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Breve storia della lingua italiana –

Claudio Marazzini
Linguistica
Università degli Studi di Milano-Bicocca (UNIMIB)
12 pag.

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Breve storia della lingua italiana – Claudio Marazzini
Introduzione – Storia di chi, storia di che cose
• Centro e periferia
La storia linguistica italiana si caratterizza per il costante rapporto tra centro (la Toscana) e la periferia (le al-tre regioni).
La Toscana è il luogo di origine dell’idioma nazionale, da cui poi si è irradiato verso le altre regioni. Sebbene nelle altre
regioni le parlate locali avessero una forte tradizione di cultura, il toscano non si è mai imposto, è stato un libero con-
senso.
Per Manzoni l'Italia presentava una situazione di anomalia: era l'unica nazione la cui capitale politica (Roma) non coin-
cideva con la capitale linguistica (Firenze).
I dialetti possono essere chiamati tali solo una volta che si è affermata la lingua, prima prendono il nome di ‘volgari
italiani’.
• I forestierismi: le lingue non sono isolate
La lingua non vive isolata, ma è esposta al contatto con le altre lingue e con i dialetti, non solo tramite i confini fisici
della nazione, ma anche per mezzo di libri, invasioni militari, viaggi e commerci.
Sono le lingue dotate di maggior prestigio a influenzare le altre, esercitando un'azione che si manifesta nei prestiti,
che possono essere ‘non adattati’ (accoli nella forma originale) o ‘adattati’; esistono anche i ‘prestiti di necessità’ (paro-
la giunte insieme a un referente nuovo, ex caffè, canoa) e i ‘prestiti di lusso’ (in teoria potrebbero essere evitati perché
la lingua possiede già un’alternativa). Il rapporto tra lingue produce anche i calchi, divisi in ‘calco traduzione’ (si traduce
alla lettera, ex skyscraper diventa grattacielo) e ‘calco semantico’ (la parola italiana assume un nuovo significato traen-
dolo da una parola straniera, ex autorizzare un tempo significava ‘rendere autorevole’, per influsso del francese, ha
preso il senso di ‘permettere’).
Il Purismo implica una difesa dai termini stranieri; è un atteggiamento ingenuo (è molto difficile frenare la penetrazione
degli esotismi), ma comprensibile (la lingua è sentita come segno di unità nazionale).
L’italiano è stato maggiormente in contatto con provenzale e francese (maggiori rapporti), spagnolo, inglese (inizia
nell’Ottocento con il culmine oggi), latino e greco (non nella fase di formazione dell’italiano, ma nell’introduzione suc-
cessiva di prestiti colti nel linguaggio giuridico, filosofico, letterario), il tedesco (ma meno importante rispetto alle altre
lingue europee).
Molto importante è stato nel medioevo il rapporto con l’arabo (lessico della marineria, del commercio, nella medicina,
nella matematica).
In epoca recente sono entrate alcune parole giapponesi (ex bonsai, judo, kamikaze).
• Gli scrittori che contano
Un tipico pregiudizio è quello di assegnare al linguaggio letterario una posizione superiore a quella della lingua comune
e d’uso. In prospettiva storica il linguaggio letterario ha influito in maniera determinante sulla lingua italiana comune,
poiché la comunicazione quotidiana non si basava sull'italiano, ma era affidata al dialetto. Pertanto, l'interesse per la
lingua si è sviluppato soprattutto nel settore della letteratura.
• Il mistilinguismo
Il mistilinguismo è la mescolanza di elementi linguistici diversi, nello scritto o nel parlato, e può manifestarsi involon-
tariamente (per ‘errore’) o volontariamente (per scelta stilistica). La condizione di lingua mista, di contaminazione è il
tipico ambiente dello scrivente italiano del passato.
• Notai e mercanti del medioevo
I notai sono fra i protagonisti della fase iniziale della storia linguistica italiana: introducono il volgare al posto del latino
(inserendo frasi volgari in documenti latini o utilizzandolo direttamente); sono tra i primi cultori dell'antica poesia ita-
liana.
I mercanti medievali, invece, non sapevano generalmente il latino e leggevano per il proprio divertimento. Le “pratiche
di mercatura” sono i quaderni miscellanei (cioè di argomenti diversi, come problemi matematici, tariffe commerciali,
notizie astronomiche, scongiuri, proverbi, ricette mediche, notizie di cronaca). I “libri di famiglia” sono i quaderni in
cui uno o più membri della famiglia annotavano avvenimenti familiari e cittadini. Già nel Cinquecento la cultura mer-
cantile perde la sua importanza, ma continua la tradizione delle narrazioni di viaggio (si hanno attestazioni di parole
esotiche).
• Scienziati e tecnici
Fino al Rinascimento il latino è la lingua scientifica, adottata in settori come la teologia, la filosofia, la matematica, la
astronomia, la geometria e la medicina. Con Galileo Galilei si ha la svolta: promuove l'uso del volgare toscano al più
alto livello scientifico (sebbene prima di lui altri scienziati avessero adoperato il volgare).

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Oggi, invece, la lingua della scienza è l'inglese, che assicura una più facile diffusione all'estero.
• Per forza di regole: i grammatici
Una lingua esiste prima che i grammatici ne fissino le regole; infatti, in italiano le prime grammatiche compaiono tra il
Quattrocento e il Cinquecento.
Una delle opere più importanti della tradizione è Le prose della volgar lingua di Pietro Bembo, in cui si trova una vera
e propria grammatica dell'italiano. Bembo, come i grammatici prima di lui, fissa le norme partendo dagli scritti di Dante,
Petrarca e Boccaccio. Quindi la grammatica si sviluppa dopo che fu disponibile una ricca tradizione letteraria.
Queste grammatiche sono strumento di consultazione solo per i letterati e soltanto nel Settecento diventano strumen-
to fondamentale della pedagogia scolastica.
• L’autorità delle parole: dizionari e accademie
Un altro presidio della norma linguistica è il dizionario, che nasce con un obiettivo diverso da quello odierno, cioè defi-
nire un corpus chiuso di parole a servizio della letteratura.
La cultura di Firenze interviene in questo ambito in modo molto efficace, attraverso l'Accademia della Crusca, nata a
fine Cinquecento. Nel 1612 la Crusca realizza il vocabolario più ampio del tempo e diventa il termine di confronto ob-
bligatorio in qualunque discussione sulla lingua.
• La politica linguistica
La politica linguistica ha un rilievo secondario per lo sviluppo dell'italiano, ma ciò non è valido per gli stati preunitari.
Bisogna distinguere la situazione della Toscana (la lingua parlata era vicina a quella scritta e letteraria, con una omo-
geneità altrove impossibile; pertanto, il potere politico era disponibile alla promozione della lingua volgare) e quella
del resto della penisola (la cancelleria, cioè la segreteria addetta al disbrigo degli affari di stato, utilizzava il latino,
mentre il volgare era utilizzato soltanto da alcune cancellerie per i contatti al di fuori dei propri confini).
L'idea della lingua come valore nazionale tipica del Romanticismo porta al rischio di un sentimento di rifiuto per quanto
linguisticamente diverso e disomogeneo, come le minoranze, i dialetti.
Uno degli strumenti della politica linguistica è la scuola.
• Editori e tipografia
L'invenzione della stampa a caratteri mobili a metà Quattrocento da parte di Gutenberg incide profondamente sulla
cultura europea. In Italia l’aumento della circolazione dei testi comporta una maggiore uniformità linguistica.
Nel Quattrocento la stampa riguarda prevalentemente i testi in latino e il primo libro stampato in volgare italiano non
è un grande classico, ma un testo popolare. Nel Cinquecento l'editoria raggiunge omogeneità linguistica, tanto che la
figura del correttore tipografico diventa una vera professione. Si può dire che alla fine del Seicento le convenzioni gra-
fiche, come la regolarizzazione della grafia e l'uso della punteggiatura, sono analoghe a quelle moderne.
• Dalla stampa ai moderni mass-media
Nel Settecento accanto al libro acquista una funzione particolare il giornale. Inizialmente rivolto al solo pubblico colto,
nell'Ottocento si diffondono giornali popolari e quotidiani rivolti a un pubblico più largo. La prosa dei giornali non è
bella, raffinata, in quanto campione di lingua media e incontro di innovazioni (neologismi e forestierismi).
La radio, diffusa prima della seconda guerra mondiale, ha un grande influsso linguistico sulle masse popolari, ma è te-
levisione che raggiunge, nel dopoguerra, il pubblico delle fasce più povere.
• Lingua scritta e lingua parlata
Molti sono gli elementi che differenziano la lingua scritta e la lingua parlata. Lo storico della lingua, a differenza del
dialettologo, si occupa generalmente di testi scritti. La maggior parte della storia linguistica italiana si ricostruisce tra-
mite documenti, nei quali a volte affiorano tracce di oralità.

