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Una breve introduzione biografica sulla figura dello scrittore è utile alla
comprensione delle sue scelte linguistiche.
Amara Lakhous, nato ad Algeri nel 1970, si trasferì in Italia nel 1995. La
scelta migratoria fu dettata dall'esigenza di fuggire dall'Algeria, che negli anni
novanta era diventata molto pericolosa a causa del terrorismo.
Lakhous definisce i primi anni della sua permanenza in Italia come un esilio:
dal 1995 al 2004 la sua condizione fu quella di rifugiato politico, aveva un
permesso di soggiorno, e un passaporto che gli consentiva di viaggiare
ovunque tranne che in Algeria. Nel 2004 la sua condizione passò da rifugiato a
immigrato e questo cambiamento segnò uno spartiacque nella sua produzione
letteraria.
Lakhous, laureato in filosofia ad Algeri, a Roma si laurea in antropologia
culturale e svolge un dottorato di ricerca, lavorando la notte per mantenersi
agli studi. Prima del 2004 aveva scritto racconti e romanzi in arabo e, per
scelta politica legata alla sua condizione di esiliato, aveva scelto di scrivere
narrativa solo in arabo.
La conquista nel 2004 della libertà di poter tornare in madrepatria e il suo
conseguente viaggio in Algeria segnano una svolta linguistico-letteraria:
scioglie il patto di scrivere solo in arabo e inizia ad autotradurre in italiano il
suo romanzo “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio”, che nel
2003 era stato pubblicato in arabo. Amara Lakhous compie la scelta
consapevole di essere uno scrittore bilingue.
Una precisazione va fatta sulla natura di questo bilinguismo italo-arabo, che
poggia sul quadrilinguismo originario di Lakhous, che in quanto algerino parla il
berbero, sua lingua madre, l'arabo algerino che è la lingua quotidiana del
registro informale, l'arabo standard, ossia la varietà letteraria e del registro
formale (nonché lingua ufficiale di tutti i paesi arabi), e il francese, esolingua di
retaggio coloniale.
Quindi la scelta di scrivere in due lingue, l'appropriazione letteraria
dell'italiano avviene quando Lakhous da esiliato diventa cittadino, segna
l'appropriazione della cittadinanza linguistica. Emblematica in tal senso la frase
del protagonista di “Scontro di civiltà”: “Non abitiamo un paese, ma una
lingua”1.
Sottolineiamo che l'autotraduzione, ancora più che un'eterotraduzione,
comporta inevitabilmente l'approdo a un testo diverso, nuovo rispetto a quello
di partenza. Il motivo principale è che “l'autotraduzione diverge dal normale
processo di traduzione, perché il crisma dell'autorialità contribuisce piuttosto a
1 Amara Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a Viale Marconi, 2006. L'espressione “abitare una lingua” è un
topos letterario frequente nell'interletteratura, diffusosi probabilmente per influenza della psicoanalisi del linguaggio
e delle teorie traduttologiche sull'ospitalità linguistica. Per l'uso del topos in Giuseppe Giambusso, esponente della
Gastarbeiterliteratur, si veda Elisa De Roberto, «Meine Sprache gehorcht euch nicht» Fenomeni linguistici della
Gastarbeiterliteratur italiana, in Scritture postcoloniali. Nuovi immaginari letterari, a cura di Francesca Tomassini,
Monica Venturini, 2018, p. 177-178.
definirla come originale, come riscrittura alloglotta o come una reinvenzione in
lingue diverse”.2
Per Amara Lakhous questa riscrittura differenziata risponde non solo ad una
condizione creativa, ma anche all'esigenza di adattare i due romanzi al
rispettivo pubblico: lo scrittore ha sfumato alcuni contenuti in arabo o in
italiano per adattarli alla diversa sensibilità culturale; nella versione algerina ha
reso le diverse varianti della lingua araba e ha riportato alcune parole italiane,
traducendole, a scopo realistico, viceversa in quella italiana ha reso alcune
varietà regionali e dialettali italiane che nella versione algerina non sarebbero
state comprensibili.3
Questa differenziazione creativa tra le due versioni del romanzo assume un
potere di interrelazione e confronto ancora più forte in “Divorzio all'islamica a
Viale Marconi”.
