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SERENA CIANFANELLI (MATRICOLA: 0312075) – LICUS

ANALISI COMPONIMENTO POETICO


Dopo aver studiato i materiali proposti nella sezione 1 (Il testo: tipologie e caratteristiche),
scegliete un componimento poetico e provate ad analizzarlo tenendo presenti i cinque livelli
testuali in questo preciso ordine:
1) fonologico;
2) metrico-ritmico;
3) sintattico-retorico;
4) morfologico;
5) semantico.

POESIA “Versicoli quasi ecologici”, Giorgio Caproni

La seguente poesia in analisi “Versicoli quasi ecologici” è tratta dalla raccolta “Res amissa”
(1991) di Giorgio Caproni, opera in cui cerca di indagare il rapporto tra il poeta, le sue creazioni e il
mondo in cui essa trova concretizzazione, un rapporto che il poeta descrive ormai come antitetico e
che propone di risanare attraverso le sue poesie. 
Se ci si pone sulla “soglia” dell’opera, come direbbe Gérard Genette nel suo saggio che
intitola, appunto, “Soglie1”, attraverso l’osservazione di alcuni elementi del cosiddetto «peritesto
architettonico», in questo caso del titolo, “Versicoli quasi ecologici”, è possibile notare già una
certa relazione semantica tra la poesia e la raccolta in cui essa è collocata. La poesia si sofferma
sulla descrizione di un mondo che, come suggerisce il titolo “Cosa perduta”, è ormai privo di
solidarietà sociale e che a causa dell’operato egoistico dell’uomo, volto verso un profitto «vile», ha
perso la sua unità armonica prima con se stesso e poi con il creato, andando a incrinare quel
rapporto di reciproca interdipendenza positiva tra individuo e natura.
Tuttavia, una volta varcata la soglia di quest’opera, dietro una struttura che
potrebbe sembrare apparentemente lineare e denotata da una certa semplicità tematica, sintattica e
lessicale, seguendo la metafora architettonica dell’opera letteraria, la poesia in realtà svela un
disegno poetico ben progettato e organizzato, dove vanno ad intersecarsi una serie di relazioni,
livelli, significanti e significati che meglio verranno analizzati nelle righe a seguire. 
Un primo livello da prendere in esame è quello fonologico. Si può notare che la poesia si
apre con un verso che richiama l’attenzione sull’imperativo «uccidete». Il verbo quadrisillabo ben
visibile, posto in posizione centrale, è caratterizzato da consonanti dure, quali la /c/, occlusiva
velare sorda e la /t/, anch’essa occlusiva sorda, ma dentale. Suoni, dunque, forti, duri, che sembrano
contrapporsi a quelli più dolci che, invece, caratterizzano la parola «libellula», consonanti cioè più
soavi, quali la laterale /l/, la nasale /m/ che suggeriscono un’idea di fluidità, dolcezza e leggerezza,
che però rimangono solo delle aspirazioni, poiché troncate dal verbo della principale «uccidete».
Anche al secondo verso è possibile osservare una certa ripetizione della struttura
precedente dal punto di vista fonetico e fonologico. Il verbo «soffocate», anch’esso quadrisillabo e
in posizione centrale, questa volta vede la ripetizione della fricativa /f/ richiamando un suono
frusciante, tipico dello sbattere delle ali della libellula o del vento prima citati, anch’esso tuttavia
stroncato dall’imperativo negativo in posizione iniziale del verso. Se, invece, ci si sofferma
sull’oggetto dell’imperativo («lamento») e il suo genitivo («lamentino») è possibili notare che
anch’esse sono caratterizzate foneticamente dalle occlusive prima citate /c/ e /t/, che in parte
troncano i fonemi più dolci delle parole «lamento» e «lamentino» quali la /l/ e la /m/, dall’altra
rafforzano quel suono duro e tagliante delle occlusive sorde /c/ e /t/, ponendosi un po’ come una
sintesi fonologica dei suoni del verso precedente.
Si noti poi un’insistenza di nuovo sul fonema /f/ attraverso
un’allitterazione della fricativa /f/ nelle parole «profitto», «fulmina», «fiume», «fatelo», una
frizione attraverso il quale il poeta prova ad invitare l’uomo ad evitare l’uso di una razionalità
principalmente capitalista e sfruttatrice della natura («e chi per profitto vile fulmine un pesce, un
fiume, non fatelo cavaliere del lavoro»). Vi è poi una seconda allitterazione presente nel testo della
vibrante /r/ (cavaliere, lavoro, amore, erba, aria, verde, resta, sospira), in particolare nella
consonanza tra «cavaliere» e «amore» al verso 9-10 che evocano ancora di più una certa durezza
nel suono e una certa urgenza nell’attuare un cambiamento da parte dell’uomo nei confronti della
natura. Vi sono poi delle assonanze tra il
penultimo e ultimo verso in «bella» e «terra» sulle vocali “e” ed “a”, vocali che vorrebbero

