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Elena Biscontin

Letteratura Italiana
Prof. Franco Tomasi
LA LIRICA SICILIANA 1

Giacomo da Lentini e Madonna dir vo voglio 2


La canzone Madonna dir vo voglio 3
Madonna dir vo voglio e la fonte provenzale di Folchetto da Marsiglia 8
La tenzone (Jacopo Mostacci, Pier della Vigna, Giacomo da Lentini) 11

La definizione di Amore nel trattato di Andrea Cappellano 14

Il manoscritto Vat. Lat. 3793 (Biblioteca Apostolica Vaticana) 20

L’ESPERIENZA DI GUITTONE D’AREZZO 22


Il canzoniere Laurenziano 23
La svolta: Or parrà s’eo saverò cantare 26
Insegnamenti d’Amore e Del carnale amore 31

IL “DOLCE STIL NOVO” E GUIDO GUINIZZELLI 33


La definizione dantesca di “Dolce stil novo” (Purgatorio xxiv) 33
La tenzone tra Bonagiunta Orbicciani da Lucca e Guido Guinizzelli 34
Guido Guinizzelli poeta “eclettico” 37
La canzone Al cor gentile rempaira sempre amore 40

DANTE, LE RIME E LA VITA NOVA 43

Le Rime 44
L’esperienza cortese: Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io (Rime 8) 44

La Vita nova 45
Vita nova: introduzione generale 45
Vita nova: struttura narrativa 48
Vita nova: il racconto simbolico e il numero nove 50
Vita nova: la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore 54
Vita nova: Beatrice figura di Cristo ed explicit dell’opera 61
Le rime ‘petrose’ (1295-1296) 67
La canzone Così nel mio parlar vogli’esser aspro 68

GUIDO CAVALCANTI 72

Le tensioni conflittuali con altri poeti 73


[xlvii] A frate Guittone 73

Il complesso rapporto con Dante Alighieri 73


[xxxviiib] [risposta a «Guido, i’ vorrei…»] 74
[xli] 74

La tenzone con Guido Orlandi 76


[la] Guido Orlandi a Guido Cavalcanti 76
[lb] Risposta di Guido Cavalcanti 77

Temi e stile 78
Sonetto [iv] 78
Sonetto [vi] 79
Sonetto [vii] 80
Sonetto [viii] 81
Donna me prega 83

I
LA PARODIA DELL’AMORE CORTESE: CECCO ANGIOLIERI 89

I sonetti “teatrali” e parodici 91


Sonetto 1 91
Sonetto 2 92
Sonetto 3 92
Sonetto 4 93

LA LIRICA DEL QUATTROCENTO, TRA NORMA E SPERIMENTAZIONE 94

Lorenzo de’ Medici e la Firenze del secondo Quattrocento 96


Canzoniere viii 98
Canzoniere clxv 99
Sonetto xx 103

Matteo Maria Boiardo e la corte estense di Ferrara 106


Gli Amorum libri tres di Matteo Maria Boiardo 107
AL i, 1 107
AL i, 53 108
AL ii, 2 109
AL ii, 10 110

IL CINQUECENTO E LA NASCITA DEL PETRARCHISMO 110

Pietro Bembo 112


Gli Asolani (1505) e la prima proposta lirica di Bembo 114
Le Prose della volgar lingua (1525): gravità e piacevolezza 115

Il Petrarchismo spirituale 116


Il Petrarca spirituale (1536) di Girolamo Malipiero 116
Le Rime spirituali (1546) di Vittoria Colonna 118
Le Rime di Michelangelo Buonarroti 120

FRANCESCO PETRARCA 122


Biografia 122

Familiari iv.1 124

Familiari i.1 125

Il Canzoniere 127
Sonetto i 128
Sonetto 292 129
Sonetto 304 129
Sonetto 353 130
Sonetto 365 131
Postilla nel Virgilio Ambrosiano 131
Sonetto 3 132
Sonetto 6 133
Sonetto 61 134
Sonetto 62 134
Sestina 22 135
Canzone 23 137
Madrigale 52 142
Madrigale 54 142

II
Canzone 70 142
Canzone 129 144
Canzone 126 147
Canzone 264 149
Sonetto 267 155
Canzone 268 156
Canzone 360 157
Canzone 366 157

III
Letteratura italiana
Prof. Franco Tomasi
01.03.21

LA LIRICA SICILIANA
Magna curia di Federico II (regno) – Italia meridionale, questo tipo di poesia si sviluppa attorno al 1230-
1260. Arco cronologico che coincide con biografia di Federico II: col crollo del suo progetto politico viene
meno anche la sua esperienza poetica e letteraria. Politica culturale: era un sovrano che costruisce con
sapienza una corte all’interno della quale favorisce e promuove alcune attività culturali, che hanno insieme
valore culturale e politico. Figura di difficile messa a fuoco: esperienza letta attraverso interpretazione
storiografica faziosa e partigiana, per cui la letteratura su di lui è divisa in due filoni:
1) Carattere encomiastico = celebrazione dell’imperatore, definito stupor mundi (meraviglia del
mondo), gloria e onore, ha saputo onorevolmente tenere insieme un regno
2) Ritratto contrario = soprattutto dall’area legata al papato (di cui è nemico), imperatore corrotto,
figura politicamente fragile, l’anticristo (potere politico malevolo che distrugge comunità cristiana
dell’Europa)
Contesto culturale plurilingue (= diverse lingue e diversa tradizione e interessi culturali) e composito (=
accanto a interessi filosofici e matematici, ce ne sono anche letterari) nella sua corte.
- Componente greco-bizantina ® arrivano poeti italo-bizantini dalla terra di Otranto = lingua e
tradizione culturale diversa e che collaborano alla costruzione del quadro culturale della corte
- Componente arabo-musulmana ® corte mediterranea, al crocevia di esperienza tra nord Europa,
ma anche sud ed est Europa, dal nord Africa. Cultura filosofica (commenti di Averroè e Avicenna
di Aristotele) e matematico, scientifica (Fibonacci, etc.) grande importanza di materie filosofiche,
tecniche e scientifiche. Figure non solo portatrici di visione di cultura ma anche di manoscritti:
corte che si arricchisce di biblioteca di testi che disegnano un quadro composito e ampio
Federico II stesso scrive De arte venandi cum adibus (arte di cacciare con gli uccelli, trattato di falconeria),
dove illustra una cultura aristocratica con conoscenze scientifiche e del mondo naturale, di cui il sovrano
si fa portavoce.
Meno evidenti i rapporti con la cultura galloromanza: la Francia di questo periodo dà vita alla poesia
trobadorica, e rappresenta un vero antecedente alla poesia dei siciliani. Non sono registrate presenze di
poeti provenzali (trovatori) nella sua corte. La loro presenza è frequente nelle corti settentrionali: allesti-
scono libri e grammatiche per insegnare a fare poesia in provenzale. Questo non esiste da Federico II, anzi:
evidente figliazione, ma anche forte diversificazione di esiti e modalità di espressione. Continuità (molte
forme vengono riprese) e discontinuità (caratterizzazione originale). Ma vero discrimine: lingua ® ado-
zione dell’italiano. Scelta politica non contro il latino (che resta la lingua dominante), ma contro il pro-
venzale (desiderio di non adottare la lingua di un altro potere politico). Lingua che da sola dichiara novità
di questa esperienza: decisiva perché comporta l’inizio di questa tradizione.
Elementi che caratterizzano la corte di Federico II:
• Componente linguistica (latino lingua principale + plurilinguismo)
• Forte tensione verso interessi filosofici, scientifici e astronomici
Qui sorge l’esperienza dei poeti siciliani. Non c’è un manifesto della loro poesia, si può solo dedurre dai
loro scritti.

1
Storia della tradizione dei testi che sono arrivati a noi. Sappiamo che la nostra conoscenza della lirica delle
origini è legata a tre grandi manoscritti, fra cui il Vaticano Latino 3793 (Biblioteca apostolica vaticana) ®
antologia che descrive la storia lirica italiana. Organizzato per sequenze cronologiche: stessa scansione
della nostra storia della letteratura (= sequenzialità). Ci sono circa 150 componimenti che sono arrivati a
noi dei siciliani, quasi tutti presenti nel manoscritto Vaticano Latino, che è composto in maggior parte da
canzoni e da un’altra parte da sonetti, spesso in tenzone (= dialogo fra loro).
Tutti prodotti e allestiti in Toscana. Ciò ha comportato una toscanizzazione delle forme: da copista a
copista l’aspetto linguistico è sensibilmente modificato rispetto a quella che era la lingua dei siciliani, per-
ché il copista sovrappone le sue abitudini linguistiche a quelle dei siciliani. Da questo punto di vista, gli
elementi macroscopici che si individuano sono, ad esempio, la differenza fra sistema vocalico toscano e
siciliano ® disimmetria tra le due lingue progressivamente adottata dai copisti toscani. Questo lo sap-
piamo perché abbiamo qualche reperto che testimonia la lingua dei siciliani.
Versione testimoniata da «Arte del rimare» di Versione toscaneggiante
Giovan Maria Barbieri (1519-1574)

La virtuti ch’ill’avi La virtute ch’ell’ave


D’alcirim’ e guariri, D’ancidermi e guarire,
a lingua dir nu l’ausu a lingua dir non l’oso
pir gran timanza ch’aiu nu lli sdigni; per gran temenza ch’aggio non la sdigni;
pirò precu suavi onde prego soave
piatà, chi mov’a giri, pietà, che mova a gire,
e faza in lei ripausu e faccia in lei riposo,
e merzì umilmenti sì li aligni e merzé umilmente se gli alligni,
sì chi sia piatusa sì che sia pietosa
ver mi, chi nu m’è noia ver me, che non m’è noia
murir s’illa ’nd’à gioia, morir, s’ella n’à gioia;
chi sol vivri mi placi che sol viver mi place
pir lei serivir viraci, per lei servir verace,
plui chi pir altru beni chi m’avegna. e non per altro bene che m’avegna.

Differenze nel sistema vocalico e alcune che arrivano a incidere anche sul lessico: passaggio dal siciliano
originale (es. rima fra vocali aperte e chiuse ‘core’-‘amore’ non dovrebbe essere consentita in italiano, ma
lo è perché arriva da questa tradizione).
La nostra conoscenza della scuola poetica siciliana è condizionata da chi ne ha fatto conoscenza, ovvero
gli allestitori dei manoscritti che ce l’hanno tramandata. Che idea abbiamo da questi piccoli frammenti?
Siciliano illustre, con siciliano alla base ma frequentemente ibridata con gallicismi e latinismi, creando una
lingua elevata a partire dal parlato.
Altri testi siciliani ricavabili da Arte del rimare:
- Versione integrale della canzone Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro;
- Frammenti di liriche di Re Enzo e di Guido delle Colonne.

Testo di recente rinvenimento


- Prime quattro strofe di Resplendiente di Giacomino Pugliese (codice C 88 della Zentralbibliothek di Zurigo).

Vocalismo siciliano (5 vocali toniche: a, è, i, ò, u; 3 atone: a, e, u) aviri : sirviri


Vocalismo toscano (7 vocali toniche: a, è, é, i, ò, ó, u; 5 atone: a, e, i, o, u) avere ; servire

Conseguenze: rima siciliana (accordo di vocali toniche u con o [uso : amoroso invece di amurusu]; e con i [avere :
servire]) e rima tra esiti vocalici aperti e chiusi (còre : amóre) non ammessi nella lirica provenzale e nella lirica siciliana.

GIACOMO DA LENTINI E MADONNA DIR VO VOGLIO


Impossibile riconoscere un’articolazione di generazioni dentro la scuola poetica siciliana: certamente
spicca Giacomo da Lentini (il più rappresentato, e nelle sue liriche illustra personalità poetica, abilità

2
metrico-retorica molto spiccata: grande sperimentatore e insieme codificatore delle forme ® a lui attri-
buita l’invenzione del sonetto. Soprannome ‘il notaro’ (il notaio): tutti i poeti sono funzionari della corte
di Federico II. Non sono poeti per professione, ma burocrati che lavorano per Federico II e si occupano
anche di poesia (es. Pier delle Vigne).
Costruzione figura dei funzionari cambia radicalmente rispetto alla tradizione provenzale: i trovatori sono
poeti di mestiere.
LA CANZONE MADONNA DIR VO VOGLIO
Interpretazione che Giacomo da Lentini offre del sentimento amoroso.
Canzone articolata in più stanze che è articolata anche in sottosequenze che le singole stanze rispettano.
Scelta del metro fondamentalmente di carattere argomentativo e stilistico. Canzone è metro aperto, il
poeta può scegliere quindi quanto lungo farla e che fisionomia darle.

Corrispondono spesso a unità logiche del discorso che viene presentato: es. i primi due piedi corrispon-
dono ai primi due periodi. Intelaiatura metrica all’interno della quale viene costruito il discorso lirico.
Endecasillabi e settenari alternati: scelte di rispettivamente maggiore o minore cantabilità del testo.

3
Schema metrico: cinque stanze singulars di versi settenari ed endecasillabi di schema abaC dbdC; eef(f)G
hhi(i)G.
Legami tra le stanze (capfinidas I-II; II-III; III-IV; ultima autonoma).
Schema non altrimenti attestato nella tradizione provenzale e francese.
Schema rimico. In questa canzone c’è rima al mezzo: rima ‘forte’-‘morte’ rima anche col primo emistichio
del verso. Il poeta prima costruisce la gabbia metrica e poi il testo.
Testo che rappresenta un’illustrazione di come per Giacomo da Lentini l’esperienza amorosa sia un fatto
del tutto mentale: non si parla di occasioni in cui vede la donna, ma è tutto legato alla rappresentazione
interiore di ciò che prova il poeta. La lingua poetica quanto è in grado di esprimere ciò che prova nell’espe-
rienza amorosa? Secondo Giacomo da Lentini, pochissimo: poesia è strumento limitatissimo. Tema
dell’ineffabilità (dire di non poter dire) diventa tema cardine di questa canzone.
Rapporto molto serrato fra razionalità capace di interpretare e dominare sentimento + irruenza di passione
come quella amorosa che sconvolge il dominio della ragione.
Spostamento dell’interesse dall’oggetto del discorso poetica alla sua traducibilità in parola, al soggetto (il
poeta). Da etica a psicologia dell’amore: analisi quasi scientifica di ciò che accade quando si vive l’espe-
rienza amorosa.
PRIMA STANZA
Testo Parafrasi

Madonna, dir vo voglio Mia signora, vi voglio dire (con la parola poetica)
como l’amor m’à priso, di come l’amore mi ha catturato (priso),
inver’ lo grande orgoglio rispetto a (inver) il grande orgoglio, l’alterigia
che voi bella mostrate, e no m’aita. che voi, bella, dimostrate, e come [l’amore] ciò non mi aiuta.
5 Oi lasso, lo meo core, Infelice (lasso), il mio cuore
che ’n tante pene è miso è afflitto, versa (miso) in tante pene
che vive quando more che vive quando muore
per bene amare, e teneselo a vita. perché ama lealmente (bene), e questa condizione – la morte – la
Dunque mor’e viv’eo? considera vita (teneselo).
10 No, ma lo core meo Dunque io muoio e vivo nello stesso tempo?
more più spesso e forte No, ma il mio cuore
che no faria di morte –naturale, muore più spesso e con più dolore (forte)
per voi, donna, cui ama, di quanto non farebbe (faria) per la morte naturale.
più che se stesso brama, A causa vostra, donna, che (cui) ama e desidera (brama) più che se
15 e voi pur lo sdegnate: stesso, e voi, sempre (pur), continuate a sdegnarlo.
amor, vostra ’mistate –vidi male. O amore, la tua amicizia è stata un danno, una sventura.

Importanza quasi tecnica del verbo ‘dire’ ® significa ‘esprimere attraverso la poesia’. Insistenza che ve-
dremo ricorrere molto spesso, proprio perché legata alla volontà di esprimere il sentimento amoroso.
‘Contro’ (‘inver’, verso 3) ® rapporto vassallatico fra amante e amata (signore politico-vassallo): rapporto
asimmetrico che viene trasposto sul piano lirico-amoroso: la donna è su un piano più alto dell’amante che
la celebra.

La situazione crea uno stato di crisi ® condizione dell’Io che è ‘priso’, chiuso nella dimensione amorosa,
e vive una situazione di sofferenza, descritta nella parte successiva della stanza.
Espressione quasi esclamativa con cui inizia (‘Oi lasso’): ipostatizzazione delle parti del corpo che vivono
esperienza amorosa. Condizione che il poeta considera vita. Binomio amore-morte ma non inteso come
morte = fine tragica dell’amore, ma patologia per cui l’amore provoca un senso simile alla morte, ma allo
stesso tempo lo fa sentire vivo solo quando si trova in quella condizione. Procedimento argomentativo
molto preciso: 1) descrizione donna che lo respinge 2) sofferenza provocata 3) interrogativa.

4
Io sono morto e vivo? No, ma il mio cuore (rappresentazione oggettiva interiorità) muore continuamente,
molto più spesso di quanto non farebbe per una morte vera. E lo fa per una donna che ama e che non
corrisponde al sentimento amoroso. Amicizia = inganno, che lo porta a questa condizione.
Interessante come nella stanza si crei una dialettica fra Io (poeta che esprime sofferenza) e Voi (donna).
SECONDA STANZA
Testo Parafrasi

Lo meo ’namoramento Il mio amore (’namoramento)


non po’ parire in detto, non si può dire, esprimere (parire) a parole (in detto)
ma sì com’eo lo sento né così come io lo sento, lo provo
20 cor no lo penseria né diria lingua; non lo potrebbe pensare la mente (cor), né dire la lingua;
e zo ch’eo dico è nente e ciò (zo) che io esprimo, dico non è nulla (nente)
inver’ ch’eo son distretto rispetto a (inver’) quanto sono legato, avvinto (distretto)
tanto coralmente: nel cuore così profondamente (coralmente):
foc’aio al cor non credo mai si stingua; Al cuore ho un fuoco (foc’aio) che non credo si estinguerà mai;
25 anzi si pur alluma: ma (anzi) continuamente (pur) brucia (alluma), si rinfocola:
perché non mi consuma? perché non mi distrugge (consuma).
La salamandra audivi Ho sentito dire (audivi) che la salamandra
Che ’nfra lo foco vivi –stando sana; vive dentro (’nfra) il fuoco e restando in salute (stando sana);
eo sì fo per long’uso, così faccio anch’io ormai per una lunga consuetudine (long’uso)
30 vivo ’n foc’amoroso vivo nel fuoco amoroso
e non saccio ch’eo dica: e non so (saccio) che io dica:
lo meo lavoro spica –e non ingrana. il mio frumento (lo meo lavoro) mette le spighe, ma non produce
chicchi di grano (non ingrana).

Problema della dicibilità dell’esperienza amorosa.


NON amore verso di voi MA condizione di uomo in preda all’amore. Non può essere espresso attraverso
la lingua, e non lo può pensare il cuore nel dirlo (non dicibile ma neanche pensabile ® intraducibile in
forma razionale). Come se si riconoscesse necessità che lingua = ultimo grado del processo di pensiero.
Qui non si può nemmeno pensare. Incapacità intellettuale, non inabilità poetica.
Posso solo dire che non sono in grado di dire ® INEFFABILITÀ. Quello che dico è quasi nullo, perché non
riesce ad attingere veramente. Nuova condizione di imprigionamento, soggiogati dalla situazione passio-
nale. Fuoco nel cuore che continua a bruciare ® cfr. salamandra (che può vivere nel fuoco e che si ali-
menta in esso – bestiari dell’epoca) = diventa simbolo dell’innamorato.
Processo naturale che non porta a compimento l’esperienza: raggiunge un certo grado di maturazione ma
non procede oltre (processo di dire ciò che accade nell’animo dell’uomo) impossibile da esportare, portare
fuori.
Amore è espressione legata esclusivamente all’affinamento interiore (fin’amor provenzale = sublimare
l’aspetto erotico per nobilitazione dell’io).
02.03.21
Testo all’interno del quale troviamo le caratteristiche più specifiche di questa scuola poetica. Tradu-
zione/adattamento di un antico testo provenzale, che spinge verso una nuova direzione, e mira soprattutto
a raccontare/esprimere l’esperienza amorosa interiore e tratta l’amore in modo quasi scientifico. Quasi
teoria della passione amorosa, tentativo di comprenderla razionalmente.
Senso di insoddisfazione che nasce dal riconoscimento dell’incapacità di rappresentare ciò che accade ®
sofferenza che è anche sconfitta del linguaggio, perché il poeta non è in grado di esprimere.

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TERZA STANZA
Testo Parafrasi

Madonna, sì m’avene Mia Signora, così mi accade (m’avene)


ch’eo non posso avenire di non riuscire
35 com’eo dicesse bene a esprimere convenientemente (dicesse bene)
la propia cosa ch’eo sento d’amore; il mio sentimento d’amore che provo (sento);
sì com’omo in prudito il mio cuore mi fa provare una sensazione simile a
lo cor mi fa sentire, quella di un uomo che sente un prurito (in prudito)
che già mai no ’nd’è quito e non è mai quieto, pacificato (quieto)
40 mentre non po’ toccar lo suo sentore. finché non riesce a toccare, grattare la parte che prude.
Lo non-poter mi turba, La sensazione di impotenza mi turba
com’on che pinge e sturba, come accade al pittore che dipinge e cancella (turba),
e pure li dispiace e sempre (pure) è insoddisfatto (dispiace)
lo pingere che face, –e sé riprende, dall’immagine che ha tracciato, e si rimprovera (se riprende),
45 che non fa per natura per il fatto che il proprio dipinto (propia pintura) non riproduce
la propia pintura; in modo conveniente la natura (non fa per natura);
e non è da blasmare e non è da criticare (blasmare)
omo che cade in mare –a che s’aprende. ciò a cui si aggrappa (a che s’aprende) il naufrago (om che cade in
mare).

Ritorno del termine vocativo ‘Madonna’ ® interlocutrice ma lontana, non c’è né dialogo né richiesta nei
suoi confronti.
Griglia logica che procede ® stessi connettivi logici. Insistenza sul ‘dire’ come ‘fare poesia’ e su ‘dire
bene’, cioè capace di esprimere pienamente l’esperienza.
Dopo il problema dell’incapacità del dire passa a due metafore. La prima ® sofferenza amorosa = prurito
implacabile: insistenza del pensiero amoroso che diventa così dominante che è impossibile per l’uomo non
pensare a questa cosa.
‘Sentire d’amore’ viene ripreso ® stesse radici semantiche delle parole per costruire la griglia logica.
Sensazione amorosa che impedisce qualsiasi altro pensiero. Il poeta ne viene sconvolto, perché diventa un
pensiero ossessivo che impedisce di pensare ad altro, impedisce l’attività razionale.
Immagine del pittore che si trova a rappresentare oggetto naturale e continua a dipingere e cancellare,
perché insoddisfatto della differenza fra realtà e rappresentazione. Poesia ritorna continuamente sullo
stesso oggetto perché non è in grado di descriverlo in modo puntuale.
Versi 41-44 ® sequenza molto serrata di verbi: già mentre fa il disegno non è contento, e gli dispiace, e si
lamenta con se stesso di non essere in grado di riprodurre perfettamente ciò che ha visto. Finezza di Gia-
como da Lentini: fare di questo, un tema perfettamente dominato dal punto di vista stilistico ® direzione
di rappresentare in forma verbale questa incapacità, questo balbettamento che si vede espressa nella den-
sità dei verbi e nella struttura.
Giudizio fortemente negativo verso la parola poetica nel suo esprimere il sentimento amoroso.
QUARTA STANZA
Qui spiega quale può essere l’elemento di salvezza che il linguaggio poetico permette (che senso ha altri-
menti fare poesia se è inutile nel dare voce?). Gioca tutto sulla metafora della nave in un mare in tempesta.
Continuano i legami capfinido, che creano anche una sorta di eco tra una stanza e l’altra.

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Strategia stilistica che adotta Giacomo da Lentini: in particolare con ripetizione quasi ossessiva delle stesse
parole, es. del verbo ‘gettare’ che costella tutta la stanza ® come ripetizioni o gioco di parole simili non
sono incapacità di variatio, ma espressione di un significato profondo che la canzone assume.
Testo Parafrasi

Lo vostr’amor che m’ave L’amore per voi (vostr’amor) che mi tiene


50 in mare tempestoso, in un mare tempestoso,
è sì como la nave è come la nave
c’a la fortuna getta ogni pesanti, che nel fortunale, nella tempesta (fortuna) getta il carico (pesanti),
e campan per lo getto e [i marinai] scampano, si salvano da una situazione difficile
di loco periglioso; per aver buttato [il carico];
55 similemente eo getto allo stesso modo (similemente) io getto fuori
a voi, bella, li mei sospiri e pianti. verso di voi, mia bella, i miei sospiri e il mio pianto.
Che s’eo no li gittasse Perché (che) se io non li facessi uscire (no li gittasse)
parria che soffondasse, mi parrebbe (parria) di affondare (soffondasse),
e bene soffondara, e affonderei (soffondara) certamente (bene),
60 lo cor tanto gravara –in suo disio; tanto il cuore peserebbe (gravara) a causa del suo desiderio;
che tanto frange a terra perché la tempesta tanto si infrange (frange)
tempesta, che s’aterra, contro la terra, finché (che) non si placa, non si sfoga (aterra),
ed eo così rinfrango, ed io così mi infrango,
quando sospiro e piango –posar crio. quando sospiro e piango, mi sembra, credo di calmarmi.

Contrapposizione gioco così/come ® mare tempestoso = passione amorosa; nave = Io. Buttare fuori il
carico ® nave (mercantile) rinuncia a ciò che ha di più prezioso per salvarsi la vita: immagine dominante
di tutta la stanza. Sopravvivono al momento difficile proprio grazie all’atto di aver buttato fuori una parte
di loro. Poliptoto ® ripetizione della stessa radice semantica declinata diversamente e con giochi sempre
più raffinati. Allo stesso modo, il poeta getta (rima ‘getto’-‘getto’ = rima equivoca, parole uguali ma che
hanno due significati diversi; qua sostantivo/verbo ® grande capacità di da un lato voler mantenere stretto
giro di parole e dall’altro volontà di mantenerne la struttura sintattica). Io, in una situazione di estremo
disagio (tempesta), si può salvare a patto di buttare fuori qualcosa: sospiri e pianti che sono tradotti in
parola (= parola poetica).
Poesia è una forma di espressione, di emersione di questo tumulto interiore che, pur non soddisfacendo
a pieno, consente di sopravvivere.
E infatti ai versi 57-58 ® anche io sprofonderei, come la nave, se non gettassi il carico (mescolanza delle
due cose). Il desiderio diventa una sorta di zavorra che trascina l’anima, che grazie all’espressione poetica
riesce a sopravvivere.
® Poesia (e solo poesia?) forma linguistica che riesce a dare espressione a questo nodo di passionalità.
La tempesta, quando si scatena sulla terra, così si placa: allo stesso modo il poeta.
Ritorno di ‘sospiri e pianti’ verso 56 e verso 64 ® momento forte dell’espressione della poesia che per-
mette un sollievo.
Tentativo di rappresentare l’amore in luce filosofica come ricerca di conoscenza e verità. Strumento mi-
gliore per rappresentare la tematica amorosa: la poesia, perché riesce a rappresentarne la mobilità, l’irre-
quietezza del sentimento.
Poeti siciliani (al contrario dei provenzali) escludono dal novero delle loro poesie temi che non sono
l’amore: tema unico, e rappresentato con queste modalità. Linee dei poeti siciliani:
• Interpretazione esclusiva di tematica amorosa
• Interesse all’aspetto psicologico della passione d’amore

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• Fiducia che poesia sia unico strumento per rappresentarlo, sia pure con tutte le debolezze del
caso
Si capisce qui come i siciliani assorbono il patrimonio precedente, modificandolo in modo unico. Loro
segneranno la tradizione italiana rispetto all’espressione del tema amoroso.
ULTIMA STANZA
Testo Parafrasi
65 Assai mi son mostrato Molto vi ho fatto vedere
a voi, donna spietata, donna spietata,
com’eo so’ innamorato, come io sono innamorato,
ma creio ch’e’ dispiaceria voi pinto. ma credo che io vi dispiacerei anche dipinto.
Poi c’a me solo, lasso, Visto che solo a me, infelice,
70 cotal ventura è data, è dato questo destino (ventura),
perché no mi ’nde lasso? perché non rinuncio (’nde lasso)?
Non posso, di tal guisa Amor m’à vinto Non posso, tanto Amore mi ha soggiogato.
Vorria c’or avenisse Vorrei che ora accadesse (avenisse)
che lo meo core ’scisse che il mio cuore uscisse (’scisse)
75 come ’ncarnato tutto, fatto, incarnato in una persona,
e non facesse motto –a vo’, isdegnosa; e non dicesse alcuna parola a voi, sdegnosa;
c’Amore a tal l’adusse perché Amore lo ha ridotto (adusse) in tale stato
ca, se vipera i fusse, che (ca), se fosse una vipera,
natura perderia: perderebbe la propria natura [malvagia]:
80 a tal lo vederia, –fora pietosa. a vederlo in questo stato, sarebbe (fora) pietosa.

Alleggerisce il tono meditativo/speculativo e si rivolge, in modo più convenzionale, con un omaggio, invio
alla donna a cui si è dedicato il testo.
‘Donna spietata’ vs ‘orgogliosa’ o ‘sdegnosa’ della prima stanza: muro contro il quale non si va ® qua usa
termini più convenzionali. Questa poesia però non fa comunque ingraziare la donna.

Verso 71 ® perché, visto che non c’è speranza, non rinuncio a questa condizione? Non può, perché
Amore lo ha vinto.
‘Vorria’ ® ‘volesse il cielo che…’ (latino).
Sorta di pace interiore: cuore che ha finalmente capacità di stare in silenzio di fronte alla donna: cuore
non riesce a non parlare, a non dire. L’amore lo ha ridotto a una condizione così “innaturale” che se fosse
una vipera perderebbe la sua natura = non sarebbe più velenosa. L’amore altera l’animo umano, rove-
sciandolo: rapporto positivo tra innamorato e resto del mondo. Uomo innamorato non segue più le leggi
naturali, è sconvolto.
Insostenibilità del sentimento amoroso: punto di vista logico/concettuale obbliga il poeta a esprimere
proprio questa complessità che è provocata dal sentimento.
Canzone collocata come primo testo nel manoscritto Vaticano Latino 3793: valore esemplare di quel tipo,
di quel modo di fare poesia. Testo che effettivamente riesce a riassumere in sé molti dei tratti caratteriz-
zanti della poesia siciliana.
MADONNA DIR VO VOGLIO E LA FONTE PROVENZALE DI FOLCHETTO DA MARSIGLIA
Folchetto da Marsiglia ® poeta provenzale che viene ripreso da Giacomo da Lentini.
Concetto di imitazione e di originalità. Essendo eredi della tradizione romantica, per noi creatività = ori-
ginalità. Imitare è un disvalore. Questa è impostazione del tutto inadatta a comprendere come funzionava
qua: imitare è necessario, è il modo di fare poesia costruendola sulla parola altrui ® no sintomo di

8
incapacità poetica, ma costruzione discorso recuperando modelli esistenti = figliazione. È principio fon-
dante della poesia medievale e rinascimentale.

Rapporto tra poesia trobadorica (provenzale) e siciliana ® ci permette di riflettere sul termine ‘tradu-
zione’. Come leggevano la poesia trobadorica i siciliani? Improbabile che alla corte di Federico II ci fossero
giullari che suonavano e cantavano: tradizione tutta libresca = passa attraverso i manoscritti = si impara
leggendola, senza interpretazione della musica. Si impara selezionando autori e testi: creandosi un canone
più prediletto delle opzioni stilistiche e tematiche che si intendono imitare. Folchetto è un poeta dell’ul-
tima generazione dei trovatori, molto incline allo sperimentalismo formale: le sue tecniche stilistiche e
retoriche ne fanno uno dei modelli più adatti a essere soggetto di imitazione.
Traduzione nel medioevo ® soprattutto per la traduzione in prosa: lingue con uguale dignità. Ma anche:
volgarizzamento ® non implica più rapporto 1:1 tra lingua d’origine e tradotta, ma rapporto subordinato:
forma in cui traduco non rispetta l’originale, ha una funzionalità pratica: voglio capire cosa dice, non
interessa lo stile.
Due polarità: tradurre (pari dignità) e volgarizzare (lavoro servile puramente funzionale). Siciliani dove si
collocano? Nessuno dei due: adattamento linguistico e tematico dei testi ® ripresa del testo originale con
variazione che comporta anche una diversa fisionomia del testo. Il poeta costruisce una sua poesia sulla
forma della poesia del poeta che sta traducendo.
Imitazione = riprendere forme, modi, temi dei poeti precedenti e continuare a fare poesia sulla loro scia.
Originalità si registra nella capacità di saper variare questo codice. La capacità di innovare è ciò che è
tipico della poesia siciliana. È dentro la traduzione che il poeta trova la sua originalità.
Della canzone di Folchetto abbiamo testimonianza solo parziale (due stanze). Non conosciamo lunghezza
né come si sviluppasse nella parte successiva.
PRIMA STANZA
A vos, midontç, voill retrair’en cantan Madonna, dir vo voglio
cosi∙m destreign Amor[s] e men’a fre como l’amor m’à priso,
vas l’arguogll gran, e no∙m aguda re, inver’ lo grande orgoglio
qe∙m mostras on plu merce vos deman; che voi bella mostrate, e no m’aita.
5 mas tan mi son li consir e l’afan 5 Oi lasso, lo meo core,
qe viu qant muer per amar finamen. che ’n tante pene è miso
Donc mor e viu? non, mas mos cors cocios che vive quando more
mor e reviu de cosir amoros per bene amare, e teneselo a vita.
a vos, dompna, ce am tan coralmen; Dunque mor’e viv’eo?
10 sufretç ab gioi sa vid’al mort cuisen, 10 No, ma lo core meo
per qe mal vi la gran beutat de vos. more più spesso e forte
A voi, mia signora, voglio mostrare cantando in che modo Amore mi stringe e mi che no faria di morte –naturale,
guida col freno, e come non mi aiuti in nessun modo di fronte al grande orgoglio che per voi, donna, cui ama,
mi dimostrate quanto più vi chiedo pietà; ma i miei tormenti e i miei affanni sono così
tanti che vivo mentre muoio per amare perfettamente. Dunque io muoio e vivo? no, più che se stesso brama,
ma il mio cuore bramoso muore e rivive di pensieri amorosi rivolti a voi, signora, che 15 e voi pur lo sdegnate:
io amo così intensamente; consentite che viva con gioia chi è morto ardendo (nel de-
siderio), giacché per mia disgrazia vidi la vostra grande bellezza. amor, vostra ’mistate –vidi male.

Già primo verso: ‘descrivere cantando’ mentre in Giacomo da Lentini c’è ‘dir’, che non ha alcun accenno
alla musica. Inoltre in Folchetto Amor è personificato, gioca in una teatralità dell’espressione: Giacomo
da Lentini lo de-personalizza, e diventa il sentimento, quasi come espressione di una forza fenomenica.
Organizzazione discorso: la formulizzazione di Giacomo da Lentini è più serrata rispetto a ordine/se-
quenza delle parole. Nel testo provenzale ‘A voi, madonna voglio dire cantando’ ® mentre in Giacomo
da Lentini c’è tendenza alla compattezza tipica del ragionare lentiniano.

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‘Merce’ al verso 4 di Folchetto SPARISCE nella canzone di Giacomo da Lentini ® importante perché chie-
dere mercede alla donna stabilisce rapporto io-tu + rapporto di insistenza supplice dell’innamorato: eli-
minato perché così si toglie qualunque riferimento all’occasionalità. Giacomo da Lentini astrae la situa-
zione fuori da ogni referenzialità possibile. Inoltre, elimina alcuni passaggi, dando così maggiore impor-
tanza ad altri. Insiste sull’intensità della sofferenza amorosa, dove Folchetto ha un andamento quasi da
sospiro, quasi languido della sofferenza del poeta. In Giacomo da Lentini sparisce la componente languida
per lasciare spazio alla rappresentazione soggettiva della condizione dell’Io.
Verso 6 ® molto importante perché gioca sul paradosso vivere/morire + amore fine = amore che agisce
in modo positivo nell’uomo; amore ideologicamente connotato ed espressione di positività del sentimento.
In Giacomo da Lentini non sa ancora se sia davvero miglioramento o peggioramento: solo amore vissuto
in modo onesto, ma che non è orientato a miglioramento dell’Io ® stesso paradosso amore/morte si ca-
ratterizza in modo molto diverso: trasposizione su un piano più astratto della condizione dell’uomo che
ama.
Dialogo perfezionato in forma poetica tra innamorato/donna vs ciò che succede all’Io preso dalla passione
amorosa (la donna si potrebbe quasi togliere).
Parte finale: sofferenza dell’io lirico in qualche modo generata dall’eccezionale bellezza della donna =
descrittività più ampia, bellezza posta in chiusura ed enfatizzata. Giacomo da Lentini invece quasi la li-
quida, collocando come unico aggettivo positivo un ‘bella’ al verso 4: ne anticipa la posizione e lo riduce
ad aggettivo qualificativo generico. In Giacomo da Lentini la chiusura della stanza insiste sempre sulla
sofferenza creata nel poeta.
“Traduzione” di Giacomo da Lentini: spersonalizzazione della donna e dell’Io lirico (quest’ultimo nel
senso che non è rappresentato come qualcuno che agisce nella realtà; è un Io che riflette sulla sua condi-
zione in maniera quasi avulsa dalla realtà). Cambiamento di struttura metrico-ritmica, osservabile anche
nelle misure dei versi: Giacomo da Lentini costruisce struttura della stanza diversa da quella di Folchetto,
non riprendendone né lo schema metrico né la dimensione della stanza. Ma guadagna in elementi di com-
pattezza e di sequenzialità logica.
Materia verbale di Folchetto ritorna tutta in Giacomo da Lentini, ma in modo riorganizzato, che cristal-
lizza gli aspetti e li rende più astratti e oggettivi. Registrazione interiore dei propri sentimenti.
SECONDA STANZA (quello che ci resta)
Parer non pot per dic ni per semblan Lo meo ’namoramento
lo bens ce vos vogll ab † len carna fe † non po’ parire in detto,
mas nie[n] es so ce vos dic: si∙m te ma sì com’eo lo sento
15 al cor us fioc[s] que no∙s † remuda o dan. 20 cor no lo penseria né diria lingua;
Per cals raisons no∙m ausi consuman? e zo ch’eo dico è nente
Savi dion e l’autor veramen inver’ ch’eo son distretto
qe longincs us, segon dreic e raiso[s], tanto coralemente:
si convertis e natura, don vos foc’aio al cor non credo mai si stingua;
20 deves saber car eu n’ai eissamen 25 anzi si pur alluma:
per longinc us en fioc d’amor plaisen… perché non mi consuma?
La salamandra audivi
Non si può esprimere né con le parole né con il comportamento il bene che vi voglio
con […]; anzi quello che vi dico è niente: tanto occupa il mio cuore un fuoco che non
che ’nfra lo foco vivi –stando sana;
[…]. Perché non mi uccide consumandomi? I saggi e gli autori dicono, con fonda- eo sì fo per long’uso,
tezza, che una lunga consuetudine, secondo diritto e ragione, si converte in natura,
per cui dovete sapere che ugualmente ho per lunga consuetudine nel dolce fuoco
30 vivo ’n foc’amoroso
d’amore piacere… e non saccio ch’eo dica:
lo meo lavoro spica –e non ingrana.

Tema dell’ineffabilità ® appare anche in Folchetto; tuttavia ben presto si confonde con altri elementi,
perché comincia a trattare di questione di materia amorosa. In Giacomo da Lentini tutto è centrato, con

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ben altro spessore, sul tema della non pensabilità dell’esperienza amorosa che diventa incapacità di scri-
vere. Sfrutta il tema di Folchetto per scriverne la sua visione.
È quindi più una pseudo-traduzione, perché l’invenzione di Giacomo da Lentini è l’aver usato un altro
testo per esprimere ciò che lui intendeva.
03.03.21
La tenzone è uno scambio dialogico a più voci di poeti che si interrogano su alcune questioni. Forma
metrica è il sonetto, che vedrà straordinaria fortuna, la cui invenzione è attribuita a Giacomo da Lentini
stesso. Differenza fra sonetto/canzone: logico-formale ® canzone ha metro aperto (quantità dei versi e
qualità delle partizioni strofiche decise dal poeta = scelta non arbitraria ma in nome della convenienza =
adeguare forma allo stile; modulabile); sonetto ha struttura chiusa (vincolata a misura di versi obbligatoria
– 14 – partiti in strutture strofiche altrettanto obbligatorie: 2 quartine e 2 terzine, i versi tutti endecasillabi.
Si è soliti dividere sonetto in due parti, prima ottava e seconda sestina. Argomento scelto dev’essere di-
screto, ben preciso, sviluppabile in soli 14 versi. Misura breve e vincolata, il poeta deve per forza adeguarsi
alla struttura. Partizione logica ® tema sviluppato ma in modo chiaro, preciso. Se un sonetto non basta,
se ne scrivono più di uno in sequenza).
Dialogo che si costruisce a voci alternate e costituisce la discussione di un argomento. Diversi poeti espri-
mono la loro opinione: genere diffuso sia nella scuola siciliana sia nella lirica delle origini: forma dialettica
intertestuale tra poeti stessi. In contesto trobadorico: tenzone avviene all’interno di una canzone (ogni
stanza costruita da un poeta diverso) ® tema libero o vincolato (qualcuno propone un interrogativo e nel
porlo avanzava due soluzioni possibili al problema).
Struttura che tende a limitare l’isolamento del testo lirico, perché i testi che fanno parte della tenzone
vanno letti insieme. Formula adottata con forza dai siciliani: filologia non ha aiutato perché nel copiarli
sono stati ordinati per autore, togliendo l’originale alternanza fra poeti.
I siciliani la caratterizzano sia tramite la scelta del metro, sia sull’insistenza sul tema discusso, l’amore.
Amore = sostanza (ciò che è in sé, immanente) o accidente? Esiste o è qualcosa che accade? Questo è il
quesito che si pongono. Tensione speculativa che caratterizza la scuola siciliana emerge nel dipanarsi del
testo.
LA TENZONE (JACOPO MOSTACCI, PIER DELLA VIGNA, GIACOMO DA LENTINI)
La questione emerge in Iacopo Mostacci: proposta sua, risposta di Pier della Vigna e intervento successivo
di Giacomo da Lentini. Discussione che nei modi e nelle forme della poesia non toglie però i toni duri e
severi. Discussione di natura sapienziale, fanno quasi a gara fra chi conosce di più o meglio la questione.
Per questo i toni sono spesso aggressivi (es. Pier della Vigna è ironico, beffardo contro Mostacci, Giacomo
da Lentini mostra superiorità e arroganza contro gli altri ® posture retoriche ma che attestano la natura
del dibattito intellettuale).
IACOPO MOSTACCI E IL LESSICO TECNICO DELLA FILOSOFIA SCOLASTICA

Sollicitando un poco meo savere a. perché scrivo?


e con lui mi vogliendo dilettare,
un dubio che mi misi ad avere, b. di che cosa scrivo
4 a voi lo mando per determinare.

Ogn’omo dice ch’amor ha potere Soluzione 1


e li coraggi distringe ad amare, Amore sostanza?
ma ëo no lo voglio consentire, Soluzione 2
8 però ch’amore no parse ni pare. Amore accidente
Ben trova l’om una amorositate Accettazione sol.2

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la quale par che nasca di piacere,
e zo vol dire om che sia amore.
12 Eo no li saccio altra qualitate; Richiesta di una soluzione
ma zo che è, da voi voglio audire:
però ven faccio sentez[i]atore

Sonetto costruito esattamente come struttura logica, la griglia logica è inattaccabile ed è evidentemente
molto articolato. Usa termini tecnici della filosofia ® no discussione generica e cortese, ma dibattito in-
tellettuale preciso e puntuale.
Mostacci ha la funzione di propositore: avanza un dubbio e chiede aiuto per risolverlo,
‘Savere’ ® chiara indicazione del fine conoscitivo del sonetto: mira ad esplorare questione filosofica. ‘De-
terminare’ = dare soluzione scientifica, precisa che risolva il dubbio (lessico filosofia).
Interessante distinzione fra fine conoscitivo e fine edonistico, fra fine filosofico e dimensione ludica: qua
non si vuole giocare, solo chiarire il dubbio sull’amore.
‘Coraggi’ = cuori. Capacità dell’amore di agire attivamente nei confronti dell’uomo. ‘Ni pare’ ® non l’ha
mai visto = come fa ad essere sostanza se non si è mai visto, non è tangibile? Struttura di carattere dedut-
tivo ® da dimensione astratta delle quartine a concreta delle terzine.
‘Amorositate’ = facoltà di amare = capacità dell’animo, non qualcosa che sta al di fuori (NO amore).
Verbi mai assertivi, ma dubitativi (‘sembra’, ‘pare’). Amore nasce da un’esperienza fenomenica: vedo qual-
cosa che sollecita i miei sensi che poi scatena l’esperienza di piacere. Facoltà di amare in virtù del piacere
di ciò che si vede genera qualcosa che noi chiamiamo amore.
‘Voglio audire’ = voglio sapere da voi una risposta definitiva al quesito. ‘Sentenziatore’ = colui che prova
il senso ultimo di una cosa: soluzione di un problema (filosofia).
PIER DELLA VIGNA

Però ch’amore no si po’ vedere Ripresa ironica di peròch’amore no parse ni pare (v.8)
e no si tratta corporalmente,
manti ne son di sì folle sapere
4 che credono ch’amor[e] sia nïente. Attacco a Giacomo da Lentini (tenzone con Abate da Ti-
voli), sonetto Feruto sono isvariamente, al v.7 ([…] Amore
non è neiente)
Ma po’ ch’amore si face sentire Amore “signore” dei cuori umani (v. 6 signoreggiar e v. 11
dentro dal cor signoreggiar la gente, signorevolmente)
molto maggiore presio de’ avere
8 che se ’l vedessen visibilemente.

Per la vertute de la calamita Dimostrazione per via analogica


como lo ferro atra[e] no si vede,
ma sì lo tira signorevolmente;

12 e questa cosa a credere mi ’nvita


ch’amore sia; e dàmi grande fede
che tuttor sia creduto fra la gente.

Poeta della corte di Federico II, lo troviamo anche nella Commedia di Dante, fra i suicidi. Uno dei segretari
più cari a Federico II, di grande importanza e anche poeta di spessore.
Sostiene l’opinione di amore come sostanza ® esiste anche se non lo vediamo. Forma del dialogo si mostra
quasi sprezzante: inizia con ripresa del sonetto precedente, demolendone l’opinione.

12
‘Tratta’ = percepisce. ‘Manti’ = molti ® dichiarazione inferiorità intellettuale di Mostacci: chi la pensa
così dev’essere folle. Attacco anche a Giacomo da Lentini: aveva già fatto una tenzone con abate da Tivoli,
dichiarando perentoriamente che amore = accidente, anzi, dicendo ‘amore non è niente’, qua ripreso pari
pari e incastonato nel sonetto, dimostrando presa di posizione e polemica nei confronti dell’altro poeta
siciliano. Non per forza inimicizia, ma sono le forme del dialogo filosofico.
Attacco particolarmente duro e molto evidente. Dopo questa pars destruens, arriva la sua pars construens.
‘Presio’ = pregio ® proprio perché non lo si vede vuol dire che è potente. Impossibile per lui che questa
cosa così capace di dominare gli animi umani non esista: non può mancare solo perché è invisibile. E lo
dimostra per via analogica nella seconda parte del sonetto. Ritorno di ‘signoreggiare’ al verso 6 e ‘signo-
revolmente’ (dispoticamente) al verso 11: caratteristica dell’amore. Dimostrazione con metafora della ca-
lamita: non si vede dov’è ma comunque attira il ferro, e allo stesso modo agisce l’amore. E questo lo induce
a credere che amore = sostanza.
‘Credere’ = atteggiamento di prudenza da parte di Pier delle Vigne.
Amore è forza nascosta e quasi magica, che attira e signoreggia gli animi.
GIACOMO DA LENTINI

Amor è un desio che ven da core Che cos’è Amore (De Amore di A. Cappellano)
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima genera[n] l’amore Dove risiede Amore (De Amore di A. Cappellano)
4 e lo core li dà nutrimento

Ben è alcuna fiata om amatore Discussione tesi: obiezione


senza vedere so ’namoramento,
ma quell’amor che stringe con furore Avvalorare l’ipotesi (corroboratio)
8 da la vista de li occhi ha nas[ci]mento:

ché li occhi rapresenta[n] a lo core Dimostrazione pratica della tesi


d’onni cosa che veden, bon’ e ria,
com’è formata natural[e]mente;
12 e lo cor, che zo è concepitore, Funzioni del cuore (De Amore di A. Cappellano)
imagina, e [qual] piace quel desia:
e questo amore regna fra la gente. cfr. v. 14 di Pier della Vigna

Sentenziatore e basta.
Prima quartina ® definisce sostanza: amore è desiderio che viene dal cuore per un eccesso di piacere. E
come si genera? In prima istanza, è la vista il senso che crea l’amore (io vedo qualcosa che suscita in me il
desiderio) e questo genera nell’interiorità un pensiero, prende questa prima impressione della realtà e la
nutre, la fa diventare desiderio. Il cuore nutre il sentimento amoroso. Descrizione medico-filosofica: come
avviene l’innamoramento.
Cfr. Andrea Cappellano, che insiste sulla visione come mezzo per l’innamoramento (fino a dire che chi
non ci vede non può provare vero amore).
È possibile che un soggetto sia dominato dall’amore anche senza vedere l’oggetto del suo amore, ma quel
sentimento che lo stringe è sempre nato dalla vista: anche se non lo vedo più, continuo ad avere il senti-
mento, che è alimentato dal pensiero. Presenza fenomenica.
Estremamente sequenziale, con la sicurezza di chi sa di avere ragione.
Tutto quello che noi pensiamo nasce dalla percezione fenomenica, dai sensi: i sensi vedono qualcosa e lo
trasmettono all’interiorità. E il cuore, che raccoglie le immagini trasmesse dagli occhi, immagina, crea il
pensiero (desiderante, che ha il desiderio di vivere l’esperienza amorosa). E questo, dice, è l’amore che

13
regna fra la gente = non esiste = è frutto della nostra mente, frutto della nostra esperienza che attraverso
i sensi genera in noi il sentimento d’amore. Non c’è un qualcosa di esterno che lo genera.
Problema grande è il dare forma a questa passione. Lo scarto fra poesia provenzale e siciliana è molto
forte in quest’ambito.
LA DEFINIZIONE DI AMORE NEL TRATTATO DI ANDREA CAPPELLANO
Uno dei testi di riferimento dei poeti d’amore di questa stagione culturale. Testo che nasce nel contesto
trobadorico (cfr. trasposizione metaforica di ambito feudale ® vassallo : feudatari = donna : uomo –
rapporto asimmetrico o sbilanciato, legato soprattutto all’inaccessibilità del proprio soggetto amoroso).
Subalternità del poeta si trasforma in una sorta di tensione inappagata, desiderio che dai provenzali è
definito fin’amor (amore capace di affinare il soggetto e quindi di nobilitarlo e valorizzarne le qualità
positive).
Poesia cortese ® amor cortese: idea parzialmente scorretta, non corrisponde a categoria costruita nel
medioevo (critico francese di ’800-’900 che la introduce, aiutando a individuare un certo tipo di poesia).
Cortesia in che senso? Luogo in cui si produce la cultura: la corte. Ma già in letteratura francese cortese =
saggio, valoroso, nobile = virtù positive dell’uomo, come se comprendesse caratterizzazione qualitativa-
mente alta dell’uomo. Virtù imprescindibili per vivere fin’amor. Amore può essere nobilitante ma solo se
il soggetto che lo prova è già nobile. Valore contrapposto: villania (animo rude, non colto, non nobile nel
senso intellettuale-culturale del termine; non in grado di vivere esperienza amorosa). Allora cortesia di-
venta elemento significativo in questa letteratura. Questo tipo di amore è sempre di tipo extra coniugale.
Termine ‘amore’: siamo in società fortemente religiosa; amore laico, passione terrena, va sotto il segno del
peccato ® amore come attrazione non ha senso in una logica ultraterrena, è solo legato alla divinità. No
piacere di carattere estetico. Ma intorno al XII secolo inizia ad essere meno netto: riscoperta di Ovidio,
che con i trattati Ars amandi (arte di amare) e Remedia amoris (rimedi contro l’amore), aveva costruito
testi sull’amore laico, vero e proprio. E anche Heroides (eroidi, lettere di eroine che scrivono ai loro amanti
disperati = trasposizione più avvincente di vicende sentimentali), Metamorfosi (frequenti storie d’amore).

Divaricazione fra etica amore cortese e quella dei testi della chiesa cristiana ® amore cortese rischia di
essere divergente o contrapposto a quello cristiano, è amore per bene terreno, esce da dimensione reli-
giosa. Conflitto che emergerà continuamente nella tradizione successiva. Riscoperta delle passioni, tra-
dotte in letteratura e nobilitate attraverso processo culturale della descrizione di questo amore slegato da
fine religioso. Non è passionalità in senso stretto, ma è esclusa in questo orizzonte la componente ultra-
terrena.
Insieme di valori che trova testo di riferimento nel trattato di Andrea Cappellano (fine 1100 – inizio 1200,
Parigi).
Fonte più evidente: Ars amandi di Ovidio. Libro diviso in 3 parti:
1) Come si acquisisce l’amore
2) Conservazione dell’amore
3) Come rimediare all’amore, quale farmaco fa guarire.
Libro è dialogo fra un giovane che chiede istruzioni e una figura anziana che lo istruisce: manuale peda-
gogico su come affrontare il sentimento.
Elemento interessante: qualità interiore che deve avere l’amante. Termine latino: morum probitas = inte-
grità morale dei costumi ® per poter vivere l’esperienza amorosa bisogna essere uomini eticamente cor-
retti, virtuosi; e questa è la precondizione per vivere il fin’amor. Obiettivo finale non è conquista dell’og-
getto amoroso, ma dichiarazione che permetta di affinare la propria abilità interiore.

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Nobiltà: di origine familiare, ereditata vs nobiltà d’animo, indipendente dal censo = nobiltà che permette
anche a chi non è aristocratico di vivere esperienza amorosa. Ma Cappellano ci va cauto: non è così facile
che le cose non coincidano.
Sorta di effetto virtuoso: vero che nobiltà dev’essere precedente all’esperienza amorosa, ma è anche pro-
dotto di questa; migliora l’uomo. Cappellano stesso fa convivere le due teorie: andamento altalenante che
alterna le due visioni. Alla precondizione dell’Io che vive l’esperienza amorosa corrisponde grande accre-
scimento esperienza sentimentale.
Componente passionale/erotica viene sublimata su piano più alto, grazie all’affinamento spirituale provo-
cato dall’esperienza amorosa.
08.03.21
Vero e proprio manuale di riferimento per poeti e società che si rispecchia nelle consuetudini descritte in
questo trattato. Evidente già dalla tenzone che i poeti siciliani vedono e conoscono in modo puntuale
questo trattato (es. Giacomo da Lentini fa praticamente un riassunto in versi di quello che dice). Lascia
aperta la questione rapporto amore laico/religioso ® problema che viene affrontato in modo diverso e
problematico da diverse generazioni di poeti:
- Guittone d’Arezzo = risposta contrastiva. Accanto alla poesia laica, accompagna nella sua seconda
stagione una poesia contro l’amore, fa poesia di carattere morale e religioso ® o si fa una, o si fa
l’altra. Cambierà anche nome d’arte in Frate Guittone. Radicale.
- Andrea Monte ® meno noto, ma per alcuni anni si contende la fama con Dante. Lui cerca me-
diazione fra le due posizioni, mediazione che è in qualche modo debole.
- Poesia stilnovistica ® tentativo di affrontare questo problema.
La fortuna del De amore è tale da creare ideologia alternativa, forte, argomentata rispetto a quella religiosa
® ogni poeta trova la sua strada. Esiste possibilità concretizzata nel trattato che testimonia un nuovo
modo di interpretare l’amore.
Gentilezza sinonimo di nobiltà (di difficile definizione – precondizione per vivere esperienza amorosa, ma
che viene anche scaturita da essa).
Capitulum I: Quid sit amor Cos’è amore

[1] Amor est passio quaedam innata procedens ex L’amore è una passione innata che procede per vi-
visione et immoderata cogitatione formae alterius sione e per incessante pensiero di persona d’altro
sexus, ob quam aliquis super omnia cupit alterius sesso, per cui si desidera soprattutto godere l’am-
potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate plesso dell’altro, e nell’amplesso realizzare concor-
in ipsius amplexu amoris praecepta compleri. demente tutti i precetti d’amore.

Capitolo I ® amore =passione (dal latino pati = soffrire, patire = sofferenza, passiva, subita dalla persona).
Pensiero privo di freni, incapacità di moderarsi e di avere autocontrollo. Persona diventa priva della ca-
pacità di dominare se stessa. Visione – incessante pensiero – desiderio ® definizione netta della passione.
[2] Quod amor sit passio facile est videre. Nam an- Che l’amore sia passione, si vede facilmente. Infatti,
tequam amor sit ex utraque parte libratus, nulla est prima che l’amore sbocci da tutte e due le parti, non
angustia maior, quia semper timet amans ne amor esiste angoscia maggiore, perché l’amante teme
optatum capere non possit effectum, nec in vanum sempre che l’amore non ottenga l’effetto desiderato
suos labores emittat. [3] Vulgi quoque timet rumo- e che siano inutili le sue fatiche. Teme anche i pet-
res et omne quod aliquo posset modo nocere; res tegolezzi della gente e tutto ciò che gli può nuocere,
enim imperfectae modica turbatione deficiunt. [4] perché le cose non compiute vengono meno al più
Sed et si pauper ipse sit, timet ne eius mulier vili- piccolo turbamento. Se l’amante è povero, teme che
pendat inopiam; si turpis est, timet ne eius contem- la donna disprezzi la sua povertà; se è brutto, teme
natur informitas vel pulchrioris se mulier annectat d’esser disprezzato per la sua bruttezza o che la

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amori; si dives est, praeteritam forte tenacitatem Donna si leghi a un altro più bello; se è ricco teme
sibi timet obesse. [5] Et ut vera loquamur, nullus che la sua spilorceria di una volta possa danneg-
est qui possit singularis amantis enarrare timores. giarlo. A dire il vero, non c’è nessuno che possa
Est igitur amor ille passio, qui ex altera tantum est elencare le paure che sono proprie di ogni amante.
parte libratus, qui potest singularis amor vocari. È dunque passione quell’amore che sorge da una
parte sola, e si può chiamare amore di uno solo.

Dinamica delle parti all’interno del sentimento amoroso. Non c’è mai condizione simmetrica di ugua-
glianza: è questo a provocare sofferenza, patimento. Desiderio e timore che il proprio desiderio non sfoci,
non abbia una corrispondenza. Sospettoso (idea della gente che parla male, tratto tipico anche della poesia
trobadorica): tratto che ha lunga durata e troviamo anche in Petrarca.
Metafora feudale: rapporto subordinato. Asimmetria è condizione essenziale dell’amore, che è qualcosa a
cui miro e non riesco a raggiungere mai. Amore è: desiderio, gioia, timore, dolore (Cicerone).
[6] Postquam etiam amor utriusque perficitur, non E anche quando si compie l’amore di entrambi, le
minus timores insurgunt; uterque namque timet paure non diminuiscono perché l’uno e l’altro
amantium ne quod est multis laboribus acquisitum amante teme di perdere per le fatiche di un altro ciò
per alterius labores amittat, quod valde magis one- che con molta fatica ha ottenuto – cosa che risulta
rosum constat hominibus quam si spe frustrati nul- più dura dell’essere delusi nella speranza e sentire
lum sibi suos fructum sentiant [sibi] afferre labores. che la fatica non porta frutti. È più doloroso per-
[7] Gravius est enim carere quaesitis quam sperato dere quanto si è ottenuto che essere spogliati della
lucro privari. Timet etiam ne in aliquo offendat speranza di ottenere. Teme anche di offendere in
amantem; tot enim timet quod nimium esst narrare qualche modo l’amante. E sono tante le paure che è
difficile. [8] Quod autem illa passio sit innata, ma- troppo difficile enumerarle. Ti dimostro chiara-
nifesta tibi ratione ostendo, quia passio illa ex nulla mente che la passione è innata poiché la passione, a
oritur actione subtiliter veritate inspecta; sed ex sola ben guardare la verità, non nasce da nessuna azione;
cogitatione quam concipit animus ex eo quod vidit ma la passione procede dal solo pensiero che
passio illa procedit. [9] Nam quum aliquis videt ali- l’animo concepisce davanti alla visione. Quando, in-
quam aptam amori et suo formatam arbitrio, statim fatti, uno vede una donna che corrisponde al suo
eam incipit concupiscere corde; postea vero quo- amore e che è bella secondo il suo gusto, subito in
tiens de ipsa cogitat, totiens eius magis ardescit cuor suo comincia a desiderarla, e quanto più la
amore, quosque ad cogitationem devenerit plenio- pensa, tanto più arde d’amore, fino a che non
rem. [10] Postmodum mulieris incipit cogitare fac- giunge a più pieno pensiero. E comincia a pensare
turas, et eius distinguere membra suosque actus alle fattezze della donna, a riconoscere le sue mem-
imaginari eiusque corporis secreta rimari ac cuiu- bra, a immaginare i propri gesti, e a frugare i segreti
sque membri officio desiderat perpotiri. di quel corpo che desidera possedere tutto per il
proprio piacere.

Amore è instabile e genera un continuo sentimento di timore. Amore è tensione verso qualcosa; meglio
che la tensione continui piuttosto che finisca e la fine della tensione comporti la perdita dell’amore.

L’amore non nasce dal ‘fare’ qualcosa ma da un ‘subire’ ® io vedo qualcosa che con la sua forza genera
desiderio che diventa pensiero. Vero amore risiede nel pensiero ossessivo, quasi non serve più l’oggetto.
È qualcosa che non lascia più spazio ad altri pensieri.
[11] Postquam vero ad hanc cogitationem plena- Ma poi che giunge al pensiero pieno, l’amore non
riam devenerit, sua frena nescit continere amor, sed sa tenere freno, e passa subito ai fatti; subito s’af-
statim procedit ad actum; statim enim iuvanem ha- fanna a cercare complici e messaggeri. E comincia a
bere laborat et internuntium invenire. [12] Incipit pensare come incontrare la sua grazia, a chiedere
enim cogitare qualiter eius gratiam valeat invenire, luogo e tempo giusto per parlare, e un’ora gli pare
incipit etiam quaerere locum et tempus cum oppor- un anno, perché non c’è nulla che possa subito sa-
tunitate loquendi, ac brevem horam longissimum ziare l’animo desideroso; e si sa che spesso succede
reputat annum, quia cupienti animo nil satis posset così. Dunque la passione innata procede da visione
festinanter impleri; et multa sibi in hunc modum e da pensiero. Al sorgere dell’amore non basta il
evenire constat. [13] Est igitur illa passio innata ex semplice pensiero, ma occorre che esso sia smisu-
visione et cogitatione. Non quaelibet cogitatio suf- rato, perché il pensiero misurato non torna insisten-

16
ficit ad amoris originem, sed immoderata exigitur; Temente alla mente, e da lì dunque non può sboc-
nam cogitatio moderata non solet ad mentem re- ciare amore.
dire, et ideo ex ea non potest amor oriri.

Ma quando il pensiero è arrivato a pienezza, non sa tenere freno ® concetto dell’incontinenza. Amore
rompe l’equilibrio per cui l’uomo saprebbe controllarsi, e comincia ad agire, a comportarsi per rendere
possibile ciò che ha desiderato.
Dev’essere per forza privo di controllo, altrimenti l’amore non nasce. Riprende l’innamorata cogitatio, in
cui il soggetto innamorato vive la sua esperienza. Idea di “rompere gli argini del controllo del singolo”
resta in tutta la tradizione italiana, a partire dai siciliani in poi. Alla poesia italiana interessa meno ciò che
accade quando si vede o si parla con la donna, ma è molto più orientata a capire il meccanismo interiore
della spiritualità.
Capitulum VI: Qualiter amor acquiratur et quot Come e in quanti modi si conquista amore
modis

[1] Nunc igitur sequenti restat loco videre quibus Ora dunque resta da considerare come si conquista
modis amor sit acquirendus. Et quorundam fertur amore. Alcuni sostengono che ci sono cinque modi
narrare doctrina quinque modos esse quibus amor per conquistare amore, e cioè: bellezza, gentilezza,
acquirintur, scilicet formae venustate, morum pro- facondia, ricchezza e disponibilità dell’oggetto
bitate, copiosa sermonis facundia, divitiarum abun- amoroso. La mia opinione però è che soltanto i
dantia et facili rei petitae concessione. [2] Sed no- primi tre modi servono a conquistare amore, men-
stra quidem credit opinio tantum tribus prioribus tre gli ultimi due devono essere discacciati dalla
modis amorem acquiri, duos autem ultimos modo corte d’amore, come la mia dottrina a tempo debito
somnino credimus ab aula propulsandos amoris, si- ti dimostrerà.
cut mea tibi suo loco doctrina monstrabit. La bellezza con poca fatica conquista amore, so-
[3] Formae venustas modico labore sibi quaerit prattutto se cerca l’amore di semplice amante.
amorem, maxime si amorem simplicis requirit L’amante semplice, infatti, crede che nell’amante
amantis. Simplex enim amans nil credit aliud in non si debba cercare altro se non l’aspetto, la bel-
amante quaerendum nisi formam faciemque venu- lezza del volto e la cura del corpo. Non insisto a di-
stam et corporis cultum. [4] Horum autem amorem sapprovare l’amore di questi ma non mi sento di ap-
improbare non insisto, sed nec multum approbare provarlo, perché l’amore tra amanti semplici o poco
contendo, quia inter incautos vel minus sapientes saggi non può restare segreto a lungo, e perciò pre-
amantes amor diu latere non potest; ergo sua statim sto comincia a non conoscere crescita. Divulgato,
incipit incrementa nescire. [5] Divulgatus enim infatti, l’amore rovina la reputazione dell’amante,
amor aestimationem non servat amantis, sed eius fa- anzi marchia con calunnie la fama dell’amante che
mam sinistris solet cauteriare rumoribus et poeni- presto finisce per pentirsi. Raramente l’amore dura
tentem prorsus saepe reddit amantem. [6] Raro in- tra questi amanti, ma se per avventura resiste, non
ter ipsos amor perdurat amantes, sed si inter tales riesce a godere come prima, perché il sospetto della
amor forte quandoque remaneat, sua non potest maldicenza rende più cauta la ragazza a mostrarsi,
pristina solatia capere, quia rumoris percepta suspi- toglie la possibilità di parlare e rende vigili e attenti
cio custodiam facit cautiorem exhibere puellae, et i parenti dell’amante, e di conseguenza scoppiano
omnem loquendi opportunitatem excludit, et solli- poi grandi inimicizie. E l’amore, non potendo avere
citos attentosque reddit cognatos amantis, et exinde i suoi piaceri, cresce a dismisura e costringe gli
inimicitia capitalis insurgit. [7] In talibus amor, amanti a lamenti d’immensa pena: « Tendiamo a ciò
quum non possit sua solatia capere, immoderata su- che è vietato, sempre desiderando ciò che ci è ne-
scipit incrementa et in immanium lamenta gato ».
poenarum deducit amantes, quia ‘Nitimur in veti-
tum cupimus semperque negatum’.

Capitolo VI ® Tema della nobiltà e precondizioni necessarie a vivere amore virtuoso. Si apre questione di
rapporto fra oggetto e soggetto. Campo semantico gentilezza: qui è tratto fondamentale anche per la sua
consustanzialità con l’amore. Cuore gentile e amore sono due cose che stanno insieme e non possono
essere disgiunte. Esiste pluralità di possibilità per vivere l’esperienza amorosa.
Struttura quasi scientifica del trattato: prima elenca esempi e poi commenta.

17
È trattato pedagogico: uomo anziano che insegna cose e mette in guardia un giovane, e di questo risente
la struttura retorica, per cui è permesso all’autore l’andamento didascalico.
5 modi per conquistare amore: bellezza, gentilezza (cfr. morum probitate), facondia, ricchezza e disponi-
bilità dell’oggetto amoroso. Prima distinzione: amore buono e amore “indegno”; corte d’amore = amore
capace di essere condiviso in società che interpreta questo sentimento come positivo. Primi 3 = consen-
tono amore nobile, secondi due meno. E anche all’interno di questo c’è un’ulteriore gerarchia.
Bellezza = amore facile, superficiale, perché basato su qualcosa di puramente esteriore. Amore semplice
o poco saggio ® superficialità di questo amore diventa anche dimensione etica, qualcosa che non è pro-
fondo.
Prima descrizione dell’amore per bellezza, che però manifesta limiti evidenti.
[8] Sapiens igitur mulier talem sibi comparare per- Dunque la donna saggia si cerchi un amante prege-
quirat amandum qui morum sit probitate laudan- vole per gentilezza e non uno che si profuma e si
dus, non autem qui mulierum se more perungit vel liscia, avendo cura del corpo come una femmina,
corporis se cultu perlustrat. Non enim potest virili perché non s’addice al maschio imbellettarsi come
congruere formae mulierum se more ornare vel cor- femmina o essere schiavo della bellezza del corpo.
poris onratui deservire. Tales etiam mirificus Ovi- E lo stupendo Ovidio, rimproverando uomini sif-
dius redarguendo notavit: fatti, scriveva: « Via da noi i giovani impupati come
‘Sint procul a nobis iuvenes ut femina compti, Fine femmine, il maschio non ama troppe cure ».
coli modico forma virilis amat.’ E se vedi una donna troppo dipinta e colorata, non
[9] Sed et si mulierem videris nimia colorum varie- devi amare la sua bellezza, se prima non la guardi
tate fucatam, eius non eligas formam nisi alia vice attentamente in altra occasione non festiva, perché
primo ipsam extra festiva diligenter aspicias, quia la donna che confida soltanto nel belletto del corpo
mulier in solo corporis fuco confidens non multum non ama molto ornarsi di bei costumi. Come dun-
solet morum muneribus ornari. Sicut igitur in ma- que ti dicevo del maschio, così anche nella femmina,
sculo diximus, ita credimus in muliere non formam credo, si deve ricercare non tanto la bellezza quanto
tantum quantum morum honestatem sectandam. l’onestà. Non farti ingannare, Gualtieri, dalla vana
[10] Cave igitur, Gualteri, ne inanis te decipiat mu- bellezza femminile, perché è tanta l’astuzia della
lierum forma, quia tanta solet esse mulieris astutia femmina e così ricca la sua parlantina che una volta
et eius multa facundia quod, postquam coeperis che hai cominciato a godere dei suoi doni, non ti
eius acquisitis gaudere muneribus, non videbitur riuscirà facile liberarti del suo amore.
tibi facilis ab ipsius amore regressus.

Nobiltà ® principio di cultura molto lontana dalla nostra ma che identifica la cura dell’aspetto fisico come
qualcosa di etico (tensione vana alla bellezza esteriore).

Battuta ovidiana che rinforza ciò che dice cappellano: ‘mirificus Ovidio’ ® cfr. riscoperta di Ovidio =
autore a cui guardo per ispirare, qui usato per concitazione sentenziosa. È in qualche modo un’alternativa
al De amore.
Valutazione sempre legata a lettura dell’animo dell’altro: bellezza è pericolosa e seducente perché se si
delimita all’aspetto, alla scorza esteriore, non si arriva alla nobiltà d’animo. Bisogna ricercare l’onestà, la
purezza d’animo: bellezza è deviante perché ci toglie dall’oggetto che dobbiamo veramente perseguire.
[11] Morum probitas acquirit amorem in morum La gentilezza conquista l’amore che splende di gen-
probitate fulgentem. Doctus enim amans vel docta tilezza. Il saggio o la saggia amante non respinge
deformem non reiicit amantem, si moribus intus l’amante che non è bello se è molto gentile, perché
abundet. Qui enim probus invenitur et prudens l’amante gentile e accorto non devia dal sentiero
nunquam facile posset in amoris semita deviare vel d’amore e non tormenta l’altro. Il saggio dunque, se
suum coamantem afficere turbatione. [12] Sapiens si lega a un saggio amore, potrà sempre con gran-
igitur, si sapientem suo connectit amori, suum amo- dissima facilità occultare il proprio amore, e con la
rem in perpetuum facillime poterit occultare, et sa- sua dottrina rende più saggio l’amante saggio men-
pientem coamantem sapientiorem sua solet exhibe- tre rende più cauto, grazie alla sua moderazione, l’a-

18
re doctrina, et minus sapientem sua consuevit mo- Mante non saggio.
deratione reddere cautiorem.

La gentilezza (= onestà d’animo) conquista amore che poi riverbera gentilezza. Non è solo incontro fra
persone nobili, ma occasione per accrescere la propria gentilezza. Tensione che ha efficacia proprio perché
è infinita. Creazione circolo virtuoso = animo nobile diventa più nobile con l’esperienza amorosa. In que-
sto caso la passione è positiva, è miglioramento della propria interiorità.
Amante legato alla bellezza = semplice. Qui invece l’amante è saggio, perché non si fa ingannare dall’este-
riorità. Ritorno quasi insistente del termine: anche in società si riesce a nascondere meglio questo senti-
mento grazie alla saggezza.
[13] Mulier similiter non formam vel cultum vel ge- Similmente la donna non cerchi bellezza o cura o
neris quaerat originem, quia ‘Nulli forma placet, si casato, perché « Bellezza senza virtù non piace »;
bonitate vacet’; morum atque probitas sola est quae solo la gentilezza dà vera nobiltà e abbagliante bel-
vera facit hominem nobilitate beari et rutilanti lezza. In principio, infatti, quando noi tutti deri-
forma pollere. [14] Nam quum omnes homines uno vammo da un unico ceppo e avemmo un’unica ori-
sumus ab initio stipite derivati unamque secundum gine secondo natura, non la bellezza, non la cura del
naturam originem traximus omnes, non forma, non corpo e neanche la ricchezza ma soltanto la genti-
corporis cultus, non etiam opulentia rerum, sed sola lezza distinse gli uomini per nobiltà e introdusse la
fuit morum probitas quae primitus nobilitate disti- differenza sociale. Parecchi però, pure traendo ori-
nxit homines ac generis induxit differentiam. [15] gine da nobile seme, degenerando tendono all’altra
Sed plures quidem sunt qui ab ipsis primis nobili- parte: « E se cambi, la tesi non è falsa ». Dunque,
bus semntivam trahentes originem in aliam partem solo la gentilezza è degna della corona d’amore.
degenerando declinant: ‘Et si convertas, non est La facondia molte volte spinge all’amore il cuore di
propositio falsa’. Sola ergo probitas amoris est di- chi non ama, perché la bella parola dell’amante ec-
gna corona. cita gli aculei d’amore e fa intendere la gentilezza di
[16] Sermonis facundia multotiens ad amandum chi parla. Vedrò di spiegarti in pochissime parole
non amantium corda compellit. Ornatum etenim come ciò avvenga.
amantis eloquium amoris consuevit concitare acu- E prima di tutto ti insegno che le donne sono alcune
leos et de loquentis facit probitate praesumi. Quod plebee, altre nobili e altre ancora più nobili. Ugual-
qualiter fiat, quam brevi potero curabo tibi sermone mente il maschio è plebeo, nobile, più nobile o
narrare. molto nobile. La plebea la conosci bene; si chiama
[17] Ad hoc imprimis istam tibi trado doctrinam, nobile la figlia o la moglie di valvassore o barone;
quod mulierum alia est plebeia, alia nobilis, alia no- più nobile è detta la femmina considerata a partire
bilior. Item masculus alius est plebeius, alius est no- dal barone in su. Ugualmente si dice del maschio,
bilis, alius nobilior, alius nobilissimus. [18] Mulier però il maschio non cambia grado quando è sposato
plebeia tibi satis est manifesta; nobilis mulier dicitur a una moglie più o meno nobile. E mentre per la
ex valvassoris vel proceris sanguine orta vel eorum donna sposata la nobiltà cambia mutando il grado
uxores. Nobilior femina nominatur a proceribus del marito, la nobiltà del marito invece non cambia
sumpta. [19] Idem dicimus in masculis, nisi quod mai in rapporto all’unione con la donna. Inoltre, nei
masculus nobiliori vel ignobiliori vinctus uxori or- maschi troviamo un grado in più che nelle femmine,
dinem non mutat. Mulier enim vincta marito ex ma- perché si trova il maschio nobilissimo, come per
riti ordine suam nobilitatem variando commutat. esempio il chierico.
[20] Masculi vero nobilitas mulieris nunquam po-
test coniunctione mutari. Praeterea unum in mascu-
lis plus quam in feminis ordinem reperimus, quia
quidam masculus nobilissimus invenitur, ut puta [Andrea Cappellano, De amore, Traduzione di Jolanda Insana, con
uno scritto di D’Arco Silvio Avalle, Milano, SE, 2002]
clericus.

