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LINGUISTICA ITALIANA

Lezione 1 (05/10)
La lingua italiana è composta da varie strutture:
 STANDARD (scritto e parlato)
 REGIONALE
 COLLOQUIALE (scritture digitali, informali Whatsapp)
 TECNICO SCIENTIFICO (linguaggio medico, giuridico)
 BUROCRATICO (negli uffici pubblici, scrittura formale in comunicazioni pratiche)
 POPOLARE
 ITALIANO L2 (degli stranieri)

REPERTORIO LINGUISTICO E COMUNITA’ LINGUISTICA:


 Ricchezza della lingua nazionale, dialetti e altre lingue nella comunità linguistica
 È la comunità linguistica che definisce le varietà e le funzioni nel continuum del repertorio
 Registri della comunicazione: dalla conversazione familiare alla comunicazione scritta in
contesti formali (adeguatezza della varietà)

Le varietà linguistiche dell’italiano sono:


 DIATOPICHE (geografiche)
 DIASTRATICHE (istruzione sociale)
 DIAFASICHE (dipende dalla situazione comunicativa)
 DIAMESICHE (mezzo o canale di comunicazione)

L’analisi linguistica può essere condotta su vari livelli:


 Fonetica, fonologia (ortoepia): il suono
 Grammatica e ortografia: rappresentazione grafica del suono
 Morfologia: forme
 Sintassi
 Lessico
 Pragmatica: scelte linguistiche che si fanno in base all’interlocutore
 Testualità: eventi comunicativi (testi) formali

LEZIONE 2 (06/10)
L’italiano è sempre stata una lingua di cultura, e lo dimostrano gli italianismi presenti nelle altre
lingue come: affresco, pianoforte, sonetto, pizza ecc…
L’italiano si parla in:
 Svizzera, Istria e Malta come una delle lingue ufficiali e riconosciute;
 U.S.A., Argentina, Uruguay, Australia, Germania ecc come conseguenza delle grandi
migrazioni storiche di italiani all’estero;
 Balcani e Albania in cui è anche molto diffusa la TV italiana;
 Corsica in cui vi è anche una forte presenza di dialetti meridionali.
I dialetti non sono varietà locali dell’italiano (su base geografica), ma sono altre lingue romanze
che, per vicende storico-culturali varie, non sono arrivate al rango di lingua ufficiale, non hanno
“fatto carriera”, come invece è successo per il fiorentino. Molti parlanti italiani adoperano sia il
dialetto che l’italiano, e ciò porta alla formazione di una situazione di diglossia (non bilinguismo,
perché non sono 2 lingue ufficiali con una propria codificazione grammaticale) in cui i 2 codici
adoperati nel parlato non sono sullo stesso livello. Circa la metà della popolazione italiana si
esprime prevalentemente in italiano, sia in contesti informali (famiglia, amici ecc), sia in contesti
formali (scuola, lavoro ecc). L’italiano, rispetto alle altre lingue europee e non, è una lingua molto
giovane. Al momento dell’unificazione (1861), nella più rosea delle visioni, circa 2/3 degli italiani
restavano emarginati dall’uso della lingua nazionale perché non sapevano né scriverla né
comprenderla. Anche in Italia vi è la presenza di minoranze linguistiche come:
 franco-provenzale in Valle d’Aosta e Piemonte;
 tedesco in Alto Adige;
 sloveno in Venezia Giulia;
 catalano in Sardegna ecc.
Il tipo linguistico italiano:
 LINGUA PRO-DROP: non è obbligatorio esprimere il pronome personale soggetto;
 GRAVE RILEVANZA DI VOCALI NELLA SILLABA: quasi tutte le parole terminano in vocale;
 LIBERTA’ DI POSIZIONE DELL’ACCENTO TONICO: prevalenza di parole piane;
 ESPRESSIONE DI CONCETTI TRAMITE L’ALTERAZIONE: -ino, -etto, -one (vezzeggiativi,
accrescitivi ecc);
 FORMAZIONE DELLE PAROLE PER COMPOSIZIONE: unione di due parole per formarne una
nuova come cava-tappi, capo-sala ecc;
 PREFERENZA DELLA SEQUENZA “DETERMINANTE + DETERMINATO”: si esprime prima
l’oggetto in questione e dopo il complemento di specificazione come in “il libro di Paolo”,
“Piazza della Carità” ecc;
 LINGUA ESOCENTRICA: tendenza a concentrare i significati nei nomi piuttosto che nei verbi;
 RELATIVA LIBERTA’ NELL’ORDINE DELLE PAROLE: la frase non ha sempre una struttura fissa.
Nel vecchio territorio della Romania (ovunque vi fosse la città di Roma insediata) esistevano
svariate lingue romanze, e l’italiano è una varietà che continua il latino volgare (rapporto padre-
figlio) e ha avuto un rapporto continuo con il latino classico. Ovviamente il latino volgare, su base
fonetica, ha avuto esiti diversi; ed infatti esistono molte lingue romanze e svariati dialetti. Tutte le
lingue sono e saranno oggetto di una variazione diacronica: la normale variazione delle forme e
parole della lingua nel tempo.
[CODICE LINGUISTICO: una serie di tratti che formano una possibilità di espressione.
COMMUTAZIONE DI CODICE: cambiare codice mentre si parla in base a ciò che si vuole esprimere
o in base al contesto (per esempio da italiano a dialetto)]
LEZIONE 3 (12/10)
I SUONI DELL’ITALIANO
La pronuncia dell’italiano standard è fondata sul sistema fonetico del fiorentino. Fra le lingue
romanze l’italiano è quella più conservativa rispetto al latino, specie sul piano fonetico (i dialetti
sono più innovativi). Per classificare i suoni dell’italiano si considerano queste variabili:
 Flusso d’aria: sorgente e direzione
 Pliche vocali: suoni sordi e sonori
 Palato molle: suoni nasali e suoni orali
 Modo di articolazione
 Luogo di articolazione (luogo di costrizione)
 Posizione delle labbra
I suoni dell’italiano, come quelli delle altre lingue, sono descritti per mezzo dei termini e dei
simboli fissati dall’IPA (International Phonetic Association).
LE VOCALI
Le vocali sono suoni articolati senza chiusura o costrizione (l’aria esce liberamente, attraverso la
bocca o il naso), ed occupano il nucleo della sillaba italiana.
Si classificano considerando:
 la posizione verticale della lingua (innalzamento e abbassamento);
 la posizione orizzontale della lingua: palato, prevelo, velo del palato;
 l’arrotondamento delle labbra;
 la posizione del palato molle: vocali orali o nasali.

Una vocale è tonica quando su di essa cade l’accento di parola, mentre tutte quelle senza accento
si chiamano atone. Nella sillaba tonica è presente un vocalismo formato da 7 elementi, ossia un
sistema eptavocalico, che viene rappresentato in forma triangolare:
Lo schema indica la posizione della lingua durante l’articolazione di ogni vocale. Alte, medio-alte,
medio-basse e basse fanno riferimento ai movimenti verticali della lingua; mentre anteriori,
centrale e posteriori fanno riferimento ai movimenti orizzontali della lingua.
Esempi:
• pizzo [ˈpit:so] / [ˈpiʦʦo]
• pezzo [ˈpɛt:so] / [ˈpɛʦʦo]
• pazzo [ˈpat:so] / [paʦʦo]
• pozzo [ˈpot:so] / [ˈpoʦʦo]
• puzzo [ˈput:so] / [ˈpuʦʦo]
• botte [ˈbot:e] / [ˈbotte] vs. botte [ˈbɔt:e] / [ˈbɔtte]
coppie minime
• venti [ˈventi] vs. venti [ˈvɛnti]
L’italiano non presenta la quantità vocalica. La durata delle vocali dipende dal contesto fonetico.
Le vocali sono allungate in sillaba aperta accentata interna alla parola (alla fine dell’intonazione):
pane [ˈpa: ne] > [ˈpane]
casa [ˈka…sa] vs. cassa [ˈkas:a] vs casetta [kaˈset:a]
Non sono allungate le vocali finali di parola:
città [ʧi't:a]
caffè [kafˈfɛ]
In alcune parole la vocale è articolata due volte:
cooperazione [kooperaʦˈʦjone]
lineetta [lineˈetta]
Vocali non labializzate → [i e ɛ a]
Vocali labializzate → [ɔ o u]
LE CONSONANTI
Le consonanti, a differenza delle vocali, prevedono la formazione di ostacoli al passaggio dell’aria
detti “modi di articolazione”. Ogni consonante ha 3 caratteristiche:
 tipo di ostacolo
 luogo di ostacolo
 sonora o sorda
- LUOGHI DI ARTICOLAZIONE DELLE CONSONANTI NELL’APPARATO FONATORIO
 BILABIALE o LABIALE: avvicinamento e contatto tra le labbra: babà, papà.
 LABIODENTALE: il labbro inferiore si muove verso i denti superiori: finto, vento.
 DENTALE o ALVEOLARE: l’apice della lingua si muove verso l’interno degli incisivi o verso gli
alveoli; per la distinzione si pensi a da (alveolare o dentale occlusiva sonora) e the inglese
(alveolare o dentale fricativa sonora).
 PALATALE o POST-ALVEOLARE o PREPALATALE: la lingua si accosta alla parte del palato che
sta dietro gli alveoli: oggi [ˈɔʤʤi]; il dorso della lingua si alza verso il palato duro.
 VELARE: il dorso della lingua verso il palato molle, il velo palatino: campagna [kamˈpaɲa].
 RETROFLESSO: la punta della lingua è portata all’indietro e la parte sotto la punta tocca gli
alveoli o la parte superiore del palato (ad es. nella pronuncia siciliana di nostro, tre).
 UVULARE: il dorso della lingua raggiunge l’ugola (si pensi alla fricativa sonora francese di
PaRis).
 FARINGALE: la parte posteriore del dorso della lingua si avvicina alla parete posteriore
della faringe (si pensi a ‘ayn in arabo).
 LARINGALE: le pliche della glottide possono restringersi e produrre la frizione dell’aria: la
prima consonante, la fricativa sorda, dell’inglese home.
 LABIOVELARE: prevede un avvicinamento del dorso della lingua al velo del palato, con un
arrotondamento delle labbra (come nella vocale “u” in “uomo”, “vacuo” ecc)
-MODI DI ARTICOLAZIONE DELLE CONSONANTI NELL’APPARATO FONATORIO

LA DURATA DEI SUONI


Nella trascrizione si indica una durata maggiore con i due punti [a:] (croni), soprattutto per le
vocali; per le consonanti si tende anche a raddoppiare il simbolo: [tt]. Nelle affricate, che hanno un
doppio simbolo, l’allungamento si segnala solo per l’elemento occlusivo: [tts]; per esempio: in
giustizia = [ʤusˈtiʦʦja] o [ʤusˈtitʦja]. Per indicare le consonanti doppie si usa il temine geminate
(geminazione consonantica): distingue meglio un suono consonantico lungo da un suono
riarticolato.
L’italiano ha 15 consonanti geminate, che possono occorrere in posizione intervocalica:
callo [ˈkallo] vs. calo [ˈkalo]
coppie minime, perché cambiano per una sola
fatto [ˈfatto] vs. fato [ˈfato]
lettera
caccio [ˈkatʧo] vs. cacio [ˈkaʧo].
Oppure, possono occorrere dei suoni approssimanti che in analisi più sottili sono distinti in
semiconsonanti, se occorrono prima di vocale (piede, questo), e semivocali se occorrono dopo una
vocale (noi, feudo):
I fonemi / ɲ ʎ ʃ ʦ ʣ / in posizione intervocalica hanno di norma durata doppia (sono consonanti
rafforzate o geminate intrinseche):
bagno [ˈbaɲɲo]
aglio [ˈaʎʎo]
ascia [ˈaʃʃa]
organizzazione [orɡaniʣʣaʦˈʦjone]
LEZIONE 4 (13/10)
LA COARTICOLAZIONE
Nel parlato i foni sono condizionati dai foni precedenti o successivi. Per indicare questo
condizionamento, che agisce anche tra parole diverse, si parla di coarticolazione.
La coarticolazione può avere effetti diversi perché può dare luogo a:
 una velarizzazione: in casa [iŋ ka sa], nuoto con voi [coɱ voi];
 una labializzazione: un po’ [um’pɔ];
 assimilazioni, che si hanno quando un fono diventa simile o identico a un altro fono
adiacente e si dividono a loro volta in:
assimilazione regressiva: un suono si assimila parzialmente o totalmente al suono
precedente (che lo assimila): quanno < quando
assimilazione progressiva: il suono si assimila parzialmente o totalmente al suono che
segue (che lo assimila): un po [um’pɔ], lat. factum > it. Fatto
IL RADDOPPIAMENTO SINTATTICO
Il raddoppiamento sintattico è un fenomeno dell’italiano standard; è un fenomeno esterno al
confine di parola (fenomeno fonotattico). Questo fenomeno avviene quando la parola precedente
finisce per vocale e la parola seguente inizia per consonante.
Si applica alle consonanti iniziali di parola in particolari contesti, quando non interviene una pausa:
tre case [tre ˈkkase]
parlò bene [parˈlɔ ˈ bbɛne]
Nell’italiano contemporaneo, il raddoppiamento sintattico si verifica essenzialmente in due
contesti:
 dopo una parola accentata sull’ultima sillaba (compresi i monosillabi tonici): andrò [pː]iano,
farà [tː]utto, mangerò [tː]utto, va [fː]orte, re [lː]atino, tre [kː]ani
 dopo una serie di morfemi monosillabici (per es., e, o, ho, è, se) o bisillabici (come, dove,
sopra, qualche): io e [tː]e, ho [fː]ame.
A volte il raddoppiamento che si verifica è il residuo di una consonante della parola latina che non
esiste più graficamente, ma che risuona nella pronuncia delle parole
esempi:
AD ME > [a 'm:e]
NOX, NOCTEM (acc.) > notte
SOMNUS > SOMNUM (acc.) > sonno
Gran parte dei monosillabi ‘forti’ deriva da basi latine che uscivano in consonante:
a < AD
che < QUĬD
Il raddoppiamento non si verifica:
 se la parola seguente comincia con /s/ o /z/ + cons. non approssimante: es. ha sbagliato
 se la parola seguente è separata da una pausa: lo dirò, domani
Il raddoppiamento non è prodotto dai monosillabi deboli di, ne, ci, dagli articoli, dai pronomi mi, ti,
si, gli, le, ci, vi.
Il raddoppiamento fonosintattico non è di norma registrato nella scrittura, a meno che una parola
non sia il risultato di un’univerbazione: cosiddetto, chissà, sennò, soprattutto…
LEZIONE 5 (19/10)
LA SILLABA
La sillaba è un’unità prosodica costituita da uno o più foni agglomerati intorno a un picco di
intensità. È quindi un’unità intermedia tra il fono e la parola . La prosodia descrive i fenomeni
soprasegmentali (simultanei ai foni):
 la durata di vocali e consonanti
 l’accento
 il ritmo
 l’intonazione
Questi aspetti del parlato si dicono tratti prosodici o tratti soprasegmentali (per segmenti si
intendono i foni).
La sillaba ha un nucleo: un picco massimo di apertura del tratto fonatorio. Il nucleo ha sempre un
elemento vocalico o un dittongo.
La sillaba ha una testa:
 può essere vuota: /a.ˈmo.re/;
 può contenere un elemento consonantico: /ˈme.la/
 può contenere due o tre elementi consonantici: / ˈstra.da/.
E ha anche una coda:
 può essere vuota: /ta.vo.lo/ (sillaba aperta);
 può finire con una consonante: /an.ˈda.re/ , /ˈgat.to/ (sillaba chiusa).
Nelle trascrizioni fonetiche il confine tra due sillabe è indicato con il segno diacritico IPA del punto
sul rigo [.]: bacio [ˈba.ʧo]; amore [a.ˈmo.re].
Nella prima sillaba di [an.ˈda.re] la coda è [n]. Si ha una coda in consonante anche nelle parole che
presentano una consonante doppia, come [ˈɡat.to]: la prima parte della consonante doppia
appartiene alla prima sillaba.
Le consonanti geminate intrinseche, quelle che tra due vocali sono pronunciate sempre intense
([dz], [ts], [ʃ], [ɲ], [ʎ]) formano la coda della sillaba precedente e la testa della sillaba successiva:
azione [aʦ.ˈʦjo.ne], figlio [ˈfiʎ.ʎo], sogno [ˈsoɲ.ɲo].
I sei tipi di sillaba più frequenti in italiano (C = consonante; V = vocale):
 CV: /pa.ne/
 CVC: /par.te/
 V: /o.ra/
 VC: /an.ke/
 CCV: /trɛ.no/
 CSV: /pjɛde/
DITTONGHI, TRITTONGHI E IATO
MONOTTONGO: fonema costituito da una sola vocale, e cioè una vocale omogenea;
DITTONGO: sequenza di suoni formata da due vocali appartenenti alla stessa sillaba di cui una
forte ed una debole: aula, euro.
Le vocali forti sono A, E, O, quelle deboli I, U.
Solo le vocali alte [i] e [u] diventano legamenti, e nel processo di dittongazione si riducono gli
elementi più deboli.
Se l’elemento debole è nella testa della sillaba abbiamo dittonghi ascendenti (formati prima da un
elemento debole [i, u] e poi da uno forte): ia, ie, io, iu, ua, ue, ui, uo. Se è nella coda abbiamo

