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L’italiano va considerato come una delle grandi lingue di cultura. Il made in Italy ha e
continua ad avere un successo internazionale nella gastronomia, nel cinema, nella
moda etc. per questo alcune parole italiane sono ormai entrate nel lessico
internazionale come: sonetto (piccolo suono, 2 terzine + 2 quartine endecasillabi),
allegro (tempo piuttosto rapido in musica), pianoforte, affresco, maccheroni, ciao
(deriva da schiavo nel senso di sono ai tuoi comandi).
I DIALETTI ITALIANI
La carta dei dialetti italiani è stata approntata da Giovan Battista Pellegrini nel 1977,
egli ha elaborato anche quello che è il concetto di italoromanzo con riferimento a
tutte le parlate che ci sono solo all’interno del territorio della penisola italiana,
comprese le isole. Si distinguono:
-dialetti toscani
Caratteristiche dialetti toscani: esito del suffisso latino ARIUM\AM in AIO\AIA e non
in ARO\ARA
-dialetti mediani (parlati a sud della linea Roma Ancona e cioè nelle Marche centrali,
Umbria, Lazio)
-dialetti mediani di transizione (parlati a nord della linea Roma Ancona) sono quei
dialetti privi di alcune caratteristiche dei dialetti mediani.
Caratteristiche generali: metafonesi (variazione del timbro della vocale) -> uocchie,
russu,
L’italiano come tutte le lingue ed i dialetti romanzi deriva dal volgare (latino parlato
nell’età imperiale). L’italiano non è solo la lingua rimasta più vicina al volgare e di
conseguenza anche quella che più si rifà ed è al latino classico da cui ha ripreso
parole vere e proprie e strutture morfosintattiche come: formazione del superlativo
col suffisso -issimo o con l’anteposizione all’aggettivo di vari avverbi come
molto,tanto, assai. Quanto alle parole dotte contrapposte alle parole popolari basta
L’italiano deriva dal dialetto fiorentino del 300, nell’elaborazione di Dante, Petrarca e
Boccaccio. In Italia fu dunque la letteratura alla base dell’unificazione linguistica in
quanto non ci fu quel processo di monarchia nazionale che impose una lingua
precisa. Come ben sappiamo l’Italia sarà caratterizzata fin oltre l’800 da una
frammentazione territoriale che porterà al mantenimento dei dialetti da una parte e
alla formazione della lingua attraverso la letteratura sulla base del dialetto fiorentino
che si impose sugli altri dialetti a causa della fama degli autori che lo usarono. Fino al
1861 l’italiano fu comunque una lingua utilizzata maggiormente nello scritto da
poche persone, cioè solo da quelle alfabetizzate. Erano poche le persone che
avevano una competenza attiva dell’italiano (uso nello scritto e nel parlato). Dopo
l’unità di Italia a causa dell’obbligo scolastico, del miglioramento delle condizioni
sociali economiche e culturali l’italiano si è sempre più insediato come lingua
nazionale. I dialetti però non sono morti, sono solo cambiate le circostanze in cui
vengono utilizzati. Se la Toscana prima era la madre dell’italiano scritto e orale, ora
sta cedendo sempre di più il posto a Roma o ai centri del Nord che impongono
innovazioni linguistiche di largo uso.
ITALIANO STANDARD.
E’ la lingua che si ispira all’italiano scritto, colto, ereditata da una secolare tradizione
scritta letteraria codificata nelle grammatiche, ciò è stato oggetto di attenzione da
parte dei grammatici e istituzioni che hanno stabilito delle norme, è quella lingua
presentata come quella corretta in virtù del fatto che rispetta quelle norme. È quella
insegnata a scuola. Il concetto standard è indissociabile a quello di norma. Non è
statico in assoluto. È la lingua che ha la funzione di riferimento per i giudizi di
correttezza o scorrettezza. Non può essere marcato da nessun asse di variazione
(diafasico, diastratico, …). È una lingua alta. È quindi la lingua di maggior prestigio, è
posseduta dalla classe colta, è la lingua usata per tutti gli usi formali. È una lingua
che si conquista con lo studio, non è la lingua nativa di nessuno. Ha una funzione
unificatrice, cioè unifica perché costituisce il modello di riferimento da tutta la
popolazione, di conseguenza ha una funzione separatrice rispetto alle altre
comunità. Si manifesta nella dimensione scritta (colta). Non è tanto coincidente con
la lingua parlata, perché bisogna rapportarsi all’origine dello standard, cioè la lingua
fiorentina del 300’, fondamento della nostra lingua letteraria, è riuscita, grazie alla
grandezza degli scrittori, ad imporsi come fondamento per la nostra lingua letteraria,
che successivamente è diventata il fondamento della lingua standard, della nazione.
Abbiamo conosciuto una stabilità eccezionale nella nostra lingua. I colti italiani sanno
leggere Boccaccio, ma i francesi colti non sono in grado di leggere i loro testi prodotti
negli stessi anni. Questo perché la lingua scritta si è adattata a quella parlata in
Francia, noi abbiamo scelto la lingua fiorentina come lingua nazionale.
I tratti veramente nuovi sono pochi, per lo più si tratta di fenomeni vecchi di secoli,
ma censurati dalle grammatiche. Ora accettate grazie al nuovo straordinario e
inedito peso che ha acquistato l’oralità. Con i mass media, siamo stati esposti ad una
oralità comune come non era mai capitato prima. La prima fase della tv era quella in
cui il parlato era molto marcato, vicino all’italiano standard, una specie di scuola di
lingua. Nel tempo sono cambiate le tipologie di trasmissione, per esempio il
coinvolgimento del pubblico, quindi oggi si è trasformata in specchio della lingua
comune, influenzando la stessa.
I fattori nuovi sono per es. “supplemento camera vista mare”, cioè la tendenza a
eliminare le preposizioni. Oppure con la tendenza di sostituire il complemento di
L’ITALIANO SUBSTANDARD
Rispetto alla varietà standard, la varietà substandard raccoglie il vasto universo delle
forme escluse dalla norma, non codificate, con alta variabilità e per lo più tipiche
dell’uso parlato spontaneo. L’italiano substandard comprende quindi l’italiano
regionale marcato, l’italiano popolare e i registri informali e trascurati in cui è posta
scarsa attenzione al rispetto della norma.
