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Lingua e Linguistica italiana

PERCORSO STORICO
Prima di studiare la lingua italiana nel dettaglio, occorre fare un preambolo sul come l’italiano sia nato e come
si sia evoluto nel corso del tempo, dal punto di vista storico.
Le lingue naturali (come l’italiano, inglese, francese ecc.) subiscono nel corso del tempo un gran numero di
mutazioni o variazioni, che sono oggetto di studio della diacronìa (= la dimensione di variazione che si occupa
di studiare la variazione linguistica nel corso del tempo).
Per studiare una lingua naturale, la diacronìa va ad analizzare una lingua sia da una prospettiva interna sia da
una prospettiva esterna. La prospettiva interna riguarda tutta quella serie di fenomeni interni alla lingua, come
ad esempio tutta quella serie di mutazioni fonologiche, morfologiche, sintattiche e lessicali (linguistiche) e gli
studiosi la definiscono anche STORIA LINGUISTICA INTERNA. La prospettiva esterna, invece, riguarda tutta
quelle serie di fenomeni esterni alla lingua come il contesto sociale, contesto politico, contesto storico e
dunque tutta quelle serie di avvenimenti esterni (extralinguistici) e gli studiosi la definiscono anche STORIA
LINGUISTICA ESTERNA.

Confini cronologici (o tappe)


Per andare a sintetizzare tutta quella serie di mutazioni (o variazioni) che hanno portato alla situazione
linguistica contemporanea dell’italiano, possiamo andare a riconoscere ben SEI tappe (o confini cronologici):
1. DAL LATINO AI VOLGARI MEDIEVALI: Periodo molto lungo. Non vi era ancora una scissione netta tra latino e
lingue nuove.
2. DAL XII-XIII SECOLO ALLA FINE DEL TRECENTO: Il volgare inizia a mettere sempre più piede nella penisola,
andando a sostituire gradualmente il latino. Le opere degli autori toscani Dante Alighieri, Francesco Petrarca,
Giovanni Boccaccio daranno prestigio al volgare fiorentino, che sarà poi eletta lingua standard dell’italiano.
3. DAL XIV SECOLO AGLI INIZI DEL CINQUECENTO: Fase di stallo, in cui durante l’Umanesimo i volgari vengono
abbandonati, in quanto ritenuti inadeguati alla scrittura di testi elevati, per dare nuovamente spazio al latino.
Nel frattempo però, Firenze raggiunge il suo picco economico e culturale grazie alla signoria de’ I Medici la quale
svolge un ruolo fondamentale nella diffusione del volgare fiorentino anche in altre parti della penisola.
4. DAL 1525 ALL’UNITÀ D’ITALIA: Il fiorentino letterario trecentesco viene eletto lingua degli italiani. Nel 1583
viene fondata l’Accademia della Crusca che si occupa della redazione del primo Vocabolario della nostra lingua,
che sarà poi pubblicato successivamente nel 1612. Nei contesti familiari la comunicazione si svolge ancora in
dialetto. 1861, Unità d’Italia.
5. DAL 1861 AGLI ANNI QUARANTA DEL XX SECOLO: La lingua italiana si espande ancora di più grazie a tutta una
serie di fattori come l’unificazione politica, sistema scolastico unitario, migliore circolazione tra una regione e
l’altra eccetera.
6. DAGLI ANNI CINQUANTA DEL NOVECENTO A OGGI: La lingua italiana diventa ancora di più la lingua di uso
comune anche nella comunicazione orale quotidiana, diminuisce l’uso dei dialetti. Lo sviluppo economico,
industriale e soprattutto l’incremento delle vie di comunicazione contribuiranno ulteriormente alla diffusione
dell’italiano. Tuttavia le forti emigrazioni tra gli anni Cinquanta e Settanta intaccheranno leggermente la storia
linguistica italiana. L’italiano usato spesso nella comunicazione orale subirà dei cambiamenti.

Italiano e latino
“L’italiano è una lingua che deriva dal latino.” quest’affermazione - molto comune - per alcuni studiosi è
ritenuta errata, per quanto riguarda il verbo derivare. Questo perchè l’italiano, de facto, non è nato
direttamente dal latino, ma al contrario da un lento processo di trasformazione ed evoluzione subìto dal latino
stesso.
Dunque, italiano e latino secondo alcuni studiosi non andrebbero considerate come due lingue separate
nettamente.
Le lingue, di base, non vanno considerate come dei monoliti, dunque come singoli blocchi di pietra, ma come
un’insieme di varietà linguistiche, e dunque come insiemi di blocchi che si sovrappongono l’uno con l’altro e
che sono diversi, l’uno dall’altro.
Il latino studiato, ad oggi, nelle scuole è il LATINO CLASSICO ossia il latino dei grandi autori come Ovidio,
Virgilio, Orazio eccetera.
La definizione di “classico” è una definizione antica attribuibile ad Aulo Gelio, scrittore e giurista del III secolo d.C. che
definì le testimonianze letterarie di un certo calibro, ossia di un livello alto - con autori che avevano scritto con un latino
elegante e suggestivo - come “classici” ossia come scrittori di prima classe, che gli altri scrittori di livello inferiore potevano
usare come modello di riferimento.
Ma alla base del fiorentino letterario trecentesco e dunque dell’italiano, NON c’è il latino classico, ma bensì il
LATINO VOLGARE, ossia quella forma di latino usata nell’oralità, nella conversazione e dunque
prevalentemente orale (a differenza del l. classico che era prevalentemente scritto) e soprattutto caratterizzato
da tratti di una specifica area geografica.
L’aggettivo volgare, è usato in modo improprio inoltre, in quanto questa forma di latino non era solo parlata
dal volgo, ossia dal popolo non colto ma, da tutte le classi sociali.
A differenza però del latino classico, non è facile andare a ricostruire tutta quella serie di tratti linguistici e
oscillazioni di uso che hanno caratterizzato quest’ultimo. Largamente, diremmo che il latino volgare non era
solo il latino parlato dal volgo, ma per latino volgare si intende tutta quella serie di varietà del latino parlato
(noti anche come volgari) che erano parlate da quasi tutte le classi sociali.
Da questo insieme di varietà del latino parlato sono nate successivamente tutta quella serie di LINGUE
NEOLATINE (O ROMANZE) come l’italiano, il francese, lo spagnolo eccetera.

Caduta del latino e affermazione del volgare


Ciò che ha permesso al latino volgare di prevalere sul latino scritto classico portando alla nascita delle future
lingue romanze e da condurre a cause molteplici, ma la prima tra tutte fu sicuramente l’influenza che giocò il
CRISTIANESIMO, religione che riuscì a diffondersi rapidamente tra la popolazione e che riuscì ad attirare
l’attenzione sia delle classi basse che delle classi alte. Il messaggio evangelico accelerò la frammentazione del
latino classico a causa del ricorso costante all’orazione e dunque al latino parlato volgare.
Il colpo di grazia che però ha sancito l’effettiva frammentazione del latino è stata la divisione dell’Impero
romano, a partire dal 395 d.C. con la morte di Teodosio I, tra Impero romano d’Oriente ed Impero romano
d’Occidente, accentuata poi dalla successiva caduta dell’Impero romano nel 476 d.C. con la deposizione
dell’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo ad opera di Odoacre.
Con la caduta del governo centrale, le province non furono più in grado di imparare il latino scritto classico, che
si trasformò in una lingua privilegiata parlata da pochi e dando dunque spazio al latino parlato volgare. Nello
specifico, fu principalmente il clero, che continuò a portare avanti il latino scritto classico, che di fatto resistette
fino al VI secolo. Tra il VII e il IX secolo è difficile fare una ricostruzione storica precisa, ma per alcuni studiosi
era forte la presenza di DIGLOSSIA (= fenomeno linguistico in cui all’interno di una comunità linguistica sono
adottate due lingue diverse usate in due contesti differenti).
Dunque, vi era un latino volgare limitato alla comunicazione orale e parlato dagli incolti (illitterati) ed un latino
alto scritto, limitato alla scrittura e parlato dai colti (letterati).
Il latino volgare, infatti impiegò un bel po’ di tempo prima di ottenere una forma scritta, ma alcune fonti
storiche dimostrano che i parlanti allora sentivano già la necessità di “scriversi” in una lingua diversa dal latino
classico scritto.
La prima testimonianza di volgare scritto arriverà solo nel 960 con la stesura del “Placito Capuano” emesso
nell’omonima Capua nel 960. I plàciti erano documenti in cui i giuristi esprimevano le loro opinioni in merito ad
una lite o disputa.

“Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti
Benedicti” (Capua, marzo 960 d.C.)

Traduzione: “So che quelle terre, entro quei confini che qui sono contenuti, le posseddette per trent’anni la parte di San
Benedetto”

Per molti dunque il Placito capuano sancisce l’atto di nascita, per così dire, della lingua italiana, ma per molti
studiosi in realtà sia quest’affermazione che quella di “prima testimonianza scritta del volgare” sono fuorvianti.
Questo perché, in nessuno dei territori della dominazione romana, la frammentazione del latino aveva dato
vita ad un SOLO volgare, anzi come noi sappiamo sono molte le varietà di volgare che si sono sviluppate subito
dopo la frammentazione del latino. Il Placito capuano mostra delle caratteristiche tipiche di un volgare centro-
meridionale e dunque, pur essendo il primo documento scritto in “uno dei volgari” non può essere considerato
a tutti gli effetti la base della nostra lingua, proprio a seguito della numerosa varietà di volgari formatosi dopo
la frammentazione del latino.

Il volgare di massimo prestigio


Nel corso del XIII secolo, aumentarono le testimonianze scritte del volgare e crebbero dunque i testi redatti
nelle numerose varietà di volgare. In Toscana, nel Duecento aumentano le testimonianze legate agli affari e al
commercio da parte dei mercanti, che pur non conoscendo il latino, furono spinti dalla necessità di
contabilizzare le loro transazioni e di mettere nero su bianco i vari accordi che stipulavano.
A Firenze, in particolar modo, l’economia cresce sempre di più e assieme ai mercanti, in questo momento i
principali “scrittori” in uno pseudo-volgare scritto, si aggiunsero anche i notai, figure professionali che furono
importantissime nell’ambito della storia linguistica e culturale, poiché a seguito dei loro studi, erano capaci di
comunicare sia in latino che in volgare, facendo dunque da intermediari nella stesura di contratti, investimenti
di vario genere e aiutando tutta quella serie di parlanti volgari che non conoscevano il latino, ma avevano
bisogno di gestire i propri affari.
Dal punto di vista letterario, i primi testi letterari non arrivano né da Firenze, né dalla Toscana, però è proprio in
Toscana che ha inizio il lavoro di copia che porta alla creazione dei primi canzonieri (grandi manoscritti ricchi di
poesie).
L’inizio della rivoluzione letteraria arriverà però solo a cavallo del Trecento con il movimento letterario del
Dolce Stil Novo costituito da Dante Alighieri, Cino da Pistoia, Guido Guinizelli, Lapo Gianni e Guido Cavalcanti.
Nello specifico, sarà proprio l’innovazione stilistica e letteraria di Dante Alighieri che tra il 1304 ed il 1306 darà
un impatto alla letteratura fiorentina e alla storia linguistica italiana fortissimo, grazie a opere come il Convivio
e il De vulgari eloquentia. Nel Convivio, Dante individua il volgare come mezzo di diffusione del sapere tra le
nuove classi mentre nel De vulgari eloquentia, Dante esprime come un “volgare illustre” possa esistere.
Secondo Dante, infatti il volgare doveva essere: illustre, cardinale, aulico e curiale.
Illustre  deve dare decoro a chi lo usa (illuminare i parlanti)
Cardinale  deve fungere da cardine rispetto alle altre parlate (punto di riferimento)
Aulico  deve essere degno di poter essere usato alla presenza di un sovrano
Curiale  deve essere nobile per poter essere usato liberamente nelle corti (nelle curie)
L’opera di Dante che però darà il tributo maggiore alla storia linguistica italiana è la Commedia, nel quale esso
affronterà tutta una serie di argomenti, allora mai trattati in volgare, contribuendo a potenziarne le strutture
grammaticali ed il lessico. L’opera di Dante influenzerà molti autori anche al di fuori della Toscana,
espandendosi sempre di più.
A Dante, si aggiunsero Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, il primo lavorò sulla creazione di una lingua
poetica, cercando di dare dei tratti nobili al fiorentino letterario; il secondo lavorò sulla prosa narrativa,
combinando i modelli antichi con i contesti sociali fiorentini, e facendo dunque una combinazione tra più
registri.
Secondo Dante, per poter permettere un maggiore uso del volgare, quest’ultimo doveva ottenere un livello di
prestigio più alto, che potesse avvicinarsi al latino e dunque attirare più parlanti appartenenti anche a classi più
alte.
Grazie all’influenza delle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio (definiti dagli studiosi le TRE CORONE) che il
fiorentino letterario trecentesco divenne il volgare più prestigioso della penisola. E di lì a poco, quest’ultimo
sarebbe diventato la lingua unitaria degli italiani.

Il volgare fiorentino tra Umanesimo e Rinascimento


Verso gli inizi del ‘400 si intensifica in Italia un nuovo movimento letterario chiamato Umanesimo, che va a
riscoprire l’importanza dei classici greco-latini e si caratterizza per l’aspro rispetto della latinità. Secondo gli
scrittori umanisti, il latino medioevale non era rimasto al passo coi tempi, siccome la norma grammaticale non
si era adattata, e se il latino di per sé necessitava di riadattarsi, il volgare invece una norma grammaticale non
l’aveva mai avuta, ed era considerato come una lingua corrotta dagli umanisti.
A tutti gli effetti, nessuno dei volgari aveva mai avuto una fissazione scritta di norme ben delineate, di
conseguenza a seguito di ciò e dell’influenza dell’Umanesimo l’uso del volgare si ridusse notevolemente e
venne emarginato dalla scrittura letteraria, ma non si poté più fare a meno di adottarlo in altri contesti. Il
volgare era ormai entrato nell’amministrazione delle città, nella stesura degli atti amministrativi, nell’uso
mercantile e nelle cancellerie sopratutto (ossia gli uffici preposti alla redazione dei documenti pubblici).
Le cancellerie, introdussero tra l’altro un volgare scritto più pulito ed elegante adottando sia forme latineggianti
che del fiorentino, chiamate koinè ossia lingue comuni interregionali che caratterizzarono le prime basi per una
pseudo-lingua unitaria.
A Firenze, intanto i Medici decisero di avviare tutta una serie di politiche volte ad esaltare l’opera letteraria
fiorentino-trecentesca, e dunque questi ultimi, attraverso l’aiuto di Cristoforo Landino e Agnolo Poliziano
iniziarono un processo di grande riscoperta e promozione delle opere volgari fiorentine che fecero riconoscere
il fiorentino letterario in tutta Italia.
Nel ‘500, grazie all’invenzione della stampa aumentò ancora di più il sentimento di creazione di una lingua
unitaria. Inizialmente la lingua delle stampe quattrocentesche è ancora contrassegnata da tratti locali, anche se
inizia a mostrare i primi passi verso una normalizzazione e dunque verso una lingua comune, uniforme. Il punto
di svolta si ha grazie al lavoro del tipografo Aldo Manuzio in collaborazione con il filologo letterario Pietro
Bembo che si occuparono della traduzione della “Commedia” di Dante e del “Rerum vulgarium fregmenta” di
Petrarca, attraverso il quale Bembo ricavò le normative necessarie che sarebbero poi state illustrate nella sua
opera: “Prose della vulgar lingua”, testo pubblicato nel 1525 che sarebbe stato il primo testo ad esporre le
varie regole stilistiche e grammaticali del volgare, e che avrebbe dunque fissato un modello stabile di lingua
unitaria.
Nella sua opera Bembo promosse il fiorentino letterario trecentesco come lingua unitaria degli italiani.
Il modello bembiano non venne accolto sùbito dagli studiosi e scrittori dell’epoca, ciononostante di lì a poco
sarebbe diventato gradualmente il modello sempre più accettato come lingua unitaria degli italiani.
Pietro Bembo ha dunque giocato un ruolo fondamentale dal punto di vista linguistico durante il Rinascimento.

La lingua nel Risorgimento e dell’Unità d’Italia


Nel 1861, l’Italia viene unificata, ma lo Stato appena costruito si ritrovò a fronteggiare un analfabetismo
elevatissimo, circa il 75% della popolazione non sapeva né leggere, né scrivere e di conseguenza aveva una
scarsa conoscenza della lingua unitaria. Divenne dunue necessaria, se non perentoria, l’istituzione di un
sistema scolastico ben funzionante che potesse garantire la conoscenza della lingua unitaria a tutto il popolo
italiano, che era prevalentemente dialettòfono.
Per risolvere la questione, il ministro della Pubblica istruzione, Emilio Broglio nomina nel 1868 una
commissione in cui venne convocato anche lo scrittore Alessandro Manzoni, il quale condivise le sue idee in
merito alla questione della lingua, secondo le quali bisognava trovare una lingua adatta al romanzo moderno.
Secondo Manzoni, l’attuale lingua non era adoperabile in tutte le situazioni comunicative, egli si rese conto che
la lingua che cercava non era nei libri o nelle opere letterarie, ma nell’uso che ne fa il popolo, il toscano ad
esempio non è una sola lingua monolitica, ma un conglomerato di più varietà come il pisano, l’aretino eccetera
e l’unico modello che poteva soddisfare sia gli usi scritti che parlati era il fiorentino. La teoria linguistica di
Manzoni si concentra intorno al concetto di Uso (che nelle sue opere viene sempre introdotto con la lettera
maiuscola) e che riguarda al fatto che la mutevolezza di una lingua, sia dettata dall’uso che ne fanno i parlanti
nei vari contesti comunicativi, di conseguenza l’uso non è governato dalle opere letterarie, ma dalle esigenze
della società. Manzoni, è il primo autore che per la prima volta nella storia della questione linguistica italiana,
aveva analizzato il concetto di SINCRONIA (= lo sviluppo di una lingua in base al contesto comunicativo, o in un
dato momento) prendendo in considerazione l’uso di una lingua da parte del popolo. Manzoni decise di
separare l’italiano antico da quello di uso vivo adottando il fiorentino parlato che pur essendo parlato
prevalentemente dal popolo, possedeva ancora tutta una serie di tratti del fiorentino letterario. Nello specifico
Manzoni propose come base della lingua unitaria il FIORENTINO VIVO, ossia il fiorentino parlato dai ceti alti.
Alle idee di Manzoni, si opposero le idee del glottologo Graziadio Isaia Ascoli che nel 1873, nella sua opera
“Proemio” si oppose alla proposta di Manzoni di estendere il fiorentino vivo all’intero paese, poiché ritenuta
come un’imposizione di una lingua dall’alto, inoltre secondo Ascoli era necessario estirpare completamente
l’anfalbetismo e diffondere la cultura, poinché in questo modo la lingua si sarebbe evoluta.
Dal punto di vista storico, sia le idee sincroniche di Manzoni che le idee diacroniche di Ascoli contribuiranno
positivamente alla storia del paese.
All’affermazione dell’italòfonia contribuirono, inoltre tutta una serie di riforme dal punto di vista scolastico che
riuscirono a ridurre con successo l’analfabetismo dal 75% del 1861 al 38% del 1910. Ed anche, tutta una serie di
riforme politiche, amministrative, e industriali.

L’affermazione dell’Italiano nella seconda metà del Novecento


La Seconda Guerra Mondiale fu un conflitto stremante, le numerose divisioni politiche causate dal fascismo e
la forte povertà provocata dal conflitto crearono un forte malcontento nella comunità italiana.
Fortunatamente, svariati anni dopo il conflitto, ebbe inizio un periodo storico della storia del nostro paese, il
boom economico degli anni ’50, passato alla storia come il “Miracolo economico italiano” fu un periodo
caratterizzato da grandi progressi economici, culturali e sociali dettati dal particolare sviluppo dell’industria
meccanica e siderurgica. Il tenore di vita dei cittadini e la loro istruzione migliorarono esponenzialmente e
questo contribuì ad una vera e propria rivoluzione linguistica, in cui l’italiano iniziò a bruciare tutte le tappe,
affermandosi in tutto il paese a ritmi incalzanti, anche in parlanti prevalentemente dialettòfoni, i dialetti infatti
iniziarono a cadere in disuso, ma non scomparvero del tutto. Questi ultimi infatti hanno subìto un processo di
rivalutazione in cui ancora oggi vengono usati, ma solo in contesti informali.
Nei venti-trent’anni dopo il Secondo conflitto mondiale, l’italiano è diventato a mano a mano sempre di più una
lingua necessaria per ogni circostanza sociale (lavorativa, politica, commerciale ecc.)
Divenuta lingua unitaria a tutti gli effetti, anche l’italiano ha iniziato a caratterizzare le sue varietà linguistiche
nel repertorio linguistico e si sono stabilizzati gli italiani regionali e l’italiano popolare (anche se meno
comune) oltre all’importantissimo italiano standard (ossia la lingua unitaria a tutti gli effetti, proveniente dal
fiorentino parlato, e nello specifico dal fiorentino letterario trecentesco)
Un peso di particolare rilievo alla diffusione così rapida dell’italiano va attribuita in fine alla nascita di un nuovo
mezzo di comunicazione, ossia la televisione che andrà a diffondersi talmente rapidamente, da superare i
precedenti mezzi di comunicazione come la radio e il cinema.

FONETICA
SISTEMA FONETICO ITALIANO
L'italiano standard possiede un sistema fonetico (di suoni) di media complessità costituito da:
 7 foni VOCALICI (rispetto ai dodici dell'inglese, o i sedici del francese)
 23 foni CONSONANTICI (21 foni consonantici e 2 foni semiconsonantici)
In italiano abbiamo dunque 30 fonemi in totale
Foni vs. lettere (o grafemi)
 Il fono è l'unità minima in cui possiamo suddividere la parola nel suo sviluppo orale.
 La lettera (o grafema) è invece l'unità minima in cui possiamo suddividere la parola nel suo sviluppo
grafico (scritto).
Un concetto molto importante da tenere a mente, è che la scrittura è nata sempre dopo l'oralità. Le lingue,
storicamente parlando, hanno sempre avuto dapprima uno sviluppo orale, e poi successivamente uno sviluppo
scritto.
Rispetto ai fonemi, i grafemi in italiano sono 21 (26, se considerassimo anche i grafemi stranieri K, Y, J, X e W).
Di questi 21: 16 sono consonanti e 5 sono vocali.
Scrittura alfabetica e corrispondenza non biunivoca tra lettere e suoni.
L'italiano è un sistema a scrittura alfabetica, vale a dire, che in linea di massima la forma grafica della lingua
corrisponde a quella sonora, cioè le lettere non sono altro che la rappresentazione scritta dei suoni (foni).
Ciononostante, la corrispondenza tra foni e lettere non è sempre biunivoca in italiano, e sono molto comuni i
casi di corrispondenze non biunivoche, in cui due o più foni vengono rappresentati graficamente con una
singola lettera (gatto-gelato), oppure casi in cui un singolo fono venga scritto in modi diversi (in parole come:
cuore, chiave, quadro e kayak).

Trascrizione fonetica ed IPA


Il processo di rappresentazione grafica dei foni, è chiamato trascrizione fonetica, ed è rappresentato
graficamente dalle parentesi quadre [ ].

Il mezzo attraverso il quale è possibile eseguire le trascrizioni fonetiche è l'IPA (acronimo di International
Phonetic Alphabet) ovvero un alfabeto fonetico universale valido per tutte le lingue.
VOCALI VS. CONSONANTI
I due principali foni che caratterizzano il sistema fonetico italiano sono vocali e consonanti.
La differenza tra i due vige nel modo in cui il nostro apparato fonatorio li produce:
 VOCALI: Sono prodotte dalla vibrazione delle pliche vocali (erroneamente note come corde vocali)
all'interno della laringe. Tale vibrazione viene poi accompagnata dai movimenti di alcuni organi articolatori
come la lingua, le labbra ed il palato molle. Le vocali sono prodotte senza alcuna ostruzione del flusso
d'aria.
 CONSONANTI: Le consonanti sono prodotte da ostruzioni del flusso d'aria. (A differenza delle vocali)

VOCALISMO TONICO E VOCALISMO ATONO


Per analizzare le vocali dell'italiano, dobbiamo per prima cosa suddividerle in due sistemi diversi: sistema delle
vocali toniche e sistema delle vocali atone.
Una vocale si definisce tonica, se su di essa cade l'accento di parola, mentre tutte le altre vocali che non
ricevono l'accento sono definite atone.