Per l'occasione mi tagghiai i capelli quasi a zero (uso del passato remoto in luogo
del passato prossimo, scrittura che riproduce la fonetica del siciliano)
Chi ci trase Garibaldi con la Tunisia? (sistema vocalico siciliano: chi in luogo di che;
lessico dialettale: trasire per entrare)
6 Saggi di Greta Zanoni, L'interazione tra parlanti di italiano L1 e L2 nel forum linguistico di LIRA, e di Francesca La
Forgia, Conversazioni sulla lingua: il forum italiano-inglese di WordReference, in Le dinamiche dell'interazione, a
cura di C. Andorno – R. Grassi, 2016, p. 203-233.
7 Amara Lakhous, Divorzio all'islamica a Viale Marconi, 2010, p. 184.
2a. Dichiarazioni metalinguistiche e di metodo di apprendimento
Dopo la maturità nessuno si sorprese della mia scelta di iscrivermi alla facoltà di
lingue orientali. Volevo imparare meglio l'arabo. All'università di Palermo mi misi a
studiare l'arabo classico, con determinazione e tanto entusiasmo. Mi piaceva molto proprio
la grammatica, che faceva impazzire tutti, studenti e professori. Ero uno dei migliori e
molti non credevano che fossi di madrelingua italiana.8
La mattina finisco al volo le pulizie e dedico un paio d'ore allo studio dell'italiano.
Sono un'autodidatta, ho imparato la lingua da sola, non ho mai frequentato un corso. Uso
spesso il dizionario per capire il significato delle parole difficili. Ho un quaderno dove scrivo
tutte le parole nuove. Grazie a Dio sono portata per le lingue e ho un metodo personale di
apprendimento. Do un'enorme importanza alla pronuncia. Per parlare bene una lingua
bisogna praticarla. Questo è fondamentale.10
Come Issa viene scambiato per un arabo, Sofia viene scambiata per
un'italiana:
8 Ibidem, p. 17.
9 Ibidem, p. 45.
10 Ibidem, p. 80.
3. Presenza dell'arabo: prestiti lessicali, proverbi, frasi idiomatiche e
metafore
La parola araba più usata nel romanzo è maktùb, destino, spiegata da Sofia
in questo passo:
In Egitto si dice: “Al maktùb aggabin, lazem tchufo l'ain!”, ciò che è scritto sulla
fronte gli occhi lo devono vedere per forza! Nessuno può sfuggire al maktùb, il destino.
Quando si nasce, Dio scrive sulla fronte di ciascuno di noi tutto quello che vivremo fino alla
morte. Qualcuno dirà: ma questo è fatalismo, la partita è già chiusa, non c'è il libero
arbitrio, i soliti musulmani che obbediscono a tutto, blablabla.
Non è così. Il maktùb ci aiuta ad accettare il fatto compiuto, come la morte di una
persona cara, per non impazzire o cadere in depressione. […]
Mi è sempre piaciuta questa interpretazione. Credere nel maktùb, prima di tutto, è
un atto di fede. Le cose non accadono casualmente, c'è sempre una ragione. L'importante
è fare tutto il possibile e assumersi le proprie responsabilità. Mi piace il concetto di fair
play nello sport: dare il massimo e accettare il risultato finale. Questo secondo me è un
esempio di maktùb.12
ho iniziato a prendere sul serio il detto arabo: “Capelli metà bellezza”. In Italia
invece si dice: “Altezza metà bellezza”. Francamente non ne sono tanto convinta. Perché?
Immaginate una coppia di innamorati che passeggia nel centro di Roma, lei è alta e lui è
basso. Come farà lui a darle un bacio, a dirle qualcosa di molto romantico all'orecchio? E
allora? Allora niente. Per risolvere il problema dovranno andare in giro con la scaletta! Non
11 Ibidem, p. 37.
12 Ibidem, p. 29-30. Da notare l'uso di metafore sportive: “partita”, “fair play”.
c'è alternativa.13
Vediamo un altro passo in cui delle frasi idiomatiche egiziane stimolano una
riflessione interlinguistica sulla parola “bomba”:
Il nostro vicino di casa al Cairo, lo zia Attia, diceva: “Avere figlie è come tenere
delle bombe a mano: è meglio sbarazzarsene in fretta!”. A chi gli chiedeva quanti figli
avesse lui rispondeva sempre: “Tre maschi, quattro bombe a mano (da sistemare da
qualche parte, insciallah) e due bombe atomiche (una zitella e una divorziata)”. Sarà
casuale il fatto che la parola “bomba”, sia in italiano che in arabo, sia di genere
femminile?14
La lingua nei romanzi di Lakhous non offre solo uno sguardo sul mondo, ma
si fa veicolo di verità. E il primo momento rivelatore della verità è il nome di
battesimo dei personaggi.
