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PERCORSO 3 Genere

Il poema
epico-cavalleresco

1. I cantari cavallereschi
UN GENERE DESTINATO A UN PUBBLICO POPOLARE
La persistenza Se i valori politico-religiosi dell’epica delle origini, espressi ad esempio nella Chanson
dei temi legati al ciclo de Roland, avevano già perso la loro efficacia nel passaggio dall’età feudale a quella
carolingio e bretone
comunale, il racconto delle avventure di cavalieri e paladini continuava a godere di una
grande fortuna presso gli ambienti popolari e incolti attraverso la recitazione dei can-
tari cavallereschi. Sono componimenti narrativi in versi (la versificazione prediletta è
basata sull’ottava, strofa di otto versi endecasillabi con rime ABABABCC), che trattano
la materia cavalleresca carolingia o bretone. Tali componimenti vengono recitati nelle
piazze da giullari, o da canterini girovaghi, e sono destinati a soddisfare le richieste di un
L’avventura pubblico ingenuo, avido di divertimento fantastico. In essi scompare l’austera solennità
e il meraviglioso epica dell’antica materia carolingia e si fa strada il gusto per la pura avventura fine a se
stessa, per il meraviglioso e l’esotico. Si assiste insomma ad una fusione tra personaggi
del ciclo carolingio (Carlo Magno, Orlando, Rinaldo, Gano di Maganza) e l’atmosfera
tipica del ciclo bretone (una fusione che era già in germe nella letteratura franco-veneta
I motivi dell’amore e nei romanzi in prosa di Andrea da Barberino). Vi acquista rilievo il motivo dell’amore,
e del comico ignoto alla primitiva epica carolingia, ma compare anche il comico: il giullare si prende
tanta familiarità con gli eroi della tradizione che finisce per trasformarli in chiave buf-
fonesca. Dovendo compiacere ed avvincere un pubblico non colto, gli autori ricorrono a
meccanismi narrativi elementari, basati su una serie ripetitiva e potenzialmente infinita
di avventure, su effetti di sorpresa, su iperboli straordinarie, intese a sbalordire e meravi-
gliare, specie negli scontri e nei duelli. Anche la metrica e lo stile sono rozzi e irregolari.

LE OPERE PRINCIPALI E LA LORO INFLUENZA SUI POETI SUCCESSIVI


Di questa produzione si possono citare la Spagna in rima, che comprende tutta la
materia inerente alla spedizione di Carlo Magno in Spagna, con la morte di Orlando a
Roncisvalle; il Rinaldo da Montalbano, dove il famoso eroe, ingiustamente perseguitato
dal re, e ridotto alla fame, assume le sembianze del ladrone di strada; l’Orlando, che
Pulci prenderà come base per il Morgante.
La ripresa nell’ambito Infatti la materia dei cantari sarà tenuta presente dai successivi poeti colti, Pulci, Bo-
della cultura di corte iardo e Ariosto, che riprenderanno quelle vicende dando ad esse una veste letteraria ed
indirizzandole ad un pubblico del tutto diverso, cortigiano e comunque di condizione

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elevata. Non solo, ma spesso tali poeti, oltre a far propri personaggi, vicende, episodi
interi, si compiacciono anche di riprodurre certe movenze narrative, il dialogo con gli
ascoltatori, il riferimento a fonti fantasiose come il «libro di Turpino», il gusto delle
Il dialogo tra autore iperboli nelle battaglie e nei duelli. Si instaura così un gioco di ammicchi tra il poeta
e pubblico e il suo pubblico, poiché si divertono entrambi, ad un livello più sofisticato, a ripren-
dere tratti tipici di una narrativa diffusissima e popolarissima; come se oggi, tanto per
intendersi, uno scrittore di alto livello strizzasse l’occhio ai suoi lettori colti citando
personaggi e situazioni dei fumetti avventurosi o dei serials televisivi.

2. La degradazione dei modelli:


il Morgante di Pulci
Il gioco e lo sberleffo Rispetto alle opere di Boiardo e Ariosto, più vicino allo spirito dei cantari è il Morgante
di Luigi Pulci ( A1) che riprende gli intenti giocosi e burleschi tipici della tradizione
“borghese” fiorentina, rimasta viva anche all’interno della Signoria medicea (si pensi
ai canti carnascialeschi, Percorso 2, T1, p. 59). Oltre a rifare il verso alla materia dei
canterini, Pulci si richiama alle esperienze della poesia comico-parodica, da Cecco
Angiolieri al Burchiello, con il suo gusto per lo sberleffo, per la deformazione carica-
turale e grottesca, per le realtà più materiali e corpose (come il motivo del cibo e della
ghiottoneria). Il racconto delle avventure cavalleresche diventa così lo spazio aperto
non solo al divertimento, ma anche all’irriverenza e alla dissacrazione, quando il riso
si trasforma in irrisione. I contenuti dell’epica vengono svuotati dall’interno, offrendo
l’occasione per un’avventura della parola – anch’essa eccentrica e corposa – che con-
sente di cogliere le debolezze e i pregiudizi della mentalità dominante.

A1 Luigi Pulci
La vita Nato a Firenze nel 1432, Pulci ebbe un’educazione letteraria che compren-
deva la conoscenza del latino, ma non ai livelli raffinatissimi degli umanisti. La sua
famiglia era antica e nobile ma impoverita: pertanto Luigi conobbe in gioventù momenti
L’ingresso alla corte difficili. Intorno al 1461 cominciò a frequentare il palazzo dei Medici e si legò di inti-
medicea ma amicizia con Lorenzo de’ Medici, il futuro “signore”. Amato e ammirato per il suo
umore bizzarro e giocoso, per il suo gusto della deformazione burlesca, influenzò per un
certo periodo il clima della “brigata medicea”: ne è indizio la Nencia da Barberino del
Magnifico, a cui Pulci replicò con un’ulteriore parodia della letteratura pastorale e amo-
Il clima platonizzante rosa, la Beca da Dicomano. Ma verso il ’73-’74 il clima della cerchia medicea cominciò
a mutare per l’influenza che assunsero i filosofi “platonici” dell’Accademia (Ficino,
Pico della Mirandola, Landino) e si instaurò un atteggiamento pervaso di profonda pietà
La polemica religiosa. Pulci, con le sue posizioni estrose e le sue curiosità eterodosse in materia re-
con Ficino ligiosa e filosofica, si urtò con questi personaggi ed ebbe una dura polemica con Ficino
sull’immortalità dell’anima; di conseguenza, anche il Magnifico lo lasciò sempre più
ai margini. Nel 1476 si pose al servizio del capitano di ventura Roberto Sanseverino e
lasciò Firenze. Mentre lo accompagnava a Venezia, morì di febbri a Padova nel 1484; e
poiché era accusato di magia, empietà ed eresia, fu sepolto in terra sconsacrata.

La Beca da Dicomano Le opere minori e il Morgante Oltre alla già ricordata Beca da Dicomano, che ri-
e la Giostra calca la Nencia con toni di satira del villano più grossolani, e a componimenti giocosi e
burleschi, Pulci scrisse la Giostra, poemetto in ottave in onore di una vittoria riportata
nel 1469 da Lorenzo in un torneo.

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Il Morgante Ma l’opera principale di Pulci è il Morgante, un ampio poema in ottave di argomento
cavalleresco. Esso trae il titolo dal nome del gigante omonimo, che con le sue stravaganti
imprese riscuoteva ampio favore nel pubblico. Pulci si proponeva inizialmente di dare
una forma letteraria più degna ad un cantare popolaresco, l’Orlando, riversando nelle leg-
gende dei paladini di Carlo Magno (qui ormai vecchio e mezzo rimbecillito) i suoi umori
bizzarri e mutevoli, oltre a inserire episodi e personaggi nuovi, che sono le creazioni più
straordinarie del poema, come il furfante Margutte e il diavolo sapiente Astarotte.
Una prima redazione, pubblicata probabilmente nel 1478, non ci è pervenuta; nel 1483
Gli ultimi canti uscì una nuova edizione ampliata, che ricevette il titolo di Morgante maggiore. Negli
ultimi cinque canti aggiunti Pulci si concentra sull’episodio della rotta di Roncisvalle
e della morte di Orlando, cercando di dare al racconto una maggiore organicità e solen-
nità epico-religiosa, si direbbe per una volontà di gareggiare con il nuovo clima della
Firenze “platonica”.
La vicenda Il poema trae l’argomento dalle leggende carolinge, che da secoli godevano di larga
fortuna sul suolo italiano, e narra le avventure e gli amori di Orlando, Rinaldo e altri
paladini nei paesi più lontani, a cui si accompagnano le vicende comiche dell’ingenuo
gigante Morgante e del mezzo gigante Margutte, un astuto furfante. Il poema termina
con la morte di Orlando, sopraffatto dai saraceni a Roncisvalle a causa del tradimento
di Gano, la punizione del traditore e la morte di Carlo Magno.
ON LINE
TesƟ
Luigi Pulci Le cara eris che del poema L’opera, man mano che veniva composta, era letta alla
Ghiottoneria corte medicea, e conserva in sé i caratteri di una poesia destinata più ad essere ascolta-
e furfanteria:
le imprese ta che letta. La narrazione non ha un disegno organico e unitario: gli episodi scaturisco-
di Morgante e
Margutte all’osteria no l’uno dall’altro in modo apparentemente casuale, e spesso si arruffano in modo tor-
dal Morgante tuoso, oppure procedono a sbalzi, senza legami evidenti tra loro. Vi si può riconoscere
il gusto di riprodurre il linguaggio e le movenze dei canterini di piazza, e di proporre la
materia plebea ai nobili ascoltatori con divertita e ammiccante complicità. A questo at-
teggiamento risale la familiarità con cui vengono trattati i paladini, che spesso perdono
ON LINE
la loro eroica dignità, degradandosi a livelli buffoneschi e furfanteschi, e vi si ricondu-
TesƟ
Luigi Pulci
cono parimenti il gusto di tratteggiare scene realistiche, gli interventi arguti della voce
La morte di Orlando narrante, i riferimenti a novelle e proverbi. Per questo aspetto il Morgante si collega ad
a Roncisvalle
dal Morgante una tradizione schiettamente toscana e fiorentina, di poesia borghesemente popolare e
dialettale. Ma non è solo questo: la materia cavalleresca dei giullari, al di là di questa
divertita familiarità, offre al Pulci lo spazio più aperto per lo sbrigliarsi dell’immagina-
L’avventura mutevole zione, per l’inseguimento degli umori più bizzarri. Il poema diventa allora una mutevole
dei toni e degli umori avventura di toni diversi, ora buffoneschi e furfanteschi, ora seri ed eroici, ora patetici e
teneri, ora fiabeschi. Se la vita è per Pulci «uno zibaldone [raccolta confusa di oggetti]
mescolato di dolce e d’amaro e mille sapori varii», il suo poema ne rispecchia fedel-
Il fondo serio mente l’immagine. Occorre però precisare che questi umori bizzarri e sbrigliati non
sono indizio di una mente superficiale: il riso di Pulci ha un fondo serio e pensoso, che
emerge a tratti nel poema (ne è un esempio l’episodio del diavolo Astarotte, T2, p. 100).

L’avventura La lingua e lo s le Alla legge della mutevolezza e della varietà si adeguano anche
delle parole la lingua e lo stile, una sorta di calderone in cui ribollono gli ingredienti più vari, me-
scolati con lo stesso umore imprevedibile con cui si arruffano le trame avventurose e le
La mescolanza varie tonalità degli episodi. È cioè una lingua che viene forzata al di là dei codici con-
e la forzatura sueti del linguaggio letterario, e che si colloca quindi agli antipodi rispetto al canone
espressiva della lingua
classicistico della regolarità decorosa, del levigato unilinguismo, quale era stato fissato
dalla tradizione petrarchesca ed era stato ripreso da Poliziano. Il fondo è il toscano
parlato, dialettale, ricco di termini saporosi e di modi di dire vivacissimi e incisivi;
ma su di essi Pulci innesta una variegata ricerca linguistica, che attinge volentieri ai
gerghi malandrini e furbeschi (di cui lo scrittore compilò anche un vocabolario), e re-

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cupera termini latini, o letterari, o scientifico-filosofici. Su tutto domina il gusto della
deformazione: la parola è assaporata proprio in quanto strana, disusata, abnorme, vio-
L’eredità di Pulci lentemente espressiva. Questo gusto della mescolanza linguistica, della deformazione
e della forzatura espressiva della parola, in concomitanza con la ricerca dell’eccesso,
della derisione beffarda e corrosiva, del provocatorio rovesciamento di ciò che è serio,
elevato e degno, attraverso l’insistenza sugli aspetti più materiali e plebei della realtà,
perdurerà nel secolo successivo, e troverà in Italia un grande interprete, Folengo, artefi-
ce del latino maccheronico ( Sez. 2, Percorso 4, A4, p. 225), e fuori d’Italia si esprimerà
nello straordinario capolavoro di Rabelais ( Sez. 2, Percorso 4, A6, p. 242), Gargantua
e Pantagruele.

Luigi Pulci
T1 L’autoritratto di Margutte dal Morgante, XVIII,
112-124; 128-142
Il gigante Morgante, l’eroe che dà il tolo al poema, dopo aver superato molte prove e mostrato
grande coraggio, incontra casualmente a un «crocicchio» il mezzo gigante (e furfante matricolato)
Margu e. Dopo un’autopresentazione di Margu e, personaggio che si colloca al di fuori di ogni tra-
dizionale schema cavalleresco, i due decidono di unire i loro des ni in un sodalizio che si rivelerà
fru uoso di straordinarie avventure.
› Metro: o ave di endecasillabi; schema delle rime ABABABCC.

112 Giunto Morgante un dì in su ’n un crocicchio1,


uscito d’una valle in un gran bosco,
vide venir di lungi2, per ispicchio3,
un uom che in volto parea tutto fosco4.
Dètte del capo del battaglio un picchio5
in terra, e disse: «Costui non conosco»;
e posesi a sedere in su ’n un sasso,
tanto che questo capitòe al passo6.

113 Morgante guata7 le sue membra tutte


più e più volte dal capo alle piante8,
che gli pareano strane, orride e brutte:
– Dimmi il tuo nome – dicea –, vïandante –.
Colui rispose: – Il mio nome è Margutte9;
ed ebbi voglia anco10 io d’esser gigante,
poi mi penti’ quando al mezzo fu’ giunto11:
vedi che sette braccia12 sono appunto –.

1. in su ’n un crocicchio: ad un crocevia; la 6. tanto ... passo: finché costui giunse al sportato a designare un pupo saracino)»
reggente è «preposizione mul pla» (Con- crocicchio (passo). (Con ni).
ni), ripresa nel penul mo verso dell’o a- 7. guata: guarda a entamente. 10. anco: anche.
va. 8. alle piante: ai piedi. 11. quando ... giunto: quando fui cresciu-
2. di lungi: da lontano. 9. Margu e: «È stato mostrato da Vincen- to fino a mezza altezza (rispe o a quella di
3. per ispicchio: di traverso. zo Belli che margu e o margu o indica un gigante); Margu e, come si è de o, è
4. fosco: cupo, tetro. nei diale centrali qualcosa di bru o e un mezzo gigante.
5. Dè e del capo ... picchio: diede con spregevole, uno spaventapasseri e in par- 12. se e braccia: qua ro metri circa; un
l’estremità, la punta, del batacchio della colare un fantoccio da giostra (meno si- braccio era un’unità di misura lunga circa
campana (con cui Morgante era armato) curo che muova da “marabu o”, santone mezzo metro.
un colpo. musulmano – e quindi la sua tomba –, tra-

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114 Disse Morgante: – Tu sia il ben venuto:
ecco ch’io arò13 pure un fiaschetto allato13,
che da due giorni in qua non ho beuto;
e se con meco sarai accompagnato15,
io ti farò a camin quel che è dovuto16.
Dimmi più oltre: io non t’ho domandato
se se’ cristiano o se se’ saracino,
o se tu credi in Cristo o in Apollino17 –.

115 Rispose allor Margutte: – A dirtel tosto18,


io non credo più al nero ch’a l’azzurro19,
ma nel cappone, o lesso o vuogli20 arrosto;
e credo alcuna volta anco nel burro,
nella cervogia21 e, quando io n’ho, nel mosto22,
e molto più nell’aspro che il mangurro23;
ma sopra tutto nel buon vino ho fede,
e credo24 che sia salvo chi gli crede.

116 E credo nella torta e nel tortello:


l’uno è la madre e l’altro è il suo figliuolo;
e ’l vero paternostro è il fegatello25,
e posson esser tre, due ed un solo,
e diriva dal fegato almen quello.
E perch’io vorrei ber con un ghiacciuolo26,
se Macometto il mosto vieta e biasima27,
credo che sia il sogno o la fantasima;
117 ed Apollin debbe essere il farnetico,
e Trivigante forse la tregenda.
La fede è fatta come fa il solletico28:
per discrezion29 mi credo che tu intenda.
Or tu potresti dir ch’io fussi eretico:
acciò che invan parola non ci spenda30,
vedrai che la mia schiatta non traligna31
e ch’io non son terren da porvi vigna32.

