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dialetti formano, inoltre, un continuum, cioè non sono separati da confini
netti, ma sfumati, che rende, quindi più difficile stabilire il numero esatto di
dialetti romanzi. In generale, però, con l’affermarsi delle lingue nazionali, a
partire dal XIX secolo, vi è stata una riduzione dello spazio dei dialetti, questo
indebolimento dei dialetti è dovuto al fatto che le lingue possono essere
adoperate in molti più contesti e situazioni comunicative, rispetto ai dialetti
che offrono meno opzioni, almeno sul piano stilistico e lessicale. Quindi la
distinzione tra lingue e dialetti è relativa più agli usi che alle strutture, in
quanto ogni varietà linguistica contiene in sé la potenzialità per sviluppare e
rendere più articolata la sua architettura. Quindi, dire che i dialetti sono
forme ‘’corrotte” della lingua, non ha alcun fondamento scientifico, ma riflette
solo lo scarso prestigio sociale goduto dalla maggior parte dei dialetti.
2
cioè le due lingue o dialetti sono adoperate ognuna in contesti diversi, ad
esempio si osserva che la lingua appresa attraverso l’insegnamento è utilizzata
in situazioni formali, mentre le lingue o i dialetti appresi spontaneamente e di
minore prestigio, in situazioni informali, quotidiane, familiari.
Queste due componenti spesso possono coesistere, ma vi sono anche casi in
cui vi è solo una parte ristretta della comunità che riesce a dominare la
totalità delle situazioni comunicative, in questo caso abbiamo diglossia senza
bilinguismo; oppure casi in cui una comunità utilizza due lingue o dialetti
senza stabilire alcuna distinzione funzionale, in questo caso abbiamo
bilinguismo senza diglossia; oppure casi in cui in una comunità si parla una
sola lingua o dialetto, in questo caso non vi è né diglossia né bilinguismo. La
situazione si complica se in una comunità si parlano più di due lingue o
dialetti, in tal caso si parla di multilinguismo o plurilinguismo. In generale
l’insieme delle lingue e dei dialetti esistenti in una comunità parlante è detta
repertorio linguistico.
Nei diversi Stati ritroviamo situazioni differenti:
- il Portogallo è caratterizzato dalla scarsa frammentazione dialettale e
dall’assenza di rilevanti comunità alloglotte. Il portoghese è la lingua
ufficiale, mentre il mirandese è la lingua ci-ufficiale di 4 municipalità
nel nord-est del paese.
- In Spagna lo spagnolo condivide lo status di lingua ufficiale con il basco
nei Parsi Bassi, il galego in Galizia e il catalano in Catalogna.
- In Francia l’ unica lingua ufficiale dello Stato è il francese;
- In Belgio sono riconosciute tre lingue ufficiali: il francese, il fiammingo
e il tedesco, ciascuna parlata nelle comunità di tre regioni: Fiandre,
Vallonia e Bruxelles-capitale.
- In Lussemburgo ritroviamo un armonioso trilinguismo: Delle tre lingue
nazionali, lussemburghese, il francese e il tedesco, La prima è parlata
dalla maggior parte la popolazione nativa, ma si scrive raramente; la
seconda insegnata a scuola ed è usata nell’amministrazione, nella
legislazione, dai giornali e in televisione; la terza condivide con il
francese il ruolo di lingua scritta dai giornali e parzialmente
dall’amministrazione.
- In Svizzera sono riconosciute quattro lingue nazionali: Il francese, il
tedesco, l’italiano e il romancio, La cui distribuzione varia nei suoi 26
cantoni.
- In Italia bisogna per prima cosa distinguere la situazione dei dialetti da
quella delle varietà alloglotte parlate in diverse regioni. I dialetti sono
molto numerosi e sono prevalentemente utilizzati da chi ha un basso
titolo di studio, ed è inoltre più diffuso al sud che al centro e al nord del
paese. In generale, l’italiano è usato in tutti i contesti, formali e
informali, infatti nel caso italiano si utilizza il termine di dilalìa,
piuttosto che di diglossia. In generale la legge italiana sancisce il
3
carattere ufficiale dell’italiano, ma riconosce e tutela l’esistenza di
minoranze linguistiche (francese, tedesco, ladino ecc)
- In Romania il romeno è l’unica lingua ufficiale, con presenze minori di
lingua ungherese e romani (lingua dei rom).
4
nell’arco di tempo di pochissime generazioni, i connotati di lingua
relativamente stabile, assumendo una propria struttura morfosintattica: è
questo il fenomeno della creolizzazione. Il pidgin si trasforma definitivamente
in creolo quando non viene più soltanto appreso, ma una generazione lo
acquisisce come lingua materna. Diventa quindi una lingua a pieno titolo
impiegata in una varietà di situazioni comunicative, con un lessico
sufficientemente ricco e una grammatica complessa.
Esistono nel mondo decine di creoli a base romanza:
Oltre ai pidgin e ai creoli, esistono anche e sono più rare le lingue miste
(mixed languages), nate dalla fusione di due lingue in condizione di
bilinguismo generalizzato. Queste nascono, non per necessità comunicative,
ma per motivi espressivi o identitari. Un esempio è il michif, formatosi
nell’800 tra il Canada e il Nord Dakota e ora quasi del tutto estinto. Nasce
dall’unione della lingua cree e del francese: il michif combina il sistema
verbale del cree con il sistema nominale del francese.
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La classificazione geografica distribuisce le lingue e i dialetti in quattro grandi
gruppi:
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avere, a una Romània meridionale, che non ha l’articolo parturivo, non
distingue gli ausiliari ed è a soggetto nullo, marcando con una proposizione
l’oggetto diretto.
Occorre inoltre precisare, che fino ad ora si è parlato di occitano, dalmatico,
francoprovenzale, retoromanzo e sardo, quando sarebbe più opportuno
parlare di varietà occitane, Francoprovenzali, dalmatiche, retoromanze e
sarde, in quanto queste non hanno attraversato un lungo processo di
standardizzazione e di elaborazione e non presentano lo stesso grado di
compattezza di proteggere, spagnolo, Catalano, francese, italiano e rumeno,
lingue standardizzate e con carattere di ufficialità. Queste lingue possono
essere considerate lingue tetto, cioè so esordiante ad altre varietà
strettamente imparentate usate nello stesso territorio, rispetto alle quali
fungono da lingua di cultura e modello normativo di riferimento. Diverso è
invece il caso del corso che è una carità italoromanza, parlata in territorio oggi
non politicamente italiano e del galego, varietà di portoghese, le loro lingue
tetto sono rispettivamente il francese e lo spagnolo. Ad esempio l’italiano è
lingua tetto rispetto ai dialetti italoromanzi settentrionali e centromeridionali,
oppure il rumeno rappresenta la lingua tetto per i pochi dialetti della
Romania, ma non per le varietà rumene meridionali.
