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PERCORSO STORICO
Prima di studiare la lingua italiana nel dettaglio, occorre fare un preambolo sul come l’italiano sia nato e come
si sia evoluto nel corso del tempo, dal punto di vista storico.
Le lingue naturali (come l’italiano, inglese, francese ecc.) subiscono nel corso del tempo un gran numero di
mutazioni o variazioni, che sono oggetto di studio della diacronìa (= la dimensione di variazione che si occupa
di studiare la variazione linguistica nel corso del tempo).
Per studiare una lingua naturale, la diacronìa va ad analizzare una lingua sia da una prospettiva interna sia da
una prospettiva esterna. La prospettiva interna riguarda tutta quella serie di fenomeni interni alla lingua, come
ad esempio tutta quella serie di mutazioni fonologiche, morfologiche, sintattiche e lessicali (linguistiche) e gli
studiosi la definiscono anche STORIA LINGUISTICA INTERNA. La prospettiva esterna, invece, riguarda tutta
quelle serie di fenomeni esterni alla lingua come il contesto sociale, contesto politico, contesto storico e
dunque tutta quelle serie di avvenimenti esterni (extralinguistici) e gli studiosi la definiscono anche STORIA
LINGUISTICA ESTERNA.
Italiano e latino
“L’italiano è una lingua che deriva dal latino.” quest’affermazione - molto comune - per alcuni studiosi è
ritenuta errata, per quanto riguarda il verbo derivare. Questo perchè l’italiano, de facto, non è nato
direttamente dal latino, ma al contrario da un lento processo di trasformazione ed evoluzione subìto dal latino
stesso.
Dunque, italiano e latino secondo alcuni studiosi non andrebbero considerate come due lingue separate
nettamente.
Le lingue, di base, non vanno considerate come dei monoliti, dunque come singoli blocchi di pietra, ma come
un’insieme di varietà linguistiche, e dunque come insiemi di blocchi che si sovrappongono l’uno con l’altro e
che sono diversi, l’uno dall’altro.
Il latino studiato, ad oggi, nelle scuole è il LATINO CLASSICO ossia il latino dei grandi autori come Ovidio,
Virgilio, Orazio eccetera.
La definizione di “classico” è una definizione antica attribuibile ad Aulo Gelio, scrittore e giurista del III secolo d.C. che
definì le testimonianze letterarie di un certo calibro, ossia di un livello alto - con autori che avevano scritto con un latino
elegante e suggestivo - come “classici” ossia come scrittori di prima classe, che gli altri scrittori di livello inferiore potevano
usare come modello di riferimento.
Ma alla base del fiorentino letterario trecentesco e dunque dell’italiano, NON c’è il latino classico, ma bensì il
LATINO VOLGARE, ossia quella forma di latino usata nell’oralità, nella conversazione e dunque
prevalentemente orale (a differenza del l. classico che era prevalentemente scritto) e soprattutto caratterizzato
da tratti di una specifica area geografica.
L’aggettivo volgare, è usato in modo improprio inoltre, in quanto questa forma di latino non era solo parlata
dal volgo, ossia dal popolo non colto ma, da tutte le classi sociali.
A differenza però del latino classico, non è facile andare a ricostruire tutta quella serie di tratti linguistici e
oscillazioni di uso che hanno caratterizzato quest’ultimo. Largamente, diremmo che il latino volgare non era
solo il latino parlato dal volgo, ma per latino volgare si intende tutta quella serie di varietà del latino parlato
(noti anche come volgari) che erano parlate da quasi tutte le classi sociali.
Da questo insieme di varietà del latino parlato sono nate successivamente tutta quella serie di LINGUE
NEOLATINE (O ROMANZE) come l’italiano, il francese, lo spagnolo eccetera.
“Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti
Benedicti” (Capua, marzo 960 d.C.)
Traduzione: “So che quelle terre, entro quei confini che qui sono contenuti, le posseddette per trent’anni la parte di San
Benedetto”
Per molti dunque il Placito capuano sancisce l’atto di nascita, per così dire, della lingua italiana, ma per molti
studiosi in realtà sia quest’affermazione che quella di “prima testimonianza scritta del volgare” sono fuorvianti.
Questo perché, in nessuno dei territori della dominazione romana, la frammentazione del latino aveva dato
vita ad un SOLO volgare, anzi come noi sappiamo sono molte le varietà di volgare che si sono sviluppate subito
dopo la frammentazione del latino. Il Placito capuano mostra delle caratteristiche tipiche di un volgare centro-
meridionale e dunque, pur essendo il primo documento scritto in “uno dei volgari” non può essere considerato
a tutti gli effetti la base della nostra lingua, proprio a seguito della numerosa varietà di volgari formatosi dopo
la frammentazione del latino.
FONETICA
SISTEMA FONETICO ITALIANO
L'italiano standard possiede un sistema fonetico (di suoni) di media complessità costituito da:
7 foni VOCALICI (rispetto ai dodici dell'inglese, o i sedici del francese)
23 foni CONSONANTICI (21 foni consonantici e 2 foni semiconsonantici)
In italiano abbiamo dunque 30 fonemi in totale
Foni vs. lettere (o grafemi)
Il fono è l'unità minima in cui possiamo suddividere la parola nel suo sviluppo orale.
La lettera (o grafema) è invece l'unità minima in cui possiamo suddividere la parola nel suo sviluppo
grafico (scritto).
Un concetto molto importante da tenere a mente, è che la scrittura è nata sempre dopo l'oralità. Le lingue,
storicamente parlando, hanno sempre avuto dapprima uno sviluppo orale, e poi successivamente uno sviluppo
scritto.
Rispetto ai fonemi, i grafemi in italiano sono 21 (26, se considerassimo anche i grafemi stranieri K, Y, J, X e W).
Di questi 21: 16 sono consonanti e 5 sono vocali.
Scrittura alfabetica e corrispondenza non biunivoca tra lettere e suoni.
L'italiano è un sistema a scrittura alfabetica, vale a dire, che in linea di massima la forma grafica della lingua
corrisponde a quella sonora, cioè le lettere non sono altro che la rappresentazione scritta dei suoni (foni).
Ciononostante, la corrispondenza tra foni e lettere non è sempre biunivoca in italiano, e sono molto comuni i
casi di corrispondenze non biunivoche, in cui due o più foni vengono rappresentati graficamente con una
singola lettera (gatto-gelato), oppure casi in cui un singolo fono venga scritto in modi diversi (in parole come:
cuore, chiave, quadro e kayak).
Il mezzo attraverso il quale è possibile eseguire le trascrizioni fonetiche è l'IPA (acronimo di International
Phonetic Alphabet) ovvero un alfabeto fonetico universale valido per tutte le lingue.
VOCALI VS. CONSONANTI
I due principali foni che caratterizzano il sistema fonetico italiano sono vocali e consonanti.
La differenza tra i due vige nel modo in cui il nostro apparato fonatorio li produce:
VOCALI: Sono prodotte dalla vibrazione delle pliche vocali (erroneamente note come corde vocali)
all'interno della laringe. Tale vibrazione viene poi accompagnata dai movimenti di alcuni organi articolatori
come la lingua, le labbra ed il palato molle. Le vocali sono prodotte senza alcuna ostruzione del flusso
d'aria.
CONSONANTI: Le consonanti sono prodotte da ostruzioni del flusso d'aria. (A differenza delle vocali)
SISTEMA CONSONANTICO
Come già accennato, le consonanti a differenza delle vocali sono articolate attraverso l'ostruzione del flusso
d'aria.
Dunque possiamo classificare le consonanti attraverso tre caratteristiche:
1. In base al tipo di ostruzione che viene a formarsi, il modo di articolazione
2. In base al punto dell'apparato fonatorio che viene coinvolto, il luogo di articolazione
3. Se è presente (oppure no) la vibrazione delle pliche vocali, dunque se la consonante è sonora o sorda.
*Le consonanti possono essere sonore oppure sorde a seconda che vi sia o meno vibrazione delle pliche vocali.
LE SILLABE
Le sillabe sono la minima combinazioni di fonemi - Intese come "unità pronunciabili" - che formano la base
fonica delle parole.
Struttura delle sillabe
Esse sono costituite dalla combinazione di una vocale, considerata picco sonoro o nucleo, al quale, si
appoggiano poi consonanti e/o semivocali.
Ogni sillaba è formata da: almeno una e non più di una vocale e da un certo numero (da zero a qualche unità)
di consonanti (o semivocali).
Le sillabe possono essere costituite da una sola vocale, questo però non si applica alle consonanti.
Più tecnicamente in una sillaba, la parte iniziale è detta attacco mentre la parte finale, è detta coda. Nucleo e
coda formano la rima.
Esempio: Nella struttura canonica (CVC della parola ['kanto] della sillaba kan).
[k] è l'attacco, [a] è il nucleo e [n] è la coda.
Le sillabe, in base all'unione/combinazione di vocali e consonanti vanno a costituire strutture diverse, quelle
che troviamo in italiano sono: CV, V, CCV, CVC, CCCV. Dove C sta per consonante e V per vocale]
Dittonghi e trittonghi
I fonemi possono combinarsi in modo tale da formare sillabe a sè stanti, tali sillabe prendono il nome di
dittonghi e trittonghi.
Dittongo: Si forma quando c'è la combinazione di un'approssimante (semivocale) con una vocale. Il dittongo
può essere ascendente e/o discendente.
Ascendente: Quando in una sillaba si ha prima l'approssimante e poi la vocale (Es. pieno / pie-no /
['pje:no])
Discendente: Quando in una sillaba si ha prima la vocale e poi l'approssimante (Es. causa / cau-sa /
['kauza]) Trittongo: Trittongo si forma quando c'è la combinazione di due approssimanti con una
vocale. (Es. aiuola / ai-uo-la / [a'jwo:la])
Lunghezza vocalica
La lunghezza delle vocali è regolata da un meccanismo automatico che:
Le vocali toniche sono sempre lunghe, se si trovano in sillaba aperta (sillaba che termina per vocale).
Esempio: rà/na → ['ra:na] - rà è una sillaba tonica, ed è aperta perchè termina per vocale, dunque la
vocale tonica à viene allungata ['ra:]
Esempio: pà/la → ['pa:la] - pà è sillaba tonica aperta poichè termine per vocale, dunque la vocale
tonica viene allungata.
Le vocali toniche rimangono brevi, quando la sillaba tonica è una sillaba chiusa (sillaba che termina per
consonante) e quando la vocale tonica è in posizione finale di parola, nelle parole tronche.
Esempio: pàl/la → ['pal:a] o ['palla] - pàl è una sillaba tonica chiusa poichè termina per consonante, e
dunque non può essere allungata.
Esempio: at/ti/vi/tà → [attivi'ta]
Lunghezza consonantica
la lunghezza delle consonanti assume un valore distintivo e caratterizza numerose coppie minime (ovvero
coppie di parole che si differenziano per un solo elemento fonico).
Quasi tutte le consonanti italiane presentano una forma breve, rappresentata da un solo simbolo, e da una
forma allungata (o geminata) rappresentata da un doppio carattere.
Esistono inoltre alcune consonanti che sono pronunciate sempre lunghe (o geminate) all'interno di una parola
anche se l'ortografia non lo segnala, è il caso delle affricate dentali sorda e sonora, della fricativa palatale, della
nasale palatale e della laterale palatale.
Le consonanti /ɲ/, /ʃ/, /ʎ/, /ts/ e /dz/ sono sempre geminate all'interno di parola tra vocali (es. ascia /ˈaʃʃa/;
aglio /ˈaʎʎo/).
FENOMENI DI COARTICOLAZIONE
La coarticolazione è quel processo per cui i foni, all'interno di una parola, o tra parole, subiscono il
condizionamento di foni successivi o precedenti.