Ogni lingua quanto più è diffusa nello spazio e nel tempo, tanto più presenta una
serie di differenze dovute a variabili dette ASSI DI VARIAZIONE
Il cambiamento diacronico deriva anche dal contatto con altre lingue come per
esempio l’inglese.
VARIABILE DIATOPICA: legata allo spazio, nel senso che una lingua assume
caratteristiche diverse in base alle singole zone in cui è usata. Per esempio: l’oggetto
usato per riporre gli abiti nell’armadio in Italia non ha un nome universale, ma è
detto stampella, gruccia, omino, appendino
VARIABILE DIASTRATICA: legata alla posizione sociale del parlante, al genere, all’età,
alla classe, alle condizioni economiche, al grado di istruzione
CAPITOLO 2 – ONOMASTICA
L’ONOMASTICA ITALIANA
L’onomastica è costituita dai nomi propri di persona, dai cognomi, dai toponimi etc.
L’onomastica italiana si è formata attraverso il latino innanzitutto, ma anche
attraverso i popoli con cui l’Italia è venuta in contatto come spagnoli, francesi,
inglese, germanici e arabi (invasioni), greco ed ebraico (tradizione cristiana).
una Ferrari (dall’ing. Ferrari), un Martini (dal produttore Martini). Più frequente è
anche il processo per antonomasia, determinate caratteristiche di un particolare
personaggio che vengono allargate a tutti coloro che presentano le medesime
caratteristiche: cicerone (fare da guida turistica), marcantonio (uomo bello robusto),
paparazzo (dal film la dolce vita) etc.
I TOPONIMI
Derivando dal latino hanno subìto le stesse mutazioni che sono avvenute in italiano:
Più trasparenti sono i meccanismi con i quali si sono formati i nomi in età
medievale e postunitaria, e cioè attraverso la combinazione determinato +
determinante -> città di castello, Civitanova, Civitavecchia.
Frequenti sono gli agiotoponimi, luoghi con i nomi di Santi -> Sanremo, San
Giovanni.
I NOMI DI PERSONA
Tradizione di nomi di origine straniera o con grafemi estranei all’italiano -> Walter,
David, Fanny.
Oggi si tende a usare e a scrivere i nomi stranieri così come sono. In passato invece
essi venivano tradotti secondo anche una certa inventiva -> Stan Laurel e Oliver
Handy = Stanlio e Olio – Mickey mouse = topolino. Oggi si usano grafie che
corrispondono all’esatta pronuncia -> freudiano
Spesso cade la sillaba prima dell’accento e viene ripresa la lettera con la quale inizia
il nome -> Beatrice = Bice
Ci sono poi ipocoristici ancora più lontani dal nome di origine -> Francesco = Ciccio,
Federica = Chica, Chicca
Oggi per la maggior parte degli ipocoristici avviene l’accorciamento bisillabico ->
Federica = Fede, Alessandra = Ale
C’è poi lo pseudonimo, nome d’arte o comunque un nome che è diverso da quello
originale-> Tintoretto, Jovanotti, Trilussa
I COGNOMI
CAPITOLO 3 – IL LESSICO
Si definisce lessico il complesso delle parole di una lingua. L’unità del lessico è il
lessema che non equivale ad una parola sola, ma può essere più piccolo o più
grande. Per esempio: il lessema delle forme paradigmatiche di un verbo è l’infinito, il
lessema di parole combinate è più ampio – sala da pranzo.
Il lessico di ogni lingua rispecchia una particolare visione della realtà, la linguistica
moderna ha elaborato il concetto di arbitrarietà di segno che serve per impostare il
rapporto tra la cosa detta e quello che essa designa. Per esempio in inglese a glass
corrispondono i termini -vetro, -bicchiere, -occhiali al plurale; per il termine italiano
nipoti, l’inglese usa 4 diversi nomi per designare il concetto. Ecco perché ogni lingua
ha una propria arbitrarietà di segno. Bisogna distinguere tra lessico che comprende
la totalità dei lessemi e vocabolario che invece comprende una quantità ben
delimitata di lessico. Tra i lessemi possiamo distinguere le parole semanticamente
piene come aggettivi, sostantivi, verbi e le parole vuote dove ci sono avverbi,
congiunzioni, articoli, preposizioni; quest’ultima classe è chiusa grammaticalmente
mentre la prima no. Il lessico è costituzionalmente aperto, si arricchisce in
continuazione, ma allo stesso tempo subisce delle perdite relative a quelli che
vengono chiamati arcaismi. Inoltre il contatto con altre lingue determinano i
cosiddetti prestiti, all’interno del contesto del prestito è importante anche il prestigio
inteso come la superiorità di un popolo in un particolare settore a tal punto da
imporre le parole di quel popolo. I prestiti possono essere di necessità o di lusso,
quelli di necessità servono per denominare qualcosa di sconosciuto nella lingua che
riceve il prestito, quelli di lusso servono per denominare qualcosa di conosciuto nella
lingua che riceve il prestito e che cambia il termine in questione per moda.
IL LESSICO ITALIANO
In passato il lessico risultava molto arricchito poiché c’era il fenomeno della
polimorfia, la coesistenza cioè di più varianti: lacrima, lagrima. Ora questo fenomeno
è andato perdendosi col tempo. Il vocabolario di ognuno varia a seconda dell’età,
della cultura, del grado di istruzione ecc. Il dizionario più grande è il GRADIT di Tullio
de Mauro, ma nemmeno il GRADIT contiene tutti i lessemi, inoltre è in continuo
aggiornamento (è uscito il volume supplemento dove sono state inserite le parole
pianista, smanicato, cucchiaio nelle accezioni di colui che vota al posto di un altro,
giubbetto senza manica e pallonetto).
Tullio De Mauro è anche colui che ha individuato nel lessico un settore particolare
chiamato vocabolario di base formato da circa 7.000 lessemi che costituiscono la
base di tutti i testi scritti e parlati. Il vocabolario di base si divide al suo interno in 3
fasce
- Lessico fondamentale: verbi, aggettivi e sostantivi più frequenti che
rispondono ai bisogni più naturali ed immediati. Noto a tutti coloro che
parlano italiano
- Lessico di alto uso: impiegato nello scritto e nel parlato, noto a tutti coloro che
hanno un livello di istruzione media
- Lessico di alta disponibilità: lessemi legati a fatti, eventi, oggetti che anche se
non vengono nominati spesso sono noti ad ogni parlante.