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della latinizzazione sono i funzionari, i banchieri, i mercanti, i soldati, pur non
volendo gli abitanti dell’Impero entrano in contatto con la lingua, inoltre, il
latino, è un efficace strumento di integrazione e di ascesa sociale. La
diffusione del latino va vista quindi come un fenomeno complesso articolato
sul piano diacronico, diatopico e diastratico. Un limite, quasi insuperabile,
per la latinizzazione, è la radicazione del greco nella parte orientale, un’area
vastissima, che include l’Egitto, la Palestina, la Siria, l’Asia minore, qui il
latino vede ristretti i suoi spazi, non solo come lingua veicolare (lingua che
funge da mezzo di comunicazione tra parlanti di diverse lingue), ma anche
come lingua dello Stato.
2.2 Il latino e le altre lingue: il plurilinguismo del mondo romano
In generale, il latino, durante la sua lunga storia, ha dovuto, sempre,
confrontarsi con altre lingue, potremmo dire che i suoi parlanti non hanno
mai vissuto in ambienti linguisticamente omogenei e questa condizione è un
tratto saliente dell’identità linguistica e della riflessione metalinguistica (che
riguarda la lingua) romana. L’Italia antica era caratterizzata da una notevole
eterogeneità etnolinguistica, vi erano popolazioni che avevano origini, storie,
miti, stili di vita diversi e parlavano lingue diverse fra loro. Alcune
appartenevano alla famiglia indoeuropea, ricordiamo il greco parlato
nell’Italia meridionale e in Sicilia; il gallico nella pianura padana; il veneto;
l’umbro, l’osco ecc... Altre erano del tutto estranee alla famiglia indoeuropea,
ad esempio il punico, parlato nelle colonie cartaginesi in Sicilia e Sardegna o
l’etrusco, diffuso in Toscana e nell’alto Lazio. Vi erano poi molte altre lingue
nei territori conquistati da Roma. Ma i romani, non intrapresero una politica
linguistica aggressiva nei confronti delle popolazioni conquistate, non
mostrarono interesse per le loro lingue, ad eccezione del greco, che fu
considerato indispensabile all’educazione delle persone colte, e in misura
minore l’etrusco e il punico. Il processo di latinizzazione si conclude quando
le lingue autoctone scompaiono, ma il processo di assimilazione ha tempi
molto lunghi quindi per anni le diverse lingue possono trovarsi a convivere
con il latino, in condizioni di bilinguismo o diglossia. Comunque, poche lingue
esistenti prima della conquista romana, sono sopravvissute, tra queste
ricordiamo: il basco, il berbero e l’albanese, le lingue celtiche e naturalmente
il greco.
2.2.2
8
-ND-, -MB- > (diventa) -nn-, -mm- nei dialetti italiani centro meridionali
(quando> quanno in romano; plūmbu> piommo) un effetto del sostrato osco-
umbro del latino italico.
Fornire, però, una spiegazione di tipo sostratistico è sempre problematico in
quanto da una parte non c’è una conoscenza approfondita delle lingue di
sostrato del latino tanto da poter avere un’idea precisa del loro sistema
fonologico e grammaticale e dall’altra la coincidenza tra l’area antica della
diffusione di un determinato fenomeno e quella moderna è spesso
approssimativa.
Nel complesso, però, possiamo dire che il lessico è l’unico settore in cui
l’influenza delle lingue di sostrato è indiscutibile, infatti attraverso la
mediazione di parlanti bilingui, entrano nel latino moltissime parole delle
lingue locali, scomparse in seguito al processo di latinizzazione: vediamo ad
esempio che i termini latini FENESTRA ‘finestra’ e SATELLES ‘guardia del
corpo’ sono attribuiti al sostrato etrusco, oppure i termini BUFALUS e
SCROFA al sostrato gallico. Vi son poi parole di circolazione più ristretta,
come nel latino africano GIRBA ‘mortaio’ e BUDA ‘giunco, papiro’, presi in
prestito probabilmente al punico e al libico.
9
Alcuni germanismi, però, sono entrati in latino in epoca precedente alle
grandi migrazioni, ovvero attraverso i contatti politici, commerciali e militari
tra le popolazioni romane e le popolazioni germaniche: per esempio sono da
attribuire a questi contatti gli agg. BLANCUS ‘bianco’ e FRISCUS ‘fresco’ e i
sostantivi GANTA ‘oca’ e SAPO ‘sapone’. Questi tipi di contatti, però,
configurano un tipo di influenza sulla lingua latina diverso da quello delle
lingue di sostrato e di superstrato: utilizzando sempre la terminologia
geologica, si parla di adstrato nel caso di lingue di territori contigui, il cui
contatto non porta alla scomparsa di una delle due.
Distinguere le lingue di sostrato, di superstrato e di adstrato non è semplice,
perché lingue che sono considerate di sostrato e di superstrato, per un certo
periodo sono state di adstrato, ed è quindi difficile individuare le diverse fasi.
In generale si tratta di interferenze avvenute in condizioni di bilinguismo e/o
diglossia, dove il ruolo delle lingue L1 e L2 cambiava di volta in volta nel
repertorio linguistico della comunità.
La lingua che ha con il latino relazioni più strette è il greco, il cui rapporto è
stato così intenso tanto che si è arrivati a parlare di una vera e propria
simbiosi linguistica greco-latina. I contatti sono avvenuti sia sul piano
letterario, quindi nella scrittura, sia sul piano dell’oralità, creando di volta in
volta varietà di greco e latino diversificate sul piano diatopico, diacronico,
diastratico e diafasico.
Ritroviamo infatti numerosi grecismi penetrati nel latino: BRACCHIUM
‘braccio’; PETRA ‘pietra’; TYRANNUS; POENA; GRAMMATICUS ‘maestro’;
PHILOSOPHUS; sono invece propri del latino dei cristiani ANGELUS;
ECCLESIA ‘chiesa’. Sono, inoltre, presenti numerosi calchi, cioè parole create
con materiale lessicale latino sul modello greco, come HOMICIDA;
MAGNANIMUS.
