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Claudio Marazzini
Linguistica
Università degli Studi di Milano-Bicocca (UNIMIB)
12 pag.
Capitolo 2: il Duecento
• Il linguaggio poetico dai provenzali ai poeti siciliani
La scelta del volgare per la poesia implica la sua promozione a lingua letteraria. La prima scuola poetica italiana nasce
all’inizio del XIII sec alla raffinata e colta corte di Federico II di Svevia: è la Scuola siciliana.
Oltre le Alpi si erano già affermate altre due letterature: quella francese in lingua d’oil e quella provenzale in lingua
d’oc (considerata la lingua della poesia per eccellenza, una poesia incentrata sulla tematica d’amore).
I poeti siciliani imitano la poesia provenzale, come altri poeti italiani prima di loro, ma con un’innovazione: sostitui-
scono al provenzale un volgare italiano, quello siciliano. È da notare come il volgare utilizzato sia altamente formaliz-
zato e raffinato, pieno di termini provenzali (come quelli che terminano in -agio o in -anza). Molti dei poeti della Scuola
siciliana, in realtà, non sono siciliani, ma provengono da altri luoghi d’Italia.
Il corpus della poesia siciliana è stato trasmesso dai codici medievali scritti da copisti toscani, i quali, nel copiarli, sono
intervenuti sulla forma linguistica delle poesie siciliane con una ‘traduzione’. A causa di queste modifiche, Dante ri-
tenne che i siciliani fossero totalmente liberi dai tratti locali della loro parlata. Queste ‘traduzioni’ danno vita alle ‘rime
imperfette’ nel testo toscanizzato, che, invece, nel testo originale erano perfette.
Fondamentale è la testimonianza di Barbieri, studioso cinquecentesco della poesia provenzale, che scrive dell’esi-
stenza di un codice, da lui chiamato Libro Siciliano, oggi perduto, contenente alcuni testi poetici siciliani con una forma
molto diversa: vocali finali in -u e -i al posto delle toscane -o e -e, stesso fenomeno per le vocali in posizione tonica.
Tra i testi vi è la canzone Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro e due frammenti di Re Enzo, figlio di Federico II.
• Documenti poetici centro-settentrionali
Contemporaneamente alla Scuola siciliana ci sono altri generi che si sviluppano nel resto d’Italia, come la poesia reli-
giosa, o meglio, le laudi religiose di origine umbra, il cui massimo esempio è il Cantico di frate sole di San francesco
(1223-1224). In Italia settentrionale, soprattutto in area lombarda, fiorisce una letteratura in volgare di carattere mo-
raleggiante e educativo, molto diversa da quella siciliana.
Con la morte di Federico II viene meno la poesia siciliana e la sua eredità passa in Toscana e a Bologna prima con i co-
Capitolo 3: il Trecento
• Dante e il successo del toscano
La Commedia è scritta in un volgare diverso da quello teorizzato nel De vulgari eloquentia, infatti Dante utilizza il
toscano. La ricchezza delle tematiche, ben più vaste di quelle proprie della poesia lirica stilnovista, la sua importanza
letteraria e il fatto di essere stata scritta in esilio (in un contesto più settentrionale e non solo toscano) fanno sì che il
poema dantesco e, quindi, la lingua in cui è scritto abbiano fin da subito un successo enorme.
Il toscano fiorentino si espande anche grazie alla presenza nel Trecento di altre due opere degne di massima ammira-
zione: il Canzoniere di Petrarca e il Decameron di Boccaccio (insieme a Dante, i tre autori sono definiti ‘Tre corone’).
• Varietà linguistica della “commedia”
La Commedia è un'opera universale, infatti segna in maniera indelebile lo sviluppo della letteratura e allo stesso tempo
appartiene all'intera civiltà umana. È chiaro che una lingua capace di produrre un'opera di questo valore è di per sé
matura, tanto che Tullio De Mauro osserva che, quando Dante comincia a scriverla, il vocabolario fonda mentale dell'i-
taliano è già costituito al 60%: nel poema Dante fa suo questo patrimonio, trasmettendolo nei secoli.
