (it. “cento”,
sp. “ciento”, fr.”cent”. Dal punto di vista puramente fonetico non si sa con esattezza
quando sia iniziata l’allofonia: si può comunque parlare di mutamento fonologico
solamente quando i due termini iniziano a essere usati indistintamente.
Il germanico
Le più antiche fonti germaniche sono i vangeli tradotti in gotico nel IV secolo d.C; il gotico è scritto
in alfabeto latino con l’aggiunta di alcuni segni. In generale, la corrispondenza tra fonema e
grafema è buona. Per quanto riguarda le lingue moderne derivate dal germanico, come l’inglese,
la corrispondenza fonema grafema è scarsa. Da un lato, la grafia è molto conservativa e testimonia
una realtà fonologica che ha subito notevoli mutamenti. Anche l’inglese antico presentava
notevoli discrepanze tra fonemi e grafemi.
Per quanto riguarda il consonantismo, il germanico è caratterizzato dalla legge di Grimm e da
quella di Verner; inoltre, in tedesco l’articolazione delle consonanti ha subito un’ulteriore
rotazione, detta seconda rotazione consonantica1 (VEDI APPUNTI). È importante ricordare che se
parliamo del germanico non parliamo di una lingua nota e ma da una lingua ricostruita, pertanto i
fonemi elencati hanno subito ulteriori mutamenti nelle lingue storiche. Il germanico comunque è
caratterizzato da un consonantismo piuttosto conservativo.
1 Seconda rotazione consonantica: fenomeno che ha colpito le ostruenti provocandone un
ulteriore spostamento. Questa variazione non è stata completa in tutte le varietà tedesche
interessate: il centro del mutamento è stato il meridione che infatti presenta il mutamento nella
sua interezza. L’alto tedesco letterario invece, da cui deriva il tedesco moderno, presenta questa
modificazione soltanto in alcune serie delle dentali, mentre per altre serie il mutamento interessa
solo le sorde del germanico.
Ricapitolando:
• Le occlusive sorde germaniche diventano affricate o fricative sorde
• La dentale sonora germanica diventa un’occlusiva dentale sorda
• La fricativa dentale germanica diventa un’occlusiva dentale sonora
Per quanto riguarda le vocali, il germanico presenta un fenomeno che interessa che lo slavo e il
baltico, cioè la confusione dei timbri vocalici indoeuropei /a/ e /o/. in particolare, in germanico
/a:/ e /o:/ confluiscono in /o/ e /a/ e /o/ confluiscono in /a/. es. latino ma:ter, inglese mother.
Un fenomeno tipico delle lingue germaniche è la metafonesi, (Alterazione di una vocale sotto
l'influenza di una vocale seguente (normalmente finale di parola) che si trova in via di
indebolimento) (VEDI APPUNTI). Anche detta Umlaut. Si tratta di un’assimilazione regressiva a
distanza fra vocali e, più precisamente, dell’avanzamento del timbro della vocale radicale sotto
l’influenza di una vocale anteriore presente nel suffisso
Il sanscrito
Il sanscrito è scritto in un alfabeto detto devanāgarī. Questo sistema è molto accurato dal punto
di vista fonologico. La nostra conoscenza della fonologia e della fonetica del sanscrito è ottima
anche grazie all’opera dei grammatici indiani che erano molto più precisi di quelli greci e latini.
Il sanscrito conserva tutte le serie di ostruenti indoeuropee aggiungendo una serie di sorde
aspirate che derivano dalla fonologizzazione di allofoni delle sorde.
Per quanto riguarda le vocali, in indoiranico le 3 vocali indoeuropee /a/, /e/, /o/ , lunghe e brevi, si
sono fuse in un unico timbro /a/, lunga e breve. I dittonghi /ai/ e /au/ si sono monottongati dando
come esito rispettivamente /e/ e /o/.
Capitolo 3- il mutamento morfologico
Nel ‘900 inizia a essere studiato un fenomeno che viene chiamato grammaticalizzazione. Questo
fenomeno studia il rinnovamento delle categorie flessive in base alla constatazione che spesso si
può dimostrare che gli affissi flessivi derivano dalle parole un tempo indipendenti che si sono
desemanticizzate e che hanno perso la loro autonomia fonologica.