La durata e la profondità dei contatti tra le due lingue ha influito non solo sul
piano lessicale, ma anche ad esempio nell’affermazione del tipo sintattico
DICO QUOD/QUIA ‘dico che’, seguito dall’indicativo o dal congiuntivo, al
posto della costruzione con l’accusativo e l’infinito oppure per l’espansione
del participio presente, soprattutto nel costrutto dell’ablativo assoluto, sul
modello del participio greco.
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plausibili ipotesi sulla fonologia, la morfologia, la sintassi e il lessico
dell’antenato.
Nonostante, i latinisti, siano in possesso di abbondanti documentazioni, i dati
relativi al latino non si incastrano sempre bene con quelli relativi alle lingue
romanze, questo perché queste documentazioni, per quanto numerose ed
eterogenee non coprono tuto lo spettro delle manifestazioni di un sistema
linguistico di grande complessità, segnato da una notevole variazione
diacronica, diatopica, diastratica e diafasica.
Ciò è riconducibile a due fattori: il primo legato alla profonda diversità che
c’era tra i testi scritti e quelli orali, in quanto i primi tendono a comprimere e
sopprimere tutte quelle variazioni e flessibilità, proprie del parlato spontaneo;
il secondo è legato all’affermarsi dal I sec a.C di un modello di lingua
esemplare, identificato con le élites politiche e culturali, potremo quindi
considerarlo come una sorta di latino standard, al quale, nella scrittura,
bisognava fare sempre riferimento, mentre tutte quelle deviazioni dalla sua
norma, riportate nei testi, come substandard, mentre i fenomeni
completamente assenti dalla documentazione, appartengono ad un livello
subsustandard, cioè a varietà regionali e/o sociali considerate dai parlanti
infime e quindi erano escluse dalla scrittura.
Le manifestazioni di un latino non normativo si possono rintracciare in primo
luogo nelle opere dei grammatici, che offrono occasionalmente esempi di
forme substandard, un esempio è l’Appendix Probi, elenco di voci latine nella
loro forma corretta e in quella deviante dalla norma, in secondo luogo nei
commenti di scrittori cristiani particolarmente sensibili ai problemi della
comunicazioni con gli incolti, un esempio è Sant’Agostino che preferiva la
comprensibilità alla correttezza grammaticale. Questa propensione dei Padri
della Chiesa di abbassarsi a alivelli linguistici bassi, la ritroviamo anceh in
molti testi cristiani come la Peregrinatio Aetheriae, ma possiamo trovare tratti
substandard anche nelle più antiche traduzioni della Bibbia. Ritroviamo
l’utilizzo di un linguaggio differente da parte di personaggi di bassa estrazione
sociale, all’interno di opere letterarie, come nel Satyricon di Petronio,
nell’episodio della Cena di Trimalcione dove i liberti utilizzano un latino
diverso da tutti gli altri personaggi. Anche all’interno delle parodie letterarie
ritroviamo alcuni elementi distintivi del modo di esprimersi di una
determinata parte della popolazione. Nelle forme letterarie a base dialogica,
come quelle teatrali, presentano spesso usi propri del parlato o comunque
non canonici; ancora nei trattati tecnici, come nel De Architectura di Virgilio;
infine è importante citare una varietà di testi più tardi, raccolte del diritto
germanico, opere storiografiche, scritture religiose, testi scritti in latino, dove
però si avverte la nuova condizione linguistica in via di formazione.
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che, in senso stretto, non si è mai smesso di parlare latino: le lingue romanze
oggi sono forme di neolatino. Si è poi obbiettato che il latino non è mai del
tutto uscito dall’uso, trattandosi di una lingua impiegata in ambito religioso,
filosofico, scientifico, ecc.
Queste risposte sono insoddisfacenti in quanto dissimulano e minimizzano il
problema di fondo, quello del grande mutamento verificatosi nel passaggio
dal latino alle lingue romanze. La distanza strutturale e tipologica fra il latino
e l’insieme delle lingue romanze è tale da poter parlare legittimamente di
lingue diverse.
Occorre, dunque, andare al cuore della domanda di Lot e riformularla in
termini leggermente diversi, chiedendosi come e quando il latino ha smesso
di essere lingua nativa di una comunità di parlanti. In primo luogo si può
pensare a una cronologia senza discontinuità, articolata in due fasi successive:
in una prima fase (II-V secolo d.C.) giungono a compimento una serie di
cambiamenti fonologici e morfosintattici i cui esiti sono panromanzi (diffuso
in tutte le lingue romanze). In questo periodo emerge dunque un nuovo tipo
di latino, diffuso nelle varie regioni dell’Impero nel parlato informale di tutti
gruppi sociali. Nella seconda fase (VI-VIII secolo d.C.) si consuma la
frammentazione dello spazio linguistico latino: la maggior parte dei
cambiamenti che si realizzano in questo periodo non sono diffusi ovunque e i
loro esiti non risultano poi panromanzi. Fra i più significativi ricordiamo: la
perdita delle vocali finali di parola; l’indebolimento delle consonanti occlusive
intervocaliche; la caduta di -s e -t finali di parola; la (quasi) completa
scomparsa del sistema dei casi; la grammaticalizzazione delle nuove perifrasi
verbali. I mutamenti che si affermano nella seconda fase hanno effetti
dirompenti: a partire dal secolo VIII affiorano, prima nell’antica dell’antica
Gallia e poi nelle altre regioni, tracce della coscienza di una profonda crisi
comunicativa, che mette in pericolo la possibilità stessa di comprensione fra
parlanti di differenti ambiti territoriali e strati socioculturali. È dunque in
questo periodo che ha luogo il processo di ristrutturazione del repertorio dei
parlanti che porta alla formazione delle lingue romanze in quanto sistemi
organici, distinti dal latino e diversi fra loro.
