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Della Linguistica1, scienza sviluppatasi sul finire del XVIII sec, fa parte la Linguistica Romanza che
studia tutti gli aspetti (fonetica, morfologia, sintassi, lessicologia, dialettologia, sociolinguistica,
tipologia) delle lingue che hanno origine da una evoluzione della lingua latina.
L’insieme caotico delle lingue ad oggi parlate sul nostro Pianeta viene classificato in diversi modi,
il più comune è quello di tipo genealogico (a cui si adatta perfettamente il solo gruppo romanzo)
secondo cui ogni lingua deriva da una proto-lingua o lingua madre; poi c’è la classificazione
tipologica (Schlegel 1818), che distingue le lingue tra isolanti, agglutinanti, flessive; un’altra
possibile classificazione linguistica è quella di ordine geografico che ben si adatta ad esempio alle
lingue cosiddette Semitiche.
Le lingue romanze, tutte pressoché di tipo flessivo, sono unite dal denominatore comune latino, ma
sono esse stesse un sottoinsieme di un imponente gruppo linguistico, quello INDOEUROPEO.
Si è ipotizzato che da una immaginaria lingua madre (l’indoeuropeo2 appunto) si siano poi
diversificate molte delle lingue tutt’ora parlate. Sono state poi postulate varie sottofamiglie
appartenenti al ceppo indoeuropeo tra cui le lingue germaniche, celtiche, romanze.
Le lingue romanze sono il solo caso per ora documentato in cui da una lingua attestata come il
latino si sia poi sviluppata un’intera famiglia (questo non certo senza problemi, alcune lingue sono
più romanze di altre).
La linguistica romanza include: fonetica, morfologia, sintassi, lessicologia, dialettologia,
sociolinguistica, pragmatica e tipologia.
Già dal medioevo abbiamo testimonianza di importanti studi di Linguistica Romanza, noto è il De
vulgari eloquentia, in cui Dante ammette di riconoscere, attraverso coincidenze lessicali, una
fondamentale unità tra le lingue romanze.
E’ poi dal Cinquecento e con l’Umanesimo che aumentano le trattazioni grammaticali delle singole
lingue.
Verso la metà del XIX sec, con l’acquisizione di una metodologia comparativa, il tedesco Friedrich
Diez compila una interessante grammatica comparata delle lingue romanze con annesso vocabolario
etimologico.
Tra il 1866 e il 1868, il tedesco Schuchardt afferma che le lingue romanze non derivano dalla lingua
scritta degli autori classici latini, ma dalla lingua parlata dell’Impero (com’è logico d'altronde visto
che le letture non erano a tutti accessibili).
Tra il 1902 e il 1910 il francese Jules Gilliéron pubblica il primo atlante linguistico nazionale, dal
quale prese spunto Schmidt3 per la formulazione della Teoria delle Onde. Con Gilliéron nasce la
geografia linguistica.
‘900 linguistica strutturale: Ferdinand de Sassurre.
1
In Italia è in uso anche il sinonimo “glottologia”.
2
Di cui non si ha alcuna testimonianza diretta.
3
Secondo Schmidt, lingue originariamente diverse ma vicine sul territorio si influenzano reciprocamente mediante la
circolazione di innovazioni linguistiche che, partendo da un centro, si propagano verso l'esterno in cerchi concentrici
come le onde di uno specchio d'acqua in cui siano stati gettati dei sassi. L'intersecarsi di queste onde, e il fatto che col
tempo perdono la loro forza propulsiva (perciò le lingue più lontane non sono toccate dall'innovazione), dà luogo
all'uniformità di una famiglia linguistica e alla diversità interna dei suoi membri. La teoria delle onde trovò poi
conferme nel campo della dialettologia e della geografia linguistica.
2
A parte alcune località (più o meno estese4) la Romània Europea occupa quanto resta dell’antica
area latina. Attorno alla massa continentale vanno annoverate molte isole di lingua romanza:
All’interno di quest’area alcune parlate hanno assunto una fisionomia netta in quanto hanno avuto
una tradizione letteraria, una normalizzazione grammaticale e il loro uso è divenuto ufficiale. Sono
lingue romanze: PORTOGHESE, SPAGNOLO, FRANCESE e ITALIANO.
Negli ultimi decenni le spinte autonomiste hanno dato al catalano un riconoscimento ufficiale che
sarà dato nella Penisola Iberica anche al galego e all’asturiano.
In Francia sta accadendo lo stesso col provenzale. Il corso appartiene più all’italo-romanzo come il
sardo, il friulano e il ladino che godono di un certo grado di autonomia.
4
Alto Adige (tedesca), Bretagna Francese (celtica), Provincie Francesi di s-w (basche), Navarra (basca).
3
Esiste oltre alla Romània Antica e Europea, una Romània Nuova ben più ampia dell’Impero
Romano. Bisogna contare i Paesi colonizzati:
AMERICA
E’ romanzo il Québec (francese) e il Canada; una minoranza negli U.S.A. parla spagnolo come il
Messico, Cuba, Portorico, il Guatemala, il Salvador, Nicaragua, Honduras, Panama, Venezuela,
Columbia, Ecuador, Perù, Bolivia, Cile, Argentina, Uruguay e Paraguay; parla portoghese in
Brasile, francese nelle isole Haiti di ovest e spagnolo nelle Haiti di est.
AFRICA
Nessun Paese è propriamente di lingua romanza, solo che dopo le recenti indipendenze delle
colonie i nuovi Stati hanno deciso di mantenere comunque la lingua dell’antico colonizzatore,
francese, spagnolo o portoghese.
ASIA
A parte piccole aree portoghesi a Goa e Macao, lo spagnolo resiste strenuamente alle parlate locali e
all’inglese nelle Filippine.
OCEANIA
Alcuni gruppi di isole parlano francese e anche Tahiti.
