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Nella societ moderna, una volta adottato sistematicamente litaliano, il notaio diventato utente e produttore di lingua amministrativo-burocratica ( burocratese), alla quale si deve attenere per ragioni professionali, ovviamente senza la funzione trainante e propulsiva che allorigine della storia dellitaliano fu propria di questa categoria professionale. ne deriv, e cio senza la formazione di una comunit sociopolitica unificata che lo adottasse pienamente, litaliano non avrebbe avuto la diffusione sociale che ha avuto e il suo uso non avrebbe accolto e condiviso quelle innovazioni che gli permettono oggi di essere impiegato in funzioni comunicative e culturali rispondenti allo standard delle societ avanzate. In termini pi precisi, non avrebbe trovato un alveo sociale entro il quale rimodellarsi in direzione di tale standard. Questo tipo di argomentazione valido per impostare i giudizi sul corso postunitario della lingua italiana, non per condividere a posteriori le posizioni di coloro (i manzonisti) che allepoca, di fronte allo stato dei fatti, proponevano un programma di governo per istituire per decreto e diffondere con provvedimenti scolastici coattivi ( scuola e lingua; questione della lingua) una nuova lingua (estratta dal fiorentino parlato borghese) nellintera popolazione italiana. A quella pretesa rispose la rivendicazione dei diritti della tradizione scritta compiuta dal glottologo Graziadio Isaia Ascoli (Proemio, 1873; pi tarda la pungente satira di Giosu Carducci, Le mosche cocchiere, 1897), le cui previsioni si sono in sostanza avverate: la lingua ereditata dalla storia ha avuto una maggiore diffusione sociale di pari passo con la crescita dellistruzione e il suo rinnovamento complessivo venuto dal progressivo, e non stravolgente, incontro delluso colto con le esigenze del parlato nelle sue variet. Lestensione dellitaliano di tradizione scritta alle masse avvenuta, fino ad ora, nel segno di una forte continuit: morfologica, sintattica, lessicale, ortografica. Di fonologia non si pu parlare, perch le antiche pronunce dellitaliano ci sono ignote e comunque non fanno tradizione; in ogni caso, le pronunce dovevano essere pi marcate regionalmente di quelle di oggi. Ancora nellOttocento perfino litaliano pronunciato a Firenze (per via della spirantizzazione di tutte le occlusive sorde intervocaliche) era incomprensibile agli stranieri che lo avevano studiato sui libri. Anche dal punto di vista linguistico, oltre che da quello storico generale, il traguardo dal quale prese lavvio il nuovo corso va messo direttamente a riscontro con laltro grande crinale della nostra storia, segnato dal crollo della civilt romana. La forte penetrazione della lingua italiana nella massa degli abitanti dellItalia odierna (oltre 58 milioni) un evento che chiude il lungo periodo storico che si era aperto tra V e VI secolo con lo smembramento politico e linguistico del territorio italiano. Anche in altri territori dellantica latinit si sono avute ricomposizioni attraverso una nuova lingua: ma altrove (Francia, Spagna), tale processo stato molto pi graduale nel tempo; in Italia invece leffettiva ricomposizione linguistica stata irruente, al ritmo dei cambiamenti sociali e tecnologici dei nostri tempi. Collegando con lo sguardo i due estremi di questo lungo arco storico si vede emergere pi chiaramente anche il pilastro centrale del ponte che ci ha ricondotti allunit: la nascita e la prima diffusione, tra gli abitanti dItalia, del fiorentino letterario fra il Trecento e il Cinquecento. Avanzando dalla tappa unitaria verso il presente, bisogna cogliere lintreccio dei processi di ricomposizione avviati da quellonda durto con i fenomeni di trasformazione intervenuti strada facendo sotto la spinta di altri fattori e individuare anche cesure intermedie che hanno aperto altri cicli nella nostra storia linguistica. Nel secolo e mezzo che alle nostre spalle i segni del passaggio a una diversa fase si colgono negli anni finali del Novecento, nei quali si addensano molti fatti nuovi: gli effetti pi netti dellinternazionalizzazione della vita individuale e sociale (la globalizzazione e pi specificamente lapertura delle frontiere europee); la pressione, su tutte le tradizioni culturali, delle generazioni pi giovani (entrate in particolare agitazione tra gli anni Sessanta e Settanta); gli scuotimenti demografici prodotti dai consistenti e incessanti flussi immigratori; il sopraggiungere e il moltiplicarsi delle emittenti radiofoniche e televisive private, portatrici anche di inusitata libert linguistica ( radio e lingua; televisione e lingua); la pervasivit dei nuovi media capillari e interattivi. Nellultimo decennio del secolo litaliano ha cominciato cos a essere sottoposto a sfide molto pi acute, che richiedono una trattazione in chiave notevolmente diversa ( lingua doggi). La ricostruzione che segue occupa dunque, pi precisamente, il periodo compreso tra questi termini: laffacciarsi 967

