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DAI VOLGARI AI DIALETTI.

SCHIZZO DI STORIA LINGUISTICA DELLITALIA MEDIEVALE* Alvise Andreose, Lorenzo Renzi

1. Volgari, italiano, dialetti Molte variet linguistiche dItalia sono state scritte nel Medioevo, per scopi pratici, amministrativi, religiosi e spesso anche per fini artistici, cedendo successivamente il passo al fiorentino chiamato ben presto toscano e, da un certo punto in poi, come facciamo noi oggi, italiano. Il termine senzaltro pi indicato per designare tali variet, che giova ricordare sono delle continuazioni locali del latino, e non, come si pensa talvolta, delle deviazioni dallitaliano di base toscana, quello di volgari italiani. Inizialmente anche il fiorentino non che uno dei volgari dItalia. Linfluenza del fiorentino sugli altri volgari comincia a farsi sentire in alcune parti dItalia gi dal XIV sec. (Sgrilli 1988; Bruni 1992). Una vera e propria egemonia del fiorentino si stabilisce nel corso del Cinquecento, quando litaliano prende gran parte del posto che nella lingua scritta occupavano appunto, territorio per territorio, i vari volgari dItalia, per sostituirsi nel corso dei secoli successivi anche al latino. sempre nel Cinquecento che per designare un volgare diverso dal toscano letterario si diffonde in Italia il termine di origine greco-latina dialetto (Dionisotti 1968; Alinei 1984). Mentre per nel mondo greco antico i dialetti erano variet tutte provviste di prestigio destinate a generi letterari diversi, nellItalia del Rinascimento questo termine viene a designare le variet linguistiche subordinate culturalmente alla variet egemone dellitaliano su base fiorentina. Da questo momento in poi non parliamo pi di volgari dItalia ma di dialetti. La nostra trattazione, limitata ai primi, si ferma quindi al principio del Cinquecento. Questa vicenda riguarda sostanzialmente luso scritto della lingua. Luso orale dei volgari/dialetti continua invece in Italia con grande vitalit, anche se scalfito nel suo prestigio dallitaliano -fiorentino. Ma luso
Versione ampliata della voce Volgari dItalia dellEnciclopedia dellItaliano, diretta da Raffaele Simone in corso di stampa. I parr. 0, 1, 5 si devono a Lorenzo Renzi, i parr. 2, 3 e 4 ad Alvise Andreose.
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LabRomAn 4/I-2011: pp. 59-77, 2011, ISSN: 1827-6091 Laboratorio sulle Variet Romanze Antiche Padova. http://www.maldura.unipd.it/ddlcs/laboratorio/home.html/

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scritto dei dialetti regredisce e si limita ad alcuni generi letterari (teatro dialettale, satira, ecc.): la lingua scritta per eccellenza litaliano. La gra ndissima parte della popolazione parla invece il dialetto, in tutte le classi sociali, e spesso solo il dialetto (dialettofonia esclusiva): questa situazione si perpetua fino allunit dItalia (1861) e anche oltre (De Mauro 1963, pp. 25-43; Castellani 1982). Luso orale dellitaliano si diffonde lentame nte. Solo dopo la met del Novecento, per la prima volta, secondo alcune statistiche, comincia a prevalere luso dellitaliano su quelli che erano stati i volgari dItalia.

2. Il ruolo del volgare nella societ comunale Caduto lImpero romano dOccidente, il latino evolve in forma d ivergente nei vari territori che lo avevano composto, tanto che si arriver gi nellAlto Medioevo a una miriade di variet dette romanze. In Italia, in particolare, presto ogni parrocchia ha il suo latino, come ha scritto Giacomo Devoto, anzi un suo volgare romanzo, cio un idioma che proseguiva con caratteristiche proprie il latino. Alcuni di questi volgari arriveranno a essere scritti, non tutti per, ma solo quelli di centri importanti, come alcune grandi abbazie benedettine (in particolare Montecassino) o, prevalentemente, i maggiori centri urbani dalla struttura sociale e amministrativa complessa. I volgari italiani, quando emergono nella scrittura, sottraggono spazio al latino fin allora usato in quegli stessi centri.1 Cos, per es., uno Statuto di una corporazione che era scritto in latino, viene redatto la volta successiva in volgare (senza che sia esclusa la possibilit che ritorni in latino in una versione successiva). La stessa cosa vale per altri tipi di documenti pratici, cio di testi non letterari finalizzati ad usi specifici: documenti notarili e amministrativi, scritture private, ecc. Della concorrenza del volgare con il latino e della preferenza per il primo, ci sono alcune testimonianza dirette. Nel giugno del 1402 il signore di Padova Francesco Novello da Carrara raccomandava a Uguccione
Si trattava naturalmente non del latino classico, ma di latino medioevale, scritto in modo pi o meno semplificato, e in certi casi addirittura formulistico, per sintagmi fissi o quasi, a seconda degli ambienti. Poverissimo il latino dei Longobardi (secc. VII-VIII), pi ricco e elegante, per es., il latino preumanistico del XIV sec. (per es. a Padova: Albertino Mussato, 1261-1329), ormai contemporaneo alla maturit del volgare fiorentino rappresentato da Petrarca (Witt 2005).
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dei Contrari, ministro di Niccol III dEste, che lo informava sulla gue rra di Bologna, di scrivergli in volgare e non in latino. La sua lettera nel volgare padovano del tempo:
...perch jo aldo volentera le novelle, che me scriviti, ve prego che ve piaa scriverme per vulgari, perch, scrivando per letera, jo non so tanto, chel no me convegna andare per le man de altri a farmele leere; et jo le vora leere m[i] stesso, per p piacere e dileto (Pastorello 1915, p. 225; Ineichen 1957, p. 45). [poich io odo volentieri le notizie che mi scrivete, vi prego che vi piaccia di scrivermene in volgare, perch, se scrivete in latino (per letera), io non ne so abbastanza da non dover andare per le mani di altri a farmele leggere; e io vorrei leggere da solo per pi piacere e diletto].