I nomi dei protagonisti assumono valore simbolico, rappresentano lo
specchio della loro identità. E per entrambi il battesimo linguistico in un'altra
13 Ibidem, p. 26-27.
14 Ibidem, p. 29.
15 Amara Lakhous, Italianizzare l'arabo e arabizzare l'italiano, L'italiano degli altri, cit.
16 Amara Lakhous, Divorzio all'islamica in Viale Marconi, p. 61. Anche qui una metafora sportiva.
17 Frase riportata nel saggio di Chiara Lusetti, Provare a ridirsi: l'autotraduzione come tappa di un processo
migratorio in Amara Lakhous, in Ticontre. Teoria Testo Traduzione, N. 7 – maggio 2017, p. 118.
18 Da una lingua all'altra... Intervista con lo scrittore italo-algerino Amara Lakhous, a cura di Idriss Amid, Rivista di
Studi indomediterranei, IV, 2014, p. 10.
lingua simboleggia l'acquisizione di una nuova identità.
Leggiamo il battesimo linguistico con le parole degli stessi protagonisti. Il
battesimo linguistico di Safia/Sofia:
Poi c'è un'altra gerarchia, di diversa natura, basata sul paese di provenienza: gli
otto egiziani si sentono i veri padroni di casa. Forse sono stati contagiati da quel cazzo di
virus che colpisce le maggioranze sempre e ovunque: fottere le minoranze! […]
19 Amara Lakhous, Divorzio all'islamica in Viale Marconi, p. 25. Da notare che l'incomprensione fonologica
Sofia/Sofia avviene anche nel caso dei conoscenti che usano il nome Sofia per somiglianza con la Loren.
20 Ibidem, p. 32. Anche il nome “Giuda” ha valore simbolico, soprattutto alla luce della svolta conclusiva nell'ultimo
capitolo del romanzo.
Va da sé che l'arabo egiziano sia la lingua ufficiale entro le mura domestiche. […]
Insomma, viviamo in una sorta di enclave egiziana in territorio italiano. Il resto
degli inquilini non egiziani è diviso in due categorie: io e Mohamed, il marocchino,
occupiamo il secondo posto, siamo arabi e riusciamo a comunicare linguisticamente con la
maggioranza, limitando i disagi e i danni ove possibile. Invece il senegalese e il bengalese
non hanno scampo, sono gli ultimi. Devono subire o andare via. Essere musulmano non
basta. La cosa migliore è essere musulmano arabo, però sarebbe fantastico essere
musulmano arabo egiziano!21
Il secondo di Sofia, che riporta un dialogo fra suo marito e un altro egiziano:
Comunque anche mia figlia Aida è brava come me. Mentre il padre è un vero
disastro: come tanti egiziani non riesce a pronunciare la p. Al suo posto viene scomodata
la b. Potete immaginare il risultato. Volete un piccolo assaggio? Non ci sono problemi. Ecco
un minisketch, ambientato al Little Cairo. Vediamo salire sul palcoscenico due attori: Said
Ahmed Metwalli alias Felice alias mio marito e un altro orfano della lettera p. Il dialogo è
rigorosamente in italiano, non ci sono né sottotitoli né doppiaggio.
«Amico mio, bassato trobbo timbo. Chi biacere reviderti».
«Biacere mio».
«Ma duvi stato, Barma?».
«No Barma, Barigi. Sono stato bir lavoro».
«Ancura fari bezzaiolo?».
«Sì, diventatu ezberto bizze».
«Dimme un bù, fa sembre bereghiera?».
«Certu, bereghiera molto emburtante. Secondo bilastru dell'Islam».
«Comblimenti! Tu vero musulmano bratecanti».
«Tu comi stai?».
«Oggi non a bosto, ce l'ho broblemi con estomaco».
21 Ibidem, p. 68-69.
22 Ibidem, p. 70-71
«Berché? Cosa mangiato branzo?».
«Bollo batatine, berò trobbo beccanti».
«Borca miseria!».
«Stomaco come molie, non ti lascia mai nella bace».
«Ce l'hai berfettamente ragione. Hahahahaha».23
In attesa che qualche cabina si liberi ascolto il ragazzino che discute con due
ragazzi italiani. Rimango impressionato dal suo modo di parlare: usa un romanesco molto
stretto che non ha niente da invidiare ai coatti di Verdone. Spinto dalla curiosità gli faccio
qualche domanda.
