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Differenza tra italiano scritto da traduttori e da madrelingua

Si sa poco del tipo di lingua che i traduttori usano, ma, se ci pensiamo, il 99% dei testi scritti
che noi abbiamo frequentato sono testi di traduzioni. La stessa cosa anche se pensiamo alla tv
o ai film, che sono prevalentemente doppiati. Perciò, l’idea di italiano che noi ci siamo fatti è
un italiano basato sulle traduzioni. Siccome per parlarne abbiamo bisogno di metodologie
particolari, faremo cenno ad una branca della linguistica relativamente nuova: l’analisi
statistica applicata ai dati testuali, cioè quella dei corpora.

INTRODUZIONE ALLA SOCIOLINGUISTICA


In italiano, così come quando studiamo una lingua straniera, siamo abituati ad aggrapparci a
domande tipo ‘questo è giusto o sbagliato? Si dice o non si dice?’. Cioè ci aspettiamo che ci
siano delle cose accettabili e altre invece no, ma in realtà la situazione è molto più
complicata. È evidente che la frase “Io Tarzan, tu Jane”, non sia ben formata in italiano, ma
se la voglio rendere l’idea in italiano che un giovane uomo cresciuto dalle scimmie è chiaro
che questa struttura è più adeguata al contesto, sebbene scorretta dal punto di vista sistemico,
rispetto a “Mi permetta di presentarmi, sono Tarzan delle scimmie”. Questo perché per
decidere quali delle numerosissime risorse rese disponibili dal sistema linguistico e poi
effettivamente attivate nello scambio comunicativo che mi interessa, ho bisogno di fattori che
mi aiutano. Sono i fattori che rientrano nel contesto situazionale.
Il contesto è un concetto che emerge durante le ricerche di un linguista, Malinowski, il quale
si accorge che, trascrivendo i discorsi di popolazioni lontano, se inseriva delle info aggiuntive
rispetto ai dialoghi che aveva registrato, il testo non si capiva. C’era bisogno di qualcosa in
più.
Definizione di contesto: insieme dei fattori extralinguistici che hanno una qualche rilevanza
nello scambio comunicativo.
I fattori fondamentali sono: la persona che produce il messaggio (mittente), colui/colei che
riceve (destinatario); il contenuto del messaggio è importante così come lo è anche il codice
che viene utilizzato (nel nostro caso la lingua italiana, ma posso avere anche altri tipi di
codice come il codice morse, i semafori,ecc.).
Un altro aspetto importante è quello del canale. Nel caso delle lingue naturali,
fondamentalmente, l’opposizione è scritto o orale, ma vedremo che ci sono
gradazioni/sfumature importanti: tutti siamo consapevoli del fatto che scrivere un email è
diverso dallo scrivere una lettera cartacea. Il canale tiene conto del mezzo di comunicazione.
Dal punto di vista linguistico, perché il messaggio ha un’influenza sulla forma linguistica: se
io parlo di linguistica e ne parlo al pub con gli amici o ne scrivo in un articolo di ricerca,
ovviamente ho due contesti, canali diversi, ma il messaggio e il contenuto della linguistica
arriverà alle persone con cui parlo secondo una forma diversa, cambierà il mio lessico.
Un approccio a questi aspetti e problemi è quello fornito dalla grammatica funzionale di
Halliday. Distingue:
- Il campo rappresenta l’azione sociale, l’argomento e quello che succede dal punto di
vista dell’astrazione. A volte, quello che succede lo percepiamo in modo diverso in base
alla nostra cultura.
- Il tenore riguarda chi partecipa all’azione sociale, non solo con la descrizione di chi
parla, ma anche con la descrizione dei rapporti reciproci.
- La modalità è il ruola che la ** (lingua??) svolge nell’evento comunicativo.
È solo tenendo conto di questi fattori che noi siamo in grado di scegliere le risorse che
sono più consone alla situazione ed è questo che fa di noi parlanti e scriventi competenti
dal punto di vista comunicativo.
Mi è oltremodo difficile nascondere lo scarso interesse che per me riveste tale argomento /
Che due balle! = sono entrambe corrette dal punto di vista grammaticale, ma se si volesse
indicare quale delle due è la frase pronunciata da un bambino annoiato, la seconda sarà
sicuramente quella più adeguata dal punto di vista della situazione.
Coseriu ha proposto una serie di etichette terminologiche e una sistemazione metodologica
per descrivere leadimensione del cambiamento della lingua e individuare, in particolare, i
fattori che incidono sul cambiamento della lingua. Si esprime con suffissoidi e prefissoidi
classici.
•Tempo: la lingua cambia nel corso del tempo. La variazione del tempo viene definita come
diacronia, perciò la variazione diacronica è la variazione della lingua col passare del tempo;
•Spazio: variazione diatopica, quando andiamo in posti diversi dobbiamo aspettarci che le
persone parlino, pronuncino, chiamino le cose in modo diverso da noi;
•Situazione comunicativa registri linguistici: la diafasia è a dimensione che si occupa della
situazione comunicativa. È la più complessa perché non è basata su un cambiamento lineare
(come tempo o spazio) o bipolare (scritto o parlato), ma è caratterizzata da più elementi di
variazione. La situazione comunicativa, infatti, deve tener conto dell’azione sociale, cioè dei
contenuti e del lessico. In base a questo sarò in grado di distinguere l’italiano della medicina,
l’italiano della giurisprudenza, ecc. Contemporaneamente, essa tiene conto del rapporto
reciproco tra i partecipanti, quindi dei registri, dei livelli di formalità della lingua.
La diafasia tiene conto dell’argomento e la formalità che determina i registri.
•Mezzo di espressione scritto vs parlato: la diamesia. Notevoli differenze tra scritto e
parlato, ma anche vie di mezzo.
•Fattori sociali, livello di scolarizzazione, genere, età, ecc.: diastratia, divisione in base ai
gruppi sociali, ma in Italia la divisione netta in classi sociali non avviene. L’elemento
fondante è la scolarizzazione, si presuppone che chi abbia studiato, abbia anche una maggiore
completezza linguistica.
Dal punto di vista del genere anche cambia: donne timbro di voce diverso
Differenze di tipo culturale: donne dicono meno parolacce, ma non è vero, al massimo
bestemmiano meno. Le donne hanno una percezione diversa dei colori rispetto agli uomini.
ESEMPI
Criterio 1: il tempo ESEMPIO DI VARIAZIONE DIACRONICA DELLA
LINGUA
Per satisfare (latinismo) la V. S. Ill.ma (vostra signoria illustrissima), racconterò brevemente
quello che ho osservato con uno de' (oggi in italiano, siamo abituati a pensare prima alla
lingua scritta che ai soli suoni e uno degli aspetti che ha maggiormente sofferto è il livello
delle elisioni e dei troncamenti; in passato, invece, si era molto attenti alla corrispondenza tra
grafia e pronuncia perciò è più facile incontrare in testi antichi espressioni come quella di
sopra di Galileo) miei occhiali guardando nella (oggi il verbo guardare in italiano è
principalmente transitivo tranne in espressioni come ‘guardiamoci in faccia’, in ogni caso
‘guardare in qualcosa’ significa ‘esaminare’) faccia della luna; la quale (la quale, il quale,
ecc. sono i pronomi relativi che in italiano hanno ruolo solo di soggetto e non di
complemento oggetto, come invece accadeva in passato) ho potuto vedere come assai
(appartiene ad un registro piuttosto elevato ed ormai è quasi desueto) da vicino, cioè in
distanza minore di tre diametri della terra, essendochè (connettivo che, tranne nell’italiano
giurdico, burocratico non si usa più, perché è uscito dall’abitudine degli scriventi) ho
adoprato (sincope, cioè caduta di una vocale interna che è molto poco comune oggi) un
occhiale (usare il singolare al posto del plurale allo scopo di evidenziare il prodotto ad oggi è
tipico nell’italiano della moda, ‘è uno stivale molto elegante’, ‘un pantalone che ti slancia’,
oppure in cucina ‘lo spaghetto’, ‘la tagliatella con il sugo di cinghiale’) il quale me (questo
‘mi’ è un benefattivo che oggi è diventato di uso colloquiale) la rappresenta di diametro venti
volte maggiore di quello che apparisce (è una possibilità ancora data, ma recessiva ad oggi)
con l'occhio naturale, onde (altro connettivo che ormai si usa solo nell’italiano giuridico
burocratico) la sua superficie vien (un’altra eliminazione di consonante finale) veduta 400
volte, et (latinismo) il suo corpo 8000, maggiore di quello che ordinariamente dimostra [...]
(Incipit della lettera, scritta in volgare, da Galileo al granduca di Toscana). In sostanza
possiamo dire che, anche se con una certa fatica, e notando: la lunghezza del periodo più
tipico di testi di regitro elevato soprattutto del passato, dal punto di vista delle selezioni
morfo-lessicali e l’impianto sintattico generale del testo, dobbiamo subito concludere che
l’italiano qui usato è diverso da quello che utilizziamo oggi.