I fenomeni di coarticolazione più comuni dell'italiano sono: l'assimilazione e il raddoppiamento fonosintattico.
L'assimilazione è quel fenomeno attraverso il quale due foni diventano simili o uguali all'interno di una
parola.
I principali fenomeni di assimilazione dell'italiano sono di tipo regressivo, cioè quando un particolare fono
anteriore influenza un fono posteriore.
L'assimilazione regressiva può essere di due tipi:
Assimilazione regressiva di sonorità: Colpisce la fricative dentale quando è seguita da una consonante.
Quando una fricativa dentale è seguita da un'altra consonante, ne acquisisce il tratto di sonorità, e quindi
davanti a consonanti sorde [p, k, t, f] la fricativa dentale è sorda [s], mentre davanti a consonanti sonore [b,
d, g, v, ʤ, m, n, ɲ, l, r] la fricativa dentale è sonora [z]. Tale regola non si applica alle approssimanti [j,w]
Assimilazione regressiva di luogo di articolazione: Colpisce le consonanti nasali quando sono seguite da
altra consonante. Quando una nasale è seguita da un'altra consonante ne assimila il luogo di articolazione.
a. Nasale seguita da bilabiale [p, b] sarà nasale bilabiale
b. Nasale seguita da dentale [r, d, s, l, r] sarà nasale dentale
c. Nasale seguita da labiodentale [f, v] sarà nasale labiodentale
d. Nasale seguita da velare [k, g] sarà nasale velare
L'assimilazione regressiva di luogo di articolazione può avvenire oltre che in una parola, anche tra le
parole, ossia in tutti quei casi in cui una parola termina per nasale e la successiva inizi per bilabiale,
avremo una nasale bilabiale.
Un altro fenomeno di coarticolazione molto importante è il cosiddetto raddoppiamento fonosintattico che
generalmente passa inosservato nell'ortografia. Esso consiste nella pronuncia allungata della consonante
iniziale di una parola, quando quest'ultima è preceduta da determinate forme monosillabiche (non tutte),
e/o da parole tronche.
Il raddoppiamento fonosintattico è un fenomeno scaturito dalla parola che precede ma gli effetti si
manifestano nella parola successiva.
Due tipi di raddoppiamento:
Raddoppiamento fonosintattico dopo monosillabo: a, che, chi, come, da, do, dove, e, fa, fra, fu, gru, ha, ho,
ma, mo' (nella locuzione "a mo' di"), no, o, qua, qualche, qui, so, sopra, sta, sto, su, te, tra, tre, tu, va, vo... //
Monosillabi che non producono raddoppiamento: di, ne, ci, lo, la, i, gli e le, mi, ti, gli, le, ci e vi e nessun
monosillabo terminante in consonante.
Raddoppiamento fonosintattico dopo polisillabo tronco: sanità, perché, poté, morì, caffè (Es. caffè freddo).
// Il raddoppiamento fonosintattico dopo parola tronca è impedito quando vi è una pausa tra la parola
tronca e quella successiva (Es. caffè, freddo = NO RADDOPPIAMENTO)
ACCENTO
Consiste nell'aumento di intensità su di una sillaba, all'interno delle parole di fatto ci sarà sempre una sillaba
più accentuata rispetto alle altre, ovvero una sillaba più prominente rispetto alle altre, nota come sillaba
tonica.
Per prominenza accentuale, s'intende un articolazione che può essere più lunga come durata, più acuta di
tono e più forte di volume.
L'accento è sempre posto sulle parole anche se l'ortografia non lo mostra sempre, di fatto vi è una distinzione
tra accento grafico (che indica esclusivamente le parole tronche) e accento fonetico (che va ad indicare la
sillaba tonica). L'accento fonetico viene simboleggiato nella trascrizione fonetica attraverso il simbolo (') e viene
posto prima della sillaba interessata. Omografi.
Posizione dell'accento
L'accento svolge funzione distintiva, ovvero va a caratterizzare parole con significati diversi in base al suo
posizionamento. E, in base alla sua posizione all'interno di una parola, possiamo classificare le parole in cinque
tipologie:
1. Tronche (accento sull'ultima sillaba)
2. Piane (accento sull'ultima penultima sillaba)
3. Sdrucciole (accento sull'ultima terzultima sillaba)
4. Bisdrucciole (accento sull'ultima quartultima sillaba)
5. Trisdrucciole (accento sull'ultima quintultima sillaba)
PRONUNCE REGIONALI
Ciascun italofono, di qualsiasi livello di istruzione e di qualunque area del paese ha una pronuncia che identifica
la sua regione di provenienza, che si discosta dalla pronuncia "della norma" del sistema fonetico italiano
standard.
MORFOLOGIA
La morfologia è lo studio della struttura interna delle parole. Analizzando la parola: libr-i distinguiamo due
parti diverse:
libr- che è la radice, e dà il significato
-i che è la desinenza, e segnala il numero
Entrambe le parti della parola "libri" sono chiamate morfemi. I morfemi sono la più piccola unità dotata di
significato, nonchè l'unità minima della morfologia.
MORFOLOGIA FLESSIONALE
La morfologia flessionale, riguarda la flessione cioè la modificazione delle forme in relazione alle diverse
funzioni grammaticali.
Nella parola analizzata precedentemente ("libri"), la desinenza -i è un morfema flessionale.
L'italiano di fatto, è una lingua flessiva, in quanto ricorre molto alla flessione (dunque alla morfologia
flessionale) nel numero, nel tempo e nella differenziazione tra numero e genere nei sostantivi.
Polimorfismo
Uno dei principali fenomeni di allomorfia non condizionata è il polimorfismo.
Polimorfismo deriva dal greco e significa letteralmente: avere molte forme. In italiano è comune avere
"doppioni" ossia più forme che condividono lo stesso significato come: perso/perduto, devo/debbo,
sepolto/seppelito.
Suppletivismo
Un altro importante fenomeno di allomorfia è il suppletivismo.
Quando un morfema lessicale viene sostituito da un altro morfema lessicale
totalmente diverso ma che condivide lo stesso significato. (Es. acqua e idrico, vediamo come il
morfema lessicale per acqua si manifesti in due forme diverse acqu- e idric- ma con stesso
significato).
Esempi di suppletivismo:
acqua e idrico, vediamo come il morfema lessicale per acqua si manifesti in due forme diverse acqu- e idric- ma
con stesso significato.
Grammaticalizzazione e lessicalizzazione
Due processi molto importanti che riguardano il mutamento linguistico e che si trovano a cavallo tra il lessico e
la grammatica sono la grammaticalizzazione e la lessicalizzazione.
Grammaticalizzazione: Processo attraverso il quale forme libere (come le parole) perdono la loro
autonomia fonologica ed il loro significato lessicale, convertendosi in forme legate con valore
grammaticale.
Esempio: il suffisso avverbiale -mente discende dal sostantivo latino mens, mentis.
Lessicalizzazione: Processo attraverso il quale forme che non avevano valore lessicale, lo assumono,
entrando a far parte del lessico di una lingua.
Esempio: locuzione "a fresco" lessicalizzata nel sostantivo "affresco" oppure il prefisso latino "ex"
posizionato davanti ai verbi, diventato un lessema a tutti gli effetti in italiano. [In latino: (ex)cursus --> In
italiano: la mia 'ex']
NOMI
Nomi
I nomi sono una delle classi di parole principali che rientrano tra le classi di parole variabili. Sono tra le parole
più comuni che possiamo trovare all’interno di una lingua.
Nella morfologia del nome entrano in gioco due categorie flessionali:
NUMERO (singolare vs. plurale)
GENERE (maschile vs. femminile)
Tipologie di nomi
I nomi sono distinti in categorie in base a ciò a cui rinviano, ossia in base al REFERENTE:
Comuni: rinviano a referenti come oggetti, persone e animali in senso generico (donna, uomo, uccello...)
Propri: rinviano a referenti specifici come individui, aziende e città. Generalmente sono introdotti dalla
prima lettera in maiuscolo (Giovanni, Marco, Giulia...)
Concreti: rinviano a referenti che possono essere percepiti dai cinque sensi (uomo, donna, cane)
Astratti: rinviano a referenti che non possono essere percepiti dai cinque sensi, non tangibili (amore,
sincerità, passione...)
Numerabili: rinviano a referenti che possono essere enumerati, e dunque avere la flessione del plurale
(cane/i, gatto/i, piatto/i...)
Non numerabili (o di massa): rinviano a referenti che non possono essere enumerati, e dunque non
possono avere la flessione del plurale (latte, caffè, burro...)
CLASSE 1: -O/-I
(pennarello pennarelli)
CLASSE 2: -A/-E
(casa case)
Nomi sovrabbondanti e difettivi
Nomi SOVRABBONDANTI: Nomi maschili in -o con plurale doppio in -i e -a
Esempio: braccio → bracc-i/bracci-a oppure corno → corn-i/corn-a
Nomi DIFETTIVI: Nomi che difettano (che mancano) del singolare o del plurale come:
forbici, occhiali, nozze, condoglianze eccetera.
Nel parlato informale questi nomi vengono spesso regolarizzati (forbici -> *la forbice - ma questo è un
chiaro errore nell'Italiano standard)
AGGETTIVI
Gli aggettivi si dividono in:
Qualificativi Denotano informazioni, caratteristiche e qualità generali di un sostantivo.
Determinativi (o Pronominali) Sostituiscono o danno più informazioni in merito ad un sostantivo.
Determinativi: possessivi, riflessivi, dimostrativi ecc.
Aggettivi qualificativi
Gli aggettivi qualificativi si suddividono in due classi principali per quanto riguarda la flessione:
PRIMA CLASSE
Formata da quattro morfemi flessionali: -O e -I; -A e -E: maschile singolare e plurale; femminile singolare e
plurale (bello, belli vs. bella, belle)
SECONDA CLASSE
Formata da due morfemi flessionali: -E e -I: maschile singolare (neutro) e maschile plurale (neutro)
(illustre vs. illustri)
Altre classi sono:
Classe di qualificativi invariabili: terminanti in -i, di colore e parole di origine straniera.
Classe di qualificativi terminanti in -A che è ambigenere (sia maschile che femminile) al singolare, ma ha uscite
distinte al plurale (Es. donna/uomo egoista donne egoiste, uomini egoisti)
Sottoclasse della prima classe di qualificativi terminanti in -E al singolare maschile (Es. sornione, pigrone,
mangione, grassone)
ARTICOLO
L'articolo è un determinante, i determinanti sono quelle parole che determinano i referenti, ossia specificano e
quantificano un sostantivo (un nome ad esempio).
Gli articoli, in particolar modo sono determinanti che operano come "SPECIFICATORI" dei nomi.
Pronomi personali
I pronomi personali sono la parte del discorso più ricca di
tratti di flessione.
Si suddividono in:
Pronomi personali TONICI (morfemi liberi)
Pronomi personali ATONI o CLITICI (che si allacciano
prima o dopo una parola).
Terza persona
La terza persona dei pronomi personali nell'arco del tempo sta subendo un processo di riduzione
paradigmatica, in cui si è passati dall'opposizione tra: egli/ella, essi/esse e lui/lei, loro ad un'unica forma:
lui/lei con funzione di soggetto e complemento.
I pronomi personali ATONI o CLITICI svolgono prevalentemente una funzione ANAFORICA, ossia vanno a
richiamare un elemento linguistico menzionato precedentemente.
Allocutivi
Una tipologia particolare di pronomi personali sono gli ALLOCUTIVI, ovvero forme di pronomi usate per
rivolgersi a qualcuno per interloquire.