Capitolo 1: Origini e primi documenti dell’italiano


• Dal latino all’italiano
Come le altre lingue romanze, l’italiano deriva dal latino, non da quello classico, bensì dal latino volgare.
Il concetto di latino volgare mescola due elementi di natura disomogenea:
- componente sociolinguistica (sincronica): volgare indica i diversi livelli linguistici esistenti del latino; già le fonti clas-
siche distinguevano il latino letterario dalle lingue popolari dei soldati, dei rustici, dei provinciali
- componente diacronica: il concetto riguarda lo sviluppo in diacronia che vede emergere nella tarda latinità usi lin-
guistici, spesso all’origine degli sviluppi romanzi
Uno dei mezzi per la ricostruzione del latino volgare è la comparazione delle lingue romanze che permette di individua-
re l’esistenza di una forma lessicale non attestata nel latino scritto. Alcune delle parole del latino volgare, infatti, sono

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le stesse del latino scritto, altre sono innovazioni del parlato e altre sono delle parole letterarie ma il cui senso è cam-
biato.
Altri modi per conoscere il latino volgare sono la presenza di testi con alcune caratteristiche del latino parlato di livello
popolare, come il Satyricon di Petronio, e le scritture occasionali, come graffiti e scritte murali tracciati da gente comu-
ne.
Un altro mezzo è la serie di testi scritti da insegnanti in cui elencano le forme errate (che si distaccano dalla norma)
prodotte dagli allievi, come l’Appendix Probi, una lista di 227 parole non corrispondenti alla buona norma, tramandate
in un codice scritto a Bobbio intorno al 700 dC (la lista è più antica del codice).
L’errore è una deviazione dalla norma, ma in esso si manifestano tendenze innovative molto importanti, e quando
l’errore è generalizzato, diventa norma per tutti i parlanti.
Gli studiosi spiegano queste innovazioni tramite fenomeni di ‘sostrato’, cioè l’azione esercitata dalla lingua vinta su
quella dei vincitori. A questa definizione si accostano, per la formazione dell’italiano, quella di ‘super-strato’ (influenza
esercita da lingue che si sovrappongono al latino con le invasioni barbariche) e quella di ‘adstrato’ (azione esercitata
da una lingua confinante).
• Fonetica e grammatica storica
La grammatica storica si occupa di individuare determinate regole di sviluppo: le modificazioni subite dal latino nel suo
processo di trasformazione non sono casuali, ma presentano delle regolarità. Le leggi della grammatica storica sono
differenti per ogni lingua e, pur essendo indubbia la loro validità, presentano eccezioni e anomalie, per questo le leggi
fonetiche vanno intese come ‘tendenze dominanti’.
Il sistema vocalico latino è composto da dieci vocali, cinque lunghe e cinque brevi. Dal sistema vocalico latino si sono
sviluppati quelli delle lingue romanze, ad esempio la lingua italiana ha un sistema di sette vocali (eptavocalico). Lo
sviluppo vocalico delle parole italiane è interessato inoltre dai fenomeni del dittongamento e del monottongamento.
Le consonanti doppie latine: - i gruppi consonantici latini ct e pt in italiano sono diventati tt (LACTEM>latte)
- raddoppiamento in fonosintassi (contatto tra due parole): l'italiano moderno registra il
fenomeno solo quando c'è univerbazione (riduzione a una sola parola), come sebbene
Dal latino alle lingue romanze si ha la perdita delle consonanti finali (porta al collasso del sistema delle declinazioni) e
dell'opposizione tra vocali breve e vocali lunghe. Gli articoli determinativi italiani derivano dai dimostrativi latini ILLUM,
ILLAM, ma cambiando la loro funzione (non più dimostrativi).
Il latino ha tre generi di nomi, il maschile, il femminile è il neutro. Quest'ultimo è sparito nelle lingue romanze. La
formazione del futuro nelle lingue romanze è diversa da quella del latino, infatti deriva dall'infinito del verbo unito al
presente di HABERE (CANTARE + HABEO > cantarò > canterò).
• Quando nasce una lingua
La genesi di una lingua è un fenomeno lungo e complesso. Nel caso dell'italiano, c’è un lungo lasso di tempo in cui la
lingua volgare, formatasi dalla trasformazione del latino volgare, esiste oralmente, ma non è usata nello scritto.
Un primo problema da risolvere, nel caso di antichi documenti dell'italiano, è quello della intenzionalità dello scrivente,
della sua coscienza linguistica: chi ha lasciato il documento voleva scrivere in italiano o in latino?
Le più antiche testimonianze italiane di scritture volgari sono per la maggior parte carte notarili, rogiti o verbali di pro-
cessi, come il Placito capuano. Differenti sono i casi dell’Indovinello veronese, dell’Iscrizione di Commodilla e dell’Iscri-
zione di San Clemente.
Il primo è contenuto in un codice scritto in Spagna all'inizio dell'VIII secolo. Si tratta di due note risalenti all'VIII secolo
o all'inizio del IX (la seconda scritta in latino corretto, la prima in volgare) scritte in un foglio del codice. Non è provato
che la mano che ha scritto le due postille sia la stessa, pertanto la questione della coscienza linguistica in questo do-
cumento è irresolubile.
Il secondo è un anonimo graffito tracciato sul muro della catacomba romana di Commodilla, forse scritto da un reli-
gioso e databile tra il VI secolo e il IX secolo. A prima vista sembra conservare un aspetto latineggiante, ma il suo reale
carattere è quello del parlato.
L’ultimo è un'iscrizione inserita in un affresco presente nella basilica sotterranea di San Clemente a Roma e risalente
alla fine del XI secolo. Il pittore dell'affresco ha aggiunto una serie di parole con funzione didascalica, cioè che indicano
le frasi pronunciate dai personaggi raffigurati: le frasi sono in un volgare vivace e popolarescamente espressivo. Una
frase è espressa da un personaggio non raffigurato (il santo) ed è in latino: ciò eleva le parole di San Clemente e con-
ferisce loro un valore morale.

