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Dopo la stesura dell’ultimo romanzo, Il piacere, d’Annunzio passa prima ad una analisi approfondita della
narrativa europea, in modo particolare quella russa, e poi si avvicina ala pensiero nietzschiano. Friedrich
Nietzsche vi era stato uno dei più grandi filosofi della fine dell’Ottocento e aveva sviluppato alla luce del
suo trattato “parlò Zarathustra” la propria teoria del Superuomo. La sintesi del superuomo dannunziano, che
ha ovviamente differenze rispetto a quello nietzschiano, lo si ritrova soprattutto nel romanzo de “Le vergini
delle rocce”: d’Annunzio affronta la teoria del Superuomo ne fa una struttura sulla scorta dei suoi romanzi.
Sulla scorta dell’impulso del mito del superuomo nasceva il progetto delle Laudi, un progetto complesso di
cui la parte che contiene la qualità poetica maggiore è la sezione dell’Alcyone, si tratta di liriche scritte
principalmente nell’estate 1902 che egli trascorre in Versilia, non a caso la “Pioggia nel pineto” è proprio
ambientata nella pineta marina versiliana. Questo progetto poetico si può dire che va ad allentare le
tensioni eroiche e superonistiche contenute nelle opere precedenti; è un’estate quella del 1902 nella quale
d’Annunzio sente di avere degli slanci vitali verso la natura e nel rapporto tra natura e uomo ed è qui che si
sviluppa un’altra teoria che è quella panica o del panismo che è presente principalmente in “La pioggia nel
pineto” ma che si mostra anche all’interno de “La sera fiesolana”. La teoria panica è una teoria per la quale
l’uomo ha un processo di identificazione con la natura che diviene progressivamente un processo di fusione
con gli elementi della natura, e questa fusione porta l’uomo a recuperare una serie di energie profonde che lo
aiutano ad acquisire nella teoria dannunziana una sua consapevolezza di vita e di obiettivi.
G. d’Annunzio, Alcyone
La sera fiesolana
Composizione: 1899 Composta nel giugno 1899, la sera fiesolana (nella prima
Pubblicazione: 1899, 1903 sezione di alcione) si spira all’impressione di una gita ad
Metro: tre strofe di quattordici versi liberi, Assisi con Eleonora Duse (forse la donna cui il poeta si
con varietà di rime e di assonanze. A riferisce nel componimento), nel settembre 1897, come si
ciascuna strofa segue una ripresa di tre versi ricava da alcuni appunti dell’autore. Le suggestioni del
in cui il primo (endecasillabo) rima sempre paesaggio umbro sono trasferite nello sfondo naturale della
con l’ultimo (quinario) della strofa che collina di Fiesole, a Firenze. Nella prima stampa in “nuova
precede antologia”, del 16 novembre 1899, la poesia porta tre
Argomento: le impressioni del poeta sottotitoli, uno per ogni strofa: La natività della luna, La
nell’ora della sera, a Fiesole pioggia di giugno, Le colline.
A Fiesole, sulle colline fiorentine in compagnia della donna amata, il poeta contempla l’ora del crepuscolo
in una sera di giugno dopo la pioggia. Egli spera che le sue parole le giungano “fresche”, mentre la luna
sorge spandendo il suo chiarore sulle colline. La sera che sta arrivando (“lodata“ nel corso delle tre riprese) è
una donna dagli occhi grandi e umidi e dalle vesti profumate. Il poeta offre le proprie parole alla donna, che
le siano dolci come la pioggia in una sera di prima estate, e promette di svelarle i “reami d’amor” a cui essi
sono chiamati, così come i “segreti“ che le colline sembrano aver voglia di svelare.
La lirica è costituita da tre strofe di quattordici versi e ogni strofa è seguita da una piccola strofa di tre versi
che se si ragiona in un’ottica di lirica religiosa del Duecento si dovrebbe dire che si tratta di laudi composte
da tre versi: un endecasillabo, un verso ipermetro, un quinario.
D’Annunzio si trova in Toscana, in prossimità di Firenze, sulla collina Fiesolana nella sua villa nel 1899 e si
lascia ispirare da un tramonto, da un imbrunire, laddove si possono cogliere, in una primavera inoltrata, tutti
gli elementi propri della natura e anche la pioggia; già qui si mostra l’aspetto panico che emerge proprio
nelle laudi e che rappresenta un omaggio alla poesia religiosa duecentesca in modo particolare quella di
Francesco d’Assisi quella del “Cantico delle creature” (“Laudata sii”, l’attacco è identico ma con contenuto
diverso).
La lirica va innanzitutto inquadrata sul fatto che questa lirica per la giusta apposizione delle parole, per l’uso
della metrica, ricostruisce atmosfere, sensazioni, visioni.