Vocalismo tonico (Sistema delle vocali toniche) = eptavocalico (7)


In sillaba tonica, l'italiano standard presenta un vocalismo costituito da sette vocali (sistema eptavocalico).
Il sistema eptavocalico è costituito da uno schema che tiene
conto della posizione della lingua durante l'articolazione di
ciascuna vocale.
Secondo tale schema le vocali possono essere:
 alte, medio-alte, medio-basse, basse: in base ai
movimento verticali della lingua
 anteriori, centrali, posteriori: in base ai movimenti
orizzontali della lingua
 labializzate (o ɔ u) o non labializzate (i e ɛ a): in base
alla posizione delle labbra

Vocalismo atono (Sistema delle vocali atone) = pentavocalico (5)


In sillaba atona, cioè non accentata, l'italiano standard presenta un vocalismo costituito da cinque vocali
(sistema pentavocalico).
Il sistema pentavocalico è costituito da uno schema simile a quello eptavocalico, che però non tiene conto delle
vocali medio-alte e medio-basse, in questo sistema infatti si parla semplicemente di vocali medie.

SISTEMA CONSONANTICO
Come già accennato, le consonanti a differenza delle vocali sono articolate attraverso l'ostruzione del flusso
d'aria.
Dunque possiamo classificare le consonanti attraverso tre caratteristiche:
1. In base al tipo di ostruzione che viene a formarsi, il modo di articolazione
2. In base al punto dell'apparato fonatorio che viene coinvolto, il luogo di articolazione
3. Se è presente (oppure no) la vibrazione delle pliche vocali, dunque se la consonante è sonora o sorda.
*Le consonanti possono essere sonore oppure sorde a seconda che vi sia o meno vibrazione delle pliche vocali.

Classificazione delle consonanti in base al modo di articolazione


Il modo di articolazione consiste nel modo in cui gli organi articolatori si posizionano andando ad ostruire il
flusso dell'aria. In base al tipo di ostruzione vengono classificate consonanti diverse:
 OCCLUSIVE: Blocco completo del flusso d'aria seguito da una brusca riapertura, detta "esplosione"
Luoghi di articolazione
 Bilabiali: [p]SORDA e [b]SONORA
 Dentali (o Alveolari): [t]SORDA e [d]SONORA
 Velari: [k]SORDA e [g]SONORA
 FRICATIVE: Restringimento degli organi articolatori che vanno a creare una piccola fessura in cui passa
l'aria.
Luoghi di articolazione
 Labiodentali: [f]SORDA e [v]SONORA
 Dentali (o Alveolari): [s]SORDA e [z]SONORA
 Palatale/Postalveolare sorda: [ʃ]
 AFFRICATE: Iniziano come un'occlusiva e terminano come una fricativa. Si caratterizzano con un blocco
completo del flusso d'aria seguito da un graduale rilascio d'aria come le fricative. Siccome le affricate sono
costituite da due fasi (una prima fase occlusiva, ed una seconda fase fricativa) esse sono costituite da
simboli di due caratteri.
Luoghi di articolazione
 Dentali (o Alveolari): [ʦ]SORDA e [dz]SONORA
 Palatali/Postalveolari: [ʧ]SORDA e [ʤ]SONORA
 NASALI: Quando l'aria passa attraverso il naso, a seguito del velo del naso abbassato. Le consonanti nasali
sono tutte sonore.
Luoghi di articolazione
 Bilabiale: [m]SONORA (prima di bilabiali: p,b)
 Dentale (o Alveolare): [n]SONORA
 Palatale: [ɲ]SONORA
 Velare: [ŋ]SONORA (prima di velari: k,g)
 Labiodentale: [ɱ] (prima di labiodentali: f,v,)
 LATERALI: Blocco del flusso d'aria nella parte centrale del cavo orale, lasciando libero il passaggio all'aria ai
due lati. Le consonanti laterali sono tutte sonore.
Luoghi di articolazione
 Dentale (o Alveolare): [l]SONORA
 Palatale: [ʎ]SONORA
 VIBRANTI: Brevi serie di occlusioni e riaperture del canale fonatorio
Luoghi di articolazione
 Dentale (o Alveolare): [r]SONORA
 APPROSSIMANTI: Simili alle fricative, con la sola differenza che il restringimento è più lieve. Stanno al
confine tra consonanti e vocali.
Luoghi di articolazione
 Palatale: [j]
 Labiovelare: [w]

LE SILLABE
Le sillabe sono la minima combinazioni di fonemi - Intese come "unità pronunciabili" - che formano la base
fonica delle parole.
Struttura delle sillabe
Esse sono costituite dalla combinazione di una vocale, considerata picco sonoro o nucleo, al quale, si
appoggiano poi consonanti e/o semivocali.
Ogni sillaba è formata da: almeno una e non più di una vocale e da un certo numero (da zero a qualche unità)
di consonanti (o semivocali).
Le sillabe possono essere costituite da una sola vocale, questo però non si applica alle consonanti.
Più tecnicamente in una sillaba, la parte iniziale è detta attacco mentre la parte finale, è detta coda. Nucleo e
coda formano la rima.
Esempio: Nella struttura canonica (CVC della parola ['kanto] della sillaba kan).
[k] è l'attacco, [a] è il nucleo e [n] è la coda.
Le sillabe, in base all'unione/combinazione di vocali e consonanti vanno a costituire strutture diverse, quelle
che troviamo in italiano sono: CV, V, CCV, CVC, CCCV. Dove C sta per consonante e V per vocale]

Dittonghi e trittonghi
I fonemi possono combinarsi in modo tale da formare sillabe a sè stanti, tali sillabe prendono il nome di
dittonghi e trittonghi.
Dittongo: Si forma quando c'è la combinazione di un'approssimante (semivocale) con una vocale. Il dittongo
può essere ascendente e/o discendente.
 Ascendente: Quando in una sillaba si ha prima l'approssimante e poi la vocale (Es. pieno / pie-no /
['pje:no])
 Discendente: Quando in una sillaba si ha prima la vocale e poi l'approssimante (Es. causa / cau-sa /
['kauza]) Trittongo: Trittongo si forma quando c'è la combinazione di due approssimanti con una
vocale. (Es. aiuola / ai-uo-la / [a'jwo:la])

LUNGHEZZA DEI FONI


In quanto fenomeni acustici, i suoni sono dotati di una durata che può variare a seguito di fattori esterni come
la velocità del discorso, l'enfasi, lo stato psicofisico del parlante e così via.
La lunghezza dei foni si suddivide in vocalica e consonantica.
La lunghezza vocalica è regolata da un meccanismo automatico e inconsapevole (in quanto applicato senza
rendercene conto) e non ha valore distintivo, mentre la lunghezza consonantica assume un valore distintivo e
caratterizza numerose coppie minime (ovvero coppie di parole che si differenziano per un solo elemento
fonico).
Sia la l. vocalica, che la l. consonantica sono rappresentate con il simbolo [:] nella trascrizione fonetica.
*La l. consonantica può anche essere rappresentata attraverso la ripetizione del simbolo.
Esempio: pioggia → ['pjoʤʤa] oppure ['pjoʤ:a]

Lunghezza vocalica
La lunghezza delle vocali è regolata da un meccanismo automatico che:
 Le vocali toniche sono sempre lunghe, se si trovano in sillaba aperta (sillaba che termina per vocale).
 Esempio: rà/na → ['ra:na] - rà è una sillaba tonica, ed è aperta perchè termina per vocale, dunque la
vocale tonica à viene allungata ['ra:]
 Esempio: pà/la → ['pa:la] - pà è sillaba tonica aperta poichè termine per vocale, dunque la vocale
tonica viene allungata.
 Le vocali toniche rimangono brevi, quando la sillaba tonica è una sillaba chiusa (sillaba che termina per
consonante) e quando la vocale tonica è in posizione finale di parola, nelle parole tronche.
 Esempio: pàl/la → ['pal:a] o ['palla] - pàl è una sillaba tonica chiusa poichè termina per consonante, e
dunque non può essere allungata.
 Esempio: at/ti/vi/tà → [attivi'ta]

Lunghezza consonantica
la lunghezza delle consonanti assume un valore distintivo e caratterizza numerose coppie minime (ovvero
coppie di parole che si differenziano per un solo elemento fonico).
Quasi tutte le consonanti italiane presentano una forma breve, rappresentata da un solo simbolo, e da una
forma allungata (o geminata) rappresentata da un doppio carattere.
Esistono inoltre alcune consonanti che sono pronunciate sempre lunghe (o geminate) all'interno di una parola
anche se l'ortografia non lo segnala, è il caso delle affricate dentali sorda e sonora, della fricativa palatale, della
nasale palatale e della laterale palatale.
Le consonanti /ɲ/, /ʃ/, /ʎ/, /ts/ e /dz/ sono sempre geminate all'interno di parola tra vocali (es. ascia /ˈaʃʃa/;
aglio /ˈaʎʎo/).

FENOMENI DI COARTICOLAZIONE
La coarticolazione è quel processo per cui i foni, all'interno di una parola, o tra parole, subiscono il
condizionamento di foni successivi o precedenti.
I fenomeni di coarticolazione più comuni dell'italiano sono: l'assimilazione e il raddoppiamento fonosintattico.

 L'assimilazione è quel fenomeno attraverso il quale due foni diventano simili o uguali all'interno di una
parola.
I principali fenomeni di assimilazione dell'italiano sono di tipo regressivo, cioè quando un particolare fono
anteriore influenza un fono posteriore.
L'assimilazione regressiva può essere di due tipi:
 Assimilazione regressiva di sonorità: Colpisce la fricative dentale quando è seguita da una consonante.
Quando una fricativa dentale è seguita da un'altra consonante, ne acquisisce il tratto di sonorità, e quindi
davanti a consonanti sorde [p, k, t, f] la fricativa dentale è sorda [s], mentre davanti a consonanti sonore [b,
d, g, v, ʤ, m, n, ɲ, l, r] la fricativa dentale è sonora [z]. Tale regola non si applica alle approssimanti [j,w]
 Assimilazione regressiva di luogo di articolazione: Colpisce le consonanti nasali quando sono seguite da
altra consonante. Quando una nasale è seguita da un'altra consonante ne assimila il luogo di articolazione.
a. Nasale seguita da bilabiale [p, b] sarà nasale bilabiale
b. Nasale seguita da dentale [r, d, s, l, r] sarà nasale dentale
c. Nasale seguita da labiodentale [f, v] sarà nasale labiodentale
d. Nasale seguita da velare [k, g] sarà nasale velare
L'assimilazione regressiva di luogo di articolazione può avvenire oltre che in una parola, anche tra le
parole, ossia in tutti quei casi in cui una parola termina per nasale e la successiva inizi per bilabiale,
avremo una nasale bilabiale.
 Un altro fenomeno di coarticolazione molto importante è il cosiddetto raddoppiamento fonosintattico che
generalmente passa inosservato nell'ortografia. Esso consiste nella pronuncia allungata della consonante
iniziale di una parola, quando quest'ultima è preceduta da determinate forme monosillabiche (non tutte),
e/o da parole tronche.
Il raddoppiamento fonosintattico è un fenomeno scaturito dalla parola che precede ma gli effetti si
manifestano nella parola successiva.
Due tipi di raddoppiamento:
 Raddoppiamento fonosintattico dopo monosillabo: a, che, chi, come, da, do, dove, e, fa, fra, fu, gru, ha, ho,
ma, mo' (nella locuzione "a mo' di"), no, o, qua, qualche, qui, so, sopra, sta, sto, su, te, tra, tre, tu, va, vo... //
Monosillabi che non producono raddoppiamento: di, ne, ci, lo, la, i, gli e le, mi, ti, gli, le, ci e vi e nessun
monosillabo terminante in consonante.
 Raddoppiamento fonosintattico dopo polisillabo tronco: sanità, perché, poté, morì, caffè (Es. caffè freddo).
// Il raddoppiamento fonosintattico dopo parola tronca è impedito quando vi è una pausa tra la parola
tronca e quella successiva (Es. caffè, freddo = NO RADDOPPIAMENTO)

ACCENTO
Consiste nell'aumento di intensità su di una sillaba, all'interno delle parole di fatto ci sarà sempre una sillaba
più accentuata rispetto alle altre, ovvero una sillaba più prominente rispetto alle altre, nota come sillaba
tonica.
Per prominenza accentuale, s'intende un articolazione che può essere più lunga come durata, più acuta di
tono e più forte di volume.

L'accento è sempre posto sulle parole anche se l'ortografia non lo mostra sempre, di fatto vi è una distinzione
tra accento grafico (che indica esclusivamente le parole tronche) e accento fonetico (che va ad indicare la
sillaba tonica). L'accento fonetico viene simboleggiato nella trascrizione fonetica attraverso il simbolo (') e viene
posto prima della sillaba interessata. Omografi.

Posizione dell'accento
L'accento svolge funzione distintiva, ovvero va a caratterizzare parole con significati diversi in base al suo
posizionamento. E, in base alla sua posizione all'interno di una parola, possiamo classificare le parole in cinque
tipologie:
1. Tronche (accento sull'ultima sillaba)
2. Piane (accento sull'ultima penultima sillaba)
3. Sdrucciole (accento sull'ultima terzultima sillaba)
4. Bisdrucciole (accento sull'ultima quartultima sillaba)
5. Trisdrucciole (accento sull'ultima quintultima sillaba)

PRONUNCE REGIONALI
Ciascun italofono, di qualsiasi livello di istruzione e di qualunque area del paese ha una pronuncia che identifica
la sua regione di provenienza, che si discosta dalla pronuncia "della norma" del sistema fonetico italiano
standard.

Pronuncia regionale nelle vocali


Nella stragrande maggioranza dei parlanti italòfoni, si osserva un vocalismo eptavocalico esattamente come
quello standard, ma spesso la pronuncia delle vocali medio-alte e medio-basse subisce delle variazioni e non
coincide con quella della norma.
In altri casi invece:
Viene preso in considerazione solo il sistema pentavocalico (anche in sillaba tonica). Dunque la distinzione tra
vocalismo tonico e atono viene annullata in un certo senso.

Pronuncia regionale nelle consonanti


Nelle consonanti, le deviazioni più diffuse sono quelle inerenti alla lunghezza ed in particolare i fenomeni più
comuni sono:
 Scempiamento (= pronuncia breve di suoni normalmente lunghi) nell'Italia settentrionale: Caratterizzati
dall'assenza di raddoppiamenti fonosintattici e dallo scempiamento delle palatali, ossia la pronuncia breve
di alcune consonanti che spesso sono lunghe come le palatali (/ɲ/, /ʃ/, /ʎ/)
 Raddoppiamento nell'Italia centro-meridionale: Caratterizzati da numerosi raddoppiamenti fonosintattici,
le palatali (/ɲ/, /ʃ/, /ʎ/) sono pronunciate secondo la norma, allungate. Ciononostante però è frequente la
pronuncia allungata di tanti foni che normalmente sono brevi.
Altri fenomeni analoghi:
 Generalizzazione della fricativa sorda o sonora: Mentre in italiano standard c'è differenza tra sorda e
sonora. Ad esempio: nelle parole casa e rosa, in cui rispettivamente nella prima parola vi è una fricativa
dentale sorda [s] e nella seconda una fricativa dentale sonora [z].
a. Nelle regioni settentrionali la sonora [z] viene generalizzata e quindi ci si ritroverà con [kaza] e [roza].
b. Nelle regioni meridionali invece viene generalizzata la sorda [s] e quindi: [kasa] e [rosa].
 Fenomeni di fricativizzazione in Toscana: Consistono nella realizzazione fricativa delle affricate in posizione
intervocalica. Esempio: [diʧe] > [diʃe]
 Fenomeni di affricazione: Consiste nella realizzazione affricata della fricativa alveolare dopo la nasale, ed è
comune nell'Italia centro-meridionale. Esempio: insomma [ns]  [nts]

Nuove tendenze nella pronuncia


Come abbiamo visto, in italiano oltre alla pronuncia standard è presente anche una pronuncia regionale (non
standard).
Questo potrebbe indurre a pensare che la pronuncia regionale sia tipica esclusivamente del registro basso e
dunque in contesti poco formali, ma in realtà non è così.
Le pronunce regionali inizialmente sconsigliate sono diventate col passare del tempo una tendenza tipica anche
dei registri più alti, e quindi usate liberamente anche in contesti più formali, come in televisione o in dibattiti
politici.
Molto probabilmente questa tendenza è stata provocata da tre fattori:
 Dal processo di rivalutazione che hanno subito i dialetti nel corso del tempo, in cui anziché abbandonare i
dialetti, molti parlanti hanno deciso di preservarli come patrimionio storico.
 Dall’influenza di numerose opere teatrali, film, attori con pronunce regionali e così via.
 Dalla tutt’oggi influente presenza di dialetti e dialettofoni (persone che parlano in dialetto) in Italia.
Possiamo dunque dire che le pronunce regionali (diversamente standard) abbiano visto crescere il loro grado di
accettazione col passare del tempo.
Basti pensare che fino al 1975, giornalisti con inflessioni regionali erano pochi, in quanto la RAI ingaggiava per i
giornali radio, dei veri e propri "lettori" che leggevano adoperando la pronuncia standard dell'italiano.
Successivamente, questa propensione alla pronuncia dell'italiano standard è andata via via scemando,
permettendo l'ingresso di giornalisti con pronunce regionali diverse.

GRAFIA VS. FONETICA


Il latino, la principale causa delle incongruenze
Precedentemente abbiamo visto che in italiano tra foni e lettere vi sono dei rapporti biunivoci e
tendenzialmente le lettere corrispondono alla rappresentazione scritta dei suoni , però questo non avviene
sempre, di fatto non sono rari i casi di incongruenze/corrispondenze non biunivoche tra foni e lettere.
Queste incongruenze sono dovute al fatto che l'alfabeto italiano sia stato concepito sulla base del latino. Col
passare del tempo tanti foni del latino hanno subito variazioni: alcuni foni sono scomparsi, altri invece si sono
aggiunti, ed il nostro alfabeto però non è rimasto al passo con tutte queste variazioni fonologiche, e quindi ad
oggi non possiede lettere a sufficienza per rappresentare tutti quei foni che si sono aggiunti durante il processo
di mutamento del latino.

Casi di incongruenza più comuni


Nelle vocali:
 Le lettere <E> e <O> rendono rispettivamente due foni diversi:
<E> rende [ɛ] ed [e]
<O> rende [ɔ] e [o]
 Le lettere <I> e <U> oltre a rendere le vocali [i] e [u], rendono anche le consonanti approssimanti [j] e [w]
Nelle consonanti:
 <C> e <G> rendono rispettivamente due foni diversi:
<C> può rendere [ʧ] e [k]
<G> può rendere [ʤ] e [g]
 <K> e <Q> rendono rispettivamente il fono [k]
 <CH> e <GH> rendono rispettivamente [k] e [g]
 <H> non ha valore fonetico
 <CI> e <GI> rendono rispettivamente [ʧ] e [ʤ]
 <S> e <Z> corrispondono a due foni diversi:
<S> rende [s] e [z]
<Z> rende [ts] e [dz]
 <SC>, <GN> e <GL> corrispondono ad una rispettiva consonante palatale: [ʃ]; [ɲ]; [ʎ]

FENOMENI DI RIDUZIONE E ACCRESCIMENTO DEL CORPO FONICO


Fenomeni di soppressione o caduta di foni in una parola
 AFERESI: soppressione di una vocale o sillaba iniziale (inverno a verno)
 SINCOPE: soppressione di una vocale o sillaba in posizione interna (calidus a caldo)
 APOCOPE: soppressione di una vocale o una sillaba finale, in posizione esterna (civitatem a città)

Fenomeni di aggiunta di foni in una parola


 PRÒSTESI (o PRÒTESI): aggiunta di una vocale o sillaba iniziale.
 EPENTESI: aggiunta di una vocale o una sillaba all'interno della parola.
 EPITESI: aggiunta di una vocale o sillaba alla fine della parola.

MORFOLOGIA
La morfologia è lo studio della struttura interna delle parole. Analizzando la parola: libr-i distinguiamo due
parti diverse:
 libr- che è la radice, e dà il significato
 -i che è la desinenza, e segnala il numero
Entrambe le parti della parola "libri" sono chiamate morfemi. I morfemi sono la più piccola unità dotata di
significato, nonchè l'unità minima della morfologia.

Morfemi lessicali e grammaticali


 Morfemi LESSICALI: Riguardano il lessico, che è un sistema aperto (arricchibile) e consistono in quella parte
di una parola invariata e che fornisce significato, anche nota come radice.
Esempio: libr-o  libr- è la radice (o morfema lessicale)
 Morfemi GRAMMATICALI (o DESINENZE): Riguardano la grammatica (come numero, genere, persona
ecc.), il quale è un sistema chiuso (non arricchibile). Cambiano la forma di una parola in relazione alle
funzioni grammaticali.
Esempio: libr-o  -o è il morfema grammaticale (o desinenza) che indica il numero ed il genere del sostantivo.

Morfemi liberi, semiliberi e legati


Un morfema può essere costituito da un solo elemento, o da più elementi
 Morfemi liberi: Quando un morfema coincide con una parola (di, il, però, lui ecc.)
 Morfemi semiliberi: Come le parole grammaticali (es. articoli, preposizioni ecc.)
 Morfemi legati: Quando un morfema è legato ad altri morfemi

MORFOLOGIA FLESSIONALE
La morfologia flessionale, riguarda la flessione cioè la modificazione delle forme in relazione alle diverse
funzioni grammaticali.
Nella parola analizzata precedentemente ("libri"), la desinenza -i è un morfema flessionale.
L'italiano di fatto, è una lingua flessiva, in quanto ricorre molto alla flessione (dunque alla morfologia
flessionale) nel numero, nel tempo e nella differenziazione tra numero e genere nei sostantivi.

ALLOMORFIA: POLIMORFISMO E SUPPLETIVISMO


In alcune specifiche condizioni un morfema può assumere forme diverse che non determinano cambiamenti
nel significato (allomorfi)
Esempi di allomorfia: La nasale del prefisso -in (es. indicibile) che viene assimilata parzialmente (o completamente)
in parole come: irrazionale, impossibile, illeggibile
Gli allomorfi possono essere condizionati e liberi:
Allomorfi condizionati: Allomorfi condizionati da aspetti fonologici, lessicali e grammaticali
Esempio: il prefisso -in è un allomorfo che è condizionato da aspetti fonologici, davanti a vocale rimane invariato, ma
davanti ad alcune consonanti come una bilabiale diventa -im, oppure davanti ad una laterale alveolare [l] diventa -il
Allomorfi liberi: Allomorfi non condizionati da aspetti fonologici, lessicali e grammaticali

Polimorfismo
Uno dei principali fenomeni di allomorfia non condizionata è il polimorfismo.
Polimorfismo deriva dal greco e significa letteralmente: avere molte forme. In italiano è comune avere
"doppioni" ossia più forme che condividono lo stesso significato come: perso/perduto, devo/debbo,
sepolto/seppelito.

Suppletivismo
Un altro importante fenomeno di allomorfia è il suppletivismo.
Quando un morfema lessicale viene sostituito da un altro morfema lessicale
totalmente diverso ma che condivide lo stesso significato. (Es. acqua e idrico, vediamo come il
morfema lessicale per acqua si manifesti in due forme diverse acqu- e idric- ma con stesso
significato).
Esempi di suppletivismo:
acqua e idrico, vediamo come il morfema lessicale per acqua si manifesti in due forme diverse acqu- e idric- ma
con stesso significato.