Ludovica Maconi
Alighieri, Dante (1994), La Commedia secondo lantica vulgata, a cura di G. Petrocchi, rist. riveduta, Firenze, Le Lettere, 4 voll. (1a ed. Milano, Mondadori, 1966-1967). Alighieri, Dante (2002), Rime, ed. critica a cura di D. De Robertis, Firenze, Le Lettere, 3 voll., vol. 3. Casapullo, Rosa (1999), Il Medioevo, in Storia della lingua italiana, a cura di F. Bruni, Bologna, il Mulino. Castellani, Arrigo (19762), I pi antichi testi italiani. Edizione e commento, Bologna, Ptron (1a ed. 1973). Coluccia, Rosario (1990), Notai pugliesi, grafie e storia linguistica, Studi linguistici italiani 16, pp. 80-96. Fiorelli, Piero (1994), La lingua del diritto e dellamministrazione, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 2 (Scritto e parlato), pp. 553-597. Fiorelli, Piero (2008), Intorno alle parole del diritto, Milano, Giuffr. Formentin, Vittorio (2008), Frustoli di romanesco antico in lodi arbitrali dei secoli XIV e XV, Lingua e stile 43, pp. 21-99. Marazzini, Claudio (1984), Piemonte e Italia. Storia di un confronto linguistico, Torino, Centro Studi Piemontesi. Marazzini, Claudio (20023), La lingua italiana. Profilo storico, Bologna, il Mulino (1a ed. 1994). Orlando, Sandro (a cura di) (1981), Rime dei memoriali bolognesi, 12791300, Torino, Einaudi. Orlando, Sandro (a cura di) (2005), Rime due e trecentesche tratte dallArchivio di Stato di Bologna, consulenza archivistica di G. Marcon, Bologna, Commissione per i testi di lingua.

Fonti

Studi

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1. Termini cronologici In pochi casi, come in quello dellitaliano moderno, nel fare la storia di una lingua ci si imbatte in un termine cronologico preciso che abbia segnato un cambiamento netto di situazione ambientale generale (di condizioni esterne) e abbia investito, sia pure in modo vario, luso linguistico dellintera popolazione. al momento dellunificazione politica, conclusasi rapidamente negli anni 1859-1870, che in Italia, dopo secoli di formazione e sedimentazione di un dato assetto linguistico, si pose per lintera popolazione un problema di cambiamento linguistico. Nel Paese, popolato allora da circa 26 milioni di abitanti, si present infatti la necessit di: a) avvicinare alluso personale dellitaliano parlato, e di pari passo scritto, il 90% circa della popolazione, in precedenza, almeno dal punto di vista produttivo, solo dialettofona; un 90% in cui si iscriveva il 74,6% (secondo altri calcoli il 78%) di analfabeti (per un confronto, in Germania lanalfabetismo riguardava allora il 20% della popolazione), ai quali vanno aggiunti i semianalfabeti (secondo alcuni calcoli il 19%); b) far sviluppare un uso pi moderno (effettivamente comunicativo, nello scritto e nel parlato) e pi nazionale (con distacco dalle pieghe regionali) della lingua stessa in chi il restante 10% laveva fino ad allora praticata prevalentemente per iscritto e, scrittori compresi, secondo modelli abbastanza rigidi. Che al momento del raggiunto traguardo dellUnit la situazione linguistica italiana nel suo complesso si presentasse in questi termini possiamo ormai ammetterlo, sulla base dei calcoli compiuti pi volte e delle considerazioni che possiamo svolgere giudicando a distanza levoluzione successiva dellitaliano. La svolta nella storia complessiva dellitaliano fu dunque radicale, ma questa affermazione va intesa in un senso che va precisato, sia pure con un ragionamento di tipo ipotetico: senza lunificazione politica, con tutto ci che prima o poi

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dellitaliano, insieme con lunificazione politica dItalia, alla civilt moderna e il suo venire a confronto con gli effetti dei movimenti fortemente accelerati portati, in sintesi, dalla globalizzazione. Ma al primo mezzo secolo della nostra vita unitaria (Migliorini 1960: 669-747), che trattato specificamente in altra voce ( Ottocento, lingua dell), ci si riferir qui brevemente, solo per misurare, rispetto ad esso, le differenze che si presentano nel periodo successivo, che decorre a partire dalla prima Guerra mondiale (sul quale come principali studi di riferimento si indicano De Mauro 1970a; Baldelli 1971; Durante 1981: 257-286; Mengaldo 1994; Marazzini 20023: 381461; Tesi 2005). 