Chi esprimeva cos la sua preferenza per il volgare era un membro dellaristocrazia terriera che costituiva il nerbo delle signorie dItalia. Francesco Novello, daltra parte, si serviva nella sua Cance lleria di dotti umanisti, come Giovanni Conversini, Pier Paolo Vergerio e Sicco Polenton. Come si pu constatare, la cultura volgare e una precoce cultura umanistica, che si esprimeva in latino, convivevano nello stesso ambiente. In un periodo di rapida evoluzione sociale come quello dei secc. XIII-XIV, il fenomeno che risulta senzaltro dec isivo per laffermazione delluso scritto del volgare lascesa dei nuovi ceti borghesi, che perlopi ignari di latino - esprimono lesigenza di elaborare per finalit pratiche una lingua scritta il cui apprendimento non costi una preparazione speciale, che richiedeva, allora come oggi, anni di studio. Cos, per esempio, mercanti e banchieri tengono i libri contabili e fanno le loro annotazioni, ma anche corrispondono tra di loro, nella lingua nativa. Importante anche il contributo di quei professionisti, come i notai, che, in una societ dove il peso dei ceti medi diviene sempre maggiore, si trovano a svolgere il ruolo di mediatori tra le istituzioni ancora legate al latino, e una clientela illetterata (come si diceva) che in genere non lo sa. Luso del volgare si afferma precocemente negli statuti delle numerose confraternite laiche organizzate dagli ordini mendicanti, che annoverano tra i loro membri cittadini provenienti da fasce sociali differenti. La crescente partecipazione dei ceti popolari alla vita politica di quelle nuove istituzioni che sono i Comuni, dar un forte impulso alluso del volgare nei doc u-

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menti pubblici (statuti, ordinamenti, leggi, ecc.), dove, comunque, almeno fino al pieno secolo XIV, luso del latino rimarr prevalente. La prassi liturgica cristiana resta legata al latino. Nel corso del Trecento e ancor pi nel Quattrocento circolano s volgarizzamenti della Bibbia, del Messale e del Breviario, ma si tratta sempre di traduzioni destinate alluso privato. Al contrario, i testi di tipo paraliturgico (uffici, preghiere, canti in uso presso le confraternite laiche sorte a fini di penitenza e assistenza) sono sempre pi spesso in volgare. Le confraternite di Laudesi, diffusesi a partire dalla Toscana (probabilmente da Siena) nella seconda met del Duecento, sono allorigine della fortuna della lauda ballata, che grazie anche al contributo di poeti come Garzo e Jacopone da Todi- si propagher in tutta Italia e godr di grande fortuna nel Trecento e nel Quattrocento. Si tratta di un nuovo genere poetico, che non aveva precedenti n in latino n nella lingua romanza che forniva pi spesso modelli alle altre, il provenzale. Sotto la spinta degli ordini mendicanti, molti religiosi non solo predicano in volgare, come era gi labitudine, ma anche preparano le loro prediche direttamente in volgare. Le pi importanti raccolte di prediche in volgare sono quelle del domenicano Giordano da Pisa (ca. 1260-1311) e quelle del francescano Bernardino da Siena (1380-1444), che ci sono giunte tutte e due in trascrizioni ad opera di fedeli. Non abbiamo testimonianze di come i predicatori itineranti, originari di varie parti dItalia, si adattassero ad a mbienti linguistici diversi. Sembra tuttavia che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il rapporto orizzontale (cio in sostanza paritetico) tra i diversi volgari (e poi tra i dialetti) non creasse particolari problemi. Probabilmente chi parlava adattava parzialmente la propria lingua ad alcuni tratti di quella darrivo, ma soprattutto chi ascoltava, adottando il principio che chiamiamo oggi della tolleranza linguistica, trasformava mentalmente alcuni fonemi e morfemi in quelli propri, proprio come facevano, mutatis mutandis, i copisti che, copiando un manoscritto siciliano in toscano, lo toscanizzavano, o, mettiamo, copiando dal fiorentino al veneziano, lo venezianizzavano. I rapporti tra i volgari, in altre parole, non erano conflittuali, e i parlanti erano portati a diminuirne le differenze. Nel corso del Duecento e pi nel Trecento, il volgare strappa gradualmente delle posizioni al latino in molti generi letterari e non letterari, come nellagiografia, la letteratura didattica e allegorica, lepistolograf ia, la cronachistica e la memorialistica, la prosa scientifica, le scritture esposte

