Sei sulla pagina 1di 33

Epoca 1 La civiltà comunale- fino al 1300

Inquadramento storico: Il Comune è la nuova struttura istituzionale della società urbana che si sviluppa in Europa tra
l’XI e il XII secolo.

La nobiltà detiene il controllo politico e militare nella vita dei Comuni: molti nobili vengono assunti dai Comuni come
capi militari o con particolari incarichi di governo, dando inizio alla trasformazione dei Comuni in Signorie. I mercanti
investono le ricchezze accumulate in proprietà terriere e i più ricchi tra loro entrano nella nobiltà, mentre numerosi
nobili si impegnano nei commerci.
Strettissimi sono i rapporti tra città e campagna: la produzione agricola, in aumento, è l’unico mezzo di sussistenza
Questa complessità di rapporti complica la realtà socio-politica, comportando innumerevoli guerre fra città e città, fra
città e poteri feudali o fra fazioni di una stessa città. All’inizio del conflitto fra l’imperatore Federico II e la Chiesa, si
formano in tutta Italia i due partiti dei Guelfi e dei Ghibellini. Lo schierarsi delle famiglie ha motivazioni disparate. In
alcune città si verificano poi spaccature decisive tra la vecchia aristocrazia (i magnati o grandi) e gli strati sociali
emergenti (il popolo, distinto in grasso- ricchi e agiati- e minuto- artigiani e imprenditori). In questo orizzonte così
frammentato, le due istituzioni fondamentali del Medioevo, Impero e Chiesa, lottano tra loro per conservare la propria
universalità.

I luoghi istituzionali
le corti signorili: in molti centri si instaurano delle Signorie, dove il signore fa del proprio palazzo una corte in cui
ospita intellettuali in fuga dalle lotte di fazione (Cangrande della Scala a Verona e Guido da Polenta a Ravenna
offriranno sostegno a Dante). del Nord (marchesi di Monferrato, signori della Marca Trevigiana, Malaspina marchesi
della Lunigiana): qui si trasmette una cultura che esalta la vita aristocratica, ispirata ai modelli letterari provenzali. Più
complessa è la vita culturale alla corte siciliana dell’imperatore Federico II (1194-1250) (Magna curia) che riunisce
attorno a sé forme di sapere ed esperienze di scrittura di varia origine: conoscenze tecniche e scientifiche, la letteratura
poetica latina, la cultura araba filosofica e letteraria, la cultura normanna in lingua d’oïl, la cultura greco-bizantina e
quella tedesca; in più sostiene lo sviluppo della poesia in volgare siciliano. Nel far convivere differenti tradizioni,
Federico II intende dimostrare la sua capacità unificante.
La Chiesa è tuttora un essenziale punto di riferimento culturale: i monasteri benedettini cedono il loro ruolo primario ai
nuovi ordini mendicanti, impegnati nella trasmissione religiosa nella vita urbana. Nei loro conventi cittadini, operano
importanti scuole che formano “tecnici” capaci di controllare la religiosità popolare e immettersi nelle confraternite.
Nei comuni operano diversi organismi culturali. La presenza di numerosi nobili e le visite di grandi signori con il loro
seguito aprono uno spiraglio verso la cultura delle corti; Nelle città si sviluppano le università (pag. 25) che pur non
raggiungendo il dinamismo di quelle parigine, sono di una certa importanza: Bologna detiene il predominio europeo nel
diritto e si realizzano progressi nel campo della medicina anche a Padova. Nelle città comunali si intensifica l’istruzione
primaria grazie all’attività di maestri laici e alla diffusione di scuole pubbliche; dappertutto l’insegnamento si basa sulla
lingua latina. Qui di grande importanza è la retorica: nella società comunale, l’amministrazione pubblica richiede una
diretta partecipazione dei cittadini e un corretto uso della parola. Particolarmente rilevante è perciò la retorica, insegnata
nelle scuole di Bologna e Arezzo che risultano determinanti nella formazione dei ceti politico-amministrativi comunali.
Un apporto nuovo, non solo allo sviluppo della retorica, ma anche a quello della prosa volgare, viene dal fiorentino
Brunetto Latini (1220- 1294); che crea la figura dell’intellettuale civile che coniuga il proprio fare letterario con
l’attività politica. In Brunetto operano ancora molte componenti medievali, come rivela la sua opera enciclopedica, il
Tresor in lingua volgare (francese) che costituita da tre libri che trattano dalla teologia, alla storia, alla politica.

La produzione letteraria: LA NASCITA DELLA LETTERATURA IN VOLGARE

nel XIII secolo nasce una vera letteratura scritta in volgare italiano (anche se ridotta): ritardo del volgare italiano
●Il volgare italiano: 1. inizialmente viene impiegato come lingua volta a risolvere questioni di tipo pratico (atti notarili,
documenti pubblici, nella vita religiosa quotidiana ecc..). 2. non nasce come lingua unitaria: a causa della varietà dei
dialetti locali, nessun volgare locale riesce a diffondersi su tutta la penisola. Italici – lombardesco. Si creano quindi
lingue letterarie intermedie, che interpretano determinate aree. L’eccessiva frantumazione può rendere troppo
difficoltosa la comunicazione: l’immagine unitaria della lingua letteraria italiana è frutto di un lento processo che
terminerà nel 400 e 500 con l’affermazione del toscano come lingua letteraria media e all’egemonia di Firenze sugli
altri centri culturali italiani e alla riduzione a rango di dialetti di molte realtà linguistiche.
Restano tuttavia molte incertezze sull’efficacia del volgare italiano, testimoniate dalla resistenza del latino e dall’ampio
uso degli altri volgari romanzi dotati già di una tradizione letteraria. (pagg. 59, 60 e 61).
●il successo della lirica provenzale nel nord Italia (Raimbaut de Vaqueiras)
●I testi in volgare nascono a stretto contatto con quelli in latino che è ancora la lingua della comunicazione colta, della
diplomazia e che garantisce l’unità del tessuto culturale cristiano.
●La maggior parte dei manoscritti in volgare sono andati perduti, sia per la cattiva conservazione, sia per la scarsa
considerazione degli umanisti del Quattro e Cinquecento. I libri giunti fino a noi sono poi libri che, nel processo di
confezionamento e/o copiatura hanno subito grosse modifiche anche a livello linguistico per l’ancora presente
instabilità linguistica. Quanto è giunto fino a noi ci mostra che i libri volgari, sono soprattutto zibaldoni contenenti
opere differenti accomunate dal tema o dal genere letterario. La produzione più nutrita riguarda la prosa narrativa e di
intrattenimento; la poesia viene diffusa attraverso canzonieri che includono testi di autori diversi.

