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INTRODUZIONE ALLA LINGUISTICA STORICA

Introduzione

Lingue: realtà in continuo mutamento ma percepite dal parlante come stabile; Le lingue cambiano
con lui.
Il mutamento linguistico non avviene secondo modalità uniche, le lingue romanze ad esempio, pur
derivando tutte dal latino, si sono evolute in modi diversi. Possiamo quindi spiegare i mutamenti a
posteriori, ma ci è difficile prevederli.

Come possiamo dedurre che l’italiano è derivato dal latino?


Ci sono diversi criteri e diversi parametri da tenere in considerazione. Un criterio importantissimo
è quello delle corrispondenze regolari.
Esempio di mutamento linguistico in italiano dal latino, in cui le coppie ct/pt sono diventate tt.
Otto Octo
Sette Septem
Ottimo Optimum
Latte Lactem

Le lingue possono essere classificate secondo 3 diversi parametri:


Caratteristiche formali: classificazione tipologica
Distribuzione geografica: classificazione areale
Famiglia di appartenenza: classificazione genetica (+ comune)

Capitolo 1

Classificazione genetica
1786, Sir Williams Jones scriveva dall’ India un memoriale alla regina di Inghilterra sulle
somiglianze tra latino greco e sanscrito. Questa data è comunemente riconosciuta come quella
della nascita della classificazione genetica delle lingue.
Si iniziò così a definire l’appartenenza di tutte le principali lingue europee e parte di quelle dell’asia
alla famiglia indoeuropea. Fra le altre famiglie ben presto viene identificata anche quella semitica.

Classificazione tipologica
Es. la discrepanza tra il francese e altre lingue romanze non è di ordine genetico, ma di ordine
tipologico, in una tipologia dell’espressione del soggetto.
La tipologia linguistica classifica le lingue in tipi e può dare diversi risultati in base ai parametri
impiegati. I campi privilegiati della tipologia linguistica sono due: morfologia e sintassi.

Classificazione areale
Classificazione delle lingue per aree linguistiche, dette che leghe linguistiche. La linguistica areale
studia la parentela fra lingue sviluppata per contatto; si dimostra utile per studiare le lingue per le
quali è difficile ricostruire una parentela genetica.
Lingue del mondo

Lingue indoeuropee
Una delle prime suddivisioni a essere stata individuata è quella tra lingue kentum (1 a 7) e satem
(circa, occidentali e orientali)

1. Latino, lingue romanze, lingue dell’ Italia antica


Le prime attestazioni del latino risalgono al VII sec. a.C.: in questo periodo si parla di latino arcaico
(testi di Plauto e Terenzio) ; successivamente di latino classico, la lingua di Cesare, Cicerone e
Virgilio e infine di latino tardo o volgare. L’ultima categoria però non è in realtà una variazione a
livello diacronico, ovvero non rappresenta uno step successivo dell’evoluzione della lingua, bensì
una diversa varietà a livello diastratico e diamesico e rispecchia in modo molto più fedele la lingua
parlata. Le fonti di questo ultimo latino sono quindi non testi letterari ma testi come il Nuovo
Testamento. Il latino volgare è essenziale per lo studio diacronico, è infatti da questa varietà che è
partita l’evoluzione verso le lingue romanze. Volgare= da vulgus, “popolo”: erano le lingue del
popolo, lingue spesso esclusivamente parlate che ebbero la loro prima attestazione scritta nel
medioevo; il documento più antico è rappresentato dai giuramenti di Strasburgo, scritti in
francese antico e alto tedesco antico.

Le lingue romanze moderne più importanti: italiano, francese, portoghese, spagnolo, gallego,
catalano, ladino, rumeno. Importanti sono anche il sardo e il provenzale che non sono lingue
nazionali ma che presentano abbastanza diversità da poter essere considerate autonomamente.
Se torniamo invece ad esaminare il panorama delle lingue nell’Italia antica, accanto al latino
c’erano altre lingue indoeuropee, dette lingue italiche; fra queste ci sono l’osco (lingua dei
sanniti), primi secoli a.C. parlata nel meridione (tranne che in Sicilia), e l’ umbro, nei primi secoli
a.C. nell’Italia centrale. Queste due lingue sono strettamente imparentate tanto che spesso
vengono chiamate oscoumbro; la prima attestazione scritta è costituita dalle Tavole Iguvine,
ritrovate nei pressi di Gubbio e che contengono la regola della congregazione religiosa.
Importante è anche la presenza, nell’Italia meridionale già a partire dal II sec a.C, del greco.
Questo ha avuto moltissima influenza sul latino, in quanto i romani riconoscevano i greci come
popolo dall’elevatissima cultura. In epoca arcaica lo stesso ruolo fu giocato dall’etrusco verso il
latino. Nell’Italia settentrionale, fino al III sec a.C. (con la conquista romana) erano parlate lingue
del gruppo celtico

2. Il greco
Primi testi risalenti al 1150 a.C., sono tavolette di argilla incise; la lingua in cui sono scritte queste
tavolette viene detta greco miceneo.
La lingua letteraria antica si può dividere in 3 periodi: periodo arcaico (in cui vengono scritti i
poemi omerici); periodo classico (opere in prosa di Platone e Teuclide); periodo tardo (rispetto alla
frammentazione dialettale dei secoli precedenti si impone una varietà, detta koinè, da base per lo
sviluppo del bizantino e il neogreco). Il passaggio dall’antichità al medioevo vede, come per il
latino anche per il greco, una crescente scissione fra lingua parlata e lingua scritta; la koinè si può
considerare come il volgare per il latino.
Greco e latino ebbero contatti per moltissimo tempo e, quando la Grecia divenne provincia
romana in epoca imperiale, divenne anche sede di un crescente bilinguismo che ha influenzato
anche le lingue moderne: ciò si nota dai numerosi prestiti in entrambi i sensi.
3. Lingue germaniche
Europa centrale, penisola scandinava e Islanda. In origine, le popolazioni germaniche dovevano
essersi stanziate lungo le coste del baltico; a differenza dei romani e dei greci però, i germani non
conoscevano la scrittura e infatti le loro lingue sono state attestate solamente a partire dal II
secolo d.C. Già ai tempi delle prime attestazioni le lingue germaniche presentavano molte
differenze e per questo è stato possibile suddividerle a loro volta in 3 sottogruppi: germanico
settentrionale, orientale e occidentale.
Le iscrizioni più antiche sono state ritrovate in Danimarca nel II sec d.C. e sono dette iscrizioni
runiche; la lingua di queste iscrizioni è l’antico nordico, che può essere considerato la lingua da cui
derivano tutte le lingue scandinave: norvegese, danese, svedese e islandese (appartenenti al
gruppo germanico settentrionale).
La fonte letteraria germanica più antica è costituita dalla traduzione gotica dei Vangeli e di una
parte dell’antico testamento per opera di Wulfila, che evangelizzò le popolazioni germaniche dei
Balcani nel IV sec. d.C. La lingua di Wulfila era il gotico e la sua traduzione dei vangeli è il
documento più importante che testimonia la lingua germanica orientale, che è oggi scomparsa.
Le lingue a noi più vicine per posizione geografica appartengono al gruppo occidentale e si tratta
di inglese, tedesco, nederlandese, frisone e afrikaans. I primi testi letterari risalgono a un periodo
relativamente recente, il VIII d.C., come il poema del Beowulf (scritto in anglosassone) e
l’Hildebrandslied, scritto in longobardo.
La Germania ebbe una storia politica molto simile a quella dell’Italia: il tedesco era generalmente
diviso in alto, medio e basso. Il tedesco standard moderno di oggi deriva dall’alto tedesco antico.
Una varietà basso tedesca era invece il sassone antico. Varietà basso tedesche sono ancora parlate
nella Germania settentrionale ma non hanno generalmente lo statuto di lingue scritte.
Dall’anglosassone discende l’inglese moderno, lingua che ha subito notevoli mutamenti rispetto
alle varietà più antiche, dovuto soprattutto alla situazione di bilinguismo che si instaurò per 5
secoli a seguito della conquista normanna, che parlava francese antico. L’influenza di questa lingua
sull’inglese si riconosce per i numerosissimi prestiti (beef-ox/pig-pork) gli anglosassoni erano la
classe dominata ed allevavano il bestiamo; gli animali domestici infatti presentano nomi di origine
germanica, per le rispettive carni invece l’inglese moderno usa prestiti dal francese.

4. Lingue celtiche
Le varietà celtiche erano diffuse in buona parte dell’Europa continentale, estendendosi fino alla
penisola iberica e fino al territorio dell’odierna Ucraina. Come i germani, i celti non conoscevano la
scrittura. Le lingue celtiche sono sopravvissute fino ad oggi solamente in un’area ristretta: Irlanda,
Scozia e Galles. Le lingue celtiche si possono dividere in due gruppi: celtico continentale
(celtiberico, lepotonico, galatico) e insulare (gallese, irlandese, gaelico, scozzese, mannese,
cornico, bretone). Le prime fonti di irlandese antico sono dette fonti ogamiche (dal nome
dell’alfabeto in cui sono scritte) del IV sec d.C.

5. Lingue anatoliche
Lingue indoeuropee di più antica attestazione. La più importante a livello di quantità di
attestazioni è l’ittita, decifrata solo a partire dal 1916. La decifrazione dell’ittita e la crescente
comprensione delle altre lingue di questo gruppo hanno portato a una riconsiderazione profonda
della ricostruzione dell’indoeuropeo.
Le lingue anatoliche sono attestate a patire dal 1800 a.C ., tavolette di argilla scritte in sillabario
cuneiforme.
6. Albanese
Parlata nell’odierna Albania, le sue prime attestazioni risalgono al XV sec. d.C. Si divide in due aree
dialettali, il tosco, nell’Albania meridionale, su cui si basa la lingua ufficiale della Repubblica, e il
ghego, parlato in Albania settentrionale e in parti dell’ex Jugoslavia (Kosovo)

7. Tocario
A somiglianza dell’ittita, il tocario è di scoperta recente. I documenti in nostro possesso furono
rinvenuti solo a partire dell’800 nel Turkestan Cinese; si possono identificare due varietà: il tocario
A e il tocario B. Il tocario è importante perché si tratta della lingua indoeuropea più orientale a noi
nota ma che mantiene le caratteristiche del kentum. Essendo la suddivisione tra lingue kentum e
satem si basava sulla distinzione dell’area geografica, il tocario ha contribuito a mettere in
discussione l’utilità di questa suddivisione.

8. Indoiranico
Importante per la ricostruzione linguistica delle lingue indoeuropee del gruppo satem. A questo
gruppo appartiene il sanscrito, che all’inizio dell’800 era considerata la capostipite di tutte le
lingue indoeuropee.
Divisione in due gruppi: lingue iraniche e lingue indoarie.
a. Lingue iraniche: avestico e persiano antico. Attualmente parlate sono persiano moderno
(farsi), il curdo e il pashtun (Afghanistan).
b. Gruppo indoario: sanscrito (la sua varietà più antica è detta vedico). Due importanti poemi
epici che testimoniano la lingua: Ramayana e Mahabharata. Le popolazioni indoarie si
stabilirono nella valle dell’Indo ma non giunsero mai a ricoprire l’intera area del
subcontinente indiano: la parte meridionale rimane popolata da popoli che parlano lingue
non indoeuropee come il tamil.
c. Lingue arie moderne: hindi, marathu e gujarati e l’urdu (Pakistan); queste lingue hanno
subito forti influenze dalle lingue non indoeuropee parlate in India.

