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L'INTERLETTERATURA DI AMARA LAKHOUS: IL ROMANZO

“DIVORZIO ALL'ISLAMICA A VIALE MARCONI”.


Arianna Silvetti

Brevi accenni alla biografia migratoria e linguistica di Amara Lakhous

Una breve introduzione biografica sulla figura dello scrittore è utile alla
comprensione delle sue scelte linguistiche.
Amara Lakhous, nato ad Algeri nel 1970, si trasferì in Italia nel 1995. La
scelta migratoria fu dettata dall'esigenza di fuggire dall'Algeria, che negli anni
novanta era diventata molto pericolosa a causa del terrorismo.
Lakhous definisce i primi anni della sua permanenza in Italia come un esilio:
dal 1995 al 2004 la sua condizione fu quella di rifugiato politico, aveva un
permesso di soggiorno, e un passaporto che gli consentiva di viaggiare
ovunque tranne che in Algeria. Nel 2004 la sua condizione passò da rifugiato a
immigrato e questo cambiamento segnò uno spartiacque nella sua produzione
letteraria.
Lakhous, laureato in filosofia ad Algeri, a Roma si laurea in antropologia
culturale e svolge un dottorato di ricerca, lavorando la notte per mantenersi
agli studi. Prima del 2004 aveva scritto racconti e romanzi in arabo e, per
scelta politica legata alla sua condizione di esiliato, aveva scelto di scrivere
narrativa solo in arabo.
La conquista nel 2004 della libertà di poter tornare in madrepatria e il suo
conseguente viaggio in Algeria segnano una svolta linguistico-letteraria:
scioglie il patto di scrivere solo in arabo e inizia ad autotradurre in italiano il
suo romanzo “Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio”, che nel
2003 era stato pubblicato in arabo. Amara Lakhous compie la scelta
consapevole di essere uno scrittore bilingue.
Una precisazione va fatta sulla natura di questo bilinguismo italo-arabo, che
poggia sul quadrilinguismo originario di Lakhous, che in quanto algerino parla il
berbero, sua lingua madre, l'arabo algerino che è la lingua quotidiana del
registro informale, l'arabo standard, ossia la varietà letteraria e del registro
formale (nonché lingua ufficiale di tutti i paesi arabi), e il francese, esolingua di
retaggio coloniale.
Quindi la scelta di scrivere in due lingue, l'appropriazione letteraria
dell'italiano avviene quando Lakhous da esiliato diventa cittadino, segna
l'appropriazione della cittadinanza linguistica. Emblematica in tal senso la frase
del protagonista di “Scontro di civiltà”: “Non abitiamo un paese, ma una
lingua”1.
Sottolineiamo che l'autotraduzione, ancora più che un'eterotraduzione,
comporta inevitabilmente l'approdo a un testo diverso, nuovo rispetto a quello
di partenza. Il motivo principale è che “l'autotraduzione diverge dal normale
processo di traduzione, perché il crisma dell'autorialità contribuisce piuttosto a
1 Amara Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a Viale Marconi, 2006. L'espressione “abitare una lingua” è un
topos letterario frequente nell'interletteratura, diffusosi probabilmente per influenza della psicoanalisi del linguaggio
e delle teorie traduttologiche sull'ospitalità linguistica. Per l'uso del topos in Giuseppe Giambusso, esponente della
Gastarbeiterliteratur, si veda Elisa De Roberto, «Meine Sprache gehorcht euch nicht» Fenomeni linguistici della
Gastarbeiterliteratur italiana, in Scritture postcoloniali. Nuovi immaginari letterari, a cura di Francesca Tomassini,
Monica Venturini, 2018, p. 177-178.
definirla come originale, come riscrittura alloglotta o come una reinvenzione in
lingue diverse”.2
Per Amara Lakhous questa riscrittura differenziata risponde non solo ad una
condizione creativa, ma anche all'esigenza di adattare i due romanzi al
rispettivo pubblico: lo scrittore ha sfumato alcuni contenuti in arabo o in
italiano per adattarli alla diversa sensibilità culturale; nella versione algerina ha
reso le diverse varianti della lingua araba e ha riportato alcune parole italiane,
traducendole, a scopo realistico, viceversa in quella italiana ha reso alcune
varietà regionali e dialettali italiane che nella versione algerina non sarebbero
state comprensibili.3
Questa differenziazione creativa tra le due versioni del romanzo assume un
potere di interrelazione e confronto ancora più forte in “Divorzio all'islamica a
Viale Marconi”.