13. arò: avrò. 23. aspro ... mangurro: monete turche, ri- Analogamente Apollino è considerato un
14. allato: al fianco. Essendo un po’ più picco- spe vamente d’argento e di rame (di qui pazzo (il farne co, o ava 117, v. 1) e Trivi-
lo, Margu e sembra una di quelle fiasche e la preferenza di Margu e). Ma aspro indica gante rappresenta un convegno di demoni
che i viandan portano legate alla cintura. anche il vino, con un evidente gioco di parole. (la tregenda, o ava 117, v. 2).
15. meco ... accompagnato: con me ac- 24. e credo: a partire di qui si fa esplicita la pa- 28. come ... solle co: «cioè c’è chi l’ha e
compagnerai. rodia, empia e blasfema, del Credo cristiano, «e chi no» (Con ni). Ma si può anche pensare
16. io ... dovuto: tra erò lungo il cam- in particolare dell’Incarnazione e della Trinità» che la fede faccia ridere, come il solle co.
mino come si conviene. (Contini). I sublimi misteri della fede e i più alti 29. discrezion: capacità di comprendere,
17. Apollino: Apollo. Uno degli dèi in cui, se- valori spirituali vengono degradati e dissacrati; discernimento. Margu e ammicca a Mor-
condo una falsa opinione popolare, crede- ad essi si sostituisce la realtà “materiale-corpo- gante, come per dirgli: «penso che tu, per-
vano i musulmani. Con Maome o (Maco- rea” propria della tradizione carnevalesca. sona accorta e discreta, mi capisca».
me o, o ava 116, v. 7) e Trivigante (o ava 25. fegatello: pezze o di fegato di maia- 30. acciò ... spenda: affinché tu non spen-
117, v. 2) componeva una specie di trinità, le, involto in una rete e cucinato con erbe da inu lmente delle parole (per cercare di
opposta a quella cris ana. aroma che. conver rmi).
18. tosto: subito. 26. ghiacciuolo: recipiente usato per rac- 31. la mia ... traligna: la mia razza non de-
19. io ... l’azzurro: non credo in niente (cal- cogliere il ghiaccio, e quindi par colar- genera (Margu e non è meno miscreden-
co dal proverbio “non credere più al bian- mente capace. te dei suoi progenitori).
co che al nero”). 27. se Macome o ... biasima: la religione 32. da porvi vigna: su cui piantare una vigna,
20. o vuogli: oppure, o se preferisci. musulmana proibisce l’uso delle bevande perché por i fru della fede e delle buone
21. cervogia: birra. alcoliche e quindi, per Margu e, Maomet- opere. La metafora della vigna è tra a dal
22. mosto: il succo delle uve pigiate. to non è altro che un sogno o un fantasma. Vangelo, in cui Cristo è paragonato alla vite.

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118 Questa fede è come l’uom se l’arreca33.
Vuoi tu veder che fede sia la mia?
che nato son d’una monaca greca
e d’un papasso34 in Bursia35, là in Turchia.
E nel principio sonar la ribeca36
mi dilettai, perch’avea fantasia
cantar di Troia e d’Ettore e d’Achille37,
non una volta già, ma mille e mille.

119 Poi che m’increbbe38 il sonar la chitarra,


io cominciai a portar l’arco e ’l turcasso39.
Un dì ch’io fe’ nella moschea poi sciarra40,
e ch’io v’uccisi il mio vecchio papasso,
mi posi allato questa scimitarra
e cominciai pe’l mondo andare a spasso;
e per compagni ne menai con meco
tutti i peccati o di turco o di greco41;

120 anzi quanti ne son giù nello inferno:


io n’ho settanta e sette de’ mortali42,
che non mi lascian mai la state o ’l verno43;
pensa quanti io n’ho poi de’ venïali!
Non credo, se durassi il mondo etterno44,
si potessi45 commetter tanti mali
quanti ho commessi io solo alla mia vita;
ed ho per alfabeto ogni partita46.

121 Non ti rincresca l’ascoltarmi un poco:


tu udirai per ordine la trama47.
Mentre ch’io48 ho danar, s’io sono a giuoco,
rispondo come amico a chiunque chiama49;
e giuoco d’ogni tempo e in ogni loco,
tanto che al tutto50 e la roba e la fama
io m’ho giucato, e’ pel’ già51 della barba:
guarda se questo pe’l52 primo ti garba.

122 Non domandar quel ch’io so far d’un dado,


o fiamma o traversin, testa o gattuccia,
e lo spuntone53, e va’ per parentado,
ché tutti siàn d’un pelo e d’una buccia54.
E forse al camuffar ne incaco o bado

33. come ... l’arreca: «congenita» (Con - 40. sciarra: rissa, alterco. 47. la trama: l’elenco delle malefa e.
ni), come uno la riceve e la porta con sé (se 41. o di turco o di greco: eredita cioè dal 48. Mentre ch’io: quando io.
l’arreca) dalla nascita. padre e dalla madre. Secondo un diffuso 49. chiama: invita (termine tecnico del
34. papasso: sacerdote orientale di reli- luogo comune, i Turchi erano no per la gioco delle carte).
gione musulmana. loro violenza, i Greci per la loro fraudolenza. 50. al tu o: del tu o, completamente.
35. Bursia: Brussa (in turco Bursa), ci à 42. de’ mortali: di pecca mortali. 51. e’ pel’ già: anche, persino i peli.
sacra dei primi O omani. 43. la state ... verno: d’estate o d’inverno 52. pe’l primo: come primo (fra i tan pec-
36. ribeca: an co strumento a tre corde, (cioè non lo lasciano mai). ca commessi).
simile al violino. 44. e erno: in eterno. 53. o fiamma ... spuntone: diverse combi-
37. d’E ore e d’Achille: i protagonis del- 45. si potessi: che si potrebbero. nazioni nel gioco dei dadi.
l’Iliade, il modello dei poemi epici. 46. ho ... par ta: «conosco ogni parte 54. e va’ ... buccia: «e così via, perché sia-
38. m’increbbe: non mi piacque più. (francese par e) dall’a alla zeta» (Con ni) mo della stessa razza» (Con ni).
39. turcasso: faretra. di questa materia (del peccato).

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 93


o non so far la berta o la bertuccia,
o in furba o in calca o in bestrica mi lodo?55
Io so di questo ogni malizia e frodo56.

123 La gola ne vien poi drieto a questa arte.


Qui si conviene aver gran discrezione57,
saper tutti i segreti, a quante carte58,
del fagian, della starna e del cappone,
di tutte le vivande a parte a parte
dove si truovi morvido59 il boccone;
e non ti fallirei di ciò parola60
come tener si debba unta la gola.

124 S’io ti dicessi in che modo io pillotto61,


o tu vedessi com’io fo col braccio62,
tu mi diresti certo ch’io sia ghiotto;
o quante parte63 aver vuole un migliaccio64,
che non vuole65 essere arso, ma ben cotto,
non molto caldo e non anco di ghiaccio,
anzi in quel mezzo, ed unto ma non grasso
(parti ch’i’ ’l sappi?66), e non troppo alto o basso.

[...]

128 Or lasciàn questo, e d’udir non t’incresca


un’altra mia virtù cardinalesca67.

129 Ciò ch’io ti dico non va insino all’effe68:


pensa quand’io sarà condotto al rue69!
Sappi ch’io aro70, e non dico da beffe71,
col cammello e coll’asino e col bue;
e mille capannucci e mille gueffe72
ho meritato già per questo o piùe73;
dove il capo non va, metto la coda74,
e quel che più mi piace è ch’ognun l’oda.

130 Mettimi in ballo, mettimi in convito,


ch’io fo il dover co’ piedi e colle mani;
io son prosuntüoso, impronto75, ardito,

55. E forse ... lodo?: «Ridondanza di termini 61. pillo o: verso il condimento (sull’arro- 69. sarà ... rue: sarò giunto alla fine (rue:
gergali o comunque violentemente espressi- sto che gira sullo spiedo). abbreviazione posta in fondo all’alfabeto).
vi: “Forse che la truffa (del baro) la disprezzo 62. com’io ... braccio: come muovo bene 70. io aro: nel senso di «amoreggiare» (Con-
o sto come un babbeo (bado) o non so im- il braccio. ni) contro natura, secondo una espressio-
brogliare (bertuccia è connesso solo verbal- 63. parte: cure (nel senso di “a enzioni”). ne gergale.
mente con berta) o non riesco nel raggiro 64. migliaccio: sanguinaccio. 71. da beffe: per scherzo.
(reso con sinonimi furbeschi)?”» (Con ni). 65. vuole: nel senso di deve. 72. capannucci ... gueffe: condanne al
56. frodo: frode, raggiro. 66. par ... sappi?: credi che non lo sappia? rogo e al carcere.
57. discrezione: «discernimento» (Ageno). 67. virtù cardinalesca: inizia qui una paro- 73. piùe: anche più, anche per cose peg-
58. a quante carte: quante sono le rice e dia delle qua ro virtù cardinali (prudenza, giori.
(nei fogli di un immaginario libro di cucina). gius zia, fortezza, temperanza). 74. dove ... coda: se non va in un modo,
59. morvido: morbido, tenero. 68. Ciò ... all’effe: quello che io dico non provo in un altro (è so nteso un doppio
60. non ... parola: non comme erei nes- arriva sino all’effe nell’elenco alfabe co senso osceno).
sun errore nel dir . delle mie qualità. 75. impronto: sfacciato, impudente.

94 1 - L’età umanis ca
non guardo76 più i parenti che gli strani77:
della vergogna, io n’ho preso partito78,
e torno, chi79 mi caccia, come i cani;
e dico ciò ch’io fo per ognun sette80,
e poi v’aggiungo mille novellette.

131 S’io ho tenute dell’oche in pastura81,


non domandar, ch’io non te lo direi:
s’io ti dicessi mille alla ventura82,
di poche credo ch’io ti fallirei83;
s’io uso a munister84 per isciagura,
s’elle85 son cinque, io ne traggo fuor sei86:
ch’io le fo in modo diventar galante87
che non vi campa servigial né fante88.

132 Or queste son tre virtù cardinale,


la gola e ’l culo e ’l dado89, ch’io t’ho detto;
odi la quarta, ch’è la principale,
acciò che ben si sgoccioli il barletto90:
non vi bisogna uncin né porre scale
dove con mano aggiungo91, ti prometto92;
e mitere da papi ho già portate,
col segno in testa, e drieto le granate93.

133 E trapani e paletti94 e lime sorde95


e succhi96 d’ogni fatta e grimaldelli
e scale o vuoi di legno o vuoi di corde,
e levane97 e calcetti di feltrelli98
che fanno, quand’io vo, ch’ognuno assorde99,
lavoro di mia man puliti100 e belli;
e fuoco che per sé lume non rende101,
ma con lo sputo a mia posta102 s’accende.

134 S’ tu mi vedessi in una chiesa solo,


io son più vago di spogliar gli altari

76. guardo: ho riguardo per. (Con ni), ossia le suore laiche che vivono scope (granate) incrociate dietro la schie-
77. gli strani: gli estranei. nel monastero. na.
78. n’ho ... par to: ne ho tra o vantag- 89. la gola ... dado: riprende, degradan- 94. pale : piedi di porco.
gio, facendoci l’abitudine. dola, una celebre espressione di un so- 95. sorde: che limano il metallo senza fare
79. chi: quando, se qualcuno. ne o dell’Angiolieri («Tre cose solamente rumore.
80. dico ... se e: quello che faccio, a paro- m’ènno in grado, / le quali posso non ben 96. succhi: succhielli (a rezzi per pra care
le lo mol plico per se e. ben fornire, / cioè la donna, la taverna e fori nel legno).
81. S’io ... pastura: nel senso, metaforico, ’l dado). 97. levane: leve.
di avere sfru ato delle donne. 90. acciò ... barle o: affinché si svuo 98. calce di feltrelli: calzature di feltro.
82. alla ventura: a casaccio. ben bene il barile o, per vuotare del tu o 99. fanno ... assorde: fanno sì, quando io
83. di poche ... fallirei: credo che mi sba- il sacco. cammino, che nessuno mi possa sen re
glierei di poco nel calcolo. 91. non ... aggiungo: non occorrono né (le eralmente, che ognuno sia reso come
84. s’io ... munister: se mi trovo in un mo- uncini né scale dove arrivo con la mano. sordo).
nastero. Ossia ruba tu e le volte che può. 100. puli : «ben fa » (Ageno).
85. elle: le monache. 92. prome o: garan sco, te lo assi- 101. fuoco ... rende: allude probabilmen-
86. sei: «per dire che le trae fuori dal mo- curo. te ad una specie di lanterna cieca, che non
nastero tu e senza eccezione» (Ageno). 93. mitere ... granate: il condannato mes- lascia trapelare la luce. Altri intendono un
87. galante: galan , innamorate. so alla gogna aveva in testa una mitra (le lume che si accende solo quando Margut-
88. non vi ... fante: «non si so raggono mitere: copricapi porta dal papa e dalle te vi sputa sopra.
nemmeno le fantesche e le converse» più alte gerarchie ecclesias che) e due 102. a mia posta: a mio piacere.

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 95


che ’l messo di contado del paiuolo103;
poi corro alla cassetta de’ danari;
ma sempre in sagrestia fo il primo volo,
e se v’è croce o calici, io gli ho cari,
e’ crucifissi scuopro tutti quanti,
poi vo spogliando le Nunziate104 e’ santi.

135 Io ho scopato105 già forse un pollaio;


s’ tu mi vedessi stendere106 un bucato,
diresti che non è donna o massaio107
che l’abbi così presto rassettato:
s’io dovessi spiccar, Morgante, il maio108,
io rubo sempre dove io sono usato109;
ch’io non istò a guardar più tuo che mio,
perch’ogni cosa al principio è di Dio.

136 Ma innanzi ch’io rubassi di nascoso110,


io fui prima alle strade malandrino111:
arei spogliato un santo il più famoso,
se santi son nel ciel, per un quattrino;
ma per istarmi in pace e in più riposo,
non volli poi più essere assassino;
non che la voglia non vi fussi pronta,
ma perché il furto spesso vi si sconta112.

137 Le virtù tëologiche ci resta113.


S’io so falsare un libro, Iddio tel dica:
d’uno iccase farotti un fio114, ch’a sesta115
non si farebbe più bello a fatica;
e traggone ogni carta116, e poi con questa
raccordo l’alfabeto e la rubrica117,
e scambiere’ti118, e non vedresti come119,
il titol, la coverta e ’l segno120 e ’l nome.

138 I sacramenti falsi121 e gli spergiuri


mi sdrucciolan giù proprio per la bocca
come i fichi sampier122, que’ ben maturi,
o le lasagne, o qualche cosa sciocca123,

103. io son ... paiuolo: sono più desidero- fiorito che veniva appeso, a maggio, alla 116. traggone ogni carta: tolgo (dal libro)
so io di depredare gli altari, che l’ufficiale porta o alla finestra della donna amata). una qualsiasi pagina.
giudiziario di confiscare un paiolo. 109. dove ... usato: nei pos che frequento. 117. raccordo ... rubrica: riordino l’indice
104. le Nunziate: le statue della Madonna 110. di nascoso: di nascosto. e i toli in ordine alfabe co (perché non ci
(con par colare riferimento all’Annunzia- 111. malandrino: brigante. si accorga della mancanza).
ta, la Vergine cui viene annunciato dall’an- 112. vi si sconta: si paga a caro prezzo. 118. scambiere’ : falsificherei.
gelo che sarà madre di Cristo). 113. Le virtù ... ci resta: rimangono le vir- 119. e non vedres come: e non te ne ac-
105. scopato: spazzolato, depredato. tù teologali (fede, speranza, carità). Cioè, corgeres .
106. stendere: nel senso di riporre, met- Margu e ora illustra le virtù teologali. 120. la coverta e ’l segno: la coper na e
tere via. 114. d’uno ... fio: di un x farò un y (con il segnalibro.
107. massaio: persona che cura con par - fio nel Medio Evo si indicava la le era y); 121. I sacramen falsi: le bestemmie.
colare a enzione le proprie cose. Margu e allude qui alle sue grandi abilità 122. fichi sampier: fichi fiori, che matura-
108. spiccar ... maio: staccare, rubare una come falsario. no per san Pietro.
cosa senza valore (il maio era il ramoscello 115. a sesta: con il compasso. 123. sciocca: senza sale.

96 1 - L’età umanis ca
né vo’ che tu credessi ch’io mi curi
contro a questo o colui: zara a chi tocca!124
ed ho commesso già scompiglio e scandolo125,
che mai non s’è poi ravvïato il bandolo126.

139 Sempre le brighe compero a contanti127.


Bestemmiator, non vi fo ignun divario128
di bestemmiar più uomini che santi,
e tutti appunto gli ho in sul calendario129.
Delle bugie nessun non se ne vanti,
ché ciò ch’io dico, fia130 sempre il contrario.
Vorrei veder più fuoco ch’acqua o terra,
e ’l mondo e ’l cielo in peste e ’n fame e ’n guerra131.

140 E carità, limosina o digiuno,


orazïon132 non creder ch’io ne faccia.
Per non parer provàno133, chieggo a ognuno,
e sempre dico cosa che dispiaccia;
superbo, invidïoso ed importuno:
questo si scrisse nella prima faccia134;
ché i peccati mortal’ meco eran tutti
e gli altri vizi scelerati e brutti.

141 Tanto è ch’io posso andar per tutto ’l mondo


col cappello in su gli occhi, com’io voglio135;
com’una schiancerìa136 son netto e mondo137;
dovunque i’ vo, lasciarvi il segno soglio
come fa la lumaca, e no’l nascondo;
e muto fede e legge, amici e scoglio138
di terra in terra, com’io veggo o truovo,
però ch’io139 fu’ cattivo insin nell’uovo140.

142 Io t’ho lasciato indrieto un gran capitolo141


di mille altri peccati in guazzabuglio142;
ché s’i’ volessi leggerti ogni titolo,
e’ ti parrebbe troppo gran mescuglio143;
e cominciando a sciòrre144 ora il gomitolo,
ci sarebbe faccenda145 insino a luglio;
salvo che questo alla fine udirai:
che tradimento ignun146 non feci mai –.