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(iscrizioni epigrafiche, testi inseriti in dipinti), senza mai, tuttavia, sostituirlo del tutto. A parte va considerato il caso della poesia lirica, che un fenomeno nuovo in cui il volgare, questa volta, non prende il posto del latino. La produzione lirica, bench sia limitata almeno inizialmente ad ambienti ristretti, ha una grandissima importanza per lo sviluppo del volgare in Italia. Nel caso della lirica della Scuola poetica siciliana non c sostituzione del latino con il volgare, ma si passa da un volgare straniero, il provenzale, a un volgare italiano, il siciliano. In provenzale avevano effettivamente poetato diversi italiani, dal mantovano Sordello da Goito, ai Genovesi Bonifacio Calvo e Lanfranco Cigala, al veneziano Bartolomeo Zorzi, al bolognese Rambertino Buvalelli. Successivamente il toscano si sostituir al siciliano come lingua della lirica, e si imporr via via in tutta Italia anche nelle altre forme di scrittura letteraria, e poi anche non letteraria, costituendosi per libera adozione come lingua comune dei letterati dItalia e, infine, come lingua dItalia senza limitazioni.

3. I luoghi del volgare Nella gran parte dItalia, luso scritto non sporadico del volgare nativo comincia nel Duecento, con quasi un secolo di ritardo rispetto alle aree romanze pi precoci, quelle della Francia del Nord e della Provenza. I documenti volgari conservati precedenti al Duecento sono molto pochi, e riflettono un uso ancora molto limitato, anche se ci sono state certamente anche molte perdite casuali, si moltiplicano, invece, nel corso del Duecento (dopo il 1230-40) e ancora di pi nel Trecento. Lentit della documentazione in volgare varia di molto da centro a centro. Sulla base di due variabili, ossia la precocit e la frequenza delle testimonianze, si possono suddividere approssimativamente i centri di produzione di testi volgari in quattro categorie: A) centri in cui le testimonianze appaiono precocemente (sec. XIII) e si infittiscono progressivamente nei secoli successivi: Venezia, Padova e Verona; Mantova; Bologna; Firenze con tutti i centri della Toscana; Citt di Castello, Foligno; Macerata; la Sicilia (per cui cfr. par 3); B) centri in cui una tradizione scrittoria in volgare emerge pi tardi (sec. XIV), ma si consolida rapidamente: Genova; Treviso; il Friuli (Cividale, Gemona e Udine); Modena; Perugia e altri centri dellUmbria come

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Assisi, Gubbio e Orvieto; Napoli; il Salento (in cui documentata una scripta volgare in caratteri greci); C) centri in cui le testimonianze in volgare sono precoci (sec. XIII), in alcuni casi precocissime (sec. XII), ma permangono sporadiche fino almeno alla fine del sec. XIV: Savona; Milano, Bergamo e Cremona; Belluno; Piacenza; Roma e Viterbo; D) Centri in cui le testimonianze volgari sono sporadiche fino almeno alla fine del sec. XIV: Piemonte; Como, Brescia, Lodi e Pavia; Trentino; Vicenza; Parma, Reggio-Emilia e Ferrara; Urbino e Ascoli Piceno; Rieti; LAquila Come si vede, non tutti i maggiori centri italiani compaiono in queste serie. Questo pu dipendere o da perdite particolarmente gravi di documenti, o dalla circostanza che unarea rimasta particolarmente fedele al latino e chiusa al volgare, o infine dal fatto che si sviluppata culturalmente e qualche volta anche socialmente, economicamente e perfino demograficamente solo pi tardi. Un caso a parte rappresentato dalle grandi fondazioni abbaziali (Montecassino, Farfa) e dalle loro ramificazioni nellItalia median a (Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Molise), in cui luso del volgare molto antico (960, con i Placiti capuani redatti a Montecassino) e prosegue con una certa frequenza fino al secolo XIII, quando, con lascesa del franc escanesimo, limportanza del monachesimo benedettino si ridimensiona.