1. Bilinguismo 'concezionale' del romanzo

Mentre nel romanzo precedente l'autotraduzione segue cronologicamente la


versione araba, “Divorzio all'islamica a Viale Marconi” è bilingue fin dalla sua
concezione e creazione: Lakhous ha scritto la prima bozza in italiano, poi ha
cominciato a scrivere su PC contemporaneamente la versione araba e quella
italiana, cambiando la tastiera dall'arabo all'italiano e viceversa. In questo
modo ha creato due versioni gemelle dello stesso libro, ovviamente gemelle
diverse per la differenziazione creativa della scrittura nelle due lingue.
Nelle parole di Lakhous: “erano due testi che si guardavano. I due testi si
confrontavano, ognuno aggiungeva all'altro, dava all'altro il meglio di sé” 4.
Questa copresenza delle due lingue nell'atto della scrittura fa sì che esse si
specchino l'una nell'altra. E in questo specchiarsi reciprocamente ridefiniscono
la propria identità. “Arabizzando l'italiano” e “italianizzando l'arabo”5, Amara
Lakhous arricchisce entrambe le lingue, come approfondiremo nell'analisi di
alcuni tratti linguistici del romanzo.
La scelta di scrivere uno stesso romanzo in due lingue è emblematica di
quanto questo libro sia interletteratura, di come funga da ponte fra due (e più)
lingue e fra due (e più) culture. È un romanzo che si fa tramite per un
confronto linguistico.
Creare due gemelli diversi di uno stesso romanzo è un'operazione culturale
che riconosce nella diversità il presupposto del confronto e della relazione. Nel
panorama contemporaneo ricordare che ogni relazione presuppone un altro da
sé non è superfluo.
Il gioco degli specchi tra le due lingue si riflette nella trama del libro, in cui
le vicende dei due protagonisti, Issa-Christian, il siciliano che deve fingersi
tunisino per infiltrarsi nella comunità egiziana di Viale Marconi, e Sofia-Safia, la
giovane immigrata egiziana che vive nel quartiere insieme al marito, si
2 Elisa De Roberto, Ibidem, p. 189.
3 Chiara Lusetti, Provare a ridirsi: l'autotraduzione come tappa di un processo migratorio in Amara Lakhous, in
Ticontre. Teoria Testo Traduzione, N. 7 – maggio 2017, p. 114-117.
4 Da una lingua all'altra... Intervista con lo scrittore italo-algerino Amara Lakhous, a cura di Idriss Amid, Rivista di
Studi indomediterranei, IV, 2014, p. 4.
5 Amara Lakhous, Italianizzare l'arabo e arabizzare l'italiano, L'italiano degli altri, Firenze, Accademia della Crusca,
2011, p. 321-322.
intrecciano e si comprendono nel confronto con la storia dell'altro. Simmetrica
è la ricerca da parte dei due protagonisti di una nuova identità nella L2.

2. Competenze e varietà linguistiche

L'arabo e l'italiano non sono le uniche lingue protagoniste del romanzo.


Sono presenti varietà regionali di italiano, forme dialettali, nonché le varietà di
arabo dei personaggi immigrati. Da notare che le varietà regionali italiane sono
rese solo nella versione italiana del libro, mentre i dialetti e le varietà di
tunisino, marocchino, egiziano, ecc. sono presenti solo nella versione araba.
Amara Lakhous fa quindi un lavoro di adattamento ai lettori italiani e ai lettori
arabi.
Analizzando la versione italiana, le varietà più rappresentate sono l'italiano
neostandard e il siciliano regionale. Ma, come abbiamo riflettuto nell'analisi dei
forum L.I.R.A. e WordReference6, il fatto di essere parlante nativo non equivale
necessariamente a maggiore competenza e padronanza dei registri: l'italiano
Issa si esprime spesso in siciliano, mentre l'arabofona Sofia usa una variante di
italiano diafasicamente più alta. Dal canto suo Issa viene definito “un ragazzo
siciliano che parlava arabo meglio degli arabi”7.
L'italiano regionale siciliano di Issa riflette fedelmente l'abitudine
contemporanea a usare il repertorio dialettale attraverso codemixing,
codeswitching e prestiti, abitudine caratteristica dell'attuale situazione
sociolinguistica italiana. Nel libro non troviamo testi interamente siciliani, ma
testi italiani con marche fonologiche, morfologiche, sintattiche e lessicali
siciliane. A titolo esemplificativo passiamo in rassegna alcune frasi, intessute
nei discorsi espressi complessivamente in italiano neostandard da Issa:

Per l'occasione mi tagghiai i capelli quasi a zero (uso del passato remoto in luogo
del passato prossimo, scrittura che riproduce la fonetica del siciliano)

Insomma, irriconoscibile sono (verbo posposto)

fimmini rom con gonne lungue (sistema vocalico siciliano)

Durissima la vedo (verbo posposto)

Chi ci trase Garibaldi con la Tunisia? (sistema vocalico siciliano: chi in luogo di che;
lessico dialettale: trasire per entrare)

ma a mmia la cosa non dispiaceva affatto (morfologia pronominale dialettale: mia


in luogo di me; raddoppiamento fonosintattico)

Una settimana passò, da quando mi trasferii in questo appartamento (passato


remoto in luogo del passato prossimo e verbo posposto)

Marta molto gelosa è (verbo posposto)

6 Saggi di Greta Zanoni, L'interazione tra parlanti di italiano L1 e L2 nel forum linguistico di LIRA, e di Francesca La
Forgia, Conversazioni sulla lingua: il forum italiano-inglese di WordReference, in Le dinamiche dell'interazione, a
cura di C. Andorno – R. Grassi, 2016, p. 203-233.
7 Amara Lakhous, Divorzio all'islamica a Viale Marconi, 2010, p. 184.
2a. Dichiarazioni metalinguistiche e di metodo di apprendimento

Entrambi i protagonisti hanno modo di riflettere sulla loro padronanza della


L2 e sul loro metodo di apprendimento.
Issa riguardo all'apprendimento dell'arabo dichiara:

Dopo la maturità nessuno si sorprese della mia scelta di iscrivermi alla facoltà di
lingue orientali. Volevo imparare meglio l'arabo. All'università di Palermo mi misi a
studiare l'arabo classico, con determinazione e tanto entusiasmo. Mi piaceva molto proprio
la grammatica, che faceva impazzire tutti, studenti e professori. Ero uno dei migliori e
molti non credevano che fossi di madrelingua italiana.8

Sempre Issa, in un altro capitolo, spiega la sua operazione di mimetismo


linguistico:

per sembrare credibile devo parlare un italiano stentato, e pure un po'


sgrammaticato. A volte mi capita di dimenticare la parte che sto interpretando. Mi devo
identificare nel personaggio di Issa, un immigrato tunisino. Cerco di ricordare la parlata
dei miei conoscenti arabi, soprattutto di quelli tunisini. Devo imitare il loro accento.
L'ideale è parlare un italiano con doppia cadenza: araba, perché sono tunisino, e siciliana,
perché sono un immigrato che ha vissuto in Sicilia. Forse meno italiano parlo meglio sarà.
Decido senza esitazione di sospendere momentaneamente molte regole grammaticali,
quindi via il congiuntivo e il passato remoto. Mi scassa la minchia rinunciare al nostro
adorato passato remoto.9

Notiamo che in questa dichiarazione Issa prende in carico lo stereotipo degli


immigrati che parlano un italiano sgrammaticato, e che nel giudizio sul “nostro
adorato passato remoto” rivela l'identificazione tra L1 e siciliano.

Sofia sull'apprendimento dell'italiano:

La mattina finisco al volo le pulizie e dedico un paio d'ore allo studio dell'italiano.
Sono un'autodidatta, ho imparato la lingua da sola, non ho mai frequentato un corso. Uso
spesso il dizionario per capire il significato delle parole difficili. Ho un quaderno dove scrivo
tutte le parole nuove. Grazie a Dio sono portata per le lingue e ho un metodo personale di
apprendimento. Do un'enorme importanza alla pronuncia. Per parlare bene una lingua
bisogna praticarla. Questo è fondamentale.10

Come Issa viene scambiato per un arabo, Sofia viene scambiata per
un'italiana:

Spesso mi fanno un sacco di complimenti per come parlo l'italiano. Mi è capitato di


essere scambiata per un'italiana convertita all'Islam o arrivata da piccola in Italia.

Per entrambi i protagonisti possiamo parlare di mimetismo linguistico.