4. POLITICHE LINGUISTICHE
Nella diffusione di una lingua incidono decisioni coscienti la cui influenza è maggiore quanto più lo
è chi prende questa decisione. Nel caso dell’Africa romanza, ad esempio, la decisione di mantenere
l’uso del Francese ad esempio non è nata dai parlanti ma dal loro governo.
Si parla dunque di politiche linguistiche.
813 il Concilio dei Vescovi dell’Impero Carolingio, riunitisi a Tours decretò che nelle Chiese
dell’impero si mantenesse l’uso del latino come lingua liturgica mentre le omelie dovevano essere
formulate in volgare, romanzo nelle aree romanze e germanico in quelle germaniche.
1539 Francesco I di Francia per evitare equivoci nati dall’uso del latino nei tribunali, decise che
fosse obbligatorio l’uso del Francese. Questo elevò il francese ad uno status più alto rispetto agli
altri dialetti del regno, dando inizio ad una politica di unificazione della lingua francese.
1560 Emanuele Filiberto, duca di Savoia, nella parte italiana dei suoi stati adottò l’italiano come
lingua della giustizia e dell’amministrazione.
1707 – 1716 Filippo V di Spagna col decreto “de Nueva Planta” introdusse l’obbligo, nei paesi
catalani, dello spagnolo nell’uso amministrativo e giudiziario.
Altri atti importanti per la politica linguistica sono le fondazioni di Accademie della Lingua.
1582 In Italia la più antica è l’Accademia della Crusca che godeva della protezione dei Granduchi
di Toscana. Non è un’istituzione pubblica.
1636 In Francia il cardinale Richelieu organizzò una Académie Francaise che ancora oggi è
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nell’orbita dello stato, col compito di dare al francese una norma lessicale e grammaticale.
1714 In Spagna Filippo V fondò la Real Academia de la lengua che ancora oggi opera nel settore
con una grande influenza anche verso le ex colonie. Tra il 1810 e il 1820 le colonie americane
ottennero l’indipendenza e anche grazie alle spinte romantiche (per cui la lingua è un valore
essenziale per l’identità nazionale), molte furono le spinte al frazionamento linguistico. Nacquero in
Messico, in Argentina, delle Accademie Nazionali dalle quali quella di Madrid non si distaccò mai
del tutto.
Nel mondo romanzo di oggi solo in Francia è normale che il governo intervenga sull’uso
linguistico, evitando l’introduzione di termini stranieri (computer - > ordinateur), stabilendo le
parole da inserire nelle insegne dei negozi legiferando sugli usi grafici persino nel Consiglio dei
Ministri (dieresi e accento circonflesso).
Il campo più importante della politica linguistica da parte del governo è sempre stata la scuola,
specie dall’introduzione dell’obbligo scolastico.
In Italia dal 1861 in poi in maniera piuttosto continuativa, l’Italiano, pressoché sconosciuto ai più, è
sempre stato insegnato nelle scuole a scanso dei dialetti.
Nel mondo di lingua spagnola (come in quello inglese) non si è mai avuta la formazione di lingue
propriamente neo-spagnole o neo-inglesi e questo è dovuto al fatto che il vincolo di simpatia tra
madrepatria e colonie non si è mai spezzato e con le nuove tecnologie la distanza non è stato più un
problema.
5
5. LA VARIAZIONE
L’unità linguistica non è la condizione naturale di una lingua che nasce all’interno di piccole
comunità di parlanti e si evolve nello spazio e nel tempo a seconda di diversi fattori di ordine
storico e sociale. La variazione linguistica è un fenomeno del tutto normale non solo tra le diverse
comunità ma all’interno di ognuna di esse. Si è parlato addirittura di idioletto, forma delle
caratteristiche del parlato (ma anche dello scritto) di un individuo.
Nonostante la politica linguistica tenti di imporre una unità della lingua, in ogni lingua esistono
variazioni di tipo diverso, e sebbene queste variazioni possano essere combinate, si tende a studiarle
isolandole:
[DIÀ + TÒPOS] E’ la forma più evidente di variazione linguistica, e si realizza nello spazio.
Le varietà della lingua prodotte dall’influenza diatopica sono ciò che si chiama generalmente
dialetto.
Nella Romània antica i dialetti sono spesso il continuum del latino parlato in quell’area, influenzati
dalle altre parlate vicine e dalle forme scritte (latino letterario prima, lingue romanze di cultura
poi).E’ dunque del tutto sbagliata la convinzione che i nostri dialetti siano forme corrotte della
lingua nazionale che ne è praticamente una evoluzione.
(toscano /fiorentino/ > italiano; parigino > francese).
L’evoluzione della lingua è disturbata da molti fattori anche dai movimenti migratori delle
popolazioni vicine (Siviglia islamizzata 713-1248 e reconquistata) o lontane (Spagna, Francia,
Portogallo > Centro America, Québec, Brasile [Romània nuova]).
Il continuum dialettale permette la comprensione fra gruppi parlanti vicini ma sempre meno con
quelli più lontani, dove appare evidente che la differenziazione sia più radicale.
I casi di confini dialettali molto netti sono comunque poco frequenti.
Nel caso della linea La Spezia - Rimini, considerata una importante isoglossa5, che segue in gran
parte la linea dell’Appennino tosco-emiliano, tutto fa pensare che le barriere geografiche siano
anche barriere linguistiche. Ma così non è. Le Alpi Occidentali non impediscono al provenzale di
scendere nelle valli piemontesi, né i Pirenei fermano la circolazione del basco o del catalano.
Le fratture del continuum dialettale nello spazio sono quindi dovute da fratture nell’identità sociale
e culturale; il limite è posto dalle forze sociali (amministrazioni politiche o religiose) che portano il
parlante ad identificarsi in gruppi più ampi di quelli locali.
Pisa, Grosseto, Firenze e Arezzo hanno parlate simili, ma non identiche, i parlanti si identificano
però tutti come toscani.