dittonghi discendenti (formati prima da un elemento forte [a, o, e] e poi da uno debole): ai, au, ei,
èi, oi, òi, ui.
TRITTONGO: sequenza di approssimante + dittongo discendente: [ˈmjɛj] [ˈswɔj] [kolˈlɔkwjo].
IATO: incontri di vocali appartenenti a sillabe diverse (eterosillabiche): follìa, paura, maestro, ciao,
tuo
L’ACCENTO
L’accento è la prominenza di una sillaba sulle altre per
• intensità: la forza articolatoria con la quale si produce una sillaba (maggior volume sonoro)
• altezza: l’acutezza della voce (toni più lati, come le note musicali)
• durata: la lunghezza della vocale
In italiano una sillaba può essere:
• atona (vocale breve);
• tonica non finale (vocale lunga);
• tonica non finale chiusa (vocale breve);
• tonica finale (vocale breve).
Per ritmo si intende la successione di sillabe atone e toniche e si può verificare il fenomeno
dell’isocronia sillabica quando c’è un’uguale durata di sillabe con lo stesso ruolo.
La pronuncia standard dell’italiano (fiorentino) può presentare diversi punti deboli perché a volte
non si rispetta la distinzione tra:
• [e] vs [ε], [o] vs [ɔ] (vocali “e” e “o” chiuse e aperte)
• [s] vs [z]
• [ʦ] e [ʣ]
Si è parlato, quindi, di pronuncia «tradizionale», «moderna» (es. lèttera, léttera) «accettabile»,
«tollerata» (sógno, sògno).
A Firenze, Roma, Napoli e altre aree centromeridionali non si rispetta la pronuncia di [ʧ]
intervocalica. Le due affricate in alcuni dialetti e varietà regionali hanno subito una deaffricazione:
ʤ > ʒ; ʧ > ʃ. Quando il fiorentino diventò la base dell’italiano aveva ormai già subito questo
processo, e il sistema fonologico standard non ha accolto questo tratto: la grafia nascondeva la
pronuncia (es. arancio = bacio). Abbiamo dunque in questi contesti dei fonemi artificiali,
influenzati dalla grafia.
LEZIONE 6 (20/10)
PRONUNCE REGIONALI
Spesso, nelle pronunce regionali, vi sono consonanti iniziali intrinsecamente lunghe:
Al Centro e al Sud → qua, là, più, chiesa [kˈkjɛsa]
A Roma → la sedia [lasˈsɛdja]
Nell’italiano regionale siciliano è sempre doppia la vibrante iniziale di parola → rosa [ˈrrɔsa]
Nell’italiano regionale di Sardegna raddoppiano le consonanti che precedono e seguono la vocale
tonica → mercato [merˈkatto]
Grazie alla TV, nel ‘900, si è avuta una larga diffusione della lingua italiana a livello nazionale. La
pronuncia diffusa dai media sarebbe perlopiù quella romana (per la concentrazione a Roma delle
emittenti nazionali; si notano presenze occasionali di tratti romani nell’uso dei parlanti
settentrionali).
lezione 7 (26/10)
FONOLOGIA E GRAFIA DELL’ITALIANO: FENOMENI GENERALI
L’elisione è la perdita della vocale atona di una parola davanti alla vocale iniziale della parola
seguente → un’ora, d’accordo ecc…
Il troncamento (apocope) è la caduta di un elemento fonico in fine di parola, e ne esistono due
tipi:
 apocope sillabica: grande → gran; bello → bel; santo → san ecc
 apocope vocalica (vocale atona diversa da “a” e preceduta da l, r, m, n): pane di spagna →
pan di spagna; buono giorno → buon giorno ecc…
La protesi è l’inserimento di un elemento non etimologico all’inizio di una parola: in Spagna → in
Ispagna; per iscritto ecc…
L’epentesi è l’inserimento di un elemento non etimologico all’interno di una parola: psicologo →
pisicologo ecc…
L’epitesi consiste nello sviluppo di una vocale d’appoggio nei monosillabi ossitoni: si → sine; no →
none ecc…
La “d eufonica” (Marco a Emilia → Marco ad Emilia) viene oggi utilizzata solo in parole che iniziano
con vocali uguali (Marco e Emilia → Marco ed Emilia), e viene sconsigliata nell’incontro tra vocali
diverse.
I PUNTI DEBOLI DELLA PRONUNCIA STANDARD
Spesso non si rispetta la distinzione tra:
 [e] vs [ɛ]; [o] vs [ɔ]
 [s] vs [z]
 [ts] vs [dz]
Questo tipo di pronunce regionali non connotano negativamente chi le usa, e sono diffuse in tutte
le situazioni linguistiche sia private che pubbliche (pronunce neo-standard).
L’ACCENTO
Tendenzialmente l’italiano ha conservato l’accento lì dov’era nelle parole latine; ma alcune parole
si possono pronunciare con accento diverso (doppia possibilità di pronuncia) a seconda del punto
di riferimento (latino o greco). Per esempio: mímesis → mímesi (pronuncia greca); mimēsis →
mimèsi (pronuncia latina).
ESERCITAZIONE
spiega le seguenti parole
 Sillaba tonica: si tratta della sillaba accentata di parola
 Sillaba atona: sono quelle che non hanno accento di parola
 Intervocalico: suono che si trova tra due vocali, o all’interno di una parola o tra finale
vocalica di una parola ed inizio vocalico della parola seguente
 Grafema: lettera dell’alfabeto che usiamo per simboleggiare i suoni della nostra lingua
 Digramma: incontro di 2 grafemi per rappresentare un unico suono (esempio: sc, gl)
 Trigramma: 3 grafemi per un unico suono (esempio: sci, gli)
 Palatalizzazione: passaggio da articolazione alveolare ad articolazione palatale
 Pronuncia scempia (scempiamento): è il contrario di una pronuncia intensa (non doppia) e
si ha quando si passa da un articolazione forte a un’articolazione breve (es: nel nord-Italia a
volte non pronunciano le doppie e non presentano il raddoppiamento fonosintattico)
Esempio: “calisce di vino” → questo errore ortografico, cioè aver scritto con un digramma “sc”
una parola che richiede solo il grafema “c”, è dovuto al fatto che la grafia riflette la pronuncia
regionale napoletana che consiste in una resa fricativa dell’affricata palatale intervocalica
sorda.
“guinsaglio” → questo errore ortografico, cioè aver scritto il grafema “s” invece del grafema
“z”, è molto frequente a Napoli l’articolazione come affricata della fricativa dentale sorda
dopo-nasale. Lo scrivente ha ipercorretto il suo errore frequente (es: spesso lui scrive penziero
invece di pensiero, e quindi crede che dire guinzaglio sia sbagliato e lo scrive con la “s” come
“pensiero”)
In genere, più adoperiamo una parola, meno abbiamo dubbi sulla sua pronuncia e sulla sua grafia.
I SEGNI PARAGRAFEMATICI
I segni paragrafematici sono tutti i segni che non sono grafemi ma si usano nella scrittura:
 Segni di punteggiatura
 Accento
 Apostrofo
 Asterisco
 Barre verticali e obliqua | /
 Maiuscola
 Forme del carattere tipografico: tondo, corsivo, grassetto e MAIUSCOLETTO.

lezione 8 (27/10)
LA MORFOLOGIA
La morfologia studia la struttura interna delle parole. Vi sono due tipi di parole: la parola grafica,
quella che troviamo nella scrittura moderna (separate da uno spazio bianco grafico); e la parola
“parlata”. Il lessema è la forma base di un significante che serve per tutte le forme e le occorrenze
di una parola, la minima unità significativa del lessico in una lingua flessiva (che presenta la
variazione delle proprie parole) come l’italiano. Distinguiamo due tipi di parole:
 parole semplici, che non possiamo scomporre (città, per ecc)
 parole complesse che sono scomponibili (ragazz-o/i; mentre ragazz-a/e è un altro lessema
perché ha un significato diverso). Questa parola è composta da due morfemi: il primo ci dà
l’informazione significativa, il secondo morfema ci dà un info grammaticale
Le varie forme flesse dei lessemi variabili sono paradigmi. La flessione indica:
 genere, numero singolare o plurale (esempio: ragazzo e ragazza sono 2 lessemi diversi
perché hanno un significato diverso)
 persona, numero singolare o plurale, modo, tempo, aspetto e diatesi (coniugazione) per il
verbo.
Il morfema è l’unità minima della morfologia, il più piccolo elemento linguistico dotato di
significato. In tren-o ci sono 2 morfemi: il primo “tren-” ci dà un’informazione semantica (radice); il
secondo “-o” ci dà informazioni grammaticali (desinenza, maschile singolare).
Il morfo → a un unico elemento è possibile ricondurre più morfi: esempio al morfema “maschile
singolare” colleghiamo il morfo -o (libro); -e (piede).
Il morfema indica sul piano dei contenuti il significato minimo espresso dal morfo.
Allomorfia → intende l’alternanza di più forme che hanno lo stesso valore morfologico (bello, bei,
begli ecc).
Allomorfi → forme diverse che danno un’unica informazione grammaticale; due morfemi che dal
punto di vista morfologico ci danno lo stesso significato es. “il” e “lo” sono allomorfi per il
morfema dell’articolo determinativo; “in-“, “im-“, “ir-“ sono tutti morfemi di negazione prefisso in
parole come “impossibile”, “inadatto”, “irreprensibile” ecc (in parole come irreprensibile si ha
un’assimilazione regressiva).
I vincoli distribuzionali sono le selezioni a seconda del contesto sintattico (cotesto) es. gli studenti,
i fiori.
IL NOME
Il nome è una parola che ha una funzione referenziale (denotativa) nel discorso: rappresenta e
classifica la realtà extralinguistica. Ha una variabilità morfologica di genere e numero (e caso).
Le classificazioni tradizionali sono:
 nomi propri: Andrea, Rosaria (antroponimi); Napoli, Roma (toponimi); (marchionimo si usa
per i nomi delle marche e negozi)
 nomi comuni: cane, uomo, sedia (si riferiscono a tutta la categoria)
 nomi collettivi: gente, stormo
Il genere in italiano è una categoria grammaticale che nei nomi presenta un certo valore inerente
(che non è condizionato da niente di esterno al lessema o alla forma) es: 3 oggetti che servono alla
stessa cosa hanno 3 forme diverse: sedi-a, sgabell-o e sedil-e. Il genere di ogni parola è definito da
ogni lingua.
Articoli e aggettivi non hanno genere e numero inerente, dipendono dal valore che la categoria
assume nel nome che costituisce la testa del sintagma nominale: il controllore dell’accordo.
Accordo → in una lingua flessiva le parole si accordano tra loro es: l-e sedi-e piccol-e.
Esempi di sbagli d’accordo: associare verbi al plurale con nomi collettivi (la gente arrivava; la
grande parte degli elettori hanno votato).
CLASSI DI FLESSIONE DEI NOMI IN ITALIANO:
1. -o/-i: libro/i, piatto/i
2. -a/-e: casa/e, matita/e
3. -e/-i: fiore/i, tigre/i
4. -a/-i: poeta/i, artista/i
5. -o/-a: uovo/a, lenzuolo/a
6. Invariabile: re, caffè, città
Alcuni nomi sono detti sovrabbondanti: hanno più di un plurale (esempio braccio → braccia,
bracci). Altri sono detti specializzati (fondamento → fondamenta che si riferisce al cemento,
fondamenti che si riferisce alle basi di una disciplina)
Si possono trattare come nomi anche cose che non sono nomi:
 Verbo: il cadere delle foglie…
 Avverbio: vogli parlare del perché si è comportato così
 Aggettivo: l’ottimo è nemico del buono
 Congiunzione: c’è un però
 Pronome: come stanno i tuoi?
Esistono 2 tipi di genere:
 Genere reale: maestro/maestra, padre/madre ecc
 Genere grammaticale: mare, pensiero
Le eccezioni dipendono dal genere dell’etimo es: la mano.
IL SESSISMO DELLA LINGUA
C’è un grande problema per l’indicazione dei nomi di professione femminili, perché prima non vi
erano donne con cariche importanti e quindi non esistevano termini femminili per quelle
professioni.
ESERCITAZIONE
Trova i tratti salienti e/o gli errori
1. [kon’tsijjo] → consiglio. È una pronuncia regionale di Napoli. Ci sono 2 tratti: la resa con
l’approssimante palatale intenso (jj) al posto della laterale palatale (y rovesciata); la resa
con l’affricata della consonante fricativa dentale dopo la nasale.
2. [d̠ ʒem’manja] → Germania. È una pronuncia regionale di Napoli.
3. [no ‘ ddico] → non dico.

Lezione 9 (02/11)
 LUI E LEI
Lui e lei sono pronomi con valore deittico: servono a indicare qualcuno che è presente nel
contesto situazionale (o che è possibile individuare sulla base di conoscenze condivise tra gli
interlocutori). Sono forme marcate: sono usate con una ragione speciale; marcano infatti un
cambiamento di tema o un’opposizione rispetto a un’altra persona menzionata o presupposta (in
precedenza o in seguito) nel contesto comunicativo.
Per il pronome della terza persona maschile singolare con funzione di soggetto in italiano antico
avevamo “elli” (e le varianti egli, ei, e’). Solo nel ‘400 le forme “lui” e “lei” come soggetto
cominciano ad emergere nel parlato.
Lui e lei hanno occupato le posizioni sintattiche di egli ed ella fino a raggiungere la posizione di
soggetto.
- Io non sono lui (predicativo del soggetto)
- x: chi è stato? y: lui (pronome in isolamento).
- Io e lui, Giovanni e lui (combinazione con un altro pronome o nome).
- Lui dice che…
Lui e lei possono avere nel testo anche funzione anaforica, e si usano invece normalmente anche
come complemento: con lui, con lei, da lui ecc…
Lui e lei vengono usati anche per cose, animali o concetti.
 EGLI
“Egli” è un pronome (si usa solo per indicare il soggetto) anaforico usato più nello scritto che nel
parlato e si usa per richiamare qualcuno che è stato precedentemente menzionato esplicitamente
nel testo. Nella sua storia ha lasciato spazio non solo a “lui”, ma al pronome zero “Ø”. Nella
scrittura contemporanea si usa per la ripresa anaforica l’ellissi (la non espressione del pronome),
che è a tutti gli effetti un coesivo (si parla di anafora zero).
 ELLA
Ella, come egli, si usa solo in forma soggetto ed è un pronome ormai da anni in disuso.
Egli ed ella possono essere usati soltanto per il soggetto: sarebbe un errore dire o scrivere “le
dichiarazioni da ella rilasciate”; “il progetto da egli diretto” ecc
 GLI, LE E LORO
Gli, le, loro sono le forme per il dativo (complemento di termine) della terza persona: valgono
come “a lui”, “a lei”, “a loro”. Nell’italiano contemporaneo si è ormai molto diffuso l’uso di “ gli” al
posto di loro “a loro”: gli ho dati i biglietti → ho dato a loro i biglietti (loro tende spesso a essere
sostituito da gli nella comunicazione quotidiana, loro sembra invece essere relegato ai registri più
alti dell’italiano). Nel parlato e nello scritto informale “gli” viene usato anche al posto del
femminile “le”; si tratta di uso che non è ancora accettato nell’italiano scritto formale ed è
scorretto grammaticalmente.
 “CHE” POLIVALENTE
Si parla di “che polivalente” nel caso in cui la congiunzione sia utilizzata per introdurre frasi di
significato:
1. esplicativo-consecutivo: vieni che ti pettino,
2. consecutivo: vai a dormire che ne hai bisogno,
3. consecutivo-presentative: io sono una donna tranquilla che sto in casa, lavoro…,
4. frasi relative temporali: maledetto il giorno che ti ho incontrato,
5. frasi finali: fai in modo che sia tutto pronto al mio arrivo,
6. frasi in cui che ha valore enfatizzante-esclamativo: che sogno che ho fatto,
7. frasi pseudorelative: li vedo che scendono
Inoltre, il “che” viene utilizzato anche come:
1. subordinate generico: sbrigati che è tardi
2. indeclinato/relativo analitico: il mio amico che (il cui) il fratello fa il medico; il posto che (nel
quale) sono stato l’altra sera ecc
3. più ripresa: è una procedura che l’hanno seguita anche a economia; c’era un mio amico che
gli altri lo odiavano ecc
lezione 10 (03/11)
Anafora → ripresa sul piano formale di informazioni menzionate nel testo (pronome per esempio
egli).
Deissi → meccanismo fondamentale della comunicazione che consiste nel riferimento alla realtà
circostante. Nel parlato noi facciamo molti riferimenti deittici: allo spazio (questo qui), al tempo
(ieri) e alle persone (tu, lei) intorno a noi.
Marcato → si usa per indicare che qualcosa ha un uso speciale rispetto ad altri elementi.
ESERCITAZIONE
1. pronuncia tipicamente regionale del sud Italia (probabilmente Napoli). Per esempio notare
la pronuncia intensa dell’occlusiva bilabiale sonora in posizione intervocalica e la resa
approssimante palatale (geminata intrinseca) della laterale palatale sonora.
2. Pronuncia regionale del centro-sud Italia con la resa fricativa palatale sorda in posizione
intervocalica dell’affricata palatale.
3. Pronuncia regionale centro meridionale con la resa intensa della laterale dentale,
pronuncia scempia
4. Paura presenta uno iato (accento su sillaba tonica u), pauroso presenta un dittongo
(accento su sillaba tonica ro)
5. La parola aiuole presenta solo graficamente tutte le vocali italiane, ma dal punto di vista
fonetico mancano la o aperta e la e aperta. La “i” e la “u” sono 2 approssimanti (quindi
sono 2 semivocali).