8 Ibidem, p. 17.
9 Ibidem, p. 45.
10 Ibidem, p. 80.
3. Presenza dell'arabo: prestiti lessicali, proverbi, frasi idiomatiche e
metafore

La presenza dell'arabo nel romanzo è data da prestiti lessicali, proverbi,


frasi idiomatiche e metafore. Troviamo prestiti lessicali di singole parole, che
per scelta dell'autore sono sempre tradotte o parafrasate. In genere le parole
arabe sono usate per rendere concetti per i quali la traduzione italiana
risulterebbe parziale, non riuscirebbe a renderne le sfumature.
Vediamo un esempio in un passo che offre anche una riflessione sulle
somiglianze lessicali e i rimandi semantici:

Per semplificare il discorso, possiamo dire che il fidanzamento all'egiziana, all'araba,


alla musulmana è una forma di prenotazione, ovviamente dopo aver sborsato un po' di
quattrini per la shebka della fidanzata. Questa parola si riferisce ai gioielli che si danno alla
fidanzata, però assomiglia a shabaka, un'altra parola che significa rete, come quella del
pescatore.11

La parola araba più usata nel romanzo è maktùb, destino, spiegata da Sofia
in questo passo:

In Egitto si dice: “Al maktùb aggabin, lazem tchufo l'ain!”, ciò che è scritto sulla
fronte gli occhi lo devono vedere per forza! Nessuno può sfuggire al maktùb, il destino.
Quando si nasce, Dio scrive sulla fronte di ciascuno di noi tutto quello che vivremo fino alla
morte. Qualcuno dirà: ma questo è fatalismo, la partita è già chiusa, non c'è il libero
arbitrio, i soliti musulmani che obbediscono a tutto, blablabla.
Non è così. Il maktùb ci aiuta ad accettare il fatto compiuto, come la morte di una
persona cara, per non impazzire o cadere in depressione. […]
Mi è sempre piaciuta questa interpretazione. Credere nel maktùb, prima di tutto, è
un atto di fede. Le cose non accadono casualmente, c'è sempre una ragione. L'importante
è fare tutto il possibile e assumersi le proprie responsabilità. Mi piace il concetto di fair
play nello sport: dare il massimo e accettare il risultato finale. Questo secondo me è un
esempio di maktùb.12

Notiamo che il concetto di maktùb è stato introdotto da un proverbio. La


presenza di proverbi e di frasi idiomatiche arabi è copiosa ed estrememamente
significativa in questo e negli altri romanzi di Lakhous. E qui si apre un mondo,
anzi si aprono gli occhi sul mondo: i proverbi e le frasi idiomatiche offrono la
possibilità di guardare alla realtà con lo sguardo di un'altra cultura, ma allo
stesso tempo rivelano verità universali. Quante volte ascoltando un proverbio
straniero capita di riconoscersi in esso. I proverbi sono espressioni culturali che
affascinano con il rimando ad una saggezza antica, tendono a rimanere
impressi, rappresentano dei piccoli ponti interculturali.
Molto interessante il confronto tra un proverbio arabo e un proverbio italiano
che stimola in Sofia una riflessione interculturale:

ho iniziato a prendere sul serio il detto arabo: “Capelli metà bellezza”. In Italia
invece si dice: “Altezza metà bellezza”. Francamente non ne sono tanto convinta. Perché?
Immaginate una coppia di innamorati che passeggia nel centro di Roma, lei è alta e lui è
basso. Come farà lui a darle un bacio, a dirle qualcosa di molto romantico all'orecchio? E
allora? Allora niente. Per risolvere il problema dovranno andare in giro con la scaletta! Non

11 Ibidem, p. 37.
12 Ibidem, p. 29-30. Da notare l'uso di metafore sportive: “partita”, “fair play”.
c'è alternativa.13

Vediamo un altro passo in cui delle frasi idiomatiche egiziane stimolano una
riflessione interlinguistica sulla parola “bomba”:

Il nostro vicino di casa al Cairo, lo zia Attia, diceva: “Avere figlie è come tenere
delle bombe a mano: è meglio sbarazzarsene in fretta!”. A chi gli chiedeva quanti figli
avesse lui rispondeva sempre: “Tre maschi, quattro bombe a mano (da sistemare da
qualche parte, insciallah) e due bombe atomiche (una zitella e una divorziata)”. Sarà
casuale il fatto che la parola “bomba”, sia in italiano che in arabo, sia di genere
femminile?14