Discorso a parte nel lessico va fatto per le voci gergali e cioè quelle parole che
sono usate da gruppi ben definiti non nel loro significato o significante, ma in un
altro, datogli appunto da quel gruppo stesso -> secchione, caramba
Ci sono poi i regionalismi che invece sono espressioni che appartengono al
vocabolario di base e che sono usate nella realtà quotidiana, ma che non sono
estesi all’intero territorio nazionale.
LE COMPONENTI DEL LESSICO ITALIANO
Dal punto di vista etimologico sono tre le diverse componenti
- Parole di origine latina
- Prestiti
- Neoformazioni
- Deonomastici -> nomi propri che sono diventati comuni
- Voci che hanno matrice espressiva o onomatopeica
si insediano nella lingua per lungo tempo, ma sono passeggeri, magari legati alla
moda
LESSICOLOGIA SEMANTICA
IPERONIMI E IPONIMI. Iperonimi sono delle parole che hanno un significato più
generale, più ampio che comprende le altre parole che hanno un significato più
stretto: iponimi. Mobile parola di valenza generica (iperonimo), che in include molti
iponimi cioè scrivania, letto, etc. Felino iperonimo, gatto iponimo. Non ci sono
compartimenti così chiusi, una forma può essere sia iperonimo che iponimo,
albero-pino, albero-pianta. Dal punto di vista morfologico dobbiamo distinguere due
casi, l’iponimo riprende il nome del nome del iperonimo con un determinante (può
essere costituito da un aggettivo o un complemento che introduce una
preposizione), il secondo caso è quando l’iponimo è autonomo rispetto
all’iperonimo.
RELAZIONI SEMANTICHE
POLISEMIA: (Dai molti significati). La polisemia è una relazione semantica per la
quale un unico significante ha più significati dove però è possibile individuare
qualcosa di comune a tutti; è il significato originario che si è esteso. Un cumulo
quindi di significati associati a quella forma. La polisemia riflette quella legge che
è l’economia della lingua, si utilizza lo stesso significante piuttosto che crearne di
nuovi. La lingua parlata è quella che si presenta più ricca di forme polisemiche,
perché è proprio in questo registro linguistico informale che si realizza il “minimo
sforzo”.
Le forme più polisemiche in assoluto sono i verbi-> mettere = poggiare,
indossare. Possiamo cogliere delle alternanze di significato e possiamo
schematizzare la polisemia così:
La stessa forma può avere un significato sia astratto che concreto, credenza,
cucina.
La stessa parola può alludere al luogo ma anche a quanti lavorano a quel luogo,
università.
Pianta-frutto, ho comprato dei limoni ho piantato il limone.
Gli aggettivi polisemici, sono quelli che hanno sia una valenza qualificativa che
una valenza intensiva. La valenza intensiva è “sono contenta, sono felice”,
quest’ultimo corrisponde ad un grado di intensità maggiore. “È successo un
incidente mortale” è qualificativo, “la lezione è stata una noia mortale”, è
intensivo. “Stella polare”, “ho un freddo polare”. “È una vendita straordinaria”, “è
unitaria favorita dalla pubblicità, commercio, etc. quindi le forme “indigene” hanno
vita sempre più difficile (babbo, papà sono esempi di geosinonimi, “papà” è in forte
espansione, si parla quindi di standardizzazione dei processi linguistici)
ANTONIMI: Sono lessemi che hanno significato opposto, questo rapporto di
opposizione riguarda tutte le categorie grammaticali (nomi, verbi, avverbi, etc.)
amore-odio, facile-difficile, largo-stretto, aprire-chiudere, cominciare-finire, prima-
dopo. A volte parole opposte si sono unite per formare un composto, andata e
ritorno, prendere o lasciare, bisogna distinguere contrari graduabili e non graduabili:
I contrari graduabili sono quelle coppie di parole che si trovano agli estremi, ma
che lasciano all’interno una zona neutra come gelido e bollente all’interno c’è
caldo e freddo, c’è una fascia intermedia tra due poli estremi. Anche quando la
lingua mette a disposizione nella linea intermedia termini specifici noi utilizziamo
quantificatori (molto, poco).
Quelli non graduabili non c’è una zona neutra come maschio-femmina, bocciato-
promosso, nell’uso proprio affermare uno esclude l’altro automaticamente.
Una seconda categoria di antonimi è quella di tipo grammaticale fortuna-
sfortuna, legale-illegale sono costituiti in base a un processo specifico della nostra
lingua, cioè di un prefisso. E’ sempre possibile un antonimo di tipo lessicale, non
sempre di tipo morfologico (bello-brutto, non sbello).
DISTINZIONE TRA TERMINI E PAROLE. L’aspetto più vistoso che differenzia il
linguaggio specialistico e quello popolare, è costituito dalla nomenclatura, dalla
terminologia. Differenze:
1.Le parole sono polisemiche, sono sempre pronte ad accumulare sempre nuovi
significati, i termini specialistici non hanno altri significati, cioè monosemici.
2. Le parole possono assumere connotazioni diverse, si prestano a usi metaforici,
i termini si sottraggono a tutti gli usi metaforici hanno sempre e solo un valore
denotativo, non può avere valore allusivo, connotativo.
3. Le parole possono avere sinonimi, i termini non dovrebbero avere sinonimi,
nella lingua comune si evitano le ripetizioni con sinonimi, nel linguaggio specifico
non c’è questa preoccupazione.
4. le parole hanno una estensione, cioè una parola infinita di riferimenti, roba, e
hanno l’intensione se si prende l’es. penna. I termini designano in maniera molto
precisa ciò che per essere spiegato ha bisogno di molte parole, tipo “massa” in
fisica, ha una grande intensione.
Le vocali sono gli unici foni sui cui può cadere l’accento
La fonologia invece studia i foni in astratto, nel loro configurarsi per individuare i
fonemi, piccole unità della fonologia.