CLASSI DI PAROLE (O PARTI DEL DISCORSO O CATEGORIE GRAMMATICALI)


Per chiarezza concettuale e per una tradizione legata a molti secoli, le parole vengono suddivise in classi di
parole (o parti del discorso).
L'italiano è costituito da nove (9) parti del discorso, suddivise in variabili ed invariabili:
Parti del discorso VARIABILI (5): nomi, aggettivi, pronomi, verbi e gli articoli
Parti del discorso INVARIABILI (4): avverbi, preposizioni, congiunzioni, interiezioni

Grammaticalizzazione e lessicalizzazione
Due processi molto importanti che riguardano il mutamento linguistico e che si trovano a cavallo tra il lessico e
la grammatica sono la grammaticalizzazione e la lessicalizzazione.
 Grammaticalizzazione: Processo attraverso il quale forme libere (come le parole) perdono la loro
autonomia fonologica ed il loro significato lessicale, convertendosi in forme legate con valore
grammaticale.
Esempio: il suffisso avverbiale -mente discende dal sostantivo latino mens, mentis.
 Lessicalizzazione: Processo attraverso il quale forme che non avevano valore lessicale, lo assumono,
entrando a far parte del lessico di una lingua.
Esempio: locuzione "a fresco" lessicalizzata nel sostantivo "affresco" oppure il prefisso latino "ex"
posizionato davanti ai verbi, diventato un lessema a tutti gli effetti in italiano. [In latino: (ex)cursus --> In
italiano: la mia 'ex']

NOMI
Nomi
I nomi sono una delle classi di parole principali che rientrano tra le classi di parole variabili. Sono tra le parole
più comuni che possiamo trovare all’interno di una lingua.
Nella morfologia del nome entrano in gioco due categorie flessionali:
 NUMERO (singolare vs. plurale)
 GENERE (maschile vs. femminile)

Tipologie di nomi
I nomi sono distinti in categorie in base a ciò a cui rinviano, ossia in base al REFERENTE:
 Comuni: rinviano a referenti come oggetti, persone e animali in senso generico (donna, uomo, uccello...)
 Propri: rinviano a referenti specifici come individui, aziende e città. Generalmente sono introdotti dalla
prima lettera in maiuscolo (Giovanni, Marco, Giulia...)

 Individuali: rinviano a referenti singoli (cavallo, pastello, tastiera...)


 Collettivi: rinviano a referenti multipli, come gruppi di persone, animali e oggetti (sciame, mandria,
classe...)

 Concreti: rinviano a referenti che possono essere percepiti dai cinque sensi (uomo, donna, cane)
 Astratti: rinviano a referenti che non possono essere percepiti dai cinque sensi, non tangibili (amore,
sincerità, passione...)

 Numerabili: rinviano a referenti che possono essere enumerati, e dunque avere la flessione del plurale
(cane/i, gatto/i, piatto/i...)
 Non numerabili (o di massa): rinviano a referenti che non possono essere enumerati, e dunque non
possono avere la flessione del plurale (latte, caffè, burro...)

Numero dei nomi


In base alla categoria flessionale del numero, i nomi si distinguono in sei classi:
Di queste sei, le classi più
importanti e le più comuni
sono le classi 1 e 2.

 CLASSE 1: -O/-I
(pennarello  pennarelli)

 CLASSE 2: -A/-E
(casa  case)
Nomi sovrabbondanti e difettivi
 Nomi SOVRABBONDANTI: Nomi maschili in -o con plurale doppio in -i e -a
Esempio: braccio → bracc-i/bracci-a oppure corno → corn-i/corn-a
 Nomi DIFETTIVI: Nomi che difettano (che mancano) del singolare o del plurale come:
forbici, occhiali, nozze, condoglianze eccetera.
Nel parlato informale questi nomi vengono spesso regolarizzati (forbici -> *la forbice - ma questo è un
chiaro errore nell'Italiano standard)

Genere dei nomi


Per la segnalazione del genere, l'italiano mette in gioco vari determinanti: articoli, pronomi, attributi che
aiutano a comprendere il genere del nome.
Inoltre è bene ricordare che l'italiano non ha conservato il genere neutro, proveniente dal latino.

Genere naturale e genere grammaticale


Per nomi inerenti a persone:
 C'è corrispondenza tra genere naturale e genere grammaticale (parole come donna, madre, mucca
vengono attribuite come femminili mentre parole come uomo, padre, gallo e bue vengono attribuite come
maschili.
 Esistono nomi di genere maschile che indicano attività o ruoli propri delle donne (Esempio: il soprano, il
contralto...) e nomi di genere femminile che indicano una persona, generalmente un uomo (Esempio: la
recluta, la guardia, la sentinella...)
Per nomi inerenti a cose inanimate:
 La distinzione tra genere maschile e genere femminile è puramente grammaticale e non prevedibile.

Mozione e nomi mobili


In riferimento al genere, i nomi in italiano possono passare da un genere all’altro attraverso un processo che
prende il nome di MOZIONE, che consiste nel passaggio di un nome da un genere ad un altro.
I nomi che permettono tale processo si chiamano “NOMI MOBILI”
La mozione può avvenire in tre modi:
1. Cambio di morfema grammaticale (desinenza) (bambin-o  bambin-a)
2. Cambio suffisso derivazionale (oper-atore  oper-atrice)
3. Aggiunta suffisso derivazionale (gall-o  gall-in-a)

AGGETTIVI
Gli aggettivi si dividono in:
 Qualificativi  Denotano informazioni, caratteristiche e qualità generali di un sostantivo.
 Determinativi (o Pronominali)  Sostituiscono o danno più informazioni in merito ad un sostantivo.
Determinativi: possessivi, riflessivi, dimostrativi ecc.

Aggettivi qualificativi
Gli aggettivi qualificativi si suddividono in due classi principali per quanto riguarda la flessione:
PRIMA CLASSE
Formata da quattro morfemi flessionali: -O e -I; -A e -E: maschile singolare e plurale; femminile singolare e
plurale (bello, belli vs. bella, belle)
SECONDA CLASSE
Formata da due morfemi flessionali: -E e -I: maschile singolare (neutro) e maschile plurale (neutro)
(illustre vs. illustri)
Altre classi sono:
 Classe di qualificativi invariabili: terminanti in -i, di colore e parole di origine straniera.
 Classe di qualificativi terminanti in -A che è ambigenere (sia maschile che femminile) al singolare, ma ha uscite
distinte al plurale (Es. donna/uomo egoista donne egoiste, uomini egoisti)
 Sottoclasse della prima classe di qualificativi terminanti in -E al singolare maschile (Es. sornione, pigrone,
mangione, grassone)

Funzione avverbiale dell'aggettivo qualificativo


L'aggettivo qualificativo, oltre alla funzione predicativa e attributiva, svolge anche la funzione avverbiale (in che
modo?), molto frequente nel parlato (Es. correre [in che modo?] veloce) e nei testi pubblicitari (Mangia piano e
vivi sano!)

Gradazione dell'aggettivo qualificativo (Comparativo e Superlativo)


Gli aggettivi qualificativi sono graduabili, e la gradazione questi ultimi può essere di due tipi:
1. COMPARATIVO: Ossia, il grado che esprime la relazione di confronto tra due termini rispetto ad una stessa
qualità condivisa, meglio noto come comparazione.
La comparazione può essere, a sua volta, distinta in due tipologie:
 Analitica: caratterizzata da forme analitiche, dunque con l'impiego di più parole. Derivante dal latino
(Esempio: più alto, meno severo...)
 Sintetica: caratterizzata da forme sintetiche, dunque con l'impiego di una sola sola parola (Esempio:
buonissimo, minimo...)

2. SUPERLATIVO: Ossia, il grado che esprime il valore massimo di un aggettivo.


Il superlativo può essere espresso oltre che da forme analitiche (X più grande di Y) anche da forme
sintetiche, ad esempio:
 con intensificatori, con avverbi e locuzioni: davvero (davvero bello), proprio (proprio brutto),
straordinariamente ecc.
 con ricorso a prefissi e suffissoidi: arci-, iper-, super- maxi-
 con reiterazione dell'aggettivo: un borghese piccolo piccolo
 con struttura tutto+aggettivo: tutto sudato, tutto impegnato
 con alcuni aggettivi e locuzioni collocate precisamente (innamorato cotto, bagnato fradicio, bravo una
cifra)
Il superlativo può essere distinto, a sua volta, in due tipologie:
 Assoluto: Esprime la qualità di una parola al massimo grado, senza alcun confronto o relazione con altre
parole (Esempio: Marco è bravissimo)
 Relativo: Esprime la qualità di una parola al massimo grado ma con delle limitazioni, con un confronto o
relazione con altre parole. (Esempio: Marco è il più bravo della sua classe)
Preposizione dell'aggettivo qualificativo
Gli aggettivi possono collocarsi sia prima che dopo il nome.
Secondo la norma, l'aggettivo è posizionato DOPO il nome, sia nello scritto che nel parlato.
(Il cane è veloce)
Ciononostante, ci sono delle circostanze in cui esso possa essere trovato anche prima del nome stesso.
Esempio:
nella lingua letteraria (Il lontano orizzonte)
in alcuni linguaggi specialistici (LS), in cui è comune lo spostamento dell'ordine delle parole
(con regolare decreto)

ARTICOLO
L'articolo è un determinante, i determinanti sono quelle parole che determinano i referenti, ossia specificano e
quantificano un sostantivo (un nome ad esempio).
Gli articoli, in particolar modo sono determinanti che operano come "SPECIFICATORI" dei nomi.

Determinativi, Indeterminativi e Partitivi


Gli articoli possono introdurre referenti noti e non noti e si distinguono di fatto in:
DEFINITI (O DETERMINATIVI) e INDEFINITI (O INDETERMINATIVI).
Tra i determinanti, oltre agli articoli determinativi e indeterminativi esistono anche gli articoli PARTITIVI, usati
con i nomi non numerabili (o nomi massa) per introdurre quantità generiche e sopratutto al plurale sono usati
per indicare il plurale degli articoli indeterminativi, in quanto questi ultimi (gli articoli indeterminativi) non
hanno una forma plurale.
Esempio: Ho comprato dei libri  Dei libri può coincidere con il plurale di un libro
PARTITIVI: DEL, DELLO, DELL’ / DELLA, DELL - DEI, DEGLI / DELLE
PRONOMI
I pronomi sono tutta quella serie di parole appartenenti alla classe delle parole variabili, usate per sostituire i
nomi (o sostantivi). I pronomi possono essere considerati come dispositivi di economia linguistica, usati
prevalentemente per semplificare le strutture linguistiche.

I pronomi, in italiano si suddividono in SEI tipologie: PERSONALI, DIMOSTRATIVI, INTERROGATIVI, RELATIVI,


INDEFINITI E NUMERALI.

Pronomi personali
I pronomi personali sono la parte del discorso più ricca di
tratti di flessione.
Si suddividono in:
 Pronomi personali TONICI (morfemi liberi)
 Pronomi personali ATONI o CLITICI (che si allacciano
prima o dopo una parola).

Il sistema dei pronomi personali è un sistema molto


complesso e ricco di tratti di flessione, poiché
caratterizzato da un gran numero di asimmetrie e sincretismi (cioè la combinazione di più funzioni all'interno
di una singola forma)
Esempio:
mi → 'a me' come complemento di termine // Es: Mi [A me] piace la pizza
mi → 'me' come complemento diretto [COD] // Es: Io mi amo

“Te” e “me” come pronomi personali soggetto


La seconda persona singolare “te” è in continua espansione nella forma di soggetto (oltre che nella forma di
complemento).
Esempio: Lo capisci anche te
In Italiano, in alcuni casi i pronomi tonici me e te sono grammaticalizzati come soggetto:
 dopo come e quanto (Es. Sono stufo come te)
 nelle esclamazioni (Es. povero me!)
 dopo la congiuzione "e" (Es. Io e te andiamo d'accordo)

Terza persona
La terza persona dei pronomi personali nell'arco del tempo sta subendo un processo di riduzione
paradigmatica, in cui si è passati dall'opposizione tra: egli/ella, essi/esse e lui/lei, loro ad un'unica forma:
lui/lei con funzione di soggetto e complemento.

Pronomi personali ATONI o CLITICI


A differenza dei pronomi personali soggetto, i pronomi personali complemento, oltre alla serie TONICA
(forte), dispongono di una serie ATONA (debole) detta anche clitica di pronomi, priva di accento che si può
disporre:
 Prima di una parola (proclitica)
Esempio: ti vedo
 Dopo una parola (enclitica)
Esempio: vendendoti

I pronomi personali ATONI o CLITICI svolgono prevalentemente una funzione ANAFORICA, ossia vanno a
richiamare un elemento linguistico menzionato precedentemente.

Il pronome clitico “si”


Un pronome clitico molto comune è il pronome atono (clitico) di terza persona singolare “si” che può
assumere tre funzioni specifiche: riflessiva, passivante ed impersonale.
 SI RIFLESSIVO: coincide con il soggetto e svolge la funzione di complemento oggetto (diretto) o di
complemento di termine (indiretto).
Esempio: Lui si veste  Lui veste se stesso (diretto)
Esempio: Loro si lavano le mani  Loro lavano le mani a se stessi (indiretto)
 SI PASSIVANTE: viene usato nei costrutti passivi, e si usa solo con soggetti alla terza persona singolare o
plurale.
Esempio: Qui si vendono i biglietti dell’autobus
 SI IMPERSONALE: coincide con un soggetto indefinito o generico
Esempio: Oggi si studia

Il pronome clitico “ci” (Ci attualizzante)


Il pronome clitico “ci” svolge una funzione attualizzante con gli ausiliari essere ed avere in funzione non
ausiliaria e con numerosi verbi di percezione. Questa forma del pronome “ci” prende il nome di “ci
attualizzante” ed è molto comune nel parlato.
Esempio: C’ho caldo

Allocutivi
Una tipologia particolare di pronomi personali sono gli ALLOCUTIVI, ovvero forme di pronomi usate per
rivolgersi a qualcuno per interloquire.
In italiano, gli allocutivi più comuni sono:
 TU, allocutivo confidenziale
 LEI, allocutivo di cortesia, di distanza.

Inoltre, in alcune varietà del Sud Italia esiste ancora oggi un vecchio allocutivo di cortesia, ovvero il VOI, nato
nel Quattrocento come unico pronome di cortesia, e successivamente sostituito dal lei diffusosi nel
Cinquecento.
(Il voi non esiste più nell'Italiano standard come allocutivo di cortesia)

Noi inclusivo
In alcuni contesti, è possibile trovare il pronome di prima persona plurale, noto come noi inclusivo.
Esempio: Come andiamo (noi) oggi? Come stiamo (noi) oggi?

Genere negli allocutivi di cortesia


Con gli allocutivi di cortesia il genere subisce delle variazioni:
 il Lei è ambigenere (Lei, ingegnere, stia calmo; Lei, signorina, si calmi)
 il La è unigenere maschile (Ingegnere, la invito a cena?)
 Il Le è unigenere femminile

Pronomi dimostrativi
I pronomi dimostrativi sono quei pronomi che vanno a specificare un referente (simile agli articoli
determinativi) ma vanno anche a delineare informazioni come la distanza/prossimità del referente rispetto al
parlante, il genere del referente e il numero.
Per i dimostrativi il modello di riferimento attuale è bipartito in questo/quello.
(Un tempo tripartito con codesto, che ormai non è più utilizzato se non nel linguaggio burocratico, giuridico e
nel dialetto fiorentino)
 Spesso in registri più informali il dimostrativo “questo” viene ridotto a “sto” attraverso il processo di
aferesi, forma che viene utilizzata inoltre nelle forme univerbate: stamattina, stanotte, stamani.
Esempio: Stamattina ho trovato sto libro sul mio letto
 Sempre più diffusi sono inoltre i rafforzativi: qui, qua, lì e là.
Esempio: Finalmente, eccolo qui!
 Molto comune l'uso di questo o quello con funzione di terza persona singolare (funzione di aggettivo
determinativo)
Esempio: Cercano di addestrare il cane, ma quello è ancora selvaggio

Pronomi relativi
I pronomi relativi sono quei pronomi che utilizzati per andare a richiamare un sostantivo o un pronome della
proposizione principale che viene riportato come soggetto nelle omonime proposizioni relative.
Esempio: Ho incontrato l’uomo che ha vinto il premio (Il pronome relativo “che” si riferisce a “l’uomo” che diventa il
soggetto della proposizione relativa)
Il pronome relativo più comune è la forma che, usata sia come soggetto che come complemento oggetto:
Esempio: “La signora che è al banco della frutta è la madre di Grazia.” Il pronome relativo “che” ha funzione di
soggetto.
Esempio: “Ho incontrato l’uomo che mi hai presentato.” Il pronome relativo “che” ha funzione di complemento
oggetto.

Pronomi interrogativi
I pronomi interrogativi sono quei pronomi posizionati dinnanzi ad una frase per formulare domande e ottenere
informazioni su qualcuno/qualcosa. Caratterizzano di fatto le frasi interrogative.
I pronomi interrogativi più diffusi sono: che/cosa, usati al posto della forma piena "che cosa" e chi, che in
italiano ha un'unica forma sia per il soggetto che per il complemento oggetto diretto.
A questi si aggiungono inoltre: come, dove, quando e perché.
Esempio: Come hai imparato a suonare la chitarra?

Pronomi indefiniti
I pronomi indefiniti sono quei pronomi che possono fungere sia da determinanti utilizzati per quantificare i
sostantivi, ricoprendo una funzione dunque analoga a quella degli aggettivi determinativi, o quella di pronome
effettiva andando a sostituire un sostantivo.
Sono quantificatori che comprendono:
 universali (tutti, ogni, ognuno...)
 esistenziali (alcuno, qualche...)
 quantitativi (parecchio, molto poco...)
 negativi (nessuno, niente...)
 identificativi (certo, tale, altro...)
 generalizzanti (qualsiasi, qualunque, chiunque...)

Pronomi numerali
Sono quantificatori, distinti in:
 cardinali (uno, due ecc.)
 ordinali (primo, secondo ecc.)
 frazionari (uno su uno, due su due ecc.)
 moltiplicativi (doppio, triplo, quadruplo ecc.)
 numerativi o collettivi (un paio, una cinquina, una ventina, una dozzina ecc.)
 distributivi (uno a uno, a due a due)

Usi idiomatici dei pronomi numerali


*Per idiomatico si intendono tutta quella serie di significati non letterali, e che dunque non sono facili da
prevedere o riconoscere
 Comune in italiano, l'uso dei cardinali al posto degli ordinali in espressioni del tipo: “Metti sul tre.” anziché
“Metti sul terzo canale/sulla terza rete”.
 Inoltre i numerali sono usati spesso in molte espressioni idiomatiche. Esempio: “glieno dico quattro”, “farsi
due conti”, “fare due passi”
 Per l'indicazione di quantità generiche in cui si usano numeri piccoli per quantità minime, e numeri grandi
come intensificatori per le quantità importanti. Esempio: “te l'ho detto mille volte”, “prendine due o tre”.
AGGETTIVI DETERMINATIVI (o PRONOMINALI)
Gli aggettivi determinativi sono chiamati anche aggettivi pronominali perché, oltre che accompagnare, come
gli aggettivi qualificativi, il nome, possono anche sostituirlo e, quindi, essere usati anche come pronomi o
aggiungere informazioni al riguardo.
Esempio: Questo è il mio libro, ma non vedo il tuo; Ho comprato molti libri

ATTENZIONE: Gli aggettivi determinativi ed i pronomi hanno però delle differenze.


Gli aggettivi determinativi si concentrano intorno ad un sostantivo e possono sia sostuirlo del tutto (come i
pronomi), sia aggiungere informazioni aggiuntive intorno ad esso.
I pronomi, invece, sostituiscono direttamente il sostantivo e sono utilizzati spesso per introdurre delle proposizioni.
Dunque hanno un ruolo ben preciso a livello sintattico, rispetto agli aggettivi determinativi.

VERBO
Il verbo è la parte del discorso che svolge principalmente la funzione predicativa che consiste nel dire o
affermare qualcosa a proposito di qualcos'altro.
Oltre alla funzione predicativa, i verbi svolgono anche altre due funzioni: funzione copulativa e funzione
ausiliaria.
 Funzione COPULATIVA: Quando il compito di predicare è svolto da un altro elemento: nome, aggettivo,
avverbio. (Esempio: Luca è bello)
 Funzione AUSILIARIA: Legata agli ausiliari.
Gli ausiliari sono quei verbi che hanno valore grammaticale oltre al valore predicativo e sono
fondamentali nella formazione dei tempi composti. Corrispondono ad: essere e avere.
Essi accompagnano e precedono il verbo predicativo, esprimendo tempo, modo e persona.
a. Essere si usa prevalentemente in costrutti intransitivi e passivi (La mela è stata mangiata)
b. Avere si usa in tutti i costrutti transitivi e in alcuni intransitivi. (Giovanni ha avuto la febbre)

Verbi MODALI (o SERVILI)


Funzione simile a quella svolta dagli ausiliari, è quella svolta dai verbi modali (o servili):
DOVERE, POTERE, VOLERE.
I quali, sono sempre seguiti da un verbo all’infinito, che rappresenta il predicato principale: devo parlare
I modali esprimono significati legati alla necessità, possibilità, obbligo, desiderio, capacità, permesso.
Esempio: “Posso parlare in italiano.” Il verbo modale esprime possibilità/capacità
Esempio: “Devi studiare per l’esame.” Il verbo modale esprime obbligatorietà

Verbi FRASEOLOGICI (O ASPETTUALI)


I verbi fraseologici (o aspettuali) sono verbi che descrivono l'aspetto, cioè il modo di svolgersi di un evento nel
tempo, e si costruiscono con l'infinito preceduto da preposizione, o con un predicato al gerundio.
Ad esempio: Sto finendo, Comincio a mangiare, Sto per partire.
I verbi fraseologici entrano nella costruzione delle cosiddette perifrasi verbali che servono ad indicare un
particolare modo di essere dell'azione di un verbo.

Transitivi e Intransitivi
I verbi vengono distinti in due classi verbali: TRANSITIVI E INTRANSITIVI
Classe dei TRANSITIVI: Ammettono un complemento oggetto, e possono avere forma passiva
Classe degli INTRANSITIVI: Non ammettono un complemento oggetto, e non possono avere la forma passiva.
Gli intransitivi si dividono, a loro volta, in due gruppi:
 Inergativi: Si servono dell'ausiliare avere
 Inaccusativi: Si servono dell'ausiliare essere

Verbi PRONOMINALI
I verbi con pronome clitico, molto numerosi, si distribuiscono in sei classi principali:
 Riflessivi: descrivono un'azione intenzionale che il soggetto compie trattando sè stesso come oggetto (lavarsi,
vestirsi)
 Con uso riflessivo indiretto: in cui l'oggetto non è la persona, ma alcune pertinenze tipiche (tagliarsi i capelli)
 Reciproci: descrivono eventi in cui partecipano due soggetti, coinvolti nello stesso evento (salutarsi, sposarsi)
 Con uso reciproco indiretto: in cui l'oggetto non è la persona generale, ma sue pertinenze (stringersi la mano)
 Intransitivi pronominali: che non esprimono un evento riflessivo (arrabbiarsi, pentirsi)
 Con uso intensivo o affettivo: in cui il -si indica una più intensa partecipazione del soggetto al processo descritto
(sentirsi un concerto, bersi una birra)

Verbi PROCOMPLEMENTARI (pronominali)


I verbi procomplementari sono verbi pronominali dati da pronomi clitici (atoni) che si saldano ai verbi,
lessicalizzandoli e conferendo loro significati nuovi.
Esempio: fregare vs fregarsene
Fregare: Sinonimo di truffare/rubare. “Quella commessa mi ha fregato.”
Fregarsene: Sinonimo di noncuranza/indifferenza. “Non me ne frega un tubo di ciò che pensi.” (colloquiale)

FLESSIONE DEI VERBI


Nella flessione del verbo i tratti morfologici coinvolti sono sei: MODO, TEMPO, PERSONA, NUMERO, ASPETTO
E DIATESI (o VOCE).