Tra le espressioni idiomatiche notiamo l'intercalare ricorrente di Sofia “e


allora? Allora niente”, presente una volta per ciascun capitolo, e che
corrisponde al diffuso intercalare arabo “Idan? Idan la scià”.
Oltre che con singole parole, proverbi e frasi idiomatiche, l'arabo influenza
l'italiano, “arabizza l'italiano” come dice Lakhous nelle sue interviste 15, anche
attraverso l'uso di un linguaggio metaforico e figurato, tipico della lingua araba.
Le metafore inserite nel romanzo non sono idiomatiche della lingua italiana,
all'orecchio del parlante nativo risultano nuove, inusuali, ma non di meno
efficaci. In questo senso arricchiscono l'italiano del libro.
Un esempio di forte efficacia metaforica è la frase di Sofia:

nella società musulmana il maschio fa l'avversario e l'arbitro allo stesso tempo. 16

Per comprendere l'apporto linguistico rappresentato dall'arabo possiamo


riprendere una riflessione dello stesso Lakhous in un'intervista: “lo scrittore
immigrato traspone nella lingua del paese di accoglienza le immagini, i
proverbi e le espressioni della sua lingua d'origine, arricchendo così quella del
paese di accoglienza”.17
Con questa trasposizione di immagini ed espressioni c'è dunque un
arricchimento innanzitutto linguistico, ma anche interpretativo. Ogni lingua
offre uno sguardo diverso sul mondo. Sempre dalle parole di Lakhous, in
un'altra intervista: “Uno che viene da un altro paese, da un'altra cultura, ha un
filtro. Ha quattro occhi, non due, per guardare la realtà”.18

4. Importanza del nome e battesimo linguistico

La lingua nei romanzi di Lakhous non offre solo uno sguardo sul mondo, ma
si fa veicolo di verità. E il primo momento rivelatore della verità è il nome di
battesimo dei personaggi.
I nomi dei protagonisti assumono valore simbolico, rappresentano lo
specchio della loro identità. E per entrambi il battesimo linguistico in un'altra
13 Ibidem, p. 26-27.
14 Ibidem, p. 29.
15 Amara Lakhous, Italianizzare l'arabo e arabizzare l'italiano, L'italiano degli altri, cit.
16 Amara Lakhous, Divorzio all'islamica in Viale Marconi, p. 61. Anche qui una metafora sportiva.
17 Frase riportata nel saggio di Chiara Lusetti, Provare a ridirsi: l'autotraduzione come tappa di un processo
migratorio in Amara Lakhous, in Ticontre. Teoria Testo Traduzione, N. 7 – maggio 2017, p. 118.
18 Da una lingua all'altra... Intervista con lo scrittore italo-algerino Amara Lakhous, a cura di Idriss Amid, Rivista di
Studi indomediterranei, IV, 2014, p. 10.
lingua simboleggia l'acquisizione di una nuova identità.
Leggiamo il battesimo linguistico con le parole degli stessi protagonisti. Il
battesimo linguistico di Safia/Sofia:

Per ogni immigrato la questione del nome è fondamentale.


La prima domanda che ti fanno sempre è: come ti chiami? Se hai un nome straniero si
crea immediatamente una barriera, una frontiera insuperabile tra il “noi” e il “voi”. Il nome
ti fa sentire subito se sei dentro o fuori, se appartieni al “noi” o al “voi”. […] Diciamo che il
nome è il primo marchio della nostra diversità. […]
Questa è la breve storia del mio vero nome, Safia. Però da quando vivo a Roma ne
ho un altro: Sofia. Che sia chiaro: non è uno pseudonimo, nel senso che non me lo sono
andata a cercare. Mi è stato solo regalato e io l'ho accettato. Non si dice infatti che il
regalo non si rifiuta?
Perché mi chiamano così? Non è molto chiaro. Diciamo che ci sono due ipotesi.
Primo: la gente scambia facilmente (e senza alcuna cattiveria) “Safia” per “Sofia”.
«Ciao, come ti chiami?».
«Safia».
«Sofia! Che bel nome!».
È scocciante fare la maestrina che corregge i suoi alunni e affrettarsi a precisare:
“Si dice Safia, non Sofia!”. E poi non è il caso di offendersi e farne una tragedia.
Seconda ipotesi. Per molti conoscenti italiani, io (senza il velo) assomiglierei molto
a una famosa attrice italiana.
«Ciao, come ti chiami?».
«Safia».
«Sofia! Complimenti, hai proprio un bel nome».
«Grazie».
«Sai a chi somigli?».
«A chi?».
«A Sofia Loren».19

Il battesimo linguistico di Christian/Issa:

«Allora, tunisino, ti dobbiamo trovare un nome arabo. Hai qualche suggerimento?».