I dialetti locali subiscono dunque l’influsso livellatore dei dialetti regionali, in epoca moderna
quello della lingua di cultura imposta dalla scuola, amministrazione e mass-media. La lingua di
cultura è indispensabile per l’integrazione. Chi parla solo il dialetto è condannato
all’emarginazione.
Molti sono i geosinonimi, parole di origine locale, sempre romanza che vogliono dire la stessa cosa.
5
Linea tracciata su una carta linguistica per segnare i limiti di estensione di un fenomeno linguistico.
6
Il caso del giudeo-spagnolo6 è ancora più complesso, nelle comunità ebraiche si mescolano ebrei
provenienti da diverse regioni per cui non è mai esistita una norma e la variazione è vivacissima
(forte è anche l’influenza delle lingue semitiche) ma i legami familiari, commerciali, culturali tra le
diverse comunità ebraiche è così stretta che non vi sono varietà molto differenziate.
I PIDGINS E I CREOLI
L’espansione oceanica degli europei nel medioevo e poi nelle colonie basate sul lavoro degli
schiavi, ha portato alla creazione di empori commerciali in cui parlanti di lingue diverse
venivano a confronto. Il rapporto tra europei ed indigeni era inizialmente mediato da
servitori locali, nacque così il pidgin, un dialetto nato per necessità commerciale e necessità
di convivenza. Il pidgin è instabile e non ha una grammatica molto ricca, appare una lingua
isolante e non è mai la lingua materna di chi lo usa. Alcuni di questi empori sono però
rimasti attivi per secoli, i coloni (maschi) hanno creato famiglie con donne indigene e i nati
erano detti meticci. Il pidgin diveniva la lingua di un gruppo sociale abbastanza stabile. Da
questo momento in poi si parla di creolo7, che non ha più limitazioni funzionali alle relazioni
commerciali ma è appunto lingua materna e unica.
E’ accaduto tanto in Africa, dove nei centri di smistamento degli schiavi i coloni creavano
gruppi eterogenei di indigeni che a loro volta avevano problemi di comunicazione tra loro;
quanto nelle piantagioni americane dove schiavi, indigeni e coloni si trovarono di fronte a
difficoltà comunicative e si finì per usare la lingua dei padroni non senza cambiamenti
profondi.
Lingue creole romanze e non costituiscono una categoria linguistica ben individuabile:
grammatica semplificata e isolante, la morfologia verbale è espressa non da desinenze ma da
particelle di netta provenienza romanza. Ogni creolo è differente dall’altro.
L’isola di Haiti, nella sua metà occidentale è stata colonia francese fin dopo la rivoluzione,
la popolazione bianca è andata sparendo e tra il 1979 e il 1987 la lingua creola di Haiti è
entrata nelle scuole e nell’amministrazione fino e divenire ufficiale.
Considerare le lingue creole dialetti romanzi non è quindi esatto perché nasce da una necessità del
tutto artificiale di comunicazione tra le due lingue, mentre il dialetto romanzo si conserva e si
evolve diacronicamente di generazione in generazione.
[DIÀ + STRÀTOS] Questa variazione è legata alle condizioni sociali dell’utente. Una delle forme di
differenza nell’uso linguistico è quella tra chi usa il dialetto e chi usa la lingua.
Per quanto riguarda l’Italia è ben noto che fino al pieno Ottocento la maggior parte degli italiani
apparteneva al primo gruppo, al momento dell’unità (1861) solo una ristrettissima minoranza
parlava l’italiano standard.
Non esistono classi linguistiche ben definite, questo è dovuto non solo all’influsso di fattori
6
La diaspora ebraica dai paesi della penisola iberica (Castiglia, Portogallo, Aragona, Catalogna) e non (Sicilia, Grecia)
avvenne dopo il 1492, anno della reconquista e della scoperta dell’America.
7
Parola di probabile origine spagnola indicante “meticcio”.
7
Enorme è poi la differenza tra lo scritto e il parlato, a meno che questo non imiti coscientemente il
primo.
Questa differenza è presente tanto in italiano quanto in altre lingue romanze in cui spesso, la
differenza tra le due forme non riguarda solo il lessico ma anche elementi fondamentali della
struttura linguistica (fra: sing / plu l’esistenza della -s finale è presentata solo dalla qualità della
vocale).
[DIÀ + PHÀSIS] E’ una variazione che dipende dalle differenti situazioni comunicative, dalle
funzioni e dalle finalità del messaggio sia nello scritto che nel parlato.
Tra le forme di differenziazione diafasica ci sono quelle collegabili al sesso e all’età del parlante (si
parla anche di diastrasia allargata).
Non è stato facile per gli studiosi definire in che cosa consista il linguaggio delle donne, ma molti
studiosi tendono ad affermare che la lingua delle donne sia più conservatrice rispetto a quella degli
uomini.
Non mancano però i casi contrari, in Francia ad esempio nelle aree occitane e franco-provenzali, le
donne sono passate all’uso del francese a scapito del dialetto (patois) prima e con più correttezza
rispetto agli uomini; questo probabilmente fu dovuto allo stretto legame che c’era tra il dialetto e le
attività prettamente maschili come la caccia, la pesca, la viticultura.
Esistono linguaggi tecnici (informatica) specifici (medicina specialistica) e linguaggi in codice che
nel caso dei giovani ad esempio si tramuta in vero e proprio gergo8, cioè una forma linguistica usata
da un gruppo con la specifica finalità di non farsi comprendere da chi del gruppo non fa parte.
Esistono anche dei sottocodici, diversi registri che mutano a seconda della situazione e
dell’argomento, diventando più o meno specifici.
Un sottocodice può fare uso di diversi registri linguistici: un cardiologo che parla di medicina con
un cardiologo, si esprimerà diversamente parlando di medicina con un fruttivendolo. Il sottocodice
è lo stesso: medico, ma il registro linguistico diverso.