124. zara a chi tocca!: guai a chi tocca! 131. Vorrei ... guerra: vi è anche qui una 138. scoglio: pelle.
La zara era un gioco di tre dadi diffuso nel ripresa di un celebre sone o di Cecco An- 139. però ch’io: perché io.
Medio Evo; si diceva “zara” anche il pun- giolieri (S’i’ fosse fuoco, ardereï ’l mondo). 140. insin nell’uovo: prima ancora che
teggio più basso (di qui l’esclamazione). 132. orazïon: preghiere. nascessi (è forma proverbiale).
125. ho commesso ... scandolo: ho susci- 133. provàno: cocciuto, testardo. 141. Io ... capitolo: non ho raccontato
tato scompigli e disordini. 134. questo ... faccia: «ciò (il dimostra vo un lungo capitolo della mia vita (rela vo a
126. ravvïato il bandolo: rimessa a posto riprende quanto precede) è stato scri o tan altri pecca ).
la cosa. nella prima pagina del libro della mia vita, 142. in guazzabuglio: alla rinfusa.
127. le brighe ... contan : mi caccio sem- è mia qualità sin dalla nascita» (Ageno). 143. mescuglio: mescolanza.
pre nei guai; espressione proverbiale. 135. Tanto ... voglio: è de o ironicamen- 144. sciòrre: sciogliere.
128. ignun divario: nessuna differenza. te, in quanto deve cercare di nascondere il 145. faccenda: da fare, da raccontare.
129. in sul calendario: pron per bestem- volto, per non farsi riconoscere. 146. ignun: nessuno.
miarli. 136. schiancerìa: «asse da cucina» (Con ni).
130. fia: sarà. 137. ne o e mondo: pulito e puro.

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 97


Analisi del testo
L’infrazione della norma. La figura di Margutte non si trova nell’Orlando, il can-
tare da cui Pulci attinge la materia del suo poema: è una creazione interamente dovuta
alla fantasia del poeta, e ne rappresenta perfettamente gli umori bizzarri e corrosivi.
Già l’aspetto fisico del personaggio, appena compare in scena, è significativo: la sua
condizione a metà strada fra l’uomo e il gigante fa presentire il suo carattere strambo,
irregolare, al di là di ogni norma.
È Margutte stesso a tracciare il suo ritratto, compiacendosi ad ingigantire tutte le pro-
Irriverenza prie qualità negative. L’autoritratto comincia con la sua “professione di fede”, da cui
e ghiottoneria emerge la sua irriverenza blasfema, il gusto di rovesciare beffardamente tutto ciò che
è sacro. Sul tema della miscredenza si innesta quello della ghiottoneria: l’unica cosa
in cui Margutte crede è il cibo. Nel lungo, insistito accumulo di realtà culinarie (ottave
115-116, riprese poi nelle ottave 123-124 e nelle successive che abbiamo omesso) si
celebra il trionfo di ciò che vi è di più corposamente materiale, sempre in polemica
con ciò che è elevato e spirituale, ed erompe l’esaltazione di un vivere gaudente, privo
di ogni freno morale e religioso, liberamente immerso nei piaceri carnali (motivo poi
ripreso nell’ottava sul sesso, la 129).
Un ribelle trasgressore Margutte si presenta come un ribelle, un trasgressore, che gode a infrangere ogni nor-
ma, ogni tabù, a corrodere con il suo riso ogni principio morale, ogni valore positivo (a
questi atteggiamenti resterà fedele persino dopo la morte, nell’inferno). La sua stessa
nascita è trasgressiva e sacrilega, in quanto egli è stato generato da una monaca greca e
da un prete maomettano. Egli stesso si compiace a insistere sui propri vizi, a presentare
in un iperbolico accumulo tutti i peccati più nefandi e repellenti: oltre che miscredente
e ghiottone, è giocatore, baro, truffatore, sodomita, sfruttatore di donne, ladro, sacrilego,
falsario, spergiuro, bestemmiatore, mentitore.
Il parricidio Questo ritratto di un ribelle, che rovescia sistematicamente tutte le norme e tutti i va-
lori, culmina nel parricidio. L’uccisione del padre assume in questo contesto un signifi-
cato profondamente simbolico: la figura del padre rappresenta per essenza l’autorità, la
norma, l’ordine; l’irregolare, il deviante, il ribelle, è tale in quanto si contrappone a una
figura “paterna”: ogni ribellione è in fondo un’uccisione (simbolica) del padre.
Il “carnevalesco”. In questo colossale elenco di colpe non bisogna certo vedere
una sorta di satanico compiacimento del male, che sarebbe atteggiamento romantico,
Il gusto ottocentesco, quindi del tutto anacronistico ed estraneo a Pulci. Vi è solo un’oltranza
del rovesciamento provocatoria, una volontà di rovesciare ciò che è serio e ufficiale, a fini di riso, per sfi-
Gli antecedenti dare beffardamente la visione “normale”, benpensante. Dietro questo atteggiamento di
Pulci si può individuare una lunga tradizione letteraria, che abbiamo via via seguito nel
corso dei secoli precedenti: la tradizione della poesia goliardica latina e di quella giul-
laresca, la poesia burlesca toscana del Due-Trecento (si pensi a Cecco Angiolieri, ma
anche alla rappresentazione dei diavoli danteschi, nei canti XXI-XXII dell’Inferno). A
questo ambito risale l’esaltazione della vita scioperata, irregolare e gaudente, del gioco
d’azzardo e del vino, della ghiottoneria e degli amori carnali.
Lo spirito Dietro a tutta questa tradizione letteraria vi è lo spirito popolare del carnevale, col suo
carnevalesco gusto irriverente di rovesciare tutto ciò che è serio, sacro e ufficiale, con l’esaltazione
del godimento fisico più sfrenato e della materialità più corposa. Questo filone, dalle ra-
dici così lontane, riaffiora in Pulci, che, nel raffinatissimo e aristocratico ambiente della
corte medicea, rappresenta le istanze di una tradizione cittadina più borghese e popo-
L’altra faccia lare, amante del riso dissacratore e della beffa. È questa l’altra faccia dell’Umanesimo,
dell’Umanesimo opposta a quella cortigiana, classicheggiante, platonica. L’umore bizzarro e beffardo è
uno strumento per corrodere certezze consacrate, per opporsi alle tendenze platoniche
e spiritualeggianti del tempo, uno strumento quindi culturalmente sofisticato e usato in
modo seriamente consapevole.

98 1 - L’età umanis ca
La violazione Il compiacimento dell’irregolarità e del rovesciamento si manifesta natural-
delle norme mente a livello stilistico: anche qui si coglie il gusto di violare la norma, di
linguistiche forzare in forme violentemente espressive il linguaggio corrente e codificato.
Pulci porta alle estreme conseguenze lo sperimentalismo linguistico che con-
nota la letteratura volgare del Quattrocento, e si colloca agli antipodi rispetto
al raffinato intarsio classicheggiante di Poliziano.

ATTIVITÀ SUL TESTO


COMPRENSIONE
1. Riassumi il testo in 20-25 righe.

ANALISI
2. Quale par colarità metrica si può notare negli ul mi due endecasillabi dell’o ava 116?
3. Rintraccia tu i vocaboli e le espressioni in cui si può notare una parodia del lessico sacro (formule di
preghiere, allusioni a dogmi della fede cris ana, riferimen a cariche ecclesias che, ecc.).
4. Quale figura retorica cara erizza l’o ava 133? Quale funzione espressiva svolge?
5. Il linguaggio di Margu e è ricco di iperboli. Individua le ricorrenze di questa figura nelle o ave 141-142
e spiega il rilievo che essa assume rispe o alla cara erizzazione del personaggio.

INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI


6. Rifle sul significato che acquista, nell’ambito dell’Umanesimo, la ripresa delle tradizioni le erarie ri-
conducibili allo spirito del carnevale ( Analisi del testo), a par re dalla poesia comico-realis ca di Cecco
Angiolieri, più volte riecheggiata nel brano antologizzato.

Laboratorio di lessico e lingua


7. Analizza la prima parte del brano (o ave 112-120) dal punto di vista lessicale: sono presen termini che
appartengono al linguaggio colto o aulico? L’agge vazione è scarsa o abbondante? Quali sono i campi
seman ci prevalen ?
8. Ricerca nella seconda parte del brano (o ave 121-136) i periodi ipote ci e per ciascuno di essi indica a
quale po appar ene (realtà, possibilità, irrealtà).
9. Qui di seguito viene proposta una serie di parole, presen nel testo, accomunate dalla presenza di alcuni
suffissi altera vi; con l’aiuto del dizionario riconosci i veri altera dai falsi altera : crocicchio, fiasche o,
cappone, figliuolo, tortello, fegatello, ghiacciuolo, boccone, ga uccia, traversin, pale , migliaccio, spunto-
ne, barle o, grimaldelli, qua rino, casse a, sgoccioli, capannucci, novelle e, bandolo.
10. Nella seguente tabella sono riporta alcuni passi in cui compare la parola «ne»: esamina ciascun con-
testo e indica se si tra a di un avverbio o di un pronome (e in questo caso scrivi il termine che sos tuisce),
come nell’esempio.

O ava Verso Avverbio Pronome Termine sos tuito


119 7 X
120 1
123 1
131 6
139 5
140 2

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 99


Luigi Pulci
T2 Il diavolo Astarotte e lo spirito
rinascimentale dal Morgante, XXV, 227-239
Il mago Malagigi evoca il diavolo Astaro e perché traspor in volo Rinaldo dall’Egi o a Roncisvalle in
aiuto di Orlando, che sta per cadere in un’imboscata per colpa del traditore Gano.
› Metro: o ave di endecasillabi; schema delle rime ABABABCC.

227 Passato il fiume Bagrade ch’io dico,


presso allo stretto son di Giubilterra1,
dove pose i suoi segni il Greco antico,
Abila e Calpe2, a dimostrar ch’egli erra
(non per iscogli o per vento nimico,
ma perché il globo cala della terra)
chi va più oltre, e non truova poi fondo,
tanto che cade giù nel basso mondo3.

228 Rinaldo allor, riconosciuto il loco,


perché altra volta l’aveva veduto4,
dicea con Astarotte: – Dimmi un poco
a quel che questo segno ha proveduto5. –
Disse Astarotte: – Un error lungo e fioco6,
per molti secol non ben cognosciuto,
fa che si dice «d’Ercul le colonne»
e che più là molti periti sonne7.

229 Sappi che questa oppinïone è vana,


perché più oltre navicar si puote8,
però che9 l’acqua in ogni parte è piana,
benché la terra abbi forma di ruote10.
Era più grossa11 allor la gente umana,
tal che potrebbe arrossirne le gote
Ercule ancor d’aver posti que’ segni,
perché più oltre passeranno i legni12.

230 E puossi13 andar giù nell’altro emisperio14,


però che al centro ogni cosa reprime15:
sì che la terra per divin misterio
sospesa sta fra le stelle sublime,

1. Giubilterra: Gibilterra. 4. altra volta ... veduto: Rinaldo aveva in 9. però che: perché.
2. dove pose ... Calpe: dove Ercole pose i precedenza raggiunto le colonne d’Ercole, 10. forma di ruote: forma rotonda.
suoi segnali, le “colonne d’Ercole”, che gli e aveva lodato Ulisse «che per veder ne 11. grossa: rozza.
an chi iden ficavano con i mon Abila, in l’altro mondo gisse [andò]». 12. tal ... legni: tanto che Ercole potrebbe
Africa, e Calpe, in Spagna. 5. a quel ... proveduto: il fine a cui questo arrossire per la vergogna di aver posto quei
3. a dimostrar ... mondo: per dimostrare segno è servito. segni, perché le navi passeranno oltre.
che chi va oltre quei segnali erra, non per 6. fioco: debole. 13. puossi: si può.
la presenza di scogli o di ven contrari, ma 7. fa che ... sonne: fa sì che questo luogo 14. emisperio: emisfero.
perché il globo della Terra è curvo (cala), si chiama “le colonne d’Ercole”, e si dice 15. però che ... reprime: perché ogni cosa
tanto che non troverebbe il fondo e ca- che mol sono peri spingendosi al di là tende verso il centro della Terra per la for-
drebbe verso il basso. Erano leggende ef- di esse. za di gravità; di modo che non vi è perico-
fe vamente diffuse nel Medio Evo. 8. navicar si puote: si può navigare. lo di cadere nel vuoto.

100 1 - L’età umanis ca


e laggiù16 son città, castella e imperio17;
ma nol cognobbon quelle gente prime18:
vedi che il sol di camminar s’affretta
dove io ti dico, ché laggiù s’aspetta19;

231 e come un segno20 surge in orïente,


un altro cade con mirabile arte,
come si vede qua nell’occidente,
però che il ciel giustamente comparte21.
Antipodi appellata è quella gente;
adora il sole e Iuppiter22 e Marte,
e piante ed animal, come voi, hanno,
e spesso insieme gran battaglie fanno. –

232 Disse Rinaldo: – Poi che a questo siamo,


dimmi, Astarotte, un’altra cosa ancora:
se questi son della stirpe d’Adamo;
e, perché vane cose23 vi s’adora,
se si posson salvar qual noi possiamo. –
Disse Astarotte: – Non tentar24 più, ora,
perché più oltre dichiarar non posso,
e par che tu domandi come uom grosso25.

233 Dunque sarebbe partigiano stato


in questa parte il vostro Redentore,

16. laggiù: nell’altro emisfero. ché presa come punto di riferimento dai 23. vane cose: false divinità (il verbo sal-
17. imperio: organizzazione poli ca. navigan ). var indica ovviamente la salvezza eterna).
18. nol ... prime: gli uomini del passato, gli 21. però che ... comparte: dal momento 24. tentar: farmi domande.
an chi non conobbero queste cose. che il cielo mostra egualmente le sue co- 25. grosso: ignorante e rozzo.
19. s’aspe a: è a eso. stellazioni all’uno e all’altro emisfero.
20. segno: costellazione (de a segno per- 22. Iuppiter: il nome la no di Giove.

PESARE LE PAROLE
Segno (ottava 231, v. 1) targa); “indicare” (es. segnare a dito); nel calcio, “rea-
Come è specificato nelle note al passo, qui segno lizzare un punto” (es. la Juventus ha segnato al no-
vale alla latina “stella”, perché presa come punto di vantesimo). Composto con in- il verbo dà insegnare,
riferimento dai naviganti. La parola (dal latino sì- dal latino tardo insignàre, “imprimere un segno”:
gnum) ha nella lingua attuale moltissimi significati, quindi il valore originario della parola è “lasciare un
di cui ricordiamo solo i principali: “indizio palese segno, un’impronta sugli allievi”, cioè “formarli”, non
da cui si possono trarre conoscenze su qualcosa di solo trasmettere dati e conoscenze; composto con
latente” (es. quelle nuvole sono segno di pioggia); de- dà designare, “proporre una persona per un in-
“elemento che serve a distinguere” (es. segni di ri- carico” (es. il dittatore ha designato il figlio come suo
conoscimento); “atto che manifesta un modo di es- erede), oppure “indicare” (es. designare per nome e
sere o di fare” (es. dar segni di gioia; dare la mano cognome). Composto con in- dà insignire, “attribuire
in segno di amicizia); “espressione grafica assunta una distinzione con un titolo, un’onorificenza” (es.
a rappresentare un’entità, specialmente astratta” insignire qualcuno del titolo di cavaliere). Dal verbo
(es. segni alfabetici); nel linguaggio della semiotica, segnare derivano molte parole composte: segnalibro,
“unione di significante e significato”; “traccia la- segnaposto, segnapunti… L’avverbio segnatamente
sciata da un corpo su una superficie” (es. sulla sab- significa “specialmente, particolarmente”; segnatura
bia c’è il segno dei passi di qualcuno); “punto a cui si è un termine arcaico per “firma”, oggi non più usato,
mira con un’arma” (es. tiro a segno); “simbolo” (es. mentre l’equivalente è tutt’ora in uso nel francese e
la colomba è un segno di pace). nell’inglese signature. Dalla stessa radice di signum
Anche il verbo segnare assume diversi significati: (più propriamente dal latino tardo signale) viene poi
“rilevare con un segno” (es. segnare gli errori in un segnale, “segno convenzionale con cui si comunica
compito); “prendere nota” (es. segnare il numero di qualcosa” (es. segnali stradali).

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 101


che Adam per voi quassù fussi formato,
e crucifisso Lui per vostro amore?26
Sappi ch’ognun per la croce è salvato;
forse che il ver, dopo pur lungo errore,
adorerete tutti di concordia,
e troverrete ognun misericordia27.

234 Basta che sol la vostra fede è certa28,


e la Virgine è in Ciel glorificata.
Ma nota che la porta29 è sempre aperta
e insino a quel gran dì30 non fia serrata,
e chi farà col cor giusta l’offerta,
sarà questa olocaüsta accettata31;
ché molto piace al Ciel la obbedïenzia,
e timore, osservanzia e reverenzia.

235 Mentre32 lor ceremonie e devozione


con timore osservorono i Romani,
benché Marte adorassino e Iunone
e Giuppiter e gli altri idoli vani,
piaceva al Ciel questa religïone,
che discerne le bestie dagli umani33;
tanto che sempre alcun tempo innalzorno,
e così pel contrario rovinorno34.

236 Dico così che quella gente crede,


adorando i pianeti35, adorar bene;
e la giustizia sai così concede
al buon remunerazio, al tristo pene:
sì che non debbe disperar merzede
chi rettamente la sua legge tiene36:
la mente37 è quella che vi salva e danna,
se la troppa ignoranzia non v’inganna.