Il problema della comunicazione investe dunque aspetti importanti del vivere
sociale, come è ben avvertito dai sovrani franchi Pipino (751-768),
Carlomanno (768-771) e soprattutto Carlo Magno (768-814, imperatore
dall’anno 800), ci si devono una serie di iniziative sfociate nella cosiddetta
“rinascita (renovatio) carolingia”: è infatti nei primi decenni nel regno di
Carlo che si concentrano gli interventi più efficaci miranti all’innalzamento
del livello culturale della Chiesa e dell’amministrazione, da cui dovrebbe
discendere il rinnovamento morale della popolazione cristiana. Il programma
educativo carolingio è alla base del progetto politico di costruzione di un
impero cristiano romano-germanico dal carattere unitario: si promuovono
perciò la fondazione di scuole e biblioteche monastiche, lo sviluppo di
un’attività letteraria di livello alto, il ristabilimento e la circolazione della
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versione “corretta” di testi fondamentali nella vita religiosa e civile, la
diffusione di una nuova elegante forma di scrittura libraria (minuscola
carolina) destinata a soppiantare i sistemi grafici preesistenti, il recupero
della tradizione classica (restaurandone la norma linguistica).
La politica culturale dei sovrani carolingi finisce per accentuare la
discontinuità tra il latino (scritto) e il volgare (orale): il successo della riforma
contribuisce così a rafforzare la coscienza linguistica romanza e la
consapevolezza dell’ormai irriducibile alterità del latino.
Risale all’anno 813 il concilio di Tours in cui si chiede ai vescovi provenienti
da varie regioni dell’Impero carolingio di predicare in volgare per venire
incontro alle esigenze degli ascoltatori. Nella Francia del nord all’inizio del IX
secolo si riconosce l’esistenza di una lingua neolatina – il francese – che è
opportuno usare nelle omelie, cioè in quella parte libera della liturgia della
messa che mette più direttamente i fedeli a contatto con il celebrante. Questa
lingua è connotata come rustica, cioè legata al mondo contadino, ed è posta
nei confronti del latino sullo stesso piano della lingua germanica (thiotisca)
utilizzata da una parte della popolazione; essa è inoltre romana (non latina), e
questa sarà nei secoli medievali l’espressione più utilizzata nei diversi ambiti
romanzi per designare le lingue locali – lo stesso aggettivo romanzo
(romance, roman, romanç, ecc.) deriva dall’avverbio latino ROMANICE
“romanamente, al modo dei romani”. È anche importante che questa lingua
romanza si possa utilizzare in contesti solenni o comunque dotati di un certo
grado fi formalità, come un sermone in chiesa, e non sia destinata unicamente
a usi colloquiali e a situazioni familiari.
La decisione presa a Tours non resta isolata nell’area galloromanza dove
l’esordio di una tradizione di scrittura volgare si documenta qualche decennio
più tardi. Nelle altre aree le lingue romanze accedono alla scrittura secondo
cronologie e modalità differenti, in rapporto tanto con fattori interni, cioè con
l’evoluzione delle strutture linguistiche, quanto con fattori esterni – fra questi
ultimi va considerato l’impatto della riforma carolingia, che accelera
l’emersione del volgare ma non ne è causa diretta e necessaria.
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Capitolo 5: Elementi di grammatica storica: fonologia
Vocali
Nel passaggio dal latino alle lingue romanze il sistema vocalico ha subito una
trasformazione radicale.
Il latino ha 10 fonemi vocalici:
Dittonghi
Il sistema comprende anche i dittonghi / aw ae̯ oe̯ / in parole come
TAURUS (toro), LAETUS (rigoglioso), FOEDUS (patto). Dal punto di vista
prosodico (in rapporto con le quantità delle vocali) sono equivalenti a una
vocale lunga.
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Un caso particolare è rappresentato dalle vocali che precedono gruppi
consonatici chiamati muta cum liquida, costituiti da una consonate
ostruente (occlusiva come /p/ e /b/, /t/ e /d/) e una consonate liquida
(vibrante come /r/). In questi casi ci sono due possibilità di sillabificazione:
per es la parola TONITRU(M) può essere accentata sulla penultima sillaba se
la seconda sillaba si considera chiusa (tŏ-nĭt-ru(m)) o sulla terzultima sillaba
se questa si considera aperta (tō-nĭ-tru(m)). Lo stesso vale per parole come
COLUBRA(M) e INTEGRU(M).
Gli esiti romanzi mostrano che nel latino tardo queste parole erano
pronunciate in genere con l’accento sulla penultima sillaba, si consideri la
parola it. Intero.
Questo sistema nei secoli subisce una serie di modifiche fino alla perdita del
valore distintivo della quantità vocalica. Le lingue romanze, infatti,
riorganizzano i loro sistemi vocalici intorno opposizioni, non più quantitative
(vocali lunghe vs vocali brevi), ma qualitative (o apertura: le lunghe si
pronunciano chiuse, le brevi aperte), basate cioè esclusivamente sul timbro
delle vocali.
Ciò comporta un’ulteriore distinzione nelle vocali delle lingue romanze: vocali
toniche e atone.
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/a:/ o Ā> /a/à ĀLAM> it. Ala
/a/ o Ă> /a/à CĂSAM> it. Casa
/o/ o Ŏ> /ɔ/ à PŎRTAM> it. Pòrta
/o:/ o Ō> /o/à VŌCEM> it. Vóce
/u/ o Ŭ > /o/àGŬLAM> it. Góla
/u:/ o Ū> /u/à MŪRUM> it. Muro
Dalla crisi del sistema vocalico latino emergono altri sistemi che itneressano
aree più ristrette della Ròmania:
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In occitano si ha la dittongazione condizionata da suono palatale
contiguo:
MĔLIUS> mielhs; FŎLIAM> fuolha/fuelha
La metafonesi
Questa forma di assimilazione a distanza conosce grande diffusione nelle
lingue romanze. il tipo metafonetico più comune prevede l’innalzamento delle
vocali toniche medio-alte e/o medio-basse per influenza delle vocali finali alte
latine e/o protoromanze /i/ e /u/; Le vocali che hanno originariamente
innescato la metafonesi possono mutare (come in [ɘ] in napoletano friddɘ;
russɘ) o scomparire.
Gli esiti della metafonesi sono diversi:
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ovvero un processo per cui un’alternanza, in origine fonologicamente
condizionata, viene interpretata come esponente di categorie morfologiche.
La nasalizzazione
La nasalizzazione è un altro tipo di assimilazione che riguarda la vocale
contigua a una consonante nasale. Il latino non possiede fonemi vocalici
nasali, le vocali che precedono /n/ e /m/(uniche nasali presenti nel sistema
consonantico latino) saranno nasalizzate per un normale processo fonetico di
coarticolazione. Fonemi vocalici nasali si sviluppano in francese e in
portoghese e in vari dialetti occitani, francoprovenzali, galloitalici ecc. Si
tratta di diversi processi di fonologizzazione, in cui le vocali nasali sono
passate dallo status di allofoni a quello di fonemi autonomi, in contrasto con
altri di articolazione orale (in francese si oppongono fin [fe] e fait [fe], in
portoghese sim [si] e si [si] (nasali sempre).