Nozioni preliminari
Parola: unità dell’analisi morfologica ma anche fonologica. I clitici sono elementi che sono parole
dal punto di vista morfologico ma che non sono tali dal punto di vista fonologico perché non
portano accento. L’italiano è ricco di clitici, ovvero parole dal punto di vista morfologico ma non
fonologico; hanno la particolarità di dover ricorrere in posizioni fisse rispetto al verbo, dal quale
non possono essere separate se non da altri clitici. I clitici sono unita linguistiche non prototipiche.
Gli allomorfi sono le possibili realizzazioni di un morfema. Essi possono essere studiati in maniera
sistematica nell’ambito dei paradigmi flessivi; un paradigma flessivo è un insieme di forme dello
stesso lessema che esprimono categorie flessive del lessema stesso. Rilevante per lo studio dei
paradigmi flessivi e del loro mutamento è il concetto di produttività morfologica. Una classe
flessiva infatti può essere più produttiva delle altre; i paradigmi flessivi non hanno tutti lo stesso
statuto: esistono fra questi una o più classi flessive produttive, mentre le altre non lo sono.
La produttività morfologica si misura in base a varie caratteristiche dei lessemi che ne fanno parte;
una di queste è il numero: in generale la classe produttiva ha più membri di quella non produttiva.
Es in italiano: tra le tre classi flessive dei verbi es. -a- amare, -e- leggere, -i- sentire, possiamo dire
che solo la prima classe è produttiva perché più regolare perché i verbi che appartengono a questa
casse in generale non presentano allomorfia della base.
Anche un singolo morfema può essere produttivo, in questa caso sarà sovraesteso anche al di fuori
della sua classe flessiva.
La tipologia morfologica
La variazione morfologica ha destato interesse fino a partire dalla fine del XVII secolo. Si arrivò così
ad una classificazione distinguendo fra lingue analitiche e lingue sintetiche e, queste ultime
ulteriormente suddivise fra lingue fusive e agglutinanti. In realtà tutte le lingue hanno una
componente di entrambe le parti quindi è più corretto parlare di “indice di sintesi”.
La forma analitica analizza il significato nel senso che lo divide fra grammaticale e lessicale: es.
amaste (sintetica: unisce significato grammaticale e lessicale) // avete amato (analitica: divide il
significato tra grammaticale e lessicale). Scrissi e scriveva sono entrambe forme sintetiche ma in
scrissi vediamo un allomorfo particolare della radice e che è tipico solo del passato remoto; scriv-
invece è l’allomorfo principale della radice e si presta ad una segmentazione più pratica e analitica.
Nell’imperfetto troviamo una tecnica più agglutinante, nel caso del passato remoto una tecnica
fusiva.
L’italiano è una lingua principalmente fusiva con un grado di sintesi relativamente alto,
soprattutto nel verbo.
Le lingue analitiche sono dette isolanti e hanno poca o nessuna morfologia flessiva.
Esempio in cinese, in cui le parole sono invariabili e i significati grammaticali vengono espressi da
parole senza significato lessicale. POLISINTETICHE: ACCORPANO PIù RADICI LESSICALI
AGGLUTINANTI: UNA SOLA RADICE LESSICALE
Le lingue agglutinanti sono lingue in cui a ciascun significato grammaticale corrisponde un
morfema specifico; un esempio è il turco o il finnico. A differenza delle lingue flessive, le lingue
agglutinanti generalmente non hanno classi flessive, i verbi e i nomi non sono cioè organizzati in
declinazioni e coniugazioni diverse.
Le lingue fusive invece hanno spesso classi diverse; per esempio, i verbi italiani sono organizzati in
3 coniugazioni e i nomi latini in 5; ciò rende molto più alto il numero degli allomorfi di ciascun
morfema. Fra le lingue fusive c’è un sottogruppo detto introflessivo, esemplificato in particolar
modo dalle lingue semitiche. Il significato lessicale è espresso dalle consonanti della radice mentre
le vocali variano a seconda dei diversi significati grammaticali. Un esempio di lingua introflessiva è
l’ebraico.
Un ulteriore tipo morfologico è costituito dalle lingue polisintetiche o incorporanti. Ad esempio in
italiano, si noti la differenza tra
[1] Incatenalo! qui abbiamo incorporato nel verbo due costituenti che nella seconda compaiono
come oggetto indiretto e diretto in costituenti separati dal verbo stesso.
[2] Mettigli le catene!
un esempio di lingua incorporante è il tiwa meridionale.