2. Il primo mezzo secolo di Unit nazionale Per la prima met dei centotrentanni considerati, data la fortissima divaricazione nelle condizioni socioculturali di partenza tra lesigua classe borghese e la massa popolare, le informazioni e descrizioni vanno spesso rivolte distintamente a questi due livelli della societ. Gi nei quattro decenni che seguono allunificazione politica si verificano cambiamenti che separano nettamente questo periodo della vita nazionale dal precedente. Basta far mente locale, per pochi istanti, alle conseguenze generali che cominciarono ad avere, anche sui fatti linguistici, eventi del genere (cfr. De Mauro 1970a): la costruzione della rete ferroviaria (l80% di quella tuttora esistente); la costituzione di un esercito, con leva obbligatoria, e di una burocrazia nazionali ( militare, linguaggio; burocratese; giuridico-amministrativo, linguaggio); lintroduzione dellobbligo scolastico (con leggi del 1859 e 1877, notoriamente osteggiate negli ambienti dei Gesuiti e del Vaticano, dalle classi pi abbienti e dai tradizionalisti in genere, tra i quali sincontra perfino Carducci); i due spostamenti della capitale nellarco di dieci anni; il sommovimento profondo prodotto in tutta la societ dallemigrazione degli strati popolari verso lestero (alcuni milioni di abitanti che allimprovviso uscirono dallambiente e dalla condizione in cui erano stati racchiusi per secoli); le iniziali forme di mobilitazione politica delle masse. Non c dubbio, per, che i mutamenti propriamente linguistici indotti da simili fenomeni si avvertirono pi rapidamente nelle classi medioalte, desiderose e capaci di integrarsi nel mutato ambiente di vita delle citt, poco o nulla invece nelle classi popolari. Alle aspirazioni, alle possibilit e ai gusti della rimescolata e nuova borghesia si collegavano anche il fiorire di una nuova letteratura (ricca di sperimentalismi, tra il toscanismo e lespressivismo dialettale) e lapparire di un buon numero di testate giornalistiche nazionali, espressione, luna e le altre, anche di un nuovo apparato editoriale. Accenniamo appena al fatto che accanto ai nomi destinati alla maggiore celebrit (il classicheggiante Carducci, Giovanni Verga, Luigi Capuana, Federico De Roberto, Giovanni Pascoli, il primo DAnnunzio, il primo Pirandello, il primo Svevo, ecc.; tra le firme femminili Matilde Serao e Grazia Deledda), emersero gli autori di una letteratura di tono medio (Carlo Collodi, Edmondo De Amicis, Emilio Salgari; si aggiungano i romanzi e i giornali per ragazzi: Il giornalino di Giamburrasca e Ciondolino di Vamba, il Corriere dei Piccoli), e che ebbero subito discreta fortuna i quotidiani nazionali apparsi nelle citt principali (dal 1870 a Firenze e dal 1871 a Roma Il Fanfulla, seguito dal domenicale letterario dal 1879; dal 1876 Il Corriere della sera a Milano; dal 1878 Il Messaggero e dal 1883 La Tribuna a Roma; dal 1892 Il Mattino a Napoli; dal 1895 La Stampa a Torino; si segnalano anche Il Giornale delle fanciulle, La Ricamatrice e La donna sarda). Tutta poesia e prosa (anche quella delle riviste di divulgazione culturale: Lillustrazione italiana, La Lettura, Il Secolo XX) destinata, comunque, a un pubblico preselezionato socialmente, che in questo modo certamente and aprendosi al nuovo anche in fatto di lingua. Ma era un nuovo che non veniva ancora sancito in sede di norma. La grammaticografia ( grammatica; Catrical 1995), come sempre arbitra della norma ( norma linguistica) e punto di riferimento per la scuola, segnava sostanzialmente il passo, evitando di coone968 stare apertamente molte scelte gi compiute dagli scrittori: con leccezione dellopera di Raffaello Fornaciari, che prendeva le mosse dalle aperture manzoniane per disegnare una Sintassi italiana delluso moderno (1881; 2a ed. 1897; storia della linguistica italiana) nella quale cercava di riagganciare a un filone storico le forme delluso vivo toscano. Sicch la scuola, se combatt contro lanalfabetismo ( analfabetismo e alfabetizzazione), non fu per vera promotrice di svecchiamento della lingua (le grammatiche tenevano in vita ancora le forme pronominali eglino ed elleno, tra laltro difese da Carducci), nonostante la folata di toscanismo introdotta dalla proposta manzoniana ( Manzoni). Lincidenza dellistruzione scolastica sulluso generale della lingua per alcuni decenni non and, per una gran parte della popolazione infantile, oltre laccostamento alla lettura e ai livelli iniziali della scrittura. Anche il distacco dalluso personale del dialetto non fu, per la stragrande maggioranza degli appena alfabetizzati, un traguardo raggiunto in quel mezzo secolo. Il progetto di far procedere sistematicamente lapprendimento scolastico dellitaliano partendo dal dialetto (De Mauro1970a: 359-360) non dette risultati (n avrebbe potuto darli, mancando nel corpo insegnante la preparazione specifica per unoperazione del genere). Lanalfabetismo pass dal citato 74,6% del 1861 al 50% nel 1901 (in Germania si era arrivati all1%; in Francia si era al 16,5%) e al 40% nel 1911. Ma nella produzione linguistica personale la dialettofonia abituale, e il pi delle volte esclusiva, riguardava, si presume, ancora pi dell80% degli abitanti. Il dato si ricava per induzione da due fatti: la totale dialettofonia dei milioni di emigrati che lasciarono lItalia fino alla vigilia della prima Guerra mondiale; lesistenza di un 66% di dialettofoni abituali risultante ancora nel rilevamento statistico del 1951. Anche ai vertici della coscienza linguistica nazionale, in una istituzione come lAccademia della Crusca ( accademie nella storia della lingua), regnava lincertezza sui criteri di accettabilit degli usi. La grande impresa della quinta edizione del Vocabolario (1863-1923, fino alla lettera o inclusa; lessicografia) accumulava testimonianze solo delluso scritto, sulla base di testi ancora prevalentemente antichi e comunque fortemente selezionati, operazione che non era dindirizzo ai nuovi utenti della lingua (sulla Crusca nel Novecento v. Sabatini 2007). 