La nasalità della vocale è stata reinterpretata come una sua qualità inerente,
indipendente dal contatto con una consonante nasale, spesso poi caduta.
Il francese moderno ha 4 fonemi nasali /ã e ɔ œ/(tutte con la linietta sopra)
(vin [ve], gent [ʒã], bon [bɔ], brun [brœ], oltre a dodici vocali orali (di cui 3
anteriori /y ø œ/ ), l’inventario fonemico francese risulta il più complesso. Nel
medioevo questo inventario comprendeva anche /˜i/ e /˜y/> /e/ e /œ/, mentre
l’originaria /e/>/ā/, per un processo di generale abbassamento del grado di
altezza delle vocali. In epoca medievale e nella prima età moderna, la
nasalizzazione coinvolgeva tanto le vocali in sillaba aperta che quelle in sillaba
chiusa, in seguito le vocali in sillaba aperta si denasalizzarono, mentre si
conservano quelle in sillaba chiusa.
Il portoghese ha 5 fonemi vocalici nasali /˜i ˜e ˜ɐ õ ˜u/ e tre dittonghi nasali /ɐj
ɐw oj/. Rispetto alla situazione più antica si osserva innalzamento delle vocali medie
e centrali: [ã]> [˜ɐ], [e]>[˜e], [ɔ]>[õ]. Caratteristica del portoghese è la caduta
della consonante nasale in posizione intervocalica (lā ‘lana’, rã ‘rana’, lua
‘luna).
Nel Sistema vocalico siciliano tutte le vocali anteriori confluiscono in /i/ e tutte le
posteriori in /u/, con perdita delle vocali medie /ɛ/ /ɔ/:
Sincope
Caduta di una vocale all’interno della parola. Nel latino tardo questi fenomeni
sono particolarmente frequenti nel caso delle vocali postoniche in contatto
con le consonanti /l/ e /r/, come è testimoniato nell’Appendix Probi:
OCLUS< OCULUS; SPECLUM< SPECULUM; TABLA<TABULA. Le lingue
romanze proseguono la tendenza latina alla sincope della vocale, tanto in sede
postonica quanto in sede pretonica. Il processo si sviluppa con ritmo diverso,
ma in linea generale le lingue occidentali sono più propense alla sincope
rispetto a quelle orientali.
VIRIDE< it.verde, fr.vert, sp.verde
Apocope
Caduta delle vocali atone in posizione finale di parola. Questo fenomeno non
è diffuso allo stesso modo in tutte le lingue:
- In francese, occitano e catalano questo fenomeno coinvolge tutte le
vocali finali tranne /a/ che però si indebolisce in [ ɘ] e muta scritta in e.
es: SCHOLAM> école.
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- Nelle lingue iberoromanze si mantengono -a e -o; -u>o; -e e -i> e
oppure dileguano. Es. LIBERTATEM>port.liberdade, sp.libertad;
PONTEM>port.ponte, sp.puente, cat.pont.
- In italiano le vocali atone finali si mantengono tutte; -U>o
Aferesi
Caduta di una vocale all’inizio della parola: HIRUNDINE> rondine
Assimilazione e dissimilazione
BILANCIAM> BALANCIAM> fr.balance, sp.balanza, ma it.bilancia
VICINUM> VECINUM> occ.vezi, sp.vecino, ma it.vicino
Il processo di riduzione delle vocali atone produce dunque esiti diverse nelle
lingue romanze: in francese moderno tutte le parole sono accentate
sull’ultima sillaba e perciò l’accento non ha più funzione distintiva. In tutte le
altre lingue l’accento è libero ed ha valore distintivo: ma in portoghese,
spagnolo, italiano, sardo e rumeno esso può cadere sull’ultima, penultima o
terzultima sillaba, in occitano e catalano non ci sono (quai)pi parole accentate
sulla terzultima, ma solo sulla penultima o (più frequentemente ) sull’ultima
sillaba.
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Lunghezza consonantica
Questi fonemi consonantici latini hanno anche una articolazione lunga (o
geminata): FLACCUS ‘floscio’, PELLIS ‘pelle’. La lunghezza consonantica ha
valore fonemico (come per le vocali): ANUS ‘vecchia’ e ANNUS ‘anno’.
Da notare:
- Alla lettera latina v corrisponde l’approssimante [w] (voco
[‘woko])
- La lettera x corrisponde alla sequenza occlusiva velare +
fricativa dentale [ks]
Il betacismo
Si tratta della confusione tra -B- e -V- in posizione intervocalica: il risultato è
in un primo tempo la fricativa bilabiale [β], mantenutasi in alcune lingue e in
altre passata alla labiovelare [v] o scomparsa. In posizione iniziale di parola si
conserva la distinzione tra -b- e -v-; lo spagnolo, il catalano, il sardo e alcuni
dialetti italoromanzi centro-meridionali confondono le due consonanti anche
in posizione iniziale.
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QUOMODO> it.come, fr.comme, sp.como [k]
QUINDECIM> fr.quinze, sp.quince, it.quindici [kw]
LINGUAM> fr.langue [g], it.lingua [gw], sp.lengua [gw]
L’italiano è abbastanza conservatore, mentre notiamo che spesso le grafie
etimologizzanti occultino la realtà fonetica: que e qui in spagnolo,
portoghese e francese sono pronunciate [ke] e [ki].
La palatalizzazione
In latino era presente solo una consonate palatale, l’approssimante /j/, la
quale non si distingueva graficamente da /i/ e poteva trovarsi tanto a inizio,
quanto in posizione interna di parola (IUSTITIA, MAIUS). Le lingue romanze
nel tempo hanno sviluppato tutta una serie di consonati, ignote al latino: //tʃ/
(c di amici-affricata postalveolare sorda); /dʒ/(gi-affricata postalveolare
sonora); /ʃ/ (sc-fricativa postalveolare sorda); /ʒ/(garage-fricativa
postalveolare sonora); /ɟ/; /ɲ/(gn-nasale palatale); /ʎ/(gli-laterale
approssimante palatale); /ts/(z-affricata alveolare sorda); /dz/(z-affricata
alveolare sonora)/. Questo processo di sviluppo è chiamato
palatalizzazione/affricazione. I segmenti fonetici latini coinvolti in questo
processo sono:
- l’approssimante /j/;
- le vocali anteriori /e i/;
- le consonanti geminate /nn/, /ll/;
- i gruppi consonantici /gn ks kt kl fl pl bl gl/.