RAPPRESENTAZIONE SINCRONICA DELL’ITALIANO: REPERTORIO


DELL’ITALIANO
Descrizione dell’articolazione interna della lingua italiana.
Con questo grafico, Berruto cerca di tener conto dello spazio di variazione della lingua
italiana parlata (dell’anno in cui l’ha realizzato).
Va letto come una proiezione ortogonale bidimensionale in uno spazio bidimensionale. I tre
assi rappresentano 3 variazioni:
- Diamesia in orizzonale
- Diastratia in verticale
- Diafasia in obliquo
Mancano due assi: la diacronia (perché Berruto vuole fornire un’immagine dell’italiano
contemporaneo) e la diatopia (perché Berruto dice che non esiste nessun luogo e nessuna
classe sociale in Italia che utilizza l’italiano standard).
L’origine è vuota, il punto di incrocio dei tre assi è vuoto. Troviamo un’ellisse che indica
vagamente il centro e contiene due varietà: italiano standard letterario e italiano chiamato
dal Berruto ‘neo-standard’ (corrisponde a quello che precedentemente Sabatini aveva
chiamato ‘italiano dell’uso medio’).
Entrambi sono spostati nel quadrante in alto a sinistra= scritto, ** diastratia perché in una
società ancora fortemente dialettofona per aver imparato l’italiano bisognava essere
andati a scuola e l’italiano standard letterario era ovviamente un modello scritto.
L’italiano meno standard e fondamentalmente nato dall’incontro tra lo standard letterario
e l’italiano parlato è l’evoluzione di italiano standard letterario negli usi quotidiani, anche
orali. Si ha quindi un avvicinamento verso il centro e un abbassamento non completo
perché il modello di riferimento resta quello letterario, cioè scritto.
Le varietà alte sono l’italiano burocratico, scientifico, ecc., occorre avere un’estesa
formazione scolastica per riuscire a gestire questi registri fondamentalmente destinati
all’uso scritto.
I quadranti in basso a sinistra e in alto a destra risultano vuoti. Il parlato colloquiale è
leggermente al di sotto dell’origine, perché viene riservato a contesti familiari. Non c’è
bisogno di una particolare carriera scolastica pregressa per il parlato, al contrario di ciò
che avviene per lo scritto.
Berruto mette insieme le etichette di italiano regionale popolare. L’italiano popolare è
basso in diastratia, quindi è parlato da persone che non hanno studiato: è l’italiano
imperfettamente appreso da chi ha come madrelingua il dialetto ed è andato poco a
scuola.

• Dilalia vs diglossia
• Continuum con addensamenti (fasci di tratti => varietà)