La letteratura religiosa
- gran numero di volgarizzamenti di testi religiosi e morali destinati a un pubblico laico e popolare, che semplificano la
materia religiosa riducendola ai suoi aspetti più elementari. L’opera più popolare è il volgarizzazione di testi della prima
letteratura francescana originariamente redatti in latino, come i Fioretti di san Francesco (si allenta il rapporto tra
letteratura francescana e vita popolare).
La lotta alle eresie:
Nella società urbana del XIII secolo il Cristianesimo è molto importante: si diffonde la convinzione che il mondo,
violento e corrotto, possa divenire realmente cristiano. Questa si scontra con le strutture ufficiali della Chiesa e viene
individuato come eresia, escatologismo (ciò che riguarda la fine dell’uomo e del mondo) o millenarismo (l’attesa di un
nuovo millennio governato da Dio). La risposta della Chiesa di Roma è decisa e spietata e arriva a forme di sterminio di
massa; nella caccia all’eretico (1233 Tribunale dell’Inquisizione). L’eresia nasce negli strati più umili della società che
affermano l’ideale della povertà cristiana, in polemica contro la corruzione del clero, si sostiene il diritto, anche per i
laici, a un rapporto diretto con la parola di Dio. Molti di questi movimenti: Valdesi, Catari (puri) credevano in una
teologia dualistica che distingueva dai prigionieri del male i pochi eletti, destinati alla beatitudine. Vi sono tuttavia
anche delle eccezioni, con ordini accettati dalla Chiesa:
domenicano e quello francescano (dei frati minori che dichiara una completa sottomissione alla Chiesa). Essi ribaltano
la concezione della vita monastica isolata e intervengono attivamente nella vita cittadina. I domenicani, più legati alle
strutture dominanti della Chiesa, si concentrano sulla predicazione in volgare (sviluppando abili capacità oratorie) e si
propongono la lotta all’eresia. - la letteratura domenicana Vengono realizzati i primi manuali di ars praedicandi e i
repertori latini di sermones. Ci hanno lasciato manuali, repertori di exempla, trascrizioni di prediche. Il più originale tra
gli scrittori appartenenti a questo ordine è il fiorentino Iacopo Passavanti, che in Specchio della vera penitenza
presenta la vita umana come un vasto campo di male, cui si può sfuggire solo affidandosi alla Chiesa e rinunciando a
ogni interesse terreno. Tommaso d’Aquino: frate domenicano
Per Tommaso la naturalis ratio, “ragione naturale”, che ha avuto la massima valorizzazione in Aristotele, è essenziale
per la conoscenza dell’universo e di Dio. Su tale base egli elabora una filosofia complessa e articolata, che si suole
paragonare a una cattedrale gotica, e che sarà per secoli la filosofia ufficiale della Chiesa di Roma: la sua capacità di
assorbire filosofie e motivi culturali diversi e di gerarchizzare ogni elemento offre alla Chiesa uno strumento potente.