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L’utilizzo di entrambe le lingue conferma la coscienza linguistica.
Il Placito Capuano, sebbene cronologicamente non sia tra i primi documenti, è datato infatti al 960, gode del privilegio
di essere considerato l'atto di nascita della lingua italiana per la sua ufficialità e per il fatto che traspare una chiara e
cosciente distinzione tra i due codici linguistici usati, il latino notarile e il volgare parlato.
È un verbale notarile relativo a una causa per il possesso di alcune terre da parte del monastero di Montecassino. Il
dibattito orale di fronte al giudice, svoltosi già allora in volgare, era successivamente tradotto in latino, la lingua dei
verbali notarili e di giustizia. Nel caso del Placito Capuano, invece, le cose andarono diversamente, perché nella ver-
balizzazione in latino, le formule testimoniali dei testimoni furono trascritte in volgare. Il contrasto tra italiano e latino
è netto e la formula volgare viene ripetuta sempre identica, non è quindi in tutto e per tutto un frammento naturale
di lingua parlata.
• Documenti notarili e giudiziari
I notai erano la categoria sociale che più frequentemente aveva occasione di usare la scrittura, per questo sono tra i
primi a lasciare spazio alla nuova lingua volgare, soprattutto nelle postille (testo aggiunto al rogito vero e proprio in
latino), come nella Postilla amiatina del 1087, o nel documento vero e proprio, come nella Carta osimana del 1151.
Al gruppo delle carte giudiziarie sono ricondotte due pergamene del 1158 conservate a Volterra. In una di esse, è in
volgare la sintesi di quanto detto da sei testimoni.
• Il filone religioso nei primi documenti dell’italiano
Tra i documenti religiosi di interesse linguistico vi sono la Formula di confessione umbra e i Sermoni subalpini. Il primo,
databile tra il 1037 e il 1080, è una formula di confessione che il fedele poteva leggere. Il secondo è una raccolta di 22
testi piuttosto ampi, più precisamente prediche, i cui incipit e citazioni sono in latino, mentre il vero e proprio discorso
è in volgare piemontese.
• Primi documenti letterari
Esistono documenti di carattere poetico precedenti all’uso del volgare come lingua letteraria, come lo stesso Indovi-
nello veronese e i componimenti che prendono il nome di ‘ritmo’ (nome generico che indica un componimento in versi)
databili dalla seconda metà del XII sec.
Esempi di ritmi sono il Ritmo bellunese (quattro versi in volgare sulle vittorie di Belluno su Treviso), il Ritmo cassinese
e il Ritmo laurenziano (XIII sec).

Capitolo 2: il Duecento
• Il linguaggio poetico dai provenzali ai poeti siciliani
La scelta del volgare per la poesia implica la sua promozione a lingua letteraria. La prima scuola poetica italiana nasce
all’inizio del XIII sec alla raffinata e colta corte di Federico II di Svevia: è la Scuola siciliana.
Oltre le Alpi si erano già affermate altre due letterature: quella francese in lingua d’oil e quella provenzale in lingua
d’oc (considerata la lingua della poesia per eccellenza, una poesia incentrata sulla tematica d’amore).
I poeti siciliani imitano la poesia provenzale, come altri poeti italiani prima di loro, ma con un’innovazione: sostitui-
scono al provenzale un volgare italiano, quello siciliano. È da notare come il volgare utilizzato sia altamente formaliz-
zato e raffinato, pieno di termini provenzali (come quelli che terminano in -agio o in -anza). Molti dei poeti della Scuola
siciliana, in realtà, non sono siciliani, ma provengono da altri luoghi d’Italia.
Il corpus della poesia siciliana è stato trasmesso dai codici medievali scritti da copisti toscani, i quali, nel copiarli, sono
intervenuti sulla forma linguistica delle poesie siciliane con una ‘traduzione’. A causa di queste modifiche, Dante ri-
tenne che i siciliani fossero totalmente liberi dai tratti locali della loro parlata. Queste ‘traduzioni’ danno vita alle ‘rime
imperfette’ nel testo toscanizzato, che, invece, nel testo originale erano perfette.
Fondamentale è la testimonianza di Barbieri, studioso cinquecentesco della poesia provenzale, che scrive dell’esi-
stenza di un codice, da lui chiamato Libro Siciliano, oggi perduto, contenente alcuni testi poetici siciliani con una forma
molto diversa: vocali finali in -u e -i al posto delle toscane -o e -e, stesso fenomeno per le vocali in posizione tonica.
Tra i testi vi è la canzone Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro e due frammenti di Re Enzo, figlio di Federico II.
• Documenti poetici centro-settentrionali
Contemporaneamente alla Scuola siciliana ci sono altri generi che si sviluppano nel resto d’Italia, come la poesia reli-
giosa, o meglio, le laudi religiose di origine umbra, il cui massimo esempio è il Cantico di frate sole di San francesco
(1223-1224). In Italia settentrionale, soprattutto in area lombarda, fiorisce una letteratura in volgare di carattere mo-
raleggiante e educativo, molto diversa da quella siciliana.
Con la morte di Federico II viene meno la poesia siciliana e la sua eredità passa in Toscana e a Bologna prima con i co-

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siddetti poeti siculi-toscani (presente a Pisa e Lucca, successivamente anche a Firenze) e poi con gli stilnovisti (come
Guido Guinizelli, Guido Cavalcanti). Entrambi presentano gallicismi, provenzalismi e sicilianismi.
• Dante, primo teorico del volgare
Le idee di Dante sul volgare sono contenute nel Convivio (trattato scritto per un pubblico non conto che non conosce
il latino con lo scopo di divulgare e comunicare; afferma la superiorità del latino in quanto utilizzato nell'arte) e nel De
vulgari eloquentia (trattato che afferma la superiorità del volgare poiché è riconosciuta la sua naturalezza; la lettera-
rietà della lingua latina diventa uno stimolo per la regolarizzazione del volgare).
Il De vulgari eloquentia, composto in esilio prima della Commedia, è il primo trattato sulla lingua e sulla poesia volgare.
Nel trattato stabilisce che l'uomo è l'unica creatura a essere dotata del linguaggio e questo lo pone sopra gli animali e
sotto gli angeli. L'origine del linguaggio e delle lingue è percorsa attraverso il racconto biblico e la loro caratteristica è
il mutare nello spazio, da luogo a luogo, e nel tempo. Per Dante la grammatica delle lingue è una creazione artificiale
dei dotti, intesa a frenare la continua mutevolezza degli idiomi, garantendo stabilità senza la quale la letteratura non
può esistere, quindi anche il volgare deve acquistare stabilità distinguendosi dal parlato popolare, deve farsi letterario.
Per definire i caratteri del volgare letterario, Dante procede in maniera ordinata, seguendo la diversificazione geogra-
fica-spaziale delle lingue naturali: si concentra prima nell'Europa del nord per poi scendere e, sempre procedendo dal
generale al particolare, arriva a approfondire l'area italiana, che risulta molto diversificata.
Dante esamina i diversi volgari alla ricerca del volgare migliore, definito illustre, aulico curiale e cardinale. L'esame
delle varie parlate si conclude con la loro sistematica eliminazione, poiché indegne del volgare illustre, compreso il
toscano e il fiorentino; Dante considera tra i migliori il volgare siciliano e quello bolognese, ma non nella loro forma
popolare, bensì nell'uso di alto livello fattone dai poeti della corte di Federico II e da Guinizelli. La nobilitazione del
volgare avviene attraverso la letteratura (il De vulgari eloquentia si trasforma in un trattato di teoria letteraria).
• La formazione della prosa volgare
La prosa duecentesca appare in ritardo, perché il latino è usato come strumento di comunicazione scritta e di cultura.
Esistono comunque i ‘volgarizzamenti’, un genere costituito da traduzioni (non equivalente alla traduzione odierna,
poiché i medievali avevano un atteggiamento molto libero verso le fonti), rifacimenti, imitazione di testi classici. L’in-
fluenza del latino e del francese è molti presente nei ‘volgarizzamenti’, come il verbo posto in clausola alla latina (ex
erano di lode desiderosi e non erano desiderosi di lode).