8
Anche la malavita usa un gergo, così come i carbonari e persino i partigiani. In Francia gergo è jargon che divenne poi
argot. In via di estinzione è però molto diffuso tra i giovani, negli ultimi anni un gruppo di ragazzi francesi ha stilato un
dizionario francese-argot, argot-francese.
8
[DIÀ + KRÒNOS] Questa trasformazione è legata alla dimensione cronologica, all’evoluzione della
lingua nel tempo.
Un esempio lampante in italiano potrebbe essere l’uso perduto della prostesi di -i innanzi a -s
impura, che ancora permane negli anziani (per iscritto, in Isvizzera), e l’uso di arcaismi superati
(reclame per pubblicità).
Questa trasformazione è evidente in entrambe le forme della lingua, nello scritto si attestano sempre
più forme abbreviate dovute alla diffusione di mezzi di comunicazione istantanei (x al posto di per)
e nel parlato la diffusione di parole di nuovo conio (sfiga, impanicato, accannato).
La coscienza della variazione linguistica nel mondo romanzo è molto antica e rafforzata dal
racconto biblico di Babele (Genesi, 11) che segue la Tavola delle Genti (Genesi, 10).
Punizione divina e non risarcibile l’impossibilità degli uomini a capirsi tra di loro.
Il più antico segno di attività culturale legata alla variazione è l’attività di glossatura9. Le glosse
si ritrovano fin dall’antichità per spiegare con parole latine comuni termini più arcaici o astrusi di
un testo. Famose sono le Glosse di Reichenau10 della fine del VIII sec e le Glosse emilianesi11 del
1000 ca., volte a semplificare in romanzo termini antichi del latino religioso.
Ben presto si svilupparono veri e propri glossari che vennero tosto compilati seguendo un ordine
alfabetico (la catalogazione per argomento rendeva difficile la ricerca delle glosse).
Nel 1500 ca. venne pubblicato a Firenze il Vallilium, glossario siciliano-latino, primo
vocabolario dialettale ad uso di coloro che dovevano esprimersi in latino; solo con la
dialettologia moderna, verso la fine dell’Ottocento iniziano ad apparire vocabolari volti alla
conoscenza del dialetto in tutta la sua varietà semantica e formale, e non solo dunque, funzionali
alla traduzione.
Gli studi dialettologi non trascurano quasi mai il lessico anche se non hanno come scopo la
confezione di un vocabolario, ma il loro fine è la messa in risalto della variazione.
Per avere chiare le idee sulle zone d’influenza di una data variazione si può tracciare su una carta
geografica una linea che separa le zone che mantengono un dato fenomeno dalle altre. Questa
linea si chiamerà isoglossa.
Lo studio del lessico dialettale ha avuto nel corso degli anni un altro sviluppo, quello
etnolinguistico i cui vocabolari necessitano descrizioni ulteriori rispetto a quelle di traduzione
9
Accompagnare un testo in una lingua poco familiare con annotazioni interlineari o marginali che rendono una o più
parole del testo con voci di un’altra lingua più conosciuta a chi la scrive.
10
Isola tedesca sul lago di Costanza dove si trova un monastero benedettino.
11
Monastero spagnolo di S. Millàn, in Rioja Spagna N-E.
9
della parola in quella equivalente della lingua standard, seguono infatti una corrispondenza
parola – cosa con l’ausilio di disegni e descrizioni.
Il metodo parole – cose, sviluppato agli inizi del ‘900 venne ben presto esteso dai termini
designanti oggetti a quelli designanti valori astratti che illustrano l’ideologia e valori di una
cultura.
Nacque così una dialettologia che non ricostruiva solo le forme di espressione ma anche i
contenuti della cultura della comunità esaminata: la linguistica etnografica.
Il primo Atlante Linguistico di lingua romanza è quello che elaborò all’inizio del ‘900 Gilliéron
in Francia.
Il questionato è composto di domande indirette che non suggeriscano risposte. Le risposte sono
trascritte con alfabeto fonetico e/o registrate. Il soggetto analizzato deve conoscere bene il
proprio dialetto e possibilmente conoscere poco (o niente) di dialetti limitrofi e lingua standard.
Dagli atlanti si può evincere che in generale che le isoglosse che dividono le aree in cui un
fenomeno si realizza o no raramente si sovrappongono.
Questo conferma l’inesistenza di confini dialettali netti, ma l’esistenza di continua dialettali.
Esistono atlanti linguistici nazionali per quasi tutti i paesi romanzi, ma data la vastità del campo
di inchiesta sono spesso apparsi lacunosi. Per ovviare a questi difetti furono elaborati atlanti
regionali (ne esistono per la gran parte delle regioni francesi e per alcune di quelle italiane).
L’atlante regionale permette di ampliare e approfondire i campi di indagine e sono nettamente
più analitici data la riduzione dell’area di lavoro.
Qualche problema è nato con l’inserimento negli atlanti linguistici delle variazioni diatopiche,
ma per questo restano da sfruttare ancora le funzioni di tridimensionalità del computer.
6.4 LA SOCIOLINGUISTICA12
12
Parte della linguistica che studia i legami tra la lingua e la stratificazione sociale.
10
Col tempo ci si è resi conto che le situazioni linguistiche tanto antiche quanto moderne sono
complesse. Non esiste omogeneità all’interno di grandi comunità [inchieste macro] tantomeno
all’interno di comunità piccole come la famiglia [inchieste micro].
In generale si può affermare che la lingua è più conservativa la dove la lingua si è imposta
successivamente,13 esempio lampante è quello della Spagna e dell’America Latina.