I CLITICI
Sono parole brevi che non hanno accento proprio e si attaccano ad un'altra parola con cui
formano un’unità prosodica. Es:
 Forme atone del pronome personale: mi, ti, gli
 Congiunzioni: ma
 Pronomi e avverbi: ne, ci, vi
Quando si posizionano:
 Prima della parola sono proclitici
 Dopo la parola enclitici (spesso si attaccano alla parola precedente come in devo parlarci)
 Cumuli di clitici: me ne vado, glielo
PARTICELLA si usa per indicare tutti gli elementi grammaticali non autonomi e per lo più
monosillabici e atoni (sono particelle.
Dativo etico è un pronome che utilizziamo come riferimento personale, uso del pronome con
valore affettivo-intensivo (marca una più attiva partecipazione del soggetto all’azione).
CI → origine da “ecco qui” (il collegamento semantico è se vedi qui, vedi noi). “Ci” o “ce” è
preferito a “vi” locativo (vi si trova solo in contesti molto formali). “Ci” è usato in modo
attualizzante (es: c’ho fame, che c’hai?) ed è tipico di tutta Italia.
Usato in unione con alcuni verbi, “ci” ha dato luogo a lessicalizzazioni (verbi procomplementari):
 entrarci → “che c’entra?” (significato di avere a che fare)
 prenderci → ce la siamo presa
 starci → ci sta che…
 volerci → quanto tempo ci vuole?
 restarci male → ci sono rimasto male
Lezione 11 (09/11)

LA MORFOLOGIA DEL VERBO

Il verbo è una parola che esprime un processo collocato in una dimensione temporale. Esso ha la
principale funzione di predicare, ovvero dire qualcosa su qualcos’altro. La sua flessione, in italiano
viene detta anche coniugazione. La morfologia del verbo italiano è fatta di un tema ed una
desinenza. Il tema è la radice del verbo, la parte che porta il significato lessicale (morfema
lessicale). La desinenza porta le info grammaticali (morfema grammaticale) e da info su:

 Persona (prima, seconda…)

 Genere (per i participi: tornato, arrivata…)

 Numero (singolare, plurale…)

 Tempo (presente, passato)


 Modo

 Diàtesi indicazione della relazione tra il verbo e il soggetto agente, chi o cosa fa l’azione
(diatesi attiva → ho fatto il lavoro; diatesi passiva → il lavoro è stato fatto).

 Aspetto

Le forme del verbo italiano consistono in un tema (arriv-o) ed una desinenza (arriv-o).

Il tema porta il significato lessicale ed è sempre affiancato dalla vocale tematica (selezionata dalla
radice -are, -ere o -ire), che ci dà indicazioni su come coniugare il verbo. Le vocali tematiche non
sono ancora ben definite: hanno alcune proprietà dei morfi, ma non hanno un significato.

Esempio →

struttura del verbo “amavo”:

 am: morfema lessicale (significato)

 a: ? vocale tematica

 v: morfema grammaticale dell’imperfetto

 o: morfema grammaticale della prima persona singolare

Nella flessione del verbo, oltre che con i suffissi, le info sono date anche tramite:

 cambiamento della vocale interna nella radice: vedi, vidi…

 alternanza dell’accento: mangio, mangiò…

 costruzioni perifrastiche: ho visto, avrò visto…

In italiano abbiamo tre classi di flessione del verbo, che corrispondono alle 4 latine; ma nel
passaggio dal latino volgare al volgare si è avuta la riduzione delle coniugazioni verbali = ē, ĕ → e

La prima classe, -are, è la più produttiva, perché se si creano nuovi verbi vengono di solito
incanalati nella prima coniugazione: chattare, spoilerare…

IL SUPPLETIVISMO

Nel paradigma di un verbo si ha il suppletivismo quando nella flessione di uno stesso morfema
lessicale notiamo forme diverse:

 ANDARE: vado, vai, va, andiamo, andate, vanno

 FINIRE: finisco, finisci, finisce, finiamo, finite, finiscono

 UDIRE: odo, odi, ode, udiamo, udite, odono


Il paradigma di questi verbi italiano è organizzato in sottoinsiemi: classi di partizione. Questo
suppletivismo è una maniera che il modo ha di distribuire l’allomorfia perché è possibile che in
altre epoche ci fossero verbi simili e con significato simile, così la lingua ne ha bloccato l’uno nelle
classi di partizione.

Alcune allomorfie possono essere minoritarie: meno comuni o di registro letterario. Possono avere
significati diversi (successo/succeduto). Possono essere forme verbali inesistenti o non più in uso:
forme analogiche, cioè create sul modello di altre forme, come per esempio i congiuntivi (venghi
invece di venga).

Di solito il participio resta invariato: le promesse che ho fatto, abbiamo scelto queste fotografie
ecc… ma nell’uso contemporaneo è oscillante l’accordo del participio di essere o di un altro verbo
copulativo con il soggetto o con il nome del predicato: L’intervento di Maria al convegno è stata
una bella sorpresa

La grammatica tradizionale presenta e ordina i verbi dell’italiano secondo 4 categorie: persona,


modo, tempo e diatesi. Questa sistemazione si fonda sulla corrispondenza di una forma e di una
somma di etichette: amasse = terza persona singolare, congiuntivo, imperfetto, diatesi attiva.

IL PRESENTE dovrebbe indicare una situazione contemporanea rispetto al momento in cui si parla,
ma nella frase “parto domani alle 7”, la situazione descritta dal verbo è futura, posteriore al
momento in cui si parla. Questa situazione viene chiamata presente pro-futuro (presente che
indica una situazione futura).

La linguistica contemporanea cerca di approfondire i rapporti tra forme e funzione dei verbi. Per
spiegare i vari valori delle forme verbali la linguistica moderna parte dalla neutralizzazione del
valore temporale primario. L’analisi si concentra così sugli usi detti «secondari» per ridefinire la
funzione semantica di una forma verbale. La ricerca linguistica, dunque, cerca una definizione
generale che dia conto di tutti i valori (che sono valori sempre in relazione al sistema linguistico di
riferimento). Il linguista Eugenio Coseriu definì per questo in negativo il presente, cioè sulla base
della mancanza di indicazioni relative alla collocazione temporale: il presente è una forma neutra,
che può essere usata anche in riferimento al futuro e al passato (presente storico: in frasi come
Manzoni nasce a Milano nel 1785). Il presente va inteso quindi come una forma «non marcata»
da un punto di vista temporale, compatibile, quindi, con situazioni contemporanee, future e
passate rispetto al momento in cui si parla.

Il presente può essere:

 iterativo se indica un’azione abituale;

 atemporale se indica qualcosa che accade sempre “il fumo nuoce gravemente alla salute”;

 storico quando si usa per raccontare “ieri vado in centro e chi incontro?!”;

 pro-futuro cioè usato al posto del futuro “domani faccio l’esame”.


L’IMPERFETTO è il tipico tempo aspettuale che indica un evento o un processo non compiuto. Può
avere questi valori:

 descrittivo: quel giorno c’era un sole bellissimo;

 iterativo: un’azione che si ripeteva abitualmente: prendeva sempre l’autobus alle 8;

 narrativo, storico: Giovedì 2 ottobre ignoti si introducevano nel mio appartamento,


entrando da una finestra al secondo piano (nei verbali della polizia, ad esempio).

 conativo: ieri Grazia andava a trovare sua mamma, ieri Mario faceva l’esame (indica
un’azione che si stava per fare o che si aveva l’intenzione di fare, ma che poi non è stata
fatta).

 di modestia o di cortesia: volevo un caffè, volevo una sfogliatella, professore, la chiamavo


per dirle che…, le volevo chiedere se… (si usa per attenuare una richiesta);

 irreale: se lo sapevo, ti avvertivo (nelle frasi condizionali);

 onirico o ludico: nel sogno era tutto buio e io cercavo di accendere la luce… facciamo che
io ero il re e tu la regina… (per riferirsi a eventi o fatti che appartengono al mondo dei sogni
o della fantasia).

 prospettivo: Prima ho sentito Nina: dice che usciva più tardi (indica il futuro nel passato)

I TEMPI RELATIVI

L’osservazione dell’uso di una forma che la grammatica tradizionale indica con «infinito passato»
fa capire che il termine passato non è sempre adeguato: se si confrontano le frasi Mi sembra / Mi
sembrava / Mi sembrerà di aver finito si nota che nella terza aver finito si riferisce a un momento
che viene prima della situazione descritta da Mi sembrerà, che è posta nel futuro. Da ciò si capisce
che Le forme dell’infinito passato indicano un tempo che si riferisce non al momento in cui si parla,
bensì a un punto del tempo espresso da altri elementi nello stesso enunciato. L’Infinito passato è
quindi un tempo relativo. Hanno un uso relativo in questo senso anche l’infinito presente e il
gerundio:

Mi sembra / sembrava / sembrerà di essere a casa;

Pur essendo a casa non risponde / non rispondeva / risponderà al telefono.

Per chiarire il funzionamento dei tempi relativi la linguistica propone il concetto di momento di
riferimento (R). Si riconoscono così due nozioni di tempo verbale: un tempo rispetto al momento
in cui si parla e il tempo relativo, collegato a un momento di riferimento:

Alle 3 Anna era già partita;

Quel giorno Anna era partita alle 3 ma non è arrivata in tempo.


L’infinito passato, il futuro anteriore, il trapassato e il valore dell’infinito presente e del gerundio
presente vanno interpretati in relazione al momento di riferimento. La nozione di tempo, quindi,
in linguistica è distinta in 1) collocazione temporale di una situazione rispetto al momento
dell’enunciazione e 2) relazione rispetto a un momento di riferimento.

Per capire il funzionamento dei tempi verbali la linguistica ricorre ai concetti di deissi e di anafora.
La deissi è il meccanismo linguistico di indicazione che permette di interpretare gli enunciati sulla
base degli elementi presenti nel contesto della comunicazione. Tramite la deissi, quindi, la
collocazione temporale non è stabilita in assoluto ma in base al momento dell’enunciazione:

Due anni fa sei venuto a trovarmi in questa casa

Il 15 settembre 2010 Carlo è andato da Gianni in via Verdi 15. 

Le due frasi potrebbero avere lo stesso significato (potrebbero cioè riferirsi allo stesso giorno). La
prima, però, che presenta più elementi deittici (quelli indicati in grassetto), è comprensibile solo
per chi dispone delle coordinate del contesto in cui avviene la comunicazione (spazio, tempo,
persone presenti). La deissi temporale indica una relazione tra il momento dell’enunciazione
(‘oggi, adesso’ = ME) e il momento della situazione espressa dal verbo: Adesso è a casa / Ieri era a
casa / Domani sarà a casa. La collocazione temporale non è stabilita in assoluto. Il fatto che la
stessa prospettiva aspettuale sia compatibile con diverse collocazioni deittiche conferma
l’autonomia dell’aspetto rispetto al tempo verbale, come mostra la forma verbale perifrastica
stare + gerundio che codifica una situazione aperta senza una focalizzazione sul limite finale della
situazione:

In questo momento Anna sta leggendo un libro

In quel momento Anna stava leggendo un libro

In quel momento Anna starà leggendo un libro

L’ASPETTO DEL VERBO

L’aspetto è una categoria grammaticale dei verbi che esprime diversi modi di vedere la scansione
temporale interna a una situazione. L’aspetto è quindi un’informazione relativa alla distinzione tra
azioni concluse e non concluse, ovvero alla durata del processo.

1. Ieri nel pomeriggio Paolo parlava a telefono con Lucia (quando all’improvviso ha sentito un
rumore);

2. Ieri nel pomeriggio Paolo ha parlato a telefono con Lucia.

La differenza non è temporale, ma cambia il punto di vista del parlante: nella frase 1 il parlante è
interno e la visualizzazione del processo è aperta e la situazione descritta funziona da sfondo di un
testo più ampio; nella frase 2 il parlante è esterno e la visualizzazione è chiusa (la frase è
autonoma dal punto di vita testuale: non può essere lo sfondo di altri eventi).
Per questo la linguistica divide tra tempo e aspetto: l’aspetto mostra un particolare punto di vista
del parlante che può scegliere di presentare il contenuto di una frase secondo una visione interna,
mettendo in evidenza un singolo istante nella situazione rappresentata; oppure, può presentarlo
nella sua globalità e quindi dall’esterno.

L’aspetto può essere:

 perfettivo è la visualizzazione della situazione nella sua globalità, fino al suo punto finale. In
italiano è reso con il passato prossimo e il passato remoto;

 imperfettivo visualizza la struttura interna della situazione, in qualsiasi suo punto. In italiano è
reso con l’imperfetto o tramite perifrasi: stare per + infinito, essere sul punto / in procinto di +
infinito ecc. Si divide in

L’aspetto perfettivo può essere aoristico, compiuto o ingressivo:

 aoristico è di norma quello dei tempi non composti e focalizza il processo senza
considerare i suoi effetti; ciò vuol dire che segnala un’azione priva di durata, còlta in un suo
singolo manifestarsi → “A Parigi Alessia incontrò un suo amico.”

 compiuto è più spesso espresso dai tempi perfettivi composti. Indica la permanenza,
rispetto a un riferimento temporale stabilito, del risultato di un evento compiuto → “A
Parigi Alessia ha incontrato un suo amico.”

 ingressivo è un particolare valore che possono avere i tempi con aspetto aoristico: segnala
la fase iniziale di un processo, ad esempio tramite le perifrasi iniziare a + infinito o
cominciare a + infinito → “Cominciò a piovere.”

L’aspetto imperfettivo può essere continuo, abituale o progressivo:

 continuo (indica la mancanza dell’indicazione di un qualsiasi istante),

 abituale (segnala la ripetizione regolare del processo) e

 progressivo (indica un processo colto nel suo svolgimento e non dà informazioni sulla sua
ripetizione).

LA MODALITÀ DEL VERBO

Il modo del verbo italiano va ricondotto alla categoria grammaticale della modalità, ovvero
l’espressione dell’atteggiamento del parlante verso la situazione indicata dal verbo (espressione di
una situazione reale, probabile, ipotetica, necessaria, obbligatoria). La modalità è l’insieme delle
risorse linguistiche (parole, espressioni, ma anche elementi morfologici, ecc.) che manifestano il
modo, ovvero l’atteggiamento del parlante rispetto all’enunciato prodotto, o rispetto all’atto
dell’enunciazione.
Il modo del verbo è uno dei mezzi in cui nella lingua italiana si può esprimere una certa modalità

-I TIPI DI MODALITÀ

 assertiva: è l’espressione di un contenuto senza giudizio sul grado di certezza o di obbligo:


Andrea è uscito (modo indicativo, frase dichiarativa);

 epistèmica: indica come certo o incerto lo stato di cose presentato dal verbo (il parlante
esprime così anche un giudizio su quanto sta dicendo); per esempio, con il futuro
epistèmico: - Che ore sono?; - Saranno le 11. Quest’atteggiamento si può comunicare
anche usando avverbi modali come forse, sicuramente, senz’altro; oppure, usando verbi
come credere, pensare; o ancora usando verbi modali (dovere, potere, sapere e volere) e
un modo specifico del verbo: Andrea deve / dovrebbe essere uscito.

 deontica: indica come obbligatorio o permesso lo stato di cose presentato dall’enunciato;


si può esprimere con il modo imperativo: fai l’esercizio!; con i verbi modali (potere o
dovere): devi fare l’esercizio; con l’infinito: non fumare nel corridoio, con il futuro deontico:
i candidati presenteranno la domanda on line ( = la domanda deve essere presentata on
line).

 anankastica: riguarda la necessità fisica o le condizioni necessarie perché si verifichi


qualcosa (per esempio quelle normative); si esprime con i verbi modali dovere e potere: le
piante per crescere devono ricevere acqua e luce.

 dinamica: esprime la capacità, l’abilità ed è espressa dai verbi potere, sapere o espressioni
come essere capace, essere in grado di: i pipistrelli sanno orientarsi al buio.