Una delle novità del latino della prima età imperiale è la creazione di gruppi
consonantici formati da dentali, velari, bilabiali, nasali o laterali seguite da
/j/: /j/> dall’eliminazione di sequenze di iato, trasformate in
dittonghi: SOCIUS ‘socio’, SPATIUM ‘spazio’, DIURNUS ‘diurno’, MULIER
‘moglie’, VINEA ‘vigna’, i quali erano inizialmente pronunciati come trisillabi
(MU.LI.ER, VI.NE.A) diventando poi bisillabi (MUL.JER, VIN.JA),
riducendosi la prima delle due vocali contigue a /j/ (nel caso di VINEA la
vocale anteriore /e/ coinfluisce con la vocale alta /i/ in /j/).
Questo processo di risillabificazione (riorganizzazione della struttura
sillabica), ha conseguenze sul piano fonetico, perché la presenza di /j/ innesca
un processo di assimilazione, spostando l’articolazione della consonante
precedente verso la zona alveopalatale della bocca.
Effetto della risillabificazione è la formazione di sequenza sillabiche
instabili (in linea generale le lingue preferiscono, nel contatto fra consonanti
poste al confine tra sillabe, che la consonante in coda (segmenti sillabici che
seguono il nucleo sillabico) non sia più forte di quella in attacco (precede il
nucleo sillabico)). L’approssimante /j/ è molto debole nella scala di forza
consonantica, quindi sequenze come VIN.JA e MUL.JER, sono soggette ad
aggiustamenti che ristabiliscono un ordine più naturale: VIN.JA> vin.nja>
viɲ. ɲa; MUL.JER> mul.ljer> moʎ. ʎe (riscontriamo quindi la geminazione di
/n/ e /l/ che ha finalità ‘terapeutiche’).
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Riscontriamo poi altri casi in cui il confine fra sillabe mette in contatto fonemi
la cui sequenza è articolatoriamente poco fluida, così nello sviluppo di lat.
GENERU> gen.ro> sp.yerno, fr.gendre, si ristabilisce una situazione di
contatto tra le sillabe più ‘naturale’ in spagnolo tramite metatesi (cambio di
posizione tra due elementi contigui) /nr/> /rn/ e in francese tramite
l’epentesi (inserimento in una sequenza fonica di un suono non etimologico)
/nr/>/ndr/.
- Palatalizzazione di /sj/
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/sj/>[ʃ] in rumeno; in italiano vi è stata una reinterpretazione di [ʃ] in
posizione intervocalica come allofono di /tʃ/: BASIARE>it.bacio [tʃ], fr.baiser
[z], sp.besar [s] (in spagnolo e francese non si verifica la palatalizzazione di
/s/ )
Nelle forme protoghesi queijo e beijo il punto di partenza è la metatesi
[sj]>[js]; /j/ ha poi assimilato tanto la vocale precedente ([aj]>[ej]), quanto la
consonante successiva [jz]>[jʒ]
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/ks/:
in francese, spagnolo, occitano /ks/> /j/: MAXILLA> a.fr.maisselle,
a.sp.maxiella
in italiano /ks/>/ʃ/: mascella; /ks/> /ss/: SAXU>sasso
La lenizione
Questo processo che trasforma il sistema consonantico latino nel passaggio
alle lingue romanze non interessa tutte le lingue romanze, in genere il
fenomeno non si riscontra nelle lingue romanze occidentali (italiano e
romeno). La lenizione è l’indebolimento delle consonanti, cioè si tratta di una
perdita della loro forza consonantica, misurata in una scala che vede a un
estremo le occlusive e all’altro le approssimanti (queste ultime sono quasi
delle vocali (semivocali)).
Questo indebolimento riguarda principalmente le consonanti occlusive
intervocaliche (posizione che di per sé è già debole) (la consonante /p/ in
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posizione intervocalica in spagnolo è sottoposta a lenizione CAPRAM>
sp.cabra).
Il processo di lenizione comprende:
- La degeminazione delle sorde geminate /pp tt kk/> [p t k];
- La sonorizzazione delle sorde semplici /p t k/> [b d g]
- La fricativizzazione delle sonore /b d g/> [β d g ]
il processo nella sua interezza coinvolge le lingue dell’area iberoromanza,
galloromanza, retoromanza e italoromanza settentrionale, con l’eccezione di
alcuni dialetti aragonesi e guasconi. Gli esiti sono:
CAPPONEM> port.capao, sp.capón, cat.capó, occ.capon, fr.chapon,
friul.cjapon
CATTUM> port.gato, sp.gato, cat.gat, occ.cat, fran.chat, friul.gjat
SACCUM> port.saco, sp.saco, cat.sac, occ.sac, fr.sac, friul.sac
SAPERE> port.saber, sp.saber, cat.saber, occ.saber, fr.savoir….
AMICUM> sp.amigo
Nel giudeospagnolo gli esiti coincidono in parte con quelli del portoghese:
/ts/ si confonde con /s/ e /dz/ con /z/ (entrambe dentali), perdendosi
l’articolazione affricata, mentre /ʃ/,/ tʃ/ e /ʒ/ restano immutati.
Il rotacismo
Uno dei fenomeni del consonantismo è il rotacismo che è di diffusione
parziale tra le lingue romanze.
In rumeno si verifica in posizione intervocalica /l/>/r/: GULA> gura ‘gola’,
MOLA>moara; in portoghese si può avere lo stesso esito nei nessi
consonantici lat. /pl/ e /bl/: PLACERE>prazer, BLANCU>branco ‘bianco’. In
sardo c’è rotacismo di /s/ davanti a consonante sonora in fonosintassi
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(insieme dei processi fonetici e fonologici che investono le parole in contesto
di frase): sas domos [sar]. Il rotacismo si incontra anche in vari dialetti
italoromanzi e ispanoromanzi: piede>nap.pere, coltello> rom.cortello ecc.
Altro fenomeno è l’articolazione retroflessa, cioè con l’apice della lingua
flesso all’indietro, che ritroviamo in sardo, siciliano, calabrese e alcune varietà
di spagnolo europeo e americano.
