Sei sulla pagina 1di 48

lOMoARcPSD|2139568

Riassunti D'Achille l'italiano contemporaneo

LINGUISTICA ITALIANA (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

CAPITOLO 1 – LA LINGUA ITALIANA OGGI

L’italiano va considerato come una delle grandi lingue di cultura. Il made in Italy ha e
continua ad avere un successo internazionale nella gastronomia, nel cinema, nella
moda etc. per questo alcune parole italiane sono ormai entrate nel lessico
internazionale come: sonetto (piccolo suono, 2 terzine + 2 quartine endecasillabi),
allegro (tempo piuttosto rapido in musica), pianoforte, affresco, maccheroni, ciao
(deriva da schiavo nel senso di sono ai tuoi comandi).

La diffusione dell’italiano non è comunque paragonabile a quella dell’inglese, dello


spagnolo e del francese che hanno esportato le proprie lingue a causa del
colonialismo. Nell’Europa non mancano italofoni (coloro che parlano italiano) in
Argentina o in Australia, persone che sono emigrate, ma sono pochi. Invece sono
sempre di più gli immigrati che vengono in Italia ed imparano l’italiano come
pachistani, rumeni, albanesi, polacchi. Nella maggior parte dei casi però l’italiano è
usato esclusivamente da quelli che sono nati e risiedono in Italia fatta eccezione per
il Canton Ticino (dove si parla un dialetto lombardo), la Corsica (dove si parlano
dialetti centromeridionali), alcune località dell’Istria e della Dalmazia (città legate a
Venezia per vicende storicopolitiche). Ma neppure in Italia tutti parlano l’italiano,
accanto alla lingua nazionale ci sono infatti i dialetti locali che derivano dalla
frammentazione romanza a partire dai romani fino alle diverse vicende storiche
come invasioni, battaglie, etc. Considerando che anche l’italiano si è formato sulla
base del dialetto fiorentino, dobbiamo dire che i vari dialetti hanno la stessa dignità
dell’italiano. Il fenomeno per cui in base alla situazione comunicativa si sceglie se
parlare dialetto o italiano si chiama diglossia.

I DIALETTI ITALIANI

La carta dei dialetti italiani è stata approntata da Giovan Battista Pellegrini nel 1977,
egli ha elaborato anche quello che è il concetto di italoromanzo con riferimento a
tutte le parlate che ci sono solo all’interno del territorio della penisola italiana,
comprese le isole. Si distinguono:

DIALETTI SETTENTRIONALI\MONDO ROMANZO OCCIDENTALE:

-dialetti galloitalici (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna)

-dialetti veneti (Veneto, Trentino)

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Caratteristiche: assenza di consonanti doppie, tendenza alla caduta di vocali atone


non accentate -> fradel

DIALETTI CENTROMERIDIONALI\ MONDO ROMANZO ORIENTALE:

-dialetti toscani

Caratteristiche dialetti toscani: esito del suffisso latino ARIUM\AM in AIO\AIA e non
in ARO\ARA

Gorgia: aspirazione delle consonanti sorde intervocaliche p, t, c

-dialetti mediani (parlati a sud della linea Roma Ancona e cioè nelle Marche centrali,
Umbria, Lazio)

Caratteristiche dialetti mediani: distinzione latina o\u -> omo, ferru

-dialetti mediani di transizione (parlati a nord della linea Roma Ancona) sono quei
dialetti privi di alcune caratteristiche dei dialetti mediani.

Caratteristiche generali: metafonesi (variazione del timbro della vocale) -> uocchie,
russu,

assimilazioni: -> quanno

sonorizzazione della consonante sorda dopo vocale -> trenda

DIALETTI ALTOMERIDIONALI\ MONDO ROMANZO ORIENTALE: Abruzzo, Molise,


Campania, Basilicata, Puglia (no Salento)

DIALETTI MERIDIONALI ESTREMI\MONDO ROMANZO ORIENTALE: Salento, Calabria,


Sicilia.

Caratteristiche dialetti meridionali estremi: in posizione finale ammettono solo i\o\u.

Relativamente alla morfologia ed alla sintassi invece:

DIALETTI SETTENTRIONALI: Obbligatorietà dell’uso del pronome soggetto davanti al


verbo -> el dize

DIALETTI MEDIANI E MERIDIONALI: Presenza del neutro di materia distinto dal


maschile in articoli e pronomi dimostrativi -> lo ferro = il ferro\ lu ferro = l’oggetto di
ferro

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Uso della proposizione A prima di un complemento oggetto -> sient’ a me =


ascoltami

Sistemi linguistici autonomi all’interno del contesto italoromanzo sono: il ladino


dolomitico ed il friulano. Distinti dai dialetti vanno tenuti i dialetti parlati in
Sardegna: gallurese, sassarese etc. che nel loro complesso costituiscono il sardo.

Le altre minoranze alloglotte presenti in Italia sono: il franco provenzale (Valle


d’Aosta, Piemonte, alcuni paesi della Puglia), provenzale, tedesco, sloveno (Venezia
Giulia), croato, albanese (vari centri del sud), grico (Salento), catalano (Alghero),
lingue romanes. Queste minoranze si sono insediate a causa di vicende
storicopolitiche passate e a causa dei fenomeni immigratori contemporanei.

IL TIPO LINGUISTICO ITALIANO

. importanza delle vocali

. libertà di posizione dell’accento tonico

. possibilità di esprimere concetti di grandezza, piccolezza ecc. aggiungendo suffissi


diminuitivi, vezzeggiativi, accrescitivi

. formazione di parole attraverso il meccanismo della composizione: nome + nome,


aggettivo + aggettivo…

. la possibilità di non introdurre il pronome soggetto nella frase

. preferenza per la sequenza determinato + determinante -> il libro di Paolo e non


Paul’s book

. concentrazione semantica non nel verbo, ma nel nome

. libertà dell’ordine delle parole

CARATTERI DELL’ ITALIANO

L’italiano come tutte le lingue ed i dialetti romanzi deriva dal volgare (latino parlato
nell’età imperiale). L’italiano non è solo la lingua rimasta più vicina al volgare e di
conseguenza anche quella che più si rifà ed è al latino classico da cui ha ripreso
parole vere e proprie e strutture morfosintattiche come: formazione del superlativo
col suffisso -issimo o con l’anteposizione all’aggettivo di vari avverbi come
molto,tanto, assai. Quanto alle parole dotte contrapposte alle parole popolari basta

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

citare il caso di floreale, tratto da FLOREALEM rispetto a FIORE e quello di MENSILE,


diverso da MESE.

L’italiano deriva dal dialetto fiorentino del 300, nell’elaborazione di Dante, Petrarca e
Boccaccio. In Italia fu dunque la letteratura alla base dell’unificazione linguistica in
quanto non ci fu quel processo di monarchia nazionale che impose una lingua
precisa. Come ben sappiamo l’Italia sarà caratterizzata fin oltre l’800 da una
frammentazione territoriale che porterà al mantenimento dei dialetti da una parte e
alla formazione della lingua attraverso la letteratura sulla base del dialetto fiorentino
che si impose sugli altri dialetti a causa della fama degli autori che lo usarono. Fino al
1861 l’italiano fu comunque una lingua utilizzata maggiormente nello scritto da
poche persone, cioè solo da quelle alfabetizzate. Erano poche le persone che
avevano una competenza attiva dell’italiano (uso nello scritto e nel parlato). Dopo
l’unità di Italia a causa dell’obbligo scolastico, del miglioramento delle condizioni
sociali economiche e culturali l’italiano si è sempre più insediato come lingua
nazionale. I dialetti però non sono morti, sono solo cambiate le circostanze in cui
vengono utilizzati. Se la Toscana prima era la madre dell’italiano scritto e orale, ora
sta cedendo sempre di più il posto a Roma o ai centri del Nord che impongono
innovazioni linguistiche di largo uso.

ESEMPI: AIO\AIA che deriva dal latino ARIUM\ARIAM ultimamente ha ceduto il


passo a ARO\ARA -> paninaro, gattara, palazzinaro ecc.

ITALIANO STANDARD.

E’ la lingua che si ispira all’italiano scritto, colto, ereditata da una secolare tradizione
scritta letteraria codificata nelle grammatiche, ciò è stato oggetto di attenzione da
parte dei grammatici e istituzioni che hanno stabilito delle norme, è quella lingua
presentata come quella corretta in virtù del fatto che rispetta quelle norme. È quella
insegnata a scuola. Il concetto standard è indissociabile a quello di norma. Non è
statico in assoluto. È la lingua che ha la funzione di riferimento per i giudizi di
correttezza o scorrettezza. Non può essere marcato da nessun asse di variazione
(diafasico, diastratico, …). È una lingua alta. È quindi la lingua di maggior prestigio, è
posseduta dalla classe colta, è la lingua usata per tutti gli usi formali. È una lingua
che si conquista con lo studio, non è la lingua nativa di nessuno. Ha una funzione
unificatrice, cioè unifica perché costituisce il modello di riferimento da tutta la
popolazione, di conseguenza ha una funzione separatrice rispetto alle altre
comunità. Si manifesta nella dimensione scritta (colta). Non è tanto coincidente con

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

la lingua parlata, perché bisogna rapportarsi all’origine dello standard, cioè la lingua
fiorentina del 300’, fondamento della nostra lingua letteraria, è riuscita, grazie alla
grandezza degli scrittori, ad imporsi come fondamento per la nostra lingua letteraria,
che successivamente è diventata il fondamento della lingua standard, della nazione.
Abbiamo conosciuto una stabilità eccezionale nella nostra lingua. I colti italiani sanno
leggere Boccaccio, ma i francesi colti non sono in grado di leggere i loro testi prodotti
negli stessi anni. Questo perché la lingua scritta si è adattata a quella parlata in
Francia, noi abbiamo scelto la lingua fiorentina come lingua nazionale.

ITALIANO NEOSTANDARD. Negli anni 80’ si incomincia ad avvertire e dare conto di


forti cambiamenti nella lingua italiana anche nella lingua scritta. La definizione
dell’italiano neostandard è data da Gaetano Berruto nel 1987. Altri lo definiscono
italiano dell’uso medio. C’è una tendenza comune di utilizzare determinati tratti. Lo
standard sta ampliando i propri confini. Quindi dobbiamo saperlo cogliere come
risultato dell’infiltrazione nello standard di tratti che prima erano censurati
considerati sub-standard, marcati, etc. Il neostandard è da considerarsi come
infiltrazione di tratti che hanno cambiato status.

I tratti veramente nuovi sono pochi, per lo più si tratta di fenomeni vecchi di secoli,
ma censurati dalle grammatiche. Ora accettate grazie al nuovo straordinario e
inedito peso che ha acquistato l’oralità. Con i mass media, siamo stati esposti ad una
oralità comune come non era mai capitato prima. La prima fase della tv era quella in
cui il parlato era molto marcato, vicino all’italiano standard, una specie di scuola di
lingua. Nel tempo sono cambiate le tipologie di trasmissione, per esempio il
coinvolgimento del pubblico, quindi oggi si è trasformata in specchio della lingua
comune, influenzando la stessa.

L’italiano standard è soggetto a cambiamenti di criteri di accettabilità nel tempo. I


concetti standard, sub-standard, neo-standard sono anelli di una catena ma sono in
evoluzione, ciò che è sub-standard può diventare neo-standard e poi standard vero e
proprio. Non esiste ad oggi, un neostandard comune per la dimensione parlata e per
la dimensione scritta, cioè non esiste un neostandard uniforme per le varietà scritte
e quelle parlate. Dobbiamo saper distinguere settori diversi nello scritto, la lingua
pubblicitaria, la lingua giornalistica, la lingua parlata (quello delle sceneggiature,
delle serie televisive per es.).

I fattori nuovi sono per es. “supplemento camera vista mare”, cioè la tendenza a
eliminare le preposizioni. Oppure con la tendenza di sostituire il complemento di

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

specificazione con l’aggettivo “campagna vaccinale”. C’è una diffusione enorme di


sigle e di acronimi –INPS, c.t., TFR, …-. Il “piuttosto che” viene usato con valore
disgiuntivo, usato al posto di “oppure”, prima era usato come “piuttosto che andare
al mare, …”.

SINTASSI DEL NEOSTANDARD. Distinguiamo da una parte il neostandard della lingua


divulgativa, l’altra di quella scritta più “formale” come la saggistica, lingua
burocratica. La prima è una sintassi molto più aperta alle soluzioni che il parlato
adotta a livello di organizzazione sintattica, cioè un periodare semplice, riduzione di
subordinate, oppure comprese tra due punti fermi. Nella seconda, qualcosa di nuovo
c’è: la nominalizzazione. Comprendiamo una pluralità di fenomeni, può essere quella
in cui le frasi sono prive del verbo “a quando le nozze?”, stile tipico dei giornali. Il
significato del verbo si trasferisce nel nome. Se c’è lo svuotamento di significato del
verbo per caricare il nome, si avrà di conseguenza una riduzione drastica delle
tipologie di verbi. Questa caratteristica riguarda anche la riduzione delle
subordinate. C’è una sequenza di sintagmi nominali.