Spesso parlando ancora di politiche linguistiche, è l’imposizione dell’autorità a determinare lo
sviluppo o l’involuzione di una lingua; questo è il caso della popolazione romanza stanziata al
nord del fiume Prut, in Romania. In epoca comunista venne reintrodotto l’alfabeto cirillico a
scapito del latino in vigore da metà Ottocento per creare un solco tra questa regione degli
U.R.S.S. e l’allora borghese Regno di Romania.
[D] fenomeno collettivo, riguardante l’uso contemporaneo, nella stessa comunità, di due sistemi
linguistici differenti, di cui uno riservato agli “usi bassi”(famiglia, gruppo di pari) [basiletto]
e l’altro agli”usi alti” (religione, cultura, insegnamento) [acroletto]. Se il parlante passa da
una varietà all’altra si dice “code-switching”.
Nel Medioevo il latino fungeva da lingua alta, il volgare da lingua bassa. La lingua alta di
norma è quella imparata a scuola, di maternità estranea al parlante.
[B] fenomeno individuale, riguardante il singolo che riesce a usare due o più varietà linguistiche.
Analoga alla diglossia è la situazione in cui in una data zona di due lingue di egual prestigio, una
col tempo tende a prevaricare l’altra che perde popolarità. Questo è il caso in Francia del francese e
occitano e della Spagna del castigliano e catalano.
Col tempo catalano e occitano hanno preso terreno sul piano sociale e culturale.
In sostanza, come disse il noto linguista norvegese Einar Haugen “La lingua non è altro che un
dialetto che ha fatto carriera”
Si parla nel caso della diglossia di rapporto verticale tra lingue (una è più importante dell’altra),
quando le varietà si sovrappongono si parla di sostrato linguistico; quando invece il rapporto è
orizzontale si parla di adstrato in cui le lingue non si sovrappongono ma si influenzano in un
13
Secondo la norma dell’Area Seriore formulata da Bartoli all’inizio del ‘900.
11
La pragmatica è una disciplina della linguistica che si occupa dell'uso della lingua come azione,
osserva come e per quali scopi la lingua viene utilizzata.
Più nello specifico si occupa di come il contesto influisca sull'interpretazione dei significati. (In
questo caso il termine contesto è sinonimo della parola situazione, in quanto potrebbe riferirsi a
qualsiasi fattore extralinguistico, tra cui sociale, ambientale e psicologico.).
Questa disciplina classifica gli enunciati in:
CONSTATATIVI PERFORMATIVI
Constatano qualcosa, che sia vero o falso: Attraverso cui si compie una azione: ti
l’uomo è bipede; gli asini volano. proclamo laureato in lingue.
Caratterizzati da una forza illocutoria per cui Producono un atto perlocutorio per cui il
gli interlocutori attribuiscono al parlante la parlante produce effetti sugli interlocutori.
responsabilità dell’affermazione
Aspetto importante del discorso (parlato) è la deissi14, cioè l’insieme dei riferimenti allo spazio, al
tempo, alle persone e alle cose. Attraverso l’uso di determinanti (pronomi e aggettivi dimostrativi,
articoli.)
La distinzione apportata dai determinanti porta a contrapporre il dato dal nuovo, concetti importanti
dell’analisi pragmatica.
L’analisi pragmatica cerca di individuare i comportamenti diffusi dei parlanti e le varie tradizioni
14
La deissi è una funzione linguistica che serve a collocare un enunciato in una situazione nello spazio e nel tempo,
ovvero a collegare il testo al contesto. Il concetto di deissi fa riferimento a espressioni linguistiche la cui interpretazione
è possibile solo grazie al contesto in cui vengono prodotte: in genere le informazioni contestuali richieste riguardano
l'identità dei partecipanti alla conversazione e la loro collocazione spaziotemporale
12
del discorso (parlato e scritto) determinate dai vari codici linguistici adatti alle diverse situazioni
(testo parlato) e diversi generi letterari (testo scritto).
E’ la linguistica testuale che però studia i fenomeni di testualità, cioè le regolarità e le condizioni
che trasformano una serie di enunciati in un testo. In questo rientra anche lo studio dei generi
letterari (e delle specie letterarie)15, piuttosto approfondito ad oggi data la vastità di studi anche di
epoche precedenti (la retorica era arte studiata già dagli antichi greci.).
Con l’invenzione di forme di registrazione della voce è stato possibile raccogliere anche materiale
sonoro quindi testi orali.
Lo sviluppo dell’informatica ha reso il tutto ancora più semplice rendendo possibile disporre
materiale vastissimo in semplici cd, dvd, siti internet che ne semplificano e velocizzano
l’accessibilità.
In Italia l’opera canonica di corpora letterari è la LIZ (Letteratura Italiana Zanichelli) su supporto
magnetico riunisce più di 800 opere.
Corpora informatici di testi non letterari sono ancora pochi data la scarsità di fondi per le ricerche,
ma il Centro dell’Opera del Vocabolario del Consiglio Nazionale delle Ricerche sta realizzando un
vocabolario riprendendo anche lavori dell’Accademia della Crusca, inserendo testi anche anteriori
al 1379.
Discorso più complesso è quello dei corpora di lingua parlata. Nasce la necessità di ridurre le
varietà, cercando un parlato rappresentativo di decine di milioni di parlanti. Il parlato radiofonico e
televisivo non può essere rappresentativo del parlato in genere, per ciò si ricorre alle interviste
cercando di individuare un parlato spontaneo che deve però essere raccolto in un ambiente senza
rumori di fondo e disturbi vari, col rischio che il parlante si renda conto di essere registrato e la
spontaneità del parlato viene meno.
In Italia è ben noto il LIP (Lessico di frequenza dell’Italiano Parlato) di Tullio De Mauro e
collaboratori che mette a disposizione più di 50 ore di registrazione in ambiente sterile raccolte
nelle più grandi città d’Italia.
15
Genere: narrativa; Specie: autobiografia, aneddoto, favola ecc..