In sardo e corso meridionale abbiamo /ll/>[d]: cavallo> cavaddu; nelle
varietà meridionali estreme /tr/>[ts]: padre> patri [patsi]
Il raddoppiamento fonosintattico
Il dileguo della consonante finale ha lasciato delle tracce in italiano e francese.
In italiano alcuni monosillabi derivanti da forme latine con consonante finale
(AD>a; TRES>tre; IAM>già; EST>è; PLUS> più; QUID> che) hanno
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acquisito la proprietà di geminare la consonante successiva: che credi? [ke
‘kkredi], più vino [pju ‘vvino]. Da questo nucleo di parole, l’accento p stato
reinterpretato come fattore scatenante del raddoppiamento, esteso poi a
monosillabi tonici (ho, do, può) e i polisillabi ossitoni (così, città, verrò) e
anche polisillabi parossitoni (qualche, ogni, dove).
In francese questo fenomeno si verifica nella liaison.
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in italiano ‘frate’ continua nella forma latina FRATER, ma ha acquisito un
significato diverso, cioè quello di ‘membro di un ordine religioso’.
Le lingue romanze continuano la base lessicale latina SOCER o più spesso
SOCRUS (it.suocero), nessuna lingua, però, ha conservato la distinzione tra lo
zio materno (AVUNCULUS) e lo zio paterno (PATRUUS).
Per quanto riguarda i meccanismi di innovazione, questi spesso si possono
verificare in una situazione latina d’abbondanza lessicale, cioè di uno stesso
concetto vi sono più parole sinonime o quasi sinonime. Ad esempio, della
parola latina EQUUS ‘cavallo’ si affianca CABALLUS con il significato
ristretto di ‘cavallo da tiro’, dei due solo il secondo ha avuto continuazione
nelle lingue romanze, curiosamente il femminile EQUA ha avuto un seguito
nella maggior parte delle lingue romanze, tipo in spagnolo (yegua), tranne in
italiano dove è sostituita da cavalla o giumenta (<IUMENTUM ‘bestia da
soma’).
In altri casi fra più parole latine appartenenti allo stesso dominio nozionale
sopravvivono quelle che hanno maggiore espressività: la voce latina
FLERE ‘piangere’ è andata perduta, mentre hanno continuatori le parole
PLORARE ‘lamentarsi’ (fr.pleurer) e PLANGERE ‘battersi il petto per il
dolore’ (it.piangere); analogamente LOQUI ‘parlare’ è scomparso, ma si è
perpetuato l’uso di FABULARE ’chiacchierare’ e PARABOLARE, formatosi dal
grecismo PARABOLA (it.parlare).
Spesso i diminutivi di valore vezzeggiativo hanno finito per sostituire nelle
lingue romanze le stesse basi lessicali da cui derivano: AGNUS ‘agnello’ >
AGNELLUS ‘agnellino’> it.agnello.
Le innovazioni lessicali possono procedere anche per slittamenti semantici di
tipo metonimico o metaforico: la metonimia si basa sulla contiguità
spaziale, temporale o casuale, vediamo infatti che il termine latino BUCCA
‘guancia’, nella maggior parte delle lingue si è conservato con il significato di
‘bocca’, ma per designare bocca si utilizzava GULA, oggi termine per ‘gola’; la
metafora utilizza il principio di similarità tra concetti appartenenti a domini
nozionali e contesti d’uso diversi. Così i continuatori del lat. TESTA ‘anfora,
vaso di terracotta’, oggi nelle lingue romanze hanno sostituito o affiancato
quelli di CAPUT ‘capo (in senso anatomico)’.
Interessante è il rumeno, il quale conserva voci ereditarie latine con un
significato andato perduto nelle altre lingue romanze, come buca ‘guanca’ e
teasta ‘cranio’, questo dovuto all’isolamento della Dacia nella fase tardolatina.
Il lessico delle lingue romanze, oltre alle parole latine ereditarie, include
anche un gran numero di parole latine di trasmissione indiretta ai quali si dà
il nome di latinismi, che potremmo considerare dei prestiti del latino scritto.
I latinismi sono molto più abbondanti delle parole ereditarie, comprendono
circa l’86 % delle 35.000 parole di etimo latino del Grande dizionario italiano
dell’uso (GRADIT). I latinismi rappresentano, quindi, una buona parte del
lessico complessivo delle lingue romanze, ma il loro uso è specifico, tocca
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campi come la medicina, la filosofia, il diritto ecc. La loro abbondanza è
dovuta al ruolo multisecolare che il latino ricopre in Occidente, cioè di lingua
di cultura. I latinismi delle lingue romanze sono di tipo diverso, vi sono:
- I latinismi non adatti, cioè parole che non appartengono alla
fonetica e alla morfologia delle lingue romanze, sono quindi de veri e
propri prestiti moderni, uguali in tutte le lingue, come ‘corpus’ per
raccolta completa, ‘curriculum’ (carriera), ‘deficit’, plenum per riunione
plenaria;
- I latinismi adatti, che hanno subito un adattamento fonologico e
morfologico.
A livello formale i latinismi si distinguono dalle forme patrimoniali, più
conservative: OCULUS e AURICULA hanno continuatori patrimoniali
(it.occhio, orecchia), mentre gli aggettivi OCULARIS e AURICOLARIS hanno
continuatori colti (it.oculare, auricolare).
Esistono inoltre gli allotropi (parole di una lingua formalmente
differenziate, ma riconducibili allo stesso etimo): fra i continuatori di CAUSA
troviamo le forme ereditarie it.sp. cosa e le forme di trafila colta, it.sp.causa.
sono allotropi le forme it.mezzo e medio, riconducibili alla forma latina
MEDIUS. Un caso particolare è costituito dai semicultismi, quelle parole
cioè trasmesse oralmente dal latino alle lingue romanze, ma che per influenza
del latino scritto hanno subito solo parte dei mutamenti fonetici propri delle
parole ereditaria. Tra i riflessi di SAECULUM e MIRACULUM, troviamo i
latinisimi it.secolo e miracolo, i semicultismi fr.siècle, miraclee sp.siglo,
miragolo.