L’ITALIANO SUBSTANDARD

Sono in generale definiti substandard gli elementi che, nell’architettura


sociolinguistica di una lingua stanno al di sotto dello standard, vale a dire occupano i
settori bassi delle dimensioni diastratica e diafasica. Si tratta in altri termini di tutte
quelle forme, costrutti, realizzazioni che, pur ampiamente in uso presso i parlanti di
una lingua, non fanno parte della norma riconosciuta e codificata. Il termine viene
anche impiegato per indicare la varietà di lingua, o una gamma di varietà di lingua, di
uso parlato e con caratteri intermedi fra la lingua standard e il dialetto.

Rispetto alla varietà standard, la varietà substandard raccoglie il vasto universo delle
forme escluse dalla norma, non codificate, con alta variabilità e per lo più tipiche
dell’uso parlato spontaneo. L’italiano substandard comprende quindi l’italiano
regionale marcato, l’italiano popolare e i registri informali e trascurati in cui è posta
scarsa attenzione al rispetto della norma.

LE VARIETA’ DELL’ITALIANO CONTEMPORANEO

Ogni lingua quanto più è diffusa nello spazio e nel tempo, tanto più presenta una
serie di differenze dovute a variabili dette ASSI DI VARIAZIONE

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

VARIABILE DIAMESICA: legata al mezzo materiale con il quale avviene la


comunicazione. Nel parlato per esempio adoperiamo il pronome IO molto più spesso
di quanto facciamo nello scritto, oppure possiamo dire “appoggialo lì” aiutandoci
con il gesto per indicare il luogo preciso, quando si scrive invece si rispettano più
spesso le regole studiate a scuola. Non c’è solo lo scritto ed il parlato, ma anche il
trasmesso (linguaggio trasmesso appunto da radio, televisione e mezzi di
comunicazione).

VARIABILE DIACRONICA: E’ quella legata al tempo. Sono per esempio le differenze


che si rilevano nell’uso della lingua da parte dei giovani e degli anziani. Per esempio:
egli,esso,essa,essi\ fa che non è più verbo fare ma indica temporalità “un’ora fa”.

Il cambiamento diacronico deriva anche dal contatto con altre lingue come per
esempio l’inglese.

VARIABILE DIATOPICA: legata allo spazio, nel senso che una lingua assume
caratteristiche diverse in base alle singole zone in cui è usata. Per esempio: l’oggetto
usato per riporre gli abiti nell’armadio in Italia non ha un nome universale, ma è
detto stampella, gruccia, omino, appendino

VARIABILE DIASTRATICA: legata alla posizione sociale del parlante, al genere, all’età,
alla classe, alle condizioni economiche, al grado di istruzione

VARIABILE DIAFASICA: legata alla situazione comunicativa, all’argomento trattato, al


grado di confidenza che si ha con l’interlocutore. Esempio: registro alto = timore e
spavento \ registro basso = stizza

CAPITOLO 2 – ONOMASTICA

L’ONOMASTICA ITALIANA

L’onomastica è costituita dai nomi propri di persona, dai cognomi, dai toponimi etc.
L’onomastica italiana si è formata attraverso il latino innanzitutto, ma anche
attraverso i popoli con cui l’Italia è venuta in contatto come spagnoli, francesi,
inglese, germanici e arabi (invasioni), greco ed ebraico (tradizione cristiana).

Originariamente l’onomastica è giustificata nel senso che ogni nome voleva


significare o dire qualche cosa -> Paolo da paulum piccolo \ Napoli da nea polis città
nuova. Storicamente a volte non si è passati dal nome comune al nome proprio, ma
viceversa, pensiamo per esempio a Marsala (liquore prodotto nella città di Marsala),

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

una Ferrari (dall’ing. Ferrari), un Martini (dal produttore Martini). Più frequente è
anche il processo per antonomasia, determinate caratteristiche di un particolare
personaggio che vengono allargate a tutti coloro che presentano le medesime
caratteristiche: cicerone (fare da guida turistica), marcantonio (uomo bello robusto),
paparazzo (dal film la dolce vita) etc.

I TOPONIMI

Derivando dal latino hanno subìto le stesse mutazioni che sono avvenute in italiano:

- Derivazione dall’accusativo UM con caduta della consonante finale ->


Beneventum = Benevento
- Conservazione dell’accento sulla stessa sillaba -> Bolòniam = Bològna
- Perdita dei pluralia tantum -> Pisas = Pisa singolare
- Trasformazioni generali fonetiche
 Origine longobarda hanno i nomi composti con FARA = corpo di spedizione,
SALA = casa padronale, GUALDO = complesso di beni terrieri.

Più trasparenti sono i meccanismi con i quali si sono formati i nomi in età
medievale e postunitaria, e cioè attraverso la combinazione determinato +
determinante -> città di castello, Civitanova, Civitavecchia.

Frequenti sono gli agiotoponimi, luoghi con i nomi di Santi -> Sanremo, San
Giovanni.

I NOMI DI PERSONA

I nomi maschili finiscono generalmente per -o (Giorgio, Marco) ma non mancano


nomi terminanti per -a (Andrea), in -e(Giuseppe), in -i (Giovanni). quelli femminili
terminano generalmente in -a e raramente in -e (Irene). La mozione, cioè il
passaggio da un genere grammaticale all’altro è possibile dal maschile al
femminile grazie alla sostituzione con -a dei nomi uscenti in -o ed -i, con
l’aggiunta dei suffissi -ina\ -etta -> Andreina\ Nicoletta per i nomi uscenti in -a
come Andrea. Rarissimo il passaggio dal femminile al maschile.

Il nome è molto condizionato da influssi esterni. Figurano innanzitutto nomi di


tradizione latina -> Marco, Giulio, Cesare

Tradizione greca mitologica o storica -> Diana, Alessandro, Filippo

Tradizione cristiana -> Maria, Giuseppe, Pietro, Giacomo

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Tradizione germanica entrata durante le invasioni -> Enrico, Federica

Tradizione spagnola, francese ed inglese -> Luigi, Diego

Tradizione di nomi derivanti da nomi comuni -> Rosa, Viola, Stella

Tradizione di nomi tratti da aggettivi -> Chiara, Bruno, Pio

Tradizione di nomi di origine straniera o con grafemi estranei all’italiano -> Walter,
David, Fanny.

Oggi si tende a usare e a scrivere i nomi stranieri così come sono. In passato invece
essi venivano tradotti secondo anche una certa inventiva -> Stan Laurel e Oliver
Handy = Stanlio e Olio – Mickey mouse = topolino. Oggi si usano grafie che
corrispondono all’esatta pronuncia -> freudiano

IPOCORISTICI, SOPRANNOMI, PSEUDONIMI

Gli ipocoristici sono i vezzeggiativi, i nomi affettuosi usati da familiari ed amici.


Generalmente si formano facendo cadere la sillaba prima dell’accento -> Ferdinando
= Nando

Spesso cade la sillaba prima dell’accento e viene ripresa la lettera con la quale inizia
il nome -> Beatrice = Bice

Ci sono poi ipocoristici ancora più lontani dal nome di origine -> Francesco = Ciccio,
Federica = Chica, Chicca

Oggi per la maggior parte degli ipocoristici avviene l’accorciamento bisillabico ->
Federica = Fede, Alessandra = Ale

Compaiono poi nomi che diventano vezzeggiativi -> Laura = Lauretta

I soprannomi invece servono per connotare evidenti caratteristiche fisiche,


caratteriali, comportamentali -> Tartaglia = il balbuziente

C’è poi lo pseudonimo, nome d’arte o comunque un nome che è diverso da quello
originale-> Tintoretto, Jovanotti, Trilussa

I COGNOMI

l termine deriva dalla parola latina cognomen. Prenomen(nome), nomen(famiglia),


cognomen(“soprannome”) nella tradizione latina.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Distinguiamo 5 tipi di cognomi:


COGNOMI DENOMINALI. Rimandano ad un nome di persona, consolidati nel ruolo
di cognomi. Si presenta non solo come tale e quale al nome “Giordano”, o con la “i”,
ma si presenta anche con la preposizione “di Pietro, de Luca”. La parte massiccia dei
cognomi denominali è costituita dalle forme alterate, cioè la maggior parte delle
forme è costituita da diminutivi, accrescitivi “Alessandrini, Angelini, Angeletti,
Antonelli, Antonioni”. Molte sono le forme ipocoristiche “Toni”. C’è questa evidenza
dei diminutivi e delle forme ipocoristiche, perché c’è la componente affettiva.
COGNOMI DI FORMA ETNICA O TOPONIMICA. Cognomi etnici rimandano a flussi
migratori di un passato, in virtù dei quali proveniva da… “Albanesi, Turchi, Catalani”. I
cognomi etnici sono interessanti perché testimoniano la vitalità di forme che poi nel
tempo non sono state più produttive. I cognomi di questa tipologia possono essere
costituiti da nomi che fanno riferimento a monti, piazze, poggi. Anche le forme
etniche e toponimiche, si possono presentare con la proposizione –di bari, del
monte, greco, romano
COGNOMI LEGATI AD UNA ATTIVITA’, UN MESTIERE, UNA CARICA, ETC.
“Carpentieri, Fabbri, Ferrari, Cavallari, Muratori, Orciai, Pescatori”. Anche in questo
gruppo possiamo avere la preposizione “del Giudice”, o anche con l’articolo. Per
quanto riguarda i cognomi che ricordano cariche onorifiche, in realtà non sempre lo
riguardavano direttamente, ma piuttosto per la relazione che vi intratteneva.
COGNOMI CHE DERIVANO DA AGGETTIVI O SOPRANNOMI. Aggettivi relativi a
caratteristiche fisiche “Bruni, Biondi, Bianchi” o comportamentali “Volpe,
Buonuomo”. Anche qui può esserci la preposizione. Possiamo trovare: “Capotondi,
Barbarossa”, la forma di un sostantivo prima e un aggettivo dopo, oppure il
contrario: “Malatesta, Buonafede”. Possono derivare anche da nomi di animali a cui
sono accomunati da una caratteristica fisica o comportamentale: “Gatti, Leopardi,
Passeri, Vespa”
COGNOMI CHE VENGONO ASSEGNATI AI TROVATELLI dati dai parroci o dagli addetti
comunali: “Casadei, Trovato, Innocenti, Proietti (gettato via, abbandonato)”.
Gli studi linguistici danno due possibili interpretazioni della “i” nei cognomi
denominali. La prima è il genitivo, figlio di. La seconda è il plurale. La realtà
dialettale è una realtà che vede estremamente vivo il soprannome vicino al
cognome. Fondamentalmente tra soprannomi e cognomi non ci sono differenze.
Molti cognomi vanno anche analizzati relativamente al dialetto -> Caruso = ragazzo
in meridione, trevisan = trevigiano al nord etc.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

MARCHIONIMI E NOMI DI ESERCIZI


Nei marchionimi si passa spesso dai nomi propri a quelli comuni: aspirina, nutella,
mastro lindo. Ci sono anche nomi composti da parole straniere o greche:
tachifludech = tachus veloce, flu = raffreddore. Per i nomi di esercizi spesso si usano
nomi comuni o propri -> hotel lo storione, ristorante da Peppa. Frequente per i nomi
di esercizi sono le sigle ->Ovviesse, Upim
DEONOMASTICA
È lo studio del passaggio dai nomi propri ai nomi comuni che diventano poi anche
modi di dire -> pan di Spagna, farne più di Carlo in Francia.

CAPITOLO 3 – IL LESSICO
Si definisce lessico il complesso delle parole di una lingua. L’unità del lessico è il
lessema che non equivale ad una parola sola, ma può essere più piccolo o più
grande. Per esempio: il lessema delle forme paradigmatiche di un verbo è l’infinito, il
lessema di parole combinate è più ampio – sala da pranzo.
Il lessico di ogni lingua rispecchia una particolare visione della realtà, la linguistica
moderna ha elaborato il concetto di arbitrarietà di segno che serve per impostare il
rapporto tra la cosa detta e quello che essa designa. Per esempio in inglese a glass
corrispondono i termini -vetro, -bicchiere, -occhiali al plurale; per il termine italiano
nipoti, l’inglese usa 4 diversi nomi per designare il concetto. Ecco perché ogni lingua
ha una propria arbitrarietà di segno. Bisogna distinguere tra lessico che comprende
la totalità dei lessemi e vocabolario che invece comprende una quantità ben
delimitata di lessico. Tra i lessemi possiamo distinguere le parole semanticamente
piene come aggettivi, sostantivi, verbi e le parole vuote dove ci sono avverbi,
congiunzioni, articoli, preposizioni; quest’ultima classe è chiusa grammaticalmente
mentre la prima no. Il lessico è costituzionalmente aperto, si arricchisce in
continuazione, ma allo stesso tempo subisce delle perdite relative a quelli che
vengono chiamati arcaismi. Inoltre il contatto con altre lingue determinano i
cosiddetti prestiti, all’interno del contesto del prestito è importante anche il prestigio
inteso come la superiorità di un popolo in un particolare settore a tal punto da
imporre le parole di quel popolo. I prestiti possono essere di necessità o di lusso,
quelli di necessità servono per denominare qualcosa di sconosciuto nella lingua che
riceve il prestito, quelli di lusso servono per denominare qualcosa di conosciuto nella
lingua che riceve il prestito e che cambia il termine in questione per moda.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