Capitolo 3: il Trecento
• Dante e il successo del toscano
La Commedia è scritta in un volgare diverso da quello teorizzato nel De vulgari eloquentia, infatti Dante utilizza il
toscano. La ricchezza delle tematiche, ben più vaste di quelle proprie della poesia lirica stilnovista, la sua importanza
letteraria e il fatto di essere stata scritta in esilio (in un contesto più settentrionale e non solo toscano) fanno sì che il
poema dantesco e, quindi, la lingua in cui è scritto abbiano fin da subito un successo enorme.
Il toscano fiorentino si espande anche grazie alla presenza nel Trecento di altre due opere degne di massima ammira-
zione: il Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio (insieme a Dante, i tre autori sono definiti ‘Tre corone’).
• Varietà linguistica della “commedia”
La Commedia è un'opera universale, infatti segna in maniera indelebile lo sviluppo della letteratura e allo stesso tempo
appartiene all'intera civiltà umana. È chiaro che una lingua capace di produrre un'opera di questo valore è di per sé
matura, tanto che Tullio De Mauro osserva che, quando Dante comincia a scriverla, il vocabolario fonda mentale dell'i-
taliano è già costituito al 60%: nel poema Dante fa suo questo patrimonio, trasmettendolo nei secoli.
Bruno Migliorini definisce Dante il padre del nostro idioma nazionale.
Una delle categorie utilizzate per definire la lingua poetica di Dante è il plurilinguismo, in contrapposizione al mono-
linguismo lirico tipico, ad esempio, di Petrarca. Il plurilinguismo significa una scelta dettata dalla disponibilità ad acco-
gliere elementi di provenienza disparata: latinismi provenzalismi, termini forestierismi, plebei, parole toscane e alcune
non toscane.
Il poema, comunque, nel suo complesso si presenta come un'opera fiorentina.
• Il linguaggio lirico di Petrarca
La caratteristica dominante del linguaggio poetico di Petrarca è la sua selettività, che esclude molte parole usate nella
Commedia, inadatte al genere lirico.
Petrarca utilizza come strumento della comunicazione culturale il latino, tanto che solo una piccola parte delle sue
opere è in volgare e il titolo stesso del Canzoniere è il latino (Rerum Vulgarium Fragmenta, cioè frammenti di cose vol-

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gari), come anche le postille contenute nel codice Vaticano Latino 3196.
Quindi, il Canzoniere è una sorta di elegante divertimento dello scrittore, in esso Petrarca fa largo uso di una dispositio
che risulta lontana dalla quotidianità: muta l'ordine regolare delle parole, anticipando il determinante rispetto al de-
terminato (alla latina), utilizza chiasmi, antitesi, enjambements, anafore e allitterazioni.
Per quanto riguarda la grafia, Petrarca, come era normale al suo tempo, scrive i nomi uniti ai possessivi (ex sualuce),
agli articoli (laprima), alle preposizioni (delbel) e a certi aggettivi (belliocchi). Sono presenti latinismi grafici come le h
etimologiche (huomo, honore), le -x (extremi, dextro) e i nessi -tj- (gratia, letitia).
• La prosa di Boccaccio
Il Decameron è importante per la prosa italiana, perché è un modello di prosa adatta a tutti i contesti, a differenza di
altre opere, come il Novellino.
Nelle novelle, per una ricerca di realismo, ricorrono situazioni narrative molto varie, in contesti sociali diversi a cui
corrisponde anche una varietà linguistica (compaiono voci che introducono elementi diversi dal fiorentino, ex il vene-
ziano di Chichibio). Le novelle mostrano una disposizione a concedere spazio alla vivacità del dialogo, che aderisce
sapientemente ai moduli del parlato con vivaci scambi di battute in cui entrano elementi popolari e anacoluti.
Ma lo stile che divenne boccacciano per eccellenza è quello caratterizzato dalla complessa ipotassi, presente soprat-
tutto nella cornice delle novelle, dai nessi per regolare il funzionamento e la successione del periodo (allora, come
che).
La grafia di Boccaccio presenta latinismi, come le -x (exempli), il nesso -ct- (a volte usato per indicare il raddoppiamento,
ex decto), le h etimologiche (herba, habito).
Giovanni Boccaccio è anche autore di uno dei più antichi testi in volgare napoletano, un'Epistola del 1339. È uno dei
primi esempi di ‘letteratura dialettale riflessa’, cioè una letteratura dialettale cosciente di essere tale, volontariamente
distinta dal codice della lingua letteraria. Dal punto di vista linguistico è importante perché mostra un uso volontario
di un volgare diverso dal proprio, identificato nelle sue caratteristiche fonetiche, lessicali e sintattiche.