3. Dalla prima Guerra mondiale alla fine della seconda Nel trentennio che corre tra il 1915 e il 1945 lintera nazione italiana fu colpita da tre sconvolgimenti di natura politica e bellica: la Grande guerra; lavvento e la durata del regime fascista; la seconda guerra mondiale. In concomitanza con questi eventi, di per s capaci di incidere fortemente sugli assetti sociali e culturali della popolazione italiana, agirono fattori di altra natura, altrettanto incisivi sullo stesso piano e proprio su quello linguistico: un nuovo passo avanti nellindustrializzazione, con i connessi fenomeni di maggiore urbanizzazione; lavvento delle prime consistenti innovazioni nella sfera delle comunicazioni foniche a distanza (telefono, radio, cinema sonoro, registrazione fonografica). La mobilitazione e la mobilizzazione di milioni di individui in occasione dei due conflitti, specialmente del secondo, pi tragico e coinvolgente per militari e civili, crearono i pi traumatici rimescolamenti verificatisi nella popolazione italiana da molti secoli a questa parte. Rimescolamenti che influivano direttamente sullaccostamento delle masse allitaliano. Un accostamento, per, forzato dalle circostanze, mancando vere iniziative e condizioni di promozione dellistruzione delle masse stesse. Laspirazione al possesso dellitaliano si faceva comunque sentire in esse e in ogni caso cera la loro maggiore esposizione alluso orale dellitaliano, nei comizi e nelle adunate, ormai dominate dallaltoparlante. Quanto alluso scritto, le testimonianze ben note delle lettere in italiano popolare di soldati del primo e del secondo conflitto mondiale rivelano il passo avanti compiuto nellalfabetizzazione, ma non segnalano una familiarit del ceto popolare con la lingua nazionale.

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Lavvento del regime fascista (ottobre 1922; fascismo, lingua del) chiuse le prospettive di libera e vivace dialettica politica e cre condizioni diverse per una modernizzazione del ceto popolare: linquadramento nelle organizzazioni di partito e, specialmente per i ragazzi e i giovani, la partecipazione ai riti del sabato fascista e alle manifestazioni sportive. Loratoria fascista, le parole dordine (di prammatica gli aggettivi indefettibile, fatidico, granitico, vibrante, infallibile, ecc.) e, via via, lobbligo del voi allocutivo di rispetto invece del lei (1938), lostracismo ai dialetti e ai forestierismi rappresentavano i modelli per un italiano di regime, imposto naturalmente anche nella scuola. A questa forma di italianizzazione contribuivano anche le canzoni di esaltazione delle imprese dAfrica e, qualche anno dopo, delle azioni militari sui fronti della nuova guerra (Borgna & Serianni 1994: 24-35). Iniziative pi specifiche venivano prese negli ambiti pi a contatto con i centri del potere. Con la creazione, nel 1924, di unemittente radiofonica di Stato, lEIAR ( radio e lingua), si posero problemi per lunificazione della pronuncia e per ladeguamento di altri settori della lingua (esclusione di dialettismi e forestierismi) alle esigenze e alle possibilit di pianificazione linguistica attraverso questo primo mezzo di comunicazione di massa. Due filologi, Giulio Bertoni e Francesco Ugolini, pubblicarono, a distanza di 15 anni da quella data, un Prontuario di pronunzia e di ortografia destinato alluso radiofonico (Bertoni & Ugolini 1939; pronuncia): vi veniva tra laltro affrontata la questione delle difformit di pronuncia tra Firenze, patria di origine dellitaliano, e Roma, da considerare ormai la maggior fucina della lingua attuale (per es. colnna, lttera, flla, dera a Firenze, colnna, lttera, dera, flla a Roma). Sia pure a fini di propaganda di regime, venne favorita la pratica degli ascolti radiofonici, vero nuovo canale di diffusione dellitaliano parlato, per quanto centralizzato e rigidamente codificato. Le trasmissioni che promossero maggiormente i primi accostamenti delle masse popolari allitaliano fonico furono quelle delle cronache sportive ( sport, lingua dello). Lattivit lessicografica, e quindi normatrice, dellAccademia della Crusca era stata fatta cessare dal ministro Giovanni Gentile nel 1923, e ad essa era subentrata, a Roma, quella di una neofondata Accademia dItalia (1926, inaugurata nel 1929), che produsse nel 1941 il primo, e unico, volume (lettere A-C) di un nuovo Vocabolario, diretto da Bertoni: era fondato sulluso comune, riscontrato con quello degli autori moderni, e proponeva le sostituzioni dei