Risemantizzato il termine ‘bellezza’ = non è elemento esteriore, la nobiltà genera bellezza di natura diversa,
quella che aiuta.
Essere di casato nobile non comporta l’avere nobiltà d’animo interiore. In origine, la costruzione di un
sistema sociale per classi, gerarchie, è nata da coscienza della gentilezza d’animo: chi ce l’aveva diventava
aristocratico, chi no, restava plebeo.

19
È possibile però anche che chi appartiene a queste classi sociali, nel tempo, abbia degenerato.
Si apre alla discussione dello stato sociale e alla “democratizzazione” dello stato amoroso.
Riconoscimento evidente della morum probitas = gentilezza come sentimento decisivo del vero sentimento
amoroso. Ridiscussione del patto sociale, perché è criterio che sembra andare anche oltre la classe di ap-
partenenza (cfr. Guinizzelli: immagine che il sole può risplendere sul fango tutto il giorno, ma il fango
resta tale = chi pure è nobile di casata ma non ha nobiltà interiore resterà plebeo).
IL MANOSCRITTO VAT. LAT. 3793 (BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA)

Storia della letteratura ® sempre negoziazione che si fa col proprio passato, con un canone. I manuali
propongono disegno storiografico e un canone di autori, che vengono scelti e messi in gerarchia. Nostra
storia della letteratura profondamente implicata dalla nostra identità nazionale. Conseguentemente biso-
gna capire che non esiste in astratto, non media solo fra oggi e allora, ma deve raccogliere anche tutti i
punti di negoziazione.
Letteratura delle origini la conosciamo attraverso tre soli manoscritti sui quali costruiamo disegno storio-
grafico. Questi manoscritti sono documenti che hanno orientato la nostra lettura del passato:
• Banco Rari 217 (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze) ® corpus complessivo 180 testi. Ma-
noscritto composito – ha tante cose dentro.
• Redi 9 (Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze) ® circa 480 testi ed è molto centrato sulla
figura di Guittone d’Arezzo.
• Manoscritto Vaticano Latino 3793 (Biblioteca Apostolica Vaticana) ® quasi 1000 testi. Mano-
scritto più importante per letteratura delle origini: doveva averlo per le mani anche Dante quando
ha scritto il De vulgari eloquentia (storia della letteratura italiana, poesia e negli esempi che cita fa
capire che l’antologia dei testi a sua disposizione non era troppo diversa da questo manoscritto).
Composizione di area toscana (fiorentino?) e allestito tra fine ’200 e primi anni del ’300. Almeno
due copisti (poi altre mani ma marginali) e da quello che si capisce erano della borghesia fioren-
tina del ’200. 24 fascicoli (quaderni = foglio grande piegato molte volte) che hanno numerazione,
partizione di carattere metrico – prima canzoni poi sonetti – mancano due fascicoli (forse spazio
per le ballate), ma soprattutto in queste due partizioni si rispetta con molta attenzione una scan-
sione storiografica cronologica: c’è idea di storia, di successione delle generazioni.

Fascicoli Autori Stagioni della poesia delle origini

Paratesto I Indice Indice


Giacomo da Lentini [17]
II
Ruggeri d’Amici [2], Guido delle Colonne [2], Re Giovanni [1],
[1-26]
Odo delle Colonne [1]

Rinaldo d’Aquino,
III Arrigo Testa da Lentino, Paganino da Serzana, Pier delle Vigne,
[27-35] Stefano Protonotaro, Iacopo Mostacci, Federico II, Ruggerone da
Palermo Scuola siciliana

IV [Cielo d’Alcamo], Giacomo Pugliese, Ruggieri Apugliese, Galletto


Canzoni
[54-77] Pisano, Giacomo da Lentini, Guido delle Colonne

V Mazzeo di Ricco, Re Enzo, Percivalle Doria, Compagnetto da


[78-103] Prato, Neri de’ Visdomini, Neri Poponi, Inghilfredi da Lucca

Guinizzelli, Re Enzo, Tommaso da Faenza, Tiberto Galliziani,


VI ‘Siculo-toscali’ – Poesia dell’Italia
Galletto Pisano, Lunardo del Guallacca, Betto Mettefuoco, Ciolo
[104- comunale
de la Barba di Pisa, Folcachieri di Siena, Bartolomeo Mocati da
131] [Bologna, Pisa, Siena, Lucca]
Siena, Caccia di Siena, Bonagiunta Orbicciani

20
VII
[132- Guittone d’Arezzo
149] Il magistero di Guittone d’Arezzo
VIII (e «fra’ Guittone»)
[150- Guittone d’Arezzo
170]
Carnino Ghilberti, Petri Morovelli, Guglielmo Beroardi, Incontrino
IX de’ Fabrucci, Brunetto Latini, Bondie Dietaiuti, Pacino Angiulieri,
‘Siculo-toscali’ – Poesia dell’Italia
[171- Pallamidesse Bellindote, Terino da Castelfiorentino, Finfo,
comunale
197] Monaldo da Sofena, Filippo Giraldi, Alberto da Massa, Mastro
Francesco
X
[frate] Ubertino
[198-
Chiaro Davanzati
223]
XI
[224- Chiaro Davanzati
249] Firenze
Chiaro Davanzati e Monte Andrea
XII leader prima dello Stilnovo
Chiaro Davanzati
[250-
Baldo da Passignano
277]
XIII
Monte Andrea
[278-
Tommaso da Faenza [1], Davanzati [1]
292]

XIV Bonagiunta da Lucca, Neri de’ Visdomini, Lapuccio Belfradelli,


[293- Polo Zoppo, Monte Andrea, Guido delle Colonne, Panuccio del
315] Bagno, Dante Alighieri [Donne ch’avete intelletto d'amore], Ciuccio Materiale composito
[copisti diversi]
XV
[315a- Mino del Pavesaio, Bartolo Loffi, Naccio di Pachio
317]

XVI-
Fascicoli perduti
XVII

Abate di Tivoli – Giacomo da Lentini; Ugo di Massa da Siena;


XVIII
Megliore degli Abati; Rinaldo d’Aquino; Chiaro Davanzati; Composito
[326-
Rinuccino da Firenze; Guinizzelli; Gonella Antelminelli, Balduccio Scuola siciliana e poeti siculo toscani
405]
di Arezzo, Bondie Dietaiuti, Cino da Pistoia [?]

XIX Il magistero di Guittone d’Arezzo


Guittone d’Arezzo (e Frate Guittone)
[406- Composito ma netta prevalenza di
Jacopo da Leona, Guinizzelli, Monaldo da Sofena, Mino da Colle
485] Guittone

XX Torrigiano da Firenze, Bonagiunta Orbicciani, Mastro Francesco,


Composito
[486- Compiuta Donzella, Guido Orlandi, Lapo Saltarelli, Cione
Poeti siculo toscani e Monte Andrea
544] Baglione, Orlanduccio orafo, Bartolino Palmieri, Monte Andrea

Sonetti XXI Firenze


[545- Chiaro Davanzati, Giano, Monte Andrea Chiaro Davanzati e Monte Andrea
622] leader prima dello Stilnovo

Rustico Filippi, Bondie Dietaiuti, Rinuccino da Firenze, Pacino


XXII Firenze
Angiulieri, Davanzati, Monte Andrea, Schiatta Pallavillani, Terino
[623- Composito ma prevalenza di
da Castelfiorentino, Polo Zoppo, Francesco da Camerino,
702] Davanzati e Monte Andrea
Orlanduccio orafo

XXIII Composito
Guittone d’Arezzo, Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Cione
[703- Ma prevalenza di Guittone,
Baglione
780] Davanzati e Monte Andrea

XXIV Orbicciani, Guinizzelli, Monaldo da Sofena, Mino da Colle,


Composito
[781- Davanzati, Pacino Angiulieri, Puccio Bellondi, Ubertino del Bianco
poeti dell’Italia comunale e Firenze
840] d’Arezzo, Monte Andrea, Rustico Filippi

21
Rustico Filippi, Pietro Morovelli, Cione Baglione, Monte Andrea,
XXV
Beroardo, Gualterotti, Davanzati, Lambertuccio Frescobaldi, Piero Composito
[841-
Asino, Jacopo da Leona, Monaldo da Sofena, G. da Lentini, poeti dell’Italia comunale e Firenze
934]
Compiuta Donzella, Lapo del Rosso, Maglio

XXVI
‘Amico di Dante’, Lupo degli Uberti, Nuccio Piacente, Fabruzzo Composito
[935-
de’ Lambertazzi da Perugia poeti dell’Italia comunale e Firenze
999]

Prima parte: scuola siciliana (tutta o quasi depositata qui), poi siculo-toscani, Guittone, di nuovo
siculo-toscani, poi poesia fiorentina di fine ’200 (presenza molto significativa, con due nomi che
un po’ sorprendono: Monte Andrea e Chiaro Davanzati, leader della poesia fiorentina di questi
anni, sono i contemporanei più celebri; escluso Dante e lo Stilnovo ® strada della poesia italiana
che poi è rimasta priva di conseguenze, perché i due non rappresentano le vere figure che deter-
minano i passaggi successivi); ultimi 2 fascicoli canzoni: copisti diversi, introducono sorta di an-
tologia meno ordinata ma che pesca fra i contemporanei. Allo stesso modo nella parte dei sonetti
viene disegnata linea che va dai siciliani alla Firenze contemporanea al manoscritto.
Interessante percezione che si aveva del percorso compiuto dalla poesia italiana. Approdo di quei testi
nell’Italia centro settentrionale che raccoglie l’eredità dei siciliani e la fa fruttare in modo diverso. Processo
di continuità e discontinuità: da un lato ingresso e recupero poesia siciliana soprattutto per poesia d’amore
(diventa in qualche modo canone, modello, la scuola seguita); ma in virtù della diversa realtà sociale (co-
muni, non impero – anche poesia risente del diverso ambiente): tema politico riconquista una sua dignità,
spazio e importanza; dall’altro lato esigenza di tornare a poesia a più basso gradiente intellettuale: poesia
che recuperi codice cortese, rappresentazione d’amore nelle sue occasioni (es. d’incontro, nel suo farsi
sociale).
Ma anche epoca di grande sperimentazione, strade diverse, vie nuove, tentativo di aprire nuovi orizzonti
poetici ® Guittone d’Arezzo. Forte condanna espressa su di lui da Dante e Cavalcanti, che in forme
esplicite e implicite vedono in Guittone il padre da disconoscere, il modello da cui vogliono differenziarsi.

L’ESPERIENZA DI GUITTONE D’AREZZO


Guittone: capacità sperimentale e di affrontare temi diversi, capacità di orientare scelte delle sue genera-
zioni. Atteggiamento nei confronti della poesia amorosa: produzione ampia, composita, talvolta contrad-
dittoria (quasi verso il trobar clus, poesia ermetica e difficile, così virtuosa che anche per noi l’interpreta-
zione di alcuni testi è problematica e linguisticamente complessa; ma questa è anche la sua ricchezza).
Atteggiamento nei confronti dell’amore cortese? Vario anche nel corso del tempo: non solo per la diffe-
renza tra Guittone d’Arezzo e Frate Guittone, ma anche in precedenza, cosa accade? Come si dichiara nei
confronti della poesia d’amore che eredita dai siciliani? Accoglie eredità ma la fa propria, e oscilla fra due
modi di interpretare la poesia d’amore laica:
1) Fedele al codice: luoghi comuni e topica poesia cortese interpretati in modo rispettoso
2) Insoddisfatto di quel tipo di poesia, si ha la percezione che ritenga che quel tipo di poesia non sia
più in grado di interpretare in modo corretto l’esperienza, e allora prova a illustrarne le sue fragi-
lità, giocando nella direzione della parodia. Come lo fa? Uno dei percorsi è quello della costru-
zione di un canzoniere = racconto in sequenza ordinata dei testi in cui la descrizione di ciò che
accade permette a Guittone di smascherare la fragilità di quella poesia, facendogli dichiarare che
quella poesia non è più efficace, non ha più la forza che le veniva conferita in precedenza.
09.03.21
Guittone sperimentatore ® forte personalità artistica, non segue passivamente scuole o indirizzi altrui.
Passaggio da realtà imperiale alla società comunale = diversa posizione anche dell’intellettuale. Nella realtà

22
comunale c’è la nuova classe, il patriziato colto ricco emergente che ha anche bisogno di una nuova cul-
tura; ma è anche una realtà conflittuale. Il sogno imperiale di Federico II muore con lui. Vittoria dei ghi-
bellini a Montaperti è la conclusione ancora più ufficiale. La realtà comunale è il tessuto all’interno della
quale fiorisce la realtà poetica. Guittone riapre anche la partita coi modelli provenzali, allargando lo spet-
tro tematico (non solo amore ma anche politica), formale (non solo sonetto e canzone ma anche generi
nuovi e recuperati, es. il sirventese – usato per poesia di carattere morale e politico).
Vero e proprio maestro: personalità dominante che si vede anche nella tradizione manoscritta. Grande
modello e grande padre contro il quale Dante e Cavalcanti combattono per affermarsi.
1265 ® momento in cui Guittone entra negli ordini della Beata Maria e diventa Frate Guittone: data della
conversione, cambiamento anche della condizione sociale, cambiamento del suo programma poetico. Non
rinuncia alla parola letteraria ma la spende in direzione diversa.
Condanna netta e recisa della sua stagione precedente: la nuova poesia nasce su riconoscimento chiaro e
puntuale del carattere illecito (non moralmente accettabile) della sua poesia precedente.
Due grandi modelli:
- Giacomo da Lentini ® dialoga, polemizza, allude, gioca con intertestualità: dimostra di cono-
scerlo. Nel momento in cui viene citato un poeta ne è riconosciuta l’autorità.
- Uc de Saint Circ ® poeta provenzale e anche allestitore di manoscritti: costruisce antologie di
poesia provenzale che circolano anche in Italia, e aggiunge due elementi in prosa: le vidas e le
razos (vita e ragioni).
Riapre appunto la partita coi modelli provenzali. Certamente consapevole che il modello di Giacomo e
dei siciliani è imprescindibile, ma guarda anche la loro fonte.
Guittone diventa scuola poetica ® poesia basata su virtuosismo metrico, giochi di parole, difficoltà in
generale: una sorta di poesia ermetica, difficile da capire e apparentemente solo per un pubblico di “ini-
ziati”.
Guittone frequenta ambito poesia d’amore, ma con atteggiamenti diversi: va da piena adesione a sostan-
ziale rifiuto del modello.
IL CANZONIERE LAURENZIANO
Canzoniere d’amore (composto prima del 1265). Canzoniere ® libro di rime organizzato dall’autore = la
seriazione, sequenza dei testi ha una logica ben precisa, spesso di carattere narrativo (come se fossero
capitoli di un romanzo). Importante perché i testi vivono in relazione con gli altri (non indipendenti come
eravamo abituati) e per capirne il senso bisogna leggerli in ordine. Necessità di superare isolamento del
singolo testo lirico per arrivare a testo ampio con la sua coerenza.
Guittone usa solo testi lirici (non c’è una parte in prosa) e cerca di caratterizzarli in modo che sia evidente
la loro coerenza, in due modi:

1. Sono tutti sonetti, prevalentemente con stesso schema lirico (ABAB ABAB CDC DCD) ® 86 sonetti
in fila, tutti sostanzialmente analoghi, salvo alcuni che hanno una piccola variazione, come se
fossero segni interpuntivi (elementi importanti, enfatizzati)
2. Conatività narrativa ® sono costruiti come se fossero un racconto, c’è tensione narrativa, invitano
ad andare avanti (episodi che non finiscono col sonetto)
3. Connessioni intertestuali (vedremo anche in Petrarca) ® echi legati a parole che ritornano a fine
sonetto/inizio sonetto successivo, che creano una sorta di flusso continuo

23
Guiraut Riquier ® influenza perché ha costruito libro di rime che è canzoniere che finisce con canzone
alla vergine; farà da modello a Guittone e Petrarca.

Storia quasi canonica di seduzione attraverso la poesia ® storia tradizionale di amore cortese (uomo si
rivolge alla sua donna e la corteggia attraverso la poesia). Corteggia interpretando il più possibile l’amante
cortese.
Canzoniere si trova nel codice laurenziano. 86 sonetti.
SONETTO 1 – Sonetti d’amor di Guittone d’Arezzo
Amore m’à priso e incarnato tutto,
e a lo core di sé fa posanza,
e di ciascuno membro tragge frutto,
4 da poi che priso à tanto di possanza.
Doglia, onta, danno àme condutto
E del mal meo mi fa ’ver disïanza,
e del ben di lei spietato m’è ’n tutto:
8 sì meve e ciascun c’ama à ’n disdegnanza.
Spessamente il chiam’e dico: «Amore,
chi t’à dato di me tal signoraggio,
11 ch’ài conquiso meo senno e meo valore?»
Eo prego che∙tti facci meo messaggio
e che vada davante ’l tuo signore
14 e d’esto convenente lo fa’ saggio.

Sonetto d’esordio ® premessa dell’opera stessa, che apre la vicenda. Sonetto in cui il lettore spiega la sua
condizione e si rivolge quasi al libro stesso parlando della sua opera. Mossa tipica anche latina con cui il
poeta apre la storia, dando indicazione generale di come si configura opera.
Primi 4 versi: dicono della condizione in cui si trova l’Io lirico. Al verso 1 c’è un evidente atto di omaggio
a Giacomo da Lentini (Madonna dir vo voglio, ‘amor m’à priso’ citazione letterale + ‘incarnato tutto’ anche
preso da una canzone di Giacomo da Lentini).
Fa dimora nel cuore e da quando ha preso così tanto potere nella mia mente è padrone di tutto il mio
corpo. Quello che ha provocato questa condizione amorosa è dolore, vergogna, danno. E amore mi è del
tutto opposto, ostile
Verso 8: ciò che sta raccontando lo riguarda in prima persona ma è esemplarmente universale. Io dichiara
condizione in cui si trova e condizione di sofferenza in cui amore lo getta (tipica degli innamorati).

2 terzine ® carattere allocutivo = chi parla si rivolge a chi ascolta


Ti prego, sonetto e libro, che tu ti faccia mio messaggero, e ti faccia ambasciatore delle mie parole presso
amore, e lo informi del mio stato d’animo, di questa condizione.
Storia d’amore giocata sull’asimmetria e tentativo di raccontare questa storia.
SONETTO 19 – Guittone
Sì como ciascun, quasi enfingitore,
e ora maggiormente assai c’amante,
so’ stato ver’ di lei, di beltà fiore;
4 e tanto giuto ei so’ dietro e davante
con prego e con mercé e con clamore,
faccendo di perfetto amor senbrante,
che me promise loco en su’ dolzore,
8 adesso che lei fusse benestante.
Eo, pensando la mia gran malvagìa,

11
24

14
e la gran fé di lei dolc’e pietosa,
11 sì piansi di pietà, per fede mia;
e fermai me di lei non prender cosa
alcuna mai, senza mertarla pria,
14 avendo fort’e ben l’alm’amorosa.

Esordio e sonetti successivi vanno tutti in stessa direzione ® storia d’amore, Io che si rivolge alla donna,
etc.; pratica insomma la fin’amor, tutto secondo i canoni fino al sonetto 19, che rompe la serie e rappre-
senta una sorpresa e uno spiazzamento complessivo: rompe il codice e dice che tutto quello che è successo
fino ad ora non è vero, non ha creduto a ciò che ha fatto.
Punto di rottura del canzoniere: dopo aver creato condizioni per rassicurare il lettore, l’Io lirico dice qual-
cosa che non ci si aspetta.
Quasi come tutti (già ritorna su idea di generalizzare esperienza), sono stato un simulatore (ho fatto finta,
non sono poeta cortese! È come se dichiarasse infedeltà o atteggiamento non in malafede) e ora, ancor
più che amante, sono stato di lei il vertice della bellezza (fiore) e tanto sono andato avanti e indietro = ho
fatto tante di quelle cose, facendo finta di essere il perfetto innamorato. Atteggiamento esteriore, simula-
zione, non vera poesia d’amore. Fa poesia d’amore perché gli ha permesso di avere un ricambio (finalità
erotica addirittura?). Sorta di messa in scena finché il poeta non si toglie la maschera.
Sorta di demolizione dall’interno della poesia cortese: la usa per un fine che non è reale. Togliersi la ma-
schera = smascheramento del codice ® sorta di continuo gioco di simulazione dell’atteggiamento.
Pensando nel mio pensiero perverso, sbagliato e alle sue qualità poetiche, ho pianto di fede; e stabilii di
non ricevere alcuna cosa senza averla mai meritata ® si vergogna quasi del pensiero che ha fatto e ritiene
di doversi sforzare.
SONETTO 85 – Guittone
Ai Deo, chi vidde donna vizïata
di reo parlarẹ, ritratto da mal’arte,
come tu che se’ meco a ragion stata?
4 E’ veggio che del gioco non ài par te.
Però parto vinciuto; e sì m’agrata,
poi sia vincente d’ogna mala parte,
non canpi perciò tu a mal’usata,
8 ch’i’ non vorria di malvagìa ritrarte.
Che Dio male ti dia, come se’ degna,
e tollati la vit’aciò che danno
11 non fusse più di tua malvagia ’nsegna:
ché tutto vizio rïo e inganno
è di te nato, e tuo penser non regna
14 inn-altro, che ’n criar vergogn’e danno.

Si inscrive sotto il segno del vituperio ® accusa chiara, esplicita, violenta e aggressiva contro la donna:
tolta la maschera la toglie per sempre, e si sfoga contro la donna dicendole che è il peggior essere del
mondo e che l’ha preso in giro. Infelicità = condizione dell’innamorato legata alla realtà maligna della
donna = contrario all’ideologia cortese.
Chi ha mai visto una donna così viziata, così abituata al vizio di parlare in modo illecito, immagine del
male, come tu che sei stata a parlare, dialogare con me? Se vedo che questo gioco è una finzione, un gioco
delle parti; e in questo gioco tu non hai pari. Perciò parto sconfitto; e poiché sei risultata vincitrice di tutte
le arti maligne, non scampi di tutte le abitudini consuete.

25
Malaugurio: che Dio ti maledica. Precipizio finale. Che ti uccida, in modo tale che tu non possa continuare
a fare male. Versi 12-14: misoginia.

Campo semantico del male ripetuto con insistenza ® agli argomenti si sostituisce l’irruenza che si scarica
violentemente contro destinatario.
Espressione di un poeta disonesto, che ha giocato partita facendo finta di essere cortese, e quando si
ritrova perdente ritorna nella classica misoginia dove incolpa la donna (non sono io che ho perso, sei tu
che sei malvagia).
SONETTO 86 – La donna
Or son maestra di villan parlare
perché saccio di te dire villania,
ché villan dire e dispiacevel fare
4 sì ritrova’ in te ciascuna dia,
c’un piccol fanciul ne porria ritrare
più ch’e’ fatto non aggio ’n vita mia,
ché quello che ditt’ò già nente pare
8 inverso de la tua gran malatia.
Ma io vorrebbi, lassa, esser morta
quando con omo, ch’i’ l’ò disdegnato,
11 come tu se’, tale tencion fatt’aggio.
Ben puoi tener ormai la lingu’acorta
e dir ciò che ti piac’e star fidato,
14 che ’nn-alcun modo non responderaggio.

Nel sonetto 86 la donna risponde ® dimostra con maggior forza la disonestà del poeta, l’uso illecito che
lui ha fatto del linguaggio cortese (che ha usato per fini non propri): se c’è qualcuno di malvagio, quello è
lui.
‘Villan’ ® esatto opposto di cortese, campo semantico ribattuto con insistenza. Io sono e divento capace
di parlare in modo scortese, solo perché l’oggetto di cui devo parlare è scortese.

‘Malatia’ ® espressione della perversione del poeta. Ha indirizzato in una strada diversa la poesia. Il vitu-
perio viene respinto al mittente riconoscendone la scarsa virtù etica.
Preferirei essere morta, dopo aver parlato con uno come te. Puoi anche stare zitto, e puoi star tranquillo
che non ti risponderò più.
È la donna che riconosce la simulazione, la disonestà del poeta e decide di chiudere il battibecco. È so-
prattutto la voce femminile che conta qua, perché rivela fino in fondo le mancanze dell’Io lirico.
Nuove interpretazioni della poesia siciliana nel contesto comunale, e in alcuni casi appunto anche respin-
gimento in toto della poesia cortese.
LA SVOLTA: OR PARRÀ S’EO SAVERÒ CANTARE
Canzone che inaugura la seconda stagione, manifesto di una nuova poesia di carattere morale e religioso
insieme, e che documenta un nuovo modo di sentire e di fare poesia.
Codice cortese e poesia d’amore in senso assoluto da rifiutare ® rapporto fra dimensione religiosa e di-
mensione laica non conosce possibili mediazioni. Per l’uomo religioso la vita è un pellegrinaggio verso la
vita ultraterrena, per cui dedicarsi all’amore terreno è solo devianza rispetto al vero obiettivo che è la vita
ultraterrena.

26
Se parla d’amore, la poesia induce in errore, diventa viziosa e peccaminosa. Errore attraverso il quale la
parola poetica può indurre al peccato il lettore. La letteratura d’amore è in realtà strumento seduttivo che
induce a comportamenti sbagliati, alla perdizione. Il poeta deve dire basta e non fare più questa poesia.
Schema metrico: canzone di cinque stanze più il congedo. La fronte è indivisa (ABBA); la sirma è bipartita
nelle due volte (con esclusione dell’ultimo verso) e fitta di rime interne: C(c)Dd(d)C(c)(c)E
F(f)Gg(g)F(f)(f)EE.
PRIMA STANZA
Ora parrà s’eo saverò cantare Ora apparirà se saprò cantare
e s’eo varrò quanto valer già soglio, e se varrò quanto soleva valere un tempo,
poi che del tutto Amor fugg[h]’ e disvoglio, dal momento che fuggo e rifiuto del tutto Amore,
e più che cosa mai forte mi spare: e mi riesce fortemente odioso più di ogni altra cosa:
5 ch’a om tenuto saggio audo contare a una persona ritenuta saggia sento dire che non sa
che trovare – non sa né valer punto poetare né acquista valore
omo d’Amor non punto; chi non è ferito dall’amore;
ma ch’è digiunto – da vertà mi pare, piuttosto mi appare lontano dalla verità
se lo pensare – a lo parlare – sembra; se pensiero e parola concordano (nell’amore
10 ché ’n tutte parte ove distringe Amore profano), perché laddove Amore avvince
regge follore – in loco di savere: governa la follia in luogo del sapere:
donque como valere come può dunque avere valore,
po’, né piacer – di guisa alcuna fiore, o essere piacevole in alcun modo,
poi dal Fattor – d’ogne valore – disembra, se è dissimile dalla matrice di ogni valore
15 e al contrar d’ogne manier’ asembra? ed è in tutto simile al suo contrario (il demonio)?

Canzone che anche tecnicamente rappresenta una specie di dimostrazione di forza. Fittissimo gioco di
rime al mezzo e grande prevalere di versi endecasillabi. Argomento di cui parla è alto e la struttura del
testo sembra rispecchiarne il tratto nobile.
Già la prima stanza inizia con termine chiave ® ‘ora’ adesso, si vedrà se saprò cantare. Ora che ho cam-
biato la mia condizione, ora che sono diverso da prima, vediamo ora che sono cambiato io, come cambia
la mia poesia che è specchio dell’identità. Cambiamento ® rifiuto radicalmente amore (verso 3), ed è la
cosa che odio di più in assoluto.
E continua nella sua perentoria dichiarazione: che ho sentito dire a un’autorità della poesia che poesia non
si può fare se l’uomo non è soggiogato dall’amore ® unico tema poetabile: amore. Dichiarazione che si
trova in alcune fonti della poesia provenzale. Errore fondamentale: quest’autorità sbaglia la comprensione
della poesia. Che in tutte le parti dove l’amore comanda, domina la follia = perdita della ragione = peccato!
Come può essere valido e piacere ciò che si allontana dal Creatore? Dal punto di vista argomentativo è
estremamente perentorio: non è più una questione di modalità d fare poesia d’amore, ma rifiuto netto di
una poesia che non può essere salvata in nessun modo.
Proposta positiva: nuovo tipo di poesia ® ammaestramento morale e spirituale dei suoi lettori; un riper-
correre i precetti della fede cristiana spingendo i propri lettori a tenere a bada i vizi e seguire le virtù.
10.03.21
Due temi fondamentali:
1. Di che cosa è giusto fare poesia?
2. (Implicito) poesia è necessaria – non è rinuncia alla parola poetica, che ha la sua importante fun-
zione, a patto che rinunci al tema sbagliato dell’amore
Sta sostanzialmente condannando un intero patrimonio culturale.

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SECONDA STANZA
Ma chi cantare vole e valer bene, Ma chi vuole cantare ed essere davvero di valore,
in suo legno nochier Diritto pone nella sua imbarcazione pone la Giustizia come
e orrato Saver mette al timone, nocchiero e al timone il Sapere che dà onore,
Dio fa sua stella, e ’n ver Lausor sua spene: considera Dio la sua stella, e (ritiene) la sua speranza
20 ché grande onor né gran bene no è stato riposta nella vera Lode (a Dio): perché né grande
acquistato, – carnal voglia seguendo, onore né grande beneficio è stato mai conseguito
ma promente valendo seguendo il desiderio carnale, ma comportandosi
e astenendo – a vizi e a peccato; prodemente e astenendosi dai vizi e dal peccato;
unde ’l sennato – apparecchiato – ognora per questo chi è saggio dovrebbe essere sempre
25 de core tutto e di poder dea stare pronto con la migliore disposizione d’animo e per
d’avanzare – lo suo stato ad onore quanto può a far avanzare la sua condizione con
no schifando labore: onore, senza evitare la fatica: la ricchezza non ci
ché già riccor – non dona altrui posare, induce all’inattività, ma ci fa andare lontano, e
ma ’l fa ’lungiare, – e ben pugnare – onora; l’attività ci rende degni d’onore; ma tutto questo va
30 ma tuttavia lo ’ntenda altri a misora. inteso con discrezione.

Segue pars construens nella seconda stanza: lo fa mettendo insieme due termini per noi già chiari.
Parola poetica e ethos devono andare insieme, e chi vuole fare questo cosa deve fare? Inizia con immagine
che compara poesia a navigazione, dove c’è una barca il cui equipaggio sono varie entità: nocchiere =
giustizia, filosofia onorata = al timone. Personificazione delle entità: sono questi i pilastri su cui si deve
fondare la poesia. Dio = stella che orienta ® fine ultimo.
Poesia = lode di Dio costruita attraverso la capacità umana (saggezza, giustizia).
E ritorna sulla condanna dell’amore: amore/bene non è mai stato raggiunto dando spazio al proprio desi-
derio carnale.
Tutto collegato al verso iniziale della stanza ® quali sono le condizioni per fare poesia con contenuto
corretto? Qualità che deve avere la poesia.
Uomo, l’umanità ® molto frequentemente ciò di cui parla l’Io lirico è platea ampia, cioè l’intero genere
umano, non necessariamente il singolo.
Sforzo dev’essere mirato a portare a uno sforzo onorevole ® cfr. elementi lessicali tipici della poesia cor-
tese che vengono in qualche modo riscritti in chiave cristiana. Qui l’‘onore’ non è la nobiltà generica,
nobiltà è indirizzata alla crescita di sé in direzione spirituale. Bisogna continuamente combattere per tro-
vare la strada della virtù. E la poesia che viene prodotta con l’uso di questa intelligenza deve spingere
verso la salvezza.
Nuova poesia che ha come finalità chiara la lode di Dio e la consapevolezza che processo per arrivare a
fede solida è conquista che si combatte giorno per giorno.
TERZA STANZA
Voglia in altrui ciascun ciò che ’n sé chere, Ciascun voglia per gli altri ciò che chiede per sé,
non creda pro d’altrui dannaggio trare; non creda di poter trarre vantaggio dal danno altrui,
ché pro non può ciò ch’onor tolle dare, perché ciò che è disonorevole non può comportare
né dà onor cosa u’ grazia ed amore père; vantaggio, né è onorevole ciò che manca di amore e
35 e grave ciò ch’è preso a disnore, di pietà; e difficilmente ciò che si acquisisce con
a lausore – dispeso esser poria. disonore potrà essere usato con lode.
Ma non viver credria Chi è malvagio crederebbe di non poter vivere
senza falsìa – fell’om, ma via maggiore senza inganno, invece chi è giusto di cuore sarebbe
for’a plusor – giusto di cor – provato; da molti maggiormente apprezzato:
40 ché più onta che mort’è da dottare, il disonore è da temere più della morte,
e portar – disragion più che dannaggio; l’aver torto più del danno;

28
ché bella morte om saggio chi è saggio deve desiderare con convinzione una
dea di coraggio – più che vita amare, morte onorevole più della vita, perché ciascuno deve
ché non per star, – ma per passare – onrato pensare di essere stato creato non per restare, ma
45 dea credere ciascun d’esser creato. per transitare onorevolmente.

Toni parenetici, propri della predicazione ® il poeta invita il lettore a riflettere su alcuni cardini dell’etica.
“Bella morte” = consente il transito verso beatitudine ultraterrena. Tutto ciò che noi facciamo dev’essere
misurato sul momento del giudizio.
40
Tutto questo diventa il tema della poesia guittoniana, qui inizia a farci quasi degli esempi di questo nuovo
tipo di poesia. Traduzione in forma di versi di alcune delle istanze principali del credo cristiano, con
modalità analoghe a quelle del predicatore.
Continua su questi exempla: narrazione di alcuni casi che esemplificano vizi e virtù, perché la riflessione
su questi è più efficace quando resa attiva e personificata in alcune istanze. Ciò che non è animato da
buona intenzione non può portare a un fine onorevole. Dev’esserci convinzione onesta interiore: la bontà
d’animo è elemento essenziale. Rapporto virtuoso fra onore e intenzione dell’ottenere la cosa.

Verso 42: tema della “bella morte” ® vero momento del giudizio per il singolo uomo; istanza (normale
per un cristiano) particolarmente importante nel mondo medievale. Tema topico della cultura cristiana,
che arriva alla costruzione di manuali (es. Ars moriendi) e iconografia varia. Momento che passa in un
istante, ma in questo istante si determina il nostro futuro.

Passaggio essenziale: vita come pellegrinaggio ® nessuno è stato creato per rimanere qui, ma per passare
(verso 44) e ciò che deve compiere l’uomo è questo transito onorevole.
QUARTA STANZA
In vita more, e sempre in morte vive, L’uomo traditore, fellone nemico della ragione
omo fellon, ch’è di ragion nemico; muore pur essendo in vita e vive come un morto;
credendo venir ricco, ven mendico, credendo di divenire ricco, diventa mendicante:
ché non già cupid’om pot’esser dive: infatti non può essere ricco chi vive nella cupidigia,
50 ch’adessa forte più cresce vaghezza nell’avidità, perché quanto più aumenta il suo tesoro
e gravezza – u’ più cresce tesoro. tanto più aumenta la sua voglia di possederne.
Non manti acquistan l’oro, Non molti acquistano l’oro,
ma l’oro loro; – e i più gentilezza, ma è l’oro che acquista loro; e la maggior parte è
di ricchezza – e di bellezza – han danno. danneggiata dalla nobiltà, dalla ricchezza e dalla
55 Ma chi richezza dispregi’ è manente, bellezza. Invece, è veramente ricco chi disprezza la
e chi gente, – dannaggio e pro sostene ricchezza, chi si comporta nobilmente sia di fronte al
e dubitanza e spene danno che al vantaggio, sia di fronte al dubbio che
e si conten – de poco orrevolmente alla speranza, chi si contenta di poco con onore, chi
e saggiamente – in sé consente – affanno, saggiamente accetta in sé l’affanno, la sofferenza, a
60 segondo vol ragione e’ tempo danno. seconda di quanto vuole la ragione e di quanto i
tempi gli permettono.

Immagine di ricchezza/avarizia/cupidigia ® vangelo di Luca, parabola del ricco avaro (uomo che ha avuto
un buon raccolto e già pensa ai raccolti successivi = timore che la ricchezza non possa dare appagamento
ma desiderio di accumulo fine a se stesso). Ricorre però a una serie di formule retoriche/stilistiche proprie
della poesia amorosa.
Già nei primi versi condizione paradossale della morte in vita = condizione amorosa! Ma ovviamente
rispiegato in chiave cristiana.
Gioco linguistico, sovraccarico semantico del termine ‘ricco’. L’uomo che è ricco, più aumenta la ric-
chezza, più è tormentato e bramoso di ricchezza ® per prendere quasi icastica l’immagine gioca con la

29
paronomasia, per creare un gioco di parole che rende il significato ultimo di ciò che sta dicendo (versi 52-
53).
Mette in fila poi, dopo la ricchezza, alcuni dei concetti cardine della poesia cortese: gentilezza, ricchezza,
bellezza per cui i più vengono condotti a un’interpretazione errata della vita. Non sono sbagliate in quanto
tali, ma spingono l’uomo a sbagliare: rapporto fra dominio di sé ed essere dominati ® è lì che sta la
differenza tra buon cristiano e no.
‘Manente’ ® gallicismo = ricco. Chi acquista valore nell’esistenza? Chi riesce ad accettare affanno secondo
quello che tempo e ragione gli consentono.

Nobiltà d’animo ® per Guittone è l’intelligenza del cristiano che pensa alla sua morte. Atto di fiducia nei
confronti dell’uomo (no contemptus mundi): piena e consapevole percezione che l’uomo abbia la capacità
di scegliere (libero arbitrio teologico) ed è lì che l’uomo può realmente combattere per giungere alla “bella
morte”.
QUINTA STANZA
Onne cosa fue solo all’om creata, Ogni cosa fu creata solo per l’uomo
e l’om no a dormir né a mangiare, e l’uomo non fu generato per dormire e per
ma solamente a drittura operare, mangiare, ma solo per agire in modo corretto:
e fu descrezïon lui però data. a questo fine gli fu dato la capacità di scegliere, il
65 Natura, Dio, ragion scritta e comune libero arbitrio. La Natura, Dio, la filosofia e il buon
reprensïon – fuggir, pregio portare senso comandano di fuggire ciò che è riprovevole e
ne comanda; ischifare di portare con sé ciò che dà pregio; impongono di
vizii, e usar – via de vertù n’empone, disprezzare i vizi e praticare la via della virtù,
onne cagione – e condizion – remossa. una volta rimosso ogni pretesto e ogni riserva.
70 Ma se legge né Dio no l’emponesse, Ma anche se non lo imponesse né Dio né la legge,
né rendesse – qui merto in nulla guisa, se ciò non rendesse merito in alcun modo,
né poi l’alm’è divisa, né qui (in questa vita) né una volta che l’anima sarà
m’è pur avisa – che ciascun dovesse, divisa dal corpo, mi sembra comunque che ciascuno
quanto potesse, – far che stesse – in possa dovrebbe fare tutto il possibile affinché abbia il
75 onne cosa che per ragione è mossa. sopravvento tutto ciò che è mosso da ragione.

Discrezione è stata data all’uomo per agire con rettezza ® termine chiave: capacità di discernere ciò che
è giusto e ciò che è sbagliato. Uomo non è frutto di agenti esterni che lo distruggono, è qualcuno che deve
attraversare la propria esistenza scegliendo e individuando vizi e virtù.
Fede e sapere indicano, comandano di fuggire il vizio e di portare con sé ciò che è veramente valido. La
conoscenza, la poesia, serve esattamente a questo: fuggire ciò che è sbagliato e seguire ciò che è corretto.
Siamo molto lontani dalla prima stanza. Indicazione che non è corretta in virtù della fede cristiana; ma
che anche se non ci fosse, sarebbe la cosa giusta da fare ugualmente. Ciascuno dovrebbe far tutto perché
vinca la ragione sul vizio (come se desacralizzasse il discorso, lo secolarizzasse e lo portasse su un piano di
etica laica, che comunque dovrebbe spingere l’uomo ad agire nello stesso modo) – propensione naturale
dell’uomo al bene (ma è qualcosa che costa impegno e fatica). Contrapposizione continua tra ciò che è
positivo e ciò che è negativo: poesia ha funzione di tappa di un percorso dove è possibile riconsiderare
principi primi; ha funzione di convincere i lettori a seguire la strada corretta, obbligandoli a tornare su
elementi fondanti della sua esistenza ® nobilitazione della parola poetica, perché ha funzione ancor più
significativa della vita umana: funzione di guida, di accompagnamento nei confronti del lettore.
CONGEDO
Ahi, come vale me poco mostranza! Ahi, quanto poco mi vale tale insegnamento!
Ché ’gnoranza – non da ben far ne tolle, Infatti la follia molto più che l’ignoranza allontana
quanto talento folle, gli uomini dall’agire in modo corretto;

30
e mai ne ’nvolle – a ciò malvagia usanza; e ancor di più li travia a ciò il comportamento
80 ché più fallanza – è che leanza – astata. malvagio, perché chi pecca è più astuto di chi è
No è ’l mal più che ’l bene a far leggero; leale; il male non è più facile a farsi del bene:
ma’ che fero – lo ben tanto ne pare, è che il bene appare difficile (a farsi)
solo per disusare, solamente perché non si è abituati a ciò
e per portar – nel contrar disidero: e perché si suole desiderare il suo contrario (il male):
85 u’ ben mainero – e volontero – agrata, laddove il bene è di casa e volentieri torna gradito,
usarl’aduce in allegrezza onrata. usarlo porta all’onorata allegria.

[Fonte: da Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960]

Sorta di rammarico nei confronti della degenerazione che domina nel mondo.
Non è ignoranza la vera responsabile della corruzione del mondo, ma il ‘talento folle’ = il desiderio incon-
trollato. Parola che troviamo anche nel canto V dell’Inferno. Desiderio folle che è pulsione verso il mondo,
prima delle quali è pulsione lussuriosa: elemento seduttivo del male che agisce nell’uomo, e proprio perché
è raffinato e complesso va arginato. Il male ha capacità seducente: l’uomo deve guardarsi da questo (altri-
menti non si farebbe fatica a rinunciare a queste cose). Non è che l’uomo non sia inclinato al bene, ma è
più difficile farlo rispetto al male.
In tutta questa considerazione di Guittone, l’abbandono della poesia amorosa è reale e netto, ma c’è anche
un recupero di tutte le immagini di quella poesia che vuole risemantizzare e rispiegare in un’ottica cri-
stiana.
Problema amore laico/amore profano ® per la prima volta nettamente esplicitato da Guittone. Posizione
che comporta anche un disconoscimento della tradizione precedente: riapre la partita coi siciliani, ma la
richiude anche, dando avvio a una poesia morale e di carattere religioso.
INSEGNAMENTI D’AMORE E DEL CARNALE AMORE
Due raccolte di testi lirici: uno prima e uno dopo la conversione, ma che hanno entrambe come tema la
trattazione dell’amore in senso astratto.

Prima: Insegnamenti d’amore ® serie di 24 sonetti (sorta di corona di sonetti, struttura d’insieme) conte-
nuti nel Vat. Lat. 3793 e collocati in sequenza. Il titolo è moderno, ma aiuta a capire il senso della raccolta:
sorta di manuale pratico del corteggiamento amoroso; no riflessione su aspetti filosofici/speculativi
dell’amore, ma su come funziona realmente la pratica della dimensione amorosa. Cerca di istituire le regole
per il comportamento amoroso. Ideali: Ars amandi di Ovidio e De amore di Cappellano, soprattutto per
spinta alla costruzione in verso precettistica dell’amore, orientata a suggerire comportamenti/attività pra-
tiche. Tutto interno alla riflessione sull’amore cortese (vassallatico, fra diseguali) e sulle modalità con cui
questo amore si può svolgere. Atto di fedeltà a quel codice: in fondo, momento di piena adesione ad esso,
sia pur rivolto agli effetti pragmatici e non speculativi.
Guittone cambia spesso modalità linguistiche e teoriche.
PRIMO POEMETTO
Vat. Lat. 3793, fasc. XIX 1 [406]
LXXXVII[ed. Favati, Bari, Laterza, 1940]
[Come nasce e come cresce l’amore.]

Me piace dir como sento d’amore


a pro di quei, che men sanno di mene.
Secondo ciò che pone alcuno autore,
amore un disidero d’animo ène,
disiderando d’esser tenedore
de la cosa che più li piace bene;

31
lo qual piacere ad esso è creatore
e cosa ch’a sua guida il cor retene.
Penser l’avanza e lo cresce e rinova
e vallo sempre in sua ragion fermando
e falli fare di ciò che vol prova;
saver lo va, con più può, menomando,
natura el tene e non vol già che mova,
per cosa alcuna, de lo suo comando.

Voglio dire (tecnico: in poesia) ciò che io provo in esperienza amorosa, e lo faccio a vantaggio di chi ne sa
meno di me (posizione del maestro) ® che cosa dice e a chi si rivolge.
Secondo quello che dice qualcuno (auctoritas generale: Andrea Cappellano? O modo comune di definire
amore), l’amore è un desiderio dell’anima ® definisco il sentimento.
Chi vive l’esperienza amorosa desidera possedere la cosa che vede, che gli piace.
Sonetto costruito in alcune parti anche con legame verbale evidente (es. ‘piace’-‘piacere’ o simili: richiama
fra di loro parole che a definizione ne aggiungono una successiva).
Definizione dell’immoderata cogitatio di Cappellano: è il pensiero che in questo processo cumulativo dà
vita alla ragione. C’è un dominio completo di Amore nei confronti dell’Io che gli fa fare tutto ciò che
desidera, tutto ciò che vuole.
Definizione iniziale di un piccolo manuale che ha lo scopo di istruire la vita amorosa: rapporto con la
donna, schermaglie, rapporto vassallatico, etc. Attenzione soprattutto pratica alla tensione amorosa, in
una serie di testi che costituisce il prontuario per l’uomo che vive esperienza amorosa.
Troviamo questi testi dentro un manoscritto, in sequenza ma non isolati dal resto; la loro struttura sugge-
risce di isolarli ® troviamo incipit ed explicit, siamo quindi in grado di individuare e riconoscere in questa
sequenza di 24 sonetti un piccolo libretto con sua autonomia.
ULTIMO POEMETTO
Vat. Lat. 3793, fasc. XIX 24 [429]
CX
[Sebbene il “trattato” non sia compiuto, pensa che possa pure esser d’aiuto a qualcuno.]

Sempre poria l’om dir en esta parte


trovando assai che dicere di bono,
en tante guise departite e sparte
le parte d’essa e le condizion sono:
però da ciò mi si faccio disparte
con quel ch’ho detto; avegna che ciascuno
me piace che ’n ciò prenda ’ngegno ed arte
e veggia avanti più ch’eo no li sòno.
Tra ch’eo so poco, ed ho piccolo aiuto
loco ed agio de dire tanto afare,
so che lo detto meo non ha compiuto;
ma tuttavia però no mi dispare:
pur esser non porà ch’alcuno aiuto
non doni altrui, che n’ostarie ’l penare.

Conclude trattazione e lo fa sperando di aver offerto al suo lettore uno strumento pratico per muoversi
nell’esperienza amorosa; nonostante sia possibile discutere quasi all’infinito di questo argomento. Quasi
una sorta di dichiarazione, da un lato di modestia, dall’altro di piccola soddisfazione per essere riuscito a
individuare almeno i principi fondanti del sentimento.

32
16.03.21

IL “DOLCE STIL NOVO” E GUIDO GUINIZZELLI


Lettura della figura di Guittone in parte condizionata da Dante = punto di snodo, un momento di nego-
ziazione che si sedimentano nella storia della tradizione letteraria. Punto in cui il presente (Dante) disegna
il passato, ma lo fa in modo tendenzioso; ricostruisce la tradizione anche giustificando la sua presenza.
Storia è frutto di una negoziazione costante, lotta per l’egemonia; un classico non è mai oggettivo ma è
anche risultato della critica e di influenze sociali.
Dante ricostruisce il passato non solo con puntualità, ma anche con molta convinzione, tanta da convin-
cere tutti i lettori del suo punto di vista.
LA DEFINIZIONE DANTESCA DI “DOLCE STIL NOVO” (PURGATORIO XXIV)
Chi è Guido Guinizzelli? La nostra lettura dell’autore è fortemente influenzata da quello che ci dice Dante
su di lui. Percorso a ritroso: partiamo dal punto finale, quello in cui Dante stabilisce questa gerarchia e
vediamo che tipo di operazione compie, qual è la sua lettura.
Dante, nella cantica del Purgatorio (maggior presenza di poeti), fa spesso riflessioni anche metaletterarie,
sulla storia della poesia. Canto XXVI: Dante definisce l’anima di Guinizzelli ‘padre mio’, riconoscendo
rapporto di figliazione: è suo maestro poetico. Dante dà forte spessore semantico alle parole, e qui lo
definisce non solo padre, ma padre della poesia migliore, e padre anche della generazione di poeti che ha
prodotto questa poesia.
Sicuramente Dante non vuole riconoscere nessuna figliazione rispetto a Guittone, anzi, si dichiara del
tutto contro a lui; la sua strada è radicalmente alternativa rispetto a quella guittoniana, e quindi vuole un
altro padre.
Sempre nel Purgatorio, nel canto XXIV allestisce un piccolo quadretto in cui colloca un altro poeta, Bona-
giunta Orbicciani da Lucca. Figura di una certa importanza nella prima generazione dei poeti siculo-
toscani. Colloquio fra Dante e Bonagiunta Orbicciani: legato a un doppio tema, il primo una profezia che
Bonagiunta rivolge a Dante (elemento biografico ma positivo – annuncia che Dante troverà a Lucca qual-
cuno che sarà in grado di accoglierlo nel suo esilio), il secondo incentrato su una questione di poetica
letteraria.
L’INCONTRO CON BONAGIUNTA ORBICCIANI IN PURGATORIO, XXIV, vv. 34-63
Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza
più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca,
che più parea di me aver contezza. 36
El mormorava; e non so che «Gentucca»
sentiv’io là, ov’el sentia la piaga
de la giustizia che sì pilucca. 39
«O anima», diss’io, «che par sì vaga
di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda,
e te e me col tuo parlare appaga». 42
«Femmina è nata, e non porta ancor benda»,
cominciò el, «che ti farà piacere
la mia città, come ch’om la riprenda. 45
Tu te n’andrai con questo antivedere:
se nel mio mormorar prendesti errore,
dichiareranti ancor le cose vere. 48
Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore

33
trasse le nove rime, cominciando
Donne ch’avete intelletto d’amore» 51
E io a lui: «I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando». 54
«O frate, issa vegg’io», diss’elli, «il nodo
che ’l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo! 57
Io veggio ben come le vostre penne
di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne; 60
e qual più a gradire oltre si mette,
non vede più da l’uno a l’altro stilo»;
e, quasi contentato, si tacette. 63
“Gentucca” riferimento al nome della donna che l’avrebbe ospitato nell’esilio a Lucca.
Corrispondenza fra le anime ® Dante si rivolge con toni cortesi, invitando l’anima che è così desiderosa
di parlare con lui a parlargli.
Al verso 49, Bonagiunta inizia a parlare di poesia. Dante viene riconosciuto come quello che ha generato
le ‘nuove’ rime iniziando con Donne ch’avete intelletto d’amore (incipit della canzone che è decisiva della
poetica della loda di Dante = sceglie il testo più rappresentativo di un nuovo stile di fare poesia). Dante
viene riconosciuto come poeta che ha fatto poesia nuova, scegliendo per indicarlo proprio la poesia che
nella Vita nova ha dato inizio a un nuovo stile.
Dante evoca immagine di amore come dictator = dettatore; e lui trascrive come un notaio ciò che gli viene
detto ® lui conosce più da vicino la vera essenza d’amore, rispetto a chi ha trattato lo stesso tema in
precedenza. Il poeta si disegna come una sorta di trascrittore delle parole di amore, quasi senza mediatore.
Questa è la novità che Dante esprime.

Risposta di Bonagiunta: versi 55-57 ® ancora una volta l’amicizia (‘O frate’) fra i due. ‘Nodo’ = quello
che ha creato una differenza; c’è un prima e un dopo, una frattura fra una prima generazione di poeti e
una nuova. A questo punto, ora, Bonagiunta capisce la differenza fra quella poesia e quella di prima (di
lui, del Notaro = Giacomo da Lentini, di Guittone). Dante mette in scena una diversa qualità della poesia.
Definizione perentoria che è una definizione di tradizione. Con la processione dei canti, si capisce che il
primo dopo questo nodo è Guinizzelli, presentato due canti dopo.
Ma perché sceglie Bonagiunta per definire la sua storia poetica? Dante gioca sempre con un contesto che
dà significato ai personaggi che evoca: far dire a Bonagiunta ‘issa vegg’io’ vuol dire che ha raggiunto ora,
grazie alle parole di Dante, un livello di comprensione che in vita non aveva mai raggiunto. Questo perché
in vita Bonagiunta aveva fatto tenzone molto aggressiva con Guinizzelli, accusandolo di stare facendo
poesia diversa, inutilmente difficile, dicendo che lui non la capiva e che la riteneva inferiore alla loro.
Dante sfrutta quindi il precedente per mettere in bocca all’anima di Bonagiunta questo nuovo passaggio
conoscitivo.
LA TENZONE TRA BONAGIUNTA ORBICCIANI DA LUCCA E GUIDO GUINIZZELLI
Sappiamo che Guinizzelli muore nel 126(7?)4, probabilmente nato attorno al 1220-1230: è coetaneo di
Guittone e di Bonagiunta.
È molto chiaro l’intento polemico: il significato ultimo è significato censorio nei confronti di Guinizzelli.
BONAGIUNTA DA LUCCA A MESSER GUIDO GUINIZZELLI

34
Voi, ch’avete mutata la mainera
de li plagenti ditti de l’amore
de la forma dell’esser là dov’era
per avansare ogn’altro trovatore, 4
avete fatto como la lumera,
ch’a le scure partite dà sprendore,
ma non quine ove luce l’alta spera,
la quale avansa e passa di chiarore. 8
Così passate voi di sottigliansa,
e non si può trovar chi ben ispogna,
cotant’è iscura vostra parlatura 11
Ed è tenuta gran dissimigliansa,
ancor che ’l senno vegna da Bologna,
traier canson per forsa di scrittura. 14

Incipit chiarissimo: voi che avete cambiato lo stile, il modo delle poesie d’amore (‘plagenti ditti’). Cam-
biamento registrato da questo sonetto per ‘avansare ogn’altro trovatore’ = superare tutti gli altri poeti.
Questo cambiamento di poetica è letto da Bonagiunta in tensione agonistica, dice che vuole fare poesia
migliore degli altri.
Avete fatto come la luce, che nelle zone oscure dà luminosità, ma non qui dove riluce un’‘alta spera’,
grande capacità di produrre luce, che supera la vostra. Tutto giocato sui campi semantici di chiarezza e
luminosità ® la vostra poesia ha prodotto luce dove non c’era (Bologna), ma non qua (Toscana).
Chi è l’alta sfera? È un poeta con capacità maggiore di Guinizzelli? Ipotesi:
• Guittone d’Arezzo ® ipotesi fragile perché Bonagiunta non è guittoniano.
• Chiaro Davanzati ® con Monte Andrea, protagonista del Vat. Lat. 3793, forse nel gioco di parole
dove riecheggia il nome; ipotesi suggestiva ma problema cronologico, perché se il testo è di prima
degli anni ’60, la poetica di Chiaro Davanzati si sviluppa dopo, qui è troppo giovane.
• Autoelogio ® ipotesi non così rara né infrequente nella tradizione medievale: non è strano che il
poeta si autoelogi.
• Presenza di Amore ® più vicino ai poeti toscani che a quelli bolognesi, che tornerebbe anche con
l’immagine usata da Dante nel Purgatorio; gioco legato a produzione poetica tanto di Bonagiunta
quanto di Guinizzelli: Bonagiunta usa immagini di luce per descrivere la sua donna – quindi il
rapporto non è fra la poesia in senso stretto ma fra le donne delle poesie, quasi a dire “la mia
poesia è migliore della tua perché l’oggetto delle mie poesie, la mia donna, è più alta, nobile,
luminosa della tua”.
Le prime due sono ipotesi più fragili, possibile che le altre due coesistano; certo è che Bonagiunta chiarisce
che la poesia che lui e i suoi sodali compongono è superiore a quella di Guinizzelli.
Spiega perché la poesia di Guinizzelli non funziona: ‘sottigliansa’ termine importante, riconosciuto del
lessico filosofico, implica cultura tecnica che comporta trattazione eccessivamente complessa ® difetto di
contenuto, è poesia che si rifà a cultura così esoterica, difficile, che non c’è nessuno che può spiegare il
modo di scrivere, tanto è oscuro, difficile, tanto i testi sono irti dal punto di vista interpretativo. La poesia
che produce Guinizzelli è così complessa che nessuno la capisce, solo chi ha grande cultura può provare
a interpretarla.

‘Dissimigliansa’ ® stranezza, stravaganza; benché la conoscenza venga da Bologna ® stranezza è com-


porre canzoni attraverso la scrittura. Cosa vuol dire? Comporre testi sulla base di altri testi, sulla base di
altre fonti scritte, auctoritates filosofiche; oppure intende Scrittura, i testi sacri, perché in Guinizzelli

35
l’intertestualità con nuovo e antico testamento è molto alta. In ogni caso, è certamente un metodo com-
positivo di poesia che agli occhi di Bonagiunta è stravagante, quasi inutile.
Attacco frontale, deciso, che intende demolire la poesia di Guinizzelli. Per questo Dante riprende proprio
Bonagiunta e inserisce nel suo dialogo la sua definizione di Dolce stilnovo.
RISPOSTA A BONAGIUNTA DA LUCCA
Strana, in qualche modo elusiva e quasi laconica, giocata su toni di un’istanza quasi moraleggiante. Si rifà
a un principio generale ma non risponde alle accuse puntuali mosse da Bonagiunta. Sonetto che persino
nella tradizione manoscritta è a sé stante, si trova anche in codici privi del sonetto di Bonagiunta, perché
sta in piedi anche da solo.
Omo ch’è saggio non corre leggero
ma a passo grada sì com’ vol misura;
quand’ha pensato, riten su’ pensero
infin a tanto che ’l ver l’asigura. 4
Foll’è chi crede sol veder lo vero
e non pensare che altri i pogna cura;
non se dev’omo tener troppo altero,
ma dé guardar so stato e sua natura. 8
Volan ausel’ per air di straine guise
ed han diversi loro operamenti,
né tutti d’un volar né d’un ardire. 11

Dëo natura e ’l mondo in grado mise,


e fe’ despari senni e intendimenti:
perzò ciò ch’omo pensa non dé dire. 14

Primo verso è citazione di un altro sonetto di Bonagiunta (Omo ch’è saggio ne lo cominciare) con calco
quasi evidente. ‘Non corre leggero’ = non agisce in modo precipitoso; ma procede gradualmente secondo
un ragionevole equilibrio. Necessità per l’uomo saggio di misurare il proprio ragionamento, e trasformarlo
in parola solo quando è certo di ciò che vuole dire. Trattiene il suo pensiero finché la verità non lo assicura.
Inizio elusivo, dichiarazione generica di come la saggezza sia frutto di una meditazione e di come la scrit-
tura sia la tappa finale di un ragionamento.
Sonetto che in modo un po’ elusivo dichiara la “biodiversità” della poesia.
Questa poesia non spiega quello che viene spiegato nel Purgatorio: praticamente è Dante a rispondere a
Bonagiunta, dove Guinizzelli non gli aveva detto niente di chiaro.
Folle, sbaglia, chi pensa di essere l’unico depositario della verità; l’uomo non dev’essere troppo altero/am-
bizioso/orgoglioso, ma deve guardare la sua condizione, la sua capacità. Molto generale, riflessione morale
sul fatto che l’uomo deve misurare le proprie parole e ragionare con accortezza.
Immagine degli uccelli che volano in modo diverso, ciascuno nel proprio modo, eppure tutti volano. Cia-
scuno agisce secondo la sua personale interpretazione della poesia. Bonagiunta dice che c’è un modo giu-
sto e uno sbagliato, Guinizzelli dice che ognuno può fare come vuole; Dante invece afferma invece che c’è
un nodo, che divide un prima e un dopo.
Dio ha creato la natura secondo una diversa gradualità, e ha reso diversi fra loro le intelligenze e i modi di
sentire; perciò il sapiente non deve dire ciò che pensa precipitosamente. Ultimo verso lascia margini di
difficoltà nell’interpretazione: l’uomo saggio deve parlare in modo cifrato, non deve dire in modo diretto,
ma usare un modo complesso ed ermetico (quello di cui lo accusa Bonagiunta nel sonetto precedente). La

36
risposta di Guinizzelli sfugge al confronto, dice qualcosa che si può intravedere nella risposta, ma la ten-
zone è un gioco a testi, accuse e risposte sono dirette.
GUIDO GUINIZZELLI POETA “ECLETTICO”
A che Guinizzelli si riferisce Bonagiunta quando scrive questo testo? Dante ce lo presenta nella sua rico-
struzione come poeta d’amore, poeta d’amore in direzione stilnovistica. Il numero di poesie conservate di
Guinizzelli è esiguo: circa 15 sonetti, 5 canzoni e alcuni frammenti.
Il Guinizzelli che i documenti ci dimostrano è un poeta che ha le caratteristiche tipiche di queste genera-
zione: è eclettico, presenta diverse soluzioni tematiche e stilistiche; quasi un pre-stilnovismo, elaborazione
di stanze immediatamente recepite e sviluppate da Dante e Cavalcanti. Noi non riusciamo e vedere il
Guinizzelli di cui parla Bonagiunta, né nei pochi testi arrivati capiamo chiaramente che è il padre dello
stilnovo.
Tre diverse immagini di Guinizzelli.
TEMATICA MORALE
Sonetto che ripercorre temi di ascendenza biblica, sorta di riflessione sul desiderio di accaparrare beni
terreni letta in chiave religiosa. Poesia volta a educare il proprio lettore e a indurlo a una riflessione cri-
stiana.
Pur a pensar mi par gran meraviglia
come l’umana gent’è sì smarrita
che largamente questo mondo piglia
com’ regnasse così senza finita,

e ’n adagiarsi ciascun s’assottiglia


come non fusse mai più altra vita:
e poi vène la morte e lo scompiglia,
e tutta sua ’ntenzion li vèn fallita;

e sempre vede l’un l’altro morire


e vede ch’ogni cosa muta stato,
e non si sa ’l meschin om rifrenire;

e però credo solo che ’l peccato


accieca l’omo e sì lo fa finire,
e vive come pecora nel prato.

Già solo a pensare mi sembra incredibile come la gente è così smarrita perché arraffa, ghermisce in modo
copioso ciò che c’è in questo mondo come se durasse (le persone) senza una fine (morte ancora termine
di paragone; tema topico anche dalla tradizione latina).
E nello stare bene ciascuno si preoccupa, come se non ci fosse nessun’altra vita (oltre quella terrena); e
poi invece arriva la morte e lo distrugge, e tutti i suoi piani, le sue intenzioni svaniscono.
Nella seconda parte del sonetto insiste sulla cecità dell’uomo, che non vede proprio quello che in realtà
ha sempre davanti: e l’uomo continuamente vede che la natura umana è destinata a perire (ciascuno
muore) e il peccatore (‘meschin om’) non si sa frenare.
E quindi la condizione peccaminosa rende l’uomo stolto, cieco, riportandolo alla sua condizione anima-
lesca, di bruto: vive come una pecora in mezzo al prato.
Questo sonetto non ha nulla di difficile né in termini linguistici, né dal punto di vista concettuale. Rifles-
sione morale sull’inutilità del desiderio di ricchezza fine a se stessa. Messaggio trasparente, chiaro, anche
privo di quelle ardite sperimentazioni e quel gusto guittoniano dello stile difficile; stile abbastanza piano

37
anche nell’aspetto stilistico, retorico e formale. Impossibile identificare in questa parte della produzione
guittoniana ciò che ha causato l’accusa di Bonagiunta.
Guinizzelli percorre con buona padronanza anche stili e forme che risalgono alla tradizione provenzale e
trobadorica: guarda ai siciliani, guarda la poesia a lui coeva, ma ripesca anche i generi provenzali e troba-
dorici.
17.03.21
TRADIZIONE COMICO-EROTICA

Genere della “pastorella” ® testo di registro basso, tendenzialmente comico: abbassamento dello stile
complessivo; donna della campagna con tratti rustici e temi volti a una sensualità aperta, amore che ha
anche una sua componente fisica. Tono basso, realistico che disegna una voce maschile che descrive una
bellezza femminile e in questa descrizione lascia spazio al desiderio di possederla fisicamente e addirittura
pensa di poterla prendere con la forza. Registro complessivo lingua-stile-temi estremamente lontano dallo
stilnovismo.
Chi vedesse a Lucia un var capuzzo
in cò tenere, e como li sta gente,
e’ non è om de qui ’n terra d’Abruzzo
che non ne ’namorasse coralmente.

Par, sì lorina, figliuola d’un tuzzo


de la Magna o de Franza veramente;
e non se sbatte cò de serpe mozzo
come fa lo meo core spessamente.

Ah, prender lei a forza, ultra su’ grato,


a bagiarli la bocca e ’l bel visaggio
e li occhi suoi, ch’èn due fiamme de foco!

Ma pentomi, però che m’ho pensato


ch’esto fatto poria portar dannaggio
ch’altrui despiaceria forse non poco.

‘Varvar’ = vaio = una sorta di scoiattolo (un cappello di pelliccia: raffinato, ma non particolarmente nobile)
® tratto che caratterizza Lucia da subito.
Non ci sarebbe nessuno da qui alla terra di Abruzzo (terra lontana e selvaggia); chiunque, vedendo questa
donna, non potrebbe non innamorarsene di cuore (‘coralmente’). La prima parte del sonetto è una visione:
arriva questa donna, una popolana, e ne è conquistato.
‘Lorina’ = pezzata, maculata (il cappello di pelliccia). ‘Tuzzo’ = nobile. Pare, con questo berretto, figlia di
un nobile o delle terra della Germania o della Francia ® il che implica: non lo è.
E non sbatte la testa mozzata di un serpente come fa il mio cuore in modo così intenso ® il battito del
cuore è paragonabile a quando si taglia la testa a un serpente, che vibra. Immagine truce, molto lontana
dalla dimensione eterea, ma che acquista tratto di finezza dentro lo stile comico. Anche solo dalle rime si
vede (‘capuzzo’-‘Abruzzo’-‘tuzzo’-‘mozzo’). Tratto realistico comico che abbassa lo stile del testo stesso.
Prime due quartine: descrizione quasi antifrastica rispetto alle descrizioni angeliche, perché la donna è
chiaramente poco nobile, e gli strumenti stessi del poeta sono poveri. Due terzine: escursione del pensiero
che va verso il cedere al desiderio fisico.

Ah, potessi io prenderla contro la sua volontà (‘ultra su’ grato’) e baciarla, etc. ® desiderio che sfocia oltre
il lecito, in una dimensione carnale e violenta.

38
L’Io lirico rientra da questo eccesso con espressione di pentimento: si attenua l’aggressività erotica, ripensa
al fatto che queste azioni potrebbero danneggiare sia la donna sia altri.
ESPERIMENTI IN DIREZIONE STILNOVISTA
Dante: Tanto gentile e tanto onesta pare, dedicato alla stessa occasione individuata da Guinizzelli; Caval-
canti: Chi è questa che ven ch’ogn’om la mira, idem ® qui è chiarissima la paternità nei confronti dei due
poeti da parte di Guinizzelli.
Il sonetto, nel suo insieme, rappresenta gli effetti drammatici che l’amore ha nell’animo umano, in dire-
zione quasi di tipo mistico, quasi una visione divina. Svolto da Guinizzelli riformulando temi già cortesi:
solo enfatizzazione in direzione nuova di alcuni topoi già presenti nella tradizione cortese. Elementi su cui
si fissa sono: saluto (gioco di parole con salute, il saluto della donna porta a uno stato superiore l’uomo) e
sguardo, che poi diventeranno canonici della poesia stilnovistica.
Violenza che questa esperienza genera nell’Io che la vive enfatizzata da Guinizzelli.
Lo vostro bel saluto e ’l gentil sguardo
che fate quando v’encontro, m’ancide:
Amor m’assale e già non ha reguardo
s’elli face peccato over merzede,

ché per mezzo lo cor me lanciò un dardo


ched oltre ’n parte lo taglia e divide;
parlar non posso, ché ’n pene io ardo
sì come quelli che sua morte vede.

Per li occhi passa come fa lo trono,


che fer’ per la finestra de la torre
e ciò che dentro trova spezza e fende:

remagno como statüa d’ottono,


ove vita né spirto non ricorre,
se non che la figura d’omo.

Bel saluto + gentil sguardo. Aggettivi usati con connotazione molto forte, già indirizzati a nobiltà della
donna che caratterizza l’effetto di questa visione. Saluto e sguardo sono due effetti che uccidono il poeta.
Amore mi colpisce ed è una forza che non si preoccupa degli effetti che produce: attraverso il cuore ha
lanciato una freccia che lo taglia e lo divide in due. Questo elemento (afasia, tipico di Giacomo da Lentini:
esperienza amorosa come qualcosa che impedisce al poeta di esprimere ciò che accade = poeta può solo
dire di non poter dire nulla).
Seconda parte: tratto di esasperazione dei toni violenti dell’esperienza.
Questa visione ha la forza del tuono che colpisce attraverso una finestra di una torre ed entra nella stanza
(finestra = occhi, stanza = cuore). La visione non è solo piacevole, ma ha effetti devastanti.
Rimango come una statua d’ottone: resto paralizzato, quasi un fenomeno di alienazione. Sono la sembianza
fisica dell’uomo, ma dentro non c’è lo spirito. Scarto rispetto alla tradizione cortese: c’è qualcosa di più, e
quel di più viene colto immediatamente anche da Dante e da Cavalcanti. Visione che sconfina con una
visione quasi mistica, qualcosa di superiore, è qualcosa che ha caratteristiche eccezionali, che comportano
in chi percepisce questa visione effetti devastanti.
Difficoltà di comprendere qualcosa che è davvero alto e complesso ® poesia stilnovistica. Da questi testi
si irraggiano poi occasioni e situazioni che diventano quelli portanti dello stilnovismo.

39
LA CANZONE AL COR GENTILE REMPAIRA SEMPRE AMORE
Ma quali testi possono aver suscitato la reazione di Bonagiunta nella tenzone? Di sicuro il più vicino è la
canzone Al cor gentile rempaira sempre amore. Tratti tipici stilnovistici: verosimilmente il testo che ha
suscitato reazione di Bonagiunta è questo.
6 stanze, canzone con sviluppo argomentativo abbastanza evidente: prime 3 stanze riguardano soprattutto
la corrispondenza necessaria tra Amore e cuore gentile. Tema così tanto insistito che i due termini ‘cuore
gentile’ e ‘amore’ compaiono in tutti i primi versi delle prime tre stanze: continuità di temi molto evidente,
con chiara articolazione argomentativa molto ampia su questa necessità. Tema è il rapporto tra chi può
vivere l’esperienza amorosa e in cosa questa consiste, cosa fa vivere. Coesistenza di amore e cuore gentile
continuamente ribadita perché necessari l’uno per l’altro.
Quarta stanza: definizione di nobiltà, cos’è, cos’è il cuore gentile (tema molto discusso nella cultura me-
dievale). Quinta stanza: si stabilisce parallelo fra Dio e universo complessivo, come si muove il mondo in
rapporto a Dio in paragone alla donna e gli effetti che essa produce sull’uomo.
Conclusione con siparietto dove poeta si giustifica con Dio per aver usato linguaggio per lodare donna
terrena che si dovrebbe usare solo per lodare dio.
Trattazione dei temi più canonicamente cortesi: cosa fa l’amore nel cuore gentile, qual è il cuore nobile,
cosa genera l’amore nei confronti della donna. Non c’è più metafora donna angelo (che pure appare),
perché non è una novità dello stilnovismo, è della tradizione precedente, ma c’è salto metafisico: donna
non è più come un angelo, ma lo è, c’è una trasformazione quasi metafisica.
PRIMA STANZA
Al cor gentil rempaira sempre amore Amore ritorna nel cuore nobile come fosse la
come l’ausello inselva a la verdura; sua propria casa così come l’uccello si rifugia
né fe’ amor anti che gentil core, tra le foglie; e la natura non ha creato l’amore
né gentil core anti ch’amor, natura: prima del cuore nobile, né il cuore nobile
5 prima dell’amore: esattamente come nello
ch’adesso con’ fu ’l sole,
stesso momento in cui il sole è stato creato su-
sì tosto lo splendore fu lucente,
bito la sua luminosità ha iniziato a risplendere,
né fu davanti ’l sole. e questa stessa luminosità non fu creata prima
E prende amore in gentilezza loco del sole. E l’amore risiede nel cuore nobile
così propïamente esattamente come il calore risiede dentro la
come calore in clarità di foco. 10 luce del fuoco.