Capitolo 4: il Quattrocento
• Latino e volgare
Con Petrarca inizia l'Umanesimo. Si afferma un nuovo gusto per il classico, secondo cui la lingua è intesa come frutto
di imitazione dei grandi modelli letterari, in questo caso latini. La svolta umanistica ha come conseguenza la crisi del
volgare, che si scredita agli occhi dei dotti, ma che continua a essere usato nell'uso pratico. Il latino è preferito in
quanto lingua più nobile, garante di immortalità letteraria. Pertanto, l'uso del volgare è ritenuto accettabile dai dotti
solo nelle scritture pratiche ed affari, cioè nelle materie senza pretese d'arte.
• Miscele a base di latino
Durante l'Umanesimo e nel primo Cinquecento ci sono molti esperimenti di mistilinguismo tra latino e volgare; la
contaminazione è volontaria, studiata, non casuale, non nasce da ignoranza del volgare, ma è controllata in maniera
sapiente.
Esistono due forme di contaminazione colta:
- il macaronico: designa un linguaggio, un genere poetico comico nato a Padova alla fine del Quattrocento, ottenuto
tramite la latinizzazione parodica di parole del volgare e la deformazione dialettale di parole latine.
L'autore macaronico è un ottimo latinista, che gioca con l'idioma dei classici, a scopo comico, tramite
la tecnica di ‘abbassamento del tono’. Il nome deriva da un cibo, il maccarone, cioè un tipo di gnocco
- il polifilesco: o pedantesco è la lingua che costituisce il personaggio del Pedante in diverse commedie; è un latino
di facciata, fonte di equivoci, ridotto a storpiature e strafalcioni
• Leon Battista Alberti e la prima grammatica
La posizione dell’Alberti è innovativa. È convinto che bisogna imitare i latini perchè hanno scritto in una lingua univer-
salmente compresa, di uso generale. Anche il volgare è una lingua di tutti, ma occorre mirare a una sua promozione a
livello alto, che tratta argomenti seri e importanti.
La prosa dell’Alberti è caratterizzata da latinismi a livello sintattico, lessicale e fonetico, ma si distacca fortemente da
quella di Boccaccio.
Un'altra eccezionale impresa è la realizzazione della prima grammatica della lingua italiana, chiamata Grammatichetta
vaticana, con cui vuole dimostrare che anche il volgare ha una sua struttura grammaticale ordinata. L'attenzione è ri-
volta all'uso toscano del tempo: ex l’articolo el invece di il (uso trecentesco di Firenze, non più usata nel Quattrocento).
• L’Umanesimo volgare

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Nella Firenze di Lorenzo il Magnifico si ha un forte rilancio del toscano, grazie a Lorenzo de' Medici, all'umanista Cristo-
foro Landino e a Poliziano.
Landino nega la naturale inferiorità del volgare rispetto al latino e sostiene la necessità che il fiorentino si arricchisca
con un forte apporto del latino e del greco.
Anche Lorenzo il Magnifico prospetta uno sviluppo del fiorentino (lo sviluppo della lingua si lega a una concezione pa-
triottica). Nel 1477 invia a Federico, figlio del re di Napoli, una selezionata raccolta di poesie (nota col nome di Silloge
o Raccolta aragonese), della tradizione letteraria volgare (dai predanteschi fino ai poeti contemporanei di Lorenzo).
L'antologia è accompagnata da un importante epistola, scritta da Poliziano, in cui sono elogiate la lingua e la letteratura.
Con Lorenzo il Magnifico si ha per la prima volta la promozione del volgare e la rivendicazione delle sue possibilità.
• L’influenza della letteratura religiosa
Le raccolte di laude in uso presso molte comunità dell’Italia settentrionale si toscanizzano, quindi sono importanti per
la diffusione dell’italiano tra il popolo.
La predicazione si rivolge al popolo, quindi, ha bisogno del volgare, che in certi casi è molto vicino al dialetto, in altri al
volgare locale ‘illustre’. Ma nel Quattrocento ci sono casi in cui la lingua toscana esercita anche in questo campo un
prestigio al di là dei suoi naturali confini geografici. Inoltre, i predicatori, chiamati in occasioni particolari, si muovevano
di luogo in luogo, ciò li spinge a essere in possesso di un volgare depurato dalla propria lingua naturale, toscana o non
toscana che fosse, affinché fosse comprensibile ha un pubblico diverso da quello della loro regione d’origine.
• La lingua di coinè e le cancellerie
Mentre la poesia volgare ha fin da subito una certa uniformità, la prosa risente di oscillazioni, anche perché il modello
di Boccaccio non è adeguato a tutte le occasioni di scrittura (appartiene ha un genere letterario circoscritto: la novella).
Quindi le lingue scritte attestate nei documenti sono collocate in precisi spazi sociali e geografici, sebbene mostrino
una tendenza al conguaglio, cioè all’eliminazione dei tratti più vistosamente i locali per tratti latini e toscani, tanto da
evolvere in forme di coinè (termine tecnico che indica una lingua comune super dialettale).
Una forte spinta in tale direzione è data dall’uso del volgare, insieme al latino, nelle cancellerie principesche, a opera
di funzionari.
• Fortuna del toscano letterario
Il volgare toscano acquisisce prestigio fin dal Trecento, soprattutto in area settentrionale, tanto che le famiglie signorili
della pianura padana leggono libri italiani (soprattutto delle Tre Corone), francesi e latini.
Nell'ambiente emiliano opera Matteo Maria Boiardo, poeta della corte estense (Ferrara), che dopo un'esperienza di
poesia in lingua Latina, arriva a quella in volgare. Opera in una dimensione definibile dal punto di vista linguistico come
acronica, cioè volontariamente si sradica dal proprio terreno linguistico dialettale per assimilare il toscano (ma non nei
suoi sviluppi diacronici). La sua opera più famosa è il poema incompiuto Orlando innamorato.
Nel periodo in cui a Napoli si instaura la corte aragonese fiorisce una poesia cortigiana che presenta tratti più distintivi
rispetto al toscano, la generazione successiva di poeti, invece, si distacca maggiormente dei tratti linguistici locali.

Capitolo 5: il Cinquecento
• Italiano e latino
Nel Cinquecento il volgare raggiunge piena maturità: ci sono autori come Ariosto, Tasso e Machiavelli e un pubblico
molto più ampio di lettori, insomma gli intellettuali hanno più fiducia nella nuova lingua, grazie al processo di regola-
mentazione grammaticale in corso, che permette di liberarsi degli eccessivi latinismi e dialettismi tipici delle coinè. L'i-
taliano raggiunge uno status di lingua di cultura di altissima dignità, con prestigio considerevole anche all'estero.
Tuttavia il latino mantiene una posizione rilevante, soprattutto nella pubblica amministrazione e giustizia, in filosofia,
medicina e matematica.
• Pietro Bembo e ‘la questione della lingua’
La questione della lingua, cioè le discussioni sulla natura del volgare e sul nome da attribuirgli, deve essere intesa come
un momento determinante, in cui teorie estetico-letterarie si collegano a un progetto concreto di sviluppo delle lettere.
Al centro del dibattito si collocano le Prose della volgar lingua di Bembo, trattato di tre libri (il terzo contiene una gram-
matica dell’italiano, non schematica e metodica, ma una serie di norme e regole) in forma dialogica.
Nelle Prose è esposta un'ampia analisi storico-linguistica, secondo cui il volgare (cioè il toscano, ma non quello parlato
nella Firenze del XVI sec, bensì il toscano letterario trecentesco di Petrarca e Boccaccio) sarebbe nato dalla contamina-
zione del latino ad opera degli invasori barbari e il suo riscatto è stato possibile grazie agli scrittori e alla letteratura.
Quindi il punto di vista è umanistico, fondato sul primato della letteratura, tanto che i toscani sono in svantaggio: la