9. Lingue slave
Già dall’epoca delle prime fonti scritte, le lingue slave si presentano divise in 3 macrogruppi: slavo
meridionale, orientale e occidentale.
Slavo meridionale: attestazioni più antiche, traduzione della Bibbia ad opera di due monaci il
moderno alfabeto cirillico deriva dal greco maiuscolo con l’aggiunta di qualche segno. Dopo lo
scisma d’Oriente l’alfabeto cirillico rimase legato alle popolazioni di fede ortodossa mentre quelle
di fede cattolica adottarono l’alfabeto latino. Appartengono a questo gruppo le lingue moderne
sloveno, serbo, croato, bulgaro e macedone.
Slavo orientale: russo, bielorusso e ucraino
Slavo occidentale: è l’ultimo gruppo in ordine di attestazione a cui appartengono: ceco, slovacco e
polacco

10. Lingue baltiche


Le lingue baltiche sono simili alle lingue slave in misura molto maggiore rispetto alle altre famiglie
di lingue indoeuropee. Le lingue baltiche, nonostante siano di recente attestazione, sono molto
più conservative di quelle slave. Hanno avuto una posizione di cerniera fra indoeuropeo occientale
e orientale e difatti mantengono caratteristiche sia di lingue satem che kentum.
Prime fonti letterarie sono traduzioni di testi biblici in lituano antico e in prussiano antico. Oggi
sono parlate due lingue baltiche: il lituano e il lettone
11. Armeno
La presenza degli armeni nel Caucaso meridionale e nell’Anatolia orientale risale al I millennio a.C.
La tradizione letteraria armena inizia nel V sec d.C. dopo la traduzione della Bibbia. In questo
secolo si ebbe fioritura letteraria, producendo una varietà scritta di lingua, chiamata armeno
classico o grabar.
I testi di questa epoca lasciano trasparire una differenziazione dialettale che si può suddividere in
due macroaree: anatolica o caucasica. Armeni residenti in Anatolia all’inizio del 1900 furono
sterminati. Rimane oggi parlata una lingua derivante dalla varietà armena orientale.
L’armeno ha subito forti influenze da altre lingue, soprattutto dal turco; a differenza della maggior
parte delle lingue indoeuropee, l’armeno è infatti a tutti gli effetti una lingua agglutinante.

Lingue afroasiatiche
Lingue dell’Africa settentrionale e del vicino oriente; si dividono in 7 sottogruppi.
- Lingue semitiche: più antiche, varietà dell’arabo; fra le prime lingue documentate al
mondo, risalgono al III millennio a.C. La lingua semitica più antica è l’accadico, lingua degli
assirobabilonesi
- Egiziano
- Lingue cuscitiche: somalo e oromo
- Lingue omotiche
- Lingue ciadiche: Africa Subsahariana e Chad
- Lingue berbere
- Sumerico: lingua isolata

Lingue uraloaltaiche
Tra le due famiglie che compongono questo gruppo, le lingue uraliche e le lingue altaiche, esistono
per lo più somiglianze tipologiche, come la morfologia agglutinante e la presenza di armonia
vocalica.
La famiglia uralica è divisa a sua volta in due sottogruppi: ugrofinnico e samoiedo. Le prime sono
lingue non indoeuropee parlate nell’Europa settentrionale e orientale: il finlandese, l’estone, il
lappone e l’ungherese.
Le lingue samoiede sono di attestazione recente, parlate nell’area della catena degli Urali e in
Siberia da piccole popolazioni nomadi.
La famiglia altaica si divide in 3 sottogruppi: turco, mongolo e tungusomanciuro. Le prime notizie
che abbiamo di queste tribù risalgono al III secolo d.C., quando gli unni vennero in contatto con il
romano impero. Il sottogruppo più grande e meglio noto di lingue altaiche è il turco. Varietà del
turco sono oggi parlate in Anatolia, repubbliche della Federazione Russa, Asia Centrale e Turkestan
cinese.
Lingue del gruppo mongolo sono parlate in Mongolia e parte della Cina settentrionale, le lingue
tunguso-manciurie sono parlate in Siberia e nella Cina nordorientale, fino alla penisola della
Manciuria.

Lingue caucasiche
Lingue palate nelle montagne del Caucaso. Si dividono in 3 macrogruppi: caucasico,
nordoccidentale, nordorientale e cartvelico. Non è chiaro come questi gruppi siano legati tra loro
nonostante coesistano in un’area piuttosto ristretta, dato che la loro somiglianza è di ordine
tipologico.
Al gruppo cartvelico appartiene la lingua caucasica meglio documentata, il georgiano.
Dal punto di vista linguistico l’area del Caucaso è molto interessante perché presenta un’elevata
frammentazione linguistica ma che allo stesso tempo è accompagnata da un’elevata stabilità; il
territorio montagnoso non avrebbe favorito l’ingresso (e quindi nemmeno l’uscita) delle
popolazioni, risultando in pochi contatti con l’esterno.

Lingue nigercongolesi e altre famiglie di lingue africane


Costituiscono la maggior parte delle lingue parlate nell’Africa Subsahariana. La loro esistenza è
stata stabilita solo in epoca relativamente recente. La maggior parte dell’area su cui sono diffuse è
occupata dalla lingua più comune e studiata, quella delle lingue bantu, parlate soprattutto
nell’Africa centro-orientale. La lingua bantu più diffusa è lo swahili. È una delle lingue meno
rappresentative di questo gruppo; di formazione piuttosto recente, si è formata verso la fine del I
millennio d.C. quando comunità parlanti bantu sono venute a contatto con comunità arabe; sono
infatti presenti moltissimi prestiti dall’arabo e anche a livello fonologico, dato che lo swahili non
presenta il sistema tonale, tipico invece di tutte le altre lingue della famiglia nigerkordofaniana.
Altre lingue appartenenti al gruppo sono il kwa, lo yoruba e il mande, parlate vicino al Golfo di
Guinea.
In Africa troviamo poi altre due famiglie linguistiche che però non possono essere raggruppate: le
lingue nilotich (parlate lungo il basso e medio corso del nilo) e le lingue khoisan (nell’Africa sud-
occidentale)
La situazione in Africa ora è caratterizzata dalla competizione tra le lingue indigene e quelle
coloniali (francese e inglese). In alcune aree, la lingua di istruzione è stata esclusivamente quella
coloniale fino a metà del secolo scorso; solo ultimamente si è iniziata riscoprire l’importanza delle
lingue indigene. Il problema con queste è però la standardizzazione: avendo un’altissima
frammentazione dialettale è infatti difficile decidere quale varietà debba essere insegnata a
scuola. In alcune parti dell’Africa, dove fu fiorente la tratta degli schiavi, sono molto diffuse le
lingue creole.

Lingue sinotibetane
Lingue di tradizione antichissima. Particolarmente per il cinese, le prime fonti scritte risalgono al II
millennio a.C.; la storia della lingua cinese però è più difficile da ricostruire di quella delle lingue
semitiche e indoeuropee di analoga antichità a causa dell’assenza di un alfabeto (e quindi di
regole scritte di pronuncia).
La famiglia sinotibetana si divide in due sottogruppi: cinese e tibetoirmano. Elevata
frammentazione linguistica, alcune varietà sono talmente diverse da non essere mutualmente
intellegibili. Le varietà cinesi si dividono in 5 grandi aree dialettali: mandarino (putonghua) che è il
dialetto di Pechino; wu, area di shanghai; min, varietà di taiwan; yue, cantonese e hongkong;
hakka, varietà nell’area sud-orientale.
La storia del cinese si divide in 3 periodi: cinese antico (epoca delle opere di Confucio), medio e
moderno.
Grazie al peso culturale dato dall’antichità della lingua, il sistema grafico cinese è stato adottato da
molte altre lingue, come il giapponese.
Nel gruppo tibetoirmano la lingua di attestazione più antica è il tibetano le cui fonti scritte
risalgono al VII sec d.C.

Coreano e giapponese
Presentano somiglianze dal punto di vista tipologico ma non hanno una parentela genetica
stabilita con sicurezza.
Il giapponese è attestato a partire dal VIII sec d.C., poiché il sistema grafico adottato fino a quel
momento è stato quello del cinese. Oltre al sistema grafico, il giapponese ha accolto numerosi
prestiti dal giapponese.
Il coreano ci è noto a partire dal XV sec d.C., quando venne inventata la scrittura alfabetica.

Lingue australiane e dell’area pacifica


L’ Australia e le isole dell’Oceania presentano un’estrema differenziazione linguistica all’interno
della quale stabilire delle parentele genetiche è estremamente difficile dato che nessuna ha
tradizione scritta.
Il gruppo che racchiude 9 decimi delle lingue australiane è detto pamanyugan; nonostante ciò,
non è chiara la loro affiliazione genetica.
Le lingue australiane presentano somiglianze tipologiche, in quanto sono principalmente flessive e
hanno un sistema ergativo, tuttavia queste caratteristiche potrebbero essere dovute al contatto
tra le lingue piuttosto che alla loro parentela genetica.
Le lingue delle isole del pacifico presentano una situazione linguistica meglio stabilita e
appartengono alla famiglia austronesiana. I due sottogruppi principali sono quello melanesiano e
quello polinesiano. Le lingue polinesiane sono di provenienza asiatica e troviamo fra queste il
mahori, l’hawaiano, il thaitiano, il samoano e il thongano.

Lingue amerindiane
Anche le Americhe presentano una situazione linguistica molto differenziata che presenta una
certa continuità in America latina grazie alla colonizzazione da parte degli europei.
Le principali famiglie linguistiche dell’America latina sono l’utoazteco, che comprende il nahuatl, il
maya e il quechua, usato in Perù.
Sia gli Aztechi che i Maya avevano sviluppato propri sistemi di scrittura sillabica.
Un alto numero di lingue, i cui rapporti sono difficili da stabilire, è diffuso nell’America
meridionale, soprattutto nella foresta dell’Amazzonia; in questa zona infatti la penetrazione
europea è stata quasi nulla.
Le principali famiglie linguistiche del nord-America sono: eschimo-aleutino, varietà parlata in
Alaska e lungo lo stretto di Bering; il na-dene, a cui appartengono alcune lingue del Canada come il
gruppo dell’atapasco e il gruppo algonchino.

Altre famiglie linguistiche e lingue isolate


La classificazione data fino ad ora non è in grado di ricoprire tutte le famiglie linguistiche del
mondo. Rilevante è il gruppo dradvico che comprende lingue parlate nella parte meridionale del
subcontinente indiano come il tamil.
Anche in Asia troviamo il gruppo del thai, che comprende la lingua thailandese.
Anche trattando lingue indoeuropee antiche vediamo come siano presenti lingue isolate, come
l’etrusco, l’hurrico e l’hurarteo e il sumerico. Fra le lingue moderne in Europa, l’unica che non
appartiene a una delle famiglie elencate sopra è il basco, attualmente parlato nei Paesi Baschi e in
alcune aree della Francia.

Pidgins e creoli
Quando gli europei colonizzarono le Americhe, fondandovi grandi coltivazioni di tabacco,
iniziarono a rapire gente delle popolazioni delle coste occidentali dell’africa vendendole come
schiavi. Queste persone che venivano portate a lavorare a stretto contatto però spesso non
parlavano la stessa lingua: dalla necessità di comunicazione, sia tra gli schiavi che tra schiavi-
padroni, nacquero nuove lingue, dette lingue creole. Queste sono caratterizzate da una forte
presenza nel lessico della lingua coloniale (anche detta lingua lessificatrice).
I pidgins (o lingue di contatto) si sviluppano dal contatto fra comunità diverse che hanno fra loro
soprattutto scambi economici. Particolarmente nota è i russenorsk, inizio del xx secolo nelle zone
di scambi commerciali tra Russia e Norvegia; è importante sottolineare che però i pidgins non
hanno statuto di lingue ufficiali perché non vengono tramandate e vengono utilizzate solo in
determinati contesti per il periodo di tempo necessario.