Struttura della voce verbale


In primo luogo, occorre sapere che i verbi in italiano si distribuiscono in tre coniugazioni:
-ARE; -ERE; -IRE
Alle radici lessicali dei verbi, segue una struttura ben delineata:
 le VOCALI TEMATICHE legate al tipo di coniugazione: -a, -e, -i
 la MARCA TEMPORALE E/O MODALE: -v nell'imperfetto
 il MORFEMA PERSONALE o DESINENZA VERBALE: -amo desinenza verbale di “amavamo”

Verbi difettivi e verbi sovrabbondanti


 Verbi DIFETTIVI: Che presentano caselle vuote nel modello di riferimento, esempio aggradare che viene
usato solo alla terza persona singolare dell'indicativo presente.
 Verbi SOVRABBONDANTI: Che appartengono a due coniugazioni diverse, e conservano lo stesso significato
Esempio: starnutire/stranutare, compiere/compire...

CATEGORIE FLESSIONALI DEI VERBI


Modo (o modalità)
Il modo esprime la modalità del verbo, e indica dunque l'atteggiamento del parlante nei confronti di quanto
enunciato. In italiano, il modo viene espresso da quattro modi finiti (indicativo, congiuntivo, condizionale e
imperativo) e tre modi non finiti (infinito, participio e gerundio)

Tempo
Il tempo colloca in un preciso periodo ciò che viene detto o fatto.
I verbi sono costituiti da un'ampia gamma di tempi verbali, che svolgono funzioni diverse e che possono essere
distinti in tempi verbali deittici e tempi verbali anaforici.
 Tempi verbali DEITTICI: Indicano azioni che avvengono in contemporanea, o prima, o dopo il momento
dell'enunciazione (ME). Corrispondono al: PRESENTE, PASSATO REMOTO, IMPERFETTO
Esempio: Ieri ho incontrato tuo padre
L’azione di incontrare il padre è avvenuta prima del momento in cui la frase è stata pronunciata/scritta (vale a
dire il ME).
Passato ----MA---------------ME---------> Futuro
MA = Ieri ho incontrato tuo padre
ME = Momento in cui viene pronunciato/scritto il fatto
Esempio: Domani partirò con Maria
Passato ----- ME ---------------MA---------> Futuro
L’azione di partire non si è ancora sviluppata in quanto essa si realizzerà nel futuro, dunque in questo il caso il
momento in cui viene pronunciato/scritto il fatto è posizionato prima dell’avvenimento.
ME = Momento in cui viene pronunciato/scritto il fatto
MA = Domani partirò con Maria (avvenimento che si realizzerà successivamente)
 Tempi verbali ANAFORICI: Sono tutti quei tempi verbali che si allacciano oltre che al ME anche ad un
momento di riferimento nel testo, espresso tramite avverbi o altri sintagmi rappresentato con la sigla MR.
Indicano relazione temporale e si riferiscono ad azioni già espresse. Corrispondono al: TRAPASSATO
REMOTO
Esempio: Quando arriverò alla stazione, il treno sarà già partito.
L’azione di arrivare alla stazione si sviluppa prima della partenza del treno, ma dopo il momento in cui viene
pronunciato o scritto il fatto ed entrambi fanno riferimento all’arrivo alla stazione.
PASSATO----ME----------MA-------------------MR------------->FUTURO
“Ti telefonerò dopo che avrò fatto l’esame”
Analizzando questa frase, diremo che l’azione di telefonare avviene successivamente all’esame, e l’enunciazione si ha
prima dell’esame stesso. Dunque, l’ordine sarà momento dell’enunciazione (ME)  momento di riferimento (MR) 
momento dell’avvenimento (MA).
Il momento dell’enunciazione corrisponde al momento in cui soggetto sottointeso pronuncia la frase, e dal punto di
vista temporale, il soggetto pronuncia la frase prima di svolgere l’azione (ossia quello di fare l’esame) e prima ancora
della telefonata, che a livello logico-cronologico avverrà dopo aver svolto l’esame.
Il momento di riferimento corrisponde allo svolgimento dell’esame, esso è il momento sulla quale si aggancia l’intera
azione descritta nell’enunciazione.
Il momento dell’avvenimento corrisponde alla telefonata che avverrà dal punto di vista cronologico esclusivamente
DOPO aver fatto l’esame.
PASSATO------ME---------------MR------------------MA------FUTURO

Usi speciali dei verbi


 Presente indicativo al posto del futuro: PRESENTE INGRESSIVO, per fare riferimento ad eventi riguardanti
un futuro molto vicino – PRESENTE STORICO, per fare riferimento ad eventi storici/narrativi, spostando il
momento dell’enunciazione al presente.
 Imperfetto: IMPERFETTO STORICO (O NARRATIVO O CRONISTICO), ha valore perfettivo ed è usato in
contesti in cui gli eventi rappresentati sono successivi. (Mio padre, qualche ora dopo, ci accoglieva con
allegria). Ha anche valore di distacco e viene usato nel linguaggio giornalistico e nei verbali di polizia.
(Sostava in località permanentemente vietata) – IMPERFETTO DI CORTESIA, con alcuni modali esprime
cortesia (A: Cosa voleva? – B: Volevo un succo.)
 Futuro: FUTURO DEITTICO, temporale, simile al presente indicativo – FUTURO REGRESSIVO, funzione
analoga al presente storico (...Sarà poi il padre a introdurlo nell’alta società...) – FUTURO IUSSIVO, esprime
un comando (Non avrai altro Dio all’infuori di me) – FUTURO DEONTICO, esprime un dovere (La tassa
andrà pagata entro fine mese) – FUTURO ATTENUATIVO, attenua un evento (Ammetterai che non si è
trattato di uno sbaglio) – FUTURO EPISTEMICO, non temporale, usato per esprimere una deduzione del
parlante dal presente (Squilla il telefono, sarà mio fratello...) – FUTURO CONCESSIVO, simile al futuro
epistemico (Sarà anche economico, ma l’hotel è brutto)

Persona
La persona del verbo indica chi compie l’azione nella frase.
In italiano si distinguono tre persone: 1° persona, 2° persona e 3° persona.
Tutte e tre le persone possono essere sia singolari (se il referente è singolo) che plurali (se i referenti sono
multipli).
Prima persona  Si riferisce in genere al parlante (o al gruppo di parlanti)
Io mangio (prima persona singolare) – Noi mangiamo (prima persona plurale)
Seconda persona  Si riferisce in genere all’interlocutore o al destinatario
Tu mangi (seconda persona singolare) – Voi mangiate (seconda persona plurale)
Terza persona  Si riferisce ad un soggetto o un oggetto di cui si parla.
Egli mangia (terza persona singolare) – Essi mangiano (terza persona plurale)

Numero
Il numero del verbo indica quanti soggetti sono coinvolti nell’azione descritta dal predicato.
Può essere SINGOLARE (se il referente è unico) e PLURALE (se i referenti sono multipli).
Esempio: Lei mangia la torta (il soggetto è uno solo, quindi numero singolare)
Esempio: Essi mangiano la torta (il soggetto è multiplo, quindi numero plurale)
Attenzione: Il numero è fondamentale nella costruzione dei sintagmi verbali, in quanto sta alla base della
concordanza (o accordo) tra soggetto e verbo.

Diàtesi (o voce)
La diatesi (o voce) del verbo esprime il modo in cui la persona, o le cose indicate, partecipano all'evento
descritto dal predicato.
La diatesi distingue la forma attiva, passiva, e riflessiva.
“Luca mangia la mela.”  diatesi attiva (il soggetto corrisponde con l’agente, ossia colui che compie l’azione)
“La mela è mangiata da Luca.”  diatesi passiva (il soggetto corrisponde con il paziente, ossia colui che subisce
l’azione)
“La mela si mangia.”  diatesi riflessiva (l’agente è sia il soggetto, sia l’oggetto)

Aspetto
Il modo in cui l’azione si sviluppa nel corso del tempo. L’aspetto è caratterizzato da alcuni verbi che prendono il
nome di verbi fraseologici (o aspettuali) che vanno a caratterizzare il modo in cui un’azione si sviluppa nel
corso del tempo.
L'aspetto del verbo può avere caratteristiche diverse in base all’azione:
 Aspetto PERFETTIVO: quando l’azione si presenta come conclusa (paragonabile al perfect aspect inglese)
Esempio: “Giovanni mangiò la minestra”
 Aspetto IMPERFETTIVO: quando l’azione si presenta nel suo svolgimento (paragonabile al
continuous/progressive aspect inglese)
Esempio: “Mentre Giovanni mangiava la minestra, la madre riposava”
 Aspetto DURATIVO: quando l’azione dura nel tempo
Esempio: “Dalle dodici alle tredici si mangia la minestra”

LE PARTI INVARIABILI
Secondo la classificazione tradizionale, la classe degli invariabili comprende quattro parti del discorso:
CONGIUNZIONI, AVVERBI, PREPOSIZIONI E INTERIEZIONI.

CONGIUNZIONI
Le congiunzioni sono parole usate per collegare tra loro le frasi e proposizioni e possono essere di due tipi:
coordinanti e subordinanti.
 COORDINANTI: Congiunzioni che legano tra loro frasi che stanno sullo stesso livello sintattico e che di fatto
non necessitano di essere rette da altre frasi e dunque possono essere indipendenti. Tale processo prende
anche il nome di PARATASSI.
Esempio: “Luca ha mangiato la torta ma la festa non è stata di suo gradimento.”
La frase in grassetto è la principale mentre la frase in verde è la coordinata alla principale, introdotta dalla
congiunzione coordinante avversativa “ma”
 SUBORDINANTI: Congiunzioni che legano tra loro frasi che non stanno sullo stesso livello sintattico e che di
fatto necessitano di essere rette da altre frasi (creando un rapporto di dipendenza), e dunque NON
possono essere indipendenti. Tale processo prende anche il nome di IPOTASSI.
Esempio: “Quando arriverò a casa, preparerò la cena”. La frase in grassetto è la principale mentre la frase in blu
è la subordinata alla principale, introdotta dalla congiunzione subordinante temporale “quando”

PREPOSIZIONI
Le preposizioni sono parole usate per creare legamenti fra parole e frasi.
Si classificano in proprie ed improprie.
 Preposizioni PROPRIE
Le preposizioni proprie sono quelle preposizioni che richiedono un complemento (espresso da un
sostantivo o da un pronome). Si suddividono in semplici e articolate.
 Semplici: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra
 Articolate: nello, nella, dello, della, del, nel eccetera. Sono date dalla combinazione di una preposizione
semplice con un articolo determinativo.
 Preposizioni IMPROPRIE
Le preposizioni improprie sono quelle preposizioni che non richiedono un complemento, ma possono essere
seguite da espressioni come avverbi, altre preposizioni e verbi.
 Avverbi usati come preposizioni: dopo di te...
 Aggettivi usati come preposizioni: lungo il fiume, vicino al negozio...
 Locuzioni preposizionali (adposizioni): a vantaggio di, di fronte a, ai piedi del monte...

AVVERBI
Gli avverbi sono parte invariabile del discorso che si giustappone ai verbi per determinarne l'azione nello
spazio, nel tempo o nelle modalità (alzarsi tardi) e anche agli aggettivi (infinitamente grande) o a un altro
avverbio, soprattutto quando indica quantità o tempo (uscire molto presto)
Gli avverbi possono essere classificati in:
 Qualificativi: bene, assai, molto ecc.
 Determinativi: di luogo, di tempo
 Valutativi: si, certo, purtroppo ecc.
 Interrogativi ed esclamativi: perché?, come mai?
Tra gli avverbi, esistono aggettivi che possono essere usati come avverbi (vedi "Funzione avverbiale
dell'aggettivo qualificativo")

INTEREZIONI, ESCLAMAZIONI E ONOMATOPEE


Le interiezioni, le esclamazioni e le onomatopee sono parti del discorso che svolgono una funzione
principalmente espressiva, e ricorrono molto nel parlato e in alcuni contesti scritti e tipi testuali.
a. Le interiezioni sono suoni non articolati nettamente con cui si esprimono stati d'animo e reazioni (Boh!
Mah!...)
b. Le esclamazioni sono normali parole che si pronunciano con intonazione diversa, e isolatamente. (Oddio!
Bravo! Evviva!...).
Nel parlato sono caratterizzate da una variazione dell'intonazione (in genere discendente), mentre nello
scritto dal punto esclamativo [!].
c. Le onomatopee sono parole che imitano suoni e rumori (bang, crack, boom), talvolta sono la base di parole
(ticchettìo, ululo, sibilo...) e in qualche caso diventano olofrastiche (parole-frase) (Uffa! 'Sono stufo'; Puah!
'Che schifo')

SEGNALI DISCORSIVI
I segnali discorsivi sono congiuzioni, avverbi, interiezioni o anche frasi intere che assumono valori aggiuntivi
all'interno di un testo. Conferiscono funzioni enunciative e pragmatiche e sono molti comuni nell’oralità.

SINTASSI
La sintassi è la branca della linguistica che studia il modo in cui le parole si combinano tra di loro, formando le
frasi, e i rapporti che le parole assumono.

Nozioni di base: frase, enunciato e sintagma.


FRASE
Per frase possiamo avere due definizioni:
Un insieme di parole caratterizzato da regole, di cui tali regole sono la reggenza e l'accordo.

 Reggenza: Per reggenza si intende il legamento sintattico per cui una parola richiede un'altra parola che
assuma particolari forme morfologiche.
Esempio: Alcuni verbi richiedono preposizioni specifiche, del tipo:
a. Mi fido di te
b. Domando a qualcuno
 Accordo (o concordanza): Per accordo (o concordanza) si intende la relazione per cui la forma di una
parola richiede un'altra parola con la stessa identica forma, come un soggetto plurale e/o un predicato
dello stesso numero.
Esempio: Gli alberi (Maschile - Plurale) ---richiede--> sono caduti (Accordo del predicato: Maschile -
Plurale)
Un'altra definizione di frase, è quella che la frase è un insieme di parole disposte intorno a un verbo (o
predicato).
ATTENZIONE: Tale condizione non vale per tutte le frasi, esistono infatti anche frasi che non necessitano del
predicato, chiamate frasi nominali e frasi, che pur avendo il predicato, non hanno senso compiuto (esempio: le
frasi subordinate - "... che gli ha chiesto")

ENUNCIATO
Per enunciato si intende un espressione linguistica prodotta sia oralmente che graficamente di senso compiuto
che fa riferimento ad una situazione comunicativa concreta.

Frase vs Enunciato
La distinzione tra frase ed enunciato va di fatto ricercata nella presenza o meno di contesti specifici
Esempio: Oggi piove, non esco
E' una frase grammaticalmente astratta in quanto libera da legami col tempo, spazio e persone e dunque non
precisata in un contesto specifico.
Se la stessa frase però dovesse avere dettagli contestuali ben definiti del tipo:
Oggi, 15 Giugno 1997, a Milano piove in quel caso, potremmo parlare di enunciato.

SINTAGMA
Per sintagma (in inglese phrase) si intende la minima combinazione di parole che forma la struttura frasale.
I sintagmi sono costituiti da un elemento dominante (o nucleo) anche noto come testa che regge il sintagma
stesso e ne va a delinare la tipologia:
 Se la testa è un nome ---> SN (Sintagma nominale) Noun Phrase (NP)
 Se la testa è un aggettivo ---> SAgg (Sintagma aggettivale) Adjective Phrase (AdjP)
 Se la testa è un verbo ---> SV (Sintagma verbale) Verb Phrase (VP)
 Se la testa è una preposizione ---> SPrep (Sintagma preposizionale) Prepositional Phrase (PP)
 Se la testa è un avverbio ---> SAvv (Sintagma avverbiale) Adverb Phrase (AdvP)

Sintagma nominale
Il sintagma nominale è costuito da un nome che funge da testa e poi da uno o più elementi, complementi o
modificatori che possono specificare, quantificare e determinare:
 Det ---> Sta per determinante (In genere corrisponde agli aggettivi)
 Quant ---> Sta per quantificatore (In genere corrisponde agli indefiniti e numerali)
 Spec ---> Sta per specificatore (In genere corrisponde agli articoli)

Nei sintagmi nominali è comune la distinzione tra SN minimo e SN massimo.


A. Per SN minimo s'intende il SN costituito solo dal nome come testa
B. Per SN massimo s'intende il SN costituito da più elementi, oltre al nome, come testa.
Esempio di SN massimo:
Tutti (Quant) i (Spec) suoi (Det) tre (Quant) piccoli (Det) negozi (Nome) centrali (Det)

Italiano: lingua a costruzione progressiva


In base alla posizione che la testa occupa nel sintagma nominale, a sinistra o a destra del complemento, le
lingue possono avere costruzione progressiva e/o regressiva.
L'italiano, in particolar modo, è una lingua a costruzione progressiva in quanto i sintagmi sono caratterizzati
dalla testa posizionata a sinistra del complemento.

Criteri (o test) di costituenza


Per capire se ci ritroviamo dinnanzi ad un sintagma possiamo applicare quattro criteri, meglio noti come criteri
di costituenza per andare a determinare i costituenti di una frase.
1) Criterio dello SPOSTAMENTO: Se in una frase, si può spostare una parola (o un gruppo di parole) può
essere spostato senza modificare l'interpretazione semantica della frase, allora ci troviamo dinnanzi ad un
costituente
2) Criterio della SOSTITUIBILITÀ: Se in una frase, si può sostituire una parola (o un gruppo di parole) con una
pro-forma vale a dire un sostituente (es: pronome) allora ci ritroviamo dinnanzi ad un costituente.
3) Criterio dell'ENUNCIABILITÀ IN ISOLAMENTO: Se in una frase, una parola (o un gruppo di parole) risponde
alle cinque wh-: what? (cosa?)who? (chi?), where? (dove?), when? (quando?), which? (quale?) allora ci
troviamo dinnanzi ad un costituente. Questo è il criterio più utilizzato sopratutto in analisi logica
4) Criterio della COORDINABILITÀ: Se in una frase, una parola (o un gruppo di parole) si possono coordinare
tra loro, allora ci ritroviamo dinnanzi ad un costituente.

Sintagmi complessi e sintagmi incassati


I sintagmi possono contenere al loro interno altri sintagmi, e questi ultimi sono definiti sintagmi complessi,
invece, i sintagmi contenuti all'interno dei sintagmi complessi prendono il nome di sintagmi incassati. La
struttura della frase in sintagmi può essere rappresentata graficamente anche con un diagramma ad albero,
meglio noto come indicatore sintagmatico della frase, costituito da nodi da cui partono rami, che va meglio a
rappresentare la complessità dei sintagmi.

Analisi contenutistico-informativa della frase


Oltre all'analisi in sintagmi, una frase può essere esaminata anche dal punto di vista del suo contenuto
informativo.
In genere, le frasi possono contenere due tipi di informazioni:
a. Informazione data, ovvero qualcosa che il parlante e l'ascoltatore sanno già.
b. Informazione nuova, ovvero qualcosa che il parlante e l'ascoltatore non sanno ancora.

Frasi semplici e complesse


Le frasi possono essere di due tipi:
SEMPLICI: Quando sono formate da un solo verbo
COMPLESSE: Quando sono formate da più di due verbi, e quindi da due o più proposizioni.

FRASE SEMPLICE
La frase semplice detta anche "nucleare" è formata da una parte centrale chiamata nucleo, a cui possono
aggiungersi vari elementi periferici (o extranucleari), distinguibili in circostanti ed espansioni.
Mentre tra i vari elementi interni al nucleo, i rapporti grammaticali sono forti, fuori da esso questi rapporti
sono allentati, e diventano a mano a mano sempre di più rapporti di senso che rapporti grammaticali.

Nucleo della frase


Il nucleo è il centro della frase e contiene gli elementi principali per la costruzione di una frase, ovvero: il
predicato e gli argomenti (o valenze).

Il PREDICATO è ciò che si dice, o si afferma del soggetto e può essere verbale e nominale.
 Predicato Verbale con verbi predicativi (cioè verbi che hanno significato lessicale)
Esempio: “Cammino per le vie del paese.” “Cammino” è un predicato verbale
 Predicato Nominale con verbi copulativi, ovvero quei verbi dati dall'unione dell'ausiliare essere (copula)
con un elemento nominale, e che danno attributi (aggettivi, sostantivi ecc.) ad un soggetto o ad un oggetto.
Esempio: “Il libro è vecchio.” “è vecchio” è un predicato nominale.

Gli ARGOMENTI (O VALENZE) del verbo (o predicato) rappresentano le informazioni aggiuntive che vanno a
completare il significato espresso dal verbo (o predicato).
Tendenzialmente, la prima valenza di un verbo corrisponde al Soggetto nell'analisi logica tradizionale, mentre
le valenze successive al verbo corrispondono ai Complementi.
In base agli argomenti (o valenze) i verbi vengono classificati in diverse tipologie:
 ZEROVALENTI: Non hanno valenze. Verbi come: piovere, tuonare, fare freddo, gelare...
 MONOVALENTI: Una valenza. Verbi come: sbadigliare, morire, nascere, russare, abbaiare...
 BIVALENTI: Due valenze. Verbi come: lavare, giocare, leggere, dipingere, amare, odiare...
 TRIVALENTI: Tre valenze. Verbi come: regalare, dare, attribuire, dichiarare, annunciare...
 TETRAVALENTI: Quattro valenze. Verbi come: tradurre, trasportare, trasferire, spostare...

SOGGETTO
Il soggetto è l'argomento fisso di una frase, e corrisponde al primo argomento (o valenza). Esso ha due
proprietà:
1. Completa il verbo determinandone genere, numero e persona (Accordo)
2. Precede il verbo nell'ordine della frase non marcata. (Posizione)

Il soggetto è generalmente rappresentato da un nome, o da un pronome ma anche da qualsiasi altra parte del
discorso, di fatto, anche una proposizione potrebbe fungere da soggetto (= proposizione soggettiva)

Proprietà semantiche del soggetto


Oltre all'accordo e alla posizione, che sono proprietà sintattiche, il soggetto possiede anche proprietà
semantiche, nello specifico esso ha un ruolo semantico, ossia svolge la funzione che ha un argomento
nell'evento descritto dal verbo.
Il soggetto può infatti essere:
 Agente  Compie l'azione
 Paziente  Subisce l'azione
 Esperiente (o sperimentatore)  Sperimenta l'azione

Soggetto grammaticale vs. Soggetto logico


Non sempre il soggetto grammaticale di una frase corrisponde al soggetto logico, ad esempio come avviene
nella frase passiva.
Esempio: Il biglietto è stato comprato da Luigi
Logicamente parlando, è Luigi ad aver comprato il biglietto e dunque dovrebbe esserne il soggetto, ma,
grammaticalmente parlando è Il biglietto ad aver subito l'azione di essere stato acquistato e dunque
corrisponde al soggetto grammaticale della frase, nonché il paziente dal punto di vista semantico.

Posizione nella frase


Per quanto riguarda la posizione nella frase, il soggetto solitamente precede il verbo, ma può occupare in
alcune circostanze anche una posizione postverbale:
 Con il verbo dire (Dice Luigi di non chiamarlo prima di sera)
 Nelle frasi esclamative e interrogative
 Con i verbi inaccusativi (E' successo un fatto sgradevole)
[...]

Italiano: lingua PRO-drop


L'espressione del pronome soggetto in italiano è facoltativa. L'italiano è infatti una lingua PRO-drop
(dall'inglese: pronoun dropping 'caduta del pronome') ovvero una lingua a soggetto non obbligatorio.
Attenzione: In alcuni contesti il pronome è obbligatorio:
 Quando il morfema verbale non è in grado di separare la persona verbale
 Quando il soggetto non è stato nominato nel testo da molto tempo
 In casi di contrapposizione
[...]

COMPLEMENTO (O OGGETTO)
Altri elementi che possono completare il nucleo, oltre a verbo e soggetto, sono gli argomenti del verbo,
meglio noti come Complementi nell'analisi logica tradizionale
Il complemento (o oggetto) è l'argomento aggiuntivo oltre al soggetto presente nel nucleo, esso può stabilire
due tipi di legame con il verbo:
1. DIRETTO: senza preposizioni (quindi con transitivi attivi) e con partitivi
2. INDIRETTO: con pronomi personali, con preposizioni di: luogo, causa, mezzo, agente e di causa efficiente.
Esempio: Fabio dà un fiore a Laura
In questo esempio il verbo “dare” ha tre argomenti (o valenze) e possiamo dunque riassumere il nucleo della
frase con il seguente schema valenziale:
 Fabio = primo argomento (soggetto-agente)
 dà = predicato verbale (voce del verbo “dare”; trivalente, prima coniugazione (-are), terza persona
singolare-presente-indicativo-diatesi attiva)
 un fiore = secondo argomento (complemento oggetto DIRETTO)  il complemento è introdotto
esclusivamente con uno specificatore, dunque diretto.
 a Laura = terzo argomento (complemento di termine INDIRETTO)  il complemento è introdotto attraverso
una preposizione, dunque indiretto.