«Ti propongo Issa».
«Issa? E che vuol dire?».
«Il corrispettivo di Gesù per i musulmani».
«Gesù? Quello dell'altra guancia? Cominciamo bene!».
«A me piace».
«Ok, ho capito. Tu vuoi fare il buono e io sarei il cattivo, non è così? D'ora in poi
chiamami Giuda».20

5. Affresco di un microcosmo sociolinguistico


L'affresco reso da Lakhous del microcosmo sociolinguistico creatosi a casa di
Issa suggerisce un ironico parallelismo con le macrocategorie di lingua ufficiale,
varietà e minoranze linguistiche:

Poi c'è un'altra gerarchia, di diversa natura, basata sul paese di provenienza: gli
otto egiziani si sentono i veri padroni di casa. Forse sono stati contagiati da quel cazzo di
virus che colpisce le maggioranze sempre e ovunque: fottere le minoranze! […]

19 Amara Lakhous, Divorzio all'islamica in Viale Marconi, p. 25. Da notare che l'incomprensione fonologica
Sofia/Sofia avviene anche nel caso dei conoscenti che usano il nome Sofia per somiglianza con la Loren.
20 Ibidem, p. 32. Anche il nome “Giuda” ha valore simbolico, soprattutto alla luce della svolta conclusiva nell'ultimo
capitolo del romanzo.
Va da sé che l'arabo egiziano sia la lingua ufficiale entro le mura domestiche. […]
Insomma, viviamo in una sorta di enclave egiziana in territorio italiano. Il resto
degli inquilini non egiziani è diviso in due categorie: io e Mohamed, il marocchino,
occupiamo il secondo posto, siamo arabi e riusciamo a comunicare linguisticamente con la
maggioranza, limitando i disagi e i danni ove possibile. Invece il senegalese e il bengalese
non hanno scampo, sono gli ultimi. Devono subire o andare via. Essere musulmano non
basta. La cosa migliore è essere musulmano arabo, però sarebbe fantastico essere
musulmano arabo egiziano!21

6. Ironia sull'interferenza fonologica


In più passi del romanzo Lakhous fa ironia sull'interferenza fonologica per la
quale gli arabi egiziani non riescono a pronunciare la P, poiché assente nel
sistema fonologico della varietà di arabo egiziano (ma anche nell'arabo
standard), e quindi pronunciano al suo posto la B, ossia la variante bilabiale
occlusiva sonora.
Da notare che gli altri arabi non egiziani del romanzo non hanno lo stesso
problema di interferenza, poiché nelle loro varietà esiste la P.
Leggiamo due passi in cui si fa ironia sul fenomeno. Il primo di Issa, che
parla del suo coinquilino Saber:

Il suo problema è che non riesce a pronunciare la lettera p, e per sopravvivere


linguisticamente si aggrappa come un naufrago disperato alla lettera b. Quando dice la
parola “buttana” viene scambiato per un siciliano, per il resto è un bel bordello. […]
«Issa, ho bisogno solo di un minuto ber conquistarla. Non mi hai ancora visto
all'obera. Quando scendo in bista non c'è bosto ber nessun concorrente!».
«Come farai ad arrivare a lei?».
«Non c'è broblema. Sarà lei a venire da me». […]
Un piano perfetto, non c'è che dire, tranne una piccola osservazione: non sarebbe
utile dedicare un po' di attenzione alla pronuncia dell'italiano? Non c'è più speranza di
recuperare quella benedetta p?22

Il secondo di Sofia, che riporta un dialogo fra suo marito e un altro egiziano:

Comunque anche mia figlia Aida è brava come me. Mentre il padre è un vero
disastro: come tanti egiziani non riesce a pronunciare la p. Al suo posto viene scomodata
la b. Potete immaginare il risultato. Volete un piccolo assaggio? Non ci sono problemi. Ecco
un minisketch, ambientato al Little Cairo. Vediamo salire sul palcoscenico due attori: Said
Ahmed Metwalli alias Felice alias mio marito e un altro orfano della lettera p. Il dialogo è
rigorosamente in italiano, non ci sono né sottotitoli né doppiaggio.
«Amico mio, bassato trobbo timbo. Chi biacere reviderti».
«Biacere mio».
«Ma duvi stato, Barma?».
«No Barma, Barigi. Sono stato bir lavoro».
«Ancura fari bezzaiolo?».
«Sì, diventatu ezberto bizze».
«Dimme un bù, fa sembre bereghiera?».
«Certu, bereghiera molto emburtante. Secondo bilastru dell'Islam».
«Comblimenti! Tu vero musulmano bratecanti».
«Tu comi stai?».
«Oggi non a bosto, ce l'ho broblemi con estomaco».

