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Professoressa L. Fumagalli
Università degli studi di Bergamo
Corso di cultura del CIS
2022 – 2023
1. Introduzione
Ormai circa ottantacinque milioni di persone hanno come lingua materna l’italiano, ed
è in Italia dove si trova il grosso di parlanti, che ne ammonta a cinquantanove milioni.
Nonostante, questa situazione non è sempre stata allo stesso modo.
La storia della lingua italiana come lingua nazionale non è stata così lunga come in altri
paesi europei come in Spagna oppure Francia, le cui formazioni come Stati nazionali sono
avvenute secoli prima di quella italiana.
2. Il latino volgare
Fino alla sua frantumazione nel V secolo, l’Impero Romano era stato la grande potenza
amministrativa dei territori che conformano ormai la Repubblica italiana; inoltre, questo fu
l’ultimo momento in cui la penisola sarebbe tutta governata da un solo Stato fino
all’Unificazione, nel Ottocento.
I diversi stati che sorsero dopo continuarono ad usare il latino come lingua scritta, che
si mantenne anche come lingua letteraria e colta, usata anche dall’amministrazione.
Questo sistema classico con regole fisse non era, però, condiviso dal volgo, la cui lingua
differiva molto dal latino virgiliano; la progressiva evoluzione del latino volgare non si è
sviluppata in maniera omogenea, cioè, provocò l’apparizione di diverse lingue secondo la
regione: le cosiddette lingue romanze, che si allontanavo sempre di più a quello sistema
originale.
3. Il volgare fiorentino
Fu nel Trecento che il volgare fiorentino trovò il suo spazio nella lingua letteraria. La
scelta di questo volgare non fu casuale, ma fu dovuta a tre fattori principalmente.
Primo, pur essendo tanti volgari diversi, il fiorentino assomigliava abbastanza ancora il
latino classico —considerata come lingua di prestigio—, il che gli permise di diffondersi in
altre regioni ed essere più facilmente assimilato.
Inoltre, la situazione geografica della Toscana, localizzata nel centro della penisola,
favorì che diventasse un importante centro commerciale, economico e culturale, dunque
la lingua poteva giungere con facilità altri Stati italiani.
Nonostante, il fattore più determinante riguardo alla diffusione del volgare fiorentino
viene assegnato da tre scrittori fiorentini: Dante Alighieri (1265-1321), Francesco Petrarca
(1304-1374) e Giovanni Boccaccio (1313-1375). Tutti tre scrissero delle opere in volgare
colto fiorentino, impiegando parole di relativa semplicità oltre ad un uso aperto ai
latinismi. La diffusione delle loro opere nei circoli colti d’allora significò un cambio nel
rapporto tra letteratura e lingua: l’adozione di questo sistema linguistico come lingua
letteraria suscitò che il volgare fiorentino venisse accettato da altri scrittori contemporanei
come lingua di cultura.
Malgrado i dati così poco rincuoranti, in un contesto come quello che affrontava Italia,
con una nuova nazione in sorgimento e senza una lingua comune, l’italiano significò una
soluzione al problema. In 1842, lo scrittore Alessandro Manzoni (1785-1873) pubblica I
promessi sposi, un testo prosaico in italiano che renderebbe la lingua più moderna e
addata ai nuovi tempi. Manzoni sceglie una adattazione del fiorentino moderno, più
semplificata e vicina alla lingua parlata.
Con la fondazione del Regno d’Italia nel 1861, il nuovo Stato ha bisogno di arrivare a
l’unità linguistica, e riesce a farlo traverso diversi fattori.
A causa della Prima Guerra Mondiale, parecchi giovani vengono chiamati a fare parte
dell’esercito nazionale, il che gli costringe ad imparare e capire una stessa lingua; una volta
finita la guerra e con un processo di ricostruzione del Paese in funzione, nelle regioni del
Nord arrivano tanti lavoratori immigrati dal Sud, in cerca di lavoro nella nuova industria
che sta apparendo. Questo spostamento costringe i migranti ad imparare l’italiano affinché
possano farsi capire nella loro nuova vita.
Oltre a questo, non si deve dimenticare il ruolo dell’istruzione nella diffusione della
lingua: l’obbligatorietà dell’educazione elementare fin dal 1859, ampliata poco dopo alla
scuola media nel 1862, facilitò l’acquisizione della lingua dai parlanti più giovani, creando
nuove generazioni parlanti ormai di italiano. A questo si aggiunge il fatto che la burocrazia
e amministrazione richiedeva l’uso della nuova lingua nazionale.
Sebbene tanti siano stati i personaggi che hanno contribuito con le loro vite a rendere
la lingua italiana importante e viva, è grazie ai propri italiani che l’italiano è riuscito a
diventare una lingua nazionale, un mezzo di comunicazione tra genti di tanti posti diversi e
lontani. In circa centocinquanta anni, cioè, tre generazioni, questa lingua, prima parlata da
tanti pochi nobili e circoli colti nei secoli precedenti, serve già come simbolo dell’unità
dell’Italia in tutte le fasce sociali.
A prima vista, sembra che la situazione della Spagna sia stata molto diversa a quella
italiana, ma non è tutto così.
È vero che la Spagna come Stato è molto anteriore all’Italia, ma la situazione con la
lingua assomiglia più di quanto pare: oltre allo spagnolo, ci sono tante lingue diverse in
Spagna —come il catalano, l’euscaro oppure l’asturiano—, che sono sempre state parlate
dalla popolazione, invece dello spagnolo. Solo la popolazione delle regioni centrali e
meridionali parlava dialetti dello spagnolo; nel margine sterno del Paese, invece, quasi ogni
regione aveva il suo proprio romanze e la maggior parte dei parlanti non era in grado di
continuare una conversazione in lingua spagnola
Il cambio, però, è stato molto più traumatico che in Italia. Con l’arrivo della dittatura
negli anni Quaranta, lo spagnolo viene stabilito come unica lingua dell’istruzione e della
vita pubblica e privata. Diventa l’unica lingua de comunicazione valida e giusta e le altre
lingue resultano vietate, dunque il semplice fatto di comunicarsi oppure scrivere in queste
lingue riceveva multe economiche e, ogni tanto, punizioni più forti.