Il piano morfofonologico
In latino non esistevano alcuni fonemi oggi presenti in italiano come le affricate palatali e dentali,
la fricativa palatale, la nasale palatale e la liquida palatale. Questi fonemi infatti sono nati quando
allofono di altri fonemi nella posizione davanti a vocale anteriore si sono fonologizzati.
Amici in latino /amikus/
In italiano /amitsci/
L’alternanza fra questi due allomorfi ha valore morfofonologico: un’alternanza fonologica
determinata dal contesto morfologico.
Esistono anche casi in cui il mutamento fonologico ha come risultato quello di cancellare dei
morfemi; questo spesso non è un mutamento puramente morfologico, se un’opposizione viene
cancellata dal mutamento fonologico in maniera definitiva, significa che alla base c’è un
mutamento delle categorie grammaticali (a livello della sintassi) o nel lessico della lingua. Inoltre,
all’interno dei paradigmi flessivi di norma esiste un certo grado di omofonia delle forme. Es. verbo
essere in italiano: 1° persona singolare: sono, 3° persona plurale: sono. Come si ovvia a questi
problemi di omofonia? Il contesto serve per disambiguare forme potenzialmente ambigue.
L’omofonia all’interno dei paradigmi è molto comune, soprattutto nelle lingue fusive: spesso
questo fenomeno viene chiamato “sincretismo”.
Il mutamento fonologico ha aumentato spesso il numero di omofoni all’interno di un paradigma.
Ad esempio, dal latino in italiano, la scomparsa delle consonanti di fine parola due delle tre forme
erano uguali: la prima e la terza del verbo imperfetto indicativo latino “amabaM-amabaS-
amabaT”, . Il mutamento fonologico può avere come effetto anche la scomparsa di classi flessive.
Il mutamento fonologico può quindi creare allomorfia; ciò significa che uno stesso morfema che
prima del mutamento aveva un solo allomorfo viene poi ad averne un numero maggiore.
L’allomorfia può riguardare la base o i morfemi grammaticali. Il mutamento analogico che riduce il
numero di allomorfi radicali risulta in un livellamento del paradigma, mentre il mutamento che
riduce il numero degli allomorfi desinenziali risulta di norma nell’estensione di un allomorfo ai
contesti in cui dovrebbe comparirne un altro. Si può allora assistere all’espansione dell’allomorfia
in maniera tale da riprodurre la stessa struttura anche nei paradigmi in cui non è risultato del
mutamento fonologico.
(vedi esempio di livellamento e estensione)
Un esempio ben noto di estensione analogica è la metafonia o Umlaut; nei plurali tedeschi questo
fenomeno si trova anche in forme in cui non può essersi verificato per regolare aumento
fonologico, per diversi motivi. Es. Kanal-Kanäle: il cambiamento di timbro sulla vocale è stato
esteso per analogica perchè l’Umlaut insieme alla desinenza -e è stata reintepretata come facente
parte del morfema del plurale; in pratica si può dire che vi è una classe flessiva produttiva che
tende ad inglobare le parole provenienti da altre classi flessive o da prestiti.
Si può parlare quindi di leggi dell’analogia.
Il verbo italiano presenta nei casi di allomorfia della base una distribuzione degli allomorfi che
segue uno schema fisso nel presente indicativo. Questi schemi dei paradigmi che accomunano
gruppi di forme sono detti partizioni.
Il mutamento analogico non avviene obbligatoriamente. Che cosa fa si che in alcuni casi
l’allomorfia si sia preservata e in altri no?
Nelle lingue indoeuropee antiche e moderne è molto comune che il verbo “essere” abbia temi
suppletivi. Il supplettivismo è un caso limite di allomorfia: gli allomorfi della base del verbo essere
non sono diversi fra loro solo per accidenti fonologici, come nel caso di muoio e moriamo ma
perché derivano da basi di origini diverse o perché i mutamenti fonologici sono stati tali da
rendere le basi completamente diverse. In italiano ad esempio abbiamo forme come sono, ero, è,
fui, fosse. Le prime tre forme risalgono tutte alla stessa base indoeuropea ma già in latino vari
mutamento fonologici avevano avuto l’effetto di rendere opaca la somiglianza fra queste forme.