Capitolo 2

Fonologia delle lingue europee e dell’indoeuropeo ricostruito. Adotteremo una duplice


prospettiva: prima, quella della ricostruzione, che si basa soprattutto sul metodo comparativo;
poi, quella del mutamento, che descrive i tipi di mutamento avvenuti in ciascuna famiglia
linguistica.
Mutamento fonologico: non è la modificazione di un segmento in un determinato contesto, ma il
vero e proprio cambiamento nel sistema fonologico di una lingua.

Modificazioni di foni

Assimilazione e dissimilazione
Ogni segmento sonoro dell’apparato fonatorio umano appare in un contesto che ne condiziona la
realizzazione: ciò avviene per un fenomeno chiamato di coarticolazione. Fenomeno per cui
normalmente articolando un suono, il nostro apparato fonatorio si prepara, per quanto possibile,
ad articolare in fono successivo.
L’assimilazione è la principale conseguenza della coarticolazione e può essere di vario genere:
assimilazione parziale, per cui il modo di articolazione resta diverso mentre il luogo di articolazione
diventa lo stesso; l’assimilazione fra segmenti può anche essere totale, ad es. in+ logico= illogico;
in+ reale=irreale; in questi casi la nasale del prefisso negativo -in si è assimilata totalmente alla
consonante che la segue. In questi casi l’assimilazione è di tipo regressivo, ovvero va “all’indietro”;
l’assimilazione può però anche agire in senso inverso, in questo caso si dice progressiva. L’italiano
presenta soprattutto fenomeni di assimilazione regressiva.

Per quanto riguarda l’articolazione dei segmenti in forme come banca, possiamo osservare che la
vocale della prima sillaba subisce gli effetti della coraticolazione: essa infatti presenta nella parte
finale una leggera nasalizzazione [bannca]. Il modo di articolazione della vocale si avvicina a quello
della consonante che la segue.

Fenomeni di sonorizzazione o desonorizzazione.


Sonorizzazione: esaminiamo gli allofoni del fonema /s/ davanti a consonante. È sorda se compare
davanti a ostruente sorda [strada] e sonora e compare davanti a ostruenti sonore, nasali, laterali e
vibranti [sdolcinato].
Desonorizzazione: può avvenire quando un segmento sonoro perde la sonorità.
Un altro mutamento che possono subire le occlusive in posizione intervocalica e che è dovuto a un
loro avvicinamento al modo di articolazione delle vocali è detta spirantizzazione; conosciamo
questo fenomeno dal toscano.
Le vocali condizionano generalmente il punto di articolazione delle consonanti che le precedono
ma solitamente non hanno valore distintivo: esempio della differenza di articolazione della [k] in
china (l’occlusione avviene verso l’inizio del palato, verso il palato duro) e della [k] in cosa. Nel
primo caso parliamo di palatalizzazione, ovvero di avanzamento del punto di articolazione verso il
palato duro.
Non tutte le modificazioni di foni sono dovute alla coarticolazione. L’assimilazione, ad esempio,
può anche avvenire a distanza, come la metafonesi o metafonia, un tipo di modificazione che
colpisce il timbro delle vocali, nota nelle lingue germaniche antiche.

La dissimilazione può essere esemplificata dalla Legge di Grassman (vedi + avanti)


L’assimilazione e la dissimilazione possono avere l’effetto di diminuire o aumentare il numero di
segmenti: ciò si osserva nella creazione o scomparsa dei dittonghi. Il primo fenomeno si chiama
monottongazione, e consiste nell’avvicinamento progressivo delle due vocali che compongono un
dittongo fino al fondersi in un unico timbro; ad esempio nel latino arcaico: dittongo [ai] che nel
latino classico era già diventato [ae].
Il fenomeno inverso si chiama dittongazione ed è la creazione di due segmenti a partire da uno
iniziale, più correttamente chiamata differenziazione. Es. latino: bonum - italiano: Buono

Struttura sillabica e accento


Esistono altre modificazioni di foni causate dalla struttura sillabica; ad esempio, in italiano la
sillaba accentata è lunga a meno che non sia la sillaba finale assoluta di parola. Una sillaba può
essere lunga se è chiusa oppure se ha una vocale lunga.
In altri casi l’allungamento vocalico può essere dovuto dall’esigenza di mantenere la lunghezza
della sillaba in presenza di una semplificazione o scomparsa della coda consonantica: ciò avviene
nel caso di allungamento di compenso, presente ad esempio nel greco classico.
In varie lingue, come il tedesco e il russo, le occlusive finali di parola possono essere solo sorde. In
molte lingue esistono restrizioni sulla struttura della sillaba finale di parola, che riguardano la
possibile presenza di code consonantiche o il tipo di consonante che può ricorrere nella coda. In
italiano, la sillaba finale di parola deve essere aperta, non ammette cioè la presenza di code
consonantiche. Le uniche parole italiane che finiscono in consonante sono i proclitici.
L’accento può avere un ruolo rilevante nella modificazione dei foni

Tipi di mutamenti fonologici

Fonologizzazione

Avviene qualora due allofoni vengano a trovarsi almeno in un contesto nella stessa distribuzione.
Ad esempio, in inglese in finale assoluto di parola il gruppo consonantico [ng] si è semplificato nel
senso che è caduta l’occlusiva finale. Fenomeno molto comune perché in realtà molte lingue non
supportano le code consonantiche complesse. La scomparsa del fono [ng] ha lasciato senza
contesto il fono [ng] che ha quindi assunto funzione distintiva. Ad esempio, nelle coppie di parole
son /son/ e song /song/, nonostante la grafia conservi l’occlusiva, essa non è più realizzata nella
pronuncia. Importante sottolineare che questo fenomeno riguarda la fine di parola; all’interno
della parola infatti il gruppo consonantico non è scomparso a livello fonetico; ad esempio in singer
/singger/.
Un altro caso di fonologizzazione è costituito dalla nasalizzazione della vocale che precede una
consonante nasale in francese.
Defonologizzazione

Processo inverso alla fonologizzazione; è la perdita di un’opposizione fonologica, ad esempio la


scomparsa dell’opposizione fonologica tra i fonemi /s/ ~/z/ in molte varietà italiane come
nell’opposizione tra la realizzazione fonetica di chiese: /kjese/ e /kjeze/. Davanti a ostruente
l’opposizione è neutralizzata mentre in inizio assoluto di parola troviamo sempre /s/ e mai /z/.
Un altro esempio di defonologizzazione è costituito dalla scomparsa della distinzione tra vocali
lunghi e brevi nel latino volgare. In latino classico infatti esistevano coppie minime che erano
distinte esclusivamente dalla quantità vocalica: rosa (nominativo) e rosā (ablativo). Nel latino
volgare (primi secoli d.C) questa opposizione scomparve. Con la defonologizzazione il numero di
opposizioni diminuisce.

Rifonologizzazione

Fenomeno che non agisce sul numero delle opposizioni fonologiche. Essa consiste piuttosto nella
sostituzione completa dell’allofono principale di un fonema con un altro allofono. Prima rotazione
del germanico (vedi + avanti). Le lingue indoeuropee presentano sistemi accentuali di vario
genere. In base alle testimonianze delle lingue più conservative possiamo ricostruire per
l’indoeuropeo un accento con sede libera: si trattava di un accento musicale o di altezza.

Sistema fonologico dell’indoeuropeo

Ricostruzione

Come ricostruiamo i fonemi?


Nel caso di parole concordanti in tutte le lingue (soprattutto quelle con le nasali tipo “nove”) è
abbastanza intuitivo; nei casi invece in cui una lingua sia discorde dalle altre diventa più
problematico.
Latino pater
Greco pater
Sanscrito pitar
Inglese father
L’inglese è discorde perché presenta una fricativa nel luogo di un’occlusiva.
Bisogna, per poter risalire alla forma indoeuropea, esaminare una grandissima quantità di dati e le
relative “leggi fonetiche”. il procedimento utilizzato quello è del metodo comparativo.
Le leggi fonetiche

Verso la fine del XIX sec. un gruppo di studiosi tedeschi chiamati neogrammatici giunse a
individuare le caratteristiche di regolarità del mutamento fonologico. Fu elaborato allora in
concetto di legge fonetica (fonetica ma in realtà si parla di mutamento fonologico)

La legge di Grimm
All’inizio del XIX secolo, Rask e Grimm, due studiosi, indipendenti, osservarono che a una fricativa
del germanico corrispondeva un’occlusiva nelle lingue indoeuropee. Il germanico presentava una
discrepanza rispetto alle altre lingue indoeuropee nel caso di tutte le occlusive.
Le consonanti occlusive per l’indoeuropeo si sono “spostate” in germanico: si è avuta una
rotazione per cui l’occlusiva sorda è diventata una fricativa sorda (spirantizzata) l’occlusiva sonora
è diventata un’occlusiva sorda (desonorizzata) e l’occlusiva sonora aspirata ha perso l’aspirazione.
Per questi motivi questo mutamento è chiamato rotazione consonantica.
Questo mutamento però non cambia il numero di fonemi: ci troviamo sempre davanti allo stesso
numero di ostruenti; questo mutamento è pertanto da considerarsi un caso di rifonologizzazione.

La legge di Verner
Spiegazione delle irregolarità riguardo alla legge sopra.
Anni 70 del XIX secolo, Verner da una spiegazione per quelle che sembravano delle irregolarità.
Osservando la posizione dell’accento nelle lingue che avevano conservato un accento libero,
Verner notò che le eccezioni si trovavano tutte in posizioni interne di parola e non erano
immediatamente precedute dalla sillaba che in origine portava l’accento. Possiamo enunciare la
legge di Verner in questo modo: in posizione interna di parola, se non preceduta immediatamente
dalla sillaba tonica, una occlusiva sorda diventa una fricativa sonora.

La legge di Grassmann, 1863


In alcune lingue indoeuropee, la formazione dei tempi verbali portava ad un processo morfologico
detto raddoppiamento. In particolare, in greco e sanscrito veniva raddoppiato il tema del tempo
perfetto. Se però osserviamo la formazione del perfetto dei verbi la cui radice inizia con una
consonante aspirata notiamo una apparente irregolarità: in queste forme il raddoppiamento non
contiene la prima consonante della radice, che è un’occlusiva aspirata, ma la corrispondente
occlusiva non aspirata. Questi processi morfofonologici si possono spiegare attraverso un
fenomeno di dissimilazione: in greco e in sanscrito, due aspirate di due sillabe successive si
dissimilano e generalmente la prima perde l’aspirazione, mantenendola solo quando la seconda
aspirata la perde a sua volta. In sintesi, non ci sono due aspirate in due sillabe successive.

L’isoglossa kentum/satem e l’albero genealogico delle lingue indoeuropee

Le lingue indoeuropee vengono tradizionalmente suddivise in due gruppi in base all’area


geografica: kentum e satem; questa suddivisione avviene in base al trattamento delle velari
indoeuropee ma non venne più ritenuta adeguata dopo la scoperta dell’anatolico e del tocario,
lingue orientali che presentano caratteristiche kentum. Entrambe le famiglie presentano al loro
interno caratteristiche di entrambe le suddivisoni. La divisione per albero genealogico verso il
1870 non è più proponibile.
Nonostante il modello ad albero genealogico sia in uso ancora oggi è da considerarsi ampiamente
superato.

Diffusione del mutamento

Diffusione del mutamento fonologico: isoglossa, indica una linea che su un’area geografica
delimita la comparsa di un certo fenomeno fonologico. È importante tenere presente che i limiti
di diffusione del mutamento non sono netti ma che si vanno spesso a intersecare con i limiti di
mantenimento della situazione precedente.
Il modello ad albero genealogico presuppone, erroneamente, che le lingue si separino in origine e i
mutamenti interessino in maniera globale un intero ramo.
Già verso la meta del XX secolo venne proposta una teoria alternativa, la teoria delle onde; lo
studioso Schmidt propose di considerare i mutamenti linguistici come fenomeni che partendo da
un centro di irradiazione si diffondono a cerchi concentrici indebolendosi man mano che si
allontanano dal centro. Con questa teoria si inizia a tener conto deli possibili effetti della
variazione diatopica su quella diacronica.