Analogia fra mondo interiore e mondo naturale + contiguità. Necessità reciproca fra amore e cuore gentile.
L’amore ritorna, va, nel cuore gentile, allo stesso modo in cui l’uccello si nasconde, entra nel bosco (=
sede ideale).
Gioco insistito delle riprese lessicali: termini ripresi e spesso giocati in distribuzione a chiasmo. Natura
non ha generato prima l’uno e poi l’altro, ma sono stati creati nello stesso momento e vivono insieme e
non possono essere separati.
Immagini naturali: quando il sole è stato creato, nello stesso momento ha avuto la luce: parto comune
anche di cuore gentile e amore. Amore si manifesta dentro la gentilezza in modo così giusto come il calore
risiede dentro al fuoco.
Uccello-nido, sole-luce, fuoco-calore ® immagini che ribadiscono continuamente lo stesso concetto.
SECONDA STANZA
Foco d’amore in gentil cor s’aprende Il fuoco di amore si sviluppa nel cuore nobile
come vertute in petra prezïosa, così come in una pietra preziosa si sviluppa la
che da la stella valor no i discende sua specifica proprietà, dato che quest’ultima
non

40
anti che ’l sol la faccia gentil cosa; non discende dalla stella che ne è origine prima
poi che n’ha tratto fòre che il sole abbia purificata la gemma; solo dopo
15
che il sole con la sua potenza ha eliminato da
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
essa tutto ciò che ha di ignobile, la stella gli for-
stella li dà valore: nisce la sua proprietà: allo stesso modo il cuore
così lo cor ch’è fatto da natura che la natura ha reso eletto, puro, nobile può
asletto, pur, gentile, innamorarsi per effetto di una donna, che ha in
donna a guisa di stella lo ’nnamora. 20 questo la funzione della stella.

Sviluppa un po’ l’argomento della prima. Confronto con pietra preziosa (cfr. cultura medievale per cui
avevano poteri speciali e virtù di ogni singola pietra ® Guinizzelli si rifà a questa enciclopedia del suo
lettore). Queste pietre hanno una virtù che è in potenza = esiste ma deve esplicitarsi. Questa virtù diventa
atto solo alla luce del sole, che esalta la virtù interiore della pietra. Allo stesso modo il cuore nobile ha
dentro di sé qualcosa di prezioso che si esprime solo attraverso l’esperienza amorosa.
Il sole, la luce purifica la pietra (le toglie ciò che è vile) = amore ha la capacità di purificare l’animo
dell’uomo, perché la virtù interna ha la possibilità di trasformarsi a pieno. Amore è qualcosa di cui ha
bisogno il cuore gentile per potersi manifestare. La stella dà forza e virtù all’uomo = la donna.
Fenomeno amoroso comporta processo di miglioramento.
TERZA STANZA
Amor per tal ragion sta ’n cor gentile Amore prende posto nel cuore nobile per lo
per qual lo foco in cima del doplero: stesso motivo per cui il fuoco prende posto in
splendeli al su’ diletto, clar, sottile; cima alla torcia: così vi può risplendere libera-
no li stari’ altra guisa, tant’è fero. mente, luminoso e ben visibile: non potrebbe
fare altrimenti, visto quanto è selvaggia la sua
Così prava natura 25
natura. Un animo malvagio si oppone all’amore
rencontra amor come fa l’aigu’ al foco così come al caldo fuoco si oppone per la sua
caldo, per la freddura. freddezza l’acqua. Amore prende posto nel
Amore in gentil cor prende rivera cuore nobile come luogo che trova confacente a
per suo consimel loco se stesso così come fa la magnetite nel minerale
com’ adamàs del ferro in la minera. 30 del ferro.

Ancora legata a dimostrazione amore-cuore gentile, mostra come avviene il processo di purificazione del
cuore gentile attraverso l’esperienza amorosa.
‘Doplero’ candeliere ® fuoco sta nella parte più alta della torcia, perché amore è potenza che non po-
trebbe stare in nessun altro luogo, tanto è potente. Natura forte dell’esperienza amorosa, che però ha la
forza di purificare. Grande luminosità, potenza di fuoco che non potrebbe essere diversa perché è per
natura così aggressiva.
‘Prava natura’ al verso 25 è natura vile ® l’uomo vile reagisce all’amore come l’acqua col fuoco.
Alcuni elementi della natura stanno naturalmente insieme perché così sono stati creati, come l’amore deve
stare insieme al cuore gentile. Qui dice che la magnetite sta nella pietra del ferro (proprietà naturale).
QUARTA STANZA
Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno: Il sole colpisce il fango continuamente: il fango
vile reman, né ’l sol perde calore; resta ignobile, e non per questo il sole perde qual-
dis’ omo alter: «Gentil per sclatta torno»; cosa del suo calore. Chi è supponente afferma: «Io
lui semblo al fango, al sol gentil valore, sono nobile per diritto di famiglia»: questa per-
sona la paragono al fango, al sole paragono il va-
ché non dé dar om fé 35
lore della nobiltà, visto che non si deve credere
che gentilezza sia fòr di coraggio, che la nobiltà risieda fuori dal cuore, per semplice
in degnità d’ere’, diritto ereditario, se non si ha un cuore nobile di-
sed a vertute non ha gentil core, sposto ad accogliere la virtù; allo stesso modo
com’aigua porta raggio dell’acqua che riflette il raggio delle stelle anche
e ’l ciel riten le stelle e lo splendore. 40 se esse e il loro splendore appartengono al cielo.

41
Scarta dal punto di vista argomentativo e introduce il tema della nobiltà: cos’è e quali sono i suoi tratti
caratterizzanti. Necessità che nobiltà e cuore gentile sia una qualità interiore, non esteriore.

Torna immagine di amore come luce. Fango rimane fango, ma il sole non perde la sua forza ® amore non
perde potenza, ma ciò che viene colpito è fango e non può avere nessuna metamorfosi, resta vile, nella sua
natura bassa. Nobile per schiatta = nobile per famiglia. Quest’uomo è paragonato al fango = colui che non
vive l’esperienza amorosa esaltandola a pieno.
Così come l’acqua riflette la luce del sole e delle stelle ma non cambia nella sua natura.
QUINTA STANZA
Splende ’n la ’ntelligenzia del cielo Dio creatore risplende di fronte all’intelligenza
Deo crïator più che ’n nostr’occhi ’l sole: celeste più che il sole ai nostri occhi: questa intel-
ella intende suo Fattor oltra ’l cielo, ligenza comprende il suo Creatore che sta al di so-
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole. pra del cielo a cui è preposta, e facendo muovere
quello stesso cielo inizia a obbedirGli. E realizza,
E consegue, al primero, 45
da subito, ciò che il giusto Dio gli ha indicato
del giusto Deo beato compimento.
come suo beato incarico. Allo stesso modo, a dire
Così dar dovria al vero, il vero, la bella donna, nel momento in cui
la bella donna, poi che ’n gli occhi splende splende negli occhi del suo nobile innamorato,
del suo gentil, talento dovrebbe dare a lui un desiderio talmente forte da
che mai di lei obedir non si disprende. 50 impedirgli di rinunciare ad obbedirle.

Forse la più impegnativa dal punto di vista filosofico, perché c’è un parallelo fra Dio e donna. Parallelo
costruito con struttura così-come. Dio rappresentato in virtù della costruzione del mondo ® Dio è intel-
ligenza prima che muove tutto il creato; allo stesso modo accade per uomo e donna. Amore universale che
governa armonia complessiva del mondo, che è quella generata dall’amore di Dio che splende nel cielo e
guarda le sue creature, è la stessa della donna.
Nesso quasi ardito anche dal punto di vista teologico. Dio creatore splende (immagini di luminosità) di
fronte ai cieli che compongono dimensione cosmologica del mondo. Intelligenza del cielo capisce il suo
Fattore al di sopra del cielo, e muovendo il cielo inizia ad obbedire. Tutto il moto universale dipende da
una risposta all’amore di Dio nei confronti del suo creato ® sorta di obbedienza naturale, capacità che
Dio ha di muovere senza parlare il mondo nel suo insieme.
Rapporto di obbedienza che risponde per un’affinità interiore: l’universo si muove per una naturale ade-
sione all’amore di Dio.
Tutto questo riportato sulla figura femminile nella seconda parte della stanza.
Come Dio muove il cielo, la donna che risplende negli occhi di chi prova affetto per lei, dovrebbe dargli
il desiderio di obbedirle senza risposta, senza obiezioni: amore istintivo generato dalla donna (che è un’en-
tità che genera obbedienza anche senza parlare). Obbedienza è naturale risposta a ciò che quell’entità
promuove. Amore universale che genera condizione di eccezionale equilibrio.
Lettore deve avere buona conoscenza della scienza del tempo e delle enciclopedie ® elitarietà: se il lettore
non sa queste cose non può capire la stanza. È un complesso tentativo di modificare il rapporto uomo-
donna e l’idea stessa di amore.
SESTA STANZA
Donna, Deo me dirà: «Che presomisti?», Donna, Dio mi dirà: «Come hai potuto essere così
sïando l’alma mia a lui davanti. presuntuoso?», quando l’anima mia sarà di fronte
«Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti a lui. «Hai superato i cieli arrivando addirittura
e desti in vano amor Me per semblanti: sino a Me per sfruttarmi come paragone parlando
di un amore terreno: laddove solo a Me sono do-
ch’a Me conven le laude 55
vute le lodi, e alla Regina del nobile regno che è
e a la Reina del regname degno nemica di ogni malvagità». Potrò risponderGli:
«A

42
50
per cui cessa onne fraude». «Aveva l’aspetto di un angelo che appartenesse al
Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza tuo regno, non mi si può imputare a colpa se mi
che fosse del Tuo regno; sono innamorato di lei».
non me fu fallo, s’in lei posi amanza». 60

Stanza che rompe il crescendo argomentativo di complessità e di trattazione di argomenti filosofico-scien-


tifici. Introduce un piccolo quadretto, che si può leggere come una sorta di autoironia, per abbassare un
po’ i toni. Il poeta in punto di morte si trova50davanti a Dio e deve giustificare un uso non consono del
linguaggio.
Hai oltrepassato il cielo e sei arrivato fino a me e hai dato per vano amore (= amore laico, terreno, vano)
e l’hai paragonato a me. Ma come ti sei permesso? La laude, lode, preghiera: il linguaggio che hai usato
conviene, è utile, solo per me e per la Beata Vergine. Quelle parole che hai usato sono legittime solo in
poesia di carattere religioso, non laica.
Assomigliava a un angelo che proveniva dal tuo regno: non è stato mio errore se ho parlato di lei come
avrei dovuto parlare solo di Dio.
Si riduce portata conoscitiva e filosofica: non è colpa mia, era la donna che sembrava un angelo vero.
In conclusione:
Guinizzelli poeta eclettico: capace di interpretare soluzioni stilistiche e tematiche molto diverse fra loro;
affiancabile ai siculo-toscani; dal punto di vista generazionale è, se non coetaneo, parallelo all’esperienza
guittoniana; almeno alcuni suoi testi spingono in direzione pre-stilnovista e sono questi testi che muovono
Bonagiunta ad accusare Guinizzelli di aver cambiato il modo di fare poesia (cambiamento per lui non
corretto e pericoloso, questo perché esclude i lettori comuni e va in direzione complicata). Dante ridà vita
alla figura di Bonagiunta per fargli dire che finalmente ha compreso la difficoltà, spiegata non solo con il
precedente guinizzelliano, ma con l’opera dantesca stessa.
Stilnovo ha sorta di genesi in Guinizzelli, ma forse è una capacità di Dante e Cavalcanti di selezionare testi
del poeta che permetta loro di costituire una nuova poetica.
22.03.21

DANTE, LE RIME E LA VITA NOVA


Nato nel 1265, morto nel 1321, Dante racconta moltissimo di sé nelle sue opere. Dimensione “autobio-
grafica” (termine che nasce nel ’700): Dante nella sua opera continua a raccontarci della sua vita. In almeno
due passaggi del Convivio si giustifica per questa sua esibizione del sé (che secondo logica medievale in-
dicava arroganza), perché dice che ci sono due occasioni in cui è lecito farlo:
1) Quando si vive in una situazione di grande difficoltà perché si subiscono accuse non fondate che
mettono a repentaglio il proprio decoro (cfr. De consolatione Philosophiae di Boezio, che, in esilio,
scrive per ridare credito alla propria figura – una sorta di apologia)
2) Quando l’esperienza personale porta molta utilità agli altri per via di dottrina = insegna qualcosa
agli altri su base di esperienza singola (cfr. Confessioni di S. Agostino: racconto di una conversione
– primo grande episodio di autobiografia – che serve a chi lo legge per capire e seguire il suo
esempio).
Dante è sempre molto attento a giustificare i suoi scritti, motivando così la sua scelta.
Sicuramente fino al 1300 vive a Firenze, in quella realtà comunale dove c’è forte conflittualità politica
interna tra guelfi bianchi (filoimperiali) e guelfi neri (filopapali). Dante appartiene alla piccola nobiltà,
viene da una famiglia che non è tra le più esposte nella gestione del potere. Ha una buona educazione
letteraria: nella sua formazione vede protagonista Brunetto Latini (che ci indica la direzione seguita da

43
borghesia/aristocrazia rivolta a una cultura pratica; scrive una retorica che ha un’idea di sapere con chiara
funzione attiva: insegna la capacità di muoversi nella realtà) e Guido Cavalcanti (amico, “fratello mag-
giore” che condivide prima parte dell’esperienza poetica di Dante; ma non condivide la militanza dello
stesso partito politico). Nel 1300 diventa priore (più alta carica fiorentina), momento più alto della sua
carriera politica. Decisioni: per ridurre conflittualità allontana alcuni dei capi più facinorosi (tra cui Ca-
valcanti – solidarietà intellettuale non comporta parzialità politica). Tra 1300 e 1301 c’è la rottura: va in
ambasciata a Roma da Bonifacio VIII, per calmare i conflitti, e mentre Dante è fuori Firenze il potere
politico viene rovesciato (dai guelfi neri guidati da Carlo di Valois, probabilmente con l’aiuto del papa) e
lui viene bandito dalla città. Da quel momento in poi non potrà più tornarvi. Esilio ® trauma significativo
nell’esperienza poetica di Dante.
LE RIME
Stagione giovanile di Dante: accanto a militanza politica e vita complessa, comunque matura la sua espe-
rienza poetica. Tra 1280 e 1300 troviamo almeno 90 testi lirici danteschi, parte dei quali confluiranno nella
Vita nova e nel Convivio. Alcuni sono anche testi giocosi o particolarmente orientati allo sperimentalismo
linguistico e stilistico.
Esperienza dantesca comincia sotto il segno della poesia cortese = a prevalente carattere amoroso, con
un’interpretazione abbastanza canonica dei luoghi comuni della poesia cortese.
L’ESPERIENZA CORTESE: GUIDO, I’ VORREI CHE TU E LAPO ED IO (RIME 8)
Sonetto che si rifà al genere provenzale del plazer (piacere) dove si elencavano una serie di cose o oggetti
piacevoli che il poeta augurava a se stesso o a un avversario (es. Folgore da San Gimignano che costruisce
un ciclo di sonetti dedicati all’anno, e mese per mese indica in quel momento di cosa si può godere, in
un’elencazione di elementi positivi). Genere piegato da Dante, non solo all’elenco delle cose piacevoli, ma
piuttosto lo costruisce come un viaggio che ha coloritura fiabesca, tanto che i rapporti con il mondo dei
romanzi, specie arturiani, è evidente: una sorta di sogno cortese legato alla dimensione amorosa, ma anche
all’amicizia, e a una sorta di pace conseguibile attraverso questo sogno fantastico. Sonetto “corale”: è
corale l’esperienza che vuole disegnare. Come già vediamo nell’incipit, i destinatari sono due (Guido Ca-
valcanti e Lapo Gianni) e Dante stesso: tre poeti che fanno poesia d’amore che potrebbero trovarsi insieme
sotto il segno dell’amicizia, in una situazione quasi fantastica. Amicizia basata su condivisione di senti-
mento, di modo di fare poesia, di ideologia letteraria.
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio; 4
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse il disio. 8
E monna Vanna e monna Lagia poi,
con quella ch’è sul numer de le trenta,
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d’amore, 12
e ciascuna di lor fosse contenta
sì come credo che saremmo noi.

‘Presi per incantamento’ ® rapiti quasi per magia: dimensione fiabesca, arturiana, qui evidente.
E fossimo messi in un vascello, una nave, che navigasse per il mare secondo il nostro volere. Nave magica
che si muove senza bisogno di un equipaggio ma che risponde solo ai bisogni dei tre amici. Motivo della

44
nave magica molto diffuso nel romanzo arturiano (cfr. Tristano e Isotta, Profezie di Merlino); idea del
vascello incantato che risponde a una sorta di incantamento ripreso dal repertorio cortese e arturiano.

La nave fantasma permette una navigazione priva di incidenti, anzi: verso 7 ® vivendo sempre accumunati
da una passione identica (esperienza corale: tutti e tre partecipi della stessa esperienza). ‘Disio’ del verso
8 ® desiderio di stare legati gli uni con gli altri.
Prima parte: dimensione fantastica in cui i poeti d’amore devono e possono stare insieme solo pensando
a questo, dove non c’è nulla che perturba questo sereno clima di amicizia.
Seconda parte: introduce la parte femminile, le donne cantate dai tre.
E assieme a noi ci fossero monna Vanna (Guido) e monna Lagia (Lapo) e al verso 10 accenno a sirventese
che non abbiamo, composto da Dante, in cui celebrava la bellezza delle donne fiorentine e dove al tren-
tesimo posto c’era Beatrice. Figure collocate con i poeti dal mago che costruisce questa situazione fanta-
stica.
Si costruisce ideale di quasi esclusione dal mondo in cui l’unico argomento è quello amoroso dove c’è
serena e perfetta comunità = quadro ideale del rapporto che poesia di stampo cortese può definire. Piena
adesione al codice cortese, della poesia laica, interpretata come un valore godibile in sé e per sé, senza
richiedere giustificazioni particolari. Dante chiude in questo quadro perfetto la dimensione della poesia
amorosa, con forte attrazione di tutto l’immaginario arturiano cavalleresco e cortese. Cfr. canto V dell’In-
ferno: Paolo e Francesca che raccontano l’esperienza di, in fondo, adesione al codice arturiano e cortese
(anche dal punto di vista poetico, sentendo il modo di parlare di Francesca), ma Dante non dimentica che
proprio quella poesia li ha portati a peccare e finire all’inferno.
Poesia felice senza nessun sovrasenso ideologico e senza spinta altra rispetto a quella che è la poesia cortese
e cavalleresca. Espressione della poesia dantesca che troviamo nel Dante giovane, del suo periodo esor-
diale.
LA VITA NOVA
Tra seconda metà degli anni ’80 e anni ’90 allestisce la Vita nova: straordinaria innovazione, opera che
segna uno scarto quanto mai profondo rispetto alla sua contemporaneità: vero nodo tra lui e gli altri, per
complessità strutturale, ricchezza dei temi, implicazione anche sapienziale-teologica, interpretazione
d’amore che cambia radicalmente l’idea stessa della poesia amorosa.
Vita nova è composta da Dante facendo una sorta di auto-antologia dei suoi testi. Dante non la ipotizza,
ma pensa di riorganizzare una serie di suoi testi in un organismo più complesso e unitario, all’interno del
quale andrà riconsiderando e ridefinendo tutta la sua produzione.
A una certa altezza della sua carriera, Dante sente questo bisogno di riorganizzazione, e compirà la grande
invenzione di un genere: crea una forma di racconto che dà senso diverso alla sua esperienza lirica. È
davvero un’opera narrativa costruita con linee ideologiche particolarmente forti, tanto che alcuni dei testi
che Dante seleziona vengono fortemente reinterpretati dentro l’opera.
VITA NOVA: INTRODUZIONE GENERALE
Opera composta dopo la lunga esperienza poetica. Composizione dei testi poetici contenuti è dal 1283 (a
partire da A ciascun alma presa) al 1291 ® poesia giovanile. Viene data forma alla Vita nova nei primi anni
del 1290 (1292-1293 e forse 1295). Storia fittizia va dal 1274 (primo incontro con Beatrice) al 1291. Ci
sono un inizio e una fine, scanditi da alcuni momenti importanti: è il racconto di ciò che accade e della
maturazione progressiva, talvolta difficile, della figura del poeta. Sorta di romanzo di formazione con in-
sieme il racconto di un’esperienza conoscitiva, che impara progressivamente a comprenderla + esperienza
del poeta che cerca di dare forma alla sua conoscenza dell’esperienza amorosa.

45
Doppia linea: biografica dell’Io giovane + linea dell’Io poeta che anche cambia il proprio stile in virtù
delle esperienze che si trova a vivere.

Alternanza di prosa e poesia: prosimetro ® alternanza di voci e di strumenti retorici; la poesia lirica è
espressione più intima e profonda, la prosa assume una direzione più distaccata, da narratore, che assume
e spiega i fatti del racconto.
La struttura individuata da Dante prevede 31 liriche:
- 25 sonetti (2 reinterzati)
- 5 canzoni
- 1 ballata
Non tutti i capitoli dell’opera prevedono una poesia; quelli che coincidono con le parti più importanti e
drammatiche non ne hanno.
Funzioni della prosa:
- Narrativa: funzione del racconto, narratore spiega cosa sta accadendo, seppur in una storia fatta
di visioni, simboli, occasioni particolari. Racconta i fatti.
- Auto-esegesi: auto-commento, il poeta commenta i suoi testi spiegandone il significato. Opera-
zione molto importante che mette Dante nelle condizioni di spingere il lettore a vedere nei testi
ciò che vuole lui. Interpretazione tendenziosa che suggerisce al lettore la corretta interpretazione
dei testi. Dante dà indirizzo interpretativo che suggerisce al lettore, che finisce per vedere esatta-
mente ciò che Dante vuole che veda. Quasi sovrainterpretazione del testo lirico stesso; se lo leg-
gessimo senza la prosa, potremmo dare un’interpretazione diversa.
- Digressioni: pause dal racconto, legate ai temi più vari (es. arte poetica), sono voci del narratore
che riflettono sui temi che vengono trattati, sono dichiarazioni d’autore.
- Divisione dei componimenti: procedimento di precisare l’articolazione logica dei componimenti
che è tipica della trattazione filosofica = si prende un testo e lo si distribuisce nella trattazione
argomentativa per dare al lettore anche maggiore chiarezza.
Modelli e fonti per il prosimetro. Non c’è nessun reale precedente, Dante inventa un nuovo genere, ispi-
randosi in particolare a forme già esistenti:
• Per la commistione di prosa e poesia:
- De consolatione Philosophiae di Severino Boezio
- Tesoretto di Brunetto Latini
- Vidas dei canzonieri provenzali: spesso ricostruite con biografia dell’autore seguita poi
dalla poesia (comunque dialogo fra poesia e prosa narrativa), mentre la Vita nova è un
continuo intreccio di queste due forme di espressione letteraria
• Per il tema dell’amicizia aristocratica ed elettiva e per quella autobiografica:
- Laelius di Cicerone: fin dall’inizio dell’opera, Dante si rivolge a una platea di amici nel
senso di sodali, compagni di esperienza poetica e di conoscenza (primo sonetto racconta
di un sogno e chiede alla sua comunità di amici un’interpretazione di quel sogno per
poterlo comprendere).
- Le Confessioni di Agostino: storia di maturazione e conversione del tutto personale
Il titolo e l’inizio.
In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la
quale dice: «Incipit vita nova». Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d’as-
semplare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia
[Vita nova I]

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Il ‘libro de la mia memoria’ ® libro dei suoi ricordi, autobiografia legata a un’esperienza memoriale, molto
breve perché è di un poeta giovane, non ha lunga esperienza biografica.
Rubrica (didascalia in rosso) sotto la quale intende selezionare (‘assemplare’) gli argomenti da inserire in
questo libro, e se non tutte almeno il significato fondamentale (‘sentenzia’). Racconto selettivo di espe-
rienza giovanile che si pone sotto il segno del rinnovamento. Esperienza che segna un cambiamento forte.
Elementi essenziali dell’incipit sono quindi:
- Il libro come metafora della propria vita in cui si trascrivono (‘assemplare’) le parole più signifi-
cative.
- ‘Almeno la sentenzia’ = auto-antologia che riproduce alcune parole; altre le sintetizza.
Metafora del libro in cui si trascrivono le proprie esperienze, riportare ciò che è più significativo della
propria vita e selezionarne le parti più significative. Molto importante quindi osservare come fin dall’inci-
pit Dante ha un’idea molto chiara di cosa dovrà essere questo libro.
Cosa vuol dire il titolo? In questo caso vuole dare al lettore il titolo esatto, inserendolo nell’opera stessa:

• Età anagrafica: vita giovanile (cioè storia della propria esistenza giovanile, in contrapposizione
alla maturità). Elemento legato alla biografia (inizio della vita, quando comincia la vita, libro che
è piccolo perché è giovane).
• Novus quindi renovatio (‘cambiamento’) che è in prima istanza spirituale (‘conversione’) e in se-
conda battuta di carattere poetico, letterario (‘nuova consapevolezza’ del significato della poesia,
rinnovamento che registriamo nel corso dell’opera), che si conclude nel momento in cui il poeta
dichiara di aver iniziato esperienza poetica nuova ma che ancora non riesce a esprimere comple-
tamente.
• Novus anche nel senso di ‘straordinario’, ‘mai accaduto in precedenza’, per sottolineare l’eccezio-
nalità della storia. Elemento straordinario, mai edito, mai accaduto: qualcosa di talmente eccezio-
nale che merita di essere raccontato.

Comprensione fenomeno amoroso/capacità di esprimerlo in maniera non completamente simmetrica ®


quando la forbice fra le due è troppo ampia, Dante ci dice che non riesce più ad andare avanti perché gli
mancano gli strumenti linguistici, poetici, forse anche di pensiero. Vita nova = prima tappa di un percorso,
dimensione iniziatica di racconto: chi vive l’esperienza acquisisce nel corso del tempo nuove informazioni
che gli fanno capire ciò che ha davanti agli occhi.
Quali funzioni sono attribuite al ‘libro de la memoria’?

• Selezionare i fatti, cioè portare da libro a libello (piccolo libro) = distillato delle esperienze con-
dotte. Perché seleziona i fatti? Perché storia centrata sull’Io diventa insegnamento per i suoi let-
tori;
• Narrare una storia esemplare, che permetta ad altri lettori di comprendere l’eccezionalità
dell’esperienza dantesca e dell’esperienza amorosa in assoluto.
• Chiosare, commentare i fatti raccontati: libro nel senso di organismo complesso che, grazie alla
commistione di poesia e prosa, permette non solo di selezionare i testi relativi agli avvenimenti
accaduti, ma anche di spiegarli. Esperienza quasi eccezionale rispetto ai precedenti canzonieri.
Dante dissemina il suo testo con elementi narratologicamente importanti, che hanno un loro si-
gnificato per l’interpretazione complessiva del testo stesso (quelle in prosa non sono parti ancil-
lari, ma nell’insieme danno significato ulteriore al racconto di un’esperienza).
Racconto è costruzione a cui mira Dante stesso. Elementi che lo rendono tale:

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- Ambientazione urbana ® costruito tutto all’interno della città di Firenze, mai indicata in modo
esplicito ma è dove avvengono tutti gli avvenimenti, è il teatro dell’azione.
- Personaggi ® Io lirico, Beatrice (la donna amata), le figure elettive che comprendono e commen-
tano il racconto stesso, quasi sempre le amiche di Beatrice, che sono anche interlocutrici dirette
di alcuni passaggi col Dante personaggio.
- Elementi simbolici ® inseriti nel racconto per caratterizzare la storia con un’aura di sacralità
molto evidente: Dante narratore è abilissimo nel caratterizzare la storia con elementi che sono
testimonianza evidente della sacralità in cui si colloca tutta la storia.
VITA NOVA: STRUTTURA NARRATIVA

Articolazione opera nella sua struttura complessiva ® Dante è molto attento all’architettura nell’insieme.

Gorni Barbi Evento narrato Liriche e forma metrica

Incipit Vita Nova


A ciascun alma presa e gentil core
1 I-III, 13 Esordi dell’amore per Beatrice, dall’incontro puerile alla
[sonetto abba abba cdc dcd]
prima visione del cuore mangiato

O voi che per la via d’Amor passate


2 III, 14-VII Prima donna dello schermo e sua partenza dalla città
[sonetto rinterzato]

Piangete, amanti, poi che piange Amore


[sonetto abba abba cde edc]
3 VIII Morte di un’amica di Beatrice
Morte villana, di pietà nemica
[sonetto rinterzato]

Viaggio di Dante; incontro con Amore e seconda donna Cavalcando l’altr’ier per un cammino
4 IX
dello schermo [sonetto abba abba cde edc]

Beatrice si sdegna e nega il saluto Ballata, i’ voi che tu ritrovi Amore


5 X-XII
Amore spiega al poeta le ragioni del rifiuto [ballata]

Tutti li miei pensier parlan d’Amore


6 XIII Battaglia di pensieri sulla signoria e sul nome di Amore
[sonetto abba abba cde edc]

Con l’altre donne mia vista gabbate


7 XIV Gabbo da parte delle donne
[sonetto abba abba cde edc]

Ciò che m’incontra, ne la mente more


8 XV Riflessione sulla potenza della bellezza di Beatrice
[sonetto abba abba cde cde]

Spesse fiate vegnonmi a la mente


9 XVI Motivi che lo spingono a desiderare l’incontro con Beatrice
[sonetto abab abab cde cde]

Risponde a una donna e spiega il suo amore per Beatrice (si Donne ch’avete intelletto d’amore
10 XVII-XIX
appaga nella lode e così anche la sua poesia) [canzone]

Amor e ’l cor gentile sono una cosa


11 XX Amore e la sua donna
[sonetto abab abab cde cde]

Ne li occhi porta la mia donna Amore


12 XXI Amore e la sua donna
[sonetto abba abba cde edc]

Voi che portate la sembianza umile


[sonetto abba abba cdc cdc]
13 XXII Morte del padre di Beatrice
Se’ tu occhi c’hai trattato sovente
[sonetto abba abba cdc cdc]

Malattia e delirio di Dante (visione della morte di Donna pietosa e di novella etate
14 XXIII
Beatrice); conforto della donna pietosa [canzone]

48
Visione di Giovanna che anticipa, come Giovanni Battista Io mi senti’ svegliar dentro a lo core
15 XXIV
con Cristo, la venuta di Beatrice [sonetto abab abab cde cde]

16 XXV Digressione sui poeti antichi e moderni Nessuna poesia

Tanto gentile e tanto onesta pare


Elogio di Beatrice, con ripresa dei temi dello stile della [sonetto abba abba cde edc]
17 XXVI
lode e del saluto Vede perfettamente onne salute
[sonetto abab abab cde cde]

Sì lungiamente m’ha tenuto Amore


18 XXVII Canzone interrotta per la notizia della morte di Beatrice
[canzone monostrofica]

Quomodo sedet sola civitas plena populo! Facta est quasi


XXVIII-
19 vidua domina gentium Nessuna poesia
XXX
Annuncio della morte di Beatrice

Li occhi dolenti per pietà del core


20 XXXI Compianto per la morte di Beatrice
[canzone]

Sonetto in morte di Beatrice scritto ad istanza di un amico Venite a intender li sospiri miei
21 XXXII
di Dante e parente di lei [sonetto abba abba cde dce]

Canzone in morte di Beatrice scritto ad istanza di un amico Quantunque volte, lasso!, mi rimembra
22 XXXIII
di Dante e parente di lei [canzone]

Anniversario della morte di Beatrice (sonetto dai due Era venuta ne la mente mia
23 XXXIV
cominciamenti) [sonetto abba abba cde dce]

Videro li occhi miei quanta pietate


24 XXXV Infatuazione per la donna gentile
[sonetto abba abba cde edc]

Color d’amore e di pietà sembianti


25 XXXVI La donna gentile conforta il poeta
[sonetto abba abba cde dce]

Gli occhi del poeta sono attratti dalla donna gentile, invece L’amaro lagrimar che voi faceste
26 XXXVII
di piangere per Beatrice [sonetto abba abba cde dce]

Guerra di pensieri tra l’amore per la donna gentile e la Gentil pensero che parla di vui
27 XXXVIII
fedeltà a Beatrice [sonetto abba abba cde dce]

Visione di Beatrice; rinasce l’amore per lei e viene Lasso! Per forza di molti sospiri
28 XXXIX
abbandonata la donna gentile [sonetto abba abba cde dce]

Deh peregrini che pensosi andate


29 XL Incontro con i Romei (pellegrini) che attraversano Firenze
[sonetto abba abba cde dce]

Oltre la spera che più larga gira


30 XLI Invio di versi a donne gentili; visione finale dell’Empireo
[sonetto abba abba cde dce]

Congedo
31 XLII Nessuna poesia
Qui est per omnia secula benedictus

Ci sono capitoli (divisione in partizioni narrative). Simmetria prosa-poesia non perfettamente mantenuta.
Presenza parti in latino:
1) Prima è nell’esordio (Incipit Vita Nova).
2) Seconda è nel capitolo 19 (Quomodo sedet sola civitas plena populo! Facta est quasi vidua domina
gentium), citazione delle lamentazioni di Geremia dove si celebra la solitudine della città, che è
diventata vedova fra le genti. Capitolo importante perché è quello in cui si annuncia al lettore la
morte di Beatrice: come se l’opera si bipartisse nei primi 18 capitoli in vita, e poi 19-31 in morte
di Beatrice. Dante fu forse uno dei primi poeti a scrivere una parte del proprio libro lirico dopo

49
la morte della donna (che non segna la fine): è un passaggio nella comprensione del fenomeno
amoroso.
3) Terza al capitolo 31 (Qui est per omnia secula benedictus), citazione dell’epistola di S. Paolo ai
romani che gioca col nome di Beatrice e sigilla la chiusura dell’opera stessa.
Tre momenti importanti: inizio, svolta della morte di Beatrice, fine dell’opera.
Ulteriori partizioni: capitoli 1-18 esperienza in vita di Beatrice ma con ulteriore divisione 1-9 e 10-18. Al
capitolo 10 troviamo la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore: svolta perché segna l’abbandono da
parte di Dante della necessità di vedere e incontrare Beatrice, perché è consapevole che la poesia da sola
è in grado di fargli vivere quell’esperienza. Cambiamento registro poetico = diversa consapevolezza del
fenomeno amoroso. Scarto particolarmente insistito in questa prima sezione.
Anche nella seconda parte possiamo trovare un’ulteriore divisione 19-27 e 28-31. Capitolo 27 è il momento
in cui Dante vive una situazione di smarrimento successivo al lutto per Beatrice stessa: traviamento per la
donna gentile fino a che non ritrova Beatrice e in particolare nei capitoli 29-30-31 comprende meglio la
realtà di Beatrice, ritorna a esserne un fedele e comprende meglio la natura del sentimento e il percorso
conoscitivo e migliorativo.
Rapporto testi lirici-prosa. Come sceglie le parti dove non inserire della poesia?

• Capitolo 16 ® digressione sulla poesia, in senso generale, e sulla storia della poesia.
• Capitolo 19 ® costruito legato al capitolo 18, dove Dante nella finzione narrativa ci dice che è in
procinto di comporre una canzone, ne presenta la prima stanza e poi dice di aver appreso della
morte di Beatrice e non può più continuare. Primo capitolo post-morte = solo prosa, no poesia,
quasi un silenzio luttuoso.
• Capitolo 31 ® Dante dichiarerà di non essere in grado di fare poesia perché non ha gli strumenti
per farla = abbandona lirica e dice che deve interrompere il suo racconto per avere tempo di
studiare e maturare strumenti adatti per la poesia che vuole fare.
Posizioni calcolate, alcuni capitoli (Gorni) hanno più di un componimento ® quello della morte
dell’amica di Beatrice (3), della morte del padre di Beatrice (13), dell’elogio della figura di Beatrice (17).
Anche in questo caso, proprio per l’attenzione a questi elementi, bisogna ricordare che queste piccole
variazioni strutturali sono costruite con grandissima consapevolezza.
23.03.21
Prosimetro ® genere discorsivo che lega prosa e poesia; usato da Dante con molta raffinatezza. Funzione
narrativa: capacità attraverso la prosa di costruire un racconto (inteso come serie di eventi che danno un
significato e segnano il progresso di una storia). Narrazione esemplare = storia costruita su pochi elementi
reali resi assoluti nel racconto della storia, gli elementi reali sono quindi quasi occultati. Distinzione fra
Dante personaggio (= soggetto che vive la storia e che esprime attraverso le parole, anche poetiche, ciò
che prova) e Dante narratore (= Dante che racconto, in seguito, quanto gli è successo).
VITA NOVA: IL RACCONTO SIMBOLICO E IL NUMERO NOVE
Referenti reali sono quasi occultati: es. il narratore precisa il luogo in cui avviene la vicenda narrata, la
città, anche se sempre in modo generico, senza usare il toponimo di Firenze, e così fa anche con i destina-
tari: più delle volte allusi; vero e principale destinatore dell’opera è ‘il primo dei suoi amici’, cioè Guido
Cavalcanti, esplicitato esplicitamente solo in alcuni passaggi.
Sorta di rarefazione degli eventi, come se gli eventi reali fossero stati scelti accuratamente, ma anche privati
di una loro referenzialità troppo diretta. Dante narratore diventa quasi amanuense che trascrive nel libro
della sua memoria e chiosa cos’è accaduto, ma selezionandolo: il processo di filtro selezione/illustrazione

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è fondamentale per il racconto che viene precisato. Racconto fatto di pochi elementi ma caricati significa-
tivamente di un valore che spinge a un’interpretazione complessiva di tutta la storia.
Possibile individuare una scansione delle fasi del racconto (Gorni): 31 capitoli, con prima parte (1-18) e
suddivisione interiore (1-9 e 10-18). Nei primi 9 capitoli: storia tutto sommato piuttosto convenzionale,
costruita secondo le caratteristiche della poesia cortese (innamoramento, saluto, donna schermo, gabbo;
tutti elementi che caratterizzano racconto fortemente connotato ma con caratteristiche convenzionali).
Dopo il capitolo 10 prende il via lo stile della loda: gli eventi, la storia cominciano a ristagnare; molto è
centrato sul tema della lode, che programmaticamente non ha bisogno di eventi narrati; diverse digressioni
(momento di sospensione del racconto). Seconda parte, dal capitolo 19 al 31: prima divisione, successivo
alla morte di Beatrice ® senso di smarrimento e sconvolgimento dell’Io, che vive l’esperienza del travia-
mento e sembra inseguire ‘nuovo amore’ cioè la donna gentile. Poi Io lirico ritrova la strada corretta,
rientra dall’errore e celebra una nuova Beatrice, comprendendo meglio ciò che è accaduto.
Tutto il racconto che Dante costruisce ha molto spesso come modello i racconti evangelici: linguaggio
quotidiano (semplice) con cui vengono narrati eventi miracolosi. Forte insistenza su eventi di apparizione
e fantasmatici: visioni sono elemento costante; ma anche narrazione giocata su eventi resi in modo sem-
plice e diretto.
Dentro questo racconto, Dante inserisce con abilità da narratore alcuni elementi che sono fortemente
caratterizzati, da un lato importanti per la definizione della storia, dall’altro connotazione costruita attra-
verso abilità narrativa molto evidente; es. presenza del numero 9, e suo significato che viene via via solo
presentato e poi spiegato. Nella struttura medievale, i numeri sono elementi di discorso intellettuale, che
permettono per via analogica di ritornare all’ente ordinatore che ha costruito il mondo.

Deus geometra ® Dio che attraverso una struttura regolata ha costruito un mondo perfettamente armo-
nico; il numero 9 è segno di questa perfezione, una traccia del divino che è costantemente sottolineata
nella figura di Beatrice. Però Dante, nella prima parte del racconto, non dirà nulla sul significato del nu-
mero 9, ma solo sottolineerà nel testo che per coincidenza è accaduta tale cosa proprio col numero 9 che
emerge.
PRIMO PASSAGGIO
Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a un medesimo punto, quanto a la
sua propria girazione quando a li occhi miei apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata
da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare. [2] Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo
tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal
principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono.
Vita Nova, II, 1-2 [1]

Legato all’evento che inizia la vicenda d’amore fra Dante e Beatrice. Nella prima apparizione, nel 1274,
appare per la prima volta il numero 9: è l’età di Dante e l’età a cui si sta avvicinando Beatrice. Già qui
dobbiamo osservare come Dante usi le parole con grandissima attenzione: sono sovraccaricate di signifi-
cato.
‘Apparve’ puntellerà costantemente tutti gli episodi di visione di Beatrice. Apparizione è un evento quasi
già meraviglioso (non è semplicemente vedere). Beatrice era così chiamata anche da coloro che non sape-
vano il suo nome ® come se la sua qualità evidente portasse le persone a sapere il suo nome perché era
colei che porta beatitudine (interpretatio nominis).
Il cielo delle stelle fisse, che procede di 1 quarto di grado ogni 100 anni: ha 8 anni e 4 mesi (Beatrice). Ed
io la vidi quasi alla fine del mio nono anno. Osservare come ritorna il verbo apparire e come il numero 9
viene insistito in questo primo elemento di avvio della storia.

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SECONDO PASSAGGIO
Poi che fuoro passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso l’apparimento soprascritto di
questa gentilissima, ne l’ultimo di questi die avvene che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore
bianchissimo, in mezzo a due gentili donne, le quali erano di più gran lunga etade. […] L’ora che lo suo dolcissimo
salutare mi giunse, era fermamente nona di quello giorno.
Vita Nova, III, 1 [1]

Seconda apparizione che Dante ha di Beatrice avviene esattamente 9 anni dopo la prima e alla nona ora
del giorno.

‘Gentilissima’ ® aggettivazione della donna significativa, quasi sempre costruita con circonlocuzione.
‘Mirabile’ = sorprendente, miracolosa. Vestita di bianco = pudicizia, anche il suo vestiario è segno di
qualità.
Evento del saluto: avvenuto sicuramente alla nona ora delle 12 temporali: le 15. Quasi una registrazione
oggettiva di ciò che accade, senza precisazioni dal narratore.
TERZO PASSAGGIO
E mantenente cominciai a pensare, e trovai che l’ora ne la quale m’era questa visione apparita, era la quarta della
notte stata; sì che appare manifestamente ch’ella fue la prima ora de le ultime nove della notte.
Vita Nova, III, 8 [1]

Visione in sogno che origina il primo sonetto della Vita nova, sonetto in cui Dante sogna di vedere Beatrice
che mangia il cuore dell’autore in braccio ad Amore personificato. Dante lo manda ai suoi amici per averne
una possibile interpretazione (ma nessuno sa correttamente quale questa sia).
Dante precisa: trova che l’ora nella quale gli appare il sogno è un ritorno del numero 9 come elemento
significativo del racconto.
QUARTO PASSAGGIO
Dico che in questo tempo che questa donna era schermo di tanto amore, quanto da la mia parte, sì mi venne una
volontade di volere ricordare lo nome di quella gentilissima ed accompagnarlo di molti nomi di donne, spezial-
mente del nome di questa gentile donna. [2] E presi li nomi di sessanta le più belle donne de la cittade ove la mia
donna fue posta da l’altissimo sire, e compuosi una pistola sotto forma di sirventese, la quale io non scriverò: e
non n’avrei fatto menzione, se non per dire quello che, componendola, maravigliosamente addivenne, cioè che in
alcuno altro numero non sofferse lo nome de la mia donna stare, se non in su lo nove, tra li nomi di queste donne.
Vita Nova, VI, 1-2 [2]

Riferimenti finora semplicemente legati al tempo; qui esce il numero 9 in occasione diversa ® Dante dice
di aver deciso di comporre un testo nel quale elogia tutte le donne di Firenze e dice che quasi senza
desiderarlo Beatrice si trovasse in nona posizione in questo elenco.
Intenzione di celebrare il nome di Beatrice e di accompagnarlo di molti nomi di donne: insistenza e tessuto
semantico della gentilezza molto ribattuta. Ho composto una lettera sotto forma di componimento come
il sirventese: non avrebbe scritto tutto ciò che era accaduto (non riporta questo componimento). Non
avrebbe nemmeno citato questo testo, se non per dire che è successo qualcosa di miracoloso (‘maraviglio-
samente’): non c’è stata la possibilità di collocare Beatrice altrove se non al numero 9.
QUINTO PASSAGGIO
Onde io ricordandomi, trovai che questa visione m’era apparita ne la nona ora del die.
Vita Nova, XII, 9 [5]

Condizione di sofferenza, perché Beatrice ha deciso di togliere il saluto a Dante stesso: situazione di
grande disagio, dove il poeta viene soccorso da Amore che gli appare in sogno. E, fatalità, l’apparizione
avviene alla nona ora del giorno.

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SESTO PASSAGGIO
Appresso ciò per pochi dì avvenne che in alcuna parte de la mia persona mi giunse una dolorosa infermitade,
onde io continuamente soffersi per nove dì amarissima pena; la quale mi condusse a tanta debolezza, che me
convenia stare come coloro li quali non si possono muovere. [2] Io dico che ne lo nono giorno, sentendome dolere
quasi intollerabilmente, a me giunse uno pensero lo quale era de la mia donna.
Vita Nova, XXIII, 1-2 [14]

Visione onirica di Dante, molto cupa perché preannuncia un evento luttuoso (la morte di Beatrice): situa-
zione in cui Dante è così sconvolto che vive una condizione quasi di sofferenza, malattia.
E resta a letto ammalato per 9 giorni, in stato di quasi delirio legato a una condizione di febbre e malattia.
Dopo 9 giorni di malattia, al nono giorno, gli compare un pensiero che è della sua donna, un pensiero
doloroso ® come se la sofferenza dell’Io fosse un presagio di ciò che sarebbe accaduto.
SETTIMO PASSAGGIO
Tuttavia, però che molte volte lo numero del nove ha preso luogo tra le parole dinanzi, onde pare che sia non
sanza ragione, e ne la sua partita cotale numero pare che avesse molto luogo, convenesi di dire quindi alcuna cosa,
acciò che pare al proposito. Onde prima dicerò come ebbe luogo ne la sua partita, e poi n’assegnerò alcuna ra-
gione, per che questo numero fue a lei contanto amico.
Vita Nova, XXVIII, 3 [19]

Fino a qua Dante sottolinea la presenza di questo numero, ma senza mai spiegare il perché di questa
insistenza, questa traccia non ha ancora svelato il suo significato profondo né al personaggio che vive la
storia, né ai lettori.
La scoperta del significato avviene nel momento più drammatico della storia, ovvero quando muore Bea-
trice e Dante si interroga davvero su questo numero.
Dante narratore, nel momento più drammatico della storia, invece di dare sfogo alla sua disperazione, si
lancia in una lunga digressione dove spiega il significato del numero 9. E così facendo obbliga noi lettori
a riconsiderare tutto ciò che è stato detto in precedenza, tutte le menzioni del numero 9 in maniera appa-
rentemente casuale. Non si tratta di vivere per forza un’esperienza nuova, ma di comprenderla in maniera
via via più approfondita. Progressiva conoscenza e riflessione su questi eventi, che comporta una matura-
zione dell’Io e di noi lettori, che siamo in grado anche noi di essere iniziati e di comprendere meglio ciò
che Beatrice rappresenta nella storia.
9 = rappresentazione della Trinità divina, è la Trinità per se stessa (3×3). Traccia divina nella storia.
Per spiegarlo, Dante ricorre a una lunga trattazione, evocando una serie di coincidenze anche matematico-
astrologiche che riconducono questo numero al suo significato più profondo.
In questo paragrafo Dante introduce il lettore a questa spiegazione.
Anche nella morte di Beatrice questo numero (che diventa quasi protagonista della storia) ha avuto un
ruolo importante. Prima ci dirà com’è apparso anche nella morte, e poi ci proverà a spiegare questo nu-
mero ‘amico’ di Beatrice, rappresentativo di lei.
OTTAVO PASSAGGIO
Io dico che, secondo l’usanza d’Arabia, l’anima sua nobilissima si partio ne la prima ora del nono giorno del mese;
e secondo l’usanza di Siria, ella si partio nel nono mese de l’anno, però che lo primo mese è ivi Tisirin primo, lo
quale a noi è Ottobre; e secondo l’usanza nostra, ella si partio in quello anno de la nostra indizione, cioè de li anni
Domini, in cui lo perfetto numero nove era compiuto in quello centinaio nel quale in questo mondo ella fue posta,
ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio. [2] Perché questo numero fosse in tanto amico di lei, questa
potrebbe essere una ragione: con ciò sia cosa che, secondo Tolomeo e secondo la cristiana veritade, nove siano li
cieli che si muovono, e, secondo comune oppinione astrologa, li detti cieli adoperino qua giuso secondo la loro
abitudine insieme, questo numero fue amico di lei per dare a intendere che ne la sua generazione tutti e nove li

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mobili cieli perfettissimamente s’aveano insieme. [3] Questa è una ragione di ciò; ma più sottilmente pensando, e
secondo la infallibile veritade, questo numero fue ella medesima; per similitudine dico, e ciò intendo così. Lo
numero del tre è la radice del nove, però che, senza numero alcun altro, per se medesimo, fa nove, sì come vedremo
manifestamente che tre via tre fa nove. Dunque se lo tre è fattore per se medesimo del nove, e lo fattore per se
medesimo de li miracoli è tre, cioè Padre e Figlio e Spirito Santo, li quali sono tre e uno, questa donna fue accom-
pagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch’ella era uno nove, cioè uno miracolo, la cui radice, cioè
del miracolo, è solamente la mirabile Trinitade. [4] Forse ancora per più sottile persona si vederebbe in ciò più
sottile ragione; ma questa è quella ch’io ne veggio, e che più mi piace.
Vita Nova, XXIX, 1-4 [19]

Racconto della morte: ricorso a 3 calendari ® arabo per le ore, siriaco per mese, cristiano per anno, e in
tutti e 3 c’è coincidenza col numero 9. Segue una spiegazione matematico-teologica del numero.
Dante narratore e chiosatore di se stesso, procede a spiegare in qualche modo ragionando a voce alta:
illustra un progresso di interpretazione mentre racconta.
Quando è nata Beatrice, la configurazione dei cieli, la loro armonia era perfetta: momento in cui si segna-
lava la nascita di qualcuno di eccezionale.

Sottiglianza (= essere sottili) ® cfr. Bonagiunta contro Guinizzelli = capacità raffinata di pensare e di
redimere una questione. Questo è il progresso interpretativo.
Non c’è più metaforizzazione della donna angelo: Beatrice È un miracolo. È la Trinità divina, che in qual-
che modo dà forma a questo miracolo che è Beatrice. E da questo punto di vista tutto ciò che abbiamo
visto in precedenza si spiega: Beatrice è sempre stata miracolosa, ma chi la guardava non era ancora in
grado di capirlo (per questo “romanzo di formazione”, inteso come accrescimento di conoscenza parallelo
all’esperienza che avviene nella vita reale).
Torna campo semantico della sottiglianza: c’è un limite all’interpretazione che è dato dalle capacità dell’Io
di interpretare, ciò che è in grado di comprendere. Significativo che questa spiegazione ci venga fornita
nel momento della morte, che è sì un elemento traumatico, ma non è conclusivo, né presenta toni elegiaci,
non c’è pianto, ma è momento di nuova conoscenza, nuovo attraversamento di quelle esperienze vissute,
riconoscimento di Beatrice per il miracolo qual è. Chiave interpretativa particolarmente forte, che pone la
figura di Beatrice su un piano decisamente diverso e altro di quello vissuto in precedenza.
NONO PASSAGGIO
Contra questo avversario de la ragione si levoe un die, quasi ne l’ora de la nona, una forte imaginazione in me, che
mi parve vedere questa gloriosa Beatrice con quelle vestimenta sanguigne con le quali apparve prima a li occhi
miei.
Vita Nova, XXXIX, 1 [28]

Ultimo accenno al numero 9 (di cui noi lettori siamo ormai consapevoli): appare alla fine dell’opera, uscito
dal turbamento della donna gentile, l’amore per Beatrice è ritrovato.
Contro la tentazione demoniaca che mi ha allontanato da Beatrice, si rivela un sogno, un’immaginazione,
un pensiero: vede Beatrice vestita di rosso, così come la vide per la prima volta. Questa Beatrice così
caratterizzata sarà quella che accoglierà Dante in cima al purgatorio.
Abilità narrativa di Dante: non spiega subito questi elementi, ma fa rendere conto il lettore della loro
significatività come se ne rende conto il protagonista. Narrazione ha scopo di porre in evidenza scarti e
passaggi, progressioni anche del linguaggio poetico.
VITA NOVA: LA CANZONE DONNE CH’AVETE INTELLETTO D’AMORE
Segna un passaggio di centrale importanza nell’economia narrativa della Vita nova. Dante, in questo scarto
poetico davvero importante (evoca questo testo anche come cifra ultima del suo modo di fare poesia

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d’amore nel Purgatorio), fa precedere testo da un’introduzione narrativa particolarmente importante:
parla delle ragioni che l’hanno indotto a scriverlo.
Canzonatura che Dante subisce. Dante, dopo un periodo di sconforto, viene portato a una festa dove
scopre esserci anche Beatrice, al che ha quasi un mancamento e le donne che sono con lei lo prendono in
giro.
Qui si trova in una situazione di rinnovata serenità, di cui però non sono chiari i motivi: Dante si presenta
mentre dialoga con le amiche di Beatrice (quelle che sono state testimoni di tutto ciò che è accaduto in
precedenza, che si stupiscono della sua serenità e gli chiedono il perché di essa).
Il precipitare di un evento disperato genera, invece di uno sprofondamento nella crisi, una nuova stagione
poetica e una nuova comprensione dell’amore che Dante vive.
Testo esplicito soprattutto nella sezione narrativa. Dante racconta quello che accade a lui poeta nel mo-
mento in cui ha deciso di avviare un nuovo modo di fare poesia, modo che ha concepito ma non ha ancora
realizzato. Consapevole del fatto che questa nuova poesia non sia ancora stata scritta: e ciò enfatizza la
novità introdotta dalla canzone che segue questa introduzione, un testo radicalmente nuovo da tutti quelli
scritti da Dante ma anche nella tradizione lirica, perché è un cambiamento profondo, che coincide con un
cambiamento nella concezione della poesia stessa.
29.03.21
Canzone punto di svolta nella parabola narrativa del libro e nella poetica di Dante: nuova stagione, nuovo
modo di fare poesia. E Dante, nella Vita nova, enfatizza questa novità.
La prosa che apre il testo insiste sugli elementi della novità della poesia: abilità narrativa di Dante narratore
e illustratore della sua poesia, che enfatizza con forza l’assoluta novità di questa poesia, lo stato di smarri-
mento, di sbigottimento e la difficoltà dell’Io lirico che ha individuato questa nuova poesia ma è incapace
di produrla correttamente. Dante rappresenta una sorta di scarto che deve colmare perché in quanto poeta
non è ancora in grado di poetare nel modo che faccia giustizia a questa nuova poesia.
Strategia molto mirata che Dante costruisce per dare maggior forza a questo testo, che rappresenta un
punto di svolta ed è il luogo in cui fa i conti: sul piano assoluto, con la tradizione letteraria; sul piano della
Vita nova, con una fase diversa, che liquida tutte le eredità della poesia cortese, seppur già interpretata in
modo nuovo.
DANTE E LO STILE DELLA LODA
[XXVII (10)] Con ciò sia cosa che per la vista mia molte persone avessero compreso lo secreto del mio cuore, certe
donne, le quali adunate s’erano, dilettandosi l’una ne la compagnia de l’altra, sapeano bene lo mio cuore, però
che ciascuna di loro era stata a molte mie sconfitte; e io passando appresso di loro, sì come da la fortuna menato,
fui chiamato da una di queste gentili donne. [2] La donna che m’avea chiamato era donna di molto leggiadro
parlare; sì che quand’io fui giunto dinanzi a loro, e vidi bene che la mia gentilissima donna non era con esse,
rassicurandomi le salutai, e domandai che piacesse loro. [3] Le donne erano molte, tra le quali n’avea certe che si
rideano tra loro; altre v’erano che mi guardavano aspettando che io dovessi dire; altre v’erano che parlavano tra
loro. De le quali una, volgendo li suoi occhi verso me e chiamandomi per nome, disse queste parole: «A che fine
ami tu questa tua donna, poi che tu non puoi sostenere la sua presenza? Dilloci, ché certo lo fine di cotale amore
conviene che sia novissimo». E poi che m’ebbe dette queste parole, non solamente ella, ma tutte l’altre cominciaro
ad attendere in vista la mia risponsione. [4] Allora dissi queste parole loro: «Madonna, lo fine del mio amore fue
già lo saluto di questa donna, forse di cui voi intendete, e in quello dimorava la beatitudine, ché era fine di tutti li
miei desiderii. Ma poi che le piacque di negarlo a me, lo mio segnore Amore, la sua merzede, ha posto tutta la mia
beatitudine in quello che non mi puote venire meno». [5] Allora queste donne cominciaro a parlare tra loro; e sì
come talora vedemo cadere l’acqua mischiata di bella neve, così mi parea udire le loro parole uscire mischiate di
sospiri. [6] E poi che alquanto ebbero parlato tra loro, anche mi disse questa donna che m’avea prima parlato,
queste parole: «Noi ti preghiamo che tu ne dichi ove sia questa tua beatitudine». Ed io, rispondendo lei, dissi

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cotanto: «In quelle parole che lodano la donna mia». [7] Allora mi rispuose questa che mi parlava: «Se tu ne
dicessi vero, quelle parole che tu n’hai dette in notificando la tua condizione, avrestù operate con altro intendi-
mento». [8] Onde io, pensando a queste parole, quasi vergognoso mi partio da loro, e venia dicendo fra me
medesimo: «Poi che è tanta beatitudine in quelle parole che lodano la mia donna, perché altro parlare è stato lo
mio?». [9] E però propuosi di prendere per matera de lo mio parlare sempre mai quello che fosse loda di questa
gentilissima; e pensando molto a ciò, pareami avere impresa troppo alta manera quanto a me, sì che non ardia di
cominciare; e così dimorai alquanti dì con disiderio di dire e con paura di cominciare.

[XIX (10)] Avvenne poi che passando per uno cammino, lungo lo quale sen gia uno rivo chiaro molto, a me giunse
tanta volontade di dire, che io cominciai a pensare lo modo ch’io tenesse; e pensai che parlare di lei non si convenia
che io facesse, se io non parlasse a donne in seconda persona, e non ad ogni donna, ma solamente a coloro che
sono gentili e che non sono pure femmine. [2] Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per se stessa mossa,
e disse: Donne ch’avete intelletto d’amore. Queste parole io ripuosi ne la mente con grande letizia, pensando di
prenderle per mio cominciamento; onde poi, ritornato a la sopradetta cittade, pensando alquanti die, cominciai
una canzone con questo cominciamento, ordinata nel modo che si vedrà di sotto ne la sua divisione. La canzone
comincia: Donne ch’avete.

Antefatto è il gabbo di Dante, che si ritrova a non riuscire più a sostenere la presenza di Beatrice nello
stesso posto: crisi molto profonda dell’Io lirico, che non è in grado di affrontare in modo autosufficiente
l’esperienza lirica.
Quadretto lirico che vede protagonisti l’Io lirico e il corteo di amiche che accompagna normalmente Bea-
trice (che sono le donne che hanno intelletto d’amore, categoria di donne che hanno una capacità supe-
riore nel comprendere l’amore).
Sentimento di sofferenza di Dante traspare nel suo volto, nel suo corpo. Queste donne hanno una cono-
scenza del poeta come se fosse un libro aperto, testimoni oculari di ciò che gli accaduto (a molte sue
sconfitte ® amore è una sorta di battaglia, da cui l’Io lirico esce sempre perdente). Quasi casualmente
viene chiamato da una di queste donne fra le strade della città (quadretto realistico). La gentilezza si tra-
sforma in capacità di usare un linguaggio rispettoso, cortese, elevato. Si avvicina, vede che non c’è Beatrice
ed è più tranquillo, chiede solo cosa volessero da lui.
Perché ami questa donna se non riesci nemmeno a sostenere la sua presenza? Raccontacelo, perché la
finalità di questo tuo amore dev’essere nuovissima ® aggettivo parlante: Dante ci dice che la sua interpre-
tazione di amore è qualcosa di inedito, quello che sta facendo ora è qualcosa che non è mai accaduto
prima. Nel tratto superlativo è segnato lo scarto forte tra l’esperienza precedente di Dante e la sua nuova
poesia.
Tutte le donne si zittiscono e rivolgono lo sguardo verso Dante, aspettando la sua risposta, che non sarà
scontata: Dante dà interpretazione quasi ultimativa del suo amore – il fine del suo amore inizialmente era
il saluto, in cui abitava il suo stato di superiore felicità; ma poiché Beatrice gliel’ha tolto, grazie all’inter-
cezione di Amore personificato, ha posto la beatitudine in qualcosa che non gli può essere tolto; non
qualcosa di contingente. Risposta che dice e non dice, e stimola un’ulteriore domanda: donne commen-
tano la risposta di Dante, parlando e sospirando. Allontanandosi dal testo, è narrativizzazione di una no-
vità, è qualcosa che chi ascolta non capisce completamente e ha bisogno di ulteriori spiegazioni.
La prima donna chiede allora a Dante dove sta questa beatitudine. E Dante risponde con la definizione
perentoria di quello che è lo stile della loda: ‘quelle parole che lodano la donna mia’ = modificare la
struttura della propria poesia per lodare, così come si loda il divino, senza aver bisogno di vedere o avere
contatto ® poesia della lode permette di vivere questa beatitudine senza aver bisogno della sua presenza
fisica, amore che può essere veramente compreso solo lodandolo: poesia diventa autosufficiente, ed ac-
quista più forza proprio perché non è vincolata a occasioni concrete.
Le donne obiettano (come Dante obietta a se stesso): se tu avessi veramente detto la verità, tu, parlandoci
del tuo stato, avresti usato parole diverse ® questa poesia non l’hai mai fatta, non hai mai fatto una poesia

56
di lode che esclude le contingenze. Mette a nudo la difficoltà di Dante, che riconosce la sua condizione
ancora di incompletezza, e se ne vergogna.
Finita la scenetta, Dante comincia a meditare fra sé e sé. Rinnega in qualche modo tutta la poesia prodotta
fino a quel momento, sente il bisogno di cambiare, serve una metamorfosi del linguaggio che accolga
questa nuova dimensione dell’amore. È come una sorta d’immagine dello scrittore con l’ansia del foglio
bianco: sa che direzione vuole prendere, ma non ha le parole. Il timore di Dante è che la materia sia troppo
alta, il blocco nasce dal timore di essersi dato un obiettivo troppo alto.
Arriva l’ispirazione mentre Dante passeggia accanto a un fiume (l’Arno?) che gli dà l’incipit della canzone,
rivolgendosi a delle destinatarie, donne che hanno condizione intellettuale, morale e spirituale superiore
che gli permetta di comprendere questo linguaggio. La penna allora si muove quasi da sola e produce il
primo verso. Concluso il lungo preambolo narrativo, da un lato l’impasse poetica, dall’altro l’insistente
definizione di una nuova poesia. Canzone che ha funzione particolarmente alta nella Vita nova.
LA CANZONE
Stanza è composta di soli endecasillabi, è dallo stile grave (alto, solenne, cfr. De vulgari eloquentia dove
Dante stesso lo definisce). Stanze che ricordano lo scheletro metrico del sonetto: primi 8 versi delle stanze
ABBC ABBC + due terzine CBB CEE ® struttura che pur mantenendo uno sviluppo logico riconoscibile
presenta in ogni stanza un piccolo quadretto che ricorda il sonetto.
• Stanza 1: proemio che introduce la materia della canzone e in qualche modo compendia la can-
zone, indica le destinatarie ideali della canzone stessa e spiega la tendenza che Dante ha deciso di
avviare e presenta anche una dichiarazione di umiltà.
• Stanze 2-3-4: parte centrale, cuore della loda, dell’elogio della donna.
- Stanza 2: elogio in cielo = elogio visto dall’alto dei cieli che coglie la straordinaria qualità
morale e spirituale di Beatrice osservata dal punto di vista della divinità.
- Stanza 3: qualità dell’anima di Beatrice. Virtù morale sulla terra.
- Stanza 4: qualità fisiche della bellezza di Beatrice. Dante in qualche modo evita di co-
struire la canzone facendo della bellezza della donna l’unico soggetto: non è quello il
terreno nel quale poteva scontrarsi con la tradizione, non è qui che è più capace di ren-
dere chiara la novità.
• Stanza 5: congedo.
Anche la posizione dell’Io viene meno in questa canzone, l’esperienza diventa più universale.
PRIMA STANZA
Donne ch’avete intelletto d’amore,
i’ vo’ con voi de la mia donna dire,
non perch’io creda che sua laude finire,
ma ragionar per isfogar la mente.
Io dico che pensando il suo valore,
Amor sì dolce mi si fa sentire,
che s’io allora non perdessi ardire,
farei parlando innamorar la gente:
E io non vo’ parlar sì altamente,
ch’io divenisse per temenza vile;
ma tratterò del suo stato gentile
a respetto di lei leggeramente,
donne e donzelle amorose, con vui,
ché non è cosa da parlarne altrui.

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Prima quartina: le donne che hanno intelletto d’amore sono quelle che comprendono l’amore. ‘Dire’ verbo
tecnico = vuole ‘poetare’ della sua donna, per esprimere ciò che prova nella sua poetica; non c’è la possi-
bilità di esaurire definitivamente il sentimento.
Amore mi fa sentire così dolcemente, fa provare una sensazione così profonda, che se io non perdessi le
mie capacità poetiche (la sua forza), potrei far innamorare tutta la gente.
Chiude la stanza con una sorta di chiusa circolare, ricordando le donne amorose che sono le uniche che
possono capire questo sentimento. Non riesce a parlarne in modo così alto e ne parlerà in modo inferiore
rispetto a quello che merita il soggetto: topos modestiae che ribadisce ancora una volta l’altezza del soggetto
preso in considerazione.
SECONDA STANZA
Angelo clama in divino intelletto
e dice: «Sire, nel mondo si vede
maraviglia ne l’atto che procede
d’un’anima che ’nfin quassù risplende».
Lo cielo, che non have altro difetto
che d’aver lei, al suo segnor la chiede,
e ciascun santo ne grida merzede.
Sola Pietà nostra parte difende,
ché parla Dio, che di madonna intende:
«Diletti miei, or sofferite in pace
Che vostra spene sia quanto me piace
Là ov’ è alcun che perder lei s’attende,
e che dirà ne lo inferno: «O malnati,
io vidi la speranza de’ beati».

Elogio del cielo. Prospettiva aerea, come se guardasse sulla terra e avvertisse una mancanza nell’alto dei
cieli. Un angelo chiama: nel mondo si vede un miracolo nell’effetto di un’anima che risplende fin quassù,
Beatrice ha il potere di essere visibile fin nell’alto dei cieli.
Ogni santo la richiede per grazia: prospettiva diversa in cui si riconosce a Beatrice una virtù eccezionale.
Si rivolge alle intelligenze celesti e gli dice che devono rassegnarsi a soffrire questa condizione temporanea,
perché Bea deve rimanere sulla terra quanto lui desidera, perché qualcuno che si perde dovrà vederla per
poi dire all’inferno di aver visto la speranza ® quindi, anche se il peccatore finisce nella dimensione più
bassa, aver semplicemente visto la donna gli ha dato speranza di salvezza.
Beatrice ha una funzione assegnata dal divino che deve in qualche modo comunicare agli esseri viventi
una speranza ulteriore: e quindi deve adempiere a questa funzione prima di poter morire.
TERZA STANZA
Madonna è disiata in sommo cielo:
or vòi di sua virtù farvi savere.
Dico, qual vuol gentil donna parere
vada con lei, chè quando va per via,
gitta nei cor villani Amore un gelo,
per che onne lor pensero agghiaccia e père;
e qual soffrisse di starla a vedere
diverria nobil cosa, o si morria;
E quando trova alcun che degno sia
di veder lei, quei prova sua vertute,
ché li avvien ciò che li dona salute,
e sì l’umilia ch’ogni offesa oblia.
Ancor l’ha Dio per maggior grazia dato

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che non pò mal finir chi l’ha parlato.

Effetto che Beatrice produce negli esseri viventi. Questa stanza spiega il significato che Beatrice ha per gli
esseri viventi, spiegando meglio l’ultima cosa detta nella stanza precedente.
È l’Io lirico a parlare, ma non parla di se stesso: parla degli effetti che la donna produce su tutti. Tutte le
donne che vogliono apparire nobili, devono seguire il suo esempio. Immagine cristologica: passando per
le strade sparge beatitudine ® chiunque la osservi, anche i cuori villani, in tutti color che la guardano ogni
pensiero agghiaccia, è un’esperienza che paralizza e non lascia indifferente nessuno. La visione di Beatrice
porta anche in chi non ha una predisposizione nobile o a morire (= travolto dall’esperienza), o a nobilitarsi.
Enfatizzazione di alcuni tratti guinizzelliani: se trova qualcuno in grado di sostenere la sua visione, quello
prova l’elemento di nobilitazione, e quindi questo gli dona salute, salvezza e diviene così mansueto da
perdonare ogni colpa. Sorta di effetto di beatitudine di ampia portata: non è più solo l’Io lirico a essere
destinatario di questa beatitudine, ma tutti gli esseri viventi, che possono migliorare con la vista di lei la
loro condizione etica, morale, spirituale.
Non può essere condannato all’inferno chi le ha parlato: superiore capacità di elevare le persone cha la
incontrano (cfr. parabole evangeliche: chi sa cogliere il messaggio e la grazia di Cristo si converte e cambia
per sempre la sua esistenza, salvandosi).
Dimensione completamente nuova della poesia, anche se gli elementi topici sono guinizzelliani. Forme
analoghe alla preghiera (= celebrazione della potenza di Dio), in forme in cui io posso vivere e consolidare
la mia fede.
Elementi cristologici in questa canzone sono moltissimi.
QUARTA STANZA
Dice di lei Amor: «Cosa mortale
come esser pò sì adorna e sì pura?»
Poi la reguarda, e fra se stesso giura
che Dio ne ’ntenda di far cosa nova.
Color di perle ha quasi in forma, quale
convene a donna aver, non for misura;
ella è quanto de ben pò far natura;
per esemplo di lei bieltà di prova.
De li occhi suoi, come ch’ella li mova,
escono spirti d’amore inflammati,
che fèron li occhi a qual che allor la guati,
e passan sì che ’l cor ciascun retrova:
voi le vedete Amor pinto nel viso,
là ’ve non pote alcun miriarla fiso.

Parte più fisica della bellezza di Beatrice. Marco Santagata: in realtà Dante sfugge un po’ dalla “gara poe-
tica” della tradizione, il repertorio era molto abusato, immagine della donna angelo molto usata, non po-
teva esprimere novità in quest’ambito. Ma c’è altro elemento: spostamento del punto di vista e del locu-
tore. Dante affida il compito di descrivere questa bellezza ad Amore personificato.
Amore (che conosce la bellezza universale) si stupisce con un’iperbole della bellezza di Beatrice. È quasi
un monologo interiore di Amore con se stesso. Insiste sulla novità: Dio ne vuole fare una cosa nuova, le
vuole affidare un compito nuovo, inedito.
A questo punto arriva la canonica definizione fisica della bellezza. Pelle madreperlacea, com’è opportuno
che una donna abbia (‘convenne’). È la bellezza stessa a usare questa donna come confronto per definirsi.
Gli occhi, lo sguardo, lanciano spiriti infiammati d’amore e immediatamente giungono nel cuore di chi è

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colpito ® insostenibilità dello sguardo (stilnovo). Descrizione che insiste più sugli effetti che la donna
produce che non sui suoi tratti. Dimensione universale dell’esperienza amorosa che qui trova il primo
scarto: non è più l’amata di Dante ma è qualcosa che sparge amore ovunque.
Dante e la sua poesia mutano senza più poter tornare indietro: è il nodo fra il prima e il dopo.
CONGEDO
Canzone, io so che tu girai parlando
a donne assai, quand’io t’avrò avanzata.
Or t’ammonisco, perch’io t’ho allevata
per figliuola d’Amor giovane e piana,
che là ove giugni tu dichi pregando:
«Insegnàtemi gir, ch’io son mandata
a quella di cui laude so’ adornata».
E se non vuoli andar sì come vana,
non restare ove sia gente villana;
ingègnati, se puoi, d’esser palese
solo con donne o con omo cortese,
che ti merranno là per via tostana.
Tu troverai Amor con esso lei;
raccomàndami a lui come tu dei.

Poeta si rivolge alla sua stessa canzone che viene inviata nel mondo.
Io so che tu andrai a parlare a molte donne una volta che io ti avrò mandata avanti. Affidato alla canzone
il compito di andare alla corte della donna per la quale è stata scritta. Termine ‘laude’ che torna con
insistenza è la lode della donna.
Il pubblico è sempre quello elettivo, donne e uomini cortesi, che daranno indirizzo sulla via da seguire.
Riconoscimento della consustanzialità fra amore e la donna.
ULTERIORE COMMENTO FINALE
[15] Questa canzone, acciò che sia meglio intesa, la dividerò più artificiosamente che l’altre cose di sopra. E però
prima ne fo tre parti: la prima parte è proemio de le sequenti parole; la seconda è lo intento trattato; la terza è quasi
una serviziale de le precedenti parole. La seconda comincia quivi: Angelo clama; la terza quivi: Canzone, io so che.
[16] La prima parte si divide in quattro: ne la prima dico a cu’ io dicer voglio de la mia donna, e perché io voglio
dire; ne la seconda dico quale me pare avere a me stesso quand’io penso lo suo valore, e com’io direi s’io non
perdessi l’ardimento; ne la terza dico come credo dire di lei, acciò c’'io non sia impedito da viltà; ne la quarta,
ridicendo anche a cui ne intenda dire, dico la cagione per che dico a loro. La seconda comincia quivi: Io dico; la
terza quivi: E io non vo’ parlar; la quarta: donne e donzelle. [17] Poscia quando dico: Angelo clama, comincio a
trattare di questa donna. E dividesi questa parte in due: ne la prima dico che di lei si comprende in cielo; ne la
seconda dico che di lei si comprende in terra, quivi: Madonna è disiata. [18] Questa seconda parte si divide in due;
che ne la prima dico di lei quanto da la parte de la nobilitade de la sua anima, narrando alquanto de le sue vertudi
effettive che de la sua anima procedeano; ne la seconda dico di lei quanto da la parte de la nobilitade del suo corpo,
narrando alquanto de le sue bellezze, quivi: Dice di lei Amor. [19] Questa seconda parte si divide in due: che ne la
prima dico d’alquante bellezze che sono secondo tutta la persona; ne la seconda dico d’alquante bellezze che sono
secondo diterminata parte de la persona, quivi: De li occhi suoi. [20] Questa seconda parte si divide in due: che ne
l’una dico deli occhi, li quali sono principio d’amore; ne la seconda dico de la bocca, la quale è fine d’amore. E acciò
che quinci si lievi ogni vizioso pensiero, ricòrdisi chi ci legge che di sopra è scritto che lo saluto di questa donna, lo
quale era de le operazioni de la bocca sua, fue fine de li miei desiderii mentre ch’io lo potei ricevere. [21] Poscia
quando dico: Canzone, io so che tu, aggiungo una stanza quasi come ancella de l’altre, ne la quale dico quello che di
questa mia canzone desidero; e però che questa ultima parte è lieve a intendere, non mi travaglio di più divisioni.
[22] Dico bene che, a più aprire lo intendimento di questa canzone, si converrebbe usare di più minute divisioni;
ma tuttavia chi non è di tanto ingegno che per queste che sono fatte la possa intendere, a me non dispiace se la mi
lascia stare, ché certo io temo d’avere a troppi comunicato lo suo intendimento pur per queste divisioni che fatte
sono, s’elli avvenisse che molti le potessero audire.