I volgari dItalia non si presentano sempre in una veste li nguistica pura. In molti casi i testi esibiscono una lingua mista composta di tratti di aree diverse, ora vicine, ora anche lontane. Il fatto dovuto alla copiatura di manoscritti che viaggiavano di mano in mano in varie parti dItala. Un esempio estremo que llo della lirica siciliana della corte di Federico II, che ci pervenuta praticamente tutta in veste siculo-toscana, come vedremo subito (par. 3). In uno dei pi importanti e antichi manoscritti della Commedia di Dante, lUrbinate latino 365, sul fiorentino originario si depositata una spessa patina romagnola, tanto che una sua utilizzazione ai fini di unedizione critica dellopera resa molto diff icoltosa. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Capita, inoltre, con una certa frequenza che importanti testi non siano localizzabili con precisione, come i cosiddetti Sermoni subalpini (sec. XIII), sono considerati piemontesi, ma sono redatti in realt in un volgare che, accanto al

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piemontese, contiene numerosi tratti francesi e provenzali. La loro localizzazione dunque problematica. Secondo Giuliano Gasca-Queirazza (1996) potrebbero essere stati composti in Alta Val di Susa, al confine tra il dominio linguistico piemontese e larea occitanica.

Luso del volgare nellamministrazione si impone particolarmente presto nelle repubbliche di Venezia e di Genova, senza escludere naturalmente il latino. A Venezia luso del volgare nellamministrazione a ttestato gi dalla fine del sec. XIII e si intensifica nel corso dei secc. XIV e XV. A Genova i testi cancellereschi in volgare cominciano nel terzo quarto del sec. XIV e si infittiscono verso la fine del secondo quarto del Quattrocento. Sia a Venezia che a Genova, il volgare delle cancellerie mantiene una decisa connotazione in senso locale fin verso la met del Quattrocento e solo nella seconda met del secolo si orienta verso modelli soprarregionali. Tra la fine del Trecento e linizio del Quattrocento il v olgare comincia a essere impiegato accanto al latino dagli apparati esecutivi di alcune delle pi importanti signorie dellItalia centro-settentrionale (Urbino, Mantova, Milano, Ferrara) e di l a poco viene adottato anche nella corrispondenza diplomatica a Urbino (dal 1378), a Mantova (dal 1401) a Milano (dal 1438, a Ferrara dal 1445). Tale uso tende a generalizzarsi verso la met del Quattrocento. La lingua di queste scritture risulta fin dallinizio depurata dei tratti municipali pi marcati e appare ori entata verso forme di koin interregionale, che risente pi dellesempio del latino umanistico che della norma toscana trecentesca (Breschi 1986, pp. 179182; Tavoni 1992, pp. 47-55) Linflusso della lingua letteraria su quella amministrativa, inizialmente contenuto, aumenta nella seconda met del sec. XV. Particolarmente importante il volgare in uso presso la corte estense di Ferrara, che diverr strumento di espressione artistica nelle opere di Matteo Maria Boiardo. Luso del volgare nella corrisponden za ufficiale documentato precocemente anche in alcune lettere della corte angioina di Napoli (1356). La prassi resta saltuaria fino allavvento della la dinastia aragonese (1442), che far uso nella cancelleria oltre che del latino e del catalano di un volgare ricco ancora di tratti locali, ma aperto a latinismi e influssi toscani.

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Lesistenza di queste lingue di koin, usate nelle scritture amministrative e diplomatiche (e qualche volta anche nella letteratura), ma non cos lontane dalle variet che saranno state effettivamente parlate nelle corti, indurr alcuni letterati del Cinquecento a proporre la cosiddetta lingua cortigiana come lingua letteraria comune dItalia, in alternativa al modello t oscano. Ma sar questultimo, invece, a imporsi. La Sardegna costituisce un caso unico in Italia e nel dominio romanzo pi in generale. Il latino vi era usato molto sporadicamente, e appare invece precocemente il volgare locale sardo. I pi antichi testi pratici, le carte (cio documenti giuridici redatti nelle cancellerie dei sovrani che governavano lisola, i giudici) incominciano ad essere redatti interamente in sardo gi alla fine del sec. XI e si moltiplicano nei secoli successivi. Un po pi tardi (sec. XII), ma sempre precoci rispetto al resto dItalia , sono i primi condaghi (sing. condaghe), registri in cui venivano trascritti gli atti giuridici relativi a comunit religiose. Alla diffusione del sardo in ambito documentario, per, non corrisponder come invece avviene nel resto dItalia lo sviluppo di una letteratura scritta in volgare (Merci 1983).