Ad esempio suam, eram, est. In questo caso si può dire che l’allomorfia ha portato al
supplettivismo. Il motivo che favorisce il supplettivismo risiede nell'uso e in particolare nella
frequenza. Ad esempio, il verbo essere ha frequenza altissima rispetto al altri verbi. I verbi che
presentano maggiore allomorfia della base sono tutti di uso molto frequente: essere, avere
andare.
La grammaticalizzazione
Le forme grammaticali tendono a rinnovarsi. La creazione di nuovi morfemi grammaticali si compie
attraverso il processo noto come grammaticalizzazione. Sia in latino che in italiano abbiamo tra i
tempi verbali sia imperfetto che futuro.
Processo per cui il verbo avere nel futuro perde il suo significato
lessicale. Il verbo avere si è da rima ausiliarizzato, perdendo il
suo significato proprio di possedere. In un secondo tempo
l’ausiliare deve essere diventato un clitico e ha perso lo statuto
di parola fonologica. Infine l’ausiliare ha perso anche lo statuto
di parola morfologica diventando un morfema legato : origine
dei morfemi legati.
Anche il condizionale delle lingue romanze, che non esisteva in latino, si è formato per un simile
processo di grammaticalizzazione. In latino il significato espresso dal condizionale romanzo era
espresso da un tipo di congiuntivo latino.
Le lingue europee possiedono due macroclassi flessive: flessione atematica e tematica. I processi
morfologici che si ricostituiscono per l’indoeuropeo sono: suffissazione, prefissazione infissazione
verbali e apofonia. Anche nel verbo le lingue indoeuropee tendono ad eliminare la flessione
atematica. In molte lingue si riduce o si perde l’opposizione aspettuale, in alcune scompare
l’apofonia e infine prevale la suffissazione.
In questo capitolo esamineremo le forme grammaticali dal punto di vista del significato: ciò non ci
permette più di tenere separati i livelli ma di unire il piano morfologico e quello sintattico.
Nome
Il nome indoeuropeo si fletteva per numero e caso. In una fase tarda dell’indoeuropeo i nomi
erano classificati in 3 generi: maschile, femminile e neutro. Il genere è una categoria inerente per il
nome e flessiva per l’aggettivo e parte dei pronomi. In maniera simile al nome si comporta
l’aggettivo ed esprime grado comparativo e grado superlativo con mezzi flessivi.
Numero
Molte lingue indoeuropee moderne come l’italiano hanno una sistema che oppone due soli
numeri, singolare e plurale. In alcune lingue troviamo anche il numero duale, usato per indicare
una coppia.
Il numero è una categoria nominale e nelle lingue indoeuropee, e come in molte altre anche una
categoria di accordo di aggettivi e verbi; può servire ad indicare il soggetto di una forma verbale
finita.
I nomi di massa normalmente non hanno il plurale o per lo meno il plurale non ha la stessa
funzione.
Nomi astratti e nomi collettivi: acqua- acque (nome di massa, al pl. Si usa in determinate
circostanze); libro-libri (nome numerabile, si usa il pl. Se la quantità è superiore a 1)
In inglese sono nomi di massa molti nomi astratti: information, news, ecc.
Simile al plurale sono le forme di collettivo. Il collettivo concettualizza una pluralità di elementi
non come tale ma come massa: ad esempio la parola “folla”: il concetto di folla è più astratto e
meno individuato di quello di “persone”. Il collettivo presenta un insieme di entità non come
plurale ma come entità unica.
Genere
Il genere grammaticale ha due funzioni principali: classificare i sostantivi e creare fenomeni di
accordo. Es. un sostantivo femminile potrà essere accompagnato da aggettivi, articoli, ecc. che
siano concordi al suo genere. Il genere non è una categoria universale dato che molte lingue come
il turco, l’ungherese e il giapponese ne sono prive.
Le lingue indoeuropee antiche hanno un sistema con tre generi a parte l’armeno.
Fase più antica dell’indoeuropeo in cui i due genere erano neutro e non neutro: genere animanto
e genere inanimato
È molto probabile che la base del terzo genere indoeuropeo siano stati i nomi astratti, i referenti
dei nomi astratti infatti presentano interessanti proprietà che li distinguono da referenti degli altri
inanimati.
Caso
Funzione del caso è quella di indicare che funzione sintattica svolge un dato sintagma nominale in
una frase e in parte anche di indicarne il ruolo semantico. In italiano il caso si manifesta solo nei
pronomi personali e relativi; la funzione dei casi è ampiamente grammaticale.