In più stretto rapporto con le masse operano i francescani il cui fondatore, Francesco d’Assisi, diffonde nei suoi seguaci
un desiderio di vita evangelico-pauperista. Alla morte del fondatore nel 1226 l’ordine francescano, diffusosi assai
rapidamente, viene lacerato dalle contese tra gli spirituali, fedeli al messaggio della povertà, e i conventuali, propensi a
una istituzionalizzazione e all’acquisizione di beni e poteri. Gli spirituali attendevano un rinnovamento radicale,
collegandosi all’insegnamento di Gioacchino da Fiore (1130-1202), fondatore di una nuova comunità monastica
nell’eremo di San Giovanni in Fiore e autore di una concezione teologica della storia, distinta in tre età: quella del Padre
(l’età dell’autorità- Vecchio Testamento), quella del Figlio (l’età della fede-venuta di Cristo) e quella dello Spirito Santo
(l’età della libertà-rinnovamento della Chiesa).
La letteratura francescana: San Francesco (1182-1226) fu l’autore del primo testo volgare di alto valore poetico: egli
infatti possedeva una profonda cultura religiosa, coniugata a un’attenzione per la letteratura romanzesca francese. Il
Cantico di frate Sole (1225): è una preghiera a Dio in volgare umbro,
Schema: 33 versi senza un metro preciso ma ritmati secondo schemi della prosa latina medievale e secondo un metro
lento e ripetitivo. Dopo un’iniziale lode della potenza divina, contrapposta all’indegnità dell’uomo, invita a lodare il
Signore e le sue creature di cui si sottolinea la bellezza. Due altre lodi chiamano in causa l’uomo: una in nome del
perdono e della sofferenza, una in nome della morte, considerata necessaria. Un’ultima lode al Creatore riassume il
cantico sotto il segno dell’umilitade. Bonaventura da Bagnoregio La letteratura che si ispira a san Francesco è volta a
rievocarne la vita e le opere, a conservarne la memoria e a divulgarne il valore esemplare e a rispecchiarne i conflitti
interni all’ordine. La sua è la figura più prestigiosa della cultura francescana del secolo ed è detto “il dottor serafico”.
Seguendo gli studi e poi insegnando presso la facoltà di teologia dell’università di Parigi. I suoi scritti affermano la
centralità della fede e riducono la ragione umana a strumento del processo che porta alla fede. Tutta la realtà è una scala
per salire a Dio e al filosofo tocca definire i gradi di questa scala in cui è racchiusa la traccia divina. Tra le sue
numerose opere ricordiamo il Breviloquium, sintesi del suo pensiero teologico, l’Itinerarium mentis in Deum, che
indica le tappe del viaggio intellettuale per giungere a Dio e la Legenda Mayor.
- Santa Caterina da Siena:
- Iacopone da Todi
La poesia religiosa in volgare sviluppa la lauda: è in questa nuova tradizione che si inserisce Iacopone da Todi. Vita:
Nato a Todi dai nobili Benedetti, ebbe una solida formazione ed esercitò la professione giuridica. Si allontanò dalla sua
città nel ’68 per una subitanea conversione seguita a una sciagura- il crollo di un pavimento- durante una festa da ballo,
a causa della quale morì la moglie. Trascorse allora dieci anni in penitenza mendicando ed entrò nell’ordine francescano
come frate laico e si avvicinò agli spirituali polemizzando contro la corruzione della Chiesa. Iacopone si oppone all’uso
intellettuale della religione da cui parte la polemica contro la Chiesa di Roma (O papa Bonifazio, molt’ài iocato al
mondo).
Linguaggio: ricorre all’uso del dialetto umbro, Lauda: è un componimento di carattere religioso che fiorisce nel XIII
secolo e sopravvive a lungo. Il nome del componimento oscilla tra le forme lauda e laude e si riferisce alle laudes, lodi,
rivolte alle divinità e cantate in sequenze ritmiche (come le Laudes creaturarum di San Francesco)..
Origine: Essenziale per la sua storia fu il 1260 quando, sulla scia della profezia di Gioacchino da Fiore, si diffuse
l’attesa dell’età dello Spirito Santo: nell’Italia centro-settentrionale si propagarono i Flagellanti che percorrevano le
strade battendosi in segno di penitenza e cantando lodi. Quando, dopo un’affermazione spontanea, si organizzarono in
confraternite, raccolsero i propri canti in appositi laudari.
Struttura: Le prime forme volgari ebbero strutture molto varie: si impose la forma della ballata in cui si alternavano le
voci di un solista che cantava le singole stanze e del coro dei fedeli che cantavano la ripresa.
La lirica volgare
Nel De vulgari eloquentia, Dante distinse la storia della lirica in tre momenti: 1) creazione di una lingua letteraria
illustre da parte dei poeti siciliani della corte di Federico II; 2) svolgimento di una poesia cortese in Toscana in forme
stilisticamente “plebee” per opera di Guittone d’Arezzo; 3) ripresa di forme illustri dal bolognese Guinizzelli e dal
gruppo fiorentino di Dante

La nascita della lirica volgare: la scuola siciliana


La lirica cortese in volgare italiano sorge negli anni Trenta del XIII secolo alla corte di Federico II: gli autori sono
personaggi legati alla struttura giuridica e amministrativa che trapiantano nel volgare di Sicilia i modelli della lirica
cortese provenzale. Vanno ricordati Federico II, re Enzo, Pier delle Vigne, Guido delle Colonne e Giacomo da Lentini
Nella nuova lirica italiana, pure ispirata a quella provenzale si notano tuttavia dei tratti peculiari:
1. vi è una preminenza della scrittura rispetto all’oralità e alla parte musicata che comporta
2.una più sistematica elaborazione metrica: I generi più usati sono canzoni, canzonette e soprattutto il sonetto, un nuovo
tipo di componimento breve ideato da Giacomo da Lentini, uno dei più grandi esponenti della scuola siciliana e
soprannominato “Il Notaro”.
3. Dal punto di vista tematico viene recuperata solo la materia amorosa, anche questa in un certo senso rivisitata:
a).si trasferisce su un piano più astratto (il rapporto con la donna è basato su un semplice contatto visivo), senza però
esprimere il pathos tipico di alcuni provenzali. b). Ha una funzione sociale: essa affronta l’amore dal punto di vista
“feudale” e mette al centro la donna, nobile signora da servire con dedizione ed è proprio nel cantare il suo rapporto con
la donna che il poeta accresce il proprio valore: il suo servire l’amata e la sua fedeltà lo rendono socialmente più degno.
o a noi attraverso canzonieri organizzati a distanza dalla composizione dei testi.
Il problema linguistico: L’origine toscana dei manoscritti che riportano tali componimenti pone problemi linguistici:
tutti hanno subito una forte toscanizzazione, riconducibile alla provenienza dei compilatori ma anche al ruolo di lingua
letteraria dominante del toscano. Sono molto pochi i componimenti che ci sono pervenuti in “siciliano originale”, per
esempio alcuni raccolti da Barbieri nel 1800 e che egli stesso trasse dal “Libro siciliano” andato perduto.