In italiano, gli allocutivi più comuni sono:
TU, allocutivo confidenziale
LEI, allocutivo di cortesia, di distanza.
Inoltre, in alcune varietà del Sud Italia esiste ancora oggi un vecchio allocutivo di cortesia, ovvero il VOI, nato
nel Quattrocento come unico pronome di cortesia, e successivamente sostituito dal lei diffusosi nel
Cinquecento.
(Il voi non esiste più nell'Italiano standard come allocutivo di cortesia)
Noi inclusivo
In alcuni contesti, è possibile trovare il pronome di prima persona plurale, noto come noi inclusivo.
Esempio: Come andiamo (noi) oggi? Come stiamo (noi) oggi?
Pronomi dimostrativi
I pronomi dimostrativi sono quei pronomi che vanno a specificare un referente (simile agli articoli
determinativi) ma vanno anche a delineare informazioni come la distanza/prossimità del referente rispetto al
parlante, il genere del referente e il numero.
Per i dimostrativi il modello di riferimento attuale è bipartito in questo/quello.
(Un tempo tripartito con codesto, che ormai non è più utilizzato se non nel linguaggio burocratico, giuridico e
nel dialetto fiorentino)
Spesso in registri più informali il dimostrativo “questo” viene ridotto a “sto” attraverso il processo di
aferesi, forma che viene utilizzata inoltre nelle forme univerbate: stamattina, stanotte, stamani.
Esempio: Stamattina ho trovato sto libro sul mio letto
Sempre più diffusi sono inoltre i rafforzativi: qui, qua, lì e là.
Esempio: Finalmente, eccolo qui!
Molto comune l'uso di questo o quello con funzione di terza persona singolare (funzione di aggettivo
determinativo)
Esempio: Cercano di addestrare il cane, ma quello è ancora selvaggio
Pronomi relativi
I pronomi relativi sono quei pronomi che utilizzati per andare a richiamare un sostantivo o un pronome della
proposizione principale che viene riportato come soggetto nelle omonime proposizioni relative.
Esempio: Ho incontrato l’uomo che ha vinto il premio (Il pronome relativo “che” si riferisce a “l’uomo” che diventa il
soggetto della proposizione relativa)
Il pronome relativo più comune è la forma che, usata sia come soggetto che come complemento oggetto:
Esempio: “La signora che è al banco della frutta è la madre di Grazia.” Il pronome relativo “che” ha funzione di
soggetto.
Esempio: “Ho incontrato l’uomo che mi hai presentato.” Il pronome relativo “che” ha funzione di complemento
oggetto.
Pronomi interrogativi
I pronomi interrogativi sono quei pronomi posizionati dinnanzi ad una frase per formulare domande e ottenere
informazioni su qualcuno/qualcosa. Caratterizzano di fatto le frasi interrogative.
I pronomi interrogativi più diffusi sono: che/cosa, usati al posto della forma piena "che cosa" e chi, che in
italiano ha un'unica forma sia per il soggetto che per il complemento oggetto diretto.
A questi si aggiungono inoltre: come, dove, quando e perché.
Esempio: Come hai imparato a suonare la chitarra?
Pronomi indefiniti
I pronomi indefiniti sono quei pronomi che possono fungere sia da determinanti utilizzati per quantificare i
sostantivi, ricoprendo una funzione dunque analoga a quella degli aggettivi determinativi, o quella di pronome
effettiva andando a sostituire un sostantivo.
Sono quantificatori che comprendono:
universali (tutti, ogni, ognuno...)
esistenziali (alcuno, qualche...)
quantitativi (parecchio, molto poco...)
negativi (nessuno, niente...)
identificativi (certo, tale, altro...)
generalizzanti (qualsiasi, qualunque, chiunque...)
Pronomi numerali
Sono quantificatori, distinti in:
cardinali (uno, due ecc.)
ordinali (primo, secondo ecc.)
frazionari (uno su uno, due su due ecc.)
moltiplicativi (doppio, triplo, quadruplo ecc.)
numerativi o collettivi (un paio, una cinquina, una ventina, una dozzina ecc.)
distributivi (uno a uno, a due a due)
VERBO
Il verbo è la parte del discorso che svolge principalmente la funzione predicativa che consiste nel dire o
affermare qualcosa a proposito di qualcos'altro.
Oltre alla funzione predicativa, i verbi svolgono anche altre due funzioni: funzione copulativa e funzione
ausiliaria.
Funzione COPULATIVA: Quando il compito di predicare è svolto da un altro elemento: nome, aggettivo,
avverbio. (Esempio: Luca è bello)
Funzione AUSILIARIA: Legata agli ausiliari.
Gli ausiliari sono quei verbi che hanno valore grammaticale oltre al valore predicativo e sono
fondamentali nella formazione dei tempi composti. Corrispondono ad: essere e avere.
Essi accompagnano e precedono il verbo predicativo, esprimendo tempo, modo e persona.
a. Essere si usa prevalentemente in costrutti intransitivi e passivi (La mela è stata mangiata)
b. Avere si usa in tutti i costrutti transitivi e in alcuni intransitivi. (Giovanni ha avuto la febbre)
Transitivi e Intransitivi
I verbi vengono distinti in due classi verbali: TRANSITIVI E INTRANSITIVI
Classe dei TRANSITIVI: Ammettono un complemento oggetto, e possono avere forma passiva
Classe degli INTRANSITIVI: Non ammettono un complemento oggetto, e non possono avere la forma passiva.
Gli intransitivi si dividono, a loro volta, in due gruppi:
Inergativi: Si servono dell'ausiliare avere
Inaccusativi: Si servono dell'ausiliare essere
Verbi PRONOMINALI
I verbi con pronome clitico, molto numerosi, si distribuiscono in sei classi principali:
Riflessivi: descrivono un'azione intenzionale che il soggetto compie trattando sè stesso come oggetto (lavarsi,
vestirsi)
Con uso riflessivo indiretto: in cui l'oggetto non è la persona, ma alcune pertinenze tipiche (tagliarsi i capelli)
Reciproci: descrivono eventi in cui partecipano due soggetti, coinvolti nello stesso evento (salutarsi, sposarsi)
Con uso reciproco indiretto: in cui l'oggetto non è la persona generale, ma sue pertinenze (stringersi la mano)
Intransitivi pronominali: che non esprimono un evento riflessivo (arrabbiarsi, pentirsi)
Con uso intensivo o affettivo: in cui il -si indica una più intensa partecipazione del soggetto al processo descritto
(sentirsi un concerto, bersi una birra)
Tempo
Il tempo colloca in un preciso periodo ciò che viene detto o fatto.
I verbi sono costituiti da un'ampia gamma di tempi verbali, che svolgono funzioni diverse e che possono essere
distinti in tempi verbali deittici e tempi verbali anaforici.
Tempi verbali DEITTICI: Indicano azioni che avvengono in contemporanea, o prima, o dopo il momento
dell'enunciazione (ME). Corrispondono al: PRESENTE, PASSATO REMOTO, IMPERFETTO
Esempio: Ieri ho incontrato tuo padre
L’azione di incontrare il padre è avvenuta prima del momento in cui la frase è stata pronunciata/scritta (vale a
dire il ME).
Passato ----MA---------------ME---------> Futuro
MA = Ieri ho incontrato tuo padre
ME = Momento in cui viene pronunciato/scritto il fatto
Esempio: Domani partirò con Maria
Passato ----- ME ---------------MA---------> Futuro
L’azione di partire non si è ancora sviluppata in quanto essa si realizzerà nel futuro, dunque in questo il caso il
momento in cui viene pronunciato/scritto il fatto è posizionato prima dell’avvenimento.
ME = Momento in cui viene pronunciato/scritto il fatto
MA = Domani partirò con Maria (avvenimento che si realizzerà successivamente)
Tempi verbali ANAFORICI: Sono tutti quei tempi verbali che si allacciano oltre che al ME anche ad un
momento di riferimento nel testo, espresso tramite avverbi o altri sintagmi rappresentato con la sigla MR.
Indicano relazione temporale e si riferiscono ad azioni già espresse. Corrispondono al: TRAPASSATO
REMOTO
Esempio: Quando arriverò alla stazione, il treno sarà già partito.
L’azione di arrivare alla stazione si sviluppa prima della partenza del treno, ma dopo il momento in cui viene
pronunciato o scritto il fatto ed entrambi fanno riferimento all’arrivo alla stazione.
PASSATO----ME----------MA-------------------MR------------->FUTURO
“Ti telefonerò dopo che avrò fatto l’esame”
Analizzando questa frase, diremo che l’azione di telefonare avviene successivamente all’esame, e l’enunciazione si ha
prima dell’esame stesso. Dunque, l’ordine sarà momento dell’enunciazione (ME) momento di riferimento (MR)
momento dell’avvenimento (MA).
Il momento dell’enunciazione corrisponde al momento in cui soggetto sottointeso pronuncia la frase, e dal punto di
vista temporale, il soggetto pronuncia la frase prima di svolgere l’azione (ossia quello di fare l’esame) e prima ancora
della telefonata, che a livello logico-cronologico avverrà dopo aver svolto l’esame.
Il momento di riferimento corrisponde allo svolgimento dell’esame, esso è il momento sulla quale si aggancia l’intera
azione descritta nell’enunciazione.
Il momento dell’avvenimento corrisponde alla telefonata che avverrà dal punto di vista cronologico esclusivamente
DOPO aver fatto l’esame.
PASSATO------ME---------------MR------------------MA------FUTURO
Persona
La persona del verbo indica chi compie l’azione nella frase.
In italiano si distinguono tre persone: 1° persona, 2° persona e 3° persona.
Tutte e tre le persone possono essere sia singolari (se il referente è singolo) che plurali (se i referenti sono
multipli).
Prima persona Si riferisce in genere al parlante (o al gruppo di parlanti)
Io mangio (prima persona singolare) – Noi mangiamo (prima persona plurale)
Seconda persona Si riferisce in genere all’interlocutore o al destinatario
Tu mangi (seconda persona singolare) – Voi mangiate (seconda persona plurale)
Terza persona Si riferisce ad un soggetto o un oggetto di cui si parla.
Egli mangia (terza persona singolare) – Essi mangiano (terza persona plurale)
Numero
Il numero del verbo indica quanti soggetti sono coinvolti nell’azione descritta dal predicato.
Può essere SINGOLARE (se il referente è unico) e PLURALE (se i referenti sono multipli).
Esempio: Lei mangia la torta (il soggetto è uno solo, quindi numero singolare)
Esempio: Essi mangiano la torta (il soggetto è multiplo, quindi numero plurale)
Attenzione: Il numero è fondamentale nella costruzione dei sintagmi verbali, in quanto sta alla base della
concordanza (o accordo) tra soggetto e verbo.
Diàtesi (o voce)
La diatesi (o voce) del verbo esprime il modo in cui la persona, o le cose indicate, partecipano all'evento
descritto dal predicato.
La diatesi distingue la forma attiva, passiva, e riflessiva.
“Luca mangia la mela.” diatesi attiva (il soggetto corrisponde con l’agente, ossia colui che compie l’azione)
“La mela è mangiata da Luca.” diatesi passiva (il soggetto corrisponde con il paziente, ossia colui che subisce
l’azione)
“La mela si mangia.” diatesi riflessiva (l’agente è sia il soggetto, sia l’oggetto)
Aspetto
Il modo in cui l’azione si sviluppa nel corso del tempo. L’aspetto è caratterizzato da alcuni verbi che prendono il
nome di verbi fraseologici (o aspettuali) che vanno a caratterizzare il modo in cui un’azione si sviluppa nel
corso del tempo.