21 Ibidem, p. 68-69.
22 Ibidem, p. 70-71
«Berché? Cosa mangiato branzo?».
«Bollo batatine, berò trobbo beccanti».
«Borca miseria!».
«Stomaco come molie, non ti lascia mai nella bace».
«Ce l'hai berfettamente ragione. Hahahahaha».23

In questo estratto dialogico è riportata non solo l'interferenza fonologica


della B, ma anche la difficoltà a distinguere i gruppi fonologici O/U e i gruppi
fonologici E/I. In alcune varietà di arabo infatti questa distinzione fonematica
non è attiva. Notiamo l'incerta appropriazione delle distinzioni O/U e E/I da
parte dei due parlanti, che in alcuni casi producono metatesi vocalica, ossia
invertono le vocali tra sillabe adiacenti o distanziate, come “reviderti” e
“bratecanti”.
Rileviamo poi anche un caso di sonorizzazione del fonema /s/ in “ezberto” e
di alveolarizzazione della laterale in “molie”.
Molto suggestiva l'espressione “orfano della lettera p”, che deriva dalla
metafora della lingua come madre. Lakhous, nella seconda intervista citata nel
capitolo 3, usa la metafora della lingua di migrazione come madre adottiva:
“Questa lingua adottata è in realtà tua madre a tutti gli effetti. Si prende cura
di te, ti fa mangiare, ti lava, insomma è una mamma, svolge la funzione di una
mamma”.24 E adottando e facendosi adottare da una lingua, si nasce una
seconda volta: sempre nella stessa intervista dice che avendo compiuto da
poco diciotto anni in Italia è diventato “maggiorenne nella lingua italiana”. 25

7. Bilinguismo e identità. Accezioni di bilinguismo


Un passo del romanzo accenna alle questioni del bilinguismo precoce e del
suo rapporto con l'identità, dei falsi miti sul bilinguismo e della costruzione
identitaria dei figli degli immigrati:

In attesa che qualche cabina si liberi ascolto il ragazzino che discute con due
ragazzi italiani. Rimango impressionato dal suo modo di parlare: usa un romanesco molto
stretto che non ha niente da invidiare ai coatti di Verdone. Spinto dalla curiosità gli faccio
qualche domanda.
«Bravo! Parli un romanesco perfetto, dove l'hai imparato?».
«Normale. Sono nato a Roma. I miei amici sono quasi tutti romani».
«E quante lingue parli?».
«L'arabo, l'italiano, il romanesco e un po' di inglese».
«Bravo».
«Normale».
«Sei molto fortunato».
«Io fortunato? Non direi proprio!».
«Perché?».
«A Roma mi chiamano l'egiziano e al Cairo l'italiano».
Né carne né pesce, vuol dirmi Galal. Come essere dappertutto e da nessuna parte.
Bella fregatura! Il suo non è un caso isolato visto che il problema tocca un'intera
generazione di figli di immigrati, nati in Italia o arrivati qui da minorenni. 26

23 Ibidem, p. 81-82.
24 Da una lingua all'altra... Intervista con lo scrittore italo-algerino Amara Lakhous, a cura di Idriss Amid, Rivista di
Studi indomediterranei, IV, 2014, p. 9.
25 Ibidem.
26 Amara Lakhous, Divorzio all'islamica in Viale Marconi, p. 157.
8. Uso del dialetto come codice identitario
Significativo l'uso, oltre al siciliano del protagonista, degli altri dialetti e
varianti regionali. Spesso il dialetto è usato o viene percepito come codice
identitario, per sottolineare le differenze regionali o sociali.
Vediamo un esempio per il romanesco ostentato dalla padrona di casa di
Issa:

Teresa alias Vacanza cerca di intimidirmi linguisticamente con il suo romanesco. Il


problema però è che non ha né il fascino di Anna Magnani né la simpatia di Alberto Sordi.
La sua voce è fastidiosa, mi ricorda quel politico che sta in tutti i talk show e i telegiornali:
quando parla sembra che stia sputando.
«'A bellooo, ché sei egiziano pure tu?».
«No, sono tunisino».
«Er paese de Afef!».
«Sì».
«'A Tunisia! Ahò, che bello! Ce so' stata quattro vorte, l'anno scorso so' 'nnata a
Hammamet. Ho approfittato pe' vvisità 'a tomba de Craxi. 'O conosci Bettino Craxi?».
Evito di dirle che in Tunisia Bettino Craxi è molto noto.
E poi mi viene voglia di esibire il mio siciliano. Occhio per occhio! Ma è meglio
rinunciare, la situazione non lo permette. Devo ingoiare il rospo e basta! Cu' parra picca
campa cent'anni!27