IL LESSICO ITALIANO
In passato il lessico risultava molto arricchito poiché c’era il fenomeno della
polimorfia, la coesistenza cioè di più varianti: lacrima, lagrima. Ora questo fenomeno
è andato perdendosi col tempo. Il vocabolario di ognuno varia a seconda dell’età,
della cultura, del grado di istruzione ecc. Il dizionario più grande è il GRADIT di Tullio
de Mauro, ma nemmeno il GRADIT contiene tutti i lessemi, inoltre è in continuo
aggiornamento (è uscito il volume supplemento dove sono state inserite le parole
pianista, smanicato, cucchiaio nelle accezioni di colui che vota al posto di un altro,
giubbetto senza manica e pallonetto).
Tullio De Mauro è anche colui che ha individuato nel lessico un settore particolare
chiamato vocabolario di base formato da circa 7.000 lessemi che costituiscono la
base di tutti i testi scritti e parlati. Il vocabolario di base si divide al suo interno in 3
fasce
- Lessico fondamentale: verbi, aggettivi e sostantivi più frequenti che
rispondono ai bisogni più naturali ed immediati. Noto a tutti coloro che
parlano italiano
- Lessico di alto uso: impiegato nello scritto e nel parlato, noto a tutti coloro che
hanno un livello di istruzione media
- Lessico di alta disponibilità: lessemi legati a fatti, eventi, oggetti che anche se
non vengono nominati spesso sono noti ad ogni parlante.
Discorso a parte nel lessico va fatto per le voci gergali e cioè quelle parole che
sono usate da gruppi ben definiti non nel loro significato o significante, ma in un
altro, datogli appunto da quel gruppo stesso -> secchione, caramba
Ci sono poi i regionalismi che invece sono espressioni che appartengono al
vocabolario di base e che sono usate nella realtà quotidiana, ma che non sono
estesi all’intero territorio nazionale.
LE COMPONENTI DEL LESSICO ITALIANO
Dal punto di vista etimologico sono tre le diverse componenti
- Parole di origine latina
- Prestiti
- Neoformazioni
- Deonomastici -> nomi propri che sono diventati comuni
- Voci che hanno matrice espressiva o onomatopeica

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

COMPONENTI LATINA E GRECA


All’interno della componente latina vanno individuate le parole popolari che dal
latino sono passate alla nostra lingua e che in molti casi si tratta di parole
formatesi nel latino volgare. Discorso a parte deve essere fatto per i latinismi e
cioè le parole dotte. La distinzione tra parole dotte e parole popolari riguarda
l’origine, di solito da una stessa base latina sono derivate 2 parole, una dotta ed
una popolare che però hanno forme e significato diverso, esse sono dette
allotropi. La parola popolare è quella che più si è allontanata dalla base latina,
quella dotta è quella più vicina alla base latina. -> da CAUSAM è derivata CAUSA
parola dotta e COSA parola popolare.
In minoranza compaiono anche parole greche soprattutto per nozioni
scientifiche.
I PRESTITI
Il prestito riguarda parole straniere. Esso può consistere nel dare un significato
aggiunto a voci già esistenti, si parla allora di prestiti semantici tra i quali
distinguiamo quelli omonimici e quelli sinonimici. Oltre ad i prestiti ci sono i
cosiddetti calchi, sono delle traduzioni letterali ed anche esse possono essere
omonimiche e sinonimiche. Tra i vari prestiti ricordiamo:
-germanismi ->guancia, anca, guerra, astio
-arabismi -> facchino, magazzino, ragazzo, zero
-ebraismi -> amen, osanna
-gallicismi -> viaggio, mangiare, parquet, enclave
-ispanismi -> etichetta, regalo, brio
-tedeschismi -> strudel, loden
-anglicismi ->ticket, basket, football, mouse, jeans, okay
L’italiano ha anche usato dei prestiti interni relativi ai dialettismi ->grissini,
panettone, ‘ndrangheta.
I NEOLOGISMI
Si chiamano neologismi le parole nuove. Avvengono o quando c’è proprio una
parola nuova, oppure quando cioè una parola acquista un nuovo significato ->
sito, icona, finestra. Molti neologismi sono però occasionalismi nel senso che non

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

si insediano nella lingua per lungo tempo, ma sono passeggeri, magari legati alla
moda
LESSICOLOGIA SEMANTICA
IPERONIMI E IPONIMI. Iperonimi sono delle parole che hanno un significato più
generale, più ampio che comprende le altre parole che hanno un significato più
stretto: iponimi. Mobile parola di valenza generica (iperonimo), che in include molti
iponimi cioè scrivania, letto, etc. Felino iperonimo, gatto iponimo. Non ci sono
compartimenti così chiusi, una forma può essere sia iperonimo che iponimo,
albero-pino, albero-pianta. Dal punto di vista morfologico dobbiamo distinguere due
casi, l’iponimo riprende il nome del nome del iperonimo con un determinante (può
essere costituito da un aggettivo o un complemento che introduce una
preposizione), il secondo caso è quando l’iponimo è autonomo rispetto
all’iperonimo.
RELAZIONI SEMANTICHE
POLISEMIA: (Dai molti significati). La polisemia è una relazione semantica per la
quale un unico significante ha più significati dove però è possibile individuare
qualcosa di comune a tutti; è il significato originario che si è esteso. Un cumulo
quindi di significati associati a quella forma. La polisemia riflette quella legge che
è l’economia della lingua, si utilizza lo stesso significante piuttosto che crearne di
nuovi. La lingua parlata è quella che si presenta più ricca di forme polisemiche,
perché è proprio in questo registro linguistico informale che si realizza il “minimo
sforzo”.
Le forme più polisemiche in assoluto sono i verbi-> mettere = poggiare,
indossare. Possiamo cogliere delle alternanze di significato e possiamo
schematizzare la polisemia così:
La stessa forma può avere un significato sia astratto che concreto, credenza,
cucina.
La stessa parola può alludere al luogo ma anche a quanti lavorano a quel luogo,
università.
Pianta-frutto, ho comprato dei limoni ho piantato il limone.
Gli aggettivi polisemici, sono quelli che hanno sia una valenza qualificativa che
una valenza intensiva. La valenza intensiva è “sono contenta, sono felice”,
quest’ultimo corrisponde ad un grado di intensità maggiore. “È successo un
incidente mortale” è qualificativo, “la lezione è stata una noia mortale”, è
intensivo. “Stella polare”, “ho un freddo polare”. “È una vendita straordinaria”, “è

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

uno spettacolo straordinario”. Intensificano una qualità. Gli aggettivi sono


polisemici a seconda della posizione, [generalmente gli aggettivi relazionali
vanno dopo il nome, quelli qualificativi a seconda della posizione hanno qualche
sfumatura] hanno una valenza diversa, es. “ho informazioni certe”, “ho certe
informazioni”; “nel tavolo ci sono diversi libri”, “nel tavolo ci sono libri diversi”. Se
anteposti sono svuotati del loro significato letterale , se posposti hanno un
significato letterale. “Povero Gianni”, “Gianni è povero”, nel secondo caso il
significato è pieno.
OMONIMIA: Significa più significati associati ad un primo significato , la
differenza teorica con la polisemia è forte, ed è data dal fatto che si parla di
omonimia quando abbiamo una parola che ha una superficie linguistica identica
ma ha più significati. Per esempio riso, è l’atto del ridere, ma anche quello che
mangiamo, è una coincidenza del tutto casuale, provenienti da due etimologie
diverse, che per caso hanno trovato una coincidenza sul piano del significante. Un
altro esempio è cavo, il verbo dal latino, e anche cavo come parte estrema della
corda diventata poi la corda stessa. L’italiano è una lingua in cui sono
numerosissime le forme verbali che poi coincidono anche con delle forme che
sono nominali.
Nei dizionari, se si tratta di omonimia, riportano più lemmi, tipo 1.riso, 2.riso,
invece quando è polisemia rimangono nello stesso lemma generalmente è così,
ma a volte anche quando è polisemia, a causa della loro grande lontananza, è
trattato come omonimia nei dizionari.
SINONIMIA: È da un certo punto di vista analoga all’omonimia, e da un altro punto di
vista completamente opposta. Con uno stesso significato abbiamo sinonimi, forme
diverse. È il significante ad essere diverso. La sinonimia perfetta non esiste, è
praticamente sempre parziale, perché un perfetto scambio non esiste. (Un caso di
perfetta equivalenza potrebbe essere tra-fra). La sinonimia è un fatto che riguarda
più la forma scritta, perché in quella parlata non abbiamo timore nel ripetere le
parole. Ci sono anche sinonimi settoriali, come nel campo medico, mal di testa-
emicrania-cefalea. Ci possono essere sinonimi in rapporto al diverso grado di
formalità, cioè sinonimi che appartengono a registri linguistici diversi (strizza-paura-
timore). Oppure sinonimi in rapporto ad un diverso grado di invecchiamento, lapis-
matita, parapioggia-ombrello, cagione-ragione.
GEOSINONIMI: Sono parole che hanno una superficie linguistica diversa a causa di
una superficie geografica diversa e che hanno un significato uguale, anguria-
cocomero. Sono più legati alla cultura materiale, domestica, sono cioè più evidenti e
numerosi in quei settori in cui la lingua italiana si era tenuta lontana. C’è una spinta

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

unitaria favorita dalla pubblicità, commercio, etc. quindi le forme “indigene” hanno
vita sempre più difficile (babbo, papà sono esempi di geosinonimi, “papà” è in forte
espansione, si parla quindi di standardizzazione dei processi linguistici)
ANTONIMI: Sono lessemi che hanno significato opposto, questo rapporto di
opposizione riguarda tutte le categorie grammaticali (nomi, verbi, avverbi, etc.)
amore-odio, facile-difficile, largo-stretto, aprire-chiudere, cominciare-finire, prima-
dopo. A volte parole opposte si sono unite per formare un composto, andata e
ritorno, prendere o lasciare, bisogna distinguere contrari graduabili e non graduabili:
I contrari graduabili sono quelle coppie di parole che si trovano agli estremi, ma
che lasciano all’interno una zona neutra come gelido e bollente all’interno c’è
caldo e freddo, c’è una fascia intermedia tra due poli estremi. Anche quando la
lingua mette a disposizione nella linea intermedia termini specifici noi utilizziamo
quantificatori (molto, poco).
Quelli non graduabili non c’è una zona neutra come maschio-femmina, bocciato-
promosso, nell’uso proprio affermare uno esclude l’altro automaticamente.
Una seconda categoria di antonimi è quella di tipo grammaticale fortuna-
sfortuna, legale-illegale sono costituiti in base a un processo specifico della nostra
lingua, cioè di un prefisso. E’ sempre possibile un antonimo di tipo lessicale, non
sempre di tipo morfologico (bello-brutto, non sbello).
DISTINZIONE TRA TERMINI E PAROLE. L’aspetto più vistoso che differenzia il
linguaggio specialistico e quello popolare, è costituito dalla nomenclatura, dalla
terminologia. Differenze:
1.Le parole sono polisemiche, sono sempre pronte ad accumulare sempre nuovi
significati, i termini specialistici non hanno altri significati, cioè monosemici.
2. Le parole possono assumere connotazioni diverse, si prestano a usi metaforici,
i termini si sottraggono a tutti gli usi metaforici hanno sempre e solo un valore
denotativo, non può avere valore allusivo, connotativo.
3. Le parole possono avere sinonimi, i termini non dovrebbero avere sinonimi,
nella lingua comune si evitano le ripetizioni con sinonimi, nel linguaggio specifico
non c’è questa preoccupazione.
4. le parole hanno una estensione, cioè una parola infinita di riferimenti, roba, e
hanno l’intensione se si prende l’es. penna. I termini designano in maniera molto
precisa ciò che per essere spiegato ha bisogno di molte parole, tipo “massa” in
fisica, ha una grande intensione.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

5. Sulle parole il singolo parlante può dilatare il significato, un uso particolare


della parola, ma non va a intaccare il significato nel pubblico a meno che la
pubblicità per esempio lo faccia, i termini vivono grazie ad un gruppo ristretto di
persone, una comunità scientifica, sono molto convenzionali e artificiosi, uno
studioso particolare può cambiarne però il significato in base per esempio a
conquiste scientifiche.
CAPITOLO 4 FONETICA E FONOLOGIA
Il ramo della linguistica che studia i foni è la fonetica. I foni sono prodotti
dall’apparato fonatorio. I foni possono essere
sordi
sonori
nasali
orali -> vocali e consonanti

Le vocali sono gli unici foni sui cui può cadere l’accento
La fonologia invece studia i foni in astratto, nel loro configurarsi per individuare i
fonemi, piccole unità della fonologia.
Allofoni = realizzazioni diverse di uno stesso fonema -> erre moscia
I fonemi sono individuabili attraverso la prova di commutazione con le coppie
minime male\mela. Quando in una parola di senso compiuto in seguito alla
sostituzione di un fono con un altro si ottiene un’altra parola di significato diverso
allora ai due foni corrispondono due fonemi diversi.
Il sistema fonologico italiano è costituito da 21 consonanti e 7 vocali, il numero
dei fonemi è quindi superiore a quello delle 21 lettere dell’alfabeto.
LE VOCALI
Le vocali toniche sono 7
. La A è prodotta con la massima apertura della cavità orale
. 3 VOCALI ANTERIORI (perché la lingua va sempre più avanti) e aperta, e chiusa, i
. 3 VOCALI POSTERIORI LABIALI (perché la lingua va sempre più indietro e perché
c’è un’articolazione delle labbra) o aperta, o chiusa, u
In posizione atona cioè non accentata le vocali si riducono a 5