237 Nota ch’egli è certa ignoranzia ottusa


o crassa o pigra, accidïosa e trista,
che, la porta al veder tenendo chiusa,

26. Dunque ... amore?: dunque per que- la fede sia sicura. poi al contrario andarono in rovina.
sto aspe o il vostro Redentore sarebbe 29. la porta: del paradiso. 35. adorando i piane : le divinità pagane
stato par giano, e Adamo sarebbe stato 30. quel gran dì: il giorno del giudizio. sono intese come personificazioni degli
progenitore solo di voi cris ani, e Cristo 31. e chi ... acce ata: l’offerta della fede astri.
sarebbe stato crocifisso solo per amor vo- di chiunque sarà acce ata da Dio, purché 36. la gius zia ... ene: sai che la gius zia
stro? Intende dire che Adamo è progeni- fa a con cuore puro (olocausta, olocau- divina concede al buono il premio (remu-
tore di tu a quanta l’umanità, e che Cristo sto, indica il sacrificio alla divinità ed è qui nerazio, forma la na), al malvagio la pu-
si è sacrificato per salvare tu gli uomini, sinonimo di offerta). nizione: in modo che non deve disperare
anche quelli che vivono agli an podi. 32. Mentre: finché. di o enere misericordia chi osserva ret-
27. forse ... misericordia: forse un gior- 33. discerne ... umani: il cielo acce ava tamente la sua religione (qualunque essa
no, dopo un lungo errore, tu gli uomini anche il culto pagano dei Romani, perché sia, anche pagana); a Dio non importa
adoreranno concordemente il vero Dio, e era comunque una forma di religione, che quale religione si segua, purché si sia buo-
ciascuno troverà in lui misericordia (anche dis ngue gli uomini dalle bes e. ni e gius .
quelli che ora lo ignorano). 34. alcun ... rovinorno: (i Romani) per 37. la mente: il fa o di aver l’intelligenza,
28. Basta ... certa: per salvarsi basta che qualche tempo si innalzarono in potenza, di essere uomini.

102 1 - L’età umanis ca


ricevette invan l’anima e la vista38:
però questa nel Ciel non truova scusa39:
«Noluit intelligere40» il salmista
dice d’alcun, tanto ignorante e folle
che, per bene operar, saper non volle.

238 Tanto è, chi serverà ben la sua legge


potrebbe ancora aver redenzïone,
come de’ Padri del Limbo si legge41;
e che nulla non fe’ sanza cagione42
quel primo Padre ch’ogni cosa regge:
sì che il mondo non fe’ sanza persone
dove tu vedi andar laggiù le stelle,
pianeti e segni e tante cose belle43.

239 Non fu quello emisperio fatto a caso,


né il sol tanta fatica indarno dura44,
la notte, il dì, dall’uno all’altro occaso45:
ché il sommo Giove non n’arebbe cura,
se fussi colaggiù vòto rimaso46.
E nota che l’angelica natura,
poi ch’a te piace di saper più addentro,
da quella parte rovinòe nel centro47.

38. Nota ... vista: osserva che vi sono 41. Tanto è ... legge: tanto è che chi os- ci si rifà ancora alla concezione tolemaica).
uomini dall’ignoranza o usa, profonda, serverà bene la propria religione potrebbe 45. dall’uno ... occaso: dall’uno all’altro
pigra, accidiosa o malvagia, che, poiché si anche salvarsi, come si legge degli an chi, emisfero (l’occaso è il punto dove il sole
rifiutano di capire qual è il bene (è il sen- che si trovano nel Limbo. Infa i gius tramonta).
so dell’espressione metaforica la porta al dell’an chità, anche senza aver conosciu- 46. il sommo ... rimaso: Dio non avrebbe
veder tenendo chiusa), hanno ricevuto to Cristo, poterono salvarsi, ed erano col- cura di far giungere il sole anche ad illu-
invano l’anima e l’intelligenza (vista è da loca nel Limbo. minare l’altro emisfero, se fosse rimasto
intendere nel senso intelle uale). 42. nulla ... cagione: nulla fece senza una pre- vuoto di abitan . La perifrasi sommo Gio-
39. però ... scusa: perciò questo po di cisa ragione (sogge o è il primo Padre, Dio). ve per designare Dio è di origine dantesca,
ignoranza non trova perdono in Cielo; cioè 43. sì che ... belle: sì che non creò disabi- Purgatorio, VI, v. 118.
chi non sa dis nguere il bene viene con- tato il mondo laggiù verso occidente, dove 47. l’angelica ... centro: poiché tu vuoi
dannato. tu vedi andare le stelle, i piane , le costel- sapere più addentro, sappi che Lucifero
40. Noluit intelligere: citazione dai Sal- lazioni e tante cose belle del cielo. (l’angelica natura, l’angelo ribelle che Dio
mi, XXXV, 4: «Non volle capire, per agire 44. tanta fa ca ... dura: sopporta invano precipitò nell’inferno) cadde giù dal cielo
bene». tanta fa ca (di girare intorno alla Terra: Pul- da quella parte, nell’altro emisfero.

Analisi del testo


Il lato serio di Pulci. Anche Astarotte, come Margutte, è una creazione originale
del poeta, un personaggio che non si trova nei cantari che costituiscono le fonti del Mor-
Un diavolo colto gante. È un diavolo cortese e colto, che con il mago e con Rinaldo discetta a lungo, con
profonda competenza, di argomenti teologici e scientifici. Astarotte incarna, di contro al
gusto beffardo e “carnevalesco”, il lato serio di Pulci, i suoi profondi interessi filosofici
e religiosi (a cui si associa la curiosità per le scienze occulte, la magia, i misteri della
Khabbalà ebraica), il suo spirito inquieto di ricerca, insofferente dei dogmi tradizionali.
Il problema Uno spirito quasi “illuministico”. In questo passo il diavolo filosofo affronta in-
degli antipodi nanzitutto il problema degli antipodi, cioè degli abitanti dell’altro emisfero, ancora

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 103


inesplorato e sconosciuto. Vi si coglie uno spirito quasi “illuministico” nello sfatare
le vane credenze connesse con le colonne d’Ercole, come quella che affermava che
chi si fosse spinto oltre di esse sarebbe caduto nel vuoto. Tali credenze sono attribuite
La rotondità all’ignoranza di epoche passate («Era più grossa allor la mente umana»). Per bocca di
della terra Astarotte Pulci afferma invece, con pacata sicurezza “scientifica”, che si può navigare
senza pericoli oltre alle colonne, perché il globo terrestre è rotondo.
Il rovesciamento Una celebrazione della conoscenza. Vi è qui un implicito richiamo all’episodio
dell’Ulisse dantesco di Ulisse nell’Inferno, ma Pulci rovescia radicalmente l’atteggiamento dantesco: non vi
è la condanna del «folle volo» dell’eroe, che ha osato varcare i limiti imposti da Dio alle
conoscenze umane ed è andato incontro all’inevitabile fallimento e alla sanzione divina,
ma l’esaltazione dell’ardore di conoscenza, la convinzione che per esso non esistono limi-
ti. Già nell’ottava 130 dello stesso canto Rinaldo, giunto in vista delle colonne d’Ercole,
lodava Ulisse «che per veder nell’altro mondo gisse [andò]»; e poco oltre, terminato il
discorso di Astarotte, affermerà il proposito, conclusa l’impresa di Roncisvalle, di avven-
turarsi egli stesso al di là delle colonne e di esplorare le regioni sconosciute, perché «vi-
Lo spirito vere e morir vuolsi apparando [imparando]» (245, 5). Si esprimono cioè in questo episodio
rinascimentale una volontà di esplorazione, di scoperta, di avventura al di là di tutti i limiti imposti, una
curiosità intellettuale libera da impacci e riverenze, un’entusiastica celebrazione della
conoscenza come essenza della dignità umana, che sono tipicamente rinascimentali, e
sono antitetiche rispetto all’ossequio per l’autorità e la mentalità dogmatica della cultura
medievale. È lo spirito di ricerca e di esplorazione che porterà, di lì a pochi anni, alle sco-
perte geografiche di Colombo, di Vasco de Gama, di Magellano, di Vespucci, di Caboto,
che nel discorso di Astarotte sembrano trovare una curiosa anticipazione.
La tolleranza. In sintonia con questa curiosità intellettuale per la scoperta è lo spirito
Anche il non cristiano di tolleranza che informa la seconda parte del discorso di Astarotte. Secondo il diavolo
può salvarsi (che qui è evidentemente portavoce di Pulci stesso) anche chi non adora la vera religione
può salvarsi: a Dio è gradita ogni religione, purché sinceramente vissuta e osservata con
fedeltà; chi si offre con cuore giusto non può non essere accettato da Dio. Anche questo
atteggiamento di tolleranza verso tutte le credenze religiose è proprio dello spirito rina-
scimentale, ed è in netta antitesi con le posizioni medievali, che vedevano la possibilità
di salvezza solo nella religione cristiana, e condannavano tutte le altre confessioni come
false e blasfeme (si ricordi Dante, Inferno, I, v. 72, «al tempo dei falsi e bugiardi»).

ATTIVITÀ SUL TESTO


COMPRENSIONE
1. A quale teoria rela va all’altro emisfero la voce narrante aderisce nella prima strofa? Quale invece è
sostenuta da Astaro e a questo stesso riguardo?
2. Quale opinione esprime Astaro e a proposito della fede e della salvezza?

ANALISI
3. In quale punto del testo si può osservare la figura della re cenza?
4. Il riferimento al passaggio delle colonne d’Ercole evoca il modello dell’Ulisse dantesco. In quali altri
aspe sembra di poter cogliere un’eco della Commedia?
5. Che rapporto vi è tra i contenu del discorso di Astaro e e la sua natura di diavolo? Da quale punto di vista
le sue teorie possono apparire “diaboliche”? È un punto di vista coincidente con quello del poeta, a tuo avviso?
6. Rintraccia tu i termini e le espressioni riconducibili alle aree seman che della conoscenza/intelligenza
e dell’ignoranza.

INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI


7. Rifle sulla concezione della conoscenza espressa da Astaro e: in che misura essa rispecchia lo spirito
umanis co?

104 1 - L’età umanis ca


3. La riproposta dei valori
cavallereschi: l’Orlando
innamorato di Boiardo
Il pubblico Come abbiamo visto i cantari venivano per lo più recitati nelle piazze, conservando le
cortigiano del poema caratteristiche prevalenti della tradizione orale, mentre la ripresa del poema cavalle-
cavalleresco
resco con elevate intenzioni d’arte ha luogo nell’ambiente sfarzoso della corte, almeno
per due ragioni: da un lato esso viene incontro alle esigenze di divertimento e di svago
di una società raffinata e culturalmente evoluta (anche se i canti venivano letti davanti
ai signori, non si può certo parlare qui di tradizione orale); dall’altro gli ideali caval-
lereschi del mondo feudale, depurati alla luce di una nuova civiltà, sembravano poter
rivivere nell’ambiente aristocratico della nobiltà cortigiana.
La poesia a Ferrara Particolare importanza assume la corte estense di Ferrara, dove opera Matteo Maria
Boiardo ( A2) e dove ancora, portando a compimento il processo indicato, Ludovico
Ariosto comporrà l’Orlando furioso ( Sez. 2, Percorso 5, p. 248). La corte ferrarese aveva
conservato vivo il culto della cortesia, della magnanimità cavalleresca, delle gesta valo-
rose e degli amori sublimi. I romanzi francesi e italiani erano lettura avidamente cercata
dai duchi stessi e dai gentiluomini e dalle dame di corte (come testimoniano i testi pre-
senti nella biblioteca estense). È in questo contesto che Boiardo compone il suo poema,
l’Orlando innamorato, intriso di nostalgia per il mondo della cavalleria e della cortesia.

A2 Matteo Maria Boiardo


La vita Nato nel 1441 da una famiglia dell’antica nobiltà feudale, il conte Matteo
Maria Boiardo ad appena vent’anni si trovò a reggere l’avito feudo di Scandiano, presso
Reggio Emilia. Qui trascorse parecchi anni, recandosi solo saltuariamente a Ferrara
per partecipare a qualche missione diplomatica ed impiegando il resto del tempo negli
Alla corte di Ferrara studi umanistici e nella caccia. Nel ’76 si trasferì stabilmente a Ferrara come “com-
pagno” del duca Ercole, e negli anni successivi ebbe l’incarico di governatore prima a
Modena (1480-83), poi dal 1487 a Reggio, dove morì nel 1494.

Opere in latino Le opere minori e gli Amorum libri Dotato di una buona educazione umanistica,
e in volgare Boiardo scrisse in latino opere a carattere encomiastico e, in volgare, una commedia, il
Il Canzoniere Timone. Ma soprattutto occorre ricordare il Canzoniere (o Amorum libri, come lo intitolò
Boiardo stesso, rifacendosi a Ovidio) che raccoglie le sue liriche in volgare ispirate
all’amore per Antonia Caprara, dama della corte reggiana di Sigismondo d’Este. L’opera
fu concepita fra il 1469 e il 1471 e ordinata entro il 1476, ed è composta di 180 testi
(per lo più sonetti e canzoni). È organizzata secondo una precisa architettura: il primo
libro canta le gioie dell’amore felice e corrisposto, il secondo le sofferenze per il tradi-
mento, il terzo, dopo un oscillare tra speranze, nostalgie, rimpianti, si chiude con il pen-
timento e la preghiera. L’opera ricalca evidentemente modelli letterari, in primo luogo
Petrarca, ma anche gli stilnovisti. Però gli smorti schemi della tradizione sono investiti
da una carica poetica esuberante e fresca, che fa del Canzoniere boiardesco un’opera
originale nell’ambito della lirica di imitazione petrarchesca fiorita nel corso del Quat-
trocento. È soprattutto il primo libro che appare come cosa nuova: vi si manifesta uno
slancio di intensa sensualità, che si estende a tutta la natura: l’amore diviene come un
fremito universale di vitalità, che anima tutte le cose ( Percorso 2, T5, p. 80). Anche il
linguaggio è lontano dalla rarefatta stilizzazione e dalla levigatezza di quello di Petrar-
ca, e nei suoi evidenti caratteri “padani” conserva qualcosa di spontaneo e immediato.

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 105


La composizione L’Orlando innamorato: la materia del poema Dal 1476 Boiardo cominciò a lavorare
all’Orlando innamorato, il suo capolavoro. Nel 1483 furono pubblicati i primi due libri,
in 60 canti. La composizione di un terzo libro procedette molto più lentamente, e fu inter-
rotta bruscamente al IX canto, pochi mesi prima della morte del poeta; nell’ultima ottava
si coglie l’eco dei dolorosi eventi storici contemporanei, la calata di Carlo VIII nel 1494.
Il poema riprende la materia cavalleresca ed è destinato al diletto di un’élite cortigiana,
come il poeta stesso dichiara nel proemio: «Signori e cavallier che ve adunati / per odir
La novità della materia cose dilettose e nove». E già il titolo indica qual è la “novità” su cui Boiardo punta per
suscitare l’interesse del suo aristocratico pubblico: il forte paladino Orlando, protago-
nista di tante imprese guerresche, l’austero e saggio difensore della fede, cade in preda
La fusione tra all’amore, come uno degli eroi dei romanzi bretoni. Boiardo porta così a compimento
la materia carolingia quella fusione dei due cicli cavallereschi, il carolingio e l’arturiano, che già era stata
e quella bretone
avviata nei secoli precedenti. Nel poema si intrecciano armi ed amori, a cui fa da sfondo
un altro elemento tipicamente bretone, il meraviglioso fiabesco, affidato alla presenza
di fate, maghi, incantesimi, mostri, giardini fatati. In un proemio famoso (libro II, canto
XVIII) il poeta giustifica questa scelta, sostenendo di preferire la corte di re Artù, che
fu gloriosa un tempo «per l’arme e per l’amore», a quella di Carlo Magno, che «tenne
ad Amor chiuse le porte / e sol se dette alle battaglie sante». I suoi ideali sono infatti
amore e forza guerriera: queste sono per lui le virtù inseparabili del perfetto cavaliere,
poiché solo Amore può procurare «onore» e «gentilezza».
La vicenda In tal modo, nell’austero mondo dell’epica carolingia, Boiardo scatena la forza dell’amore,
e ne fa la molla di una serie infinita di avventure. L’apparizione di Angelica, la bellissima
figlia del re del Cataio (la Cina), durante una «corte bandita» di Carlo Magno, scatena i
desideri di tutti i cavalieri, cristiani e pagani, che l’inseguiranno per ottenere il suo amo-
re. Per lei Orlando stesso perderà la ragione, fino a sfidare un altro dei tanti spasimanti, il
paladino Rinaldo. Re Carlo li separa e promette la fanciulla a quello dei due che combat-
terà più valorosamente nella battaglia imminente contro i Saraceni. A questo punto si in-
terrompe la narrazione, che verrà poi ripresa e continuata da Ariosto nell’Orlando furioso.

Valori cavallereschi e valori umanis ci nell’Orlando innamorato Al centro del


L’attualità dei valori poema si collocano dunque le armi e gli amori. A differenza del Pulci, che negli stessi
cavallereschi anni affrontava nel Morgante un’analoga materia, i valori del mondo cavalleresco sono
da Boiardo profondamente sentiti. Il poeta ritiene che quei valori, che nel corso della
civiltà urbana e mercantile parevano tramontati, rivivano nella società cortigiana, in
particolare in quella ferrarese, appassionata di prodezza, lealtà e cortesia, avida di
amori galanti. Per lui quindi i valori cavallereschi non sono solo sogni da proiettare in
un passato mitico, ma sono praticabili nel presente. Boiardo può dunque essere definito
“cantore della cavalleria”: il suo poema vibra continuamente di entusiasmo per le azio-
ni valorose, i gesti magnanimi, gli amori sublimi. Ma proprio perché corrisponde agli
interessi vivi della società cortigiana quattrocentesca, quel mondo cavalleresco non è
La cavalleria secondo più quello espresso dalla civiltà medievale, né potrebbe esserlo. Boiardo è immerso
i valori rinascimentali nella civiltà umanistica del suo tempo: di conseguenza per lui, come per la società a
cui si rivolge, la cavalleria è ormai svuotata degli originari contenuti religiosi, etici e
politici, e si è riempita di valori moderni, quelli umanistico-rinascimentali.
Prodezza e “virtù” In primo luogo la “prodezza” cavalleresca (come ha dimostrato Bigi) non è più solo
dell’individuo forza guerriera, ma è la “virtù” dell’individuo libero, attivo, energico, che sa superare
ogni ostacolo e imporre il suo dominio sulla Fortuna. Dietro le avventure cavalleresche
compare così un tema che era da tempo al centro della civiltà italiana, a partire dal
Boccaccio. Il motivo della “virtù” umana che vince la Fortuna è più volte teorizzato
nel poema e prende corpo in uno degli episodi più significativi, quello in cui Orlando
insegue e dopo mille ostacoli riesce a raggiungere la fata Morgana, che simboleggia la
Fortuna volubile e inafferrabile.