forestierismi (nel programma redazionale si citavano casi come primato invece di record, lista invece di menu, ecc.) e anche i casi di presenza di forestierismi correnti (camion, claque, ecc.). La discussione tra zelanti italianizzatori dei forestierismi (cera chi in sostituzione della parola bar proponeva mescita, bettolino, quisibeve, ber, arguto incrocio col verbo bere, ecc.) che avrebbe portato nel 1941-43 allistituzione di una Commissione per litalianit della lingua, che pubblic elenchi di forestierismi da sostituire con parole italiane (Raffaelli 2010) si documenta nei primi numeri della rivista Lingua nostra, fondata nel 1939 a Firenze da Bruno Migliorini e Giacomo Devoto. Migliorini fu il principale interprete delle esigenze di ordine e funzionalit nelluso scritto dellitaliano degli anni centrali del secolo e fu anche il primo a ricoprire una cattedra di storia della lingua italiana (istituita a Firenze nel 1938; la seconda si ebbe a Roma lanno dopo e fu affidata ad Alfredo Schiaffini): fu in particolare il fondatore del neopurismo (ispirato ai criteri di una glottotecnica che studia la formazione delle parole sotto il profilo della loro compatibilit col sistema e della funzionalit nelluso) e aliment gli studi sullitaliano comune contemporaneo (Migliorini 1990). Fu anche il realizzatore della prima complessiva e ampia trattazione della storia della lingua italiana (Migliorini 1960). Nel campo della norma, tradizionalmente esplicitata nelle grammatiche, lavvento dellestetica di Benedetto Croce (Estetica come scienza dellespressione e linguistica generale, Palermo 1902, anno di fondazione anche della sua rivista La critica) aveva prodotto una generale perdita dimportanza di questo genere di produzioni e anche della sua presenza nella scuola. Se si fa eccezione per lopera di Pier Gabriele Goidanich (1918) che procur una ricognizione ampia, attenta anche alle variazioni di registro e alla prospettiva storica della lingua italiana, le altre grammatiche cercarono prima o poi di far valere i principi crociani della lingua come espressione individuale. Caso emblematico quello di Ciro Trabalza, che dopo aver lungamente elaborato la benemerita e ponderosa Storia della grammatica italiana, al momento della pubblicazione, convertito di colpo al crocianesimo, premise alla sua opera una Introduzione che negava ogni valore scientifico alla grammatica (un baloccarsi con le parole di fronte a tanto turbinio di cose, al complicarsi e allapprofondirsi della vita, al sorger perenne di tanti interessi spirituali: Trabalza 1908: 1-2). Una simile perdita di orientamento era dovuta in realt alla mancata apertura dellambiente italiano alle nuove scienze del linguaggio, che fiorivano invece in altre parti del mondo. Anche la riforma gentiliana dellistruzione (1923) si pose sulla linea dellidealismo per quanto riguarda linsegnamento linguistico, anche se il miglior collaboratore del ministro fascista, il pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, cerc di affrontare nuovamente, ma sul terreno della prassi, il rapporto del passaggio dal dialetto alla lingua nelleducazione elementare (Gensini 1995; DAlessio 2009). La riduzione dellanalfabetismo, in effetti, fu piuttosto lenta: dal 27,7% del 1921 si pass al 21,1% del 1931 (altre fonti indicano il 31% per il 1921 e il 25% per il 1931), con permanenti fortissimi dislivelli tra Sud e Nord. In campo letterario, dopo le esperienze dei veristi, degli scapigliati, del decadentismo allitaliana e del crepuscolarismo, che chiusero la stagione postrisorgimentale e primonovecentesca, i fenomeni pi caratterizzanti che poterono improntare anche luso generale della lingua scritta colta furono il Futurismo, il DAnnunzio del Notturno (con il nuovo gusto della prosa spezzata, spiccatamente nominale) e le varie esperienze tendenti allelitarismo di molti scrittori (dai vociani ai rondisti, ad Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Elio Vittorini, ecc., agli ermetici, con gli emergenti Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Umberto Saba, Salvatore Quasimodo, ecc., allesperienza irripetibile gi del primo Gadda). Si era di necessit avvicinata alla sintassi del parlato, invece, la lingua teatrale ( teatro e lingua), soprattutto con Pirandello, ma la sua prosa narrativa sentiva di ricerca non risolta. Nella saggistica lormeggio pi forte era la prosa di Benedetto Croce, tuttavia di limitata circolazione, data anche lavversione del critico e filosofo al regime fascista. Nellinsieme, per, i fatti letterari contemporanei non raggiungevano luso comune, non essendo aperta al presente la scuola e non essendoci, allepoca, quel tramite di divulgazione che sarebbe stato fornito pi tardi dai pi potenti e versatili mezzi televisivi e audiovisivi. Listruzione obbligatoria era sempre limitata alle cinque classi delle elementari (un limite che fu superato solo nel 1962). La sensibilit verso il nuovo, ma anche un certo