4. La prima lirica volgare e la Sicilia La Scuola poetica siciliana fiorisce alla Corte itinerante di Federico II di Svevia tra il 1230 e il 1250, a opera di un gruppo di rimatori originari della Sicilia e del Meridione dItalia (ma cera probabilmente anche un t oscano, Paganino). La lingua usata da tutti un siciliano non localizzato in nessun centro preciso dellisola, nobilitato dal provenzale, da cui i poeti traevano il m odello letterario per la loro produzione. La rima, in particolare, riflette il particolare sistema vocalico del siciliano antico (conservato nel dialetto moderno), smentendo ogni ipotesi alternativa a quella della sicilianit originaria dei testi. La produzione della Scuola siciliana circolata sostanzialmente in copie toscane, in cui la lingua veniva decisamente toscanizzata, anche se con resti visibili del siciliano originario. La Scuola siciliana ha una prosecuzione nei cosiddetti rimatori Siculotoscani (seconda met del Duecento). Nella loro produzione limpronta siciliana della prima lirica volgare mantenuta, e la lingua delle loro poesie simile a quella delle copie toscane della prima Scuola (Coluccia 2008). Il volgare lirico toscano, che diventer patrimonio della lingua ita-

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liana per secoli, reca cos agli inizi, e recher ancora per qualche tempo, le tracce di questa prima elaborazione. Una pausa di settantanni segna il distacco tra questo primo episodio e un uso stabile, questa volta alternato a quello del latino, del volgare siciliano. Non si tratta pi di poesia. Testi amministrativi, compresi quelli del Regnum Siciliae, in volgare palermitano sono conservati dal 1320 in poi (Rinaldi 2005, I, p. XIV), e diventano nel tempo via via sempre pi numerosi. Pi o meno lo stesso sar forse stato dei documenti di Messina e di Catania, che sono per andati distrutti. La cancelleria regia di Palermo scriveva generalmente in latino, ma non mancano casi in cui usa il volgare. Nel Trecento la cultura alta si sviluppa in latino nei centri di Palermo, Catania e Messina, ma dopo il 1320 (circa nello stesso periodo in cui appaiono i primi testi documentari) sono prodotte anche delle grandi traduzioni in prosa siciliana di carattere sia religioso ( San Gregorio di Giovanni Campoli da Messina) che laico (Istoria di Eneas, tradotta dal toscano da Angilu da Capua, di Messina, Libru di Valeriu Maximu, volgarizzato da Accursio di Cremona). Nella storiografia, il siciliano (Historia sicula, 1293) si affianca al latino scritto precedentemente, ma anche posteriormente. Durante il Trecento si compongono in volgare siciliano statuti, opere religiose originali in versi e in prosa, anche di notevole estensione.

5.

Tre volgari dItalia

Dopo questo breve schizzo della Sicilia volgare, non potendo passare in rassegna tutti i volgari dItalia ricordati al par. 3, ci limitiamo a tratta rne sommariamente tre (quelli di Bologna, di Venezia e di Roma), dando anche un breve esempio con commento linguistico di due, Venezia e Roma. Ci esimiamo di parlare qui del volgare toscano e di quello fiorentino in particolare. Questultimo diventa quello che verr chiamato e che noi chiamiamo italiano.

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5.1. Bologna (Stella 1994; Gasca Queirazza 1995) La precoce circolazione a Bologna della poesia siculo-toscana, testimoniata dagli inserti inclusi nei Memoriali bolognesi a partire dal 1286, porta alla rapida affermazione in ambito lirico di una lingua ibrida, in cui convivono tratti locali e elementi di ascendenza letteraria, siciliani e toscani. Tra i poeti che se ne servono c Guido Guinizzelli (1230-1276), importante per la formazione di Dante, e quindi per il destino della lirica e della letteratura italiana successiva. Parallelamente a questa tradizione poetica alta, documentata a Bologna lesistenza di una produzione locale che comprende componimenti religiosi (tra cui larcaica Lauda dei servi di Maria, sec. XIII), testi di argomento civile (Serventese dei Lambertazzi e dei Geremei , probabilmente del 1280), poesie di tono popolareggiante e giullaresco (ballate in stile comico e canzoni di donna dei Memoriali bolognesi, fine del XIII-inizio del XIV sec., ecc.). Un precoce ma isolato esempio di uso del volgare nella prosa, costituito dalla tardo-duecentesca o primo-trecentesca Vita di San Petronio. Nel Trecento il volgare si afferma anche nelle cronache. Ricordiamo che Bologna, con la sua universit, era il centro pi importante dItalia di cultura latina, soprattutto giuridica. Le pi antiche scritture volgari nascono dal seno stesso della cultura latina universitaria. Guido Faba, professore presso lo studio bolognese, attua precocemente il tentativo di estendere al volgare i precetti della retorica latina. Allinterno di un trattato di dictamen in latino, la Gemma purpurea (1239/1248), Guido Faba inserisce quindici formule in volgare modellate secondo i precetti dellepistolografia latina, e in un manuale di eloquenza latino, i Parlamenta et epistole (1243 ca.), presenta anche dei modelli di discorso in volgare Interamente in volgare sono le Arringhe del notaio Matteo dei Libri, un trattato di oratoria pubblica redatto nella seconda met del sec. XIII. In queste opere il volgare appare fortemente influenzato dal latino (e nelle Arringhe, anche dal toscano) e si presenta privo dei caratteri municipali pi marcati. Per il resto, in testi pratici e documentari il volgare comincia ad essere usato nel terzo quarto del sec. XIII e guadagna spazio nel corso del secolo successivo. Verso la met del Trecento compaiono anche le prime scritture pubbliche in volgare.