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comunanza del fiorentino moderno con la lingua popolare è dannosa, perchè portati più di altri ad accogliere parole
popolari che macchiano la dignità della scrittura.
Bembo non accettava integralmente il modello della Commedia, perché non apprezzava le discese verso lo stile basso
e realistico, soprattutto dell’Inferno.
La soluzione di Bembo è quella vincente: il volgare che si diffonde in tutta Italia come lingua della letteratura è quello
dell’imitazione dei grandi trecentisti.
• Altre teorie: “cortigiani” e “italiani”
Le fonti più ricche di notizie sulla teoria cortigiana derivano dagli scritti degli avversari, come Bembo: parla della teoria
di Calmeta, secondo la quale il volgare migliore è quello usato nelle corti italiane, specialmente nella corte di Roma (la
lingua era appresa sui testi di Dante e Petrarca, poi affinata attraverso l'uso della corte di Roma, città cosmopolita).
Anche Mario equicola parla di una lingua cortigiana, capace di accogliere vocaboli di tutte le regioni d'Italia, mai plebea,
con una coloritura latineggiante, il cui modello è la lingua della corte di Roma.
La differenza tra questo ideale linguistico e quello di Bembo è che i sostenitori della lingua cortigiana non vogliono
limitarsi all’imitazione del toscano arcaico, ma far riferimento all'uso vivo di un ambiente sociale determinato.
Giovan Giorgio Trissino elabora una tesi, basata sulla riscoperta del De Vulgari Eloquentia, giungendo a negare la fio-
rentinità della lingua letteraria.
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• La cultura toscana di fronte a Trissino e a Bembo térnek vissza a beszédhez?
Una delle più interessanti tra le reazioni fiorentine a Trissino è il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua di Ma-
chiavelli, con cui fa ammettere a Dante di aver scritto in fiorentino, non in lingua curiale, e in cui è rivendicato il primato
linguistico di Firenze contro le pretese dei settentrionali.
Benedetto Varchi, fiorentino, frequenta a Padova l’Accademia degli Infiammati, dov’è viva la lezione di Bembo. Rien-
trato a Firenze, ha il merito di introdurvi il bembismo (sebbene la città fosse avversa a Bembo). Tuttavia la rilettura di
Bembo condotta da Varchi non è a fedele anzi risulta un vero e proprio tradimento delle premesse del classicismo
volgare. Ciò fa sì che avviene una riscoperta del parlato.
• La stabilizzazione della norma linguistica
Nel Cinquecento si hanno le prime grammatiche e i primi vocabolari, nei quali si riflettono le teorie della ‘questione
della lingua’, in particolare quella di Bembo. Precedenti alle Prose della volgar lingua sono le Regole grammaticali della
volgar lingua di Giovan Francesco Fortunio. Attorno alla metà del Cinquecento sono disponibili diverse altre gramma-
tiche che illustrano con chiarezza la lingua teorizzata da Bembo, hanno scopi pratici, non ambiziosi obiettivi teorici.
Oltre alle grammatiche, si diffondono i primi lessici, antenati dei vocabolari, che contenevano un numero relativa-
mente limitato di parole, ricavate da Dante, Petrarca e Boccaccio. Il più noto vocabolario della prima metà del Cinque-
cento è di Francesco Alunno di Ferrara.
La grammatica di Bembo influenza l’Orlando furioso di Ariosto, che corregge la terza edizione del poema seguendo le
indicazioni delle Prose, distaccandosi dalla prima edizione che risentiva del padano illustre, benché già notevolmente
toscanizzata.
• Il ruolo delle accademie
Le accademie, come quella padovana degli Infiammati, svolgono nel Cinquecento una funzione di primo piano, poiché
in esse si organizzano gli intellettuali e sono dibattuti i principali problemi culturali, tra cui le questioni linguistiche.
Tra le accademie che si occupano di lingua, ci sono l'Accademia degli Umidi, organo ufficiale, patrocinato da Cosimo
de’ medici, e l'Accademia della Crusca, fondata da Lionardo Salviati. La Crusca nella sua prima fase entra in polemica
contro La Gerusalemme liberata di Tasso, a sostegno del primato di Ariosto, e si occupa di attività filologica, arrivando
a correggere il Decameron e la Commedia.
• La varietà della prosa
La diffusione della lingua italiana rende necessario la differenziazione in generi. L'architettura è uno dei settori in cui
l'italiano si impone, non solo nelle opere nuove, ma anche nelle traduzioni di opere latine, come Vitruvio (le traduzioni
sono determinanti per la stabilizzazione del lessico tecnico), tanto da raggiungere in poco tempo una maturità assoluta
e una perfezione terminologica notevole.
La traduzione è il settore che meglio funziona come banco di prova delle capacità dell'italiano.
Il volgare, quindi, prevale nel settore della scienza applicata o diretta a fini pratici, non nella ricerca di tipo accademico,
salvo poche eccezioni, come Galileo (tuttavia la rinuncia al latino comporta lo svantaggio di limitare la circolazione
internazionale).
La letteratura di viaggio comporta un interesse linguistico: reperisce neologismi e forestierismi.

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• Il mistilinguismo della commedia
La commedia si rivela il genere ideale per la realizzazione di un vivace mistilinguismo o per la ricerca di particolari
effetti di parlato, ex il fiorentino Cecchi che, per rendere colorito il dialogo delle proprie commedie, le riempie di motti
e proverbi.
La lingua della commedia è caratterizzata dalla presenza di diversi codici per i diversi personaggi, ex gli innamorati
parlano toscano, i vecchi il veneziano o il bolognese, i bravi lo spagnolo o le parlate meridionali.
• Il linguaggio poetico
Il petrarchismo è caratteristico del linguaggio poetico cinquecentesco, cioè la scelta di un vocabolario lirico selezionato
e di un repertorio di topoi. Esempio di ciò è Tasso, che la Crusca condanna perché troppo oscuro, aspro, utilizza una
lingua troppo colta, una mistura di voci latine (i latinismi sono spesso usati al posto dei fiorentinismi e ciò non piace
alla Crusca), straniere e lombarde.
Quindi mentre l'Accademia regola la lingua italiana, il linguaggio poetico prende autonomamente un'altra strada.
• La Chiesa e il volgare
La Chiesa è tra i protagonisti della storia linguistica nel periodo dal Concilio di Trento alla fine del Seicento: pur man-
tenendo come lingua ufficiale e come lingua della Bibbia il latino, esorta i sacerdoti a usare il volgare durante l’omelia.