Forme strofiche italiane


Inizialmente gli schemi utilizzati sono molto vari e sottostanno all’influenza delle poesie francesi e provenzali:
Terzine: si tratta di strofe in 3 rima di tre endecasillabi legate da rima incatenata ABA\BCB\CDC (Dante sarà decisivo)
Quartine: è un termine generico valido per ogni successione strofica di quattro versi.
Sestine: vari tipi di strofe di sei versi.
Ottave: la stanza in ottava rima costituito da otto endecasillabi ABABABCC (nel XIV secolo con Boccaccio e i cantari
divenne il metro essenziale della poesia narrativa italiana).
Le forme liriche essenziali della letteratura italiana sono
la canzone: modellata sulla canso provenzale e si articola in stanze (strofe in 8 rima di endecasillabi e\o settenari: una
prima parte, fronte, divisa in due piedi; e di una seconda parte, sirma, divisa in due volte; tra la fronte e la sirma può
esserci un verso di collegamento, chiave; infine il congedo)
il sonetto: è una creazione italiana e siciliana e avrebbe avuto origine da una stanza isolata di canzone. È formato da 14
endecasillabi, raggruppati in due quartine (fronte) e in due terzine (sirma). Le rime delle quartine devono essere solo
due (ciascuna torna quindi 4 volte: ABAB\ABAB e ABBA\ABBA)
la ballata, di parziale origine popolare e presente nelle letterature d’oïl e d’oc, è composta di stanze di endecasillabi e\o
settenari ed è legata alla musica e alla danza: le stanze venivano cantate da un solista e il ritornello da un coro.
la canzonetta: ha schemi e caratteri della canzone ma solo con versi brevi: settenari od ottonari.
- La versificazione italiana (pagg. 66 e 67)
Basandosi sui principi della versificazione romanza, quella italiana fa leva:
sugli accenti delle parole della nostra lingua con conseguenti ampie possibilità di ritmo
sul numero delle sillabe (che dipende dagli accenti): quando la parola è piana l’ultima sillaba tonica segna la fine del
verso (in realtà è la penultima sillaba del verso perché a seguire c’è una sillaba atona in più: verso femminile).
A differenza del francese e del provenzale, la numerazione delle sillabe dei versi si fa considerando l’ultima sillaba
accentata, cosicché la numerazione italiana comporta un numero in più: corrispondenza tra decasyllabe francese e
endecasillabo italiano.
pause ritmiche (cesure): I versi con cesura possono essere con cesura mobile o fissa. Il più diffuso, alle origini della
poesia italiana, è l’alessandrino, ripreso dal francese, con due coppie di settenari. Il verso per eccellenza con cesura
mobile è l’endecasillabo che risulta dall’unione di un quinario e di un settenario o viceversa: quando il primo membro è
un quinario si parla di endecasillabo a minore, quando il primo membro è un settenario di endecasillabo a maiore.
Perché si abbia un endecasillabo e non una giustapposizione di quinario e settenario, il primo membro deve essere
tronco o tra il primo e il secondo membro deve esserci sinalefe
- I rimatori siculo-toscani
Guittone d’Arezzo
La morte di Federico II e il crollo della casa di Svevia fecero venir meno la corte meridionale; negli anni Cinquanta e
Sessanta si ebbe così un trapianto della nuova lirica volgare nell’Italia comunale, in particolare in Toscana, dove i
conflitti tra Guelfi e Ghibellini comportavano numerosi contatti con la corte sveva. Bonagiunta Orbicciani prese
l’iniziativa di trapiantare nel volgare toscano la poesia siciliana. I principali centri di produzione di questa lirica furono
Lucca, Pisa, Pistoia, Firenze e Bologna.
Pur rimanendo legata alla poesia siciliana, fa emergere un legame più diretto ed indipendente con la poesia provenzale:
1. Vengono recuperate tutte le tematiche tipiche della poesia provenzale, non limitandosi a quella amorosa; 2. A livello
linguistico, si dà largo spazio a forme dialettali toscane, provenzali e latine.
Tra gli autori ricordiamo:
Guittone d’Arezzo: caposcuola di questa poesia “municipale” toscana (1235-1294). Nella sua produzione si possono
distinguere una poesia amorosa e una civile e morale; nella prima, come i siciliani, descrive l’alternarsi di gioia e
dolore. L’orizzonte municipale è evidente nelle sue canzoni civili. Le lettere in prosa di Guittone, prima manifestazione
di una prosa d’arte in volgare, sono prediche scritte con scopi morali e civili.
I poeti che tentavano esperienze analoghe erano etichettati come poeti cortesi siculo-toscani o guittoniani.
- Il “dolce stil novo”: caratteri generali
Non è una scuola o espressione di un’estrazione sociale precisa,

ma un insieme di esperienze che, distaccandosi dall’amor cortese, mettono capo a una nuova poesia d’amore di grande
coerenza linguistica e forte ambizione intellettuale:

Il bolognese Guinizzelli ne è il padre ma la nuova poesia trova la sua definizione più articolata a Firenze negli anni
Ottanta per opera di Cavalcanti e Dante.

La denominazione di “dolce stil novo” si ricava a posteriori dalle parole che Dante nel canto XXIV del Purgatorio fa
dire a un esponente della lirica cortese, Bonagiunta Orbicciani, nel girone dei golosi. Dante gli espone la propria
poetica, che collega la scrittura allo “spirare” di Amore: la poesia è trascrizione letteraria razionale di quello che Amore
“spira” (crea nell’anima un movimento di sostanze psichiche) e “ditta dentro” (da “artes dictandi”, traduce lo spirare in
termini linguistico-retorici).

Poetica: Sua materia poetica è l’amore, sia come espressione sentimentale, sia e soprattutto in quanto riflessione sulla
sua essenza sui suoi effetti sulla morale.
La donna: La donna dello stil novo
- La donna stilnovistica non viene quasi mai raggiunta: spesso appartiene a un altro o comunque si
frappongono inibizioni sociali; l’obiettivo di questo amore non è la realizzazione di un desiderio ma la
continua tensione verso un valore inafferrabile. “SALUTO”
- appare improvvisamente in qualche angolo della città (dimensione urbana) e il rapporto amoroso è fatto di
fuggevoli incontri e incontri-apparizioni che producono
- effetti sconvolgenti sul poeta. Effetti che l’autore registra con nozioni della filosofia contemporanea e di
antiche credenze: gli effetti dell’amore vengono considerati come conseguenza del movimento di sostanze
incorporee, gli spiriti, capaci di influire sulle facoltà dell’anima individuale.
- solidarietà tra Amore e gentilezza, qualità della stessa sostanza e determinate dalle influenze celesti:
l’autentico amore è riservato ad alcuni cuori gentili, ma la gentilezza non si identifica con la nobiltà di sangue.
- la novità stilnovistica della nuova poesia non fu sentimentale ma dottrinale e stilistica. Quest’ultima consiste
nella dolcezza, (di suono), da ottenere mediante la scelta accurata di vocaboli, la loro semplice collocazione, il
ripudio di suoni duri, di forme artificiose e aggrovigliate, cioè il ripudio dello stile di Guittone, che, maestro
ammirato della precedente generazione, è il bersaglio degli stilnovisti.
Guido Guinizzelli, precursore dello “stil novo”
Iniziò la sua attività da rimatore in stile guittoniano per poi passare a uno stile “novo” e “dolce” (di cui è considerato il
precursore) ma ricco di tensione intellettuale e filosofica. Temi:
- AMORE: forza benefica ma riduce l’amante all’immobilità;
- “Al cor gentil rempaira sempre Amore”, manifesto dell’amore stilnovista
Guido Cavalcanti: l’amore che distrugge
Vita: Nacque nel 1260 circa da una nobile famiglia guelfa fiorentina. Fin da giovane si occupò di letteratura volgare e
di filosofia.