106 1 - L’età umanis ca


L’individualismo Questo culto della vita attiva ed energica, al livello più alto, si manifesta come indivi-
dualismo proteso all’affermazione di sé, alla conquista della gloria e della fama. Pertanto
anche l’onore perde la sua fisionomia feudale e rispecchia l’esigenza tutta umanistica del
La lealtà e la tolleranza primeggiare, ponendosi come giusta ricompensa della “virtù” e dell’agire energico. A loro
volta la lealtà e la cortesia assumono l’aspetto tutto moderno del rispetto per la personalità
altrui, anche dei nemici, e della tolleranza verso credenze diverse. Ma il rozzo individuali-
smo guerriero non basta per definire un autentico ideale umano: esso deve venire integrato
La cultura e l’essenza e raffinato dalle doti intellettuali, dalla cultura. È questo l’aspetto in cui meglio si coglie
dell’uomo il nuovo senso umanistico che assumono i valori cavallereschi nel Boiardo. Eloquente
è a tal proposito l’episodio del duello fra Orlando ed Agricane ( T4, p. 116): il re tartaro
rappresenta il tipo più arcaico e superato di eroe guerriero, caratterizzato dalla bruta forza;
Orlando è invece superiore a lui perché è un cavaliere colto, “filosofo”, che sa discettare
opportunamente sulle più alte questioni etiche e metafisiche. È Orlando stesso ad affer-
mare che nel sapere risiede l’essenza dell’uomo, ciò che lo fa degno di questo nome e lo
distingue dai bruti («Ed è simile a un bove, a un sasso, a un legno, / chi non pensa allo
eterno Creatore; / né ben se può pensar senza dottrina», libro I, canto XVIII, ottava 44).
Come il motivo della prodezza cavalleresca è spogliato ormai di ogni idealità medieva-
le, così nel poema boiardesco l’amore è lontano dalla visione cortese di origine feudale.
L’amore come L’amore non è che un’altra manifestazione di quel senso gioioso, energico e attivo della
manifestazione vita, che si rivela nella prodezza guerriera. Perciò amore e armi, formando un’inscindi-
di gioia ed energia
bile unità, esprimono una visione già rinascimentale della vita, in senso laico, monda-
Angelica e l’immagine no, edonistico. La più felice incarnazione di questa visione dell’amore è Angelica, che
della donna non ha più nulla delle diafane creature stilnovistiche, o dello stilizzato figurino della
Laura petrarchesca, ma è donna in tutta la complessa mobilità della sua psicologia,
seducente e tenera, sensuale e capricciosa, crudele e appassionata, protesa con tutte
le forze a soddisfare il suo desiderio amoroso. Per trovare antecedenti a una figura così
nuova, si può solo risalire a certe complesse eroine boccacciane.
L’ironia di Boiardo Non manca lo sguardo sorridente con cui l’autore segue alcuni personaggi; ma quella
che è stata definita l’“ironia” di Boiardo non è certo, come si è creduto, l’atteggiamento
di uno spirito adulto e disincantato, che guarda con distacco idealità definitivamente
tramontate, poiché nel poema la cavalleria è veicolo di ideali ancora vivi e attuali. Al
contrario, il sorriso di Boiardo è l’effetto di una partecipazione goduta allo slancio vitale
che anima le sue storie, l’indizio della simpatia per l’esuberanza gagliarda dei suoi eroi,
e mira a rendere quel mondo più familiare e simpatico anche ai lettori.
La stru ura narra va e lo s le Il senso di esuberante vitalità che anima la materia
dell’Innamorato è anche la legge che presiede al formarsi della sua struttura narrativa.
Il proliferare rigoglioso La trama del poema si costruisce attraverso un proliferare inesauribile di fatti, perso-
dell’intreccio naggi, situazioni. L’affollarsi di avventure meravigliose, battaglie, duelli, incontri con
mostri, giganti, fate, incantesimi, amori, è mosso da uno slancio prepotente, che nasce
dal piacere assaporato di narrare una «bella istoria» dinanzi ad un ideale uditorio,
avido di «odir cose dilettose e nove». Il fluire della narrazione sembra poter continuare
ON LINE
all’infinito, senza mai arrivare ad un punto terminale, conclusivo. In questa struttura
TesƟ
Matteo Maria Boiardo
narrativa rigogliosa numerosi fili, riguardanti personaggi diversi, si intrecciano fra loro
Alcune dichiarazioni (entrelacement). Le vicende dell’uno sono seguite sino ad un certo punto, poi interrotte
di poetica
dall’Orlando innamorato
per seguire quelle di un altro, poi riprese, mescolate, creando l’impressione di una
selva lussureggiante.
La libertà vitale dell’organismo narrativo si riflette anche nello stile. La lingua di Boiardo
è lontana dalle rigide codificazioni classicistiche che saranno proprie, di lì a pochi anni,
LaON LINE ibrida
lingua della letteratura cinquecentesca, dominata dall’autorità del Bembo. È una lingua ibrida,
TesƟ che sul fondo letterario toscano innesta elementi fonetici, morfologici, lessicali tipicamen-
Matteo Maria Boiardo te “padani” (senza escludere latinismi colti). L’effetto è quello di una grande freschezza e
Orlando insegue
Morgana: la “virtù” immediatezza, che si intona perfettamente con lo slancio che pervade la narrazione.
umana e la Fortuna
dall’Orlando innamorato
Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 107
Ma eo Maria Boiardo
T3 Proemio del poema e apparizione
di Angelica dall’Orlando innamorato, I, I, 1-4; 8-9; 11-12; 19-34
Nel primo canto dell’Orlando innamorato, dopo il tradizionale proemio, Boiardo descrive i prepara -
vi per la giostra che re Carlo sta organizzando a Parigi. Nel mezzo di un sontuoso banche o arriva la
ON LINE bella Angelica che ammalia con la sua sfolgorante bellezza tu i presen .
Audio › Metro: o ave di endecasillabi; schema delle rime ABABABCC.

1 Signori e cavallier che ve adunati1


per odir cose dilettose e nove2,
stati attenti e quïeti, ed ascoltati3
la bella istoria che ’l mio canto muove4;
e vedereti i gesti smisurati5,
l’alta fatica e le mirabil prove
che fece il franco6 Orlando per amore
nel tempo del re Carlo imperatore.

2 Non vi par già, signor, meraviglioso7


odir cantar de Orlando inamorato.
Ché qualunque8 nel mondo è più orgoglioso,
è da Amor vinto, al tutto subiugato9;
né forte braccio, né ardire animoso,
né scudo o maglia10, né brando11 affilato,
né altra possanza12 può mai far diffesa,
che al fin non sia da Amor battuta e presa.

3 Questa novella13 è nota a poca gente,


perché Turpino14 istesso la nascose,
credendo forse a quel conte15 valente
esser le sue scritture dispettose16,
poi che contra ad Amor pur17 fu perdente
colui che vinse tutte l’altre cose:
dico di Orlando, il cavalliero adatto18.
Non più parole ormai, veniamo al fatto. 12. possanza: forza, potenza.
13. novella: racconto, vicenda.
4 La vera istoria di Turpin ragiona19 14. Turpino: arcivescovo di Reims, vissu-
to nell’VIII secolo e caduto a Roncisvalle.
che regnava in la terra de orïente, Iden ficato con l’autore di una Storia di
di là da l’India, un gran re di corona, Carlo Magno e di Orlando, del secolo XII,
venne arbitrariamente considerato come
la fonte del ciclo carolingio.
1. ve aduna : vi adunate (indica il pubbli- sto termine riprende la terminologia epico- 15. conte: epiteto con il quale viene abi-
co della corte, che si riunisce per ascoltare cortese). tualmente indicato Orlando (è sinonimo di
il racconto delle avventure di Orlando). 7. Non vi ... meraviglioso: non vi sembri, si- paladino, che deriva a sua volta da “conte
2. dile ose e nove: piacevoli e mai udite gnore, strano, stupefacente (l’uso di signor pala no”).
prima (le ragioni della novità verranno può essere inteso, forse volutamente, come 16. esser ... dispe ose: il racconto per
spiegate poco dopo). plurale e singolare, nel qual caso il poeta si iscri o della “novella” avrebbe provocato
3. ascolta : ascoltate. rivolgerebbe dire amente al principe). dispe o, dispiacere a Orlando.
4. che ... muove: che offre lo spunto, dà 8. qualunque: chiunque (anche i più orgo- 17. pur: invece (l’an tesi indica il contrasto,
origine al mio canto. gliosi, duri e insensibili). essenziale per lo svolgimento dell’azione,
5. vedere ... smisura : vedrete le gesta, 9. al tu o subiugato: del tu o soggioga- fra la forza e l’amore).
gli a straordinari (si ricordi l’an co ap- to. 18. ada o: perfe o (il termine deriva dal-
pella vo di “canzoni di gesta”). 10. maglia: la maglia di ferro della corazza. la tradizione dei cantari).
6. franco: nobile e coraggioso (anche que- 11. brando: spada. 19. ragiona: racconta.

108 1 - L’età umanis ca


di stato e de ricchezze sì potente20
e sì gagliardo de la sua persona,
che tutto il mondo stimava nïente:
Gradasso nome avea quello amirante21,
che ha cor di drago e membra di gigante.

[Gradasso organizza un numeroso esercito di «cento cinquanta millia


cavallieri» con il quale si dirige in Francia, desideroso di conquistare
Durindana, la spada di Orlando, e Baiardo, il destriero di Ruggiero.]

8 Lassiam costor che a vella22 se ne vano,


che sentirete poi ben la sua gionta23;
e ritornamo in Francia a Carlo Mano24,
che e soi magni baron provede25 e conta;
imperò che26 ogni principe cristiano,
ogni duca e signore a lui se afronta27
per una giostra28 che aveva ordinata
allor di maggio, alla pasqua rosata29.

9 Erano in corte tutti i paladini


per onorar quella festa gradita,
e da ogni parte, da tutti i confini
era in Parigi una gente infinita.
Eranvi ancora molti Saracini,
perché corte reale era bandita30,
ed era ciascaduno assigurato,
che non sia traditore o rinegato.

[...]

11 Parigi risuonava de instromenti,


di trombe, di tamburi e di campane;
vedeansi i gran destrier con paramenti,
con foggie disusate, altiere31 e strane;
e d’oro e zoie32 tanti adornamenti
che nol potrian33 contar le voci umane;
però che per gradir lo imperatore34
ciascuno oltra al poter si fece onore.

12 Già se apressava35 quel giorno nel quale


si dovea la gran giostra incominciare,
quando il re Carlo in abito reale
alla sua mensa fece convitare corte reale era aperta anche ai pagani e
ciascun signore e baron naturale36, ciascuno, partecipandovi, poteva essere
sicuro (assigurato), purché non fosse un
traditore o un rinnegato.
20. di corona ... sì potente: così potente per ragioni di rima, anche per evitare la ri- 31. al ere: superbe.
per il tolo (corona), la forza poli co- pe zione con il successivo magni, grandi). 32. zoie: gioie, gioielli.
militare (stato) e la ricchezza. 25. provede: passa in rassegna. 33. nol potrian contar: non lo potrebbero
21. amirante: emiro. 26. imperò che: poiché, giacché. raccontare.
22. a vella: a vela, sulle navi. 27. se afronta: si presenta. 34. gradir lo imperatore: far cosa grata,
23. la sua gionta: la sua aggiunta; cioè il 28. giostra: torneo. rendersi gradito all’imperatore.
seguito dell’impresa di Gradasso. 29. pasqua rosata: Pentecoste. 35. se apressava: si avvicinava.
24. Carlo Mano: Carlo Magno (oltre che 30. era bandita: era stata convocata. La 36. naturale: di nascita.

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 109


che venner la sua festa ad onorare;
e fôrno37 in quel convito li assettati38
vintiduo millia e trenta annumerati.

[Carlo Magno dà inizio al banche o, ospitando alla sua tavola gli


illustri cavalieri cris ani, mentre i Saraceni stanno sdraia «come
mas ni» sopra tappe secondo la loro usanza. Rinaldo, osservan-
do i Saraceni, pregusta le vi orie che riporterà su di essi, mentre
re Balugante, il cognato di Carlo Magno, si informa sulla condizio-
ne dei vari cavalieri, per poterli onorare adeguatamente.]

19 Mentre che stanno in tal parlar costoro,


sonarno li instrumenti da ogni banda39,
ed ecco piatti grandissimi d’oro,
coperti de finissima vivanda40;
coppe di smalto, con sotil lavoro41,
lo imperatore a ciascun baron manda.
Chi de una cosa e chi d’altra onorava,
mostrando che di lor si racordava42.

20 Quivi si stava con molta allegrezza,


con parlar basso43 e bei ragionamenti:
re Carlo, che si vidde in tanta altezza44,
tanti re, duci45 e cavallier valenti,
tutta la gente pagana disprezza,
come arena del mar denanti a i venti46;
ma nova47 cosa che ebbe ad apparire,
fe’ lui con gli altri insieme sbigotire.

21 Però che in capo48 della sala bella


quattro giganti grandissimi e fieri
intrarno, e lor nel mezo49 una donzella,
che era seguìta da un sol cavallieri50.
Essa sembrava matutina stella51
e giglio d’orto e rosa de verzieri52:
in somma, a dir di lei la veritate,
non fu veduta mai tanta beltate53.

22 Era qui nella sala Galerana,


ed eravi Alda, la moglie de Orlando, zo a loro.
50. da un sol cavallieri: si tra a di Uberto,
Clarice ed Ermelina54 tanto umana, fratello di Angelica.
51. matu na stella: la stella del ma no
era propriamente Venere; ma l’appella vo
37. fôrno: furono (va con annumera , nel alla vita delle cor contemporanee che a è a ribuito anche alla Vergine.
senso che furono presen , si contarono...). quella dell’età medievale. 52. verzieri: giardino.
38. li asse a : i partecipan (coloro che 44. in tanta altezza: così altamente onora- 53. beltate: bellezza.
erano sedu a tavola). to, per la presenza di tan nobili personag- 54. Galerana ... Alda ... Clarice ed Erme-
39. banda: parte, lato. gi (duci, duchi). lina: Galerana era la moglie di Carlo Ma-
40. de finissima vivanda: di ricercate vi- 45. duci: capitani. gno. Nella Chanson de Roland Alda la Bel-
vande. 46. come arena ... ven : come se (i paga- la, sorella di Uliveri, muore quando Carlo
41. con so l lavoro: finemente lavora , ni) fossero dei granelli di sabbia sollevata Magno le annuncia la fine di Orlando, di
cesella . dal vento. cui era fidanzata. Clarice ed Ermelina (tan-
42. si racordava: si ricordava. 47. nova: straordinaria. to umana, ossia cortese) sono rispe va-
43. basso: a bassa voce. Viene ricreata 48. in capo: in fondo. mente le spose di Rinaldo e di Uggieri il
un’atmosfera di matura civiltà, più vicina 49. intrarno ... mezo: entrarono, e in mez- Danese.

110 1 - L’età umanis ca


ed altre assai, che nel mio dir non spando55,
bella ciascuna e di virtù fontana56.
Dico, bella parea ciascuna, quando
non era giunto in sala ancor quel fiore,
che a l’altre di beltà tolse l’onore57.

23 Ogni barone e principe cristiano


in quella parte ha rivoltato il viso,
né rimase a giacere alcun pagano;
ma ciascun d’essi, de stupor conquiso58,
si fece a la donzela prossimano59;
la qual, con vista allegra e con un riso
da far inamorare un cor di sasso,
incominciò così, parlando basso:

24 – Magnanimo segnor, le tue virtute


e le prodezze de’ toi paladini,
che sono in terra tanto cognosciute,
quanto distende il mare e soi confini,
mi dan speranza che non sian perdute
le gran fatiche de duo peregrini60,
che son venuti dalla fin del mondo
per onorare il tuo stato giocondo61.

25 Ed acciò ch’io62 ti faccia manifesta,


con breve ragionar, quella cagione
che ce ha condotti alla tua real festa,
dico che questo è Uberto dal Leone63,
di gentil stirpe nato e d’alta gesta64,
cacciato del suo regno oltra ragione65:
io, che con lui insieme fui cacciata,
son sua sorella, Angelica nomata66.