Oggetto preposizionale (o Accusativo preposizionale)


Una particolare struttura è quella dell'oggetto preposizionale (accusativo preposizionale) con l'oggetto diretto
rappresentato da persone, entità definite e precedute da preposizione.
Esempi:
a. Ho incontrato a tua madre
b. A me questa lezione non (mi) convince
c. A te il suo discorso non (ti) ha persuaso

CIRCOSTANTI ED ESPANSIONI
Oltre al nucleo e agli elementi "interni" che lo compongono, esistono degli elementi aggiuntivi che si collocano
all'esterno del nucleo e che lo possono arricchire, questi ultimi sono i circostanti e le espansioni.

 Circostanti: Sono tutte quelle parole


che si legano al verbo e ai suoi
argomenti e li specificano. I circostanti a
differenza degli altri elementi interni al
nucleo, sono più liberi.
Esempio: Luisa cucina un risotto di asparagi (= circostante)

 Espansioni (o margini): Sono tutte quelle parole non collegate in alcun modo con il nucleo, ma si
riferiscono alla frase nel suo complesso. Sono tutte quelle parole al di fuori del nucleo che espandono e
allargano il senso totale della frase.

Esempio: Ieri (= espansione) Luisa ha cucinato un risotto di asparagi.

Una caratteristica delle espansioni è la cosiddetta libertà di collocamento.


Le espansioni si possono posizionare all'inizio di una frase, ma anche alla fine senza cambiare il senso totale
di essa.

Classificazione delle frasi semplici


Le frasi semplici possono essere differenziate in base a vari parametri:
 dipendenza (principali e subordinate)
 polarità (affermativa, interrogativa...)
 diatesi (attiva, passiva)
 segmentazione (dislocazione a sinistra, dislocazione a destra, frase scissa...)
 modalità (dichiarativa, volitiva...)
Contenutistica-informativa
Per quanto riguarda il contenuto e la modalità le frasi possono essere distinte in:
 Modalità enunciativa o dichiarativa o assertiva: Frasi più frequenti; contengono una dichiarazione in modo
affermativo o negativo.
 Modalità volitiva: Frasi che indicano un comando, un'esortazione, un desiderio
 Modalità esclamativa: Frasi che contengono esclamazioni (e le interiezioni) comunicano un senso di
stupore e di sorpresa che nel parlato si manifesta attraverso una variazione nell'intonazione, mentre nello
scritto con l'uso del "!"
 Modalità interrogativa: Frasi che contengono una domanda espressa direttamente (≠ frase interrogativa
indiretta) che nel parlato vengono espresse con una variazione nell'intonazione, mentre nello scritto con
l'uso del "?"

FRASI MULTIPLE: COMPOSTE E COMPLESSE


Le frasi semplici possono collegarsi tra loro e formare frasi multiple che possono distinguersi in composte e
complesse.

Frasi multiple COMPOSTE


Nelle frasi (multiple) composte, le frasi possono legarsi tra loro per asindeto e per coordinazione (paratassi)
a. Asindeto: Le frasi si legano tra loro senza elementi di collegamento
b. Coordinazione (Paratassi): Le frasi si legano tra loro per mezzo di congiuzioni coordinative che possono
essere a loro volta suddivise in:
 copulative (e, anche, né, neppure, nemmeno, inoltre...)
 disgiuntive (o, oppure)
 avversative (ma, però, bensì, invece, tuttavia, eppure...)
 conclusive (dunque, quindi, perciò)
 dimostrative o esplicative (cioè, ossia, infatti)
 nessi correlativi (congiunzioni, avverbi e pronomi del tipo e...e, tanto...quanto, questo... quello ecc.)

Frasi multiple COMPLESSE


Le frasi (multiple) complesse, meglio sono quelle frasi che non sono legate tra loro alla pari, come nel caso
delle frasi multiple composte, ma in modo gerarchico, attraverso un rapporto di subordinazione/dipendenza
(ipotassi).
Le proposizioni non possono essere indipendenti e per avere senso compiuto, devono per forza di cose essere
legate a delle frasi semplici di senso compiuto chiamate “PRINCIPALI.”

Le frasi complesse sono costituite da:


- FRASE SEMPLICE di senso compiuto, nota come PRINCIPALE che regge la struttura sintattica e dà significato
a tutto il periodo.
- PROPOSIZIONI SUBORDINATE (O FRASI MULTIPLE COMPLESSE) che dipendono dalla PRINCIPALE, che non
hanno senso compiuto, ma lo ottengono legandosi per l’appunto alla principale o ad una reggente.

PRINCIPALE e REGGENTE NON sono sinonimi, ma due parole con significati e funzioni sintattiche diverse.
PRINCIPALE: Corrisponde alla frase semplice che sostiene l’intero periodo, che può essere indipendente.
Esempio: “Luigi mangia la torta mentre Fabio lo infastidisce”
Luigi mangia la torta = Principale
mentre Fabio lo infastidisce = Subordinata alla principale
REGGENTE (O SOVRAORDINATA): Corrisponde a qualsiasi proposizione (anche un'altra subordinata) che regge
sintatticamente un’altra proposizione
Esempio: Mio fratello sorride perché gli hanno raccontato una barzelletta che lo ha fatto sbellicare dalle risate.

Costruzione esplicita ed implicita


Il collegamento fra reggente e subordinata (dipendente) si può realizzare in modo:
 Esplicito: con una congiuzione subordinante (che, perché, poiché, siccome, affinché...) o con un pronome, o
con un avverbio relativo (dove, ove, dovunque, ovunque...)
Esempio: Giuseppe si allena molto / perchè vuole diventare forte = Esplicita (utilizzo della congiunzione
subordinante: perché)

 Implicito: con il verbo della subordinata (dipendente) al modo indefinito (infinito, gerundio e participio)
Esempio: Giuseppe si allena molto / per diventare forte -- Implicita (preposizione + infinito del verbo)

Sintassi ipotattica nei testi


La sintassi ipotattica è fondamentale oltre che nello scritto, anche in alcune classi di testo: uno scritto semplice
preferisce periodi monoproposizionali, mentre testi argomentativi e letterari tendono a preferire una scrittura
bi, tri, ecc. proposizionale.

Classificazione delle subordinate


Per classificare le subordinate si adottano alcuni specifici criteri:
 Criterio formale: che prende in considerazione l'elemento introduttore della subordinata
 Criterio del contenuto: basato sul contenuto che le subordinate aggiungono al fatto enunciato, ad
esempio:
 l'intenzione di chi lo ha compiuto  subordinate finali
 il tempo o il modo in cui si è svolto  subordinate temporali e modali
 il motivo o la causa all'origine  subordinate causali
 la circostanza che avrebbe potuto ostacolarlo  subordinate concessive
 la condizione posta al suo compiersi  subordinate ipotetiche
 l'effetto inevitabile che ha avuto  subordinate consecutive
 Criterio basato sulla teoria argomentale: ossia la distinzione tra proposizioni che fungono da valenze
principali del nucleo (argomentali) e proposizioni che fungono da espansioni e circostanti (non
argomentali)

Proposizioni argomentali e non argomentali


Le frasi argomentali sono quelle frasi complesse che fungono da argomento della frase principale, esse
possono fungere da soggetto (soggettive) o da complemento (completive)
Le frasi non argomentali (o avverbiali, o circostanziali) sono quelli frasi che contengono elementi di raccordo
extranucleare, ovvero non richieste dal verbo principale, quindi non argomento di alcun predicato. Sono
definite anche frasi extranucleari.

Proposizioni subordinate ARGOMENTALI


Le subordinate argomentali comprendono:
 SUBORDINATE SOGGETTIVE, introducono una proposizione che svolge funzione di soggetto del verbo
principale.
Esempio: Che tu abbia vinto è fantastico (La proposizione “che tu abbia vinto” funge da soggetto della frase
principale)
 SUBORDINATE COMPLETIVE (o OGGETTIVE), introducono una proposizione che svolge la funzione di
complemento oggetto, soggetto o complemento di un verbo reggente.
Esempio: Spero che tu venga alla festa (La proposizione “che tu venga alla festa” funge da complemento oggetto
del verbo “sperare”)
Proposizioni interrogative indirette
Per quanto riguarda le subordinate COMPLETIVE, è affine la proposizione interrogativa indiretta che nella
forma di una domanda non autonoma, dipende da:
 Un verbo o da una locuzione (Mi chiedo perchè non ha funzionato)
 Da un aggettivo (Sono incerto se uscire o restare a casa)
 Da un nome (Alla domanda se fossi pronto risposi di si)

Proposizioni subordinate NON ARGOMENTALI


Le subordinate non argomentali, dette anche avverbiali hanno in una frase complessa, il ruolo che ha in una
frase semplice un elemento aggiunto extranucleare.
Dunque svolgono la stessa funzione di un'espansione.
Classificazione delle proposizioni subordinate non argomentali
 Causali: Introdotte da una congiunzione come perchè, siccome, dato che, poiché
 Finali: Spiegano il fine di una data azione descritta nella frase reggente, sono introdotte da perché, o da:
per, a, nella forma implicita.
 Temporali: Introdotte da congiunzioni o locuzioni come mentre, prima, dopo, nel frattempo, quando, non
appena, intanto che ecc. seguite dall'indicativo e definiscono il rapporto di tempo con l'avvenimento
descritto nella principale
 Concessive: Introdotte da congiunzioni come sebbene, benché, anche se, quantunque, con tutto che...
 Consecutive: Introdotte da che, sicché, così, a tal punto che, talmente che
 Modali: Introdotte da congiunzioni e locuzioni nel modo che, come ecc. si costruiscono con l'indicativo o
con il congiuntivo
 Comparative: Nelle comparative si stabilisce un confronto con quanto è affermato nella reggente di
maggioranza, di minoranza e di uguaglianza.
*Le subordinate concessive, consecutive e modali esprimono un particolare tipo di rapporto tra ciò che viene
detto nella principale e l'effetto che si determina nella subordinata.

Proposizione IPOTETICA O CONDIZIONALE


La frase ipotetica o condizionale esprime un'ipotesi o una condizione affinché un evento espresso dalla
principale possa verificarsi.
Nelle frasi ipotetiche, la reggente è detta apodosi, mentre la dipendente è detta protasi, e insieme formano il
periodo ipotetico.
Generalmente, la protasi ossia la parte del periodo in cui si pone la condizione, precede l'apodosi.
A seconda del modo verbale si distinguono due tipi di periodo ipotetico:
a. Periodo ipotetico della realtà o della certezza con verbi al modo indicativo
Esempio: Se piove (subordinata e protasi), non vado a scuola (principale/reggente e apodosi)
b. Periodo ipotetico della possibilità e dell'irrealtà, in questi casi si usa il congiuntivo nella protasi e il
condizionale all'apodosi.
Esempio: Se dovesse piovere (subordinata e protasi al congiuntivo), non andrei a scuola (principale/reggente e
apodosi al condizionale)

Proposizioni subordinate avversative


Le frasi avversative rientrano a volte tra le coordinate, a volte tra le subordinate non argomentali.
Le frasi coordinate avversative sono introdotte da: ma, però, tuttavia, eppure...
Le frasi subordinate avversative sono introdotte da: mentre (invece), quando (invece), laddove, invece, lungi
da...

Proposizione RELATIVA
Le frasi relative possono sviluppare un concetto presente in un circostante, cioè in un elemento che si riferisce
ad un costituente del nucleo della frase principale o della reggente.
Dunque, le proposizioni subordinate relative esprimono una qualità riferita ad un elemento antecedente.
Le frasi relative sono introdotte da un pronome relativo che o anche da un avverbio relativo (dove, ove...)
Classificazione delle frasi relative
Dal punto di vista semantico, le relative possono distinguersi in:
 ESPLICATIVE: Conferiscono una spiegazione aggiuntiva, non necessaria per completare il significato della
frase o del sintagma a cui fanno riferimento.
Esempio: “Mio cognato, che da poco è tornato single, si chiama Giulio”
 RESTRITTIVE: Conferiscono una spiegazione aggiuntiva necessaria per completare il significato della frase o
del sintagma a cui fanno riferimento.
Esempio: “Mi porteresti la borsa che ho dimenticato nel baule?”

L'uso del congiuntivo al posto dell'indicativo può dare alle proposizioni relative diverse sfumature di
significato: finale, concessivo, temporale e si parla in questi casi di RELATIVE IMPROPRIE.
Le relative improprie, dunque, sono quelle proposizioni relative che assumono la funzione di altre proposizioni
subordinate (in particolar modo, le proposizioni finali, concessive, causali e temporali).
“L’ho visto che (= quando) rientrava”  proposizione relativa che richiama una dimensione temporale quindi simile
ad una proposizione temporale.
“Beati voi che (= perchè) andate in vacanza”  proposizione relativa che richiama una motivazione, una causa,
quindi simile ad una proposizione causale
“Manderò uno che (= affinché) lo avverta”  proposizione relativa che richiama un fine, uno scopo quindi simile ad
una proposizione finale.

Relative deboli
Le relative hanno diversi modelli di costruzione in italiano, anche definite come relative deboli.
 CHE POLIVALENTE: Usato in alcuni modi di dire
Esempio: “Paese che vai usanza che trovi”
 CHE SCISSO: In cui il che è accompagnato da un pronome clitico che esprime la funzione sintattica
Esempio: “E' il vicino che ci hai parlato ieri”
 CON RIPRESA TRAMITE UN CLITICO
Esempio: “Il libro che mi hai prestato è molto interessante”
 CON DOVE NON LOCATIVO
Esempio: “E' una situazione dove mi sono trovato a disagio”

FRASE MARCATA
Le frasi marcate sono particolari frasi che vanno ad enfatizzare delle parole specifiche all'interno della frase.
Esse di distinguono dalle frasi non marcate, ossia le normali frasi che seguono l'ordine SVO: Soggetto + Verbo +
Oggetto.
In italiano, la posizione degli elementi della frase ha meno restrizioni rispetto alle altre lingue.
L'ordine basico (di base) degli elementi del nucleo, non marcato, è dato dalla sequenza SVO
(Soggetto + Verbo + Oggetto).
In italiano l'ordine basico della frase non marcata NON È OBBLIGATORIO, di conseguenza il soggetto potrebbe
anche essere anche postverbale, e questo implica che l’ordine basico dei costituenti può subire anche delle
variazioni.
[Il gatto]Soggetto [mangia]Verbo [il topo]Oggetto.  Frase non marcata che segue il normale ordine SVO.
[Il topo]Soggetto, [lo mangia]Verbo [il gatto]Oggetto.  Frase marcata che non segue il normale ordine SVO, in cui un
elemento diverso dal tema (normalmente rema/oggetto) assume la posizione di tema e dunque di soggetto.
Il sintagma nominale “Il topo” tendenzialmente è posizionato alla fine della frase come oggetto, seguendo
dunque l’ordine basico.

Tema, Rema, Focus, Dato e Nuovo


Dal punto di vista delle informazioni definiamo:
 TEMA, ciò di cui si parla. Talvolta, il tema corrisponde con l'informazione data (dato) e viene considerato
anche come il soggetto
 REMA, ciò che si dice sul tema (l'affermazione intorno al tema). Talvolta, il rema corrisponde
all'informazione nuova (nuovo) e al focus.
 FOCUS corrisponde alla parte di informazione messa in risalto all'interno di una frase.

Spostamenti nell'ordine basico dei costituenti


Spostando un elemento dall'ordine basico (SVO) si produce un cambio non solo sintattico, ma anche
semantico-informativo.
Esempio: “Enzo legge.” “Enzo” è il tema mentre “legge” è il rema  significa che Enzo legge e non fa altro all’infuori
di leggere.
“Legge Enzo.” “Legge” è il tema mentre “Enzo” è il rema  significa che a compiere l'atto di leggere è Enzo e
nessun altro all’infuori di Enzo.

Spostamento dell'ordine basico dei costituenti nel dettaglio


Per evidenziare uno dei costituenti, nel parlato si ricorre a strategie prosodiche (cambio intonazione, aumento
del tono, pause forti, allungamento dei suoni ecc..) nello scritto invece si adottano strategie sintattiche di
spostamento dell'ordine basico dei costituenti.
 I costrutti che enfatizzano un tema diverso dal soggetto prendono il nome di TEMATIZZAZIONI o
topicalizzazioni (dislocazioni, passivizzazioni ecc.)
 I costrutti che mettono in evidenza la funzione di un elemento della frase come rema o focus, prendono il
nome di FOCALIZZAZIONI.
TEMATIZZAZIONI (O TOPICALIZZAZIONI)
Nelle tematizzazioni la frase si segmenta spostando un elemento a sinistra o a destra. Potremmo dunque
parlare di frasi segmentate.
La tematizzazioni possono essere suddivise a grandi linee in tre tipologie: dislocazione a sinistra, dislocazione
a destra e costruzione a tema sospeso.

 Dislocazione a sinistra: Processo di tematizzazione, che va ad enfatizzare un elemento linguistico diverso


dal soggetto nella funzione di tema.
La dislocazione a sinistra prevede la ripresa dell'elemento linguistico dislocato attraverso un pronome
clitico con valore ANAFORICO.
[Luisa]TEMA [mangia la mela]REMA  [La mela]TEMA [la mangia, Luisa]REMA

In questo caso il rema (ossia il complemento) viene anteposto (posizionato prima) e indica il tema della
conversazione.
 Nella prima frase (“Luisa mangia la mela”): il tema della conversazione è “Luisa” che mangia la mela e non fa
altro all’infuori di mangiare la mela.
 Nella seconda frase (“La mela la mangia Luisa”) il tema della conversazione diventa “la mela” (la quale
precedentemente era il rema) che viene mangiata da Luisa e da nessuno altro all’infuori di Luisa.
Di conseguenza si è attuato un processo di tematizzazione nella quale, un elemento linguistico diverso dal
soggetto è diventato il tema, e nel caso dell’esempio, “la mela” che nella prima frase è un complemento diventa
il soggetto-tema nella seconda frase.

 Una variante della disclocazione a sinistra, è la costruzione a tema sospeso in cui l'elemento enfatizzato si
trova in posizione iniziale come componente autonomo.
Esempio di costruzione a tema sospeso: Gli asparagi, adesso non è stagione

 Dislocazione a destra: Processo di tematizzazione, che va ad enfatizzare un elemento linguistico diverso


dal soggetto nella funzione di tema. Nella dislocazione a destra, l’ordine basico non muta granché, ma
l’elemento dislocato viene ripreso da un pronome clitico con valore CATAFORICO in posizione postverbale.
[Luisa]TEMA [mangia la mela]REMA  [La mangia Luisa]REMA [la mela]TEMA

In questo caso il rema (ossia il complemento) non cambia la sua posizione ma va ad indicare ugualmente il tema
della conversazione.
Nella prima frase (“Luisa mangia la mela”): il tema della conversazione è “Luisa” che mangia la mela e non fa
altro all’infuori di mangiare la mela.
Nella seconda frase (“La mangia Luisa la mela”): il tema della conversazione è “la mela” (che nella frase
precedente era il rema) che viene mangiata da Luisa e da nessun’altro all’infuori di Luisa. In questo caso, “la
mela” si trova nella posizione tipica dell’oggetto/rema ma funge ugualmente da tema/soggetto, grazie al
pronome clitico con valore cataforico posizionato all’inizio della frase, che va a indicare la mela come
informazione successiva.

 Topicalizzazione contrastiva: Forma speciale di tematizzazione che si caratterizza nel momento in cui nella
dislocazione dell’oggetto (complemento) manchi la ripresa anaforica/cataforica con il clitico.
Si ha dunque un’anteposizione o inversione, chiamata “topicalizzazione contrastiva” che va a collocare il
rema nella posizione occupata dal tema direttamente. La topicalizzazione contrastiva mira a mettere in
rilievo un elemento nuovo e presuppone un’affermazione precedente che si intende smentire o rettificare.
Esempio: A: “Hai promesso un regalo a Piero.”
B: “No, a Maurizio ho promesso un regalo.”
“A Maurizio ho promesso un regalo”  mancanza dei clitici anaforici/cataforici.

FOCALIZZAZIONE (o REMATIZZAZIONE)
Nella focalizzazione, si va a mettere in evidenza, a enfatizzare un determinato elemento all'interno di un
frase, spostandolo dalla sua posizione naturale. Uno dei principali esempi di focalizzazione è la frase scissa.

 Frase scissa: Consiste nel mettere in evidenza un elemento frasale scindendo la frase in due parti: portando
all'inizio della frase l'elemento frasale seguito dal verbo essere, seguito e introdotto poi da una
proposizione "pseudorelativa."
Esempio di frase scissa: Luisa mangia la mela  E’ Luisa / che mangia la mela - E’ la mela / che è mangiata da
Luisa

PUNTEGGIATURA E SINTASSI
Il flusso di informazioni nello scritto viene modulato attraverso la punteggiatura (o interpunzione) che
permette di segmentare un testo scritto e di segnalare l'ordine logico della frase.
La punteggiatura è molto importante in quanto ha un'essenza fortemente comunicativa e consente la
compresione del testo da parte di chi legge.
I segni di interpunzione non svolgono solo FUNZIONI PROSODICHE ossia di indicare le pause di un testo, i suoi
rallentamenti, le accelerazioni, il ritmo in generale eccetera, ma anche FUNZIONI SINTATTICHE.
La punteggiatura svolge un fondamentale ruolo dal punto di vista sintattico-semantico in quanto aiuta a
garantire sia la coesione che la coerenza testuale, aiuta a creare relazioni logiche e sintattiche necessarie alla
continuità di senso (vedi capitolo successivo), consente la comprensione del testo da parte di chi legge,
consente di introdurre nuovi argomenti e tematiche all’interno di un testo (continuità referenziale), viene
utilizzata per legare più frasi semplici in frasi multiple (composte) (tale processo prende anche il nome di
asindeto)
In aggiunta, nei nuovi linguaggi digitali (vedi scritture digitali informali) le interpunzioni hanno assunto delle
vere e proprie FUNZIONI ESPRESSIVE, volte a creare tutta una serie di simboli (faccine) che esprimono
emozioni diverse. Anche se ad oggi, le faccine non sono più usate vastamente, in quanto sostituite dalle più
innovative e recenti emoji (o emoticon)

La virgola
Una stessa frase relativa può avere due significati diversi in base alla presenza o meno della virgola:
A. Mario non ha voluto consultare i libri che riteneva inutili = Mario non voleva consultare tutti i libri che
riteneva inutili (solo i libri che riteneva inutili)
B. Mario non ha voluto consultare i libri, che riteneva inutili = Mario non voleva consultare i libri, perchè
per lui erano inutili (i libri in generale)

La virgola può anche segnalare ellissi, cioè l'omissione di una o più parole e, in alcuni testi anche la
marcatezza, e dunque può focalizzare e dislocare elementi della frase.

TESTUALITA'
Testo (dal lat. textus -> texere = tessere (ital.))
Il testo è un atto comunicativo, esso è considerato l’unità fondamentale della comunicazione linguistica e
consiste in quella rete di collegamenti grammaticali e semantici volta a produrre informazioni e realizzare
scambi comunicativi.
Tale rete di collegamenti può estendersi:
 All'interno del testo, cioè tra le sue componenti interne verbali: parole, frasi, periodi...
 All'esterno del testo, cioè in relazione alla situazione comunicativa, sociale, culturale, cognitiva in cui il
testo è immerso
Un testo è dunque il risultato dell'interazione delle parole e delle frasi in due dimensioni fondamentali:
 COTESTO: Vala a dire, l'insieme delle parole e delle frasi intrinseche, le cui relazioni formano il testo.
 CONTESTO: Vale a dire, lo sfondo o la situazione extratestuale in cui si sviluppa il testo.
Metaforicamente, un testo può quindi essere definito come un tessuto formato dalla rete di collegamenti che si
intrecciano tra cotesto e contesto. Tant’è vero che etimologicamente, testo deriva dal latino textus, participio
passato di TEXERE = tessere.