Temi:
- Amore: è inteso come un “accidente” (cioè qualcosa che fa parte di un oggetto senza però costituirne
l’essenza) determinato da influenze astrali. Esso è una forza ostile che conduce alla morte. Ad essere messe in
luce sono due situazioni tipiche: l’angoscia che colpisce l’innamorato e il suo annichilimento, cioè la perdita
di ogni facoltà di reazione di fronte alla comparsa della donna: Cavalcanti è il primo, nelle letterature volgari,
ad avvertire la violenza distruttiva dell’amore.
- La donna: l’esaltazione del “valore” della donna, provvista di una forza magica e incorporea che costringe il
poeta a “servire”;
- Gli “stilnovisti” minori e Cino da Pistoia
Rispetto a Cavalcanti e a Dante, gli altri poeti a loro vicini si collocano a un livello medio Cino da Pistoia, legato a
Dante e da lui stimato e influenzato. Il suo canzoniere di 165 componimenti è tra i più vasti dello stilnovismo.

Negli anni Sessanta la cultura fiorentina mette a punto nuove forme, divergenti dalla poesia cortese municipale
- La poesia “giocosa”
In quegli anni si sviluppa in Toscana, specialmente a Siena la poesia burlesca fiorentina o poesia giocosa sul modello di
Rustico Filippi, (che nei suoi sonetti in lingua fiorentina tratta concreti aspetti del rapporto amoroso con un’intensità
estranea alle convenzioni cortesi).
Temi: una realtà distorta, caricature di un personaggio, tenzoni comiche, scambi di sonetti tra rimatori che si
aggrediscono a vicenda. Sonetti giocosi vengono scritti anche da Guinizzelli, Cavalcanti e Dante.
Lingua: modi più bassi del volgare fiorentino, vivo e incalzante opponendosi alle ambizioni illustri della poesia cortese
e amorosa. Di ricca famiglia guelfa senese, Cecco Angiolieri scrive sonetti che raccoglie nel suo canzoniere comico.
Essi esibiscono un repertorio di gesti aggressivi e provocazioni per esprimere la sua insoddisfazione. Tre sono i temi
principali: l’amore per Becchina, parodia di quello stilnovista; l’odio per il padre, vecchio e avaro; il bisogno di denaro,
unica fonte di felicità.
- Poesia popolare e giullaresca
Della poesia popolare, affidata alla creazione collettiva e alla tradizione orale, abbiamo pochissime tracce scritte.
Le prime espressioni di poesia popolare in volgare sono in Italia precoci e molto anteriori a quelle di poesia colta e le
più antiche sono legate alla produzione giullaresca.
Caratteristiche: 1. Un suo carattere dominante è la ripetizione di forme e motivi costanti; il suo intrecciarsi con il canto,
la musica e la danza; i testi vengono messi per iscritto solo per l’interessamento di un pubblico non popolare o quando
qualche professionista vuole fissare nella memoria il proprio repertorio (per questo i testi giullareschi sono per lo più
anonimi).
Testi: “Ritmo laurenziano” (metà del XII secolo), in cui un giullare chiede in dono un cavallo a un vescovo di Pisa;.
Memoriali bolognesi (Libri Memorialium) è la documentazione più ricca di argomenti e moduli popolari e giullareschi;
registri semestrali su cui i notai di un ufficio bolognese riportavano i contratti e i testamenti e riempivano gli spazi
bianchi con varie poesie, colte e popolari.
- La poesia didattica volgare dell’Italia settentrionale
Tale poesia, che fa uso dei dialetti locali (Lombardia e Veneto), non avrà lungo seguito in quanto sarà spazzata via dai
modelli toscani.
Contenuti: ingenui, come il gusto del meraviglioso
Autori: la poesia didattica venne nobilitata dal milanese Bonvesin da la Riva (seconda metà del Duecento-1313\1315),
che ben rappresenta le classi medie. Egli è fedele all’antico modello comunale e contrario alla grande nobiltà che a fine
secolo trasforma il Comune di Milano in una Signoria: la sua ottica municipale si limita all’ingenua esaltazione della
città (Le meraviglie di Milano).