umoristico distacco, sono testimoniati dal Dizionario moderno messo insieme da Alfredo Panzini, apparso nel 1905, e aggiornato pi volte (nel 1942 da Alfredo Schiaffini e Bruno Migliorini, che aggiunse appendici di neologismi fino al 1963: cfr. Panzini 1905; Migliorini 1963). Lavvento del cinema sonoro (1927), con le sue esigenze di pi ampia comunicazione rispetto al teatro ( cinema e lingua), mise infatti a dura prova la lingua italiana di fronte alle sfide di un parlato pi autentico. Da segnalare che il divieto del regime fascista di far circolare film in lingua straniera dette origine alla tecnica del doppiaggio delle voci ( doppiaggio e lingua), utile palestra anche per la produzione filmica italiana. Nellultimo decennio dellesperienza fascista, tra il 1931 e il 1942, si raggiunse un traguardo importante in campo giuridico, con la redazione dei nuovi quattro codici fondamentali (penale e civile e rispettive procedure), il cui robusto tessuto linguistico rispecchia ancora oggi i valori normali dellitaliano standard. 4. Dal cambiamento istituzionale allapertura delle frontiere europee Allindomani dello sfacelo prodotto dallimmane conflitto del 1940-45, il cambiamento istituzionale, che port alla Costituzione repubblicana del dicembre 1947, il vasto processo 969

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della ricostruzione postbellica, connessa con il fortissimo decollo industriale delle regioni settentrionali, una nuova massiccia ondata migratoria, sia allinterno (verso le citt industrializzate) che verso lestero (europeo ed extracontinentale), fecero compiere in pochi anni alla societ italiana il vero balzo in avanti verso la modernit. Se si aggiungono altri due fatti di grande impatto socioculturale, quali lavvento delle trasmissioni televisive (1954; televisione e lingua) e linnalzamento dellobbligo scolastico al quattordicesimo anno di et (1962; con la successiva tappa della Scuola media unificata e vari aggiustamenti fino al 1977), si comprende come in un quindicennio appena fossero mutati tutti i riferimenti contestuali per lassetto linguistico dItalia, tanto che Pier Paolo Pasolini nel 1964, salutando la nascita, nelle nuove realt industriali del Nord, di un nuovo italiano di impronta tecnologica, in cui la comunicazione contava pi dellespressione, dava il via a una nuova questione della lingua (Parlangeli 1971). Sul piano linguistico il fenomeno nel quale convergono tutte le spinte generate dai fatti sopra ricordati fu il decisivo accostamento dellintera societ alla lingua italiana. Un processo che va visto, com ovvio, bilateralmente: e cio anche come esposizione della lingua italiana a unondata di ibridazioni senza precedenti e come adattamento generale della lingua, in molti contesti, alle modalit delluso orale, per rivolgersi a una massa di riceventi scarsamente italofoni, attraverso il nuovo potente mezzo di trasmissione. Diffusore, questo, insieme con i nuovi strumenti di registrazione magnetica, anche della canzone popolare, profondamente rinnovatasi sul piano linguistico a partire dalla fine degli anni Cinquanta ( canzone popolare e lingua). In rapporto con questi multiformi processi di contatto linguistico diafasico, diastratico e diamesico ( variazione diafasica; variazione diastratica; variazione diamesica) sta la formazione di vere e proprie variet dellitaliano, alle quali sono stati dati i nomi di italiano regionale (Pellegrini 1960), italiano popolare (De Mauro 1970b), italiano delluso medio (Sabatini 1985). Le prime due variet, come prodotti nati dallincontro dellitaliano di tradizione scritta (fortemente uniforme fino al momento dellunificazione politica) con gli idiomi locali e con i tentativi di scrittura dei semicolti, formalmente non sono delle novit: di nuovo c il fatto che questi modi ibridi non sono pi fenomeni sporadici ma sono ora gli strumenti linguistici di masse di parlanti e di un certo numero di scriventi (gli emigrati appena alfabetizzati; emigrazione, italiano dell). Per quanto riguarda invece la terza variet, si tratta di una realt nuova: dellaffioramento di tendenze secolari che ora vengono a formare sistema e che trovano un habitat in molti ambiti della societ, nei suoi mezzi di comunicazione e in molte sue espressioni culturali, dalla letteratura al cinema alla pubblicit. Se alle tre variet segnalate si aggiunge anche la persistenza di un uso standard dellitaliano, come forma ufficiale della lingua, e, al polo opposto, di una dialettofonia consistente (ma dintensit cangiante, per distribuzione regionale, sociale e funzionale), si arriva a disegnare lintero repertorio delle variet linguistiche ( repertorio linguistico) presenti nella societ italiana sullo scorcio del XX secolo. A partire dagli anni Settanta negli studi sulla situazione linguistica generale del Paese si sono andate affermando proprio mappe del genere (un esame complessivo in Berruto 1993), che hanno permesso di qualificare