Si è in prossimità del passaggio tra la primavera e il solstizio estivo e questo paesaggio in cui le luci del
giorno cominciano a fumare e diventando dominanti le ombre della sera con tutto ciò che la sera dal punto di
vita climatico e meteorologico porta con sé, è frutto di ispirazione per il poeta. In questa lirica a differenza
de “La pioggia nel pineto” la presenza della donna amata, Eleonora Duse, c’è ma è una presenza implicita
che va ricavata, e anche qui c’è un processo panico cioè di trasformazione dell’uomo in elementi, in fibre
della natura (v.32 “Laudata sii per le tue vesti aulenti”).
Le immagini costruite sin dalla prima strofa sono immagini lineari e semplici, il linguaggio dei versi è una
vera e propria descrizione, si evocano atmosfere naturali, visioni magiche; e la caratteristica fondamentale
della sua poesia, i suoni e i colori dati dalle scelte lessicali (“fruscio”, “ bruiva”, “pallidi climi”), c’è una
sapienza musicale che va oltre ogni possibile immaginazione: consapevolezza non però casuale, egli spesso
si confrontava infatti con un suo grande amico, musicista francese Claude Debussy, al quale chiedeva anche
pareri relativamente a scelte musicali che egli intendeva realizzare attraverso la composizione poetica. La
timbrica ricercata fa si che si creino atmosfere.
Sottigliezza da cogliere: lo spirito panico ha in sé caratteristiche sensuali, in questo caso proprio per
l’omaggio a San Francesco e alle laudi del Duecento lo spirito panico in questa lirica si spiritualizza, diviene
lo spirito magico una sintonia tra l’uomo con la sua interiorità e la natura. Lo spirito panico non si
determina sul piano fisico della sensualità ma sul piano prettamente spirituale che pone in relazione
l’io del poeta con gli elementi della natura che lo circondano. (Introduzione alla spiegazione della lirica:
“questa lirica è testimonianza dello spirito panico dell’autore però in essa è evidente una differenza con “La
pioggia nel pineto”).
Scelte lessicali: questa lirica è una celebrazione della parola poetica in un’ottica molto vicina al Simbolismo
francese, esempio è l’influenza sulle scelte musicali da parte di Debussy e una serie di suggestioni
simboliche afferenti al Simbolismo che interessavano poeticamente d’Annunzio, e lo sarà ancor di più la
raccolta in prosa del Notturno dove alla capacità linguistica si associa addirittura una maggiore spontaneità
del poeta su un piano di esplicitazione dei contenuti, dei sentimenti personali, qui si riscontra quel clima
proprio del Simbolismo alla luce della parola però bisogna anche tenere considerazione che la grandezza
poetica di d’Annunzio ha in sé aspetti molto costruiti, probabilmente dato dalla ricerca della perfezione
nell’uso della parola poetica: contestazione al poeta ritenuto sorvegliato e costruito nelle sue perfezioni
poetiche, non spontaneo.
Trionfo della parola poetica alla luce di una vicinanza al simbolismo francese: le prime due
strofe si presentano come delle lunghe similitudini v.1 “Fresche le mie parole”, v.18 “Dolci le mie
parole”, vi è anche nella terza strofa l’inizio di una similitudine v.35 “Io ti dirò” rivolto alla propria
donna, il poeta diventa addirittura parte di questo segreto della natura: già questi tre elementi sono
dei marcatori del processo di trasformazione panica del poeta e di riflesso anche della propria donna.
Impianto sintattico: i periodi sono coincidenti con le strofe e la sintassi è piana cioè improntata più sulla
coordinazione che alla subordinazione e anche la punteggiatura è ridotta al minimo, in questo modo egli
poteva creare equilibrio e ritmo tra le strofe e quindi effetti sonori molto più riscontrabili.
G. d’Annunzio, Alcyone
Anno: 1903 Esplosa ormai in tutto il suo fulgore l’estate, il poeta si trova sul litorale della
Metro: quattro lasse Versilia in compagnia di una donna di nome Ermione. I due passeggiano nella
(o strofe lunghe) di 32 pineta, sotto la pioggia estiva e, immersi nel silenzio rotto dal rumore della
versi ciascuna, di pioggia, si sentono parte integrante della natura.
varia misura
Argomento: la
passeggiata in una
pineta della Versilia,
sotto la pioggia
In una calda giornata d’estate, al limitare d’una pineta, il poeta e la sua compagna Ermione, sono sorpresi da
una pioggia improvvisa. Il poeta invita Ermione a tacere e ad ascoltare il canto delle cicale e delle rane, che
accompagnano il suono di un’invisibile orchestra, generata dal cadere delle gocce sul fogliame fitto del
bosco. I due amanti, stretti tra loro e nell’abbraccio potente con la natura, perdono i connotati umani e si
trasformano, estasiati, in creature arboree, silvane. La pioggia continua a cadere, e mentre le cicale smettono
di cantare resta solo il gracidare di una rana a far loro compagnia. E la pioggia bagna i due amanti come
bagna tutta la pineta, di cui ormai essi fanno parte; il poeta ed Ermione corrono tra le fratte, liberi, sotto la
pioggia che bagna anche il loro amore, che è una favola, un’illusione destinata a svanire.