Il sistema di casi che generalmente si ricostruisce per l’indoeuropeo comprende otto casi:
nominativo, genitivo, accusativo, dativo, strumentale, locativo, ablativo e vocativo.
Il verbo
Verbo indoeuropeo carattere altamente flessivo.
Tempo e aspetto
I temi aspettuali del verbo nelle lingue indoeuropee hanno preso in misure diverse anche valore
temporale; l’espressione dell’aspetto è primaria rispetto a quella del tempo. Il verbo indoeuropeo
distingueva un aspetto perfettivo e uno imperfettivo. L’aspetto del verbo è imperfettivo, perché
l’azione è concettualizzata nel suo svolgimento: “Maria faceva i compiti”
Opposizione soprattutto presente in greco, nell’opposizione fra presente e imperfetto
(imperfettivi e dall’altro lato aoristo (perfettivo).
Le lingue europee lasciano poi ricostruire un altro tempo verbale chiamato perfetto, che aveva un
tema speciale, formato come in greco e in sanscrito, con il raddoppiamento. Questo tempo
verbale non ha niente a che vedere con l’aspetto perfettivo: il perfetto infatti non è ben definibile
non solo come tempo ma anche come aspetto. In origine il perfetto denotava uno stato (stativo);
presto sviluppò anche un aspetto risultativo.
La principale distinzione era fra presente e passato, non è possibile ricostruire il futuro
indoeuropeo.
Modo e modalità
La modalità è una proprietà semantica dei sintagmi enunciati; possiamo definirla come
l’atteggiamento che l’emittente ha rispetto a un dato enunciato.
Una prima distinzione è quella fra enunciati assertivi e altri tipi di enunciati. Le asserzioni sono
affermazioni che possono essere negate (no imperativi o condizionali)
Es. oggi piove /oggi non piove
Anche le domande sono tipi di enunciati che non possono essere negati; mettendo una domanda
negativa infatti si arriva allo stesso significato della prima.
-È arrivato il treno?
-Non è arrivato il treno?
L’emittente può esprimere aspettative rispetto al fatto che un evento si verifichi. Si può per
esempio avere una modalità potenziale: se un evento potrebbe verificarsi in certe condizioni
(condizionale)
Oppure controfattuale o irreale, se un evento non ha la possibilità di verificarsi.
Questi tipi di modalità sono entrambi espressi dal modo condizionale.
Altro modo del condizionale è quello evidenziale. Si ha un attegggiamento che implica
l’impossibilità di controllare il valore di verità dell’asserzione.
Diatesi
In italiano, siamo abituati ad opporre due diatesi, attivo e passivo. La nostra convinzione che il
passivo sia in un certo senso derivato dall’attivo è causata dal fatto che in italiano, come in molte
lingue romanze e germaniche, il passivo presenta forme verbali perifrastiche anziché forme
sintetiche come l’attivo. Rispetto all’attivo, il passivo comporta una riduzione della valenza del
verbo; un’importante funzione del passivo è proprio quella di far diventare marginale l’agente che
può anche non essere espresso.
L’opposizione di diatesi che si ricostruisce per l’indoeuropeo è molto diversa; le lingue antiche
infatti attestano la presenza di una terza diatesi, detta medio, che non aveva propriamente valore
di passivo. Iniziamo a considerare il valore del medio in greco:
Questa diatesi indicava un particolare coinvolgimento del soggetto nell’azione; il medio non
operava necessarimente sulla valenza delle cose.
Lo stesso uso caratterizza il riflessivo italiano che ha molte affinità semantiche con il medico greco.
Funzioni del medio greco sono: flessivo, pseudoriflessivo, reciproco, impersonale, alto grado di
coinvolgimento. Un’altra diatesi come il medio ma che viene oggi considerata un modo verbale a
sè stante è il perfetto, le sue desinenze sono affini a quelle del medio.
Infiniti e participi
I preverbi
Caratteristica delle lingue indoeuropee è una classe di parole che in molte lingue possono fungere
da adposizioni, cioè a seconda della posizione rispetto al nome retto sono preposizioni o più
raramente posposizioni oppure preverbi.