16
La Tipologia della frase, posizione di soggetto S, verbo V e complemento C.
13
Nel corso del tempo questa norma ha perso man mano di influenza mentre si è fatto più forte
l’obbligo di esprimere sempre il soggetto della frase (almeno dal Cinquecento in poi).
La norma dell’italiano è analoga a quella delle altre lingue romanze che non hanno l’obbligo di
espressione del soggetto, anche se questo riguarda la lingua standard.
A livello dialettale, il panorama è differente.
Italia settentrionale: piem. (mi) i dizu ‘dico’ soggetto espresso e rafforzato
Italia centrale: frequenza del soggetto è maggiore dello standard
Ma questo accade anche per altri dialetti romanzi: occitani e franco-provenzali.
Altra variante tipologica è quella dell’Oggetto marcato. Se questo è un essere vivente umano e
definito, lo spagnolo lo fa obbligatoriamente precedere da a: Pedro quiere a Dolores. Nulla di
simile appare in francese o italiano, salvo per i dialetti italiani meridionali, probabilmente reduci
dall’influenza spagnola. Anche se alcuni fonti ne attestano l’esistenza anche il epoca precedente.
14
Molti sono stati nei dodici secoli di storia delle lingue romanze i mutamenti della loro distribuzione
geografica.
Date importanti per la ricostruzione dei mutamenti geografici della Romània sono quelle del 1100 e
1600.
L’espansione musulmana pervase anche la lingua afro-romanza, che per quanto ben radicata fosse
(dopo secoli di egemonia romana) non sopravvisse all’arabo, a parte nella piccola colonia tunisina
di Gâfsa. Dall’Ifriqiya gli arabi entrarono nella Romània meridionale tra il 710 e il 711 e nei 20
anni successivi con continue incursioni verso l’interno arrivarono a minare il regno Francese (e
Cristiano) di Carlo Martello che riuscì però a fermarne l’avanzata nel 732 a Poitiers.
La conquista musulmana non aveva introdotto alcun obbligo a professare la religione islamica né a
parlare la lingua araba. I non musulmani (cristiani o ebrei) erano semplicemente costretti a pagare
una tassa per la libertà di culto e ad evitare manifestazioni esteriori della fede. I convertiti invece si
videro costretti ad imparare ex novo una lingua liturgica e totalmente sconosciuta.
15
Naturalmente gli invasori non parlavano un arabo omogeneo, le prime incursioni avevano portato
migliaia di individui di lingua berbera e da Bagdad arrivarono rinforzi solo successivamente. A
nord i cristiani oppositori del potere islamico avevano creato dei piccoli staterelli (Asturie,
Castiglia, Navarra, Leòn, Aragona) che continuavano a parlare la lingua romanza. Per chi, non
convertito, restava nel paese arabo fu coniato un nuovo termine: mozàrabo.
El Andalus era dunque un grande calderone di gente e lingue differenti, chi parlava l’arabo, chi il
berbero, chi dialetti mozarabici, chi l’ebraico, chi le lingue romanze. Dei dialetti mozarabici non vi
sono molte testimonianze scritte, a parte in calce ad alcune poesie dove sono state riscontrate
strofette mozaràbiche17 con nomi di luogo e poco altro.
Il romanzo era rimasto relegato al nord della Spagna, dove l’asprezza del territorio rendeva difficili
le comunicazioni tanto che quei territori risultavano poco latinizzati anche al tempo dei romani. La
reconquista cristiana non attese molto, il regno di el-Andalus non ebbe mai vita semplice, dopo
battaglie ed incursioni da ambo le parti, nel 1250 agli arabi non restava che il piccolo, ma maestoso
regno di Granada. I moriscos, i musulmani rimasti in terra cristiana e battezzati furono poi espulsi
tra 1609 e 1614 dalla Spagna.
Il tipo linguistico romanzo che finì per dominare in seguito alla riconquista fu quello castigliano, in
quanto il regno di Castiglia fu quello con maggiore espansione. Dalla Galizia scese verso sud il
portoghese, mentre asturiano e navarro rimasero relegati nelle province originarie, solo il catalano
conservò l’autonomia dai Pirenei ad Alicante.
L’Andalusia, in mano agli arabi sino al 1492, subì una successiva romanizzazione ad opera
dell’immigrazione cristiana dal nord. (lo Spagnolo americano ha un timbro fortemente andaluso,
poiché le navi per l’America (scoperta proprio nel 1492 dagli spagnoli) partivano dal porto di
Siviglia.
La Sicilia fu conquistata dagli arabi dall’827 al 902, l’isola allora apparteneva all’Impero Bizantino
ed era prevalentemente di lingua greca a est e romanza a ovest. La riconquista, bizantina prima e
normanna poi, lasciò ad oriente popolazioni di lingua greca specie a Messina. Dopo la riconquista
solo la popolazione araba dei ceti alti tornò in Africa.
Malta e Gozo, arabe dal 870 al 1091 furono talmente arabizzate che la riconquista non riportò il
dialetto romanzo, tanto che il maltese attuale è un dialetto arabo.
Non veniva più espressa la quantità vocalica ma doveva essere normalizzato l’uso di V (oscillante
tra vocale [u] e semiconsonante [w])18 e di I (vocale [i] e semiconsonante [j]). Nessuna lingua
romanza ha mai usato grafemi diversi per intendere e (aperta e chiusa) e o (aperta e chiusa). Solo il
francese fa uso degli accenti (uso diacritico) per differenziarle.
17
Chiamate Kharğat, scritte con alfabeto arabo ma in lingua latina.
18
La distinzione tra l’uso di u per la vocale e v per la consonante si è normalizzata solo nel XVI sec
16
Nelle aree dalla forte impronta diglottica, le lingue romanze sono state scritte con alfabeti non latini:
giudeo-spagnolo e il giudeo-italiano sono scritte con alfabeto ebraico; molti sono poi i testi scritti
con alfabeto arabo (Kharğat), greco, e cirillico.