Anche in una frase come “Adesso saranno le 11” l’etichetta della grammatica tradizionale (futuro)
non corrisponde alla funzione del verbo. Il futuro qui segnala un ridotto grado di certezza del
parlante, che fa un’ipotesi (la frase corrisponde a quella con il presente e un avverbio che indica la
congettura). Il tempo in questo caso è piuttosto un modo, l’atteggiamento che il parlante assume
verso la sua stessa comunicazione. La grammatica tradizionale non chiarisce la distinzione tra
tempo e modo per il futuro. E anche il condizionale (modo) ha valore di tempo (futuro nel passato)
in una frase come “disse che sarebbe tornato domani”. Per questi scambi di valore la ricerca
linguistica distingue tra la nozione grammaticale di modo, relativa ai fenomeni morfologici e
sintattici, e quella semantica di modalità, relativa ai diversi gradi di certezza del parlante. Il modo
del verbo nelle frasi completive (soggettive e oggettive) è in genere determinato dal verbo della
frase reggente; alcuni verbi reggono il congiuntivo e altri reggono l’indicativo. Il verbo della
subordinata è all’indicativo se il suo contenuto è presentato come reale: “So che Luca è a casa”; è
invece al congiuntivo se il contenuto della subordinata non è presentato come reale: “È probabile
che Luca sia a casa adesso.”

Il congiuntivo è dunque un modo perché ha una sua morfologia e dei tratti sintattici: “Che sia
Anna?” In questa frase il congiuntivo serve anche a mostrare una certa modalità della frase, il suo
valore dubitativo. Ma non è sempre così: in una frase come “Il fatto che Anna sia partita…” il
congiuntivo non ha valore dubitativo. Il futuro è un tempo, ma nella sua semantica esiste anche la
modalità perché anch’esso può essere usato dal parlante per indicare un’ipotesi: “-Sarà Anna?”
(“Sarà” è quindi un futuro epistemico).

IL FUTURO ha vari usi modali:

 epistemico (suppositivo, perché esprime ipotesi, previsioni, dubbi, incertezze): “a quest’ora


Luca sarà arrivato a casa”;

 attenuativo: “Lei professore ammetterà che questo fatto è un po’ strano”;

 deontico (indica un dovere): “i candidati consegneranno la domanda entro il 31 maggio”;

 iussivo (imperativo, che serve a dare ordini in forma attenuata): “mi dirai tutto quello che è
successo!”.

IL CONDIZIONALE, soprattutto nella lingua dei giornali, è frequentemente usato come metodo di
dissociazione: si presentano notizie di cui non si è completamente certi, che si suppongono perché
si sono lette in un’altra fonte che non si poteva controllare. Il condizionale si usa poi anche per
indicare il futuro nel passato (un’azione successiva al momento passato dell’enunciazione):
“L’anno scorso ci disse che sarebbe venuto a trovarci.”

lezione 12 (10/11)

LA CLASSIFICAZIONE DEI VERBI

La classificazione dei verbi va in base al loro aspetto lessicale e alla loro azionalità, è una
classificazione in base al modo in cui l’evento che il verbo esprime è presentato dal punto di vista
delle fasi temporali che lo compongono.

Bisogna distinguere tra aspetto verbale e azionalità: l’aspetto verbale riguarda i morfemi
grammaticali, l’azionalità riguarda i morfemi lessicali (azione lessicale). La classificazione in base
all’azione tiene conto di:

 dinamismo

 durata

 telicità (presenza o assenza di un punto in cui l’evento necessariamente si conclude es.


verbo atelico: Luca disegna, verbo telico: luca disegna un paesaggio)

In base all’azionalità distinguiamo:

 verbi di stato (stativi): essere, possedere, sapere, conoscere ecc. (hanno durata, non sono
considerati dinamici, hanno fasi una uguale all’altra: indicano qualità permanenti del
soggetto o stati non modificabili)
 verbi di processo indefinito (continuativi): camminare, spostarsi (hanno durata, sono
dinamici, hanno fasi una uguale all’altra)

 verbi di processo definito (risultativi): svuotare (hanno durata, sono dinamici, hanno fasi
non uguali: eventi proiettati verso un punto finale, caratterizzati da una progressione)

 verbi istantanei (trasformativi): trovare (non hanno durata, indica un evento istantaneo,
punto iniziale e finale coincidono)

L’iteratività, in verbi puntuali ma che esprimono ripetizione, fa riconoscere i verbi semelfattivi:


starnutire

La telicità, ovvero l’espressione di un raggiungimento di una meta, fa riconoscere i verbi telici:


arrivare, costruire, disegnare (un…), quelli il cui significato mostra un’azione che tende verso un
fine.

Inoltre, esistono anche i:

 verbi supporto: supportano un predicato costituito da un nome → dare un consiglio


“consigliare”; fare una passeggiata “passeggiare”; prendere una decisione “decidere” ecc…

 verbi sintagmatici: verbo + particella: tirare su, portare giù, mettere sotto, (a volte la
particella è pleonastica, non necessaria, come in entrare dentro o uscire fuori)

 verbi ausiliari: essere e avere in tempi composti; andare e venire nella costruzione passiva

 verbi modali (servili): esprimono informazione sulla modalità di un’espressione

 verbi fraseologici: stare per, continuare a, finire di… definiscono l’aspetto del processo
(sono perifrasi verbali: costruzioni formate da un verbo di modo finito seguito da un verbo
principale coniugato al participio, al gerundio o all’infinito).

 verbi transitivi: ammettono un oggetto diretto come in: “Ho spedito una lettera”

 verbi intransitivi: non hanno un oggetto diretto, né una forma passiva e sono di due tipi:
inergativi, cioè che nei tempi composti hanno l’ausiliare avere ed esprimono attività
intenzionali o funzioni e reazioni corporee o inaccusativi, cioè che nei tempi composti
hanno l’ausiliare essere ed esprimono un cambiamento di stato o di posizione: è caduto, è
successo, è rimasto, si è arrabbiato.

 verbi copulativi: collegano un soggetto a un predicato non verbale come in: “Nicola fa
l’avvocato / è diventato avvocato” → abbiamo una copula, un legame.

Abbiamo anche i verbi pronominali (i verbi in “-si”), nella cui forma è compreso un pronome
clitico come nei:

• verbi riflessivi → descrivono un’azione intenzionale fatta da un soggetto su sé


stesso: lavarsi, vestirsi ecc.
• verbi con uso riflessivo indiretto → hanno come oggetto non la persona in generale ma
alcune sue pertinenze tipiche: tagliarsi i capelli

• verbi con uso intensivo (o di affetto) → il “-si” indica una più intensa partecipazione del
soggetto al processo: leggersi un fumetto, bersi una birra… 

• verbi reciproci → descrivono eventi in cui partecipano due soggetti, ognuno dei quali
promuove e riceve gli effetti dell’evento stesso: salutarsi, sposarsi ecc.

• verbi con uso reciproco indiretto → il cui oggetto non è la persona in generale ma sue
pertinenze: stringersi la mano…

• verbi intransitivi pronominali → hanno il “-si” nella coniugazione anche se non esprimono
un evento riflessivo: arrabbiarsi.

I verbi procomplementari comprendono un pronome clitico all’interno della forma verbale:

 -ci: andarci, entrarci/centrare (questo non c’entra);

 -la: finirla, piantarla;

 -le: buscarle; prenderle;

 -ne: volerne (non volermene).

I clitici posso anche combinarsi tra loro dando luogo a verbi con pronome multiplo come:
avercela (con), cavarsela ecc o forme lessicalizzate con pronome semplice o multiplo come:
mettercela tutta ecc

La suffissazione è caratterizzata dalla trans-categorizzazione (passaggio da una categoria


morfologica a un’altra): rumore (nome) → rumoreggiare (verbo) e dalla ricorsività: dolce →
dolcificare (verbi denominali); smarrire → smarrimento (nome deverbale)

Le formazioni parasintetiche (parasinteto) si ottengono tramite l’aggiunta simultanea di un


prefisso e un suffisso (fenomeno della circonfissazione): ad-dolc-ire; im-barc-a-re/si

LA PROSPETTIVA VALENZIALE

La prospettiva valenziale si fonda sulla distinzione tra argomenti (elementi necessari, obbligatori) e
circostanziali (elementi non necessari, facoltativi).

Esempio: “Ieri Andrea ha regalato un libro a Marco” → soggetto, oggetto e complemento di


termine qui sono argomenti.

La grammatica valenziale individua gli argomenti dei verbi e li divide in:

 verbi con un solo argomento, monovalenti: camminare (sono sempre intransitivi)


 verbi con due argomenti, bivalenti: incontrare (sono transitivi con oggetto diretto OD, il
quale diventa il soggetto nella frase passiva; e intransitivi con nome preceduto da
preposizione: “ha rinunciato alla proposta”)

 verbi con tre argomenti, trivalenti: dare, dire, regalare (aggiungono un oggetto indiretto OI,
diverso da un oggetto preposizionale che completa un verbo intransitivo)

 verbi con quattro argomenti, tetravalenti: tradurre

 verbi che non hanno argomenti, zerovalenti: piovere, nevicare

Spesso nell’italiano regionale meridionale viene usato l’accusativo preposizionale con verbi
normalmente transitivi che hanno una persona come oggetto diretto: “senti a me”

L’oggetto indiretto:

 si aggiunge a un OD;

 è sempre introdotto da a (ha forma propria) → “A” è una codifica grammaticale vuota
pronta ad accogliere il ruolo di volta in volta coerente con il verbo che la occupa;

 indica il destinatario (nei verbi di dire o dare è il complemento di termine)

Gli argomenti, anche indicati come attanti, sono costituenti del predicato, controparte di un
verbo, che li richiede e ne controlla numero e forma; ma non è sempre necessario che tutte le
valenze siano espresse (uso assoluto dei verbi):

Non sempre alla funzione sintattica corrisponde lo stesso ruolo semantico:

 Il soggetto fa l’azione, è il punto di partenza

 L’oggetto subisce l’azione

 L’oggetto indiretto: indica a beneficio o a danno del quale si fa l’azione

Essi sono individuati da segni distintivi sintattici (l’ordine delle parole) e morfologici (i casi).

I RUOLI TEMATICI

 tagliare: ha un soggetto agente

 soffrire: ha un soggetto paziente

 capire: ha un soggetto esperiente

“Antonio capisce il cinese”: il soggetto degli intransitivi che non indicano un’azione (nascere,
crescere) è un tema.
ESERCITAZIONE:

[dimen’tsjone] = il tratto saliente di questa pronuncia è la resa affricata dentale [ts] della fricativa
dentale sorda [s]

[ʃkrit’to] = pronuncia regionale del sud, tratto saliente è la resa fricativa palatale sorda della
fricativa dentale (alveolare) sorda pronuncia marcata di diatopia e diastratia verso il basso

Eppure = unione di e + pure in un processo di univerbazione, e registra ovviamente un


raddoppiamento fonosintattico.

Struttura morfologica di “disonesto” = la parola è formata da tre morfemi: “dis” esprime il


contrario di qualcosa che segue; “onest” morfema lessicale; “o” morfema grammaticale che da
info su genere e numero

Chiavetta, pennetta = lessicalizzazione perché non indicano più il diminutivo di “chiave” e “penna”
ma si riferiscono al dispositivo USB o nel secondo caso anche ad un tipo di pasta.

Lezione 13 (16/11)
Commentare le pronunce:
[paʦˈʦjɛnte] per paziente:
Si tratta della pronuncia standard (o neutra) della parola. La trascrizione indica infatti la normale
geminazione (pronuncia intensa) dell’affricata dentale sorda intervocalica e la vocale anteriore
medio-bassa nella sequenza in sillaba accentata [jɛ] (alcune pronunce regionali presentano qui la
chiusura della vocale: [je]).
[ˈsediʃi] per sedici:
La trascrizione evidenzia il fenomeno della deaffricazione dell’affricata palatale sorda intervocalica,
normale nella pronuncia regionale dell’italiano di Firenze, Roma, Napoli e alte aree
centromeridionali.
[re ˈ sɔrte] per resort:
La trascrizione registra la pronuncia adattata della parola inglese (o dell’anglicismo). Notiamo la
resa delle vocali inglesi con la vocale anteriore medio-alta nella sillaba protonica e con la
posteriore medio bassa nella sillaba accentata (tonica), e la presenza della vocale epitetica, che
marca la realizzazione in diatopia e in diastratia.

LIVELLO ANALISI SINTATTICA → distinguere ciò che è normalmente colloquiale da ciò che è
colloquiale ma al tempo stesso anche regionale, perché le dimensioni come la diatopia e la
diastropia sono sempre marcate in tutti questi contesti.

IL VERBO E I SUOI ARGOMENTI


IL SOGGETTO:
Le definizioni tradizionali non sono del tutto soddisfacenti:
 «ciò di cui si parla»
 «chi fa l’azione (chi è nello stato)»
 chi o che cosa compie, fa, l’azione espressa dal predicato (verbo attivo): “Carla ha regalato
un libro a Grazia.”
 chi o che cosa subisce l’azione (verbo passivo o riflessivo): “Carla ha ricevuto un regalo da
Grazia.” (Grazia compie l’azione)
 a chi o a che cosa è attribuito uno stato o una qualità (verbi che indicano uno stato o un
modo di essere)
Difficile l’applicazione delle definizioni tradizionali a frasi come queste:
 “Carla capisce il tedesco”
 “A Carla piacciono i libri di cucina”
Per applicarle si ricorreva alla distinzione tra soggetto grammaticale (formale) e soggetto logico
(agente)
La distinzione tra soggetto grammaticale e soggetto logico mette in difficoltà, e infatti si può dire
che l’analisi logica “riconosce” ma non “definisce” il soggetto.
Per questo, le analisi moderne intendono individuare le proprietà della funzione sintattica del
soggetto: “il soggetto è l’argomento che si accorda obbligatoriamente con il verbo di forma finita
in persona e numero”:
Es: “A Carla e Grazia piace la cucina francese”
“A Carla e Grazia piacciono i libri sulla cucina francese”
Il soggetto non è introdotto da una preposizione:
Es: “L’avviso è stato messo sul sito dal professore ieri.”
“La questione dipende dal tempo che abbiamo a disposizione.”
“Il professore contava sulla partecipazione dei suoi laureandi.”

Se il soggetto è un pronome ha una forma particolare (io / me): io ho cercato / hanno cercato me
Il soggetto:
 spesso tende a precedere il predicato,
 spesso è in apertura della frase,
 spesso è topico (è il tema), cioè è l’elemento che riceverà il commento: “Carla (T) è partita
(C)”. In un enunciato reale c’è sempre qualcosa che è un topic, e spesso coincide con il
soggetto, ma non sempre e alla fine riceve un commento.
L’elemento topico è quello sul quale di solito si chiede un commento.
Es: “- chi ha comprato i dolci?” “- I dolci li ha comprati Andrea”
C’è in genere coincidenza tra valore topico e posizione di rilievo nell’ordine lineare di ricorrenza
degli elementi nella frase (iniziale o finale).
A volte il soggetto non è un nome o un pronome, tutte le parti del discorso possono avere
funzione di soggetto:
 Un verbo: Nuotare è rilassante
 Un infinito con valore nominale: Fidarsi è bene… Studiare l’arabo mi piacerebbe molto
 Un aggettivo sostantivato: Il bello sarà l’oggetto del nostro corso
 Un avverbio: il male è assurdo
 Un articolo: Il non si usa davanti a parola che comincia per z.
 Una preposizione: Di è una preposizione semplice…
 Una congiunzione: il perché di questa risposta è...
 Un’ interiezione: Un oh di meraviglia uscì dalle sue labbra…
L’OGGETTO DIRETTO → non è introdotto da preposizioni e non determina la concordanza con il
verbo finito.
Es: “Antonio ha mandato un messaggio a Nina”
Lo chiameremo oggetto diretto e non complemento oggetto.
Concorda con il participio passato: “la lettera gliel’ho spedita / le lettere gliele ho spedite”
(agrammaticali le altre possibilità). L’oggetto diretto di solito segue il predicato, ma può precederlo
in frasi che hanno effetti contrastivi (enfasi nella pronuncia):
Es: “il pane ho comprato” (non un’altra cosa) vs. “ho comprato il pane”
I pronomi atoni: lo, la, gli, le possono avere la funzione di oggetto nelle frasi. Nelle costruzioni con
diatesi passiva i soggetti diventano oggetti:
Es: “Un gruppo di ricercatori ha presentato il progetto” → “Il progetto è stato presentato da un
gruppo di ricercatori”

L’OGGETTO INDIRETTO →
 è il tradizionale complemento di termine: “ho spedito le fotografie all’architetto”
 non concorda con il predicato
 è introdotto dalla preposizione a (semplice o articolata).