Bruno Migliorini definisce Dante il padre del nostro idioma nazionale.
Una delle categorie utilizzate per definire la lingua poetica di Dante è il plurilinguismo, in contrapposizione al mono-
linguismo lirico tipico, ad esempio, di Petrarca. Il plurilinguismo significa una scelta dettata dalla disponibilità ad acco-
gliere elementi di provenienza disparata: latinismi provenzalismi, termini forestierismi, plebei, parole toscane e alcune
non toscane.
Il poema, comunque, nel suo complesso si presenta come un'opera fiorentina.
• Il linguaggio lirico di Petrarca
La caratteristica dominante del linguaggio poetico di Petrarca è la sua selettività, che esclude molte parole usate nella
Commedia, inadatte al genere lirico.
Petrarca utilizza come strumento della comunicazione culturale il latino, tanto che solo una piccola parte delle sue
opere è in volgare e il titolo stesso del Canzoniere è il latino (Rerum Vulgarium Fragmenta, cioè frammenti di cose vol-
Capitolo 4: il Quattrocento
• Latino e volgare
Con Petrarca inizia l'Umanesimo. Si afferma un nuovo gusto per il classico, secondo cui la lingua è intesa come frutto
di imitazione dei grandi modelli letterari, in questo caso latini. La svolta umanistica ha come conseguenza la crisi del
volgare, che si scredita agli occhi dei dotti, ma che continua a essere usato nell'uso pratico. Il latino è preferito in
quanto lingua più nobile, garante di immortalità letteraria. Pertanto, l'uso del volgare è ritenuto accettabile dai dotti
solo nelle scritture pratiche ed affari, cioè nelle materie senza pretese d'arte.
• Miscele a base di latino
Durante l'Umanesimo e nel primo Cinquecento ci sono molti esperimenti di mistilinguismo tra latino e volgare; la
contaminazione è volontaria, studiata, non casuale, non nasce da ignoranza del volgare, ma è controllata in maniera
sapiente.
Esistono due forme di contaminazione colta:
- il macaronico: designa un linguaggio, un genere poetico comico nato a Padova alla fine del Quattrocento, ottenuto
tramite la latinizzazione parodica di parole del volgare e la deformazione dialettale di parole latine.
L'autore macaronico è un ottimo latinista, che gioca con l'idioma dei classici, a scopo comico, tramite
la tecnica di ‘abbassamento del tono’. Il nome deriva da un cibo, il maccarone, cioè un tipo di gnocco
- il polifilesco: o pedantesco è la lingua che costituisce il personaggio del Pedante in diverse commedie; è un latino
di facciata, fonte di equivoci, ridotto a storpiature e strafalcioni
• Leon Battista Alberti e la prima grammatica
La posizione dell’Alberti è innovativa. È convinto che bisogna imitare i latini perchè hanno scritto in una lingua univer-
salmente compresa, di uso generale. Anche il volgare è una lingua di tutti, ma occorre mirare a una sua promozione a
livello alto, che tratta argomenti seri e importanti.
La prosa dell’Alberti è caratterizzata da latinismi a livello sintattico, lessicale e fonetico, ma si distacca fortemente da
quella di Boccaccio.
Un'altra eccezionale impresa è la realizzazione della prima grammatica della lingua italiana, chiamata Grammatichetta
vaticana, con cui vuole dimostrare che anche il volgare ha una sua struttura grammaticale ordinata. L'attenzione è ri-
volta all'uso toscano del tempo: ex l’articolo el invece di il (uso trecentesco di Firenze, non più usata nel Quattrocento).