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

In finale di parola non compare mai la u atona, ma solo quella tonica


La e si ha solo nei composti di perché, sicché etc. altrimenti si ha la è
Anche la ò non è mai atona, ma sempre tonica
Due vocali contigue in sillabe diverse formano lo iato. L’elisione è quando cade
una lettera per evitare lo iato. ->paese\ la uva = l’uva
Jod e wau sono invece 2 semiconsonanti, questi foni possono comparire solo
prima o dopo una vocale all’interno di una stessa sillaba con la quale formano un
dittongo -> ascendente quando la precedono, discendente quando la seguono.
->piano
Oltre ai dittonghi (semiconsonante + vocale) in italiano sono possibili anche i
trittonghi (2 semiconsonanti + vocale\ semiconsonante, semivocale, vocale)
LE CONSONANTI
Le consonanti sono 21
Possono essere sorde, sonore, orali e nasali. ->fono
Oppure occlusive, costrittive, fricative, vibranti, affricate. ->luogo
Oppure bilabiali, labiodentali, dentali, alveolari, palatali, velari ->modo
LUNGHEZZA CONSONANTICA
15 consonanti italiane possono essere brevi e lunghe e la loro lunghezza resa con la
doppia determina una differenza di significato.
P copia\coppia
T fato\fatto
M soma\somma
N cane\canne
L pala\palla
R caro\carro
T tufo\tuffo
S casa\cassa etc.
RADDOPPIAMENTO FONOSINTATTICO
In particolare sequenze di parole appartenenti alla stessa catena fonica la pronuncia

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

si prevede un rafforzamento della consonante iniziale della seconda parola quando


la consonante è tenue, o intensa per natura e quando non c’è una pausa tra le due
parole. -> a Firenze = affirenze
Le parole che provocano il raddoppiamento fonosintattico sono
-monosillabici forti
- alcuni monosillabici deboli
- alcune parole bisillabe
- tutte le parole ossitone, cioè accentate sull’ultima sillaba
Tutto ciò deriva dal latino attraverso l’assimilazione ET BENE = EBBENE
LA STRUTTURA SILLABICA
I gruppi di foni sono chiamati SILLABE. La sillaba è composta da un’unità centrale
chiamata NUCLEO, il quale a sua volta è composto dall’ATTACCO che lo precede e
dalla CODA che lo segue. La coda insieme al nucleo forma la RIMA.
L’attacco può essere formato da: consonante, semiconsonante, 2\3 consonanti.
La coda è formata da una sola consonante o una semivocale.
In italiano tutte le parole finiscono per vocale tranne per i suoni onomatopeici.
L’apocope è la caduta di una sillaba o vocale finale.
L’ACCENTO
Consiste nel far emergere il nucleo di una sillaba a livello fonico. L’italiano ha un
accento mobile e non serve solo per dare importanza alle parole, ma anche per
distinguerle, ha anche quindi valore fonologico.
Quando l’accento italiano cade sull’ultima sillaba = parole ossitone\ tronche
Quando l’accento cade sulla penultima sillaba = parossitone\ piane
Quando l’accento cade sulla terzultima sillaba = proparossitone\ sdrucciole
In italiano esistono anche parole non accentante come mi, ti, e, ma. In particolare le
forme pronominali di solito si legano a forme verbali creando pròclisi ed ènclisi.
Molto importante per determinare l’importanza di una frase o di una parola è
l’intonazione. Nelle linee di tendenza vediamo come alcune pronunce di vocali e
consonanti sono diverse da quelli che prevedrebbe l’italiano standard questo capita
a causa delle pronunce regionali. Per quello che invece riguarda la struttura sillabica,
l’uso di forestierismi ha fatto sì che ci siano moltissime parole terminanti per

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

consonanti -> bar, nord, film. Nel parlato invece si nota in parole trisillabe l’usanza di
ritrarre l’accento sulla terzultima -> Frìuli invece che Friùli\ èdile invece che edìle
CAPITOLO 5 LA MORFOLOGIA FLESSIVA
La morfologia flessiva studia come si esprimono nei nomi negli articoli e negli
aggettivi i concetti di genere e numero, nei pronomi anche di caso, nei verbi anche di
tempo, di modo, di aspetto e di diatesi. Si chiama flessiva perché appunto studia le
forme flesse, cioè classificate e raccolte in paradigmi. L’elemento minimo di
significato è il morfema -> la radice e la desinenza.
Lingua sintetiche = poter esprimere più relazioni grammaticali con un solo morfema
Lingua analitica = ad ogni morfema corrisponde uno ed un solo elemento
L’italiano derivando dal latino è sicuramente una lingua sintetica, ma ha anche
caratteristiche analitiche. Particolare presente in italiano è L’ALLOMORFIA, cioè
l’alternanza di più forme che hanno lo stesso valore morfologico nelle desinenze e
nelle radici -> fresco\freschi – posso\può\ faccio\fai
IL NOME
La flessione nel nome marca il genere ed il numero. Relativamente al numero
abbiamo sei classi di plurali che in base alla parola al singolare terminano in -i,-e, -a,
più quelli invariabili dal singolare al plurale.
IL GENERE NEI NOMI DI ESSERI ANIMATI
Molto spesso la mozione è problematica, non tanto per passare dal genere
femminile al genere maschile dove di solito si aggiunge solamente una -o , quanto
per passare dal maschile al femminile a meno che non ci siano esiti in -tore\trice o in
-essa. Oggi c’è la tendenza a lasciare il nome maschiale laddove la mozione è
impossibile. Negli animali dove invece il femminile o maschile corrispondente non è
possibile si sottolinea il sesso dell’animale esplicitandolo ->la tartaruga maschio,
canguro femmina.
L’AGGETTIVO, LA COMPARAZIONE E L’ALTERAZIONE
Anche gli aggettivi sono flessi nel genere e nel numero. La prima classe è formata
dagli aggettivi che cambiano relativamente ad un solo morfema vocalico = buono,
buona\ buoni, buone. La seconda classe invece ha solo due forme = grande\grandi.
Poi c’è la classe invariabile. Sugli aggettivi è marcato soprattutto il grado: il
comparativo di maggioranza si realizza con l’avverbio PIU’, il superlativo assoluto con
avverbi tipo MOLTO, TANTO, ASSAI o con il suffisso -ISSIMO. Ci sono poi i superlativi e
comparativi di origine latina come BUONO =MIGLIORE, OTTIMO. Ultimamente nel

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

gergo pubblicitario e giovanile sono molti superlativi con prefissi tipo -MEGA, SUPER,
MAXI talvolta aggiunti anche ai nomi ->MAXIPIZZA, MEGAPARTY
Gli aggettivi possono anche assumere particolari valori con l’aggiunta di vari suffissi
che danno sfumature di vezzeggiativi, diminuitivi, accrescitivi, dispregiativi -ino,
-etto, -one- accio.
L’ARTICOLO
Tra le varie funzioni dell’articolo c’è quella di individuare i nomi che l’articolo precede
come determinati o indeterminati. L’articolo determinativo spesso ha una funzione
anaforica nel senso che riprende qualcosa di detto all’interno del contesto. Inoltre gli
articoli svolgono il compito di poter individuare il genere ed il numero dei nomi a cui
si riferiscono. NB-> dell’articolo indeterminativo l’italiano ha solo il singolare, il
plurale lo usa attraverso gli indefiniti.
I PRONOMI PERSONALI
L’italiano è una lingua PRO-DOP nel senso che ammette la caduta del pronome
poiché le stesse informazioni che ci dà il pronome sono date dal verbo. Nell’italiano
standard come nel latino ci sono delle forme utilizzate per i pronomi soggetto: io, tu,
egli, noi, voi, essi ed altre utilizzate per i pronomi oggetto: me, te, loro. NB ->
essi\esse sono soggetto e complementi indiretti, ma non possono essere
complemento oggetto. Il riflessivo di terza persona singolare e plurale è sé.
LUI e LEI possono essere usati sia come soggetti che come complementi.
In funzione di complemento diretto o indiretto non esistono solo le forme toniche,
ma anche quelle atone, i cosiddetti CLITICI:
MI, TI, CI, VI, LO, LA, GLI, LE, LI, LE.
Il riflessivo atono per entrambi i numeri è SI.
Esistono clitici locativi come CI-VI e il NE per altri complementi come
l’argomentativo.
I clitici si pongono prima dei verbi, particolare è il caso della posizione del si in
vendesi, affittasi e nell’imperativo o in perifrasi.
GLI ALLOCUTIVI
Per rivolgersi a qualcuno si usano gli allocutivi. Nello standard tradizionale si usa nei
rapporti paritari il tu al singolare ed il voi al plurale, nei rapporti gerarchici o con
persone con cui non si ha confidenza si usa il lei o il voi al singolare. Tutto ciò oggi sta

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

cambiando in quanto il tu si usa nel parlato molto più del lei. Il lei è ancora usato
nello scritto formale -> la Signoria vostra, Vostra eccellenza
IL PRONOME SI E LA PARTICELLA SI
Clitico riflessivo di terza persona singolare e plurale -> Mario si lava
Soggetto impersonale prima di un verbo di terza persona-> si vede
Passivante -> rende passivo un verbo attivo – la minestra si mangia col cucchiaio
Riflessivo e impersonale si distinguono facilmente attraverso la posizione che
assumono con un altro clitico -> il riflessivo precede il verbo diventando se +
clitico\Mario se l’è vista brutta\, l’impersonale rimane si ed è preceduto dal
clitico \Mario non lo si vede più\ se + clitico = riflessivo – clitico + si = impersonale
Il passivante e l’impersonale sono distinguibili col sostantivo plurale in quanto con il
si passivante il verbo vuole il plurale, mentre l’impersonale vuole il singolare. Non
sono molto distinguibili al singolare.
PARTICELLA “CI
Clitico -> CD e CI
Pronome dimostrativo-> non ci credo
diatesi media ->ci vediamo un film? “Per pranzo ci mangiamo un pezzo di pizza”
come rafforzativo per i verbi ->ci parlavo già da un po’ quando te ne sei andato.
Locativo
Attualizzante -> c’è tanto disordine, c’è Mario *volerci, entrarci, tenerci, contarci
Il NE lo troviamo ormai saldato direttamente al verbo avendo perduto il suo statuto
di moto da luogo-> fregarseNE, infischiarsENE.
ALTRI PRONOMI
In italiano si usano più i cardinali degli ordinali ->1\2…
I pronomi dimostrativi si usano in base alla collocazione dell’oggetto indicato: se
vicino ->questo se lontano -> quello
I relativi usano il CHE per soggetto e complemento oggetto ed il CUI per tutti gli altri
complementi.
IL SISTEMA VERBALE
Nelle forme verbali oltre a radice e desinenza troviamo la vocale tematica che varia a
seconda della coniugazione.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Il morfema che indica modo e tempo precede quello che indica persona e numero.
Le coniugazioni sono tre: are\ere\ire
modo: indica un particolare atteggiamento nel parlato, attitudine e tendenza
(indicativo, congiuntivo, gerundio e participio);
tempo: precisa l’azione in riferimento all’asse cronologico e rimanda a 3 rapporti:
anteriorità, contemporaneità e posteriorità;
transitività o intransitività
diatesi attiva o passiva: il passivo è poco usato nella lingua parlata, ma soprattutto
nello scritto. Molto usata è la diatesi media: “mi mangio un pezzo di torta” (non è
necessario l’utilizzo del pronome, c’è una differenza enorme con i verbi riflessivi:
hanno solo il pronome in comune);
valenza verbale: il verbo ha bisogno di essere accompagnato da costituente, affinché
la frase abbia un significato logico e completo. Questi elementi si chiamano attanti o
argomenti. Altri elementi non necessari si chiamano circostanziali. I verbi possono
essere suddivisi in varie categorie (capitolo 7): zerovalenti: non hanno bisogno di
nessun argomento (“piove”); monovalenti: verbi che hanno bisogno di un
argomento cioè il soggetto; bivalenti: hanno bisogno di almeno due argomenti (CD-
CI) trivalenti: i verbi che hanno bisogno di tre argomenti. tetravalenti: hanno
bisogno di quattro costituenti (sono pochi)
La nozione di tempo è fondamentale per costruire la frase, soprattutto nella nostra
lingua, non in tutte. [Per esempio nella lingua greca antica: che fa attenzione alla
dimensione della durata o “dimensione” del tempo, cioè se un’azione è
momentanea o meno].
PRESENTE. Ha valore deittico: indica la contemporaneità di un’azione rispetto
all’enunciazione.
valore abituale -> io vado in palestra”
valore atemporale usato soprattutto nella sfera scientifica, per i proverbi, o per i
motti, per le istruzioni
valore di potenzialità e di capacità -> Giorgio parla tedesco.
valore iussivo, cioè assume un valore di imperativo o di comando.
impiego di futuro quando ci sono due condizioni: quando c’è un’individuazione
precisa di un elemento temporale (pasqua, natale, etc.), quando c’è certezza su cosa
si voglia fare in seguito o in futuro. “Domani andrò al mare”, ci sono entrambe le