I circostanti e le espansioni sono elementi che arricchiscono il contenuto della frase aggiungendo
relazioni concettuali marginali (margini).
Ad esempio, sono margini (o circostanziali) le espressioni di spazio e di tempo se sono informazioni
esterne del processo (margini esterni):
Es: “Ieri alla festa di Luca ho incontrato Giulia”
!! Con i verbi di stato, movimento e spostamento le espressioni spaziali hanno funzione di
argomento del verbo !!
Es: “Giovanni va a Napoli”
“Giovanni abita in riva al lago”
È il significato del verbo che determina il ruolo sintattico delle parole che vanno intorno al
soggetto. Uno stesso complemento può essere argomentato o margine, dipende dal verbo e dal
contesto:
Es: “Oggi ricorre il nostro anniversario”
“Luca abita a Parigi”
“Luca si occupa di politica” argomenti
“Tuo figlio si è comportato molto bene”
“Mi congratulo con Luisa per il suo nuovo libro”

“Ho visto Luca proprio oggi”


“Luca ha conosciuto Luisa a Parigi”
“Abbiamo parlato tutta la sera di politica” margini o circostanziali
“In quel ristorante abbiamo mangiato molto bene”
“Ho cenato con Luisa nel ristorante sul lago”
I circostanti funzionano come modificatori del nome o del verbo, con i quali formano un sintagma.
Circostanti del nome → aggettivi, espressioni nominali o preposizionali…
Es: libri per ragazzi, con le figure, di Gianni Rodari… (identificare e descrivere meglio)
Circostanti del verbo → avverbi…
Es: Legge con attenzione, senza fretta, rapidamente…
La differenza tra circostanti ed espansioni emerge quando proviamo a trasformare l’espressione in
una frase:
 I circostanti diventano frasi relative e seguono il nome che modificano
 Le espansioni diventano frasi circostanziali che incorniciano il processo dall’esterno
collocandosi in modo relativamente libero:
Es: Alessandra legge libri di filosofia > Alessandra legge libri che parlano di filosofia
Alessandra legge libri a casa > Alessandra legge libri quando è a casa.
I margini (o circostanziali) si riconoscono con la prova della «staccabilità» (un’osservazione fatta
con una prospettiva testuale)
Es: Ho incontrato Giulia. È successo ieri alla festa di Luca.
Gli argomenti dei verbi non si lasciano staccare dal nucleo della frase.
Es: Giovanni abita. Succede in riva al lago.
Le espressioni con valore di circostanza si lasciano staccare (lo stacco nella prospettiva testuale –
costruzione di due frasi legate sul piano del significato e connesse tramite un segno di
punteggiatura forte come il punto – con succedere / accadere:
I pescatori riparavano le reti / vendevano il pesce in riva al lago. Questo succedeva in riva al lago.
Le espressioni di tempo sono circostanze temporali se si lasciano staccare.
Colombo ha scoperto l’America (nel 1492). Accadde nel 1492.
Le espressioni temporali possono indicare:
 un punto nel tempo (tempo determinato)
 la durata (tempo continuato): introdotte da per / fino al / dal…al
Ma sono argomenti con i verbi di durata (es. durare):
Es: Lo spettacolo dura due ore e quindici minuti.

La causa e la concessione sono altri margini esterni (al processo descritto dal verbo):
 la causa: introdotta da per / a causa di;
 la concessione (circostanza contraria, causa frustrata): introdotta da nonostante, malgrado
Es. L’albero è caduto a causa della pioggia
Sono partiti nonostante la pioggia
Esistono poi i margini interni (del predicato, predicato d’azione):
 lo strumento: con un coltello / mediante / per mezzo di o anche viaggiare in treno, in
macchina
 il collaboratore dell’agente (compl. di compagnia): con Andrea / insieme a (compl. di
esclusione: senza)
Si riconoscono anch’essi con la prova della staccabilità, fatta però con il verbo fare. Es: Ha
tagliato il foglio con un righello / L’ha fatto con un righello (fare riprende solo il predicato,
del quale conserva il soggetto).
 Il beneficiario (complemento vantaggio e svantaggio): per sua sorella / contro il suo
nemico, a favore di, a danno di
 il fine: per (ma il fine è un processo: l’espressione tipica è con la frase)
 espressioni accettuative: eccetto, salvo, tranne
Nelle frasi semplici troviamo dei modificatori del nome:
 aggettivi (attributi):
Es: “Caterina ha letto un bel libro” (aggettivo anteposto, descrive la qualità)
“Caterina ha letto un libro illustrato” (aggettivo posposto, restringe l’insieme dei libri:
‘restrittivo’, valore ‘descrittivo’)
 nomi (apposizioni: anche preceduti da come, in quanto, in qualità di)
 complementi del nome come espressioni preposizionali “il figlio di Antonio” (complemento
di specificazione) o argomenti: “un viaggio in Francia”
Il complemento di specificazione → stabilisce una relazione tra i contenuti di due nomi.
Es: “il muro del giardino”
!! la preposizione “di” non codifica la relazione, che può essere inferita di volta in volta a partire
dal contenuto dei nomi collegati. La codifica è povera perché il complemento apporta al processo
le più svariate relazioni concettuali.
Es: La vittoria di Cesare (agente)
La sconfitta del Milan (paziente)
L’esame di gennaio (tempo)
L’albero del giardino (luogo)
Le ruote della macchina (parte-tutto)
Il contenuto viene inferito a partire da criteri di coerenza di appropriatezza concettuale.
Lezione 14 (17/11)

ESERCITAZIONE

Quali sono i ruoli sintattici delle parole delle frasi?

1. L’hai presa la tessera della biblioteca? → “tu” è il soggetto, “l’” è pronome atono OD, “hai
presa” predicato, “la tessera” OD, “della biblioteca” espressione preposizionale

2. Gli ho già telefonato stamattina a Dario. → “io” è il soggetto, “gli” OI, “ho telefonato”
predicato verbale, “già” argomento, “stamattina” complemento di tempo, “a Dario” OI.

3. A Parigi ci sono stata parecchie volte. → “io” soggetto, “sono stata” predicato, “a Parigi” e
“ci” argomenti del verbo, parecchie volte margine o circostante

4. Tutti parlano bene di Francesco. → “tutti” soggetto, “parlano bene” predicato verbale +
avverbio che dà informazioni, “di Francesco” argomento del verbo

LA SINTASSI

La sintassi si occupa delle regole relative al collegamento e alle relazioni tra le parole (quindi tra le
categorie grammaticali: nomi, aggettivi, verbi, pronomi, articoli…).

L’analisi sintattica riguarda:

 l’ordine delle parole: *sul messo busta ho mobile la > ho messo la busta sul mobile (la
sequenza grammaticale delle parole è data dalle regole sintattiche dell’italiano); Alessandra
ha salutato Antonella vs Antonella ha salutato Alessandra (l’ordine, una prosodia non
marcata, indica i ruoli sintattici: Soggetto - Verbo - Oggetto è l’ordine normale per
l’italiano);

 la forma delle parole: determinata dalle funzioni che hanno in un enunciato: *da egli / da
lui (morfosintassi);

 la concordanza (accordo) morfologica tra le parole: gli studenti *avete hanno sostenuto
l’esame / il 60% degli elettori *hanno ha votato… (morfosintassi);

In una frase le parole si raggruppano in unità chiamate sintagmi. Un sintagma è una sequenza di
parole che in una frase ha lo stesso ruolo sintattico e che è, dunque, uno dei costituenti di una
frase.

I sintagmi possono essere:

 nominali (SN): “il signor Gianni”;

 verbali (SV): “ha comprato i fiori”;

 aggettivali (SA): “molto belli, simile a te”;


 preposizionali (SP): “di Gianni”.

Questa classificazione dipende dall’elemento che è la testa del sintagma: un nome, un verbo, un
aggettivo, una preposizione.

Le sequenze che costituiscono un sintagma si riconoscono con le prove della loro:

 spostabilità: “Ha comprato il vino il figlio di Gianni”

 sostituibilità: “Lui ha comprato il vino”

 enunciabilità in isolamento: “-Chi ha comprato il vino? -Il figlio di Gianni”

LA FRASE SEMPLICE:

Nelle grammatiche possiamo trovare queste definizioni di frase:  

 la frase è un’unità minima di comunicazione dotata di senso compiuto (o l’espressione di


un senso compiuto);

 la frase è una combinazione di parole governata da regole;

 la frase è una sequenza massima in cui vigono delle relazioni di costruzione.

Ma non tutte le frasi hanno senso compiuto ed esistono espressioni che hanno senso compiuto e
che non sono combinazioni, ma singole parole (Lui!, Ahi!, Sì). Le definizioni dipendono dalla
prospettiva d’analisi. La prospettiva pragmatica considera il senso compiuto. La prospettiva
grammaticale considera piuttosto le relazioni di costruzione.

Una definizione più comprensiva può essere che “la frase è la più piccola unità linguistica in grado
di trasmettere un messaggio indipendente” o “il modulo di un testo o un di discorso”.

Nella riflessione sulla lingua ciò che è importante capire è che una frase può essere considerata
un’entità astratta (per esempio le frasi dette o scritte per ragionare sul funzionamento di una
lingua) o un’entità concreta, cioè un enunciato: ciò che realizza un atto comunicativo.

La frase semplice italiana è formata da un sintagma nominale e un sintagma verbale:

FRASE F = SN + SV (gruppo del nome + gruppo del verbo)

Per parlare di frase è dunque necessario che tra le parole ci sia una struttura predicativa, cioè una
combinazione di soggetto e predicato. Questa non richiede sempre la presenza di un verbo finito:
può essere realizzata in modi diversi. I costituenti di concatenano e si inseriscono uno dentro
l’altro. Possono quindi avere uno stesso rango o un rango diverso.

“Il fratello di Paolo ha incontrato il professore di matematica.”

“Il sapore piccante del peperoncino copre il gusto del piatto.”


TERMINOLOGIA DELL’ANALISI PER LA FRASE:

 enunciato→ atto comunicativo reale (ci riferiamo a una frase appartenente auna
comunicazione reale, una frase considerata a livello pragmatico-comunicativo)

 frase→ sequenza di parole dal punto di vista sintattico (le regole che governano le relazioni
tra le parole che la compongono)

 proposizione (frase)→ in riferimento al contenuto semantico della frase

FRASE E VALENZA DEL VERBO

Secondo la grammatica valenziale ogni verbo ha una sua valenza: ogni verbo, cioè, decide quali e
quanti sono gli elementi, detti argomenti, di cui ha bisogno per essere completato e per poter
funzionare sul piano del senso (si parla quindi di struttura argomentale del verbo).

La grammatica valenziale individua gli argomenti dei verbi e riconosce in base al numero di
argomenti questi diversi verbi:

 verbi con un solo argomento (monovalenti o a un posto, che hanno bisogno solo di un
Soggetto per funzionare sul piano del significato): Giorgio cammina, cammino, parlo, salto
ecc.;

 verbi con due argomenti (bivalenti o a due posti): Roberta incontra Giulia (hanno bisogno
di un Soggetto e di un Oggetto Diretto);

 verbi con tre argomenti (trivalenti o a tre posti) Roberta dà le chiavi a Giulia (hanno
bisogno di un Soggetto, di un Oggetto Diretto, di un Oggetto Indiretto). Sono verbi come
offrire, togliere, paragonare ecc. Questi verbi, quindi, hanno una costruzione ditransitiva
(reggono un soggetto e due oggetti).

 verbi con nessun argomento (zerovalenti o a0 posti) come piove o nevica

 verbi con quattro argomenti (tetravalenti o a quattro posti): p. es. tradurre (io traduco un
documento dall’italiano al cinese).

 In un enunciato (parlato o scritto) non è sempre necessario esprimere tutti gli argomenti del
verbo:

 Es: “- Che mestiere fa Giulia?” “- Traduce”

Si chiama reggenza il modo in cui ogni verbo si lega i suoi argomenti. Un verbo può avere una
reggenza diretta: “Questa mattina ho chiamato Giulia”; oppure selezionare una certa preposizione
per introdurre l’Oggetto: “Giulia ha rinunciato alla proposta”

Possiamo chiamare questo complemento introdotto da una preposizione imposta dal verbo
oggetto preposizionale. Si noti: l’oggetto indiretto è diverso dall’oggetto preposizionale che
completa un verbo intransitivo. L’OI, infatti, si aggiunge a un OD ed è sempre introdotto da a (ha
dunque forma propria); e indica il destinatario (nei verbi di dire o dare è il tradizionale compl. di
termine): spedire a Carla, spedire a Roma, togliere a Carla (che indica piuttosto la fonte). La
preposizione a è quindi è «una codifica grammaticale vuota pronta ad accogliere il ruolo di volta in
volta coerente con il verbo che la occupa»

Un caso particolare di reggenza è quello dell’accusativo preposizionale, una costruzione sintattica


propria di alcune varietà regionali centro-meridionali dell’italiano (la varietà regionale è
soprattutto quella parlata – ma a volte si nota anche in alcune comunicazioni scritte – soltanto in
alcune regioni d’Italia in contesti informali e in situazioni comunicative familiari). In queste varietà,
come quella dell’italiano regionale di Napoli, per introdurre un complemento oggetto che ha un
tratto semantico [+ umano] (quando cioè l’Oggetto è una persona, ad esempio) si usa la
preposizione a: es. “chiama a Paolo”, “ho visto a tuo fratello”, “senti a me”, “la voglio bene”.

Oltre descrivere un processo, alcuni verbi copulativi collegano il soggetto a un’espressione


nominale o a un aggettivo: diventare, sembrare, apparire: Gianni è diventato simpatico / Gianni è
diventato un avvocato

L’aggettivo simpatico e l’espressione nominale un avvocato sono il complemento predicativo del


soggetto di queste frasi. Anche altri verbi predicativi richiedono questo complemento in certi usi:
rimanere, riuscire, arrivare, tornare: è arrivato stanco, è tornato stanco.

Il complemento predicativo dell’oggetto si applica all’oggetto di alcuni verbi. Ad esesempio


eleggere: L’assemblea ha eletto Gianni presidente; credere: lo credevo felice; vedere: oggi ti vedo
stanco; chiamare: I contemporanei chiamavano Vivaldi “prete rosso” ; riconoscere: nella fotografia
ho riconosciuto mia mamma bambina.

Il complemento predicativo dell’oggetto può essere anche introdotto da da o per: mi ha trattato


da scemo; o come: hanno assunto Gianni come segretario in qualità di, in veste di.

ARGOMENTI E MARGINI (CIRCOSTANZIALI)

Una frase semplice può diventare più ricca di informazioni con l’aggiunta di espressioni marginali:
informazioni che sul piano sintattico si trovano ai margini del nucleo della frase.

Chiamiamo circostanti ed espansioni circostanziali quegli elementi facoltativi (cioè non richiesti
obbligatoriamente dal verbo) che danno altre informazioni oltre a quelle essenziali date dagli
argomenti di un verbo.

Sono margini (espansioni):

 espressioni di tempo e di spazio: “oggi a casa ho dato il biglietto a mio fratello”

 la causa, introdotta dalla preposizione “per” o dalla locuzione “a causa di”: indica ciò che
ha provocato un evento (i fogli sono cascati a causa del vento);

 la concessione, introdotta tramite le preposizioni “nonostante” e “malgrado” (sono uscito


malgrado / nonostante la pioggia).
 Margini del predicato interni al processo lo strumento (con), il collaboratore dell’agente
(con, insieme a), il beneficiario (per, in favore di), il fine (per + frase).  

DETERMINANTI

Il soggetto non è introdotto da nessun elemento (“In quel locale non sono mai andato”; “Di quel
locale conosco il proprietario”) ma può essere accompagnato dai determinanti:

 articoli

 aggettivi possessivi

 dimostrativi

 indefiniti di quantità e di qualità (es. poco, alcuni, qualsiasi… detti quantificatori)

 numerali cardinali

 interrogativi ed esclamativi (quanto, quale…)

I determinanti determinano il nome nel senso che lo collegano a un referente particolare (dal
concetto generale si passa a un unico referente: es. un > il.

LE ESPANSIONI DEI NOMI

Anche ai sintagmi nominali si possono aggiungere espansioni che danno più informazioni su di
essi, e che ne modificano quindi il significato. Questi modificatori (o espansioni dei nomi) sono i
seguenti

 gli aggettivi (che possono essere modificati da un avverbio: una casa molto bella;

 l’apposizione, cioè un nome che viene dopo il nome: Marco, l’amico di Giulia;

 il complemento di specificazione, che è introdotto dalla preposizione di; mette in relazione


due nomi: il fratello di Giulio ha comprato una torta;

 complemento di argomento, che indica qual è il tema o l’argomento di qualcosa ed è


introdotto da di, su, intorno, a: “Ho comprato un libro sulla storia di Napoli”.