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Caratteristiche di eccezionalità rispetto al costume abituale di Dante nella Vita nova. Introduce le divisioni
della canzone: di solito non dà grandi descrizioni. Qui spiega perché deve dividere questa canzone e come
deve dividerla, forse per l’unica volta in tutta l’opera.
Questa canzone, poiché voglio che sia capita in modo migliore possibile, la suddividerò in modo più arti-
ficioso (= dettagliato) di quanto abbia mai fatto ® testo con valore eccezionale, per cui anche l’esegesi
deve avere il compito di spiegarlo. Auto-esegesi funziona proprio come elemento di garanzia per cui ai
lettori non sfugga il significato ultimo della canzone.
[22] ® è una canzone che avrebbe bisogno di essere spiegata con ancora maggior dettaglio. Si ferma, non
vuole andare oltre, perché ritiene che non sia più utile andare oltre questo piano interpretativo. Piano
retorico in virtù del quale si dice dell’originalità di questo testo. Viene osservato che anche con questa
suddivisione la complessità sia tale da richiedere un lavoro supplementare rispetto a quello che il poeta
solitamente dà ai suoi testi.
Lo stile della loda non presuppone l’accadere di qualcosa di narrativamente importante, è solo elogio. Per
questo c’è anche promozione del cambiamento dello status dell’Io lirico, che in virtù della comprensione
di amore diventa portavoce di questa esperienza.
Passaggio che segna anche una presa di posizione nei confronti della poesia contemporanea, nei confronti
di Guinizzelli (predecessore che viene superato), ma è anche presa di posizione forte e radicale che scarta
la posizione di Dante rispetto a quella di Cavalcanti (amore = dimensione patologica che porta a sofferenza
e distruzione del soggetto), per Dante desiderio, esperienza amorosa è qualcosa che garantisce la costru-
zione del soggetto (esatto contrario), che non ha più mancanza dell’oggetto amato, ma un possesso per
sempre, svincolandosi dalla realtà, diventando qualcosa di più assoluto.
VITA NOVA: BEATRICE FIGURA DI CRISTO ED EXPLICIT DELL’OPERA
Capitolo relativo al rapporto fra Dante e Cavalcanti. In questo passaggio narrativo, si spinge con forza alla
lettura cristologica della figura di Beatrice, anche perché molti degli episodi legati alla vicenda terrena di
Beatrice sono ripresi da Cristo.
Da un lato interpretazione fortemente orientata al messaggio santifico di Beatrice come nuovo Cristo e
dall’altro tensione poetica, perché ricorre a confronto con la poesia di Cavalcanti, che in questo passaggio
sembra essere di rango inferiore rispetto a quella dantesca, perché l’esperienza sembrerebbe meno effi-
cace. Passaggio in cui molti episodi sono legati a visioni, immaginazioni, grazie ai quali Dante percepisce
qualcosa di Beatrice. L’immaginazione che precede questo capitolo è la premonizione della morte di Bea-
trice.
Lauto affermare che Dante fa di avere effettivamente compreso in modo superiore agli altri l’esperienza
amorosa ® importante perché non è solo vanteria, gara poetica, ma riconoscimento superiorità intellet-
tuale dell’esperienza amorosa. Dante è solo notificatore di ciò che Amore detta. Conflittualità legata a
volontà di ribadire superiorità di una poesia che va oltre i confini della poesia precedente.
30.03.21
Visione nella quale vengono comunicati a Dante dei valori ulteriori, più profondi. Tappa nella strada del
progressivo accrescimento delle conoscenze dell’Io lirico. Uno dei casi in cui il sonetto è fortemente con-
dizionato dalla prosa che lo precede: condizionamento che Dante prosatore fa quando inserisce il testo in
prosa.
BEATRICE FIGURA DI CRISTO
XXIV. Appresso questa vana imaginazione, avvenne uno die che, sedendo io pensoso in alcuna parte, ed io mi
sentio cominciare un tremuoto nel cuore, così come se io fosse stato presente a questa donna. Allora dico che mi

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giunse una imaginazione di Amore; che mi parve vederlo venire da quella parte ove la mia donna stava, e pareami
che lietamente mi dicesse nel cor mio: «Pensa di benedicere lo dì che io ti presi, però che tu lo dèi fare». E certo
me parea avere lo cuore sì lieto, che me non parea che fosse lo mio cuore, per la sua nuova condizione. E poco
dopo queste parole, che lo cuore mi disse con la lingua d’Amore, io vidi venire verso me una gentile donna, la
quale era di famosa bieltade, e fue già molto donna di questo primo mio amico. E lo nome di questa donna era
Giovanna, salvo che per la sua bieltade, secondo che altri crede, imposto l’era nome Primavera; e così era chia-
mata. E appresso lei, guardando, vidi venire la mirabile Beatrice. Queste donne andaro presso di me così l’una
appresso l’altra, e parve che Amore mi parlasse nel cuore, e dicesse: «Quella prima è nominata Primavera solo per
questa venuta d’oggi; ché io mossi lo imponitore del nome a chiamarla così Primavera, cioè prima verrà lo die che
Beatrice si mostrerrà dopo la imaginazione del suo fedele. E se anche vòli considerare lo primo nome suo, tanto
è quanto dire ‘prima verrà’, però che lo suo nome Giovanna è da quello Giovanni lo quale precedette la verace
luce, dicendo: «Ego vox clamantis in deserto: parate viam Domini». Ed anche mi parve che dicesse, dopo, queste
parole: «E chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per molta simiglianza che ha
meco». Onde io poi ripensando, propuosi di scrivere per rima a lo mio primo amico, tacendomi certe parole le
quali pareano da tacere, credendo io che ancora lo suo cuore mirasse la bieltade di questa Primavera gentile; e
dissi questo sonetto, lo quale comincia: «Io mi senti’ svegliar».

Immaginazione: termine chiave della Vita nova: in questo caso si parla dell’immaginazione cupa che pre-
cede la donna pietosa. Sorta di vibrazione interiore (cfr. sonetto Spesse fiate vegnonmi a la mente: Dante
quando vede Beatrice afferma di sentire questo tremore ® c’è un gioco di corrispondenze fra prosa e
poesia nelle scelte lessicali di tutta la Vita nova). Esperienza extrasensoriale interiore: è più frutto dell’im-
maginazione che non della realtà. La visione di Amore è l’evento narrativamente portante di tutta questa
sezione della Vita nova. Verbi che accendono questa descrizione sono quelli dubitativi (‘pare’, ‘sembra’)
che accennano a un evento eccezionale.
‘Lo cuore mi disse con la lingua d’Amore’ ® è questa la lingua che Dante dice di trascrivere in modo
fedele. Vede venire verso di sé una donna gentile e famosa per la bellezza (stilnovo – cfr. domina latino
per padrona, signora). Di questo primo mio amico = Guido Cavalcanti. Primavera = nome poetico attri-
buito alla donna in poesia, era un nome che si identificava coi tratti di eccezionale bellezza di lei.

Una sorta di processione: prima viene Giovanna, poi la miracolosa (‘mirabile’) Beatrice ® passaggio che
si trova praticamente analogo nel sonetto. Di nuovo ‘parve’ che Amore gli parlasse: ambiguità e sfumatura
del sogno. Tutto quello che Dante ci sta raccontando nel sogno che ci propone, non è una sua interpreta-
zione, è Amore personificato che gli spiega cosa sta vedendo e provando (Amore esegeta).
La prima è chiamata Primavera solo per quello che accade oggi: prima verrà (interpretatio nominis ®
trovare nella parola il significato della parola stessa). Verrà prima del giorno in cui Beatrice si farà vedere
all’immaginazione del suo fedele (= Dante è devoto, è fedele a Beatrice e Giovanna ha la funzione di
annunciare Beatrice).
Le mosse discorsivo-argomentative di Amore sono quelle di un esegeta: dopo una prima interpretazione
del nome, ne dà una seconda ® chiave cristiana e cristologica: Giovanna da Giovanni Battista, che bat-
tezza Gesù Cristo e lo precede nella storia della cristianità. La citazione è dal vangelo di Giovanni, ripresa
da Isaia, che spiega la sua funzione: è soltanto una voce che annuncia la venuta del salvatore.
E chi volesse interpretare in modo ancor più raffinato, Beatrice la chiamerebbe Amore, cioè Dio, per la
grande somiglianza (anche se non è uguale) ® forte immagine cristologica! Beatrice : Giovanna = Gesù :
Giovanni Battista.
Finita l’immaginazione, la traduce in versi rivolgendosi a Cavalcante. Invia questo sonetto occultando
alcune info, perché ancora innamorato di Giovanna. Qual è il rapporto che disegna Dante con Cavalcanti?
1) Dichiarazione piuttosto rude di gerarchia poetica: Dante si colloca effettivamente come qualcuno
che ha superato l’esperienza di Cavalcanti e lo disegna in un ruolo subalterno, Dante nella sua
poesia è superiore a Cavalcanti (da un lato dice che è il suo primo amico, ma dall’altro lo definisce

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poeta secondario; inoltre è poeta “miscredente” e averlo reso una sorta di Giovanni Battista non
poteva essere troppo ben accolto).
2) Ipotesi meno aggressiva: intende definire due vie diverse della poesia, che interpretano in modo
diverso l’Amore (Dante = amore universale che raffina gli esseri viventi = superamento della con-
cezione cavalcantiana) ® sempre dichiarazione di superiorità, ma più come una differenziazione
di poetiche.
Il sonetto non regge l’interpretazione cristologica con la forza che si immagina leggendo l’interpretazione
di Dante.
IL SONETTO
Io mi senti’ svegliar dentro a lo core
un spirito amoroso che dormia:
e poi vidi venir da lungi Amore
allegro sì, che appena il conoscia,

dicendo: «Or pensa pur di farmi onore»;


e ciascuna parola sua ridia.
E poco stando meco il mio segnore,
guardando in quella parte onde venia,

io vidi monna Vanna e monna Bice


venir invêr lo loco là ov’io era,
l’una appresso de l’altra maraviglia;

e sì come la mente mi ridice,


Amor mi disse: «Quell’è Primavera,
e quell’ha nome Amor, sì mi somiglia».

Questo sonetto ha molte parti: la prima de le quali dice come io mi sentii svegliare lo tremore usato nel cuore, e
come parve che Amore m’apparisse allegro nel mio cuore da lunga parte; la seconda dice come me parea che
Amore mi dicesse nel mio cuore, e quale mi parea; la terza dice come, poi che questi fue alquanto stato meco
cotale, io vidi e udio certe cose. La seconda parte comincia quivi: «dicendo: Or pensa»; la terza quivi: «E poco
stando». La terza parte si divide in due: ne la prima dico quello che io vidi; ne la seconda dico quello che io udio.
La seconda comincia quivi: «Amor mi disse».

Moto che sveglia il poeta ® ma uno spirito amoroso che non si configura con l’evento traumatico che è il
tremolio del cuore. Vede venire da lontano Amore in una condizione di allegrezza che non riconosce, non
gli sembra neanche sua (cfr. prosa). C’è un clima sostanzialmente lieto in questa immaginazione. Verso 9:
molto simile alla parte in prosa (‘vidi venire’). Qui la prima e la seconda donna sono poste in un rapporto
di uguaglianza: sono tutte due ‘maraviglia’, sono ‘una appresso de l’altra’. Ultimo verso: manca tutto
l’aspetto di interpretazione cristologica (prima verrà? Dimensione sacra? C’è solo svelamento dei nomi
poetici delle due donne e forse una gerarchia fra le due). Ma tutto ciò che ci dice prima Dante, è una
sovrainterpretazione, aggiunge al testo qualcosa che nel testo stesso non si vede in modo evidente. Mec-
canismo interpretativo e gioco fra prosa e poesia permette a Dante di ridefinire un sonetto che probabil-
mente aveva scritto per un’altra occasione. Dante usa il sonetto per fargli dire qualcosa in più rispetto a
quello che dice ® qui si vede in che modo l’interpretazione nelle parti in prosa di Dante spinga al di là di
quello che c’è nei componimenti.
Morte reale di Beatrice è altro evento reale che porta a profonda crisi dell’Io lirico rispetto a ciò che sta
osservando, rispetto all’esperienza che sta vivendo. Questa idea di proseguire la storia di un racconto
d’amore dopo la morte della donna amata è un’unicità nella letteratura occidentale: non ci sono i toni
della consolatio (pianto e lode della morte di qualcuno, tendenzialmente laico, che si conclude in termini
circoscritti e di natura elegiaca). Dante invece costruisce sulla morte di Beatrice tutta la seconda parte

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della sua opera, perché è questa a fargli mettere in discussione la sua poesia; solo grazie ad essa riesce a
crescere e a raggiungere un nuovo livello di conoscenza.
LA CONCLUSIONE DELL’OPERA
Parte finale Vita nova, successiva alla crisi di Dante con la donna gentile. Complicato gioco d’incastri fra
le opere: donna gentile davvero nuovo amore, persona fisica e reale (chiodo schiaccia chiodo?) o invece
una filosofia (adesione a un pensiero che in qualche modo è in grado di consolare dallo smarrimento per
la morte e consolare; alternativa all’esperienza amorosa e alla comprensione di Beatrice).
Parte finale che riconduce il racconto, all’interno di una sua interpretazione più corretta del fenomeno
amoroso e di Beatrice. Si addensano nel finale elementi della storia sacra e del modello cristologico già
presenti nella figura di Beatrice, si aggiunge un elemento mariano (caratteristiche della Maria Vergine) +
elemento finale in relazione a tema morte e rapporto poesia/morte: Dante sembra costruire un’antitesi del
mito orfico ® invece che discesa agli inferi negativa, Dante con la mente fa un volo verso l’alto dei cieli e
attraverso la parola poetica ci avvicina alla comprensione della figura di Beatrice, che porta a una conso-
lazione positiva del fedele di amore, che raggiunge una maggiore serenità spirituale e comprende final-
mente ciò che ha visto.
Dante in preda alla disperazione vede la città attraversata da dei pellegrini ® personaggio del pellegrino
= chi deve uscire da una condizione di familiarità per avvicinarsi e comprendere meglio Dio sembra avvi-
cinarsi alla posizione sentimentale di Dante in quel momento. Crea affinità fra i pellegrini che vanno a
contemplare i luoghi sacri della cristianità e l’Io lirico stesso. E nell’immaginazione Dante pensa di dialo-
gare con questi: se i pellegrini conoscessero la vicenda sarebbero portati alla comprensione, proprio per il
fatto della somiglianza fra le condizioni d’esistenza loro e del poeta, loro lo capirebbero davvero. Platea
eletta che è quella di un cristiano profondamente concentrato sulla necessità di riflettere sul divino.
Doppio atto: inclusione, apertura degli altri verso il sentimento amoroso + approfondimento dell’Io.
XL. [XLI] Dopo questa tribulazione avvenne, in quello tempo che molta gente va per vedere quella immagine
benedetta la quale Jesu Cristo lasciò a noi per esemplo de la sua bellissima figura, la quale vede la mia donna
gloriosamente, che alquanti peregrini passavano per una via la quale è quasi mezzo de la cittade ove nacque e
vivette e morìo la gentilissima donna. Li quali peregrini andavano, secondo che mi parve, molto pensosi; ond’io
pensando a loro, dissi fra me medesimo: «Questi peregrini mi paiono di lontana parte, e non credo che anche
udissero parlare di questa donna, e non ne sanno neente; anzi li loro penseri sono d’altre cose che di queste qui,
ché forse pensano de li loro amici lontani, li quali noi non conoscemo». Poi dicea fra me medesimo: «Io so che
s’elli fossero di propinquo paese, in alcuna vista parrebbero turbati passando per lo mezzo de la dolorosa cittade».
Poi dicea fra me medesimo: «Se io li potesse tenere alquanto, io li pur farei piangere anzi ch’elli uscissero di questa
cittade, però che io direi parole le quali farebbero piangere chiunque le intendesse». Onde, passati costoro da la
mia veduta, propuosi di fare uno sonetto ne lo quale io manifestasse ciò che io avea detto fra me medesimo; e
acciò che più paresse pietoso, propuosi di dire come se io avesse parlato a loro; e dissi questo sonetto, lo quale
comincia: «Deh! peregrini che pensosi andate». E dissi ‘peregrini’ secondo la larga significazione del vocabulo; ché
peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque
è fuori de la sua patria; in modo stretto, non s’intende peregrino se non chi va verso la casa di sa’ Iacopo o riede.
E però è da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio de l’Altissimo: chia-
mansi «palmieri», in quanto vanno oltremare, là onde molte volte recano la palma; chiamansi «peregrini», in
quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepultura di sa’ Iacopo fue più lontana de la sua patria che d’alcuno
altro apostolo; chiamansi «romei», in quanto vanno a Roma, là ove questi cu’ io chiamo «peregrini» andavano.
Questo sonetto non divido, però che assai lo manifesta la sua ragione.

‘Quello tempo’: settimana santa, nella quale i pellegrini vanno per vedere la sacra sindone (Veronica –
vera icon = vera immagine del Cristo), lasciata come rappresentazione della sua figura. In questo linguag-
gio allusivo, Dante non dice mai Firenze; continua ad alludere alla sua città che è il luogo dove la sua
donna ha vissuto l’esperienza terrena.

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Parallelismi col primo verso. I pellegrini sono distratti, perché pensano alle persone care che hanno la-
sciato lontane (nel mondo medievale era un viaggio da molto lontano, creava turbamento in chi stava
lontano da casa, molto importante).
Se avessero avuto notizie di Beatrice, passando per la ‘dolorosa cittade’ (= città complessivamente conno-
tata da un senso di lutto), avrebbero compartecipato al dolore della città. Dante prima si rende conto che
non lo sanno, poi immagina che si commuoverebbero, poi immagina se raccontasse loro il tutto, e con-
clude che non potrebbero che partecipare a questo lutto, proprio perché già indirizzati in una strada di
pensiero dominata dalla religiosità. Il dialogo fittizio, o monologo interiore, di Dante, si traduce in poesia
immaginando una forma dialogica, come se avesse davvero parlato ai pellegrini a cui si rivolge.
Spiega cosa significa pellegrini e quali erano quelli che stavano passando per Firenze. Interpretazione
ampia del vocabolo: pellegrino condizione dell’anima (= chiunque è lontano da casa sua), ma si distin-
guono in:

- Palmieri ® chi va in terra santa, a Gerusalemme, con la palma.


- Peregrini ® chi va alla casa di Santiago de Compostela a vedere S. Giacomo.
- Romei ® quelli che vanno a Roma a vedere la sede della Chiesa e la Sacra Sindone: questi sono
quelli a cui si rivolge Dante.
Doppio significato: da un lato un pellegrino colui che veramente affronta viaggio sacro e chi si sente
estraneo alla sua condizione esistenziale ed esplora, fa percorso per scoprire i suoi sentimenti.
Sonetto in cui il gioco di simmetrie con la prosa è molto evidente.
IL SONETTO
Deh! peregrini che pensosi andate,
forse di cosa che non v’è presente,
venite voi da sì lontana gente,
com’a la vista voi ne dimostrate,

che non piangete quando voi passate


per lo suo messo la città dolente,
come quelle persone che neente
par che ‘ntendesser la sua gravitate.

Se voi restaste per volerlo audire,


certo lo cor de’ sospiri mi dice
che lagrimando n’uscireste pui.

Ell’ha perduta la sua beatrice;


e le parole ch’om di lei po’ dire
hanno vertù di far piangere altrui.

Probabilmente venite da così lontano, come si vede dal vostro aspetto di stranieri; lontananza geografica
che è anche segno del turbamento di questi pellegrini. Siete così stranieri, al punto che non piangete
quando passate nella città addolorata, non sanno niente della gravità di quello che è successo lì. Se voi vi
fermaste per sentire il racconto di ciò che è accaduto, sicuramente ne uscireste commossi.
Dante, Io lirico, sembra quasi abbassare l’importanza del suo ruolo: è un uomo che racconta la sua storia.
È come se Dante si limitasse a fare da testimone oculare, o verbale, di ciò che ha vissuto.
In questo richiamo finale scandito in tre momenti, il primo è tutto legato alla presenza di un dialogo con
delle figure immaginarie (reali nella città ma con le quali non dialoga veramente). Il secondo passaggio è
tutto chiuso dentro l’Io lirico, esperienza interiore, extrasensoriale che lo porta ad avvicinarsi in un feno-
meno ancor più complesso.

65
XLI. [XLII] Poi mandaro due donne gentili a me, pregando che io mandasse loro di queste mie parole rimate; onde
io, pensando la loro nobilitade, propuosi di mandare loro e di fare una cosa nuova, la quale io mandasse a loro
con esse, acciò che più onorevolemente adempiesse li loro prieghi. E dissi allora uno sonetto lo quale narra del
mio stato, e mandàlo a loro co lo precedente sonetto accompagnato, e con un altro che comincia: «Venite a inten-
der».
Lo sonetto lo quale io feci allora, comincia: «Oltre la spera»; lo quale ha in sé cinque parti. Ne la prima dico là ove
va lo mio pensero, nominandolo per lo nome d’alcuno suo effetto. Ne la seconda dico perché va là suso, cioè chi
lo fa così andare. Ne la terza dico quello che vide, cioè una donna onorata là suso; e chiamolo allora ‘spirito
peregrino’, acciò che spiritualmente va là suso, e sì come peregrino lo quale è fuori de la sua patria, vi stae. Ne la
quarta dico come elli la vede tale, cioè in tale qualitade, che io non lo posso intendere, cioè a dire che lo mio
pensero sale ne la qualitade di costei in grado che lo mio intelletto no lo puote comprendere; con ciò sia cosa che
lo nostro intelletto s’abbia a quelle benedette anime, sì come l’occhio debole a lo sole: e ciò dice lo Filosofo nel
secondo de la «Metafisica». Ne la quinta dico che, avvegna che io non possa intendere là ove lo pensero mi trae,
cioè a la sua mirabile qualitade, almeno intendo questo, cioè che tutto è lo cotale pensare de la mia donna, però
ch’io sento lo suo nome spesso nel mio pensero: e nel fine di questa quinta parte dico ‘donne mie care’, a dare ad
intendere che sono donne coloro a cui io parlo. La seconda parte comincia quivi: «intelligenza nova»; la terza
quivi: «Quand’elli è giunto»; la quarta quivi: «Vedela tal»; la quinta quivi: «So io che parla». Potrèbbesi più
sottilmente ancora dividere, e più sottilmente fare intendere; ma puòtesi passare con questa divisa, e però non
m’intrametto di più dividerlo.

Dante ci dice che è stato pregato dal corteo delle donne che hanno intelletto d’amore di mandare loro
delle poesie. Dante, per rispondere a questa richiesta, propone di mandare una poesia nuova, per inter-
pretare meglio e di più il suo sentimento.
Suddivide il sonetto in modo preciso proprio a maniera speculativa, dimostrandone la complessità. È
soprattutto un’avventura, un volo del pensiero; il pensiero si solleva e va in alto e spiega il motivo per
questo; oggetto della visione = una donna che sta nell’alto dei cieli. Anche l’animo di Dante diventa pel-
legrino, perché trascende il corpo e vede qualcosa che sta al di là della sua corporeità; passaggio impor-
tante: questa visione, ulteriore esperienza, è ancora scarsamente traducibile in pensiero, è qualcosa che
vive ma che ancora non comprende fino in fondo. Questa esperienza di visione di una realtà superiore è
resa difficoltosa perché è come quando si guarda la luce del sole; nell’ultima parte lui capisce di non essere
in grado di comprendere quello che sta vivendo, capisce solo che sta vedendo la sua donna – è come se
sentisse una lingua a lui straniera, ma sentisse riecheggiare il nome di Beatrice continuamente = ulteriore
passaggio nella conoscenza che testimonia però i limiti dell’Io dantesco nella Vita nova in questo passag-
gio. Tecnica dell’ineffabile: può solo dire di non poter dire quello che ha visto, ma tanta è l’altezza che
non può dire niente. È una delle suddivisioni del sonetto più articolate che troviamo nella Vita nova.
IL SONETTO
Oltre la sfera che più larga gira,
passa ‘l sospiro ch’esce del mio core:
intelligenza nova, che l’Amore
piangendo mette in lui, pur su lo tira.

Quand’elli è giunto là dove disira,


vede una donna che riceve onore,
e luce sì che per lo suo splendore
lo peregrino spirito la mira.

Vedela tal, che quando ‘l mi ridice,


io no lo intendo, sì parla sottile
al cor dolente che lo fa parlare.

So io che parla di quella gentile,


però che spesso ricorda Beatrice,
sì ch’io lo ‘ntendo ben, donne mie care.

66
Cielo cristallino, il primo mobile; oltre questo, penetra il sospiro, che metonimicamente è il pensiero, che
esce dal suo cuore. Nuova comprensione del fenomeno amoroso, nuova intelligenza, che l’amore pian-
gendo, cioè attraverso il dolore, lo tira in alto.
Quando il pensiero raggiunge il luogo che desidera raggiungere, vede una donna lodata per le sue qualità
nell’alto dei cieli. Sorta di visione dai tratti misticheggianti. Quando questo pensiero ritorna in me, quando
il pensiero cerca di tradurmi in parole ciò che ha provato, io non lo capisco: ineffabile, io non capisco ciò
che mi sta dicendo. Tanto è complicato il linguaggio, tanto io non sono in grado di comprendere. Espe-
rienza di alta dimensione intellettuale che io non sono in grado di capire fino in fondo.
Atto finale della Vita nova è un salto ancora una volta conoscitivo, ma rispetto al quale Dante non si
dichiara ancora pronto. Tanto che la prosa finale chiude con una mossa che prevede una continuità, ma
poiché la Vita nova è giovanile, Dante non la può continuare.
XLII. [XLIII] Appresso questo sonetto, apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero
proporre di non dire più di questa benedetta, infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di
venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose
vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna. E poi
piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna: cioè
di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui «qui est per omnia secula benedictus».

Io non posso più parlare di lei fintanto che non avrò la capacità di dirlo in modo corretto, degno. Sa di
non avere le capacità per farlo ma si propone per ottenere la capacità di pensiero che lo renda degno a
raccontare quest’esperienza.
‘Sire de la cortesia’ = Dio. Finale: citazione paolina (Epistola ai Romani) che presenta Beatrice in contem-
plazione di Dio ® gioco di triangolazione per cui Beatrice ha un ruolo eccezionale. Dante si affida il
compito di tentare di rappresentare al meglio questa esperienza. Vuole attraversare questo lutto, ma cer-
cando di comprendere fino in fondo il suo significato, con un avanzamento della conoscenza, per poter
poi dire al mondo il vero significato di questa esperienza.
31.03.21
Improbabile che Dante avesse già in mente la Commedia quando finisce la Vita nova, ma di sicuro ha in
mente la Vita nova quando nella Commedia riprende Beatrice proprio come l’ha lasciata nell’altra opera.
Necessità di concludere un’opera ma non di concludere un’esperienza.
LE RIME ‘PETROSE’ (1295-1296)
Dante lirico di poesia d’amore. Un’altra faccia possibile del modo dantesco di fare poesia. Esperienza
petrosa ® prende il nome dalla donna a cui sono dedicati i testi, Petra (nome che metaforicamente traduce
la durezza e l’asprezza di questa donna; non solo è refrattaria e ostile al poeta, ma è dura nei modi e
provoca una sofferenza molto forte). Passionalità anche fisica, disperata, resa in una sorta di tour de force
stilistico: stile estremamente aspro, virtuosistico, esasperato che porta ai limiti dello stile.
Testi che anche metricamente puntano alla difficoltà:
• Io son venuto al punto della rota ® canzone
• Al poco giorno ed al gran cerchio d’ombra ® sestina (forma metrica, specializzazione della canzone
ma con sistema vincolato di parole in rima, quasi claustrofobico nella sua composizione – passione
erotica vissuta nella sua forma più struggente e dolorosa)
• Amor, tu vedi ben che questa donna ® canone a regradatio ciclica (meccanismo della sestina: le
parole a rima usate nella stanza devono tornare in tutte le stanza ciclicamente secondo un rota-
zione vincolata decisa prima della composizione = ritorno insistente parole + sfida poetica di
costruire discorso su pacchetto semantico molto ristretto)

67
• Così nel mio parlar vogli’esser aspro ® canzone
Chiara intenzione sperimentale + desiderio di dare forma a un’esperienza sentimentale dolorosa, che si
esprime in termini aggressivi.
L’asprezza è metrica ma è anche fonetica (rime rare, difficili, con suoni duri e aspri che rendono molto
caratterizzate queste canzoni). Se c’è suono e dimensione fonosimbolica aspri, anche il lessico è molto
inedito nella tradizione stilnovistica: inverno, paesaggi adorni, natura arida che non dà nessun senso di
sollievo a chi la osserva; insistenza su una passione vissuta in modo disforico: non c’è mai una sensazione
di positività; qui l’amore è sempre e solo dolore che trova manifestazione anche in violenza. Questo amore
tortura il soggetto lirico, che spera di vendicarsi sulla durezza di questa donna.
Tutto legato alla scontrosità della figura femminile e del desiderio quasi bruciante dell’Io. Ambientazione
invernale ® inedita e comporta una complessiva impostazione di carattere disforico del testo stesso.
In queste canzoni, di fatto, sul piano del racconto non accade nulla: sono statiche, perché c’è una sorta di
sceneggiatura dei sentimenti, che rappresentano il mondo interiore del poeta e il suo stato mentale.
Oggettivazioni di uno stato d’animo, con parte finale in cui si spinge in una sorta di augurio, desiderio
generico, ma il testo rimane fermo nella sua posizione senza una vera evoluzione argomentativa.
In sintesi:

• Datazione: 1296 circa (inverno 1296 per la canzone Io son venuto al punto della rota)
• Ragioni del raggruppamento: congetturale (non ci sono testimonianze di una volontà di Dante di
allestire un insieme di rime ‘petrose’), per ragioni:
1) Tematiche
- la donna («bella petra») dura e aggressiva nei confronti dell’Io lirico;
- un amore inteso come passione erotica ossessiva, declinata in una accezione depressiva,
disforica e negativa;
- l’ambientazione: inverno per 3 dei quattro testi (Io son venuto al punto della rota, Al poco
giorno ed al gran cerchio d’ombra, Amor, tu vedi ben che questa donna [canzone a regra-
datio ciclica])
2) Stilistiche
- sperimentalismo metrico e stilistico nella direzione di una poesia difficile, spinta ai limiti
del virtuosismo (introduzione della sestina e di una sua variante con la canzone a regra-
datio);
- stile ‘aspro’ per cui si privilegia la difficoltà dell’espressione, con la scelta, ad esempio, di
rime difficili (cioè rare) e di un lessico che assorbe a campi semantici esclusi dalla poesia
stilnovista, come l’inverno, i paesaggi disadorni e privi di vita.
LA CANZONE COSÌ NEL MIO PARLAR VOGLI’ESSER ASPRO
PRIMA STANZA
Così nel mio parlar vogli’esser aspro
com’è negli atti questa bella petra,
la quale ognora impetra
maggior durezza e più natura cruda,
e veste sua persona d’un dïaspro 5
tal che per lui, o perch’ ella s’arretra,
non esce di faretra
saetta che già mai la colga ignuda.
Ella ancide, e non val ch’uom si chiuda
né si dilunghi da’ colpi mortali 10

68
che, com’avesser ali,
giungono altrui e spezzan ciascun’arme,
sì ch’io non so da lei né posso atarme.

Osservando le parole in rima, sono tutte rime a forte valenza consonantica, tutte caratterizzate da suoni
duri e ricorso alle vocali più oscure. Ricerca molto precisa di suoni che diano concretezza a quella dimen-
sione aspra che è la cifra stilistica sotto la quale il componimento si vuole porre.
Corrispondenza fra poesia e modi di essere di questa donna, che viene introdotta subito: ‘bella petra’,
ossimorico, genera una frizione nell’Io che soffre in modo particolarmente acuto.
Donna rappresentata non solo dal nome, ma anche dal suo atteggiamento duro. ‘Diaspro’ = quarzo, pietra
dura che secondo i lapidari medievali difende chi la porta con sé: ma in questo passaggio Dante fa sem-
brare che la donna abbia quasi un’armatura di quarzo, che la difende dagli attacchi di Amore, che non la
trova mai indifesa. Donna del tutto insensibile alle lusinghe d’Amore, o perché si allontana o perché è
protetta ® immagine che tornerà ma rovesciata, perché l’Io lirico non riesce ad arretrare né a difendersi
da Amore.
Figura femminile non eterea e configurazione dell’incontro amoroso come uno scontro, una battaglia:
donna che come un guerriero è capace di sfuggire ai colpi di Amore. Esasperazione della topica amorosa:
torsione in senso aggressivo e violento, una vera e propria guerra che non lascia spazio a possibili media-
zioni.
Contrapposizione: donna uccide, colpisce e non c’è la possibilità per l’uomo di chiudersi, proteggersi, né
allontanarsi dai colpi mortali della donna. E anche se ci fosse una difesa, verrebbe distrutta, deflagrata
dalla potenza di questa donna: lessico bellico fortemente enfatizzato in questa stanza. Dichiara fin dall’ini-
zio l’incapacità di resistere ai colpi amorosi della donna, che si dimostra del tutto ostile al suo atteggia-
mento.
SECONDA STANZA
Non trovo scudo ch’ella non mi spezzi
né loco che dal suo viso m’asconda, 15
che come fior di fronda,
così della mia mente tien la cima.
Cotanto del mio mal par che si prezzi
Quanto legno di mar che non lieva onda;
e ’l peso che m’affonda 20
è tal che non potrebbe adequar rima.
Ahi angosciosa e dispietata lima
che sordamente la mia vita scemi,
perché non ti ritemi
sì di rodermi il cuore a scorza a scorza 25
com’io di dire altrui chi ti dà forza?

Riprende elemento di fissità, esattamente questo doppio elemento: incapacità di nascondersi dall’amore e
di difendersi dai colpi scagliati.
Così domina il mio pensiero, sta sopra la mia mente, come i fiori sulle fronde ® idea di dominazione,
sottomissione serpeggia in tutta la canzone, è un Io soggiogato e quasi legato dall’Amore.
Sembra che questa donna si preoccupi della sua sofferenza quanto una barca si preoccupa del mare calmo:
totalmente indifferente. E la sofferenza, che fa sprofondare, è tale che non è possibile esprimerla attraverso
la parola. Stanza si movimenta attraverso l’esclamativa che segue. Immagini dure sia per i suoni sia per il
significato ® lima che distrugge la vita del poeta, perché non ha il timore di consumargli il cuore strato

69
dopo strato. In questo rapporto di reciprocità alla donna si riconosce una violenza inedita che il poeta non
ricambia.
TERZA STANZA
Ché più mi triema il cor qualora io penso
di lei in parte ov’altri li occhi induca,
per tema non traluca
lo mio penser di fuor sì che si scopra, 30
ch’e’ non fa de la morte, ch’ogni senso
co li denti d’Amor già mi manduca;
ciò è che ’l pensier bruca
la lor vertù, sì che n’allenta l’opra.
E’ m’ha percosso in terra, e stammi sopra 35
con quella spada ond’elli uccise Dido
Amore, a cu’io grido
«merzé», chiamando, e umilmente il priego;
ed e’ d’ogni merzé par messo al niego.

Più sono preoccupato, più mi si accelera il battito del cuore, per il timore che qualcuno possa vedere la
mia condizione; perché il cuore non trema per paura della morte, ché è già masticato dai denti dell’amore
® prostrazione alla sofferenza e debolezza dell’Io lirico. Il pensiero d’amore bruca, morde, consuma, la
loro virtù tanto che ne indebolisce l’azione.
Elemento di rappresentazione di Amore come tiranno: non tirannia in senso astratto, ma Amore letteral-
mente sovrasta, schiaccia, e atterra l’uomo, tenendolo fermo, come se fosse un soldato che blocca nei
movimenti e minaccia con la spada ® spada con la quale si è suicidata Didone (Virgilio, Eneide): la ritro-
veremo anche nel canto V dell’Inferno; immagine evocata qui è portata a un’esasperazione dei toni (verbo
‘percosso in terra’ è gesto fisico, violenza, non signoria di Amore). Amore, a cui grido pietà, e chiamandolo
lo prego umilmente, e lui sembra disposto a rifiutare ogni atto di clemenza. Situazione di difficoltà in cui
l’Io lirico chiede pietà e non la ottiene ® sofferenza petrosa che è vera e propria costrizione fisica.
QUARTA STANZA
Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida 40
la debole mia vita, esto perverso,
che disteso a riverso
mi tiene in terra d’ogni guizzo stanco.
Allor mi surgon nella mente strida,
e ’l sangue ch’è per le vene disperso 45
correndo fuggendo verso
il cuor, che ’l chiama, ond’io rimango bianco.
Elli mi fere sotto il lato manco
sì forte, che ’l dolor nel cuor rimbalza:
allor dico: «S’egli alza 50
un’altra volta, Morte m’avrà chiuso
prima che ’l colpo sia disceso giuso».

Riprende, c’è collegamento logico costruito per immagini. Amore alza minacciando con la mano e mette
sempre più in difficoltà, questo nemico (non necessariamente in termini morali, ma termini passionali: ha
una tale forza che lo sovrasta). Espressione interiore di sofferenza che genera non un lamento ma strida:
dolore psicologico che genera violenza, costrizione. Impallidisco, per questa condizione, perché sembra
che il sangue fugga dal mio corpo: esasperazione del repertorio topico della poesia cortese. Qui c’è tratto
di decisa violenza.

70
Amore mi ferisce nel lato sinistro del cuore, in modo così da sembrare quasi letale; e il colpo è così pros-
simo a uccidermi che se ne arriva un altro, morirò. Situazione che vede in questa prima fase della canzone
una descrizione di un amore duro e sofferente.
QUINTA STANZA
Così vedess’io lui fender per mezzo
il cuore a la crudele che ’l mio squatra,
poi non mi sarebbe atra 55
la morte, ov’io per sua bellezza corro;
ché tanto dà nel sol quanto nel rezzo,
questa scherana micidiale e latra.
Oïmè, ché non latra
per me, com’io per lei, ne caldo borro? 60
Ché tosto griderei: «I’ vi soccorro!»;
e fare’l volentier, sì come quelli
che ne’ biondi capelli
ch’Amor per consumarmi increspa e dora
metterei mano, e piacere’le allora. 65
Mutamento di registro: ancora una volta siamo solo nella mente dell’Io lirico, ma è coinvolta di più la
figura femminile, in immagini comunque violente e aggressive. Forse stanze in cui Dante si spinge al di là
di qualunque esperienza precedente, presentando uno scenario quasi tra il sadico e il masochistico, in una
sperimentazione che esplora i limiti del dire aspro.
Desiderio ottativo. Mi capitasse finalmente una volta di vedere Amore che colpisce nel centro il cuore alla
crudele che il mio lacera (‘squatra’ repertorio linguistico che vedremo nelle malebolge e nei canti infernali
più truci): se io vedessi Amore finalmente colpirla, non mi sarebbe dolorosa nemmeno la morte.
Bellezza che colpisce tanto nel sole quanto nell’ombra, sempre, è una bellezza che non lascia mai spazio.
Donna ‘scherana’ = assassina micidiale, assume le caratteristiche di qualcosa di ostile e aggressivo e pro-
prio per la sofferenza che genera, il poeta non si risparmia nel linguaggio.
Ahimè, perché non grida (‘latra’) per me come io faccio per lei. Dimensione mentale di donna che si
dispera caduta in un fossato che l’Io lirico salva: e lo farebbe volentieri (ironico), come colui che indora e
increspa i biondi capelli e in quei capelli metterei la mano – violentemente, tirandoli – e allora sì che le
piacerei. L’Io sfoga la sua sofferenza pensando a un ricambio.
SESTA STANZA
S’io avessi le belle trecce prese
che son fatte per me scudiscio e ferza,
pigliandole anzi terza
con esse passerei vespero e squille;
e non sarei pietoso né cortese, 70
anzi farei com’ orso quando scherza;
e s’Amor me ne sferza,
io mi vendicherei di più di mille.
Ancor negli occhi, ond’escon le faville
che m’infiamman lo cor, ch’io porto anciso 75
guarderei pressi e fiso
per vendicar lo fuggir che mi face,
e poi le renderei, con amor, pace.

Concatenazione: trasferimento metaforico, le belle trecce che l’Io lirico vuole tirare, sono per lui come
una frusta, non qualcosa di bello. E pigliandole alla prima delle ore canoniche (9) la terrei bloccata tutto
il giorno e non sarei per nessuna ragione gentile nei suoi confronti, e farei come un orso quando scherza,

71
che cattura la preda e ci gioca (orso nei bestiari medievali animale lascivo = allusione sessuale?). E se
Amore mi sferza con le trecce, usate come frusta, io allora mi vendicherei mille volte più di quante ne ho
dovute soffrire. Ipotesi dell’irrealtà: unico luogo in cui può sfogare la sofferenza.
E alla fine di questa vendetta, questo intrappolamento, finalmente mi pacificherei con l’Amore e con la
donna.
CONGEDO
Canzon, vattene ritto a quella donna
che m’ha rubato e morto, e che m’invola 80
quello ond’i’ ho più gola,
e dàlle per lo cor d’una saetta,
ché bello onor s’acquista in far vendetta.

Canzone di sei stanze con piedi ABbC e sirma CDdEE, con congedo uguale alla sirma
[da Dante, Rime, edizione commentata a cura di C. Giunta, Milano, Mondadori, 2014]

La vendetta in cambio di un’offesa è onorevole, legittima.


Questo è un Dante che usa registro molto lontano da quello della Vita nova. Modalità esemplare stilistica
per esprimere in maniera diversa il sentimento amoroso.
Non più ascensione, ma permette sempre a Dante di frequentare un modo di fare poesia d’amore quasi
inedito nella poesia italiana. Capacità di essere non eclettico, ma sperimentatore instancabile, con padro-
nanza tecnica, retorica e stilistica che gli permette di esplorare fino in fondo tutte le possibilità dell’espe-
rienza poetica.

GUIDO CAVALCANTI
Altro grande protagonista dell’esperienza stilnovistica. 1255-1300 (esilio comminato da Dante stesso),
guelfo, uomo molto facinoroso, molto attivo politicamente, protagonista di uno degli scontri fisici a Fi-
renze; a differenza di Dante, è pare di una delle famiglie più importanti dell’aristocrazia fiorentina e sposa
la figlia di Farinata degli Uberti (élite). Ha anche ruoli importanti nella sua carriera politica. Della sua
presenza emergono due ritratti:
1) Uomo schivo, intellettuale volutamente lontano dalla realtà;
2) Uomo molto battagliero, aggressivo tanto nella vita politica quanto nella poesia.
Nella postura con cui si colloca nelle poesie ha sprezzatura aristocratica: quasi sempre, mentre dialoga o
polemizza con qualcuno, lo fa con tono di superiorità evidente. Immagine memorabile: Boccaccio, IX
novella della VI giornata (Decameron) ® esaltazione di un aristocratico intellettuale volutamente lontano
dalla società (esaltato per questo). Uomo che sa vivere nella società e che mette al servizio anche della sua
vita sociale l’intelligenza, la filosofia.
Molto legato alla filosofia, studio della filosofia naturale e scienza medievale. Questio de felicitate: testo
filosofico universitario di Giacomo da Pistoia, dedicato a Cavalcanti. Filosofia a cui guarda Cavalcanti che
precede quasi la poesia, e nasce soprattutto dal grande ripensamento fatto in quegli anni del De anima e
dell’Etica nicomachea di Aristotele: testi molto letti nel medioevo, nei quali si può costruire una sorta di
psicologia su base scientifica ® anima e etica permettono di aprire serie di questioni interessanti per come
si vive il sentimento.
La canzone più complessa di Guido Cavalcanti è Donna me prega. Viene commentata quasi subito nel
’300, non da un letterato ma da un medico: da questo punto di vista, questa canzone richiede una cultura
non solo letteraria, ma si rivolge e affonda radici in un tradizione che ha scarto molto profondo da quella
cortese.

72
LE TENSIONI CONFLITTUALI CON ALTRI POETI
[XLVII] A FRATE GUITTONE
Guittone è davvero un antimodello, il poeta da cui vogliono differenziarsi nel modo più evidente. Qui si
vede tutto l’atteggiamento sprezzante: accusa Guittone di inadeguatezza linguistica e di essere incapace di
produrre argomentazioni logiche coerenti (non sei capace di pensare bene né di tradurre quel pensiero in
poesia). Accusa del tutto incline a eliminare questo avversario.
Cavalcanti si rivolge dialogando direttamente con lui con un attacco frontale.
Da più a uno face un sollegismo,
i∙maggiore e minor mezzo si pone,
che pruova necessario, sanza rismo:
da ciò ti parti forse di ragione?

Nel profferer, che cade ’n barbarismo


difetto di saver ti dà cagione;
e come far poteresti un sofismo
per silabate carte, fra Guittone?

Per te non fu giammai una figura:


non fori’ aposto il tüo argomento;
induri quanto più dici; e pon’ cura,

ché ’ntes’ ho che compon’ d’insegnamento


volume: e fòr principio ha da natura.
Fa’ ch’om non rida il tuo proponimento!

Il sillogismo si produce deducendo da più cose, una, che il termine medio pone in mezzo tra maggiore e
minore. Domanda provocatoria a un Guittone che secondo Cavalcanti non sarebbe capace di costruire il
più semplice strumento di comunicazione di pensiero.
‘Barbarismo’ = incapacità, scivola nell’errore, lingua incomprensibile. La ragione di questa tua scarsa ca-
pacità di parola è frutto d’ignoranza; e come puoi fare un sofismo (= ragionamento apparentemente vero
ma falso nella sostanza) attraverso le rime?
‘Figura’ termine tecnico della logica aristotelica = non sei mai stato capace di adeguarti a un sistema logico;
non sarebbe a posto il tuo ragionamento, diventi più impenetrabile quanto più scrivi, e stai attento, perché
ho sentito dire che stai allestendo un volume di insegnamenti (collana, corona di testi che hanno funzione
educativo-didattica, forse letti quelli sull’amore carnale). Non si basa sulla scienza (ragionamento privo di
fondamento speculativo): stai attento a non farti prendere in giro per la pochezza del tuo pensiero.
Si capisce subito atteggiamento e difficoltà linguistica a cui si rifà Cavalcanti: lo scontro non è più su un
uso più o meno giusto delle rime, ma sulla base filosofica delle poesie, che si dovrebbe trasferire nei versi.
Nel caso di Guittone, la mancanza è proprio in quella base. Ecco perché quello che continua a fare Guit-
tone, sperando di ribadire ciò che ha affermato, non produce l’effetto sperato. Un attacco al trobar clus
che è mascheramento della stessa fragilità intellettuale di Guittone. Cavalcanti ha dalla sua consapevolezza
di un’autonomia intellettuale che lo separa nettamente da Guittone: nodo che rivendica è sulla scala del
pensiero.
Modi in cui si pone: 2 interrogative retoriche che costituiscono tono irrisorio, beffardo, seguite dalle ter-
zine che insistono su questo aspetto, e conclusione ironica e bonaria in cui si invita Guittone a non fare il
peggio.
IL COMPLESSO RAPPORTO CON DANTE ALIGHIERI
Se Guittone è il nemico (evidente), vediamo come si configura il rapporto con l’amico.

73
[XXXVIIIB] [RISPOSTA A «GUIDO, I’ VORREI…»]
Risposta a Guido, i’ vorrei… di Dante. Evasione fantastica, tutto sommato spensierata del sonetto dante-
sco, qui non c’è, viene rifiutato, nonostante il sonetto rimanga dentro solidarietà amicale; ma c’è rifiuto di
quella ipotesi, perché l’interpretazione di Amore di Cavalcanti è negativa, dolorosa, non sognante come
quella che emergeva nel sonetto dantesco. Differenza sostanziale di lettura del fenomeno amoroso.
S’io fosse quelli che d’amor fu degno,
del qual non trovo sol che rimembranza,
e la donna tenesse altra sembianza,
assai mi piaceria sì fatto legno.

E tu che se’ de l’amoroso regno


là onde di merzé nasce speranza,
riguarda se ’l mi’ spirito ha pesanza,
ch’un prest’ arcier di lui ha fatto segno,

e tragge l’arco che li tese Amore,


sì lietamente, che la sua persona
par che di gioco porti signoria.

Or odi maraviglia ch’el dì sia:


lo spirito fedito li perdona,
vedendo che li strugge il suo valore.

Una corte della quale non trovo nient’altro che il ricordo, e se la donna avesse un altro aspetto, mi piace-
rebbe molto il vascello dantesco immaginato: se io fossi in quella condizione verrei volentieri.
Attacco della seconda quartina che distanzia le posizioni dei tuoi poeti: tu, che sei ancora felicemente
innamorato e hai la possibilità di ottenere la speranza, nasce speranza di un ricambio, di poter vivere
condizione positiva, si contrappone la mia angoscia (‘pesanza’): spirito caratterizzato dal peso, dal disin-
canto di un amore che è sfumato ed è solo sofferenza.
E tira l’arco che gli ha dato Amore con così tanta gioia e lietezza che sembra che la sua persona provi gioia
a dare sofferenza amorosa quando vuole. Ma adesso senti quale meraviglia accade dello spirito che vive
questo sentimento: lo spirito ferito perdona Amore che lo ha colpito, pur vedendo che lo annienta nella
sua essenza vitale.
Sonetto rovescia la condizione dantesca: la condizione di Cavalcanti gli impedisce di andare in questa
avventura con loro, perché la sua esperienza è solo dolorosa, tant’è che lo spirito, colpito da Amore, non
solo lo perdona, ma continua anche a vivere quest’esperienza dolorosa. Euforia-disforia che si contrap-
pongono tra le atmosfere dei sonetti di Dante e Cavalcanti.
07.04.21
[XLI]
Sonetto di natura meno amicale, polemico, nei confronti di Dante. A lungo discusso fra interpreti e critica
per capire a cosa potesse fare riferimento esattamente. Qual è l’oggetto del contendere? Perché scrivere
all’amico di essersi invilito = reso vile = aver perso la qualità poetica che lo caratterizzava? Rottura. Ipotesi:
1) Traviamento per la donna gentile, tentazione a cui Dante cede;
2) Riferimento a una tenzone di Dante con Forese Donati: scambio di natura prevalentemente co-
mica (bassa) in cui si scambiano accuse reciprocamente anche aggressive e violente ® scivola-
mento nei toni dell’invettiva della poesia satirico-comica, forse letta da Cavalcanti come inutile
esercizio stilistico, lontano dallo stilnovo;
3) Dissidi di natura politica.

74
Domenico De Robertis: interpretazione di questo sonetto come legato a una personificazione di Amore
che parla in prima persona e si rivolge a uno dei suoi fedeli accusandolo di aver perso la fiducia in lui e
anche nella poesia legata alla sua interpretazione.
È possibile scorgere vicinanze fra questo sonetto e alcuni testi successivi alla morte di Beatrice = discus-
sione intorno al momento di crisi del poeta.
Viltà ® degradamento qualità intellettuali e morali. Prossimità fra Amore ed Io lirico di Dante. Amore in
questo caso accuserebbe il suo fedele di non essere più capace di ascoltarlo e di essersi allontanato da lui
= non capace di interpretare bene il sentimento amoroso.
Tensione fra i due poeti, differenziazione che si gioca proprio sulle qualità del pensiero. Debolezza filoso-
fico-intellettuale nel comprendere l’amore = abbassamento complessivo.
Commedia: palinodie (ripensamenti) di alcuni episodi, tant’è che la tensione con Forese viene compensata
nell’incontro con Piccarda Donati.
I’ vegno ’l giorno a te ’nfinite volte
e trovoti pensar troppo vilmente:
molto mi dol della gentil tua mente
e d’assai tue vertù che ti son tolte.

Solevanti spiacer persone molte,


tuttor fuggivi la noiosa gente;
di me parlavi sì coralmente,
che tutte le tue rime avìe ricolte.

Or non ardisco, per la vil tua vita


far mostramento che tu’ dir mi piaccia,
né ’n guisa vegno a te che tu mi veggi.

Se ’l presente sonetto spesso leggi,


lo spirito noioso che ti caccia
si partirà da l’anima invilita.

Campo semantico della viltà è dominante in tutto il sonetto. Io vengo da te continuamente e continuo a
trovarti assorto in pensieri bassi, grevi. Mi spiace, mi duole, che la tua mente gentile (campo semantico
che si contrappone a quello della viltà; elemento della gentilezza che l’Io lirico non possiede più) e le tue
virtù siano andate perdute.
Da un lato sorta di uso del verbo all’imperfetto iterativo: eri solito fare, di isolarti dal mondo noioso, il
popolino, chi non si occupa di questioni complesse, e con me parlavi d’amore così sinceramente, in modo
così prossimo alla verità, che io (Amore) avrei raccolto le tue rime.
Versi che denunciano tentativo di Amore di riaccendere la lucidità dell’Io lirico.
Ora non ho nemmeno il coraggio, per la condizione vile in cui ti trovi, di dare segno che la tua poesia mi
piaccia (parla sempre Amore). Né vengo da te in modo tale che tu mi possa vedere. Questa degradazione
dell’Io lirico dantesco corrisponde anche a desiderio di Amore di allontanarvisi. Io non è più dettatore di
ciò che dice Amore perché questo rinuncia di apparirgli.
Quasi un farmaco: se tu leggi più volte questo sonetto, spero che abbia una funzione di salvarti, di farti
uscire da questa condizione: augurio, auspicio che insieme dichiara la degradazione della poesia e l’accusa
molto forte di non essere più quello di un tempo. Accusa molto significativa, fatta all’interno della poesia
stilnovistica come esperienza elitaria per pochi, da cui Dante sarebbe uscito (dalla cerchia eletta dei poeti).
Anche invito energico a rientrare in questa cerchia, a riacquistare la lucidità perduta.

75
Primo segno esplicito di divergenza fra Dante e Cavalcanti, legata a condizione del poeta che Cavalcanti
non ritiene più simile, prossima alla sua. Distanza che implica una differenza: l’abbassamento, la viltà, la
condizione di inferiorità di Dante che Cavalcanti denuncia in questo sonetto. Punto di crisi che in un
secondo momento raggiungerà vertici molto più alti.
LA TENZONE CON GUIDO ORLANDI
Serie di sonetti sul tema di rapporto fra amore come accidente o amore come sostanza. Interessante la
posizione adottata da Cavalcanti nei confronti di Orlandi, e la fisionomia psicologica: sprezzante, come di
chi deve perdere tempo per rispondere a qualcuno che non capisce nulla. Superiorità ribadita anche nel
modo retorico con cui si pone con l’avversario.
[LA] GUIDO ORLANDI A GUIDO CAVALCANTI
Sonetto di Guido Orlandi: insiste sull’eccesso di sofisticheria della poesia cavalcantiana stilnovistica.
Torna nell’incipit il termine ‘sottigliansa’, spesso usato da avversari o da chi si contrappone con la poesia
stilnovistica (cfr. tenzone con Bonagiunta Orbicciani), ma in positivo usato da Dante nella Vita nova. Negli
avversari questo è un difetto, un disvalore.
Sonetto particolare: fronte di solo 6 versi (la seconda quartina è un distico). Non dovrebbe essere un
difetto di tradizione, perché sono forme attestate e il sonetto così com’è ha perfetta coerenza logica e
sintattica.
Da un lato continuo gioco fra amore sostanza e amore accidente. Accusa anche di esprimere personifica-
zione di amore come se fosse vera e propria sostanza: se la prende anche coi modi in cui Cavalcanti parla
di amore. Significato ulteriore in termini metaletterari.
Per troppa sottiglianza il fil si rompe,
e ’l grosso ferma l’arcone al tenèro
e se la sguarda non dirizz’al vero,
in te forse t’avèn che cheri pompe;

e qual non pon ben diritto lo son pe’


traballa spesso, non loquendo intero;

ch’Amor sincero – non piange né ride:


in ciò conduce spesso omo o fema,
per segnoraggio prende e divide.

E tu ’l feristi e no∙lli par la sema?


Ovidio leggi: più di te ne vide!
Dal mio balestro guarda e aggi tema.

Metafora legata al filo che permette alla balestra di scoccare il suo colpo: il filo si rompe quando è troppo
sottile (continuo gioco fra oggetto reale e filo del discorso, filo argomentativo, la presentazione del pen-
siero). E invece il filo grosso tiene la balestra bloccata all’impugnatura = permette di impugnare la balestra
con maggiore energia e quindi il colpo può partire. Efficacia e puntualità dell’argomentazione del pensiero
che sorregge il discorso stesso.
Se tu non tieni fisso lo sguardo alla verità, capita a te che cerchi gloria (‘cheri pompe’), usi artifici retorici
molto complessi, pomposi, pretenziosi, che generano questo effetto = filo si spezza = la tua poesia diventa
debole e fragile.
Non terminando di dire ciò che ha cominciato, non sapendo portare a termine il suo discorso. Avere
obiettivi troppo ambiziosi porta a non riuscire a costruire un discorso organico e chiaro.
Prima parte legata ad accusa stilistico-interpretativa ma anche di concezione della poesia.

76
Seconda parte torna su amore sostanza/amore accidente, dicendo che non è sostanza e che quindi perso-
nificare amore è erroneo.
Amore vero (sincero, capacità di cogliere l’essenza di amore) non ha espressioni del viso, non è sostanza.
Domina e fa innamorare e disamorare. E tu lo avresti perito, e non si vede la cicatrice (non è possibile
parlare di amore fisico, perché non esiste)? Riferimento metaletterario ad auctoritas ovidiana, in quanto
unica e vera voce e autorità legittima per la poesia: rileggiti Ovidio con un po’ di attenzione, ne ha capito
molto più di te. Fai attenzione alla mia balestra, e abbi paura perché sta scoccando un colpo che ti colpirà.
Accusa su una linea non troppo lontana da quella di Bonagiunta: poesia che ha abbandonato strada con-
sueta e autorità, che produce quindi testi incapaci di parlare bene di amore.
[LB] RISPOSTA DI GUIDO CAVALCANTI
Tipica non solo del suo modo di fare poesia, ma anche del suo modo di relazionarsi con gli altri: sprez-
zante, che atteggia superiorità evidente, trascinato a fatica in queste discussioni per lui futili e banali.

Anche questo sonetto ha anomalia: specializzazione ® non 14 versi, ma 16, con aggiunta di un distico
finale, che rappresentano forse un primo esempio del sonetto caudato (sonetto con coda, forma che avrà
larga fortuna soprattutto nella tradizione comica). Coda che permette di estendere oltre la misura con-
sueta. Aggiunta forse già gioco ironico contro Orlandi: non hai nemmeno saputo scrivere un sonetto di 14
versi, completo io quello che tu non sei stato in grado di fare.
Sostanza del testo legata al disprezzo che Cavalcanti mostra per l’interlocutore, per l’argomento, che ri-
tiene trito, banale, inutile, e soprattutto per la scarsa cultura del suo interlocutore. Dall’inzio viene ribadita
la fatica con cui è obbligato a intervenire nel dibattito.
Di vil matera mi conven parlare
[e] perder rime, silabe e sonetto,
sì ch’a me ste[sso] giuro ed imprometto
a tal voler per modo legge dare.

Perché sacciate balestra legare


e coglier con isquadra arcale in tetto
e certe fiate aggiate Ovidio letto
e trar quadrelli e false rime usare,

non pò venire per la vostra mente


là dove insegna, Amor, sottile e piano,
di sua maner’ a dire e di su’ stato.

Già non è cosa che si porti in mano:


qual che voi siate, egli è d’un’altra gente:
sol al parlar si vede chi v’è stato.

Già non vi toccò lo sonetto primo:


Amore ha fabricato ciò ch’io limo.

Sono costretto a parlare di materia bassa, sprecando tempo, rime, sillabe e sonetto. Quasi che a questo
proposito di parlare per dare regole precise, per non dover più ritornare su questo argomento.
Poiché sapete usare, armare una balestra, avete la capacità e sapete come si fa, e colpire con uno strumento
la trave portante di un tetto = colpire un obiettivo facile, alla portata di tutti. Avete addirittura letto Ovidio
qualche volta e usate rime facili (es. rima ‘pompe’-‘son pe’ ® consentita ma che forse dimostra scarsa
perizia poetica). Non può venire da voi Amore nella vostra mente laddove insegna sottile e piano.
Siete così rozzo che non siete in grado di accogliere gli insegnamenti di Amore quando lui ci comunica
qualcosa di sottile ma in forma linguistica semplice, piana. È complesso l’argomento, non è difficile il

77
modo in cui lo si esprime nello stilnovo. Voi non siete in grado di esprimere il vero concetto di Amore
perché siete troppo debole dal punto di vista poetico e intellettuale.
Origine di questa tenzone: sonetto di Cavalcanti. Già il primo sonetto non è stato sufficiente a persuadervi;
Amore ha costruito ciò che io limo, che perfeziono attraverso la mia poesia. Cfr. Dante a Bonagiunta
Orbicciani: Amore produce ciò che io ascolto e che io mi affanno a tradurre in parola con affinamento
progressivo della mia parola poetica. Linea ideologica analoga. Esperienza degli stilnovisti superiore a
quella degli altri poeti: è questa capacità di cogliere più da vicino Amore, che è colui che detta le parole
che vengono progressivamente rese comprensibili ai lettori da parte dei poeti.
Contrapposizione, scontro nel quale Cavalcanti esce dal tema centrale del dibattito e pone l’attenzione
sulla capacità di comprendere o meno il sentimento amoroso; Orlandi non ha la capacità di capire la nuova
poesia, è troppo ignorante per capire questa novità. Cavalcanti non vuole neanche sprecare tempo a spie-
garglielo.
Ulteriore conferma di quanto forte fosse lo scarto avvertito nei confronti dei poeti contemporanei, e come
una quota di questi vedesse in questa forma di poesia una strada, se non sbagliata, almeno non legittima e
criticabile.
TEMI E STILE
SONETTO [IV]
Poesie d’amore. Questo sonetto discende dal sonetto Lo vostro bel saluto di Guinizzelli, da cui avrebbero
preso spunto tanto Dante quanto Cavalcanti, ripercorrendo lo stesso tema e dialogando con quel sonetto,
che riconoscono come capostipite di una tradizione. Dante (Io voglio del ver la mia donna laudare): con-
servazione della rima B e della rima D che riprende, così come alcune parole che stanno in rima. Continuità
più formale che sostanziale: si attesta vicinanza ma soprattutto si vuole dichiarare distanza, differenza.
Differenza che si vede all’apparizione della donna: evento registrato subito con caratteristica di sacralità
che sconvolge l’animo di chi osserva (nel sonetto guinizzelliano è un fulmine che entra nella stanza). Ca-
valcanti parla degli effetti che produce la bellezza: tremore, afasia, sospiri; effetti fisici che quasi non si
traducono in parola ed esprimono lo stato di sconvolgimento dell’Io. La differenza è soprattutto da Dante.
Non si dichiara solo di non saper riconoscere il fenomeno amoroso, ma è quell’emozione che annienta la
capacità dell’uomo di pensare all’amore e in generale. Annichilimento di chi lo prova, esperienza negativa.
Condizione amorosa comporta l’impossibilità dell’uomo di pensare razionalmente. Condizione di soffe-
renza dell’Io non legata topicamente all’impossibilità di completare l’esperienza amorosa: ma è l’espe-
rienza amorosa in sé che è negativa ed ha effetti devastanti.
Sonetto topico che ripercorre uno dei luoghi comuni della poesia stilnovistica.
Allusione al linguaggio sacro: incipit è quasi una traduzione in italiano di un passo del Cantico dei cantici.
Non allusione al testo sacro per rappresentare il fenomeno come figura sacrale, ma per conferire all’ele-
mento una dimensione di sacralità, quasi fosse ultraterreno. Apparizione quasi miracolosa; Cavalcanti in-
siste su questo registro con dimensione intertestuale, giocando con il riferimento biblico.
Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira,
che fa tremar di chiaritate l’âre
e mena seco Amor, sì che parlare
null’ omo pote, ma ciascun sospira?

O Deo, che sembra quando li occhi gira!


dical’ Amor, ch’i’ nol savria contare:
cotanto d’umiltà donna mi pare,
ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ ira.

78
Non si poria contar la sua piagenza,
ch’a le’ s’inchin’ ogni gentil vertute,
e la Beltate per sua dea la mostra.

Non fu sì alta già la mente nostra


e non si pose ’n noi tanta salute,
che propiamente n’aviàn canoscenza.

Porta con sé Amore (donna e Amore sono quasi la stessa cosa), al punto tale che nessuno può parlare,
esprimere a parole ciò che vede, ma si può solo sospirare. Ciò che viene espresso dall’osservatore sono
parti fisiche e corporali che non trovano mai piena realizzazione fisica, verbale.
Ripresa Cantico dei cantici: verso 5. Lo dica Amore, l’unico in grado di dire cos’è veramente questa appa-
rizione. ‘Dire’, ‘parlare’, ‘contare’, tornano sempre in questo sonetto, nella dimensione dell’ineffabilità:
poesia è in prima istanza una dichiarazione di impotenza poetica.
La donna è espressione, personificazione di una virtù talmente grande (‘umiltà’) che tutte le altre donne
le chiamo ‘ira’ (= passione contrapposta); è talmente perfetta che nessuna la può eguagliare. Esaltazione
della donna ® dichiarazione di eccezionalità della propria poesia.
‘Contare’ torna, ripetizione quasi segno di una dichiarazione insistita: il fatto di non saper dire, di non
poter parlare. ‘Piagenza’ termine provenzale per bellezza. È talmente bella che tutte le virtù si inchinano
davanti a lei, la bellezza stessa si inchina davanti a lei.
Dichiarazione più sconsolata dell’incapacità di comprendere il fenomeno amoroso. ‘Mente’ (anima sensi-
tiva per Cavalcanti) non è stata dotata di forza tale che nel modo giusto possiamo conoscere questo feno-
meno: amore in quanto tale è inattingibile per l’uomo stesso, che non ha, per sua caratteristica costitutiva,
la capacità di comprenderlo. Ridotta capacità non solo di parlare, ma anche di conoscere.
SONETTO [VI]

Filosofia di Averroè ® in particolare opere di Galeno (pensatore, medico dell’antichità) che grazie al
confluire di queste diverse tradizioni viene a concepire l’uomo come macchina “pneumatica” in cui coe-
sistono diversi spiriti, parti che costituiscono la sua essenza, manifestando la sua vita in sensi sensitivi e
poi intellettuali. Spiriti che stanno in mente, cuore e animo (fegato: anima vegetativa, cuore: sensitiva,
cervello: intellettiva). Spiritelli utilizzati da Cavalcanti come protagonisti attivi della sua poesia, di una
sorta di teatro dell’interiorità, dove questi elementi dell’uomo vengono letteralmente sconvolti dall’espe-
rienza che stanno vivendo. Elemento che permette a Cavalcanti di usare lessico proveniente dalla filosofia
e di drammatizzare, rendere vivace l’espressione della sua poesia attraverso elementi immateriali. Per que-
sto i protagonisti della sua poesia sono gli occhi, il cuore, l’anima, che diventano astrazioni di un Io di-
sgregato nella sua essenza come conseguenza dell’esperienza amorosa.
Patrimonio lessicale complessivo sostanzialmente molto selettivo: Cavalcanti recupera e riutilizza molto
spesso le stesse parole, perché torna a meditare sempre su questi elementi.
Deh, spiriti miei, quando mi vedete
con tanta pena, come non mandate
fuor della mente parole adornate
di pianto, dolorose e sbigottite?

Deh, voi vedete che ’l core ha ferite


di sguardo e di piacer e d’umiltate:
deh, i’ vi priego che voi ’l consoliate
che son da lui le sue vertù partite.

I’ veggo a lui spirito apparire


alto e gentile e di tanto valore,

79
che fa le sue vertù tutte fuggire.

Deh, i’ vi priego che deggiate dire


a l’alma trista, che parl’in dolore,
com’ella fu e fie sempre d’Amore.

Fin dall’incipit evoca gli spiriti di cui sopra. Sonetto costruito su un dialogo, su una invocazione, preghiera
tra l’Io che parla con i suoi spiriti, e ottiene un effetto quasi di litania: elementi iterativi (triplice ripetizione
di ‘Deh’ a inizio verso) di sospiroso inizio, malinconico, sospiro che rappresenta lo condizione soprattutto
emotiva e poi intellettuale dell’Io lirico. Verso 4: parole che siano capaci di esprimersi del pianto del dolore
dello sbigottimento; ma sono gli spiriti, dal momento che lo vedono così tanto in pena, perché non man-
dano fuori dalla mente delle parole capaci di esprimere la sofferenza e lo sbigottimento? In un rapporto
tra interiorità ed esteriorità; dramma che si consuma e incapacità di rappresentarlo all’esterno.
Voi vedete che il cuore ha delle ferite provocate dallo sguardo, dalla piacevolezza, dalla bellezza e
dall’umiltà. Personificazioni, astrazioni di elementi dell’interiorità: cuore ha ferite dalla visione di questo
elemento. Sono spiriti che devono consolare il cuore, che ha perso ogni spirito vitale, è privo della sua
vita. Alienazione, il perdere se stessi è fisico, quasi dimostrabile.
Potenza creata dalla donna, così alta. L’oggetto che si contempla è così potente che genera nell’Io un
elemento di smarrimento. Prego a voi spiriti che comunichiate all’anima che esprima il dolore, e come lei
è e sarà sempre sotto il controllo di amore.
Testo esemplare delle modalità tematiche e stilistiche con cui Cavalcanti esprime questa dimensione do-
lorosa e disforica dell’amore, che rende incapace l’uomo di definirlo, di comprenderlo, e provoca solo
sbigottimento. Filosofia naturale. L’elemento fisiologico è per Cavalcanti tratto significativo nella com-
prensione dell’amore.
12.04.21
SONETTO [VII]

Sonetto nel quale tutto avviene all’interno dell’interiorità. Incipit ® descrive perimetro dentro cui si svolge
azione del sonetto = anima. Quasi calco di un salmo penitenziale (6, verso 4: anima mea turbata est valde).
Termini usati in modo sistematico: lessico bellico, di carattere militare ® ‘battaglia’ al verso 2 e anche al
verso 9. Esperienza amorosa disegnata in prima istanza come una guerra, in cui l’Io e l’anima vengono
sconfitti, distrutti, letteralmente devastati. Elemento drammatico: dimensione amorosa interiore è dimen-
sione di sconfitta, incapacità di dominare l’esperienza stessa.
Non appare mai la figura femminile. Ciò che registra il poeta è semplicemente ciò che accade dentro di
sé. In questo sonetto Cavalcanti si rifà a un repertorio già topico, portato a estremi diversi da Guinizzelli,
ma ora riportato all’altro estremo. Dimostrazioni quasi filosofiche della condizione in cui si trova l’Io
nell’esperienza amorosa; sostanziale incompatibilità di sentimento amoroso e pensiero razionale. L’espe-
rienza amorosa è traumatica proprio perché depotenzia le capacità di pensiero dell’uomo. Schema metrico
sostanzialmente mai attestato prima nella tradizione lirica: ABBB BAAA ® manifestazione persino formale
di questo sconvolgimento interiore; quasi che l’incapacità di pensare genera terremoto, distruzione, anche
delle strutture metriche (regolari, ma ai limiti del consentito). Cavalcanti, pur nella forma del sonetto
(rigida e canonica) si dimostra capace di illustrare questa irregolarità che introduce una sostanziale diver-
sità. Anche la forma è modo di manifestare la propria capacità (cfr. Tenzone con Guido Orlandi).
L’anima mia vilment’è sbigottita
de la battaglia ch’ell’ave dal core:
che s’ella sente pur un poco Amore
più presso a lui che non sòle, ella more.

80
Sta come quella che non ha valore,
ch’è per temenza da lo cor partita;
e chi vedesse com’ell’è fuggita
diria per certo: «Questi non ha vita».

Per li occhi venne la battaglia in pria,


che ruppe ogni valore immantenente,
sì che del colpo fu strutta la mente.

Qualunqu’è quei che più allegrezza sente,


se vedesse li spirti fuggir via,
di grande sua pietate piangeria.

‘Sbigottita’ ® distrutta, allarmata, non sa come reagire. ‘Vilmente’ ® fino all’avvilimento, condizione più
bassa. A causa della battaglia che ha all’interno del cuore (anima combatte nel tentativo di dominare que-
sta passione). Se sente l’andamento sensibile dell’anima (= parte che percepisce il mondo), che se ancora
ha un’ulteriore possibilità di percepire amore, più presso di quanto non ne è solita, lei ne morirebbe [Che
se l’anima sente soltanto (pur) che l’amore si trova più vicino (presso) del solito (che non sòle), muore].
Termini poco tradizionali: amore-morte, qui questione quasi filosofico-medica, impedisce il pensiero.
Si comporta così (l’anima) perché non ha valore, le sue facoltà vitali e la sua capacità intellettiva sono
separate, perché per paura (dimensione sensitiva e intellettuale dovrebbero essere unite e invece sono
separate) si è separata dal cuore. Processo di unità viene disgregata e per questo motivo è così sbigottita.
E se qualcuno vedesse com’è fuggita, com’è scappate, direbbe certamente che quest’uomo è privo di vita.
Alienazione, sensazione che prova l’Io è quello che qualcuno scorgerebbe vedendolo da fuori; viene meno
la sua identità, perché si è disgregato nelle sue parti interne. Avendo l’anima abbandonata dal cuore,
quest’uomo è privo di vita.
Due terzine: rievocazione del momento in cui la passione si è formata. Riprende ‘battaglia’ iniziale, ma
descrive con una sorta di flashback com’è accaduto che l’anima sia così sbigottita. ‘Valore’ ® al verso 5
anche qui al verso 10; ha distrutto (‘ruppe’, termine militare) ogni capacità intellettuale immediatamente,
all’istante. Tanto che da questo colpo la mente, la capacità razionale, è stata distrutta. Dimostrazione che
il pensiero è incapace di agire di fronte alla violenza della passione che viene prodotta dalla prima sua
accezione, che è quella sensoriale.
Chiunque fosse in una condizione di serenità, se vedesse i suoi spiriti fuggire via (perdere di consistenza
il suo animo), piangerebbe per la condizione in cui si trova ® condizione insostenibile per l’uomo, che è
portato a soffrire per essa. Rapporto fra esperienza dell’Io e universale tende a dimostrarci che quel che
ci racconta nel sonetto è esperienza univoca. Chiunque (‘Qualunqu’è quei’ = passaggio dall’esperienza
singola a quella collettiva). Illustrazione più larga del concetto stesso. ‘Strutta’ = annientamento della
mente che porta alla morte dell’uomo in quanto essere pensante.
Cfr. novella di Boccaccio (Decameron). Cavalcanti personaggio appare come colui che afferma che chi non
pensa, chi non usa la ragione per filosofeggiare, è ormai già morto. Tratto importante di idea e pensiero
di Cavalcanti: Amore è ciò che ci impedisce di pensare, che fa tornare l’uomo alla condizione animale. È
l’opposto dell’amore come elevamento, è anzi una specie di zavorra che trattiene l’uomo.
SONETTO [VIII]
Ancora insiste su questi temi: difficoltà che la mente ha di difendersi dal fenomeno amoroso. Inizia con
allocuzione alla donna, quindi c’è esplicitato l’oggetto amoroso, ma resta tuttavia un’esca iniziale, perché
il discorso si svolge in modo completamente diverso.
Tu m’hai sì piena di dolor la mente,
che l’anima si briga di partire,

81
e li sospir’ che manda ’l cor dolente
mostrano agli occhi ch’e’ non può soffrire.