L'aspetto del verbo può avere caratteristiche diverse in base all’azione:
Aspetto PERFETTIVO: quando l’azione si presenta come conclusa (paragonabile al perfect aspect inglese)
Esempio: “Giovanni mangiò la minestra”
Aspetto IMPERFETTIVO: quando l’azione si presenta nel suo svolgimento (paragonabile al
continuous/progressive aspect inglese)
Esempio: “Mentre Giovanni mangiava la minestra, la madre riposava”
Aspetto DURATIVO: quando l’azione dura nel tempo
Esempio: “Dalle dodici alle tredici si mangia la minestra”
LE PARTI INVARIABILI
Secondo la classificazione tradizionale, la classe degli invariabili comprende quattro parti del discorso:
CONGIUNZIONI, AVVERBI, PREPOSIZIONI E INTERIEZIONI.
CONGIUNZIONI
Le congiunzioni sono parole usate per collegare tra loro le frasi e proposizioni e possono essere di due tipi:
coordinanti e subordinanti.
COORDINANTI: Congiunzioni che legano tra loro frasi che stanno sullo stesso livello sintattico e che di fatto
non necessitano di essere rette da altre frasi e dunque possono essere indipendenti. Tale processo prende
anche il nome di PARATASSI.
Esempio: “Luca ha mangiato la torta ma la festa non è stata di suo gradimento.”
La frase in grassetto è la principale mentre la frase in verde è la coordinata alla principale, introdotta dalla
congiunzione coordinante avversativa “ma”
SUBORDINANTI: Congiunzioni che legano tra loro frasi che non stanno sullo stesso livello sintattico e che di
fatto necessitano di essere rette da altre frasi (creando un rapporto di dipendenza), e dunque NON
possono essere indipendenti. Tale processo prende anche il nome di IPOTASSI.
Esempio: “Quando arriverò a casa, preparerò la cena”. La frase in grassetto è la principale mentre la frase in blu
è la subordinata alla principale, introdotta dalla congiunzione subordinante temporale “quando”
PREPOSIZIONI
Le preposizioni sono parole usate per creare legamenti fra parole e frasi.
Si classificano in proprie ed improprie.
Preposizioni PROPRIE
Le preposizioni proprie sono quelle preposizioni che richiedono un complemento (espresso da un
sostantivo o da un pronome). Si suddividono in semplici e articolate.
Semplici: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra
Articolate: nello, nella, dello, della, del, nel eccetera. Sono date dalla combinazione di una preposizione
semplice con un articolo determinativo.
Preposizioni IMPROPRIE
Le preposizioni improprie sono quelle preposizioni che non richiedono un complemento, ma possono essere
seguite da espressioni come avverbi, altre preposizioni e verbi.
Avverbi usati come preposizioni: dopo di te...
Aggettivi usati come preposizioni: lungo il fiume, vicino al negozio...
Locuzioni preposizionali (adposizioni): a vantaggio di, di fronte a, ai piedi del monte...
AVVERBI
Gli avverbi sono parte invariabile del discorso che si giustappone ai verbi per determinarne l'azione nello
spazio, nel tempo o nelle modalità (alzarsi tardi) e anche agli aggettivi (infinitamente grande) o a un altro
avverbio, soprattutto quando indica quantità o tempo (uscire molto presto)
Gli avverbi possono essere classificati in:
Qualificativi: bene, assai, molto ecc.
Determinativi: di luogo, di tempo
Valutativi: si, certo, purtroppo ecc.
Interrogativi ed esclamativi: perché?, come mai?
Tra gli avverbi, esistono aggettivi che possono essere usati come avverbi (vedi "Funzione avverbiale
dell'aggettivo qualificativo")
SEGNALI DISCORSIVI
I segnali discorsivi sono congiuzioni, avverbi, interiezioni o anche frasi intere che assumono valori aggiuntivi
all'interno di un testo. Conferiscono funzioni enunciative e pragmatiche e sono molti comuni nell’oralità.
SINTASSI
La sintassi è la branca della linguistica che studia il modo in cui le parole si combinano tra di loro, formando le
frasi, e i rapporti che le parole assumono.
Reggenza: Per reggenza si intende il legamento sintattico per cui una parola richiede un'altra parola che
assuma particolari forme morfologiche.
Esempio: Alcuni verbi richiedono preposizioni specifiche, del tipo:
a. Mi fido di te
b. Domando a qualcuno
Accordo (o concordanza): Per accordo (o concordanza) si intende la relazione per cui la forma di una
parola richiede un'altra parola con la stessa identica forma, come un soggetto plurale e/o un predicato
dello stesso numero.
Esempio: Gli alberi (Maschile - Plurale) ---richiede--> sono caduti (Accordo del predicato: Maschile -
Plurale)
Un'altra definizione di frase, è quella che la frase è un insieme di parole disposte intorno a un verbo (o
predicato).
ATTENZIONE: Tale condizione non vale per tutte le frasi, esistono infatti anche frasi che non necessitano del
predicato, chiamate frasi nominali e frasi, che pur avendo il predicato, non hanno senso compiuto (esempio: le
frasi subordinate - "... che gli ha chiesto")
ENUNCIATO
Per enunciato si intende un espressione linguistica prodotta sia oralmente che graficamente di senso compiuto
che fa riferimento ad una situazione comunicativa concreta.
Frase vs Enunciato
La distinzione tra frase ed enunciato va di fatto ricercata nella presenza o meno di contesti specifici
Esempio: Oggi piove, non esco
E' una frase grammaticalmente astratta in quanto libera da legami col tempo, spazio e persone e dunque non
precisata in un contesto specifico.
Se la stessa frase però dovesse avere dettagli contestuali ben definiti del tipo:
Oggi, 15 Giugno 1997, a Milano piove in quel caso, potremmo parlare di enunciato.
SINTAGMA
Per sintagma (in inglese phrase) si intende la minima combinazione di parole che forma la struttura frasale.
I sintagmi sono costituiti da un elemento dominante (o nucleo) anche noto come testa che regge il sintagma
stesso e ne va a delinare la tipologia:
Se la testa è un nome ---> SN (Sintagma nominale) Noun Phrase (NP)
Se la testa è un aggettivo ---> SAgg (Sintagma aggettivale) Adjective Phrase (AdjP)
Se la testa è un verbo ---> SV (Sintagma verbale) Verb Phrase (VP)
Se la testa è una preposizione ---> SPrep (Sintagma preposizionale) Prepositional Phrase (PP)
Se la testa è un avverbio ---> SAvv (Sintagma avverbiale) Adverb Phrase (AdvP)
Sintagma nominale
Il sintagma nominale è costuito da un nome che funge da testa e poi da uno o più elementi, complementi o
modificatori che possono specificare, quantificare e determinare:
Det ---> Sta per determinante (In genere corrisponde agli aggettivi)
Quant ---> Sta per quantificatore (In genere corrisponde agli indefiniti e numerali)
Spec ---> Sta per specificatore (In genere corrisponde agli articoli)
FRASE SEMPLICE
La frase semplice detta anche "nucleare" è formata da una parte centrale chiamata nucleo, a cui possono
aggiungersi vari elementi periferici (o extranucleari), distinguibili in circostanti ed espansioni.
Mentre tra i vari elementi interni al nucleo, i rapporti grammaticali sono forti, fuori da esso questi rapporti
sono allentati, e diventano a mano a mano sempre di più rapporti di senso che rapporti grammaticali.
Il PREDICATO è ciò che si dice, o si afferma del soggetto e può essere verbale e nominale.
Predicato Verbale con verbi predicativi (cioè verbi che hanno significato lessicale)
Esempio: “Cammino per le vie del paese.” “Cammino” è un predicato verbale
Predicato Nominale con verbi copulativi, ovvero quei verbi dati dall'unione dell'ausiliare essere (copula)
con un elemento nominale, e che danno attributi (aggettivi, sostantivi ecc.) ad un soggetto o ad un oggetto.
Esempio: “Il libro è vecchio.” “è vecchio” è un predicato nominale.
Gli ARGOMENTI (O VALENZE) del verbo (o predicato) rappresentano le informazioni aggiuntive che vanno a
completare il significato espresso dal verbo (o predicato).
Tendenzialmente, la prima valenza di un verbo corrisponde al Soggetto nell'analisi logica tradizionale, mentre
le valenze successive al verbo corrispondono ai Complementi.
In base agli argomenti (o valenze) i verbi vengono classificati in diverse tipologie:
ZEROVALENTI: Non hanno valenze. Verbi come: piovere, tuonare, fare freddo, gelare...
MONOVALENTI: Una valenza. Verbi come: sbadigliare, morire, nascere, russare, abbaiare...
BIVALENTI: Due valenze. Verbi come: lavare, giocare, leggere, dipingere, amare, odiare...
TRIVALENTI: Tre valenze. Verbi come: regalare, dare, attribuire, dichiarare, annunciare...
TETRAVALENTI: Quattro valenze. Verbi come: tradurre, trasportare, trasferire, spostare...
SOGGETTO
Il soggetto è l'argomento fisso di una frase, e corrisponde al primo argomento (o valenza). Esso ha due
proprietà:
1. Completa il verbo determinandone genere, numero e persona (Accordo)
2. Precede il verbo nell'ordine della frase non marcata. (Posizione)
Il soggetto è generalmente rappresentato da un nome, o da un pronome ma anche da qualsiasi altra parte del
discorso, di fatto, anche una proposizione potrebbe fungere da soggetto (= proposizione soggettiva)
COMPLEMENTO (O OGGETTO)
Altri elementi che possono completare il nucleo, oltre a verbo e soggetto, sono gli argomenti del verbo,
meglio noti come Complementi nell'analisi logica tradizionale
Il complemento (o oggetto) è l'argomento aggiuntivo oltre al soggetto presente nel nucleo, esso può stabilire
due tipi di legame con il verbo:
1. DIRETTO: senza preposizioni (quindi con transitivi attivi) e con partitivi
2. INDIRETTO: con pronomi personali, con preposizioni di: luogo, causa, mezzo, agente e di causa efficiente.
Esempio: Fabio dà un fiore a Laura
In questo esempio il verbo “dare” ha tre argomenti (o valenze) e possiamo dunque riassumere il nucleo della
frase con il seguente schema valenziale:
Fabio = primo argomento (soggetto-agente)
dà = predicato verbale (voce del verbo “dare”; trivalente, prima coniugazione (-are), terza persona
singolare-presente-indicativo-diatesi attiva)
un fiore = secondo argomento (complemento oggetto DIRETTO) il complemento è introdotto
esclusivamente con uno specificatore, dunque diretto.
a Laura = terzo argomento (complemento di termine INDIRETTO) il complemento è introdotto attraverso
una preposizione, dunque indiretto.
CIRCOSTANTI ED ESPANSIONI
Oltre al nucleo e agli elementi "interni" che lo compongono, esistono degli elementi aggiuntivi che si collocano
all'esterno del nucleo e che lo possono arricchire, questi ultimi sono i circostanti e le espansioni.
Espansioni (o margini): Sono tutte quelle parole non collegate in alcun modo con il nucleo, ma si
riferiscono alla frase nel suo complesso. Sono tutte quelle parole al di fuori del nucleo che espandono e
allargano il senso totale della frase.
PRINCIPALE e REGGENTE NON sono sinonimi, ma due parole con significati e funzioni sintattiche diverse.
PRINCIPALE: Corrisponde alla frase semplice che sostiene l’intero periodo, che può essere indipendente.
Esempio: “Luigi mangia la torta mentre Fabio lo infastidisce”
Luigi mangia la torta = Principale
mentre Fabio lo infastidisce = Subordinata alla principale
REGGENTE (O SOVRAORDINATA): Corrisponde a qualsiasi proposizione (anche un'altra subordinata) che regge
sintatticamente un’altra proposizione
Esempio: Mio fratello sorride perché gli hanno raccontato una barzelletta che lo ha fatto sbellicare dalle risate.