La prosa volgare:
la più interessante letteratura narrativa di intrattenimento rimane quella versificata dei cantari:
- Traduzioni e volgarizzamenti:
i volgarizzamenti di opere dal latino e le traduzioni dal francese e dall’arabo.
- Trattatistica enciclopedica e scientifica:
la tendenza enciclopedica medievale raggiunge nel XIII secolo la più spiccata sistematicità. Si compongono allora delle
summae che organizzano rigidamente la pluralità delle nozioni del sapere universale.
- Scritture storiche e cronache:
un’altra tradizione medievale che si prolunga nel XIII secolo è quella delle storie universali in latino, che partendo
dall’origine del mondo accumulano notizie da fonti disparate senza filtro critico. Ci sono poi le cronache, che
raccontano eventi recenti di vita pubblica vissuti dal compilatore. La cronaca più celebre e affascinante è quella in
volgare di Dino Compagni, la Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi, scritta al tempo della discesa di Arrigo VII e
che narra le vicende fiorentine col proposito di denunciare la corruzione politica. Molto diversa la Cronica di Giovanni
Villani.
Il Milione di Marco Polo
Genere: è difficile inserire il Milione, il libro più noto della letteratura italiana del Duecento, all’interno di un genere
preciso: per la sua scrittura fa pensare alla cronaca e alla trattatistica storico-geografica; per la sua materia alle relazioni
di viaggio.
Il viaggio: Il viaggio in oriente del veneziano Marco Polo (1254-1324) fu preceduto da un viaggio del padre Niccolò e
dello zio Matteo, mercanti in oriente, che avevano raggiunto la corte del Gran Khan, imperatore della dinastia
gengiskhanide e sovrano dell’Asia. Dopo il ritorno a Venezia, i due partirono di nuovo per l’Asia intorno al 1271
insieme a Marco, con una missione da parte del papa Gregorio X. Nel suo soggiorno a corte, Marco si inserì nella
gerarchia feudale mongola, divenendo uno degli uomini di fiducia dell’imperatore e percorrendo la Cina e altre regioni
con vari compiti. Dopo il ritorno a Venezia nel 1295 fu fatto prigioniero dai genovesi e in prigione incontrò Rustichello
da Pisa, autore di romanzi in prosa in lingua d’oïl. Dal racconto orale di Marco, che Rustichello trascriveva in francese,
nacque Le divisament dou monde (La descrizione del mondo). Il quadro dell’Oriente offerto dal Milione è resistito per
secoli nell’immaginario europeo.
- La prosa moralistica
La prosa di divulgazione morale era strettamente legata alla prospettiva cristiana ma forniva modelli anche per
l’esistenza quotidiana e laica.
- La narrativa:
Nel XIII secolo il romanzo cortese viene trasferito in volgare italiano attraverso la prosa; in area toscana si producono
traduzioni e riadattamenti dei romanzi francesi e un largo pubblico di aristocratici e borghesi viene affascinato dal ciclo
arturiano.

Dante Alighieri
La vita
Nato a nel giugno 1265 a Firenze, fu battezzato con il nome di Durante. Il padre, Alighiero, apparteneva alla piccola
nobiltà cittadina guelfa e godeva di un certo benessere economico, la madre si chiamava Donna Bella.
L’educazione: la sua prima educazione si basò sullo studio della “grammatica” e fin nella giovinezza manifestò
curiosità per la letteratura classica e romanza che circolava a Firenze. Nella formazione contarono molto alcuni contatti
con la vita intellettuale di Firenze: essenziale fu per lui il modello della coscienza del valore politico e dell’impegno
culturale di Brunetto Latini e altrettanto importante fu il contatto col “primo amico” Guido Cavalcanti, con il quale si
impegnò nella poesia amorosa dello stil novo. Alla frequentazione dei gruppi giovanili fiorentini è legato l’incontro con
Beatrice, una donna realmente vissuta di nome Bice; nonostante i contatti sporadici, l’amata rappresenta un valore
assoluto nel quale specchiare il proprio desiderio di giustizia e verità. Nel frattempo Dante aveva compiuto alcuni
viaggi. Nel decennio successivo alla morte di Beatrice (1290) Dante approfondì la sua preparazione teologica e
filosofica.

I suoi impegni civili: Secondo un contratto stipulato dalla famiglia, nel 1285 Dante sposò Gemma Donati, da cui ebbe
tre o quattro figli. Per i suoi doveri di nobile, combattè come “feditore a cavallo” a Campaldino contro Arezzo (1289) e
partecipò alla presa di Caprona contro Pisa (1289). Escluso dalle cariche pubbliche dagli Ordinamenti di Giustizia,
iniziò l’attività politica in seguito ai “Temperamenti” del 1295 e si iscrisse alla corporazione degli speziali: fece parte
del Consiglio dei Trentasei del capitano del Popolo e del Consiglio dei Cento.
In quegli anni nella classe dirigente guelfa si produsse una spaccatura tra i Bianchi e i Neri. A Firenze i due
schieramenti nacquero gradualmente a partire da alcuni litigi familiari causati da questioni di vicinato: i Cerchi,
mercanti di recente ricchezza avevano comprato alcune case, già dei Conti Guidi, accanto a quelle dei Donati ed
erano nati alcuni dissidi legati ai più vari motivi di convivenza. Dopo la cacciata dei ghibellini (sostenitori dello
stato) dalla città e la loro definitiva sconfitta nella Battaglia di Campaldino (1289), si auspicava un periodo di pace
per la città di Firenze, ma le rivalità, prima a livello semplicemente personale e poi familiare, si estesero
gradualmente a tutta la città. I guelfi bianchi, capeggiati dai Cerchi favorevoli alla signoria erano un gruppo di
famiglie aperte alle forze popolari, perseguivano l'indipendenza politica ed erano fautori di una politica di maggior
autonomia nei confronti del pontefice, rifiutandone l'ingerenza nel governo della città e nelle decisioni di varia
natura. I guelfi neri, invece, guidati dai Donati che rappresentavano soprattutto gli interessi delle famiglie più
ricche di Firenze, erano strettamente legati al papa per interessi economici e mercantili e ne ammettevano il pieno
controllo negli affari interni di Firenze, incoraggiando anche l'espansione dell'autorità pontificia in tutta la
Toscana.
Dante si schierò con i Bianchi ma mantenne una posizione moderata: le sue prese di posizione si legavano non tanto al
punto di vista della sua fazione, quanto alla volontà di difendere l’autonomia di Firenze dall’ingerenza del pontefice e
degli Angioini, che minacciavano di appoggiare i Neri.
Quando la lotta entrò nella fase cruciale, con un braccio di ferro tra papa Bonifacio VIII e il governo di Firenze dei
Bianchi, Dante venne eletto tra i sei priori e dimostrò grande fermezza nella condanna al confino dei membri più
intransigenti delle due fazioni.
Il 1^ novembre 1301 le truppe angioine di Carlo di Valois entrarono a Firenze destituendo il governo bianco e
richiamando i Neri dall’esilio.