I motivi fondamentali
La lirica, tra le più celebri dell’Alcyone, fa parte della seconda sezione della raccolta e presenta tre motivi
che spiccano su altri: la caduta della pioggia e gli effetti musicali che essa genera sulla fitta vegetazione
della pineta; l’eccitante metamorfosi panica che la pioggia produce sulle due figure umane; l’atmosfera
favolosa del sogno o illusione d’amore, cui si abbandonano il poeta e la sua donna.
La metamorfosi panica
In questo crescendo giunge all'apice il processo di metamorfosi panica (quarta strofa, vv. 97-128): la donna,
trasfigurata, piange di piacere, in una sorta di ebbrezza dionisiaca. Pare uscita dalla scorza degli alberi
come una ninfa (allusione al mito di Dafne), fresca e profumata, simile ai frutti («pèsca», v. 104;
«mandorle») o all'acqua sorgiva dei prati («polle», v.107). I due amanti si perdono nel bosco, senza meta
(«chi sa dove, chi sa dove!», V. 115).
La metrica
Il testo comprende quattro strofe lunghe di 32 versi ciascuna. Varia la misura dei versi, ma il ritmo è
scandito dal ternario, che si raddoppia nel senario e si triplica nel novenario . Molte le assonanze e le rime.
Ogni lassa termina con il nome della compagna del poeta, chiamata con l'appellativo (Ermione) di una
mitica figlia di Elena e Menelao; nella realtà biografica si tratta dell'attrice Eleonora Duse.
Lessico e stile
I nuclei tematici sono sviluppati da una sintassi agile e sciolta, con periodi avvolgenti. Il lessico s’intarsia di
termini aulici («fulgenti», «aulenti», «silvani»), scelti in funzione fonosimbolica e fonicoritmica, accentuata
dalle figure di suono (allitterazioni, onomatopee, iterazioni, paronomasie), mentre l’andamento generale
della lirica di conclude circolarmente, con la ripetizione dei vv. 20-32.
La lirica si concentra sulla “metamorfosi dell’umano in vegetale” una passeggiata che diviene una vera e
propria trasformazione. La vera e reale protagonista di questa esperienza è la pioggia perché la
trasformazione dei due esseri umani nella natura vegetale ha quale innesco la pioggia e la tensione che essa
crea.
Il metro e gli effetti metrici sono tutti improntati a una realizzazione musicale, la stessa liberale misura dei
versi paradossalmente non sottrae un ritmo costante alla lirica, nonostante i versi siano di diversa lunghezza
non si notano strappi, c’è una costruzione sintattica e metrica tale per cui questa differenza non si riscontra.
Se il lessico dannunziano è particolarmente ricercato (“aulenti”, “auliscono”, “aulente”, “fulgente”,
“cinerino”, “stromenti”, “spirto”, “ebro”; termini di registro linguistico elevato), la sintassi è ridotta a pochi
schemi elementari, prevale la paratassi cioè la coordinazione, queste serie parallele di frasi che spesso sono
anche costudite sulla figura retorica dell’anafora cioè sulla ripetizione della stessa parola, questo aspetto crea
effetti ritmici e musicali unici.
Anche qui vi sono rimandi alle composizioni poetiche simboliste francesi che erano il modello di
riferimento della poesia europea; c’è da dire che però a che d’Annunzio non ripropone la profondità della
poesia simbolista, egli rimane alla luce del Panismo legato più agli effetti del suono della natura ma non è
interessato a ciò che ha dietro di sé la natura che diviene più un aspetto esistenziale e concettuale: subentra
qui il limite della poesia dannunziana anche alla luce della contestazione al poeta ritenuto sorvegliato e
costruito nelle sue perfezioni poetiche, non spontaneo e che quindi fa perdere quel valore aggiunto, valore
aggiunto che è invece nella spontaneità che parte però da una visione esistenziale diversa come quella ad
esempio di Baudelaire e dei poeti maledetti, fermi su alcuni principi poetici che li vedono in
contrapposizione con la cultura borghese, d’Annunzio non è in contrapposizione con la cultura borghese per
questo bisogna sempre rifarsi all’Estetismo e al Superonismo e al concetto di poeta vate: in un’ottica di
Estetismo d’Annunzio riteneva che il poeta dovesse essere trasgressivo, ma quella trasgressione non era fine
a sé stessa ma era una forma di vita che diventava arte e in quanto tale dovesse essere presa quale modello di
riferimento dalla società borghese. Per questo la critica ritiene che il Notturno sia l’opera più spontanea, più
vicina alla realtà francese, perché è un’opera scritta nel momento in cui d’Annunzio era infermo a Venezia
dopo un incidente aereo nel quale perse un occhio, nel momento in cui era fragile emerge la profondità
dell’uomo in quella raccolta che non è poesia ma prosa.