Allofoni = realizzazioni diverse di uno stesso fonema -> erre moscia
I fonemi sono individuabili attraverso la prova di commutazione con le coppie
minime male\mela. Quando in una parola di senso compiuto in seguito alla
sostituzione di un fono con un altro si ottiene un’altra parola di significato diverso
allora ai due foni corrispondono due fonemi diversi.
Il sistema fonologico italiano è costituito da 21 consonanti e 7 vocali, il numero
dei fonemi è quindi superiore a quello delle 21 lettere dell’alfabeto.
LE VOCALI
Le vocali toniche sono 7
. La A è prodotta con la massima apertura della cavità orale
. 3 VOCALI ANTERIORI (perché la lingua va sempre più avanti) e aperta, e chiusa, i
. 3 VOCALI POSTERIORI LABIALI (perché la lingua va sempre più indietro e perché
c’è un’articolazione delle labbra) o aperta, o chiusa, u
In posizione atona cioè non accentata le vocali si riducono a 5
consonanti -> bar, nord, film. Nel parlato invece si nota in parole trisillabe l’usanza di
ritrarre l’accento sulla terzultima -> Frìuli invece che Friùli\ èdile invece che edìle
CAPITOLO 5 LA MORFOLOGIA FLESSIVA
La morfologia flessiva studia come si esprimono nei nomi negli articoli e negli
aggettivi i concetti di genere e numero, nei pronomi anche di caso, nei verbi anche di
tempo, di modo, di aspetto e di diatesi. Si chiama flessiva perché appunto studia le
forme flesse, cioè classificate e raccolte in paradigmi. L’elemento minimo di
significato è il morfema -> la radice e la desinenza.
Lingua sintetiche = poter esprimere più relazioni grammaticali con un solo morfema
Lingua analitica = ad ogni morfema corrisponde uno ed un solo elemento
L’italiano derivando dal latino è sicuramente una lingua sintetica, ma ha anche
caratteristiche analitiche. Particolare presente in italiano è L’ALLOMORFIA, cioè
l’alternanza di più forme che hanno lo stesso valore morfologico nelle desinenze e
nelle radici -> fresco\freschi – posso\può\ faccio\fai
IL NOME
La flessione nel nome marca il genere ed il numero. Relativamente al numero
abbiamo sei classi di plurali che in base alla parola al singolare terminano in -i,-e, -a,
più quelli invariabili dal singolare al plurale.
IL GENERE NEI NOMI DI ESSERI ANIMATI
Molto spesso la mozione è problematica, non tanto per passare dal genere
femminile al genere maschile dove di solito si aggiunge solamente una -o , quanto
per passare dal maschile al femminile a meno che non ci siano esiti in -tore\trice o in
-essa. Oggi c’è la tendenza a lasciare il nome maschiale laddove la mozione è
impossibile. Negli animali dove invece il femminile o maschile corrispondente non è
possibile si sottolinea il sesso dell’animale esplicitandolo ->la tartaruga maschio,
canguro femmina.
L’AGGETTIVO, LA COMPARAZIONE E L’ALTERAZIONE
Anche gli aggettivi sono flessi nel genere e nel numero. La prima classe è formata
dagli aggettivi che cambiano relativamente ad un solo morfema vocalico = buono,
buona\ buoni, buone. La seconda classe invece ha solo due forme = grande\grandi.
Poi c’è la classe invariabile. Sugli aggettivi è marcato soprattutto il grado: il
comparativo di maggioranza si realizza con l’avverbio PIU’, il superlativo assoluto con
avverbi tipo MOLTO, TANTO, ASSAI o con il suffisso -ISSIMO. Ci sono poi i superlativi e
comparativi di origine latina come BUONO =MIGLIORE, OTTIMO. Ultimamente nel
gergo pubblicitario e giovanile sono molti superlativi con prefissi tipo -MEGA, SUPER,
MAXI talvolta aggiunti anche ai nomi ->MAXIPIZZA, MEGAPARTY
Gli aggettivi possono anche assumere particolari valori con l’aggiunta di vari suffissi
che danno sfumature di vezzeggiativi, diminuitivi, accrescitivi, dispregiativi -ino,
-etto, -one- accio.
L’ARTICOLO
Tra le varie funzioni dell’articolo c’è quella di individuare i nomi che l’articolo precede
come determinati o indeterminati. L’articolo determinativo spesso ha una funzione
anaforica nel senso che riprende qualcosa di detto all’interno del contesto. Inoltre gli
articoli svolgono il compito di poter individuare il genere ed il numero dei nomi a cui
si riferiscono. NB-> dell’articolo indeterminativo l’italiano ha solo il singolare, il
plurale lo usa attraverso gli indefiniti.
I PRONOMI PERSONALI
L’italiano è una lingua PRO-DOP nel senso che ammette la caduta del pronome
poiché le stesse informazioni che ci dà il pronome sono date dal verbo. Nell’italiano
standard come nel latino ci sono delle forme utilizzate per i pronomi soggetto: io, tu,
egli, noi, voi, essi ed altre utilizzate per i pronomi oggetto: me, te, loro. NB ->
essi\esse sono soggetto e complementi indiretti, ma non possono essere
complemento oggetto. Il riflessivo di terza persona singolare e plurale è sé.
LUI e LEI possono essere usati sia come soggetti che come complementi.
In funzione di complemento diretto o indiretto non esistono solo le forme toniche,
ma anche quelle atone, i cosiddetti CLITICI:
MI, TI, CI, VI, LO, LA, GLI, LE, LI, LE.
Il riflessivo atono per entrambi i numeri è SI.
Esistono clitici locativi come CI-VI e il NE per altri complementi come
l’argomentativo.
I clitici si pongono prima dei verbi, particolare è il caso della posizione del si in
vendesi, affittasi e nell’imperativo o in perifrasi.