• L’Umanesimo volgare
Capitolo 5: il Cinquecento
• Italiano e latino
Nel Cinquecento il volgare raggiunge piena maturità: ci sono autori come Ariosto, Tasso e Machiavelli e un pubblico
molto più ampio di lettori, insomma gli intellettuali hanno più fiducia nella nuova lingua, grazie al processo di regola-
mentazione grammaticale in corso, che permette di liberarsi degli eccessivi latinismi e dialettismi tipici delle coinè. L'i-
taliano raggiunge uno status di lingua di cultura di altissima dignità, con prestigio considerevole anche all'estero.
Tuttavia il latino mantiene una posizione rilevante, soprattutto nella pubblica amministrazione e giustizia, in filosofia,
medicina e matematica.
• Pietro Bembo e ‘la questione della lingua’
La questione della lingua, cioè le discussioni sulla natura del volgare e sul nome da attribuirgli, deve essere intesa come
un momento determinante, in cui teorie estetico-letterarie si collegano a un progetto concreto di sviluppo delle lettere.
Al centro del dibattito si collocano le Prose della volgar lingua di Bembo, trattato di tre libri (il terzo contiene una gram-
matica dell’italiano, non schematica e metodica, ma una serie di norme e regole) in forma dialogica.
Nelle Prose è esposta un'ampia analisi storico-linguistica, secondo cui il volgare (cioè il toscano, ma non quello parlato
nella Firenze del XVI sec, bensì il toscano letterario trecentesco di Petrarca e Boccaccio) sarebbe nato dalla contamina-
zione del latino ad opera degli invasori barbari e il suo riscatto è stato possibile grazie agli scrittori e alla letteratura.
Quindi il punto di vista è umanistico, fondato sul primato della letteratura, tanto che i toscani sono in svantaggio: la
Capitolo 6: il Seicento
• Il Vocabolario dell’Accademia della Crusca
L’Accademia della Crusca è una associazione privata che restituisce a Firenze il magistero della lingua. Il suo contributo
più rilevante si ha nel campo della lessicografia: nel 1612 esce il Vocabolario degli Accademici della Crusca presso la
tipografia veneziana di Giovanni Alberti. Esso non segue i criteri bembiani, ma quelli di Salviati: si basano sulla lingua
del Trecento, ma andando oltre ai confini delle opere delle Tre Corone e arrivando a integrare l'uso moderno (ma
evidenziano la continuità tra lingua toscana contemporanea e antica, trecentesca, documentando le parole del fioren-
tino vivo attraverso gli autori antichi).
Nel 1623 esce una seconda edizione (uguale alla prima) e nel 1691 una terza, diversa dalle precedenti: non uno ma tre
tomi.
• L’opposizione alla Crusca
Fin dalla prima pubblicazione del vocabolario si manifestano molti oppositori. Il primo è Paolo Beni, professore dell’uni-
versità di Padova e autore di Anticrusca, in cui contrappone al canone di Salviati gli scrittori del Cinquecento, soprat-
tutto Tasso.
Un altro critico è il modenese Alessandro Tassoni, la cui riflessione si basa sulla improponibilità dell’arcaismo linguistico
e sull’opposizione della dittatura fiorentina sulla lingua.
Una figura particolare è quella dello scrittore gesuita Daniello Bartoli: non fa una polemica diretta, ma, riesaminando
i testi delle Trecento, dimostra che proprio in essi si trovano oscillazioni tali da far dubitare della perfetta coerenza del
canone grammaticale.
• Il linguaggio della scienza
La prosa del Seicento deve molto allo sviluppo del linguaggio scientifico, grazie soprattutto a Galileo Galilei che, una
volta deciso di utilizzare il volgare toscano nelle sue opere, partendo da termini già in uso, li tecnicizza per usarli come
linguaggio specifico della scienza.
• Il linguaggio poetico barocco
Con la poesia barocca si estende il repertorio dei temi oggetto di poesia e ciò comporta anche un rinnovamento lessi-
cale (ex riferimenti botanici, animali, anatomici).