Bilinguismo, diglossia, dilalia


(Silvia Dal Negro, Encliclopedia dell’italiano Treccani; Berruto G., Lingua, dialetto,
diglossia, dilalia, in Saggi di sociolinguistica e linguistica,
Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2012)
• Con bilinguismo si intende genericamente la presenza di più di una lingua presso un singolo
o una comunità
Bilinguismo, diglossia, dilalia
(Silvia Dal Negro, Encliclopedia dell’italiano Treccani; Berruto G., Lingua, dialetto,
diglossia, dilalia, in Saggi di sociolinguistica e linguistica,
Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2012)
• La diglossia è una specifica forma di bilinguismo in cui le due lingue disponibili sono in un
rapporto gerarchico e complementare: la varietà alta e la varietà cosiddetta bassa non si
sovrappongano funzionalmente: mentre la prima è standardizzata, viene trasmessa dalla
scuola ed è usata nello scritto enei contesti formali (la liturgia, l’università,
l’amministrazione, buona parte dei mezzi dicomunicazione), la varietà B viene acquisita
spontaneamente come lingua prima ed è usata nella conversazione ordinaria e in tutti i
contesti informali
Bilinguismo, diglossia, dilalia
(Silvia Dal Negro, Encliclopedia dell’italiano Treccani; Berruto G., Lingua, dialetto,
diglossia, dilalia, in Saggi di sociolinguistica e linguistica,
Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2012)
• Nella dilalìa (in cui pure si hanno una varietà A e una B) vi è sovrapposizione funzionale
tra le varietà nei domini d’uso informali, così come nella socializzazione primaria, mentre
l’italiano (lingua A) resta l’unica possibile nei domini funzionalmente alti: in un certo senso
si può dire che l’italiano sia ‘sceso’ erodendo mano a mano lo spazio del dialetto e
sovrapponendosi ad esso.
Italianizzazione della popolazione
Indebolimento dei dialetti sia quantitativo che qualitativo
1861-1961:
• Tullio De Mauro 2,5%,
 Arrigo Castellani, 10% della popolazione, ovvero più di 2 milioni
 di parlanti.
 Francesco Bruni: occorre aggiungere dialettofoni in possesso di una competenza della
lingua italiana di tipo incerto e lacunoso, tale comunque da metterli in grado,
all’occorrenza, di capire e farsi capire.
 Secondo De Mauro nel 1951 «per oltre quattro quinti della popolazione italiana il
dialetto era ancora abituale e per quasi due terzi [...] era l’idioma d’uso normale nel
parlare in ogni circostanza»
Coesistenza italiano/dialetto
• Manlio Cortelazzo 1980: diglossia e/o bilinguismo
• Trifone 2011 GRADIT: 3.648 parole dialettali o regionali datate tra 1861 e 2000 contro le
2.386 dalle origini al 1860. Dal 1951 al 2000, 1.664 parole
• Giovan Battista Pellegrini 1975: italiano regionale
• Berruto 1987: continuum; code switching, code mixing e
dilalia
• Mengaldo 1994: «la vera realtà parlata dell’italiano sonogli italiani regionali» vs italiano
popolare
• Sabatini 1985: Italiano dell’uso medio
Per quanto riguarda le varietà, il Berruto parla di continuum (una transizione impercettibile)
con addensamenti, cioè la compresenza di più caratteristiche che individuano una varietà.
Alcune caratteristiche sono condivise da più varietà, anzi alcuni sono comuni a tutte le
varietà. Poi ci sono i tratti che sono comuni, per esempio, a tutte le varietà del quadrante in
alto a sinistra (tipo tutte le varietà di registro alto condividono la nominalizzazione oppure
una certa strutturalizzazione del testo scritto, attenzione alla pronuncia nei testi orali).
Però ciascuna varietà si differenzia dalle altre per certe caratteristiche che sono esclusive.
L’italiano tecnico-scientifico avrà una terminologia monosenica, mentre questo manca
all’italiano formale aulico.
Il XXI secolo: Rapporto tra italiano e dialetti
Il grafico di cui sopra del Berruto mostra solo la lingua nazionale, ma sappiamo che gli
italiano apprendono l’italiano come una lingua straniera perché la loro lingua madre è il
dialetto.
Siamo abituati all’idea recente nata dal Romanticismo di una lingua, un popolo, uno Stato,
ma di fatto non illustra la situazione reale tra i parlanti del mondo. Il dialetto è una lingua a sé
stante, può avere una storia prestigiosa e una tradizione letteraria, ma capita che non sia stata
riconosciuta come lingua di una nazione, di converso ci sono lingue imparentate, molto
simili, che eppure consideriamo come lingue diverse. Di conseguenza, in realtà, il
bilinguismo o il plurilinguismo, è una situazione molto comune per i parlanti della terra.
Normalmente, ecco cosa avviene in un luogo in cui il bi- o pluirilinguismo esistono: un
individuo riesce a gestire due o più, ma è difficile di norma che le due lingue siano in un
rapporto assolutamente paritetico, intercambiabili o abbiano lo stesso ruolo nella comunità o
nella coscienza linguistica dello stesso individuo. Ci sono dei rapporti gerarchici, c’è una
lingua che è considerata la varietà alta (ufficiale) e una la varietà bassa (familiare).
Prendiamo come esempio la Svizzera, l’Ochdeutsch per le occasioni pubbliche,
ecclesiastiche, scuola e poi lo svizzero tedesco usato negli scambi comunicativi di tutti i
giorni, esse vengono usate da tutti senza stigmatizzazione sociale. L’unica differenza è che la
lingua alta viene insegnata a scuola, mentre la lingua bassa si impara spontaneamente e di
norma non ha una codificazione scritta né letteratura, con le dovute eccezione. La stessa
situazione c’era in Italia almeno fino al 1200, quando c’era la distinzione tra lingua nazionale
e il dialetto. Negli ultimi anni la situazione è cambiata e Berruto dice che abbiamo una
situazione di dilalìa, dove la lingua alta tende ad invadere alcuni campi di applicazione della
lingua bassa. Inoltre, il dialetto viene considerato inferiore rispetto alla lingua nazionale.
Attualmente sappiamo che la popolazione italiana è italianizzata, cioè più o meno tutti siamo
in grado di esprimerci e capire in italiano, ma non è detto che sappiamo scriverlo.
È stato un processo molto veloce se si pensa che al momento dell’unificazione secondo i
calcoli di De Mauro, una percentuale molto ridotta (2,5%) era in grado di gestire la lingua
nazionale. Forse i suoi calcoli sono stati un po’ eccessivi, dato che si limitavano
esclusivamente alla Toscana, mentre si possono annoverare come competenze dell’italiano
anche quella passiva, cioè comprendere senza essere in grado di produrre testi in italiano. In
ogni caso, la caratteristica principale dell’Italia al momento dell’unificazione era proprio
essere uniti territorialmente ma non dal punto di vista linguistico, rispetto agli altri paesi
europei. Comunque, sebbene queste cifre siano state ricalcolate da altri studiosi nel corso
degli anni, ancora dopo la II G.M. (4/5) era abituata a comunicare solo in dialetto.