Il primo in assoluto che scrisse un testo in romanzo conscio di contrapporre due sistemi linguistici
differenti: latino e romanzo, fu lo storico carolingio Nitardo, nel 842 con i Giuramenti di
Strasburgo.
Successivi sono dei testi gallo-romanzi di contenuto religioso: la Cantilena di S. Eulalia,
probabilmente di provenienza clericale 878.
In Italia lasciando da parte testimonianze dubbie i primi testi che si differenziarono dal latino furono
i Placidi Capuani scritti dal giudice Arechisi nel 960. Dal 960 al 1100 i testi volgari sono
relativamente pochi e provengono perlopiù da alcune località del nord e del centro.
Nella Penisola Iberica appare il volgare per la prima volta in un modesto documento, una lista dei
formaggi (Nodicia de kesos) annotata da un frate in un convento a Rozuela verso il 980. Di epoca
successiva al 1000 sono le Glosse emilianesi e le Kharğat.
Attestazioni di portoghese sono successive al XII sec (Noticia de torto).
Nel medioevo i luoghi dove c’era la consuetudine di scrivere erano pochi: gli scriptoria.
In origine solo monastici, episcopali poi e dal 1200 ca. anche di laici professionisti della scrittura.
Attraverso lunghi e approfonditi studi di paleografia e linguistica si è giunti alla conclusione che chi
scriveva per la prima volta il dialetto romanzo, non solo tendeva ad eliminare i tratti puramente
personali ma anche quelli troppo caratteristici della sua località nella speranza e intenzione di dare
un tono al nuovo sistema linguistico. Si è giunti poi alla definizione di scripta: tradizione linguistica
scritta, non solo letteraria ma privata e anche pubblica rappresentativa di una data area.
17
19. I MUTAMENTI DEL SISTEMA FONOLOGICO DAL LATINO ALLE LINGUE ROMANZE
I U
E O
A
I sistemi Romanzi, pur tra loro differenti, non valorizzano la lunghezza o la brevità della vocale, ma
si basano sulla sua apertura e valorizzano il fatto che questa porti o no l’accento.
Il sistema più diffuso è quello del “romanzo comune” , alla base delle varietà iberiche, francesi ed
in parte di quelle italiche:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ă Ā Ŏ Ō Ŭ Ū
In Sardegna, una fascia di Basilicata e a suo tempo forse in Africa vige il sistema “sardo”. Ogni
coppia di vocali si è fusa in un solo fonema:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ă Ā Ŏ Ō Ŭ Ū
Ī Ĭ Ē Ĕ Ă Ā Ŏ Ō Ŭ Ū
Il quarto sistema, detto “siciliano” è quello che riguarda Sicilia, Salento e Calabria meridionale:
Ī Ĭ Ē Ĕ Ă Ā Ŏ Ō Ŭ Ū
Nelle parole che in latino erano sdrucciole, la voclae atona nella penultima sillaba è scomparsa in
gran parte della Romània:
It.: OCŬLUM> oclu> occhio;
It.: VIRĬDEM > virde> verde
IL DITTONGA MENTO
Le vocali toniche sono state esposte al dittongamento ma esso si presenta nelle diverse aree in
maniera differente.
Il toscano e quindi l’italiano standard dittonga le vocali medio-basse [ ]in sillaba libera19:
MĔLE > miele [Ĕ] > -ie
NŎVO > nuovo [Ŏ] > -uo
Si può assimilare a questi dittongamenti ciò che accade in sillaba libera alla A latina: il risultato
francese è una e molto aperta:
MARE > mer; PATRE > pere .
Questo potrebbe essere il risultato di un precedente dittonga mento visto che quando la consonante
che segue è nasale abbiamo:
PANE > pain.
Ed in provenzale, lo stesso *pere < PATREM è reso paire.
In castigliano il dittonga mento avviene per sillabe medio-basse [ ] sia in sillaba libera che
bloccata:
MĔLE > miel [Ĕ] > -ie
SEPTEM > siete
FŎCU > fuego [Ŏ] > -ue
FĔRRU > hierro
Oltre a questo tipo di dittongamento spontaneo, ne esiste un altro risultante da una armonizzazione
o dittonga mento per metafonesi.
Nelle località che non conoscono il dittongamnto spontaneo se ne ha uno indotto dalla vicinanza
delle palatali.
Un caso importante di armonizzazione è la nasalizzazione: l’adeguamento della vocale alle
condizioni della pronuncia della consonante successiva nasale [m, n].
In latino l’accento cadeva sulla penultima sillaba, a meno che la sua vocale non fosse breve; in tal
caso, se la parola aveva almeno tre sillabe, l’accento si spostava sulla terzultima.
Nel latino di età imperiale si sono verificati dei fenomeni che hanno portato a spostare la posizione
dell’accento:
- Nel latino Augusteo se la vocale breve era seguita da una occlusiva più –R (muta cum
liquida) essa non diveniva lunga per posizione.
- I verbi composti con prefisso applicavano la regola dell’accento e la vocale breve, divenuta
atona, si modificava.
- Caso più evidente di spostamento d’accanto avveniva in parole latine dalla penultima vocale
Ĕ oppure Ŏ, precedute da I oppure E senza formare dittongo (in iato). Verso la fine
dell’Impero gli iati sono stati risolti e le vocali I ed E sono divenute semivocali. Le parole
hanno dunque perso una sillaba e l’accento non cade sulla semivocale, bensì sulla
successiva: *FILIÒLU> it. figliolo.
LA PALATALIZZAZIONE
19
L’unica palatale del sistema latino era la semivocale /j/, molte erano le parole che presentavano /j/
dopo consonante portando ad un mutamento generale delle consonanti che la precedevano
formando una serie di nuove consonanti palatali.