una serie di fenomeni e di valutarne le prospettive di vita. In un primo tempo, lattenzione degli studiosi andata allitaliano regionale, o, pi correttamente, agli italiani regionali, considerati presto come un felice approdo della societ italiana a una condizione che sdrammatizzava lo scontro dialetto-lingua. Si tratta, come il termine lascia comprendere, del prodotto dellinfluenza del dialetto familiare e ambientale sullitaliano come lingua sostanzialmente appresa dallindividuo col crescere dellet e dellistruzione, essendo ancora scarsa, nella prima met del Novecento, la percentuale di italofoni nativi. Si deve per tener conto di una quantit di distinzioni nelle manifestazioni di questi usi, cominciando da quella tra uso parlato e uso scritto nella stessa persona. Nel parlato le tracce di 970 regionalismo a livello fonologico (il diverso trattamento della s intervocalica sorda o sonora; le incertezze nei timbri vocalici di e e o che interessano vaste aree fuori della Toscana; intervengono poi di area in area le pi diverse alterazioni dei suoni e gruppi consonantici) e prosodico hanno caratterizzato la lingua anche di personaggi del pi alto livello culturale. Ne sono testimonianza le registrazioni di discorsi, per es., di Benedetto Croce. Ai livelli socioculturali alti sono rari, almeno in situazioni di una certa formalit, ma affiorano ugualmente, fenomeni morfologici e microsintattici, quali potrebbero essere: per i parlanti settentrionali lomissione del non nella dichiarativa (il tipo so mica per non so) o solo pi per soltanto; per i toscani il tipo noi si va per noi andiamo e noi ci sha per noi abbiamo; per i meridionali la posposizione del possessivo del tipo il libro mio il mio libro. Permangono a lungo nella mente dei parlanti i geosinonimi riferiti alle nozioni del vivere quotidiano (arredi della casa, abbigliamento personale, cibi, ecc.). Sono tutti fenomeni che scompaiono ovviamente sulla pagina scritta degli stessi soggetti. Tenute entro questi limiti, le coloriture regionali sono state e sono considerate tuttora tratti di vivacit dellitaliano parlato. Un loro accentuarsi rende gradualmente dissonante il rapporto comunicativo. Hanno generato un certo fastidio, nelle trasmissioni televisive, le pronunce regionali molto marcate di alcuni protagonisti di talk-show degli anni Novanta, agli esordi delle emittenti private. A un livello di marcatezza regionale pi forte si collocata la variet definita come italiano popolare. Si tratta pur sempre di una variet di italiano, ma posseduto nei limiti raggiunti da soggetti con scarsa istruzione, i cosiddetti semicolti. La documentazione di questo livello di italianizzazione fornita dalle loro scritture (in genere lettere, rari i diari). Questo tipo di italiano non , per, alterato solo da influssi del sostrato dialettale, perch presenta anche devianze di altro genere: soprattutto metaplasmi (nominali, come le mane le mani, il cano il cane, e verbali, come vadi vada, dasse desse, dichi dica) e malapropismi (del tipo carta dindennit per carta didentit). Per un certo tempo alla denominazione italiano popolare stata attaccata, da taluni, anche letichetta unitario (De Mauro 1970b): perch si consideravano prodotti maturati nellambito di questa variet molti altri tratti di discostamento dallo standard, che in realt erano e sono presenti anche nelluso colloquiale nazionale (il che polivalente, lanacoluto, la riduzione del congiuntivo nelle frasi completive) e si riteneva perci di poter individuare in questa variet un nascente neoitaliano plasmato unitariamente dalle classi popolari. I giudizi di valore sulle due variet indicate sono per cambiati via via che le ricerche sono andate anche in direzione diacronica e hanno potuto illuminare il processo questo s unitario di recupero generale dal parlato dialettale o regionale di tratti di antica data, emarginati e censurati per secoli dalla norma dei grammatici e rispondenti alle esigenze di una comunicazione reale, parlata e scritta (DAchille 1990). La novit pi consistente nelle pratiche linguistiche attuate dalla societ italiana nel corso del Novecento, pi decisamente nella seconda met del secolo, apparsa, infatti, la riacquisizione delle modalit pragmatiche fortemente penalizzate dalla codificazione cinquecentesca, e successiva, avvenuta su base grammaticale e non testuale. Ricevono ormai piena accettazione, non solo nella narrativa ma nella saggistica di pi ampia diffusione, i tratti seguenti: la frase segmentata (con tema a sinistra, il caff lo bevo amaro, o a destra, lo bevo amaro, il caff; dislocazioni), presente nei volgari italiani fin dalle origini; luso dei pronomi lui, lei, loro come apparenti soggetti (in realt con valore tematico, se anteposti al verbo, e rematico se posposti; personali, pronomi), circolante dal XIV secolo; il che polivalente con valore temporale (il giorno che ti ho incontrato); gli come forma dativale onnivalente; la frase scissa ( lui che mi manca; scisse, frasi); il ci attualizzante o presentativo con i verbi avere, essere e altri (entrare, volere; pronominali, verbi); il per cui senza antecedente nominale, ma riferito complessivamente a un enunciato o a un blocco di discorso precedente, il comunque e il sennonch privi di una loro struttura frasale (entrambi molto