Implicito: con il verbo della subordinata (dipendente) al modo indefinito (infinito, gerundio e participio)
Esempio: Giuseppe si allena molto / per diventare forte -- Implicita (preposizione + infinito del verbo)
Proposizione RELATIVA
Le frasi relative possono sviluppare un concetto presente in un circostante, cioè in un elemento che si riferisce
ad un costituente del nucleo della frase principale o della reggente.
Dunque, le proposizioni subordinate relative esprimono una qualità riferita ad un elemento antecedente.
Le frasi relative sono introdotte da un pronome relativo che o anche da un avverbio relativo (dove, ove...)
Classificazione delle frasi relative
Dal punto di vista semantico, le relative possono distinguersi in:
ESPLICATIVE: Conferiscono una spiegazione aggiuntiva, non necessaria per completare il significato della
frase o del sintagma a cui fanno riferimento.
Esempio: “Mio cognato, che da poco è tornato single, si chiama Giulio”
RESTRITTIVE: Conferiscono una spiegazione aggiuntiva necessaria per completare il significato della frase o
del sintagma a cui fanno riferimento.
Esempio: “Mi porteresti la borsa che ho dimenticato nel baule?”
L'uso del congiuntivo al posto dell'indicativo può dare alle proposizioni relative diverse sfumature di
significato: finale, concessivo, temporale e si parla in questi casi di RELATIVE IMPROPRIE.
Le relative improprie, dunque, sono quelle proposizioni relative che assumono la funzione di altre proposizioni
subordinate (in particolar modo, le proposizioni finali, concessive, causali e temporali).
“L’ho visto che (= quando) rientrava” proposizione relativa che richiama una dimensione temporale quindi simile
ad una proposizione temporale.
“Beati voi che (= perchè) andate in vacanza” proposizione relativa che richiama una motivazione, una causa,
quindi simile ad una proposizione causale
“Manderò uno che (= affinché) lo avverta” proposizione relativa che richiama un fine, uno scopo quindi simile ad
una proposizione finale.
Relative deboli
Le relative hanno diversi modelli di costruzione in italiano, anche definite come relative deboli.
CHE POLIVALENTE: Usato in alcuni modi di dire
Esempio: “Paese che vai usanza che trovi”
CHE SCISSO: In cui il che è accompagnato da un pronome clitico che esprime la funzione sintattica
Esempio: “E' il vicino che ci hai parlato ieri”
CON RIPRESA TRAMITE UN CLITICO
Esempio: “Il libro che mi hai prestato è molto interessante”
CON DOVE NON LOCATIVO
Esempio: “E' una situazione dove mi sono trovato a disagio”
FRASE MARCATA
Le frasi marcate sono particolari frasi che vanno ad enfatizzare delle parole specifiche all'interno della frase.
Esse di distinguono dalle frasi non marcate, ossia le normali frasi che seguono l'ordine SVO: Soggetto + Verbo +
Oggetto.
In italiano, la posizione degli elementi della frase ha meno restrizioni rispetto alle altre lingue.
L'ordine basico (di base) degli elementi del nucleo, non marcato, è dato dalla sequenza SVO
(Soggetto + Verbo + Oggetto).
In italiano l'ordine basico della frase non marcata NON È OBBLIGATORIO, di conseguenza il soggetto potrebbe
anche essere anche postverbale, e questo implica che l’ordine basico dei costituenti può subire anche delle
variazioni.
[Il gatto]Soggetto [mangia]Verbo [il topo]Oggetto. Frase non marcata che segue il normale ordine SVO.
[Il topo]Soggetto, [lo mangia]Verbo [il gatto]Oggetto. Frase marcata che non segue il normale ordine SVO, in cui un
elemento diverso dal tema (normalmente rema/oggetto) assume la posizione di tema e dunque di soggetto.
Il sintagma nominale “Il topo” tendenzialmente è posizionato alla fine della frase come oggetto, seguendo
dunque l’ordine basico.
In questo caso il rema (ossia il complemento) viene anteposto (posizionato prima) e indica il tema della
conversazione.
Nella prima frase (“Luisa mangia la mela”): il tema della conversazione è “Luisa” che mangia la mela e non fa
altro all’infuori di mangiare la mela.
Nella seconda frase (“La mela la mangia Luisa”) il tema della conversazione diventa “la mela” (la quale
precedentemente era il rema) che viene mangiata da Luisa e da nessuno altro all’infuori di Luisa.
Di conseguenza si è attuato un processo di tematizzazione nella quale, un elemento linguistico diverso dal
soggetto è diventato il tema, e nel caso dell’esempio, “la mela” che nella prima frase è un complemento diventa
il soggetto-tema nella seconda frase.
Una variante della disclocazione a sinistra, è la costruzione a tema sospeso in cui l'elemento enfatizzato si
trova in posizione iniziale come componente autonomo.
Esempio di costruzione a tema sospeso: Gli asparagi, adesso non è stagione
In questo caso il rema (ossia il complemento) non cambia la sua posizione ma va ad indicare ugualmente il tema
della conversazione.
Nella prima frase (“Luisa mangia la mela”): il tema della conversazione è “Luisa” che mangia la mela e non fa
altro all’infuori di mangiare la mela.
Nella seconda frase (“La mangia Luisa la mela”): il tema della conversazione è “la mela” (che nella frase
precedente era il rema) che viene mangiata da Luisa e da nessun’altro all’infuori di Luisa. In questo caso, “la
mela” si trova nella posizione tipica dell’oggetto/rema ma funge ugualmente da tema/soggetto, grazie al
pronome clitico con valore cataforico posizionato all’inizio della frase, che va a indicare la mela come
informazione successiva.
Topicalizzazione contrastiva: Forma speciale di tematizzazione che si caratterizza nel momento in cui nella
dislocazione dell’oggetto (complemento) manchi la ripresa anaforica/cataforica con il clitico.
Si ha dunque un’anteposizione o inversione, chiamata “topicalizzazione contrastiva” che va a collocare il
rema nella posizione occupata dal tema direttamente. La topicalizzazione contrastiva mira a mettere in
rilievo un elemento nuovo e presuppone un’affermazione precedente che si intende smentire o rettificare.
Esempio: A: “Hai promesso un regalo a Piero.”
B: “No, a Maurizio ho promesso un regalo.”
“A Maurizio ho promesso un regalo” mancanza dei clitici anaforici/cataforici.
FOCALIZZAZIONE (o REMATIZZAZIONE)
Nella focalizzazione, si va a mettere in evidenza, a enfatizzare un determinato elemento all'interno di un
frase, spostandolo dalla sua posizione naturale. Uno dei principali esempi di focalizzazione è la frase scissa.
Frase scissa: Consiste nel mettere in evidenza un elemento frasale scindendo la frase in due parti: portando
all'inizio della frase l'elemento frasale seguito dal verbo essere, seguito e introdotto poi da una
proposizione "pseudorelativa."
Esempio di frase scissa: Luisa mangia la mela E’ Luisa / che mangia la mela - E’ la mela / che è mangiata da
Luisa
PUNTEGGIATURA E SINTASSI
Il flusso di informazioni nello scritto viene modulato attraverso la punteggiatura (o interpunzione) che
permette di segmentare un testo scritto e di segnalare l'ordine logico della frase.
La punteggiatura è molto importante in quanto ha un'essenza fortemente comunicativa e consente la
compresione del testo da parte di chi legge.
I segni di interpunzione non svolgono solo FUNZIONI PROSODICHE ossia di indicare le pause di un testo, i suoi
rallentamenti, le accelerazioni, il ritmo in generale eccetera, ma anche FUNZIONI SINTATTICHE.
La punteggiatura svolge un fondamentale ruolo dal punto di vista sintattico-semantico in quanto aiuta a
garantire sia la coesione che la coerenza testuale, aiuta a creare relazioni logiche e sintattiche necessarie alla
continuità di senso (vedi capitolo successivo), consente la comprensione del testo da parte di chi legge,
consente di introdurre nuovi argomenti e tematiche all’interno di un testo (continuità referenziale), viene
utilizzata per legare più frasi semplici in frasi multiple (composte) (tale processo prende anche il nome di
asindeto)
In aggiunta, nei nuovi linguaggi digitali (vedi scritture digitali informali) le interpunzioni hanno assunto delle
vere e proprie FUNZIONI ESPRESSIVE, volte a creare tutta una serie di simboli (faccine) che esprimono
emozioni diverse. Anche se ad oggi, le faccine non sono più usate vastamente, in quanto sostituite dalle più
innovative e recenti emoji (o emoticon)
La virgola
Una stessa frase relativa può avere due significati diversi in base alla presenza o meno della virgola:
A. Mario non ha voluto consultare i libri che riteneva inutili = Mario non voleva consultare tutti i libri che
riteneva inutili (solo i libri che riteneva inutili)
B. Mario non ha voluto consultare i libri, che riteneva inutili = Mario non voleva consultare i libri, perchè
per lui erano inutili (i libri in generale)
La virgola può anche segnalare ellissi, cioè l'omissione di una o più parole e, in alcuni testi anche la
marcatezza, e dunque può focalizzare e dislocare elementi della frase.
TESTUALITA'
Testo (dal lat. textus -> texere = tessere (ital.))
Il testo è un atto comunicativo, esso è considerato l’unità fondamentale della comunicazione linguistica e
consiste in quella rete di collegamenti grammaticali e semantici volta a produrre informazioni e realizzare
scambi comunicativi.
Tale rete di collegamenti può estendersi:
All'interno del testo, cioè tra le sue componenti interne verbali: parole, frasi, periodi...
All'esterno del testo, cioè in relazione alla situazione comunicativa, sociale, culturale, cognitiva in cui il
testo è immerso
Un testo è dunque il risultato dell'interazione delle parole e delle frasi in due dimensioni fondamentali:
COTESTO: Vala a dire, l'insieme delle parole e delle frasi intrinseche, le cui relazioni formano il testo.
CONTESTO: Vale a dire, lo sfondo o la situazione extratestuale in cui si sviluppa il testo.
Metaforicamente, un testo può quindi essere definito come un tessuto formato dalla rete di collegamenti che si
intrecciano tra cotesto e contesto. Tant’è vero che etimologicamente, testo deriva dal latino textus, participio
passato di TEXERE = tessere.
Le massime conversazionali, però, non sono sempre rispettate e nello specifico, le massime non rispettate in
questione sono: la massima della relazione e la massima del modo, in quanto entrambe dipendono da fattori
aleatori come la padronanza linguistica o le capacità logico-argomentative del singolo parlante.
COERENZA E COESIONE
Quando parliamo di testo, prendiamo in considerazione due proprietà molto importanti: coerenza e coesione.
COESIONE: inseme dei legami grammaticali tra le varie parti, interne al testo
COERENZA: insieme dei collegamenti logico-semantici e della continuità di senso tra le varie parti interne al
testo (parole, frasi, periodi ecc.) senza mai dare luogo a contraddizioni e ambiguità.
Il grande vedutista[1] (si riferisce a Canaletto) Coerenza: ≠ Un grande vedutista (invece ci farebbe porre la domanda: Chi?
Quale vedutista?) Coerenza: ❌
Motivazione: Utilizzando l'articolo indefinito (o indeterminativo) come specificatore, si va dunque a staccare il legame
logico e la continuità di senso con il testo, e dunque NON viene rispettata la coerenza.
Perchè l'articolo indeterminativo esprime indefinitezza e dunque un referente non noto, di cui non conosciamo l'identità.