Amor, che lo tuo grande valor sente,


dice: «E’ mi duol che ti conven morire
per questa bella donna, ché nïente
par che Pietate di te voglia udire».

I’ vo come colui ch’è fuor di vita,


che pare, a chi lo sguarda, ch’omo sia
fatto di rame o di pietra o di legno,

che si conduca sol per maestria


e porti ne lo core una ferita
che sia, com’egli è morto, aperto segno.

I personaggi, gli attori di questo sonetto sono: mente, anima e cuore (oggetti dell’interiorità), parti dell’in-
teriorità dell’uomo che dialogano fra loro per rappresentare ciò che accade nella mente dell’uomo. Già
all’inizio del sonetto si esprime visione disforica dell’esperienza: amore è sempre noia, sbigottimento, ma
non parziale che alterna euforia-disforia, è solo disforica in modo pervasivo.
Hai raggiunto quasi il valore estremo del dolore che la mente può contenere, tanto che l’anima stessa se
ne vuole andare, e i sospiri che il cuore manda, mostrano alla vista altrui che il cuore non può sopportare
oltre. Hanno raggiunto il punto di non ritorno.
Personificazione di Amore che esprime la condizione dell’amore, ma in questo caso condizione di simpatia
con l’Io lirico, simpatia mirata ad affermare la sostanziale incontenibilità di questo amore. Amore è alleato
dell’Io nel riconoscere la passione che la donna provoca.
Amore dice: mi spiace che tu debba morire per questa bella donna, che sembra non voler intercedere per
nessuna ragione verso di te. Come se Amore avesse percepito la forza di questa passione e compartecipasse
al sentimento dell’Io lirico.
Seconda parte: trasformazione in automa dell’Io lirico. Riprendendo termini già guinizzelliani, Cavalcanti
esaspera la condizione dell’Io lirico.
Sono in una condizione tale che sono fuori della vita (alienazione; vivo dal punto di vista fisico ma non da
quello intellettuale), visto da fuori sembro una scultura, che si muove solo per ‘maestria’ = per artificio
meccanico, si muove per ingegneria fisico-meccanica, e porti impressa nel cuore una ferita che dimostri
all’esterno come lui sia morto. Trasformazione in automa è portata agli estremi ultimi. Testimonianza di
sua sconfitta irrimediabile. Rappresentazione perfetta di idea che difende dall’interpretazione di Aristotele
del filosofo Averroè: passione amorosa provoca cronica alienazione del sé, qualcosa da cui non si trova
rimedio. Cavalcanti qua dice che il dolore raggiunto è tale da averlo lasciato una scorza priva di vita.
La sua poesia si caratterizza quindi per alcuni elementi:

• Interpretazione del tutto negativa di amore, certamente filosofica, ma esclusivamente negativa.


• Ricorso a un lessico limitato, ma continuamente rivitalizzato attraverso rappresentazioni dell’in-
teriorità, facendo dell’amore soprattutto un’esperienza interiore.
• Forte tensione intertestuale: rapporto fra i testi e la biblioteca esterna, con i testi sacri (idea di
alzare tono stilistico dei testi, non per deriva mistica ma per rappresentarne la sacralità).
• Recupero sostanzialmente continuo di topoi della lirica precedente, specie guinizzelliani, che ven-
gono esasperati e portati a condizione estrema.
Tutto questo disegna una personalità poetica forte e pronunciata, con idee chiare sia nell’interpretazione
dell’amore ma anche nell’idea di poesia, che è certamente elitaria e richiede, non tanto per la complessità

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linguistica, quanto per il sostrato filosofico che la compone, un lettore colto. Finché lo stilnovo lega Dante
e Cavalcanti, c’è sicuramente forte interpretazione filosofica unita al desiderio di costruire linguaggio
chiaro e limpido dal punto di vista linguistico.
Ma qualcosa accade fra i due: le due interpretazioni del fenomeno amoroso sono troppo diverse. Noi non
siamo in grado di ricostruire in modo sicuro la sequenza di questo scontro (chi ha cominciato, quando si
è risposto). Si possono fare solo delle ipotesi, chiedendosi se fosse Donna me prega una risposta alla Vita
nova o viceversa.
DONNA ME PREGA
Canzona con grandissima potenza speculativa: letteralmente demolisce la teoria dantesca di amore, nel
modo più radicale possibile, e non per via di polemica, ma per interpretazione filosofica. Che Dante sia
rimasto turbato da questo episodio, lo proverebbe la Commedia stessa: Dante parla poco di Cavalcanti,
ed è un silenzio che fa rumore. Ci si aspetterebbe una presenza più massiccia del ‘primo amico’ nella
Commedia, eppure scompare o appare poco, peraltro all’Inferno, evocato in modo ambiguo, complesso,
in una terzina tormentatissima dal punto di vista esegetico e non si capisce davvero cosa voglia dire Dante.
All’incontro con Cavalcante, condannato in quanto eretico epicureo, gli viene chiesto perché Guido non
sia con lui: non è lì per qualità intellettuali, ma risposta con grandi margini di ambiguità. In ogni caso,
Dante non ha fatto i conti con questa divaricazione che l’ha caratterizzato da Cavalcanti. Sorta di tensione
conflittuale di interpretazione del fenomeno amoroso: tensione che si gioca sul piano filosofico e netta-
mente contrastivo.
Difficoltà: di natura formale ® con questa canzone propone una forma metrica di inaudita complessità.
Una specie di tour de force metrico: non solo fitto intreccio di rime, ma gioco fittissimo di rime interne.
Schema metrico ® (a5)B(c5)(c5)D(d5)E, (a5)B(c5)(c5)D(d5)E; F(f3)G(g5)HH, F(f3)G(g5)HH per cin-
que strofe, più il congedo che è una variante della volta della sirma, XY(y5)X(x5)ZZ. Schema molto fitto
soprattutto di rime al mezzo; c’è un tale intreccio di rime che si è calcolato che circa 1/3 di parole della
poesia rimano fra di loro. Dimostrazione di forza tecnica, che sbaraglia il campo anche con chi, Guittone
in primis, aveva cercato di fare poesia complessa. Questo fitto gioco di rime interne è utilizzato anche per
rappresentare uno snodarsi molto serrato del pensiero che le stanze propongono. Ricorso massiccio al
lessico della filosofia aristotelica, specie di impianto averroista. Canzone squisitamente dottrinale, anche
il modo in cui si costruisce è corrispondente a questa finalità. Non c’è intenzione di rappresentare il sé,
ma è dimostrazione filosofica che si snoda attraverso le stanze. Ricorso al lessico filosofico ribadito fino
all’inizio: dichiara che il suo lettore dev’essere capace di capire la filosofia (ha bisogno di un lettore dotto).
Una delle prime canzoni della tradizione lirica italiana con commenti fatti fin da subito. Due tipologie:

1) Medico Dino Del Garbo ® interpretazione medico-filosofica: traduce elementi di natura filoso-
fica, e uno scienziato può comprendere perfettamente questa canzone.
2) Tradizione che cerca di vedere nella canzone intenzione di carattere morale. Grande ammoni-
mento contro l’amore, comunque dichiarazione della pericolosità dell’amore.
Commenti molto impegnativi dal punto di vista dottrinale proprio per spiegare la complessità di questa
canzone, che verrà sempre indicata come modello di canzone capace di interpretare il pensiero filosofico
attraverso la forma poetica.
Qual è la teoria complessiva che Cavalcanti propone con questa canzone? Interpretazione del filosofo
arabo Averroè del pensiero aristotelico: divisione fra intelletto teoretico e dimensione sensitiva; per Aver-
roè questo intelletto intellettivo, è eterno, è fuori dall’uomo ® unico elemento è anima sensitiva, che
attraverso i sensi gli permette di conoscere la realtà. È pero attraverso questa esperienza che c’è capacità
di pensiero, che dà all’uomo la possibilità di congiungersi con l’intelletto unico possibile e attivando così

83
la capacità speculativa, che fa andare oltre una dimensione puramente animale. Questo perché le Immagini
che percepisce hanno una potenza che le rende intellegibili consentono avvicinamento all’intelletto possi-
bile.
Momento di congiungimento fra il singolo e l’intelletto possibile: copulatio, letteralmente congiungimento
® uomo può pensare solo quando riesce, attraverso la percezione della realtà sensibile, ad astrarsi e a
unirsi all’intelletto possibile, che è eterno e non finito, mentre l’anima sensibile è materiale e inevitabil-
mente destinata a perire.
Amore è zavorra che impedisce questo congiungimento: non c’è spazio per mediazioni per Cavalcanti =
amore è forza che nasce da Marte, negativa, che trascina l’uomo in basso. Metafora verticale che implica
incapacità di elevarsi del pensiero e l’ancoraggio a dimensione puramente fisica. Passione ha potenza tale
che è quasi impossibile sfuggirle, e una volta dentro di essa ne siamo quasi schiacciati, l’amore non è più
in grado di pensare. Sbigottimento, distruzione dell’uomo, è quasi un’esperienza spaesante per l’uomo
stesso. Esperienza che diventa negativa all’incontro della passione amorosa.
Sprofondamento dell’uomo nelle regioni più basse: su uno stesso asse, uomo non è più in grado di uscire
da questa situazione, condizione animale in cui cade con l’amore. Nel confronto anima-passione-mente,
amore è grande colpevole: passione non estranea ma che deprime le capacità umane. Per Cavalcanti amore
è condizione radicale per cui l’uomo non può elevarsi.
Amore non è mai esperienza positiva: patrimonio cortese viene così totalmente liquidato, ora è tutto spo-
stato in dimensione speculativa in virtù della quale l’affinamento interiore, il gioco uomo-donna e il rap-
porto vassallatico sono dei giochi inutili, e la lirica può mettere in scena solo la sconfitta e la distruzione
dell’Io. Per questo la poesia cavalcantiana è circoscrivibile a lessico stretto: tutte parole negative, tutto
incentrato su lettura negativa dell’amore, perché alle spalle c’è pensiero preciso da parte di Cavalcanti.
Nel sonetto vie drammatiche, nella canzone vie filosofiche. Dimostrazione per argomenti molto puntuali
della condizione dell’Io.
Sonetto propositivo di Guido Orlandi propone 8 quesiti sull’amore, che trovano risposta nella canzone:
Onde si move, e donde nasce Amore?
Qual è ’l su’ propio, e là ’ve dimora?
È e’ sustanzia o accidente? o memora?
È cagion d’occhi, o è voler di core?

Da che procede in suo stato furore


(come foco si sente che divora)?
Di che si nutre, domand’io ancora.
Come e quando e di cui si fa segnore?

Che cosa è? – dico – ha e’ figura?


Ha per sé forma, o simiglianza altrui?
È vita questo amore, od è morte?

Chi ’l serve dé saver sua natura:


ïo domando a voi, Guido, di lui:
odo che molto usate in la sua corte.

8 quesiti che vengono ricordati nella prima stanza, precisati al lettore. E via via parte la spiegazione per
giungere ad argomentazione serratissima dell’accezione negativa dell’amore.
PRIMA STANZA
Dichiara da un lato gli 8 quesiti a cui Cavalcanti vuole rispondere, dall’altro chiarisce il tipo di discorso
che andrà a fare e il necessario bagaglio di conoscenze che deve avere il lettore per comprendere ciò che

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andrà a dire: non è una generica trattazione dell’amore, ma un trattato sulla scienza filosofica e medica,
che dichiara fin dall’inizio.
Donna me prega, – per ch’eo voglio dire Una donna me ne prega, ragione per cui voglio
d’un accidente, – ch’è∙ssovente – fero scrivere di un accidente che spesso è feroce, che è
ed èsi altero, – ch’è chiamato Amore: potente e che è chiamato Amore: e se qualcuno
nega ciò che dico possa sentirne la verità su di sé!
sì chi lo nega – possa ’l ver sentire!
Per questo io chiedo in questo momento un let-
Ond’a presente – canoscente – chero, 5 tore competente, dal momento che non ho alcuna
perch’io no spero – ch’om di basso core fiducia che un uomo vile possa arrivare a capire
a tal ragione porti canoscenza: nozioni così raffinate: poiché senza un ragiona-
ché senza – natural dimostramento mento basato sulla filosofia naturale non riuscirei
non ò talento – di voler provare mai a dimostrare dove risiede Amore, e da cosa
là dov’e’ posa, che lo fa creare, 10 prende origine, e cosa sia in grado di scatenare e
con quali forze, e la sua essenza e ogni suo svi-
e qual sia sua vertute e sua potenza,
luppo, e il tipo di piacere che origina e che lo fa
l’essenza – poi e ciascun movimento, chiamare “amare” e se si può fare vedere tangibil-
e ’l piacimento – che ’l fa dire amare, mente.
e s’omo per veder lo pò mostrare.

Una donna mi sollecita a scrivere, perché io devo parlare di un accidente (amore in termini filosofici) che
è spesso devastante ed è così aggressivo che è chiamato amore. Riposta a richiesta quasi di cortesia. In
virtù di ciò che voglio dire richiedo conoscenza = lettore che sia dotto, con cultura filosofica capace di
interpretare il mio testo. Stilnovo presupposto di elitarietà (pubblico scelto e selezionato per altezza di
pensiero), qui Cavalcanti lo dice in modo più esplicito possibile da subito. Perché? Perché non penso che
un uomo con scarsa capacità intellettuale possa arrivare a capire questo argomento così elevato.
Senza ‘natural dimostramento’ (termine filosofico) io non ho talento, non posso rispondere alle domande
che mi propone. Se voglio analizzare la questio de amore, lo devo fare attraverso una cultura filosofica,
tutti gli altri mezzi sono inutili (= liquida tutta la tradizione lirica precedente). Non ho speranza di voler
provare ® ecco le 8 domande:
1) Dove dimora l’amore
2) Cosa lo fa esistere
3) Quale facoltà dell’anima si riferisce all’amore
4) Qual è il suo potere
5) Quali alterazioni provoca nell’animo umano
6) In cosa consiste il godimento di amore
7) Se è possibile renderlo visibile
8) Se è visibile la sua manifestazione
Argomento destinatario domande a cui vuole rispondere in virtù del ‘natural dimostramento’ = capacità
filosofica che gli permette di affrontare in modo sicuro e perentorio la poesia stessa.
SECONDA STANZA
In quella parte – dove sta memora 15 Risiede in quella parte dove sta la memoria, tra-
prende suo stato, – sì formato, – come sformandosi in atto, così come un corpo diafano
diaffan da lume, – d’una scuritate si trasforma per mezzo della luce, grazie a un
la qual da Marte – vène, e fa demora; oscuramento che proviene da Marte e che lì si in-
sedia; e viene creato lì da una sensazione: è il
e∙llì creato – è da sensato: – nom’è,
nome di un modo d’essere dell’anima e di un im-
d’alma costume – e de cor volontate. 20 pulso del cuore. È originato dalla vista di una
Ven da veduta forma che s’intende, forma sensibile che diventa oggetto intellettivo,
che prende – nel possibile intelletto, che prende luogo, come sede appropriata, nell’in-
come in subietto, – loco e dimoranza; telletto possibile. Tuttavia non ha su di esso al-
e ’n quella parte mai non à possanza cuna influenza, perché l’intelletto possibile non
perché da qualitat’e’ non descende: dipende dalle qualità accidentali: risplende eter-
25
namente per sé; non deriva dal piacere ma dalla
resplende – in sé perpetual effetto;
conoscenza

85
non à diletto, – ma consideranza, conoscenza, così che non può essere minimamente
sì ch’e’ non pò largire simiglianza. assimilabile nelle sue operazioni all’anima sensitiva.

Prima domanda: amore sta nell’anima sensitiva. Da dove viene amore? Risiede in quella parte dove sta la
memoria, che prende la sua consistenza come un corpo diafano acquista evidenza nella luce. Corpo dia-
fano = Aristotele, corpo trasparente che non ha luce di per sé ma che la riflette, la trasmette (es. aria).
Primo elemento radicale interpretazione: prende luce da un’oscurità che viene da Marte, da un’influenza
negativa, pericolosa. E proprio perché non è corpo dotato di luce, in qualche modo si impregna di quella
oscurità che è costitutiva alla sua nascita. Condotto a esperienza di ottenebramento, oscurità. Elemento
che quasi sta nelle viscere della terra: amore non porta alla luce potente di Dante, siamo in un’oscurità
quasi impercettibile, esperienza che fa brancolare l’uomo nel buio. E si colloca nell’anima sensitiva in
questo modo, agendo in modo negativo, schiacciandola sempre più.
Modo di essere dell’anima e volontà, impulso del cuore. Da questo primo momento si genera esperienza
amorosa, che poi ci spiega come nasce l’amore: viene sì da esperienza sensoriale, dalla vista (tradizionale),
ma si spinge oltre: viene da una forma sensibile, che si vede, e che si trasforma in oggetto di speculazione.
Poiché oggetti sensibili permettono capacità di pensiero, trasporta verso l’intelletto possibile. E avversa-
tivo: ma in quella parte non ha alcuna forza, non ha alcuna capacità di imprimersi, perché non è una
sostanza. Invece, l’intelletto possibile, che dovrebbe permettere all’anima di pensare, ha un’autonomia,
non proviene dal diletto; non nasce dal piacere, ma dalla conoscenza, tanto che non può essere per nessuna
ragione avvicinabile all’anima sensitiva. Quel che produce l’anima sensitiva attraverso l’intelletto non ha
affinità con questa esperienza sensoriale.
Discorso molto serrato in cui Cavalcanti esclude qualunque possibilità di trasformare esperienza amorosa
in esperienza intellettualmente appagante. Se la costruzione del pensiero normalmente avviene attraverso
forme sensoriali, in questo caso amore, che produce influsso negativo, impedisce qualunque traguardo
intellettuale-speculativo.
Prima definizione che offre comporta a cascata tutte quelle successive. Poiché l’origine di amore è questa,
tutto il resto sarà conseguente. Totale negatività dell’esperienza passionale, esperienza che non potrà por-
tare in alcuna forma al superamento della passione. una volta definito questo, i passaggi successivi insi-
stono nel ribadire la forza di questo assunto, che è fin dagli inizi un rovesciamento radicale della Vita nova.
Che sia prima o dopo, l’importante è osservare che sono due letture costruite su repertorio anche imma-
ginario e metaforico volutamente contrapposti. Dimensione teologica che Dante costruisce nella Vita nova
è del tutto esclusa da Cavalcanti, non solo per ragioni di fede religiosa, ma anche per idea che ha dell’espe-
rienza amorosa che non è in nessun modo compatibile con quella dantesca. Opposizione non più media-
bile.
13.04.21

Canzone scritta come trattato ® esclude soggetto lirico dall’esperienza e funzione teorica dell’amore che
esclude qualunque esito positivo dell’esperienza. Fallimentare capacità dell’uomo di pensare e giudicare
la sua esistenza.
TERZA STANZA
Non è vertute, – ma da quella vène Non è una facoltà specifica, ma proviene da quella
perfezïone – (che∙sse pone – tale) 30 perfezione (che in quanto tale è posta nell’uomo)
non razionale, – ma che sente, dico; dell’anima sensitiva, lo ribadisco, non razionale;
for di salute – giudicar mantene, costringe il giudizio a esercitarsi fuori da ciò che è
giusto, perché il contenuto della sensazione
ché l ’ntenzione – per ragione – vale:
prende il posto della razionalità: e colui che è
discerne male – in cui è vizio amico. amico del vizio distingue male ciò che è giusto da
Di sua potenza segue spesso morte, 35 ciò che è ingiusto. Dalla sua potenza ne deriva
si forte – la vertù fosse impedita spesso la morte, se per caso arriva a intralciare la
vitu

86
la quale aita – la contraria via: virtù razionale che cerca invece di sviluppare l’istinto
non perché oppost’ a natural e’ sia, di sopravvivenza: e questo non accade perché l’amore
ma quanto che da buon perfetto tort’è sia cosa contraria alla natura, ma perché qualora
l’uomo si allontani per caso da ciò che è il suo destino
per sorte – non pò dire om ch’aggia vita 40
perfetto, si può dire che in lui non ci sia vita, in quanto
ché stabilita – non à segnoria. privo del controllo su se stesso. È come quando un
A simil pò valer, quand’om l’oblia. uomo dimentica il fine vero della sua esistenza.
Il giudizio esce fuori dal giusto perché l’intenzione lo scambia, lo legge come se fosse la ragione. Uomo
non è più in grado di conoscere/comprendere perché si basa su meccanismo conoscitivo fallimentare:
natura epistemologica. Capisce male chi è vincolato al vizio, non inteso in senso squisitamente morale, ma
puramente conoscitivo: conoscenza basata su esperienza sensoriale = quello che ne consegue è incapacità
di discernimento.
Rapporto amore-morte topico, ma in questo caso per Cavalcanti acquista significato totalmente nuovo: lo
radicalizza al punto che amore è davvero morte dell’uomo, nel senso del suo annientamento in quanto
essere razionale (un uomo che non pensa è vivo all’apparenza ma morto nella sostanza). Riduzione
dell’uomo a uno stato vegetativo. Sospensione capacità razionali generata dal sentimento amoroso.
Così forte che trova contrasto con la ragione che spinge uomo a istinto di sopravvivenza: dominante è la
forza dell’amore nell’annichilire la capacità razionale dell’uomo.
Amore non è qualcosa di innaturale, lontano dall’esperienza reale, ma in qualche modo un evento allon-
tana l’uomo dalla sua perfezione (‘torto’ = deviazione dal fine ultimo dell’uomo, cioè il pensiero, la razio-
nalità). In buona sostanza l’uomo non ha signoria, non padroneggia se stesso, è lontano da sé e quindi
perde l’autocontrollo. Ciò accade quando l’uomo dimentica il proprio fine ultimo, la propria natura es-
senziale (quella del pensiero).
QUARTA STANZA
L’essere è quando – lo voler è tanto L’essere specifico dell’amore si verifica quando il
ch’oltra misura – di natura – torna. desiderio va oltre ogni confine di natura. Dal mo-
Poi s’adorna – di riposo mai, 45 mento che non trova mai una soddisfazione per-
fetta, lo porta in continuazione dal riso al pianto,
move, cangiando – color, riso in pianto,
cambiandone il colore, e stravolge il suo aspetto
e la figura – con paura – storna: con la paura: non riesce mai a trovare stabilità.
poco soggiorna. – Ancor di lui vedrai Inoltre vedrai che lo si ritrova in linea di massima
che ’n gente di valor lo più si trova. in persone di valore. Sin dal suo primo manife-
La nova – qualità move sospiri 50 starsi fa sospirare e costringe a fissarsi su qualcosa
e vòl ch’om miri – ’n non formato loco, di irrazionale, scatenandogli un’ira che lo brucia
destandos’ira, la qual manda foco (nessuno che non lo ha provato può immagi-
narlo), e però non permette che, sollecitati da al-
(imaginar nol pote om che nol prova),
tri, ci si allontani da lui né che ci si concentri, per
né mova – già però ch’a∙llui si tiri, trovare un po’ di gioia, su qualcos’altro: tanto
e non si giri, – per trovarvi gioco: 55 meno che si possa recuperare un po’ o molto della
né certamente gran saver né poco! propria saggezza!

Risponde al quinto quesito: cos’è essenza, natura intrinseca di amore. Quando il desiderio va oltre i limiti
della natura, va oltre il consentito. Non è immoderata cogitatio ® espressione di qualcosa che superava la
continenza, che impedisce all’uomo di rimanere entro i suoi confini naturali. Questo è amore perché ge-
nera stato di instabilità nell’animo umano: instabilità, pensiero incessante che non si placa mai. Precisa-
zione quasi medico-fisiologica degli effetti prodotti nella persona che prova l’amore: cambia riso in pianto,
deforma il volto in virtù della paura che genera: effetti visibili di quest’esperienza.
Non si ferma mai, e quello che si vede nella superficie è solo espressione del sisma interiore che provoca
l’esperienza amorosa, che provoca questa instabilità. Elemento elitario e ripresa equivalenza cuore gentile-
amore: amore non è generato nelle persone di bassa condizione, ma lo si ritrova soprattutto nelle persone
di grande qualità. Elemento negativo: amore si rivolge a persone nobili, sono proprio loro a essere soggette

87
a questo pericolosissimo tipo di amore. Amore alto, che non a caso attecchisce proprio nelle persone di
valore (sinonimo di cuor gentile). Categoria in cui si collocano tutti gli attori di esperienza amorosa per gli
stilnovisti.
Verso 50 = amore. Risemantizzazione filosofica di ciò che accade all’innamorato attraverso linguaggio
della poesia amorosa: questa nuova qualità genera sospiri e vuole che l’uomo guardi in modo non formato
intellettualmente, e ciò causa che lo spirito dell’ira si desti e l’amante brucia (cfr. la salamandra in Giacomo
da Lentini). Qui spiegazione scientifica: amore genera ira che provoca sentimento bruciante. In questa
canzone non c’è mai l’Io; ma nella parentesi 53 dice che questo è qualcosa che passa esclusivamente attra-
verso l’esperienza. Mantenuto nesso fondamentale tra esperienza e conoscenza.
Né, per quanto si cerchi di allontanare l’uomo dall’amore, amore è una prigione, dalla quale non si riesce
a uscire né fuggire. Altro elemento di grande pericolosità è questo (insieme all’indebolimento delle capa-
cità speculative dell’uomo). E per quanto si gira non si riesce nemmeno a trovare gioia (gioco) nell’amore.
Condizione innamorato: condizione di totale sconfitta, non c’è via di uscita, condizione che porta a totale
perdita delle facoltà conoscitive.
QUINTA STANZA
De simil tragge – complessione sguardo L’affinità di complessione fa nascere quello sguardo che
che fa parere – lo piacere – certo: fa sembrare sicuro il piacere: quando raggiunge questo
non pò coverto – star, quand’è sì giunto. livello, l’amore non può più essere tenuto segreto. Se
Non già selvagge, – le bieltà son dardo, 60 non sono estranee all’amore, le belle donne sono come
frecce, così che un tale desiderio conosce bene cos’è la
ch’è tal volere – per temere – esperto;
paura; dovrebbe ricevere una ricompensa lo spirito che
consiegue merto – spirto ch’è punto. ne è ferito. Non può essere riconosciuto con un atto di
E’ non si pò conoscer per lo viso comprensione basato sulla vista: rispetto a un tale og-
compriso: – bianco in tale obietto cade, getto manca ogni possibilità di esercitare questo senso,
e, chi ben aude, – forma non si vede: 65 e chi ha seguito bene quello che ho detto sin qui sa che
dunqu’elli meno, che da∙llei procede. non vi si può percepire alcuna forma: quindi egli ancora
meno è visibile, dal momento che da una tale forma in-
For di colore, d’essere diviso,
visibile egli deriva. Privo di visibilità, separato dall’es-
assiso – ’n mezzo scuro, luc’e’ rade. sere, situato nell’oscurità, egli esclude la luce. Fuori da
For d’ogne fraude, – dico, degno in fede, ogni menzogna, ritengo, in modo credibile, che l’unica
che solo di costui nasce mercede. 70 cosa che nasce da lui è la possibilità di essere ricambiati.

Risponde al settimo quesito: qual è il desiderio che fa chiamare amore, che cosa produce l’amore. ‘Com-
plessione’ = combinazione dei 4 umori con le 4 qualità della fisiologia medica (medicina antica, teoria
umorale di Ippocrate: bile nera (milza), bile gialla (fegato), flegma (testa) e sangue (cuore). Un eccesso o
una deficienza di uno qualsiasi dei quattro fluidi corporei presenti in una persona (gli umori), hanno un
influsso diretto sul suo temperamento e sulla sua salute. La predisposizione all’eccesso di uno dei quattro
umori definirebbe un carattere, un temperamento e insieme una costituzione fisica detta “complessione”)
® natura medico-fisiologica: trattato scientifico, posizione dello scienziato! Definizione quanto più pre-
cisa di come agisce questa passione nell’animo umano. Questa combinazione di elementi crea questo sen-
timento che rende lo sguardo capace di provocare il piacere, lo sguardo che attira questa visione.
Non può nascondersi quando è raggiunto da questa condizione, l’amore non può essere celato. Le donne,
che provocano questo sentimento, non sono le ‘femmine’ di Dante, non sono figure di basso grado, ma
sono donne nobili, gentili, che però diventano frecce che annientano l’uomo, tant’è che conosce la paura.
Non c’è alcuna ricompensa, anche se dovrebbe riceverla, per chi è colpito dall’amore.

Ottavo dei quesiti: è veramente visibile amore? Verso 63 ® non si può conoscere attraverso l’esperienza
visibile, perché chi ha ben compreso, ascoltato, il lettore esperto, sa che non si vede forma intelligibile,
perché è privo di colore (corpo diafano), è un accidente (non sostanza), esclude la luce (non è esperienza
ricostruibile attraverso percezione sensoriale). Unica cosa possibile, unica esperienza positiva è quella di

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essere ricambiato (avere mercede, avere ricompensa) ® sempre nella condizione negativa ma almeno c’è
corresponsione.
Verso 65 chiude l’accenno fatto all’inizio di un lettore esperto, chiude necessità di avere lettori che siano
capaci di seguire discorso filosofico.
CONGEDO
Tu puoi sicuramente gir, canzone, Canzone, tu puoi andare con sicurezza dovunque
là ’ve ti piace, ch’io t’ò sì adornata ti pare, visto che io ti ho così abbellita che il tuo
ch’assai laudata – sarà tua ragione significato sarà sommamente lodato dalle persone
da le persone – ch’ànno intendimento: che hanno un intelletto pronto: e stare con tutte
le altre non è qualcosa che ti piaccia.
di star con l’altre tu non ài talento. 75

Non aggiunge nulla in concetti ma importante per la negoziazione dei ruoli: il pubblico a cui si rivolge.
Congedo è spesso dialogo fra il poeta e il testo stesso.
Tu puoi sicuramente andare, canzone, io ti ho resa così elegante e capace di essere lodata dalle persone
che hanno intendimento = ancora ribadita necessità del lettore. Solo coloro con capacità di capire sostrato
filosofico possono non solo capire ma anche lodare questa canzone. ‘Avere intendimento’ esteso non a
intelligenza d’amore, ma intelligenza complessiva, è il bagaglio filosofico richiesto.
Di stare in compagnia di persone che non hanno il talento tu non hai desiderio: tono altezzoso del finale
che ribadisce con forza l’ambizione stessa della canzone, che vuole essere perentoriamente teorica di una
teoria che richiede sforzo esegetico ai lettori che non è comune.
Questa canzone non lascia spazio a possibili mediazioni con Dante, è letteralmente una contrapposizione
frontale e decisa della Vita nova di Dante e della sua interpretazione d’amore lì proposta. Questa canzone
segna un’evidente frattura fra i due, che si consuma in questi due testi di straordinaria potenza.
Fin’amor riletto positivamente da Dante, qui viene totalmente azzerato: non esiste nessuna speranza di
affinamento interiore attraverso l’amore, che è solo devastazione e smarrimento (conoscitivo) dell’Io. Qui
si capisce la topica di Cavalcanti, che prevede noia, sofferenza, sbigottimento, guerra che sono tutte espres-
sioni di questo nucleo concettuale.

LA PARODIA DELL’AMORE CORTESE: CECCO ANGIOLIERI


Poesia comica. Dimensione “anti-lirica” (se lirica è espressione astratta e concettualizzata di Amore) che
esiste anche nella poesia medievale. Non ricca di episodi importanti come in altre letterature (anche se
non del tutto vero).
L’umorismo di Luigi Pirandello ® saggio che tiene insieme due elementi:
1) Saggio di teoria della letteratura: ripercorre la storia letteraria italiana andando alla ricerca della
tradizione comica
2) Poetica personale, che Pirandello definisce attraverso questo saggio.
Parte dal Medioevo e cerca di ricostruire una sorta di genealogia della poesia comica. Esistono problemi
di definizione: cos’è la poesia comica nel Medioevo? Etichetta, categoria difficile da definire. Questo per-
ché anche tutti i fenomeni letterari che possiamo ricondurvi sono estremamente compositi e diversi fra
loro, caratterizzati da complessità e variabilità che non fanno trovare una precisa linea interpretativa. Più
facile da definire in modo negativo: è poesia che non ha registro aulico (non si rivolge a temi e situazioni
alte). Primo tentativo di definirla: De vulgari eloquentia di Dante, dove fa distinzione precisa dei generi
letterari possibili. Ma comunque non c’è una definizione perentoria, unica, netta. A questo dato già incerto
si aggiunge elemento che la sua opera principale si chiama Commedia (genere comico?). Anche

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nell’epistola a Cangrande che accompagna il Paradiso (problemi paternità), viene data una definizione di
commedia che non aiuta ancora.
Caratteristiche proprie della poesia comica dell’epoca medievale:
- Inventio ® contenuti: non facile individuare categoria discreta. Temi comuni che molto spesso
sono relativi alla parodia, alla satira, al trattato licenzioso.
- Lingua ® problema perché spesso caratterizzata fortemente da elementi regionali e quindi àncora
le esperienze comiche ai luoghi in cui vengono prodotte.
- Stile ® parte integrante dell’espressione della comicità, spesso va in direzione di esasperazione
paradossale del dettato poetico.
Dato materiale: non esiste alcun manoscritto di poesia comica, non c’è una grande antologia, niente: nean-
che i copisti hanno idea di una tradizione ben definita. Unico autore con sua tradizione personale in qual-
che modo è Cecco Angiolieri.
Prima testimonianza di primo germe poesia comica: Guittone d’Arezzo nella conclusione del suo Canzo-
niere d’Amore (tenzone finale fra uomo e donna) ® sonetti che sono una sorta di gioco parodico: nel
momento in cui l’Io lirico non vuole più fare il poeta serio fa ironia della poesia cortese, in un quadretto
all’epoca definito teatrale, con finale di carattere comico, giocato sul controcanto rispetto alla dimensione
lirica, antifrastica della poesia cortese.
Altro modello è il poeta Rustico Filippi, la cui produzione è molto legata all’invettiva di carattere morale
e politico. Poesia molto legata alle tenzoni: invettiva aggressiva, molto violenta e dura che però ha il difetto
di essere difficilmente esportabile in altri contesti (la possono capire solo i lettori che appartengono a quel
contesto). Elementi del tempo e del luogo condizionano fortemente la comicità che sfiorisce velocemente
quanto più va lontano, perché non è sono condivisi il repertorio lessicale e i riferimenti.
Fiore di Dante. Traduzione di un’opera di tradizione romanza (Roman de la Rose) in 242 sonetti continuati
che secondo alcuni apparterebbe a Dante, secondo altri no. Interessante è che in questo esperimento c’è
poesia fortemente caricata di allusioni sessuali ® comicità nasce dai temi adottati (a volte ripetitiva e
noiosa, altre sagace e divertente).
CECCO ANGIOLIERI. Riconosciuto ben presto come il maestro della poesia lirica comica, anche fra i suoi
contemporanei. Poeta senese che nasce attorno al 1260 e ciò che sappiamo della biografia non lo disegna
come elemento molto nobile: partecipa a battaglie da cui fugge; legato a famiglia abbastanza abbiente ma
non sembra attento all’attività pratica; quando nel 1312 muore i figli rifiutano l’eredità (= i debiti lasciati
dal padre). Come Cecco Angiolieri si rappresenta nella poesia, può in qualche modo essere sovrapponibile
alla sua biografia: primo “poeta maledetto”?
Lettura da riconoscere come molto codificata. Poesia conservata: testi quasi tutti comici (scrive solo
quello). Da questo punto di vista presenta una descrizione della poesia comica come poesia dove prota-
gonista assoluto è un Io che immediatamente si rappresenta come non esemplare, che esibisce i tratti
negativi e quindi gioca a rovesciare esperienza della poesia cortese (elemento fondamentale dell’Io lirico
è racconto d’un amore che ha con una donna: in Cecco questa è Becchina (nome già antifrastico, popolare)
che indica l’oggetto del suo amore). Vicenda amorosa fatta su un set molto fisso, continuamente variata,
di tradimenti, riprese, innamoramenti, secondo una dimensione che privilegia soprattutto la dimensione
teatrale-dialogica (cfr. Tenzone di Guittone con la donna, ma in Cecco Angiolieri i tempi sono accorciati).
Da questo punto di vista la poesia di Cecco Angiolieri si costruisce volutamente come parodia del codice
lirico cortese.
Altro elemento vincente: all’interno di questo set riesce a variare continuamente gli episodi che racconta
(tratto pericoloso della comicità è la ripetitività, che la fa scadere). Angiolieri costruisce racconto che non

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è mai prevedibile, pur se giocato in una serie di sonetti. Capacità di alternare, giocare continuamente con
le situazioni, in modo che il lettore non trovi mai la stessa situazione, giocando su una comicità sempre
variabile.
I SONETTI “TEATRALI” E PARODICI
Temi sono fondamentalmente tre: il primo, preponderante, è l’amore per Becchina, più o meno ricam-
biato; il secondo è mancanza cronica di denaro; il terzo, legato al secondo, è l’odio nei confronti del padre,
che dai testi pare ricambiato.
Da questo punto di vista l’elemento si circoscrive in universo ristretto, ma efficacissimo perché questi testi
costituiscono un corpus unitario e vengono percepiti subito come dimensione esemplare della poesia, sia
perché non c’è mai ripresa di tratti linguisticamente troppo regionali (= adatti a una platea larga), sia
perché sono temi “universali”, non c’è riferimento alla quotidianità di città, amici o famiglia, ma sono temi
generalizzabili ed esportabili altrove. E in questi temi limitati riesce a variare con molta intelligenza, par-
tendo da una costante parodizzazione dei luoghi topici della poesia cortese.
SONETTO 1
Già dalla punteggiatura si vede che è tutto un dialogo. In questo caso il dialogo non è inizialmente con la
donna, ma tra l’Io lirico e l’uomo della strada. Dimensione squisitamente popolare.
«Accorri accorri accorri uom, a la strada!»
«Che ha’, fi’ de la putta?» «I’ son rubato!»
«Chi t’ha rubato?» «Una che par che rada
come rasoi’, sì m’ha netto lasciato».

«Or come non le davi de la spada?»


«I’ dare’ anzi a me…» «Or sé ’mpazzato?»
«Non so che ’l dà. Così mi par che vada».
«Or t’avvess’ella cieco, sciagurato!».

«E vedi che ne pare a que’ che ’l sanno


di quel che tu mi rubi?» «Or va con Dio,
ma anda pian, ch’i’ vo’ pianger lo danno».

«Ché ti diparti con animo rio?»


«Tu abbi ’l danno con tutto ’l malanno!»
«Or chi m’ha morto?» «E che diavol sacc’io».

Risposta fin da subito da strada, con linguaggio che traduce la comicità intesa come rappresentazione del
basso, corporeo e linguistico. ‘Una’ = donna che sembra che tagli come un rasoio, tanto mi ha ripulito in
modo così netto.
L’amore, l’irrazionalità dell’amore è tradotta in questo passaggio: non so perché lo faccio, non so che mi
prende, ma va così. Lei mi deruba e io colpirei me stesso. Dimensione messa alla prova di un sapere
popolaresco e di strada. Idea dell’accecamento che gioca col consueto elemento topico dell’amore che
acceca gli uomini.
Dialogo si sposta fra l’Io lirico e donna: donna fatta vedere come irragionevole nel non rispondere
all’amore proposto. Vedi cosa ne pensano quelli che sanno (‘intendenti’ = persone che vedono concreta-
mente come stanno le cose). Lo prende in giro: vattene pure, ma vai piano così sto male per il tuo andar-
tene.
Ultimo verso ® ripresi temi topici della poesia cortese: amore come morte qui ripreso in maniera molto
banale: e la risposta della donna è molto liquidatoria.

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Rappresentazione dimensione dell’innamorato contrapposta a umore popolaresco che degrada qualunque
tentativo di nobilitare a una dimensione concreta e popolare, tanto nel passante che si stupisce dell’amore
e non ha alcun intenzione di proseguire nel dialogo, quanto nella donna che non risponde alle intenzioni
espresse dal poeta stesso.
SONETTO 2
Gioco di micro-battute, emistichi che propongono un dialogo disperato.
«Becchin’amor!» «Che vuo’, falso tradito?»
«Che mi perdoni» «Tu non ne sé degno»
«Merzé, per Deo!» «Tu vien’ molto gecchito»
«E verrò sempre» «Che saràmi pegno?»

«La buona fé» «Tu be sé mal fornito»


«No inver di te» «Non calmar, ch’i’ ne vegno»
«In che fallai?» «Tu sa’ ch’i’ l’abbo udito»
«Dimmel, amor» «Va’, che ti veng’un segno!»

«Vuo’ pur ch’i muoia?» «Anzi mi par mill’anni»


«Tu non di’ bene» «Tu m’insegnerai»
«Ed i’ morrò» «Omè, che tu m’inganni!»

«Die te ’l perdoni» «E che non te ne vai?»


«Or potess’io!» «Tegnoti per li panni?»
«Tu tieni ’l cuore» «E terrò co’ tuo guai».

La donna riconosce la parola debole del poeta. ‘Gecchito’ ® senese per umile. Verso 4: chi mi garantisce
che manterrai quest’umiltà nei miei confronti? Verso 5: non hai buona fede. Verso 6: ne ho fatto espe-
rienza del tuo atteggiamento.
Gioco costante tra Io lirico che finge di essere innamorato e donna che lo sa benissimo e lo prende in giro
battuta dopo battuta: Becchina è femminilità diretta, concreta, pratica che smonta le pretese finte che l’Io
lirico le propone.
Poesia di strada comico-popolaresca. Costruzione letteraria mirata a dare l’impressione di essere una poe-
sia di strada. Repertorio di Cecco Angiolieri riscrive quasi sempre gli elementi caratterizzanti della poesia
cortese, in una dimensione bassa e semplice che smaschera una finzione che in questo caso non ha senso
di esistere.
14.04.21
SONETTO 3
Situazione quasi paradossale: nell’ideale storia d’amore del canzoniere/libro di rime di Angiolieri, questo
sonetto segue a una situazione di appagamento, e poi tutto sommato sembra quasi dichiararsi poco devoto
alla donna e poco interessato all’amore ® capacità di rendere imprevedibile l’occasione illustrata al let-
tore.
Idea comunicata dall’Io è di un indebolimento del proprio innamoramento. Opposizione che si colloca in
un flusso narrativo: posizioni sempre variabili, è solo una di tante tappe di una vicenda che NON vuole
disegnare un discorso esemplare.
I’ sono innamorato, ma non tanto
che non men passi ben leggeramente;
di ciò mi lodo e tègnomi valente,
ch’a l’Amor no so’ dato tutto quanto.

E’ basta ben se per lui gioco e canto

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e amo e serveria chi gli è servente:
ogni soperchio val quasi nïente,
e ciò non regna en me, ben mi do vanto.

Però non pensi donna che sia nata


Che l’ami ligio com’i’ veggio molti,
sia quanto voglia bella e delicata,

ché troppo amare fa gli omini stolti:


però non vo’ tener cotal usata
che cangia ’l cor e divisa gli volti.

Fin dall’incipit si capisce la sensazione complessiva: dopo aver dichiarato di non poter vivere senza la sua
donna, qua dice che è innamorato, ma non così tanto. Quasi una sorta di sentimento superficiale.
‘Tègnomi valente’ ® non valore cortese, ma furbizia: sono uno scaltro che sa non farsi imbrigliare dalle
situazioni.
È sufficiente, basta che io per lui, cioè per amore, gioco e canto (dimensione ludica). Poesia è omaggio ad
Amore ma distacco rispetto alla situazione amorosa e interpretazione dei ruoli in una dimensione non
pienamente partecipe.
Ogni eccesso (‘soperchio’) non vale niente; sono uno superiore, uno che rispetto all’amore non ha una
dipendenza.
Specie di monito alle donne: perciò nessuna donna pensi che io la ami con devozione assoluta (‘ligio’);
polemica scherzosa verso un amore che fa della devozione un elemento caratterizzante. Per quanto bella
e delicata possa essere.
Tratto guittoniano (quello morale): amore rende folle l’uomo ® ma qui contesto tutt’altro che moraleg-
giante: contesto di chi partecipa all’amore ma se ne tira fuori.
Perciò non voglio avere atteggiamento simile ai poeti che si dedicano tutti a una donna, perché cambia il
cuore e sfigura i volti (cfr. anche Cavalcanti, amore produce effetto nel volto delle persone). Per Angiolieri
l’antidoto all’amore è tenersene un po’ lontani, senza immergersene senza freni. Sorta di relativismo ri-
spetto all’amore stesso. Contrasto con la poesia alta, seria, che di questa dimensione totalizzante fa il suo
elemento principale.
SONETTO 4
Altra dimostrazione di capacità di giocare con temi più canonici ma di saperli variare imprevedibilmente.
Sonetto legato al pilone senza tempo della misoginia. Cecco Angiolieri gioca con questo tema; interpreta-
zione canonica è condanna senza requie della donna. Primi 8 versi sono legati a denunciare la disonestà
della propria donna, che sarebbe infedele all’Io lirico; nelle terzine invece dice che non è colpa della sua
amante, ma che è costitutivo della donna ® non esattamente condanna, più una constatazione. Non c’è
vero rifiuto della situazione stessa: approccio giocoso alla misoginia che la rende elemento comico.
Da Giuda in fuor, neuno sciagurato
fu né sarà di chi a cento mili’anni,
ch’a mille miglia m’appressisi a’ panni,
e sol m’avvien perch’i’ so’ ’nnamorato

di tal c’ha tutto ’l cuor avviluppato


di tradimento, di frode e d’inganni:
ed e’ non fu sì leal san Giovanni
a Geso Cristo com’i’ le son stato!

Ma la falsa natura femminile


sempre fu e serà senza ragione,

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per ciò cad Eva die’ lor quello stile.

Ond’io son fermo ’n questa oppinïone,


di sempre starle gecchito ed umile
poi ch’ella ha scusa di sì gran cagione.

Non c’è nessuno nel corso della storia che mi si avvicini (‘m’appressisi a’ panni’ = mi prenda i vestiti) in
quanto sciagurato (eccetto Giuda), che viva una condizione difficile come la mia, perché sono innamorato
di una tale, una donna, che mi ha catturato il cuore con frode e inganni ® invettiva: donna legata a tutto
ciò che è corruzione e vive di inganni. E nonostante la sua infedeltà, lui le è fedele com’è stato Giovanni,
unico apostolo che ha seguito Gesù fino alla croce. Donna precipitato di difetti assoluto vs. lui uomo più
fedele del mondo.
Ora ci si aspetterebbe attacco violento nei confronti della donna. La natura femminile falsa costitutiva-
mente è sempre stata così e lo sarà sempre, senza ragione e senza discernimento; perciò, dal momento che
Eva è la capostipite del genere femminile: poiché lei ha dato inizio a questa tipologia di donne, saranno
sempre così.
Perciò io sono risoluto, resto fermo nella mia opinione, situazione, perciò io le resto vicino, perché accetto
questa condizione.
Misoginia che sembra essere tema portante improvvisamente scarta e si rovescia diventando accettazione
pacifica della situazione.
Elemento comico sorprendente di Angiolieri deriva sempre da questo scarto dall’usuale.
Cecco Angiolieri ha una produzione particolarmente efficace comica: diventa presto modello imitato e
recepito come espressione anti-lirica rispetto alla poesia cortese. Ne vive entro i margini e acquista signi-
ficato proprio attraverso il suo gioco parodico.

LA LIRICA DEL QUATTROCENTO, TRA NORMA E SPERIMENTAZIONE


Per osservare lo sviluppo della poesia nel ’400 e poi nel ’500, la presenza di Petrarca costituisce un para-
digma. Petrarca definito collo di bottiglia = condensa esperienze precedenti e crea poesia che diventerà
modello per tutte le poesie successive, senza lasciare più spazio ai modelli a lui precedenti.
Finora abbiamo letto poeti definibili medievali; con Petrarca (tout court) qualcosa cambia e si inaugura
una nuova stagione culturale, genericamente l’umanesimo, che prende avvio da lui. Importante corrente
culturale con varie direttrici.

Riscoperta dell’antico ® della letteratura e cultura classica latina. Riscoperta del mondo classico con un
metodo che permette a lui e a una serie di suoi sodali di riscoprire una cultura evidentemente non cristiana.
Filologia come strumento per riconoscere e ricostruire i testi nelle loro vesta originarie, ricostruiti con
quella che voleva essere la volontà dell’autore. Petrarca riscopre testi che non venivano più letti o che non
ricevevano attenzione filologica; testi che appartenevano a una cultura in fondo laica (Cicerone, Orazio,
etc.): confronto con un pensiero che non è teologico ma grande avventura, riflessione sui temi della natura
umana, che affascina Petrarca e lo porta a esplorare questa dimensione.

Effetti importanti rispetto ai destini di letteratura e cultura europea del ’400 ® radicale svalutazione del
volgare in Italia. Nel ’400 la lingua della cultura è il latino; gli umanisti dedicano attenzioni non solo alla
filologia dei testi antichi, ma anche alla produzione di testi che siano simili a questi classici. Dopo la sta-
gione delle tre corone inizia progressiva perdita di importanza della lingua italiana (Petrarca stesso com-
pone solo due opere in volgare). Il Petrarca europeo, che ha grandissima fortuna, è latino: es. anche le
annotazioni ai margini dei suoi codici sono in latino. Volgare è espressione letteraria e poetica che Petrarca
utilizza, ma che ha quota, se non marginale, di certo non così importante.

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Dall’altro lato, comporta nascita di una nuova cultura, quella umanistica, nella quale l’uomo non è più
solo legato a dimensione teologica, ma inizia ad avere l’autonomia di un proprio destino, che si pensa
anche svincolato da dimensione religiosa. Emerge il soggetto in quanto rappresentazione di un Io (homo
faber fortunae suae): uomo che in virtù delle sue capacità intellettuali riesce a costruire una società, un
destino migliore.
Conseguenze importanti anche in ambito letterario: almeno fino ai primi 50 anni del ’400 la cultura volgare
diventa ancillare rispetto al latino. Vero anche che in questa condizione emerge altro dato importante:
nasce la società delle corti. Realtà geopolitica italiana inizia a prendere forma e dimensione di piccoli o
grandi principati dominati da più famiglie. Aspetto che crea un equilibrio con momento di relativa pace
e genera una straordinaria fioritura culturale: la corte diventa anche grande luogo di mecenatismo, luogo
di grande produzione di cultura con forte valore politico. Una corte ambisce ad avere poeti, intellettuali,
artisti, architetti: politica culturale finalizzata a espressione di mondo di altissima qualità e di potere.
Modello di luogo come espressione di potere e di grandissima qualità culturale, che spesso celebra il po-
tere ma che soprattutto vuole dare libera espressione all’arte nelle sue varie forme.
Carlo Dionisotti: La geografia e storia della letteratura italiana. Non si può prescindere dall’elemento geo-
grafico della cultura italiana, perché la corte si fa promotrice di questa cultura, anche con specializzazioni.
Es. corte ferrarese (stato piccolo, che dà luogo a cultura di straordinaria importanza) si specializza nella
letteratura cavalleresca e nell’esperienza teatrale (uno dei primi luoghi di rinascita del teatro moderno).
Corte vive infatti di eventi che spettacolarizzano il potere. Corte fiorentina: medicea ® uno dei casi più
spettacolari di grande fioritura intellettuale. Passaggio significativo più o meno alla metà del ’400 (1453
data spartiacque: cade Costantinopoli e c’è la fuga, la diaspora, di molti intellettuali che vanno verso l’Eu-
ropa. Questi intellettuali sono depositari di una cultura greca; Cosimo il Vecchio, primo migratore, affida
ai suoi uomini il compito di fondare un’accademia che conservi la cultura greca allora in fuga. Produzione
legata alla presenza e al massiccio recupero del pensiero platonico: importazione, commento e traduzione
delle opere di Platone. Neoplatonismo: reinterpretazione di Platone fatta anche in virtù dei commenti che
gli stessi bizantini portano con loro a Firenze, costituendo una biblioteca intera, messa in circolazione
proprio grazie alle iniziative medicee. Opere che arrivano a Firenze spesso accompagnate dai loro com-
mentatori, che insistono sul carattere teologico dell’esperienza di Platone.
Marsilio Ficino: diventa ben presto il maestro più ascoltato del neoplatonismo fiorentino, che commenta
e traduce le opere di Platone. Conoscenza del greco progressiva: sarà Boccaccio a proporlo, soprattutto
invitando Leonzio Pilato. 1450-1460: Ficino inizia a tradurre opere di Platone e a commentarle, inizian-
done la nuova divulgazione.
Dentro questa nuova mediazione, di grande rilievo è soprattutto il commento, traduzione e riscrittura che
Marsilio Ficino propone del Convivio platonico: ne esce il libro De Amore che si propone il compito di
riscrivere, mediare, riproporre il contenuto del trattato platonico per renderlo compatibile con la cultura
presente. Una delle opere di Marsilio più originali: opera una forte mediazione nel riportare il pensiero
platonico; portatrice già personale del pensiero platonico. Primo elemento del dialogo legato alla conce-
zione di Amore come esperienza che ha permesso al mondo di uscire dalla sua dimensione informe, cao-
tica. Amore ha capacità di organizzare il modo che è espressione proprio della dimensione amorosa.
Amore per l’uomo è utile perché gli consente di contemplare e raggiungere la dimensione di Dio, e gli
permette di elevare la propria condizione. Bellezza, tratto che suscita l’amore, è tratto che registra la pre-
senza di Dio. Impronte di Dio nel creato che l’uomo riconosce attratto dalla bellezza ® non solo dimen-
sione estetica, ma primo anello che permette di costruire questo ritorno a Dio; è occasione che viene
offerta da Dio stesso agli uomini. Dio genera bellezza che è occasione per l’uomo di ritornare alla contem-
plazione mentre è in vita. Sorta di divinizzazione dell’Io stesso. Uscire da se stessi è spinta verso una puri-
ficazione. Forte ridefinizione filosofica del sentimento amoroso come sentimento positivo, non più

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esperienza contingente ma come strada per un perfezionamento interiore, per un ricongiungersi alla bel-
lezza originale. Recupero mito dell’androgino ® amore è occasione per l’uomo di ricostituire l’unità per-
duta in origine. Ricostituzione che permette di ricongiungersi con Dio, ritornando alla condizione ideale
di partenza. Marsilio Ficino in questa trattazione insiste a sottolineare la distinzione di amore in due parti:
il primo è l’amore carnale, fisico, ma il secondo è quello di cui parla lui, ovvero l’amore che sublima
dimensione fisica cogliendo traccia dell’essere della divinità, che prevede contemplazione sempre più di-
vina dell’Io stesso. Dimensione di rilettura potente e costruzione di un sistema di pensiero di cui rapida-
mente si impossesserà la poesia: neoplatonismo diventa enciclopedia del poetabile perché legge in chiave
alta tutta l’esperienza amorosa. Funzione di snodo diventa quindi particolarmente significativa.
LORENZO DE’ MEDICI E LA FIRENZE DEL SECONDO QUATTROCENTO
Tutta l’espressione artistica o letteraria di Firenze è sempre ed esclusivamente politica, anche quando non
sembra. Tutto viene vissuto come rappresentazione ed espressione di un gruppo politico. A Firenze poi
convivono due culture, talvolta in contrasto: una è quella alta, di Marsilio Ficino, di rilettura filosofica del
potere, che si accompagna a una raffinatissima cultura umanistica (Poliziano: docente di letteratura clas-
sica, uno degli umanisti più importanti della stagione culturale). Cultura che si contrappone a dimensione
più folclorica, municipale, popolaresca che coesiste a Firenze con la cultura alta (fratelli Luca e Luigi
Pulci: Luigi scrive il poema cavalleresco parodico il Morgante; Burchiello, forse barbiere o uomo umile,
che fa poesia di carattere comico-popolaresco, con tematiche anche oscene e rappresenta la componente
popolare di Firenze). Contrapposizione fra questi due sono anche politiche: famiglia de’ Medici e famiglie
che si tendono a contrapporre a loro, e si vede anche nella cultura. Lo stesso Lorenzo de’ Medici oscilla
tra prima fase di produzione con attenzione alla cultura di carattere popolaresco, promossa soprattutto
dalla madre Lucrezia Tornabuoni, con una stagione che abbraccia il pensiero ficiniano. Fratelli Pulci in-
vece vivono momenti di gloria, accolti nella corte dei Medici, per poi conoscere anche difficoltà, proprio
perché lo stesso Lorenzo intende privilegiare un’altra linea culturale. Rapporto tra le famiglie fiorentine si
gioca anche su questo piano. Episodio più significativo: congiura dei Pazzi (tentato colpo di stato della
famiglia dei Pazzi che cercano di uccidere Lorenzo e il fratello; muore solo il fratello e Lorenzo riesce a
mantenere il potere) ® Pazzi = grande oligarchia dei banchieri; Firenze esercita l’arte dei prestiti bancari
a livello europeo e per questo assume grande forza politica. 1468 ® congiura che segna punto traumatico
dell’esperienza; ma complessivamente tutto il governo di Lorenzo si pone sotto il segno di una sorta di
pace anche in tutta la penisola; fino al 1494, ovvero alla discesa Carlo VIII in Italia (prima guerra italiana).

In questa situazione ® Lorenzo è mecenate, promotore della cultura, ma anche poeta in prima persona.
Limitandoci alla dimensione letteraria, episodio importante è quello della cosiddetta Raccolta aragonese,
manoscritto fatto allestire nel 1407 in onore di una visita da parte di Federico d’Aragona, ospitato dai
Medici; Lorenzo lo fa allestire anche con aiuto di Poliziano (alta qualità). Antologia che rappresenta sorta
di storia della poesia italiana dalle origini alla contemporaneità, che parte dalle origini siciliane ma esalta
soprattutto la fiorentinità della tradizione letteraria italiana ® gesto di encomio ma allo stesso tempo
rivendicazione dell’eccellenza fiorentina. Operazione critico-filologica e di politica culturale. Interessante
è che a chiudere questa silloge aragonese si trovano dei testi dello stesso Lorenzo: si chiude con poeta
vivente e Firenze che è vista come degna erede della tradizione. Storia letteraria costituita in funzione del
presente, ma anche del futuro.
Rapporto che si registra con Dante. Dante, quale figura di grandissimo spessore, culto in qualche modo
che viene legato al rapporto tra poesia e filosofia. Culto ben presto legittimato anche dal potere mediceo
attraverso il commentatore Cristoforo Landino, che scrive un commento (tendenzioso) alla Commedia,
ricordando la qualità del pensiero e della poesia in senso assoluto danteschi. Poesia che si fa portatrice di
verità fondamentali vale per la Commedia ma anche per tutta la poesia dantesca (Vita nova, Convivio,
Rime). Tant’è che lo stesso Lorenzo a un certo punto della sua esistenza allestisce libro di rime con

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autocommento: presenta i suoi testi lirici con un commento personale. Modello a cui guarda è evidente-
mente la Vita nova, quanto anche al Convivio. Recupero di Dante giocato da Lorenzo nella costruzione di
questo canzoniere. Autocommento che si sviluppa soprattutto nella reinterpretazione neoplatonica della
poesia amorosa. La poesia lirica di Lorenzo è una delle poesie che dimostra un grande grado di fedeltà
alla poesia di Petrarca: ne imita in modo stretto la lingua e le occasioni ® guarda modello dominante
petrarchesco, ma lo media e lo rilegge anche attraverso la struttura di libro dantesca, innervando il tutto
col pensiero neoplatonico, che comporta anche una ridefinizione della poesia petrarchesca. Operazione
molto importante che costituisce una sorta di modello anche per la poesia successiva. Gli Asolani ® trat-
tato, dialogo di Pietro Bembo dove si parla del tema amoroso, e lo si fa a partire dalla lettura di testi lirici:
3 libri dove il primo tratta l’amore come esperienza negativa, il secondo l’amore come esperienza positiva
e il terzo l’amore riletto in chiave neoplatonica (unica strada che permette di comprendere il vero amore).
Linea di continuità rispetto a ciò che si produce a Firenze, che dà vita a tradizione che sarà linguaggio
comune. Operazione capace di dare un forte segno di caratterizzazione della poesia lirica nella tradizione
italiana.
Molte delle opere di Lorenzo de’ Medici, ad un certo punto, dopo la sua ‘conversione’ al pensiero di
Ficino, è tutta costruita attraverso il recupero dei miti del neoplatonismo.
19.04.21
Canzoniere raccolta delle sue poesie, che testimoniano diversi aspetti della sua personalità stilistica:
1) Forte fedeltà al modello di Petrarca. Lorenzo gli è molto prossimo per due ragioni:
- Stilistico-linguistica: riprende lessico petrarchesco e molti stilemi
- Relativa fedeltà alla topica petrarchesca: il repertorio di topoi, di luoghi comuni, le occa-
sioni più frequentate
= temi e stile. Raffinamento linguistico e tematico con modello petrarchesco.
2) Ammette fra i modelli anche altri autori, in particolare Dante e anche la poesia classica, quella
latina in particolare. Una delle operazioni più spesso condotte nella Firenze laurenziana (es. anche
Poliziano, che nella sua poesia volgare cerca di tenere insieme una poesia raffinata ed elegante
unendola a temi anche popolareschi). Anche Lorenzo vuole mantenere armonia nel disegno in-
tertestuale e capacità di essere trasparente nel dettato linguistico (proverbi, detti comuni, etc.).
3) Nell’ultima produzione: linguaggio fortemente petrarchesco ma introduzione di temi tipici della
filosofia neoplatonica di Marsilio Ficino: poesia con ambizioni filosofiche; quasi una resa attra-
verso il linguaggio poetico di alcuni concetti fondamentali dell’interpretazione ficiniana
dell’amore. Autocommento che Lorenzo fa ai suoi sonetti va proprio in questa direzione: con
l’autoesegesi Lorenzo insiste a esplicitare tutti gli elementi filosofici che ha introdotto nella sua
poesia, in due direzioni particolari: continuo recupero della tradizione italiana; volontà di far
emergere il pensiero neoplatonico.
Costruzione della propria lirica molto potente e consapevole. Stagione della cosiddetta poesia cortigiana:
tensione fra canzoniere (strutturato, preciso) e occasionalità di testi (nati per essere spesi in singole occa-
sioni ma non collocati in sillogi razionali). Poesia cortigiana ® protagonisti sono poeti che si dedicano a
testi cosiddetti sciolti, pensati per diventare linguaggio comune della corte.
A questa poesia reagisce un po’ la poesia di Lorenzo (e poi Boiardo). Intenzione di rendere il discorso
lirico libero da occasionalità, dandogli aspetto armonico. Uno dei tratti importanti: recupero della poesia
di Petrarca. Creazione di un curioso effetto di “tradimento” della poesia di Petrarca: lui spende moltissimi
anni cercando di costruire libro lirico che sia in sé e per sé razionale, contro l’occasionalità, i testi hanno
senso all’interno di una trama. Nel secondo ’400: lessicalizzazione di Petrarca ® uno degli usi principali
che se ne fa è proprio l’occasionalità, si usa per una idea di vita dei testi lirici opposta a quella petrarchesca.

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Lorenzo vuole ridare piena dignità alla lirica uscendo dall’occasionalità (a cui però Lorenzo stesso parte-
cipa). Recupero del neoplatonismo ficiniano è il vero passaggio significativo per Lorenzo.
CANZONIERE VIII
Esperimento di Lorenzo de’ Medici più “semplice” e meno legato a un disegno complessivo. Poesia godi-
bile che recupera luoghi canonici della poesia petrarchesca e spende la stessa alleggerendola dei suoi si-
gnificati più cupi e gravosi.
Fin dall’esordio evocazione immagine quintessenzialmente petrarchesca: idea della vita come una barca
che sta affrontando una tempesta (cfr. sonetto 189 Petrarca): immagine di Petrarca con cui Lorenzo dia-
loga in senso stretto. Rapporto fra i testi ® intertestualità. Dialogo non casuale: gioco di rapporti che chi
scrive il testo istituisce e vuole che il lettore applichi; ed è necessario effettuare questo confronto per capire
e apprezzare completamente il testo. Nella storia della tradizione letteraria, soprattutto fino all’età mo-
derna (romanticismo), la poesia costruita sull’imitazione vive su questo dialogo (citazioni, allusioni, paro-
die, etc.). La nostra difficoltà è che l’idea di imitazione è lontana dall’idea di creatività letteraria, e in più
non possediamo la biblioteca (anche mentale) del lettore di un tempo, bisogna fare una ricostruzione
storico-filologica. Ripresa elemento topico di Petrarca ma che recupera linguisticamente e lessicalmente
anche alcune tessere petrarchesche: es. ‘piccioletta’ ripresa in Paradiso II.
La debil, piccioletta e fral mia barca
oppressata è dalla marittima onda,
in modo che tanta acqua già vi abonda,
che perirà, tanto è di pensier’ carca. 4
Perché invan tanto tempo si rammarca,
e par Nettuno a’ suo prieghi s’asconda,
tra scogli e dove l’acqua è più profonda
or pensi ognun con che sicurtà varca. 8
Io veggio i venti ognor ver’ me più feri;
ma fortuna e Amor, che sta al timone,
mi disson non giovar l’aver paura, 11
che meglio in ogni avversitate speri.
E par che questo ancor vogli ragione,
che colui alfin vince, che la dura. 14

La mia barchetta è aggredita dal mare, ed è in una situazione di così grande difficoltà che ben presto
affonderà in virtù dell’acqua che è entrata: la mia vita ha così tanti eventi difficili che ne morirò.
Perché si duole per tanto tempo vanamente, e sembra che Nettuno si nasconda, non c’è pietà, e pensi
ciascuno come potrà affrontare situazioni ancora più complesse (tra gli scogli o dove il mare è più pro-
fondo). Fino a qui tutta dimensione squisitamente petrarchesca: affermazione della propria incapacità di
affrontare queste situazioni.
Io vedo i venti più feroci venire verso di me (situazione si complica) MA Amore, fortuna/destino entrano
in gioco: Amore che sta al timone (immagine petrarchesca), ma queste entità aiutano a non avere paura.
La speranza è l’elemento nuovo di questa situazione (Petrarca era sicuro di affrontare e non giungere mai
al porto): invece di disperare qua si spera.
E sembra che anche la ragione mi suggerisca questa ® finale proverbiale: chi la dura la vince. Finale con
sentenza memorabile, quasi a spiegare il proverbio: interiorizzazione dello stile petrarchesco (molti suoi
sonetti si concludono con sentenza). Esperienza personale che conduce alla sapienza generale.
Posizione petrarchesca di una disforia dell’amore è qua invece interpretata positivamente: amore, fortuna
e ragione cooperano insieme al fine di alimentare la speranza.

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Non semplice replica di modelli, ma capacità di variare e dialogare su alcuni elementi comuni della tradi-
zione stessa.
CANZONIERE CLXV
Canzone molto ampia, caso interessante di piena interpretazione del pensiero ficiniano attraverso la poe-
sia. Da un lato, facile cantabilità di questa poesia (costruita con grande ariosità di stile, molto semplice e
trasparente negli elementi linguistici, anche nella metrica con i settenari) ma allo stesso tempo portatrice
di un nucleo filosofico portante e centrale dell’amore secondo Ficino (spiriti generati dallo sguardo
dell’amata creano una sorta di unione fra amante e amata: unione che consente l’innalzamento verso Dio.
Attrazione che consente contemplazione del divino; contemplazione che ben presto si trasforma in me-
moria, icona che si crea dentro la mente, in virtù della quale si può continuare a godere del desiderio
amoroso anche in assenza dell’amata. Desiderio = vero elemento che garantisce un amore che permette
innalzamento verso l’alto; il fenomeno amoroso deve dare uno stimolo all’Io lirico, o chiunque coinvolto,
continuo).
PRIMA STANZA
Rapporto di similitudine con le altre che seguono. Viene rappresentata questa situazione: il raggio lumi-
noso, il sole, riscalda l’alveare e stimola le api a uscirne per andare a raccogliere le sostanze dai fiori,
tornando poi a produrre il miele. Quadretto che costituirà elemento figurativo su cui si costruiscono tutte
le stanze successive. Gioco di paralleli continui: tutto rappresentato come esplicitazione di ciò che avviene
nell’animo amoroso quando prova l’amore, e anche quello che succede quando esso è privato della visione
dell’oggetto amoroso. Chiave positiva, di elevazione dell’Io.
Idea di natura come rappresentazione perfetta e allegorica di qualcos’altro: tema fortemente sentito a
Firenze (es. anche Botticelli: immagini di natura perfetta e idilliaca che rappresenta discorsi filosofica-
mente mantenuti).
Quando raggio di sole,
per picciola fessura
dell’ape entrando nella casa oscura,
al dolce tempo le riscalda e desta,
escono accese di novella cura 5
per la vaga foresta,
predando disiose or quella or questa
spezie di fior’, di che la terra è adorna.
Qual esce fuor, qual torna
carca di bella ed odorata preda; 10
qual sollecita e strigne,
se avvien che alcuna oziosa all’opra veda;
altra il vil fuco spigne,
che ‘nvan l’altrui fatica goder vuole.
Così, di varii fior’, di fronde e d’erba, 15
saggia e parca fa il mèl, qual dipoi serba,
quando il mondo non ha rose o viole.

Quando il raggio di sole (in fondo, la luce di Dio) che arriva attraverso una piccola fessura (amore come
esperienza difficile) nella casa oscura dell’ape (sorta di caverna platonica), e il raggio le riscalda e desta e
le risveglia al dolce tempo (primavera spirituale, le riaccende di vita). Questo raggio di luce che ha acceso
la vitalità delle api le invita a uscire e a cogliere di fiore in fiore tutto ciò che la natura ha prodotto di
sostanzioso e bello (bellezze tutte opera di Dio). Questa operosità, questi spiriti rappresentati dalle api
sono quasi agitati nel loro lavoro e tornano tutte con una bella e odorata preda (‘bella’, connota il desiderio
delle api, tensione verso la bellezza). Questa operosità delle api in qualche modo genera una sorta di

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allargamento del desiderio: le api non solo agiscono, ma stimolano le altre ad agire, affinché anche i fuchi
oziosi vengano rimproverati perché voglio godere della bellezza.
Conclusione importante per il rapporto fra percezione (raccolta del nettare) e conservazione all’interno
dell’alveare (o dell’uomo) di quei frutti, che in qualche modo producono qualcosa. Tutto questo produce
il miele, che è l’alimento che le servirà quando la primavera non ci sarà più = quando la stagione perfetta,
il momento estatico finirà; ma non finisce la positività irragiata da quel primo momento.
Quadretto estraneo ma tutto contornato dal sottotesto filosofico. Api diventeranno gli spiriti amorosi; il
sole è Dio, che avendo distribuito le sue tracce di bellezza tra gli esseri umani permette a questi di essere
operosi; miele è la visione, l’immagine mentale che l’uomo conserva dopo l’esperienza dell’amore.
Tutte queste stanze sono strettamente commentabili sulla base del pensiero di Ficino, ne sono un’illustra-
zione; tanto che questa canzone ha impianto argomentativo complessivo quello del trattato. L’Io lirico è
un po’ estraneo al testo stesso: descrive la sensazione fisica dell’innamoramento. Traduzione in versi del
pensiero filosofico; che ambisce attraverso il linguaggio della lirica a raggiungere un pubblico più ampio:
lirica vuole semplificare la comprensione di quella medesima speculazione filosofica.
SECONDA STANZA
Andamento dell’argomentazione quasi scandito nel tempo, che ripercorre le tappe dell’amore nell’animo
umano.
Venne per gli occhi pria
nel petto tenebroso
degli occhi vaghi el bel raggio amoroso, 20
e destò ciascun spirto che dormiva,
sparti pel petto, sanza cure ozioso;
ma, tosto che sen giva
in mezzo al cor la bella luce viva,
li spirti, accesi del bel lume adorno 25
corsono al core intorno.
Questa vaghezza alquanto ivi gli tenne;
poi, da nuovo diletto
spinti a vedere onde tal luce venne,
drento all’afflitto petto 30
lasciando il cor, che in fiamme è tuttavia,
salîr negli occhi miei, onde era entrata
questa gentil novella fiamma e grata,
vagheggiando di lì la donna mia.

Termini perfettamente simmetrici con la prima stanza della canzone: petto tenebroso/casa tenebrosa, rag-
gio amoroso/raggio di sole. Gli spiriti amorosi (= le api) dentro l’uomo si accendono sparsi nel cuore
inerte, che non agisce. Gli spiriti amorosi, agitati e risvegliati dalla luce del raggio amoroso fanno come le
api, cominciano a muoversi, c’è quasi eccitazione del pensiero. Spiriti amorosi risalgono nel corpo dell’in-
namorato e salgono agli occhi per vedere da dove è arrivato il raggio di luce che ha acceso la loro vitalità.
Prima esigenza dell’innamorato è di guardare e capire (per via fenomenica) un oggetto che suscita deside-
rio.
Da lì (dagli occhi dell’innamorato) guardando la rappresentazione di amore, la bellezza, sembrano tristi a
lasciare l’impresa di congiungersi e guardare questo oggetto di bellezza.
Filosofia ficiniana: congiungimento degli amanti dato dal congiungersi degli spiriti amorosi dell’uno e
degli altri. Congiunzione dei due esseri che stanno insieme grazie agli spiriti. Non invitano ad unirsi e
basta, ma ad andare verso il divino: primo passo verso la contemplazione di Dio attraverso la bellezza
stessa.

100
TERZA STANZA
Timore che gli spiriti amorosi hanno di uscire dagli occhi dell’amato per andare verso l’amata, ma nel fare
questo vengono incoraggiati dagli spiriti dell’amata stessa.
Indi, mirando Amore, 35
che in quella bella faccia
armato, altero e duri cor’ minaccia
da quella luce, e prende la difesa
che a’ cuor’ gentili e non ad altri piaccia, 5
lasciôr tristi la impresa 40
di gire al fonte ove è la fiamma accesa;
e stavansi negli occhi paurosi,
quando spirti pietosi
vidon venir dagli occhi ove Amor era, 10
dicendo a’ miei: “Venite 45
al dolce fonte della luce vera:
con noi sicuri gite!
Se bene incende, quel gentil signore,
non arde, o a ria morte non conduce, 15
ma splende il core acceso di tal luce; 50
e, se non vive, assai più lieto muore”.

Condizione di congiunzione degli spiriti non porta alla morte, ma è l’occasione per salire verso qualcosa
di più alto.
QUARTA STANZA
Questo parlar suave
dètte a’ miei spirti lassi
qualche ardire, e movendo e lenti passi,
da quei più belli accompagnati, al loco 55
givan dubbiosi, ove Amor lieto stassi;
là dove, a poco a poco,
sicuri in così bello e dolce foco,
già d’Amor spirti, non paurosi o tristi,
stavan confusi e misti 60
con quei che mossi avea la pia virtùe:
Saria occhio cervero
chi l’un dall’altro discernessi piùe.
Alcuno in quell’altero
sguardo si pasce, bello, dolce e grave; 65
altri dal volto nutrimento invola,
altri dal petto e dalla bianca gola;
altri in preda la man e ‘ crin d’oro have.