Henri Weil, osservava che le lingue europee moderne (francese, tedesco e inglese) presentavano
maggiori restrizioni sull’ordine dei costituenti della frase semplice, più di quanto non avvenisse nel
latino o nel greco classico. Le sue osservazioni erano basate sulle modalità di organizzazione
dell’informazione, cioè su proprietà pragmatiche delle lingue in esame. Nascita della tipologia
dell’ordine dei costituenti si fa risalire ad un pubblicato di Greenberg; in base all’ordine di
soggetto, verbo e oggetto indiretto, da lui chiamato ordine basico, Greenberg divideva le lingue in
3 tipi VSO-SVO-SOV. Enunciato non marcato in questo contesto significa un enunciato assertivo la
cui curva intonazionale non presenti elementi particolarmente accentati o enfatizzati, sia quindi la
più neutra possibile. Dovrebbe essere quello che può apparire al di fuori di qualunque contesto.
VSO: lingue celtiche e ebraico biblico e arabo classico
SVO: verbo collocato fra soggetto e oggetto diretto, come l’italiano o l’inglese
SOV: verbo finito si colloca al fondo della frase, giapponese e turco.
Greenberg osserva poi che a ciascuno di questi tre tipi si associano altre regolarità nell’ordine delle
parole, soprattutto pertinenti alla struttura dei sintagmi e riguardante l’ordine rispettivo delle
teste nominali e i loro modificatori, cioè aggettivi attributivi, frasi relative e sostantivi dipendenti.
Dai dati esaminati da Greenberg risulta che i primi due tipi (VSO e SVO) i modificatori seguono di
norma la testa nominale, mentre quelle del terzo tipo SOV, la precedono. Inoltre, nelle lingue due
primi due tipi sono frequenti le preposizioni mentre in quelle di 3° tipo le posposizioni
(preposizione che viene posposta al nome).
Tipologia dell’ordine basico (= l’ordine non marcato dei costituenti della frase transitiva)
Alcune lingue hanno invece un ordine dei costituenti pragmatico, cioè regolato da condizioni
dettate dalle esigenze della struttura comunicativa della frase, piuttosto che da quella sintattica.
Le lingue quindi possono avere un ordine dei costituenti più o meno rigido.
Leggi di Wackernagel e Behagel; entrambe colgono fattori che influenzano o possono influenzare
l’ordine dei costituenti anche in lingue appartenenti ad altre famiglie.
Tipi di costituenti
Tre tipi di lingue in base all’ordine dei costituenti.
Se non facciamo distinzione fa parole vere proprie e clitici, si rischiano di fare degli errori.
Il contrasto è fra oggetto rappresentato da un costituente tonico e oggetto clitico; inoltre, la
posizione del clitico è obbligatoria rispetto al verbo, mentre quella dell’oggetto prenominale
accentato non lo è: si ha infatti: lui ho visto e non ho vistolo. La posizione proclitica (prima del
verbo) è andata fissandosi durante la storia delle lingue romanze, fino alla fine dell’800 questi
clitici erano spesso enclitici, cioè seguivano il verbo.
La differenza fra parola e costituente risiede nel fatto che il costituente è un’unità dell’analisi
sintattica e può consistere in una o più parole e la parola un’unità dell’analisi morfologica.
Oltre ai clitici ci sono altri tipi di parole che hanno rilevanza per l’ordine dei costituenti. In molte
lingue e anche in quelle indoeuropee ha rilevanza il verbo finito. Esempio del tedesco.
Legge di Wackernagel
Linguista svizzero di fine ‘800. La legge di Wackernagel descrive la posizione dei clitici nella frase
nelle lingue indoeuropee antiche. Osservando diverse lingue come latino, vedico e greco omerico,
si è accorto che diversi tipi di clitici ricorrono sempre nella seconda posizione della frase, anche se
sono di diversa natura.
La rilevanza della sua legge per la sintassi europea ha avuto piena conferma quando sono stati
disponibili tutti i dati dell’ittita; in questa lingua, quella che in greco e sanscrito era una tendenza è
invece qui seguita rigorosamente. Le lunghe catene di clitici iniziali sono tipiche delle lingue
anatoliche.
Sia i clitici romanzi sia quelli delle antiche lingue indoeuropee sono accomunati dall’avere delle
posizioni fisse; mentre x le lingue romanze la posizione è specificata dal verbo, per quelle lingue
come l’ittita la posizione è invariabilmente la seconda.