Il vocalismo indoeuropeo: l’apofonia


Tra la fine del XVIII e inizio del XIX secolo, in occidente si diffonde un grande interesse per la
cultura dell’India, vista come la culla dello spirito elevato e nobilitato. Grazie a ciò, quando i primi
studiosi scoprirono le corrispondenze con il sanscrito e le lingue europee, immediatamente
dedussero (erroneamente) che esso fosse la lingua capostipite.
Una delle più grandi difficoltà nel considerare il sanscrito l’origine di tutte le lingue, risiede nel suo
vocalismo; in sanscrito, le tre vocali indoeuropee <o>, <e>, <a> sia lunghe che brevi si sono fuse in
un’unica vocale, <a>, lunga o breve.
Furono poi i neogrammatici a scoprire la cosiddetta “legge delle palatali”, che dimostra come in
sanscrito siano rimaste tracce delle vocali indoeuropee nel consonantismo.
Un’altra ragione per cui era difficile credere che inizialmente l’indeuropeo avesse solo la vocale
<a>, stava nel non poter comprendere appieno il ruolo di un importante processo
morfofonologico chiamato apofonia o gradazione consonantica o alternanza vocalica.
Alternanza vocalica qualitativa: ad esempio, l’alternanza di/ e/ o/ø/ della vocale radicale dei verbi
e nomi in forme diverse. Ancora visibile nell’inglese sing-sang-sung.
Oltre che qualitativa, l’apofonia può essere anche quantitativa e comportare l’alternanza di una
vocale lunga e una breve, che generalmente corrisponde alla schwa indoeuropea che si presenta
come /a/.
Velari, labiovelari e palatali

Per l’indoeuropeo si ricostruiscono 3 serie di velari:


- Velari vere e proprie
- Velari palatalizzate, il cui punto di articolazione era
presumibilmente più avanzato
- Labiovelari, che si presume fossero articolate con la protusione
delle labbra.

Vocalismo indoeuropeo II: le laringali

Nel 1878, Saussure, formulò un’ipotesi secondo la quale partendo dalla vocale di base e gli altri
timbri vocalici sarebbero derivati per l’aggiunta di altri fonemi che egli chiamò coefficienti
consonantici; questi fonemi sarebbero poi scomparsi in tutte le lingue storiche lasciando come
traccia la colorazione, cioè il timbro, della vocale e la sua quantità. Si giunse poi alla ricostruzione
per opera di Herman Møller di 3 fonemi, detti laringali e attualmente trascritti come /h1/, /h2/ e
/h3/ (/H/ per una laringale generica). In particolare, le laringali che precedevano la vocale /e/
davano come esito tre vocali brevi mentre quelle che la seguivano davano l’effetto di allungare la
vocale.

Dinamiche e cause del mutamento fonologico

Gli studiosi hanno ricercato motivazioni di di vario genere pe spiegare il mutamento fonologico.
1. Spiegazioni sostanzialiste, dei neogrammatici, primi a porsi il problema del mutamento
linguistico. A loro avviso la principale causa sarebbe quella di avere la tendenza a diminuire
sempre di più lo sforzo nell’articolazione dei foni. Questo modo di vedere le cose però
tiene in considerazione soltanto il punto di vista del parlante e non dell’ascoltatore che ha
comunque necessità di comprendere il messaggio. La caratteristica principale del
mutamento fonologico secondo i neogrammatici è la sua regolarità; le eccezioni a una
determinata legge possono essere spiegate solamente attraverso un’altra legge, a meno
che le parole non siano dei prestiti.
2. Spiegazioni formali, strutturalisti e generativisti. All’inizio del ‘900 Saussure introduce in
linguistica il concetto di sistema. Secondo gli strutturalisti il motivo per cui dalla creazione
di allofonia si passa a un mutamento vero e proprio è da vedersi nella tendenza del sistema
fonologico a rimanere in equilibrio. Gli strutturalisti introducono il concetto di casella
vuota, catena di propulsione e catena di trazione per spiegare le cause del mutamento: se
tutti i timbri vocalici presentano un’opposizione di quantità, il fatto che un solo timbro non
la presenti creerà un’asimmetria nel sistema che tenderà quindi a ristrutturarsi. Un
mutamento interno può creare uno squilibrio e portare con sè altri mutamenti : in questo
caso parliamo di catena di trazione. Mutamento a catena di propulsione avviene quando
viene a crearsi un fonema che riempie la casella già riempita da un altro; per mantenere le
necessarie opposizioni il vecchio fonema viene spinto via dalla sua posizione originaria e
inizia un nuovo mutamento. Il mutamento a catena può essere esemplificato dalla legge di
Grimm.
Anche la linguistica generativa, proposta negli anni ‘50, si era rivolta inizialmente allo
studio sincronico del linguaggio; il primo importante lavoro dedicato al mutamento
fonologico nel quadro generativo è stato quello di King. In questo quadro teorico, il
mutamento fonologico è spiegato come dovuto ad aggiunta, eliminazione o riordino di
regole. Secondo i generativisti, ciò avviene solamente nello scambio generazionale: il
bambino è responsabile del fatto che in contesti identici ciò che viene interpretato come
distintivo non sia più ciò che l’emittente adulto interpreta come tale; questa è una teoria
del mutamento linguistico in generale.

I sistemi fonologici delle singole famiglie di lingue indoeuropee

Il latino
L’alfabeto usato dal latino presenta un buon grado di corrispondenza tra grafemi e fonemi; i pochi
casi per cui la corrispondenza non è biunivoca sono rappresentati dalle vocali, per le quali non è
notata la quantità <sc> indica sempre la sequenza /sk/, <gn> indica sempre /gn/ e <ti> indica
sempre /ti/: anche se nel latino volgare veniva pronunciato come /ts/ es. in patientem
/patsjentem/, è solo una caratteristica del latino volgare.
Principali mutamenti fonologici che hanno caratterizzato il latino volgare e che sono quindi
caratteristici alle lingue romanze:
- palatalizzazione delle velari davanti a vocale anteriore: ad esempio, la parola latina
“centum” si pronunciava /kentum/ in latino classico, ma in latino volgare è poi diventato
/centum/ e anche nelle lingue romanze ha poi mantenuto la palatalizzazione (it. “cento”,
sp. “ciento”, fr.”cent”. Dal punto di vista puramente fonetico non si sa con esattezza
quando sia iniziata l’allofonia: si può comunque parlare di mutamento fonologico
solamente quando i due termini iniziano a essere usati indistintamente.

Molti mutamenti hanno anche investito le vocali:


- nel latino volgare infatti scompare la differenziazione tra vocali lunghe e vocali brevi , che
infatti non si è perpetuata in nessuna lingua romanza; inoltre i dittonghi latini chiusi
scompaiono monottongandosi, ad esempio nella parola <aurum>, che in italiano diventa
<oro>; parole come “aureo” sono di origine dotta e sono entrate a fare parte dell’italiano
solo più tardi; si creano però nuovi dittonghi aperti per la dittongazione delle vocali /e/ e
/o/, ad esempio in latino <focum> e in italiano <fuoco>.

Il germanico
Le più antiche fonti germaniche sono i vangeli tradotti in gotico nel IV secolo d.C; il gotico è scritto
in alfabeto latino con l’aggiunta di alcuni segni. In generale, la corrispondenza tra fonema e
grafema è buona. Per quanto riguarda le lingue moderne derivate dal germanico, come l’inglese,
la corrispondenza fonema grafema è scarsa. Da un lato, la grafia è molto conservativa e testimonia
una realtà fonologica che ha subito notevoli mutamenti. Anche l’inglese antico presentava
notevoli discrepanze tra fonemi e grafemi.
Per quanto riguarda il consonantismo, il germanico è caratterizzato dalla legge di Grimm e da
quella di Verner; inoltre, in tedesco l’articolazione delle consonanti ha subito un’ulteriore
rotazione, detta seconda rotazione consonantica1 (VEDI APPUNTI). È importante ricordare che se
parliamo del germanico non parliamo di una lingua nota e ma da una lingua ricostruita, pertanto i
fonemi elencati hanno subito ulteriori mutamenti nelle lingue storiche. Il germanico comunque è
caratterizzato da un consonantismo piuttosto conservativo.
1 Seconda rotazione consonantica: fenomeno che ha colpito le ostruenti provocandone un

ulteriore spostamento. Questa variazione non è stata completa in tutte le varietà tedesche
interessate: il centro del mutamento è stato il meridione che infatti presenta il mutamento nella
sua interezza. L’alto tedesco letterario invece, da cui deriva il tedesco moderno, presenta questa
modificazione soltanto in alcune serie delle dentali, mentre per altre serie il mutamento interessa
solo le sorde del germanico.
Ricapitolando:
• Le occlusive sorde germaniche diventano affricate o fricative sorde
• La dentale sonora germanica diventa un’occlusiva dentale sorda
• La fricativa dentale germanica diventa un’occlusiva dentale sonora
Per quanto riguarda le vocali, il germanico presenta un fenomeno che interessa che lo slavo e il
baltico, cioè la confusione dei timbri vocalici indoeuropei /a/ e /o/. in particolare, in germanico
/a:/ e /o:/ confluiscono in /o/ e /a/ e /o/ confluiscono in /a/. es. latino ma:ter, inglese mother.

Un fenomeno tipico delle lingue germaniche è la metafonesi, (Alterazione di una vocale sotto
l'influenza di una vocale seguente (normalmente finale di parola) che si trova in via di
indebolimento) (VEDI APPUNTI). Anche detta Umlaut. Si tratta di un’assimilazione regressiva a
distanza fra vocali e, più precisamente, dell’avanzamento del timbro della vocale radicale sotto
l’influenza di una vocale anteriore presente nel suffisso

Il sanscrito
Il sanscrito è scritto in un alfabeto detto devanāgarī. Questo sistema è molto accurato dal punto
di vista fonologico. La nostra conoscenza della fonologia e della fonetica del sanscrito è ottima
anche grazie all’opera dei grammatici indiani che erano molto più precisi di quelli greci e latini.
Il sanscrito conserva tutte le serie di ostruenti indoeuropee aggiungendo una serie di sorde
aspirate che derivano dalla fonologizzazione di allofoni delle sorde.
Per quanto riguarda le vocali, in indoiranico le 3 vocali indoeuropee /a/, /e/, /o/ , lunghe e brevi, si
sono fuse in un unico timbro /a/, lunga e breve. I dittonghi /ai/ e /au/ si sono monottongati dando
come esito rispettivamente /e/ e /o/.
Capitolo 3- il mutamento morfologico

Mutamento fonologico e ricostruzione dei paradigmi flessivi indoeuropei.


Il mutamento morfologico è in larga parte spiegabile esclusivamente in connessione con quello
fonologico e sintattico.
Riguarda due ordini di problemi:
- Mutamento all’interno delle classi flessive
- Mutamento sistematico di tecnica morfologica
- Creazione o rinnovamento delle categorie flessive o di tipi di morfemi derivazionali.
-
La scomparsa dei casi nel passaggio da latino a italiano sarebbe spiegabile in realtà come
conseguenza della caduta delle consonanti in sillaba finale. Ad esempio, nelle forme del sostantivo
latino lupus:
NOM lupus
DAT lupō
ACC lupum
ABL lupō
Con la scomparsa dell’opposizione fra vocali brevi e lunghe e la caduta delle consonanti a fine di
parola, la distinzione fra nominativo e le altre classi furono annullate. (spiegazione solo parziale
del fenomeno). La scomparsa della flessione infatti può essere dovuta sì a cause fonologiche, ma,
se il mutamento fonologico porta con se la scomparsa della flessione significa che la flessione
stava già scomparendo per motivi che devono essere ricercati nel mutamento sintattico.