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frequenti nella prosa di Benedetto Croce; Proietti 2007); gli avverbi frasali che compendiano unintera frase di giudizio del parlante; la frase ipotetica con il doppio indicativo imperfetto (se me lo dicevi, ci pensavo io), ecc. C ormai una minore intolleranza per lindicativo invece del congiuntivo nelle frasi completive con verbo di opinione (credere, pensare, sembrare), un uso ritenuto sempre pi di ragione stilistica e non sintattica ( semplificazione). Significativo il fatto che molti di tali fenomeni erano stati gi introdotti, con spregio ai divieti dei puristi, da Manzoni nella stesura finale dei Promessi sposi e da allora avevano cominciato a trovare accettazione nei narratori che si erano messi sulla sua scia (Testa 1997). La novit consiste soprattutto nel fatto che non solo la narrativa pi mimetica del parlato, ma anche la saggistica e il giornalismo ( giornali, lingua dei) fanno propri questi usi (Bonomi 1993; Bonomi 1996). Di qui, conglobando anche altri fenomeni di natura fonologica (svalutazione delle opposizioni tra vocali aperte e chiuse, cancellazione della i prostetica davanti a s + consonante, abbandono del dittongo mobile, ecc.), laffermazione di trovarsi davanti a un vero concorrente dellitaliano standard, un italiano delluso medio (Sabatini 1985; 1990) o neostandard (Berruto 1987), capace di fare da nuovo riferimento normativo. Contribuiscono notevolmente a caratterizzare la facies dellitaliano tardonovecentesco altri due fenomeni, che perdurano nellitaliano di oggi: la pressione dei linguaggi settoriali e quella degli angloamericanismi ( anglicismi). Non solo lincessante innovazione tecnologica a riversare nella lingua comune forti dosi di tecnicismi ( tecnica, lingua della), quanto la propensione di molti soggetti che operano nelle amministrazioni e nei servizi a far uso e mostra di preziosismo linguistico e a mettere in circolazione espressioni come obliterare (il biglietto) invece di convalidare, o a denominare luogo statico sicuro larea di sicurezza nei luoghi pubblici (in inglese safety area). Forti componenti esibizionistiche agiscono anche nellaccettazione senza freni dei vocaboli della lingua inglese ( itangliano), per cui perfino un ministero di Stato, quello competente nel campo delle politiche sociali (previdenza, famiglia, minori, ecc.) ha assunto il nome corrente di ministero del Welfare. Il termine performance fa la gioia di un gran numero di parlanti, che ne sbagliano sistematicamente laccentazione. Il Novecento, infine, stato decisivo anche per la sorte dei dialetti italiani. La loro presenza nella societ italiana si avverte ancora, sia perch gli stessi mezzi di comunicazione fonica a distanza, che ne hanno segnato la sorte, permettono in vario modo di farli emergere e segnalarne lesistenza, sia perch essi sono stati rilanciati variamente nel cinema e nella letteratura ( dialetto, usi letterari del), ci che ha fatto venire meno nei loro confronti la sanzione socioculturale. Ma nella loro reale essenza essi ci offrono gli esempi di pi forte cambiamento strutturale che si sia determinato nel patrimonio linguistico preesistente. La loro italianizzazione non conosce limiti, come dimostrano le centinaia di esempi che sono stati raccolti in tutte le regioni ( italianizzazione dei dialetti). Se ne danno qui pochi esempi: in Piemonte raz diventato radz, peyla passato a padela; a Milano non pi la ma lat; nel Veneto piron stato sostituito da forketa; a Roma ainasse stato sostituito da affrettasse; in Calabria jancu diventato biancu; in Sicilia giugnettu stato sostituito da lugliu. Le varie tendenze manifestatesi, sia nella sfera della lingua nazionale sia in quella dei dialetti e di altri idiomi locali (talora classificati, impropriamente, come lingue di minoranze; minoranze linguistiche), hanno trovato ampio spazio di rappresentazione nella letteratura, nel cinema e in altre sedi di spettacolo: questo fatto ha contribuito a familiarizzare gli italiani complessivamente con lintero repertorio di variet linguistiche del Paese e, se da una parte ha certamente abbassato in molti la tensione verso una lingua nazionale pi uniforme, dallaltro ha sdrammatizzato i contrasti linguistici. A riacutizzarli, per, sembra che puntino oggi gruppi di potere locale che mirano a una pi generale frammentazione del tessuto nazionale: giusto in coincidenza con il ricorrere dei 150 anni della nostra unit politica.
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Francesco Sabatini

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