Legge di Behaghel
Studioso tedesco, si occupava di sintassi del germanico. Secondo lui i costituenti sono ordinati
nella frase in base al loro peso fonologico: i costituenti più leggeri vanno a sinistra, quelli più
pesanti a destra. Possiamo quindi interpretare la legge di Wackenhagel come una conseguenza
della legge di Behaghel; i clitici sono infatti i costituenti più leggeri dal punto di vista fonologico.
La posizione iniziale e quella finale sono molto importanti ai fini comunicativi perché sono
posizioni che servono per enfatizzare o contrastare altri costituenti.
In italiano il soggetto del verbo transitivo e del verbo intransitivo sono trattati nello stesso modo
dal punto di vista morfosintattico, anche quando abbiano ruoli semantici diversi. Il soggetto
concorda con il verbo.
Non tutte le lingue funzionano come l’italiano, in un gruppo detto lingue ergative, la frase
transitiva rappresenta la prospettiva del paziente, che di norma è segnalato morfologicamente
dall’assenza di morfemi specifici, in maniera analoga al soggetto del verbo transitivo.
Es. Georgiano
Gela gavida saxlidan- Gela uscì di casa
In questo caso “Gela” è al caso assolutivo.
Le lingue attive, lingue i cui membri di alcune classi lessicali, in particolare verbi e sostantivi, sono
divisi in attivi e inattivi. Solo i sostantivi attivi possono essere soggetto di verbi inattivi ne consegue
che spesso due stati di cose sono denotati da due verbi diversi a seconda di come sono
concettualizzati. In italiano, di questo tipo è la coppia bruciare/ardere. Il primo verbo indica uno
stato ed è intransitivo, mentre il secondo è transitivo e denota uno stato di cose in cui il paziente
cambia stato.
Le lingue indoeuropee come l’italiano sono dette lingue nominativo-accusativo; le lingue europee
moderne e antiche sono in buona parte di questo tipo. In latino e in tedesco, il nominativo è il caso
del soggetto, sia dei verbi transitivi che intransitivi. Alcune lingue indoeuropee hanno sviluppato
nel corso della storia sistemi ergativi, fra queste ci sono le lingue indoarie moderne come lo hindi.
Paratassi e ipotassi
Come mai avvengono i mutamenti? Problema del mutamento dal punto di vista delle sue cause e
della sua diffusione. Sembra che il mutamento sia caratterizzante di certi periodi storici: ad
esempio il grande mutamento che ha portato alla nascita delle lingue romanze è coinciso con il
momento di disgregazione politica dell’impero, causata dalle invasioni barbariche.
Il contatto fra lingue è sicuramente una delle principali cause del mutamento. La sociolinguistica si
occupa di questi studi.
La distribuzione diatopica delle varianti e la diffusione del mutamento su un dato territorio sono
fenomeni che conosciamo in maniera approfondita dalla fine dell’800 grazie ai dialettologi. Anche
la variabilità interna a una comunità, basata su differenze sociali o di altro genere, ha grande
rilevanza per il mutamento linguistico.
Le lingue che variano nello spazio: variazione diatopica. Nelle varietà di italiano regionali si
riscontrano delle differenze soprattutto sul piano lessicale e grammaticale; l’uso dei modi verbali
non è lo stesso in tutte le regioni d’Italia. Si riscontrano anche alcune differenze nella fonologia,
soprattutto della pronuncia delle vocali.
Molto più evidente ci risulta la variabilità diatopica se passiamo ad esaminare i dialetti italiani: essi
son varietà poco standardizzate e non hanno lo statuto di lingue letterarie, di conseguenza non
sono stati sottoposti a quella scelta delle varianti che caratterizza le lingue scritte. Gli studi di
dialettologia, molto sviluppati nel nostro paese fin dal XIX secolo, hanno dimostrato che esistono
varietà dialettali leggermente diverse a seconda della comunità. Oltre alla variazione diatopica,
ciascuna lingua varia poi in base al contesto d’uso e agli strati sociali dei parlanti. Parliamo quindi
di variabilità diastratica (strati) e diafasica(situazioni) e diamesica (legata al mezzo di
produzione).
Il mutamento linguistico in realtà può avvenire perchè alla base esiste già una situazione
diversificata, dove varianti diverse coesistono nella stessa dimensione temporale.