GLI ALLOCUTIVI
Per rivolgersi a qualcuno si usano gli allocutivi. Nello standard tradizionale si usa nei
rapporti paritari il tu al singolare ed il voi al plurale, nei rapporti gerarchici o con
persone con cui non si ha confidenza si usa il lei o il voi al singolare. Tutto ciò oggi sta
cambiando in quanto il tu si usa nel parlato molto più del lei. Il lei è ancora usato
nello scritto formale -> la Signoria vostra, Vostra eccellenza
IL PRONOME SI E LA PARTICELLA SI
Clitico riflessivo di terza persona singolare e plurale -> Mario si lava
Soggetto impersonale prima di un verbo di terza persona-> si vede
Passivante -> rende passivo un verbo attivo – la minestra si mangia col cucchiaio
Riflessivo e impersonale si distinguono facilmente attraverso la posizione che
assumono con un altro clitico -> il riflessivo precede il verbo diventando se +
clitico\Mario se l’è vista brutta\, l’impersonale rimane si ed è preceduto dal
clitico \Mario non lo si vede più\ se + clitico = riflessivo – clitico + si = impersonale
Il passivante e l’impersonale sono distinguibili col sostantivo plurale in quanto con il
si passivante il verbo vuole il plurale, mentre l’impersonale vuole il singolare. Non
sono molto distinguibili al singolare.
PARTICELLA “CI
Clitico -> CD e CI
Pronome dimostrativo-> non ci credo
diatesi media ->ci vediamo un film? “Per pranzo ci mangiamo un pezzo di pizza”
come rafforzativo per i verbi ->ci parlavo già da un po’ quando te ne sei andato.
Locativo
Attualizzante -> c’è tanto disordine, c’è Mario *volerci, entrarci, tenerci, contarci
Il NE lo troviamo ormai saldato direttamente al verbo avendo perduto il suo statuto
di moto da luogo-> fregarseNE, infischiarsENE.
ALTRI PRONOMI
In italiano si usano più i cardinali degli ordinali ->1\2…
I pronomi dimostrativi si usano in base alla collocazione dell’oggetto indicato: se
vicino ->questo se lontano -> quello
I relativi usano il CHE per soggetto e complemento oggetto ed il CUI per tutti gli altri
complementi.
IL SISTEMA VERBALE
Nelle forme verbali oltre a radice e desinenza troviamo la vocale tematica che varia a
seconda della coniugazione.
Il morfema che indica modo e tempo precede quello che indica persona e numero.
Le coniugazioni sono tre: are\ere\ire
modo: indica un particolare atteggiamento nel parlato, attitudine e tendenza
(indicativo, congiuntivo, gerundio e participio);
tempo: precisa l’azione in riferimento all’asse cronologico e rimanda a 3 rapporti:
anteriorità, contemporaneità e posteriorità;
transitività o intransitività
diatesi attiva o passiva: il passivo è poco usato nella lingua parlata, ma soprattutto
nello scritto. Molto usata è la diatesi media: “mi mangio un pezzo di torta” (non è
necessario l’utilizzo del pronome, c’è una differenza enorme con i verbi riflessivi:
hanno solo il pronome in comune);
valenza verbale: il verbo ha bisogno di essere accompagnato da costituente, affinché
la frase abbia un significato logico e completo. Questi elementi si chiamano attanti o
argomenti. Altri elementi non necessari si chiamano circostanziali. I verbi possono
essere suddivisi in varie categorie (capitolo 7): zerovalenti: non hanno bisogno di
nessun argomento (“piove”); monovalenti: verbi che hanno bisogno di un
argomento cioè il soggetto; bivalenti: hanno bisogno di almeno due argomenti (CD-
CI) trivalenti: i verbi che hanno bisogno di tre argomenti. tetravalenti: hanno
bisogno di quattro costituenti (sono pochi)
La nozione di tempo è fondamentale per costruire la frase, soprattutto nella nostra
lingua, non in tutte. [Per esempio nella lingua greca antica: che fa attenzione alla
dimensione della durata o “dimensione” del tempo, cioè se un’azione è
momentanea o meno].
PRESENTE. Ha valore deittico: indica la contemporaneità di un’azione rispetto
all’enunciazione.
valore abituale -> io vado in palestra”
valore atemporale usato soprattutto nella sfera scientifica, per i proverbi, o per i
motti, per le istruzioni
valore di potenzialità e di capacità -> Giorgio parla tedesco.
valore iussivo, cioè assume un valore di imperativo o di comando.
impiego di futuro quando ci sono due condizioni: quando c’è un’individuazione
precisa di un elemento temporale (pasqua, natale, etc.), quando c’è certezza su cosa
si voglia fare in seguito o in futuro. “Domani andrò al mare”, ci sono entrambe le
PASSIVO NEI VERBI. È molto più presente nello scritto di quanto sia a livello di lingua
parlata.
Caso A. “I sindacati criticano la posizione del governo che è considerata come
contraria alle loro proposte”, si deduce dal contesto chi sia l’agente.
Caso B. L’agente non è espresso perché è impossibile: “i diritti vanno tutelati”, “la
legge non sempre viene rispettata”, l’agente coincide con una comunità. In un testo
scritto, quando c’è la scelta, si sceglie la forma passiva con l’agente espresso.
C’è una tendenza nella lingua parlata a utilizzare il verbo venire piuttosto che essere,
“la porta è chiusa”. Dove c’è una valenza dinamica la lingua va verso il verbo
“venire”. Abbiamo la tendenza ad usare anche la forma perifrastica, noi abbiamo
con il passivo forme perifrastiche (espressione composta da più costituenti, che nel
loro insieme convogliano un significato unitario) per esempio con il verbo <andare +
participio passato> “l’operazione va eseguita con attenzione”, cioè “deve” essere
eseguita, è veicolato in questo messaggio l’obbligo, ha valenza deontica.
Uso confuso degli ausiliari essere e avere soprattutto con i verbi servili potere
dovere volere solere (chiamati anche modali, sono quei verbi che si combinano con
un altro verbo di modo infinito per definire una particolare modalità dell’azione).
Circolano con l’ausiliare avere piuttosto con l’essere: “ha piovuto”, “è piovuto”. Il
tema riguarda in maniera specifica con i verbi servili. I verbi servili dovevano essere
accompagnati dallo stesso ausiliare voluto dallo stesso verbo a cui si
accompagnavano: “non sono potuta andare alla riunione”. La tendenza ora è quella
verso: “non ho potuto andare alla riunione”. Si utilizza per ragioni di economia
molto forti, si elimina con l’ausiliare “avere” l’onere dell’accordo. “Non ha voluto
lavarsi”, “non si è voluto lavare”, la tendenza è verso la semplificazione.
PASSAGGIO DEL MODO CONGIUNTIVO ALL’INDICATIVO.