Nota. Basterà chiamare complementi del nome tutte le espressioni preposizionali che aggiungono
informazioni a un nome: gli spaghetti al pomodoro, il tavolo della cucina, il giro in bicicletta ecc.
Ma alcuni complementi del nome sono argomenti dei nomi. Anche alcuni nomi e alcuni aggettivi,
infatti, hanno una valenza e richiedono argomenti. Si tratta dei nomi di processo, come regalo,
paura o vittoria: è un regalo di Alessandra per me, ha paura del buio; la vittoria del Napoli, la
somiglianza di Andrea con suo padre. Esempi di aggettivi che hanno una reggenza sono simile o
indipendente: è simile al mio, è indipendente da questi fattori…

MODIFICATORI DEL VERBO


Sono modificatori del verbo quegli elementi che precisano il processo descritto dal verbo (sono
quindi espansioni del verbo). Si uniscono al verbo per formare un significato più ricco e selettivo:

 avverbi di modo: avverbi in -mente

 locuzioni avverbiali: in modo + aggettivo (in modo preciso, in modo esaustivo)

espressioni di modo (complementi di modo): con cura… (forma negativa: senza, compl. di
privazione)

Lezione 15 (23/11)

ESERCITAZIONE:
1. “Ehi… tu a chi aspetti i panini si prenotano” = caso di accusativo preposizionale, fenomeno
tipico dell’italiano regionale meridionale, che consiste nell'introdurre l'oggetto diretto con
una preposizione (in particolare con la preposizione “a”). L’accusativo preposizionale è un
fenomeno per il quale si aggiunge l'oggetto diretto, che normalmente non andrebbe
preceduto da preposizione.
2. Quali sono i ruoli sintattici delle parole delle frasi?
 L’hai presa la tessera della biblioteca? = dislocazione a destra di “la tessera”
 Gli ho già telefonato stamattina a Dario. = dislocazione a destra di “a Dario”
 A Parigi ci sono stata parecchie volte. = dislocazione a sinistra perché l’elemento
tematizzato “a Parigi” viene messo in evidenza tramite dislocazione
3. “Le immagini dei festeggiamenti le abbiamo viste tutti. E il giorno dopo la vittoria in
Coppa Italia del Napoli contro "l'odiata" Juventus assumono un sapore amaro. A mente
fredda non fa piacere a nessuno guardarle, forse nemmeno a chi ha preso parte ai
festeggiamenti.” → La prima frase è un tipo di frase marcata caratterizzata dalla
tematizzazione di un tema diverso dal soggetto e si parla di dislocazione a sinistra per
enfatizzare ciò che la frase stessa vuole esprimere, anteporre il complemento oggetto. Si
poteva scrivere “abbiamo visto tutti le immagini dei festeggiamenti”. Ma c’è una ragione
per cui fra le possibilità a disposizione i giornalisti hanno deciso di fare prima una
dislocazione a sinistra e poi a destra. La motivazione è che ci sia una condivisione di
conoscenze tra l’emittente e il destinatario, i giornalisti sentono di tematizzare le
informazioni date (le abbiamo viste tutti le immagini).
“Al rione Luzzatti-Ascarelli di Poggioreale un po' se l'aspettavano, l'arrivo dei turisti. Già
negli anni passati iniziavano a farsi vedere i primi curiosi soprattutto americani e inglesi,
innamorati della tetralogia di Elena Ferrante e della storia di Elena Greco e Raffaella ‘Lila'
Cerullo, desiderosi di conoscere il rione, tratteggiato ne L'Amica Geniale.” → Nel secondo
testo la frase marcata è la prima frase, e si parla di dislocazione a destra. Nella scelta della
dislocazione agisce la considerazione di come si può trattare un info in una frase. Se per noi
la parte della frase è un topic (qualcosa che condividiamo per presupposizione con
l’interlocutore o già parlata) e vogliamo parlarne abbiamo due modi di farlo:
 Tematizzare con dislocazione a sinistra: ripresa del pronome analogico (come nel
primo testo).
 Tematizzare solo con il pronome come se davvero avessimo già detto il nome di ciò
di cui parliamo.
Questi costrutti sono sempre esistiti, sono antichi nella storia italiana ma nella
grammatica scolastica non erano trattati fino agli anni ‘90. Si tratta di frasi che per il
fatto di non essere entrate nel sistema scolastico sono state considerate tipiche del
parlato e qualcuno le considera erronee, ma esse sono completamente grammaticali.
Questi costrutti però ormai sono entrati nella scrittura come, ad esempio, la
dislocazione a sinistra è stata introdotta nella scrittura accademica mentre la
dislocazione a destra è più marcata. La dislocazione a destra, a differenza di quella a
sinistra, è più usata (soprattutto nella saggistica brillante e nella scrittura giornalistica).
4. “la città di vico sono già diversi mesi che siamo a zero contagi” = la città di vico in questo
enunciato non è il soggetto grammaticale, bensì il tema libero (topic), perché già siamo a
conoscenza di questa info il parlante tematizza la città di vico e la tratta come topic per poi
dare la parte rematica dell’enunciato. La relazione è solo semantica. Siamo di fronte a un
tema sospeso, che ha la stessa funzione della dislocazione, e serve a collegarsi ad un tema
già attivato, ma si può usare solo nel parlato perché è scorretta nell’uso scritto; poi segue
l’info rematica (nominativus pendens perché c’è il soggetto appeso).

LA FRASE MARCATA
Le frasi marcate presentano un ordine dei costituenti diverso da quello tipico (SVO). L’ordine delle
parole è condizionato dal rapporto con la struttura informativa dell’enunciato: dal dato e dal
nuovo, da ciò che il parlante suppone sia o non sia presente nella memoria del suo ascoltatore al
momento dell’enunciazione. Le frasi marcate sono spesso usate nell’italiano parlato o in uno
scritto che riproduca le caratteristiche dell’oralità perché sono utili per evidenziare le componenti
informative degli enunciati.
Le frasi con focalizzazioni indicano quali informazioni sono di primo piano e quali sono sullo
sfondo.
Le frasi possono avere un ordine delle parole marcato o non marcato:

 non marcato = uso normale


 marcato = ragione speciale
Una frase può essere non marcata:

 pragmaticamente (adatta a un numero illimitato di contenuti e situazioni)


 sintatticamente: l’ordine dei costituenti corrisponde all’ordine che essi hanno nella
struttura ricostruita dalla teoria linguistica
 fonologicamente: ha un andamento melodico di una curva continua senza interruzioni o
picchi, una sua intonazione propria, attesa.
Se ci occupiamo dell’ordine delle parole guardiamo alla marcatezza pragmatica e sintattica.
Es: Frase non marcata → “Roberto beve una birra” (S V OD)
Frase marcata → “La birra, la beve Roberto” (OD V OD S)
La frase è fondata su un argomento di cui si dice qualcosa.
Il TEMA (TOPIC) è l’argomento principale: ciò di cui si afferma qualcosa; il REMA (COMMENT) è ciò
che si dice dell’argomento, ciò che si afferma (è la parte che realizza lo scopo dell’enunciato).
Il tema a volte coincide con il soggetto e il rema con il predicato:
Es: “Pier Mattia è simpatico”
A volte non coincide:
Es: “A Pier Mattia piacciono le fotografie d’epoca”
Nelle frasi non marcate la parte iniziale della frase coincide col dato e quella finale col nuovo
(prima il vecchio e poi il nuovo).
Con alcuni verbi il soggetto è normalmente posposto al verbo. È una costruzione marcata
sintatticamente ma non pragmaticamente (l’intonazione è normale):
Es: “È arrivato Luca”
Accade con i verbi inaccusativi (arrivare, succedere…): il soggetto ha le proprietà dell’oggetto
diretto, che ha normale posizione postverbale.
La possibilità di avere un soggetto postverbale dipende dalla proprietà di alcuni verbi di
sottintendere un argomento locativo: il soggetto è il nuovo.
Es: “Ha telefonato un tuo amico”
LE FOCALIZZAZIONI
Per focalizzazione si intende l’insieme di fenomeni che consentono di mettere una porzione di
enunciato in maggiore evidenza di altre.
Sono segnalazioni di informazioni in primo piano (più importanti, attivate per la prima volta)
rispetto a uno sfondo (meno importanti, già attivate)
Le strutture marcate hanno la funzione di mettere in evidenza una parte dell’enunciato rispetto al
resto, e quindi sono strumenti della focalizzazione. Quando l’enunciato ha forma non-marcata, il
rema può coincidere con l’intero enunciato.
Es: “-Ciao, eccoti: ci domandavamo dove fossi!” “-Sono andato a casa di un amico”
In enunciati più lunghi, una struttura non-marcata permette anche che una parte dell’enunciato
sia tematica, cioè fornisca solo appoggio semantico alla comprensione del rema.
Es: “-Ciao, eccoti: ci domandavamo dove fossi!” “-Appena uscito dalla palestra (tema), sono stato
in biblioteca (rema)”
Il contenuto della subordinata anteposta può anche essere nuovo per il ricevente ma
dall’emittente è presentato come accessorio. Solo la parte rematica dell’enunciato è davvero
asserita, e quindi riceve piena attivazione.
Strumenti delle focalizzazioni:
1) segnali prosodici
Negli enunciati assertivi la posizione della prominenza accentuale è marcata se non è
sull’ultima parola dell’enunciato
Quando la tonica è in posizione marcata, il costituente è focalizzato come rema ristretto.
Es.: “CARLO è arrivato” “non ho MAI parlato di soldi”
Se lo stesso enunciato avesse la tonica sull’ultima parola, il rema potrebbe coincidere con
tutto l’enunciato: Carlo è arrivato
Il costituente che porta la tonica in posizione marcata è focalizzato.
2) segnali sintattici
Alcuni costituenti per essere focalizzati, vengono spostati dalla loro posizione naturale
(non-marcata) ad una speciale (marcata). Questo meccanismo è la dislocazione, che si
accompagna alla segnalazione prosodica del rema ristretto, e che consiste nello
spostamento di un costituente dalla sua posizione non-marcata a un’altra marcata, con la
funzione di segnalare univocamente il suo statuto informativo.
Con le dislocazioni si hanno focalizzazioni (segnalazioni di un costituente come rema
ristretto) o topicalizzazioni (segnalazioni di un costituente come tema) che si possono
avere con uno spostamento sia a destra che a sinistra rispetto alla posizione non-marcata e
con una particolare prosodia.
Es: “L’amica di Federica, hanno bocciato”
Le dislocazioni e i temi sospesi possono essere la conseguenza del processo di esecuzione
linguistica tipico del parlato spontaneo: un’esecuzione che procede ‘pezzettino per
pezzettino’ e che non controlla l’enunciato nella sua interezza, perché a ogni movimento
informativo lascia aperta la possibilità di un cambio di microprogettazione del discorso.
dislocazione a destra
Se l’elemento dislocato è posto dopo la prominenza accentuale esso è tematico. La
focalizzazione è sul costituente che porta la tonica, che diventa un rema ristretto (il
costituente dislocato è così un particolare tipo di tema posposto al rema, un’appendice).
La dislocazione a destra ha due varianti: una in cui il referente del tema posposto è
anticipato da un pronome clitico, e una in cui il clitico non c’è:
Es: “Lo vuole (rema) un caffè? (tema)”
“È rimasta (rema) proprio indietro la Chiesa (tema)”
Per posizione marcata della prominenza accentuale si possono intendere due condizioni:
 la prominenza non è sull’ultima parola dell’enunciato.
 la tonica è su un costituente dislocato (a destra o a sinistra)
Poiché la prominenza accentuale individua il rema sia a destra che a sinistra, e più in
generale in ogni posizione dell’enunciato, è ragionevole attribuire ad essa, e non all’una o
all’altra posizione sintattica, il ruolo determinante nel fare di un costituente il rema; ma il
fatto che il costituente sia dislocato o che sia spostata la tonica sono responsabili della
natura ristretta del rema, e quindi della presenza di una focalizzazione.
Il costituente dislocato è in genere dato (tema o topic).
La dislocazione a sinistra serve a mantenere il flusso dato-nuovo anche se il dato non
coincide con il soggetto della frase.
La dislocazione a destra tendenzialmente serve a chiarire la frase (ripensamenti di ciò che
si presuppone dato)
Il clitico di ripresa (anaforico) è obbligatorio nel caso di dislocazione a sinistra dell’OD; è
facoltativo negli altri casi e nella dislocazione a destra:
Es: “Roberto, non l’ho più incontrato”
“A Roberto non (gli) ho comprato niente”
“(L’) ho dato a Roberto il telefono”
“(Ci) vado domani, a Firenze”
Le funzioni della dislocazione a destra sono:
 presentare il Topic o tema come già dato nella conversazione o più in generale
come già noto (effetto di familiarità, “quasi di ammiccamento”);
 enfatizzare il Comment o rema (effetto combinato al precedente);
 mettere in rilievo l’elemento extraposto (specie quando questo è un pronome
tonico; il rilievo è assicurato sul piano intonativo dalla posizione finale senza
soluzione di continuità e marcato dalla ridondanza morfosintattica;
 registrare un movimento comunicativo che è un “ripensamento”: si aggiunge alla
fine della frase un’informazione che si giudica importante, considerata in un primo
momento scontata.
dislocazione a sinistra
Le frasi marcate a sinistra mettono al primo posto il tema (o Topic) dell’enunciato:
Es: “Questa torta /metterla in frigo / è inutile, no?”
In merito a questi costrutti si parla pertanto di topicalizzazione. Nel parlato, infatti, è
abbastanza naturale richiamare prima ciò di cui si parla e poi ciò che si vuole dire su questo
Topic. Questo rilievo del Topic ha spesso anche una funzione contrastiva o aggiuntiva:
Es: “Sì ma / ci provo // che me frega // a me mi basta passare” (rafforzamento
fonomorfologico del pronome clitico: non è un errore di grammatica come talvolta si è
insegnato a scuola).
Le costruzioni marcate a sinistra possono essere sfruttate anche per imporre un nuovo
Topic nella conversazione:
Es: “Ma a tua mamma gliel’hai detto?” (interrompendo qualcuno che ci racconta
qualcosa). E, ancora, l’elemento dislocato a sinistra o il tema sospeso possono indicare “il
centro di interesse per il locutore”; per esempio, quando le frasi marcate cominciano con
il pronome di prima persona Io:
Es: “Io di solito tutti i libri che ho controllato dal sito poi c’erano in biblioteca” (da un
messaggio postato in rete).
Se l’oggetto dislocato è un pronome di prima o seconda singolare può essere preceduto
dalla preposizione “a”, e non solo nelle varietà regionali che presentano l’accusativo
preposizionale:
Es: “A me mi hanno già chiamato”
“A te non ti chiameranno”
Con i pronomi di terza singolare e plurale e con un nome la costruzione con “ a” è tipica
dell’italiano spontaneo centro-meridionale (assente in quello settentrionale e toscano):
Es: “a loro non li controlla nessuno”
“Secondo me a lei non la dovevi lasciare”
La dislocazione a sinistra svolge le funzioni che spesso ha il passivo nell’uso più formale: si
mette in rilievo un elemento diverso dal soggetto (l’oggetto, oggetto indiretto; il passivo
permette anche di non esprimere il soggetto).