Massime conversazionali di Grice


Ogni testo si basa su delle regole di cooperazione fondate sul buon senso, chiamate massime conversazionali
(elaborate dal filosofo inglese Grice):
1. Massima della QUALITA’: Dire cose vere
2. Massima della RELAZIONE*: Dire cose pertinenti
3. Massima della QUANTITA’: Dire cose in modo esaustivo
4. Massima del MODO*: Dire cose in modo chiaro.

Le massime conversazionali, però, non sono sempre rispettate e nello specifico, le massime non rispettate in
questione sono: la massima della relazione e la massima del modo, in quanto entrambe dipendono da fattori
aleatori come la padronanza linguistica o le capacità logico-argomentative del singolo parlante.
COERENZA E COESIONE
Quando parliamo di testo, prendiamo in considerazione due proprietà molto importanti: coerenza e coesione.
COESIONE: inseme dei legami grammaticali tra le varie parti, interne al testo
COERENZA: insieme dei collegamenti logico-semantici e della continuità di senso tra le varie parti interne al
testo (parole, frasi, periodi ecc.) senza mai dare luogo a contraddizioni e ambiguità.

Nessuna delle bellissime vedute di Venezia dipinte da


Canaletto venne presa dal vero e nessuna ritrae
fedelmente la realtà. Il grande vedutista[1] aveva un modo di
lavorare diverso dagli altri artisti della tradizione romantica
[…]. Canaletto usciva solo se il cielo era terso, in gondola
con un quaderno di «scaraboti» sottobraccio. Ø (Egli = soggetto sottinteso) Faceva
fermare la gondola dove gli pareva congeniale e senza
scendere dalla barca (dunque da un punto di vista
ribassato) Ø riprendeva a matita gli edifici davanti a lui,
annotando (in veneto) i nomi dei colori, le scritte delle
insegne dei negozi, i nomi dei proprietari dei palazzi […]
Esempio:

Il grande vedutista[1] (si riferisce a Canaletto) Coerenza: ≠ Un grande vedutista (invece ci farebbe porre la domanda: Chi?
Quale vedutista?) Coerenza: ❌
Motivazione: Utilizzando l'articolo indefinito (o indeterminativo) come specificatore, si va dunque a staccare il legame
logico e la continuità di senso con il testo, e dunque NON viene rispettata la coerenza.
Perchè l'articolo indeterminativo esprime indefinitezza e dunque un referente non noto, di cui non conosciamo l'identità.
Ma è chiaro che nel seguente testo, il referente è già noto (cioè Canaletto) poiché introdotto precedentemente.

COERENZA TESTUALE
Sia quando scriviamo o produciamo oralmente un testo, sia quando lo leggiamo o lo ascoltiamo, le
informazioni che lo compongono devono essere concatenate tra loro seguendo delle relazioni di senso e di
significato che possono manifestarsi in modo esplicito (emergere in superficie) o in modo implicito (nascoste
in profondità)

Senso vs. Significato


Senso: Il senso anche noto come significato contestuale, è quel significato che si concretizza in un preciso contesto.
Significato: Il significato è ciò che esprime il segno nel sistema lingua
Ad un significato possono corrispondere molteplici sensi.
Esempio: Finestra ha come significato: apertura in una parete, mentre il senso di "finestra", che può variare in base al
contesto, può essere:
a. in un edificio, le aperture che servono per far passare luce ed aria
b. sullo schermo di un computer, i vari riquadri.
Dunque ad un significato, possono corrispondere molteplici sensi (o significati contestuali).

La coerenza testuale è data dunque da due fattori principali:


 CONTINUITA' DI SENSO: Cioè la chiara concatenazione logica tra gli eventi descritti.
 CONTINUITA' REFERENZIALE (O TEMATICA): L'inseme delle informazioni, dei temi che si propongono e
ripropongono all'interno del testo (o più semplicemente l'insieme degli argomenti di cui si parla all'interno
del testo) e il modo in cui si posizionano.

Per far sì che un testo sia coerente concorrono inoltre numerose strutture linguistiche:
a) RAPPORTO TRA DETTO E NON DETTO (ESPLICITO VS IMPLICITO)
b) DEISSI (TEMPORALE, PERSONALE, SPAZIALE E TESTUALE)
c) COESIONE (ANAFORA: COESIVI NOMINALI E TESTUALI)
d) CONTINUITÀ TEMATICA E PROGRESSIONE TEMATICA
e) CONNETTIVI

ESPLICITO (DETTO) VS. IMPLICITO (NON DETTO)


All'interno di un testo vi possono essere strati espliciti ed impliciti.
La presenza di uno strato esplicito e/o implicito è caratteristica di ogni lingua naturale, tuttavia le due
componenti possono variare ed essere utilizzate in situazioni diverse.
Esempio: Nei linguaggi specialistici gli impliciti sono evitati, in quanto è necessaria chiarezza.
Le informazioni ESPLICITE e IMPLICITE convivono all'interno del testo.

ESPLICITO  Consiste nel testo detto


IMPLICITO  Consiste nel testo non detto silenzioso, il quale, a sua volta, corrisponde all'insieme di
informazioni che il lettore deduce da quanto legge o ascolta.
Possiamo dunque dire, a grandi linee che quando comprendiamo un testo scritto o orale abbiamo esplicitato
delle informazioni che prima erano implicite (non dette)

Gli IMPLICITI sono fondamentali nella costruzione di un testo e possiamo distinguerli in due forme:
PRESUPPOSIZIONI E IMPLICAZIONI.
 PRESUPPOSIZIONI  Informazioni indispensabili ai fini del senso che vengono presentate come vere, e che
rimangono vere pur negando la frase stessa.
(Sono quelle informazioni che vengono date per scontato all’interno del testo)
Esempio: “La capitale dello Stato italiano è Roma”
Possiamo presupporre:
1. il fatto che esista una città chiamata in questo modo: “Roma”
2. che esista uno Stato italiano
3. che uno Stato abbia una capitale.
Tali presupposizioni restano invariate anche se l'enunciato viene negato: “La capitale dello Stato Italiano NON
è Roma.”
Altro esempio: “Ieri ho cenato alle 5.”
Possiamo presupporre:
1. diamo per scontato che si tratti delle “5 di sera” e non delle “5 del mattino”
2. la cena è avvenuta alle 5, un orario insolito per cenare.

Altro esempio: “Luca ha smesso di andare a correre ogni giorno”


Possiamo presupporre:
1. Che prima Luca corresse ogni giorno

Attenzione però, le presupposizioni danno per scontato che un’informazione sia vera, ma non è detto che tali
lo siano a tutti gli effetti, dunque esse potrebbero ESSERE ANCHE FALSE.

 IMPLICAZIONI: Sono quelle informazioni non espresse esplicitamente, ma lasciate intendere, dunque
ricavabili per inferenza (ossia dedotte logicamente). Le implicazioni consistono dunque nelle relazioni
logiche tra le frasi stesse.
Esempio: “Se piove, prenderò l’ombrello”  implica che se non dovesse piovere il soggetto non prenderebbe
l’ombrello, dunque l’informazione implicita viene dedotta logicamente dalla relazione logica tra le frasi stesse.
Esempio: “E’ un bravo ragazzo, ma fa anche tantissimo sport”  implica che fare tantissimo sport sia sinonimo
di non essere “bravi ragazzi” (implicazione molto discutibile)

In conclusione, gli impliciti sono necessari nella costruzione di un testo, in quanto consentono di dare alcuni
elementi per scontati e di richiamare l'attenzione del destinatario.
Però la loro gestione deveessere molto accorta, e sopratutto deve essere commisurata alle conoscenze
dell'interlocutore, di modo che quest'ultimo non si senta nè troppo estraniato dal testo, quindi troppi impliciti,
esplicitando poco e neanche troppo esperto, pochi impliciti, esplicitando troppo.

Presupposizioni ed implicazioni nel linguaggio politico


Una piccola parentesi che possiamo aprire riguardo gli impliciti è inerente alla politica. In particolar modo, il
linguaggio politico è stracolmo di presupposizioni ed implicazioni di vario genere, volte a persuadere in modo
implicito l’ascoltatore o il lettore. Infatti, se l’ascoltatore non pone abbastanza attenzione rischia di cadere nella
trappola della presupposizione e a darla per scontato, ad esempio:
“L’Italia è più forte delle paure che l’attraversano. E l’Italia è in grado di incidere nel percorso che si apre in Europa
con molta decisione.” (cit. Renzi)
Questa espressione, se non analizzata con attenzione ci fa credere che l’Italia sia un paese invasato da paure, e che
solo con il suddetto politico sia possibile superare queste paure, riacquisendo valore anche in Europa.
La presupposizione è quindi: L’Italia è colma di paure che l’attraversano. E solo io (Renzi) posso riportarla su un
percorso privo di paure, verso l’Europa. Tale presupposizione viene captata velocemente da chi riconosce i
trucchetti retorici menzogneri usati dai politici. La presuppozione di fatto è molto discutibile e lontana dall’essere
vera, da un punto di vista critico più che “paure” infatti potremmo dire che l’Italia sia un paese ricco di corruzione
piuttosto, ma di certo non di paure.
Per chiudere la parentesi “impliciti nel linguaggio politico” è bene ricordare di scindere soprattutto negli enunciati
dei politici, la verità dell’enunciato dalla verità dell’interlocutore, in quanto non è detto che combacino sempre e
dunque non è detto che le verità presupposte come vere poi lo siano a tutti gli effetti, con risultato la violazione della
massima della qualità di Grice, che consiste nel dire cose veritiere.
La massima della qualità di Grice può essere violata sia intenzionalmente come nel caso dei trucchetti retorici dei politici o
nel caso delle menzogne, sia involontariamente come nel caso di errori o di ignoranza riguardo un argomento, come nel
caso dell’esempio sottostante.
Esempio
Contesto: Prova orale
A: Bene, signor B mi parli della Divina Commedia, illustrando innanzitutto l’autore ed il movimento letterario legato ad esso.
B: Si, dunque la Divina Commedia è stata composta da Giovanni Boccaccio, durante il ‘500 nel pieno periodo dell’Umanesimo...

Gestione delle informazioni e costruzione del testo


Per determinare quali informazioni trasmettere in modo esplicito e quali in modo implicito, si ricorre
all'enciclopedia, cioè l'insieme delle informazioni condivise dal parlante e dall'ascoltatore, e si tratta di
conoscenze ma anche credenze e aspettative, che, chi parla o chi scrive sa, o presume che siano, note e
condivise con il proprio interlocutore.
Dunque una base di conoscenze comuni, utili per cominciare un qualsiasi discorso.
Ogni testo si fonda su tale base di conoscenze comuni (a parlante e ascoltatore) e su altri fattori che prendono
il nome di domini di referenza:
 l'enciclopedia: che fa capo al sapere condiviso
 il contesto: le particolari circostanze della comunicazione (la rete di collegamenti esterna al testo)
 il cotesto: le parole e le frasi che compongono il testo (la rete di collegamenti interna al testo)
 la situazione comunicativa intertestuale (o contesto intertestuale): il momento, il luogo, i protagonisti
della comunicazione interna al testo

DEISSI
La deissi è una delle principali stutture linguistiche che aiutano a rendere un testo coerente.
Deissi (dal greco: deixis 'indicazione') è l'insieme dei riferimenti (o coordinate): spaziali, temporali, personali e
testuali che caratterizzano gli atti comunicativi (o testi).

La deissi, si avvale dei cosiddetti deittici, ossia tutta una serie di avverbi, verbi, pronomi ecc. che fanno
riferimento ad uno specifico contesto all’interno di un atto comunicativo (o testo).
Il centro deittico (origo) e le dimensioni
deittiche.
Ogni atto comunicativo (testo) ha un suo
centro deittico chiamato origo, che
normalmente coincide con il parlante e
che consiste nell’insieme delle coordinate
spazio-temporali + l'identità del
parlante. I centri deittici sono
accompagnati da numerosi deittici, come:
 AVVERBI TEMPORALI: ieri, oggi,
domani...
 AVVERBI SPAZIALI: qui, qua, lì, là...
 DIMOSTRATIVI: questo e quello
 PRONOMI PERSONALI: io e tu e le varie
forme atone.
I quali vanno a caratterizzare quattro dimensione deittiche diverse: DEISSI TEMPORALE, DEISSI SPAZIALE,
DEISSI PERSONALE e DEISSI TESTUALE.

ECCEZIONI NEI CENTRI DEITTICI: Durante gli scambi comunicativi, gli avvenimenti possono avere un piano
enunciativo diverso rispetto a quello del centro deittico, di fatto, ci possono essere espressioni che possono
indicare che l'avvenimento non è àncorato al momento o al luogo dell'enunciazione all'interno del testo.
Esempio: Nella distinzione tra discorso diretto e il discorso indiretto.
 Il discorso diretto presenta due piani enunciativi (dunque due centri deittici):
Marco mi ha chiesto1° CENTRO DEITTICO (P. ENUNCIATIVO): "Domani puoi venire qui?"2° CENTRO DEITTICO (P. ENUNCIATIVO)
 Il discorso indiretto, un solo piano enunciativo (dunque un solo centro deittico):
Marco mi ha chiesto se domani posso andare lì1° CENTRO DEITTICO (P. ENUNCIATIVO)
In base al discorso diretto o indiretto, i deittici, così come le varie strutture morfologiche e grammaticali,
subiscono un processo di adeguamento deittico e morfologico-lessicale.
Marco mi ha chiesto1"Domani puoi venire qui?"  Marco mi ha chiesto se domani posso andare lì
In questo caso possiamo osservare alcune variazioni:
 variazione del deittico spaziale (qui  lì)
 variazione del verbo predicativo (venire  andare)
 variazione della persona del verbo (seconda persona singolare  prima persona singolare)
 variazione dal punto di vista sintattico (interrogativa diretta  interrogativa indiretta)

Deissi temporale
La deissi temporale è la dimensione della deissi che va ad indicare (o a fare riferimento) alle coordinate
temporali.

Deittici temporali
La deissi temporale è caratterizzata da due diverse forme di deittici temporali:

 Deittici temporali SITUAZIONALI: ancorati al centro deittico del parlante, ossia al contesto temporale
immediato.
 Deittici temporali ANAFORICI: deittici temporali collegati ad un momento di riferimento menzionato
precedentemente all'interno del testo.
Esempio: DEITTICO SITUAZIONALE = adesso/ora (ME) <-> DEITTICO ANAFORICO = in quel momento (MR)
“Adesso vado a fare la spesa”  contesto immediato
“Ieri sono andato al cinema. In quel momento, ho visto una persona famosa.”  momento di riferimento.

Tempi verbali e deissi temporale


Anche i tempi verbali giocano un ruolo importante alla costruzione della deissi, possiamo di fatti distinguere i tempi
verbali in:
 Tempi verbali DEITTICI: (presente, passato remoto, imperfetto...) indicano azioni che avvengono in contemporanea, o
prima, o dopo il momento dell'enunciazione (ME). Nei tempi deittici il momento dell'avvenimento (MA) si pone
generalmente prima del momento dell'enunciazione (ME), ma ovviamente non sono rari i casi in cui il MA viene
posto successivamente al ME, o addirittura in contemporanea.
Esempio: Ieri sono uscito (MA  ME), Sto uscendo! (MA = ME), Domani vado al cinema (prima ME  MA)
 Tempi verbali anaforici: (trapassato remoto, futuro anteriore...) Indicano relazione temporale, inerente ad azioni già
espresse. Nei tempi anaforici viene introdotto il momento di riferimento (MR) che colloca sull'asse del tempo l'azione
già espressa dal verbo deittico.
Esempio: Quando arriverò alla stazione, il treno sarà già partito, l'ordine di successione temporale sarà: ME (azione
espressa al futuro e la sua enunciazione la precede cronologicamente) - MA (partenza del treno) - MR (arrivo alla
stazione).
Esempio: Quando sono arrivato alla stazione, il treno era già partito segue l'ordine: MA - MR - ME

Deittici fuorvianti
Il mancato rispetto dei deittici adatti, all’interno di un atto comunicativo (testo), può dare origine a messaggi
fuorvianti o spiazzanti, di seguito alcuni esempi:
 Domani si fa credito, oggi no: affermazione scherzosa, in cui l’azione di riferimento (MR) è ancorata
contestualmente (temporalmente) al momento della lettura, cioè al deittico temporale “oggi” e mai a domani,
dunque l’avvenimento diventa irrealizzabile e genera confusione nella mente del lettore. L’affermazione
scherzosa va a creare dunque un ciclo continuo che fa si che il momento dell’enunciazione sia ancorato
sempre all’oggi e mai al domani.
Domani si fa credito, oggi no  Momento dell’enunciazione (Momento della lettura ancorato al centro deittico) 
Momento di riferimento (Momento in cui dovrebbe avvenire il credito ancorato ad oggi, e non a domani) 
Momento dell’enunciazione (Momento della lettura ancorato al centro deittico)
 Torno fra un'ora: affermazione imprecisa in quanto il deittico "fra" non è ancorato al momento della lettura, ma
a quello di riferimento, vale a dire il momento in cui il messaggio è stato affisso, il quale però a chi legge è
ignoto.
In questo caso il momento della lettura non coincide con il momento dell’enunciazione.

Deissi spaziale
La deissi spaziale è la dimensione della deissi che segnala la posizione di un certo referente nello spazio
(coordinate spaziali) rispetto al parlante o al destinatario.
Deittici spaziali
La deissi spaziale è individuata in relazione ad un
altro elemento esterno oppure, allo stesso
parlante attraverso:
 Deittici di vicinanza (o prossimali): qui, qua,
ecco, questo ecc. (referente vicino)
Prendi quest’oggetto! Questo esplicita che il
parlante è vicino all’oggetto
 Deittici di distanza (o distali): là, lì, quello ecc.
(referente lontano)
Prendi quell’oggetto! Quello esplicita che il parlante è lontano dall’oggetto
Esempio: Il cane è qui.
Esempio: “Li ho trovato i libri”

Deissi personale
Negli scambi comunicativi, orali e scritti, ogni partecipante si rivolge ad un interlocutore con un allocutivo, cioè
un pronome usato per interloquire con qualcuno stabilendo il tipo di rapporto che si ritiene più appropriato alla
situazione (tu confidenziale vs lei formale)
Deittici personali
 PRONOMI PERSONALI  Sono deittici personali tutti i pronomi personali in riferimento agli interlocutori,
a condizione che essi partecipino allo scambio comunicativo: io, tu, lui/lei, noi, voi, loro.
Io e Tu = sempre deittici
Lui/Lei, Loro = deittici e anaforici/cataforici (ovvero quando sono riferiti ad individui assenti nella situazione
comunicativa ma richiamati nel corso degli scambi comunicativi).
Noi, voi = inclusivi ed esclusivi, a seconda che comprendano o meno l'interlocutore.
 AGGETTIVO PERSONALE PROPRIO  che può fare riferimento al soggetto se usato correttamente.
Esempio: Marco ha incontrato Maria a casa propria (propria = di lui) vs. *Marco ha incontrato Maria a casa sua
(sua = suscita ambiguità – a casa di lei o di lui ?)
 APPELLATIVI e SALUTI, cioè forme non meno importanti nella comunicazione interpersonale come:
Le formule d'apertura con le quali si richiama l'attenzione del nostro interlocutore e prevedono solitamente una
sequenza formata da un titolo di cortesia, ad esempio: egregio, gentile, caro, signore, signora...
 dal titolo professionale: avvocato, ingegnere, dottore, professore...
 dal titolo onorifico: Sua Maestà, Sua Eminenza, Sua Altezza...
 I saluti, sono comuni l'amichevole "ciao" e buongiono/buonasera e arrivederci e il più formale
arrivederla.

Deissi testuale
La deissi testuale è la dimensione della deissi che fa riferimento ad una parte del testo, o all’intero testo
stesso. La deissi testuale pone il testo come centro deittico.

Deittici testuali
I dettici testuali, non sono altro che una variante dei deittici temporali anaforici (trattati precedentemente
nella deissi temporale).
Mentre i deittici anaforici, però, richiamano a una singola espressione di riferimento nel testo, i deittici testuali
richiamano ad una parte intera del testo, o all'intero testo favorendo l'organizzazione delle varie parti di esso.
Esempi di deittici testuali:
[...] Nella parte precedente del testo, abbiamo parlato della Morfologia, e ancor prima nel capitolo precedente, abbiamo
introdotto la Fonetica che è fondamentale negli studi di Linguistica. [...]
Altro uso dei deittici testuali
I deittici testuali possono anche essere utilizzati per presentare un testo stesso al destinatario:
La presente disposizione è conservata in originale negli archivi informatici.

Deissi testuale vs. Coesione testuale (incapsulatori)


Attenzione però: La deissi testuale (o deissi del discorso) NON va confusa con l’anafora (coesione-incapsulatori
lessicali) in quanto, mentre la deissi testuale fa riferimento ad un entità del cotesto non ancora menzionata,
l’anafora invece fa riferimento a entità del cotesto già menzionate precedentemente.
Esempio di deissi testuale
“Nel Capitolo 2 abbiamo presentato i mammiferi. In questo capitolo parleremo dei rettili”
Nel seguente esempio, ci troviamo dinnanzi ad un deittico testuale “questo” che va far riferimento ad un nuovo
capitolo ancorato al momento dell’enunciazione, ovvero il Capitolo 3 e mai menzionato precedentemente o
successivamente.
Esempio di coesione testuale
“Nel Capitolo 2 abbiamo introdotto i mammiferi. In questo capitolo, in particolare, abbiamo introdotto le
caratteristiche dell’uomo, uno dei mammiferi più comuni sulla Terra”
(anafora: questo  “Nel capitolo 2...”)
Nel seguente esempio, ci troviamo dinnanzi ad un coesivo testuale (o incapsulatore) ossia “In questo capitolo”
che va a riprendere l’intero capitolo menzionato precedentemente nell’atto comunicativo (testo)

Valori deittici e anaforici degli aggettivi/pronomi dimostrativi


Gli aggettivi e i pronomi dimostrativi possono avere valori diversi, in base al contesto.
 Valore deittico: Questo e quello possono avere valore chiaramente deittico, per esempio in:
Esempio: Questo/quel quadro è molto caratteristico.
 Valore simbolico: Questo e quello possono avere anche valore simbolico e metaforico, ossia nella
conversazione ma anche in un registro scritto colloquiale, questo viene usato per dare un'informazione
nuova.
 Rinviare a referenti tabuizzati: Quello che spesso è deittico spaziale distale, può anche essere usato per
indicare referenti proibiti (tabuizzati)
Esempio: una di "quelle"...
 Valore anaforico/cataforico: Questo e quello possono assumere anche valore anaforico e cataforico,
quando vanno a richiamare un referente espresso da un’altra parte nel testo.
Anaforico  quando rinviano ad un referente espresso precedentemente, dunque menzionato
precedentemente nel testo.
Cataforico  quando rinviano ad un referente espresso in seguito, dunque menzionato successivamente
nel testo.

COESIONE
L’anafora
La coesione è un altro tassello fondamentale per la coerenza testuale.
Una dei principali strumenti di coesione è l’anafora, che consiste nell’insieme di tutte le connessioni
grammaticali e semantiche che si stabiliscono all'interno di un testo, tra un elemento linguistico noto come
antecedente (o punto di attacco) che viene prima e un elemento successivo che lo riprende noto come
(coesivo o ripresa anaforica o proforma).
Le connessioni grammaticali e semantiche possono essere morfosintattiche e interpuntive (come già detto in
precedenza la punteggiatura svolge un ruolo sintattico e logico-semantico molto importante, in quanto indica
le relazioni tra frasi medesime e tra porzioni più ampie di testo).