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

condizioni, ma la dimensione futura suona come ridondante, sia dall’avverbio che


dal verbo perciò c’è una tendenza alla semplificazione linguistica.
presente storico che ha un valore passato. Nel presente storico c’è quello narrativo
FUTURO SEMPLICE Indica un’azione posteriore rispetto al momento
dell’enunciazione. I valori che assume nella lingua parlata:
futuro deontico: indica un dovere o un obbligo (usato nelle leggi);
futuro attenuativo, che non rimanda tanto alla posteriorità, ma all’aspettativa o
pensiero del soggetto che enuncia “ti dirò che mi aspettavo…”;
valenza epistemica, ci si avvale di questo futuro non in rapporto di posteriorità
rispetto all’enunciazione (non deittico quindi), ma esprime una qualche soggettiva
deduzione, una congettura o una valutazione, “i più anziani si ricorderanno…”. Il
valore epistemico vale anche per il futuro anteriore “la passeggiata l’avrà stancata”.
Si può trovare spesso anche il verbo dovere, che esprime un obbligo (perifrastica
passiva latina), nella sua valenza epistemica. I valori che i tempi assumono nella
lingua parlata, spesso, non sono quelli della successione temporale.
IMPERFETTO. Esprime durata nel passato. È il tempo che indica anche la
simultaneità fra i tempi del passato: “Lucia guardava la tele mentre il fratello stava
facendo i compiti”
Valore ipotetico: “se lo sapevo non ci venivo”, per l’economia linguistica viene
modificato anche il periodo ipotetico. Pe capire quando l’imperfetto viene usato
dividiamo in due gruppi l’utilizzo dei tempi nelle frasi ipotetiche:
Il primo gruppo è quello che utilizza l’indicativo sia nella protasi che nell’apodosi
(principale): “se piove non esco”. In questo gruppo la valenza è altamente certa
Il secondo gruppo è quello che prevede due parti del periodo ipotetico il
congiuntivo e il condizionale: “se ti impegnassi, otterresti…” con tempi semplici; “se
ti fossi impegnato, avresti ottenuto…” con tempi composti. Questo gruppo ha diversi
valori: quello della possibilità (o ipotesi aperta) quello della impossibilità, irrealtà
con gli stessi tempi verbali. Per superare questa ambiguità linguistica nella lingua
italiana l’imperfetto viene usato quando c’è una “controfattualità” dunque ha solo
un valore di irrealtà
Imperfetto con valenza virtuale, in un contesto di eventi immaginati o sognati
(imperfetto onirico).
Imperfetto di pianificazione “domani andavo a…”, “stasera vedevo…”.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Imperfetto attenuativo, attenua una richiesta “volevo provare quelle scarpe”.


Imperfetto narrativo
PARTICIPIO. Il nome da conto alla duplice natura: condivide peculiarità con il verbo,
entra nella categoria aggettivale o sostantivale. Il participio può circolare anche
come aggettivo, sia quello presente che passato o perfetto.
PARTICIPIO PASSATO:
-valenza di relativa restrittiva,
-valenza di relativa appositiva.
-valenza di altre subordinate, come quella temporale o causale o concessivo
-valore predicativo “lo vedevo spesso appoggiato su una panchina”.
-costruzione assoluta si intende costruzioni non aventi rapporti di costruzione
sintattica con altri elementi, cioè il participio passato ha un soggetto diverso da
quella principale “venuto l’inverno non sono uscita di casa
Accordo del participio. Quando l’ausiliare è “essere”, scatta l’accordo con il
complemento oggetto “il suo discorso è stata (non stato). Se l’ausiliare è “avere”
bisogna distinguere. Verbo transitivo con il complemento oggetto espresso: “ho
letto (non “letti”) dei libri”, il participio non è accordato con il complemento oggetto;
l’accordo del participio c’è quando l'oggetto è anteposto ed è costituito da un
pronome personale di terza persona "ci ha ingannati").
PARTICIPIO PRESENTE. Circola nello statuto di aggettivo anche come sostantivo (il
comandante, il dirigente), cioè come nomina agentis (che compie qualcosa). Molto
più ridotta è la sua funzione verbale rispetto a quella dal participio passato.
GERUNDIO. È la forma (con l’infinito e il participio) che manca della persona, del
numero e del tempo. Dal punto di vista della valenza temporale il gerundio
composto indica anteriorità che ha bisogno di un punto di riferimento, invece il
gerundio semplice indica contemporaneità, ma non sempre, infatti in vari contesti
può avere valenze diverse, perciò si parla di polifunzionalità temporale. Vari esempi:
“Studiando di più otterrai di più”, indica contemporaneità.
“Il ladro ha rubato i gioielli scappando poi dalla finestra” indica posteriorità.
“La guardava sorridendo” c’è coincidenza fra le azioni simultaneità.
POLIFUNZIONALITA’ DEL GERUNDIO IN AMBITO SINTATTICO. Il gerundio può
corrispondere a subordinate di diversa valenza causale, temporale o concessive.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

PASSATO PROSSIMO E PASSATO REMOTO. Il passato prossimo è usato per indicare


azioni i cui risultati permangono e gli effetti risultano significativi nel momento
dell’enunciazione; il passato remoto è usato per indicare azioni ormai concluse.
Nella lingua parlata si usa maggiormente il passato prossimo perché si tende a
rapportare le azioni al momento dell’enunciazione, inoltre il passato remoto è più
complesso e difficile per le sue irregolarità.
Aspetto verbale: l’aspetto imperfettivo si concentra essenzialmente sulla struttura
interna della situazione, senza la considerazione del suo approdo finale (l’azione non
sappiamo se è conclusa) “Quella mattina Giorgio verso le 8 andava a scuola”;
l’aspetto perfettivo può essere definito come la considerazione del processo indicato
dal verbo nella sua globalità, quindi considerandone anche il «punto finale» (il
processo si è concluso e l’azione è finita) “Quella mattina alle 8 Giorgio andò a
scuola”. Il passato prossimo e quello remoto hanno entrambi un aspetto perfettivo,
si tratta di azioni concluse nel tempo. Nel passato prossimo c’è un’ambiguità tra la
sua origine e le sue funzioni; c’è un passaggio dal valore di anteriorità a quello
risultativo “il presidente ha raggiunto proprio in questo momento il palco”, “mentre
Lucia faceva i compiti è arrivato il padre” c’è ambiguità perché io posso considerare
la puntualità dell’azione dell’arrivare (in un punto preciso), oppure posso considerare
l’effetto permanente e durativo (il padre è ancora rimasto). Il passato remoto ha un
riferimento all’aoristo greco: l’azione è colta nella sua puntualità, seppure passata e
conclusa. L’azione espressa dal passato prossimo è colta nel suo risultato e nei suoi
effetti perduranti, anche se si è svolta nel passato.
Peculiarità toscane.
1) Non utilizziamo “codesto” come dimostrativo (nonostante sia una regola
grammaticale), i toscani sì.
2) Nella parlata dialettale “fornaio” finisce con la –r (furner), perché la caduta del
suono consonantico si realizza solo in area fiorentina (aio), gli altri usano la
“r”.
3) Nel dialetto conosciamo lengua esempio che dimostra che il fiorentino ha
scelto di lasciare la “i” latina e non trasformarla in “e”.
4) Nel toscano non c’è il passato prossimo, è usato il passato remoto.

PASSIVO NEI VERBI. È molto più presente nello scritto di quanto sia a livello di lingua
parlata.
Caso A. “I sindacati criticano la posizione del governo che è considerata come
contraria alle loro proposte”, si deduce dal contesto chi sia l’agente.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Caso B. L’agente non è espresso perché è impossibile: “i diritti vanno tutelati”, “la
legge non sempre viene rispettata”, l’agente coincide con una comunità. In un testo
scritto, quando c’è la scelta, si sceglie la forma passiva con l’agente espresso.
C’è una tendenza nella lingua parlata a utilizzare il verbo venire piuttosto che essere,
“la porta è chiusa”. Dove c’è una valenza dinamica la lingua va verso il verbo
“venire”. Abbiamo la tendenza ad usare anche la forma perifrastica, noi abbiamo
con il passivo forme perifrastiche (espressione composta da più costituenti, che nel
loro insieme convogliano un significato unitario) per esempio con il verbo <andare +
participio passato> “l’operazione va eseguita con attenzione”, cioè “deve” essere
eseguita, è veicolato in questo messaggio l’obbligo, ha valenza deontica.
Uso confuso degli ausiliari essere e avere soprattutto con i verbi servili potere
dovere volere solere (chiamati anche modali, sono quei verbi che si combinano con
un altro verbo di modo infinito per definire una particolare modalità dell’azione).
Circolano con l’ausiliare avere piuttosto con l’essere: “ha piovuto”, “è piovuto”. Il
tema riguarda in maniera specifica con i verbi servili. I verbi servili dovevano essere
accompagnati dallo stesso ausiliare voluto dallo stesso verbo a cui si
accompagnavano: “non sono potuta andare alla riunione”. La tendenza ora è quella
verso: “non ho potuto andare alla riunione”. Si utilizza per ragioni di economia
molto forti, si elimina con l’ausiliare “avere” l’onere dell’accordo. “Non ha voluto
lavarsi”, “non si è voluto lavare”, la tendenza è verso la semplificazione.
PASSAGGIO DEL MODO CONGIUNTIVO ALL’INDICATIVO.
Distinguiamo 3 settori diversi in cui il congiuntivo viene usato:
esortativo “venga il tuo regno sia fatta la tua volontà”, “viva il re”,
cortesia, “entri pure”
desiderativo “magari fosse vero”. Rientra anche il caso di subordinate che non
hanno la congiunzione “che” “speriamo le faccia piacere”.

Un secondo grande gruppo


subordinate: “gli faccio dei regali perché mi aiuta molto” (causale, indicativo), “gli
faccio dei regali perché mi aiuti” (finale, congiuntivo), “aspetta che arriva”, “aspetta
che arrivi”.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

subordinate relative che a seconda del modo mutano significato, “il partito è alla
ricerca di un leader che possa dare slancio alla coalizione” (non si conosce il leader,
per questo scatta il congiuntivo). Quando c’è un alone di indeterminatezza scatta il
modo congiuntivo. Anche quando si assume un valore di volontà, “gli gridava che
facesse attenzione”. C’è da considerare un’alternanza in funzione della negazione,
“Giorgio dice che l’acqua calda fa bene alla digestione” in questa forma affermativa è
normale l’indicativo, se diciamo, “Giorgio non dice che l’acqua calda fa bene alla
digestione” (indicativo), “Giorgio non dice che l’acqua calda faccia bene alla
digestione”.
Il terzo grande gruppo
Verba putandi (verbi di opinione, giudizio e conoscenza).
verbi di preghiera o di divieto: nel parlato colloquiale si usa spesso il modo
indicativo “non voglio che lo fai”.
Il gruppo delle interrogative indirette, slitta verso l’indicativo “voglio sapere se c’è
andato da solo”. La lingua mantiene lo stesso modo della interrogativa diretta, cioè
l’indicativo. Altro contesto “lo aiuto non perché me lo abbia/ha chiesto, ma perché
ne ha bisogno”, la buona norma prevede il congiuntivo. La lingua va verso il modo
indicativo. Si sta affermando l’indicativo. Il congiuntivo non è molto disponibile sul
piano socio-linguistico. Al suo interno ha degli elementi di debolezza, quindi è
vittima dell’analogia. Rimane indiscutibilmente marcato il passaggio dal congiuntivo
all’indicativo, dal punto di vista diastratico parlanti meno colti, da quello diatopico, il
centro sud resiste di più il congiuntivo.
PERIFRASI VERBALI, si usano nel linguaggio comune
Stare + gerundio per tutti i verbi, anche quelli di movimento. Sia al presente che
all’imperfetto
Stare per + infinito per indicare un futuro imminente -> sta per piovere
Stare a + infinito -> stammi a sentire
Dovere + infinito -> devi studiare
Andare + participio passato -> va ricordato
Da + infinito -> c’ho da fare i compiti
CAPITOLO 6 MORFOLOGIA LESSICALE