Ma è chiaro che nel seguente testo, il referente è già noto (cioè Canaletto) poiché introdotto precedentemente.
COERENZA TESTUALE
Sia quando scriviamo o produciamo oralmente un testo, sia quando lo leggiamo o lo ascoltiamo, le
informazioni che lo compongono devono essere concatenate tra loro seguendo delle relazioni di senso e di
significato che possono manifestarsi in modo esplicito (emergere in superficie) o in modo implicito (nascoste
in profondità)
Per far sì che un testo sia coerente concorrono inoltre numerose strutture linguistiche:
a) RAPPORTO TRA DETTO E NON DETTO (ESPLICITO VS IMPLICITO)
b) DEISSI (TEMPORALE, PERSONALE, SPAZIALE E TESTUALE)
c) COESIONE (ANAFORA: COESIVI NOMINALI E TESTUALI)
d) CONTINUITÀ TEMATICA E PROGRESSIONE TEMATICA
e) CONNETTIVI
Gli IMPLICITI sono fondamentali nella costruzione di un testo e possiamo distinguerli in due forme:
PRESUPPOSIZIONI E IMPLICAZIONI.
PRESUPPOSIZIONI Informazioni indispensabili ai fini del senso che vengono presentate come vere, e che
rimangono vere pur negando la frase stessa.
(Sono quelle informazioni che vengono date per scontato all’interno del testo)
Esempio: “La capitale dello Stato italiano è Roma”
Possiamo presupporre:
1. il fatto che esista una città chiamata in questo modo: “Roma”
2. che esista uno Stato italiano
3. che uno Stato abbia una capitale.
Tali presupposizioni restano invariate anche se l'enunciato viene negato: “La capitale dello Stato Italiano NON
è Roma.”
Altro esempio: “Ieri ho cenato alle 5.”
Possiamo presupporre:
1. diamo per scontato che si tratti delle “5 di sera” e non delle “5 del mattino”
2. la cena è avvenuta alle 5, un orario insolito per cenare.
Attenzione però, le presupposizioni danno per scontato che un’informazione sia vera, ma non è detto che tali
lo siano a tutti gli effetti, dunque esse potrebbero ESSERE ANCHE FALSE.
IMPLICAZIONI: Sono quelle informazioni non espresse esplicitamente, ma lasciate intendere, dunque
ricavabili per inferenza (ossia dedotte logicamente). Le implicazioni consistono dunque nelle relazioni
logiche tra le frasi stesse.
Esempio: “Se piove, prenderò l’ombrello” implica che se non dovesse piovere il soggetto non prenderebbe
l’ombrello, dunque l’informazione implicita viene dedotta logicamente dalla relazione logica tra le frasi stesse.
Esempio: “E’ un bravo ragazzo, ma fa anche tantissimo sport” implica che fare tantissimo sport sia sinonimo
di non essere “bravi ragazzi” (implicazione molto discutibile)
In conclusione, gli impliciti sono necessari nella costruzione di un testo, in quanto consentono di dare alcuni
elementi per scontati e di richiamare l'attenzione del destinatario.
Però la loro gestione deveessere molto accorta, e sopratutto deve essere commisurata alle conoscenze
dell'interlocutore, di modo che quest'ultimo non si senta nè troppo estraniato dal testo, quindi troppi impliciti,
esplicitando poco e neanche troppo esperto, pochi impliciti, esplicitando troppo.
DEISSI
La deissi è una delle principali stutture linguistiche che aiutano a rendere un testo coerente.
Deissi (dal greco: deixis 'indicazione') è l'insieme dei riferimenti (o coordinate): spaziali, temporali, personali e
testuali che caratterizzano gli atti comunicativi (o testi).
La deissi, si avvale dei cosiddetti deittici, ossia tutta una serie di avverbi, verbi, pronomi ecc. che fanno
riferimento ad uno specifico contesto all’interno di un atto comunicativo (o testo).
Il centro deittico (origo) e le dimensioni
deittiche.
Ogni atto comunicativo (testo) ha un suo
centro deittico chiamato origo, che
normalmente coincide con il parlante e
che consiste nell’insieme delle coordinate
spazio-temporali + l'identità del
parlante. I centri deittici sono
accompagnati da numerosi deittici, come:
AVVERBI TEMPORALI: ieri, oggi,
domani...
AVVERBI SPAZIALI: qui, qua, lì, là...
DIMOSTRATIVI: questo e quello
PRONOMI PERSONALI: io e tu e le varie
forme atone.
I quali vanno a caratterizzare quattro dimensione deittiche diverse: DEISSI TEMPORALE, DEISSI SPAZIALE,
DEISSI PERSONALE e DEISSI TESTUALE.
ECCEZIONI NEI CENTRI DEITTICI: Durante gli scambi comunicativi, gli avvenimenti possono avere un piano
enunciativo diverso rispetto a quello del centro deittico, di fatto, ci possono essere espressioni che possono
indicare che l'avvenimento non è àncorato al momento o al luogo dell'enunciazione all'interno del testo.
Esempio: Nella distinzione tra discorso diretto e il discorso indiretto.
Il discorso diretto presenta due piani enunciativi (dunque due centri deittici):
Marco mi ha chiesto1° CENTRO DEITTICO (P. ENUNCIATIVO): "Domani puoi venire qui?"2° CENTRO DEITTICO (P. ENUNCIATIVO)
Il discorso indiretto, un solo piano enunciativo (dunque un solo centro deittico):
Marco mi ha chiesto se domani posso andare lì1° CENTRO DEITTICO (P. ENUNCIATIVO)
In base al discorso diretto o indiretto, i deittici, così come le varie strutture morfologiche e grammaticali,
subiscono un processo di adeguamento deittico e morfologico-lessicale.
Marco mi ha chiesto1"Domani puoi venire qui?" Marco mi ha chiesto se domani posso andare lì
In questo caso possiamo osservare alcune variazioni:
variazione del deittico spaziale (qui lì)
variazione del verbo predicativo (venire andare)
variazione della persona del verbo (seconda persona singolare prima persona singolare)
variazione dal punto di vista sintattico (interrogativa diretta interrogativa indiretta)
Deissi temporale
La deissi temporale è la dimensione della deissi che va ad indicare (o a fare riferimento) alle coordinate
temporali.
Deittici temporali
La deissi temporale è caratterizzata da due diverse forme di deittici temporali:
Deittici temporali SITUAZIONALI: ancorati al centro deittico del parlante, ossia al contesto temporale
immediato.
Deittici temporali ANAFORICI: deittici temporali collegati ad un momento di riferimento menzionato
precedentemente all'interno del testo.
Esempio: DEITTICO SITUAZIONALE = adesso/ora (ME) <-> DEITTICO ANAFORICO = in quel momento (MR)
“Adesso vado a fare la spesa” contesto immediato
“Ieri sono andato al cinema. In quel momento, ho visto una persona famosa.” momento di riferimento.
Deittici fuorvianti
Il mancato rispetto dei deittici adatti, all’interno di un atto comunicativo (testo), può dare origine a messaggi
fuorvianti o spiazzanti, di seguito alcuni esempi:
Domani si fa credito, oggi no: affermazione scherzosa, in cui l’azione di riferimento (MR) è ancorata
contestualmente (temporalmente) al momento della lettura, cioè al deittico temporale “oggi” e mai a domani,
dunque l’avvenimento diventa irrealizzabile e genera confusione nella mente del lettore. L’affermazione
scherzosa va a creare dunque un ciclo continuo che fa si che il momento dell’enunciazione sia ancorato
sempre all’oggi e mai al domani.
Domani si fa credito, oggi no Momento dell’enunciazione (Momento della lettura ancorato al centro deittico)
Momento di riferimento (Momento in cui dovrebbe avvenire il credito ancorato ad oggi, e non a domani)
Momento dell’enunciazione (Momento della lettura ancorato al centro deittico)
Torno fra un'ora: affermazione imprecisa in quanto il deittico "fra" non è ancorato al momento della lettura, ma
a quello di riferimento, vale a dire il momento in cui il messaggio è stato affisso, il quale però a chi legge è
ignoto.
In questo caso il momento della lettura non coincide con il momento dell’enunciazione.
Deissi spaziale
La deissi spaziale è la dimensione della deissi che segnala la posizione di un certo referente nello spazio
(coordinate spaziali) rispetto al parlante o al destinatario.
Deittici spaziali
La deissi spaziale è individuata in relazione ad un
altro elemento esterno oppure, allo stesso
parlante attraverso:
Deittici di vicinanza (o prossimali): qui, qua,
ecco, questo ecc. (referente vicino)
Prendi quest’oggetto! Questo esplicita che il
parlante è vicino all’oggetto
Deittici di distanza (o distali): là, lì, quello ecc.
(referente lontano)
Prendi quell’oggetto! Quello esplicita che il parlante è lontano dall’oggetto
Esempio: Il cane è qui.
Esempio: “Li ho trovato i libri”
Deissi personale
Negli scambi comunicativi, orali e scritti, ogni partecipante si rivolge ad un interlocutore con un allocutivo, cioè
un pronome usato per interloquire con qualcuno stabilendo il tipo di rapporto che si ritiene più appropriato alla
situazione (tu confidenziale vs lei formale)
Deittici personali
PRONOMI PERSONALI Sono deittici personali tutti i pronomi personali in riferimento agli interlocutori,
a condizione che essi partecipino allo scambio comunicativo: io, tu, lui/lei, noi, voi, loro.
Io e Tu = sempre deittici
Lui/Lei, Loro = deittici e anaforici/cataforici (ovvero quando sono riferiti ad individui assenti nella situazione
comunicativa ma richiamati nel corso degli scambi comunicativi).
Noi, voi = inclusivi ed esclusivi, a seconda che comprendano o meno l'interlocutore.
AGGETTIVO PERSONALE PROPRIO che può fare riferimento al soggetto se usato correttamente.
Esempio: Marco ha incontrato Maria a casa propria (propria = di lui) vs. *Marco ha incontrato Maria a casa sua
(sua = suscita ambiguità – a casa di lei o di lui ?)
APPELLATIVI e SALUTI, cioè forme non meno importanti nella comunicazione interpersonale come:
Le formule d'apertura con le quali si richiama l'attenzione del nostro interlocutore e prevedono solitamente una
sequenza formata da un titolo di cortesia, ad esempio: egregio, gentile, caro, signore, signora...
dal titolo professionale: avvocato, ingegnere, dottore, professore...
dal titolo onorifico: Sua Maestà, Sua Eminenza, Sua Altezza...
I saluti, sono comuni l'amichevole "ciao" e buongiono/buonasera e arrivederci e il più formale
arrivederla.
Deissi testuale
La deissi testuale è la dimensione della deissi che fa riferimento ad una parte del testo, o all’intero testo
stesso. La deissi testuale pone il testo come centro deittico.
Deittici testuali
I dettici testuali, non sono altro che una variante dei deittici temporali anaforici (trattati precedentemente
nella deissi temporale).
Mentre i deittici anaforici, però, richiamano a una singola espressione di riferimento nel testo, i deittici testuali
richiamano ad una parte intera del testo, o all'intero testo favorendo l'organizzazione delle varie parti di esso.
Esempi di deittici testuali:
[...] Nella parte precedente del testo, abbiamo parlato della Morfologia, e ancor prima nel capitolo precedente, abbiamo
introdotto la Fonetica che è fondamentale negli studi di Linguistica. [...]
Altro uso dei deittici testuali
I deittici testuali possono anche essere utilizzati per presentare un testo stesso al destinatario:
La presente disposizione è conservata in originale negli archivi informatici.
COESIONE
L’anafora
La coesione è un altro tassello fondamentale per la coerenza testuale.