Il mutamento fonologico ha comunque notevoli ripercussioni sulla morfologia: tende ad esempio a


creare allomorfia. L’allomorfia è molto comune ma non è una condizione ottimale per una lingua:
le lingue infatti attestano numerosissimi casi di mutamento analogico, un tipo di mutamento che
ha come scopo quello di diminuire il numero di allomorfi di uno stesso morfema. (es. sUOnare vs.
sOnoro)

Nel ‘900 inizia a essere studiato un fenomeno che viene chiamato grammaticalizzazione. Questo
fenomeno studia il rinnovamento delle categorie flessive in base alla constatazione che spesso si
può dimostrare che gli affissi flessivi derivano dalle parole un tempo indipendenti che si sono
desemanticizzate e che hanno perso la loro autonomia fonologica.

Nozioni preliminari
Parola: unità dell’analisi morfologica ma anche fonologica. I clitici sono elementi che sono parole
dal punto di vista morfologico ma che non sono tali dal punto di vista fonologico perché non
portano accento. L’italiano è ricco di clitici, ovvero parole dal punto di vista morfologico ma non
fonologico; hanno la particolarità di dover ricorrere in posizioni fisse rispetto al verbo, dal quale
non possono essere separate se non da altri clitici. I clitici sono unita linguistiche non prototipiche.

Gli allomorfi sono le possibili realizzazioni di un morfema. Essi possono essere studiati in maniera
sistematica nell’ambito dei paradigmi flessivi; un paradigma flessivo è un insieme di forme dello
stesso lessema che esprimono categorie flessive del lessema stesso. Rilevante per lo studio dei
paradigmi flessivi e del loro mutamento è il concetto di produttività morfologica. Una classe
flessiva infatti può essere più produttiva delle altre; i paradigmi flessivi non hanno tutti lo stesso
statuto: esistono fra questi una o più classi flessive produttive, mentre le altre non lo sono.
La produttività morfologica si misura in base a varie caratteristiche dei lessemi che ne fanno parte;
una di queste è il numero: in generale la classe produttiva ha più membri di quella non produttiva.
Es in italiano: tra le tre classi flessive dei verbi es. -a- amare, -e- leggere, -i- sentire, possiamo dire
che solo la prima classe è produttiva perché più regolare perché i verbi che appartengono a questa
casse in generale non presentano allomorfia della base.
Anche un singolo morfema può essere produttivo, in questa caso sarà sovraesteso anche al di fuori
della sua classe flessiva.

La tipologia morfologica
La variazione morfologica ha destato interesse fino a partire dalla fine del XVII secolo. Si arrivò così
ad una classificazione distinguendo fra lingue analitiche e lingue sintetiche e, queste ultime
ulteriormente suddivise fra lingue fusive e agglutinanti. In realtà tutte le lingue hanno una
componente di entrambe le parti quindi è più corretto parlare di “indice di sintesi”.

La forma analitica analizza il significato nel senso che lo divide fra grammaticale e lessicale: es.
amaste (sintetica: unisce significato grammaticale e lessicale) // avete amato (analitica: divide il
significato tra grammaticale e lessicale). Scrissi e scriveva sono entrambe forme sintetiche ma in
scrissi vediamo un allomorfo particolare della radice e che è tipico solo del passato remoto; scriv-
invece è l’allomorfo principale della radice e si presta ad una segmentazione più pratica e analitica.
Nell’imperfetto troviamo una tecnica più agglutinante, nel caso del passato remoto una tecnica
fusiva.
L’italiano è una lingua principalmente fusiva con un grado di sintesi relativamente alto,
soprattutto nel verbo.
Le lingue analitiche sono dette isolanti e hanno poca o nessuna morfologia flessiva.
Esempio in cinese, in cui le parole sono invariabili e i significati grammaticali vengono espressi da
parole senza significato lessicale. POLISINTETICHE: ACCORPANO PIù RADICI LESSICALI
AGGLUTINANTI: UNA SOLA RADICE LESSICALE
Le lingue agglutinanti sono lingue in cui a ciascun significato grammaticale corrisponde un
morfema specifico; un esempio è il turco o il finnico. A differenza delle lingue flessive, le lingue
agglutinanti generalmente non hanno classi flessive, i verbi e i nomi non sono cioè organizzati in
declinazioni e coniugazioni diverse.
Le lingue fusive invece hanno spesso classi diverse; per esempio, i verbi italiani sono organizzati in
3 coniugazioni e i nomi latini in 5; ciò rende molto più alto il numero degli allomorfi di ciascun
morfema. Fra le lingue fusive c’è un sottogruppo detto introflessivo, esemplificato in particolar
modo dalle lingue semitiche. Il significato lessicale è espresso dalle consonanti della radice mentre
le vocali variano a seconda dei diversi significati grammaticali. Un esempio di lingua introflessiva è
l’ebraico.
Un ulteriore tipo morfologico è costituito dalle lingue polisintetiche o incorporanti. Ad esempio in
italiano, si noti la differenza tra
[1] Incatenalo! qui abbiamo incorporato nel verbo due costituenti che nella seconda compaiono
come oggetto indiretto e diretto in costituenti separati dal verbo stesso.
[2] Mettigli le catene!
un esempio di lingua incorporante è il tiwa meridionale.

Questa classificazione ha il suo fondamento in Willhelm von Humboldt, diplomatico prussiano e


filosofo del linguaggio. Contrariamente a quanto affermato da Humboldt oggi sappiamo però che
lingue della stessa famiglia possono appartenere a tipi diversi; inoltre, una conoscenza di un
numero sempre maggiore di lingue ci porta a pensare che i tipi “puri” siano molto poco
rappresentati.
Le lingue indoeuropee antiche sono lingue morfologicamente complesse; le loro classi maggiori,
nome e verbo, presentano un carattere altamente flessivo. Il tipo morfologico dell’indoeuropeo è
quello flessivo. i morfemi grammaticali presentano il fenomeno detto esponenza cumulativa:
ciascun morfema grammaticale segnala più di un significato grammaticale. Un fenomeno proprio
delle lingue fusive è la presenza di diverse classi flessive per la stessa classe lessicale. Osservando
ulteriormente i verbi italiani possiamo facilmente riconoscere la vocale tematica; la sua funzione è
quella di individuare la classe flessiva a cui appartiene una parola.
Esistono 3 classi flessive del verbo in italiano: amate, bevete, sentite. Le classi flessive si
distinguono in base al tema. Il sostantivo italiano si flette solamente in base al numero. In altre
lingue indoeuropee antiche e odierne invece troviamo una complessa flessione casuale.
Un altro fenomeno che si osserva nelle lingue fusive (in particolare in alcune lingue indoeuropee
antiche e moderne) è la cosiddetta esponenza estesa. Fenomeno in un certo senso contrario
all’esponenza cumulativa: un certo significato grammaticale è segnalato da più di un esponente:
un esempio è quello della segnalazione verbale dell’imperfetto e nell’aoristo indicativo del greco
antico.

Il piano morfofonologico

In latino non esistevano alcuni fonemi oggi presenti in italiano come le affricate palatali e dentali,
la fricativa palatale, la nasale palatale e la liquida palatale. Questi fonemi infatti sono nati quando
allofono di altri fonemi nella posizione davanti a vocale anteriore si sono fonologizzati.
Amici in latino /amikus/
In italiano /amitsci/
L’alternanza fra questi due allomorfi ha valore morfofonologico: un’alternanza fonologica
determinata dal contesto morfologico.
Esistono anche casi in cui il mutamento fonologico ha come risultato quello di cancellare dei
morfemi; questo spesso non è un mutamento puramente morfologico, se un’opposizione viene
cancellata dal mutamento fonologico in maniera definitiva, significa che alla base c’è un
mutamento delle categorie grammaticali (a livello della sintassi) o nel lessico della lingua. Inoltre,
all’interno dei paradigmi flessivi di norma esiste un certo grado di omofonia delle forme. Es. verbo
essere in italiano: 1° persona singolare: sono, 3° persona plurale: sono. Come si ovvia a questi
problemi di omofonia? Il contesto serve per disambiguare forme potenzialmente ambigue.
L’omofonia all’interno dei paradigmi è molto comune, soprattutto nelle lingue fusive: spesso
questo fenomeno viene chiamato “sincretismo”.
Il mutamento fonologico ha aumentato spesso il numero di omofoni all’interno di un paradigma.
Ad esempio, dal latino in italiano, la scomparsa delle consonanti di fine parola due delle tre forme
erano uguali: la prima e la terza del verbo imperfetto indicativo latino “amabaM-amabaS-
amabaT”, . Il mutamento fonologico può avere come effetto anche la scomparsa di classi flessive.

Le categorie più frequenti presentano un


maggior grado di differenziazione
Il mutamento analogico

Il mutamento fonologico può quindi creare allomorfia; ciò significa che uno stesso morfema che
prima del mutamento aveva un solo allomorfo viene poi ad averne un numero maggiore.
L’allomorfia può riguardare la base o i morfemi grammaticali. Il mutamento analogico che riduce il
numero di allomorfi radicali risulta in un livellamento del paradigma, mentre il mutamento che
riduce il numero degli allomorfi desinenziali risulta di norma nell’estensione di un allomorfo ai
contesti in cui dovrebbe comparirne un altro. Si può allora assistere all’espansione dell’allomorfia
in maniera tale da riprodurre la stessa struttura anche nei paradigmi in cui non è risultato del
mutamento fonologico.
(vedi esempio di livellamento e estensione)

Un esempio ben noto di estensione analogica è la metafonia o Umlaut; nei plurali tedeschi questo
fenomeno si trova anche in forme in cui non può essersi verificato per regolare aumento
fonologico, per diversi motivi. Es. Kanal-Kanäle: il cambiamento di timbro sulla vocale è stato
esteso per analogica perchè l’Umlaut insieme alla desinenza -e è stata reintepretata come facente
parte del morfema del plurale; in pratica si può dire che vi è una classe flessiva produttiva che
tende ad inglobare le parole provenienti da altre classi flessive o da prestiti.
Si può parlare quindi di leggi dell’analogia.
Il verbo italiano presenta nei casi di allomorfia della base una distribuzione degli allomorfi che
segue uno schema fisso nel presente indicativo. Questi schemi dei paradigmi che accomunano
gruppi di forme sono detti partizioni.

Il mutamento analogico non avviene obbligatoriamente. Che cosa fa si che in alcuni casi
l’allomorfia si sia preservata e in altri no?
Nelle lingue indoeuropee antiche e moderne è molto comune che il verbo “essere” abbia temi
suppletivi. Il supplettivismo è un caso limite di allomorfia: gli allomorfi della base del verbo essere
non sono diversi fra loro solo per accidenti fonologici, come nel caso di muoio e moriamo ma
perché derivano da basi di origini diverse o perché i mutamenti fonologici sono stati tali da
rendere le basi completamente diverse. In italiano ad esempio abbiamo forme come sono, ero, è,
fui, fosse. Le prime tre forme risalgono tutte alla stessa base indoeuropea ma già in latino vari
mutamento fonologici avevano avuto l’effetto di rendere opaca la somiglianza fra queste forme.
Ad esempio suam, eram, est. In questo caso si può dire che l’allomorfia ha portato al
supplettivismo. Il motivo che favorisce il supplettivismo risiede nell'uso e in particolare nella
frequenza. Ad esempio, il verbo essere ha frequenza altissima rispetto al altri verbi. I verbi che
presentano maggiore allomorfia della base sono tutti di uso molto frequente: essere, avere
andare.