Per riassumere, ecco cosa succede ad un italiano che impara la sua lingua: nasco, comincio a
parlare e imparo l’italiano marcato in diatopia, cioè tipico della mia zona (come pronuncia,
come lessico e come scelta di risorse sintattiche), poi comincio a modificare la mia
competenza linguistica invecchiando in diastratia, fino a raggiungere delle competenze
maggiori con la scolarizzazione, la formazione istituzionale, per cui sono in grado di gestire
tipi diversi di italiano a seconda della situazione in diafasia (mi rendo conto che esistono
diversi tipi di italiano mano a mano che proseguo nelle mie competenze linguistiche in
diastratia).
Il cerchio interno della diamesia è tratteggiato perché la formazione scolastica è basata
sull’apprendimento del mezzo scritto. Ricordiamo che tutte le lingue sono nate per mezzo di
espressione orale, la scrittura è un’invenzione successiva che si impara non automaticamente,
come la matematica. Tuttavia, quando impariamo a scrivere, ci rendiamo conto
intuitivamente della differenza tra scritto e parlato.
Ovviamente, quando si analizzano esempi di lingua l’influenza dei vari fattori è simultanea,
per esempio la parola riprovevole è
- una parola neutrale in diamesia,
- dal punto di vista diafasico è marcato come medio-alto /alto (registro elevato),
- in diastratia è marcato come alto (bisogna aver studiato per averla incontrato)
- nello scritto non è marcato, ma nella pronuncia sì.
La frase, invece, ...praticamente io sto a cercà ‘na sfitinzia:
- dal punto di vista della diafasia sarà marcata verso il basso, la produco in contesti
informali
- dal punto di vista della diastratia sarà medio-basso
- dal punto di vista della diatopia, possiamo categorizzarla come ‘laziale’
- dal punto di vista della diacronia è marcata (era una parola usata negli anni Ottanta dai
panettieri, la sfitinzia è una bella ragazza)

Il repertorio degli italiani

Gli italiani in media conoscono l’italiano medio, la varietà di italiano più nota come registro
alto.

Riescono a comprendere l’italiano popolare che per Berruto indica l’italiano


imperfettamenete appreso per chi è madrelingua in dialetto, quindi l’italiano fortemente
permeato di tratti riconducibili al dialetto della zona.

Dialetto italianizzato: dei dialetti, gli italiani possono conoscere una varietà di dialetto
fortemente esposta alla lingua nazionale e quindi ha subito pressioni omologanti da parte
dell’italiano. Nei grandi centri urbani è più difficile parlare dialetto.

Un altro fenomeno è la dialettizzazione di concetti relativamente nuovi: i concetti che


vengono espressi ad esempio in televisione in dialetto triestino li capiamo perché hanno una
base lessicale di tipo italiano che poi viene triestinizzata; quando parliamo di cose di tutti i
giorni, invece, esiste un lessico più influenzato da inflessioni dialettali; ad esempio in
siciliano posso anche fallignami, pinzioni per pensione.

Dialetto locale rustico è quello più lontano dalla lingua nazionale (es. siciliano
mastrudascia, falegname).
Agli inizi del 2000, Antonelli propone una nuova immagine dell’italiano del XXI secolo
apportando alcune modifiche al modello di Berruto:

1 modifica: la diatopia emerge prepotentemente, viene sottolineata perché Antonelli afferma


che siamo tutti parlanti madrelingua di italiano regionale, se non studiamo non siamo in
grado di gestire a pieno tutte le risorse dell’italiano standard (particolarmente evidente nella
pronuncia, ci porteremo sempre dietro la nostra pronuncia dialettale)

2 modifica: per quanto riguarda l’assetto generale, Antonelli dice che tutte le varietà si
avvicinano (lo spazio si riduce quindi rispetto allo schema di Berruto) perché in generale
negli ultimi anni abbiamo assistito a un abbassamento di registri = c’è stata
un’informalizzazione della società che ha avuto le sue ripercussioni dal punto di vista
linguistica
3 modifica: scompare l’italiano letterario standard. Antonelli afferma che ormai non c’è più
una lingua letteraria a cui fare riferimento che abbia delle caratteristiche costanti. Una volta
c’erano delle differenze anche una volta (Pavese era diverso da Sciascia), ma si trattava di
sperimentalismi. Oggi, ogni autore sceglie delle soluzioni assolutamente personali e
difficilmente riconducibili ad un modello di riferimento. L’unico modello è la scuola che ci
insegna un italiano molto conservatore
4 modifica: l’italiano neostandard viene fatto corrispondere da Antonelli come italiano
giornalistico (registro medio)
5 modifica: Scompare italiano burocratico che secondo Antonelli viene sostituito
dall’aziendalese.
Italiano parlato colloquiale si avvicina al centro perché diventa protagonista della gran parte
delle situazioni informali
Italiano regionale viene prima dell’italiano popolare (dei dialettofoni, percepito molto più
basso dal punto di vista diastratico e diafasico) ed è meno comune.
Italiano informale-trascurato procede verso il basso in diastratia, diafasia e verso il polo
parlato.
Ultima cosa interessante è l’introduzione di una decima varietà che va a occupare un
quadrante precedente vuoto: quello in alto a destra coperto dall’italiano digitato. Ciò che
succede alla fine del XX e alla fine del XXI secolo è il completamento dello sviluppo
dell’italianizzazione. Una comunità culturale che si è sempre riconosciuto in una lingua
scritta che non veniva utilizzata da nessuno per parlare cioè il fiorentino del ‘300 che
nemmeno i toscani parlavano più. Alla fine del 1900 tutti hanno iniziato più a parlare che
scrivere in italiano perché i mezzi di comunicazione di massa diventati disponibili (telefono,
radio, televisione, cinema) prevedevano principalmente la parola parlata, non scritta. Poi,
improvvisamente, arriva Internet e tutti cominciamo a scrivere in maniera moooolto
maggiore, ma in maniera diversa rispetto a prima. Questo per via dell’abbassamento dei
registri, ma soprattutto per via del mezzo che usiamo per scrivere che ci spinge ad utilizzare
un linguaggio scritto più prossimo, vicino, al linguaggio parlato.
1988 1995 2000 2006
• In famiglia
Solo o prev. italiano
Solo o prev. dialetto Entrambi
Altra lingua
• Con amici
Solo o prev.
Solo o prev.
Entrambi
Altra lingua
• Con estranei
Solo o prev. italiano
Solo o prev. dialetto Entrambi 20,3% Altra lingua 0,4%
41,5% 44,4%
44,1% 19,1%
48,0% 16,0%
72,7% 5,4%
19,0%
45,5% 16,0%
48,9% 13,2%
72,8%
32,0% 23,8% 24,9% 28,3% 32,9% 0,6% 1,5% 3,0% 5,1%
32,5%
italiano 44,8% 47,1% dialetto 26,6% 16,7%
27,1% 32,1% 32,7% 0,5% 1,2% 2,4% 3,9%
32,8%
64,1% 71,4% 13,9% 6,9% 6,8%
18,5% 18,6% 0,8% 0,8% 1,5%
Il 48 % degli italiani conosce il dialetto
Differenze
• Giovani vs anziani
• Uomini vs donne
• Territoriali (anche dimensioni del centro urbano) • Titolo di studio