Capitolo 6: il Seicento
• Il Vocabolario dell’Accademia della Crusca
L’Accademia della Crusca è una associazione privata che restituisce a Firenze il magistero della lingua. Il suo contributo
più rilevante si ha nel campo della lessicografia: nel 1612 esce il Vocabolario degli Accademici della Crusca presso la
tipografia veneziana di Giovanni Alberti. Esso non segue i criteri bembiani, ma quelli di Salviati: si basano sulla lingua
del Trecento, ma andando oltre ai confini delle opere delle Tre Corone e arrivando a integrare l'uso moderno (ma
evidenziano la continuità tra lingua toscana contemporanea e antica, trecentesca, documentando le parole del fioren-
tino vivo attraverso gli autori antichi).
Nel 1623 esce una seconda edizione (uguale alla prima) e nel 1691 una terza, diversa dalle precedenti: non uno ma tre
tomi.
• L’opposizione alla Crusca
Fin dalla prima pubblicazione del vocabolario si manifestano molti oppositori. Il primo è Paolo Beni, professore dell’uni-
versità di Padova e autore di Anticrusca, in cui contrappone al canone di Salviati gli scrittori del Cinquecento, soprat-
tutto Tasso.
Un altro critico è il modenese Alessandro Tassoni, la cui riflessione si basa sulla improponibilità dell’arcaismo linguistico
e sull’opposizione della dittatura fiorentina sulla lingua.
Una figura particolare è quella dello scrittore gesuita Daniello Bartoli: non fa una polemica diretta, ma, riesaminando
i testi delle Trecento, dimostra che proprio in essi si trovano oscillazioni tali da far dubitare della perfetta coerenza del
canone grammaticale.
• Il linguaggio della scienza
La prosa del Seicento deve molto allo sviluppo del linguaggio scientifico, grazie soprattutto a Galileo Galilei che, una
volta deciso di utilizzare il volgare toscano nelle sue opere, partendo da termini già in uso, li tecnicizza per usarli come
linguaggio specifico della scienza.
• Il linguaggio poetico barocco
Con la poesia barocca si estende il repertorio dei temi oggetto di poesia e ciò comporta anche un rinnovamento lessi-
cale (ex riferimenti botanici, animali, anatomici).
Un consistente filone della poesia barocca fa capo Marino e utilizza il lessico scientifico, dando alla scienza una sorta
di riconoscimento.
• Le polemiche contro l’italiano
Alla fine del Seicento si sviluppa il giudizio ‘sul cattivo gusto’ del Barocco, questa reazione antibarocca nasce in Francia
e poi in Italia, condannando la letteratura del nostro paese e della Spagna.
Il gesuita francese Dominique Bouhours espone alcune tesi secondo le quali solo i francesi sanno parlare, in quanto la
loro lingua è razionale, mentre quella spagnola è accusata di magniloquenza retorica e quella italiana di eccessiva
tendenza alla sdolcinatezza poetica, incapace di esprimere in modo ordinato il pensiero umano.

Capitolo 7: il Settecento

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• L’italiano e il francese nel quadro europeo
Nel Settecento sono poche le lingue che possono ambire a un primato internazionale: lo spagnolo è in decadimento,
l'italiano è abbastanza conosciuto, ma è il francese la lingua di prestigio. Un luogo comune è che il francese è la lingua
della chiarezza (dovuta al fatto che l'ordine naturale degli elementi della frase è identificato nella sequenza soggetto
verbo complemento), mentre l'italiano della passione emotiva, della poesia e della musicalità (perché caratterizzato
da grande libertà nella posizione degli elementi nel periodo, ciò è reputato un difetto strutturale).
• Cesarotti filosofo del linguaggio
Alla quarta pubblicazione della Crusca (1729-1738), si hanno reazioni decisamente polemiche di stampo illuministico:
- Rinunzia avanti notaio al Vocabolario della Crusca di Alessandro Verri, uno dei redattori della rivista milanese “Il
Caffè”, che mostra grande insofferenza nei confronti dell’autoritarismo fiorentino
- Saggio sulla filosofia delle lingue di Melchiorre Cesarotti, che si apre con una serie di enunciazioni teoriche: tutte le
lingue nascono e derivano, nessuna lingua e pura, tutte le lingue nascono da una combinazione casuale, nessuna
lingua nasce da un ordine prestabilito o dal progetto di una autorità, nessuna lingua è perfetta tutte possono miglio-
rare, nessuna lingua è tanto ricca da non avere bisogno di nuove ricchezze, nessuna lingua è inalterabile e nessuna
lingua è parlata in maniera uniforme nella nazione. Nella terza parte del saggio riconosce il valore d’uso delle parole,
che non vanno trovate nel passato.
• Le riforme scolastiche e gli ideali di divulgazione
Le condizioni del popolo diventano un tema a cui gli illuministi si interessano: la conoscenza della lingua italiana serve
all’uomo per assumere un ruolo nella società produttiva. È in questo secolo che l'italiano entra per davvero nella scuola,
in forma ufficiale.
• La lingua di conversazione e le scritture popolari
L'insegnamento scolastico dell'italiano non produce risultati immediati a livello della popolazione di ceto più basso,
rimane usato, di fatto, dall’élite. La comunicazione familiare è fatta dai dialetti.
• Il linguaggio poetico
Nel 1690 è fondato a Roma il movimento Arcadia, che poi si diffonde in ogni centro italiano, anche in piccole località
di provincia, ed è una palestra poetica che utilizza una lingua sostanzialmente tradizionale, ispirata al modello di Pe-
trarca.
Il linguaggio della poesia settecentesca è un'adesione al passato, che utilizza latinismi, arcaismi con una tendenza alla
nobilitazione.

Capitolo 8: l’Ottocento
• Purismo e classicismo
All’inizio dell’Ottocento si sviluppa come reazione contraria all’egemonia della cultura francese il movimento del Puri-
smo (cioè intolleranza a ogni innovazione e forte antimodernismo per un ritorno all’epoca d’oro trecentesca), il cui
manifesto è l’opera Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana di Antonio Cesari.
Cesari è il capofila del Purismo, ma molti altri ne fanno parte, come Basilio Puoti (insegna italiano secondo i dettati
puristi, ma meno rigidi), Carlo Botta (scrive Storia della guerra della indipendenza degli Stati Uniti d’America, ma con
una lingua piena di arcaismi che cozza con il contenuto moderno) e Vincenzo Monti (ha la forza e l’autorevolezza di
porre un freno alle esagerazioni del Purismo).
• La soluzione manzoniana alla ‘questione della lingua’
I romantici milanesi già nel Settecento sollevano il problema dell’italiano come lingua ‘morta’, cioè imparata sui libri,
usata nella letteratura, ma inadatta ai rapporti quotidiani, per i quali è più funzionale il dialetto o una lingua straniera.
Le idee maturate con i Promessi Sposi diventano poi la teoria linguistica manzoniana che segna una svolta nella ‘que-
stione della lingua’: offrendosi come modello di letterarietà diverso da quello tradizionale, fa maturare l’italiano, ren-
dendolo più vivo e meno letterario.
Manzoni affronta la ‘questione della lingua’ a partire dalle sue esigenze di romanziere: si occupa della prosa italiana
con la stesura del Fermo e Lucia (cerca uno stile moderno utilizzando il linguaggio letterario, ma senza vincolarsi a esso,
accentando francesismi e milanesismi), poi con l’edizione Ventisettana dei Promessi Sposi (è la fase che Manzoni
chiama toscana-milanese) e infine con l’edizione Quarantana (linguaggio fiorentino dell'uso colto, senza eccesso di
affettazione locale, è l'ideale di lingua d'uso, purificata dal latinismi, dialettismi ed espressioni letterarie arcaiche).
• Una stagione d’oro della lessicografia