Lentamente questi spiriti escono, quasi ancora timorosi, e si trovano insieme, si congiungono dove sta
amore. Confusi e misti: unione dell’alienazione del singolo per l’unione di due esseri, generata dalla con-
templazione della bellezza. ‘Cervero’ ® occhio della lince: nemmeno l’occhio più acuto riuscirebbe a
distinguere gli uni dagli altri.
Descrizione degli elementi fisiognomici della bellezza: spiriti contemplano le diverse parti di questa bel-
lezza: bellezza come alimento di questa unione.
QUINTA STANZA
Riportando sentimento di stimolo che avevano le api con gli altri api: spiriti con altri spiriti.
Certo converria bene

101
che chi narrar volessi 70
tante bellezze, e fior’ diversi e spessi
che al nuovo tempo per le piagge Flora
mostra, contare ad uno ad un potessi;
né son del petto fòra
tanti spirti d’Amor creati ancora, 75
che non sien le beltà per ognun mille:
onde eterne faville
manda al cor la bellezza sempre nuova.
Li spirti or questa or quella
porton per li occhi al cor ciascuno a pruova: 80
o dolce preda e bella,
che ogni spirto amoroso agli omer’ tiene!
Così, acceso ognor di più disio,
da quei belli occhi al loco ov’è il cor mio,
sanza fermarsi mai, chi va, chi viene. 85

Sorta di impossibilità di raccontare analiticamente tutte le bellezze. Fenomeno virtuoso della bellezza che
ha capacità circolare di alimentare continuamente il desiderio. Operosità incessante degli spiriti amorosi.
SESTA STANZA
Più bellezze ognor vede,
se ben ne porta assai
ciascun spirto, onde tiensi sempremai
povero el cor, da maggior disio preso;
e se alcun spirto è pigro, allor, “Che fai?”, 90
dice di sdegno acceso,
“tu sai pur quanto suave è questo peso”,
e lo minaccia, vinto da’ disiri
ne’ primi suoi sospiri,
mandarlo fuora e darlo in preda al vento. 95
E se alcun peregrino
pensier venisse, il caccia in un momento,
perché in quel bel cammino,
ch’è tra’ belli occhi e ‘l cor, chi non ha fede
d’Amor d’esser de’ suoi, sì come vile 100
star non può tra la turba alta e gentile.
Così si pasce il cor, ch’altro non chiede.

Indicazione dell’eccitazione complessiva che gli spiriti provocano nell’animo dell’innamorato: eccitazione
che permette piena vitalizzazione dell’Io.
SETTIMA STANZA
Riprende il tema della produzione del miele capace di alimentare la vita delle api stesse una volta passata
la primavera: così la trasformazione della bellezza contemplata in immagine mentale continua a costituire
elemento di alimentazione per il desiderio. È così che l’amore può continuare ad agire positivamente
nell’animo dell’innamorato.
Onde trarrai la vita,
o cuor dolente e saggio,
Da poi che l’amoroso e bel viaggio 105
è interdetto alli spirti, e è fuggito
el verde tempo già d’aprile e maggio,
e scalda un altro sito
quel gentil Sole, onde è il tuo foco uscito?
Quelli amorosi spirti, che ora stanno 110

102
115
rinchiusi, converso hanno
la dolce preda nella afflitta mente
in pensier’, che tra loro
mostrano al cor e vari fior’ sovente,
de’ qual’ feron tesoro 115
e parchi spirti alla stagion fiorita.
Di questi pensier’ dolci el mio cor pasce
el disio, che ad ogn’or nuovo rinasce,
poi che la bella luce s’è fuggita.

Da dove trarrai alimento, cuore dolente e saggio, ora che gli spiriti non possono più congiungersi con
quelli dell’amata? Che è finita la primavera e il gentil sole (= donna) è lontano da me. Quegli spiriti
d’Amore che adesso stanno chiusi dentro, hanno creato metamorfosi di quei pensieri in qualcosa d’altro,
che mostrano gli stessi frutti e fiori di cui fecero tesoro: fare tesoro delle bellezze è quello che fanno le api:
le immagini mentali continuano a dare forze e nutrimento quando l’oggetto visibile non c’è più.
‘Disio’ è desiderio di bellezza, è quello che genera il pensiero d’Amor per Ficino. La ciclicità del senti-
mento è garantita dal pensiero. Nonostante la bella luce, il raggio d’amore non è più con me, il cuore è
continuamente stimolato verso l’amore.
CONGEDO
Formula tradizionale che invita la canzone a partire.
Novella canzonetta, 120
questi dolenti versi,
ch’e pensier’ fanno in sospir’ già conversi
e di sospiri in parole pietose,
porta al bel prato di color’ diversi;
in mezzo a’ quel’ si pose 125
Amor lieto, e tra l’erba si nascose.
E se non sai el cammin di gire a lei,
l’orme de’ pensier’ miei
vedrai, di che è la via segnata e impressa.
Prendi d’Amor la strada: 130
troverrai forse e suoi pensieri in essa,
ché ancora a loro aggrada
el bel cammin. Giunta ov’ella è soletta,
digli che al cor non resta onde più speri
dolcezza, per nutrirsi co’ pensieri: 135
onde o morte o la bella luce aspetta.

Manda come messaggero la canzonetta: diminutivo che rende lo stile cantabile, leggero, piacevole anche
dal punto di vista ritmico-stilistico. Conclusione tutto sommato canonica che ricorda il percorso fatto fino
ad ora.
Canzone espressione quanto mai efficace di questo stile che recupera le forme tradizionali e il linguaggio
più consueto della poesia e li converte a una finalità filosofica molto evidente. Tradizione lirica alimentata
dalla filosofia neoplatonica, che assume in partenza quell’insegnamento di Amore e lo specifica nei suoi
versi.
SONETTO XX
Saggio del lavoro che Lorenzo compie nell’autocommento dei suoi versi. Anche nella costruzione fisica
del suo libro ricorda da vicino il prosimetro dantesco. Prosa meno legata a istanze di carattere narrativo
ma recupera invece il tratto di interpretazione del testo che la prosa assume nell’opera dantesca.

103
Testo che avrà grande fortuna anche nella lirica successiva, tema: sonno. Tema in questo sonetto solo
parzialmente petrarchesco, che si fonda nella classicità; cultura filosofica della Repubblica di Platone: so-
gno come momento in cui facoltà irrazionali sono apparentemente potenziate e si possono produrre vi-
sioni estatiche. Due idee:
1) Sogno = momento in cui dorme tutto ciò che si trova nell’anima razionale e quindi il sogno dà
sfogo agli istinti più bassi
2) Sogno = ragione è sveglia e desta spirito della fantasia che produce visioni più vere di quelle che
si possono avere nella vita diurna.
Il sonno è quindi una condizione eccezionale, e il sogno può essere porta verso una conoscenza più alta.
Ma sogno è anche “altra morte”, morte temporanea, in cui tutto ciò che è gravoso nella vita del giorno
viene alleggerito. Momento in cui topicamente si trova pace dai tormenti.
O Sonno placidissimo, omai vieni
allo affannato cor che ti disia!
Serra il perenne fonte a’ pianti mia,
o dolce oblivïon, che tanto peni! 4
Vienne, unica quïete, quale affreni
sola il corso al disire! E in compagnia
mena la donna mia benigna e pia,
con gli occhi di pietà dolci e sereni. 8
Mostrami il lieto riso, ove già ferno
le Grazie la lor sede, e il disio queti
un pio sembiante, una parola accorta. 11
Se così me la mostri, o sia eterno
il nostro sonno, o questi sonni lieti,
lasso, non passin per la eburnea porta! 14

Il sonno deve in qualche modo alleggerira la sofferenza ma soprattutto produrre la visione della donna
stessa. Rivolto al sonno: fammi vedere quell’immagine di bellezza che plachi il desiderio almeno attraverso
un’immagine pia e una parola accorta. Se riesci veramente a farmi vedere la donna così, che il sonno duri
eternamente (condizione di beatitudine superiore alla vita diurna).
1 Abbiamo nel precedente sonetto verificato che li pensieri della notte sono più intensi che quelli del giorno, e
2 quando sono maligni, molto più molesti. Ma ancora che generalmente così sia, li pensieri amorosi più che gli altri,
secondo la mia oppinione, prendono la notte forza, e sono molto più insopportabili quando sono molesti; né
3 possono essere altro che molesti, presupponendo la privazione della cosa amata. Perché tutti e mali che possono
4 cadere negli uomini non sono altro che desiderio di bene, del quale altri è privato: perché chi sente alcuno dolore
o torsione nel corpo desidera la sanità, di che è privato; chi è in carcere, la libertà; chi è deposto di qualche dignità,
5 tornare in buona condizione; chi ha perduto alcuna facultà e substanzia, la ricchezza. E di questo veramente si
può concludere che chi fussi sanza desiderio non sarebbe sottoposto ad alcuno caso, e chi più desidera sente
6 maggiore afflizzione. E, se questo è vero, certamente gli amanti sono più che tutti gli altri miseri, perché hanno
maggiore desiderio, e la notte sono miserrimi, perché el desiderio è maggiore; perché, mancando le altre occupa-
7 zioni che distraggono la mente, non hanno altro recorso contro il pensiero che gli affligge che il medesimo pen-
siero, e sono privati di qualche mitigazione che potrebbe il giorno avere la loro passione: come sarebbe vedere la
8 donna amata, parlarne con qualche amico, vedere qualche suo intimo o consanguineo o domestico, vedere almeno
9 la casa dove lei abita; le quali benché non sieno altro che a uno febricitante e siziente lavrasi alquanto la bocca,
che è cagione di crescere tanto più la sete, pure el tempo passa con manco afflizzione. E puossi veramente dire
10 che gli amanti vivono di dolcissimi inganni che loro fanno a loro medesimi; de’ quali essendo privati in qualche
11 parte la notte, soli e pensosi, né consolazione alcuna né sonno ammettono: come mostra el presente sonetto, molto
12 simile di sentenzia al precedente. Il quale parla al Sonno, pregandolo che vogli venire, dopo tanti affanni e inquie-
tudine, a serrare il fonte degli occhi miei lacrimosi, fonte perenne, cioè vivo e perpetuo, quasi dica che, se ’l Sonno
13 non serra quelli occhi, non resteranno mai di lacrimare. Chiama dipoi il Sonno dolce oblivione e unica quiete per
raffrenare il desio, perché questi due soli remedii aveva l’afflizzione mia, cioè o dimenticare, intermettendo e
14 pensieri, o mitigare tanto desiderio. E perché a me medesimo pareva impossibile non solamente il dormire, ma il

104
15 vivere sanza inmaginare la donna mia, priego il Sonno che, venendo negli occhi miei, la meni seco in compagnia,
cioè me la mostri ne’ sogni e mi faccia vedere e sentire il suo dolcissimo riso; quello riso, dico, ove le Grazie hanno
16 fatto loro abitaculo, cioè che è sopra tutti gli altri grazioso e gentile: che veramente è detto sanza alcuna adulazione,
tanta grazia e in ogni cosa e maxime in questo aveva la donna mia. Desideravo ancora che ’l sembiante suo, cioè
l’apparenzia, mi fussi mostra dal Sonno pia, e il parlare accorto, e atta l’una e l’altra cosa a porre in qualche pace
17 il mio ardentissimo desiderio; e però bisognava che il sembiante e le parole fussino amorose e piene di speranza.
18 E, come si vede, in tutto questo sonetto non si cerca altro che raffrenare e temperare il disio corrente e ardentis-
simo. E credendosi il mio pensiero dovere obtenere dal Sonno questa sua petizione, come adviene alla insazietà
19 dello appetito umano, da questo primo desiderio transcorre al desiderare ancora, o vero perpetuamente queste
felicità dormendo, o qualche volta remosso el sonno. Perché dice che, consentendo el Sonno e volendo essaudire
20 e prieghi miei di rapresentarmi la donna mia bella e pietosa etc., desiderebbe dormire etternamente, sanza destarsi
21 mai, presupponendo sempre vedere la donna mia con le già dette condizioni; e se pure questo fussi impossibile,
almeno non sieno questi sogni vani e bugiardi, come sono quelli che passono per la porta eburnea. Trovasi scritto
fabulosamente per li antichi poeti essere appresso gli inferi due porte, che l’una è eburnea, cioè d’avorio, l’altra è
di corno, e che tutti e sogni e quali pervengono alla umana inmaginazione nel sonno passono per queste due porte,
22 con questa distinzione: che e sogni veri passono per la porta del corno, quelli che sono falsi e vani per la porta
dello avorio. E però, pregando io che questi sogni lieti non passino per la porta eburnea, tanto è come pregare
che quelli sogni non sieno falsi, ma verificati, e abbino quello felice effetto che sogliono avere quelli della porta
cornea.

Inizialmente preambolo generale sul simbolo presentato. Si riferisce al testo precedente ma si rifà alla
cultura filosofica di cui sopra. Intensità non positiva o negativa ma solo più forte.
Se l’amore genera pensieri faticosi, noiosi (= dolorosi), il maggiore sentimento di questo tipo lo generano
i pensieri amorosi (privazione). Centro tematico della prima parte di spiegazione: desiderio che muove i
pensieri. Privazione che può essere estesa a tutte le condizioni umane.
La notte vengono meno anche i piccoli sotterfugi che l’amante può mettere in atto durante il giorno, anche
se sono rimedi che non riparano la condizione (come un assetato che beve un goccio d’acqua e così fa-
cendo ravviva la sete stessa).
Durante la notte, l’amante è il più sofferente degli esseri umani. E qui inizia l’esposizione del sonetto (fino
alla riga 11 c’è trattazione filosofica su cosa sia il desiderio e cosa crei questo durante la notte).
Sonetto il quale parla al sonno. Riga 13: versi 4 e 5 ® spiegazione dei singoli passaggi del testo. Unica
funzione: dimenticare o mitigare la sofferenza. È una sorta di parafrasi del testo, ma sempre illustrata da
un commento che si intromette nella parafrasi stessa.
Non c’è nessuna esagerazione. Io che commenta è un Io successivo a quello che poeta: distacco legato a
due istanze autoriali, dove l’Io commentatore torna sui propri pensieri che erano stati scritti in precedenza.
Il tema del sonetto è il desiderio di placare un desiderio quasi irrefrenabile.
Ultimo verso: desidererei un sonno eterno (immagine tipica condizione impossibile) o almeno che questi
sogni non fossero falsi. Commento erudito: negli antichi poeti, per via di favola (illustrazione allegorica)
ci sono due porte: una eburnea (avorio) e una di corno. Ecco i due tipi di sogno che dicevamo all’inizio:
alcuni portano a realtà superiore, altri sono svianti. Sogni che producono uno stato superiore di cono-
scenza, che spandono le dimensioni dell’amore. Dimensione onirica che vuole essere felice e positiva, non
soggiogata ai sensi e alla sensorialità.
Idea che si viene costruendo nel commento è molto chiara: illumina i singoli passaggi del testo, illumina il
loro senso sapienziale e illustra le favole che stanno alle spalle del sonetto. Autocommento diventa anche
momento di formazione, comprensione del testo; sorta di enciclopedia della teoria d’amore in forma di
commento.

Lirica ® espressione pura della percezione; prosa ® che rende le ragioni della poesia in modo largo e
ampio. Ma è la necessità di costruire il commento che è sintomo di volontà di costruire il sonetto in modo

105
superiore rispetto all’occasionalità semplice, che è quello che accadeva spesso nelle corti. Lirica è parte di
un sistema complessivo, e come tale ha un suo ambizioso piano filosofico che dev’essere spiegato ai lettori.
Lirica non è esercizio vano futile, piacevole ma privo di legame con sapienza e conoscenza. Tratto forte
della produzione ultima di Lorenzo, forte rivalutazione della poesia.
20.04.21
MATTEO MARIA BOIARDO E LA CORTE ESTENSE DI FERRARA
Ferrara, dominata a lungo dalla famiglia degli Este, è corte che rispecchia in fondo un piccolo stato regio-
nale. Una di quelle realtà (come anche Urbino) che nonostante una forza politico militare ridotta, riesce a
produrre cultura di altissimo prestigio.
La corte ferrarese nel ’400 si caratterizza per 2 elementi con peso e ruolo diverso: innanzitutto, sotto
Leonello d’Este viene maturando con forza una cultura di stampo umanistico (forte attenzione al latino,
recupero della cultura classica, allineamento a linee più aggiornate della cultura italiana del periodo); ac-
canto a questa componente, si mantiene viva la passione per la letteratura cavalleresca e per il panorama
letterario, con una biblioteca ideale che affonda radici nel Medioevo. Nel corso delle generazioni degli
estensi c’è tendenza all’ibridismo. Il tutto sempre all’interno di dimensione cortigiana: cultura di stampo
aristocratico che si spende nella corte.
Ercole I ® grande investimento sul teatro, che coinvolge una serie di figure, armonica disposizione di
elementi che fanno del teatro un’esperienza reale. Favorisce la traduzione dei testi latini in volgare ed
investe nella costruzione di un vero e proprio teatro. Da questo punto di vista, Ferrara è all’avanguardia
nel panorama europeo: una delle corti in cui le forme teatrali si sperimentano con maggiore originalità.
Biblioteca: altro strumento di rappresentazione del potere (in questo periodo infatti fioriscono). Anche
gli estensi investono molto nelle biblioteche, acquistando e commissionando l’allestimento di manoscritti.
Negli inventari osserviamo che una componente significativa è di romanzi cavallereschi francesi: prefe-
renza dei gusti della corte ferrarese.
In questo quadro si colloca l’esperienza letteraria di Matteo Maria Boiardo (1440/41-1494). È un conte
scandiano = aristocratico minore, una sorta di funzionario di Ercole I, con cui dialoga quasi alla pari: avrà
molti incarichi di carattere amministrativo (es. capitano di Reggio). Rapporto col potere in prima battuta
burocratico e amministrativo-politico. In seconda istanza è un letterato con produzione molto ampia:
• Volgarizzamenti (forma quattro-cinquecentesca di dire traduzioni) ® senza intenzione di gareg-
giare con l’originale, ma solo per ampliare l’accessibilità dei testi, es. Asino d’oro di Apuleio (gusto
per il meraviglioso, fantastico, paradossale)
• Serie di opere in latino ® che Boiardo pratica insieme alla cultura umanistica, es. i Carmina; i
Pastoralia: raccolta di egloghe, finalità encomiastica. Nelle egloghe, Borso celebra gli estensi come
i fondatori di una età dell’oro. Architettura complessiva di questo libro: sono 10 componimenti
di 100 versi ciascuno; amore per la simmetria di Boiardo è fortemente caratterizzante della sua
produzione letteraria.
• Opera più famosa ® Orlando Innamorato o L’innamoramento di Orlando: poema cavalleresco
dove celebra la civiltà estense attraverso uno dei generi preferiti della corte, recuperando il mondo
della passione. Uno dei tratti originali di quest’opera è l’ibridazione tra due grandi tradizioni ca-
valleresche: impostazione carolingia = chanson de Rolande, epica, narrazione di eventi militari con
forte valore ideologico; cast di personaggi che però è inserito in ambiente di carattere bretone =
re Artù e tutti i personaggi che ci ruotano intorno, con temi privilegiati che sono amore, magia, il
meraviglioso. Nel titolo vengono messi a contatto infatti l’eroe epico per eccellenza, Orlando, e la
dimensione d’amore. Questo continuo intreccio di condizioni è la grande invenzione di Boiardo:
eroe epico che si ritrova in queste continue condizioni epiche, all’interno della quête, ovvero la

106
ricerca personale dell’oggetto del proprio desiderio. Costruzione del racconto in storie che ven-
gono lasciate e riprese continuamente: tecnica dell’entrelacement, l’intrecciamento, che tiene sem-
pre viva l’attenzione del lettore. Recupero anche di repertori mitologici vari. Romanzo costruito
in modo tale che narratore recita a voce alta la storia alla corte fa capire che è opera pensata
proprio per la corte: letteratura cortigiana che mette in scena se stessa e rappresenta un’opera
letteraria.
GLI AMORUM LIBRI TRES DI MATTEO MARIA BOIARDO
In quest’ampia produzione, Boiardo compone un libro di rime che forse è effettivamente il più interes-
sante, ricco e riuscito di fine ’400. I libri s’intitolano Amorum libri tres e costituiscono una sorta di nuovo
canzoniere che Boiardo propone ai suoi lettori. Titolo è un riferimento esplicito a Ovidio, alla tripartizione
di Amore in positivo-negativo-mediato. Canzoniere perché Boiardo, sempre attento a struttura simme-
trica, costruisce anche questa architettura complessiva in modo rigoroso: 60 testi per libro, di cui 50 sonetti
e 10 metri diversi. Ambientazione della storia significativa: tutta cortigiana, l’amore si svolge nella corte;
anzi, il giorno dell’innamoramento, in cui l’Io lirico vede per la prima volta la donna, è giocato in modo
contrastivo e analogo all’episodio petrarchesco (venerdì santo, in chiesa). Stessa situazione riproposta da
Boiardo, ma nel suo caso all’interno di una festa cortigiana (laico: esclusione elemento religioso petrarche-
sco), depotenziando l’effetto di tensione amore terreno-laico, per lasciarlo tutto in dimensione terrena.
L’articolazione dei libri segue dialettica del racconto:
1. Sorta di rappresentazione positiva euforica esperienza amorosa, che verrà ribadita anche nel testo
d’esordio: l’amore per Boiardo non è un errore, un elemento di perdizione, ma è gioia (gaudium
latino), nel senso di partecipazione politiche positive con interpretazione quasi lucreziano-epicu-
rea di Amore come godimento di ciò che la vita propone; tanto che non esclude la componente
erotica di esso. Da questo punto di vista, grande divaricazione da Petrarca. Disegno del racconto
lirico risulta completamente diverso.
2. Rovesciamento condizione di gioia: disforia, momento di sofferenza dell’innamorato, che soffre
per la perdita dell’amore, persino del tradimento, che comporta anche quasi un indebolimento
della forza poetica: poeta sembra quasi esprimere disgusto per i suoi stessi versi, sembra quasi
andare contro il ‘cantando il duol si disacerba’ di Petrarca.
3. Riproposizione andamento pendolare euforia-disforia, con ritorno della rivitalizzazione di amore
che arriva a una sorta di rassegnazione distaccata e lontana circa l’amore che si conclude.
Esperienza cronologicamente ben definita: inizia nella primavera del 1469 e finisce a fine primavera del
1471. Vicenda ben definita nei suoi limiti. Macrostruttura: 60 + 60 + 60 da un lato; dall’altro forte lavoro
sulle connessioni intertestuali: crea legami evidenti tra i testi che si susseguono: troviamo i suoni, i versi
conclusivi di un testo in quello successivo. Opera che va letta in modo non antologico ma continuato.
Lirica costruisce questi collegamenti fra i testi anche grazie a queste tracce verbali che si susseguono fra
un testo e l’altro; scelta specifica poi di campi semantici, come se il poeta volesse individuare una costel-
lazione di parole che dia senso al testo stesso, con molti giochi di eco fra un testo e l’altro.
AL I, 1
Sonetto esordiale: grande importanza, dialoga con sonetto esordiale del Canzoniere, soprattutto vedendo
l’A di Amor in grassetto che rispecchia la volontà di dare maggiore enfasi a quella prima lettera: Boiardo
costruisce una sorta di acrostico ® unendo le prime lettere dei primi 14 componimenti otteniamo il nome
di Antonia Caprara, che è la donna celebrata nel canzoniere. Ulteriore modo di costruzione di elementi
coesivi della storia. Costruito anche in alcune parole chiave in rapporto al sonetto esordiale petrarchesco
(che si rivolge ai propri lettori e dichiara che leggeranno una storia di un’anima che ha portato il poeta a
vivere per lungo tempo l’esperienza mondana e che ha poi saputo pentirsi di questo errore, errore dovuto

107
al fatto che è qualcosa di illusorio al posto dell’orizzonte ultraterreno che dovrebbe guardare). Sorta di
palinsesto del sonetto: bisogna leggere questo avendo in mente Petrarca, per seguirlo ma anche differen-
ziarsene.
Amor, che me scaldava al suo bel sole
nel dolce tempo de mia età fiorita,
a ripensar ancor oggi me invita
quel che alora mi piacque, ora mi dole. 4

Così racolto ho ciò che il pensier fole


meco parlava a l’amorosa vita,
quando con voce or leta or sbigotita
formava sospirando le parole. 8

Ora de amara fede e dolci inganni


l’alma mia consumata, non che lassa,
fuge sdegnosa il püerile errore. 11

Ma certo chi nel fior de’ soi primi anni


senza caldo de amore il tempo passa,
se in vista è vivo, vivo è sanza core. 14

Contrapposizione ora-allora: ripresa netta di Petrarca. Io lirico ricorda stagione passata della gioventù, la
sua primavera, che Amore lo invita a ripensare oggi rispetto a quello che un tempo, allora, ha fatto, quando
la vissuta era piacevole e adesso è fonte di ripensamento. Qui siamo perfettamente dentro al perimetro
petrarchesco.
Così ho raccolto (idea di canzoniere) i pensieri che il pensiero folle (dissennato, dominato, dall’amore)
parlava con me mentre vivevo l’esperienza amorosa; e quando lo vivevo, quello che dicevo di amore era
positivo e negativo mescolando le parole.
Adesso (ritorno all’ora), che ho fatto esperienza di una lealtà non corrisposta, e gli inganni dolci che
l’anima mia ha vissuto e quasi esasperato, fugge, sdegnosa questo errore giovanile. Errore ® citazione
esplicita di Petrarca. Condanna esperienza giovanile vissuta sotto il segno dell’errore morale.
Ultima terzina muta il piano ideologico e introduce elemento assolutamente non petrarchesco: chi nel
fiore degli anni non vive l’esperienza amorosa, se apparentemente vivo, in realtà è privo della sua espe-
rienza reale, non ha niente dentro. Dice che nella gioventù bisogna vivere l’amore, che altrimenti si perde
esperienza fondamentale della propria vita. Errore quindi “parziale”, perché per Boiardo sarebbe molto
più sbagliato non viverlo. Esperienza che scarta e disegna storia sensibilmente alternativa rispetto al testo
di Petrarca, con cui questa raccolta dialoga e gareggia.
AL I, 53
Culmine vitalistico vicenda amorosa raccontata nel primo libro: trionfo di Eros perché segna anche allu-
sione evidente alla dimensione erotica. Dimensione erotica, condizione per rappresentare la quale Bioardo
guarda anche i modelli classici (Ovidio, etc.). Tendenza a rappresentare l’amore estremamente idealizzato
che non avviene nella letteratura latina: e Boiardo stesso insiste su questo tema ® divaricazione più ampia
rispetto a Petrarca (che una sola volta fa allusione in qualche modo riconducibile alla dimensione erotica).
Questo sonetto invece è del tutto immerso, in tono euforico celebrativo, nella vittoria dell’amore, non
della conquista banale di un amplesso, quanto piuttosto del momento di grande gioia che caratterizza
questo sentimento.
La smisurata et incredibil voglia
che dentro fu renchiusa nel mio core,
non potendo capervi, esce de fore,
e mostra altrui cantando la mia zoglia. 4

108
8
Cingete il capo a me di verde foglia,
ché grande è il mio trionfo, e vie magiore
che quel de Augusto on d’altro imperatore
che ornar di verde lauro il crin si soglia. 8
Felice bracia mia, che mo’ tanto alto
giugnesti che a gran pena io il credo ancora,
qual fia di vostra gloria degna lode? 11
Ché tanto de lo ardir vostro me exalto
che non più meco, ma nel ciel dimora
il cor, che ancor del ben passato gode. 14

Il sentimento amoroso, non potendo essere contenuto dentro il cuore. ‘Zoglia’ = gaudio, felicità assoluta,
euforia incontenibile. ‘Smisurata’ e ‘incredibil’ = aggettivi che vanno oltre i limiti, come se si superasse.
Eccitazione che non si riesce a contenere all’interno della propria anima.
La mia gioia si manifesta in modo così sconsiderato che mi ritengo più felice delle glorie conseguite dagli
imperatori romani: alloro è rappresentazione della gioia incredibile. Incoerenza verbale: gioia che dà vita
a un testo non particolarmente articolato.
Queste felici braccia (abbracciamento, amplesso, componente fisica esaltata), come posso celebrare la
vostra gloria? Sorta di effetto lungo, una scia di gioia legata al momento estatico dell’amore. La gioia e il
godimento si manifestano in questi passaggi, che sono celebrazione laica positiva dell’amore.
AL II, 2
Sorta di caduta nella disperazione del poeta: tradimento e freddezza della donna causano infelicità rap-
presentata via via dal soggetto lirico. Condizione che viene presentata per allontanare il lettore dall’amore
stesso, in una sorta di manifesto antierotico. Sorta di disprezzo dell’amore.
Alme felice, che di nostra sorte
libere seti e del tormento rio,
fugeti Amor, e per lo exemplo mio
chiudeti al suo venir anti le porte. 4

Men male è ogni dolor, men male è morte


che il cieco labirinto di quel dio;
credeti a me, ché experto ne sonto io,
che cerco ho le sue strate implexe e torte. 8

Fugite, alme felice, il falso Amore,


prendendo exemplo de la mia sagura,
stregneti il freno al desioso core. 11

Prendeti exemplo, e prendavi paura,


ché il caso è più crudel tanto e magiore
quanto saliti più seti in altura. 14

Si rivolge ai lettori: ‘anime felici’ (in quanto non conoscete ancora l’esperienza di amore), fuggite l’amore
(cfr. nelle terzine ritorna), la mia poesia è esemplare rispetto a ciò che accade, prima che arrivi.
Credete a me che sono esperto: il dolore che provoca amore è quello più alto. Cieco labirinto, buio che è
amore = rovesciamento totale. ‘Exemplo’ ® ribadito ai versi 3, 10 e 12, esempio che viene raccontato
come antidoto contro l’amore.
Tanto più siete felici, quanto più proverete dolore una volta che l’amore sfiorirà. Gioco contrastivo per
cui alla gioia massima corrisponde altrettanto profondo dolore.

109
Stile di Boiardo definito “alogico”, come se la struttura metrico-argomentativa fosse persino precedente a
organizzazione del pensiero corretta: prorompere della parola di un animo sconvolto, che si traduce in
questo racconto non particolarmente consequenziale, che dà il senso di profondo dolore.
AL II, 10
Sonetto nel quale c’è espressione aperta di ingiuria nei confronti della donna; donna che ha tradito e
abbandonato l’Io lirico e qui trova forma nel vituperio, rappresentato nell’insistenza quasi ossessiva delle
parole. Verso 1, verso 4 ® come se fosse così arrabbiato da non riuscire a dominare articolazione del
proprio pensiero. Serie di imperativi unita a vocativi costituiscono il centro del sonetto, che è un’accusa
disperata nei confronti di una donna che ha tradito l’Io lirico.
Ingrata fiera, ingrata e scognoscente
de lo amor che io te porto e te portai,
vedi a che crudo stracio giunto m’hai,
ingrata fiera, fiera veramente! 4
Se la dureza tua pur non si pente
di voler consumar mia vita in guai,
mira nel viso mio se ancora assai
de li occhi tristi son le luci spente; 8
mira, crudel, se ancor non hai ben colto
del mio languire, e la mia tanta pena,
e il pianger tal che più piagner non posso; 11
mira che più non ho color in volto
né spirto in core, e non ho sangue in vena
né umor ne li ochi né medolla in osso. 14

‘Vedi’, ‘mira’ ® ripreso più volte: piccola intelaiatura logica che costruisce andamento del sonetto. Os-
serva, animale ferino, ingrato e non riconoscente, guarda l’amore che ti porto e ho portato, guarda in che
condizione mi hai ridotto.
Se non ti penti della tua cattiveria nei miei confronti, che mi porta a consumare in guai la mente, osservami
nel volto se non sono del tutto morto. Guarda, crudele, se non ti sei ancora resa conto della mia sofferenza,
e della tanta pena che non posso più piangere.
Iterazione cumulativa che segna lo stato di deperimento dell’innamorato; ‘mira’ è richiesta di osservare gli
effetti che l’amore ha prodotto sull’Io lirico. Disperato appello per riaprire partita amorosa che per l’Io
lirico sembra essere completamente tramontata. Parte sì negativa ma importante, vitale dal punto di vista
esperienziale. Esperienza che dev’essere svolta, perché insegna ad attraversare l’esperienza amorosa e a
farne conoscenza.
Cavalieri di Orlando anche vivono per la prima volta una dimensione che non conoscono: amore, che però
li porta a conoscere meglio se stessi e l’esperienza; il tutto legato a dimensione etica. Inchiesta amorosa
porta sì a sconvolgimenti, ma nello stesso tempo affronta un’esperienza conoscitiva nuova e diversa, che
ha nel suo modo di manifestarsi elementi vari, contrastivi e positivi, così come rappresentati nel canzoniere
allestito. Queste tensioni contrastali rappresentano però sempre i poli di un’esperienza positiva, non inse-
rita in morale né religioso.

IL CINQUECENTO E LA NASCITA DEL PETRARCHISMO


Cultura letteraria umanesimo e rinascimento. Problema dell’imitazione: elemento centrale del fare e co-
struire poesia. Tema dell’imitazione e del canone conseguente all’imitazione che attraversa tutta la stagione
umanistica e rinascimentale. Una delle pietre angolari è il principio dell’imitazione degli antichi: si costrui-
sce opera letteraria imitando qualcuno, e imitazione è forma unica e privilegiata.

110
Chi imitare? Come imitare? Questioni che creano un fitto dibattito nelle due culture. Stabilire chi imitare
significa stabilire un canone di autori eccellenti, individuando una graduatoria, e una volta stabilita biso-
gna individuare quelli da imitare.
Posizioni che si alternano sono due: una orientata a imitazione plurale (docta varietas) che non si limita a
un solo modello, ma ne adotta tanti; e una che individua modelli eccellenti e vuole imitare solo ed esclu-
sivamente quelli. Primo episodio che può aiutare a concretizzare questo conflitto: 1490 ® contrapposi-
zione fra Poliziano con Paolo Cortesi (umanista). Polemica interna a umanesimo e scrittura in latino: uma-
nisti dialogano in modo anche molto franco. Paolo Cortesi invia a Poliziano una raccolta di lettere scritta
da lui e altri autori contemporanei; Poliziano risponde sostanzialmente dicendo che quelle lettere sono
inutili e che quella non è letteratura. Toni molto duri, perché Poliziano dice che sono imitate in modo
pedissequo al modello di Cicerone: e questo modo secondo Poliziano è tipico delle scimmie, dei pappa-
galli, che ripetono senza capire.
Creazione di letteratura vuota: modo di scrivere basato sull’accattonaggio e non dice nulla di veramente
nuovo. Questo perché Poliziano ha idea della varietà: scrittore deve fare come l’ape che va di fiore in fiore
e poi produrre un proprio stile. Idea molto legata alla figura stessa di Poliziano, come cultore e conoscitore
della cultura classica: perché disperdere patrimonio così ricco imitando un singolo autore?
Poliziano non vuole negare l’imitazione, ma pensa che un modo di imitare possa essere funzionale a co-
municare una propria individualità; ma un modo di farlo sbagliato potrebbe solo portare a produzione di
letteratura vuota e a depauperare i grandi classici.
Risposta di Cortesi: non entra immediatamente a polemizzare. Parte da una considerazione generale: ana-
lisi condizione dell’eloquenza nella contemporaneità, in cui illustra la condizione disastrosa dell’eloquenza
nel suo tempo. E quindi dice che bisogna reagire a questa precarietà: imitazione di Cicerone ha finalità
soprattutto pratica, bisogna scrivere regola imitativa sulla base di cui va poi costruita una grammatica che
permetta di apprendere una lingua comune. E come si fa per farlo? Bisogna indicare un unico modello,
solo quello permette di uniformare la lingua rendendola una lingua franca, universale. La ragione dell’imi-
tazione non è il scimmiottare, ma l’imitare del figlio verso il padre: non diventa come il padre. Imitazione
di un unico soggetto è quindi l’unica via di crescita secondo Cortesi, non si possono avere tanti padri.
Vuole un unico modello chiaro e riconoscibile per tutti.
Risposta che guarda l’insieme, la necessità di costruire una lingua che sia comune per tutti. Volontà di
costruire società letteraria, attraverso imitazione di antichi che permetta di stabilire criteri di nuova cul-
tura. Autorità è principio principale quindi per Cortesi: ordine di lingua = ordine di cultura. Per questo,
imitazione significa costruire un modo di apprendere le libera potenzialità espressive di ciascuno e vuole
reagire al rischio di una Babele contemporanea, con una lingua eccessivamente multiforme e non durevole.
Lingua deve durare nel tempo, a patto di avere però delle regole chiare, che danno vita a una nuova
cultura, che prende l’antico ma lo sa rivalorizzare.
Cortesi vuole la costruzione di regole condivise con cui poi si può costruire cultura e civiltà letteraria
unitaria. Rapporto antico/moderno è orientato soprattutto al presente.
21.04.21
Nucleo fondante civiltà letteraria umanistica e rinascimentale ® rapporto con gli antichi costruisce l’iden-
tità dei moderni. Doppia dinamica: rapporto fra imitazione (= riprendere le formule di altri poeti e lette-
rati) ed emulazione (= gareggiamento, superamento del modello). Volontà di costruire una nuova civiltà
che ambisce ad avere la stessa autorevolezza del passato.
Seconda polemica introduce al Rinascimento, in pieno ’500. Elemento centrale più importante: il volgare,
cioè la lingua italiana, diventa la lingua principale: trasferimento ideologico per cui il volgare diventa

111
lingua definita e pienamente degna di affrontare tutti gli argomenti, e così costruisce un nuovo mondo,
che è quello rinascimentale.
PIETRO BEMBO
Il Rinascimento è frutto soprattutto di una strategia ideologica costruita, voluta, discutendo in prima
istanza proprio dei principi dell’imitazione. Molti episodi riconducibili a questa istanza. Roma che ripren-
dendo le vestigia antiche e classiche si costruisce con foggia moderna.
La polemica tra Giovan Francesco Pico della Mirandola e Pietro Bembo. Fine 1512 a gennaio 1513. È
Pico ad aprire dibattito inviando lettera a Pietro Bembo dove riprende conversazioni avute con lui sul
tema dell’imitazione: Pico è vicino all’idea interpretata da Poliziano (varietà plurale), anche se nella sua
lettura c’è differenza filosofica: è esponente della cultura neoplatonica e ritiene che le idee siano innate =
imitazione farebbe emergere la propria scrittura personale. Fa l’esempio del pittore Zeusi, che per ritrarre
Elena, invece di usare una modella, ricorre a 5 modelle diverse. Differenza rispetto a Poliziano: Pico sposta
piano del discorso non tanto su stile ma su sostanza: pensiero entità autonoma formata su imitazione che
dev’essere plurale.
Bembo risponde riportando la questione sul piano letterario. Lui è sostenitore della linea del modello
eccellente: vanno individuati modelli perfetti, uno per la poesia (Virgilio) e uno per la prosa (Cicerone).
Elementi innovativi: da un lato la dimensione fortemente autobiografica che inserisce, oltre alle linee co-
muni sostenute in precedenza (ricorre a temi di repertorio padre-figlio, imitazione non della lingua ma
impossessamento del pensiero dell’autore, nella scrittura non c’è solo meccanismo linguistico verbale);
argomenta la scelta di un modello unico dicendo che in gioventù aveva cercato uno stile proprio pensando
come Pico, senza regole, e non riusciva a costruire nulla. Allora, ha deciso di seguire percorso formativo
con scalarità: prima imita gli autori mediocri, poi quelli eccellenti. Quando ha fatto così il problema era
che non riusciva a imitare gli eccellenti, perché imitando i mediocri si diventa mediocri ® principio pe-
dagogico: percorso di formazione, cursus. Emulazione: una volta interiorizzato, permette di superare il
proprio modello.
Idea delle regole: Bembo indica la necessità di stabilire regole di carattere universale = imitazione dev’es-
sere normata da sistema che dev’essere condiviso. Uno dei timori di Bembo è quello di una pluralità di
linguaggi che non dia veramente voce a una cultura omogenea, e bisogna quindi adottare modelli unici.
Digressione in cui parla della sua esperienza di poeta in volgare (NO latino): lo fa per uscire dalla Babele
linguistica che il volgare vive al momento. Teoria dell’imitazione che applica al dominio del latino che
viene trasferita pari pari al volgare. Si farà teorico non solo dell’imitazione ma anche della lingua: diventerà
lui il normatore della lingua, con le Prose della volgar lingua, pubblicate nel 1525. È lui il creatore del
Rinascimento. Testo di incisiva importanza per cultura cinquecentesca ma per tutta la storia della lingua
italiana.
Tappe che permettono a Bembo di arrivare a questo traguardo. Bembo è giovane aristocratico veneziano,
sembra destinato a carriera politica, ma ha cultura umanistica di altissimo livello (padre grande umanista
e uomo politico), Poliziano lo conosce quando era giovane e insieme lavorano a un’edizione critica, lo
stesso Bembo si trasferisce in Sicilia per studiare il greco. Dimostra da subito attenzione per il volgare: nel
1501 allestisce edizione del Canzoniere di Petrarca, che cura per l’editore Aldo Manuzio.
Introduzione della stampa: in questa stagione rivoluziona il quadro complessivo del fare letteratura =
soprattutto dal primo ’500 in poi, chi scrive si occupa anche dell’editare dei suoi testi. Manuzio figura in
primo piano: allestisce serie di classici greci e latini di altissima qualità filologica. Filologia + tecnologia:
inventa una forma di libri, il libro tascabile; per questo investe anche nella composizione del testo stesso,
inventando caratteri adatti alla stampa del testo stesso (es. il corsivo è stato inventato da lui – cfr. in altre
lingue si dice italic).

112
Edizione di Petrarca: nella collezione di classici latini e greci è il primo volgare ad apparire, sullo stesso
identico piano. Inoltre viene presentata come rigorosissima dal punto di vista filologico e linguistico (usa
anche manoscritto autografo), usando strumenti riservati di solito ai classici latini: dignità acquisita dal
volgare. Bembo stamperà anche la Commedia di Dante sempre con Manuzio, nella stessa collana. Segni
interpuntivi vengono introdotti da Bembo. Ma non è solo editore di Petrarca: è anche poeta in prima
persona e nel 1505 pubblica gli Asolani. Dialogo che si svolge ad Asolo, in una corte ideale, dove durante
una festa di nozze giovani donne e giovani uomini devono trattare interpretazione dell’amore. Dialogo
costruito con struttura a prosimetro, con rapporto argomentativamente forte nel tessuto del racconto
stesso. Dialogo si scandisce in 3 libri che corrispondono a 3 interpretazioni diverse: 1) negativa, amore
come esperienza che porta a difficoltà nella vita; 2) amore come esperienza positiva; 3) propone la vera
interpretazione dell’amore che è fondamentalmente neoplatonica: gli Asolani sono strumento di divulga-
zione del neoplatonismo anche come strumento di lettura della poesia d’amore.
La prosa. Le Prose della volgar lingua stabiliscono criteri in virtù dei quali la lingua va definita. Limiti che
vengono stabiliti nel dialogo, che è costruito come immaginaria conversazione fra il fratello di Bembo,
Carlo, e altri tre personaggi: Ercole Strozzi è un personaggio per cui il latino è superiore al volgare, mentre
gli altri tre (incluso Carlo, rappresentante delle idee bembiane) sostengono importanza del volgare. Rifles-
sione che soprattutto nei primi due libri permette di definire la lingua e quali sono i criteri che la defini-
scono. Bembo afferma che la lingua orale non gli interessa, si parla solo dello scritto, eliminando così tutte
le ipotesi di norme basate sull’uso ® importanza radicale: lingua italiana è fortemente influenzata da que-
sta posizione bembiana, almeno fino a Manzoni. Grammatica è sempre frutto di tensione fra orale e scritto.
Secondo passaggio: l’unico elemento che dà senso e permette a una lingua di esistere, è la letteratura su
cui si basa. Lingua italiana si fonda sul toscano perché i grandi autori sono toscani (anche lui che è vene-
ziano si adegua). La lingua scritta si basa sulla letteratura. E quali sono gli autori eccellenti? Ritorno al
concetto di imitazione usato per il latino: Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa, sono i modelli
da imitare inderogabili. Canone che è frutto di percorso estremamente limpido nella sua definizione. Con
questa regola saremo in grado di scrivere lingua che resterà nella storia. Ma sono autori vissuti 200 anni
prima: a Bembo interessa lingua astratta dal tempo, che lo è sia dal passato sia dal futuro; lui vuole co-
struire lingua classica che esuli dal tempo.
Forte spinta alla normativizzazione: effetto immediatamente evidente. Società letteraria del ’500 accoglie
subito questa ipotesi e la fa propria. Soprattutto tutte le figure che ruotano attorno all’editoria: da tempo
si lamentava la mancanza di un criterio, chi scrive in volgare non può correggere perché non ha una norma
da seguire; Bembo viene quindi ripreso come norma tipografica. Anche gli autori riconoscono l’impor-
tanza di questa norma: Ludovico Ariosto che pubblica nel 1516 la prima edizione dell’Orlando Furioso,
seconda edizione nel ’21, e nel 1532 una terza edizione, dove aggiunge 5 canti e rivede linguisticamente la
sua opera ® e la rivede soprattutto tenendo in considerazione le norme di Bembo, riconoscendone auto-
revolezza immediata. Cortegiano di Baldassarre Castiglioni (1528): primo libro (con Bembo tra i protago-
nisti del dialogo) tutto incentrato sul problema della lingua. Problema decisivo perché stabilisce la lingua
letteraria. Proposta di Baldassare è contraria da quella di Bembo: propone lingua cortigiana, una lingua
franca che si parla nelle corti italiane (lingua orale legata all’uso). Castiglione stesso però, nell’imminenza
della stampa, fa rivedere il testo, paradossalmente seguendo le norme di Bembo. Anche quella di Boiardo
era una lingua fortemente caratterizzata da tratti padani. Quando viene ristampato nel ’500 si sente neces-
sità di riscrivere in una lingua più adatta ai gusti del pubblico contemporaneo: come se sentissero necessità
di riscriverlo in lingua diversa.
Bembo stabilisce lingua che ha ambizione di costruire il classicismo volgare. C’è un evidentissimo scarto
fra il prima e il dopo le Prose della volgar lingua.

113
Petrarchismo cinquecentesco: poesia prevalentemente d’amore di questo secolo. Ha elementi interessanti
perché è stato definita la prima letteratura di massa della civiltà letteraria italiana. Il sistema di regole di
Bembo permette l’accesso alla poesia a una platea estremamente più ampia. Poesia femminile: fiorisce
straordinaria stagione; moltissime poetesse possono avere autonomia per esprimersi attraverso la parola
scritta. Altra categoria di autori è quella degli artisti, che non avevano formazione di alti livelli. Molti poeti
pittori nel ’500: grandi artisti che normalmente non potevano esercitarsi molto nella poesia.
Bembo poeta, che al pari del Bembo regolatore viene accettato come modello.
GLI ASOLANI (1505) E LA PRIMA PROPOSTA LIRICA DI BEMBO
L’inizio degli Asolani, che mette in scena una corte ideale (che ricorda cornice del Decameron: su quello
stesso disegno Bembo modella la corte di Asolo), che all’inizio del dialogo presenta tre giovani donne che
cantano tre testi, che sono tre interpretazioni dell’amore, che disegnano la struttura complessiva del libro
stesso. Il primo si rovescia nel secondo e il terzo corrisponde al terzo libro.
TESTO A
Io vissi pargoletta in festa e ’n gioco,
de’ miei pensier, di mia sorte contenta:
or sì m’affligge Amor e mi tormenta,
ch’omai da tormentar gli avanza poco. 4

Credetti, lassa, aver gioiosa vita,


da prima, entrando, Amor, a la tua corte;
e già n’aspetto dolorosa morte:
o mia credenza, come m’hai fallita! 8

Mentre ad Amor non si commise ancora,


vide Colco Medea lieta e secura;
poi ch’arse per Jason, acerba e dura
fu la sua vita, infin a l’ultim’ora. 12

Canzonetta costruita su 3 strofe di 4 versi (canzonetta ode, ibrido tra canzone e madrigale). L’Io che parla
è la fanciulla che recita la canzone. Interpretazione disforica dell’amore: io un tempo sono stata lieta e
gioiosa, ora amore è sofferenza tale che sono quasi sul punto di morire. Ho pensato di entrare nella corte
di amore per vivere felicemente, e invece ora sono prossima a morire. A concludere questo quadretto si
inserisce un piccolo pannello, ripreso dal mito di Medea, che vive nella colchide. Mito usato come con-
trofigura del presente.
TESTO B
Io vissi pargoletta in doglia e ’n pianto,
de le mie scorte e di me stessa in ira:
or sì dolci pensier Amor mi spira,
ch’altro meco non è che riso e canto. 4
Arei giurato, Amor, ch’a te gir dietro
Fosse proprio un andar connave a scoglio;
così, là ’nd’io temea danno e cordoglio,
utile scampo a le mie pene impetro. 8
Infin quel dì, che pria la punse Amore,
Andromeda ebbe sempre affanno e noia;
poi ch’a Perseo si diè, diletto e gioia
seguilla viva, e morta eterno onore. 12

Speculare anche nella forma metrica rispetto al primo: sembra modificare proprio solo alcune parti, la
struttura rimane identica con parole diverse. Prima ero infelice, adesso che vivo la stagione d’amore sono

114
esclusivamente lieta e gioiosa. Averi pensato che seguirti, amore, sarebbe stato come guidare una nave
puntando dritto agli scogli; ottengo salvezza dove pensavo di soffrire. Esempio mitologico contrario al
primo: Andromeda e Perseo. Il mito di Andromeda che viene offerta in sacrificio al dio ma poi viene
salvata da Perseo e si trasforma in costellazione (eterno onore).
TESTO C
Amor, la tua virtute
non è dal mondo e da la gente intesa,
che, da viltate offesa,
segue suo danno e fugge sua salute. 4
Ma se fossero tra noi ben conosciute
l’opre tue, come là dove risplende
più del tuo raggio puro,
camin dritto e securo 8
prenderia nostra vita, che no ’l prende,
e tornerian con la prima beltade
gli anni de l’oro e la felice etade.

Condizione nuova che scarta fra le due: diversa lettura del fenomeno amoroso. Anche nella formula me-
trica questo testo è diverso: stanza di canzone che alterna endecasillabi e settenari. Tratti che distinguono
la fanciulla anche nella presentazione. Prima considerazione: il mondo non capisce che cosa sia amore;
questo perché è limitato da una sorta di scarsa capacità conoscitiva. Ma, se noi conoscessimo veramente
che cosa è amore e dove risplende questo raggio puro della bellezza, avremmo una strada dritta e sicura
per la nostra vita, un cammino di perfezionamento. Chiude con risposta mitologica agli altri testi, evo-
cando l’età dell’oro, età primigenia degli uomini dove regnava pace e serenità. Interpretazione dell’amore
neoplatonico inteso come percorso di conoscenza, che attraverso esperienza di amore conduce a una co-
noscenza di Dio.
Per questo gli Asolani sono un importante strumento per la divulgazione di teorie neoplatoniche. Cono-
scenza di amore frutto di conoscenza progressiva, che deve mettere in campo una sapienza di natura com-
plessa, che permette a chi vive amore di ottenere condizione di superiore saggezza.
LE PROSE DELLA VOLGAR LINGUA (1525): GRAVITÀ E PIACEVOLEZZA
Posizione di Bembo rispetto alla figura dantesca: ne parla più volte. A una certa altezza, Bembo stabilisce
i due criteri stilistici sulla base di cui valutare le opere letterarie: gravità e piacevolezza ® due elementi
che insieme costruiscono perfezione dello stile e lo stile perfetto è quello che riesce a tenere insieme questi
due elementi. Lui prima stila le norme, poi le applica agli autori ed espone gli esempi.
Ma come che sia, venendo al fatto, dico che egli si potrebbe considerare, quanto alcuna composizione meriti loda
o non meriti, ancora per questa via: che perciò che due parti sono quelle che fanno bella ogni scrittura, la gravità
e la piacevolezza; e le cose poi, che empiono e compiono queste due parti, son tre, il suono, il numero, la varia-
zione, dico che di queste tre cose aver si dee risguardo partitamente, ciascuna delle quali all’una e all’altra giova
delle due primiere che io dissi. E affine che voi meglio queste due medesime parti conosciate, come e quanto sono
differenti tra loro, sotto la gravità ripongo l’onestà, la dignità, la maestà, la magnificenza, la grandezza, e le loro
somiglianti; sotto la piacevolezza ristringo la grazia, la soavità, la vaghezza, la dolcezza, gli scherzi, i giuochi, e se
altro è di questa maniera. Perciò che egli può molto bene alcuna composizione essere piacevole e non grave, e allo
’ncontro alcuna altra potrà grave essere, senza piacevolezza; sì come aviene delle composizioni di messer Cino e
di Dante, ché tra quelle di Dante molte son gravi, senza piacevolezza, e tra quelle di messer Cino molte sono
piacevoli, senza gravità. […] Dove il Petrarca l’una e l’altra di queste parti empié maravigliosamente, in maniera
che scegliere non si può, in quale delle due egli fosse maggior maestro.

[Prose della volgar lingua, Libro II, capitolo IX]

115
Una volta stabilito che il principio di valutazione per la qualità delle opere è il grado di armonica compre-
senza, afferma che Cino da Pistoia è troppo piacevole, Dante troppo grave, mentre chi trova la perfezione
è Petrarca. Sono questi passaggi i mattoni su cui Bembo può pronunciare la sua sentenza finale. Non
autorità riconosciuta in modo generico o per gusto personale, ma ricercato nella retorica e nella lingua
usata dagli autori stessi.
26.04.21
IL PETRARCHISMO SPIRITUALE

Configurazione della poesia lirica del ’500 così come Bembo l’ha codificata ® interessante il collegamento
con la questione che attraversa tutta la storia della tradizione della lirica d’amore: il conflitto tra amore
laico e amore religioso.
Nel Canzoniere esiste una parte di poesia religiosa, o meglio, il Canzoniere si chiude con una canzone
dedicata alla Vergine: testo complesso, ampio, ambizioso, ma completamente spirituale ® cambio anche
di carattere retorico, stilistico e intertestuale. Dentro al Canzoniere oltre a questo ci sono alti testi che sono
preghiere o testi in forma di preghiere in cui l’Io lirico lamenta l’essere peccatore e chiede una sorta di
aiuto a Dio. Ma questi testi sono pochi rispetto al numero complessivo; e soprattutto nel ’500 si rispetta
questa sorta di ossequio al modello di Petrarca, componendo qualche testo spirituale, ma tendenzialmente
è tutta poesia laica.
IL PETRARCA SPIRITUALE (1536) DI GIROLAMO MALIPIERO
In questo orizzonte, appare nei primi anni ’30 del ’500 un’opera curiosa ai nostri occhi: Girolamo Mali-
piero, frate francescano, propone alle stampe un’opera intitolata il Petrarca spirituale (1536). Inizia
quest’opera mettendo in scena un dialoghetto fra lo spirito di Petrarca e lo stesso Malipiero, che mentre
cammina tra i Colli Euganei ritrova lo spirito di Petrarca che gira inquieto; ne nasce una conversazione
dove lo spirito di Petrarca dice di essere ancora sulla terra perché si sente in colpa e crede di aver ingannato
i suoi lettori all’amore carnale. Il frate si propone allora di convertire la poesia di Petrarca in direzione
spirituale per dargli pace ® riscrittura puntuale e precisa di tutti i testi petrarcheschi. Operazione appa-
rentemente maldestra, goffa; come se con questa operazione volesse correggere il carattere giovanile di
Petrarca cambiando anche le sue rime.
Ma questo libro è di straordinario successo: segno di una platea molto ampia di lettori che è interessata a
questa operazione, e sente necessità di sposarla ® non è un’operazione di censura, ma tale è la diffusione
del linguaggio poetico di Petrarca che è preferibile non eliminarlo, ma convertirlo; segno di un trionfo del
petrarchismo. Tentativo di arginare, correggere il tiro della poesia di Petrarca.
Lavoro che opera Malipiero: da un lato illustra tentativo di conservare quanto più possibile il testo di
Petrarca; dall’altro dice qualcosa su come il petrarchismo del ’500 si costruisce: idea di fondo di un Pe-
trarca lessicalizzabile. Lavoro quindi anche di assemblaggio, dove si tiene tutto ciò che si può tenere e si
sostituiscono altri pezzi: lingua riutilizzabile. Rapporto fra lettura e imitazione è molto stretto.
SONETTO 90
Descrizione della bellezza femminile che è diventata topica. Il lavoro di conversione di Malipiero è dall’ap-
parizione quasi angelica di Laura a una visione dell’assunzione in cielo di Maria.
Malipiero Rvf 90

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi, Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
ch’in mille dolci nodi gli avolgea, che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea e ’l vago lume oltra misura ardea
de gli occhi, ch’a pietà non fur mai scarsi; 4 di quei begli occhi ch’or ne son sì scarsi; 4

8 116 8
e ’l viso uman tutto divino farsi e ’l viso di pietosi color’ farsi,
con sembianti mirabili parea, non so se vero o falso, mi parea:
quando su al ciel Maria il viaggio avea i’ che l’ésca amorosa al petto avea,
con gli angeli, d’amor quasi tutti arsi. 8 qual maraviglia se di sùbito arsi? 8

Non era l’andar suo cosa mortale, Non era l’andar suo cosa mortale,
ma di celeste forma, e le parole ma d’angelica forma, et le parole
sonavan altro, che pur voce umana. 11 sonavan altro che pur voce humana: 11

O dunque, Stella accesa, o vivo Sole, uno spirto celeste, un vivo sole
madre di Dio, ch’in ciel sei tanta e tale, fu quel ch’i’ vidi; et se non fosse or tale,
prega per me, e tien mia vita sana. 14 piagha per allentar d’arco non sana. 14

I primi tre versi sono perfettamente identici. Al verso 4 introduce la parola ‘pietà’ ® primo segno di uno
scarto, un dirottamento in direzione diversa. Nella seconda quartina arriva l’assunzione in cielo di Maria,
che cambia fortemente rispetto a Petrarca. Ma fatta questa deviazione, si ritorna dentro al testo di Petrarca
(la prima terzina è identica). Angelificazione di Laura viene usata per un fenomeno teologicamente cor-
retto. L’ultima terzina invece diventa una vera e propria preghiera, un’invocazione alla Vergine con ri-
chiami al lessico squisitamente teologico.
Testo che può essere tranquillamente letto e recitato anche in forma privata come una preghiera. Opera-
zione particolarmente attenta al dettato petrarchesco, non è davvero una censura di Petrarca, ma solo una
rivisitazione.
SONETTO 353
Sonetto che nella versione mandata a stampa è tra gli ultimi testi del Canzoniere stesso (vicino a quelli
spirituali). È di natura quasi malinconica, una sorta di elegia rispetto alla vita che passa, disperazione
rispetto al tempo che va.
Malipiero lo riscrive modificando la polarità emotiva: diventa un sonetto gioioso, un inno verso Dio e
verso la sua capacità di produrre una natura florida.
Malipiero Rvf 353

Vago augelletto che cantando vai, Vago augelletto che cantando vai,
non ripensando alcun tuo duol passato, over piangendo, il tuo tempo passato,
ma sol quel ch’è presente, e hai da lato vedendoti la notte e ’l verno a lato
il seren, l’erbe fresche e i fiori gai, 4 e ’l dì dopo le spalle e i mesi gai, 4

e lodi il Creator, come tu sai, se, come i tuoi gravosi affanni sai,
e quanto porge il natural tuo stato, così sapessi il mio simile stato,
oh quanto allegri il mio cor sconsolato, verresti in grembo a questo sconsolato
levando il canto i dolorosi guai. 8 a partir seco i dolorosi guai. 8

Certo da te convien che pur impari I’ non so se le parti sarian pari,


ad esser grato a quel che mi dà vita, ché quella cui tu piangi è forse in vita,
ver cui gli affetti miei son tanto avari. 11 di ch’a me Morte e ’l ciel son tanto avari; 11

Però qui spesso tua voce gradita ma la stagione et l’ora men gradita,
si faccia udir, che addolcirà gli amari col membrar de’ dolci anni et de li amari,
pensier il canto, che amar Dio m’invita. 14 a parlar teco con pietà m’invita. 14

Il sonetto di Malipiero diventa una lode a Dio com’è evidente già dalla seconda quartina.
Io lirico appare, ma invece di trovarvi assonanza con la sua malinconia, trova sollievo nell’osservare la
felicità della natura. Il ‘vago augelletto’ che canta gli deve insegnare la gratitudine nei confronti di Dio.
Conclusione positiva: natura ha un effetto di sostegno alla fede dell’Io lirico.

117
Verso 8 (Petrarca) ® condividere con me i dolori della vita: affinità sì, ma negativa! Possibilità dell’elegia
che in Petrarca è negata. Il ricordo della gioia passata mi invita a parlare con te = tutt’altra caratterizza-
zione ideologica rispetto a quello di Malipiero.
LE RIME SPIRITUALI (1546) DI VITTORIA COLONNA
Se questa è la forma più semplice (ma estremamente efficace) del petrarchismo spirituale, ce n’è anche
una versione molto più sofisticata e delicata.
Vittoria Colonna ® aristocratica che dedica la prima parte della sua produzione lirica soprattutto a poesia
d’amore per suo marito (importante comandante militare) e che alla sua morte trasforma in poesia vedo-
vile. Seconda stagione: temi religiosi = poesia pensata in forma di riflessione personale di carattere spiri-
tuale. Riforma che non ha finalità di educare i suoi lettori, ma è un’operazione vissuta come dialogo per-
sonale, poesia come esperienza intima, da condividere al massimo con una ristretta cerchia di figure affini.
Appartiene al gruppo degli ‘spirituali’, che nella chiesa cristiana e romana costituisce una vera parte e da
un lato intende dialogare col mondo protestante, aprendo riflessione teologica senza pregiudizi. Cerca
anche di avere peso e ruolo all’interno della chiesa per riuscire a modificare le politiche della chiesa stessa.
Ne fa parte anche il cardinale inglese Reginald Pole, sostenitore forte della Riforma (nel 1549 per un solo
voto non diventa papa). Giampietro Carafa è il papa eletto al suo posto (l’“inventore” della guerra ai
protestanti): secondo lui il mondo cattolico deve difendersi da quello protestante: via via diventa sempre
più crescente il fenomeno di catechismo e inquisizione.
Vittoria Colonna vive in questa comunità influenzata dallo spagnolo Juan Valdes ® propone visione della
fede cristiana particolarmente ascoltata, in virtù della quale l’esperienza del cristiano è soprattutto legata
a percorso spirituale personale grazie al quale il cristiano può conoscere la grazia di Dio in virtù di un
dono elargito da Dio al singolo fedele. Non c’è nessuna costruzione ecclesiastica che interessi a Valdes: la
strada il cristiano la trova da solo attraverso la contemplazione e la lettura dei testi, individualmente. Tutto
ciò che si vede all’esterno secondo Valdes è inutile: nessun uomo può valutare la “qualità” di un cristiano,
solo Dio lo può fare. Un cristiano deve meditare da solo cercando di avvicinarsi progressivamente a Dio.
Religiosità è quindi un’esperienza privata.
Tutto questo comporta la rappresentazione di una figura come quella di un cristiano che rinuncia al con-
fronto con la Chiesa, perché lo sente non necessario. Proposta quindi che agli occhi della Chiesa cattolica
non poteva essere ricevibile, in quanto toglie centralità all’istituzione.
La poesia di Vittoria Colonna è strumento principale attraverso cui dà spazio alla sua esperienza religiosa:
è poesia che non pensa per la pubblicazione, ma come strumento personale di riflessione e di scambio con
altri che condividono la sua dimensione religiosa. Allestisce quindi manoscritti che invia ad amici privile-
giati. Uno di questi celebre è inviato a Michelangelo, che negli ultimi anni della sua vita sente con forza il
dilemma di carattere religioso.
SONETTO PROEMIALE DELLA STAMPA 1546 E DEL MANOSCRITTO VAT. LAT. 11539
Sonetto nel quale Vittoria Colonna dichiara una nuova e diversa interpretazione della sua poesia, che è
esclusivamente religiosa e che fa della riflessione personale il tema unico della poesia. Dichiara di abban-
donare la poesia d’amore, se pur vedovile, e da un altro lato ribadisce la volontà di dedicarsi solo alla
contemplazione della figura di Cristo. Riflessione del cosiddetto beneficio di Cristo: dono che Dio ha fatto
agli uomini che va continuamente ripensato.
Poi che ’l mio casto amor gran tempo tenne
l’alma di fama accesa, ed ella un angue
in sen nudrio, per cui dolente or langue
volta al Signor, onde il rimedio venne, 4

118
8
i santi chiodi ormai sieno mie penne,
e puro inchiostro il prezïoso sangue,
vergata carta il sacro corpo exangue,
sì ch’io scriva per me quel ch’Ei sostenne. 8
Chiamar qui non convien Parnaso o Delo,
ch’ad altra acqua s’aspria, ad altro monte
si poggia, u’ piede uman per sé non sale; 11
quel Sol ch’alluma gli elementi e ’l Cielo
prego, ch’aprendo il Suo lucido fronte
mi porga umor a la gran sete equale. 14
Poiché il mio casto amore (= dedicato al marito morto), che per lungo tempo mi ha intrattenuto a fare
poesia, mi ha tenuto l’anima accesa di desiderio e di fama, e lei, ha nutrito dentro di sé un serpente (=
tentazione di poesia non religiosa), per cui adesso lacrima e dolente volta verso il Signore: dichiarazione
nuova poetica. I chiodi e il sangue di Cristo diventino le mie penne per scrivere, etc. tanto che io scriva
per me allo scopo di redimermi ® quasi impossessamento fisico della crocifissione di Cristo che viene
interpretata da Vittoria Colonna.

Nella seconda parte si capisce che le divinità a cui si rivolge non sono quelle pagane. Verso 10 ® ‘altra
acqua’ è ora l’acqua battesimale e ‘altro monte’ non è il Parnaso ma il Paradiso, dove si giunge attraverso
l’aiuto della grazia divina (e non per la forza dell’uomo).
Quel sole (Dio) che illumina gli elementi e il cielo, sia in grado di placare la mia sete ® anima del cristiano
che si rivolge a Dio chiedendo di essere aiutato, cercando una personale salvezza.
SONETTO 54
Sonetto dedicato al miracolo dell’incarnazione: nodo teologico complesso, e questa complessità teologica
è ricostruita attraverso l’uso insistito di strutture chiastiche (es. verso 4), elementi che si incrociano fra di
loro, e anche legato a uno stile che si fa grave. Giogo impedimento a piena acquisizione della grazia divina
® riscrittura, risemantizzazione dei termini tipici della poesia di Petrarca.
Quel pietoso miracol grande, ond’io
Sento, la sua mercé, due parti estreme,
il divino e l’uman, sì giunte insieme
ch’è Dio vero uomo e l’uomo è vero Dio, 4
erge tant’alto il mio basso desio
e scalda in guisa la mia fredda speme
che ’l cor libero e franco più non geme
sotto l’incarco periglioso e rio. 8
Con la piagata man dolce e soave
giogo m’ha posto al collo, e lieve peso
sembrar mi face col Suo lume chiaro; 11
a l’alme umili con secreta chiave
apre il tesoro Suo, del qual è avaro
ad ogni cor d’altere voglie acceso. 14

Verso 1 ® venuta di Cristo. Altro elemento che va in direzione della gravitas è metricamente l’inarcatura:
‘ond’io’ richiede di scendere al verso successivo per completare la frase. Gioco chiastico al verso 4 che
permette di esprimere la densità del nucleo teologico. Questo sacrificio è l’elemento che innalza il cuore
dell’Io lirico (femminile), perché il ‘basso desio’ viene spinto verso l’alto grazie al cuore che si libera dal
peccato originale.

119
Piegata man = mano con le stigmate di Cristo. Benedizione per cui Cristo trasforma il giogo in qualcosa
di positivo, non in un elemento di costrizione, ma un aiuto che Cristo dà all’uomo per salvarsi. Chi ha il
cuore consumato dalle voglie mondane, impedisce a Cristo di entrare nel suo cuore = disposizione dell’Io
a rendere possibile un incontro con Cristo.
SONETTO 45
Affronta in modo diretto uno dei temi più dibattuti della teologia cinquecentesca: rapporto giustificazione
per fede e giustificazione per opere. Lettura valdesiana riduce a nulla il peso delle opere: anzi è il rischio
di una fede esteriore, apparente, che non tocca la fedeltà dell’animo ma che si illustra solo esternamente.
Solo la gratuità dell’intervento divino consente la salvezza. Uomo deve cercare di vivere questa esperienza
nella sua intimità, nella sua riflessione autonoma che un po’ alla volta gli permette di avvicinarsi a Dio.
Vanno i pensier talor carghi di vera
fede al gran Figlio in croce, ed indi quella
luce, ch’Ei porge lor serena e bella,
li guida al Padre in glorïosa schiera; 4
né questo almo favor rende più altera
l’alma fedel, poi che fatta è rubella
del mondo e di se stessa; anzi rende ella
a Dio de l’onor suo la gloria intera. 8
Non giungon l’umane ali a l’alto segno
senza il vento divin, né l’occhio scopre
il bel destro sentier senza ’l gran lume. 11
Cieco è ’l nostro voler, vane son l’opre,
cadono al primo vol le mortai piume
senza quel di Gesù fermo sostegno. 14

Talvolta i pensieri gravidi di fede vera (fede come unico strumento di rapporto con Dio), succede che
vanno a ripensare alla passione di Cristo, che quella luce, l’illuminazione che offre quella esperienza, per-
mette ai pensieri di raggiungere l’alto dei cieli.
Né questo favore edificante (‘almo’) rende l’anima orgogliosa. Comprendere la legge di Dio significa quasi
ribellarsi alle leggi del mondo; e riconosce che è solo grazie a Dio che ha ottenuto questa esperienza.
Anima non ha nessun merito, è semplicemente illuminazione che Dio offre.
Non giungono all’alto segno le ali umane attraverso le forze dell’uomo, in assenza di un sostegno, il vento
divino; né l’occhio da solo vede il sentiero corretto per andare verso Dio ® le opere, le azioni che l’uomo
compie, sono inutili senza il sostegno di Gesù, senza la grazia che arriva al cristiano dall’amore incondi-
zionato che Dio gli offre.
Lettura teologica da questo punto di vista particolarmente chiara in rapporto al disconoscimento del mes-
saggio ribadito con forza dalla fede cattolica, dove le opere sono parte fondante del percorso spirituale e
costituiscono anche sistema di disciplinamento della fede, dove è l’istituzione che può perdonare, arrivare
all’indulgenza, etc. Ma per l’uomo la grazia di Dio è imperscrutabile.
LE RIME DI MICHELANGELO BUONARROTI
Il destinatario delle rime di Vittoria Colonna è Michelangelo Buonarroti. Il petrarchismo apre a una platea
di interpreti della poesia molto larga, e una delle quote di autori che si aggiungono è quella degli artisti. Il
nome di Michelangelo colpisce per la sua importanza artistica in questa stagione culturale; ci si chiede se
lui si sia ritenuto un poeta, perché la maggior parte delle cose che scrive sono sotto forma di abbozzi, che
Michelangelo compone per se stesso.

120
Produzione che si può dividere in due parti: quota di carattere amoroso e una parte, soprattutto confinata
nell’ultima parte dell’esistenza, di carattere spirituale. La parte amorosa è stata edita da un suo erede con
grande mistificazione del testo, perché lui le dedica al suo amante, che era un uomo, e il nipote converte
questi testi per poterli pubblicare, rendendoli più compatibili coi costumi culturali del tempo.
Michelangelo non ha formazione culturale classica, è fiorentino, quindi accanto a un avvicinamento a
poesia di natura petrarchesca si sente fortemente influenza dantesca e fiorentina municipale. In alcune
parti della sua poesia soprattutto spirituale si avverte spiritualità densa, conflittuale, molto forte, nella
quale Michelangelo si rappresenta come un fedele consapevole del suo peccato, rispetto al quale chiama
a gran voce intervento forte di Dio. Intervento che si manifesta quasi con violenza nel gesto che Dio do-
vrebbe compiere per salvarlo.
SONETTO 1
Sonetto inizia con sorta di confessione delle proprie colpe.
Vorrei voler, Signor, quel ch’io non voglio:
tra ’l foco e ’l cor di ghiaccia un vel s’asconde
che ’l foco ammorza, onde non corrisponde
la penna all’opre, e fa bugiardo ’l foglio. 4
I’ t’amo con la lingua, e poi mi doglio
c’amor non giunge al cor; né so ben onde
apra l’uscio alla grazia che s’infonde
nel cor, che scacci ogni spietato orgoglio. 8
Squarcia ’l vel tu, Signor, rompi quel muro
che con la suo durezza ne ritarda
il sol della tuo luce, al mondo spenta! 11
Manda ’l preditto lume a.nnoi venturo,
alla tuo bella sposa, acciò ch’io arda
il cor senz’alcun dubbio, e te sol senta. 14

Espressione di incapacità di orientare la sua anima verso Dio. C’è qualcosa (‘vel’) che impedisce al mio
cuore di ardere finalmente di fede vera. Per cui ciò che dico non è vera espressione di ciò che vorrei
provare.
Rapporto di sincerità della fede che sembra far evocare possibili tangenze con fede interpretata come
esame interiore: quello che dico non corrisponde a quello che provo interiormente. Gratuità della grazia:
non so come illuminare la mia anima attraverso la grazia in modo tale che scacci, elimini ogni orgoglio.
Esortazioni violente: squarcia il velo (quello del verso 2), rompi il muro (violenza). Manda questa luce alla
tua bella sposa (= anima) che finalmente può essere illuminata dalla grazia di Dio e può sentire la tua luce.
Dichiarazione dove dichiara di essere impotente, incapace di salvarsi senza la grazia di Dio
SONETTO 2
Scritto da un Michelangelo quasi ottantenne che riconsidera il suo percorso spirituale: capisce come ap-
prodo a serenità interiore sia molto lontano dall’essere raggiunto e anzi è molto abrasivo nei confronti
delle sue debolezze, in virtù delle quali arriva quasi a disprezzare tutto ciò che ha fatto.
Le favole del mondo m’hanno tolto
il tempo dato a contemplare Iddio
né sol le grazie sue poste in oblio,
ma con lor, più che senza, a peccar volto. 4

Quel c’altri saggio, me fa cieco e stolto

8
121

11
e tardi a.rriconoscer l’error mio;
manca la speme, e pur cresce il desio
che da te sia dal proprio amor disciolto. 8

Amezzami la strada c’al ciel sale,


Signor mie caro, e a quel mezzo solo
salir m’è di bisogno la tuo ’ita. 11

Mettimi in odio quante ’l mondo vale


e quante suo bellezze onoro e colo,
c’anzi morte caparri etterna vita. 14

‘Le favole’ = la vanità, del mondo, che ho inseguito, mi hanno tolto il tempo per fare l’unica cosa che
dovevo fare, cioè contemplare Dio. Proprio perché ho avuto un dono, ma l’ho sprecato andando in dire-
zione del peccato. Riconoscimento della propria capacità ma sterilità dell’uso di questa. Ciò che ad alcuni
induce riconoscimento delle proprie colpe, a me rende lento (tardi). Nonostante la speranza venga meno,
cresce il desiderio che il mio amore sia sconfitto da te.
Riduci la strada che io devo fare per salire e venire verso di te; il tuo aiuto mi serve per accorciare la strada;
fammi disprezzare ciò che il mondo apprezza.
Desiderio quasi di disprezzare tutto ciò che ha fatto e amato in vita perché ostacolo alla salvezza personale.
Espressione importante di poesia intesa non solo come preghiera, ma occasione per condensare condi-
zione personale rispetto alla dimensione religiosa. Petrarchismo rende possibile anche questa espressione.
Petrarchismo spirituale diventa specializzazione della poesia lirica cinquecentesca.
27.04.21

FRANCESCO PETRARCA
Esperienza centrale non solo nella storia della lirica italiana, ma che ha segnato uno scarto all’interno della
tradizione letteraria complessiva. L’influenza del modello di Petrarca sarà molto duratura sia nell’ambito
della letteratura in lingua italiana, sia nella cultura umanistica e nel movimento di riscoperta dell’antico.
BIOGRAFIA
Nasce nel 1304 ad Arezzo: fama di toscano, ma di fatto, fu costretto ad andarsene presto, perché il padre
è legato ai guelfi bianchi, sodale di Dante e come lui costretto a fuggire. Dopo una complessa e difficile
trattativa finisce ad Avignone, sede in quel momento del papato. Infanzia di Petrarca: ambiente non ita-
liano e fortemente cosmopolita: corte aperta, con diverse componenti culturali, che non vive dimensione
strettamente legata alle lotte comunali caratteristiche dell’Italia. Indirizzato ben presto dal padre (funzio-
nario alla corte = bassa aristocrazia) che lo invia a studiare diritto prima a Montpellier e poi nel 1320 a
Bologna. Periodo della formazione universitaria fu non del tutto felice: totale estraneità dalla dimensione
giuridica (scarsa vocazione agli studi); avversione sostanziale contro la cultura universitaria (per lui vec-
chia, incapace di interessarlo, legata a strumenti e biblioteca ideale che non lo appassionano per niente).
In questa prima stagione matura in Petrarca l’interesse per le lettere, in particolare le lettere classiche.
Virgilio (il suo libro preferito), S. Agostino (continuerà a proiettarsi nella sua opera). Studio sempre più
appassionato dei classici, comincia a costruire una biblioteca che diventerà tra le più ammirate d’Europa,
con i libri ripieni di sue postille ® annotazioni che testimoniano una serie di interessi di Petrarca: talvolta
personali (tipo diario); commento ai testi e ricostruzione filologica dei testi, ricostruendo un universo
culturale per lui tutto nuovo = universo dei classici latini letti senza alcuna influenza di carattere religioso.
Le postille sono tutte in latino: è questa la lingua d’uso per Petrarca. Il volgare lo riserva solo per la poesia,
per il Canzoniere e per i Trionfi.

