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Flavio bizzarri,5H

RIASSUNTO ITALIANO DA PAGINA 302-309

I LIMONI
I limoni, facente parte della raccolta ossi di seppia, è un componimento risalente al 1921 1922 composto da
versi liberi con prevalenza di endecasillabi. Le cinque strofe di cui è composta la poesia non rispettano, dun-
que, un preciso schema metrico e ritmico: il numero di versi varia in base alla strofa e troviamo la presenza
di diverse assonanze e consonanze. Il poeta apre la lirica con un importante dichiarazione di poetica (!ascol-
tami”), un'invocazione che polemicamente si rifà a D'Annunzio; Risulta chiara, infatti, l'allusione alla !Piog-
gia nel pineto” che inizia con «Taci». Il testo rappresenta un rifiuto di una versificazione aulica e sublime,
quale quella ufficiale e tradizionale propria dei poeti laureati e per spiegare la propria diversità, egli confron-
ta il paesaggio da lui prediletto con quello dei poeti laureati. Mentre costoro preferiscono piante dai nomi
ricercati, a Montale piace parlare di alberi comuni, come i limoni, reperibili in ambienti quotidiani, paesaggi
poveri e scabri costituiti da erbosi fossi, pozzanghere mezze seccate, viuzze che seguono i ciglioni ed orti. I
limoni rappresentano una pianta che è in grado di far interagire tutti i sensi e quindi un qualcosa che permette
una conoscenza quasi miracolosa della realtà; Nel suddetto componimento i limoni sono emblema di una
realtà nuda e aspra ma intensamente viva. Nella natura tranquilla descritta dal poeta in cui per l’appunto
permane l"odore dei limoni, il soggetto vive un momento privilegiato dell"esistenza in cui sembra potersi ve-
rificare un"epifania, un"apparizione, un"esperienza che strappi dall"insignificanza della realtà quotidiana, che
offre la possibilità di spezzare il determinismo delle leggi e che riveli “un segreto”, “il punto morto del mon-
do”, “l"anello che non tiene”. Il miracolo atteso di una rivelazione del segreto ultimo delle cose in realtà non
si verifica; l"avversativa del verso 37 infatti segna il concludersi di ogni prospettiva di speranza (!ma l"illu-
sione manca!). La perdita di speranza del poeta coincide con il mutare del paesaggio: alla campagna immersa
nella calura estiva si sovrappone il tempo nelle città rumorose dove la natura è scomparsa ed anche l’azzurro
si mostra soltanto a pezzi. In questo contesto la scoperta dei ”gialli dei limoni” che si intravedono all"interno
di un cortile rappresenta una consolazione e riporta il calore della vita e la felicità di una rinata illusione. Il
finale del componimento lascia aperta una prospettiva di speranza che consiste unicamente, in Montale, in un
elemento povero e comune: i limoni.

NON CHIEDERCI LA PAROLA.


!Non chiederci la parola! è una poesia datata 10 luglio 1923 ed è collocata in apertura alla sezione intitolata
Ossi di seppia che fornisce il titolo all"intera raccolta. Il componimento è costituito da tre quartine formate a
loro volta da versi di varia lunghezza con rime ABBA, CDDC, EFEF. Nella prima strofa Montale si rivolge
direttamente ad un ipotetico interlocutore che si identifica con il lettore dei suoi versi e facendo uso di una
prima persona plurale con cui coinvolge anche altri poeti oltre se stesso, Montale invita a non chiedere cer-
tezze che la poesia non può fornire. Nella prima quartina, infatti, si afferma in un certo senso che la poesia
non è in grado di portare ordine nel caos interiore dell"uomo, né di definire ed esprimere con precisione im-
pulsi e sentimenti confusi e contraddittori; tale concetto è reso dall"immagine di “un animo informe” che non
può essere “squadrato”. Il poeta, dunque, sottolinea l"insufficienza della parola come strumento conoscitivo:
la parola poetica dovrebbe dare senso, valore, pienezza la vita ma il poeta afferma desolatamente che essa
non è più in grado di svolgere questo compito. Gli stessi poeti non hanno più lo sguardo da veggente da loro
posseduto in passato e sono smarriti come tutti gli uomini comuni. A questo proposito nella quartina centrale
con un tono a tratti rammaricato il poeta con un’apostrofe prende atto dell"esistenza di uomini fiduciosi nella
vita, che non si preoccupano dei dubbi esistenziali e non sono consapevoli della precarietà del vivere, per cui
fanno sfoggio della loro apparente sicurezza a differenza del poeta e dei suoi lettori (!All"uomo che se ne va
sicuro, e l"ombra sua non cura!; L"ombra è simbolo degli aspetti negativi dell"esistenza, dell’indecifrabilità
della realtà esterna). Nella terza ed ultima strofa servendosi nuovamente di un plurale maiestatis esprime con
estrema lucidità la condizione di un"esistenza priva di certezze conoscitive e di valori alternativi, affermando
!non domandarci la formula che mondi possa aprirti!. La poesia, per Montale, ha il compito di esplorare il
male di vivere dell"uomo novecentesco e di cercare di spiegare la sofferenza provata dall"uomo, ma la man-
canza di certezze portano ad un"unica certezza, in negativo: !ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” (v.
12). Da questa sfiducia nella possibilità della poesia si può misurare la distanza di Montale da D"Annunzio
che proclamava “il verso è tutto” e da Pascoli convinto che la poesia ci trasporta nell"abisso della verità. Oc-

corre tener conto del momento storico e politico in cui si colloca il testo, quello caratterizzato dall’affermarsi
della dittatura fascista che genera negli intellettuali formatisi nella cultura liberale un senso di impotenza; Ne
possiamo dedurre che Non chiederci la parola è un vero e proprio manifesto poetico perché esprime la crisi
spirituale di Montale e di un"intera generazione d"intellettuali che, negli anni in cui si afferma il Fascismo,
rifiuta di compromettersi con il regime.

MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO.


!Meriggiare pallido e assorto!, tratto da Ossi di seppia, è una poesia risalente al 1916; È, dunque, la più anti-
ca della raccolta. Il componimento è costituito da tre quartine e una strofa di cinque versi che comprendono
novenari, decasillabi ed endecasillabi. La prima strofa presenta rime baciate (AABB), la seconda alternata
(CDCD), la terza ancora baciate (EEFF), nella quarta compaiono consonanze. Il poeta, di fronte al meriggio
non prova alcuna serenità, ma solo inquietudine. La sua condizione è quella di prigionia, solitudine e abban-
dono, da cui è impossibile liberarsi. Tale condizione è resa dall’immagine di un paesaggio arido e scambio
(“rovente muro,”, “pruni”, “sterpi”, crepe del suolo”, “calvi picchi”, “sole che abbaglia”). Il componimento è
caratterizzato da un uso insistito dell"infinito (meriggiare, ascoltare, osservare, etc.). Questa continuità viene
spezzata solo da un gerundio al verso 13. Un"altra caratteristica evidente della poesia è la sua ricercatezza
fonica: all’interno del componimento sono moltissime le allitterazioni (in particolare, gli scontri consonantici
con s, r, t, ch), le assonanze (es. merli-serpi), le consonanze che chiudono tutti i versi della quinta strofa e le
onomatopee presenti ai vv. 4 o 11 (schiocchi, frusci, scricchi).

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