Esempi:
TJ> it. /tts/ > fr. /jz/ > sp. /dz/ PUTEU > it. pozzo > fr. puis > sp. pozo
MJ > it. /mmj/ > fr. /ndz/ > sp. /mj/ VINDEMIA > it. vendemmia > fr. vendage > sp.
vendimia
L’altra semivocale /w/ in origine occorreva nelle labiovelari [sorda KW; sonora GW], nelle evoluzioni
romanze, la labiovelare si è conservata quasi ovunque, oppure è diventata velare [sorda K; sonora
G]. Esempi:
ANTICUA > it. antica > fr. antique > sp. antigua
LINGUA > it. lingua > fr. langue > sp. lengua
In italiano in genere le semivocali /w/ dopo la risoluzione degli iati hanno raddoppiato la
consonante precedente.
VOLUI> volli
HABUI> ebbi
LA LENIZIONE
O indebolimento che ha colpito le consonanti intervocaliche di Penisola Iberica, Francia e Italia
settentrionale fino all’isoglossa La Spezia – Rimini.
Il quadro si riassume così:
Sorde doppie [PP; KK; TT] > Sorde semplici [p; k; t]
Sorde semplici [P; K; T] > Sonore semplici [b>v; g; d]
Sonore semplici [B; G; D] > Fricative o dileguano
Questo fenomeno ha interessato anche le altre consonanti, per quanto riguarda –RR si mantiene
ovunque tranne nel romanesco; la –MM è regolarmente ridotta a –m e questo vale indicativamente
anche per –SS che diviene –s.
Per quanto riguarda –NN e –LL il più riduce le consonanti a –n e –l, lo spagnolo invece opta per la
palatalizzazione.
20
La fase in /j/ è ancora constatabile in italiano nei monosillabi: NOS > noi.
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20. I MUTAMENTI DEL SISTEMA MORFO-SINTATTICO DAL LATINO ALLE ALTRE LINGUE
LA DECLINAZIONE
Il latino indicava una parte delle funzioni sintattiche dei sostantivi attraverso le desinenze. I nomi
(ma anche gli aggettivi e i pronomi) possedevano sei desinenze per il singolare ed altrettante per il
plurale.
Nel più delle lingue romanze [port. sp. it. cat. rom.]non v’è traccia delle declinazioni, i sostantivi
hanno una sola forma per il singolare ed una per il plurale. Questa forma di norma (le eccezioni
sono pochissime) deriva dall’accusativo singolare del sostantivo latino.
Nel primo medioevo, l’occitano ed il francese presentavano una declinazione bicasuale (retto,
obliquo) che sparisce del tutto, a vantaggio dell’obliquo, nel secondo medioevo con grande
confusione tra casi e numero.
GENERI
Il latino possedeva tre casi: singolare, plurale e neutro.
Quest’ultimo sparisce nelle lingue romanze tranne che in rumeno. Nei plurali collettivi però si
mantiene l’uscita in –A del neutro: LIGNA> it ligna.
ARTICOLO E DIMOSTRATIVI
Il latino non possedeva articoli né determinativi, né indeterminativi; mentre nelle lingue romanze
sono sempre presenti entrambi.
L’articolo determinativo romanzo proviene dal pronome dimostrativo ILLE “quello”. L’origine è la
stessa tranne che per il sardo e per alcune varietà catalane che hanno prediletto la forma IPSE.
La posizione dell’articolo determinativo è la stessa in tutte le lingue romanze (prima del nome)
tranne che per il rumeno dove l’articolo determinativo è postposto ed enclitico: LUPU ILLU> lupul
per il maschile. Nel femminile la differenza sta nella qualità della –a finale del sostantivo. Quando
questo è determinato la a finale risulta più aperta [ ].
I pronomi dimostrativi latini erano tre a seconda dei gradi di vicinanza: HIC, ISTE, ILLE. Nelle lingue
romanze sono spesso rafforzate con l’anteposizione di ECCU, ECCE. I tre gradi si conservano
ovunque (in italiano mod. tendono a due) tranne che in francese e rumeno
Le forme del passivo sono state trasformate in forme perifrastiche: AMABAR “ero amato”, AMATUS
ERO “sarò stato amato”. Ai tre modi del latino, tramite forme perifrastiche si giunge alla creazione
del condizionale. Supino e gerundivo invece, non hanno futuro.
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A differenza dell’Italiano che si è molto ben conservato nel corso dei secoli, Spagnolo e Francese
hanno subito molte modificazioni nel passaggio dalla lingua volgare alla lingua moderna (la lingua
standard in uso in questi Paesi).
Se da noi è bene o male possibile leggere e capire un testo di Dante Alighieri, risulta invece difficile
ad uno spagnolo o a un francese leggere ed interpretare con facilità degli scritti del 1200.
Solo chi ha studiato la lingua antica può accedere a questo tipo di letture.
La situazione risulta differente in queste due lingue, il francese è certamente la lingua che presenta
lo stacco più forte rispetto al volgare, lo stacco dello spagnolo è meno accentuato, ma egualmente
evidente.
Per il francese può essere un punto di partenza per l’analisi dei cambiamenti tra medioevo e epoca
contemporanea, il dileguo o l’indebolimento di alcune uscite consonantiche: -t; -s; -nt. Dalle
importanti funzioni morfologiche.
-S: dilegua dopo il XIII attraverso una fase in sonorizzazione [z] che lascia le sue tracce nella
liaison, causando la perdita della distinzione tra caso retto ed obliquo (alternanza di uscite in
s e ø). La perdita della –s (nel parlato) creò non pochi disguidi anche nella distinzione tra
singolare e plurale, tranne che nel caso di liaison, e l’opposizione fu recuperata grazie
all’aggiunta di un elemento a sinistra: l’articolo, la cui differenza tra singolare e plurale
rimane evidente dalla pronuncia delle rispettive vocali.