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5.2. Venezia (Pellegrini-Stussi 1965; Tomasoni 1994; Stussi 1995b) La produzione in volgare del Veneto la pi ricca della penisola dopo quella toscana, e fiorisce, come questa, in diversi centri importanti, soprattutto a Verona e a Padova. Il primo posto tocca per a Venezia, dove una tradizione scrittoria in ambito documentario si afferma molto presto. Le attestazioni, ancora sporadiche nella prima met del Duecento, si fanno pi frequenti a partire dalla met del secolo, aumentano notevolmente alla fine del Duecento e si infittiscono nel corso dei secoli XIV e XV (Stussi 1965). Un po pi tarda laffermazione del veneziano nelluso cancelleresco (sec. XV con alcune anticipazioni nel XIII e XIV) (Tomasin 2001), dove il latino prevale peraltro fino al sec. XVI. I caratteri pi schiettamente locali della scripta vanno attenuandosi soprattutto dal sec. XV sotto la spinta congiunta di latino e toscano. Gli inizi di un uso letterario, sia in prosa sia in poesia, datano dallinizio del Trecento. Pr ecedenti (sec. XII ex.-XIII m.) sono i testi trasmessi dal ms. Hamilton 390, gi Saibante (Proverbia quae dicuntur super natura feminarum, volgarizzamenti dei Disticha Catonis e del Pamphilus de amore), che tradizionalmente vengono assegnati a Venezia, ma che presentano una veste linguistica piuttosto ibrida (Stussi 1995a, pp. 791-798). La produzione letteraria sar abbondante nei secoli seguenti, anche se sempre pi influenzata dal modello toscano, che a Venezia gi riflesso nellopera poetica di Giovanni Quirini (a. 1295-1333). Nella prima met del Quattrocento la poesia lirica raggiunge uno dei suoi vertici con Leonardo Giustinian (1385 ca. - 1446), autore di poesia religiosa e amorosa. Le sue canzonette e strambotti in veneziano, destinati allesecuzione musicale, hanno una grandissima fortuna anche al di fuori di Venezia e dellItalia settentrionale (Balduino 1980, pp. 304-25).
Il volgare veneziano ha trovato concorrenza non solo, come dappertutto, nel persistente uso del latino, che si rinnover con lU manesimo, ma anche nel provenzale, nella poesia lirica, e nel francese, usato in vari generi letterari. Queste due lingue dOltralpe hanno avuto diffusione letteraria anche nel Veneto di terraferma e in altre parti dellItalia settentrionale (il francese a nche nella Napoli angioina), A Venezia, Martin da Canal scrive in francese una cronaca veneziana (le Estoires de Venise) tra il 1267 e il 1275. In francese sar anche lopera senzaltro pi celebre prodotta da un veneziano, il Devisement dou monde (meglio noto come Milione), scritto da Marco Polo in collaborazione con Rustichello da Pisa nel 1298. Il Milione verr ben presto tradotto nei pi impor-

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tanti volgari italiani (fiorentino, bolognese, veneziano, ecc.) e, dal volgare, in latino (oltre che in altre lingue dEuropa).

Come esempio di veneziano antico, riportiamo alcuni versi (27972802) della Legenda de Santo Stadi (cio santEustachio), un poemetto agiografico composto da Franceschino Grioni nel 1321 (ed. Badas 2009):
Madonna, quel Dio te sostegna, che tu as dito, e mantegna en alegrea et in paxe. Or[a] ne di o che te plaxe, che nui faremo tuto a plen lo to voller, s'ell' de ben.