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L’Ottocento è il secolo dei dizionari: Cesari ripropone il Vocabolario della Crusca con una serie di giunte per esplorare
più a fondo la lingua trecentesca (usando anche autori minori), altri autori realizzano lessicografie sempre a partire
dalla Crusca, ma senza ripensare l’opera in modo innovativo.
Tra il 129 e il 1840 la società tipografica napoletana Tramater pubblica il Vocabolario universale italiano, sempre basato
sulla Crusca, ma con un taglio enciclopedico e con un’attenzione alle voci tecniche, di scienze e letterarie.
Programma nessun vocabolario dell'Ottocento si avvicina alla qualità del Dizionario di Tommaseo: il criterio seguito
per la strutturazione delle voci privilegio il significato più comune e universale (l’uso moderno), poi quello più antico e
etimologico.
È realizzato nel 1868 un vocabolario coerente con l'impostazione manzoniana, ispirata al fiorentinismo dell’uso vivo,
cioè Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, detto il Giorgini-Broglio. Manzoni si rifà al dizionario francese,
toglie le citazioni tratte da scrittori in favore di frasi anonime, testimonianza dell'uso generale, elimina le voci arcaiche
per mostrare l'uso vivente. Il secondo obiettivo di Manzoni è quello di realizzare una serie di vocabolari dialettali che
suggeriscono l'esatto equivalente fiorentino.
• Gli effetti linguistici dell’Unità politica
Al momento dell’Unità politica (1861), l’Italia non ha una corrispondente unità culturale e linguistica. Il numero di
parlanti italiano era molto basso, l’analfabetismo era all’80% e non tutto il restante 20% sapeva usare l’italiano.
Con l’Unità si ha per la prima volta la scuola elementare gratuita e obbligatoria (legge Casati del 1859). La legge Cop-
pino del 1877 rende effettivo l’obbligo di frequenza per il primo biennio delle elementari, punendo gli inadempienti.
Per Tullio De Mauro le cause che portano all’unificazione linguistica sono (lasciando da parte la scuola) l’azione unifi-
cante della burocrazia e dell’esercito, l’azione della stampa periodica e quotidiana, gli effetti di fenomeni demografici
(come l’emigrazione), l’aggregazione intorno ai poli urbani.
• Il ruolo della Toscana e le teorie di Ascoli
Nel 1873 le idee e le proposte manzoniane sono contestate da Graziadio Isaia Ascoli: sostiene che l'unificazione lingui-
stica italiana non è la conseguenza di un intervento pilotato che propone un unico e rigido modello, è impossibile
diventare tutti fiorentini per decisione presa a priori; inoltre non è possibile applicare in Italia il modello centralistico
francese a cui si è ispirato Manzoni.
Ascoli più che a Firenze guarda a Roma, alla neo-capitale del Regno.
• Il linguaggio giornalistico
Il linguaggio giornalistico necessita di essere più semplice rispetto a quello della tradizione letteraria. Nella prima metà
del secolo il giornale è ancora un prodotto dell’élite, nella seconda metà, invece, diventa fenomeno di massa.
La sintassi giornalistica sviluppa la tendenza al periodare breve e alla frase nominale.
• La prosa letteraria
E l'epoca in cui si fonda la moderna letteratura narrativa, attraverso due svolte fondamentali: una legata a Verga
(adatta la lingua italiana a plausibile strumento di comunicazione per personaggi siciliani appartenenti al ceto popolare,
senza regredire a un dialetto usato in maniera integrale) e una a Manzoni (rinnova il linguaggio del genere romanzo e
della saggistica).
• La poesia
Il linguaggio poetico dell'Ottocento rimane ancora legato alla tradizione, e quindi una lingua sublime, inadatta a ter-
mini di uso quotidiano.

Capitolo 9: il Novecento
• Il linguaggio letterario nella prima metà del secolo
La lingua italiana, anche quella letteraria, si presenta nel Novecento con un ribollire di novità, probabilmente Carducci
è l'ultimo scrittore che incarna in maniera perfetta il ruolo tradizionale del vate.
Una prima rottura con il linguaggio poetico tradizionale si ha con Pascoli (sebbene utilizzi parole colte latinismi, con lui
cade la distinzione tra parole poetiche e parole non poetiche), con i crepuscolari (tende verso la prosasticità, al rove-
sciamento del tono sublime) e con le avanguardie (soprattutto il futurismo, che fa appello a un provocatorio rinnova-
mento della forma).
Un altro grande scrittore del primo Novecento è Italo Svevo, spesso accusato di scriver male, in realtà, la mancata
adesione ai modelli del bello scrivere è un punto di forza.
Uno dei punti di riferimento per gli scrittori è il dialetto (è da notare come il toscano può essere ormai considerato alla
stregua di un dialetto)

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• L’oratoria e la prosa ‘d’azione’
L’oratoria del primo Novecento richiama il tema dei discorsi rivolti alle masse da Mussolini e il loro rapporto diretto
con la folla. Ma il modello che meglio rappresenta le tendenze di un’oratoria letteraria, magniloquente e coltissima è
quella dannunziana.
• La politica linguistica del Fascismo
Il fascismo ebbe una chiara politica linguistica: battaglia contro i forestierismi, la repressione delle minoranze etniche
(porta all’italianizzazione forzata della toponomastica nelle aree alloglotte), la polemica antidialettale, l'abolizione del
locativo lei (sostituito dal tu e con il voi).
• Dal “neoitaliano” di Pasolini alla lingua “standa”
A Pasolini si deve un clamoroso intervento nella ‘questione della lingua’. Si discosta dalla tradizione delle antiche dia-
tribe perché la sua è un'analisi sociolinguistica della situazione presente, arrivando a delineare alcune delle caratteri-
stiche del ‘nuovo italiano’: semplificazione sintattica, drastica diminuzione dei latinismi, prevalenza dell'influenza della
tecnica rispetto a quella della letteratura.
Lo scrittore di oggi gode di una libertà grandissima, può scegliere tra diverse soluzioni stilistiche (ex può scegliere la
lingua semidistrutta e massificata, definita ironicamente da Antonelli “standa” anziché standard).
• L’italiano dell’uso ‘medio’ e la ‘lingua selvaggia’
L’‘italiano dell’uso medio’ è il nome di una categoria definita da Sabatini, cioè l'italiano di oggi così come è comune-
mente parlato a livello non formale. Si differenzia dall’italiano ‘standard’, che rappresenta, invece, l’italiano ‘ufficiale’,
astratto.

Capitolo 10: quadro linguistico dell’Italia attuale


• Dove si parla italiano
L’italiano è parlato in tutto il territorio della Repubblica italiana, nello stato del Vaticano, nella Repubblica di San ma-
rino e in alcuni cantoni della Svizzera.
• Aree dialettali e classificazione dei dialetti
Si possono distinguere tre diverse aree dialettali: Settentrionale, Centrale e Meridionale. La linea di confine che divide
la prima area dalle altre due la line La Spezia-Rimini.
Nelle parlate dialettali a nord di questa linea si ha l’indebolimento delle occlusive sorde in posizione intervocalica (ex
formiga o furmia invece di formica), lo scempiamento delle consonanti geminate (ex bela per bella), la caduta delle
vocali finali (ex sal per sale) e la contrazione delle sillabe atone (ex tlar per telaio).
Nelle parlate a sud si ha la sonorizzazione delle consonanti sorde in posizione postnasale (ex angora per ancora), la
metafonesi delle vocali toniche e ed o per influsso di -i e -u finali (acitu per aceto), l’uso di tenere per avere e l’uso del
possessivo in posizione proclitica (ex figliomo ‘mio figlio’).
• Gli italiani regionali
L’italiano non è parlato in modo uniforme nell’intero territorio nazionale, ma risente dei dialetti parlati nelle diverse
aree geografiche. Quattro sono le principali varietà di pronuncia: meridionale, settentrionale, toscana e romana.

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