Tipi di coesivi
I coesivi possono essere di vario tipo:
 Coesivi LESSICALI: Hanno contenuto semantico ricco, aggiungono informazioni nuove, caratterizzano il
passaggio da un argomento a un altro (progressione tematica ≠ continuità tematica)
 Coesivi NON LESSICALI: Hanno scarso contenuto semantico, si limitano a garantire la coesione
grammaticale e la continuità tematica.
 Coesivi NOMINALI: Riprendono un sintagma nominale, un pronome, un aggettivo o un avverbio
 Coesivi TESTUALI: Riprendono una frase semplice, un intero periodo o una porzione di testo ancora più
ampia.
 Coesivi ANAFORICI: Coesivi che rinviano indietro nel testo
 Coesivi CATAFORICI: Coesivi che rinviano avanti nel testo. Sono molto rari, rispetto alla loro controparte
anaforica.

Catene anaforiche
La successione di più coesivi forma delle vere e proprie catene, che prendono il nome di catene anaforiche.
Le catene anaforiche sono costituite da un antecedente (= ciò che viene prima): un oggetto, una persona, un
concetto espresso nel testo e da tutta una serie di coesivi che richiamano l’antecedente, meglio noti come
riprese anaforiche.

“La Bibbia: una biblioteca scritta da migranti. Così qualche mese fa un gesuita tedesco,
Dominik Markl intitolava un suo articolo sulla rivista "Civiltà cattolica" (n. 4018).
Effettivamente si può concordare con lui che questo testo sacro [...] "è una piccola
biblioteca da portare nel bagaglio a mano, scritta da e per migranti". Non per nulla essa si
apre con una migrazione drammatica.”
Catena anaforica di “La Bibbia”: La Bibbia (ANTECEDENTE) → una biblioteca (RIPRESA ANAFORICA) → questo testo sacro
(RIPRESA ANAFORICA) → biblioteca (RIPRESA ANAFORICA) → essa (RIPRESA ANAFORICA)
Catena anaforica di “gesuìta”: Dominik Markl (ANTECEDENTE) → suo (RIPRESA ANAFORICA) → lui (RIPRESA ANAFORICA)
Catena anaforica di “migranti” (ANTECEDENTE) → migranti (RIPRESA ANAFORICA) → migrazione drammatica (RIPRESA
ANAFORICA)
Come si può notare nel seguente esempio, mentre i coesivi non lessicali si limitano a garantire la coesione
grammaticale tra le parti e la continuità tematica, i coesivi lessicali invece aggiungono informazioni nuove, ovvero il
passaggio da un argomento a un altro:
La Bibbia → una biblioteca scritta da migranti (riformulazione) = La Bibbia è un coesivo lessicale che introduce nel
testo due referenti nuovi: biblioteca e migranti.
suo → lui = "suo" è un coesivo non lessicale

Osserviamo qui di seguito un


altro esempio di catena
anaforica in una favola di
Fedro, analizzando i coesivi di
“un giovane agnello”

Esempio di coesione nominale e testuale all’interno di un testo


“Il consilium fraudis va valutato al momento della stipula del preliminare, perché, in base a quanto detto sopra,
è solo in tale momento che il terzo compie la libera scelta di stipulare il contratto.”
Nel seguente testo, possiamo ritrovare due forme di coesione, un coesivo testuale meglio noto come
incapsulatore ed un coesivo nominale. In particolar modo:
 In base a quanto detto sopra  coesivo testuale anaforico: in quanto l'antecedente è un blocco di testo citato
precedentemente
 in tale momento  coesivo nominale anaforico: in quanto il coesivo riprende un antecedente sintagma nominale
menzionato precedentemente nel testo [= al momento della stipula del preliminare]

Coesivi testuali (incapsulatori)


I coesivi testuali prendono anche il nome di incapsulatori (= coesivi testuali) e sono quegli elementi linguistici
che rimandano ad una porzione di testo più ampia.
Gli incapsulatori possono essere anaforici e/o cataforici:
 Anaforici, quando rinviano ad un informazione precedentemente menzionata nel testo.
 Cataforici, quando rinviano ad un informazione menzionata successivamente nel testo.
Esempio:
“A casa di mio fratello c’è anche mia madre”, aveva spiegato Graziano Mesina. Per la verità, l’anziana madre di
“Grazianeddu”, in questi giorni, non si è mai mossa da Orgosolo. Ed ecco la prima stranezza in questa vicenda. Ma
ne arriva subito una seconda. Proprio giovedì scorso quando è stato trasferito a Vercelli, Graziano Mesina avrebbe
dovuto presentarsi in un’aula di Tribunale a Nuoro per deporre come testimone”

Funzioni dei coesivi testuali (incapsulatori)


L'incapsulazione contribuisce alla STRUTTURAZIONE DEL TESTO da quattro punti di vista differenti:
 Punto di vista INFORMATIVO: Gli incapsulatori lessicali possono condensare un concetto in una nuova
parola, introducendo nel testo un referente testuale nuovo, ad esempio: espressioni come al riguardo o al
proposito.
 Punto di vista SINTATTICO: Gli incapsulatori lessicali possono assumere un ruolo sintattico alto, perlopiù
soggetto, assegnando all'elemento un rilievo sintattico maggiore
Esempio: Due auto si sono scontrate frontalmente sulla statale 46. Oltre alle due vittime, sono rimaste ferite
altre tre persone. Lo schianto è avvenuto intorno all'una.
 Punto di vista SEMANTICO: Gli incapsulatori lessicali possono introdurre referenti testuali portatori di
nuovi significati, che possono essere neutri/denotativi (con significato generico e referenziale) oppure
valutativi/connotativi (se esprimono una forma di giudizio).
Esempio: I democratici sono riusciti a perdere un migliaio di incarichi pubblici elettivi, tra cui una quindina di
membri del Senato, una settantina di deputati della Camera, una dozzina di governatori, e circa novecento
membri di assemblee dei singoli stati dell’Unione. Il risultato di questa débàcle [valutativo] è che i Repubblicani,
oltre ad avere il Presidente, controllano il congresso e i governi locali. Di chi è la colpa di questo trend infausto
[valutativo]? E c’è una speranza di ribaltare questa situazione [denotativo]?

Punto di vista LOGICO-SEMANTICO: All'interno del testo, le connessioni logico-semantiche che legano tra
loro le parti di un testo e caratterizzano la coerenza testuale, sono espresse dai CONNETTIVI e sopratutto
da locuzioni caratterizzate dalla presenza di incapsulatori lessicali e/o non lessicali dotati di particolari
valori logico-semantici.
Secondo il punto di vista logico semantico, gli incapsulatori possono essere suddivisi in più tipologie:
incapsulatori CAUSALI: per quello, per questo, a cuasa di...
incapsulatori CONCESSIVI: ciò nondimeno, ciò nonostante, nonostante ciò...
incapsulatori CONCLUSIVI: con ciò, con questo, per cui...
incapsulatori CONDIZIONALI: ammesso ciò, ammesso questo...
incapsulatori CONSECUTIVI: così che, così da, a tal punto che...
incapsulatori FINALI: al fine di, affinché, allo scopo di...

Coesivi nominali
I coesivi NOMINALI sono quei coesivi che rimandano ad un elemento nominale.

Forme dei coesivi NOMINALI


Dato per esempio come antecedente medicinale, potremmo richiamare questo termine tramite i seguenti
coesivi lessicali:
medicinale → medicinale (semplice 'ripetizione')
medicinale → rimedio ('pratica o preparato farmacologico con cui si combatte una malattia'. Nello specifico un
iperonimo: un termine semanticamente più ampio di medicinale)
medicinale → antipiretico ('farmaco contro la febbre'. Nello specifico un iponimo, un termine semanticamente
più ristretto di medicinale)
medicinale → farmaco (sinonimo, stesso significato di medicinale)
medicinale → sostanza dotata di virtù terapeutiche (riformulazione, un espressione più ricca semanticamente)

Accanto a queste relazioni di tipo semantico tra medicinale e il suo coesivo, sono possibili anche relazioni
basate sull'opposizione (antonimia) tra i significati[1], sulla relazione parte-tutto (meronimia)[2] e sulla
contiguità semantica (metonimia)[3]
1. medicinale → inefficace → blando → efficace/forte (in relazione agli effetti del medicinale)
2. medicinale → principio attivo, eccipiente/componenti... (in relazione alle sostanze che lo compongono)
3. medicinale → assumere, ingerire, somministrare, compressa, siringa, omeopatico, farmacia, casa farmaceutica... (in
questo caso si parla di anafora associativa perchè i termini richiamano "medicinale" attraverso rapporti di associazione
logica)
Altro esempio di anafora associativa: Mi ha riparato il computer. Nulla di grave: è bastato sbloccare la tastiera
Tastiera viene evocato da computer, in quanto in genere un computer è dotato sia di mouse che di tastiera.

Coesivi NON LESSICALI


Oltre ai coesivi LESSICALI, fondamentali per la coesione sono anche i coesivi NON LESSICALI:
 Pronomi: personali (tonici e clitici), dimostrativi, possessivi, indefiniti, relativi)
 Aggettivi: possessivi, personale: proprio
 Ellissi: omissione del soggetto o di alcune parti della frase riconducibili nel contesto della frase stessa.
Io vado a scuola  ∅ Vado a scuola

I coesivi LESSICALI ed i coesivi NON LESSICALI si alternano tra di loro nel corso del testo.

Funzioni dei coesivi NOMINALI


Analogamente a quanto spiegato per gli incapsulatori (coesivi testuali), anche i coesivi nominali contribuiscono
alla strutturazione del testo da tre punti di vista: informativo, sintattico e semantico.
 Punto di vista INFORMATIVO: I coesivi nominali sono risorse utile per tematizzare il rema, per introdurre
informazioni nuovi e per sviluppare il discorso di verso altre direzioni.
 Punto di vista SINTATTICO: La scelta dei coesivi nominali può essere provocata da ragioni sintattiche
 Punto di vista SEMANTICO: I coesivi possono caratterizzare fitte reti di relazioni semantiche. Queste ultime
contribuiscono a determinare il senso di un singolo passo o anche dell'intero testo

Coesivi forti e coesivi deboli


In base agli antecedenti, i coesivi possono essere definiti in due tipologie.

 Coesivi DEBOLI: Un coesivo si definisce debole (e semanticamente povero) quando l'antecedente ha un


ruolo alto dal punto di vista sintattico (vale a dire che è soggetto al posto di complemento ad es.),
semantico (vale a dire che per esempio è umano, oppure animato) e informativo (è dato, e non nuovo).
 Coesivi FORTI: Un coesivo si definisce forte (e semanticamente ricco) quando l'antecedente non ha un
ruolo alto.

CONTINUITA' E PROGRESSIONE TEMATICA


Ogni testo è una concatenazione di informazioni, di argomenti, che si combinano tra di loro e si susseguono
l'uno all'altro introducendone via via di nuovi.
Il testo è quindi un intreccio formato da:
1. Temi che vengono proposti e riproposti. Questo caratterizza la continuità tematica.
2. Temi che cambiano e si rinnovano dall'inizio alla fine. Questo caratterizza la progressione tematica.
CONNETTIVI
I connettivi sono avverbi, congiunzioni, preposizioni e alcuni verbi (sotto forma di locuzione) che esprimono le
relazioni tra una frase e l'altra oppure tra un periodo e l'altro.
A differenza dei coesivi, i connettivi legano tra loro le diverse porzioni di un testo e introducono nuovi
contenuti. I coesivi, al contrario, vanno ad evocare delle informazioni già menzionate precedentemente.

Funzioni dei connettivi


I connettivi esprimono tre relazioni o funzioni principali:
1. RELAZIONE LOGICO-SEMANTICA: Relativa ai rapporti di coordinazione e/o subordinazione che si
instaurano tra i segmenti del testo: temporale, causale, concessivo, condizionale, finale...
2. RELAZIONE RETORICO-TESTUALE: Relativa alla partizione interna del discorso con la segnalazione
dell'avvio di un tema (quanto a, a proposito di...), di passaggi argomentativi (ora, dunque, a questo
punto...), della conclusione (insomma, per concludere), di eventuali richiami interni per passare da una
parte all'altra del discorso (come abbiamo già visto, come dirò tra poco...)
3. RELAZIONE PRAGMATICA: Relativa all'atteggiamento assunto dal locutore nei riguardi dell'interlocutore,
sia dal punto di vista diretto cioè per quanto riguarda lo scambio interazionale, sia dal punto di vista
indiretto cioè per quanto riguarda quanto viene detto nel testo.

TESTI, GENERI, TIPOLOGIE


Requisiti di un testo
Come abbiamo già visto, coerenza e coesione sono le due proprietà per eccellenza che caratterizzano un testo.
Nello specifico però, coerenza e coesione sono solo parte integrante di un solo grande requisito, che prende il
nome di INTENZIONALITA'
 Intenzionalità: Consiste nell’atteggiamento del parlante nel voler andare a comunicare qualcosa ad un
destinatario. Ricordiamo infatti che un testo è un atto comunicativo che si sviluppa tra un emittente, ed un
ricevente.
 Accettabilità: L'accettabilità è la buona disposizione del destinatario (ricevente) a ricevere il testo, cioè a
considerarlo utile e a volerlo comprendere, indipendentemente da come esso si presenti.
 Informatività: L'informatività che riguarda la buona distribuzione all'interno del testo delle informazioni
nuove e di quelle note, dunque l'equilibrio tra detto e non detto, implicito ed esplicito.
 Situazionalità: La situazionalità consiste nella rilevanza che il testo assume in relazione al contesto
comunicativo.
 Intertestualità: L'intertestualità consiste nell'insieme dei rapporti che il testo intrattiene con altri testi
dello stesso ambito.

Generi discorsivi e tipologie testuali


Ogni testo, si inserisce in un quadro di relazioni e di prassi comunicative ben delineate all'interno di
determinate tipologie e generi.
Con genere discorsivo s'intendono le sottocategorie in cui possiamo suddividere le tipologie testuali, che però
a differenza delle tipologie, sono universali SOLO apparentemente perché possono variare da cultura a cultura,
in relazione al contenuto, allo stile ed al mezzo.

Da altra angolazione, la vasta produzione testuale può essere osservata in relazione alla finalità comunicativa
dell'emittente, e questo produce una suddivisione di tutti i possibili testi in una TIPOLOGIA TESTUALE formata
da cinque gruppi principali (vedi tipologia testuale di Werlich):
 Testi DESCRITTIVI: Descrivono qualcosa
 Testi NARRATIVI: Raccontano un fatto, una vicenda o una serie di fatti
 Testi INFORMATIVI: Trasmettono informazioni
 Testi PRESCRITTIVI: Forniscono istruzioni
 Testi ARGOMENTATIVI: Possono persuadere
Tipologia = universale
Genere = universale apparentemente poiché possono variare da cultura a cultura. Sono inoltre considerati
come una sottocategoria delle tipologie testuali.
Dunque un romanzo criminale di Agatha Christie è una tipologia di testo narrativo, di genere romanzo giallo,
thriller.

LESSICO
Segni grammaticali vs segni lessicali (grammatica vs. lessico)
Una distinzione che occorre fare prima di parlare del lessico nel dettaglio, è quella tra segni grammaticali e
segni lessicali.
Segni grammaticali: inerenti alla fonetica, morfologia e sintassi, caratterizzano un sistema chiuso, in quanto
sono limitati e non si modificano.
Segni lessicali: inerenti al lessico, caratterizzano un sistema aperto, e in teoria, espandibile all'infinito, in
quanto essi sono indefiniti ed in continua espansione.

Terminologia
LESSICO: Il lessico è l'insieme delle parole di una lingua
PAROLA: Per parola si intende un vocabolo in senso generale ed in base al contesto
TERMINE: Per termine si intende una parola con significato circoscritto
LESSEMA: Per lessema si intende la parola considerata come unità base del lessico. (Diremo dunque che il
lessico è l'insieme dei lessemi di una lingua)
LEMMA: Per lemma si intende una parola intesa come unità lessicale che caratterizza una voce del dizionario
LESSICOLOGIA: Branca della linguistica, che si occupa di studiare scientificamente il sistema lessicale di una
lingua, le relazioni tra le parole e i cambiamenti del significante e del significato nel corso del tempo.
LESSICOGRAFIA: Branca della linguistica, che rinvia a due significati:
a. la tecnica di redazione dei dizionari che si avvale della lessicologia per la definizione dei vocaboli di una
lingua o dialetto.
b. l'insieme delle opere lessicografiche (dizionari, vocabolari, glossari ecc.) che descrivono un preciso
momento storico di una lingua, o documentano i mutamenti nel corso del tempo.

Dizionario vs. Vocabolario


Le parole di una lingua vengono raggruppate all'interno dei repertori lessicografici, meglio noti come: dizionari
e vocabolari.
Sebbene, generalmente dizionario e vocabolario siano sinonimi, da un punto di vista dettagliato in realtà hanno
delle differenze.
In primo luogo, dizionario ha un significato più ampio rispetto a vocabolario.

 DIZIONARIO: Il dizionario svolge la funzione di registrare il patrimonio lessicale di una lingua, ma oltre a
ciò può anche avere anche la funzione di raccogliere studi enciclopedici che contengono nozioni di
letteratura, storia, arte eccetera.
 VOCABOLARIO: Il vocabolario può registrare il patrimonio lessicale di una lingua, ma oltre a ciò può anche
avere la funzione di indicare vocaboli appartenenti ad un certo settore o a un singolo autore. A tal
proposito, possiamo considerare "vocabolario" sinonimo di "lessico" in quanto può indicare il patrimonio
lessicale di una comunità linguistica
Esempio: vocabolario dell'italiano = lessico dell'italiano; vocabolario dantesco = lessico dantesco

Tipologie di dizionari
I dizionari possono essere distinti in varie tipologie in base alle finalità con cui sono stati concepiti.
 DIZIONARI DELL'USO: I dizionari dell'uso registrano il lessico della lingua contemporanea nel suo
funzionamento e non mancano di segnalare arcaismi, regionalismi, eccetera al fine di orientare il lettore
all'uso corretto delle parole. Il più grande dizionario dell'uso (con ben 250.000 lemmi) è il GRADIT (Grade
dizionario italiano dell'uso)
 DIZIONARI STORICI: I dizionari storici raccolgono le definizioni dei termini seguite da esempi estrapolati da
opere della tradizione letteraria italiana. Il primo grande vocabolario storico della lingua italiano fu il
Vocabolario della Crusca, redatto per la prima volta nel 1612
 DIZIONARI ETIMOLOGICI: I dizionari etimologici riportano la data di nascita di una parola, la sua etimologia,
la sua storia, e ne registrano la prima documentazione scritta. In teoria ogni parola è soggetta a
retrodatazione, cioè di anticipazione della data di ingresso in una lingua. I dizionari etimologici più
importanti sono il DELI ed il LEI.

Struttura dei dizionari


In generale, tutti i dizionari hanno delle caratteristiche strutturali comuni:
1. i sostantivi sono lemmatizzati al singolare (lemmatizzati = registrati nel dizionario)
2. gli aggettivi sono lemmatizzati al maschile singolare
3. i verbi sono registrati all'infinito
4. i vocaboli si presentano come una lista di parole, lemmi o voci o entrate. (L'insieme delle entrate di un
dizionario costituisce il lemmario, nomenclatura)
5. Tutti i vocabolari indicano la marca grammaticale della parola e usano delle abbreviazioni.

Struttura della voce


In base al dizionario, la voce può comprendere parti di informazione diverse:
Intestazione
Definizione
Marche d'uso
Fraseologia
Sottolemmi
Sinonimi e contrari

Quante parole usiamo?


Negli anni Novanta, uno studio condotto da Tullio De Mauro ed i suoi collaboratori ha constatato che il
vocabolario di base, ossia la lista di parole condivise da tutti i parlanti della comunità linguistica italiana
comprenda circa 7000 vocaboli.
Il numero include le parole usate con più frequenza dagli italiani, sia nello scritto che nel parlato.
All'interno del vocabolario di base, vengono distinte:
a. le parole fondamentali: circa 2000, comprendono preposizioni, articoli e verbi più usati
b. le parole di alta disponibilità: circa 1800, necessaria nella comunicazione, ma meno presenti delle parole
fondamentali.
c. le parole di alto uso: circa 2000, note a chi abbia un livello medio di istruzione

Altre 45.000 parole al di fuori del vocabolario di base, costituiscono il vocabolario comune e sono disponibili a
chi abbia un livello medio-alto d'istruzione.
L'insieme delle parole del vocabolario di base e del vocabolario comune formano il vocabolario corrente.
(Vocabolario di base + vocabolario comune = vocabolario corrente)

VITA DELLE PAROLE: ARCAISMI, NEOLOGISMI, OCCASIONALISMI


Le parole possono essere paragonate ad organismi viventi, che nascono, vivono, si trasformano e
scompaiono.
Queste ultime possono essere distinte in due principali tipologie:
 ARCAISMI: Sono tutta una serie di parole cadute in disuso, che non sono più impiegate nella vita
quotidiana, ma che saremmo ancora in grado di riconoscere poiché rinvenute in testi antichi, letterari.
Tra gli arcaismi, sono rinvenute anche tutta quelle serie di parole scomparse definitivamente, al punto che
quasi nessuno più ne conosce il significato (Esempio: abento = riposo)
 NEOLOGISMI: Sono tutta quelle serie di parole nuove introdotte nel lessico e che aiutano a rigenerare una
lingua. Questi ultimi si formano per RINNOVAMENTO ENDOGENO e per RINNOVAMENTO ESOGENO.
Il rinnovamento endogeno riguarda le trasformazioni interne alla lingua che forma parole nuove attraverso
i processi di derivazione e composizione.
Il rinnovamento esogeno, invece, riguarda quei termini, che introdotti sin dal Medioevo, continuano ad
arrivare dai dialetti o da altre lingue come prestiti e calchi.
 Una tipologia particolare di neologismi, sono gli OCCASIONALISMI. Ossia parole che durano per un periodo di
tempo limitato e che poi scompaiono completamente. Li troviamo spesso nel linguaggio giornalistico e politico,
con quelle parole che fanno riferimento ad un particolare politico, o movimento politico (salvinismo,
berlusconiano, craxismo ecc.)

MORFOLOGIA DERIVATIVA (o DERIVAZIONALE)


Come si formano le parole?
La formazione delle parole è argomento della morfologia lessicale, che studia i modi in cui il lessico italiano si
amplia a partire da basi lessicali, cioè attraverso parole già presenti nella nostra lingua.
(Come abbiamo già visto nei neologismi, le parole possono essere formate per rinnovamento endogeno,
ovvero attraverso tutta una serie di trasformazioni interne alla lingua legate ai processi di derivazione e
composizione.)
E' proprio grazie ad alcuni meccanismi di derivazione e di composizione, ossia la prefissazione, la suffissazione
e la composizione che l'italiano ha formato e forma ancora oggi nuovi lessemi.