Un consistente filone della poesia barocca fa capo Marino e utilizza il lessico scientifico, dando alla scienza una sorta
di riconoscimento.
• Le polemiche contro l’italiano
Alla fine del Seicento si sviluppa il giudizio ‘sul cattivo gusto’ del Barocco, questa reazione antibarocca nasce in Francia
e poi in Italia, condannando la letteratura del nostro paese e della Spagna.
Il gesuita francese Dominique Bouhours espone alcune tesi secondo le quali solo i francesi sanno parlare, in quanto la
loro lingua è razionale, mentre quella spagnola è accusata di magniloquenza retorica e quella italiana di eccessiva
tendenza alla sdolcinatezza poetica, incapace di esprimere in modo ordinato il pensiero umano.
Capitolo 7: il Settecento
Capitolo 8: l’Ottocento
• Purismo e classicismo
All’inizio dell’Ottocento si sviluppa come reazione contraria all’egemonia della cultura francese il movimento del Puri-
smo (cioè intolleranza a ogni innovazione e forte antimodernismo per un ritorno all’epoca d’oro trecentesca), il cui
manifesto è l’opera Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana di Antonio Cesari.
Cesari è il capofila del Purismo, ma molti altri ne fanno parte, come Basilio Puoti (insegna italiano secondo i dettati
puristi, ma meno rigidi), Carlo Botta (scrive Storia della guerra della indipendenza degli Stati Uniti d’America, ma con
una lingua piena di arcaismi che cozza con il contenuto moderno) e Vincenzo Monti (ha la forza e l’autorevolezza di
porre un freno alle esagerazioni del Purismo).
• La soluzione manzoniana alla ‘questione della lingua’
I romantici milanesi già nel Settecento sollevano il problema dell’italiano come lingua ‘morta’, cioè imparata sui libri,
usata nella letteratura, ma inadatta ai rapporti quotidiani, per i quali è più funzionale il dialetto o una lingua straniera.
Le idee maturate con i Promessi Sposi diventano poi la teoria linguistica manzoniana che segna una svolta nella ‘que-
stione della lingua’: offrendosi come modello di letterarietà diverso da quello tradizionale, fa maturare l’italiano, ren-
dendolo più vivo e meno letterario.
Manzoni affronta la ‘questione della lingua’ a partire dalle sue esigenze di romanziere: si occupa della prosa italiana
con la stesura del Fermo e Lucia (cerca uno stile moderno utilizzando il linguaggio letterario, ma senza vincolarsi a esso,
accentando francesismi e milanesismi), poi con l’edizione Ventisettana dei Promessi Sposi (è la fase che Manzoni
chiama toscana-milanese) e infine con l’edizione Quarantana (linguaggio fiorentino dell'uso colto, senza eccesso di
affettazione locale, è l'ideale di lingua d'uso, purificata dal latinismi, dialettismi ed espressioni letterarie arcaiche).
• Una stagione d’oro della lessicografia
Capitolo 9: il Novecento
• Il linguaggio letterario nella prima metà del secolo
La lingua italiana, anche quella letteraria, si presenta nel Novecento con un ribollire di novità, probabilmente Carducci
è l'ultimo scrittore che incarna in maniera perfetta il ruolo tradizionale del vate.
Una prima rottura con il linguaggio poetico tradizionale si ha con Pascoli (sebbene utilizzi parole colte latinismi, con lui
cade la distinzione tra parole poetiche e parole non poetiche), con i crepuscolari (tende verso la prosasticità, al rove-
sciamento del tono sublime) e con le avanguardie (soprattutto il futurismo, che fa appello a un provocatorio rinnova-
mento della forma).
Un altro grande scrittore del primo Novecento è Italo Svevo, spesso accusato di scriver male, in realtà, la mancata
adesione ai modelli del bello scrivere è un punto di forza.
Uno dei punti di riferimento per gli scrittori è il dialetto (è da notare come il toscano può essere ormai considerato alla
stregua di un dialetto)