Criterio 2: il luogo

Alcuni fenomeni
• Fonetica: scempiamento delle doppie; rafforzamento fonosintattico; S intervocalica
sorda/sonora; ʧ intervocalico realizzato come ʃ
• Morfosintassi: la Giovanna, lo Stefano; so mica niente; lo dici te!, noi si va via; voglio
proprio vede’; hai visto a Mario?; che la smettesse!; tengo fame; scusate, professo’!;
stamattina tardi mi alzai
• Lessico: sfortuna, sfiga, jella, scarogna; fava, gnocco, scostumato
Tutti questi sono geosinonimi, cioè parole che hanno lo stesso significato, indicano la stessa
cosa, ma si dicono in maniera diversa.
I geo-omonimi sono parole che hanno la stessa forma, ma indicano cose diverse.
Andrea Camilleri
La forma dell’acqua
Lume d’alba non filtrava nel cortiglio della “Splendor”, la società che aveva in appalto la
nettezza urbana di Vigàta, una nuvolaglia bassa e densa cummigliava completamente il cielo
come se fosse stato tirato un telone grigio da cornicione a cornicione, foglia non si
cataminava, il vento di scirocco tardava ad arrisbigliarsi dal suo sonno piombigno, già si
faticava a scangiare parole. (p. 9)

Criterio 3: la situazione comunicativa


Mentre le altre variazioni sono più o meno bipolari, nel caso della diafasia questo non esiste.
È una dimensione più complicata che al suo interno comprende due fattori: uno può essere
ricondotto al registro. Ricordiamo che la diafasia contiene registri e sottocodici che si
intersecano tra di loro.
I REGISTRI DELL’ITALIANO
I registri dipendono dalla relazione che intercorre tra emittente e ricevente, cioè dipendono
dalla distanza sociale, dalla gerarchia che regola i rapporti tra chi parla e scrive o tra chi legge
e ascolta.
*Terminologia!* alto/basso o formale/informale
Berruto ha proposto uno schema con tre assi disposti in maniera diversa per rendere conto dei
diversi registri, cioè delle diverse soluzioni che ho, in questo caso, dal punto di vista
esclusivamente lessicale per rendere piacevole un concetto come quello di ‘morire’.
‘Morire’ è al centro dell’intersezione degli assi perché non è marcato da nessun punto di
vista, lo posso usare in tutte le situazioni, è una scelta neutra.
I vari sinonimi sono declinati sui tre assi che Berruto ha deciso di sviluppare secondo le
opposizioni solenne/volgare, eufemistico/disfemistico, formale/informale.
In generale, se volessimo fare qualche regola generale, dal nucleo centrale ci si allontana in
senso solenne ed eufemistico, in senso volgare e disfemistico tramite lo spostamento della
metafora. Quindi, se la vita è un viaggio o la vita è la veglia in opposizione alla morte che è il
sonno, evidentemente chiudere gli occhi per sempre o cose simili mi indicano la morte; più
sono indiretto nell’indicarla, più tenderò all’eufemismo e di conseguenza ad un registro
elevato, fino ad arrivare al solenne.
Per noi italiani che abbiamo una tradizione religiosa, la vita è un passaggio dalla vita terrestre
a quella celeste per cui abbiamo render l’animo a Dio, ecc.
Poi ci sono delle soluzioni che sono sempre di tipo metaforico o che variano a seconda della
descrizione del significato della connotazione della parola, ad esempio defuggere è più
tecnico di morire, perire è usato per morti violente o nell’italiano burocratico.
I registri in italiano non si limitano alla selezione del lessico, è l’intera struttura della frase o
del testo che può indicare una maggiore o minore formalità, per esempio in contesti più
formali nel parlato si fa più attenzione alla pronuncia, a concludere tutte le frasi senza
lasciarle a metà.
Altri aspetti sono quelli della strutturazione sintattica e della gestione delle persone intese
come pronomi personali.
Esempi che Berruto fa per dire a qualcuno che non si può andare da lui:
• Mi pregio informarLa che la nostra venuta non rientra nell’ambito del fattibile 
- italiano aulico, pregiarsi di
- spersponalizzazione con la nostra venuta
- nominalizzazione
• Trasmettiamo a Lei destinatario l’informazione che la venuta di chi sta parlando non avrà
luogo 
- italiano più tecnico, trasmettere > comunicare
- destinatario è definizione tecnica
• Vogliate prendere atto dell’impossibilità della venuta dei sottoscritti 
- astrazione
- nominalizzazione
- occultamento dei locutori
- italiano burocratico, prendere atto, venuta dei sottoscritti
• La informo che non potremo venire (per Berruto questa frase è italiano standard, scelta
formale ma standard, non particolarmente elevata) 
- la informo che… italiano standard e si distingue dall’italiano dell’uso medio perché
informare è leggermente più formale di dire
- utilizzo del futuro che nell’italiano dell’uso medio è poco utilizzato per fare delle ipotesi
Cosa hanno in comune tutte queste forme? Tutti i registri alti hanno in comune sono più
convolute dal punto di vista sintattico, la selezione lessicale fa sì che si usi un maggior
numero di parole per esprimere la stessa cosa, la nominalizzazione, emittente occultato o c’è
un riferimento indiretto.
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• Le dico che non possiamo venire
• Sa, non possiamo venire  colloquiale secondo Berruto perché abbiamo sa è una particella
pragmatica che serve a tenere aperto il canale della comunicazione tra chi parla e chi ascolta.
Quindi in opposizione ai registri elevati, abbiamo un riferimento diretto, un coinvolgimento
maggiore del destinatario
• Ci dico che non potiamo venire  italiano popolare;
- uso del ci al posto di gli/le/loro
- potiamo è un caso di regolarizzazione (potere=potiamo)
• Mica possiam venire, eh  italiano informale trascurato;
- c’è mica come realizzazione della negazione parziale tipicamente settentrionale,
apocope del verbo quindi pronuncia meno accurata che negli altri casi
• Ehi, apri ‘ste orecchie, col cavolo che ci si trasborda  secondo Berruto è italiano
giovanile (degli anni ’80);
- c’è un disfenismo = apri ste orecchie, un’immagine molto concreta per dire ascolta!
- col cavolo è un’espressione disfenistica che in realtà è un eufemismo per dire….
- che ci si trasborda iperbole