Il mutamento di tipo morfologico


Primo studioso di tipologia morfologica, Willhelm von Humboldt; Le sue teorie furono ben presto
sorpassate da altre ipotesi, fatte dai linguisti del XIX secolo che dicevano che le desinenze flessive
delle lingue derivassero da parole un tempo autonome: teoria dell’agglutinazione.
Questo modo di vedere comporta una direzione fissa del mutamento tipologico: nelle lingue
isolanti le parole grammaticali tenderebbero a perdere la loro autonomia fonologica e diventare
morfemi legati.

Secondo Schleicher questo tipo di mutamento aveva


l’effetto di portare da un tipo più semplice e primitivo a
un tipo più complesso. L’indoeuropeo ricostruito avrebbe
rappresentato il tipo fusivo nella sua perfezione mentre le
lingue indoeuropee rappresenterebbero le varie fasi di
decadimento. Il passaggio da tipo isolante a tipo
agglutinante è chiamato “riduzione” perchè comporta la
perdita di autonomia fonologica delle parole
grammaticali, che diventano suffissi.
Nella storia delle lingue indoeuropee si assiste spesso alla diminuzione del grado di sintesi:
l’inglese si avvicina in buona parte al grado isolante; buona parte delle forme in francese di ciascun
tempo verbale sono omofone e le persone sono segnatale dal clitico soggetto.

Esempio dell’estone: lingua agglutinante con


tendenza al fusivo.

La grammaticalizzazione
Le forme grammaticali tendono a rinnovarsi. La creazione di nuovi morfemi grammaticali si compie
attraverso il processo noto come grammaticalizzazione. Sia in latino che in italiano abbiamo tra i
tempi verbali sia imperfetto che futuro.

L’imperfetto italiano ha perso la consonante finale


di parola ma oltre a questo l’imperfetto italiano
continua con quello latino.

Per il futuro le cose stanno diversamente.


Il latino per prima cosa ha due formazioni diverse per il futuro
mentre l’italiano ha un tipo di formazione per tutti i paradigmi.

Processo per cui il verbo avere nel futuro perde il suo significato
lessicale. Il verbo avere si è da rima ausiliarizzato, perdendo il
suo significato proprio di possedere. In un secondo tempo
l’ausiliare deve essere diventato un clitico e ha perso lo statuto
di parola fonologica. Infine l’ausiliare ha perso anche lo statuto
di parola morfologica diventando un morfema legato : origine
dei morfemi legati.
Anche il condizionale delle lingue romanze, che non esisteva in latino, si è formato per un simile
processo di grammaticalizzazione. In latino il significato espresso dal condizionale romanzo era
espresso da un tipo di congiuntivo latino.

Anche le forme grammaticali possono grammaticalizzarsi ulteriormente. Il cambio di classe


lessicale è anche chiamato transcategorizzazione. Normalmente, un elemento di una classe aperta
passa a una classe chiusa. Le classi chiuse contengono elementi lessicali che hanno significato
grammaticale. In latino ad esempio non esisteva l’articolo mentre questo esiste nelle lingue
romanze; in particolare gli articoli determinativi derivano da pronomi dimostrativi

Le lingue europee possiedono due macroclassi flessive: flessione atematica e tematica. I processi
morfologici che si ricostituiscono per l’indoeuropeo sono: suffissazione, prefissazione infissazione
verbali e apofonia. Anche nel verbo le lingue indoeuropee tendono ad eliminare la flessione
atematica. In molte lingue si riduce o si perde l’opposizione aspettuale, in alcune scompare
l’apofonia e infine prevale la suffissazione.

Capitolo 4- Fra morfologia e sintassi: le categorie grammaticali delle lingue indoeuropee

In questo capitolo esamineremo le forme grammaticali dal punto di vista del significato: ciò non ci
permette più di tenere separati i livelli ma di unire il piano morfologico e quello sintattico.

Il sistema di parti del discorso e le categorie grammaticali dell’indoeuropeo ricostruito


Tradizionalmente dividiamo il lessico in classi lessicali (o parti del discorso). Il sistema in uso per
classificare le lingue indoeuropee non è di certo universale. In italiano l’attribuzione di un
determinato lessema a una certa classe lessicale si basa su due tipi di criteri diversi; esaminiamo
innanzitutto il comportamento morfologico: se un lessema si flette per tempo e modo, lo
classificheremo come verbo, se si flette solo per numero come nome etc.

Nome
Il nome indoeuropeo si fletteva per numero e caso. In una fase tarda dell’indoeuropeo i nomi
erano classificati in 3 generi: maschile, femminile e neutro. Il genere è una categoria inerente per il
nome e flessiva per l’aggettivo e parte dei pronomi. In maniera simile al nome si comporta
l’aggettivo ed esprime grado comparativo e grado superlativo con mezzi flessivi.

Numero
Molte lingue indoeuropee moderne come l’italiano hanno una sistema che oppone due soli
numeri, singolare e plurale. In alcune lingue troviamo anche il numero duale, usato per indicare
una coppia.
Il numero è una categoria nominale e nelle lingue indoeuropee, e come in molte altre anche una
categoria di accordo di aggettivi e verbi; può servire ad indicare il soggetto di una forma verbale
finita.
I nomi di massa normalmente non hanno il plurale o per lo meno il plurale non ha la stessa
funzione.
Nomi astratti e nomi collettivi: acqua- acque (nome di massa, al pl. Si usa in determinate
circostanze); libro-libri (nome numerabile, si usa il pl. Se la quantità è superiore a 1)
In inglese sono nomi di massa molti nomi astratti: information, news, ecc.
Simile al plurale sono le forme di collettivo. Il collettivo concettualizza una pluralità di elementi
non come tale ma come massa: ad esempio la parola “folla”: il concetto di folla è più astratto e
meno individuato di quello di “persone”. Il collettivo presenta un insieme di entità non come
plurale ma come entità unica.

Genere
Il genere grammaticale ha due funzioni principali: classificare i sostantivi e creare fenomeni di
accordo. Es. un sostantivo femminile potrà essere accompagnato da aggettivi, articoli, ecc. che
siano concordi al suo genere. Il genere non è una categoria universale dato che molte lingue come
il turco, l’ungherese e il giapponese ne sono prive.
Le lingue indoeuropee antiche hanno un sistema con tre generi a parte l’armeno.
Fase più antica dell’indoeuropeo in cui i due genere erano neutro e non neutro: genere animanto
e genere inanimato
È molto probabile che la base del terzo genere indoeuropeo siano stati i nomi astratti, i referenti
dei nomi astratti infatti presentano interessanti proprietà che li distinguono da referenti degli altri
inanimati.

Caso
Funzione del caso è quella di indicare che funzione sintattica svolge un dato sintagma nominale in
una frase e in parte anche di indicarne il ruolo semantico. In italiano il caso si manifesta solo nei
pronomi personali e relativi; la funzione dei casi è ampiamente grammaticale.
Il sistema di casi che generalmente si ricostruisce per l’indoeuropeo comprende otto casi:
nominativo, genitivo, accusativo, dativo, strumentale, locativo, ablativo e vocativo.

Il verbo
Verbo indoeuropeo carattere altamente flessivo.

Tempo e aspetto
I temi aspettuali del verbo nelle lingue indoeuropee hanno preso in misure diverse anche valore
temporale; l’espressione dell’aspetto è primaria rispetto a quella del tempo. Il verbo indoeuropeo
distingueva un aspetto perfettivo e uno imperfettivo. L’aspetto del verbo è imperfettivo, perché
l’azione è concettualizzata nel suo svolgimento: “Maria faceva i compiti”
Opposizione soprattutto presente in greco, nell’opposizione fra presente e imperfetto
(imperfettivi e dall’altro lato aoristo (perfettivo).
Le lingue europee lasciano poi ricostruire un altro tempo verbale chiamato perfetto, che aveva un
tema speciale, formato come in greco e in sanscrito, con il raddoppiamento. Questo tempo
verbale non ha niente a che vedere con l’aspetto perfettivo: il perfetto infatti non è ben definibile
non solo come tempo ma anche come aspetto. In origine il perfetto denotava uno stato (stativo);
presto sviluppò anche un aspetto risultativo.
La principale distinzione era fra presente e passato, non è possibile ricostruire il futuro
indoeuropeo.

Modo e modalità
La modalità è una proprietà semantica dei sintagmi enunciati; possiamo definirla come
l’atteggiamento che l’emittente ha rispetto a un dato enunciato.
Una prima distinzione è quella fra enunciati assertivi e altri tipi di enunciati. Le asserzioni sono
affermazioni che possono essere negate (no imperativi o condizionali)
Es. oggi piove /oggi non piove
Anche le domande sono tipi di enunciati che non possono essere negati; mettendo una domanda
negativa infatti si arriva allo stesso significato della prima.
-È arrivato il treno?
-Non è arrivato il treno?

L’emittente può esprimere aspettative rispetto al fatto che un evento si verifichi. Si può per
esempio avere una modalità potenziale: se un evento potrebbe verificarsi in certe condizioni
(condizionale)
Oppure controfattuale o irreale, se un evento non ha la possibilità di verificarsi.
Questi tipi di modalità sono entrambi espressi dal modo condizionale.
Altro modo del condizionale è quello evidenziale. Si ha un attegggiamento che implica
l’impossibilità di controllare il valore di verità dell’asserzione.

Diatesi
In italiano, siamo abituati ad opporre due diatesi, attivo e passivo. La nostra convinzione che il
passivo sia in un certo senso derivato dall’attivo è causata dal fatto che in italiano, come in molte
lingue romanze e germaniche, il passivo presenta forme verbali perifrastiche anziché forme
sintetiche come l’attivo. Rispetto all’attivo, il passivo comporta una riduzione della valenza del
verbo; un’importante funzione del passivo è proprio quella di far diventare marginale l’agente che
può anche non essere espresso.
L’opposizione di diatesi che si ricostruisce per l’indoeuropeo è molto diversa; le lingue antiche
infatti attestano la presenza di una terza diatesi, detta medio, che non aveva propriamente valore
di passivo. Iniziamo a considerare il valore del medio in greco:
Questa diatesi indicava un particolare coinvolgimento del soggetto nell’azione; il medio non
operava necessarimente sulla valenza delle cose.
Lo stesso uso caratterizza il riflessivo italiano che ha molte affinità semantiche con il medico greco.
Funzioni del medio greco sono: flessivo, pseudoriflessivo, reciproco, impersonale, alto grado di
coinvolgimento. Un’altra diatesi come il medio ma che viene oggi considerata un modo verbale a
sè stante è il perfetto, le sue desinenze sono affini a quelle del medio.

Infiniti e participi

In italiano, forme non finite del verbo


sono infinito, gerundio e participio.
Questi verbi hanno spesso anche
altre funzioni, rispettivamente, uso
nominale, avverbiale e aggettivale.

I preverbi
Caratteristica delle lingue indoeuropee è una classe di parole che in molte lingue possono fungere
da adposizioni, cioè a seconda della posizione rispetto al nome retto sono preposizioni o più
raramente posposizioni oppure preverbi.

Evoluzione nelle principali lingue indoeuropee


Prendiamo in esame il sistema delle varie categorie grammaticali delle lingue indoeuropee:
Latino
il nome latino continua il sistema d classificazione indoeuropeo di tre generi: maschile, femminile
e neutro.
Il sistema dei casi in latino ha subito delle riduzioni (sincretismo) i casi conservati sono 6
(scompaiono quindi strumentale e locativo) anche se il caso ablativo in realtà copre per lo più le
funzioni dello strumentale.
Nelle lingue romanze possiamo notare alcuni sviluppi riguardanti il nome: il sistema del genere
tende a ridursi, con l’eliminazione del neutro, anche se tracce sono comunque attestate sia nei
pronomi sia nei sostantivi.