Parole derivate e formazione delle parole (morfologia derivativa/derivazionale)


La derivazione è un meccanismo molto importante di formazione delle parole che permette la costruzione di
nuove parole a partire da lessemi già presenti nel lessico italiano.
La branca della linguistica che si occupa di studiare le parole derivate è la morfologia derivativa (o
derivazionale)
Le parole derivate sono formate da un morfema libero o base + morfema legato (affissi).
Ad una parola già esistente, detta appunto base, si possono derivare altre parole aggiungendo dei morfemi
legati, che prendono il nome di affissi (i quali, tra l'altro, si distinguono in suffissi e prefissi) che si posizionano
a destra (suffissi), a sinistra (prefissi) o in entrambe le posizioni (come nei verbi parasintetici).
Esempio:
base >>> fior-e >>> suffisso = SUFFISSATO
base >>> fior-aio >>> suffisso = SUFFISSATO
prefisso >>> stra-ordinario >>> base = PREFISSATO
prefisso >>>stra-potere >>> base = PREFISSATO
prefisso >>> s-cald-are >>> suffisso = PARASINTETICO
Le parole nuove che si formano con l'aggiunta di un suffisso sono chiamate "suffissati"
Le parole nuove che si formano con l'aggiunta di un prefisso sono chiamate "prefissati"

SUFFISSAZIONE
La suffissazione è quel processo di derivazione che consiste nell'aggiunta di un suffisso (affisso che viene
posizionato sulla parte destra della base lessicale) al fine di creare una parola nuova.
Molto importante: Nella suffissazione, la parola nuova formata può avere la stessa classe (o categoria
grammaticale) della base lessicale di partenza, ma può anche caratterizzare una classe (o categoria
grammaticale) totalmente diversa. Tale processo prende il nome di transcategorizzazione.
Ad esempio: fior-e (Nome) > fior-ire (Verbo)
Il sostantivo (fiore) si è trasformato nel verbo (fiorire) ed ha cambiato la sua classe (o categoria grammaticale)

Tipi di suffissati
In base al lessema da cui una parola nuova deriva, il suffissato può essere: denominale (se la base lessicale di
provenienza è un nome), deaggettivale (se la base lessicale di provenienza è un aggettivo), deverbale (se la
base lessicale di provenienza è un verbo).
Inoltre il suffissato può essere: nominale, verbale e aggettivale, a seconda se è un nome, aggettivo o verbo.
Esempio:
fior-ire = SUFFISSATO DENOMINALE VERBALE
denominale poiché la base lessicale è fior- ovvero un nome
verbale poiché la parola nuova è un verbo (voce del verbo: fiorire)

Blocco della derivazione


Nonostante il lessico sia un sistema aperto, arricchibile all'infinito, talvolta esso viene sottoposto a delle
restrizioni.
Si parla nello specifico di blocco della derivazione quando il sistema linguistico rifiuta l'entrata di parole nuove
all'interno del lessico.
Questo capita quando all'interno del lessico sono già presenti entrate con lo stesso significato, e non vi è
necessità di aggiungerne delle altre.
Esempio: *rub-ator-e (*che non esiste in italiano) a livello morfologico è una parola corretta, che potrebbe
tranquillamente entrare a far parte del vocabolario italiano, se non fosse per il fatto che una parola simile, con lo
stesso significato esista già, ovvero: ladro. Dunque non c'è alcuna necessità di introdurre *rubatore come nuova
parola e quindi entra il gioco il blocco della derivazione.
Regole di derivazione
1. L'ordine dei suffissi e dei prefissi rispetto alla base è fisso e non può mutare
2. I suffissi specificano la categoria grammaticale, dunque il suffisso -zione potrà solo dare un nome, il suffisso -
ibile solo e sempre un aggettivo
3. I suffissi indicano, spesso quale significato avrà la nuova parola derivata.
Esempio: Il suffisso -bile esprime la capacità di qualcuno o qualcosa di essere il soggetto passivo dell'azione del
verbo.
amare + ibile = amabile = che può essere amato

Rapporti di derivazione
I rapporti di derivazione possono seguire due schemi (o paradigmi)
 Paradigma di derivazione A VENTAGLIO: In cui ogni suffissato di un gruppo di parole (o famiglia di parole)
hanno in comune la stessa base lessicale (o radice)
Esempio: lavorare  lavoro, lavoratore, lavorante, lavorazione ...
 Paradigma di derivazione A CUMULO: In cui ogni nuovo suffissato diventa la base per una trasformazione
successiva.
Esempio: forma  formale  formalizzare  formalizzazione
*In alcuni casi una stessa famiglia di parole può avere sia una derivazione sia a ventaglio, sia a cumulo.

Suffissi più produttivi in italiano


I suffissi più produttivi in italiano sono quelli che caratterizzano verbi, nomi d’agente, e nomi d’azione.

VERBI:
Nel passaggio nome > verbo/aggettivo > verbo sono tre le desinenze con cui l’italiano forma l’infinito:
-are, -ere, -ire.
Per quanto riguarda i verbi, la desinenza (suffisso) -are è una delle più importanti, in quanto raccoglie tutti i
verbi della prima coniugazione (mangiare, parlare, comprare...) ed è MOLTO produttiva, di fatto permette la
formazione di numerosi verbi denominali (V provenienti da un base lessicale che è un nome) e deaggettivali (V
provenienti da un base lessicale che è un aggettivo)
Esempio: affezione (N) > affezion-are (V), clone (N) > clon-are (V), calmo (Agg) > calm-are (V), sporco (Agg) > sporc-
are (Agg).
 Molto produttiva anche nella formazione di neologismi a partire da prestiti da altre lingue:
Esempio: click > clicc-are, link > link-are
 Fanno parte dei suffissati in -are anche le varianti: -iare, -eggiare, -izzare, -ificare e gli alterativi -acchiare,
-icchiare, -ucchiare. Anche se più propriamente gli ultimi sono chiamati “infissi” ovvero quei morfemi legati
(affissi) che si posizionano a metà tra la base lessicale e la desinenza.
Esempio: ridacchiare > rid-acchi-are (-acchi- = infisso)

La desinenza (suffisso) -ere non è più produttiva in italiano, ma rimane comunque fondamentale per marcare i
verbi della seconda coniugazione (dovere, potere, avere...).
La desinenza (suffisso) -ire è produttiva solo nella formazione dei verbi parasintetici
NOMI D’AGENTE:
I suffissi danno tutti come derivato un nome d’azione, ma può anche capitare che da una stessa parola siano
derivati due suffissati con significati diversi.
Esempio: perturbare > perturbazione / perturbamento
Perturbazione e perturbamento sono una coppia di suffissati originata da perturbare, tuttavia NON SONO
INTERSCAMBIABILI. Non possiamo dire perturbamento atmosferico, così come non potremmo dire
perturbazione sociale.

NOMI D’AZIONE:
I suffissi più produttivi per i nomi d’agente. I nomi d’agente sono quelle parole derivate che designano colui
che compie un’azione.
Essi sono: -tore e -trice (che derivano sempre suffissati nominali deverbali) e la coppia -aio e -ista (che
derivano sempre suffissati nominali denominali)
Esempio: Ricercare > ricercatore / ricercatrice
Fumare > fumatore / fumatrice
Fiore > Fioraio
Forno > Fornaio
Arte > Artista

CASO PARTICOLARE DELLA SUFFISSAZIONE: Alterazione


L'alterazione è un particolare tipo di suffissazione in cui non vi è passaggio da una parte del discorso ad
un'altra, per cui la categoria grammaticale (o classe) rimane la stessa.
I suffissi alterativi vanno a modificare il significato del lessema nella misura. Di conseguenza vengono distinti
due tipologie di suffissi alterati:
Suffissi alterativi accrescivi: che aumentano la misura di qualcosa (Esempio: libro > librone)
Il suffisso accrescitivo più produttivo è -one/-ona
Suffissi alterativi diminutivi: che diminuiscono la misura di qualcosa (Esempio: casa > casetta)
Il suffisso diminutivo più produttivo è -ino/-ina

Vezzeggiativi e peggiorativi
I suffissi alterativi possono anche modificare il significato della base nella qualità e nel valore, dando origine ad
alterati vezzeggiattivi e peggiorativi.

 VEZZEGGIATIVI: Prevale il valore della simpatia e dell'apprezzamento per ciò di cui si parla
Esempio: bello > bellino, bocca > boccuccia
I vezzeggiativi hanno gli stessi suffissi dei diminutivi ai quali si aggiunge una connotazione affettiva.

 PEGGIORATIVI: Prevale il disprezzo. I peggiorativi sono formati dai suffissi -accio e -astro.
Esempio: bocca > boccaccia, tempo > tempaccio
*I peggiorativi con *astro si sono tra l'altro lessicalizzati, ossia hanno formato parole nuove e autonome (Esempio:
figliastro, fratellastro, sorellastra ecc.)

Alterati verbali, veri e falsi


 Verbali: Gli alterati verbali sono quegli alterati in cui l'alterazione dà alla parola nuova, una nuova
connotazione.
 Alterati veri: Gli alterati veri sono quelli visti fin'ora (accrescitivi, diminutivi, vezzeggiativi e peggiorativi)
 Alterati falsi: Gli alterati falsi sono quelle parole che si sono allontanate dal significato acquisito con
l'alterazione e si sono lessicalizzate, assumendo un significato proprio.
Esempio: mascherina, non è più solo piccola maschera ma anche un dispositivo utilizzato dai medici per filtrare
il respiro.

PREFISSAZIONE
La prefissazione è quel processo di derivazione che consiste nell'aggiunta di un prefisso (affisso che viene
posizionato sulla parte sinistra della base lessicale) al fine di creare una parola nuova.
Molto importante: A differenza della suffissazione, attraverso la prefissazione, i prefissati mantengono sempre
la loro classe (o categoria grammaticale)
Esempio: coerente (Agg) > in-coerente (Agg)
legittimazione (N) > de-legittimazione (N)
*Eccezion fatta solo per i verbi parasintetici e i prefissi anti- e inter- che possono cambiare la classe (o categoria
grammaticale) caratterizzando aggettivi.
*Alcuni prefissi inoltre sono diventati autonomi (es. super, ex)
Esempio:
Abbiamo trascorso una serata super
Ho incontrato la mia ex

Prefissoidi e suffissoidi
Prefissoidi e suffissoidi sono parole che a differenza dei prefissi e dei suffissi sono dotate di un significato
lessicale autonomo e riconoscibile.
Sono generalmente di origine greco-latina, e per la loro natura, possono essere considerati come parole
composte (nello specifico: composti neoclassici a seguito della provenienza greco-latina)
Esempio: olig-archia, anti-vento, auto-analisi, geo-metria

Verbi parasintetici
I verbi parasintetici sono quei verbi in cui alla base della parola (nome, aggettivo, avverbio) è aggiunto sia un
prefisso, sia un suffisso.
Esempio:
briciola > s-briciol-are
caldo > s-cald-are
brutto > im-brutt-ire

COMPOSIZIONE E PAROLE COMPOSTE


La composizione, come la derivazione, è un processo di formazione lessicale molto importante che permette
la creazione di parole nuove chiamate composti, a partire da basi lessicali già presenti nel lessico.
I composti sono formati da due parole libere, delle quali: una di esse costituisce la testa (o determinato), ossia
l'elemento di cui si specifica qualcosa e che va a determinare l'intera classe grammaticale del composto, ed è in
genere posizionato a sinistra; l'altra parola invece costituisce il modificatore (o determinante), ossia l'elemento
che specifica la testa e ne modifica il significato, ed è in genere posizionato a destra.
I composti più comuni sono i composti: TESTA-MODIFICATORE
Esempio: pastasciutta (pasta-asciutta)
pasta è la testa
asciutta è il modificatore
Ma altrettanto comuni sono diventati i composti: MODIFICATORE-TESTA provenienti sopratutto dai modelli
inglesi e tedeschi.
Esempio: calciomercato (calcio-mercato)
calcio è il modificatore
mercato è la testa
I composti possono essere scritti: uniti e separati da un trattino (o da uno spazio)

Come distinguere la testa dal modificatore?


Per distinguere la testa dal modificatore dei composti, nel caso dei composti TESTA-MODIFICATORE basta
osservare la categoria grammaticale, in quanto la testa determina la categoria grammaticale dell'intero
composto.
Ma in caso di composti NOME+NOME (esempio: capostazione) bisognerà considerare i tratti sintattico-
semantici, e ragioneremo dunque in questo modo:
capostazione è un nome animato maschile e tra le due forme libere che lo compongono (capo e stazione)
quella che rappresenta un nome animato maschile è capo, dunque capo è la testa.

Forme libere e forme non libere


I costituenti dei composti possono caratterizzare forme libere (esempio: lavastoviglie) ma anche forme non
libere (esempio: antropofago)
Nel primo caso, lava e stoviglie sono parole autonome e dunque forme libere, ma questo non vale nel
secondo caso, poiché antropo e fago non sono per nulla parole autonome e dunque forme non libere. Le
forme non libere sono dunque tutta una serie di elementi che si trovano nei composti solo in relazione con
altre forme non libere.

Composti endocentri ed esocentrici


I composti endocentrici sono quei composti in cui la testa si trova all'interno del composto stesso.
I composti esocentrici sono quei composti in cui la testa non è presente, ma va sottintesa.

Composti coordinativi e subordinativi


I composti coordinativi si hanno quando i due elementi del composto hanno ugual peso nella formazione di
esso, cioè ci sono due teste (sono anche conosciuti come dvandva)
Esempio: divano letto, cassapanca
I composti subordinativi sono quei composti in cui il modificatore è subordinato alla testa
Esempio: carro attrezzi
ALTRI PROCESSI DI FORMAZIONE DELLE PAROLE
Oltre alla derivazione e alla composizione, l'italiano forma parole anche con sigle e acronimi, abbreviazioni e
retroinformazioni, e per conversione.

SIGLE: Le sigle sono formate dall'unione delle iniziali di una serie di termini, italiani o stranieri, che possono
essere usate come parole autonome quando seguite da un articolo.
Esempio: ASL = Azienda Sanitaria Locale >>> Sono andato all'ASL.

ACRONIMI: Gli acronimi sono le parole autonome che risultano dalla pronuncia delle sigle.
Esempio: FIAT = Fabbrica Italiana Automobili Torino
In alcuni casi, gli acronimi creano parole di senso compiuto e facilmente pronunciabili Esempio: PRESTO
(Preservation Technology), MONICA (Multinational Monitoring of Trends and Determinants in Cardiovascular
Disease)

ACCORCIAMENTI (Shortening): Gli accorciamenti sono un processo di riduzione delle parole molto frequente
in italiano che interessa formazioni sia endogene (auto, bici, tele) sia esogene (app, demo, info dall'inglese)

RETROFORMAZIONE (Back-formation): La retroformazione è quel processo che consiste nel formare nuovi
lessemi a partire da lessemi considerati erroneamente come derivati.
Esempio: In molti credevano che il sostantivo correlazione provenisse dal verbo correlare.
Ma in realtà è il processo inverso, in quanto il verbo correlare non esisteva, e proviene di fatto da correlazione
CORRELAZIONE > CORRELARE
Potremmo dunque dire che la retroformazione sia il processo inverso della derivazione.

CONVERSIONE (o DERIVAZIONE ZERO) (Zero Derivation): La conversione (o derivazione zero) consiste nella
creazione di nuove parole attraverso il cambiamento della funzione grammaticale di un lessema, senza mutare
la sua forma.
vuoto (Aggettivo)  il vuoto (Nome)

PAROLE MACEDONIA (Portmanteau words – Blending): Le parole macedonia sono quelle parole formate
dall'unione di due o più parole in cui una di esse viene accorciata.
Esempio: cantautore = cant[ante] + autore

Italiano regionale di Roma, Milano e Napoli


Come già introdotto precedentemente, per italiano regionale si intende quella varietà diatopica di italiano che
ha subìto forte influenza dal continuum con i dialetti e dalle parlate locali, portando dunque numerosi termini e
locuzioni provenienti dai dialetti e dalle parlate locali, all’interno del lessico dell’italiano standard (o neo-
standard).
A differenza dell’italiano popolare infatti, il quale è definito un’interlingua (in glottodidattica consiste in una
lingua poco acquisita o varietà di apprendimento) parlata prevalentemente da parlanti poco istruiti o
analfabeti, l’italiano regionale invece è di uso anche in persone colte, o di un certo livello sociale.
Nello specifico, l’aggettivo “regionale” non fa riferimento alle vénti regioni amministrative dell’Italia, bensì per
regionale si intende, in questo caso, un’area di territorio del suolo italiano che può essere una città, una
provincia o un capoluogo specifico, dunque regionale va inteso come sinonimo di locale.
Esempi di italiani regionali presenti in Italia sono l’Italiano di Roma, di Milano e di Napoli.

Italiano di ROMA
L’italiano regionale di Roma, è una varietà regionale che ha acquisito molto prestigio nel corso degli anni,
entrando a far parte della comunicazione politica, televisiva e cinematografica
Punto di vista FONOLOGICO
 pronuncia di e e o (vocali medie) diversa dallo standard fiorentino
 monottongamento (riduzione) di [wɔ]
Esempio: buòno [‘bwɔno]  *bòno [‘bɔno]
 tendenza al raddoppiamento di alcune consonanti (occlusiva bilabiale e affricata postalveolare sonora in
posizione intervocalica)
Esempio: sabato [‘sabato]  *sabbato [‘sabbato] – ragione [ra’ʤone]  *raggione [raʤ’ʤone]
 forme con apocope (apocope = fenomeno di riduzione che consiste nell’eliminazione di alcuni fonemi nella
parte finale di una parola) si caratterizzano nell’infinito di alcuni verbi, nei titoli e nei nomi propri
Esempio: vedere  vedé / véde – Alessandro  Alessà – professore  professó

Punto di vista MORFOSINTATTICO


 te soggetto
 uso del prefisso “a-” intensivo (in particolare davanti al prefisso iterativo -ri)
Esempio: Arieccolo! Aridaje! (dialettale)
 uso di suffissi come -aro (per i nomi d’agente) e -one (per nomi deverbali)
Esempio: cravattaro (= strozzino) – palazzinaro (= costruttore di palazzine)
 stare + infinito (comune la struttura con stare a + infinito apocopato con aspetto progressivo che
corrisponderebbe alla perifrasi verbale stare + gerundio)
Esempio: Che cosa stai facendo? (italiano standard)  Che stai a fa’? (italiano di Roma)

Punto di vista PRAGMATICO


 segnale discorsivo “Ve’?” (= Vero?)
 esclamazione “ammazza!”
 interiezioni “Ahó!” e “Boh!”

Punto di vista LESSICALE


 regionalismi (tutta quelle serie di parole provenienti da parlate locali che hanno subito un processo di
adattamento fonologico e lessicale nell’italiano standard): capoccia (= testa), rosicare (= provare invidia), cinta (=
cintura)
 locuzioni: dritto per dritto, è capace che (in cui capace non esprime abilità ma possibilità) ecc.
 espressioni: menare (= picchiare) – Non ce ne pò fregà de meno italianizzata in Non ce ne può fregare di meno
ecc.

Italiano di MILANO
Punto di vista FONOLOGICO
 pronuncia di e e o (vocali medie): la e tonica finale di sillaba si pronuncia perlopiù chiusa (ɛ) e non aperta ma ci
sono comunque delle oscillazioni d’uso
Esempio: bène [‘bene]  béne [‘bɛne]
 In altri casi si pronuncia aperta la e tonica di alcune parole in cui dovrebbe essere chiusa (ɛ)
Esempio: fréddo [‘frɛddo]  frèddo [‘freddo]
 Stesso discorso vale per la vocale media o tonica che in alcune parole può essere pronunciata aperta (ɔ)
anzichè chiusa, ed in altre chiusa anzichè aperta (ɔ)
 abbreviazione (scempiamento) delle consonanti doppie
Esempio: aglio [‘aʎʎo]  [‘aʎo]
 assenza di raddoppiamento fonosintattico
Esempio: a casa [ak’kasa]  [a ‘kasa]

Punto di vista MORFOSINTATTICO


 uso dell’articolo davanti ai nomi propri
Esempio: il Paolo, la Gina ecc.
 uso di frasi scisse interrogative
Esempio: Cos’è che ha detto?
 così / con + preposizione
Esempio: Ti portano piatti con su una lunga foglia e sopra il sushi

Punto di vista PRAGMATICO


 mai che + presente congiuntivo o indicativo (in funzione polemica di desiderio)
Esempio: Mai che mi porti al ristorante

Punto di vista LESSICALE


 Uso di cosa con significato di Perché
 Appena con significato di soltanto
 Locuzioni e parole d’uso regionale: stortare (= torcere), avere un bel dire, bel fare ecc. (= dire, fare inutilmente)

Italiano di NAPOLI
Punto di vista FONOLOGICO
 chiusura delle vocali toniche nei dittonghi uò [wɔ] e iè [jɛ]
Esempio: buòno [‘bwɔno]  buóno [‘bwono] – piède [‘pjɛde]  piéde [‘pjede]
 pronuncia aperta di vocali toniche
 pronuncia della -i- dopo la affricata postalveolare sorda [ʧ]
Esempio: cièlo [‘ʧɛlo]  ciélo [‘ʧjelo]
 Raddoppiamento di consonanti intervocaliche e ad inizio di parola
Esempio: subìto  [sub’bito]
 Fricativizzazione dell’affricata postalveolare sorda [ʧ]
Esempio: piace [‘pjaʧe]  [pjaʃe]
 Apocope (caduta della sillaba finale) negli allocutivi
Esempio: Antonio  Antò; professore  professó eccetera
 Palatalizzazione della fricativa alveolare davanti a velare o bilabiale
Esempio: scùsa [s’kuza]  [‘ʃkuza] – spésa [s’pesa]  [‘ʃpeza]

Punto di vista MORFOSINTATTICO


 Nomi femminili trattati come maschili o viceversa (anche noti come ‘metaplasmi di genere’)
Esempio: scatola (f. sing.)  scatolo (m. sing.)
 Uso del congiuntivo imperfetto al posto del presente congiuntivo nelle esortazioni
Esempio: Venisse al posto di “Venga”
 Produttività nei suffissi -illo -ella adoperati per dare una connotazione affettiva alle parole
 Anteposizione di “stesso” come avverbio (Esempio: L’ho fatto stesso oggi...)
 Accusativo preposizionale (Esempio: Hai visto a Fabio?)
 Anteposizione a tema del pronome dimostrativo “Quello” (Esempio: Quello Giovanni ha detto che non c’era il
salumiere)
 Gerundio proposizionale
Esempio: L’ho trovato giocando (= mentre giocava)

Punto di vista PRAGMATICO (situazione comunicativa reale)


 “Voi” utilizzato al posto del “Lei” come allocutivo di cortesia e di distanza
 Interiezioni come: “Azz!” “Uh anema!” o “Uà” (forma abb. di Uh anema)
 Locuzioni come: “Non mi dire niente” (= Non volermene male) – “Ti trovi?” (utilizzata alla fine di enunciato sia
per richiamare l’attenzione del destinatario, sia per assicurarsi che il destinatario abbia compreso ciò di cui si
parlava).
Punto di vista LESSICALE
 Regionalismi:
bell’e buono (= improvvisamente); chiatto, chiattone (= grasso, obeso); chiavica (= persona pessima); fare una
tarantella (= discutere, litigare); faticare (= lavorare, da cui deriva anche fatica, ossia lavoro); pigliare una nziria
(= avere una fissazione, un capriccio) eccetera.
 Altri regionalismi:
sereticcio (= secco, stantio); fare i servizi (= fare le pulizie, sbrigare le faccende domestiche); capata (= cosa
straordinaria, in espressioni come “Che capata!”); chiattillo (= fichetto, figlio di papà); pariare (= divertirsi)
eccetera.
 Regionalismi condivisi con l’area centro-sud:
arronzare (= fare qualcosa di fretta e male); boccaccio (= recipiente di vetro per la conservazione di alimenti)
eccetera

ITALIANO e DIALETTI ITALOROMANZI = CONTINUUM

Il repertorio linguistico italiano è caratterizzato da TRE PRINCIPALI VARIETÀ LINGUISTICHE

1. ITALIANO STANDARD (Lingua neutra)  Varietà di massimo prestigio usata in contesti educativi,
accademici. Proviene dal fiorentino letterario trecentesco (toscano, lingua usata da scrittori come Dante
Alighieri, Giovanni Boccaccio Francesco Petrarca), approvata come lingua unitaria degli italiani.
2. ITALIANO REGIONALE  Varietà diatopica dell’italiano che ha subito l’influenza dei dialetti. L’aggettivo
regionale non è legato alle vénti regioni amministrative dell’Italia, ma viene usato come sinonimo di
“locale”, dunque un italiano regionale, può essere anche legato ad una singola città (vedi Italiano di Roma,
Napoli e Milano)
3. ITALIANO POPOLARE  Varietà diastratica dell’italiano che dipende dal livello educativo dei parlanti.
L’italiano popolare viene parlato dai semicolti (ossia quegli individui che non hanno raggiunto un livello di
istruzione adatto a poter parlare la lingua italiana come si deve). L’italiano popolare presenta numerose
interferenze con i dialetti. Viene considerato, in glottodidattica - un’interlingua - ossia una varietà di
apprendimento della lingua base che però non è stato finalizzato e dunque stracolmo di lacune, che
vengono colmate dall’uso di dialettismi. A differenza dell’italiano regionale, che viene usato anche da
persone con un certo bagaglio culturale (colti), l’italiano popolare viene usato esclusivamente da coloro
che, al contrario, non hanno raggiunto un livello di istruzione adeguato (semicolti e/o analfabeti)

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