Distinguiamo 3 settori diversi in cui il congiuntivo viene usato:
esortativo “venga il tuo regno sia fatta la tua volontà”, “viva il re”,
cortesia, “entri pure”
desiderativo “magari fosse vero”. Rientra anche il caso di subordinate che non
hanno la congiunzione “che” “speriamo le faccia piacere”.
subordinate relative che a seconda del modo mutano significato, “il partito è alla
ricerca di un leader che possa dare slancio alla coalizione” (non si conosce il leader,
per questo scatta il congiuntivo). Quando c’è un alone di indeterminatezza scatta il
modo congiuntivo. Anche quando si assume un valore di volontà, “gli gridava che
facesse attenzione”. C’è da considerare un’alternanza in funzione della negazione,
“Giorgio dice che l’acqua calda fa bene alla digestione” in questa forma affermativa è
normale l’indicativo, se diciamo, “Giorgio non dice che l’acqua calda fa bene alla
digestione” (indicativo), “Giorgio non dice che l’acqua calda faccia bene alla
digestione”.
Il terzo grande gruppo
Verba putandi (verbi di opinione, giudizio e conoscenza).
verbi di preghiera o di divieto: nel parlato colloquiale si usa spesso il modo
indicativo “non voglio che lo fai”.
Il gruppo delle interrogative indirette, slitta verso l’indicativo “voglio sapere se c’è
andato da solo”. La lingua mantiene lo stesso modo della interrogativa diretta, cioè
l’indicativo. Altro contesto “lo aiuto non perché me lo abbia/ha chiesto, ma perché
ne ha bisogno”, la buona norma prevede il congiuntivo. La lingua va verso il modo
indicativo. Si sta affermando l’indicativo. Il congiuntivo non è molto disponibile sul
piano socio-linguistico. Al suo interno ha degli elementi di debolezza, quindi è
vittima dell’analogia. Rimane indiscutibilmente marcato il passaggio dal congiuntivo
all’indicativo, dal punto di vista diastratico parlanti meno colti, da quello diatopico, il
centro sud resiste di più il congiuntivo.
PERIFRASI VERBALI, si usano nel linguaggio comune
Stare + gerundio per tutti i verbi, anche quelli di movimento. Sia al presente che
all’imperfetto
Stare per + infinito per indicare un futuro imminente -> sta per piovere
Stare a + infinito -> stammi a sentire
Dovere + infinito -> devi studiare
Andare + participio passato -> va ricordato
Da + infinito -> c’ho da fare i compiti
CAPITOLO 6 MORFOLOGIA LESSICALE
Anche per i prefissi ci sono quelli vivi e quelli fossili. A volte una stessa forma circola
con un doppio valore: “riuscire”, uscire di nuovo con valore motivato, cioè di
semplice prefissazione, ma significa anche ad avere successo, quindi un valore
lessicalizzato.
C’è la questione della doppia trafila per i prefissi. “Extra”, extraparlamentare è una
versione dotta, ma c’è anche una versione popolare cioè –stra, strabello, straparlare.
“Ultra” ultrasuono, l’evoluzione di tipo popolare –oltre. “Sub” subacqueo, subtotale;
“so” sollevare, sopportare, sorridere.
Un'altra considerazione è quella del passaggio dal latino all’italiano c’è stata una
straordinaria riduzione della prefissazione verbale perché:
1. A livello di lingue romanze si è sviluppata una tendenza forte a verbi sintagmatici,
verbo che è seguito da un elemento nominale o avverbiale, cioè aggiungere un
qualcosa che precisa il verbo per precisare l’enunciato: “salire su (non risalire)”,
“scendere giù”, anche quando il verbo non ha bisogno di precisazione.
COMPOSIZIONE
Consiste nella combinazione di 2 o più parole autonome. Può essere:
Composizionale A+B=AB ->cassapanca
lessicale A+B=C. “tavolacalda” o “sanguefreddo” è lessicalizzato (non hanno nulla a
che vedere con la tavola calda o con il sangue freddo)
TIPI DI COMPOSIZIONE:
1. nome + nome
2. nome + aggettivo -> cassaforte, camposanto, etc.
3. aggettivo + nome ->bassorilievo, grancassa, etc.
4. verbo + nome ->portacenere
5. verbo + verbo ->leccalecca, dormiveglia, etc.
6. preposizione + nome ->sottopassaggio
7. verbo + avverbio ->buttafuori.
Entriamo nella prima categoria nome + nome con 3 sottogruppi interni:
determinante + determinato, “terremoto”, è il moto della terra, “
determinato + determinante: “capostazione”, è un capo, non una stazione,
CAPITOLO 7 SINTASSI
Valenza verbale -> nucleo=verbo + elementi direttamente collegati al verbo.
verbi zerovalenti, monovalenti, bivalenti, trivalente, tetravalenti
I verbi possono aver bisogno anche di altri elementi che sono chiamati circostant
come gli avverbi che modificano il verbo, o le espansioni.
Il sintagma è l’unità della sintassi, esso può essere costituito da una o più parole, può
essere sintagma verbale, sint+agma nominale, sintagma aggettivale ecc.
Solitamente in italiano è frequente la sequenza S-V-CO, ma essendo l’italiano molto
libero possiamo trovare diverse formulazioni
Con i verbi inaccusativi (intransitivi) è frequente la sequenza VS -> è arrivata Maria
L’italiano tende a costruire da sinistra a destra attraverso il TEMA che è qualcosa di
noto, già citato nel contesto o nella domanda e poi il REMA che predica sul tema e
che è la parte nuova, quella che non è stata citata e che non si conosce.
Se stiamo parlando di Luigi -> Luigi canta
Se stiamo parlando di qualcuno che canta -> canta Luigi
Indipendentemente dalla posizione del soggetto, l’italiano richiede comunque
l’accordo con il verbo per quello che riguarda il numero.
Nel parlato però si possono distinguere 2 casi in cui questo non viene rispettato
- Concordanza a senso -> verbo al plurale con nome collettivo singolare = la
maggior parte di loro hanno preso
- Quando ci sono più soggetti -> a Roma c’era il presidente della repubblica,
mio cugino e mia sorella.