A livello fonetico si segnalano: la metafonesi in nui < /noi/ < NOS; la conservazione di /e/ atona in te ti e en in, mentre il fior. presenta linnalzamento a /i/; lapocope di /e/ finale dopo /n/ e /r/ ( ben, voller volere) e di /o/ finale dopo /n/ (plen); lesito // > /z/ (grafia x) in contesto intervocalico in paxe < PACEM, plaxe < PLACET; levoluzione // > // ad inizio di parola (e pi in generale in contesto non intervocalico) in < (EC)CE HOC; la conservazione del nesso latino /pl/ in plaxe, plen; lo scempiamento della consonante geminata in alegrea, dito, tuto (il raddoppiamento in Madonna e voller [vo lr] sar soltanto grafico); la co nservazione di /i/ di dito detto. A livello morfologico: la conservazione di S latina in as < HABES; i cong. sostegna e mantegna, regolari continuazioni di SUSTINAT e MANUTENAT; la forma proclitica del possessivo to (lo to voller); luso della forma originaria dellarticolo lo < (IL)LUM in contesto postconsonantico (plen / lo to voller). A livello sintattico, la presenza del pronome personale nella subordinata sell de ben.

5.3. Roma (DAchille-Giovanardi 1984; De Mauro 1989; Trifone 1992) A Roma lemersione del volgare antichissima. Il Graffito della Catacomba Commodilla (prima met del sec. IX) e lIscrizione di San Clemente (fine del sec. XI) costituiscono due tra i pi antichi testi volgari dItalia e, pi in generale, del dominio romanzo. A tale precoce fioritura non corrisponde per nei secoli successivi laffermarsi di una consolidata tradizi o-

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ne scrittoria. I pochi testi in volgare prodotti nel Duecento e nel Trecento sono perlopi prose di carattere storico-letterario: si tratta delle vaste compilazioni delle Storie de Troja et de Roma e le Miracole de Roma del sec. XIII, e della celebre Cronica dellAnonimo Romano del sec. XIV. Se si eccettuano alcuni testi poetici religiosi tardo-trecenteschi, in poesia luso del romanesco appare limitato ai componimenti del poeta ebreo Immauel Romano (1265 c.a-1350), che comunque presentano una veste linguistica gi notevolmente toscanizzata. Si devono attendere gli ultimi decenni del Trecento perch il volgare incominci ad essere usato in testi documentari e nelle scritture esposte. Nel corso del Quattrocento la produzione in volgare romanesco aumenta rapidamente in tutti gli ambiti. La politica culturale della Curia pontificia, nel momento in cui, nel corso del Quattrocento, si orienta verso una prospettiva politica italiana, favorisce ladeguamento della variet scritta ufficiale alla norma linguistica toscana. Le scritture popolari o popolareggianti conservano invece in misura maggiore quei tratti linguistici centro-meridionali che originariamente accomunavano il romanesco alle variet vicine. Nei primi decenni del Cinquecento, linflusso del modello linguistico promosso dalla corte pontif icia e, soprattutto, la massiccia immigrazione a Roma di popolazione proveniente dalla Toscana e dallItalia settentrionale porter alla tosc anizzazione anche della lingua parlata dalla classi medio-basse (Ernst 1970).
La lingua della Cronica rappresenta un esempio significativo di volgare romanesco anteriore al processo di toscanizzazione: Ora prenne audacia Cola de Rienzi, bench non senza paura, a vaone una collo vicario dello papa, e sallo lo palazzo de Campituoglio anno Domini MCCCXLVII. Aveva in sio sussidio forza da ciento uomini armati. Adunata grannissima moitudine de iente, sallo in parlatorio, e s parlao e fece una bellissima diceria della miseria e della servitute dello puopolo de Roma. Puoi disse ca esso per amore dello papa e per salvezza dello puopolo de Roma esponeva soa perzona in pericolo. Puoi fece leiere una carta nella quale erano li ordinamenti dello buono stato. (Anonimo Romano, Cronica, cap. 18, ed. Porta 1981, pp. 154-155)

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Tra i fenomeni pi notevoli, segnaliamo: il dittongamento metafonetico di e per effetto di - e - finali in ciento, Campituoglio, puopolo, uomini, puoi; il mancato innalzamento di /e/ atona a /i/ in de; il passaggio di G davanti a vocale anteriore a /j/: GENTEM > iente; LEGRE > leiere; lesito -ND- > /n/: prenne, grannissima; il passaggio di /s/ a /ts/ dopo liquida: perzona; la conservazione dellocclusiva sorda intervocalica /t/: Campituoglio, servitute; il passaggio di /l/ preconsonantica a /i/: moitudine; gli articoli lo < (IL)LUM e li < (IL)LI; la terza persona singolare in -ao (vaone ne va); il perfetto in -ao < -AU(IT) (parlao), e la forma analogica sallo; il possessivo maschile sio, analogico su mio; il complementatore ca, continuatore di QUIA.