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Studia i meccanismi attraverso i quali da parole già esistenti si formano parole


nuove solo con l’aggiunta di suffissi e\o prefissi, parole composte con altre già in uso
oppure con confissi di origine latina e greca
Prima modalità, utilizzando il proprio materiale, utilizzando per esempio i suffissi
come “globalizzazione, grillino”. Anche con la prefissazione, come “deumidificatore,
delocalizzare”; con la composizione: “elezioni primarie”, “debiti sovrani”;
polirematiche: “motore di ricerca”; alterati: “messaggino”, “pennetta”.
Seconda modalità è quello della rideterminazione semantica, diamo ad una parola
un nuovo significato nuovo, si va ad attribuire ad una vecchia unità linguistica un
nuovo significato che quindi si affianca a quello vecchio: “massa, forza, radice, nodo”
(nautica), “rete, scaricare, cartella” (informatica), La rideterminazione semantica può
avvenire anche con solo l’utilizzo del determinante tipo “medaglia d’oro”, diventa
“oro”. La rideterminazione semantica non è da confondere con lo slittamento di
significato, poiché con essa non c’è la soppressione di un valore, ma l’aggiunta di un
valore nuovo
Terza modalità si crea significante e significato nuovo -> clone
Quarta modalità, straordinariamente produttiva, è quella dei prestiti linguistici ,
prestito linguistico si verifica quando ci sono fattori di tipo extralinguistico, come
fenomeni culturali, economici, sociali, in cui conosciamo una qualche supremazia o
al prestigio di cui una lingua (e il paese di essa) gode. I prestiti non adattati sono
quelli che entrano nella lingua con più vesti: “clik, clic”, “goal, gol” e sono la maggior
parte. Le forme adattate sono quelle che morfologicamente entrano nel nostro
sistema, tant’è che a volte non sono nemmeno riconoscibili come prestiti. Un
percorso curioso è quello di “disegno”, è stato ripreso dall’ inglese con “design”, e poi
nuovamente ripreso dalla lingua italiana come prestito non adattato; sono i
cosiddetti cavalli di ritorno. Calchi semantici, sono una specie di traduzione:
“grattacielo” (riprende l’inglese, ma con strumenti italiani
SUFFISAZIONE. Si aggiunge ad una base un morfema (suffisso). “Dente-dentista”,
“lavoro-lavoratore”. Questi morfemi non hanno vita autonoma, ma legati (a destra)
ad una base sono portatori di una complessa varietà di significati. Possono
determinare un cambiamento di categoria “bello/bellezza” l’aggettivo diventa
sostantivo). Se considero il suffisso nella categoria di partenza lo considero
denominale o deaggettivale o deverbale; se lo considero per la categoria d’arrivo,
cioè della forma suffissata abbiamo nominale, aggettiva, verbale. Per esempio:
“bellezza” è deaggettivale e nominale, “verdeggiare” è deaggettivale e verbale. In
tutto le categorie sono 9 perché le 3 categorie si intrecciano tra loro. I suffissati vivi

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

sono quelle forme che derivano da una partenza chiara “benzina/benzinaio”; i


suffissati fossili sono quelli in cui si è rotto il legame semantico con la base, cioè
seppur dotati di un suffisso la base non è sicura: “gennaio”. Ci sono due modalità con
cui si procede nell’aggiunta di un suffisso: il paradigma a ventaglio e quello di
accumulo. Per paradigma a ventaglio si intende l’aggiunta di un suffisso diverso ad
una stessa base, per paradigma di accumulo si intende l’aggiunta di un suffisso ad
una forma già suffissata “forma-formale-formalizzata”. Il valore semantico dei suffissi
non è mai puro, cioè esclusivo, ma si parla di polivalenza semantica dei suffissi (uno
stesso suffisso può avere valori semantici diversi, il suffisso –ino è usato con valenza
etnica, con valore di diminutivo oppure valore altro: “pecorino”). Il suffisso –ata è
molto interessante per la polivalenza semantica: “passeggiata” (indica un’azione che
si compie), “cancellata” o “balconata” (indica un’estensione), “limonata”,
“peperonata” (hanno valori altri). Nel passaggio da una forma base ad una forma
suffissata si possono avere delle modificazioni fonetiche della base: “piede-pedata”.
Anche per i suffissi è valida l’evoluzione tra la trafila dotta e quella popolare,
“vitium” ha vizio e vezzo rispettivamente di trafila dotta e popolare
Uno dei suffissi più usati per i nomina agentis è –tore, che indica la persona che
compie l’azione; oggi è usato anche per indicare degli strumenti (estintore). Nella
situazione latina il suffisso che indicava la persona era - or che si legava al participio
del verbo. Alcune forme di suffisso con valenza aggettivale si sono trasformate poi in
quelle sostantivali, cioè hanno ruoli di sostantivi (il suffisso –ale, per es. “bracciale,
giornale” che oggi hanno un o statuto nominale hanno subito una lessicalizzazione).
Il suffisso –ista è particolarmente produttivo, ha una valenza di nomina agentis, ma
indica anche tendenze o movimenti
Altri sono: -zione\ -eria per i nomi
Per gli aggettivi: -bile
SUFFISSI ALTERATIVI. È tipicamente popolare, è di per sè un processo della lingua
parlata. Alcune forme si sono lessicalizzate come “cavalletto”, assumendo un
significato distinto dalla base da cui è partito, conseguentemente la parola base non
potrà avere più un alterato nella stessa direzione. Moltissime forme già dotate di un
suffisso alterativo, sono arrivate a noi come forme base: “lenticchia”.
Tutte le forme alterative si organizzano sulla base di due assi fondamentali, il primo
asse è quello che contrappone il piccolo col grande, si ha un punto di vista oggettivo,
il secondo asse contrappone il positivo col negativo, quest’ultimo è più soggettivo. A
seconda del contesto il suffisso può dare valori diversi: “tesoruccio”, “borghesuccio”.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Circolano in maniera abbondante i suffissi diminutivi, cerchiamone il motivo:


1 I diminutivi sono legati alla sfera dell’emotività, per cui aggiungiamo un suffisso ad
una base per caricarla di affettività. Si pensi ai nomi personali che sono sempre stati,
per questioni di affettività, modificati “giulia-giulietta”, “maria-marietta”, alcune
forme alterate si sono formate come veri e propri nomi.
2 è usato anche quando c’è una mancanza di precisione, circolano molti suffissi
diminutivi come “oretta”.
per conquistare la positività dell’interlocutore “mi fai un piacerino?”, “ci sarebbe un
viaggetto”.
diminutivo di modestia “ti ho portato un regalino”,si attenua la realtà di quello che
diciamo.
Il –one può avere una valenza accrescitiva, ma anche derivativa “mangione”,
“chiacchierone” cioè deriva direttamente dal verbo. Il suffisso di valenza alterativa
“donna-donnone”, “voce-vocione”. Nella sua pura valenza accrescitiva “ragazzone”.
Nella lingua parlata di norma ne modifica il genere.
PREFISSAZIONE
Non ci può essere mai un cambio di categoria grammaticale (nella suffissazione sì),
“se fedele è un aggettivo lo è anche infedele”.
Polivalenza semantica dei prefissi:
“S” può avere valore negativo “scorretto, scoperto”, ma anche quello di separazione
“sbarcare”, “sconfinare”, ha un valore altro “sbucciare”, valore intensivo, rafforza il
significato della parola base “sbandierare, spennellare, sbiancare”. È la più usata per
un fatto di analogia.
“In” circola in una prima valenza negativa, si rende simile (assimilazione) al suono
iniziale della base “irresponsabile”, poi c’è una valenza spaziale anche figurato
“immettere”, invecchiare, valore altro è “inzuccherare”.
“De-di” molto usato: valenza di allontanamento “distaccare”, valenza privativa
“deteinato”.
“Ri” può essere iterativo o reversivo -> RItornare
La nostra lingua è molto ricca di verbi parasintetici, cioè sono verbi che rispetto alla
base applicano un doppio meccanismo, un prefisso e un suffisso: “fumo” -
“affumicare”, non solo –are. Non ci sono solo i verbi che sfruttano questo
meccanismo “pietà” – spietato”.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Anche per i prefissi ci sono quelli vivi e quelli fossili. A volte una stessa forma circola
con un doppio valore: “riuscire”, uscire di nuovo con valore motivato, cioè di
semplice prefissazione, ma significa anche ad avere successo, quindi un valore
lessicalizzato.
C’è la questione della doppia trafila per i prefissi. “Extra”, extraparlamentare è una
versione dotta, ma c’è anche una versione popolare cioè –stra, strabello, straparlare.
“Ultra” ultrasuono, l’evoluzione di tipo popolare –oltre. “Sub” subacqueo, subtotale;
“so” sollevare, sopportare, sorridere.
Un'altra considerazione è quella del passaggio dal latino all’italiano c’è stata una
straordinaria riduzione della prefissazione verbale perché:
1. A livello di lingue romanze si è sviluppata una tendenza forte a verbi sintagmatici,
verbo che è seguito da un elemento nominale o avverbiale, cioè aggiungere un
qualcosa che precisa il verbo per precisare l’enunciato: “salire su (non risalire)”,
“scendere giù”, anche quando il verbo non ha bisogno di precisazione.
COMPOSIZIONE
Consiste nella combinazione di 2 o più parole autonome. Può essere:
Composizionale A+B=AB ->cassapanca
lessicale A+B=C. “tavolacalda” o “sanguefreddo” è lessicalizzato (non hanno nulla a
che vedere con la tavola calda o con il sangue freddo)
TIPI DI COMPOSIZIONE:
1. nome + nome
2. nome + aggettivo -> cassaforte, camposanto, etc.
3. aggettivo + nome ->bassorilievo, grancassa, etc.
4. verbo + nome ->portacenere
5. verbo + verbo ->leccalecca, dormiveglia, etc.
6. preposizione + nome ->sottopassaggio
7. verbo + avverbio ->buttafuori.
Entriamo nella prima categoria nome + nome con 3 sottogruppi interni:
determinante + determinato, “terremoto”, è il moto della terra, “
determinato + determinante: “capostazione”, è un capo, non una stazione,

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

non esistono proprio un determinante e un determinato, cioè “cassapanca”,


“caffelatte”, si determinano a vicenda.
Se nel secondo gruppo erano nascoste le preposizioni, nel gruppo numero tre sono
nascoste le congiunzioni (capo della stazione, cassa e panca)
Nella seconda tipologia nome + aggettivo ->“guardia costiera”, “guardia forestale”.
Nella terza tipologia aggettivo + nome abbiamo forme univerbate, “biancospino”, e
non univerbate. -> grigio perla
Nella quarta tipologia verbo + nome, sono costituite da epiteti che poi si sono
consolidati nei cognomi “leccapiedi”. L’ambito in cui dimostra avere più successo è
quello dei prodotti destinati ad essere consumati, il mercato si orienta verso questa
tipologia, poiché è altamente descrittiva, emerge immediatamente chiara la finalità.
Presentano un verbo con la prima coniugazione (-are), “parafulmine”, “guardalinee”,
“poggiatesta”. Nella lingua giornalistica troviamo molte forme che nascono
direttamente come aggettivi, “film strappalacrime”. Quindi il composto verbo +
nome non porta solo ad un risultato nominale, questo anche perché nella lingua
italiana c’è una grande confusione tra le due categorie, del nome e quella
dell’aggettivo, “generale” sia nome che aggettivo. Il nome ha ruolo di complemento
oggetto per la maggior parte delle volte.
Aggettivo + Aggettivo: “verde chiaro, rosso scuro, giallorosso, pianoforte”, le due
qualità coesistono e si determinano a vicenda. C’è una seconda categoria in cui le
qualità non coesistono: “stanco morto”, “ubriaco fradicio”.
POLIREMATICHE. O unità lessicali superiori, cioè una sequenza di più parole (quindi
separate nella grafia, mentre nelle composizioni la maggior parte delle volte le
neoformazioni erano univerbate) che però nella loro successione servono per
indicare un significato unico, un unico lessema per esempio “ferro da stiro”. Le vere
polirematiche sono quelle successioni in cui è espressa una preposizione (da non
confondere con le composizioni che sono per lo più univerbate). Esempi “sala da
pranzo, marca da bollo, carta di credito, calcio di rigore, motore di ricerca, giacca a
vento, forno a microonde”. Ma anche i verbi possono essere forme polirematiche,
“mettere in moto”, “andare in onda”.
COMPOSIZIONE NEOCLASSICA CON ELEMENTI DOTTI.
Composizione formata da elementi provenienti dal greco e dal latino, cioè i
confissi. Usati nei linguaggi scientifici, ma più in generale nei linguaggi settoriali.
Possono legarsi o alla prima parte o alla seconda: “cardiopatia, tachicardia”,
“filologia. Si chiamano anche prefissoidi o suffissoidi a seconda della posizione che

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

occupano. Il successo di questa tipologia è dovuto alla trasparenza dei significati


degli elementi (se conosciuti).
Alcuni prefissoidi e suffissoidi (confissi) hanno avuto una sorte particolare, come
autos, il prefissoide è usato come valore primario cioè la sua forma riflessiva, ma
“automobile” avendo subito una riduzione in “auto”, quest’ultimo ha assunto il
valore della parola di cui fa parte -> automatico (dotta) autolavaggio (moderna)”. Si
è formata, quindi, una seconda lista di prefissoidi, come “tele”, che oltre alla sua
forma primaria, viene usato anche in “teleabbonato”, “telequiz”. Un suffissoide è
“poli”, richiama il termine primario di città, però ha preso il valore di scandalo, come
calciopoli, tangentopoli.
Sono produttivi mini, maxi, che si possono considerare prefissoidi in quanto
rimandano ad un termine primario di origine dotta oggi però vengono considerati
prefissi, perché hanno avuto una straordinaria produttività nella lingua parlata,
hanno avuto uno slittamento dallo status di prefissoidi ad uno di prefissi.
“Miniappartamento” ha una maggiora oggettività, mentre “appartamentino” ha una
carica più emotiva, soggettiva. “
RETROFORMAZIONI
Si crea una parola da un’altra come se fosse erroneamente la base. In realtà l’altra
parola deriva a sua volta da un’altra base suffissata o prefissata.
Alcune retroformazioni sono ottenute mediante la cancellazione o sostituzione di
suffissi o prefissi -> postfazione è tratto da prefazione.
I FENOMENI DI RIDUZIONE
ABBREVIAZIONI -> pagina = pag\ professore = prof
SIGLE -> gip\ ok\
ACRONIMI -> ISTAT
ACCORCIAMENTI BISILLABICI -> Bici, Frigo