Una dei principali strumenti di coesione è l’anafora, che consiste nell’insieme di tutte le connessioni
grammaticali e semantiche che si stabiliscono all'interno di un testo, tra un elemento linguistico noto come
antecedente (o punto di attacco) che viene prima e un elemento successivo che lo riprende noto come
(coesivo o ripresa anaforica o proforma).
Le connessioni grammaticali e semantiche possono essere morfosintattiche e interpuntive (come già detto in
precedenza la punteggiatura svolge un ruolo sintattico e logico-semantico molto importante, in quanto indica
le relazioni tra frasi medesime e tra porzioni più ampie di testo).
Tipi di coesivi
I coesivi possono essere di vario tipo:
Coesivi LESSICALI: Hanno contenuto semantico ricco, aggiungono informazioni nuove, caratterizzano il
passaggio da un argomento a un altro (progressione tematica ≠ continuità tematica)
Coesivi NON LESSICALI: Hanno scarso contenuto semantico, si limitano a garantire la coesione
grammaticale e la continuità tematica.
Coesivi NOMINALI: Riprendono un sintagma nominale, un pronome, un aggettivo o un avverbio
Coesivi TESTUALI: Riprendono una frase semplice, un intero periodo o una porzione di testo ancora più
ampia.
Coesivi ANAFORICI: Coesivi che rinviano indietro nel testo
Coesivi CATAFORICI: Coesivi che rinviano avanti nel testo. Sono molto rari, rispetto alla loro controparte
anaforica.
Catene anaforiche
La successione di più coesivi forma delle vere e proprie catene, che prendono il nome di catene anaforiche.
Le catene anaforiche sono costituite da un antecedente (= ciò che viene prima): un oggetto, una persona, un
concetto espresso nel testo e da tutta una serie di coesivi che richiamano l’antecedente, meglio noti come
riprese anaforiche.
“La Bibbia: una biblioteca scritta da migranti. Così qualche mese fa un gesuita tedesco,
Dominik Markl intitolava un suo articolo sulla rivista "Civiltà cattolica" (n. 4018).
Effettivamente si può concordare con lui che questo testo sacro [...] "è una piccola
biblioteca da portare nel bagaglio a mano, scritta da e per migranti". Non per nulla essa si
apre con una migrazione drammatica.”
Catena anaforica di “La Bibbia”: La Bibbia (ANTECEDENTE) → una biblioteca (RIPRESA ANAFORICA) → questo testo sacro
(RIPRESA ANAFORICA) → biblioteca (RIPRESA ANAFORICA) → essa (RIPRESA ANAFORICA)
Catena anaforica di “gesuìta”: Dominik Markl (ANTECEDENTE) → suo (RIPRESA ANAFORICA) → lui (RIPRESA ANAFORICA)
Catena anaforica di “migranti” (ANTECEDENTE) → migranti (RIPRESA ANAFORICA) → migrazione drammatica (RIPRESA
ANAFORICA)
Come si può notare nel seguente esempio, mentre i coesivi non lessicali si limitano a garantire la coesione
grammaticale tra le parti e la continuità tematica, i coesivi lessicali invece aggiungono informazioni nuove, ovvero il
passaggio da un argomento a un altro:
La Bibbia → una biblioteca scritta da migranti (riformulazione) = La Bibbia è un coesivo lessicale che introduce nel
testo due referenti nuovi: biblioteca e migranti.
suo → lui = "suo" è un coesivo non lessicale
Punto di vista LOGICO-SEMANTICO: All'interno del testo, le connessioni logico-semantiche che legano tra
loro le parti di un testo e caratterizzano la coerenza testuale, sono espresse dai CONNETTIVI e sopratutto
da locuzioni caratterizzate dalla presenza di incapsulatori lessicali e/o non lessicali dotati di particolari
valori logico-semantici.
Secondo il punto di vista logico semantico, gli incapsulatori possono essere suddivisi in più tipologie:
incapsulatori CAUSALI: per quello, per questo, a cuasa di...
incapsulatori CONCESSIVI: ciò nondimeno, ciò nonostante, nonostante ciò...
incapsulatori CONCLUSIVI: con ciò, con questo, per cui...
incapsulatori CONDIZIONALI: ammesso ciò, ammesso questo...
incapsulatori CONSECUTIVI: così che, così da, a tal punto che...
incapsulatori FINALI: al fine di, affinché, allo scopo di...
Coesivi nominali
I coesivi NOMINALI sono quei coesivi che rimandano ad un elemento nominale.
Accanto a queste relazioni di tipo semantico tra medicinale e il suo coesivo, sono possibili anche relazioni
basate sull'opposizione (antonimia) tra i significati[1], sulla relazione parte-tutto (meronimia)[2] e sulla
contiguità semantica (metonimia)[3]
1. medicinale → inefficace → blando → efficace/forte (in relazione agli effetti del medicinale)
2. medicinale → principio attivo, eccipiente/componenti... (in relazione alle sostanze che lo compongono)
3. medicinale → assumere, ingerire, somministrare, compressa, siringa, omeopatico, farmacia, casa farmaceutica... (in
questo caso si parla di anafora associativa perchè i termini richiamano "medicinale" attraverso rapporti di associazione
logica)
Altro esempio di anafora associativa: Mi ha riparato il computer. Nulla di grave: è bastato sbloccare la tastiera
Tastiera viene evocato da computer, in quanto in genere un computer è dotato sia di mouse che di tastiera.
I coesivi LESSICALI ed i coesivi NON LESSICALI si alternano tra di loro nel corso del testo.
Da altra angolazione, la vasta produzione testuale può essere osservata in relazione alla finalità comunicativa
dell'emittente, e questo produce una suddivisione di tutti i possibili testi in una TIPOLOGIA TESTUALE formata
da cinque gruppi principali (vedi tipologia testuale di Werlich):
Testi DESCRITTIVI: Descrivono qualcosa
Testi NARRATIVI: Raccontano un fatto, una vicenda o una serie di fatti
Testi INFORMATIVI: Trasmettono informazioni
Testi PRESCRITTIVI: Forniscono istruzioni
Testi ARGOMENTATIVI: Possono persuadere
Tipologia = universale
Genere = universale apparentemente poiché possono variare da cultura a cultura. Sono inoltre considerati
come una sottocategoria delle tipologie testuali.
Dunque un romanzo criminale di Agatha Christie è una tipologia di testo narrativo, di genere romanzo giallo,
thriller.
LESSICO
Segni grammaticali vs segni lessicali (grammatica vs. lessico)
Una distinzione che occorre fare prima di parlare del lessico nel dettaglio, è quella tra segni grammaticali e
segni lessicali.
Segni grammaticali: inerenti alla fonetica, morfologia e sintassi, caratterizzano un sistema chiuso, in quanto
sono limitati e non si modificano.
Segni lessicali: inerenti al lessico, caratterizzano un sistema aperto, e in teoria, espandibile all'infinito, in
quanto essi sono indefiniti ed in continua espansione.
Terminologia
LESSICO: Il lessico è l'insieme delle parole di una lingua
PAROLA: Per parola si intende un vocabolo in senso generale ed in base al contesto
TERMINE: Per termine si intende una parola con significato circoscritto
LESSEMA: Per lessema si intende la parola considerata come unità base del lessico. (Diremo dunque che il
lessico è l'insieme dei lessemi di una lingua)
LEMMA: Per lemma si intende una parola intesa come unità lessicale che caratterizza una voce del dizionario
LESSICOLOGIA: Branca della linguistica, che si occupa di studiare scientificamente il sistema lessicale di una
lingua, le relazioni tra le parole e i cambiamenti del significante e del significato nel corso del tempo.
LESSICOGRAFIA: Branca della linguistica, che rinvia a due significati:
a. la tecnica di redazione dei dizionari che si avvale della lessicologia per la definizione dei vocaboli di una
lingua o dialetto.
b. l'insieme delle opere lessicografiche (dizionari, vocabolari, glossari ecc.) che descrivono un preciso
momento storico di una lingua, o documentano i mutamenti nel corso del tempo.
DIZIONARIO: Il dizionario svolge la funzione di registrare il patrimonio lessicale di una lingua, ma oltre a
ciò può anche avere anche la funzione di raccogliere studi enciclopedici che contengono nozioni di
letteratura, storia, arte eccetera.
VOCABOLARIO: Il vocabolario può registrare il patrimonio lessicale di una lingua, ma oltre a ciò può anche
avere la funzione di indicare vocaboli appartenenti ad un certo settore o a un singolo autore. A tal
proposito, possiamo considerare "vocabolario" sinonimo di "lessico" in quanto può indicare il patrimonio
lessicale di una comunità linguistica
Esempio: vocabolario dell'italiano = lessico dell'italiano; vocabolario dantesco = lessico dantesco
Tipologie di dizionari
I dizionari possono essere distinti in varie tipologie in base alle finalità con cui sono stati concepiti.
DIZIONARI DELL'USO: I dizionari dell'uso registrano il lessico della lingua contemporanea nel suo
funzionamento e non mancano di segnalare arcaismi, regionalismi, eccetera al fine di orientare il lettore
all'uso corretto delle parole. Il più grande dizionario dell'uso (con ben 250.000 lemmi) è il GRADIT (Grade
dizionario italiano dell'uso)
DIZIONARI STORICI: I dizionari storici raccolgono le definizioni dei termini seguite da esempi estrapolati da
opere della tradizione letteraria italiana. Il primo grande vocabolario storico della lingua italiano fu il
Vocabolario della Crusca, redatto per la prima volta nel 1612
DIZIONARI ETIMOLOGICI: I dizionari etimologici riportano la data di nascita di una parola, la sua etimologia,
la sua storia, e ne registrano la prima documentazione scritta. In teoria ogni parola è soggetta a
retrodatazione, cioè di anticipazione della data di ingresso in una lingua. I dizionari etimologici più
importanti sono il DELI ed il LEI.
Altre 45.000 parole al di fuori del vocabolario di base, costituiscono il vocabolario comune e sono disponibili a
chi abbia un livello medio-alto d'istruzione.
L'insieme delle parole del vocabolario di base e del vocabolario comune formano il vocabolario corrente.
(Vocabolario di base + vocabolario comune = vocabolario corrente)
SUFFISSAZIONE
La suffissazione è quel processo di derivazione che consiste nell'aggiunta di un suffisso (affisso che viene
posizionato sulla parte destra della base lessicale) al fine di creare una parola nuova.
Molto importante: Nella suffissazione, la parola nuova formata può avere la stessa classe (o categoria
grammaticale) della base lessicale di partenza, ma può anche caratterizzare una classe (o categoria
grammaticale) totalmente diversa. Tale processo prende il nome di transcategorizzazione.
Ad esempio: fior-e (Nome) > fior-ire (Verbo)
Il sostantivo (fiore) si è trasformato nel verbo (fiorire) ed ha cambiato la sua classe (o categoria grammaticale)
Tipi di suffissati
In base al lessema da cui una parola nuova deriva, il suffissato può essere: denominale (se la base lessicale di
provenienza è un nome), deaggettivale (se la base lessicale di provenienza è un aggettivo), deverbale (se la
base lessicale di provenienza è un verbo).
Inoltre il suffissato può essere: nominale, verbale e aggettivale, a seconda se è un nome, aggettivo o verbo.
Esempio:
fior-ire = SUFFISSATO DENOMINALE VERBALE
denominale poiché la base lessicale è fior- ovvero un nome
verbale poiché la parola nuova è un verbo (voce del verbo: fiorire)
Rapporti di derivazione
I rapporti di derivazione possono seguire due schemi (o paradigmi)
Paradigma di derivazione A VENTAGLIO: In cui ogni suffissato di un gruppo di parole (o famiglia di parole)
hanno in comune la stessa base lessicale (o radice)
Esempio: lavorare lavoro, lavoratore, lavorante, lavorazione ...