L’italiano dell’uso medio (neostandard): Italiano che parliamo tutti i giorni e che
leggiamo nei giornali, nella maggior parte dei libri di letteratura contemporanea, soprattutto
la paraletteratura (lett. Di consumo).
L’italiano dell’uso medio o neostandard può essere definito in relazione a qualcosa che
definisco come ‘standard’. Ma come si fa a definire la lingua standard? Si può fare
riferimento a criteri sociolinguistici di tipo diverso, ad esempio si può definire ‘standard’
come una varietà neutra rispetto agli altri assi di variazione, cioè una varietà parlata da
persone né troppo istruite né troppo poco in quasi tutte le situazioni, sia scritte che orali.
Tuttavia, nello schema di Berruto, l’origine dello schema, il punto di intersezione degli assi è
vuoto, non c’è nessuna varietà di italiano che sia marcata in diafasia, diastratia e diatopia.
Quindi, non riusciamo a fare riferimento per l’italiano a questo tipo di modello.
Un altro elemento è la correttezza. Si tratta di una lingua che viene considerata ‘corretta’
dalla maggior parte delle persone. Questo potrebbe far riferimento all’italiano scolastico,
quello che giudichiamo corretto, ma che non usiamo nella vita di tutti i giorni. C’è da
precisare, poi, che anche l’italiano scolastico subisce l’influenza della nostra provenienza
geografica.
L’altra possibilità è descrittiva: è standard la lingua statisticamente più rilevante. Il problema,
però, prendi in considerazione solo la variazione diatopica, la maggior parte della
popolazione italiana vive al nord, ma questo non significa che le varianti del nord vengano
percepite da tutti come marcate.
Sabatini nel ’85 stabilisce 35 tratti che individuerebbero questa varietà di italiano usata più
o meno da tutti gli italiani sia nello scritto che nell’orale di media formalità e che diverge
dall’italiano standard letterario che fino agli anni ’90 era descritto nelle grammatiche, quello
che di norma viene spiegato a scuola.
Dal punto di vista della realizzazione orale troviamo
 la mancata posizione tra vocali aperte/chiuse al di fuori della Toscana:
al nord tendono ad essere chiuse, al sud aperte.
 Mancato rispetto dell’opposizione s sorda o sonora al di fuori dalla Toscana: se sono
del nord è sempre sorda, sonora se sono del sud
 Mancato rispetto del raddoppiamento fonosintattico fuori dalla Toscana: al sud si
tende a farlo sempre, al nord mai
 Declino dell’uso di i prostetica davanti a s + consonante: fatta eccezione per per
iscritto che è comunemente usato
 Limitazione nell’uso di d eufonica, secondo Sabatini si usa bene la d eufonica di una
volta
 Rarefazione di elisione e troncamento, tendiamo a scrivere non dire di no piuttosto
che non dir di no, perché essendo una popolazione alfabetizzata tendiamo a pensare
alla lingua come qualcosa di scritto e non al suono, di conseguenza tendiamo a
rispettare l’integrità grafica della parola.
 Mancato rispetto della regola del dittongo mobile
Dal punto di vista della morfosintassi troviamo
 Mancato uso, fuori Toscana, di codesto, costì, costà
 Uso consolidato delle forme aferetiche (cioè con la caduta della prima parte) ‘sto,
‘sta, ecc. per questo, questa
 Maggior frequenza di questo e quello in funzione di neutro rispetto a ciò
 Gli generalizzato per a lui, a lei, a loro
 Lui, lei, loro in funzione di soggetti
 Forme rafforzate questo qui, quello lì, tipicamente settentrionale però comune
anche altrove, fanno il paio con l’indebolimento in generale dei dimostrativi. Pare
che nell’italiano moderno stia succedendo quello che è successo in passato al
latino, cioè i dimostrativi che si sono trasformati in articoli. I dimostrativi ora
stanno perdendo forza, basti pensare a frasi come Dobbiamo riflettere su quelli
che sono i problemi del giorno d’oggi.
 Frequente uso di preposizioni + articoli partitivi (Condiscilo con dell’olio crudo;
È uscito con degli amici, ecc), fino a poco tempo fa le grammatiche proponevano
di utilizzare la preposizione con articolo zero perché era considerato poco elegante
 Prevalenza dei locativi ci/ce su vi/ve (Ci resto; metterci)
 Frequenti usi attualizzanti di ci (Oggi c’è stato uno sciopero), qui Sabatini fa
riferimento ad una teoria che ancora non era conosciuta: la categoria dei verbi
procomplementari è stata individuata dopo il 2000 da De Mauro nel Grande
Dizionario dell’Uso. Sono verbi che hanno dei pronomi al loro interno e che ne
modificano il significato: farcela, volerci
 Fenomeni vari di tematizzazione:
- Posposizione del soggetto al predicato:
- Frase segmentata (A me non me la fai: I soldi te li ho dati)
- Anacoluto o tema pendente (Giorgio, non gli ho detto nulla)
- Frase scissa (È Mario che canta)
- Non mi posso rassegnare; Ora te lo posso dire
- Imperativo negativo proclitico (Non ti muovere)
- Frequente uso di che polivalente:
o Con valore temporale (La sera che ti ho incontrato)
o In frase scissa (È qui che ci siamo incontrati)
o Che relativo invariabile con ripresa pronominale (La valigia che ci ho messo i
libri)
o con valore finale, consecutivo o causale (Aspetta, che te lo spiego; Vieni, che
ti pettino)
 Cosa interrogativo prevalente su Che cosa
 Che interrogativo ed esclamativo prevalente su Quale (Che antipatica, Carla!)
 Nessi relativi ridotti al solo che (Tieni conto che col treno arriveresti troppo tardi; per
cui)
 Congiunzioni prevalenti: causali siccome, dato che; finali perché o implicite con un
causativo; interrogative come mai
 Allora riassuntivo-conclusivo o demaaricativo (Allora, andiamo al cinema?)
 Concordanza a senso con soggetto collettivo
 Mancato accordo del participio passato
 Frequenti costruzioni pronominali affettive (Luca si è mangiato mezza torta).
 Costrutti vari di senso impersonale (Finalmente riparano la strada) o mediante il
pronome indefinito uno (Uno più se ne sta per i fatti suoi e più finisce nei guai)
 Niente aggettivo (Niente conservanti)
 Giustapposizione dei sostantivi (treno lampo, marito modello, notizia bomba)
 Allocutivi di cortesia: scomparsa di Ella e declino di Loro
 Ripetizione del sostantivo per esaltarne il significato (Speriamo che sarà una vacanza
vacanza)
 Vari elementi lessicali con funzioni sintattiche usati in testi che consideriamo di
formalità media:
- Ci vuole, ci vogliono
- Si capisce (frequente nelle risposte)
- Si vede che; mi sa
- Lo stesso
- Sennò
- Per forza
- Affatto e assolutamente usati con significato negativo, specialmente nelle risposte, per
evidente ellissi della negazione (quindi, al posto di niente affatto, non…affatto, non…
assolutamente)
- Solo che
Questi sono un po’ gli elementi che caratterizzano l’italiano d’uso medio e alcuni di questi
non li consideriamo nemmeno delle novità, altri invece sì perché la scuola pone un margine
molto forte a queste innovazioni, come Gli per Loro o per Lei nello scritto, ma poi nell’orale
lo usiamo.
ESEMPIO
Le spese allargate del ponte sullo Strettodi G.A. Stella, CS 28/10/11
MILANO - San Francesco da Paola, che passò lo Stretto camminando sul mantello steso sulle
acque, resterà ancora per un pezzo l'unico ad aver fatto il miracolo. Dopo lustri di
proclami, San Silvio Berlusconi ha ieri ordinato ai suoi fedeli alla Camera di votare
(ahilui...) la rinuncia al ponte di Messina. «A me m'ha rovinato 'a guera», diceva il mitico
Gastone di Ettore Petrolini. «A me la crisi» dirà il Cavaliere, mortificato dall'abbandono del
sogno di consegnare alla storia quella che doveva essere «l'ottava meraviglia del mondo».