LA POSIZIONE DELL’AGGETTIVO
Nei dimostrativi -> è obbligatorio metterli prima del nome = questo giornale
Nei numerali ordinali -> è obbligatorio metterlo prima del nome = il primo giorno
Negli indefiniti -> è obbligatorio metterlo prima del nome = alcuni amici
Nei possessivi-> si può trovare sia prima del nome “la mia macchina” sia dopo il
nome attraverso la posposizione “amore mio, posso prendere la macchina tua?”
Nei qualificativi -> sia prima che dopo il nome “ho visto un bel film” “ho visto un film
bello”. In alcuni casi però attraverso la posizione varia il valore dell’aggettivo “un
amico vecchio = anziano” “ un vecchio amico= di vecchia data”
ORDINE DEI COSTITUENTI. (Soggetto, predicato e complemento oggetto) in latino
l’ordine dei costituenti in una frase era completamente libero, libertà che si legava
alla caratteristica della lingua latina, cioè quella di varie desinenze a seconda dei casi.
Crollato il sistema dei casi, nella lingua romanza si afferma un ordine abbastanza
preciso del ruolo di soggetto e del complemento oggetto: S-V-O.
Non sempre la lingua però rispetta la sequenza SVO-> frasi marcate (l’italiano
antico ad esempio aveva una maggiore tendenza ad anticipare l’oggetto, la lingua
poetica che si allontana da quella popolare tende a modificare tale ordine come
l’Ariosto -> le donne i cavalier l’arme gli amori io canto). Anche molti proverbi
presentano un capovolgimento dell’ordine, “cosa fatta capo ha”.
Che cosa si intende per struttura dell’informazione? (Problema presente nelle frasi
marcate, cioè frasi che non presentato la sequenza normale).
La struttura dell’informazione non considera i costituenti dal punto di vista del ruolo
sintattico, ma del ruolo o scopo informativo, dal messaggio che vogliono trasmettere
a seconda della loro posizione nell’enunciato.
- “Giorgio ha comprato il giornale”
- “Il giornale l’ha comprato Giorgio”
- “L’ha comprato Giorgio il giornale”
- “È Giorgio che ha comprato il giornale”
In tutte le frasi è presente lo stesso nucleo sintattico e gli stessi costituenti. I contesti
in cui tali frasi sono usati però sono diversi. Le strutture sono diverse rispetto allo
scopo informativo. Il parlato dà più importanza alla struttura dell’informazione che
a quello della norma.
Nella nostra lingua la frase dichiaratamente non marcata ha sempre la parte data
prima di quella nuova: “Giorgio ha regalato un anello a Laura” l’ordine dei costituenti
presenta la necessità di porre prima la parte data (tema) rispetto a quella nuova
(rema, fa avanzare uno stato di conoscenze). In una domanda tutta volta alla novità
“c’è qualche novità?” la risposta è tutta volta al nuovo ed è corretta, se domando
“che cosa ha regalato Giorgio?” abbiamo già qualcosa di dato e questi costituenti
dati sono posti prima di quelli nuovi. Nella domanda che rimanda alla novità “a chi
ha regalato un anello Giorgio?” in questo caso la risposta di partenza (Giorgio ha
regalato un anello a Laura) è corretta perché il dato è prima del nuovo. “Che cosa ha
regalato Giorgio a Laura?” (“anello” è posto prima di Laura, ma dovrebbe essere
messo dopo in quanto la parte nuova va dopo) o “chi ha regalato un anello a Laura?”
(Anche qui “Giorgio” non si conosce, per cui la sua anteposizione rispetto alle cose
“date” è sbagliata) rispetto a queste due domande l’enunciato di partenza non è
corretto poiché il nuovo viene prima del dato.
Per costruzioni marcate si intendono quelle frasi in cui non è rispettato l’ordine S-V-
CO. LE FRASI MARCATE NEL PARLATO:
niente”. Questo costrutto può essere presente nella lingua parlata, (oggi questo tipo
di costruzione straordinariamente presente nei titoli di giornali o telegiornali, tecnica
per mettere in rilievo un costituente su cui si va a predicare qualche altra cosa
“banche, l’accordo è vicino”).
Rispetto a “la lettera l’ho scritta”, non c’è la ripresa nominale
L’anacoluto non presenta preposizioni, e viene quindi obbligatoriamente ripreso con
un pronome tonico o con un elemento semanticamente pesante -> il capo, a lui non
ho detto ancora niente.
La frase scissa: è molto frequente, è quella costruzione in cui noi troviamo il verbo
essere, seguito da un costituente (il soggetto, ma può essere qualunque elemento)
che viene messo in una funzione di rema e poi un “che” con a seguito il tema
(complementatore generico o pseudorelativo) “è da voi| che| aspetto risposte
precise”. Questo tipo di costruzione si trova particolarmente nelle frasi negative,
“non è con le parole che…”. Il verbo essere può assumere lo stesso tempo del verbo
dopo il che, ma può anche andare al presente o al futuro epistemico -> saranno tre
ore che ti aspetto\ è lui che l’ha detto.
Frasi pseudoscissa: sintagma nominale o pronominale che regge la relativa + verbo
essere copulativo + altro sintagma nominale o pronominale -> questo è quello che
dici tu
Frasi presentative: verbo è preceduto dal ci attualizzante + che + essere - > c’è un
signore che chiede di voi. Ci + verbo essere + che + tema
LA FRASE INTERROGATIVA
Interrogative totali -> la risposta è sì o no
Interrogative disgiuntive -> offrono un’alternativa
Interrogative parziali -> introdotti da operatori: che? Quanto? Quale? Chi? Che cosa?
Principali fatti dell’interrogativa nell’italiano contemporaneo:
- L’’uso di COSA invece di “che cosa” o di “che” -> cosa vuoi?
- Lo sviluppo di “come mai” invece di perché
- Diffusione del costrutto “che + verbo + a fare”?
ORGANIZZAZIONE SINTATTICA NELLA FRASE COMPLESSA
Quando all’interno della stessa frase troviamo almeno due nuclei abbiamo una frase
multipla. Si parla di frase composta se il rapporto tra le frasi è di coordinazione
- Il Che polivalente significa che si sovra estende a discapito di altre forme, per
esempio in frasi causali “prendi l’ombrello che (perchè) piove”.