3) segnali lessicali
alcune parole tendono a essere usate con la focalizzazione di un costituente. Sono avverbi
o congiunzioni come: “anche, neanche, pure, neppure, solo, soltanto, solamente, proprio,
soprattutto, perfino (persino), addirittura”.
Sono stati chiamati avverbi paradigmatizzanti perché evocano un paradigma, cioè una lista
di altre entità della stessa natura di quelle che introducono, e rispetto a cui esprimono
inclusione, esclusione, diversa probabilità.
Es: “Anche la forma (rema) varia (tema)”

LA TOPICALIZZAZIONE
Il costituente è dislocato a sinistra ma la prominenza accentuale rimane a destra (segnalazione di
un tema delimitato).
In italiano moderno il costrutto è reso perlopiù con un pronome clitico di ripresa (più frequente del
suo corrispondente senza clitico):  
Es: “Francese (tema) l’ho fatto alle medie (rema)”
LA FRASE SCISSA
Un altro costrutto marcato è la frase scissa, una frase che ha questa una struttura spezzata in più
parti: essere + elemento contrastato (REMA) + che + TEMA. Il verbo essere mette in rilievo il
“nuovo”; il che apre il “noto”. Il costituente focalizzato è quello tra il verbo essere e il che e si trova
a sinistra:
Es: “è lui che mi ha chiamato”
“è a Roberto che ho regalato il libro”
“è in questo modo che si risolve il problema”
La frase scissa ha anche una forma implicita, che si può avere quando l’elemento focalizzato è il
soggetto:
Es: “è stato Roberto a chiamare Luisa” (= non è Luisa che ha fatto la telefonata).
La costruzione delle frasi scisse può essere anche inversa, con focalizzazione sul rema a destra:
Es: “a farmi paura è la nebbia” (= è la nebbia che mi fa paura).
Gli elementi evidenziati in grassetto in queste frasi scisse sono il focus nella progressione
informativa. La frase scissa mette in rilievo così l’informazione più importante e la sua relazione
con l’informazione di sfondo: l’elemento scisso ha un rilievo prosodico e coincide con il focus della
frase, cioè con l’informazione più importante dal punto di vista comunicativo. Nel parlato le frasi
scisse servono a segnalare in modo chiaro il focus, anche per contrastare o correggere ciò che
qualcun altro crede.
Es: “- Perché gli hai telefonato?” “- ma è lui che mi ha chiamato!” (= non sono io che ho
telefonato).
“Sono tre ore che ti aspetto” (l’elemento scisso è un sintagma nominale con valore di durata
temporale: perde la preposizione che avrebbe nella frase non marcata: “ti aspetto da tre ore”).
La funzione della frase scissa è di dare rilievo prosodico all’elemento scisso che coincide con il
focus della frase, cioè all’informazione più importante dal punto di vista comunicativo. Questo
elemento è un contenuto presupposto, dato per scontato. Nel parlato le frasi scisse hanno due usi
tipici, che sfruttano il forte rilievo attribuito al loro Focus (lo segnalano in modo molto chiaro, con
la sintassi e l’intonazione). Il primo impiego ha carattere polemico:
Es: “- Tu vuoi avere ragione a tutti i costi.” “- No, sei tu che vuoi parlare a tutti i costi”
Il secondo uso è di tipo metadiscorsivo:
Es: “è questo che ti sto dicendo”
Nello scritto, anche in quello formale, la frase scissa oggi viene usata senza mettere in contrasto
l’elemento che regge il verbo essere; lo scopo è soltanto metterlo in rilievo:
Es: “È De Niro che raccoglie il testimone di Matteo Scuro, il personaggio di Mastroianni nel terzo
film di Tornatore”
Nello scritto la frase scissa è usata infatti come dispositivo coesivo: l’elemento scisso riprende con
un elemento anaforico una parte del testo e la subordinata introduce un nuovo Topic.
Da non confondere con le frasi scisse le normali frasi relative appositive:
Es: “- Chi è quella ragazza?” “- Non la riconosci? È Maria, che è appena tornata dal Cile” (questa
frase non mette in rilievo con l’intonazione l’elemento che segue la copula è).
Le frasi pseudoscisse sono normali frasi copulative che non hanno le caratteristiche sintattiche
marcate delle frasi scisse. Il costituente posto dopo il verbo essere è focalizzato e si trova a destra:
Es: “chi ha sbagliato sei tu”
Nelle frasi pseudoscisse si nota un soggetto non individuato (un dimostrativo, un pronome relativo
indipendente o un nome generico) + una frase relativa restrittiva + verbo essere.
Al contrario di quanto accade nelle scisse, però, l’elemento focalizzato occupa qui la normale
posizione finale. La costruzione inversa è qui, ad esempio, “sei tu quello che ha sbagliato”
(focalizzazione a sinistra).
Le frasi pseudoscisse isolano da un punto di vista sintattico e intonativo il Focus informativo della
frase, danno per scontato il contenuto nella subordinata iniziale. Presentano il Focus alla fine della
frase e non all’inizio:
Es: “Chi mi dà fastidio è lui”
O in un costrutto inverso:
Es: “è Maria quella di cui mi fido di meno” (si sposta il Focus in posizione iniziale, come nella frase
scissa).
ESERCITAZIONE:
“La sconfitta dell'Inter ha dato una mano al Napoli. A dirlo è il tecnico Maurizio Sarri, che
ammette che l'essere scesi in campo dopo il ko dei nerazzurri è stato d'aiuto ai suoi.”
La seconda unità informativa del frammento di testo è avviata da una frase scissa con costrutto
implicito inverso: la parte tematica (a dirlo) precede quella rematica (è il tecnico Maurizio Sarri). In
questo caso indica la fonte della citazione e realizza una progressione di tipo globale: la proforma
“lo” enclitica in “dirlo” serve a incapsulare il tema testuale, ovvero l’intera prima unità informativa
del testo, per preparare l’espressione di un’informazione nuova.
!!PROMEMORIA!!
È stata la presidente che ha aperto i lavori (frase scissa con costrutto esplicito)
È stata la presidente ad aprire i lavori (frase scissa con costrutto implicito)
Chi ha aperto i lavori è la presidente. (frase pseudoscissa)
Ad aprire i lavori è stata la presidente (frase scissa con costrutto implicito inverso / scissa inversa)
I lavori, li ha aperti la presidente (dislocazione a sinistra)
Li ha aperti la presidente, i lavori (dislocazione a destra)
Lezione 16 (24/11)

ESERCITAZIONE:
1. “Padova premia Crisanti: “Un rimpianto ce l’ho, dovevo urlare più forte”.” = la frase
marcata è “un rimpianto ce l’ho” perché c’è un costrutto di dislocamento a sinistra in cui si
mette in evidenza il tema “un rimpianto”; c’è anche la presenza del ci attualizzante seguito
dal verbo avere che è una forma proclitica.
2. “Avvocato, lei ce l’ha un’intelligenza artificiale?” = la parola “avvocato” è un allocutivo ed
è dislocato a sinistra, e viene poi ripreso dal pronome allocutivo lei. Si ha poi una
dislocazione a destra del topic (tema) “intelligenza artificiale” che viene anticipato dal
pronome cataforico “l” + ci attualizzante seguito dal verbo avere.
3. “Quando era solo una ragazza era riuscita a far entrare l'amore nel cuore colmo d'odio di
alcuni fascisti e qualche settimana fa, a 96 anni, aveva sconfitto anche il Covid-19: si è
spenta l'altra notte, all'ospedale Fracastoro di San Bonifacio, Lina Tegazzini o, meglio, la
partigiana «Fiamma». Era questo il nome di battaglia che si era scelta quando, tra 1943 e
1944, aveva deciso di «combattere contro chi non ci voleva liberi ma servi ubbidienti»: la
sua scelta ce l'aveva spiegata lei stessa, con queste parole, quando tre anni fa, nella sua
casa di Monteforte d'Alpone, per la prima volta aveva deciso di raccontare la sua storia.”
= La frase “era questo il nome di battaglia…” non è scissa perché in questo caso il "che" è
relativo che riprende l'oggetto. Quindi sono una principale e una subordinata relativa. Il
costrutto marcato è “la sua scelta ce l’aveva spiegata lei stessa”, in cui vi è la
topicalizzazione dell’oggetto diretto “scelta” tramite dislocazione a sinistra che è poi
ripreso dal pronome anaforico “l”. Il “ce” non è attualizzante perché è sostituibile con “a
noi” e non con “ci”, esso è quindi un OI e non un “ci attualizzante”.
4. “In realtà, come sappiamo, i primi testi della nostra letteratura non vengono né da
Firenze, né dalla Toscana: non sono di quest’area né i primi componimenti di argomento
religioso né la poesia lirica, con cui il poeta esprime sentimenti ed emozioni. È però in
Toscana che si copiano le poesie composte dai poeti della corte di Federico II e che
soprattutto si allestiscono i grandi manoscritti che confezionano con consapevolezza i
primi canzonieri dell’antica lirica giunti fino a noi.” = Costrutto marcato è nella frase scissa
“è però in toscana…” in cui la prima parte è il rema e poi troviamo il tema. Poi c'è
coordinazione e continua la frase complessa.

FRASI COMPLESSE
Mentre la frase semplice presenta un solo processo (un solo verbo con i suoi argomenti e margini),
la frase complessa o periodo presenta un processo complesso. Un periodo è una struttura di frase
che contiene una o più frasi tra i suoi costituenti, indipendentemente dl fatto che le frasi che la
compongano siano coordinate o subordinate. I legami possono essere due: coordinazione e
subordinazione.
LA COORDINAZIONE (PARATASSI):
Es: “Marco ha chiamato Lucia e le ha detto tutto”
Le frasi coordinate sono:

 esterne l’una all’altra,


 non sono in rapporto di inclusione,
 hanno la stessa funzione sintattica.
Il rapporto della relazione tra queste frasi non è sempre codificato. Dipende dal significato della
congiunzione che lega le due frasi (e, o, oppure, ma, né ecc.). La congiunzione e, ad esempio,
stabilisce una cooccorrenza tra due processi. A volte basta questo per formare un periodo
coerente. Altre volte il rapporto tra le informazioni presentate dalle frasi si capisce ragionando sui
significati delle due singole frasi legate.
Es: “Carlo gioca a tennis e fa un corso di inglese” (cooccorrenza)
“Marco ha chiamato Laura e le ha raccontato tutto” (successione temporale o rapporto finale).
Il rapporto può diventare più chiaro se si usano verbi o locuzioni adatte.
I tipi di coordinazione possono essere:

 copulativa: e, anche, pure


 avversativa: ma, però, bensì
 disgiuntiva: o, oppure
 esplicativa: cioè
 correlativa: non solo… ma anche
Es: “Andrea si è alzato tardi perché era andato a letto tardi e perché non ha sentito la sveglia” =
abbiamo due subordinate causali che sono in rapporto di coordinazione.
Nella grammatica tradizionale la coordinazione è identificata in base al criterio dell’autonomia

sintattica e semantica (si indica che sono coordinate le frasi che possono reggersi da sole), ma
questi criteri non sono sempre validi. In una frase complessa come questa le due completive sono
coordinate ma non autonome: “Mi pare che si sia accorto dell’errore e che si sia scusato.”
La coordinazione, tuttavia, riguarda più spesso elementi minori come parole o sintagmi:
Es: “L’appartamento ha due grandi stanze e un bagno.”
Con la linguistica contemporanea, la coordinazione non viene definita a partire dalle frasi
principali, ma è considerata il fenomeno che unifica due o più costituenti di qualsiasi estensione,
facendone un costituente di uguale funzione che agisce nel contesto della frase.
LA GIUSTAPPOSIZIONE
Le frasi possono essere collegate anche solo con la punteggiatura, e con la giustapposizione si crea
una sequenza con un collegamento asindetico (senza legame esplicito, ma solo tramite
punteggiatura). Nella giustapposizione le relazioni concettuali tra le frasi si capiscono con
un’inferenza, cioè con un ragionamento sui significati delle frasi.
Es: “Non sono uscito oggi: pioveva” (frasi giustapposte, sequenza)
LA SUBORDINAZIONE (IPOTASSI)
Con la subordinazione alcune frasi sono incluse in altre frasi:
si segnala un rapporto di dipendenza logica tra una frase secondaria (subordinata, dipendente) e
una frase principale (reggente); questa codificazione esplicita è fatta tramite una congiunzione.
Così come nella frase semplice dobbiamo distinguere gli argomenti del verbo dai margini del
processo e del predicato, anche nel periodo distinguiamo frasi argomentali da frasi circostanziali
(margini: tempo, causa, concessione, fine, strumento…).
FRASI COMPLETIVE
Le frasi argomentali sono argomenti di un verbo (soggetto o oggetto). Si chiamano anche frasi
completive, proprio perché completano il significato di un verbo svolgendo il ruolo di oggetto
diretto (oggettive) o di soggetto (soggettive). Le costruzioni delle frasi completive possono essere
esplicite o implicite.
1) Le frasi oggettive nel periodo hanno il ruolo di complemento oggetto:
Es: “Gli ho spiegato che non andrò a Roma”
“Ricordati di spegnere il computer”
I verbi che reggono le oggettive sono perlopiù quelli che descrivono le attività percettive o
psicologiche (percezioni: vedere, sentire, accorgersi…; espressione linguistica: dire,
scrivere, raccontare…; conoscenza: sapere, imparare…; giudizio: credere, pensare,
ritenere…; sentimenti: augurarsi, meravigliarsi, preoccuparsi… O, ancora, verbi come
promettere, ordinare, permettere, consigliare, suggerire…)
Nel costrutto esplicito il verbo dell’oggettiva è introdotto da “che” ed è all’indicativo, al
congiuntivo o condizionale.
Es: “Credo che Marco sia in ritardo”
Una frase oggettiva può essere introdotta anche da “come”.
Es: “Ho spiegato a Luca come sia difficile studiare insieme a lui”
Nel costrutto implicito il verbo dell’oggettiva è introdotto dalla preposizione “di” ed è
all’infinito.
Es: “Credo di essere in ritardo”
Anche alcuni nomi e aggettivi possono reggere frasi completive oggettive:
Es: “La sensazione che tu mi stia nascondendo qualcosa mi dà fastidio”
Come accade nella frase semplice, anche l’oggetto rappresentato da una frase oggettiva in
un periodo può essere dislocato. Ciò accade quando si tematizza l’informazione contenuta
nella frase completiva:
“Mi aveva detto che tornava” > “Che tornava me l’aveva detto” (“l’” è un pronome
anaforico)
“Come sia scappato non si sa / nessuno lo sa.”
2) Le frasi soggettive svolgono il ruolo di soggetto della frase principale:
Es: “Che domani il professore faccia lezione non è certo”
“Sembra che domani torni il bel tempo”
Hanno bisogno di una frase soggettiva verbi o predicati come: accadere, succedere,
sembrare, parere, è bello, è giusto, è ora, è meglio; o anche le forme impersonali dei verbi:
si dice, si sa, si crede. Anche la forma esplicita della frase soggettiva è introdotta da “ che”.
Nel costrutto implicito le troviamo introdotte da “di”
Es: “Si consiglia di non mettersi in viaggio”
Oppure hanno un’introduzione diretta:
Es: “È ora di cominciare la lezione”
3) Le frasi interrogative indirette sono quelle che esplicitano un dubbio, una domanda,
contenuti nella frase principale (nel verbo che completano). Sono un tipo particolare di
frasi oggettive: sono l’oggetto di un verbo che esprime una domanda, un verbo di
conoscenza o percezione in forma negativa, interrogativa o imperativa. Possono esplicitare
quindi un dubbio o una domanda; o essere il resoconto di una domanda.
Es: “Gli ho chiesto da dove venisse”
“Mi chiedevo se sarebbe davvero partito”
Le domande totali (quelle che hanno come risposta “sì” o “no”) sono introdotte da “se”. Le
domande parziali (a risposta aperta) sono introdotte da avverbi, pronomi e aggettivi
interrogativi: chi, che cosa, dove, quale, quando, come, perché.
4) Le frasi relative sono l’espansione di un nome. Nel periodo hanno la funzione di attributo
(aggettivo), e sono quindi un modificatore di un nome. Sono introdotte dai pronomi: che, il
quale, cui, quanto, dove.
Le relative possono avere un antecedente, possono cioè riprendere un nome
Es: “Sto aspettando il treno che parte alle 11.”
“Il fatto risale allo scorso giugno, quando la signora decide di partire per le vacanze.”
O possono essere frasi relative libere quando sono introdotte da un pronome relativo
“doppio” (non c’è la ripresa esplicita di un nome)
Es: “Chi vuole raggiungerci può avvisarci con un’e-mail.”
“Chi arriva per ultimo paga per tutti”
“Non invitare chi si è comportato in modo antipatico”
È importante distinguere tra relative restrittive e relative appositive. Le relative restrittive
limitano il significato del nome a cui si riferiscono
Es: “Gli studenti che non hanno ancora sostenuto l’esame possono presentarsi domani”
(soltanto quegli studenti tra tutti gli studenti). 
Le relative appositive danno una proprietà o attribuiscono un’azione, un fatto a un
referente già identificato
Es: “Gli studenti, che questa mattina hanno fatto l’esame, nel pomeriggio erano tutti molto
più rilassati” (tutti gli studenti).
Lezione 17 (30/11)

ESERCITAZIONE:

1. “Torniamo al verbo di cui abbiamo descritto (al cap. VI) la forma e osserviamone ora il
funzionamento. In italiano, come in molte altre lingue, il verbo è il centro della frase. Se
non c’è verbo o non è intuibile (perché sottinteso) una frase non ha senso compiuto.
Parlando o scrivendo capita di ometterlo, ma è il contesto comunicativo a sopperire alla
sua assenza e comunque questa non può essere troppo prolungata. Questa centralità
comunicativa il verbo la ottiene legandosi al soggetto (ce n’è sempre uno, meno nei pochi
verbi impersonali) e trasferendovi sopra il contenuto informativo del proprio significato
e, spesso, anche quello di altri elementi che da lui dipendono (i suoi complementi).” =
“ma il contesto a sopperire...” è un costruttore marcato, con frase scissa con verbo
essere+il rema, “a sopperire...” introduce l’infinito e sarebbe il tema. Un'altra frase marcata
è “questa centralità comunicativa...”, ed è una dislocazione a sinistra ripresa dalla particella
“la”, che è un clitico e grammaticalmente è un pronome atono, un clitico con funzione
anaforica.