«Bravo! Parli un romanesco perfetto, dove l'hai imparato?».
«Normale. Sono nato a Roma. I miei amici sono quasi tutti romani».
«E quante lingue parli?».
«L'arabo, l'italiano, il romanesco e un po' di inglese».
«Bravo».
«Normale».
«Sei molto fortunato».
«Io fortunato? Non direi proprio!».
«Perché?».
«A Roma mi chiamano l'egiziano e al Cairo l'italiano».
Né carne né pesce, vuol dirmi Galal. Come essere dappertutto e da nessuna parte.
Bella fregatura! Il suo non è un caso isolato visto che il problema tocca un'intera
generazione di figli di immigrati, nati in Italia o arrivati qui da minorenni. 26
23 Ibidem, p. 81-82.
24 Da una lingua all'altra... Intervista con lo scrittore italo-algerino Amara Lakhous, a cura di Idriss Amid, Rivista di
Studi indomediterranei, IV, 2014, p. 9.
25 Ibidem.
26 Amara Lakhous, Divorzio all'islamica in Viale Marconi, p. 157.
8. Uso del dialetto come codice identitario
Significativo l'uso, oltre al siciliano del protagonista, degli altri dialetti e
varianti regionali. Spesso il dialetto è usato o viene percepito come codice
identitario, per sottolineare le differenze regionali o sociali.
Vediamo un esempio per il romanesco ostentato dalla padrona di casa di
Issa:
«Fratello, è dura essere padre di famiglia. Ogni mese devo mandare duecento
euro».
«E come farai adesso?».
«Non lo so. Più della multa e del sequestro della merce mi hanno fatto male le
parole di un vigile, con la faccia da cul de can da cacia, come dicono a Milano».
«Cosa ti ha detto?».
«Sporco negro di merda figlio bastardo di schiavi!».
«Brutto bastardo di un razzista!».
«Fratello, in Italia il razzismo esiste tra gli italiani stessi. A Milano si dice: uè, terùn!
Và a dà via i ciap!».
«E cosa vuol dire?».
«Ehi, terrone, vaffanculo!».
Ieri uè terùn, oggi uè extracomunitario, marocchino, negro! Che dobbiamo fare? Mi
viene un po' da ridere quando sento il senegalese parlare milanese. 28
Riflessioni conclusive
Rispetto alla letteratura migrante degli anni Novanta e dei primi Duemila, la
narrativa lakhousiana non ha più la primaria urgenza di mettere per iscritto
l'esperienza dolorosa della propria migrazione, ma fa un passo oltre, in
direzione di una più matura riflessione sul ruolo del codice, sulla sua capacità di
rappresentare le individualità e le diversità, e di farsi ponte.
27 Ibidem, p. 45-46. Da notare il proverbio siciliano, dal significato “Chi parla poco vive a lungo”.
28 Ibidem, p. 134.
La lingua italiana “arabizzata” è, prima ancora che il codice, il tema stesso
del romanzo.
Il linguaggio non serve solo per testimoniare un rapporto dinamico tra L1 ed
italiano, ma per inserire tale rapporto in una più complessa riflessione sulle
possibilità comunicative della lingua, sulla potenzialità che essa ha di far
incontrare le culture e di trovare una sintesi tra di loro.
Le due lingue, arabo e italiano, delle due versioni “gemelle diverse” del
romanzo si specchiano l'una nell'altra, riconoscendo nella loro stessa diversità il
presupposto della relazione comunicativa interculturale.
Bibliografia
Corpus
Studi
Elisa De Roberto, «Meine Sprache gehorcht euch nicht» Fenomeni linguistici della
Gastarbeiterliteratur italiana, in Scritture postcoloniali. Nuovi immaginari letterari, a
cura di Francesca Tomassini, Monica Venturini, 2018.
Giuliano Mion, L'arabo. Libretto di istruzioni per insegnanti di una classe plurilingue, in
La classe plurilingue, a cura di Ilaria Fiorentini, Chiara Gianollo e Nicola Grandi, 2020.
Interviste
Da una lingua all'altra... Intervista con lo scrittore italo-algerino Amara Lakhous, a
cura di Idriss Amid, Rivista di Studi Indomediterranei, IV, 2014.
http://kharabat.altervista.org/RSIM4_IDRISSintervista_per_RSIM.pdf