1
Gérard Genette, Soglie. I dintorni del testo, Einaudi, Torino 1989. Titolo originale: Seuils, Editions du
Seuils, Paris 1987
richiamare un clima di ampiezza e serenità, che non diventano però possibili a causa dell’operato
egoistico e violento dell’uomo sulla natura.
A livello metrico-ritmico la poesia è costituita da una sola strofa, composta da diciotto versi,
denotati da una certa variabilità metrica (principalmente settenari, ottonari e novenari); i versi
hanno, cioè, una misura variabile e il respiro sintattico non coincide quasi mai con quello metrico a
causa della presenza di diversi enjambement. Il poeta sembra utilizzare e ricorrere a una serie di
strumenti poetici funzionali a sottolineare le azioni violente ed enumerative dell’uomo sulla natura.
Il ritmo, infatti, è spezzato da una struttura che vede relazionare le varie proposizioni
per asindeto - anche se con una particolare insistenza della congiunzione “e” -, inserendo numerosi
segni di punteggiatura, che scandiscono l’enumerazione degli elementi naturali e interrompono i
versi 6 e 11. Un andamento, dunque, altamente frammentato, che il poeta riesce a ricreare grazie al
ricorso frequente della figura retorica dell’enjambement, come ai versi ai versi: 6-7, 9-10, 10-11,
14-15, e del susseguirsi di versi piani e veloci che rendono il ritmo altalenante, quasi tendendo verso
un climax metrico ascendente che però non trova mai il suo picco e, anzi, trova la sua discesa
all’incontro con un verso piano.
Sempre al livello metrico-ritmico si noti, inoltre, come l’autore attraverso la presenza
della sinalefe congiunge i due verbi principali del primo e terzo verso («uccidete» e «soffocate», già
analizzati nella sezione precedente) con l’oggetto diretto a cui essi si riferiscono, sottolineando
ancora di più l’enfasi imperativa dell’autore attraverso il quale cerca di scuotere l’uomo. Il poeta
ricorre nuovamente al ricorso della sinalefe in un importante momento poetico, al penultimo verso,
«potrebbe tornar a esser bella», richiamando ed invocando una bellezza della terra preesistente
all’uomo.
Inoltre, seppur numericamente limitate, sono presenti anche alcune rime baciate tra le
parole vento-lamento, lamantino-pino, foresta-resta (non a caso tutti sostantivi che rimandano alla
sfera semantica naturale o animale, come anche in bella-terra, una delle poche assonanze nel testo).
Al livello sintattico-retorico la poesia è ricca di figure retoriche, sia a livello del significante,
precedentemente analizzate, ma anche a livello del significato.
Innanzitutto, la poesia si apre con un’anafora iniziale («non…non») con cui il poeta
cerca di svegliare la coscienza dell’uomo e non agire contro la natura, che spesso nel testo diviene
protagonista del componimento attraverso la figura retorica della personificazione, come nel caso
dell’«acqua» al verso dodici, che può morire, così come un essere vivente.
Altrettanto importante è la personificazione dell’«amore», concetto intrinsecamente
polisemico e che suggerisce l’unica svolta e soluzione affinché venga ristabilita una relazione
armonica tra uomo e natura. 
Al livello sintattico fondamentali sono l’uso di figure di costruzione, che fanno sì che
la sintassi non sempre segua la classica costruzione soggetto-verbo-complemento. 
In particolare, si noti la figura dello zeugma al primo e secondo verso («non uccidete la
libellula e il mare»); l’anastrofe al verso cinque, attraverso la quale vi è l’anticipazione in questo
caso degli elementi di cui dovrebbe essere anche composto l’uomo («il galeone e il pino»), inoltre
utilizzando una sineddoche per indicare in senso più esteso il concetto di natura e del regno
animale.  Al verso 11-12 vi è poi un chiasmo («finisce l’erba e l’acqua muore») che vede
alternare prima il verbo all’oggetto e l’oggetto al verbo poi.
Infine, all’ultimo verso, si vede la poesia concludersi con un’altra importante
anastrofe della parola «terra» isolandola e dunque evidenziandola.
Fondamentali anche i vari enjambement prima citati che rendono l’andamento
della poesia non sempre lineare, il cui uso, infatti, è sistematico, sul modello leopardiano
(“cavaliere/del lavoro”, “l’amore/finisce”, “dove/sparendo”, “vasto/paese”).