122
Questo elemento segna un passaggio importante: ben presto, nel 1326 muore il padre, e quindi Petrarca
è costretto a cercare lavoro. Ritorna ad Avignone ed entra in servizio della famiglia Colonna (una delle più
potenti legate al papato), inizia percorso per vita ecclesiastica, ma può anche dedicarsi quasi esclusiva-
mente ai propri studi (non deve più seguire il cursus pensato dal padre). In questa fase inizia il lavoro di
scavo filologico che Petrarca conduce sui testi antichi: riscopre testi dimenticati (es. di Cicerone) ® ag-
giunge a questo universo. Alcune di queste opere sono importanti per lui perché anche celebrano la po-
tenza della forza poetica e della poesia laica, che ha funzione civilizzatrice di grande respiro. Petrarca
inaugura la filologia: inizia un lavoro di ripulitura dei testi, si pone il problema della qualità del testo che
sta leggendo, e prova a risalire alle versioni originali dei testi ® storicizzazione del patrimonio culturale
latino, vuole leggerlo nella sua vera dimensione. Privilegia alcuni autori, in particolare Cicerone e Seneca,
in quanto autori di riflessioni morali che hanno grande incidenza anche nel mondo medievale.
Petrarca in questo periodo non scrive nessuna opera: nel 1336 compie il suo primo viaggio a Roma, dove
può vedere dal vivo la grande civiltà di cui legge. Inizia a disegnare proposta culturale più ampia che è la
celebrazione del mondo antico anche nel mondo presente. Contemplazione dell’antico in gioco emulativo:
renovatio, rinnovamento, che comporta il disconoscimento dell’eredità dei propri padri per rifarsi a ori-
gine antica, classica, che vengono riportati al presente e rivitalizzati.
Dopo il 1337 e fino al 1341 Petrarca si ritira a est di Avignone, in Val Chiusa, luogo che caratterizzerà
diversi momenti della sua vita: ritiro in zona lontana dalla città che gli permette una vita di studio e di
isolamento. Tutta la sua vita sarà caratterizzata da questa alternanza tra vita politica e sociale e momenti
di isolamento e immersione nello studio. L’isolamento è un momento di grandi rapporti epistolari, è frut-
tuoso, non monacale. È in questo momento che progetta le prime due opere importanti: l’Africa (poema
epico), il De viris illustribus (degli uomini celebri, raccolta di biografie) ® il De viris prevede 22 medaglioni
biografici di figure della storia romana. Biografie che si costruiscono in celebrazione dell’antica Roma, ma
le costruisce raccogliendo tutte le informazioni possibili su queste persone = lavoro di collazione per ve-
rificare veridicità delle info. Metodo filologico diventa base per costruire racconto storiografico. Finalità
del De viris vuole anche proporre modelli esemplari per il presente (campionario di grandi figure del
passato). Celebrazione di una Roma antica pensata per il presente. L’Africa viene iniziata a comporre tra
1338 e 1339: Petrarca non la finirà mai; la storia che ci racconta è un’idea legata alla prosecuzione
dell’epica latina, nella quale ancora una volta celebra l’antica storia di Roma. Dei pezzi di questo poema
però sono circolati immediatamente: ha subito una fortuna nella sua produzione latina, come “nuovo
Virgilio”.
1341 ® un Petrarca autore di poche opere, viene laureato poeta a Roma. Petrarca dice che gli arrivano
due proposte di laurea (= riconoscimento di autorevolezza), da Parigi e da Napoli, da Roberto d’Angiò;
rifiuta riconoscimento dell’università, mentre la celebrazione di questa sua laurea poetica lo incorona
come figura, forse anzitempo, portante della letteratura italiana. 1341-1348, post-laurea, Petrarca vive sta-
gione inquieta che lo vede girare frequentemente per l’Italia (Parma, Verona, Mantova), con alcune diffi-
coltà.
Rapporto fra Petrarca e politica: non facile e sfuggente; forte comparazione con Dante (che ha fatto della
politica la sua vita). In questa stagione Petrarca cambia luogo di residenza (= invito a vivere a corte dei
signori regionali), e il rapporto politico suscita a volte reazioni negative fra i suoi amici. Petrarca ribadisce
sempre la sua autonomia dal potere politico, non volendosi vedere compromesso con nessuno. Ma non è
del tutto alieno alla politica ® da ricordare l’avventura che si svolge a Roma con protagonista Cola di
Rienzo, che vi prende potere (in contrasto con le famiglie locali), nel tentativo di ricreare centralità di
Roma nel panorama europeo. Petrarca lo vede come un proprio progetto e decide di andare verso Roma
per sostenere Cola di Rienzo: così significa rompere rapporto con la famiglia che gli ha dato sostentamento
fino ad allora (i Colonna). Ma l’avventura finisce male e Petrarca si trova a metà strada: da questo momento

123
in poi Petrarca esclude azioni dirette e personali nella politica. In questo periodo compone diverse opere
in latino, fra cui il De otio religioso (legato alla visita che Petrarca fa a suo fratello che si è fatto monaco) e
il De vita solitaria (opere dedicate alla vita ritirata dell’intellettuale e la vita religiosa).
Anni decisivi: 1348 anno portante per la storia europea perché è l’anno della peste nera; Petrarca da questa
esperienza sembra riprogettare complessivamente la sua opera letteraria: ne ridisegna in modo radicale il
suo progetto. In questa fase la sua produzione acquista un tratto autobiografico, tutto dedicato alla rifles-
sione sul sé. In particolare progetta più libri: il Canzoniere (le rime, il Rerum vulgarium fragmenta), le
Familiares (lettere familiari, in latino), le Epistole (componimenti in versi latini; titolo attribuito da noi), il
Secretum (opera che riscrive più volte e costituisce un dialogo fra personaggio chiamato Francesco, e S.
Agostino sotto lo sguardo della Verità: sorta di esame di coscienza interiore, è come se i due personaggi
fossero lo stesso in momenti diversi). Opere che hanno come elemento forte il tema preponderante della
morte: è così incombente che obbliga a riflettere su se stessi. Nelle Familiares così come anche nel Canzo-
niere Petrarca cerca di ricostruire una biografia ideale di se stesso: vuole ridare forma attraverso la lette-
ratura alla sua interiorità.
FAMILIARI IV.1
Lettera nella quale Petrarca costruisce un racconto esemplare: immagina di raccontare a un amico di una
gita in montagna col fratello. Nella lettera Petrarca ci dice che questo è avvenuto nel 1336. Scritta con fitta
tramatura simbolica, ricostruzione attenta dei dettagli: verosimilmente scritta negli anni ’50, un Petrarca
che è come se stesse ricostruendo la sua biografia.
[1] Oggi, spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di
questa regione che non a torto chiamano Ventoso. Da molti anni mi ero proposto questa gita; come sai infatti, per
quel destino che regola le vicende degli uomini, ho abitato in questi luoghi sino dall’infanzia e questo monte, che
a bell’agio si può ammirare da ogni parte, mi è stato quasi sempre negli occhi. […] [19] Ma ecco entrare in me
un nuovo pensiero che dai luoghi mi portò ai tempi. «Oggi» mi dicevo «si compie il decimo anno da quando,
lasciati gli studi giovanili, hai abbandonato Bologna: Dio immortale, eterna Saggezza, quanti e quali sono stati nel
frattempo i cambiamenti della tua vita! Tanti che non ne parlo; del resto non sono ancora giunto in porto al punto
da rievocare, al sicuro, le trascorse tempeste. [20] Verrà forse un giorno in cui le potrò tutte enumerare nell’ordine
stesso in cui sono avvenute, premettendovi le parole del tuo Agostino: ‘Voglio ricordare le mie passate turpitudini
e le devastazioni della carne nella mia anima non perché le ami, ma per amare te, Dio mio’. [21] Troppi sono
ancora gli interessi che mi producono incertezza e impaccio. Ciò che ero solito amare non amo più; mento: lo
amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la
verità. È proprio così: amo ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia,
nella costrizione, nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta:
‘Ti odierò, se posso; se no, t’amerò contro voglia’. […] [26] Mentre ammiravo questo spettacolo in ogni suo
aspetto e ora provavo qualche gusto delle bellezze terrene e ora, come avevo fatto con il corpo, levavo più in alto
l’anima, credetti giusto dare uno sguardo alle Confessioni di Agostino, dono del tuo affetto, libro che in memoria
dell’autore e di chi me l’ha donato porto sempre con me: libretto di piccola mole ma d’infinita dolcezza. L’apersi
per leggere quello che mi cadesse sott’occhio: quale pagina poteva capitarmi che non fosse pia e devota? [27] Era
il decimo libro. Mio fratello, che attendeva per mia bocca di udire una parola di Agostino, era attentissimo. Lo
chiamo con Dio a testimonio che dove dapprima gettai lo sguardo vi lessi: «E vanno gli uomini ad ammirare le
vette dei monti, i vasti flutti del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’Oceano, le orbite
degli astri, e trascurano se stessi». [28] Stupii, lo confesso; e pregato mio fratello che desiderava udire altro di non
disturbarmi, chiusi il libro sdegnato con me stesso dell’ammirazione che ancora provavo per cose terrene quando
già da tempo, dagli stessi filosofi pagani, avrei dovuto imparare che «niente è da ammirare tranne l’anima, di
fronte alla cui grandezza non c’è nulla di grande».
[29] Soddisfatto oramai e persino sazio della vista di quel monte, rivolsi gli occhi della mente in me stesso e da
allora nessuno mi udì parlare per tutta la discesa: quelle parole tormentavano il mio silenzio. [30] Non potevo
certo pensare che tutto fosse accaduto casualmente; sapevo anzi che quanto avevo letto era stato scritto per me,
non per altri; tanto più che ricordavo ciò che di se stesso aveva pensato Agostino quando, aprendo il libro
dell’Apostolo, come lui stesso racconta, lesse queste parole: «Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli

124
amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie; ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non asse-
condate la carne nelle sue concupiscenze». […]

Processo di ricostruzione memoriale. Il luogo e l’occasione obbligano Petrarca a ripensare alla propria
biografia. In questo momento, non è in grado di ripensare al proprio passato: non è in grado di scrivere
qualcosa che metta in fila gli eventi della sua vita.

Progetto del Canzoniere [20] ® in questa lettera ci dice che non è pronto a scriverlo. Sentenza agostiniana
che dice: riconsidero il mio giovanile errore non per amarlo, ma per riconoscerne l’errore e per trovare la
strada giusta che porti alla salvezza. Qui solo ancora un’ipotesi, non sviluppabile perché non è ancora
pronto (e infatti spiega perché non può farlo). Interessi sono ‘quanto piace al mondo e breve sogno’ (so-
netto 1) ® quello che piace al mondo è per Petrarca troppo attraente per poter riflettere e distaccarsi dal
proprio passato.
Gioco, rappresentazione di un pensiero che si svolge sotto la pena, contraddizione continua: è la rappre-
sentazione più tipica di Petrarca, di un sé in movimento, che continua a rappresentare se stesso. All’inse-
gna della problematicità, che si trasferisce sulla pagina come moto perpetuo dell’instabilità.
Racconto della gita (saltato) con grandi elementi allegorici: Gherardo è colui che va diretto alla vetta,
Petrarca cerca scorciatoie, si ferma perché stanco, è continuamente pigro, non riesce ad affrontare la salita
senza timori. Nonostante le vicende travagliate della salita, arrivano in cima e contemplano il panorama.
[26] Simbolicamente Agostino e le sue Confessioni sono qualcosa che Petrarca deve portare sempre con
sé ® cfr. bibliomanzia (aprire a caso un libro e leggerne un passaggio). Così fa Petrarca, compiendo la
stessa operazione compiuta da Agostino.
Fotografia della situazione: è in cima alla montagna, ammira il mondo, ma dimentica di curare la sua
anima. E questo gli dice Agostino. Petrarca si vergogna perché dentro di sé sa già che è questa la strada
da seguire: gliel’hanno insegnata Agostino e la cultura classica ® necessità di dedicare solo a se stesso il
suo operato. Come un monito ad andare in questa direzione da subito, ma Petrarca si dichiara incapace
di farlo.
In questa lettera c’è un primo episodio di questa lunga vicenda biografica, dove Petrarca vive lo sbigotti-
mento in seguito all’autocoscienza, sa qual è il suo errore ma non riesce ad abbandonarlo. E la letteratura
costituisce per Petrarca un banco di miglioramento: a questa altezza non è ancora in grado di riprendere
le tessere del suo passato e a ricostruirle.
[29] Ricorda l’episodio che aveva convinto Agostino a convertirsi: Petrarca vive una condizione simile,
ma Petrarca è ancora molto lontano dalla sua conversione letteraria (la lettera è ambientata nel 1336).
Scritta negli anni ’50, mostra un passato che viene ricostruito anche in funzione del presente.
FAMILIARI I.1
Lettera che segna l’esordio delle Familiares. Qui descrive il suo progetto letterario, in toni drammatici,
interiorizzando il senso della peste, a cui l’attacco è violentemente legato.
[1] Che fare ora, fratello? Ecco: quasi tutto abbiamo tentato, e mai la pace. Quando averla? Dove cercarla? I
giorni, come dicono, ci sono scivolati tra le dita; le nostre antiche speranze sono sepolte con gli amici. [2] Il mille
trecento quarantotto è l’anno che ci ha reso poveri e soli; esso infatti non ci ha tolto ciò che potrebbe essere
restituito dal mar d’India, dal Caspio o dal Carpatico; le ultime sventure rimangono senza rimedio: dove la morte
ha colpito, la ferita è incurabile. Abbiamo un solo conforto. Anche noi seguiremo coloro che ci hanno preceduto.
Quanto possa esser breve quest’attesa, non so; questo so, che non può essere lunga. E per quanto piccola non può
che essere amara. [3] Ma almeno sul principio dobbiamo limitare i lamenti. Cosa tu pensi di fare, fratello, o che
propositi abbia non so; io preparo ormai le valigie e come chi sta per partire vedo cosa portare con me, cosa
dividere fra gli amici, cosa dare alle fiamme. Non ho nulla da vendere. Sono però più ricco, meglio, più impacciato
di quanto pensassi: in casa mia c’è un’enorme quantità di scritti di vario genere sparsi e abbandonati. Ho frugato

125
nei cassetti più riposti e pieno di polvere ho spiegato carte già mezzo corrose. Mi hanno nociuto il topo importuno
e il voracissimo popolo delle tignole; e il ragno, nemico di Pallade, si è vendicato del cultore dell’arte di Pallade.
[4] Ma non c’è nulla che non riesca a spezzare un duro, prolungato lavoro. Circondato da quel caotico cumulo di
lettere, assediato da quella farragine di carte, il mio primo istinto fu di gettare tutto alle fiamme e di scansare una
fatica senza gloria; ma poi (sai come i pensieri nascono dai pensieri) mi sono detto: «Che cosa ti impedisce, come
se fossi uno stanco viaggiatore su un’altura, di riguardare indietro e di rievocare, ripercorrendoli passo passo, gli
affanni della tua giovinezza?» Alla fine mi risolsi, perché se non proprio sublime non mi sembrò neppure fatica
sgradevole quella di riandare ai miei pensieri di allora. [5] Ma in tutto quel caos non ti so dire quanto quei fogli
mi apparissero torbidi e contraddittori; alcuni non li riconoscevo neppure, e non perché fosse mutato il loro
aspetto ma perché era cambiato il mio modo di pensare; altri invece mi suscitavano non senza un certo compiaci-
mento il ricordo del tempo trascorso. [6] Ed erano parte in libera prosa, parte regolati dal metro d’Omero (rara-
mente ho usato delle cadenze d’Isocrate); e ce n’erano anche di rivolti a lusingare l’orecchio del volgo, posti sotto
il vincolo di leggi loro proprie. Un genere questo che, risorto come è noto non molto tempo fa presso i Siciliani,
si è rapidamente diffuso per tutta Italia e oltre, comune una volta presso le antichissime popolazioni greche e
latine, giacché sappiamo che i poeti volgari attici e romani usarono comporre soltanto poesia ritmica. [7] Tanta
farragine di scritti così disparati mi tenne occupato per più giorni e, sebbene mi trattenessero quella non piccola
tenerezza e quell’affetto che ciascuno prova per le proprie cose, vinse alla fine l’amore per i lavori di maggior lena
che, da troppo tempo interrotti, mi sono ancora tra le mani nell’attesa generale; vinse il pensiero della brevità della
vita. Temetti, lo confesso, le sue insidie: che c’è infatti di più fugace della vita e di più incalzante della morte? [8]
Sbigottii al pensiero di quanto avevo osato intraprendere, delle fatiche e delle vigilie che mi attendevano: temerità,
pazzia anzi, mi sembrò l’affrontare in una vita così breve e dall’esito così incerto lavori tanto lunghi e certi e
distrarre in direzioni diverse l’ingegno che basterebbe appena per un’opera alla volta, soprattutto quando, come
sai, un’altra fatica mi attende, tanto più bella quanto più piena è la gloria che rispetto alle parole riposa sulle
azioni. [9] A che insistere? Ti dirò una cosa forse incredibile ma vera: ho preso, fra componimenti poetici di vario
genere e lettere familiari, mille e più pezzi e li ho gettati nel fuoco, e non perché in essi niente mi fosse piaciuto
ma perché a correggerli c’era più fatica che gusto! L’ho fatto non senza rincrescimento, te lo confesso – perché
vergognarmi della mia debolezza? –, ma bisognava trovare un pur doloroso rimedio alle angustie che mi tormen-
tavano, e ho fatto come con una nave troppo carica in alto mare quando la si alleggerisce anche con il lancio di
merce preziosa.[10] Senonché, mentre queste bruciavano, mi accorsi d’altre poche carte giacenti in un angoletto,
le quali, o perché conservate più dal caso che dalla mia volontà o perché da tempo trascritte dalle persone di casa,
avevano resistito alla vecchiezza che tutto consuma. Poche ho detto; ma temo che molte appaiano al lettore; allo
scrittore anche troppe. Con queste fui più indulgente e ho lasciato che vivessero: non tanto per il loro valore ma
perché ho badato al mio tornaconto; non presentavano infatti alcun bisogno di correzione. [11] Dopo aver sop-
pesato l’indole dei miei due amici, ho deciso di dividere i miei componimenti in questo modo: la prosa dedicarla
a te, la poesia al nostro Barbato; voi lo desideravate e io ve lo avevo promesso. Mi era infatti sembrato che mentre
stavo gettando con lo stesso impeto nel fuoco tutto quello che mi capitava tra le mani – in quel momento non
avrei risparmiato nulla – voi vi faceste avanti, uno a destra l’altro a sinistra, e, presami la mano, che mi steste
amichevolmente ammonendo a non sacrificare sulla medesima fiamma la mia parola e la vostra speranza. Questa
fu la vera ragione della loro salvezza; sennò, stanne certo, anch’esse sarebbero bruciate col resto.

Peste ha creato una crisi irreversibile che ha cambiato gli esseri viventi: unica conclusione è che tutti dob-
biamo morire. Questo evento ci obbliga a una riflessione diversa su di noi. Inizio posto con evidenza sotto
il segno della crisi universale e personale: qualcosa con cui è necessario fare i conti, che segna davvero la
svolta.
Altro tema: che cosa posso fare adesso, che siamo lasciati poveri? Guardo all’unica mia ricchezza, gli
scritti: che definisce ‘sparsi e abbandonati’. Il titolo che Petrarca assegna alla sua opera è Rerum vulgarium
fragmenta: frammenti, tessere sciolte di un mosaico che non si riesce a ricostruire; e qui li definisce nello
stesso modo.
‘Cumulo di lettere’ e ‘farragine di carte’ sono le Familiares e le poesie: il primo istinto è quello di bruciare
tutto. Richiamo alla lettera del monte Ventoso. Idea del passato che dev’essere continuamente rielaborato
e riscritto: il passato non è qualcosa di stabile, ma è qualcosa che va continuamente riletto e riscritto in
virtù del presente.

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Cambiamento interiore che fa ripensare tutto quello che ha scritto. disegno complessivo: le lettere latine,
le poesie latine e i componimenti volgari ® questi sono i materiali che seleziona per ricostruire la propria
autobiografia letteraria.
Da un lato riconosce l’inutilità dello sforzo del lavoro sulle opere latine; ma allo stesso tempo è preoccu-
pato dall’enorme lavoro che servirebbe per recuperare gli scritti. E allora butta tutto nel fuoco.
Qualcosa si è salvato: ciò che necessitava meno interventi, che ha deciso di mantenere. E da questo na-
scono tre opere letterarie, le uniche utili e le uniche per le quali deve impegnarsi, perché sono volte alla
cura di se stesso e sono un lungo scavo nell’interiorità, tutte e tre convergenti nella stessa idea: la medita-
zione del sé.
IL CANZONIERE
Da questo racconto si capisce come nasce il Canzoniere, la raccolta di poesie in volgare: vuole raccogliere
una serie organizzata di testi che sia in grado di ricostruire la storia della propria anima, che viene riela-
borata diversissime volte (dai primi anni ’50 alla morte Petrarca continua a rivedere il Canzoniere). Nel
corso del tempo congeda alcune versioni del suo Canzoniere, ma lo continua a riscrivere sia riorganizzando
i testi, sia aggiungendone. Modifica continua perché l’immagine dell’opera è per Petrarca se stesso: i fram-
menti volgari sono frammenti della sua anima, costruiscono un autoritratto con cui il poeta continua a
negoziare. Il grande lavorio che svolge per costruire il Canzoniere è tutto volto alla ricerca dell’armonia
perfetta.

Sonetto d’esordio ® composto nei primi anni ’50, nelle sue linee essenziali si propone come introduzione
all’opera; un’opera conclusa. Il sonetto obbliga il poeta a seguire una traiettoria, un racconto, che non ha
ancora costruito fino in fondo. Vuole ricostruire la propria storia personale alla luce di una saggezza rag-
giunta.
Siamo in grado di ricostruire varie redazioni del Canzoniere grazie ad alcuni strumenti: manoscritti che
documentano diversi passaggi; il manoscritto Vaticano Latino 3196 (codice degli abbozzi) = quadernetto
che testimonia il modo di lavorare di Petrarca (edizioni plurime, indicazioni personali del momento in cui
sono composti i testi e della loro collocazione). Normalmente distinguiamo le redazioni (riconoscibili,
concluse) dalle forme (stadi ancora non chiusi, stato fluido ma interessante dell’evoluzione del testo).
Definizione di raccolta: una prima si osserva e data al 1338, raccolta tutta legata alla dimensione mitolo-
gico-classica. Gioco letterario in cui i testi che raccoglie sono tutti legati al mito dafneo, in virtù del quale
Laura è rappresentata dalla ninfa Dafne e si trasforma in alloro per sfuggire ad Apollo. Mito con cui
Petrarca giocherà continuamente, immedesimando se stesso in Apollo. Mito declinato tantissime volte nel
Canzoniere, anche rovesciando i ruoli. Ma in questa prima raccolta è solo un gioco di cultura classica che
esclude qualsiasi introspezione: la poesia lirica è un divertissement.
REDAZIONE CORREGGIO
Prima redazione ® ricostruibile solo per via induttiva (non abbiamo il codice). Una delle narrazioni nar-
rativamente più compatte, più unitarie nella loro struttura; non si sa se sia già presente la divisione in due
parti.
Divisione in due blocchi. Blocchi che la tradizione ha sempre definito come rime in vita e rime in morte
di Laura, ma in modo filologicamente scorretto. Petrarca non aveva immaginato questo, tant’è che i primi
testi della seconda parte non parlano della morte di Laura. L’effetto che vuole creare è che il momento
della morte di Laura non è il momento della crisi dell’Io, ma è un momento che acuisce una crisi che c’è
già da tempo. È uno sconvolgimento ulteriore. Si potrebbe dire che la seconda parte del Canzoniere ha
come tema la morte in senso lato, in generale, non solo quella di Laura.

127
28.04.21
Wilkins ® ricostruisce precisa cronologia del lavoro di Petrarca. Osservare come allestisce e rivede il suo
Canzoniere è significativo per le ricadute critiche che elabora.
Codice degli abbozzi. Serie di carte sparse in cui si può vedere il lavoro che Petrarca fa sui suoi testi, grazie
al quale si può ricostruire il processo di formazione del testo.
Nesso tra testo 142 (sestina) e 264 (canzone). La canzone sarà sempre, stabilmente, la prima canzone della
seconda parte del Canzoniere. Il rapporto tra i due componimenti è stretto per motivi di natura tematica
e di echi lessicali: i testi sono pensati come un dittico. Questo ci permette di fare il punto sui meccanismi
che secondo la volontà di Petrarca regolano il Canzoniere: libro coeso con sua tensione narrativa e ideolo-
gica, costruito solo esclusivamente con la poesia ® ha una storia che si svolge. Elementi che permettono
la coesione:
1) Le connessioni intertestuali: meccanismi di richiamo fra i testi, gioco di echi e rimandi fra un testo
e il successivo. Non necessariamente legato alla continuità tematica, ma il lettore ha l’impressione
di essere sempre dentro lo stesso universo narrativo.
2) Continuità di tipo narrativo: si svolge una storia, che è la biografia di Petrarca e la storia d’amore
con una donna.
3) Presenza di protagonisti fissi: l’Io lirico, il contesto sociale al quale si rivolge e la dimensione
amorosa con protagonista Laura (altro grande elemento continuato). La definizione del perso-
naggio Laura è particolarmente difficile, perché rappresenta una sorta di prisma complesso che
comprende tante cose per Petrarca: “fantasma di Laura” dove il lettore si chiede se sia davvero
mai esistita.
4) Piccole serie continuate: nuclei tematicamente sviluppati in piccole serie di testi, che costituiscono
piccole sezioni narrativamente molto compatte.
5) Esplicita intenzione di inizio e fine (ha incipit ed explicit). Su come finisce la storia: cruccio che
durerà tutti i 20 anni della composizione del Canzoniere, chiusura a cui Petrarca sembra non
riuscire ad arrivare mai, sperimentando in tanti modi diversi.
SONETTO I
Composto a inizio anni ’50, ancora lontano dall’aver dato forma al Canzoniere nel suo insieme. Vicino
quindi alle lettere lette, ma quello che troviamo non corrisponde a un edificio già costruito; è un progetto,
che però vincola il poeta.
Dicotomia piani temporali: adesso – in passato. Rime diffuse in modo autonomo, che sono come tessere
sparse. Uomo anziano che giudica la sua parte precedente della vita e la bolla sotto il segno dell’errore:
termine chiave perché connotato moralmente. Verso 4 ® quando ero un uomo diverso (avevo una visione
del mondo diversa), ma IN PARTE: non c’è conversione totale, in parte è ancora quello che era un tempo.
Sorta di continuità sofferta per Petrarca.
In uno stile variato, che contempla sia il ragionamento, sia la sofferenza, fra le due polarità dell’amore
(speranza e dolore, sofferenza e speranza di amore felice), sono entrambe bollate sotto il segno della vani-
tas: sono entrambe inutili, non è che positivo o negativo possa modificare interpretazione della storia, sono
entrambe sbagliate. Spero che chi ha vissuto un’esperienza simile alla mia sia capace di perdonarmi e
compartecipare (pietas) al mio dolore.
Avversativa all’inizio tipica di Petrarca. Ma rispetto quello che ho appena detto, mi rendo conto di essere
stato oggetto di acre derisioni per lungo tempo, e spesso mi vergogno di me stesso. Confessione che fa
pubblicamente in cui è vergogna: non posso chiedere a un lettore di perdonarmi ma devo vergognarmi ®
e costruisce davanti ai nostri occhi questo scarto di pensiero.

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Il frutto finale di questa storia: il pentimento e la vergogna, che nascono dall’aver riconosciuto che tutto
ciò che appartiene al mondo terreno ha la consistenza dei sogni, è evanescente, è inutile. Riconoscimento
delle seduzioni vane del mondo che portano al pentimento.
Evidente traiettoria ideologico-narrativa ® qualcuno che ha vissuto sì errore giovanile ma poi ha trovato
strada di conversione e pacificazione interiore.
Petrarca ha idea molto chiara di cosa vuole fare col suo libro di rime, ma lo deve allestire. Ma fatica a
trovare un disegno che rientri in questo progetto.
SONETTO 292
Ultimo testo della redazione Correggio.
Prima parte riprende la descrizione canonica della bellezza femminile: sono rappresentati tutti gli elementi
che rendevano seducente la bellezza di Laura.
Costruzione: elenco descrittivo e sentenza finale = tutto ciò che era bello fino ad ora, ma ora non c’è più.
E io continuo a vivere, quindi devo sopravvivere a questo dolore. La morte di Laura e la morte in generale
impone prova ulteriore per cui io devo sopravvivere a questa condizione. Per cui io mi trovo a vivere e mi
addoloro e mi sdegno perché sono rimasto a vivere senza la guida che avevo nella mia vita in mezzo a una
tempesta (‘fortuna’) in una barca disarmata.
Ora, adesso, visto che non c’è più l’oggetto amoroso, smetto di fare poesia. La vena ispirazione è ormai
disseccata e la cetra è solo rivolta alle lacrime.
E il pentimento? E la conversione religiosa? Questo è un sonetto squisitamente laico di qualcuno che non
è più in grado di andare avanti, oltre la morte. C’è solo dichiarazione disperata di incapacità di fare più
poesia. Non c’è nulla di redentivo in questo sonetto, c’è solo la constatazione disperata dell’Io lirico, che
si dichiara non in grado di superare questo momento traumatico. E l’unica soluzione è il silenzio: per
questo è l’ultimo testo di questa redazione.
REDAZIONE CHIGI
Codice autografo di Boccaccio. Qui abbiamo per la prima volta sicura la divisione in due parti d’autore.
Ad aprire la seconda parte è sempre la canzone 264, ma ci sono movimenti interni che non la legano più
alla sestina 142. Petrarca aggiunge testi che sono più legati a temi meno narrativamente cogenti; inseri-
mento significativo di sonetti, che iniziano a prevalere sugli altri metri.
Questo Canzoniere finisce con il sonetto 304.
SONETTO 304
Prima descrizione: mentre era consumato dall’amore (immagine di amore che consuma il cuore), io ho
cercato per tutti i luoghi le impronte, le tracce, della donna che ho amato; e ho avuto l’ardire di lamentarmi
di amore cantando (= facendo poesia), di lei che mi era così ritrosa. Ma quando ero giovane non avevo
capacità poetica sufficiente a rappresentare in modo degno l’oggetto della mia poesia.
Terzine inaugurano il momento della morte, rappresentato con il sepolcro che dà evidenza quasi visiva a
elemento che non si può redimere.
Se fosse proseguito nel tempo quell’amore = se Laura non fosse morta, e fosse andata avanti fino alla
vecchiezza, con le rime di cui sono armato, con lo stile maturo ® se si fosse trasformato in un amore-
amicizia (possibile solo in fase avanzata della vita, dove la passionalità si riduce a un rapporto capace di
cogliere intimità delle persone), allora la mia poesia sarebbe arrivata ad essere all’altezza.

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Totale esclusione di elementi di pentimento o vergogna, è di nuovo poesia del tutto laica, di nuovo la
soluzione è smettere di fare poesia. Finale che di nuovo rappresenta chiusura del testo, ma non quella che
si immagina leggendo il testo d’esordio.
Nel momento in cui l’Io comprende l’inutilità delle cose terrene, può passare al livello successivo di com-
prensione anche della morte.
Qui dichiara semplicemente che la poesia non è in grado di andare oltre quel trauma.

REDAZIONE GIOVANNI
Giovanni Malpaghini, copista che lavora per Petrarca e a un certo punto se ne va (es. codice degli abbozzi
lo completa Petrarca, in diversi momenti, aggiungendo anche testi). Nel manoscritto Vat. Lat. 3195 ab-
biamo inoltre un’ulteriore precisazione della partizione in due sezioni del Canzoniere: che si può com-
prendere anche dal fraintendimento delle sezioni in vita e in morte (non d’autore). Primo sonetto della
prima parte ha iniziale miniata, e l’unico altro testo che ce l’ha è il sonetto 264, ovvero il primo della
seconda parte.
Fra la prima e la seconda parte Petrarca lascia delle carte bianche, dove dovrà aggiungere dei testi. In una
di queste, una mano non petrarchesca e databile al ’400, è solo un commento: interiorizzato dalla tradi-
zione come divisione d’autore. Ma Petrarca non vuole stabilire questo tipo di partizione, la morte di Laura
viene raccontata solo a partire dal sonetto 267: non è l’episodio che scatena la crisi, ma acuisce una crisi
personale.
Giovanni dapprima trascrive una serie cospicua di testi, suggeriti da Petrarca stesso, che poi nel corso del
tempo interviene a integrare il manoscritto stesso. A volte cancella anche testi e ci scrive sopra un altro
testo, perché decide che il testo non è più funzionale al disegno che ha immaginato e lo sostituisce.
A una certa altezza della lavorazione Petrarca introduce la canzone che attualmente conclude il canzo-
niere: 366. Canzone nella quale avviene esplicitamente il pentimento: rivolta alla vergine, è una preghiera,
un poemetto religioso ® pentimento, conversione religiosa, e la parola che chiude il Canzoniere è ‘pace’.
Pacificazione complessiva di un tortuoso percorso. Questo testo sì sembra la conversione definitiva. Tut-
tavia, il finale è tormentato: Petrarca vi arriva con fatica, tant’è che l’ultimo ripensamento osservabile è
relativo non tanto alla canzone finale, ma ai testi che precedono la canzone stessa. Petrarca non è convinto
che la seriazione dei testi sia efficace, o non costituisca un cammino che arrivi al finale in modo ragionato.
Ma non può trascrivere 30 testi; allora nella parte laterale, a margine dei testi, mette numeri arabi che
permettono di ricostruire la numerazione finale. Non è convinto di come si arriva alla canzone alla vergine.
SONETTO 353
Sonetto ultimo prima di quello finale, poi spostato un po’ più in alto.
Rappresentazione di un uccellino che Petrarca guarda da lontano e con il quale sembra immedesimarsi:
meditazione sul tempo, di lamento sul tempo che è passato, un rimpianto di ciò che è accaduto. Malinconia
che provoca il pianto perché il tempo è passato.
Se tu conoscessi ciò che io sto provando, verresti da me a condividere i guai, i lamenti dolorosi. Simpatia
fra l’uccello il cui cinguettio suona doloroso e malinconico e la condizione dell’Io. Qui predomina la ma-
linconia nei confronti del mondo, lo struggente rimpianto di un mondo che sta fuggendo perché la morte
si avvicina. Non so se noi condividendo il nostro dolore saremmo uguali, la mia donna è morta definitiva-
mente. Apparente affinità tra le due figure, dove c’è una sorta di diverso equilibrio: la sofferenza dell’Io è
più forte.

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Ma la stagione e il tempo meno graditi (= la vecchiaia), col ricordare i dolci anni mi fa riflettere, ripensare
al mio passato assieme a te. Ricordo essenziale ma non è connotato, anzi è quasi elegiaco, di sguardo
affettuoso e tutto sommato disperato per ciò che non c’è più, ma non di condanna.
SONETTO 365
Sonetto che introduce la canzone. Stesso atteggiamento dell’Io che è quello di uno sguardo retrospettivo
sul proprio passato che viene proposto sotto il segno non della malinconica lontananza di qualcosa che è
morto, ma del rimpianto per come lo si è vissuto.
Rimpianto perché ho amato qualcosa di mortale. Non solo ho amato una cosa mortale, ma non ho sollevato
la mia anima nonostante ne avessi le capacità.
Petrarca si riconosce colpevole di accidia: colpa di chi ha le virtù ma non agisce. Lui ha avuto in dono le
ali, doni personali (l’abilità nella scrittura), che gli dovevano consentire di vivere in modo diverso, ma non
l’ha fatto. Infatti il sonetto si configura come una preghiera, una richiesta di aiuto a Dio.
Tu, Dio, che vedi i miei mali, indegni ed empi (condanna forte di se stesso), soccorri l’anima divisa e
fragile, e il difetto di quest’anima sia sanato dalla tua grazia.
Così che se io ho vissuto in una situazione dolorosa, conflittuale, muoia almeno pacificato e avendo rag-
giunto l’approdo a cui un cristiano deve pensare. Se il mio vivere è stato sotto il segno della vanità, almeno
la partita sia onesta, voglio trovare la serenità in morte che non ho avuto in vita.
Al poco della vita che mi rimane e alla morte, la tua mano mi soccorra rapidamente e in fretta.
Temperatura stilistica, tema e modi di espressione rispetto a 353 sono diversissimi: qui il poeta riconosce
gli errori in modo netto e vuole la conversione. Non solo c’è riconoscimento che il mondo è stato un sogno
fugace, ma capisce che il cristiano deve pensare alla salvezza, almeno in punto di morte.
La preghiera che segue è una richiesta di grazia alla Vergine stessa, che ricorda precedenti nel Paradiso
dantesco, va verso una definitiva dimensione di carattere religioso e di pentimento.
Scelta fatta da Petrarca negli ultimi anni della sua vita (ridefinizione del finale). Chiaro il modo in cui
Petrarca lavora per rivedere il finale, riportandolo da una dimensione laica e portandolo verso il penti-
mento religioso, avvicinandolo sempre di più al finale che aveva disegnato nel sonetto d’esordio. La storia
delle redazioni ci permette di vedere questo travaglio interiore, dove Petrarca “combatte” con l’organiz-
zazione del testo e dove le modifiche sono frutto di uno sguardo molto sofferto al proprio lavoro e alle
proprie intenzioni.
Questo Canzoniere, che alla fine sarà costituito da 366 testi, testo la cui coerenza è oggettivamente difficile
da percepire, i lettori devono cogliere nessi sottili: l’aggiunta di testi rende sempre più difficile la piena
coesione del Canzoniere; tant’è che la sua struttura, nel corso della storia, è stata spesso tradita. Una delle
strutture meno riconosciute è quella del rapporto vita-morte di Laura, che resta il punto di separazione
per secoli, tradendo il disegno petrarchesco per trovarvi una logica più evidente. La struttura di Petrarca
non è un racconto che si legge in modo limpido, obbliga il lettore a leggere in modo paziente e analitico
testo per testo per capire il disegno complessivo, trovando le connessioni fra i vari componimenti così
come Petrarca le aveva pensate. Articolazione complessiva che costa molto a Petrarca ma che ha ambizione
di rappresentare complessivamente una biografia: la sua poesia pretende molto dai suoi lettori.
POSTILLA NEL VIRGILIO AMBROSIANO
Ruolo che ha l’evento della morte di Laura nella vita di Petrarca. Virgilio Ambrosiano ® libro che accom-
pagna Petrarca per tutta la vita e nei cui margini Petrarca segna di tutto. Segna anche il momento in cui
riceve la notizia della morte di Laura.

131
Laura, illustre per le sue virtù e a lungo celebrata nei miei carmi, apparì per la prima volta ai miei occhi nel primo
tempo della mia adolescenza, nell’anno del Signore 1327, il 6 aprile, nella chiesa di Santa Chiara in Avignone, al
mattutino; e in quella stessa città, nello stesso mese di aprile, nella stessa ora prima, nell’anno 1348, la sua luce fu
sottratta a questa luce, mentre io mi trovavo per caso a Verone, ignaro, ahimè!, del mio destino. La triste notizia
mi raggiunse a Parma tramite una lettera del mio Lodovico [Socrate, cioè Ludwig Van Kempen], nello stesso anno,
la mattina del 19 maggio. Quel corpo castissimo e bellissimo fu deposto nel cimitero dei frati minori, il giorno
stesso della morte, verso sera. Sono convinto che la sua anima sia ritornata in cielo, da dove era venuta, come
Seneca dice nell’Africano. Mi è sembrato particolarmente opportuno scrivere questa nota, ad acerbo ricordo del
fatto ma con una amara dolcezza, su questa pagina che spesso mi torna sotto gli occhi, affinché la frequente vista
di queste parole e la considerazione del rapido fuggire del tempo mi ammonisca che non ci deve essere più nulla
che mi piaccia in questa vita e che, ormai rotto il legame più forte, è tempo di fuggire da Babilonia; e ciò, per la
preveggente grazia di Dio, mi sarà facile se rifletterò intensamente e virilmente sulle inutili cure, sulle vane spe-
ranze e sugli eventi imprevisti del tempo passato

Gioco di perfetta corrispondenza tra inizio della storia, innamoramento, e data della morte di Laura. Sono
due momenti che quasi a definire situazione ideale mettono insieme due fasi cruciali della storia. (‘Babi-
lonia’ = mondo corrotto). Nella seconda parte della nota c’è contenuto il sonetto d’esordio: riconosci-
mento di quella morte e il fatto che deve tornargli sotto gli occhi di continuo, per ricordarsi della morte e
fuggire dal mondo terreno, dedicandosi a qualcosa di ulteriore più alto. Consonanza di termini, parole e
concetti col sonetto d’esordio. Questa è una nota personale, che non intende pubblicare! Vuole lui stesso
ricordare sempre la necessità di modificare la sua esistenza.
03.05.21
Progressivo indebolimento nella struttura narrativa da una redazione all’altra. Petrarca nel corso del
tempo aggiunge testi, anche numerosi, che talvolta non aiutano a vedere coerenza narrativa, poiché co-
struiscono uno scenario più ampio e più composito, rendendo per certi meno forte la coerenza narrativa.
Elementi che marcano la continuità: connessioni intertestuali, uso strategico delle forme metriche (metri
lunghi: sestina, canzone per segnare punti di svolta del racconto), costruzione piccole serie di testi tra loro
coerenti. Sopravvive un’idea di un rapporto di continuità e discontinuità dei testi stessi: il “vero” lettore
di Petrarca è quello che si legge tutti i testi dal primo all’ultimo.
Una delle prime sequenze che segue principio narrativo preciso è quella dell’avvio della storia. Sonetti dal
2 al 5: sequenza molto costruita che rispetta anche i principi retorici dell’inizio della narrazione.

• Sonetto 2 ® dedicato a causa che ha fatto nascere il suo amore


• Sonetto 3 ® momento di nascita dell’amore
• Sonetto 4 ® luogo di nascita di Laura
• Sonetto 5 ® evoca il nome di Laura stessa (gioco di disseminazione del nome, lauretta)
SONETTO 3
Contiene elementi che verranno sviluppati in modo significativo nel Canzoniere e che riporta alla postilla
del Virgilio Ambrosiano della morte di Laura. Sonetto dedicato all’occasione in cui nasce l’amore per
Laura, il 6 aprile: venerdì santo = giorno in cui un fedele dovrebbe pensare alla crocifissione di Gesù,
quindi momento di riflessione profonda sul sacrificio.
Inizio con esplicita citazione del vangelo di Luca: venerdì santo il cielo si oscura in modo innaturale pro-
prio perché preannuncia evento nefasto. Tensione conflittuale, situazione già di errore che segna tutta la
storia che il Canzoniere racconterà in seguito. Sonetto si gioca molto su un tono quasi cortese nel quale
l’Io lirico lamenta una sorta di scarsa onestà di Amore che l’ha colpito in un momento dove non era pronto
a difendersi.

132
Quando io fui preso e non me ne accorsi. Verso 4 ® linguaggio cortese, tutto sommato rete metaforica
piuttosto canonica. Il sonetto numero 3 evidenzia il momento in cui avviene caduta verso l’amore, in cui
l’Io lirico non pensava di doversi difendere da un tale attacco. I suoi guai cominciano durante un dolore
collettivo: ambiguità fra il dolore dei cristiani per la morte di Cristo e un dolore tutto personale che lo
allontana dagli altri = già qualcosa di sbagliato.
Dispiegamento strumenti tradizione cortese: Amore mi ha trovato del tutto indifeso e lo sguardo ha potuto
osservare qualcosa che poi è entrato nella mia interiorità e ha potuto produrre amore. Tono cortese della
conclusione: secondo me però non è stato onorevole ferirmi quando ero in quella condizione distratta e
non colpire in nessun modo la donna ® asimmetria tra l’Io caduto nella passione amorosa e la donna che
resta libera dalla passione che caratterizza Petrarca e l’Io lirico.
Sonetto che verosimilmente Petrarca compone dopo il 1350: piuttosto tardo rispetto a quello che racconta;
il doppio registro stilistico, tematico e metaforico di idea di universo legato al mondo del sacro e chiusura
di carattere cortese fanno contenere nel sonetto elementi conflittuali che saranno i motori opposti che
agiscono all’interno di tutto il canzoniere.
Riverberi interiori di ciò che Petrarca prova, quello che nell’anima Petrarca sente rispetto alla passione
amorosa, dove sono dominanti le fluctuationes (Secretum) = oscillazione fra diversi stati d’animo, fra eu-
foria e disforia, poesia che si alimenta di continuo monologo interiore che Petrarca fa con se stesso. Oggetti
della realtà sono per questo quasi rarefatti, visti da lontano, ma da sottolineare sono gli effetti della realtà
stessa sul poeta.

Gianfranco Contini ® monologo interiore della Recherche di Proust dà idea di quello che è il Canzoniere
di Petrarca: non ci si può aspettare racconto fatto di tanti episodi, quanto piuttosto un diario rivolto a se
stesso. Significativo il percorso che Petrarca compie dentro a se stesso in relazione agli oggetti della realtà.
Laura si carica di una serie di significati che tutti insieme devono essere compresi per vedere la storia nella
sua completezza. Il singolo testo ha un valore in sé, ma ha valore soprattutto in rapporto dialettico con gli
altri testi.
SONETTO 6
Inizia racconto. Protagonista del sonetto stesso è il desiderio, la passione, la pulsione verso qualcosa, che
è uno dei motori mobili che agisce all’interno del Canzoniere. È quella sorta di toro con il quale l’Io lirico
continua a confrontarsi. Sonetto che inaugura la narrazione vera e propria e presenta il desiderio come
smodato e che domina la razionalità; desiderio che si fa animale del quale si sono perse le briglie. Mancanza
di dominio di se stessi, il desiderio è più forte della volontà di controllarsi. ‘Desiderio’ termine che ha per
Petrarca prima interpretazione di tipo amoroso, ma che è desiderio in realtà verso il mondo, che renderà
per Petrarca molto faticoso arrivare alla sentenza del primo sonetto (cfr. ultimo verso, che riconosce la
caducità delle cose terrene, ma che ha seduttività che un sogno può mantenere, come se conservasse an-
cora una sua pulsione).
Desiderio che corre sfrenato rispetto a un Io che non è in grado di controllarlo. Desiderio traviato e folle
(= incapacità di dominare razionalmente la propria esperienza, l’amore è dentro il dominio dell’irraziona-
lità), per inseguire costei che fugge (immagine che evoca già un’idea e una ripresa del mito dafneo), che
invece corre libera e leggera, rispetto al suo correre lento, perché priva dei lacci d’amore (= amore rende
prigionieri del sentimento). Soggetto della seconda quartina è desiderio che sfugge dal controllo dell’io,
che più cerca di richiamarlo per la strada corretta, meno lo ascolta; dominato dall’amore, il desiderio è
incontrollabile e lui non riesce a riprendere la strada corretta.
E poiché il desiderio agisce in modo autonomo e libero prende lui il controllo della situazione, e lui rimane
signoreggiato da lui. Si complica la dinamica sentimentale: non c’è più passività rispetto all’amore, ma c’è

133
una dichiarata incapacità di controllare la pulsione d’amore; anzi paradossalmente l’Io lirico diventa suo
schiavo. E nonostante quale sia il suo volere lo trascina verso la morte (amore come morte, disperazione
dolore discesa).
Il lauro, l’alloro, la pianta che rappresenta la figura dell’amore di Petrarca per Laura, è l’obiettivo che
spinge a questa corsa, dalla quale si raccoglie un frutto acerbo perché questo sentimento non può portare
che a un esito infelice. Perché il confronto che può portare questo amore fa più male che bene. Identifi-
cazione nascosta nel testo fra Laura e il lauro, che è sia rappresentazione di Laura sotto spoglie dafnee,
ma anche il segno della corona poetica a cui Petrarca tende attraverso l’esperienza amorosa. Se la poesia
è sublimazione del desiderio erotico nella parola poetica, questo è possibile attraverso l’esperienza di que-
sta passione.
Significativo che il momento vero e proprio dell’inizio del racconto che Petrarca ci propone sia questo:
già un esame interiore di quello che gli sta accadendo, riconosce l’incapacità di controllo che gli è causata
da questo desiderio. Rapporto che si crea nella narrazione fra testi contigui ® ora leggiamo 61-62 che
rappresenta in modo evidente il gioco di contrapposizioni tra polo positivo e polo negativo. Lettura ideo-
logica filtrata attraverso la visione dell’amata.
SONETTO 61
Iterazione che viene a cadenzare come litania l’esaltazione gioiosa del momento e dell’occasione dell’in-
namoramento. Ritorno su quel 6 aprile, sonetto che celebra in modo euforico quel momento.
Benedizioni con tono quasi a celebrazione del creato = eco di carattere religioso, celebrazione anche di
Dio che ha creato il mondo, benché qui si celebri in modo laico la figura e l’amore di Laura e la propria
poesia, che quell’amore sta celebrando.
Sequenza molto stretta, ritmo molto serrato dove ricorda elementi che nei primi sonetti venivano descritti
(‘bel paese’ = Avignone): tempo e luogo vengono indicati. Tutta l’enumerazione che ricapitola l’esperienza
è collocata sotto l’ombrello della benedizione: il primo dolore, e anche gli oggetti che hanno colpito il
cuore e che producono ferite, è tutto positivo, quasi un ringraziamento (cfr. testi sacri che celebrano la
grandezza di Dio che ha creato universo).
Nella seconda parte del sonetto esaltazione propria poesia. Ridefinizione dello stesso sintagma, qui ride-
finito in chiave positiva (rime sparse): grazie a quella esaltazione amorosa io ho composto tante poesie. E
non solo, benedizione di quelle carte da cui io ottengo fama: lauro ottiene anche coronamento poetico.
Amore che si disegna come un amore del tutto unico, non c’è posto per altro, che si conclude in sé perché
perfetto, che porta a una gioia complessiva e a unire al sentimento amoroso una capacità poetica. Deside-
rio anche di gloria poetica, di diventare celebri in quanto poeta per la propria gloria, non per maturazione.
SONETTO 62
Rovescia radicalmente toni, modi e forme. Dopo il sonetto di pura gioia, questo apre a un tema. Preghiera
in cui ritorna fortissimo il tema della vanitas (ho speso il mio tempo vanamente), ricorda esplicitamente
l’anniversario, e lo racconta sotto il segno della disperazione. È un errore che l’ha colpito, qui viene in-
terpretato fino in fondo: qui si affonda l’analisi per ricordare quanto sia particolarmente grave il fatto che
Petrarca abbia smarrito la strada nel venerdì santo.
Stesso registro religioso del sonetto 61 che qui viene usato propriamente per invocazione di Dio per otte-
nere salvezza. Tra un sonetto e l’altro c’è relazione dialettica molto forte: se nel Canzoniere ci sono due
polarità, questi due sonetti si collocano in condizioni opposte che confliggono fra di loro, ma con un
denominatore comune, ovvero il ricorso a linguaggio vagamente religioso nel primo ed esplicitamente nel
secondo.

134
Si rivolge a Dio: dopo che ho speso vanamente il mio tempo (= tempo dedicato al pensiero amoroso è
inutile, sprecato). Vaneggiare marca molto il sonetto d’esordio, vanitas bollava tanto gli elementi positivi
quanto quelli negativi del sentimento d’amore. ‘Fero desio’ = ferocia quasi istintuale di questa passione,
che si è accesa nel cuore, ammirando la figura così bella per portarmi verso la perdizione; così seducente
ma che mi ha portato verso una condizione di perdizione. Elemento che persiste nel Canzoniere: Petrarca
continua a tornare sul suo passato cercando di dargli interpretazione diversa in virtù del presente in cui si
trova. Ricordo che è sempre in funzione di Io adesso-passato: anche la definizione dell’ora è in funzione
della ricostruzione del passato. Gioco speculare che serve a ridefinire anche se stesso.
‘Altra vita’ ® ritornerà sempre il rivolgersi a una strada alternativa: l’uomo arriva sempre a un bivio dove
dovrà scegliere fra virtù e vizio, e poi sentirà sempre di dover percorrere anche la strada che non ha per-
corso. ‘Adversario’ = connotazione profondamente negativa; amore qui si colora, in un sonetto tutto spi-
rituale, di connotazione religiosa, è qui il demonio.
Indicazione esplicita del tema dell’anniversario: oggi cade l’undicesimo anniversario da quando io sono
stato sottomesso a questo obbligo spietato che è più duro contro i più deboli (confessione di debolezza)
® io sono debole. Abbi pietà del mio affanno, del mio dolore non degno (perché laico), riporta, ricomponi
i miei pensieri che vanno liberi, che corrono liberi senza controllo, riportali dentro un’unità. Io lirico la
esprime non tanto come volontà di cambiare ma come disperata richiesta a Dio di ritrovare la strada
corretta. Ricorda come in questo giorno tu ti sei sacrificato per gli uomini. Coincidenza innamoramento-
venerdì santo qui utilizzata con tutto il suo valore ideologico: qui sì è gravissimo che i pensieri vaghi ven-
gano lasciati liberi quando dovrebbero pensare a Gesù Cristo.
Anniversario ritorna sullo stesso tema ma qua con forte insistenza sul tema sacro: uno dei sonetti dove è
più alta la consapevolezza di una colpa, che si costruisce all’interno del racconto.
SESTINA 22
Metri lunghi. Dimensione più ampia che Petrarca sfrutta per ricorrere a funzione narrativamente più al-
largata: ripensamento delle proprie esperienze.
Primo testo lungo che troviamo nel Canzoniere. Sestina metro di origine provenzale, proposta per la prima
volta da Arnaut Daniel e poi da Dante. Tema della tradizione provenzale trobadorica e poi italiana, forte-
mente legato a struttura metrica del testo stesso: passione erotica nella sua più bruciante espressione; os-
sessività della passione che giustifica anche il congegno metrico obbligato e complesso nella sua costru-
zione. Struttura: 6 stanze di 6 versi ciascuna più un congedo; non c’è rima semplice ma è l’intera parola a
essere ripetuta all’interno della canzone. All’interno della singola stanza nessuna parola rima con l’altra,
ma c’è ripresa delle stesse parole all’interno delle 6 stanze: meccanismo di ripresa regolato in modo rigido
e preciso (retrogradatio cruciata):
Col meccanismo di successione al termine
della sesta stanza tutte le parole hanno
fatto un giro di strofa. Virtuosismo me-
trico che sottopone il poeta a un gioco
complicato, perché lo scopo è quello di
nascondere la ripetizione delle parole.
Questa chiusura quasi claustrofobica delle
parole è legata al tema di cui si parla, un
pensiero ossessivo, la passione erotica, in-
capace di lasciare spazio ad altro, e la pa-
rola poetica assume il compito di rendere questa ossessione.

135
04.05.21
Le sestine e le canzoni stabiliscono una rete di relazioni multiple, complessa: da un lato, relazioni relative
a seriazione dei testi nel Canzoniere (sequenza dei testi così come si collocano nel flusso narrativo); dall’al-
tro lato, rete di relazioni tra i metri lunghi (sestine costituiscono un sistema che dialoga al suo interno, le
sestine “parlano tra di loro”, e Petrarca le distribuisce facendogli costituire un dialogo interno). Genere
metrico rispetto al quale Petrarca opera una piccola rivoluzione, usandolo in modo molto originale ri-
spetto alla tradizione. Petrarca farà della sestina una sorta di palinodia, di rovesciamento della struttura:
diventa un genere di carattere monologico e spirituale.
Allo stesso modo, le canzoni solitamente costituiscono momenti di confronto tra diverse condizioni dell’Io
a diverse altezze della storia: anch’esse sono costruite spesso e volentieri in rapporto dialogico tra di loro
(quindi sestina ha un significato in quanto tale e in quanto parte di un sistema di sestine che sta all’interno
del Canzoniere). Petrarca gioca su questo piano proprio per giocare sulle diverse evoluzioni che ha l’Io
durante la storia (es. canzone 23 e canzone 70, con rapporto evidentemente di richiamo ma anche di
contrapposizione, raffronto dialettico).
Metri lunghi assumono la funzione di momenti di riflessione più ampia, di snodo, di concentrazione te-
matico-stilistica-memoriale, che servono a Petrarca ad isolare momenti puntuali.
Sestina 22. Interpretazione più fedele all’origine e alla sua funzione retorico-stilistica. Espressione del de-
siderio con tratti evidentemente sensuali, uno dei passaggi nel Canzoniere più riconosciuto come tale,
anche se questa volontà espressa dall’Io lirico rientra nella tradizione delle albe (tradizione provenzale):
componimenti che hanno tematicamente come soggetto il momento aurorale dell’alba e un sentimento
legato alla notte, legato al desiderio sensuale.
Nasce fondamentalmente per esprimere la profonda alterità dell’Io lirico rispetto al mondo. La prima
parte, le prime 3 stanze, sono tutte legate al ritmo della vita biologicamente normale e contrapposizione
tra Io dominato dalla passione e ritmo normale dell’esistenza di tutti gli esseri viventi, che si contrappone
fin dalla seconda stanza con ‘et io’ dall’Io: l’Io vive in modo diverso. Prime 3 stanze devono rappresentare
questa alterità.
Situazione di disagio che emerge nella stanza 4 che evoca per la prima volta la donna e il desiderio che è
qualcosa che mette in moto la cosa incessante che rompe lo svolgimento naturale.
Espressione del desiderio, che si esprime sin dai versi iniziali, sotto il segno dell’ottativa; ed è proprio sotto
quest’espressione che emerge il tema della sensualità, della passione che può diventare erotica. E la con-
clusione sigilla sotto il segno dell’impossibilità la possibilità che questo amore si realizzi.
Sestina che celebra questa condizione dell’Io ancora sotto il segno della speranza: spera ancora in un esito
lieto e felice dell’amore.
PRIMA STANZA
Incipit: sottolinea come tutti gli esseri viventi vivano un ritmo che gli consente di rifocillarsi e riposarsi.
Tutti gli esseri viventi, operano durante il giorno, se non quelli che hanno modificato il ritmo naturale
(animali notturni). Ma una volta che termina la fase della giornata, il cielo si illumina delle stelle e gli esseri
viventi tornano a casa per riposarsi.
Ora l’attenzione si sposta sull’Io che NON partecipa a questa vita.
SECONDA STANZA
Ma io, da quando il cielo si illumina con l’alba e comincia a svegliare tutti gli animali, non riesco mai a
pacificarmi e a placare il pensiero incessante che è il desiderio amoroso. Poi, quando il cielo nuovamente

136
si illumina delle stelle, invece di dormire, piango e desidero il ritorno del giorno ® insoddisfazione co-
stante dell’Io che non riesce ad avere mai tregua dai suoi pensieri.
TERZA STANZA
Quando la sera allontana il giorno e le nostre tenebre diventano agli antipodi l’alba, contemplo il cielo
(riflette su se stesso), e maledico il giorno in cui sono nato, diventato un essere vivente, che mi dà l’aspetto
di un uomo selvaggio, fatto di carne ed ossa.
QUARTA STANZA
Dopo la condizione di disperata alterità rispetto al mondo, introduce l’oggetto amoroso. Immagine della
donna sotto il segno di fiera selvaggia che si configura quasi come petrosa: non penso che ci sia mai stato
un animale così selvaggio cresciuto nel bosco, di notte o di giorno, come colei che io piango incessante-
mente. Passaggio sulla connotazione del desiderio che è fermo, stabile vs. il giorno che muta ® immuta-
bilità del desiderio che è innaturale. Desiderio che viene dalle stelle, che proviene da un’ascendenza, una
configurazione del cielo. Stabilità dell’amore che l’Io lamenta rispetto agli esseri viventi. Desiderio che a
questa altezza sembra provenire dall’esterno.
QUINTA STANZA
Espressione più aperta del desiderio amoroso, che l’Io lirico si auspica di poter conseguire un giorno.
Prima che io ritorni nell’alto dei cieli o che io precipiti all’inferno, lasciando il corpo che sarà finalmente
solo qualcosa di materiale, prima che accada questo, potessi io vedere un giorno in lei pietà: almeno una
comprensione, compartecipazione al mio sentimento. Perché un solo giorno di questa illuminazione che
sarebbe la sua pietà, è in grado di sanare la disperazione di tutta una vita. E mi dà più forza rispetto alla
mia condizione.
SESTA STANZA
Luogo espressione sensualità più evidente: come se avesse il coraggio di dire qualcosa di più. Parentesi
più esplicita della sensualità (cfr. le albe provenzali); potessi essere io da lei, e non ci fossero altri testimoni
se non le stelle, e che questa notte potesse durare all’infinito ® evasione sensuale esplicita. Ritorna il mito
dafneo: e la potessi avere prima che la trasformazione in laureo mi negasse il possesso, com’è accaduto
quando Apollo ha inseguito Dafne e non l’ha potuta raggiungere. Ricollocando il desiderio del mito daf-
neo come se potesse cambiarlo.
CONGEDO
Riprende il tema complessivo della sestina stessa e riassume il contenuto, sotto il segno dell’adynaton
(impossibilità): desiderio non veramente verificabile, che non si può attuare. Io sarò ormai morto e il cielo
sarà durante la luce del giorno arricchito dalle stelle (impossibile) prima che arrivi l’alba di un giorno così
radioso per me. Racchiude in questa dimensione dell’irrealizzabile ciò che il desiderio ha fatto emergere.
CANZONE 23
Prima canzone, e ci dice subito come spesso Petrarca intenda le canzoni. Cosiddetta canzone delle ‘meta-
morfosi’, perché l’Io lirico subisce o ci racconta 6 diverse metamorfosi che vive simbolicamente. Rapporto
fra anima e corpo, con gioco simbolico; queste metamorfosi sono vissute da un’anima che resta se stessa,
vivendo profondo senso di sbigottimento che l’esperienza amorosa provoca. L’ipotesto che lega questa
canzone è una riscrittura di alcuni miti raccontati da Ovidio, raccontando i cambiamenti di stato di figure
umane e mitiche. Queste 6 sono tutte espressioni fortemente simboliche del modificarsi dello stato
d’animo della condizione dell’Io.

137
Architettura quasi poematica, respiro molto largo (8 stanze). Fin dall’incipit la canzone si pone come
momento di bilancio dell’esistenza dell’Io; primo momento largo in cui Io lirico contrappone adesso/pas-
sato, per la prima volta in modo così ampio ed argomentato ritornasse a meditare su ciò che è accaduto
fino a questo momento. Trova primo momento più significativo di confronto dell’Io con se stesso. Tanto
che la prima stanza si incarica di introdurre puntualmente l’argomento della canzone stessa (legato alla
contrapposizione prima/dopo). Il ricordo, il presente sono continuamente intrecciati all’interno della can-
zone: il ricordo si riverbera continuamente sul presente (= non è solo una riflessione sul passato, ma anche
sulla situazione attuale, che scaturisce dal ricordo). Divisione anima e corpo che dà senso alle metamorfosi
dalla seconda stanza in poi: da un lato c’è l’anima, di cui l’Io lirico è padrone, dall’altra il corpo
PRIMA STANZA
Esordio. Nella prima stagione della mia vita, che ha visto nascere e germogliare la feroce voglia di deside-
rio, che è cresciuta a mio danno, canterò come ho vissuto liberamente mentre amore ebbe a sdegno il mio
albergo (= quand’ero libero da amore). Verso 4 ® perché cantando il mio dolore si disacerba: è la poesia
che lenisce il dolore stesso ® spiega il motivo per cui inizia il racconto. Presenta una sorta di indice: prima
il racconto di quando era libero da Amore, poi seguirà a cantare, poi dice come ad Amore diede fastidio
questa sua libertà… richiami espliciti al sonetto esordiale: sono diventato esempio alla condizione
dell’uomo innamorato (la mia condizione è diventata esplicita). Non solo c’è ricordo della propria pas-
sione amorosa, ricordo dell’innamoramento, dimostrazione che questa condizione l’ha reso oggetto di
osservazione, tanto che la voce della sua poesia si è diffusa (i sospiri, espressione della poesia, si spandono
a esprimere la sua condizione) che mostrano quanto sia dolorosa la sua vita. Piccola ricostruzione
dell’esperienza, unita al ricordo della poesia che ha accompagnato questa esperienza.
E rifletterò nuovamente su questa canzone: poeta dice di avere già alle spalle componimenti che docu-
mentano questa sua sofferenza. E se la memoria (elemento chiave canzone e passaggio: il ricordo di ciò
che è accaduto) non mi sostiene, la scusino il fatto che ha subito così tante sofferenze; e il pensiero (‘fera
voglia’ di prima) è ossessivo, ostinato, continuo, che continua a darle angoscia, causa di un indebolimento
del processo memoriale. Pensiero che è tale che mi isola dal mondo e anche da tutti gli altri pensieri: amore
diventa l’unico pensiero dominante. E mi fa dimenticare me stesso (quasi forzosamente), che lui, il pen-
siero, mi domina dentro, e io invece ho solo la scorza, il corpo, mi resta solo la parte esterna della mia
essenza. Lungo preambolo che traccia le linee dentro le quali si svilupperà la poesia stessa.
SECONDA STANZA
Prima metamorfosi: in alloro. Dimostrazione grande capacità di Petrarca di giocare con gli stessi elementi,
in questo caso del mito dafneo ® è l’Io lirico a trasformarsi in alloro. Lauro non è tanto espressione
frustrazione desiderio, quanto una sorta di ulteriore scissione dell’Io lirico dall’oggetto amoroso.
Andamento analettico: ricordo del passato che continua a puntellare tutta la canzone, l’inizio qua è quasi
di rammemorazione. Come se idealmente elementi simbolici della storia venissero fatti riaffiorare dal testo.
Immagine che viene proposta fra sonetto 2 e 5: idea del cuore difeso da uno scudo solido, di diamante,
che impedisce alla passione di entrare; cuore armato che riesce a difendersi dagli assalti di Amore.
Non solo non piangevo, non ero disperato per la condizione amorosa; ma non interrompeva il sonno ®
continuo lancio di “schegge” fra i testi (nella sestina 22 si rompe il sonno). E anzi guardava gli altri caduti
nel sentimento con stupore. Aveva una vanità, tanto che sigilla la prima parte della stanza con sentenza
proverbiale: verso 31 ® giudica la vita alla fine e il dì alla sera, quando l’hai vissuto = è stato incauto a
giudicare e vantarsi della sua superiorità prima di aver vissuto questa esperienza. Che avendo sentito
Amore, dopo che nessuno gli era passato con una freccia oltre la veste (‘la gonna’, soggetto è l’Io lirico),
nessuno lo aveva ancora colpito, Amore ha preso una possente arma, Laura: Amore, per vincere la supe-
riorità dell’io lirico, usa l’arma di una donna possente; donna verso la quale non è mai stato utile chiedere

138
perdono. ‘Valse’/‘vale’ ® in passato/adesso. Tutto ciò che io ho fatto, rispetto alla donna diventata og-
getto dei miei desideri, non è servito a nulla.
Amore e Laura mi hanno reso quello che io sono, adesso: e sono lauro, che resta stabile nella sua condi-
zione (non perde foglia in inverno).
TERZA STANZA
E proprio in virtù del profondo rapporto con le Metamorfosi, la stanza successiva descrive la metamorfosi
in atto: trasformazione non più guardata da fuori, ma provata da dentro. Forte ripresa stile e racconto di
Ovidio.
Come mi feci io quando mi accorsi per la prima volta della modificazione della mia persona. Trasforma-
zione dei capelli in foglie di lauro, di cui avrebbe voluto incoronarsi in quanto poeta (ma non è ciò che
ottiene l’Io lirico). Trasformazione fisica in alloro dell’Io lirico. A questo punto del racconto, avviene già
seconda metamorfosi: modifica prodigiosamente. Processo meraviglioso delle trasformazioni che sono
espressione stupefatta dell’Io lirico che le sente avvenire dentro di sé.

Seconda trasformazione: in cigno ® mito di Fetonte fulminato da Zeus e suo zio Cygnus che cercando il
corpo del nipote caduto dal cielo viene trasformato in cigno. Cigno, espressione anche della parola poe-
tica, e Fetonte che ha seguito follemente il desiderio amoroso. Impresa folle a cui l’amore conduce e tra-
sformazione in qualcosa che racconta frustrazione del desiderio amoroso.
Passaggio immediato, senza spiegazione: sorprendentemente, dopo la prima metamorfosi, si trova rico-
perto delle bianche piume del cigno. Nel momento in cui viene fulminato il mio desiderio, che ambiva a
qualcosa di troppo alto (= Fetonte). Espressione del cigno che si fa voce poetica che rappresenta condi-
zione dolorosa: trasformazione che tenta di esprimere la frustrazione di un desiderio mancato.
QUARTA STANZA

Cigno, sempre espressione della possibilità di raccontare il dolore ® speranza non esiste più, ma dolore
può essere lenito dalla parola poetica.
Rive del Rodano (‘amate rive’). Chiedevo pietà con voce straniera, non mia (quella del cigno). Mai ho
saputo attraverso questa parola poetica rompere la situazione amorosa tanto che il cuore di Laura diven-
tasse meno duro rispetto ai miei desideri ® parola poetica del cigno è solo espressione della frustrazione
del desiderio, e anche forte negazione della sestina 22. Spesso nel Canzoniere il rapporto che si crea fra Io
lirico e soggetto amoroso è di estrema lontananza. Poesia è il veicolo che dà sostanza e alimenta questa
espressione poetica.
Anche il ricordo provoca dolore. Siamo agli inizi della storia, ma già l’Io ricorda quello che è stato e questo
gli provoca dolore.
Terza metamorfosi: in sasso, in pietra, che riprende il mito di Batto, che viene trasformato in sasso perché
aveva un segreto di Mercurio da celare, che gli si presenta sotto mentite spoglie, Batto confessa il segreto
e Mercurio lo punisce. Quasi con immagine da Vita nova, Laura appare al poeta, gli apre il petto e gli
prende il cuore con la mano e gli dice di non parlare: silenzio è patto che si costituisce fra i due, l’esperienza
amorosa non si può dire. La rivede in abito altro (= non la riconosce), e tremante le svela il segreto che lei
gli aveva detto di non rivelare a nessuno; e lei, tornando nell’immagine sua naturale (come Mercurio), l’ha
trasformato in un essere minerale, la cui prima funzione evidente è quella di non parlare. Trasformazione
che agisce quasi come condanna sulla stessa parola poetica: esperienza amorosa sembra incompatibile con
l’esperienza poetica.