6. Dai volgari ai dialetti La fioritura scritta dei volgari si indebolisce e comincia a tramontare nel corso del Quattrocento. Da un lato, con lUmanesimo, una parte de lla produzione letteraria torna a essere scritta in latino. La rinascita del latino come lingua di largo uso scritto, e in parte almeno anche orale, nelle classi superiori, era tuttavia unutopia, e risult un fenomeno transitorio, anche se si svilupp in molte parti dEuropa e lasci unimpronta indel ebile nelle lingue dellEuropa occidentale, proseguendo del resto per secoli soprattutto nellistruzione. Il fenomeno essenziale invece che comincia a imporsi in tutta Italia il fiorentino, sia nellespressione letteraria che nellattivit amministrativa delle signorie dItalia. Come abbiamo gi a ccennato, la diffusione di una lingua letteraria di base toscana molto antica e comincia gi attorno alla fine del sec. XIII a Bologna. Nel secolo successivo i principali poli di irradiazione sono le citt del Veneto (Venezia, Treviso, Padova) e la corte dei Visconti a Milano. Nel 1332 il metricologo e poeta padovano Antonio da Tempo dichiara la lingua tusca, cio il toscano, magis apta [...] ad literam sive literaturam quam aliae linguae (pi adatta allespressione scritta e alla letteratura delle altre lingue). Sempre nel Trecento, il modello fiorentino si diffonde anche in centri dellItalia centrale e meridionale come Perugia (1320-1350) e a Napoli (seconda met del secolo). Il processo di unificazione della lingua letteraria, anzitutto poetica, procede anche se con esitazioni e regressioni nel Quattrocento, accelerando alla fine del secolo, grazie soprattutto allaffermarsi del petrarchismo. Pi tarda ladozione del toscano nella lingua ammin istrativa. Come si detto, nelle pi importanti cancellerie signorili del Nord prevale ancora nel Quattrocento una lingua di koin caratterizzata da generici tratti settentrionali. La prima corte che adotta il fiorentino

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trecentesco come modello oltre che nella letteratura, anche nella prassi cancelleresca quella di Ludovico il Moro, signore di Milano tra il 1480 e il 1499 (Vitale 1988). Le lingue in uso nelle corti dItalia tra Quattro - e Cinquecento avevano abbandonato i tratti dialettali pi evidenti, ma facevano pur sempre concessioni nella fonetica e nella morfologia ai volgari locali. Il successo della proposta arcaizzante di Pietro Bembo, che appoggiava la lingua letteraria che presto sar chiamata italiana alluso degli autori fiorentini del Trecento, soprattutto Petrarca e Boccaccio, spezza il filo che le lingue cortigiane mantenevano con la lingua parlata, e dunque anche con i volgari locali. Le autocorrezioni, ispirate dalle teorie del Bembo, di autori come il fiorentino Francesco Guicciardini, mostrano che anche il volgare fiorentino scritto, basato sulla conoscenza nativa, si conformava al modello fiorentino aulico, basato invece sulla lingua del passato. Quando il fiorentino nativo, vero per dire cos, riapparir nella lingua scritta, in particolare nelle commedie di Giovanni Battista Zannoni (1774-1832) che mette in scena il popolo di Firenze, sar diventato anchesso, come gli altri volgari dItalia, un dialetto, anche se denominato in genere con un altro termine, vernacolo, peraltro sinonimo del primo. Al di fuori della Toscana, limporsi del modello fiorentino provoca come reazione il sorgere di una letteratura dialettale riflessa che, a partire dai primi esempi quattrocenteschi nellItalia nord-orientale (Veneto, Ferrara, Bergamo), si diffonder in tutta Italia e conoscer una grande fortuna nei secoli XVIXVIII (Segre 1963; Paccagnella 1984). Nellambito cancelleresco, amministrativo, giuridico, ecc. luso dellitaliano-fiorentino resta basato su conoscenze approssimative e condizionato dal volgare locale pi a lungo di quanto accada nella lingua letteraria. Cos, per esempio, le relazioni degli ambasciatori veneziani al Senato della Serenissima allinizio del secolo XVI appaiono ancora scritte in un volgare sostanzialmente toscano, cio italiano, ma che conserva elementi fonologici, morfologici e lessicali veneziani. Questo genere di lingua chiamata spesso tosco-veneto. Nei decenni successivi i tratti locali verranno progressivamente abbandonati, e si giunger entro la fine del secolo ad una pressoch completa toscanizzazione della lingua. (Durante 1981, pp. 163-164; Tomasin 2001, pp. 158-64). Laffermazione del modello toscano nel secondo Cinquecento e nel Seicento un fenomeno che riguarda pi in generale la lingua degli scriventi colti di tutta Italia. Da questo termine in avanti solo le scritture dei semicolti presenteranno

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fenomeni di ibridismo tra la norma scritta nazionale, litaliano, e la lingua parlata locale, il dialetto (Bartoli Langeli 2000).
ALVISE ANDREOSE Dipartimento di Romanistica, Universit degli Studi di Padova Alvise.Andreose@unipd.it LORENZO RENZI Dipartimento di Romanistica, Universit degli Studi di Padova Lorenzo.Renzi@unipd.it

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