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ANALISI – L’ASSIUOLO (Giovanni Pascoli)

La poesia L’assiuolo viene pubblicata da Giovanni Pascoli nel 1897 sulla rivista «Marzocco» e,
successivamente, inclusa nella quarta edizione di Myricae, nella sezione In campagna. L’intera
raccolta deve il titolo ad un verso delle Bucoliche del poeta latino Virgilio: «iuvant arbusta
humilesque myricae.», ossia, «piacciono gli alberi e le umili tamerici». Con questo titolo Pascoli
vuole introdurci subito al tono semplice delle sue liriche, alla quotidianità dei temi in esse
affrontate. In Myricae viene raccontata la vita agreste in tutte le sue sfaccettature, ma dietro ad
ogni figura bucolica ritroviamo le inquietudini del poeta, il senso di precarietà dell’esistenza e il
dramma della morte. Ci troviamo in un paesaggio notturno, silenzioso, illuminato dal chiarore di
un’invisibile luna, in prossimità del mare e nell’imminenza di un temporale. Qui il poeta percepisce
leggeri rumori e misteriosi suoni naturali, in particolare è colpito dal verso di un assiolo, che
risuona nell’aria come un singhiozzo, visto come un messaggio di morte. L’assiuolo, che dà il titolo
alla lirica, è un piccolo rapace notturno, simile al gufo e alla civetta, che emette un grido (chiù) che,
nella tradizione popolare, viene associato alla tristezza e alla morte. Il suo verso lugubre, in forma
onomatopeica, scandisce la poesia e si carica di significati simbolici. Adottando il fonosimbolismo,
il poeta dissolve i contorni del quadro, sfuma gli oggetti e suggerisce dietro di essi il movimento di
presenze inquietanti. Quindi La lirica è caratterizzata dal fonosimbolismo: un procedimento
linguistico tipico in Pascoli, il quale ricerca gli effetti sonori nelle parole per trasmettere dei
significati ulteriori. Colpisce, in particolare, il ricorso alle onomatopee che, in questa lirica,
acquistano una rilevanza particolare. L’onomatopea con la quale si concludono tutte le strofe
(chiù) altro non è che il fonosimbolo della morte: rappresenta il suono attraverso il quale i morti
comunicano coi vivi. Seguendo il richiamo del chiù l’io del poeta riesce a comunicare coi morti. Gli
uccelli notturni fungono da intermediari fra il mondo dei vivi e quello dei morti. Altre sono
onomatopee molto importanti nella lirica come tintinni che richiama il «tintinnio segreto» di cui
Pascoli parla nel Fanciullino, l’articolo da lui pubblicato a puntate sul «Marzocco» nel 1897, che
rappresenta una sorta di dichiarazione della sua poetica. Per Pascoli il fine ultimo di far poesia è:
«esorcizzare la morte, tenere a bada l’angoscia esistenziale, attraverso la parola». Il poeta non è
che un fanciullo che riesce ancora a guardare tutto con stupore, arrivando a capire il mistero
dell’esistenza esplorando il mondo con sguardo incantato. Le tre strofe della poesia manifestano
un crescendo di pathos e partono tutte presentandoci immagini di luce (il chiarore della luna, il
luccichio delle stelle, gli alberi lucenti per il riflesso della luna) e si concludono con immagini di
segno opposto. La prima strofa inizia con una domanda («Dov’era la luna?»). Siamo nel momento
che precede l’alba e già inizia a diffondersi il lamento dell’assiuolo che, gradualmente, diviene un
singhiozzo premonitore di morte e arriva a trasformarsi, nella terza ed ultima strofa, in un pianto
desolato, di morte, capace di angosciare il poeta, il quale è solo col suo dolore. È come se
l’assiuolo fosse il poeta stesso. Anche Nella terza strofa, come nella prima, il poeta ci pone di
fronte ad un interrogativo invitandoci a riflettere sulla possibilità che le porte della morte
rimangano chiuse per sempre, non permettendo la resurrezione e il ritorno dei propri cari defunti
ed anche impedendo la possibilità di svelare il mistero della vita che l’apertura di queste avrebbe
potuto dischiudere. In questa strofa il poeta manifesta tutta la sua angoscia: i suoni del rapace
notturno hanno riportato alla sua mente il dolore per la perdita dei suoi cari e gli hanno permesso
di acquisire la consapevolezza che la morte incombe anche su di lui. Questa opera la si può
confrontare con la poesia X Novembre. L'Assiuolo è un componimento che descrive un paesaggio
notturno, mosso da piccoli suoni come il cinguettio dell'assiuolo, a cui è dedicato il titolo, e lievi
movimenti come il leggero vento sulla cima delle montagne. Novembre rappresenta invece un
paesaggio quasi invernale, congelato in un'immobilità lugubre e tetra. I due paesaggi presentano
delle somiglianze, in particolare la presenza di alberi che, con le loro forme antropomorfe (simili
ad esseri umani) sono lo specchio dei sentimenti del poeta. Il mandorlo e il melo dell'assiuolo
sbirciano il cielo chiaro tentando di distendersi per vedere meglio, come il poeta che osserva
curioso. In Novembre invece il pruno e le piante in genere sono rinsecchite. Anche i rumori che
riempiono il quadro sono diversi. Nel secondo componimento si presenta un silenzio innaturale,
interrotto da lievissimi sussurri, come quello delle foglie che cadono e dal tonfo cavo del piede che
batte la terra. In entrambi i componimenti il co-protagonista è il cielo, che viene definito
solamente "vuoto" in Novembre volto a sottolineare l'aria di morte, sconforto, sconfitta; invece
nell'assiuolo la sua presenza è più ampia e articolata: una leggera nebbia impedisce di vedere la
luna, rendendo il cielo chiaro e uniforme, al punto da incuriosire gli alberi e il poeta che si tendono
per sbirciare. Inoltre questo chiarore è solo momentaneo perchè in lontananza lampi
preannunciano un temporale in arrivo. Da questa breve analisi emerge che il componimento
"Novembre" mostra fin dai primi versi un'atmosfera scura e negativa, mentre L'assiuolo, che nelle
prime due strofe pare lasciare adito a un'interpretazione silenziosa e pacifica, arriva a toni funebri
solo negli ultimi versi, in cui il chiu dell'uccellino viene chiuso con il termine "morte". Dal punto di
vista formale L'assiuolo si affida molto di più a un linguaggio onomatopeico e in parte discorsivo,
mentre Novembre è più conciso e frammentato da figure metaforiche.

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