L’esilio:
27 gennaio 1302 il podestà condannò Dante all’esclusione da ogni carica e al confino per due anni come falsario e
barattiere e a pagare un’ammenda di 5000 fiorini. Non presentandosi, Dante fu condannato a morte in contumacia.
Iniziò così l’esilio, durato fino alla morte, in cui fu costretto a chiedere ospitalità a corti e signori dell’Italia centrale e
settentrionale. Dopo un soggiorno nella Marca Trevigiana, fu in Lunigiana alla corte dei Malaspina e in diverse località
della Toscana.
In un primo momento rimase legato ai Bianchi fuoriusciti, sostenendo il loro progetto di rovesciare il governo di
Firenze, tuttavia prima ancora della sconfitta della Lastra inflitta ai Bianchi, Dante se ne allontana, non condividendo le
loro azioni di forza.
1303-1305: questi sono gli anni del De vulgari eloquentia e dell’Inferno.
1308 e 1310: la notizia dell’elezione al trono imperiale di Arrigo VII di Lussemburgo e della sua discesa in Italia
suscitò in Dante la speranza nel trionfo della giustizia e della pace: scrisse varie epistole ai principi italiani, esortandoli
ad assoggettarsi all’imperatore e si recò nell’Italia settentrionale per incontrare Arrigo. In tutta Italia i Guelfi si
opponevano ai progetti di Arrigo VII, allora Dante si accostò ai Ghibellini, ma le sue speranze crollarono con la morte
dell’imperatore (1313).
1312 e 1318: Dante fu a Verona insieme ai figli presso la corte di Cangrande della Scala: in questo periodo scrisse il
Purgatorio e la Monarchia. 1318 Dante si recò a Ravenna presso Guido da Polenta e lì ebbe vari allievi. Col Paradiso
aveva portato a termine il poema
1315: il comune di Firenze promulgò un’amnistia che includeva Dante ma gli imponeva di fare pubblico atto di
sottomissione e il poeta rifiutò sdegnosamente dopo la sconfitta di Montecatini, Firenze confermò i provvedimenti
contro gli esuli non tornati in patria e venne ribadita la condanna a morte di Dante e dei suoi figli.
14 settembre 1321 morì di febbre. Venne tumulato a Ravenna nella Chiesa di San Francesco e i suoi resti non
tornarono mai in patria.

La prima attività poetica


Fin dalle prime prove poetiche Dante rivela una passione sperimentale che lo porta ad adottare modi di scrittura
diversificati.
Le rime: Le Rime non furono raccolte in un libro unitario ma circolarono in modo sparso in vari canzonieri e zibaldoni.

Le Rime di Dante possono essere suddivise in 5 gruppi principali (comprese le giovanili) e sono riconducibili a
diverse fasi della vita del poeta: è per questo che hanno stili e argomenti differenti
- Rime stilnovistiche: Il tema centrale è l’amore per la donna amata, secondo la tradizione stilnovistica. Le
primissime rime si legano ancora agli schemi guittoniani e della lirica cortese toscana, ma si differenziano sulla
base di un rapporto più diretto con la lirica siciliana e di una già evidente la suggestione della poesia di
Guizzinelli e Guido Cavalcanti, sia quello più festoso e soave, sia quello più doloroso, che lo porta a cantare
l’azione distruttiva della donna sull’amante.
Dalla maturità all’esilio:
- La tenzone con Forese Donati 1290-1296: è un breve e violento scambio di 6 sonetti con l’amico,
caratterizzato da un linguaggio oltraggioso, volgare e costellato di insulti.
- Le rime dottrinali (1290-1300): legate agli studi filosofici e teologiciche richiedono una scelta di linguaggio
elevata e ricercata. D esprime la propria passione per il sapere i termini analoghi a quelli usati per l’esperienza
amorosa.
- Le rime petrose (1296-1298): che definiscono altri aspetti della condizione amorosa e una nuova concezione
della figura femminile, di cui sono protagoniste una “pargoletta” e una donna “petra”. La prima sembra scesa
dal cielo per mostrare la propria bellezza ma è estremamente indifferente e scontrosa. La parola chiave è
“Petre” e cioè pietra e allude alla durezza dell’amata. All’atteggiamento aspro della donna corrisponde uno
stile di scrittura reaistico e brutale.
- Le rime dell’esilio: appartengono ai primi anni dell’esilio e sostengono un discorso morale, civile ed etico: D,
nelle vesti di un “cantor rectitudinis”, denuncia l’ingiustizia dominante della civiltà comunale. A ciò
contrappone, con atteggiamento sdegnoso e risentito la propria solitudine