26 Sopra alla Tana duecento giornate67,


62. acciò ch’io: affinché io.
dove reggemo il nostro tenitore68 63. Uberto dal Leone: falso nome dietro cui
ce fôr di te le novelle aportate69, si nasconde il fratello di Angelica, Argalia.
e della giostra e del gran concistoro70 64. gesta: rango.
65. oltra ragione: senza mo vo, ingiusta-
di queste nobil gente qui adunate; mente.
e come né città, gemme o tesoro 66. nomata: chiamata.
67. Sopra ... giornate: duecento giornate
son premio de virtute71, ma si dona di cammino (anche in questo caso la cifra
al vincitor di rose una corona72. è iperbolica) oltre il Tanai (il fiume russo
Don).
68. reggemo ... tenitore: governiamo il
27 Per tanto ha il mio fratel deliberato, nostro territorio, stato.
per sua virtute quivi dimostrare, 69. ce ... aportate: ci furono portate no -
zie di te.
70. concistoro: convegno.
55. spando: nomino, cito. gelica, che sta parlando, e il fratello, da 71. son ... virtute: sono da in premio al
56. fontana: fonte, esempio. cui è accompagnata), giun dalla fin del valore.
57. l’onore: il primato. mondo, dalla parte opposta e più lontana 72. una corona: la corona di rose, premio
58. conquiso: conquistato, vinto. della Terra. Angelica proviene dal Catai, del vincitore della giostra, indica il disinte-
59. prossimano: vicino. corrispondente all’a uale Cina. resse dei cavalieri che gareggiano solo per
60. peregrini: pellegrini, viaggiatori (An- 61. il tuo stato giocondo: il tuo regno felice. mostrare il loro valore.

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 111


dove il fior de’ baroni è radunato,
ad uno ad un per giostra contrastare73:
o voglia esser pagano o battizato,
fuor de la terra lo venga a trovare74,
nel verde prato alla Fonte del Pino,
dove se dice al Petron di Merlino75.

28 Ma fia questo con tal condizïone


(colui l’ascolti che si vôl provare):
ciascun che sia abattuto de lo arcione,
non possa in altra forma repugnare76,
e senza più contesa sia pregione77;
ma chi potesse Uberto scavalcare78,
colui guadagni la persona mia:
esso79 andarà con suoi giganti via. –

29 Al fin delle parole ingenocchiata


davanti a Carlo attendia80 risposta.
Ogni om per meraviglia81 l’ha mirata,
ma sopra tutti Orlando a lei s’accosta
col cor tremante e con vista cangiata82,
benché la voluntà83 tenìa nascosta;
e talor gli occhi alla terra bassava,
ché di se stesso assai si vergognava.

30 «Ahi paccio84 Orlando!» nel suo cor dicia85


«Come te lasci a voglia86 trasportare!
Non vedi tu lo error che te desvia87,
e tanto contra a Dio te fa fallare.
Dove mi mena la fortuna mia?
Vedome preso e non mi posso aitare88; 80. a endia: a endeva, aspe ava.
81. per meraviglia: come se fosse una
io, che stimavo tutto il mondo nulla, cosa meravigliosa, un prodigio.
senza arme vinto son da una fanciulla. 82. con vista cangiata: con aspe o mu-
tato, alterato per l’emozione provata alla
vista di Angelica.
31 Io non mi posso dal cor dipartire89 83. voluntà: passione, desiderio.
la dolce vista del viso sereno, 84. paccio: pazzo, folle. È questo il primo
germe da cui nascerà l’idea dell’Orlando
perch’io mi sento senza lei morire, furioso di Ariosto.
e il spirto90 a poco a poco venir meno. 85. dicia: diceva.
86. a voglia: dal desiderio, dall’is nto.
Or non mi val la forza, né lo ardire 87. te desvia: allontana dalla re a via
contra d’Amor, che m’ha già posto il freno91; (in quanto lo induce a fallare, a peccare
né mi giova saper92, né altrui consiglio, contro la legge di Dio).
88. aitare: aiutare (non posso far nulla per
ch’io vedo il meglio ed al peggior m’appiglio93». difendermi).
89. dipar re: staccare.
90. il spirto: lo spirito, la vita.
73. per giostra contrastare: comba ere contaminazione, del tu o arbitraria, fra le 91. m’ha ... freno: mi ha già imbrigliato (il fre-
in duello. leggende dei due cicli. no è il morso che si me e in bocca ai cavalli).
74. o voglia ... trovare: sia esso pagano 76. repugnare: comba ere nuovamente, 92. saper: il sapere (anche nel senso di
o cris ano (ba zato, ba ezzato), fuori di riprendere il comba mento in altro modo convinzione razionale).
Parigi (terra, ci à) venga a incontrarlo. (forma). 93. ch’io ... m’appiglio: perché vedo ciò
75. Petron di Merlino: la pietra so o la 77. pregione: prigioniero. che è meglio, ma scelgo il par to peggio-
quale, secondo la leggenda arturiana, 78. potesse ... scavalcare: riuscisse a di- re. È la ripresa di un verso petrarchesco
era stato sepolto per incantesimo il mago sarcionare. (Rime, CCLXIV, v. 136), a sua volta ricavato
Merlino. C’è anche in questo caso una 79. esso: Uberto. da Ovidio (Metamorfosi, VII, vv. 20-21).

112 1 - L’età umanis ca


32 Così tacitamente il baron franco
si lamentava del novello amore.
Ma il duca Naimo94, ch’è canuto e bianco,
non avea già de lui men pena al core,
anci95 tremava sbigotito e stanco,
avendo perso in volto ogni colore.
Ma a che dir più parole? Ogni barone
di lei si accese, ed anco il re Carlone96.

33 Stava ciascuno immoto e sbigottito,


mirando quella con sommo diletto;
ma Feraguto97, il giovenetto ardito,
sembrava vampa viva nello aspetto,
e ben tre volte prese per partito
di torla98 a quei giganti al suo dispetto,
e tre volte afrenò99 quel mal pensieri
per non far tal vergogna allo imperieri100.

34 Or su l’un piede, or su l’altro se muta101,


grattasi ’l capo e non ritrova loco;
Rainaldo102, che ancor lui l’ebbe veduta,
divenne in faccia rosso come un foco;
e Malagise103, che l’ha cognosciuta,
dicea pian piano: «Io ti farò tal gioco,
ribalda incantatrice, che giamai
de esser qui stata non te vantarai».

94. Naimo: Namo, vecchio e saggio cava- 97. Feraguto: cavaliere pagano. 102. Rainaldo: Rinaldo, paladino, cugino
liere cris ano. 98. di torla: di portarla via. di Orlando.
95. anci: anzi. 99. afrenò: frenò. 103. Malagise: Malagigi, mago cris ano,
96. Carlone: Carlo Magno. A prescindere 100. allo imperieri: all’imperatore. unico ad aver compreso che Angelica, con
dalle ragioni della rima, l’appella vo non è 101. Or ... se muta: saltella ora su un pie- un tranello, vuole dividere l’esercito cri-
privo di ironia. de, ora su un altro. s ano.

PESARE LE PAROLE
Sbigottito (ottava 33, v. 1) re di pensare, di ragionare, turbare le facoltà mentali,
È il participio passato del verbo sbigottire, che può indurre a perdersi d’animo”; sbalordire, da ex-, qui
essere transitivo, “intimorire, turbare profondamen- con valore intensivo, più balordo (di etimologia di-
te qualcuno” (es. le notizie del terremoto sbigottiro- scussa, forse dall’antico francese beslourd, composto
no l’intera nazione) oppure intransitivo, “turbarsi da bis- e lùridus, “pallido”), quindi “rendere sciocco,
profondamente, perdersi d’animo” (es. non sbigottì stolido, privo di senno”; disorientare, da dis + orien-
nemmeno davanti al pericolo di morte). L’etimolo- tare, “perdere la facoltà di individuare il punto di rife-
gia è incerta, forse dall’antico francese esbahir (oggi rimento dell’oriente”, quindi di prendere la direzione
s’ébahir), “sbalordire”, “stupire”, con la sovrapposi- giusta; confondere, da cum + fùndere, “versare”, cioè
zione di bagutta, “maschera”. “mescolare senza ordine né distinzione” e per trasla-
Sinonimi: sconcertare, dal prefisso s- (latino ex-) che to “turbare tanto da togliere la chiarezza del pensie-
indica la cancellazione di qualcosa + concerto (dal ro”. Si può vedere come perdere il controllo delle pro-
latino cum + certàre, “gareggiare”), quindi “alterare prie facoltà mentali e il dominio di sé venga indicato
il ‘concerto’, l’armonia delle facoltà dell’animo”; sgo- con una grande ricchezza di immagini, provenienti
mentare, dal latino parlato excommentàre (ex + com- dai campi più diversi: segno dell’importanza che ri-
mentàri, “meditare”, connesso con mèntem, “mente”, veste per l’uomo una simile esperienza negativa, che
sempre con il prefisso ex- negativo): quindi “impedi- suscita evidentemente apprensione e timore.

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 113


Analisi del testo
Il pubblico del poema Il proemio, Gradasso e il banchetto di Carlo Magno (ottave 1-20). Il pub-
blico («Signori e cavallier») al quale Boiardo si rivolge è composto dai nobili di corte
e forse dallo stesso signore, «adunati» intorno al poeta per ottenere un piacevole svago
dall’ascolto di «cose dilettose e nove».
Fusione tra ciclo L’autore opera poi la fusione tra ciclo carolingio e ciclo bretone già effettuata in parte dai
bretone e ciclo cantari, ma attribuendo all’amore un’importanza straordinaria, in quanto forza naturale
carolingio che imprime movimento a tutte le azioni. L’eroe che dà il titolo all’opera compirà ancora
«gesti smisurati», «alta fatica» e «mirabil prove», ma questi avverranno non per lealtà e
vassallaggio verso il proprio sire e per adesione alla fede cristiana, ma per amore.
Caratteri epici e Una connotazione esclusivamente epica è attribuita alla figura del “nemico” Gradasso
iperbolici di Gradasso («un gran re di corona [...] ha cor di drago e membra di gigante»), che decide la guerra
con l’unico scopo di conquistare la spada di Orlando e il cavallo di Rinaldo, mitici
emblemi della forza e della destrezza.
Dal piano epico il narratore passa poi nell’ambito di raffinate consuetudini cortesi. A Parigi
infatti è convenuta «una gente infinita» per la giostra che il re Carlo aveva ordinata «alla Pa-
squa rosata» ed alla quale possono partecipare tutti quelli che non sono traditori o rinnegati.
La descrizione La descrizione del banchetto rivela un gusto del decoro formale che rimanda al raffinato
del banchetto livello di vita raggiunto dalla corte estense di Ferrara. Alla corte di Carlo ci sono oggetti pre-
ziosi ed artisticamente lavorati, come «piatti grandissimi d’oro», «coppe di smalto»; l’atmo-
sfera generale è di civile ed elevata armonia, in cui l’«allegrezza» si accompagna al parlare
a bassa voce e ai «bei ragionamenti», oramai nobilitati da una lunga tradizione letteraria.
L’apparizione Angelica e le reazioni dei paladini (ottave 21-34). Nel seguito del canto l’ele-
di Angelica mento amoroso si materializza ben presto nella figura della bellissima Angelica. La sua
apparizione è molto teatrale: la scena è la «sala bella», il corteo è costituito da «quattro
giganti grandissimi e fieri» e «da un sol cavallieri».
Il discorso di Angelica Il discorso che pronuncia è sapientemente organizzato: alla captatio benevolentiae, con il
riconoscimento del valore di Carlo e dei paladini, segue la propria presentazione, il ricor-
do del torto subito, la disponibilità a essere schiava del vincitore del fratello. Angelica,
come accadrà anche in Ariosto, è la bella donna che sa sfruttare la propria bellezza; è
calcolatrice, astuta e accorta come ben sa Malagise (vedi ottava 34, vv. 6-8).
La novità del Questo aspetto, accoppiato con quello della seduzione, fa di Angelica un personaggio
personaggio completamente nuovo rispetto alla donna angelicata della tradizione precedente. In
di Angelica questa luce appare chiaro come il nome “Angelica” assuma tutta una colorazione anti-
frastica ( Glossario), in quanto Angelica è proprio il contrario della donna angelicata.
La presenza di Angelica nel campo dei cristiani provocherà infatti la defezione dei più
validi tra i campioni di Carlo Magno, abbagliati dalla sua irresistibile bellezza.
È evidente che Boiardo ha profondamente trasformato Carlo e i paladini, che non sono
più integerrimi difensori della fede cristiana e portatori di valori assoluti, ma uomini in
carne e ossa che subiscono fino in fondo il fascino femminile.
La reazione Boiardo si diverte e diverte il suo pubblico descrivendo l’imbarazzo dei cavalieri, cri-
dei paladini di fronte stiani e pagani, che si scoprono affascinati da Angelica. Anche il duca Namo «ch’è
ad Angelica canuto e bianco» trema d’amore «sbigottito e stanco»; ma, quello che è ancor più sor-
prendente, «anco il re Carlone» s’accende per Angelica.
Gli eroi non sono più personaggi ideali, da presentare come modelli di comportamento, ma
vengono smitizzati, caricati d’umanità. Alle reazioni di Orlando all’apparizione di Angeli-
ca, il narratore dedica maggiore spazio utilizzando il monologo, che gli consente di vedere
dall’interno i sentimenti del personaggio. L’atteggiamento del paladino davanti ad Angelica
è l’antitesi di quello tipico del cavaliere coraggioso, dai gesti «smisurati»: ora ha «il cor
L’auto-analisi tremante», la «vista cangiata», tiene gli occhi a terra e «di se stesso assai si vergognava».
di Orlando Lucidamente l’eroe avverte il proprio mutamento: «io, che stimavo tutto il mondo nulla, / senza
arme vinto son da una fanciulla»; comprende di intraprendere la strada sbagliata, quella che

114 1 - L’età umanis ca


gli farà inseguire i beni fallaci e mondani e lo porterà a «contra a Dio [...] fallare». Si autodefi-
nisce «paccio», anticipando il giudizio su di sé, sul quale Ariosto costruirà il suo poema.
La tecnica narrativa: Un’ultima osservazione riguarda un aspetto tipico della tecnica narrativa di Boiardo, ripresa
l’entrelacement dai cantari: nell’ottava 8 è presente quello che diventerà un consueto espediente o meccani-
smo strutturale, chiamato entrelacement, per operare il cambiamento della scena e introdurre
il successivo momento narrativo: «Lassiam costor [...] e ritornamo in Francia a Carlo Mano».

ATTIVITÀ SUL TESTO


COMPRENSIONE
1. Svolgi la parafrasi delle o ave 1-3.
2. Riassumi in non più di 20 righe il contenuto delle o ave 19-34.

ANALISI
3. Quali cara eris che presenta la voce narrante? Interviene dire amente nel racconto della vicenda con
propri commen e considerazioni, oppure si limita a narrare i fa ?
4. Dopo aver le o l’Analisi del testo, analizza la stru ura del discorso di Angelica (o ave 24-28), individuan-
do le par in cui si ar cola.
5. Rintraccia nelle o ave 29-34 tu e le espressioni che denotano gli effe della passione amorosa. A quale
tradizione rimanda tale lessico?
6. Individua tu gli elemen fiabeschi che compaiono nella narrazione. A quale tradizione risalgono?

INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI


7. Illustra, con opportuni riferimen al testo, le cara eris che dell’Orlando innamorato esplicitate nel
proemio dell’opera (o ave 1-3) e in par colare:
– i des natari, il contesto e la modalità di fruizione;
– la finalità;
– l’argomento e la sua originalità;
– il modello le erario (anche se fi zio);
– il tema principale.

Laboratorio di lessico e lingua


8. Individua nelle prime o ave (1-4) gli agge vi presen , indica a quali cose o persone si riferiscono e
spiega a quali campi seman ci e a quali temi del poema rimandano.
9. Nella tabella seguente sono riporta alcuni sostan vi: con l’aiuto del dizionario analizza il loro significato
e indica alcuni sinonimi che si ada no al contesto dei versi.

O ava Verso Sostan vo Sinonimi


19 5 lavoro
20 2 ragionamen
20 3 altezza
24 2 prodezze
25 2 cagione
26 4 giostra
26 6 gemme
10. Che differenza puoi notare tra vocaboli come «virtù» (o ava 22, v. 5), «beltà» (o ava 22, v. 8) e «vo-
luntà» (o ava 29, v. 6) e vocaboli come «veritate» (o ava 21, v. 7), «beltate» (o ava 21, v. 8) e «virtute»
(o ava 24, v. 1)? Quale gruppo appar ene a un registro alto?
11. Analizza l’o ava 33 dal punto di vista sinta co, riconosci tu e le proposizioni da cui è composta e
svolgi l’analisi del periodo completa.

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 115


Ma eo Maria Boiardo
T4 Il duello di Orlando e Agricane dall’Orlando
innamorato, I, XVIII, 32-55
L’episodio del duello di Orlando e Agricane, sicuramente uno dei più famosi del poema, me e in luce
sia le cara eris che cavalleresche sia quelle più specificatamente culturali dei personaggi. Agricane,
vedendo le proprie schiere in difficoltà, decide di a rare Orlando lontano dalla mischia, sicuro di
poterlo sconfiggere. Vinto il nemico, tornerà a comba ere con i suoi. Finge allora di fuggire e Orlando
si ge a al suo inseguimento.

32 Fermosse ivi1 Agricane a quella fonte,


e smontò dello arcion2 per riposare,
ma non se tolse l’elmo della fronte,
né piastra3 o scudo se volse4 levare;
e poco dimorò che gionse il conte5,
e come il vide alla fonte aspettare,
dissegli: – Cavallier, tu sei fuggito, 1. Fermosse ivi: si fermò lì.
2. dello arcion: dall’arcione, di sella.
e sì forte mostravi6 e tanto ardito! 3. piastra: armatura.
4. volse: volle.
33 Come tanta vergogna pôi soffrire7 5. poco ... conte: non si fermò a lungo che
a dar le spalle ad un sol cavalliero? giunse anche Orlando.
6. mostravi: mostravi, sembravi.
Forse credesti la morte fuggire: 7. pôi soffrire: puoi sopportare.
or vedi che fallito hai il pensiero8. 8. fallito ... pensiero: sei sbagliato.