2. “Era il manager degli spettacoli dei gladiatori a Pompei, uno degli uomini più in vista
della città romana. Si chiamava Gneo Alleo Nigidio Maio, era considerato il “principe”
della colonia. Fu lui che, in occasione della dedica di un grande edificio termale, offrì ai
suoi concittadini un grandioso spettacolo nell’anfiteatro, coperto per l’occasione da un
grosso telone, il velario, con caccia di fiere, giochi atletici e spargimento di profumi.” =
“fu lui che..offrì…” qui c’è una frase scissa marcata , perchè si dice “è lui” e non un altro.
“Era considerato..fu lui (cioè non un altro)”, quindi si ha l'effetto combinato di una frase
scissa, che porta il focus su una parte tema-rema nella forma prototipica c’è questa
struttura del verbo essere, con l'elemento contrastato messo in rilievo, con il pronome
anaforico “lui”. C’è un primo rinvio a questo referente e più sotto, dove c’è il nome proprio
dell’uomo, c’è la ripresa del referente. 0 ellissi anaforica

1. “Negli ultimi dieci anni quasi due milioni di studenti hanno lasciato la scuola secondaria.
A dirlo è un rapporto appena pubblicato su Tuttoscuola, noto periodico d’informazione
educativa, che a questo dato scoraggiante aggiunge altre cifre non meno preoccupanti.”
= frase marcata “a dirlo…” frase scissa con costrutto implicito inverso. Il tema “a dirlo”
presenta il pronome anaforico “lo”.

2. “Dunque c’è un lago su Marte. Anzi, sotto Marte: nel sottosuolo. Un lago di acqua liquida.
Il primo e unico lago conosciuto sul Pianeta rosso. E a scoprirlo è stato un gruppo di
scienziati guidato da un ricercatore italiano: Roberto Orosei dell’Istituto nazionale di
astrofisica.” = “E a scoprirlo è stato un gruppo di scienziati”, c’è prima la parte rematica,
con l'insieme di questi frammenti di frasi molto brevi. “Un lago di acqua liquida” ha senso,
fa ben parte del testo, ma non ha il verbo e quindi è una frase nominale. “Il primo e
unico…” con punteggiatura marcata, tipica dei giornali. “E a scoprirlo..” è una frase scissa:
introdotta da un connettivo testuale “e”, pronome inclitico che incapsula tutto ciò che è
stato detto finora, ed è necessario perché altrimenti non avrebbe avuto senso ripetere
tutto dal punto di vista testuale.

3. “E come potrò spiegare a chi non è di Napoli cosa è stato Maradona? Non posso
spiegarlo. Stavolta il dolore ce lo teniamo noi e solo noi, così grande... perché solo noi
l'abbiamo avuto così vicino, così unico, così ferito, così spavaldo, così folle, così in grado
di interpretare la gioia di tanti facendolo in un gioco, in un gioco semplice che tutti
possono capire e che tutti possono giocare. Una palla in mezzo al campo, due porte,
l'intelligenza, il talento, la lealtà, la bravura. Tutto quello che è fuori dal campo lo potevi
ottenere grazie a mediazione, con compromessi, ma in campo no. In campo le regole di
fuori non valevano, altrove avevi bisogno d’aiuto, ma in campo no: in campo con le tue
forze potevi farcela. La magia di Maradona è stata questa, far sognare tutti e far pensare
a tutti che il sogno si può realizzare. Che essere veramente un Dio si può perché quando
lo guardavi, quando tifavi, ti faceva sentire immortale. E ora che lui è morto noi ci
accorgiamo che Dio, che Diego era mortale. Ci accorgiamo che noi siamo mortali. Con la
sua morte, mortali lo siamo diventati tutti.” = “stavolta il dolore…” dislocazione a sinistra
pk è messo i primo piano l’oggetto diretto che viene poi ripreso dal ci attualizzante e poi dal
pronome clitico “lo”. “tutto quello…” dislocazione a sinistra in cui viene ripreso l’oggetto
diretto dal pronome clitico anaforico “lo” per porre in primo piano il rema. “che essere
veramente…” dislocazione a sinistra. “mortali lo siamo diventati tutti” dislocazione a
sinistra del predicato nominale in cui mortali è tematizzato.

Cos’è un testo? È l’oggetto fondamentale della nostra comunicazione linguistica. Si definisce per:

 la sua natura funzionale → è realizzato per uno scopo comunicativo globale

 la sua sostanza → è un un’unità semantica concettuale (la sua struttura semantica si riflette
sulla sua superficie linguistica)

Sostanza semantica del testo: l’insieme di concetti collegati che rappresentano un “pezzo di
mondo” (reale, immaginario, negato ecc.) riuniti per raggiungere un particolare obiettivo
comunicativo: informare, spiegare, proibire ecc. Una delle qualità essenziali del testo è la
coerenza, e ci permette di capirlo. La coerenza può anche essere violata volutamente (come nel
caso dei testi comici) dicendo più o meno informazioni del necessario, oppure utilizzando un
linguaggio non adatto al tipo di testo.

Il testo è l’unità informativa massima. Il testo è sostanziato da aspetti:

 linguistici → informazioni date dalle parole e dalla struttura sintattica


 extralinguistici → il contesto, chi scrive, destinatario, situazione comunicativa

Isotopia: la presenza di relazioni concettuali, cioè tutte le frasi presentano informazioni che
concordano semanticamente con ciò che viene precedentemente affermato, ed è quindi la
relazione tra gli elementi lessicali del testo che condividono aspetti semantici.

Il contenuto di un testo è compreso con le operazioni di:

 decodifica → associare alle strutture linguistiche significati convenzionali; cogliere i


contenuti espliciti;

 inferenza → precisare e completare significati linguistici espliciti con contenuti di origine


extralinguistica e creare contenuti nuovi; cogliere i contenuti impliciti.

Il testo si articola in unità comunicative. L’unità comunicativa è il risultato di

 un’azione comunicativa provvista di una funzione illocutiva (asserzione, richiesta ecc.)

 una funzione di composizione testuale definita rispetto al cotesto (conclusione,


motivazione, introduzione ecc.)

L’unità comunicativa può essere quindi costituita da una parola, una frase semplice, una frase
complessa.

L’unità comunicativa può articolarsi a sua volta in unità informative (una frase reggente + le sue
proposizioni incluse). A un livello superiore le UC si raggruppano in movimenti testuali: sequenze
di unità comunicative riunite da una funzione illocutiva e testuale globale.

ESEMPIO: “Chiusa da circa un’ora per guasto tecnico la Funicolare Centrale. L’impianto (la
Funicolare centrale) aveva riaperto i battenti lo scorso luglio, dopo essere rimasta ferma per
quasi un anno per la manutenzione ventennale. Il malfunzionamento (il guasto tecnico) si è
verificato attorno alle 13, in pieno orario di punta. I tecnici dell’Anm sono già al lavoro per
risolvere il problema (il guasto tecnico)” questo testo è coerente pk tutte le frasi si riferiscono allo
stesso tema, e lo comprendiamo per le nostre conoscenze del mondo (l’esistenza della funicolare,
cos’è l’orario di punta, che fanno i tecnici). I coesivi servono alla comprensione del testo senza
troppe ripetizioni.

La coesione del testo è garantita dalla concordanza:

 nei sintagmi → concordanze morfologiche di genere e di numero tra nomi, pronomi e


aggettivi

 nelle frasi semplici o complesse (tra sintagmi) → accordo tra nomi e forme verbali

I mezzi per ottenere la coesione sono quindi anzitutto morfologici, e poi lessicali, sintattici e
interpuntivi.

Lezione 18 (01/12)
ESERCITAZIONE:

1. “Una donna indiana incinta a bordo di un aereo della compagnia Jet Airways, (Ø) partito
dalla città saudita di Dammam e diretto a Kochi, in Kerala, ha accusato improvvisamente
le doglie del parto mentre era in volo. E poco dopo (connettivo temporale) (Ø) ha dato
alla luce un bimbo a 11mila metri di altezza, sul Mar Arabico. Per il piccolo (sinonimo) si
tratta di una fortunatissima coincidenza. Secondo quanto scrive l’agenzia di stampa Pti,
infatti (connettivo esplicativo), per festeggiare il lieto evento (incapsulatore lessicale,
axionimo) Jet Airways (ripetizione) ha deciso di assegnare al neonato (sinonimo) un
lasciapassare che gli permetterà per tutta la vita di viaggiare gratis negli aerei della
compagnia.” NON SI SEGNALANO I COESIVI PRESENTI NELLA STESSA FRASE, MA SOLO
QUELLI DEL TESTO.

2. “Una pecora a passeggio in pieno centro storico, fra i turisti che ammirano le meraviglie
del barocco e i salentini intenti a comprare i regali. L’episodio (incapsulatore lessicale) è
accaduto a Lecce e ha suscitato stupore e ilarità tra i passanti (iperonimo). L’animale
(iperonimo) – che da molti era stato scambiato per un cane – camminava seguendo il
padrone nei pressi di piazza Sant’Oronzo e verso la chiesa di Santa Chiara (meronimi). A
un certo punto (connettivo temporale) il proprietario (sinonimo), molto distinto e ben
vestito, è entrato nell’androne di una banca per utilizzare lo sportello bancomat. La
pecora (ripetizione) ha atteso insieme con lui (pronome anaforico) che la porta
automatica si aprisse e poi è entrata, aspettando paziente e docile che l’uomo
(iperonimo) prelevasse il contante. Dopo qualche istante (connettivo temporale) il signore
(iperonimo) è uscito e l’animale (iperonimo) lo ha seguito, facendo ben attenzione alle
auto e riprendendo mansueta la sua passeggiata (incapsulatore).”

I dispositivi coesivi che possono essere utilizzati in un testo sono:

 l’ellissi → pronome Ø, è il coesivo più leggero e debole di tutti (ha bisogno di particolari
condizioni testuali per essere utilizzato bene)
 nomi o pronomi incapsulatori → sostituzione di una forma (referenziale); sono quindi
proforme che riprendono un’intera frase o parti del testo
 la sostituzione lessicale → sinonimi, iperonimi (fiore: tulipano), iponimi (ciclamino: fiore),
meronimi (pagina: libro)
 L’anafora → la ripresa di referenti e informazioni
 la ripetizione → ripetere esattamente il referente (in vario modo o esattamente nello
stesso modo in cui lo si è espresso prima)
 la riformulazione → perifrasi, capacità di riprendere il referente con un giro di parole
Si trovano in ordine di forza, ovvero dal più debole al più forte (dal meno evidente al più evidente).

Si chiama incapsulatore l’elemento linguistico che rinvia a una porzione di testo più o meno
ampia, composta da una o più frasi. Questo elemento può essere lessicale (un nome, un aggettivo,
espressioni polirematiche ecc.) o morfosintattico (pronome, avverbio pronominale, ellissi ecc.).
L’incapsulatore lessicale introduce un nuovo referente testuale portatore di nuovi valori semantici,
che possono essere neutri / denotativi (con parole dal significato generico: cosa, fatto, vicenda
ecc.) oppure valutativi / connotativi (parole che esprimono una forma di giudizio o una particolare
sfumatura di significato: tragedia, minaccia ecc.) che vengono chiamati axionimi.

La perifrasi (riformulazione) è una sostituzione lessicale che ridistribuisce il carico informativo


fondata sulle conoscenze condivise tra scrivente e pubblico, così da riprendere un riferente ma
aggiungendo anche nuove informazioni (arricchimento denotativo).

Es: “Sinisa Mihajlovic ha il covid. L’allenatore serbo è stato sottoposto al tampone ieri ed è
risultato positivo”.

“L’allenatore serbo” si riferisce al referente Sinisa Mihajlovic. Le perifrasi possono essere usate
ogni volta che si presuppone che il lettore abbia le conoscenze di fondo così da capire il
riferimento. Tali riferimenti devono, però, essere trasparenti, poiché se non fossero presenti
informazioni condivise, il testo risulterebbe complicato.

La scelta della forma di ripresa all’interno di un testo dipende in parte da alcune caratteristiche
dell’antecedente, ma non sono regole fisse:

 dal suo tratto semantico [+ umano], [-umano]


 dalla sintassi: il rango (soggetto, oggetto diretto, oggetto indiretto, circostanziali)
 dalla distanza testuale tra antecedente e ripresa (più è alto il numero delle parole, più sarà
opportuno affidarsi a un coesivo forte come la ripetizione)

Nel testo per essere ben ripreso da un coesivo debole, un referente deve essere ben individuabile,
cioè altamente accessibile. Le informazioni, infatti, devono essere distribuite in modo agevole per
il lettore. Si distingueranno quindi:

 l’informazione al centro dell’attenzione (ciò di cui si parla)


 l’informazione disponibile tra le conoscenze condivise (quelle che si danno per scontato,
conosciute)
 l’informazione inferibile dal contesto (quella che si può dedurre)
 l’informazione nuova

I connettivi (avverbi, congiunzioni, preposizioni, espressioni verbali ecc.) servono sia all’interno del
periodo sia tra periodi o tra segmenti testuali ancora più ampi (come capoversi o blocchi più
estesi: dunque a livello testuale) e svolgono tre funzioni principali:

1. funzione logico-semantica: relativa al tipo di rapporto delle frasi del testo come temporale,
causale, concessivo, condizionale, finale. I connettivi testuali, quindi, servono a esplicitare il
rapporto logico che esiste tra le unità (comunicative o informative) del testo. NB. Esistono
anche i rapporti interfrastici, ovvero rapporti tra frasi separate da un punto
2. funzione retorico-testuale: riguarda la partizione interna del discorso, con la segnalazione:
-dell’avvio di un tema → quanto a, a proposito di, per quel che riguarda
-di passaggi argomentativi → ora, dunque, qui, a questo punto, potremmo ora chiederci
-di bilanciamenti interni → non solo… ma anche, intanto… e poi…, da una parte…dall’altra...
-della conclusione → insomma, per concludere, pertanto
-di eventuali richiami interni al discorso → come abbiamo già visto, come dirò tra poco
3. funzione pragmatica: Per fare richiami interni ad un’altra parte del testo servono i deittici
testuali, che indicano l’organizzazione del discorso richiamandosi a una parte di testo
precedente (riferendosi un topic già menzionato) o preannunciando quanto seguirà (in
questo capitolo, nelle pagine che seguono, nel prossimo paragrafo ecc)

La progressione tematica è la giusta costruzione del dinamismo informativo in un testo, della


normale alternanza e recupero di topic e comment. Si definisce in base al rapporto con
l’interlocutore o il lettore. Ne esistono cinque tipi:

1) progressione tematica con topic costante e diretto: un topic ne riprende uno introdotto in
precedenza (coreferenza). Nella progressione a tema costante, le frasi si susseguono
mantenendo lo stesso tema. La progressione tematica a tema costante è un formato di
presentazione delle informazioni molto semplice: si mantiene fermo l’argomento del
discorso e si aggiungono via via dei contenuti nuovi che lo riguardano.

2) Progressione con topic costante associativo: ad esempio, nel testo: “La Sicilia è la regione
in cui gli incendi estivi hanno causato maggiori disastri. Tutte le ragioni italiane hanno
comunque subito gravi danni alle foreste”, “La Sicilia” è ripresa da “tutte le regioni italiane”
per un rapporto associativo.

3) Progressione lineare: un topic riprende un referente collocato all’interno di un comment


veicolato dal cotesto. Nella progressione lineare le frasi si agganciano l’una all’altra
utilizzando come tema il rema della frase precedente: il rema viene riutilizzato come tema.

4) Progressione lineare associativa: un topic riprende un referente collocato all’interno di un


comment veicolato dal testo. Esempio: “Sei anni fa, il Vietnam ha autorizzato l’allevamento
di lumache sudamericane a scopi alimentari. Alcuni esemplari sfuggiti al controllo, hanno
dato vita a colonie molto particolari”. Il topic “alcuni esemplari” riprende un sottogruppo
dell’insieme di “lumache sudamericane” evocate dal comment precedente (per legami
associativi). Il comment di prima diviene topic nel secondo periodo.

5) Progressione globale: un topic riprende una proposizione o una sequenza di proposizioni.


Esempio: “Claudia Cardinale avrebbe schiaffeggiato una hostess che le aveva chiesto di
spegnere la sigaretta all’aeroporto parigino di Orly e sarebbe poi stata portata in
commissariato. Lo scrive oggi il settimanale francese Closer. L’episodio, secondo la rivista, è
avvenuto lo scorso fine settimana”. “Lo” riprende tutto quello scritto prima ed è quindi il
primo incapsulatore. “L’episodio” è il secondo incapsulatore. Globalmente, il topic è
portato avanti dagli incapsulatori.

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