Capitolo 5: il mutamento sintattico

Mutamento sintattico: problemi della struttura


della frase semplice e l’ordine dei suoi costituenti,
l’indicazione delle relazioni grammaticali, la
struttura del periodo e lo sviluppo della
subordinazione.
La scomparsa dei casi comporta funzioni sintattiche
e ruoli semantici dei costituenti espressi in qualche
altra maniera, cosa che può avere conseguenze
sull’ordine dei costituenti o sulla struttura del
sintagma verbale. A partire dalla pubblicazione di
Greenberg, nel secolo scorso si è sviluppato un
filone di studi della tipologia dell’ordine dei costituenti.
I clitici hanno grande rilevanza per lo studio dei costituenti.

Tipologia sintattica 1: l’ordine dei costituenti

Henri Weil, osservava che le lingue europee moderne (francese, tedesco e inglese) presentavano
maggiori restrizioni sull’ordine dei costituenti della frase semplice, più di quanto non avvenisse nel
latino o nel greco classico. Le sue osservazioni erano basate sulle modalità di organizzazione
dell’informazione, cioè su proprietà pragmatiche delle lingue in esame. Nascita della tipologia
dell’ordine dei costituenti si fa risalire ad un pubblicato di Greenberg; in base all’ordine di
soggetto, verbo e oggetto indiretto, da lui chiamato ordine basico, Greenberg divideva le lingue in
3 tipi VSO-SVO-SOV. Enunciato non marcato in questo contesto significa un enunciato assertivo la
cui curva intonazionale non presenti elementi particolarmente accentati o enfatizzati, sia quindi la
più neutra possibile. Dovrebbe essere quello che può apparire al di fuori di qualunque contesto.
VSO: lingue celtiche e ebraico biblico e arabo classico
SVO: verbo collocato fra soggetto e oggetto diretto, come l’italiano o l’inglese
SOV: verbo finito si colloca al fondo della frase, giapponese e turco.

Greenberg osserva poi che a ciascuno di questi tre tipi si associano altre regolarità nell’ordine delle
parole, soprattutto pertinenti alla struttura dei sintagmi e riguardante l’ordine rispettivo delle
teste nominali e i loro modificatori, cioè aggettivi attributivi, frasi relative e sostantivi dipendenti.

Dai dati esaminati da Greenberg risulta che i primi due tipi (VSO e SVO) i modificatori seguono di
norma la testa nominale, mentre quelle del terzo tipo SOV, la precedono. Inoltre, nelle lingue due
primi due tipi sono frequenti le preposizioni mentre in quelle di 3° tipo le posposizioni
(preposizione che viene posposta al nome).

Tipologia dell’ordine basico (= l’ordine non marcato dei costituenti della frase transitiva)
Alcune lingue hanno invece un ordine dei costituenti pragmatico, cioè regolato da condizioni
dettate dalle esigenze della struttura comunicativa della frase, piuttosto che da quella sintattica.
Le lingue quindi possono avere un ordine dei costituenti più o meno rigido.

Due leggi sull’ordine dei costituenti

Leggi di Wackernagel e Behagel; entrambe colgono fattori che influenzano o possono influenzare
l’ordine dei costituenti anche in lingue appartenenti ad altre famiglie.

Tipi di costituenti
Tre tipi di lingue in base all’ordine dei costituenti.
Se non facciamo distinzione fa parole vere proprie e clitici, si rischiano di fare degli errori.
Il contrasto è fra oggetto rappresentato da un costituente tonico e oggetto clitico; inoltre, la
posizione del clitico è obbligatoria rispetto al verbo, mentre quella dell’oggetto prenominale
accentato non lo è: si ha infatti: lui ho visto e non ho vistolo. La posizione proclitica (prima del
verbo) è andata fissandosi durante la storia delle lingue romanze, fino alla fine dell’800 questi
clitici erano spesso enclitici, cioè seguivano il verbo.
La differenza fra parola e costituente risiede nel fatto che il costituente è un’unità dell’analisi
sintattica e può consistere in una o più parole e la parola un’unità dell’analisi morfologica.
Oltre ai clitici ci sono altri tipi di parole che hanno rilevanza per l’ordine dei costituenti. In molte
lingue e anche in quelle indoeuropee ha rilevanza il verbo finito. Esempio del tedesco.

In generale i costituenti “pesanti”(ovvero più complessi


dal punto di vista categoriale) hanno meno libertà di
posizione di quelli leggeri e spesso tendono ad occupare
l’ultima posizione nella frase.

Legge di Wackernagel
Linguista svizzero di fine ‘800. La legge di Wackernagel descrive la posizione dei clitici nella frase
nelle lingue indoeuropee antiche. Osservando diverse lingue come latino, vedico e greco omerico,
si è accorto che diversi tipi di clitici ricorrono sempre nella seconda posizione della frase, anche se
sono di diversa natura.
La rilevanza della sua legge per la sintassi europea ha avuto piena conferma quando sono stati
disponibili tutti i dati dell’ittita; in questa lingua, quella che in greco e sanscrito era una tendenza è
invece qui seguita rigorosamente. Le lunghe catene di clitici iniziali sono tipiche delle lingue
anatoliche.
Sia i clitici romanzi sia quelli delle antiche lingue indoeuropee sono accomunati dall’avere delle
posizioni fisse; mentre x le lingue romanze la posizione è specificata dal verbo, per quelle lingue
come l’ittita la posizione è invariabilmente la seconda.

Legge di Behaghel
Studioso tedesco, si occupava di sintassi del germanico. Secondo lui i costituenti sono ordinati
nella frase in base al loro peso fonologico: i costituenti più leggeri vanno a sinistra, quelli più
pesanti a destra. Possiamo quindi interpretare la legge di Wackenhagel come una conseguenza
della legge di Behaghel; i clitici sono infatti i costituenti più leggeri dal punto di vista fonologico.
La posizione iniziale e quella finale sono molto importanti ai fini comunicativi perché sono
posizioni che servono per enfatizzare o contrastare altri costituenti.

Ordine marcato e ordine non marcato


È difficile che una lingua rappresenti un tipo in maniera coerente; esaminiamo alcuni cambiamenti
all’ordine dei costituenti avvenuti durante l’evoluzione dal latino alle lingue straniere.
I verbi transitivi seguono sempre il loro oggetto indiretto.
In latino, la differenza rispetto all’italiano non è tanto la tendenza del verbo a ricorrere al fondo
della frase quanto la possibilità che ciò accada.
In italiano standard una frase in cui un complemento oggetto nominale preceda il verbo finito con
intonazione normale non è possibile in un normale testo in prosa.
Anche all’interno delle lingue romanze stesse ci sono grandi differenze; abbiamo già osservato che
il francese ha il soggetto obbligatorio, al contrario di altre lingue romanze; ciò significa che un
soggetto clitico compare obbligatoriamente. In italiano il soggetto non è per forza esplicitato e può
avere varie posizioni. In latino invece non esisteva un sistema di clitici e l’ordine dei costituenti era
molto libero perché la funzione sintattica di ogni parola era espressa dalla flessione del caso.

La struttura della frase semplice indoeuropea


Nell’indoeuropeo ricostruito hanno importanza per la struttura della frase i clitici, il verbo finito e i
preverbi (elementi prefissati ai verbi). Sulla base delle lingue indoeuropee antiche, si ricostruisce
una situazione in cui i clitici erano posizionati in p2 perchè seguivano la legge di Wackenagel.
La posizione del verbo era libera e determinata da fattori pragmatici. I preverbi potevano essere
posizionati davanti al verbo e immediatamente adiacenti ad esso. Fra i costituenti nominali, il
soggetto poteva essere omesso: le lingue indoeuropee antiche erano lingue a soggetto non
obbligatorio; in latino anche l’oggetto diretto poteva essere omesso se non era enfatico e poteva
essere facilmente recuperato dal contesto.

Frase principale e frase dipendente


La posizione del verbo in frase principale e in frase dipendente in latino è la stessa, ma non è così
per tutte le lingue come ad esempio in tedesco. In generale, la frase subordinata è caratterizzata
da un dinamismo comunicativo più basso di quello della frase principale.
I clitici dal latino alle lingue romanze
Creazione di un sistema di clitici pronominali; sono elementi il cui statuto è libero. Da un lato essi
presentano categorie flessive e sono pertanto parole morfologiche, da un lato non portando
accento si comportano da un punto di vista fonologico in maniera simile agli affissi. La loro
posizione vicina agli affissi fa si che il loro grado di obbligatorietà sia alto. La creazione dei clitici ha
avuto l’effetto di ridurre la possibilità di omettere l’oggetto diretto, possibilità anche invece
esisteva in latino.
Itaque feci non invitus tradotto con pertanto l’ho fatto malvolentieri.
Qui si vede l’obbligatorietà di aggiungere il clitico “lo” che invece in latino poteva essere omesso.

Tipologia sintattica II: le relazioni grammaticali


In questa sezione intendiamo con il termine relazioni grammaticali le funzioni sintattiche dei
costituenti nominali quali soggetto e oggetto indiretto. Questa definizione non è però priva di
problemi, nemmeno nell’italiano corrente. In altre lingue, per noi più esotiche, la definizione di
soggetto non è univoca: ci sono lingue in cui più costituenti nella stessa frase soddisfano una parte
delle condizioni che normalmente un costituente soddisfa per essere considerato soggetto.
Vedremo poi anche che esistono lingue in cui nomi e verbi si presentano in classi diverse a
seconda del tipo di coinvolgimento dei partecipanti in uno stato di cose.

In italiano il soggetto del verbo transitivo e del verbo intransitivo sono trattati nello stesso modo
dal punto di vista morfosintattico, anche quando abbiano ruoli semantici diversi. Il soggetto
concorda con il verbo.
Non tutte le lingue funzionano come l’italiano, in un gruppo detto lingue ergative, la frase
transitiva rappresenta la prospettiva del paziente, che di norma è segnalato morfologicamente
dall’assenza di morfemi specifici, in maniera analoga al soggetto del verbo transitivo.
Es. Georgiano
Gela gavida saxlidan- Gela uscì di casa
In questo caso “Gela” è al caso assolutivo.

Le lingue attive, lingue i cui membri di alcune classi lessicali, in particolare verbi e sostantivi, sono
divisi in attivi e inattivi. Solo i sostantivi attivi possono essere soggetto di verbi inattivi ne consegue
che spesso due stati di cose sono denotati da due verbi diversi a seconda di come sono
concettualizzati. In italiano, di questo tipo è la coppia bruciare/ardere. Il primo verbo indica uno
stato ed è intransitivo, mentre il secondo è transitivo e denota uno stato di cose in cui il paziente
cambia stato.
Le lingue indoeuropee come l’italiano sono dette lingue nominativo-accusativo; le lingue europee
moderne e antiche sono in buona parte di questo tipo. In latino e in tedesco, il nominativo è il caso
del soggetto, sia dei verbi transitivi che intransitivi. Alcune lingue indoeuropee hanno sviluppato
nel corso della storia sistemi ergativi, fra queste ci sono le lingue indoarie moderne come lo hindi.

Paratassi e ipotassi

Benché le lingue indoeuropee presentino complicati sistemi di subordinazione, nessuna delle


congiunzioni subordinative sembra risalire alla fase comune dell’indoeuropeo e anche i pronomi
relativi risalgono a radici pronominali che avevano una funzione non subordinativa.
L’impressione che avevano i linguisti di fine ‘800 di poter risalire con l’indoeuropeo a una fase
primitiva del linguaggio è illusoria; ci sono motivi però per pensare che l’indoeuropeo ricostruito
presentasse uno sviluppo molto inferiore rispetto alle lingue che conosciamo, comprese le più
antiche. Ciò dipende dal fatto che la complessità nella struttura del periodo è una caratteristica
della lingua scritta. Non è possibile, come abbiamo già detto, ricostruire dei subordinatori per
l’indoeuropeo. I subordinatori sono elementi instabili che tendono a rinnovarsi nel mutamento
linguistico. Tuttavia, le lingue indoeuropee più povere di tradizione letteraria confermano l’ipotesi
di un indoeuropeo in cui lo sviluppo della subordinazione doveva essere inferiore a quello
conosciuto dalle lingue dotate di una tradizione letteraria ricca ed elaborata.
Fra le frasi subordinate testimoniate da tutte le lingue indoeuropee troviamo le frasi relative, che
sono introdotte da un pronome. Nelle fasi più antiche delle lingue indoeuropee si può studiare
l’origine delle frasi relative: esse nacquero come frasi correlative, ovvero strutture paratattiche
(non contenenti una subordinata) in cui ricorreva un pronome indefinito.

