Il Satyricon è un’opera che può esser considerata il primo romanzo della romanità.
L’opera ci è pervenuta solo in parte e si indica Petronio come suo autore. Ma anche
la biografia di quest’ultimo è molto vaga, l’unico riferimento fu fatto da Tacito nei
suoi “Annales” a cui alludeva con il nome di “Arbiter elegantie” (da qui il nome
Petronio arbitro). Era considerato un uomo colto, cinico e esperto nel “saper
vivere”, ma cade in disgrazia presso l’imperatore ,Nerone, e viene costretto a
suicidarsi.
Il Satyricon è un romanzo prosimetrico, di cui la frammentarietà e la lacunosità ci
impediscono di raggiungere una piena comprensione di questo. All’opera sono stati
attribuiti più nomi nel corso del tempo ,ma è consuetudine riferirsi al testo con il
titolo sopracitato. La frammentarietà dell’opera ci impedisce anche di capire il
perché viene utilizzato questo titolo, probabilmente perché si tratta di libri connessi
alla figura del satiro (personificazione della fertilità), oppure perché
fondamentalmente l’opera si rifà al genere letterario della “Satura” Latina.
Nel romanzo vengono narrate le avventure di tre ragazzi che vivono di espedienti. Le
vicende sonno narrate in prima persona, dal punto di vista di Encolpio, uno dei tre
giramondo. Suo compagno è Gitone, del quale è innamorato. Nella prima parte del
racconto vengono raggiunti da Ascilto, innamorato anch’esso di Gitone, così da
formar un terzetto che darà vita a più di una lite. Vengono accusati da una
sacerdotessa, Quartilla, di aver profanato un sacrificio al dio della sessualità, Priamo,
e di averle succesivamente procurato un attacco di Febbre Terzana. Cosi i tre giovani
vengono obbligati a prendere parte ad un orgia con la stessa sacerdotessa e altri due
componenti, cosi da purificarsi e guarire la sacerdotessa. Terminato il rituale
licenzioso, vengono inviatati alla Cena del Trimalcione dal Retore Agamennone, un
liberto che voleva impressionare gli ospiti con la sua abbondante ricchezza. Invitati
dal retore Agamennone, partecipano poi alla Cena di Trimalcione, un ricco e volgare
liberto che vuole impressionare gli ospiti con la sua opulenza. La cena culmina con la
parodia dei funerali di Trimalcione, che per il chiasso fa accorrere i vigili di quartiere.
Nella confusione generale, i tre compagni si allontanano e riparano in una locanda
dove litigano. Lasciato solo, Encolpio capita in una pinacoteca dove incontra
Eumolpo, un poeta vagabondo. Questi, vedendo Encolpio interessato a un quadro su
cui è dipinta la caduta di Troia recita una sua composizione sulla distruzione di Troia.
I presenti, infastiditi dalla declamatio di Eumolpo, lo prendono a sassate. Gitone si
riunisce a loro. Da questo momento Ascilto scompare di scena. Il suo posto viene
preso da Eumolpo, nuovo rivale di Encolpio nella conquista del volubile Gitone.
Encolpio, Gitone ed Eumolpo si imbarcano sulla nave di Lica e dell’amante Trifena.
Lica vuole vendicarsi di Encolpio perché in precedenza è stato da lui tradito e Trifena
vuole impossessarsi di Gitone. Ne nasce una zuffa furibonda. La pace torna per
merito di Eumolpo, che racconta la novella La matrona di Efeso, una piccante parodia
dei propositi di castità delle vedove. Una tempesta fa naufragare la nave: Lica muore,
Trifena si salva su una barca e i tre avventurieri si salvano approdando a Crotone.
L’ultima parte del testo è la più lacunosa. A Crotone i tre vengono a sapere che in
quella città è ordinaria occupazione andare in cerca di eredità dei vecchi senza figli.
Eumolpo, allora, finge di essere un ricco vecchio senza prole, mentre Encolpio e
Gitone si fanno passare per suoi servi.Una ricchissima donna, di nome Circe, si
innamora di Encolpio. Questi però diviene impotente per l’ira di Priapo, che continua
a perseguitarlo; riacquista la virilità solo grazie all’intervento di Mercurio. Intanto
Eumolpo, per sfuggire ai cacciatori di dote, detta un testamento secondo il quale
soltanto coloro che mangeranno il suo cadavere potranno ereditare i suoi beni.