Fra i primi a rendersi conto della variabilità della lingua fu Dante che scrisse infatti De Vulgari
Eloquentia. Dante era convinto che la lingua variasse nel tempo.
Bilinguismo e diglossia
Il bilinguismo perfetto comporterebbe identica competenza del parlante in entrambe le lingue ma
anche identici campi d’uso. Questo tipo di bilinguismo è raro, più spesso si può parlare di
bilinguismo funzionale o diglossia, che designa un fenomeno per cui due lingue sono parlate in
continuità in ambiti funzionali diversi.
Un ottimo esempio di diglossia è il rapporto tra lingua e dialetto in Italia. Il dialetto infatti rimane
limitato nell’uso ad ambiti non ufficiali. Per questo buona parte dei dialetti italiani è a rischio di
estinzione.
Fenomeni di interferenza linguistica: casi in cui la lingua di una comunità militarmente o
politicamente soccombente, viene sostituita senza lasciare traccia dalla lingua degli invasori, come
è avvenuto del Nord America o in Australia, dove le lingue indigene sono in via di estinzione.
Nella storia delle lingue si susseguono periodi di stabilità a periodo di mutamento; la maggior
stabilità di una lingua è legata al suo statuto, per esempio di lingua ufficiale della nazione alla sua
vitalità come lingua letteraria e al fatto che essa sia soggetta all’insegnamento nelle scuole.
Il prestito
Un fenomeno linguistico notevole è il prestito lessicale. Tutte le lingue abbondano di prestiti, di
parole che sono entrate nelle lingue e che sono diventate di uso comune. Per molti di essi siamo in
grado di ricostruire le circostanze storiche che li hanno causati.
In epoca recente: linguaggio dell’informatica e dell’economia deriva tutto dall’inglese .
Molti vocaboli legati al cibo sono stati prestati dal francese e dall’italiano.
Tutto ciò si ricollega all’importante concetto di prestigio. Osserviamo infatti che i prestiti
provengono da lingue che in quei determinati ambiti son considerati avere più prestigio, infatti
l’inglese gode attualmente di più prestigio informatico.
Prestiti e calchi
I prestiti lessicali si possono classificare in modi diversi in base al loro grado di integrazione nel
sistema linguistico di arrivo.
La parola computer per esempio non è integrata nell’italiano, infatti non si flette al plurale.
Oltre ai prestiti esistono in calchi, ovvero una riproduzione nella lingua di arrivo di una parola o
espressione della lingua di partenza; distinguiamo però due tipi di calchi, strutturali e semantici.
Un calco strutturale riproduce con materiale della lingua di arrivo una parola della lingua di
partenza: grattacielo= skyscraper
Calco semantico: ampliamento del significato di una parola del lessico della lingua di arrivo per
accogliere anche un significato di un’altra lingua. es. orologio digitale significa ora espressa in
numeri e non lancette, ma in italiano il termine digitale ha a che fare con le dita; digital in inglese
invece significa relativo ai dati espressi in forma numerica.
Aree linguistiche
Area linguistica: area che comprende lingue appartenenti a più di una famiglia che presentano
caratteristiche in comune.
Un’area linguistica molto studiata è quella balcanica (neogreco, rumeno,albanese e lingue slave
come il serbo-croato, il bulgaro e il macedone). Queste lingue hanno una serie di caratteristiche
simili come il sincretismo di genitivo e dativo.
Anche le lingue d’Europa costituiscono un’area linguistica, in cui lingue diverse sono andate nel
corso dei secoli via via convergendo
Le protolingue
Ricostruzione di una protolingua, ovvero di una lingua che non è attestata.
Le protolingue ricostruite attraverso il metodo comprativo sono troppo uniformi , tendono ad
avere una caratteristica che non è tipica delle lingue parlate ma di quelle esclusivamente
letterarie. Questo accade perché molte lingue ricostruite sono basate su varietà non viventi, ma su
lingue letterarie altamente uniformi e standardizzate.
Critica alla ricostruzione delle protolingue, anche dell’indoeuropeo ricostruito, perché la
ricostruzione appiattisce dati che probabilmente appartengono a stadi diacronici diversi, con l’uso
del metodo comparativo, basato sulla comparazione di lingue distanti fra loro nel tempo.
La ricostruzione deve perseguire una verosimiglianza, ma deve abbandonare l’idea di raggiungere
una spiegazione univoca di fenomeni.