Paradigma di derivazione A CUMULO: In cui ogni nuovo suffissato diventa la base per una trasformazione
successiva.
Esempio: forma formale formalizzare formalizzazione
*In alcuni casi una stessa famiglia di parole può avere sia una derivazione sia a ventaglio, sia a cumulo.
VERBI:
Nel passaggio nome > verbo/aggettivo > verbo sono tre le desinenze con cui l’italiano forma l’infinito:
-are, -ere, -ire.
Per quanto riguarda i verbi, la desinenza (suffisso) -are è una delle più importanti, in quanto raccoglie tutti i
verbi della prima coniugazione (mangiare, parlare, comprare...) ed è MOLTO produttiva, di fatto permette la
formazione di numerosi verbi denominali (V provenienti da un base lessicale che è un nome) e deaggettivali (V
provenienti da un base lessicale che è un aggettivo)
Esempio: affezione (N) > affezion-are (V), clone (N) > clon-are (V), calmo (Agg) > calm-are (V), sporco (Agg) > sporc-
are (Agg).
Molto produttiva anche nella formazione di neologismi a partire da prestiti da altre lingue:
Esempio: click > clicc-are, link > link-are
Fanno parte dei suffissati in -are anche le varianti: -iare, -eggiare, -izzare, -ificare e gli alterativi -acchiare,
-icchiare, -ucchiare. Anche se più propriamente gli ultimi sono chiamati “infissi” ovvero quei morfemi legati
(affissi) che si posizionano a metà tra la base lessicale e la desinenza.
Esempio: ridacchiare > rid-acchi-are (-acchi- = infisso)
La desinenza (suffisso) -ere non è più produttiva in italiano, ma rimane comunque fondamentale per marcare i
verbi della seconda coniugazione (dovere, potere, avere...).
La desinenza (suffisso) -ire è produttiva solo nella formazione dei verbi parasintetici
NOMI D’AGENTE:
I suffissi danno tutti come derivato un nome d’azione, ma può anche capitare che da una stessa parola siano
derivati due suffissati con significati diversi.
Esempio: perturbare > perturbazione / perturbamento
Perturbazione e perturbamento sono una coppia di suffissati originata da perturbare, tuttavia NON SONO
INTERSCAMBIABILI. Non possiamo dire perturbamento atmosferico, così come non potremmo dire
perturbazione sociale.
NOMI D’AZIONE:
I suffissi più produttivi per i nomi d’agente. I nomi d’agente sono quelle parole derivate che designano colui
che compie un’azione.
Essi sono: -tore e -trice (che derivano sempre suffissati nominali deverbali) e la coppia -aio e -ista (che
derivano sempre suffissati nominali denominali)
Esempio: Ricercare > ricercatore / ricercatrice
Fumare > fumatore / fumatrice
Fiore > Fioraio
Forno > Fornaio
Arte > Artista
Vezzeggiativi e peggiorativi
I suffissi alterativi possono anche modificare il significato della base nella qualità e nel valore, dando origine ad
alterati vezzeggiattivi e peggiorativi.
VEZZEGGIATIVI: Prevale il valore della simpatia e dell'apprezzamento per ciò di cui si parla
Esempio: bello > bellino, bocca > boccuccia
I vezzeggiativi hanno gli stessi suffissi dei diminutivi ai quali si aggiunge una connotazione affettiva.
PEGGIORATIVI: Prevale il disprezzo. I peggiorativi sono formati dai suffissi -accio e -astro.
Esempio: bocca > boccaccia, tempo > tempaccio
*I peggiorativi con *astro si sono tra l'altro lessicalizzati, ossia hanno formato parole nuove e autonome (Esempio:
figliastro, fratellastro, sorellastra ecc.)
PREFISSAZIONE
La prefissazione è quel processo di derivazione che consiste nell'aggiunta di un prefisso (affisso che viene
posizionato sulla parte sinistra della base lessicale) al fine di creare una parola nuova.
Molto importante: A differenza della suffissazione, attraverso la prefissazione, i prefissati mantengono sempre
la loro classe (o categoria grammaticale)
Esempio: coerente (Agg) > in-coerente (Agg)
legittimazione (N) > de-legittimazione (N)
*Eccezion fatta solo per i verbi parasintetici e i prefissi anti- e inter- che possono cambiare la classe (o categoria
grammaticale) caratterizzando aggettivi.
*Alcuni prefissi inoltre sono diventati autonomi (es. super, ex)
Esempio:
Abbiamo trascorso una serata super
Ho incontrato la mia ex
Prefissoidi e suffissoidi
Prefissoidi e suffissoidi sono parole che a differenza dei prefissi e dei suffissi sono dotate di un significato
lessicale autonomo e riconoscibile.
Sono generalmente di origine greco-latina, e per la loro natura, possono essere considerati come parole
composte (nello specifico: composti neoclassici a seguito della provenienza greco-latina)
Esempio: olig-archia, anti-vento, auto-analisi, geo-metria
Verbi parasintetici
I verbi parasintetici sono quei verbi in cui alla base della parola (nome, aggettivo, avverbio) è aggiunto sia un
prefisso, sia un suffisso.
Esempio:
briciola > s-briciol-are
caldo > s-cald-are
brutto > im-brutt-ire
SIGLE: Le sigle sono formate dall'unione delle iniziali di una serie di termini, italiani o stranieri, che possono
essere usate come parole autonome quando seguite da un articolo.
Esempio: ASL = Azienda Sanitaria Locale >>> Sono andato all'ASL.
ACRONIMI: Gli acronimi sono le parole autonome che risultano dalla pronuncia delle sigle.
Esempio: FIAT = Fabbrica Italiana Automobili Torino
In alcuni casi, gli acronimi creano parole di senso compiuto e facilmente pronunciabili Esempio: PRESTO
(Preservation Technology), MONICA (Multinational Monitoring of Trends and Determinants in Cardiovascular
Disease)
ACCORCIAMENTI (Shortening): Gli accorciamenti sono un processo di riduzione delle parole molto frequente
in italiano che interessa formazioni sia endogene (auto, bici, tele) sia esogene (app, demo, info dall'inglese)
RETROFORMAZIONE (Back-formation): La retroformazione è quel processo che consiste nel formare nuovi
lessemi a partire da lessemi considerati erroneamente come derivati.
Esempio: In molti credevano che il sostantivo correlazione provenisse dal verbo correlare.
Ma in realtà è il processo inverso, in quanto il verbo correlare non esisteva, e proviene di fatto da correlazione
CORRELAZIONE > CORRELARE
Potremmo dunque dire che la retroformazione sia il processo inverso della derivazione.
CONVERSIONE (o DERIVAZIONE ZERO) (Zero Derivation): La conversione (o derivazione zero) consiste nella
creazione di nuove parole attraverso il cambiamento della funzione grammaticale di un lessema, senza mutare
la sua forma.
vuoto (Aggettivo) il vuoto (Nome)
PAROLE MACEDONIA (Portmanteau words – Blending): Le parole macedonia sono quelle parole formate
dall'unione di due o più parole in cui una di esse viene accorciata.
Esempio: cantautore = cant[ante] + autore
Italiano di ROMA
L’italiano regionale di Roma, è una varietà regionale che ha acquisito molto prestigio nel corso degli anni,
entrando a far parte della comunicazione politica, televisiva e cinematografica
Punto di vista FONOLOGICO
pronuncia di e e o (vocali medie) diversa dallo standard fiorentino
monottongamento (riduzione) di [wɔ]
Esempio: buòno [‘bwɔno] *bòno [‘bɔno]
tendenza al raddoppiamento di alcune consonanti (occlusiva bilabiale e affricata postalveolare sonora in
posizione intervocalica)
Esempio: sabato [‘sabato] *sabbato [‘sabbato] – ragione [ra’ʤone] *raggione [raʤ’ʤone]
forme con apocope (apocope = fenomeno di riduzione che consiste nell’eliminazione di alcuni fonemi nella
parte finale di una parola) si caratterizzano nell’infinito di alcuni verbi, nei titoli e nei nomi propri
Esempio: vedere vedé / véde – Alessandro Alessà – professore professó
Italiano di MILANO
Punto di vista FONOLOGICO
pronuncia di e e o (vocali medie): la e tonica finale di sillaba si pronuncia perlopiù chiusa (ɛ) e non aperta ma ci
sono comunque delle oscillazioni d’uso
Esempio: bène [‘bene] béne [‘bɛne]
In altri casi si pronuncia aperta la e tonica di alcune parole in cui dovrebbe essere chiusa (ɛ)
Esempio: fréddo [‘frɛddo] frèddo [‘freddo]
Stesso discorso vale per la vocale media o tonica che in alcune parole può essere pronunciata aperta (ɔ)
anzichè chiusa, ed in altre chiusa anzichè aperta (ɔ)
abbreviazione (scempiamento) delle consonanti doppie
Esempio: aglio [‘aʎʎo] [‘aʎo]
assenza di raddoppiamento fonosintattico
Esempio: a casa [ak’kasa] [a ‘kasa]
Italiano di NAPOLI
Punto di vista FONOLOGICO
chiusura delle vocali toniche nei dittonghi uò [wɔ] e iè [jɛ]
Esempio: buòno [‘bwɔno] buóno [‘bwono] – piède [‘pjɛde] piéde [‘pjede]
pronuncia aperta di vocali toniche
pronuncia della -i- dopo la affricata postalveolare sorda [ʧ]
Esempio: cièlo [‘ʧɛlo] ciélo [‘ʧjelo]
Raddoppiamento di consonanti intervocaliche e ad inizio di parola
Esempio: subìto [sub’bito]
Fricativizzazione dell’affricata postalveolare sorda [ʧ]
Esempio: piace [‘pjaʧe] [pjaʃe]
Apocope (caduta della sillaba finale) negli allocutivi
Esempio: Antonio Antò; professore professó eccetera
Palatalizzazione della fricativa alveolare davanti a velare o bilabiale
Esempio: scùsa [s’kuza] [‘ʃkuza] – spésa [s’pesa] [‘ʃpeza]
1. ITALIANO STANDARD (Lingua neutra) Varietà di massimo prestigio usata in contesti educativi,
accademici. Proviene dal fiorentino letterario trecentesco (toscano, lingua usata da scrittori come Dante
Alighieri, Giovanni Boccaccio Francesco Petrarca), approvata come lingua unitaria degli italiani.
2. ITALIANO REGIONALE Varietà diatopica dell’italiano che ha subito l’influenza dei dialetti. L’aggettivo
regionale non è legato alle vénti regioni amministrative dell’Italia, ma viene usato come sinonimo di
“locale”, dunque un italiano regionale, può essere anche legato ad una singola città (vedi Italiano di Roma,
Napoli e Milano)
3. ITALIANO POPOLARE Varietà diastratica dell’italiano che dipende dal livello educativo dei parlanti.
L’italiano popolare viene parlato dai semicolti (ossia quegli individui che non hanno raggiunto un livello di
istruzione adatto a poter parlare la lingua italiana come si deve). L’italiano popolare presenta numerose
interferenze con i dialetti. Viene considerato, in glottodidattica - un’interlingua - ossia una varietà di
apprendimento della lingua base che però non è stato finalizzato e dunque stracolmo di lacune, che
vengono colmate dall’uso di dialettismi. A differenza dell’italiano regionale, che viene usato anche da
persone con un certo bagaglio culturale (colti), l’italiano popolare viene usato esclusivamente da coloro
che, al contrario, non hanno raggiunto un livello di istruzione adeguato (semicolti e/o analfabeti)