E un altro per il milanese parlato dal coinquilino senegalese che aveva


vissuto a Milano:

«Fratello, è dura essere padre di famiglia. Ogni mese devo mandare duecento
euro».
«E come farai adesso?».
«Non lo so. Più della multa e del sequestro della merce mi hanno fatto male le
parole di un vigile, con la faccia da cul de can da cacia, come dicono a Milano».
«Cosa ti ha detto?».
«Sporco negro di merda figlio bastardo di schiavi!».
«Brutto bastardo di un razzista!».
«Fratello, in Italia il razzismo esiste tra gli italiani stessi. A Milano si dice: uè, terùn!
Và a dà via i ciap!».
«E cosa vuol dire?».
«Ehi, terrone, vaffanculo!».
Ieri uè terùn, oggi uè extracomunitario, marocchino, negro! Che dobbiamo fare? Mi
viene un po' da ridere quando sento il senegalese parlare milanese. 28

Riflessioni conclusive
Rispetto alla letteratura migrante degli anni Novanta e dei primi Duemila, la
narrativa lakhousiana non ha più la primaria urgenza di mettere per iscritto
l'esperienza dolorosa della propria migrazione, ma fa un passo oltre, in
direzione di una più matura riflessione sul ruolo del codice, sulla sua capacità di
rappresentare le individualità e le diversità, e di farsi ponte.

27 Ibidem, p. 45-46. Da notare il proverbio siciliano, dal significato “Chi parla poco vive a lungo”.
28 Ibidem, p. 134.
La lingua italiana “arabizzata” è, prima ancora che il codice, il tema stesso
del romanzo.
Il linguaggio non serve solo per testimoniare un rapporto dinamico tra L1 ed
italiano, ma per inserire tale rapporto in una più complessa riflessione sulle
possibilità comunicative della lingua, sulla potenzialità che essa ha di far
incontrare le culture e di trovare una sintesi tra di loro.
Le due lingue, arabo e italiano, delle due versioni “gemelle diverse” del
romanzo si specchiano l'una nell'altra, riconoscendo nella loro stessa diversità il
presupposto della relazione comunicativa interculturale.

Bibliografia

Corpus

Amara Lakhous, Divorzio all'islamica a Viale Marconi, 2010.

Studi

Elisa De Roberto, «Meine Sprache gehorcht euch nicht» Fenomeni linguistici della
Gastarbeiterliteratur italiana, in Scritture postcoloniali. Nuovi immaginari letterari, a
cura di Francesca Tomassini, Monica Venturini, 2018.

Andrea Groppaldi, La lingua della letteratura migrante: identità italiana e maghrebina


nei romanzi di Amara Lakhous, in Italiano LinguaDue, n. 2, 2012.
https://www.academia.edu/7807667/LA_LINGUA_DELLA_LETTERATURA_MIGRANTE_I
DENTIT%C3%80_ITALIANA_E_MAGHREBINA_NEI_ROMANZI_DI_AMARA_LAKHOUS

Chiara Lusetti, Provare a ridirsi: l'autotraduzione come tappa di un processo


migratorio in Amara Lakhous, in Ticontre. Teoria Testo Traduzione, N. 7 – maggio
2017. http://www.ticontre.org/ojs/index.php/t3/article/view/158

Giuliano Mion, L'arabo. Libretto di istruzioni per insegnanti di una classe plurilingue, in
La classe plurilingue, a cura di Ilaria Fiorentini, Chiara Gianollo e Nicola Grandi, 2020.

Valeria Villa, Rappresentazioni dello spazio sociolinguistico italiano nella letteratura


dell'immigrazione: tra antico e neoplurilinguismo, in Linea@editoriale n° 2012.
http://revues.univ-tlse2.fr/pum/lineaeditoriale/index.php?id=461

Interviste
Da una lingua all'altra... Intervista con lo scrittore italo-algerino Amara Lakhous, a
cura di Idriss Amid, Rivista di Studi Indomediterranei, IV, 2014.
http://kharabat.altervista.org/RSIM4_IDRISSintervista_per_RSIM.pdf

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