Capitolo 6: spiegazioni del mutamento

Come mai avvengono i mutamenti? Problema del mutamento dal punto di vista delle sue cause e
della sua diffusione. Sembra che il mutamento sia caratterizzante di certi periodi storici: ad
esempio il grande mutamento che ha portato alla nascita delle lingue romanze è coinciso con il
momento di disgregazione politica dell’impero, causata dalle invasioni barbariche.
Il contatto fra lingue è sicuramente una delle principali cause del mutamento. La sociolinguistica si
occupa di questi studi.
La distribuzione diatopica delle varianti e la diffusione del mutamento su un dato territorio sono
fenomeni che conosciamo in maniera approfondita dalla fine dell’800 grazie ai dialettologi. Anche
la variabilità interna a una comunità, basata su differenze sociali o di altro genere, ha grande
rilevanza per il mutamento linguistico.

La variabilità delle lingue


Varietà, termine usato per disambiguare lingua e dialetto.
Lingua è infatti generalmente usato per denotare due varietà non mutualmente intelligibili, spesso
per motivi politici si chiama Lingua Nazionale; ad esempio, il danese e il norvegese sono lingue che
presentano poche differenze l’una dall’altra, ma sono considerati due lingue diverse,
essenzialmente per motivi politici. In maniera speculare, vengono detti dialetti delle varità a cui
manca lo statuto di lingua ufficiale di una comunità.
In Italia il termine dialetto ha referenti ben specifici, i dialetti italiani, mentre altrove questo
termine è usato diversamente.
Vernacular sarebbe la traduzione inglese corretta= vernacolo
Dialect corrisponde piuttosto a varietà linguistica locale.

Le lingue che variano nello spazio: variazione diatopica. Nelle varietà di italiano regionali si
riscontrano delle differenze soprattutto sul piano lessicale e grammaticale; l’uso dei modi verbali
non è lo stesso in tutte le regioni d’Italia. Si riscontrano anche alcune differenze nella fonologia,
soprattutto della pronuncia delle vocali.
Molto più evidente ci risulta la variabilità diatopica se passiamo ad esaminare i dialetti italiani: essi
son varietà poco standardizzate e non hanno lo statuto di lingue letterarie, di conseguenza non
sono stati sottoposti a quella scelta delle varianti che caratterizza le lingue scritte. Gli studi di
dialettologia, molto sviluppati nel nostro paese fin dal XIX secolo, hanno dimostrato che esistono
varietà dialettali leggermente diverse a seconda della comunità. Oltre alla variazione diatopica,
ciascuna lingua varia poi in base al contesto d’uso e agli strati sociali dei parlanti. Parliamo quindi
di variabilità diastratica (strati) e diafasica(situazioni) e diamesica (legata al mezzo di
produzione).
Il mutamento linguistico in realtà può avvenire perchè alla base esiste già una situazione
diversificata, dove varianti diverse coesistono nella stessa dimensione temporale.
Fra i primi a rendersi conto della variabilità della lingua fu Dante che scrisse infatti De Vulgari
Eloquentia. Dante era convinto che la lingua variasse nel tempo.

Trasmissione delle lingue: acquisizione e rianalisi


1969, Robert King scriveva Historical Linguistics and Generative Grammar, in cui affermava che
una delle più importanti fonti del mutamento linguistico fosse la trasmissione del linguaggio alla
nuova generazione.
Secondo King e la teoria del mutamento sostenuta dalla linguistica generativa, il bambino durante
l’acquisizione della lingua costruisce una grammatica, formulando tesi e ipotesi sulla base
dell’input che gli viene dato dagli adulti, opera semplificazioni e interpreta i dati costruendo
regole. Ciò appare però poco verosimile come unico motore. Il fatto che la varietà dei parlanti più
giovani sia spesso più innovativa rispetto a quella parlata dai loro genitori può essere legato a un
diverso atteggiamento e una valutazione diversa del prestigio sociale di determinate varianti. Nella
linguistica generativa l’aspetto comunicativo e sociale del linguaggio però è del tutto marginale:
l’oggetto di studio della linguistica è piuttosto la competenza innata del singolo parlante nativo.

Il contatto fra lingue


Una delle fonti da cui vengono introdotte le modificazioni è proprio il contatto fra lingue. La
disciplina che studia questo fenomeno si chiama interlinguistica.

Bilinguismo e diglossia
Il bilinguismo perfetto comporterebbe identica competenza del parlante in entrambe le lingue ma
anche identici campi d’uso. Questo tipo di bilinguismo è raro, più spesso si può parlare di
bilinguismo funzionale o diglossia, che designa un fenomeno per cui due lingue sono parlate in
continuità in ambiti funzionali diversi.
Un ottimo esempio di diglossia è il rapporto tra lingua e dialetto in Italia. Il dialetto infatti rimane
limitato nell’uso ad ambiti non ufficiali. Per questo buona parte dei dialetti italiani è a rischio di
estinzione.
Fenomeni di interferenza linguistica: casi in cui la lingua di una comunità militarmente o
politicamente soccombente, viene sostituita senza lasciare traccia dalla lingua degli invasori, come
è avvenuto del Nord America o in Australia, dove le lingue indigene sono in via di estinzione.
Nella storia delle lingue si susseguono periodi di stabilità a periodo di mutamento; la maggior
stabilità di una lingua è legata al suo statuto, per esempio di lingua ufficiale della nazione alla sua
vitalità come lingua letteraria e al fatto che essa sia soggetta all’insegnamento nelle scuole.

Il prestito
Un fenomeno linguistico notevole è il prestito lessicale. Tutte le lingue abbondano di prestiti, di
parole che sono entrate nelle lingue e che sono diventate di uso comune. Per molti di essi siamo in
grado di ricostruire le circostanze storiche che li hanno causati.
In epoca recente: linguaggio dell’informatica e dell’economia deriva tutto dall’inglese .
Molti vocaboli legati al cibo sono stati prestati dal francese e dall’italiano.
Tutto ciò si ricollega all’importante concetto di prestigio. Osserviamo infatti che i prestiti
provengono da lingue che in quei determinati ambiti son considerati avere più prestigio, infatti
l’inglese gode attualmente di più prestigio informatico.
Prestiti e calchi
I prestiti lessicali si possono classificare in modi diversi in base al loro grado di integrazione nel
sistema linguistico di arrivo.
La parola computer per esempio non è integrata nell’italiano, infatti non si flette al plurale.
Oltre ai prestiti esistono in calchi, ovvero una riproduzione nella lingua di arrivo di una parola o
espressione della lingua di partenza; distinguiamo però due tipi di calchi, strutturali e semantici.
Un calco strutturale riproduce con materiale della lingua di arrivo una parola della lingua di
partenza: grattacielo= skyscraper
Calco semantico: ampliamento del significato di una parola del lessico della lingua di arrivo per
accogliere anche un significato di un’altra lingua. es. orologio digitale significa ora espressa in
numeri e non lancette, ma in italiano il termine digitale ha a che fare con le dita; digital in inglese
invece significa relativo ai dati espressi in forma numerica.

Prestiti non lessicali


Oltre al prestito lessicale è possibile anche il prestito di morfemi, anche se difficilmente morfemi
che non sono parole intere vengono accolti in una lingua di arrivo. Le lingue germaniche hanno
acquisito un gran numero di morfemi derivazionali dal latino e dalle lingue romanze.

Contatto e mutamento linguistico


Il prestito lessicale non comporta di per sé un mutamento nella lingua che riceve prestiti, la
maggior parte di essi ha semplicemente l’effetto di ampliare il lessico.
Il contatto può essere geografico ma non necessariamente, vista la capillarità dei mezzi di
comunicazione di oggi.
Lingua di sostrato: lingua che in una situazione in cui viene a insediarsi una nuova lingua in un’area
già occupata e si impone la nuova lingua, quella che viene sostituita lascia tracce di se in quella
nuova che l’ha sostituita. La lingua che scompare è chiamata lingua di sostrato.
Un fenomeno del genere si osserva nell’area romanza.
Può avvenire invece che una comunità di parlanti occupi per qualche tempo il territorio occupato
da un’altra comunità di parlanti di una lingua diversa, detenendo il potere politico ed economico,
ma senza arrivare a sostituire la lingua preesistente. Dalla lingua del gruppo dominante entrano
prestiti in quella non dominante. La prima lingua compie un’azione di super-strato.
Due lingue infine possono essere in contatto e influenzarsi reciprocamente senza necessariamente
sovrapporsi una all’altra: compiono un’azione di adstrato.
Le maggiori lingue d’Europa compiono un’azione di adstrato le une sulle altre, come italiano
francese, inglese.

Aree linguistiche
Area linguistica: area che comprende lingue appartenenti a più di una famiglia che presentano
caratteristiche in comune.
Un’area linguistica molto studiata è quella balcanica (neogreco, rumeno,albanese e lingue slave
come il serbo-croato, il bulgaro e il macedone). Queste lingue hanno una serie di caratteristiche
simili come il sincretismo di genitivo e dativo.
Anche le lingue d’Europa costituiscono un’area linguistica, in cui lingue diverse sono andate nel
corso dei secoli via via convergendo
Le protolingue
Ricostruzione di una protolingua, ovvero di una lingua che non è attestata.
Le protolingue ricostruite attraverso il metodo comprativo sono troppo uniformi , tendono ad
avere una caratteristica che non è tipica delle lingue parlate ma di quelle esclusivamente
letterarie. Questo accade perché molte lingue ricostruite sono basate su varietà non viventi, ma su
lingue letterarie altamente uniformi e standardizzate.
Critica alla ricostruzione delle protolingue, anche dell’indoeuropeo ricostruito, perché la
ricostruzione appiattisce dati che probabilmente appartengono a stadi diacronici diversi, con l’uso
del metodo comparativo, basato sulla comparazione di lingue distanti fra loro nel tempo.
La ricostruzione deve perseguire una verosimiglianza, ma deve abbandonare l’idea di raggiungere
una spiegazione univoca di fenomeni.

La diffusione del mutamento


Come abbiamo già visto si era proposta la teoria delle onde, secondo la quale i mutamenti si
irradierebbero da un centro di onde concentriche, diventando man mano più deboli. I principali
sostenitori di questa teoria furono Graziadio Isaia Ascoli e Hugo Schuchardt.

Geografia linguistica e atlanti dialettali


In area germanica e romanza a partire dagli ultimi decenni dell’800 fu intrapresa la redazione
degli atlanti dialettali. Uno studio pioneristico sui dialetti tedeschi fu quello di Georg Wenker.
Come abbiamo già visto infatti, la Germani presenta una grande differenziazione dialettale tra alto
tedesco, che ha subito la seconda rotazione, e il masso tedesco, in cui invece il mutamento non ha
avuto luogo.
Wenker, all’inizio della sua ricerca, immaginava di trovare un’isoglossa ben definita che
delimitasse l’area in cui aveva avuto atto il mutamento linguistico: non fù però così, infatti egli si
accorse che le due varietà erano separata da una linea frastagliata, ampia 200km, detta il
ventaglio renano.
Studiando però la storia delle comunità coinvolte, ci si accorse che il mutamento pur non essendo
omogeneo non era casuale. Le varie isoglosse infatti si intersecavano in base alle divisioni politiche
esistenti.

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