139
QUINTA STANZA
Rapporto interiorità/esteriorità. Interiorità che rimane sempre la stessa e la scorza che cambia: nell’inizio
di questa stanza è molto evidente. Se questa donna mi toglie dalla condizione in cui sono caduto (pietra),
tutto sarà felice nella mia vita; signore, Amore, ridammi la possibilità di farmi lagrimare, di esprimere la
sofferenza della mia passione.
Quarta trasformazione: dell’Io lirico in fonte. Mito della ninfa Biblide, che rivela a suo fratello gemello
Cauno il suo amore (incestuoso) e che viene poi trasformata in una fonte: è in qualche modo un’amante
che tenta di aggirare i divieti che Amore impone con i suoi scritti. Trasformazione sempre sotto l’insegna
della meraviglia: non so come sia accaduto, ma sono tornato un essere vivente, quasi più vivo che morto,
in condizione diversa da quella della pietra. Digressione narrativa: poiché il tempo corre, dirò solo che è
più importante, ciò che genera stupore nei lettori.
Nuova metamorfosi: verso 95 ® trasformazione del dolore in parola scritta. Sentivo la morte intorno a
me, il cuore ne era circondato e non riuscivo a liberarlo. Danno di amore e della donna. Parola poetica
che trasforma il poeta in qualcosa d’altro e conseguentemente scatta la punizione per l’Io lirico, che ha
tentato di manifestare il suo sentimento amoroso non esprimibile.
SESTA STANZA
Spera, attraverso queste parole, di essere degno di perdono, di pietà (‘mercé’). E questa speranza l’ha reso
ardito e lo spinge a infrangere il voto di silenzio; per cui ha saputo lui in realtà che questa speranza non
era ben fondata, e lo scopre perché ha vissuto per lungo tempo dominato dalle tenebre. Avendo smarrito
la donna, si poggia a terra e dorme, lamentando Laura che è fuggita via ® trasformazione in fontana:
mentre piange (espressione elegiaca di dolore per qualcosa che non c’è più), si trasforma fisicamente in
fontana. Linguaggi quasi di visione ultraterrena, tant’è che dice di parlare di cose davvero provate, anche
se in realtà inaudite.
SETTIMA STANZA
L’anima, che è fatta gentile (superiore) da Dio, che concede questa grazia, ha uno stato simile a quello del
suo fattore; condizione di affinità con Dio ® perché può perdonare chi si rivolge a lui con cuore e sem-
bianza umile. Come Cristo perdona chiunque provi contrizione vera, così l’anima può perdonare gli altri
imitando Dio. E se vuole essere pregata più del dovuto (l’anima), lo fa imitando Dio stesso, e lo fa perché
ci si allontani di più dal peccato, che il pentimento di un male non è profondo se già si prepara un altro
desiderio. Lunga introduzione che prelude all’atteggiamento che Laura mostra a questo punto ® anima
è portata naturalmente a perdonare, perché è dono che le infonde Dio stesso.
Dopo che Laura mi ha visto ed è stata commossa dalla pietà, e vede che la mia pena e il peccato sono in
qualche modo equivalenti: e per questo lo ha benignamente riportato al suo primo stato. Ma non c’è nulla
di cui l’uomo saggio si possa fidar nel mondo; perché è stato nuovamente trasformato in voce ® Eco.
Rimane puro elemento fonico che richiama morte e che lei sola chiama per nome.
05.05.21
OTTAVA STANZA
Ultima trasformazione ® mito di Atteone, che osservando Diana fare il bagno nuda viene punito da Diana
che lo trasforma in cervo. Eccesso di desiderio di vedere trasforma Petrarca in animale che rappresenta
l’eccesso di tentazione sessuale che prova nei confronti della donna.
Piccola ricapitolazione: Io lirico che ricerca la solitudine, andando per spelonche deserte e pellegrine =
solitario pellegrino che cerca luoghi naturali esterni ad altri esseri viventi ® solitudine collegata ad attività

140
di pensiero e riflessione. Atteggiamento di pentimento e commiserazione per il proprio eccesso di deside-
rio.
Esce dalla trasformazione e ritorna nelle forme umane, forse per sentire un dolore ancora maggiore = non
uscita dalla condizione. Inizia l’ultima metamorfosi: termine chiave è sempre il desiderio (‘desire’), che ha
lasciato correre libero, sfrenato, così tanto da essersi trovato a cacciare solitario: come Atteone, l’Io lirico
si trova a vedere la sua donna (‘fera bella et cruda’) che si bagna in un lago, nel momento di caldo cocente.
Io lirico divenuto Atteone non è capace di resistere alla tendenza voyeuristica, non riesce a togliere lo
sguardo dall’oggetto del desiderio ® non è capace di frenarsi, è una fissazione. Quando Laura se ne ac-
corge lancia dell’acqua in faccia a Petrarca, o per punirlo o per difendere la sua intimità ® in questo punto
c’è la metamorfosi: introducendola con la marca retorica che prelude al meraviglioso, si trasforma in un
cervo, che fugge ‘solitario et vago’ e corre in mezzo alla natura; e ancora ora (rapporto allora-ora) fugge
dai cani da caccia = i suoi rimorsi, i pensieri di pentimento rispetto alla colpa, all’eccesso di cui è protago-
nista.
CONGEDO
Primo riferimento: io non sono mai stato quella pioggia d’oro scesa dal cielo che placò Giove (= mito di
Giove che si trasforma in pioggia per possedere Danae); secondo riferimento: sono stato fiamma, così
come in fiamma si trasforma Giove per ingannare Egina (= sono stato bruciato dalla passione). Altra me-
tamorfosi: trasformazione in aquila (cfr. Zeus che vuole rapire Ganimede). Nonostante tutti questi cam-
biamenti non ha mai cambiato la fedeltà amorosa, ovvero l’unica situazione che placa il suo desiderio.
Dichiarazione della propria incapacità di uscire dal desiderio amoroso, che lo vede debole nei confronti
dell’oggetto che ama: talmente debole che non riesce né a distogliere l’attenzione dall’oggetto amato, né a
cambiare il modo di porsi nei suoi confronti.

Canzoni ® complesse reti di relazioni col resto del Canzoniere. Da questa osserviamo due direttrici: prima
lega uno dei testi più lunghi con due delle forme metriche più brevi, il madrigale (nel Canzoniere ce ne
sono 4, Petrarca fu uno dei primi sperimentatori con questo metro. Testi che nella loro prima manifesta-
zione erano quasi sicuramente legati a un rapporto con la musica = rapporto duttile. Spesso legato anche
a poesia occasionale che prevedeva la realizzazione performativa del testo. Petrarca adatta questi testi al
Canzoniere, togliendone l’occasionalità e legandoli a canzoni). Primo madrigale che compare nel Canzo-
niere è il 52. Doppio interesse:
1) madrigale che in un piccolo quadretto (2-3 terzine e distico finale) sviluppa l’ultima metamorfosi
della canzone 23 (Diana e Atteone);
2) crea materiali verbali che verranno ripresi più avanti nella canzone 126 (‘Chiare, fresche et dolci
acque’).
Rapporto Dante-Petrarca. Lettera che Petrarca scrive a Boccaccio (i due si conoscono e hanno amicizia in
prima battuta letteraria, anche di influenza reciproca, es. Boccaccio grazie a Petrarca segue influenza
dell’antico) che è perfetta dimostrazione dell’atteggiamento petrarchesco: in essa dice che ha leggiucchiato
Dante, gli sembra un buon poeta, ma a lui interessa altro; poi aggiunge che in realtà ha paura di Dante,
non vuole esserne troppo condizionato. Nel corso del tempo, diversi studi dimostrano come Petrarca in
realtà imiti spesso Dante, ma tenda a nasconderlo: come una sorta di modello con cui dialoga, ma silen-
ziosamente. Nei madrigali, il legame con Dante sembra più esplicito ed evidente.
Altra serie di collegamenti: con madrigale 52 e 54, perché le immagini che evoca sono simili ma di diversi
significato e interpretazione. Nella sua costituzione metrica è una piccola immagine, spesso di natura bu-
colica, che si risolve in un’istantanea, volendo distillare un’immagine unica grazie alla quale si ferma il
tempo e si coglie uno stato d’animo. Sorta di variatio rispetto al racconto del mito di Atteone.

141
MADRIGALE 52
Non piacque così tanto ad Atteone Diana, quanto a me (similitudine) Laura, descritta, secondo i canoni
della dimensione bucolica, proprio come fanciulla selvaggia che va nella natura, mentre bagna un velo che
normalmente le protegge dal vento i capelli ® ricorso a gioco fra il segnale (il nome Laura) e il suo valore
simbolico del vento, che muove i capelli.
Visione (che non ha sviluppi psicologici, momento estatico e basta), topos dell’innamorato che raggela,
ma anche immedesimazione della figura che sta guardando immergersi nell’acqua gelata.
Non ha funzione commentativa, semplicemente coglie questo momento, ma quasi in modo regressivo
rispetto alla canzone 23, è ancora uno scivolare nel vizio del guardare.
MADRIGALE 54
Forma più canonica e frequente: 3 terzine + 1 verso. Acquista connotazione più complessa: da un lato
memorie agostiniane (in questo madrigale, Petrarca introduce nella dimensione del madrigale stesso una
dimensione più penitenziale); dall’altro lato attestazione di documenti fondati che vorrebbero che questo
fosse scritto per un altro amore petrarchesco = deviazione del poeta. Interpretazione non certa; l’introdu-
zione del Canzoniere di sicuro non permette di attribuirlo a un tradimento, quanto a forse un momento
di sospensione, di interruzione. Non testo esplicito di pentimento e vergogna, ma rispetto al testo di prima
c’è dentro il madrigale un rallentamento, posizione che l’Io assume di ripensamento delle sue azioni.
‘Pellegrina’ cfr. ‘pastorella’ del madrigale 52 ® quasi una straniera, figura nuova, portava nel suo viso il
segno d’amore (cfr. Dante, Vita nova), immagine così alta che tutte le altre donne mi sembravano indegne
di essere celebrate. ‘Cor vano’ ® interpretato o come cuore leggero, capace di dominarsi; o come Io
farfallone incapace di seguire unico desiderio.
Idea silvestre: dentro un panorama naturale l’Io lirico insegue questa bellezza, ma poi risuona una voce
da lontano (lessico molto dantesco) che dice “guarda quanti passi perdi!”. Voce esterna all’Io (Dio?
Laura? Voce esterna? Ma NON appartiene all’Io), ma che risuona come un monito forte nell’Io stesso.
Allora si ferma dalla corsa che stava facendo e si siede sotto l’ombra di un faggio (cfr. Bucoliche di Virgilio),
chiuso in se stesso e osservando la realtà circostante. Vede che il viaggio (= vita) era pericoloso e incerto,
e torna indietro quasi alla metà della sua vita ® 35 anni; resta sospeso.
Da visione statica del madrigale 52, qua si scolora in dimensione intima e personale, di crisi e dubbio, che
dentro il madrigale comincia a prendere forma.
CANZONE 70
Rapporto molto chiaro ed evidente con la canzone 23. Canzone delle citazioni: al termine di ogni stanza
Petrarca cita l’incipit del testo di un diverso poeta (Arnaut Daniel, Cavalcanti, Dante, Cino da Pistoia, se
stesso: incipit della canzone 23 = collegamento più che voluto). Funzione delle citazioni: racconto dentro
al testo delle tappe più significative dell’apprendistato poetico di Petrarca: come se elencasse i modelli che
ha guardato + significativa presenza della sua personale poesia.
Prime due stanze: citazioni legate all’essenza e alla necessità dell’amore. 3-4-5: citazione legata al modo di
dire o cantare (= modo di fare poesia). Definita palinodia della canzone 23: la rilegge con chiave nuova,
contraria. Non c’è più attribuzione della responsabilità della passione amorosa a qualcosa di esterno: è il
soggetto che ne è responsabile ® non ci sono alibi possibili rispetto a una caduta nel peccato amoroso.
Altro lato: tentativo di procedere ed effettuare sublimazione della passione, non annullare il desiderio, ma
trasformarlo in qualcosa che permetta innalzamento dell’Io.
Canzone prelude le canzoni 71, 72 e 73 che seguono, note come le canzoni degli occhi (cantilene oculo-
rum): tre testi costruiti insieme, vanno letti insieme, creando un piccolo poemetto di natura prettamente

142
stilnovistica. Tentativo di mettere in atto nuova poetica preannunciata nella canzone 70. Nuova poesia e
nuovo rapporto con l’oggetto amato: Io riconosce responsabilità della propria passione amorosa e decide
di cercare relazione diversa. Ma esperimento tutto freddo e mentale: Laura non diventa Beatrice, non
raggiunge mai ruolo di mediazione verso qualcos’altro. Resta un tentativo che non si sviluppa.
Le prime due stanze sono costruite quasi parallelamente dal punto di vista metrico e sintattico. Nella
forma della canzone, Petrarca è forse uno dei primi a rappresentare un monologo interiore, la costruzione
di un pensiero che si coglie nel suo farsi; come se la parola poetica forse un pensiero poetico che si co-
struisce mentre si scrive.
PRIMA STANZA
Ahimè, non so più da che parte rivolgere la mia speranza (= fortemente connessa col desiderio stesso; è
l’essenza fondamentale del tempo dell’elegia: costruisce tempo non chiuso). Non sa più dove si rivolga la
speranza, perché è stata più volte tradita. Poesia diventa inutile nel momento in cui non viene ascoltata
dal destinatario che voglio.
Ipotetica: condizione è infelice, ma (impossibilità) se mi sarà concesso di porre fine, prima di morire, ai
miei lamenti, è legittimo che io faccia poesia [ho argomento e ragione di cantare e di rallegrarmi]. A fronte
dell’infelicità e della sofferenza che uno prova, dà esito positivo.
SECONDA STANZA
Costruzione simile: prima parte che presenta la situazione, seconda che attraverso un’ipotetica apre a una
soluzione possibile. Collegamento di ‘Ragion’ con ‘rayson’. È giusto che io canti, perché non è mai troppo
tardi per cantare e rallegrare una situazione infelice. E se potesse succedere che attraverso la mia poesia
io potessi ottenere grazia attraverso gli occhi santi di Laura stessa ® ipotetica che vuole che la poesia
possa riconoscere un ricambio da Laura stessa. Utilizzo incipit di Cavalcanti che però viene travisato.
Qui, poesia che ha ragione di esistere: le altre stanze vanno in direzione opposta.
TERZA STANZA
Vaghi pensieri (sublimi, vagheggianti) che così portano a lasciare libera la mente. Incrocio e dialogo fra le
voci dei pensieri diversi; in questo caso come se ci fosse uno slancio (pensiero mi avete rivolto così in alto,
ma in realtà la mia donna ha un cuore di smalto, impenetrabile). Condizione di superiorità della donna,
che non si abbassa a guardare la sua condizione; per cui, poiché vivo una sofferenza, voglio trasformare la
mia parola in uno stile aspro che rappresenti ciò che sto provando (cfr. le rime petrose di Dante), legato
soprattutto a inattingibilità della donna (fisica e mentale).
QUARTA STANZA
Monologo di Didone di Virgilio. Dinamica del pensiero nel suo farsi: come se ci fosse una pausa tra una
stanza e l’altra e da un momento riflessivo si passa a un momento di pathos ® interrogative che segnano
una presa di coscienza improvvisa (Io lirico sa che sta scegliendo una strada sbagliata, ma tuttavia continua
a seguirla). Chi è che mi inganna, se non io stesso? Presa di coscienza = cambiamento forte rispetto alla
canzone 23, presa di responsabilità. Io lirico ed eccesso di desiderio sono i colpevoli della situazione.
Non c’è causa della mia condizione nelle stelle, né è la bellezza di Laura ad essere colpevole. È l’Io lirico
che non sa superare i confini di questa bellezza. Verso 37: dentro di me sta chi crea il dolore giorno e notte
® amante insonne che incessantemente guarda la sua condizione. Due elementi dell’amante che lo fanno
gravare e vivere questa condizione.

143
QUINTA STANZA
Preso atto, ora c’è il tentativo di andare oltre questa condizione. Stanza che riprende da vicino i versi di
Purgatorio XVI (incontro con Marco Lombardo, discussione sul libero arbitrio).
Tutte le cose che ci sono nel mondo sono uscite dalle mani di Dio buone, orientate verso il bene. Io (che
possiedo anche quest’inclinazione naturale al bene), ma che non riesco a penetrare in fondo le cose, sono
abbagliato dalla bellezza: la bellezza sensuale e terrena impedisce alla mia vista di andare oltre. L’occhio
non sostiene, non ha la forza di guardare la vera luce, per la sua propria colpa. Non è l’occasione in cui ho
visto Laura ad aver dato senso negativo alla storia amorosa: sono io che non riesco a dare il vero senso a
questa bellezza, che non riesco a cogliere nella sua bontà la storia amorosa.

A seguito di questa canzone succedono le tre canzoni che presentano un tentativo di andare oltre questa
visione, di andare verso una contemplazione di verità più alta, che costituisce un traguardo non piena-
mente raggiunto da Petrarca, non arriva alla sublimazione compiuta da Dante nella Vita nova.
Rapporto fra le canzoni: processo interiore dove l’Io lirico approfondisce e ripensa l’esperienza passionale,
e riscopre qualche elemento di più nella ridefinizione dell’Io che percepisce l’oggetto; Io che si pensa nel
tempo, che gli consente di ritornare all’esperienza. Canzoniere come racconto dell’interiorità: Io che torna
sui suoi passi per ripensare a eventi che lo hanno segnato profondamente.
Canzoni 126 e 129. Fanno parte di un piccolo gruppo, un addensamento eccezionale di canzoni, che
costituiscono momento importante di definizione della condizione dell’Io.
CANZONE 129
Rappresenta un’occasione per cogliere le modalità con cui Petrarca costruisce le sue canzoni (orchestra-
zione della canzone stessa); qui in modo forte si costituisce uno dei paradigmi della tradizione occidentale
= rapporto fra interiorità e paesaggio (Io che si proietta nel paesaggio in cui è collocato).
Petrarca tende a costruire la canzone con gioco di continua variazione su uno stesso tema: circolarità
(pensiero torna sulle stesse situazioni) ma continuamente variata. Possibilità di nuovo di cogliere il pen-
siero nel suo farsi: comunque costruzione artificiosa ® metrica, sintassi, temi e parole sono perfettamente
dosati per dare il senso di questa immediatezza, con gioco di continui ritorni che prepara il lettore a giochi
di reinterpretazione di uno stesso tema.
Questa canzone ha questa struttura evidente perché nelle sue parti presenta sempre elementi ricorrenti:
la parole ‘pensiero’ e l’elemento naturale. Nella seconda stanza ‘monti’ e ‘penser novo’; nella terza ‘colle’,
‘primo pensier’; etc. Parole che disseminano il loro suono dentro la canzone con gioco tipico petrarchesco
di costruire continuità e variazione. Quarta stanza rompe questa continuità: ‘pensier’ torna, ma no geo-
grafia; ultima stanza ha ‘montagna’ e ‘penser’ a chiuderla. Questa disseminazione dei termini già testimo-
nia la regia molto attenta nella distribuzione stessa delle parole. Lo stesso incipit delle stanze ritorna va-
riato stanza dopo stanza: come se si ripartisse sempre dalla stessa immagine, ma un po’ variata.
Passaggio da paesaggio reale a paesaggio immaginato, che di volta in volta offre occasioni di diverse rifles-
sioni; come se l’interiorità si proiettasse all’esterno. Oggettivazione condizione interiore. Canzone che im-
plica un rapporto forte con l’Io e che in questo senso costruisce anche soluzione ® luoghi solitari = teatro
naturale nei quali riflettere e nei quali concentrare la propria riflessione sulla condizione interiore.
Nelle stanze meccanismo simile: struttura sintassi-metro è analoga con piccole variazioni = effetto quasi
musicale di ripresa, andamento simile rispetto all’evolversi della canzone stessa. Metro che implica una
progressione argomentativa, argomentare più ampio e consequenziale. La canzone petrarchesca rinuncia
alla progressione rigorosa per avere questi momenti che procedono senza confini precisi del pensiero.

144
Contini ® “fioca potenza speculativa”: no ambizione filosofica così evidente; analizzando lo stile delle
canzoni e la profondità del pensiero ci si accorge che è attraverso lo stile che si costruisce speculazione ®
scrittura che mima il pensiero mentre si costruisce e lo mima nel tempo. Da ricordare in questi casi le fonti
di Agostino e gli esempi di stile sulla cui falsa riga Petrarca costruisce i suoi testi. Superficie del testo nella
sua costruzione rappresenta la nobiltà di pensiero instabile = anche lo stile è espressione di forza specula-
tiva che si sviluppa in una strada diversa rispetto a quella dantesca.
10.05.21
Lunga pausa sospensiva nel racconto per fotografare momenti più attuali. Qui, forte importanza del rap-
porto Io-paesaggio: paesaggio che acquista le fattezze dell’interiorità ® Io cerca un luogo solitario nel
quale vede i fantasmi della propria mente.
Canzone di carattere elegiaco = di lontananza: Petrarca lontano dalla Provenza, che lancia lo sguardo
all’orizzonte e immagina la sua donna lontana, in modo elegiaco.
Punto di vista stilistico e architettura argomentativa del testo: forte affinità tra le stanze per la struttura
sintattica e per l’immaginario che evocano (es. elemento naturale e la discesa del pensiero di stanza in
stanza). Affinità che non rappresenta circolarità o staticità; è piuttosto espressione di variazione = tornare
su uno stesso oggetto ma variandone continuamente la posizione. Per questo gli incipit delle stanze sem-
brano quasi un refrain: questo tipo di canzone è un po’ un marchio di fabbrica di Petrrca ® elaborazione
strutture formali che il lettore impara a riconoscere. Con all’interno della canzone stessa una stanza che
varia, rompe l’armonia, non rompe tematicamente, ma segna uno scarto nel flusso stilistico e tematico-
argomentativo del flusso stesso.
Punto di vista tematico: importanza del paesaggio e del suo valore come rappresentazione dell’interiorità
® invenzione petrarchesca, proiezione molto significativa tra l’Io e i suoi fantasmi mentali. Presenza fan-
tasmatica di Laura domina questa canzone. Ricerca di luoghi solitari, in una natura priva di presenze
umane, che siano in grado di evocare la presenza della donna. Dialettica Io-mondo che vede l’Io sprofon-
dato nella sua passione e deve evadere per poter sopravvivere ® ribadire la solitudine necessaria all’Io
lirico è un tratto importante.

Il tempo ® Io, luogo e tempo sono le tre variabili che costituiscono le istanze fondamentali. Tempo di-
mensione profondamente interiore che permette di vedere il proprio desiderio in relazione al proprio
presente, passato e futuro. Declinato comunque in modi vari. Elemento che dinamizza e rende complesso
il rapporto: Io come si colloca rispetto all’oggetto del desiderio e come si colloca rispetto ad esso in pas-
sato, presente e futuro: dimensione profondamente interiore, concezione del tempo petrarchesca in virtù
della quale il tempo esiste solo in base a quanto lo percepisce l’essere umano (S. Agostino).

Costruzione di un tema: orizzonte d’attesa ® il lettore si aspetta questo tipo di struttura che poi si ripete
nelle stanze successive.
PRIMA STANZA
Primo periodo: enumerazione iniziale che stabilisce equivalenza fra aspetto naturale e riflessione interiore.
Ogni percorso segnato dalle impronte umane, io le fuggo.
Secondo periodo: in un luogo naturale del tutto solitario (spiaggia, fiume, fonte, valle ombrosa fra due
cime montuose), lì, in quel luogo, l’anima tormentata si calma. Precisa bipartizione nell’articolazione dei
periodi.
Sirma che sviluppa la prima illustrazione del tema. In questo luogo solitario, così come Amore lo invita,
chi ne è guidato prova affetti e passioni a polarità opposte; e il volto, idem (elenco di prima) ® continua
alternanza fra motti e motivi. Continua alternanza di stati d’animo che per ogni stato dura poco: alternanza

145
di speranza e dolore, di pianto e sospiro positivo, è in qualche modo frenetico. E se qualcuno guardasse
da fuori, direbbe “questo qui arde d’amore ed è incerto della sua condizione”. La natura solitaria non è
pacificante, ma è l’unico luogo nel quale può vivere la sua sofferenza, l’incessante cambiamento di stato.
SECONDA STANZA
Primo periodo: analogo a quello della prima stanza. Ha bisogno di andare in una natura che sia del tutto
aliena dalle presenze umane. Piccola variazione su uno stesso tema: camminare che è come se producesse,
passo dopo passo, la nascita di pensieri fantasmatici sulla donna. Ora c’è l’Io che pensa concretamente
alla donna.
Anche qui ci sono due periodi di tre versi iniziali.
Variazione: su questo stesso tema, un pensiero nuovo si aggiunge, si insinua il pensiero elegiaco, la spe-
ranza di un futuro diverso. ‘Forse’ iterato che apre la speranza che questa condizione possa essere un
giorno lenita dal ricambio dell’amore. Si apre uno spazio futuro.
Il monologo interiore, il pensiero nel farsi, si esprime nella serie di interrogative successive. Speranza rap-
presentata in forma patetica, nel suo farsi, nel momento in cui il pensiero dell’Io indugia e quasi cede in
un speranza.
TERZA STANZA
Ritorna nuovamente l’immagine di lui che cammina nella natura: proiezione dell’Io sulla realtà ® dove
vedo un elemento naturale (sasso) disegno con la mente la mia donna. Uscita del pensiero segnata subito
nel secondo periodo: quando ritorno alla realtà, mi trovo lacrimante, dolorante per il pensiero fatto. Pro-
fonda alienazione dentro di sé: in tutte le stanze c’è l’irrompere di un discorso diretto.
Questo indugio nel pensiero, indugio a guardare dimenticando me stesso ® proiezione fantasmatica =
sospensione del tempo. Errore che torna anche nella stanza successiva è un errore piacevole, a cui si cede.
Tempo varia a seconda delle stanze: ora non c’è più la speranza di vederla.
QUARTA STANZA
Non c’è ripresa solita. Struttura sintattica muta: primi 6 versi unico periodo. Continuità e variazione.
Campata molto più lunga dal punto di vista sintattico, ma forte continuità dal punto di vista tematico:
ulteriore messa a fuoco del movimento immaginativo dell’Io lirico nei confronti della sua amata. Movi-
mento memoriale: si ricorda di tutte le volte in cui l’ha vista, col tono della meraviglia.
Bellezza che è più luminosa della donna bella per antonomasia nella storia (Elena). Elemento paesistico
che accompagna il pensiero viene spostato, giustapposto: gioco di variazione.
Poi, alla fine di questa immaginazione, di questo sogno, quando la verità sgombra il dolce errore (errore
qua connotato in modo positivo: Petrarca che cede alla forza del desiderio mentale). Errore sì, ma quasi
di percezione, fisiologico, che è tuttavia piacevole. E quando questa fantasia finisce, io sono come impie-
trito, sopra una pietra. Raffigurazione che blocca il tempo: motto delle canzoni pianga, pensi e scriva.
QUINTA STANZA
Continua gioco, ma riconduce in modo più significativo la canzone dentro alle cosiddette canzoni di lon-
tananza.
Vista panoramica, ancora della natura selvaggia, che lo spinge a guardare con desiderio molto forte; da
quel punto panoramico, comincio a misurare con gli occhi la distanza che mi separa dall’altra persona. E
con quegli stessi occhi, con cui stima la distanza, esprime la sua sofferenza.

146
Motto del pensiero: io comincio a pensare alla mia donna, che è lontana geograficamente ma è vicina
interiormente, nella natura che circonda l’Io.
Ritorno monologo interiore, discorso diretto tra l’Io che parla con se stesso. Torna il ‘forse’ come spia di
una speranza che rimane accesa: la speranza non muore, spero che l’altro pensi ciò che io vorrei (elegia).
Proiezione del desiderio è talmente forte che si costruisce una realtà all’interno della quale la speranza ha
ancora senso di esistere. Momento di tregua momentanea legata al forse.
CONGEDO
Canonico, che si rivolge alla canzone stessa. Un giorno io sarò lontano, con una condensazione dei simboli
lauriani: bosco laureto. Là è il mio cuore, la mia interiorità, qui c’è solo la mia scorza, la mia interiorità.
CANZONE 126
Protagonista è un luogo unico, ma soprattutto il tempo, il senso del tempo e il rapporto tra presente futuro
e passato, che si addensano, si stratificano in uno stesso luogo.
Da questo punto di vista, la canzone ha come retroterra concettuale l’idea agostiniana del tempo, rispetto
alla quale Petrarca riflette più a lungo e rispetto alla quale questa canzone sembra interpretarla in modo
più profondo. Nel Canzoniere il tema del tempo è quello che ricorre più quasi ossessivamente.
Prima tempo che fugge, che scorre rapidamente, il tempo che scivola fra le dita (cfr. Familiares), riletto in
logica cristiana = timore che apre all’altro grande tema, cioè la morte, che incombe e induce a riflessione
su se stessi.
Rapporto fra letteratura e tempo: se le opere letterarie siano in grado di costruire un tempio perenne
contro l’erosione che il tempo fa delle cose umane.
Partizione del Canzoniere profondamente legata a diversa percezione del tempo: diversa idea del tempo
che gli eventi esterni provocano (es. canzone 264 profondamente legata al tema del tempo, più che della
morte). Ulteriore interpretazione del tempo che viene espressa in particolare nella canzone 126.
Alternarsi del presente, parte iniziale che va verso il futuro, salvo poi tornare al passato con scarto brusco.
Questo perché il tempo è semplicemente una distensione dell’anima: il tempo esterno all’uomo non esiste,
esiste solo la percezione che ha l’uomo. Il tempo per l’essere umano è soprattutto proiezione interiore,
della propria posizione nel tempo.
AGOSTINO, CONFESSIONI, XI (20-26; 28-37)
Riflessione sul significato del tempo, soprattutto per se stesso.
«Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato,
presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente,
presente del futuro. Queste specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non vedo altrove: il presente
del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa. Mi si permettano queste
espressioni, e allora vedo e ammetto tre tempi, e tre tempi ci sono».

È il momento in cui io percepisco questi tempi che li determina. Il tempo esiste nell’animo: è una disten-
sione dell’animo; è una percezione dell’interiorità. Tre momenti che sono percezione interiore del tempo
che hanno per ognuno dei modi di percezione: memoria, visione e attesa. Solo così posso dire che esistono
tre momenti temporali nel mondo, ma essi esistono solo nell’interiorità.
«Ma come diminuirebbe il futuro, che ancora non è, e come crescerebbe il passato, che non è più, se non per
l’esistenza dello spirito, autore di questa operazione, dei tre momenti dell’attesa, dell’attenzione e della memoria?
Così l’oggetto dell’attesa fatto oggetto dell’attenzione passa nella memoria. Chi nega che il futuro non esiste an-
cora? Tuttavia esiste già nello spirito l’attesa del futuro. E chi nega che il passato non esiste più? Tuttavia esiste
ancora nello spirito la memoria del passato. E chi nega che il tempo presente manca di estensione, essendo un

147
punto che passa? Tuttavia perdura l’attenzione, davanti alla quale corre verso la sua scomparsa ciò che vi appare.
Dunque il futuro, inesistente, non è lungo, ma un lungo futuro è l’attesa lunga di un futuro; così non è lungo il
passato, inesistente, ma un lungo passato è la memoria lunga di un passato».

Punto di osservazione che cambia continuamente crea un meccanismo dinamico: no futuro né memoria
per sempre, ma si modificano a seconda della posizione che l’Io assume nel tempo. Tempo che è
dell’anima, che plasma futuro e presente e passato. Il punto del presente da cui sto guardando determina
i modi in cui vedo il passato e il futuro.
Termine narratologico dell’analessi: ritorno al passato non è una cosa per sempre, cambia a seconda del
momento in cui lo guardo. Tornare al passato è un costante interrogarsi sulla propria esistenza. Gioco di
continue negoziazioni col proprio tempo, espresso in modo quasi esemplare nel sonetto esordiale.
Di queste tensioni la canzone 126 si carica. Celebre perché è una visione statica di Laura in un luogo
naturale; visione che Petrarca ha avuto di Laura che sta semplicemente riposandosi; immagine che si
blocca nella mente dell’Io.
PRIMA STANZA
Tutti gli elementi naturali evocati nella stanza sono chiamati ad ascoltare l’Io lirico. Modi in cui descrive
l’ambiente: primo elemento l’acqua, trasparente, brillante, dolce; acque toccate dalle membra (il corpo)
di Laura, che sembra a me l’unica donna degna di stare al mondo. Alberi (ramo): elemento memoriale, si
ricorda di quel momento estatico in cui l’ha vista. Gonna di lei seduta nell’erba che si riempie di elementi
naturali. Vento che scuote la natura, dove Amore l’ha ferito con la visione dei begli occhi di Laura: natura
che fa da contorno alla bellezza di Laura.
Immagine perfetta, edenica, di una donna rappresentata nella sua bellezza estrema in una natura ideale.
SECONDA STANZA
Se proprio è destino che io muoia pensando a questo amore, possa essere sepolto in questo luogo dove ho
visto per la prima volta Laura. Anche la morte potrebbe essere meno dolorosa se questa speranza porto
quando morirò (di essere sepolto qui). Unico luogo nel quale il corpo può essere sepolto è questo: proie-
zione del futuro, il luogo è lo stesso.
TERZA STANZA
Forse un giorno accadrà, che Laura torni in questo luogo; e, nel luogo in cui anche lei mi ha visto, lei si
guardi intorno desiderosa e felice, cercandomi (idea della corresponsione).
Evento eccezionale: Laura, vedendo il sepolcro dell’Io lirico, finalmente cede a pietà nei confronti dell’Io.
Primo: che io possa essere sepolto qui; secondo: che Laura vi veda la mia tomba e si commuova al pensiero
della mia morte.
A questa costruzione di un’attesa che diventa sempre più ardita, c’è poi un brusco ritorno al passato, uno
sprofondarsi nella posizione più lontana del passato ® ritorno che rappresenta nuovamente momento
della visione; momento estatico rappresentato con fattezze ideali.
QUARTA STANZA
Dolce nella memoria scendeva una pioggia di fuori ® l’Io si muove nel tempo in modo rapidissimo, ri-
cordando questa pioggia che scende lentamente attorno alla bellezza estatica di Laura. Nube di fiori che
costruisce immagine perfetta. I fiori cadono e c’è una messa a fuoco di alcuni dettagli: trecce bionde che
sembrano oro nitido, splendente a vederlo, colore che si fonde con la natura che la circonda. Ritorno di
un momento che ha la forza evocativa di quel momento. Il pensiero dà forza tanto alle proiezioni di un’at-
tesa quanto del ricordo.

148
QUINTA STANZA
Avvicinamento verso il presente. Quando l’ho vista, dentro di me pensavo: questo è un essere divino.
Ricordo si allarga perché dalla visione si passa all’immaginazione ® immaginazione che comincia già a
rielaborare il primo dato di realtà. Interruzione visione estatica e si chiede dove si trova. Ritorna al presente
bruscamente, dal passato: da quel momento in poi, questo luogo mi è caro, e non riesco a trovare pacifi-
cazione in altro luogo se non questo ® luogo in cui l’Io esercita il proprio desiderio dentro al tempo,
tempo creato da se stesso.
CONGEDO
Se tu fossi così ornata come desidereresti essere, potresti andare per il mondo e raccontare questa storia.
Io e desiderio dell’Io, che costruisce alternativamente ritorni al futuro, al passato e al presente. Rappre-
sentazione tra ciò che è stato, ciò che potrebbe essere, ciò che è, con continua rimessa in moto grazie al
punto di osservazione che è l’Io del presente. Ridefinizione di una canzone con molti tratti che ricordano
lo stilnovo, ma con rappresentazione totalmente nuova: donna è una sorta di angelo, ma ciò che importa
all’Io lirico è la (in)capacità di dominare il desiderio. Io lirico che modifica sulla base di un momento
estatico che ha vissuto nella sua esistenza la percezione di sé e del proprio oggetto d’amore.
11.05.21
CANZONE 264
Canzone che segna un nuovo inizio (già dalla redazione Correggio?). Diversi aspetti per cui è importante:
innanzitutto, rapporto strettissimo che la canzone stabilisce col Secretum: testo centrale nella determina-
zione nuova fase dopo anni della peste, che inaugura seconda stagione letteraria.
SECRETUM
Dialogo diviso in 3 libri, nei quali appare in visione a Petrarca la Verità: dialogo al cospetto della Verità
tra un personaggio che si chiama Francesco e uno che si chiama Agostino. Il secondo spinge il primo a
riflettere su tre temi:

1) Primo libro ® morte, o meglio, morte incombente


2) Secondo libro ® i peccati capitali, occasione in questa sorta di confessione per esaminare soprat-
tutto il peccato dell’accidia, di cui Francesco si riconosce colpevole
3) Terzo libro ® Agostino muove accusa nei confronti di Francesco perché ha seguito nella vita
l’amore terreno per Laura e l’amore per la gloria poetica.
Serrato dialogo che è in realtà una sorta di dibattito interiore (Agostino = Petrarca degli anni ’50, France-
sco = Petrarca degli anni ’40), dove il primo smonta le idee del secondo: attenzione verso le opere latine
di Agostino è deleteria per Francesco.
Richiami anche con la lettera del Monte Ventoso: legami molto sottili e gioco sulla datazione (e quella
fittizia viene spesso confusa con quella effettiva): fittizia 1343 (anni giovanili, della gloria poetica, a Pe-
trarca piace mostrarsi già in crisi anche se allora non lo sembrava); in realtà composta in 3 momenti diversi:
finire del 1347, poi nel 1349 e poi nel 1353: tre redazioni che segnano un ritorno di Petrarca sull’opera
che la aggancia alla ridefinizione complessiva attuata da Petrarca nel 1359: sfondo alle opere di tipo auto-
biografico ma introduce anche molti temi delle opere proiettate al sé. Modelli: classici, Cicerone in parti-
colare, ma anche Confessioni di Agostino (idea di una necessità di mutatio vitae è istanza molto forte che
desume da Agostino). Progetto esistenziale che non implica rifiuto e abbandono della letteratura, ma una
conversione di se stessi e della letteratura verso altre strade. Secretum non conclude con definitiva presa
di posizione dell’Io Francesco: di fronte al faticoso riconoscere le proprie colpe, l’io petrarchesco dichiara

149
di non essere pronto a cambiamento radicale, si dichiara immaturo, chiede tempo e altro spazio per con-
cludere ciò che sta facendo ® modello agostiniano introiettato, ma non veramente realizzato.

Canzone 264 recupera frammenti del Secretum = profondamente legata nella sua radice inventiva ai temi
del Secretum.
Non prende avvio da un evento esterno, ma da una gravissima e profonda crisi interiore. Canzone di crisi,
una crisi apparentemente irrimediabile: maggiore distanza tra la consapevolezza del proprio errore e l’in-
capacità di porvi rimedio, l’Io non è in grado di trovare soluzione.
Tecnica del contrasto: i pensieri del poeta si alternano nella sua mente, come se diverse letture della sua
realtà si alternassero dentro la canzone stessa.
Valori dal punto di vista numerologico: tra il numero delle canzoni introdotte nel Canzoniere, questa è la
21°: l’amore per Laura si consuma in 21 anni della sua vita (dal 1327 al 1348); narrazione fittizia dura per
altri 10 anni dopo la morte di Laura. Elemento di strutturazione Canzoniere ulteriore: ultime fasi redazio-
nali, quando il numero dei componimenti corrisponde ai giorni di un anno (escluso esordio). Se il giorno
dell’inizio è il 6 aprile, la canzone 264 coincide con il 25 dicembre = giorno di cambiamento radicale nella
vita del cristiano, annuncio, un punto di variazione rispetto alla storia.
Petrarca lavora a questo testo per rappresentare momento di smarrimento profondo del suo Io, e dove
sente più forte la necessità di cambiare.
Preceduta in precedenti edizioni dalla sestina 142. Legame tematico molto forte prima della dislocazione
dei testi.
CONGEDO SESTINA 142
Sestina interessante perché è una delle più esplicite palinodie del genere metrico: materia spirituale, in cui
prende forma il desiderio di un cambiamento in direzione spirituale, abbandono della sensualità.
Congedo battuto e ribattuto dalla parola ‘altro’ ® costituisce ossatura: tutti i versi legati a un’alternativa
rispetto all’esistenza, che viene ricercata in virtù dell’urgenza che il tempo propone. Sorta di tentativo di
caricare semanticamente in modo diverso le stesse parole che erano state incontrate: amore non per Laura,
ma per Dio, fronde non dell’alloro, lume non degli occhi della donna, ma del cielo, un’altra strada, etc.
Idea di cambiare radicalmente il proprio orizzonte ideologico.
Canzone 264 ® c’è questa ricerca di alternativa, o almeno monito che il poeta produce per necessità di
trovare un’alternativa.
‘Altro’ torna già al verso 4 (continuità di pensiero). Potenziale tematico tutto sviluppato dalla canzone
264. ‘I’ vo pensando’ ® presentazione di un pensiero nel suo farsi, che continua a svilupparsi.
PRIMA STANZA
Penso alla mia condizione, e ho commiserazione così forte di me stesso che mi porta a un soffrire diverso:
lacrime di compatimento di se stesso per l’errore in cui è caduto.
Vedendo la morte approssimarsi, la fine della vita sempre più vicina (tempo e morte che si impongono a
ridurre le possibilità per l’Io di trovare vie di fuga e di scampo). Ho chiesto un aiuto a Dio per uscire da
questa prigionia, grazie alla quale l’anima può sollevarsi verso di lui.
Tempo è sempre elemento decisivo nella riflessione petrarchesca: fino a questo momento, nulla mi solleva
rispetto a questa condizione; non va più a cercare agenti esterni a cui affidare la sua condizione ® rico-
noscimento delle proprie colpe, dice che è bene così. Passaggio sostanzialmente ripreso dal Secretum:

150
Ut sicut verume est neminem nisi sponte corruere, sic etiam illud verum sit: innumerabiles sponte prolapsos non
sua tamen sponte iacere; quod me ipso fidenter affirmem. Idque michi arbitror in penam ut, quia dum stare
possem nolui, assurgere nequeam dum velim. [Secr. I, 38]

Come è vero che ognuno si perde di sua volontà, così è vero che moltissimi che volontariamente sono caduti niente
affatto volontariamente continuano a giacere: cosa che potrei tranquillamente affermare di me stesso. Anzi, credo
che mi sia stato dato come punizione il fatto che, non avendo voluto star diritto quando potevo, non riesco a
rialzarmi ora che lo vorrei.

“Punizione” che si merita. Stesso concetto espresso nei versi appena letti della canzone.

‘Pietose braccia’ ® di Cristo, pronto ad accogliere e perdonare l’uomo. Ma io sono trattenuto dal timore
per gli esempi altrui e ho paura della mia condizione, che altri mi invitano a modificare, ma io sono forse
all’estremo della mia vita. Possibilità di salvezza, ma Io lirico che non si sente pronto ad affrontare percorso
che lo porta ad essa.
SECONDA STANZA
Contrasto fra pensieri; dialogo interiore fra istanze dell’Io che rappresentano le diverse posizioni che l’Io
assume.
I pensieri parlano con la mente e chiedono cosa desideri, agogni, da cosa speri soccorso. Tuo disonore =
non generica affermazione, ma accusa etica e morale molto profonda: il tempo sta passando e tu non lo
metti a frutto.
Esortazione vivace a cambiare direzione. Cambia vita, estirpa dal tuo cuore ogni radice di piacere che non
può rendere l’uomo felice (= tentazione verso le cose terrene), e non lo lascia respirare.
Se l’amore ti ha per lungo tempo indebolito, infastidito, reso più fragile, di quell’amore fuggevole che ti
ha tradito, come puoi ancora riporre speranza in lui, ormai privo di darti speranza e serenità? Nuovo
riferimento al Secretum:
O cece, necdum intelligis quanta dementia est sic animum rebus subiecisse mortalibus, que eum et desiderii flam-
mis accendant, nec quietare noverint nec permanere valeant in finem, et crebris motibus quem demulcere polli-
centur excrucient? [Secr. III, 141]

Cieco che sei! Ancora non capisci quale gran follia sia il sottomettere così l’animo alle cose mortali, le quali,
mentre l’accendono con le fiamme del desiderio, non sanno poi quietarlo né sono capaci di durare sin alla fine, e
lo torturano con continui sussulti quando promettono di rasserenarlo?

Amore diventa ossessione, e una volta caduti in questo inganno non c’è modo di uscirne, nonostante le
promesse di salvezze, che sono ingannevoli e traditrici.
Mentre tu sei ancora vivo, hai tu nelle tue mani le redini dei tuoi pensieri (sei ancora capace di dominarli):
quindi afferrale, ora che sei ancora in grado di farlo, perché è pericoloso ritardare quest’azione; non è mai
troppo presto iniziare questo cambiamento. Ritorno insistente del tema del tempo, dell’urgenza di cam-
biare vita.
Avere in balia / in controllo i pensieri ® sonetto 6, immagine di contrasto tra desiderio e mente e la
mancanza di controllo.
TERZA STANZA
Moto memoriale: rammemorazione del passato che induce nuovamente a una riflessione sul presente.
Ricordare cos’è stato l’amore vissuto dall’Io deve indurlo con maggiore forza a cambiare.
Come nel Secretum, Agostino spinge Francesco a riconoscere la verità: amore è come una catena d’oro,
che illude e attira, ma resta sempre una catena.

151
Ritorno alle origini, agli inizi, al momento in cui inizia la storia d’amore. Andamento dialogico: già sai
quanta dolcezza ha offerto la tua vista, la visione di lei che spera quasi non fosse mai esistita (tante sono le
sofferenze che abbiamo passato). Passaggio con eco del sonetto 3 (prima visione di Laura che illumina e
fa innamorare Petrarca): inizio ribadito su tema del ricordo, quasi obbligato ® devi ricordarti di quando
è corsa quella fiamma, così forte, che siamo rimasti abbagliati (sono i pensieri che parlano fra di loro).
Accese questa fiaccola d’amore e questo ardore fallace, ingannevole, è durato molti anni aspettando un
giorno che non viene mai (la soluzione). Idea che NON CI SIA esito positivo all’amore che è PRECEDENTE
alla morte di Laura (qua è ancora viva!).
Persistenza di amore:
Quid enim aliud egit cum, nullis mota precibus, nullis victa blanditiis, muliebrem tenuit decorem et, adversus
suam simul et meam etatem, adversus multa et varia que flectere adamantinum licet spiritum debuissent, inexpu-
gnabilis et firma permansit? [Secr. III, 153]

Che altro ha fatto quando, ferma dinnanzi a ogni preghiera, superiore a ogni seduzione, ha conservato la sua
onestà di donna ed è rimasta inespugnabile e ferma, malgrado l’età sua e mia, e malgrado tante altre cose che
avrebbero fatto cedere anche un animo duro come il diamante?

Idea che il giorno della pacificazione dell’amore non verrà mai è quasi una virtù di Laura. ‘Che per nostra
salute unqua non vène’ ® quasi necessario nella dimensione amorosa del Canzoniere.
Rivolgiti a una speranza più beata, amore verso le cose sacre, contemplando il mondo e il creato cambia
l’oggetto della tua passione: la visione del mondo deve indurti a cambiare te stesso. Se già un piacere
temporaneo come quello generato dalle apparizioni fisiche della bellezza, quanto grande sarà la bellezza
divina? Altro passaggio profondamente legato al Secretum:
Satis superque satis hactenus terram caligantibus oculis aspexisti; quos si usqueadeo mortalia ista permulcent,
quid futurum speras si eos ad eterna sustuleris? [Secr. Prohem., 22]

Sin qui troppo hai tenuto rivolti a terra gli occhi offuscati: ma se le corse terrene li hanno allettati a tal punto, che
mai potrai aspettarti se li alzerai verso le eterne?

Riconoscimento di quella bellezza, del muover d’occhi, del ragionar del canto che è semplicemente pre-
ludio a una bellezza altra.
QUARTA STANZA
Interrogazione su altro grande elemento di tentazione dell’Io lirico: la gloria letteraria; che ha agito sull’Io
lirico con forza spingendolo su strade che il cristiano non avrebbe dovuto inseguire.
Un altro pensiero, dolce e allo stesso tempo agro, con un peso si siede dentro l’anima e preme il cuore di
desiderio e lo alimenta di speranza. Desiderio di una fama gloriosa che unica non sente i cambiamenti del
mio stato ® gloria che spinge a dimenticare quasi se stesso, si affatica e si consuma per gli studi stessi. Al
di là delle mie condizioni, quando tento di sopprimere questo desiderio di gloria, rinasce con ancora più
forza. Parallelismo cose terrene rappresentate da Laura con altro desiderio di Petrarca per la gloria. Gloria
letteraria che nel Secretum si configura soprattutto per le opere latine; anche se in alcune stratificazioni
dell’opera Laura è la gloria stessa (lauro, alloro, come se lei fosse il simbolo della gloria); ma sono due
desideri che convivono e lo soggiogano.
Questo desiderio, che è nato quasi con me stesso, è aumentato nel corso del tempo, e temo che mi porterà
sino alla morte, non riuscirò a liberarmene. Passaggio del Secretum:
Cogitas nempe te his studiis aliquanto prius quam etiam arderes deditum fuisse poeticumque illud decus ab annis
puerilibus animum excitasse. [Secr. III, 158]

Stai pensando che ti sei dedicato a questi studi ben prima di innamorarti, e che quel riconoscimento poetico [la
laurea] ti aveva eccitato l’animo sin dalla fanciullezza.

152
Desiderio di gloria letteraria, che è terrena e legata solo alla propria costruzione di monumento alla propria
fama laico, è qualcosa che domina Petrarca da sempre.
Quando l’anima sarà liberata dal corpo, questo desiderio non potrà più seguirti, perché legato alla caducità
del terreno. E se parleranno di te dopo la morte, questo è un vento = è vanitas, è inutile, qualcosa di
inconsistente.
Io, che ho paura di mettere insieme cose che in un’ora spariscono, che si distruggono in un istante, vorrei
abbracciare il vero e lasciare le ombre, lasciare la vanità ® è solo un desiderio, una pulsione verso, ma
non vero cambiamento. Io lirico non ha la forza per cambiare.
QUINTA STANZA
E il tempo passa, che io, mentre scrivo di altri, non mi interesso di me ® cfr. sentenza agostiniana cima
del Monte Ventoso. Secretum:
Ita totam vitam his duabus curis, ut intercurrentes alias innumeras sileam, prodigus preciosissime irreparabilisque
rei, tribuis, deque aliis scribens, tui ipsius oblivisceris. [Secr. III, 192]

Così, hai dedicato tutta la tua vita a queste due opere [Africa e De viris illustribus] (taccio le innumerevoli altre
che s’inframmettono a queste), prodigando il tuo bene più prezioso e irrecuperabile, e mentre scrivi degli altri ti
sei dimenticato di te stesso.

Itaque tu, conscribendis libris, etate ista presertim, tantis te laboribus maceras, pace tua dixerim, procul erras;
oblitus enim tuarum, alienis rebus totus incumbis. [Secr. III, 192]

Perciò tu che specialmente in questo momento ti consumi in tante fatiche per scrivere dei libri – lo dirò con tua
pace – sbagli di molto. Hai dimenticato le cose tue, e dedichi tutto te stesso a quelle degli altri. Così, per una vana
speranza di gloria, ti fugge via il brevissimo tempo della vita, e non te ne accorgi.

Stesso identico concetto ripetuto. Da un lato il tuo bene più prezioso (Petrarca riconosce di essere un
abile letterato: dono che Dio gli ha dato che deve mettere a frutto). Sentimento di angoscia è ancora più
forte col riconoscimento delle virtù che dovrebbe mettere a frutto ma che non riesce completamente.
La bellezza di questi occhi mi trattiene con grande forza (‘mi ritien con un freno’), non ha la capacità di
dominare questo sentimento.
Immagine frequente di vita = barca che attraversa mare pericoloso: che vantaggio traggo nel rendere più
solida la mia nave, se è ancora incastrata tra questi due scogli? Che senso ha cercare di consolidarmi se io
sono ancora fra questi due nodi?
Ritorna come nella prima stanza andamento quasi costante di preghiera a Dio stesso: rivolgersi a Dio nel
tentativo di avere la grazia di uscire da questa condizione. È come se all’interno di questa canzone si
alternasse il grido di chi riconosce di non avere la forza e chiede un aiuto.
Rapporti con testi chiave: termine ‘vergogna’ ® campo semantico del sonetto esordiale.
Come qualcuno che antivede la sua fine, mi sembra di avere la morte davanti a me, mi sembra di volermi
difendere, ma non ho le armi per farlo. Tempo e morte accompagnano tutta questa canzone come ele-
mento icasticamente forte per spingere l’Io a cambiare vita.
SESTA STANZA
Pensiero di amore e pensiero di aver sostituito unico vero oggetto di amore (Dio) con una donna: è questa
la colpa e la vergogna che lo fa arrossire ® pensieri amorosi che si traducono in rossore visto dagli altri,
che denunciano la sua incapacità di allontanarsi da questo desiderio di carattere amoroso.
F. Noli, queso, precipitare sententiam: Deum profecto ut amarem, illius amor prestitit.
A. At pervertit ordinem.

153
F. Quonam modo?
A. Quia cum creatum omne Creatoris amore diligendum sit, tu contra, creature captus illecebris, Creatorem non
qua decuit amasti, sed miratus artificem fuisti quasi nichil ex omnibus formosius creasset, cum tamen ultima
pulcritudinum sit forma corporea. [Secr. III, 147-148]

F. Ti prego, non dare giudizi affrettati! L’amore per lei mi ha sicuramente fatto amare di più Dio.
A. Ma ha rovesciato l’ordine.
F. In che modo?
A. Mentre tutto il creato deve essere amato per amore del Creatore, tu invece, sedotto dalla creatura, non hai
amato il Creatore come dovevi, ma hai ammirato in Lui l’artefice di quella, quasi non avesse creato niente di più
bello. Mentre la bellezza del corpo è l’ultima delle bellezze.

La bellezza può avere elemento di avvicinamento a Dio (nella bellezza delle creature si riverbera la bellezza
divina); ma l’errore di Petrarca è aver circoscritto amore all’oggetto e non a chi lo ha creato. Osservare
bellezza terrena dovrebbe comportare estasi, momento di transizione verso chi ha creato quella bellezza.
Bisogna amare Dio per debito, per necessità, perché è lui ad averla creata.
Immagine del sonetto 6: ragione depistata dal folle desio che spinge la razionalità a perdere il controllo.
SETTIMA STANZA
Prosegue interrogatorio con sempre più urgente emersione del tempo. Tempo è morte e diventano così
necessari che l’Io lirico deve giungere a una conclusione.
Non so quanto tempo, spazio, mi rimane, per soffrire la guerra che ho ordito contro me stesso: senso di
profonda responsabilità dei propri conflitti interiori, non nascono da qualcos’altro. Né posso sapere pro-
fetizzare il giorno in cui morirò. Ma vedo cambiare il colore dei miei capelli, che mi dice che il tempo sta
passando. E sento dentro di me una volontà di cambiare il desiderio. Adesso che mi sento vicino al mo-
mento della partenza, o non molto lontano, come chi appunto ha perso la strada, ripenso al momento in
cui ho lasciato il percorso verso la strada corretta, quella che porta alla redenzione (immagine di stampo
pitagorico per cui la vita è fatta a Y).
Cum enime recto tramite ascendens ad bivium pervenissem modestus et sobrius, et dextram iuberer arripere, ad
levam […] deflexi; […]. Ex tunc autem obliquo sordidoque calle distractus et sepe retro lacrimans conversus,
dextrum iter tenere non potui, quod cum deserui, tunc, profecto tunc, fuerat illa morum meorum facta confusio.
[Secr. III, 151-152]

Quando infatti, salendo per la retta via, sono giunto modesto e sobrio al bivio, e mi si disse di prendere la destra,
io ho piegato a sinistra. Da allora, smarrito per un sentiero sordido e contorto, e spesso volgendo indietro tra le
lacrime, non sono riuscito a riguadagnare la destra: ecco, allora, quando l’ho lasciata, ho stravolto i miei compor-
tamenti.

Strada del peccato, sordida e contorta, erronea, di sinistra, da cui non è più stato in grado di uscire.
Da un lato mi punge la vergogna e il dolore che spinge ad andare indietro, dall’altro vengo assolto da
desiderio molto forte che spinge a patteggiare con la morte: nel momento in cui mi trovo a parlare con la
morte, quel desiderio mi spinge a trovare una soluzione di compromesso invece di riconoscere le mie
colpe.
CONGEDO
Momento definitivo di riconoscimento della condizione.
Dialoga con la canzone: sono arrivato a un punto in cui sono terrorizzato: animo è dominato dalla paura
della morte. Buona parte della mia vita si è già svolta; mai una sofferenza è stata così forte come quella che
provo ora; che con la morte seduta accanto a me, mi spinge a cercare un nuovo modo di vivere. Sentenza
finale: Metamorfosi di Ovidio (calco) + Lettera di S. Paolo ai Romani (in cui si ritorna sullo stesso tema)
® vedo ciò che dovrei fare, e continuo a fare il peggio.

154
Ovidio, Met. VII 20-21
Video meliora proboque, / deteriora sequor [Vedo il meglio, e l’approvo, ma seguo il peggio]

San Paolo, Lettere ai Romani 7, 19


Non enim quod volo bonum, hoc facio: sed quod nolo malum, hoc ago. [Infatti non faccio il bene che voglio,
bensì il male che non voglio, questo compio.]

Dichiarazione a chiare lettere sensazione di crisi e incapacità di agire, quasi intollerabile per l’Io, che non
riesce a negoziare con le proprie colpe, che segue sempre la strada sbagliata. Canzone disperata che
esprime crisi intellettuale profondissima, crisi della coscienza, della volontà di cambiare vita ma incapacità
di farlo. Da questo punto di vista, se Petrarca assume dentro la sua opera il modello agostiniano, il pro-
blema forte e la deviazione che fa dal modello è che la conversone sembra non arrivare mai. E questa
canzone lo testimonia nel modo più drammatico possibile.
Con questo comincia la seconda parte del Canzoniere: tutti gli eventi esterni non c’entrano, non sono
dominanti ® è dominante l’Io e la sua condizione.
12.05.21
Parte finale del Canzoniere. Il testo 264 non segna dal punto di vista narrativo la svolta della morte di
Laura: questo momento è raccontato nel sonetto 267.
SONETTO 267
Dittico con la canzone 268: che riprende i modi espressivi del sonetto 267, ma espande in modo più ampio
la riflessione riportata all’interno del testo.
Sonetto con evidente modello letterario a cui si ispira (palinsesto: struttura nascosta su cui si organizza il
sonetto nel suo insieme): canzone Oimè, lasso, quelle trezze bionde di Cino da Pistoia, dove piange la
perdita della sua donna, Selvaggia. Il testo è tutto costruito sull’iterazione dell’esclamazione ‘oimè’.
CINO DA PISTOIA, OIMÈ, LASSO, QUELLE TREZZE BIONDE
Oïmè, lasso, quelle trezze bionde ch’ogn’altra mi facea vedere a dietro
da le quai riluciéno e lieve mi rendea d’amor lo peso,
d’aureo colori li poggi d’ogni intorno; spezzat’hai come vetro,
Morte, che vivo m’hai morto ed impeso.
oïmè, la bella ciera e le dolci onde,
che nel cor mi fediéno, Oïmè, donna d’ogni vertù donna,
di quei begli occhi, al ben segnato giorno; dea per cui d’ogni dea,
sì come volse Amore, feci rifiuto;
oïmè, ’l fresco ed adorno
e rilucente viso, [267, 1-2] oïmè, di che pietra qual colonna
oïmè, lo dolce riso in tutto il mondo avea
per lo qual si vedea la bianca neve [264, 5] che fosse degna in aire farti aiuto?
fra le rose vermiglie d’ogni tempo;
E tu, vasel compiuto
oïmè, senza meve,
di ben sopra natura,
Morte, perché togliesti sì per tempo?
per volta di ventura
Oïmè, caro diporto e bel contegno, condutta fosti suso gli aspri monti,
oïmè, dolce accoglienza dove t’ha chiusa, oimè, fra duri sassi
ed accorto intelletto e cor pensato; la Morte, che due fonti
fatt’ha di lagrimar gli occhi miei lassi.
oïmè, bell’umìle e bel disdegno,
che mi crescea la intenza Oïmè, Morte, fin che non ti scolpa
d’odiar lo vile ed amar l’alto stato; [264, 3-4] di me, almen per li tristi occhi miei,
se tua man non mi colpa,
oïmè lo disio nato
finir non deggio di chiamar omei.
de sì bell’abondanza,
oïmè la speranza [264, 12]

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Planctus: genere retorico della consolazione, della disperazione, del pianto per una morte. Petrarca con-
densa la canzone ciniana in un sonetto: struttura iterativa dell’oimè è molto più marcata in Petrarca.
Petrarca guarda come modello ideale anche i testi danteschi, soprattutto quelli della Vita nova in morte di
Beatrice.

Il sonetto 267 è legato alla sequenza 264-265-266-267: affinità strutturale ® tutti questi testi hanno come
verso finale citazione esplicita di un testo classico (o moderno):
• 264 ® calco di Ovidio (con interferenza di S. Paolo)
• 265 ® Arnaut Daniel
• 266 ® Cicerone
• 267 ® vicino a un verso di Virgilio dell’Eneide.
Altro elemento coesivo tra gli ultimi tre: schema metrico identico. Elementi di continuità caratteristici
della struttura proprio di tutto il Canzoniere.
Questo sonetto celebra e racconta la disperazione alla notizia della morte di Laura. Descrizione della
morte parte da una descrizione della bellezza di Laura: come se elemento memoriale, raffigurazione fan-
tasmatica di Laura fosse confrontata con la realtà drammatica ® bellezza estatica che si confronta col dato
di realtà della morte, per cui il poeta non può più indugiare su questa visione. Drammaticità della morte
e capacità (se c’è) dell’uomo di attraversarla. Qui non è ancora fase meditativa; siamo in fase patetica
dell’espressione del dolore.
Quasi rimpianto per questa venuta troppo tardiva di una Laura che così descritta, solo in termini positivi,
in funzione di mediatrice: persona che trasforma un ingegno ‘fero’ in ‘humile’. È il momento della morte
che porta a una proiezione emotiva, non intellettuale e razionale: eleva ancora di più la bellezza di Laura.
Per tutte le caratteristiche elencate conviene che io arda, e sono sempre stato vostro. C’è stato momento
in cui ho sperato profondamente in questo amore, ma questa speranza era vana, perché il vento ha trasci-
nato con sé le parole (citazione classica).
CANZONE 268
Fin dal suo esordio, dal momento iniziale (interrogative), primo moto di riflessione di una mente scon-
volta, che si chiede cosa gli resta da fare. Sarebbe tempo di morire: e già ha tardato troppo.
Moto quasi allucinato che rappresenta lo sconvolgimento che la notizia ha provocato nell’Io lirico. Su
questo testo Petrarca lavora tantissimo: lo troviamo nel codice degli abbozzi, con numerose modifiche
autografe. Interessanti anche le note che pone a margine, una delle prime che scrive è che il testo non è
abbastanza triste, non abbastanza pateticamente pieno. Due direzioni: maggiore enfatizzazione del mo-
mento drammatico (amore e morte va colta come sconvolgimento vero); inoltre lavora a una sorta di obli-
terazione, lavoro di celamento dei precedenti letterari a cui sta guardando. Dante autore con cui si scontra:
prime redazioni della canzone mostrano caratteristiche forti delle canzoni dantesche, che con le correzioni
Petrarca vuole nascondere.
Momenti di disperazione assoluta/momenti di primo conforto (legati all’idea che Laura possa avere, cri-
stianamente, dopo la morte, un destino migliore). Ma il conforto non è così grande e l’Io ritorna continua-
mente sull’emistichio ‘ma io pur vivo’ (componimenti seguenti).
Sonetto 267 si espande nella canzone 268 in un primo momento di riflessione razionale (ma sconvolta).
Esperienza della morte altrui che viene allargata anche ad amici e altre figure care: ricorda ad esempio la
morte di alcuni membri della famiglia Colonna. Senso della morte che diventa pervasivo nella seconda
parte del Canzoniere: la morte richiede risposte continue che l’Io lirico non sa dare.

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CANZONE 360
Canzone nella quale Petrarca rappresenta la sua condizione divisa. Simula dibattito giuridico: costruita su
modello di un processo vero e proprio (si vede anche dai termini) ® Amore lo ha chiamato a difendersi,
e ci sono istanze in cui Amore e Io lirico dialogano davanti a un giudice. Somiglianze con Secretum, ma
vere e proprie posizioni di accusa/difesa: Petrarca si scinde e prova a discutere la sua condizione da posi-
zioni diverse. Se Io lirico accusa Amore di averlo corrotto, Amore, che è un’altra parte dell’Io di Petrarca,
risponde con altrettanta forza retorica che è lui che gli ha concesso di trovare dimensione esistenziale
diversa, a partire dalla biografia dantesca ® grazie a lui addirittura ha lasciato gli studi giuridici. Rilettura
del proprio passato: Io lirico rilegge la propria vita e capisce come ne è stata funestata dalla presenza di
Amore.
Nuove rappresentazioni di Agostino e Francesco del Secretum, anche se hanno posizioni retoriche diffe-
renti: dibattito posto alla fine del Canzoniere, che dimostra istanze dell’Io molto separate. Tanto che ter-
mina col giudice che si esprime con forma laconica: non arriva a una conclusione. Coralmente chiedono
alla Verità la sentenza (= esprimere parola definitiva su una condizione, ed è quello che Petrarca vorrebbe
avere). Lei risponde che non è ancora il momento: testo rimane sospeso con una inconclusione molto
significativa, al termine di una canzone particolarmente ampia, dove la narrazione è fatta in modo molto
puntuale e analitico. Due punti di vista che sono due modi che l’Io lirico ha di leggere la propria espe-
rienza, nel tentativo di trovare una soluzione (fallendo).
CANZONE 366

Conclusione databile al 1363 (piuttosto avanti) ® composizione: proprio in quegli anni Petrarca è parti-
colarmente dedito al culto mariano (che emerge nei vari scritti, es. le epistole). Collocazione: decide che
sia ultimo testo del libro quasi subito dopo averlo composto (explicit che Petrarca si trascina da un de-
cennio, perché non era mai stato soddisfatto; anche l’accesso a questo testo viene pensato e ripensato).
Svolta molto importante: problema interpretativo anche per l’esegesi petrarchesca. Carattere finalmente
spirituale, ma anche uno dei testi che viene percepito dai lettori delle generazioni successive come poco
centrale rispetto all’imitazione petrarchesca, perché percepito quasi come elemento esterno.
Elementi numerologici: termine ‘Vergine’ ricorre 21 volte all’interno della canzone; in tutte le stanze inol-
tre ricorre nella stessa posizione, ovvero al primo e al nono verso = simmetria che Petrarca fa a ragion
veduta, che sembra riprendere le cadenze tipiche dei versi sacri, delle litanie. Inoltre le stanze sono 10,
come gli anni dell’esperienza post-morte di Laura. Inoltre i versi di ogni stanza sono nuovamente 10 (1+9).
Ispirazione: da un lato, modello provenzale di Guiraut Riquier, a cui poteva aver guardato perché autore
di un piccolo canzoniere che si conclude dopo la morte della donna con una canzone alla vergine. Altro
testo a cui guarda: ultimo canto del Paradiso, con preghiera di Bernardo rivolta alla Vergine. Gran parte
dei modelli con cui dialoga sono relativi alla letteratura sacra: bibbia, testi liturgici, inni. Non solo cambia
l’oggetto della poesia, ma anche la biblioteca ideale che sta dietro quel testo: spostamento del baricentro
ideologico del testo porta a prendere come riferimento modelli altri, sia per la topica (figure retoriche,
luoghi comuni, etc.), sia per l’intonazione e la struttura (metrica, gioco di riprese, litania).
In questa canzone, Io lirico scompare in quanto Io lirico che abbiamo conosciuto fino ad ora (= che
esprime personale esperienza di Petrarca e riflette sulla propria vita). Emergerà nella canzone, ma per i
primi due terzi è l’Io penitente, che prima di raccontare nel dettaglio la sua esperienza si dichiara corrotto
e bisognoso di aiuto, che chiede alla vergine. Uscita, finalmente, dalla dimensione vissuta da Petrarca fino
ad ora per aderire a diversa poetica, che è del tutto religiosa. E per farlo Petrarca costruisce un piccolo
poema. Canzone rappresenta un uomo che si è pentito, che ha capito nel profondo che la vita che seduce
gli uomini è evanescente, ed è quindi disposto a essere un altro.

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Testo che si configura come elogio: tipico della preghiera, esaltazione della figura sacra. Culto mariano
nel gioco di sovrapposizioni: ancora parla di una figura femminile, che sceglie per la sua capacità di essere
mediatrice fra il divino e l’umano e rappresenta la via d’accesso più comprensibile al divino.
PRIMA STANZA
Inizio, quasi un’invocazione, che è insieme invocazione e descrizione delle condizione della Vergine, rap-
presentata come luce iridescente, corona di stelle. Seconda parte invocazione, aiuto per espressione poe-
tica: voglio esprimere a parole il mio amore nei tuoi confronti ® amore che evidentemente a questo punto
è esclusivamente spirituale. E per dire queste parole invoca tanto la vergine Maria quanto Cristo: moto
poesia di epica sacra, invocazione del sacro a sostegno della parola poetica.
Seconda parte della stanza. Richiesta di aiuto, soccorso richiesto in atteggiamento di umiltà. Ma l’evoca-
zione della storia dell’Io (‘la mia guerra’) è ancora espressa in modo generico: è ancora la vita del cristiano.
SECONDA STANZA
Evoca il testo sacro (qui la parabola delle vergini sagge, dal vangelo di Matteo); sulla base di questo lei è
la prima fra le vergini sagge, ed è quella che indica con la sua lampada la strada al cristiano.
Lo scudo, altra immagine tipica della preghiera, contro il quale si può trovare rimedio alla morte: risposta
a tutti i quesiti ® morte può essere compresa solo se ci si affida al sacro; si può superare in virtù di un
destino superiore. Infatti dice che si ‘trionfa’: termini bellici.
Il ‘soccorri’ che chiudeva prima stanza si ripete qua in esortazione. Gli occhi con cui hai guardato alla
ferita crudele fatta nelle carni di tuo figlio, con lo stesso sguardo pietoso volgili verso di me, che sono in
condizione incerta e ormai privo di consiglio, vengo da te (cfr. ‘miserere’ del sonetto 62). Richiesta dispe-
rata di un soccorso che il divino può dare.
TERZA STANZA
Tema dell’immacolata concezione: parla della verginità della madonna. Immagini fra dimensione terrena
(limo, fango, qualcosa che avvolge e impedisce all’uomo di risalire) e la luminosità che rappresenta una
via d’uscita, un punto verso il quale orientarsi.
Attraverso di te, attraverso la concezione di Dio, Cristo è venuto a salvarci. Verso 31 ® ‘fenestra del ciel’:
molto diffusa espressione nel linguaggio teologico per luogo attraverso il quale posso vedere il divino.
Torna esortazione sempre nella parte finale della stanza: preghiera del penitente che dice tu che ne hai
possibilità, rendimi degno di questa grazia.
QUARTA STANZA
Contatti con il canto XXXIII del Paradiso molto forti: ricordano da un lato la triplice funzione di Maria
vergine che ha salvato il mondo dalla sofferenza in quanto colei che ha portato beatitudine nel mondo.
QUINTA STANZA
Ritorno immacolata concezione: ventre della donna che si fa tempio sacrato di Dio nonostante la verginità
(‘feconda’). Attraverso di te la mia vita può tornare a essere felice se aggiungi una grazia alle tue preghiere.
Comincia a emergere lentamente l’Io a cui siamo abituati: quasi genuflesso, ricordiamo la canzone 264
con le due vie, destra e sinistra, ma anche racconto in virtù del quale Petrarca si presenta come colui che
è incapace di scegliere la strada corretta.
SESTA STANZA
Ritorna immagine quasi martellante del Canzoniere: idea di vita come navigazione in ‘terribile procella’;
dove aveva espresso disperazione per la sua condizione di uomo destinato a perire, qui quella immagine

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viene risemantizzata in virtù di Maria vergine, unica guida a cui ci si può affidare, in una vita che è in
generale una guerra perigliosa, piena di tentazioni che l’uomo da solo non è in grado di affrontare.
Sono solo, abbandonato, non ho una guida, e sono vicino alla fine della vita (già dalla canzone 264); situa-
zione ancora più drammatica proprio perché è senza guida. ‘Nemico’ è demonio: aiutami contro questa
tentazione. Ricordati che la nostra debolezza, il nostro peccato, ha fatto sì che Dio scendesse sulla terra
attraverso Cristo e quindi attraverso di te per redimere le nostre colpe.
SETTIMA STANZA
Io non è più generico, è Petrarca. Rime sparse del primo sonetto: sparse inutilmente, solo per la sua pena
e un suo danno ancor più grave di quanto già non fosse.
Processo memoriale che riparte dall’inizio, da quando è nato, la sua vita è stata semplicemente e sempre
dolore. Riepiloga ancora una volta la bellezza terrena, la tentazione per essa, gli atti e le parole che gli
offuscano l’anima: capacità di vedere meno nitida che lo rende peccatore ® vs. continuo gioco di esalta-
zione della luce che è la figura sacra, che è chiarore.
Lentamente riaffiora l’Io con la sua storia personale. La mia vita è trascorsa, ed è trascorsa in modo erro-
neo, tra miserie e peccati, tra sofferenze ed errori: giorni fuggiti nel segno della vanitas. Rete di relazioni
che si crea col sonetto esordiale emerge forte.
OTTAVA STANZA
Tale è una presenza nella terra (Laura) che ha messo in una condizione di sofferenza il mio cuore, che il
mio vivere è stato dominato dal pianto ® e tutti sapevano di questa mia condizione: chiunque vedeva la
mia condizione evidente, palese, la mia incapacità di uscire da questa crisi.
E sarebbe ugualmente accaduto ciò che accadde (cioè Laura si sarebbe ugualmente negata al suo amore),
perché una sua diversa volontà sarebbe stata causa di perdizione per me e di disonore per lei. E grazie
all’intercessione della beata vergine l’Io lirico spera di salvarsi alla fine, in qualche modo.
NONA STANZA
La vera predisposizione che il cristiano deve avere nei confronti del sacro è l’umiltà: mi devi aiutare perché
io sono una creatura di Dio, e questo deve spingerti ad avere pietà di me ® non guardare il mio valore,
ma ciò che si intravede di Dio nella sua creatura.
Medusa = Laura, e il mio errore, mi hanno pietrificato, reso un sasso. Doppia presenza: Medusa, ma
l’errore è suo.
Che almeno l’ultimo pianto sia devoto: risemantizzazione dei termini ® lacrime d’amore siano finalmente
lacrime d’amore, senza il fango terrestre (terra = manifestazione della debolezza dell’uomo). Pianto pieno
di follia; prima sofferenza d’amore è stata folle, almeno l’ultima sia saggia.
DECIMA STANZA
Piena rilettura della propria capacità: tutto ciò che io ho, lo consacro a te ® spostamento di orizzonte
forte, rispetto all’idea stessa del senso che ha la poesia per l’Io lirico stesso.
‘Cangiati desiri’: i desideri mutati, è il desiderio folle del sonetto 6 che è mutato per sempre. Tensione non
più verso il terreno, ma verso il divino.
CONGEDO
‘Pace’ ® ultima parola del Canzoniere: sigilla per Petrarca la fine di questa infinita e travagliatissima espe-
rienza. Pace è porto ultimo dove non ha avuto la forza di approdare; può arrivarci solo tramite l’aiuto di
Dio, che può essergli concesso solo se l’Io si spoglia dei desideri terreni.

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A questa altezza del Canzoniere si capisce come l’esperienza raccontata nel Rerum vulgarium fragmenta
miri a un racconto che mischia elementi della cultura classica di Petrarca (riflessione morale su se stesso,
passione letteraria, affrontare con coraggio le proprie debolezze, solo esponendole), giunge a conclusione
in nome di una componente profondamente medievale: finale adesione al mondo religioso della fede,
rispetto al quale l’Io ha trovato costanti ostacoli per raggiungerlo.
Il Canzoniere è il racconto di questa tormentatissima difficoltà di un Io che rilegge e cerca una soluzione
senza mai trovarla. Elemento finale non cambia il senso del Canzoniere. Dichiarazione di sofferenza (cfr.
fluctuationes, oscillazione dell’anima, moto ondoso del pensiero che continua incessantemente a riflettere
su se stesso).
Se nella Vita nova vediamo un tragitto rettilineo fatto anche di smarrimenti, ma con un fine preciso, la fine
del Canzoniere è meno incisiva rispetto al percorso stesso che fa per arrivarci: è nel percorso che si con-
suma tutta l’esperienza petrarchesca, che dialoga con le proprie tensioni e paure in modo aperto e mai
chiuso. E il tutto avviene all’interno di uno stile raffinatissimo, ricco di dettagli e piccole sfumature, che
rappresentano il continuo dibattito con se stesso.
Storia di un’anima costruita con i frammenti dell’anima stessa. Le singole tessere sparse e rimesse insieme
in nome di una sorta di mosaico ideale. Specchio che si è rotto che l’Io cerca di ricomporre: identità che
combatte per definirsi. Cambio di passo che comporta un cambiamento significativo nella storia della
tradizione lirica italiana (e non solo).
Petrarca segna un nuovo modo di rappresentare il sé nella poesia.

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