PESARE LE PAROLE
Soffrire (ottava 33, v. 1) con il pâté, termine francese che significa “pasticcio”,
Deriva dal latino colloquiale sufferìre, variante del di fegato d’oca o di altri tipi di carni); patetico, “ciò
più classico suffèrre, “sopportare, tollerare”, com- che desta tristezza e commozione”; passibile, “che
posto di sub-, “sotto”, e fèrre, “portare”. Nel testo di può subire qualcosa”, specie nel linguaggio giuridico
Boiardo conserva dunque il senso originario latino. (es. è passibile di ergastolo); pazienza, “virtù di chi sa
Nell’italiano attuale invece soffrire indica comune- tollerare con calma e serenamente avversità, dolori,
mente il “patire dolori fisici o morali”, e può essere situazioni irritanti e sgradevoli” o “di chi sa attendere
transitivo (es. soffrire le pene dell’inferno) oppure in- senza insofferenza e nervosismo”, o ancora “di chi sa
transitivo (es. nella sua vita ha molto sofferto). lavorare con precisione, meticolosità e senza fretta”;
Sinonimo è patire (dal latino pàti), che oltre a “soffri- paziente è infine chi viene sottoposto alle cure di un
re” ha anche i significati di “subire” (es. patire offese) medico.
o “sopportare, tollerare” (es. non posso patire la diso- Stessa origine ha il suffisso -patia che compare in
nestà; in questo senso ricorre qui all’ottava 51, v. 1). tanti termini medici (cardiopatia, “sofferenza di
Dalla stessa radice provengono passione, “sentimen- cuore”, osteopatia, “malattia delle ossa”) o in parole
to forte”, o in senso religioso “sofferenza fisica” (es. la riferite a sentimenti, emozioni: antipatia, “provare
Passione di Cristo). La provenienza da una radice che sentimenti contro qualcuno” (greco antì, “contro”),
significa “subire” ci fa vedere come la passione (amo- simpatia, letteralmente “sentire insieme con qual-
rosa, per il gioco d’azzardo, per lo sport…) sia una for- cuno” (greco sýn, “con” ), apatia, “non provare sen-
za che si impone a noi, che subiamo, e che quindi può timenti” (con il prefisso a- che in greco indica priva-
annullare la nostra volontà, tanto che non riusciamo zione), telepatia, “conoscenza dei processi mentali o
a controllarla. Dalla stessa radice derivano ancora dei sentimenti di un altro senza contatto fisico, da
passivo, “che è incapace di agire o subisce senza re- lontano” (prefisso tele-, in greco “lontano”).
agire”; compassione, “partecipazione ai dolori altrui” Sinonimo di sopportare è tollerare (dal latino tòllere),
(composto di cum- e pati, quindi “patire insieme”); da cui tolleranza, che vale “capacità di sopportare”
pathos, “intensa commozione” (che propriamente è (es. buona tolleranza ai farmaci), oppure “capacità
una parola greca, ma proveniente da una radice co- di accettare che un altro abbia un’idea (politica, re-
mune con il latino); patema (sempre dal greco), “sta- ligiosa ecc.) o un’inclinazione diversa dalla nostra”:
to d’ansia e di timore”, spesso nella locuzione patema virtù mai così altamente raccomandabile come nei
d’animo (che talora nel linguaggio di persone poco nostri tempi, in cui è diffusa l’intolleranza per tutto
colte diventa paté d’animo, con una buffa confusione ciò che è diverso (gli immigrati, gli omosessuali…).

116 1 - L’età umanis ca


chi morir può onorato, die’9 morire;
ché spesse volte aviene e de legiero10
che, per durare in questa vita trista11,
morte e vergogna ad un tratto s’acquista. –

34 Agrican prima rimontò in arcione,


poi con voce suave rispondia:
– Tu sei per certo il più franco12 barone
ch’io mai trovassi nella vita mia;
e però del tuo scampo fia cagione13
la tua prodezza e quella cortesia
che oggi sì grande al campo usato m’hai,
quando soccorso a mia gente donai.

35 Però14 te voglio la vita lasciare,


ma non tornasti15 più per darmi inciampo!
Questo la fuga mi fe’ simulare,
né vi ebbi altro partito16 a darti scampo.
Se pur17 te piace meco18 battagliare,
morto ne rimarrai su questo campo;
ma siami testimonio il cielo e il sole
che darti morte me dispiace e duole. –

36 Il conte li rispose molto umano,


perché avea preso già de lui pietate19: risparmierò la vita per il tuo coraggio e per
– Quanto sei, – disse, – più franco e soprano20, la grande cortesia che oggi mi hai dimostra-
to in ba aglia, quando mi hai consen to di
più di te me rincresce in veritate, prestare soccorso alla mia gente»).
che serai morto21, e non sei cristïano, 14. Però: Per questo.
et andarai tra l’anime dannate; 15. non tornas : non tornare.
16. par to: mezzo.
ma se vôi il corpo e l’anima salvare, 17. pur: tu avia.
piglia battesimo, e lasciarotte22 andare. – 18. meco: con me.
19. de lui pietate: compassione di lui.
37 Disse Agricane, e riguardollo23 in viso: 20. soprano: sovrano, superiore agli altri.
21. morto: ucciso.
– Se tu sei cristïano, Orlando sei. 22. piglia ba esimo, e lasciaro e: ricevi il
Chi me facesse re del paradiso, ba esimo e lascerò.
23. riguardollo: lo guardò.
con tal ventura24 non la cangiarei; 24. ventura: fortuna. Vale a dire: non
ma sino or te ricordo e dòtti aviso25 cambierei la fortuna di comba ere con te,
che non me parli de’ fatti de’ Dei26, nemmeno se mi facessero re del paradiso.
25. ma sino ... aviso: ma sin d’ora am-
perché potresti predicare in vano: monisco (ricordo) e avverto.
diffenda il suo27 ciascun col brando28 in mano. – 26. de’ fa de’ Dei: dei problemi degli dèi,
di ques oni religiose.
38 Né più parole: trasse fuor Tranchera29, 27. il suo: la sua fede (so nteso Dio).
28. col brando: con la spada.
e verso Orlando con ardir se affronta30. 29. Tranchera: è questo il nome della spa-
Or se comincia la battaglia fiera, da di Agricane, secondo l’abitudine, propria
con aspri colpi di taglio e di ponta31; del poema epico-cavalleresco, di persona-
lizzare gli strumen più vicini della forza e
ciascuno è di prodezza una lumera32, del coraggio (si ricordi Durindana, la spada
e sterno33 insieme, come il libro conta34, di Orlando, T3, p. 108).
30. se affronta: si dirige per affrontarlo.
da mezo giorno insino a notte scura, 31. ponta: punta.
sempre più franchi35 alla battaglia dura. 32. lumera: luce, insigne e luminoso esem-
pio (è un francesismo di uso arcaico).
33. sterno: ste ero.
9. die’: deve. 12. franco: nobile, coraggioso. 34. come ... conta: come racconta il libro
10. de legiero: facilmente. 13. e però ... cagione: e perciò della tua sal- di Turpino ( nota 14 del T3, p. 108).
11. trista: malvagia. vezza (scampo) sarà (fia) causa (ossia: « 35. franchi: gagliardi, animosi.

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 117


39 Ma poi che il sole avea passato il monte36,
e cominciosse a fare il cel stellato37,
prima38 verso il re parlava il conte:
– Che farem, – disse, – che il giorno ne è andato?
Disse Agricane con parole pronte:
– Ambo se poseremo39 in questo prato;
e domatina, come il giorno pare40,
ritornaremo insieme a battagliare. –

40 Così de acordo il partito se prese41.


Lega il destrier ciascuno come li piace,
poi sopra a l’erba verde se distese;
come fosse tra loro antica pace,
l’uno a l’altro vicino era e palese42.
Orlando presso al fonte isteso43 giace,
et Agricane al bosco più vicino
stassi colcato44, a l’ombra de un gran pino.

41 E ragionando insieme tuttavia


di cose degne e condecente45 a loro,
guardava il conte il celo e poi dicia46:
– Questo che or vediamo, è un bel lavoro,
che fece la divina monarchia47;
e la luna de argento, e stelle d’oro,
e la luce del giorno, e il sol lucente,
Dio tutto ha fatto per la umana gente. –

42 Disse Agracane: – lo comprendo per certo


che tu vôi de la fede ragionare; che, inermi, si esponevano entrambi a un
io de nulla scïenzia sono esperto, a acco proditorio dell’avversario).
43. isteso: steso, sdraiato.
44. stassi colcato: se ne sta coricato.
36. avea ... monte: era tramontato. seremo. 45. condecente: convenien , confacen
37. e cominciasse ... stellato: e il cielo co- 40. pare: appare, nasce. (è sinonimo di degne).
minciò a diventare stellato. 41. de acordo ... prese: di comune accor- 46. dicia: diceva.
38. prima: per primo. do si prese la decisione. 47. la divina monarchia: Dio, in quanto
39. Ambo se poseremo: entrambi ci ripo- 42. palese: ben visibile (so olinea il fa o sovrano dell’universo.

PESARE LE PAROLE
Scïenzia (ottava 42, v. 3) logia) e scienze matematiche, fisiche e naturali (ma-
Dal latino scìre, “sapere, conoscere”. In questo testo tematica, fisica, biologia…). Nella scuola la dizione
conserva il significato originario, “conoscenza, sa- scienze indica comunemente le scienze naturali (es.
pere”, in senso generico. Nella lingua attuale ha un l’insegnante di scienze). Lo scientismo è l’atteggia-
senso più ristretto e indica una conoscenza fondata mento che consiste nel subordinare alla scienza ogni
sul metodo rigoroso e l’esperienza, intesa a indivi- altra attività umana. Resta però in alcune locuzioni
duare le cause dei fenomeni e le leggi che li gover- dell’italiano moderno il senso originario di “cono-
nano, tipo di conoscenza nato in epoca moderna, scenza” (es. pozzo di scienza, avere la scienza infusa).
da Galileo, Newton ecc. Oggi si suole distinguere tra Permane anche nel sostantivo lo scibile, che designa
scienze umane (tra cui rientrano le scienze storiche, il complesso di ciò che si può conoscere (es. l’im-
filosofiche, filologiche, quelle politiche, psicologi- mensità dello scibile) e nell’avverbio scientemente,
che, l’economia, l’antropologia culturale, la socio- “in modo consapevole”.

118 1 - L’età umanis ca


né mai, sendo48 fanciul, volsi49 imparare,
e roppi il capo al mastro mio per merto50;
poi non si puoté un altro ritrovare
che mi mostrasse51 libro né scrittura,
tanto ciascun avea di me paura.

43 E così spesi la mia fanciulezza


in caccie, in giochi de arme e in cavalcare;
né mi par che convenga a gentilezza52
star tutto il giorno ne’ libri a pensare;
ma la forza del corpo e la destrezza
conviense al cavalliero esercitare.
Dottrina53 al prete et al dottor sta bene:
io tanto saccio54 quanto mi conviene. –

44 Rispose Orlando: – Io tiro teco a un segno55,


che l’arme son de l’omo il primo onore;
ma non già che il saper faccia men degno,
anci56 lo adorna come un prato il fiore;
et è simile a un bove, a un sasso, a un legno,
chi non pensa allo eterno Creatore;
né ben se può pensar senza dottrina
la summa maiestate57 alta e divina. –

45 Disse Agricane: – Egli è gran scortesia


a voler contrastar con avantaggio58.
Io te ho scoperto59 la natura mia,
e te cognosco che sei dotto e saggio.
Se più parlassi, io non risponderia;
piacendoti dormir, dòrmite ad aggio60,
e se meco parlare hai pur diletto, segno indica il bersaglio, verso il quale si
de arme, o de amore a ragionar t’aspetto. lancia ( ro) la freccia. L’espressione meta-
forica è ada a all’indole dei personaggi;
ma si no anche l’accortezza del parlare
46 Ora te prego che a quel ch’io dimando di Orlando, che dà inizialmente ragione
all’avversario, per poi confutarne (a ra-
rispondi il vero, a fè de omo pregiato61: verso l’avversa va) le convinzioni.
se tu sei veramente quello Orlando 56. anci: anzi.
57. summa maiestate: somma maestà
che vien tanto nel mondo nominato; (riprende la divina monarchia dell’o ava
e perché qua sei gionto62, e come, e quando, 41, v. 5).
58. Egli è ... avantaggio: è un a o molto
e se mai fosti ancora63 inamorato; scortese (contrario cioè a ogni forma di
perché ogni cavallier che è senza amore, gen lezza) voler contrastare (comba ere)
da una posizione di superiorità (con avan-
se in vista64 è vivo, vivo è senza core. – taggio, vantaggio).
59. te ho scoperto: ho fa o conoscere,
ho rivelato apertamente.
48. sendo: essendo. do il linguaggio cortese (si ricordi che nella 60. piacendo ... aggio: se hai voglia di
49. volsi: volli. prima società feudale i cavalieri erano per dormire, dormi pure con tuo comodo (ad
50. roppi ... merto: ruppi la testa al mio mae- lo più privi di istruzione), ovvero la forza aggio, a tuo agio).
stro come ricompensa (per merto, merito) del corpo e la destrezza, l’abilità. 61. rispondi ... pregiato: tu rispondi la ve-
dei suoi insegnamen . 53. Do rina: scienza, sapienza. rità, per la fede di un uomo d’onore.
51. mostrasse: insegnasse. 54. saccio: so. 62. gionto: giunto.
52. a gen lezza: a persona nobile; indica 55. ro ... segno: sono d’accordo con te, 63. ancora: talvolta.
gli a ribu di un nobile cavaliere, secon- giungo ad una medesima conclusione. Il 64. in vista: all’apparenza.

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 119


47 Rispose il conte: – Quello Orlando sono
che occise65 Almonte e il suo fratel Troiano66;
amor m’ha posto tutto in abandono67,
e venir fammi in questo loco strano68.
E perché teco più largo ragiono69,
voglio che sappi che ’l mio core è in mano
de la figliola del re Galafrone
che ad Albraca dimora nel girone70.

48 Tu fai col patre guerra e gran furore


per prender suo paese e sua castella,
et io qua son condotto per amore
e per piacere a quella damisella71.
Molte fiate72 son stato per onore
e per la fede mia sopra alla sella73;
or sol per acquistar la bella dama
faccio battaglia, et altro non ho brama74. –

49 Quando Agricane ha nel parlare accolto75


che questo è Orlando, et Angelica amava,
fuor di misura se turbò nel volto76,
ma per la notte77 non lo dimostrava;
piangeva sospirando come un stolto,
l’anima, il petto e il spirto78 li avampava;
e tanta zelosia79 gli batte il core,
che non è vivo, e di doglia80 non muore.

50 Poi disse a Orlando: – Tu debbi pensare


che, come il giorno serà dimostrato81,
debbiamo insieme la battaglia fare,
e l’uno o l’altro rimarrà sul prato.
Or de una cosa te voglio pregare,
che, prima che veniamo a cotal piato82,
quella donzella che il tuo cor disia83,
tu la abandoni, e lascila per mia84.
74. non ho brama: non desidero.
85 75. nel parlare accolto: capito da queste
51 Io non puotria patire , essendo vivo, parole.
che altri con meco amasse il viso adorno86; 76. fuor ... volto: cambiò espressione (per
l’emozione provata).
o l’uno o l’altro al tutto serà privo 77. per la no e: essendo buio.
del spirto87 e della dama al novo giorno. 78. il spirto: lo spirito, l’animo.
79. zelosia: gelosia.
Altri mai non saprà, che88 questo rivo 80. doglia: dolore.
81. dimostrato: apparso.
82. a cotal piato: a questo duello mortale.
65. occise: uccise. si trovava dentro le mura (nel girone) di 83. disia: desidera, ama.
66. Almonte ... Troiano: principi dei Mori. Albraccà, la ci à assediata da Agricane e 84. lascila per mia: la lasci a me.
67. amor ... abandono: l’amore mi ha difesa da Orlando, entrambi innamora 85. non puotria pa re: non potrei soppor-
completamente sconvolto. della giovane. tare.
68. loco strano: paese straniero. 71. per piacere ... damisella: per far cosa 86. il viso adorno: il bel viso (di Angelica).
69. perché ... ragiono: per parlar più grata a quella damigella. 87. al tu o ... spirto: sarà completamente
chiaramente. 72. fiate: volte. privato della vita.
70. la figliola ... Galafrone: Angelica, che 73. sopra alla sella: a cavallo, comba endo. 88. che: tranne, ecce o.

120 1 - L’età umanis ca


e questo bosco che è quivi d’intorno,
che l’abbi riffiutata in cotal loco
e in cotal tempo, che serà sì poco89. –

52 Diceva Orlando al re: – Le mie promesse


tutte ho servate90, quante mai ne fei91;
ma se quel che or me chiedi io promettesse,
e se io il giurassi, io non lo attenderei92;
così potria spiccar93 mie membra istesse,
e levarmi di fronte gli occhi miei,
e viver senza spirto e senza core,
come lasciar de Angelica lo amore. –

53 Il re Agrican, che ardeva oltra misura,


non puote tal risposta comportare94;
benché sia al mezo della notte scura,
prese Baiardo95, e su vi ebbe a montare;
et orgoglioso, con vista sicura96,
iscrida al conte et ebbelo a sfidare97,
dicendo: – Cavallier, la dama gaglia98
lasciar convienti99, o far meco battaglia. –

54 Era già il conte in su l’arcion100 salito,


perché, come se mosse il re possente,
temendo dal pagano esser tradito,
saltò sopra al destrier subitamente;
unde101 rispose con l’animo ardito:
– Lasciar colei non posso per nïente,
e, se io potessi ancora, io non vorria102;
avertila convien per altra via103.