Criterio 4: parlato conversazionale spontaneo


DIAMESIA Nel caso della diamesia, potrebbe sembrare semplice la classificazione dei testi,
ma in realtà si possono avere diversi tipi di parlato e di scritto. Quindi anche in questo caso
c’è bisogno di due prototipi, due modelli esemplificativi: da una parte il testo scritto
diamificato e dall’altro il parlato conversazionale spontaneo.
Il parlato conversazionale spontaneo è un testo orale, quindi
• il canale è la voce
• Scarsa o nulla pianificazione
• c’è feedback in compresenza  tutti i locutori condividono la stessa situazione, fanno
riferimento a elementi del contesto situazionale, quindi deittici, e capita che alcune
informazioni restino incomplete.
Il LIP (Lessico dell’Italiano Parlato), cioè registrazioni di conversazioni faccia a faccia,
universitarie, telefoniche, trasmissioni televisive e radiofoniche; compaiono diversi tipi di
colloquio orale, i testi monologici, per esempio, tendono ad essere meno frammentati dei testi
dialogici.
D: che c'è? A: ahah so stata soddisfatta di questo studio
C: c'è la carne la straniera alla pizzaiola D: di quale? la storia
B: cioè a te Giovanna non ti piace l'aglio A: storia
vero? D: ahah certo perché quando uno esercita
C: ce ne sono novantasette grammi a testa l'intelligenza. Eh
B: aspetta che mi… se mi dai? lì raccolgo certo che è soddisfatto
l'aglio B: quale storia?
C: ma l'aglio lo vogliamo anche noi D: ah ha studiato un capitolo di storia
B: no la Giovanna ha detto che non gli piace A: non mi fare domande se no
D: niente lo vogliamo anche noi B: che cosa? quale?
B: la Giovanna ha detto che un gli piace D: A: Pompeo
non ti piace l'aglio? B: non ti fo domande non ti preoccupare
A: mi piace mi piace anche perché a parte non mi
[SILENZIO] ricordo un cazzo
B: quanti siamo? D: Paolo?
D: dieci B: cosa c'entra?
C: più quattro [SILENZIO] D: cos'è che non ti ricordi?
B: un cazzo
D: ah, non l'avevo capito

Da questi esempi si evince i parlanti sono toscani. Un testo scritto, pensato come testo scritto
e poi veicolato oralmente non funziona, è troppo denso di lessico, di informazioni.
Di converso, una conversazione orale è difficilmente comprensibile nello scritto, perché
mancano tutti gli aspetti prosodici, il contesto, il non-detto, ci sono interruzioni varie che
nello scritto infastidiscono, mentre nell’orale funzionano bene. In generale, i tratti che
caratterizzano l’orale nei confronti dello scritto sono:
- Dal punto di vista della testualità, la prevalenza della pragmatica: la cosa importante è
far passare il messaggio, la correttezza lessicale, sintattica e morfologica interessa meno,
questo fa sì che ci appoggiamo molto al contesto situazionale = testi orali caratterizzati
da indessicalità
- Aspetto importante (che di solito nello scritto manca) è la gestione dell’interazione.
Anche nei testi monologici è normale fare qualche ah?, mh, ecc. per attirare chi ascolta
- Dal punto di vista della sintassi, quella elaborata usata nello scritto non è gestibile
nell’orale. Né si è in grado di formare frasi estremamente complicate né chi ascolta è in
grado di elaborarle, quindi si tende ad un’esposizione più frammentata, frasi più brevi e,
molto spesso, interrotte.
- Dal punto di vista della morfologia, si usano tutti i tratti dell’italiano dell’uso medio,
esclusa, in alcuni casi, una maggiore incidenza di tratti regionali che ci spingono a fare
delle preferenze.
- Dal punto di vista del lessico, i testi orali si differenziano dai testi scritti perché sono
meno ricchi lessicalmente. In altre parole, nei testi orali tendiamo ad utilizzare un minor
numero di parole e a ripeterle più frequentemente, quindi diciamo meno parole e
usiamo pochi sinonimi, oppure, in alcuni, casi usiamo parole con un significato più
generico perché parlando, impegnati nello sforzo di pianificazione, ci sfugge sul
momento la parola giusta da usare. Nello scritto, soprattutto in italiano, ciò non avviene,
perché abbiamo questa regola ferrea di non ripetere una stessa parola più volte, ma
tendiamo più alla sinonimia.
- Il registro nei testi orali è più basso.