- Che invariabile accompagnato però da un clitico, si tratta di una funzione
analitica che affida al che il compito di congiunzione e all’altro pronome quella
di accordo verbale -> posso dirlo a Luigi che ci esco insieme?
- Preposizione + cui o il quale + ripresa del clitico -> l’argomento di cui ne
abbiamo parlato.
CAPITOLO 8 LE VARIETA’ PARLATE
Caratteristiche fonetiche:
aferesi -> caduta ad inizio di parola di una vocale = ‘nsomma
elisione -> di una vocale finale prima di una parola che inizia per vocale = l’uva
apocope -> vocalica = andiam via \ sillabica = mà, mamma
metatesi-> areoplano invece di aeroplano
caratteristiche morfologiche
pronome di prima persona compare spesso
lui\ lei\ loro usati rispetto ad esso\essa\essi
uso di noialtri e voialtri
dimostrativi rafforzati con avverbi ->questo qui\ quello là
uso del presente indicativo
uso del passato prossimo invece del remoto
imperfetto usato per il periodo ipotetico
la sintassi del parlato
dislocazioni a sinistra -> usate per l’egocentrismo di chi parla
dislocazioni a destra -> usate nella confidenza: lo vuoi un caffè?
Frase scissa -> serve per distanziare il soggetto, ma è tipica anche delle interrogative-
> dov’è che vai?
Frase foderata -> epanalessi = ripetizione del verbo alla fine dell’enunciato -> ha
detto che è stato male, ha detto
aulicismi e latinismi
subordinazione con participi e gerundi
participi come nomina agentis
iperonimi per generalizzare -> domicilio
pronomi con valore anaforico o cataforico -> tale, suddetto, detto
uso di inserire Lì tra il luogo e la data come avverbio di luogo
l’italiano dei giornali
riformulazione di un discorso primario-> spesso gli articoli sono riformulazioni di
sentenze, verbali etc.
stile nominale soprattutto nei titoli
neologismi -> morsa del gelo, esodo e controesodo
metafore
composti ibridi e derivati-> baby gang\ baby spillo
polirematiche
distribuzione della narrazione in sottounità narrative che determinano un pluri
racconto sempre più dettagliato
l’italiano delle scritture esposte
ISCRIZIONI
Testi di carattere commemorativo scritti di solito in maiuscolo con un italiano
standard, prevalgono arcaismi, aulicismi, passati remoti, aggettivi prima dei nomi ->
insigne personalità
SCRITTE MURALI
Anche esse scritte in maiuscolo, ma solitamente da giovani. Compaiono segni
alfanumerici sintetici come X 6, frasi d’amore brevi e personali o frasi relative alla
politica.
L’italiano dei semicolti
È proprio dei parlanti dialettofoni, cioè che hanno come madrelingua il dialetto e che
quindi compiono errori nello scritto:
errori di accentazione
film comici. Il dialetto più espanso è sicuramente il romanesco. Il cinema non è solo
italiano, spesso i film sono stranieri e vengono doppiati da italiani, qui di solito si
preferisce la pronuncia standard ed i dialetti compaiono solo in funzione di
particolari forme espressive.
L’italiano della televisione
Inizialmente anche la televisione si basava su testi scritti e tendeva quindi a
standardizzare l’italiano. Oggi coi talk show e con i reality show ci si allontana dallo
standard in quanto il livello del parlato dipende dalle variazioni diastratiche,
diatopiche e diafasiche dei partecipanti. Nei telegiornali si rilevano le caratteristiche
tipiche dei giornali con neologismi, formule fisse “voltiamo pagina”
Nelle trasmissioni culturali il linguaggio ed il tono sono ancora formali benché si
cerchi di utilizzare termini semplici per far comprendere al pubblico.
La fiction, basata anch’essa sui testi scritti, cerca di avvicinarsi sempre più al parlato
cercando spesso anche di riprodurre varietà regionali.
La funzione dello spot pubblicitario invece è quella di convincere il pubblico a
comprare quel determinato prodotto descrivendolo come indispensabile per la vita.
Le pubblicità spesso spostano l’informazione semantica sul nome piuttosto che sul
verbo o addirittura usano composti verbo+ nome per appunto dare un’informazione
utile ed efficace in poco tempo. Molto usati sono gli slogan rimati “brio blu mi piaci
tu, nuovo? No, lavato con perlana”
LO SCRITTO TRASMESSO
È quello relativo alle mail, agli sms o alle chat. Nel trasmesso i testi sono molto brevi,
c’è bisogno di economia e di sintesi, sono legati alla virtualità e molto spesso mentre
si scrive l’altro sta leggendo.
L’italiano in internet
Ci troviamo difronte ad ipertesti dove non ci sono confini precisi, ma questi ultimi
sono stabiliti dal ricevente che può aprire nuove pagine su parole messe in rilievo e
che rimandano a link. Il testo scritto è multimediale e accompagnato da suoni ed
immagini. L’aspetto grafico è particolarmente curato. Essendo aperti indistintamente
a qualsiasi persona, i testi rispettano le norme grammaticali. È presente un certo
influsso dell’inglese con i termini “homepage” “www”
Dal punto di vista sintattico i periodi si strutturano con frasi brevi, con moltissimi a
capo.
L’italiano della posta elettronica
È una forma più vicina alla telefonata che alla mail. Il messaggio viene scritto
velocemente senza rileggere eventuali errori di battitura. Come nel parlato il testo è
costituito da frasi breve, coordinate.
L’italiano delle chat
Presenta una spiccata dialogicità. Sul piano sociolinguistico bisogna dire che gli
utenti sono molto spesso i giovani. Si segnalano l’uso del K, del X e delle faccine che
riproducono il dialogo come se fosse faccia e faccia e quindi esprimono lo stato
d’animo. Notevole è il plurilinguismo gli utenti non solo passano dall’italiano al
dialetto attraverso code switching o code mixing, ma usano anche termini in inglese,
francese, spagnolo.
L’italiano degli sms
I messaggini sono trasmessi attraverso il cellulare e ricalcano gli stessi processi delle
chat. In particolare c’è una tendenza a ridurre le parole con abbreviazioni “qnd, qnt,
cmq, c6”. Sono praticamente assenti i segni di interpunzione