55 Sì come il mar tempesta a gran fortuna104,


cominciarno105 lo assalto i cavallieri;
nel verde prato, per la notte bruna,
con sproni urtarno adosso e buon destrieri;
e se scorgiano106 a lume della luna
dandosi colpi dispietati e fieri,
ch’era ciascun di lor forte et ardito.
Ma più non dico: il canto è qui finito.
98. gaglia: gaia, bella.
[Il duello, la cui descrizione prosegue nella prima parte del canto 99. convien : conviene, devi.
XIX, termina con la conversione e la morte di Agricane.] 100. in su l’arcion: sulla sella, a cavallo.
101. unde: per cui.
102. non vorria: non vorrei.
89. serà sì poco: sarà così breve. all’amore di Angelica. 103. aver la ... via: devi conquistarla in un
90. servate: serbate, mantenute. 94. comportare: tollerare, sopportare. altro modo.
91. ne fei: ne feci. 95. Baiardo: il cavallo di Rainaldo, che ap- 104. tempesta ... fortuna: ribolle, è scon-
92. non lo a enderei: non lo manterrei, parteneva allora ad Agricane. volto in un grande fortunale (è sinonimo
non potrei mantenerlo. 96. vista sicura: sguardo fermo. di tempesta).
93. potria spiccar: potrei strappare, ta- 97. iscrida ... sfidare: grida al conte, men- 105. cominciarno: cominciarono.
gliare. Indica l’impossibilità di rinunciare tre lo sfida a duello. 106. se scorgiano: si vedevano.

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 121


Analisi del testo
La struttura narrativa. L’episodio del duello di Orlando ed Agricane si estende per
due canti, la fine del XVIII e l’inizio del XIX. Ne abbiamo riportato la prima parte, in
cui possono essere individuati due momenti:
1) stanze 32-37: scambio di cortesie cavalleresche tra Orlando e Agricane; 2) stanze
38-55: autopresentazione dei due personaggi e dichiarazione d’amore per Angelica.
Il primo segmento Nel primo momento i due cavalieri rivelano entrambi la loro adesione alle regole del
narrativo mondo cavalleresco, che non ammette la fuga del cavaliere dinnanzi al pericolo. Infatti
Orlando, credendo che Agricane sia fuggito dalla battaglia, gli ricorda che «chi morir
può onorato, die’ morire; / ché spesse volte aviene e de legiero / che, per durare in
La morte gloriosa questa vita trista, / morte e vergogna ad un tratto s’acquista». Il concetto della morte
e l’onore gloriosa, acquistata in battaglia, è strettamente connesso con quello dell’onore, tipico
valore cortese-cavalleresco e si oppone a quello, invece, disonorante per un cavaliere,
della vergogna che segue la fuga.
Il discorso di Orlando, anche se il paladino non s’è presentato, rivela ad Agricane la
sua identità; il pagano mostra di riconoscerne i tratti caratterizzanti di «prodezza e
cortesia» e gli è grato per l’aiuto che gli ha offerto al campo. Di conseguenza vuole
ricambiare la cortesia, lasciandogli la vita. Agricane ammette il valore del «più franco
barone», ma nello stesso tempo è del tutto convinto della propria superiorità, che pro-
curerà la morte all’avversario.
D’altro canto anche Orlando è certo della propria superiorità e quindi esprime il pro-
prio rincrescimento per la prossima morte non cristiana di Agricane. Si offre allora di
battezzare il pagano, che otterrà in questo modo la salvezza spirituale e fisica, poiché
verrà lasciato libero.
In questa prima parte dell’episodio è evidente che il personaggio di Orlando mantiene
le caratteristiche che ne avevano fatto il tipico eroe dell’omonima chanson de geste: è
valoroso uomo d’arme che combatte per il suo re e per la fede. Orlando si preoccupa
infatti di assicurare la salvezza dell’anima ad Agricane che invece, legato al suo codice
di valori pagani, rifiuta.
Il secondo segmento Nella seconda parte dell’episodio i due contendenti, dopo aver gareggiato con tutte le
narrativo loro forze, all’arrivo della sera decidono la tregua, che, sempre in base al codice caval-
leresco, verrà rigorosamente rispettata (ottava 40, v. 4).
Orlando, cavaliere cristiano, inizia ad elogiare Dio che ha creato il mondo «per l’umana
gente», manifestando una tipica concezione umanistica che non vede, come nel Medio
Una cosmogonia Evo, contrapposizione tra Dio, l’uomo e la natura. L’immagine del cosmo data da Orlan-
armonica do è armonica, umanisticamente finalizzata alla presenza dell’uomo (ottava 41, vv. 4-8).
L’elogio della cultura Ma l’elemento che più rivela la fisionomia umanistica del personaggio è l’elogio della
cultura, che, unitamente al valore guerriero, «adorna [l’uomo] come un prato il fiore».
Agricane, celebratore solo della «forza del corpo» e della «destrezza», è figura arcaica,
al di fuori di quello spirito umanistico, che ritiene invece che nell’uomo ideale debbano
coesistere qualità intellettuali e fisiche.
Un elemento accomuna però i due cavalieri sinora antitetici per scelta di campo:
l’amore per la stessa donna; ed è proprio questa rivelazione che spinge i due a rom-
pere la tregua e a riprendere il combattimento. Come si è visto già nel canto I ( T3,
p. 108), Angelica imprime il movimento all’azione, anche se qui è solo evocata dai
discorsi dei cavalieri, non presente di persona. Lo scontro tra i due è terribile, come
rivela anche la similitudine del «mar in tempesta a gran fortuna». Il canto XVIII infi-
ne si chiude con un intervento del narratore: «Ma più non dico: il canto è qui finito».
È una di quelle tipiche formule consacrate da tutta la tradizione dei “cantari”, che la
letteratura colta, di corte, ama riecheggiare (lo farà poi spesso anche Ariosto).

122 1 - L’età umanis ca


L’epos cavalleresco secondo la cultura umanistica. Nel suo complesso l’epi-
sodio esemplifica l’ideale cavalleresco rivissuto dal Boiardo e dalla società cui ap-
partiene: quello della forza e del coraggio, non disgiunti dalla lealtà e dalla nobiltà
La cavalleria secondo dei sentimenti. È lo spirito che animava l’epica delle origini (con la sua idealizza-
lo spirito umanistico zione dei valori feudali), trasferito però nel mondo delle corti umanistiche, in un am-
biente cioè criticamente più consapevole e culturalmente maturo. Si veda il pensiero
di Agricane, il quale, dopo aver nettamente separato la nobiltà («gentilezza», secondo
la terminologia medievale e cortese) dalla «dottrina», afferma: «ma la forza del corpo
e la destrezza / conviense al cavalliero esercitare». Orlando concorda appieno con
questa visione arcaica ed eroica del mondo, tanto da ribadire: «Io tiro teco a un se-
gno, / che l’arme son de l’omo il primo onore» (ottava 44, vv. 1-2). Ma corregge subito
dopo la rigidezza dell’affermazione, integrandola con una difesa della cultura e del
sapere che non ha più nulla dello spirito feudale: (ottava 44, vv. 1-4). La materia rap-
presentata si carica di suggestioni e di idealità remote, ma non estranee alla civiltà
delle corti quattrocentesche, nella misura in cui era possibile identificarsi in esse e
riviverle come attuali. Al di là dell’interesse più precisamente narrativo e romanze-
sco per l’avventura, distintivo del genere, l’ideologia aristocratica dell’epos, basata
sul coraggio e sulla nobiltà, diveniva nuovamente attuale in una società aristocratica
come quella delle signorie, in cui la magnanimità dei gesti e dei comportamenti si
presentava come un modello di civiltà e di vita. Anche se, come si è detto, il culto
della forza non era più inscindibile rispetto all’educazione artistica e intellettuale (da
questa sintesi deriverà la concezione dell’uomo propria del Rinascimento, come ri-
Una visione più sulta, ad esempio, dall’equilibrio proposto nel Cortegiano dal Castiglione). Anche le
terrena e mondana ingenue aspirazioni religiose erano in gran parte venute meno, a favore di una visione
della realtà più terrena e mondana della realtà.
L’amore, forza motrice All’amore, in particolare, è intitolato il poema e l’amore risulta la forza motrice della
della narrazione narrazione. Di fronte alla passione ogni altra idealità cavalleresca passa in secondo
piano, come dichiara esplicitamente Orlando, sottolineando la distanza fra il passato
e il presente («Molte fiate» e «or», ottava 48, vv. 5 e 8). Lo scarto cronologico, riferito
al personaggio, finisce anche per alludere emblematicamente, in senso estensivo, a
quello fra gli antichi valori dell’epica e la coloritura della loro attuale riproposta, in cui
l’amore incarna il vitalismo dell’uomo contemporaneo. E a questo sentimento finiscono
per essere subordinati tutti gli altri valori: la gentilezza e la lealtà, l’“onore” e la “fede”.
Non a caso Agricane, quando scopre che Orlando gli è rivale in amore, interrompe la
nobile tregua e, nel cuore della notte, riprende il duello, per conquistare con le armi
l’oggetto del suo desiderio (o per rinunciarvi per sempre, andando incontro alla morte).

ATTIVITÀ SUL TESTO


COMPRENSIONE
1. Riassumi il contenuto del brano in 15-20 righe.
2. A quale situazione specifica fa riferimento Agricane con l’affermazione: «Egli è gran scortesia / a voler
contrastar con avantaggio» (o ava 45)? Chi si trova in una situazione di superiorità? In quale ambito è
superiore?
3. Come reagisce Agricane quando scopre che Orlando è innamorato di Angelica? Quale richiesta avanza
al paladino? Quale risposta ne riceve?

ANALISI
4. Svolgi l’analisi metrica delle strofe: come si definiscono? Da quan e quali versi sono formate? Qual è lo
schema delle rime? Si tra a di uno schema fisso o variabile?

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 123


5. Quali cara eris che di questo brano sono riconducibili all’impostazione narra va ( pica del poema
epico-cavalleresco)?
6. A quali termini si contrappongono, rispe vamente, le parole chiave «pensare» e «destrezza» nell’o ava
43? Nella stessa strofa sono presen altre an tesi?
7. Nel brano compaiono alcune similitudini: individuale e spiegale.
8. Quali tra della personalità di Orlando e Agricane emergono dalle loro parole? In quali aspe i due
personaggi risultano an te ci?

INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI


9. Rifle sulla visione della cultura e della natura espressa dal personaggio di Orlando. In che misura essa
rispecchia la sensibilità umanis ca?

La principessa, il drago e l’eroico cavaliere


Una leggenda sorta in epoca medievale narra che san Giorgio, eroico cavaliere cris ano, uccise un drago,
liberando una principessa che stava per essere divorata. La deliziosa raffigurazione della leggenda dipinta
da Paolo Uccello riunisce, in un
clima di fiaba, diverse componen
narra ve ricorren nei poemi
epico-cavallereschi: l’ambientazione
medievale, la bellezza della
principessa, la presenza di numerosi
elemen prodigiosi, quali la fragilità
della lancia paradossalmente
so le, il lungo guinzaglio con cui la
principessa ene il drago, l’aspe o di
questo, al tempo stesso mostruoso e
stravagante, il vor ce del ciclone che
si leva alle spalle del cavaliere.

Paolo Uccello, San Giorgio e


il drago, 1470 ca, olio su tela,
Londra, Na onal Gallery.

FACCIAMO IL PUNTO
1. Compila la seguente tabella per visualizzare le cara eris che dei poemi di Pulci e Boiardo.

Autore Opera Lingua Modelli Temi Personaggi


Pulci
Boiardo

2. Quale formazione culturale hanno i due autori?


3. In quali ambien sociali e culturali operano?
4. Qual è la loro posizione nei confron dei valori cavallereschi?
5. In quale modo Pulci e Boiardo si pongono nei confron del poema cavalleresco tradizionale? Quali
aspe riprendono fedelmente? Quali modificano?
6. A quale pubblico i due autori indirizzano le loro opere?

124 1 - L’età umanis ca


I CANTARI, IL MORGANTE
E L’ORLANDO INNAMORATO A CONFRONTO

Cantari Morgante Orlando innamorato

Vicende tra e dai poemi Fusione della materia


Materia carolingia,
cavallereschi del ciclo cavalleresca del ciclo
MATERIA arricchita da nuovi
carolingio e dai romanzi del carolingio con quella
personaggi e da situazioni
ciclo bretone; intrusione amorosa e fiabesca
narra ve comiche
dell’elemento comico del ciclo bretone

PUBBLICO Popolare e incolto Colto Colto

CONTESTO Recitazione nell’ambito


Recitazione nelle piazze Recitazione nell’ambito
E MODALITÀ della corte medicea di
a opera di giullari e della corte estense
Firenze e, secondariamente,
DI FRUIZIONE canterini girovaghi e le ura privata
le ura privata

Diver mento e svago;


Diver mento e svago;
FINALITÀ ada amento degli ideali
Diver mento e svago dissacrazione dei valori
cavallereschi ai nuovi
più seri e “ufficiali”
valori espressi dalle cor

METRICA O ave di endecasillabi,


O ave di endecasillabi O ave di endecasillabi
spesso irregolari

Vivace ed espressionis co,


STILE cara erizzato dalla
Rozzo e popolare Esuberante e immediato
mescolanza di toni
e di registri lessicali diversi

Percorso 3 - Il poema epico-cavalleresco 125


In sintesi
ON LINE
VĞƌŝĮca
Percorso 3: Il poema epico-cavalleresco interaƫva

I cantari cavallereschi. Nel passaggio dalla neschi, ora pate ci, ora fiabeschi. Il gusto della va-
civiltà feudale a quella comunale, i valori e co-reli- rietà e la ricerca dell’eccesso si rifle ono anche sulla
giosi dell’epica delle origini perdono la loro efficacia, lingua, che ha come base il toscano parlato, ricco di
mentre la narrazione delle avventure cavalleresche espressioni vivacissime e incisive, molte delle quali
con nua a godere di grande fortuna presso il pub- tra e dal lessico furfantesco, ma che include anche
blico popolare e incolto. Per soddisfare le richieste la nismi, vocaboli squisitamente le erari, termini
di svago e diver mento di tale pubblico nascono i scien fico-filosofici.
cantari, componimen narra vi in versi (per lo più
in o ave di endecasillabi) che fondono la materia Ma eo Maria Boiardo: l’Orlando innamora-
avventurosa propria del ciclo carolingio con quella to. L’a vità le eraria di Boiardo (1441-94) gravitò
amorosa e fiabesca del ciclo bretone e che ammet- intorno all’ambiente della corte estense, che il poe-
tono l’intrusione dell’elemento comico a raverso la ta, originario di Reggio Emilia, frequentò per tu a la
deformazione buffonesca degli eroi della tradizione. vita, pur risiedendo stabilmente a Ferrara solo per
Pur tra andosi di una produzione dalle forme roz- alcuni anni. Dopo aver composto opere encomias -
ze, des nata alla recitazione nelle piazze ci adine che in la no e in volgare, una commedia e un Can-
a opera di giullari, essa sarà tenuta presente dai zoniere (o Amorum libri) alla maniera petrarchesca,
successivi poe col – Luigi Pulci, Ma eo Maria Bo- Boiardo si dedicò alla composizione di un poema
iardo e Ludovico Ariosto – che nel Qua rocento e cavalleresco in o ave rimasto incompiuto, l’Orlando
nel Cinquecento daranno una veste le eraria alle innamorato, per sugges one dell’ambiente ferrare-
medesime vicende, indirizzandole però al pubblico se, dove era ancora vivo il culto dell’epica e delle vir-
colto delle cor signorili. tù in essa celebrate; la narrazione, che s’interrompe
al III libro, sarà poi ripresa dall’Orlando furioso di
Luigi Pulci: il Morgante. Amico di Lorenzo Ariosto. Sulla scia dei cantari, la materia carolingia è
il Magnifico, il fioren no Pulci (1432-84) fu lega- fusa con quella bretone, in quanto l’eroe principale
to per un lungo periodo alla corte medicea, sulla dell’epopea di Carlo Magno, Orlando, è rappresen-
quale esercitò una notevole influenza culturale; nel tato come vi ma dell’amore, uno degli ingredien
1476 fu tu avia costre o ad allontanarsene per il pici dei romanzi arturiani insieme con l’elemento
prevalere dei più austeri orientamen promossi fiabesco, anch’esso ampiamente sviluppato nel poe-
dall’Accademia platonica. La sua opera principale è ma. La nostalgia per il mondo della cavalleria e del-
il Morgante, un poema cavalleresco assai vicino ai la cortesia pervade l’opera, che mira a recuperare i
modi dei cantari, di cui riprende la forma metrica, la valori feudali ada andoli al nuovo contesto umani-
materia carolingia (tra a dal cantare Orlando) e so- s co-rinascimentale: la virtù è ora intesa come ca-
pra u o l’elemento comico, amplificato dal contat- pacità di affermare se stessi dominando la Fortuna;
to con la tradizione comico-parodica fioren na. Da l’e ca cavalleresca si apre all’esaltazione della cultu-
tale retroterra culturale scaturisce un’opera irrive- ra e al rispe o della personalità altrui e delle civiltà
rente, che svuota dall’interno i contenu dell’epica diverse dalla propria; l’amore s’intride di vitalismo
a raverso il rovesciamento parodico dei suoi valori edonis co. Una vitalità esuberante pervade anche
più auten ci, la deformazione caricaturale degli eroi la stru ura del poema, che presenta un proliferare
tradizionali e l’introduzione di nuovi personaggi ab- di avventure, incontri e situazioni narra ve che si
normi e gro eschi, come il gigante Morgante. Des - susseguono all’infinito. La lingua corrisponde grosso
nata alla recitazione nell’ambito della corte medicea modo al toscano le erario, mescolato tu avia con
ancor prima che alla le ura, l’opera manca di un elemen linguis ci picamente “padani” e libero
disegno organico e unitario e si cara erizza per la dalle codificazioni classicis che che prenderanno il
grande varietà dei toni, ora seri ed eroici, ora buffo- sopravvento nei primi decenni del Cinquecento.

126 1 - L’età umanis ca

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