CAPITOLO 7 SINTASSI
Valenza verbale -> nucleo=verbo + elementi direttamente collegati al verbo.
verbi zerovalenti, monovalenti, bivalenti, trivalente, tetravalenti
I verbi possono aver bisogno anche di altri elementi che sono chiamati circostant
come gli avverbi che modificano il verbo, o le espansioni.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Il sintagma è l’unità della sintassi, esso può essere costituito da una o più parole, può
essere sintagma verbale, sint+agma nominale, sintagma aggettivale ecc.
Solitamente in italiano è frequente la sequenza S-V-CO, ma essendo l’italiano molto
libero possiamo trovare diverse formulazioni
Con i verbi inaccusativi (intransitivi) è frequente la sequenza VS -> è arrivata Maria
L’italiano tende a costruire da sinistra a destra attraverso il TEMA che è qualcosa di
noto, già citato nel contesto o nella domanda e poi il REMA che predica sul tema e
che è la parte nuova, quella che non è stata citata e che non si conosce.
Se stiamo parlando di Luigi -> Luigi canta
Se stiamo parlando di qualcuno che canta -> canta Luigi
Indipendentemente dalla posizione del soggetto, l’italiano richiede comunque
l’accordo con il verbo per quello che riguarda il numero.
Nel parlato però si possono distinguere 2 casi in cui questo non viene rispettato
- Concordanza a senso -> verbo al plurale con nome collettivo singolare = la
maggior parte di loro hanno preso
- Quando ci sono più soggetti -> a Roma c’era il presidente della repubblica,
mio cugino e mia sorella.
LA POSIZIONE DELL’AGGETTIVO
Nei dimostrativi -> è obbligatorio metterli prima del nome = questo giornale
Nei numerali ordinali -> è obbligatorio metterlo prima del nome = il primo giorno
Negli indefiniti -> è obbligatorio metterlo prima del nome = alcuni amici
Nei possessivi-> si può trovare sia prima del nome “la mia macchina” sia dopo il
nome attraverso la posposizione “amore mio, posso prendere la macchina tua?”
Nei qualificativi -> sia prima che dopo il nome “ho visto un bel film” “ho visto un film
bello”. In alcuni casi però attraverso la posizione varia il valore dell’aggettivo “un
amico vecchio = anziano” “ un vecchio amico= di vecchia data”
ORDINE DEI COSTITUENTI. (Soggetto, predicato e complemento oggetto) in latino
l’ordine dei costituenti in una frase era completamente libero, libertà che si legava
alla caratteristica della lingua latina, cioè quella di varie desinenze a seconda dei casi.
Crollato il sistema dei casi, nella lingua romanza si afferma un ordine abbastanza
preciso del ruolo di soggetto e del complemento oggetto: S-V-O.

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Non sempre la lingua però rispetta la sequenza SVO-> frasi marcate (l’italiano
antico ad esempio aveva una maggiore tendenza ad anticipare l’oggetto, la lingua
poetica che si allontana da quella popolare tende a modificare tale ordine come
l’Ariosto -> le donne i cavalier l’arme gli amori io canto). Anche molti proverbi
presentano un capovolgimento dell’ordine, “cosa fatta capo ha”.
Che cosa si intende per struttura dell’informazione? (Problema presente nelle frasi
marcate, cioè frasi che non presentato la sequenza normale).
La struttura dell’informazione non considera i costituenti dal punto di vista del ruolo
sintattico, ma del ruolo o scopo informativo, dal messaggio che vogliono trasmettere
a seconda della loro posizione nell’enunciato.
- “Giorgio ha comprato il giornale”
- “Il giornale l’ha comprato Giorgio”
- “L’ha comprato Giorgio il giornale”
- “È Giorgio che ha comprato il giornale”
In tutte le frasi è presente lo stesso nucleo sintattico e gli stessi costituenti. I contesti
in cui tali frasi sono usati però sono diversi. Le strutture sono diverse rispetto allo
scopo informativo. Il parlato dà più importanza alla struttura dell’informazione che
a quello della norma.
Nella nostra lingua la frase dichiaratamente non marcata ha sempre la parte data
prima di quella nuova: “Giorgio ha regalato un anello a Laura” l’ordine dei costituenti
presenta la necessità di porre prima la parte data (tema) rispetto a quella nuova
(rema, fa avanzare uno stato di conoscenze). In una domanda tutta volta alla novità
“c’è qualche novità?” la risposta è tutta volta al nuovo ed è corretta, se domando
“che cosa ha regalato Giorgio?” abbiamo già qualcosa di dato e questi costituenti
dati sono posti prima di quelli nuovi. Nella domanda che rimanda alla novità “a chi
ha regalato un anello Giorgio?” in questo caso la risposta di partenza (Giorgio ha
regalato un anello a Laura) è corretta perché il dato è prima del nuovo. “Che cosa ha
regalato Giorgio a Laura?” (“anello” è posto prima di Laura, ma dovrebbe essere
messo dopo in quanto la parte nuova va dopo) o “chi ha regalato un anello a Laura?”
(Anche qui “Giorgio” non si conosce, per cui la sua anteposizione rispetto alle cose
“date” è sbagliata) rispetto a queste due domande l’enunciato di partenza non è
corretto poiché il nuovo viene prima del dato.
Per costruzioni marcate si intendono quelle frasi in cui non è rispettato l’ordine S-V-
CO. LE FRASI MARCATE NEL PARLATO:

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

1 Dislocazione a sinistra. Sono costruzioni marcate in cui costituenti che dovrebbero


avere una posizione post-verbale sono dislocati prima del verbo. Il costituente più
interessato a ciò è il complemento oggetto “la tele non la guardo mai”. Spesso si usa
il pronome clitco con funzione anaforica. Questa anticipazione può coinvolgere tutti
i costituenti, “a me mi piace molto”. La dislocazione coinvolge il dato, cioè quello che
già si conosce.
[Il primo documento della lingua italiana, il placito capuano, ha una dislocazione e
poi è questo costrutto si è cristallizzato ed è entrato oggi nella lingua dei giornali].
2 Dislocazione a destra. è il fenomeno speculare della dislocazione a sinistra. “Lo
prendi un caffè?” l’oggetto rimane nella posizione canonica post verbale, ma è
anticipato dal pronome clitico con funzione cataforica, perché fa riferimento a
qualcosa che ancora devo dire. Dal punto di vista informativo la dislocazione a destra
rimane sempre nel dato come nel caso precedente (quella “a sinistra”).Le costruzioni
marcate possono riguardare anche enunciati e un’intera frase. “Ce l’hai l’ombrello?”
dislocazione a destra (Riguarda l’istituzionalizzazione della particella “ci”). “Non ne
posso più di linguistica italiana”, il “ne” già istituzionalizzato (“me ne frego”).
Queste dislocazioni riguardano sì la parte data, ma è anche vero che quando noi
usciamo dall’ordine normale, andiamo a mettere in rilievo la parte informativa che
vogliamo far risaltare e cioè la parte rematica.
Topicalizzazione o rematizzazione a sinistra. Costruzioni in cui si pone un
costituente nuovo (rema) nella prima posizione, è nuovo e in contrasto rispetto ad
altri possibili argomenti “hai comprato i biscotti per la colazione?” “No, le fette
biscottate ho comprato” si rimarca il tono ciò che è nuovo e che è posto nella
posizione preverbale. Questo può fare riferimento a tutti i tipi di costituenti a
prescindere dal loro ruolo sintattico. È tipico del parlato dove è il tono che fa capire
la parte rematica (le fette biscottate).
Ordine con soggetto post verbale è ricorrente posso trovare il soggetto dopo il
verbo quando tutta l’informazione è nuova. Di fronte ad una domanda “come sta
Piero? Piero è morto”, non può esserci un ordine con soggetto post verbale, perché
abbiamo già qualcosa di dato nella domanda (Piero), per cui questo ordine si verifica
per esempio quando uno dice “E’ morto Piero”, cioè la sequenza può avere il
soggetto dopo il verbo, solo quando tutto è nuovo, se abbiamo un’informazione già
data non si può.
L’anacoluto (“che non segue”): è quel costrutto in cui noi troviamo in apparente
ruolo di soggetto un costituente che invece risulta sospeso, non inserito in un
enunciato che conferisca il vero ruolo di soggetto -> “Giorgio, non gli ho detto

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

niente”. Questo costrutto può essere presente nella lingua parlata, (oggi questo tipo
di costruzione straordinariamente presente nei titoli di giornali o telegiornali, tecnica
per mettere in rilievo un costituente su cui si va a predicare qualche altra cosa
“banche, l’accordo è vicino”).
Rispetto a “la lettera l’ho scritta”, non c’è la ripresa nominale
L’anacoluto non presenta preposizioni, e viene quindi obbligatoriamente ripreso con
un pronome tonico o con un elemento semanticamente pesante -> il capo, a lui non
ho detto ancora niente.
La frase scissa: è molto frequente, è quella costruzione in cui noi troviamo il verbo
essere, seguito da un costituente (il soggetto, ma può essere qualunque elemento)
che viene messo in una funzione di rema e poi un “che” con a seguito il tema
(complementatore generico o pseudorelativo) “è da voi| che| aspetto risposte
precise”. Questo tipo di costruzione si trova particolarmente nelle frasi negative,
“non è con le parole che…”. Il verbo essere può assumere lo stesso tempo del verbo
dopo il che, ma può anche andare al presente o al futuro epistemico -> saranno tre
ore che ti aspetto\ è lui che l’ha detto.
Frasi pseudoscissa: sintagma nominale o pronominale che regge la relativa + verbo
essere copulativo + altro sintagma nominale o pronominale -> questo è quello che
dici tu
Frasi presentative: verbo è preceduto dal ci attualizzante + che + essere - > c’è un
signore che chiede di voi. Ci + verbo essere + che + tema
LA FRASE INTERROGATIVA
Interrogative totali -> la risposta è sì o no
Interrogative disgiuntive -> offrono un’alternativa
Interrogative parziali -> introdotti da operatori: che? Quanto? Quale? Chi? Che cosa?
Principali fatti dell’interrogativa nell’italiano contemporaneo:
- L’’uso di COSA invece di “che cosa” o di “che” -> cosa vuoi?
- Lo sviluppo di “come mai” invece di perché
- Diffusione del costrutto “che + verbo + a fare”?
ORGANIZZAZIONE SINTATTICA NELLA FRASE COMPLESSA
Quando all’interno della stessa frase troviamo almeno due nuclei abbiamo una frase
multipla. Si parla di frase composta se il rapporto tra le frasi è di coordinazione

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

(paratassi), si parla di frase complessa se il rapporto tra frasi è di subordinazione


(ipotassi). Nelle principali si usa l’indicativo, nelle subordinate si può trovare
sicuramente il congiuntivo ed i modi indefiniti preceduti da di\a \ da\per + gerundio,
infinito o participio passato. Subordinate implicite = modi indefinit\ Subordinate
esplicite = modi finit
Le congiunzioni causali “siccome, poiché” rientrano nella parte tematica (dato),
mentre “perché” entra nella parte rematica dell’informazione. Le prime introducono
causali rientranti nella parte data: “Poiché a Giorgio piace Maria, fa di tutto per
conquistarla”, “siccome ho perso l’autobus ho fatto tardi”
Bisogna comunque ricordare che la struttura sintattica è legata anche al carico
informativo che si vuole dare alla frase.
FRASI RELATIVE. Le forme del pronome relativo sono: che, cui, quali/quale
(preceduto normalmente da articolo determinativo e comunque è usato in
alternativa a “cui”)”, ma nella lingua parlata viene utilizzato soprattutto il “che”. Due
tipologie di frasi relative: relativa appositiva o esplicativa, “la tua amica, che è molto
brava, ha superato l’esame”, aggiunge un’informazione su un antecedente già noto
che può essere anche soppressa relativa restrittiva “l’amico che ti ha accompagnato
conosce Parigi”, serve a individuare l’antecedente, dunque l’informazione non può
essere soppressa ma è necessaria e l’unità tonale nel parlato non è separata. A
livello di lingua parlata la relativa appositiva non è molto frequente perché il parlato
preferisce trovare altre soluzioni e dare autonomia a strutture che in realtà sono
dipendenti in una codificazione scritta (sono dunque subordinate). Nella lingua
parlata vengono usate soprattutto le relative restrittive e il “che” diventa un
relativizzatore generico, valido per tutti gli altri valori sintattici come quella di
semplice congiunzione o di pronome anaforico perché ribadisce l’antecedente.
Nello standard il modello di relativa utilizzato dall’italiano è di tipo sintetico: i
pronomi relativi svolgono infatti una duplice funzione, di introduttori della
subordinata e di indicatori del ruolo sintattico dell’antecedente all’interno della
relativa. Il sistema prevede l’alternanza tra “che” e “cui”. Il “che” è usato come
soggetto (“quelle chiavi le ha dimenticate il cliente che è appena uscito”) e oggetto
diretto (“è questa la maglietta che hai comprato in vacanza?”), ma anche
complemento di tempo (il giorno che ti ho conosciuto); il “ cui” preceduto da
preposizione, si adopera invece per tutti gli altri complementi.
Nel parlato non si rispetta la regola dello standard, ma viene usato un “che” detto
relativizzatore generale, cioè viene usato anche in quelle frasi dove lo standard
prevede il “cui, il quale, la quale”:

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

- Il Che polivalente significa che si sovra estende a discapito di altre forme, per
esempio in frasi causali “prendi l’ombrello che (perchè) piove”.
- Che invariabile accompagnato però da un clitico, si tratta di una funzione
analitica che affida al che il compito di congiunzione e all’altro pronome quella
di accordo verbale -> posso dirlo a Luigi che ci esco insieme?
- Preposizione + cui o il quale + ripresa del clitico -> l’argomento di cui ne
abbiamo parlato.
CAPITOLO 8 LE VARIETA’ PARLATE
Caratteristiche fonetiche:
aferesi -> caduta ad inizio di parola di una vocale = ‘nsomma
elisione -> di una vocale finale prima di una parola che inizia per vocale = l’uva
apocope -> vocalica = andiam via \ sillabica = mà, mamma
metatesi-> areoplano invece di aeroplano
caratteristiche morfologiche
pronome di prima persona compare spesso
lui\ lei\ loro usati rispetto ad esso\essa\essi
uso di noialtri e voialtri
dimostrativi rafforzati con avverbi ->questo qui\ quello là
uso del presente indicativo
uso del passato prossimo invece del remoto
imperfetto usato per il periodo ipotetico
la sintassi del parlato
dislocazioni a sinistra -> usate per l’egocentrismo di chi parla
dislocazioni a destra -> usate nella confidenza: lo vuoi un caffè?
Frase scissa -> serve per distanziare il soggetto, ma è tipica anche delle interrogative-
> dov’è che vai?
Frase foderata -> epanalessi = ripetizione del verbo alla fine dell’enunciato -> ha
detto che è stato male, ha detto

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Il parlato è formato da frasi brevi aiutate da gesti ed espressioni e coordinate tra


loro. Ci sono subordinate, ma sono semplici e formate da perifrasi: stare per\ sto +
gerundio \ a+ infinito ecc…
Segnali Demarcativi -> indicano l’inizio, lo svolgimento e la fine di un discorso ->
niente, ecco dunque
Segnali fatici -> guarda, senti, vedi
Interiezioni-> ciao, salve, toh, ehi, aiuto! Basta!
Ideofoni -> sono le onomatopee, suoni che riproducono rumori, versi ecc.
soprattutto usati nel parlato giovanile o nei fumetti -> zac, din, bang,
segnali di sfumatura -> in pratica, cioè, voglio dire = particelle modali
IL LESSICO
Nel lessico del parlato si usano termini molto generici e non troppo specifici: cosa,
roba, fare.
L’alterazione è molto diffusa -> cosina, minutino, un sacco bello, un casino di gente
L’ITALIANO REGIONALE
È una sorta di interlingua nata dall’incontro della lingua nazionale con il dialetto.
Code switching -> l’enunciato inizia in lingua, poi passa al dialetto per poi tornare in
lingua
Code mixing-> diversi costituenti di una stessa frase sono in lingua e in dialetto
L’italiano regionale si attesta anche in base a quella che è chiamata calata o cadenza
relativa alla pronuncia e in base ai geosinonimi.
Varietà settentrionali-> pronuncia chiusa delle e toniche médico e pronuncia aperta
delle altre pèrchè
In veneto e in Emilia -> s salata = sebra, zente
Varietà toscane-> gorgia\ uso del sì impersonale con pronome soggetto di prima
persona plurale = noi si mangia bene\ uso del dimostrativo codesto\ uso del passato
remoto e meno uso del passato prossimo.
Varietà meridionali -> sonorizzazione dopo vocale = trenda\ uso del voi\
preposizione a\ collocazione del verbo a fine parola
PARLATO GIOVANILE
Dialetto

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Strato gergale -> farsi = drogarsi


Strato di provenienza della lingua di pubblicità e mass media
Termini propri di linguaggi settoriali-> scannerizzare
uso della lingua dei fumetti
 Forme di saluto = bella\ parole usate “ della serie” = prese dal linguaggio
televisivo delle serie tv

CAPITOLO 9 LE VARIETA’ SCRITTE


Aspetti grafici
Tendenza a scrivere univerbate -> soprattutto, invece
Accento grafico stabilizzato su 10 monosillabi -> è, giù, dà, dì, là, lì, sì, sé
Mancanza di accento nei giorni della settimana-> lunedì\ nel sì
L’elisione al maschile c’è sempre, al femminile solo davanti a parole che iniziano per
a -> l’auto
Scritture giovanili, politiche e commerciali -> okkupazione, x te, 6 bella
LA MORFOLOGIA NELLO SCRITTO E’ ABBASTANZA RISPETTATA
Aspetti sintattici
Rispetto della sequenza S-V-O
Frase scissa
Carico semantico concentrato sui nomi
Frequenza di locuzioni preposizionali -> sulla base di ciò, alla luce di
Subordinazioni
Stile nominale-> nello scritto: compare in titoli, insegne \ nel parlato: in frasi dove il
verbo è deducibile dal contesto “ecco il caffè” = elisione del verbo tende a mettere in
rilievo il nome che ha un grande contenuto informativo e semantico
Testualità e lessico
Divisione in paragrafi e capitoli
Divisione in capoversi

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

Legamenti a distanza -> non solo…ma anche\ tanto…quanto


Variatio -> si usano sinonimi, non si ripetono i nomi, nel parlato sì
SEGNI DI PUNTEGGIATURA:-> VIRGOLA= tra costituenti o frasi coordinate, per
separare frasi subordinate, per separare frasi incidentali, per relative appositive
PUNTO = isolare un enunciato dall’altro
DUE PUNTI= per introdurre discorsi diretti, per congiunzione, per elenchi
PUNTO E VIRGOLA = per legare sul piano semantico l’enunciato che segue a quello
precedente
l’italiano della letteratura= poco vincolante
discorsi liberi
frasi esclamative e interrogative
registri più disparati: dal latino al dialetto
verbi parasintetici
metonimie, metafore, sineddoche, paragoni
l’italiano della prosa saggistica e scientifica= vincolanti
testi scientifici = molto vincolanti
saggi= medio vincolanti
c’è però un confine labile presente nelle scienze molli come le scienze umanistiche
che sono a metà tra scienze dure vere e proprie e saggi
italiano nella prosa tecnico scientifica:
testo argomentativo
strutture di tipo deduttivo -> se…allora
tecnicismi specifici e collaterali
termini dotti
l’italiano delle leggi e della burocrazia = molto vincolanti
articoli numerati e concatenati
uso della punteggiatura rispettato
ricorso al passivo

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

aulicismi e latinismi
subordinazione con participi e gerundi
participi come nomina agentis
iperonimi per generalizzare -> domicilio
pronomi con valore anaforico o cataforico -> tale, suddetto, detto
uso di inserire Lì tra il luogo e la data come avverbio di luogo
l’italiano dei giornali
riformulazione di un discorso primario-> spesso gli articoli sono riformulazioni di
sentenze, verbali etc.
stile nominale soprattutto nei titoli
neologismi -> morsa del gelo, esodo e controesodo
metafore
composti ibridi e derivati-> baby gang\ baby spillo
polirematiche
distribuzione della narrazione in sottounità narrative che determinano un pluri
racconto sempre più dettagliato
l’italiano delle scritture esposte
ISCRIZIONI
Testi di carattere commemorativo scritti di solito in maiuscolo con un italiano
standard, prevalgono arcaismi, aulicismi, passati remoti, aggettivi prima dei nomi ->
insigne personalità
SCRITTE MURALI
Anche esse scritte in maiuscolo, ma solitamente da giovani. Compaiono segni
alfanumerici sintetici come X 6, frasi d’amore brevi e personali o frasi relative alla
politica.
L’italiano dei semicolti
È proprio dei parlanti dialettofoni, cioè che hanno come madrelingua il dialetto e che
quindi compiono errori nello scritto:
errori di accentazione

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

univerbazioni di articoli -> lamico


difficoltà nella resa delle doppie -> fato invece di fatto
errori di ortografia -> h, q
punteggiatura assente
gli al femminile
scambi tra ausiliari essere e avere
concordanze a senso
periodo ipotetico col doppio condizionale
CAPITOLO 10 LE VARIETA’ TRASMESSE
La nascita dei mezzi di trasmissione a distanza in Italia è stata importante in quanto
ha favorito un’unità linguistica orale, in particolare ci riferiamo a radio, cinema e
televisione.
L’italiano al telefono
Si tratta di una comunicazione bidirezionale con due interlocutori in cui si utilizza la
voce. Tutto si basa sui toni, sulle risate, sulle pause, mancano però i gesti e le
espressioni. Il parlato al telefono è composto da segni fatici: pronto? Ci sei? Chi
parla? L’italiano al telefono è composto da un’apertura- pronto? dal riconoscimento
– sono il signor Rossi- e da una formula di saluto finale. Con il cellulare tutto ciò
viene diminuito in quanto sappiamo già chi sta chiamando
L’italiano della radio
Tuttora molto del parlato della radio è scritto. Pensiamo ai bollettini sul meteo o sul
traffico ecc. il parlato autentico è entrato nella radio tardivamente grazie a
trasmissioni che prevedevano la partecipazione alle persone da casa. La radio è stata
uno dei pochi luoghi privilegiati dello standard parlato dove i conduttori per
diventare tali dovevano affrontare dei veri e propri corsi di dizione. Il parlato
radiofonico è composto da: frasi brevi e semplici, paratassi, si evitano incisi o
costrutti particolari; insieme a questo però si riscontrano anche alcuni tratti del
parlato autentico ed anche regionalismi o dialetti da parte di coloro che
intervengono.
L’italiano del cinema
È basato su sceneggiature scritte. Anche al cinema spesso si usano i tratti regionali,
magari per caratterizzare un determinato personaggio o per far ridere nel caso dei

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

film comici. Il dialetto più espanso è sicuramente il romanesco. Il cinema non è solo
italiano, spesso i film sono stranieri e vengono doppiati da italiani, qui di solito si
preferisce la pronuncia standard ed i dialetti compaiono solo in funzione di
particolari forme espressive.
L’italiano della televisione
Inizialmente anche la televisione si basava su testi scritti e tendeva quindi a
standardizzare l’italiano. Oggi coi talk show e con i reality show ci si allontana dallo
standard in quanto il livello del parlato dipende dalle variazioni diastratiche,
diatopiche e diafasiche dei partecipanti. Nei telegiornali si rilevano le caratteristiche
tipiche dei giornali con neologismi, formule fisse “voltiamo pagina”
Nelle trasmissioni culturali il linguaggio ed il tono sono ancora formali benché si
cerchi di utilizzare termini semplici per far comprendere al pubblico.
La fiction, basata anch’essa sui testi scritti, cerca di avvicinarsi sempre più al parlato
cercando spesso anche di riprodurre varietà regionali.
La funzione dello spot pubblicitario invece è quella di convincere il pubblico a
comprare quel determinato prodotto descrivendolo come indispensabile per la vita.
Le pubblicità spesso spostano l’informazione semantica sul nome piuttosto che sul
verbo o addirittura usano composti verbo+ nome per appunto dare un’informazione
utile ed efficace in poco tempo. Molto usati sono gli slogan rimati “brio blu mi piaci
tu, nuovo? No, lavato con perlana”
LO SCRITTO TRASMESSO
È quello relativo alle mail, agli sms o alle chat. Nel trasmesso i testi sono molto brevi,
c’è bisogno di economia e di sintesi, sono legati alla virtualità e molto spesso mentre
si scrive l’altro sta leggendo.
L’italiano in internet
Ci troviamo difronte ad ipertesti dove non ci sono confini precisi, ma questi ultimi
sono stabiliti dal ricevente che può aprire nuove pagine su parole messe in rilievo e
che rimandano a link. Il testo scritto è multimediale e accompagnato da suoni ed
immagini. L’aspetto grafico è particolarmente curato. Essendo aperti indistintamente
a qualsiasi persona, i testi rispettano le norme grammaticali. È presente un certo
influsso dell’inglese con i termini “homepage” “www”
Dal punto di vista sintattico i periodi si strutturano con frasi brevi, con moltissimi a
capo.
L’italiano della posta elettronica

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)


lOMoARcPSD|2139568

È una forma più vicina alla telefonata che alla mail. Il messaggio viene scritto
velocemente senza rileggere eventuali errori di battitura. Come nel parlato il testo è
costituito da frasi breve, coordinate.
L’italiano delle chat
Presenta una spiccata dialogicità. Sul piano sociolinguistico bisogna dire che gli
utenti sono molto spesso i giovani. Si segnalano l’uso del K, del X e delle faccine che
riproducono il dialogo come se fosse faccia e faccia e quindi esprimono lo stato
d’animo. Notevole è il plurilinguismo gli utenti non solo passano dall’italiano al
dialetto attraverso code switching o code mixing, ma usano anche termini in inglese,
francese, spagnolo.
L’italiano degli sms
I messaggini sono trasmessi attraverso il cellulare e ricalcano gli stessi processi delle
chat. In particolare c’è una tendenza a ridurre le parole con abbreviazioni “qnd, qnt,
cmq, c6”. Sono praticamente assenti i segni di interpunzione

Distribuzione proibita | Scaricato da Cecilia Migliarese (ceciliamigliarese25@gmail.com)

Potrebbero piacerti anche