7.2 I prestiti
Con il nome prestiti o esotismi ci si riferisce alle parole straniere utilizzate in
una lingua diversa da quella di origine. I prestiti sono i risultati di processi di
interferenza linguistica verificatasi in seguito al contatto fra utenti di lingue
diverse. Queste interferenze avvengono più intensamente a livello lessicale,
ma le troviamo anche a livello fonologico, morfologico e sintattico. Le parole
trasmesse da una lingua possono avere per referenti nozioni nuove (bambù,
caffè, zen) o già esistenti nella comunità linguistica (folklore, killer, leader,
shopping). I primi sono considerati ‘prestiti necessari’, le seconde ‘prestiti di
lusso’, ma in generale non esiste nessuna necessità, in quanto ogni lingua
possiede in sé risorse capaci di creare nuove denominazioni (si pensi al
termine patata di origine americane in francese è chiamata ‘pomme de terre’,
cioè mela della terra). I prestiti sono in genere sostenuti dal prestigio sociale
di cui gode, per diversi motivi, la lingua di partenza.
I prestiti sono normalmente parole lessicali (più sostantivi che verbi e
aggettivi), sono rari i casi di parole funzionali.
Essi sono normalmente adattati dal punto di vista fonomorfologico alla lingua
di arrivo ad es. in it.ristorante dal fr.restaurant, ma è diventata pratica
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comune introdurre prestiti non adattati, detti forestierismi, come film,
guru, kebab, totem, yogurt.
Ai prestiti entrati in una lingua per via scritta si dà il nome di prestiti colti o
libreschi. In questa categoria rientrano i latinismi affluiti nelle lingue
romanze e i grecismi, che il lessico latino e tardo aveva già assorbito, passati
poi alle lingue romanze. i grecismi sono dei neologismi formati a partire da
dei morfemi che funzionano come prefissi o suffissi (auto- , neo-, micro-,
geo-, filo-).
Oltre per via scritta, nelle lingue romanze riscontriamo una gran varietà di
prestiti diffusisi per via orale. Tra questi ricordiamo:
- I germanismi medievali, arrivati tramite i molteplici contatti
intrattenuti dal mondo romano con diverse tribù germaniche;
- I bizantismi, parole trasmesse per via orale dal greco medievale alle
lingue romanze;
- Gli arabismi, che costituiscono una componente importante del
lessico iberoromanzo;
- Gli americanismi, penetrati in spagnolo e in molte altre lingue a
seguito delle esplorazioni e della conquista del continente americano da
parte di spagnoli, inglesi, francesi;
- I germanismi moderni, nuovo contingente di parole di origine
tedesca e inglese diffusisi tra il 700 e l’800;
- Gli slavismi del rumeno.
Si parla invece di prestiti interni per quanto riguarda il passaggio di parola
da una lingua romanza all’altra. A questa categoria appartengono:
- I francesismi appartenenti, in particolari quelli di età moderna, ai
domini nozionali più diversi (bureau; elite)
- gli occitanismi, nati grazie al successo internazionale della lirica
trobadorica che portarono le lingue romanze ad incorporare varie voci
dell’occitano medievale;
- gli italianismi di ambito commerciale e marinaresco, veicolati da
alcuni volgari italiani (banca, debito, bussola, ciurma) e di ambito
artistico e culturale diffusi a partire dal 500 (balcone, burlesco,
caricatura, sonetto);
- gli ispanismi: duranti i c.d siglos de oro della civiltà ispanica, il lessico
romanzo accoglie una buona quantità di parole spagnole (brío, crianza,
zarabanda)
- i catalanismi: numerose parole catalane penetrano nello spagnolo e
nei dialetti italoromanzi delle regioni sotto il dominio aragonese (come
nap.riggiola ‘mattone’ e sic.capuliari ‘tagliuzzare’;
- i protoghesismi, di numero esiguo nelle lingue romanze, ma il
portoghese si è fatto veicolo di prestiti da lingue esotiche (banana dalla
Guinea, macaco, piranha, catamarano).
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7.3 Le neoformazioni romanze
Un’altra componente del lessico romanzo è costituita da parole formate
tramite meccanismi di derivazione e composizione a partire da basi lessicali
latine o esotiche.
I processi di derivazione consistono nella formazione di parole nuove
attraverso l’aggiunta di un affisso, a questo si dà il nome di prefisso se si
trova a inizio parola, di suffisso se si trova a fine di parola.
La maggior parte dei prefissi romanzi sono prestiti dal latino (ex-,re-,in-) o
dal greco (neo-,geo-) ed esprimono localizzazione spaziale (sottobosco) o
temporale (preistorico), negazione (inutile), ripetizione (rileggere), possono
avere valore accrescitivo (megasconto), diminutivo (microorganismo) ecc.
I prefissi lasciano intatta la categoria lessicale della basa a differenza dei
suffissi che possono, invece, determinare un cambiamento: da un nome si può
formare un aggettivo (odoreà odoroso9, da un verbo può diventare un nome
(coltivareà coltivazione) ecc. I suffissi derivazionali nelle lingue romanze, di
numero maggiore rispetto ai prefissi, sono principalmente di origine latina
(-bilis, -tor,-arius), da cui giungono per tradizione diretta o colta; i suffissi
possono essere prestiti di lingue romanze (fr.-age,it.-occio,sp-azo) o
germaniche (-ing,-isk). I suffissi formano nomi di azione (allenamento), di
qualità (gentilezza), di luogo (lavanderia), di agente (cacciatore), nomi astratti
(ottimista), verbi (simpatizzare), inoltre i suffissi hanno la funzione di alterare
i nomi (poetastro), aggettivi (piccoletto), verbi (canticchare). La categoria più
diffusa dei suffissi è quella dei diminutivi, molto usati in alcune lingue
romanze, come il latino e lo spagnolo, mentre altre lingue preferiscono forme
perifrastiche: it.alberello, sp.arbolito, fr.petit arbore.
Si possono formare parole nuove anche attraverso processi di derivazione
senza aggiunta di affissi, in questo caso si parla di conversione: ad esempio
la nominalizzazione di aggettivi, di verbi ecc.
Altro meccanismo per la formazione di parole nuove è la composizione,
cioè la combinazione di due o più parole, il cui significato è il risultato
dell’interazione fra i significati dei due costituenti. Questo meccanismo è
ampiamente usato nelle lingue romanze per formare parole funzionali
(it.tuttavia) e parole lessicali (apriscatole). I composti romanzi più comuni
sono quelli nati dall’unione di aggettivi e dalla combinazione di un verbo e un
nome (portabandiera). Riguardo all’ordine delle parole nei composti, le lingue
romanze prediligono la ramificazione a destra, quindi il verbo precede il nome
e il nome l’aggettivo.
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