Al livello morfologico è possibile evidenziare un uso particolare nella scelta dei verbi e dei
tempi e modi verbali.
Attraverso l’uso di tre imperativi negativi espressi nei versi 1, 3 e 8, la poesia si delinea
come un’invocazione, una richiesta urgente, i cui destinatari, se pur non esplicitati, sono tutti gli
uomini. Se, come detto, il soggetto è l’uomo, che viene sottinteso e richiamato prima in modo
implicito (al massimo espresso attraverso al pronome relativo «chi», che si ripete nel testo) poi ben
esplicitato nel verso 7, posto ad inizio verso grazie al ricorso dell’enjambement («anche di questo è
fatto l’uomo»), ben chiaro e coinciso è invece espresso il messaggio: «Non uccidete», «Non
soffocate», «non fatelo», verbi che ben descrivono l’attacco e l’aggressione dell’uomo sulla natura.
Anche l’uso dei sostantivi in questo caso è particolare e non trascurato, nonché oggetti diretti dei
verbi prima citati: il primo e il terzo, in particolare, sono legati a più complementi oggetto attraverso
la figura retorica dello zeugma: l’uomo è richiamato a non uccidere «la libellula», ma anche «il
mare». Se quindi non sembra sussistere una vera continuità dal
punto di vista sintattico tra il verbo «Non uccidete» e i suoi oggetti «il mare» e «la libellula»,
tuttavia essa sembra ripristinarsi grazie alle analogie semantiche fra i complementi oggetto:
libellula-vento, pesce-fiume, creando così un collegamento tra i sostantivi indicanti animali e il loro
habitat naturale. Inoltre, continuando ad osservare i tempi verbali
della poesia, è possibile notare come si passi dal modo imperativo a quello indicativo presente,
delineando così una bipartizione interna dell’opera che vede il passaggio dal modo dell’esortazione
a quello della constatazione, adatto e funzionale allo scopo del poeta: denunciare e avvertire l’uomo
su una situazione precaria e allarmante che riguarda il presente. In particolare, col gerundio
«sparendo» al verso 13 (che avrebbe potuto consuetamente sostituire con un presente indicativo), il
poeta sottolinea come le azioni violente dell’uomo stiano ricadendo sulla natura nel tempo stesso
dell’enunciazione poetica. La foresta non sparisce, ma sta sparendo. Ecco motivata ulteriormente la
scelta di imperativi negativi così incisivi, utili proprio ad un’interruzione repentina di un’azione non
che si compie, ma che si sta compiendo. Tuttavia, l’unico verbo che non è né al
presente indicativo, né all’imperativo, è il verbo potere al penultimo verso, posto forse
appositamente al condizionale («come potrebbe tornare a esser bella la natura»), lasciando una
possibilità al lettore di poter cambiare la situazione attuale che se pur tragica e desolante, riesce a
donarle una nota di positività e speranza, suggerita ulteriormente dall’unico aggettivo qualificativo
di senso positivo nel testo («bella», riferendosi alla terra), a discapito degli altri due che invece si
riferiscono all’uomo, in più particolare al frutto della sua politica economica, il profitto, descritto
come «vile» e al Paese da esso abitato, «guasto». Per capire a pieno, invece, l’uso
dei sostantivi della poesia è opportuno analizzarli insieme al livello semantico a cui
necessariamente essi rimandano. Come già anticipato, la sfera semantica dell’azione aggressiva
dell’uomo sulla natura - e le conseguenze su di essa - è ben espressa dal poeta attraverso diversi
verbi come «non uccidete», «non soffocate», «non fatelo», «fulmina», «muore»), un’aggressività
tale che «chi resta» non può far altro che «sospirare» (e non respirare), poiché le sue azioni hanno
contaminato anche quella che l’autore determina come «aria verde», evocando un’immagine di una
certa vivacità che prima della sua contaminazione persisteva. Anche a livello
semantico e contenutistico si ripete quella bipartizione prima vista che vedeva cambiare il tono
esortativo da quello enunciativo. Se la prima parte della poesia, che è possibile identificare con i
versi 1-10 la cui delimitazione diviene anche alquanto visibile grazie al segno di interpunzione del
punto, assolve un compito quasi educativo nei confronti dell’uomo, che ammonisce ed esorta a non
recare danno alla natura, nella seconda l’autore si sofferma su quegli elementi naturali
indispensabili per l’uomo stesso («l’amore finisce dove finisce l’erba»), come per introdurre in
questa seconda parte le conseguenze degli atti violenti enunciati nella prima, una sorta di condanna
per chi non rispetta il mondo in cui vive e allo stesso tempo, però, proponendo una possibile
soluzione che presenta negli ultimi versi.
Si noti inoltre la scelta di inserire nomi di animali poco conosciuti in un testo
il cui lessico non si presenta specificamente aulico o ricercato, come il lamantino (il cui lamento è
posto in antitesi con quello che originariamente era il «canto!» dell’animale, richiamando così
metaforicamente una natura lamentosa, che soffre, che ha perso il suo canto e sul quale ha prevalso
un evitabile lamento doloroso) o il galagone, conferendo così una specificità lessicale forse volta a
non trascurare neanche il particolare di una natura abusata da una scontata e vile generalità delle
azioni dell’uomo.

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