Criterio 5: diastratia
L’elemento principale per distinguere i vari livelli della diastratia è l’istruzione. Per quanto
riguarda il livello di istruzione, l’italiano popolare è considerato la varietà più esemplificativa
ed è l’italiano imperfettamente appreso da chi parla come lingua madre il dialetto e ha
imparato l’italiano come una lingua straniera, cioè a scuola. Questa situazione era molto
comune in Italia fino a non molto tempo fa; oggi i parlanti esclusivamente dialettofoni sono
una minoranza molto ridotta. Però, l’italiano popolare non è scomparso.
Nell’italiano popolare emerge prepotentemente il dialetto sottostante. In passato ci si è chiesti
se fosse possibile parlare un italiano popolare invece che tanti italiani popolari a seconda dei
dialetti. La risposta di molti linguisti è stata positiva, perché le tendenze di fondo sono
condivise. Quindi, una c’è
 tendenza alla regolarizzazione: avendo imparato l’italiano come una lingua straniera
si seguono le regole in maniera pedissequa, ma essendo la lingua piena di eccezioni
che magari non si conoscono si commettono gli stessi errori di quando un francese
impara l’italiano e le sue gaffe fanno ridere i madrelingua
 e una tendenza all’ipercorrettismo, cioè al tentativo di modificare quelli che si
ritengono degli errori, anche in maniera eccessiva.
 Altro criterio è quello del genere. Biologicamente, le donne hanno un timbro diverso
dagli uomini, ma oltre a caratteristiche tipiche determinate dalla diversa
conformazione fisiologica, ci sono anche caratteristiche prettamente culturali. Meno
disfemismi e tecnicismi, orientamento interazionale e interpersonale.
 L’italiano giovanile: Inchiappettescion

Criterio 3+5: attività


Si torna alla diafasia, dove si distinguono i registri dai sottocodici (che utilizzo come termine-
ombrello includere lingue speciali e lingue settoriali.
Mentre i registri hanno a che fare con il rapporto tra mittente e ricevente, i sottocodici hanno
a che fare con l’attività sociale portata avanti, l’argomento.
Distinzioni terminologiche
Lingua (codice di tipo verbale) / Linguaggio (comprende più codici, es. linguaggio della
matematica)
Gerghi / Lingue sociali /Lingue settoriali / Codici
Gerghi: identificato dall’intento criptico. Lo scopo del gergo è non farsi capire all’esterno del
gruppo. Tipicamente i gerghi appartenevano a quelle professioni (carbonai, ombrellai,
acconciatori di pelle, ecc.) che si riferivano alle loro attività in maniera criptica per impedire
che i loro segreti professionali fossero copiati.
Servivano anche a rafforzare l’identità di gruppo, ciò potrebbe far pensare che l’italiano
giovanile sia un gergo, ma non c’è intento criptico e non è stabile: ogni generazione deve
sviluppare il suo modo di parlare.
Esempi: gergo militare, caratterizzato da una contrapposizione di tipo gerarchico-sociale.
Nelle società militari, il gergo era quello dei gradi inferiori che cercavano di comunicare
senza farsi capire dagli ufficiali (alcuni termini, soprattutto piemontesi, sono entrati in
italiano: imbranato, cicchetto, piantare una grana, mugugno)
Gergo della malavita: fare il palo, una soffiata, una dritta, un bidone, il pizzo
• Modalità dell’uso
Modalità di produzione e ricezione
Es. giornali: spalla, elzeviro, catenaccio, lead pubblicità: payoff, jingle, pack-shot, caption
politici vs. scienziati politici: establishment,populismo, bicameralismo perfetto
La lingua dei politologi
Quantunque abbia assunto forme e significati diversi nel tempo e nello spazio, il populismo
può esser definito anzitutto un discorso ricorrente che contrappone il popolo, virtuoso, al non
popolo: vuoi alle élite (a un qualche establishment, ai poteri forti e quant’altro)
intrinsecamente corrotte, vuoi ad altri avversari, che variano di volta in volta. Il populismo
accusa le une e gli altri di spossessare il popolo, sovrano e armoniosamente coerente, dei suoi
diritti, dei suoi valori, della sua identità, del suo benessere, della sua volontà.
La lingua dei politici
Il MoVimento 5 Stelle parteciperà alle prossime elezioni politiche qualunque sia la legge
elettorale. Non ci sarà alcuna alleanza con i partiti. I candidati saranno votati in Rete che
rimarrà centrale durante il mandato elettorale sia come supporto agli eletti che come garanzia
del rispetto del programma. Non dico nulla di nuovo, ma è opportuno ribadirlo. Le elezioni si
possono vincere o perdere, in realtà in Italia si pareggiano da sempre, sono elezioni truccate.
Vincono tutti, si spartiscono rimborsi elettorali, testate giornalistiche, canali televisivi,
banche, concessionari. Tutto. Il MoVimento 5 Stelle partecipa per vincere e vincerà in ogni
caso. Sia nel caso straordinario che venga chiamato a responsabilità di governo, sia che, come
forza di opposizione, faccia da sentinella per i cittadini.
Varietà diafasiche: i sottocodici
una varietà funzionale di una lingua naturale, dipendente dal settore di conoscenze o da una
sfera di attività specialistici, utilizzata, nella sua interezza, da un gruppo di parlanti più
ristretto della totalità dei parlanti la lingua di cui quella speciale è una varietà, per soddisfare i
bisogni comunicativi (in primo luogo quelli referenziali) di quel settore specialistico; la
lingua speciale è costituita a livello lessicale da una serie di corrispondenze aggiuntive
rispetto a quelle generali e comuni della lingua e a quellomorfosintattico da un insieme di
selezioni, ricorrenti con regolarità, all’interno dell’inventario di forme disponibili nella lingua
I sottocodici: tratti fondamentali
Lessico
• Terminologia: monosemia e trasparenza morfologica (es. tracheite)
• Tecnicismi collaterali (es. accusare un dolore, per os; escutere un teste)
I sottocodici: tratti fondamentali
Morfologia
• Nominalizzazione
(es.
 Preponderanza tempo presente
 Impersonalità (oggettività)
I sottocodici: tratti fondamentali
Sintassi
Ipotassi, complessità e stile commatico
Vs.
Paratassi e frasi semplici
I sottocodici: tratti fondamentali
Testualità: tipi vs generi
• Progressione tematica regolare • Forte strutturazione testuale
• Connettivi espliciti
Le dimensione verticale

• Leucociti
• Bianchi
• Globuli bianchi
Es.: l’italiano della medicina
Radiografia:
Segni di spondiloartrosi con riduzione dello spazio intersomatico di L5 S1. Non definite
immagini riferibili ad alterazioni osteostrutturali focali. Diffusa riduzione del tono calcico.
Conclusioni
 Nessuna lingua è monolitica
 La lingua nazionale (soprattutto scritta) è solo parzialmente una
 competenza innata
 L’italiano sta cambiando più di altre lingue
 Influenza del parlato
 Modelli di riferimento “alti” (scuola)
Analisi linguistica
(Serianni L., Italiani Scritti, Bologna, Il Mulino, 2007)
• Lessico
• Morfologia
• Sintassi della frase e del periodo
• Testualità

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