Le Rime stilnovistiche:.
la Vita nova e l’esaltazione di Beatrice
La Vita nuova è un prosimetro (componimento misto di prosa e versi): si tratta infatti di una raccolta di 31 liriche (25
sonetti, 5 canzoni e 1 ballata) composte da Dante in un arco di tempo assai ampio, dal 1283 al 1291 circa, e inserite in
una cornice narrativa di 42 capitoli in cui viene raccontata la vicenda amorosa tra lui e Beatrice sino alla morte di
quest'ultima e al periodo immediatamente successivo.
Il titolo allude alla rivelazione di un’esperienza assoluta che da nuovi significati alla vita L'opera viene anche definita,
con un'espressione dello stesso autore, "libello" giovanile.
L’intento: è di narrare una vicenda autobiografica che sia anche intellettuale: il poeta inserisce la propria esperienza
entro schemi simbolici e universali e cerca nella scrittura una consolazione per la perdita di Bea.
Temi:
insiste sul legame tra amore e gentilezza
la donna:
- la sua apparizione coincide con un miracolo
- è carica di significati simbolici: numerose sono le allegorie che assimilano Bea a Cristo: la bellezza di Bea si riflette
nel mondo circostante, è l’annuncio di una salvezza, il costante ricorrere del 9 con le frequenti citazioni bibliche
- la sua immagine non può essere ben definita ed è spesso evocata da un linguaggio sfumato e impreciso.
L’incontro: Dopo il proemio 1. La narrazione inizia con il primo incontro di D con Bea a 9 anni; 2. il successivo
avviene 9 anni dopo: in quell’occasione D riceve il suo saluto; 3. dopo un sogno, D scrive il suo primo sonetto, un
saluto a tutti i fedeli d’Amore. 4. Un giorno, mentre il poeta e Beatrice di trovano in chiesa, Dante guarda la sua
amata ma tutti credono che rivolga la sua attenzione a un'altra donna che si trova tra i due, per cui si crea un equivoco:
Dante non fa nulla per chiarirlo e lascia che tutti pensino che i suoi versi siano dedicati a questa donna-schermo, per
non danneggiare la reputazione di Beatrice. Quando la donna-schermo deve lasciare Firenze, Amore suggerisce a Dante
di usare una seconda donna per continuare l'equivoco, ma stavolta Beatrice non gradisce il comportamento del poeta e
gli nega il saluto; 5. allora D decide di manifestare i suoi desideri, ma la presenza dell’amata è fonte di turbamento: si
affida alla poesia della “loda”; nascono la canzone “Donne ch’avete intelletto d’amore” e i sonetti incentrati
sull’esaltazione di Bea. 5. Dante narra la morte di lei indirettamente (già preannunciata dalla morte del padre),
attraverso il proprio smarrimento; poco tempo dopo Dante incontra una "gentile donna giovane e bella" che,
affacciandosi da una finestra, sembra provare pietà per il suo dolore e lo induce alle lacrime: il poeta prova un
sentimento di simpatia per la donna e le dedica alcune rime. E’ molto combattuto circa l'opportunità di questa sua nuova
infatuazione, che sembra in effetti un tradimento verso la memoria di Beatrice. Tuttavia dopo un’apparizione di Bea
con l’aspetto della prima volta, D realizza che il suo compito è quello di esaltarla di fronte al mondo, pentendosi della
sua infatuazione. 6. L’opera si conclude con il proposito di non scrivere più di Bea finchè non sarà in grado di parlarne
più degnamente: la Vita nuova rimane in sospeso e troverà il proprio coronamento nella Commedia.

Le Rime dottrinali:
Il Convivio
Il Convivio è un’opera in volgare concepita come commento in prosa di canzoni dottrinali: il progetto originario
prevedeva 15 trattati, di cui il primo introduttivo e gli altri dedicati al commento di altrettante canzoni, ma D si fermò ai
primi 4: D interruppe il Convivio quando ebbe l’idea di scrivere la Commedia

La data di stesura si aggira tra 1303 e 1304 e la prima edizione a stampa si ebbe a Firenze nel 1490.
.
Temi: Le riflessioni spaziano dall’etica alla metafisica, alla cosmologia, alla politica, legando questi trattati
all’enciclopedismo medievale. Il rapporto tra prosa e poesia nel Convivio è diverso da quello della Vita nuova: se
prima la prosa aveva un andamento liricheggiante, ora si distende con uno stile argomentativo che affronta alcuni grandi
temi filosofici. D sottolinea l’opposizione tra la natura “fervida e passionata” della Vita nuova e quella “temperata e
virile” del Convivio; se prima il pubblico era quello privilegiato dei “fedeli d’amore” ora include anche coloro che non
hanno potuto studiare. Il primo trattato infatti, giustifica il fine e il titolo dell’opera: è un convivio che offre a chi ha
desiderio di conoscenza una difficile vivanda (le canzoni) accompagnata da un pane (il commento) che ne illustrerà i
significati. Il secondo trattato si apre con una definizione dei diversi sensi che può assumere la scrittura: D si propone di
spiegare prima il senso letterale di ogni canzone, quindi quello allegorico e più nascosto. Il terzo trattato è una “lode”
della “donna gentile”, allegoria della filosofia. Nel quarto D prende posizione nella disputa sulla nobiltà (seme di
felicità messo da Dio nell’anima ben posta). D intende anche prevenire alcune critiche e precisa che: parla di sé per
difendersi dalle accuse che avevano segnato la sua condanna all’esilio
Lingua: sceglie il volgare per allargare la cerchia dei lettori e per l’affetto per la propria parlata.

De vulgari eloquentia
(1303-1304): è un trattato in prosa latina di argomento linguistico-retorico, che tratta il problema di una lingua letteraria
italiana unitaria, che tanto aveva fatto discutere e afferma la dignità del volgare come lingua letteraria.
Il progetto originario comprendeva 4 libri ma D interruppe l’opera al secondo, per dare vita alla Commedia.
Lingua: non a caso sceglie la prosa latina. La sua opera è rivolta ad un pubblico di dotti e specialisti (diverso da quello
del Convivio) e vuole convincerli del valore della lingua volgare come lingua letteraria.
Il primo libro afferma la
- naturalità della lingua volgare, appresa fin dall’infanzia e per questo più nobile del latino che è una lingua
artificiale.
- La lingua dell’Europa meridionale, a partire dalla lingua di Adamo, attribuitagli dalla grazia divina, si era
distinta in tre lingue, facendo parlare di un idioma triforme: la lingua d’oïl, la lingua d’oc e quella del sì
(volgare parlato dai latini), la cui instabilità e varietà si oppone alla stabilità e invariabilità del latino, inventato
per consentire una comunicazione universale.
- A questo punto Dante passa in rassegna la lingua d’oc, d’oil e i volgari italiani, che divide in due gruppi di
sette lingue ciascuno (distribuiti nella parte destra e sinistra d'Italia, ovvero a ovest e est dell'Appennino): il suo
scopo è trovare il volgare illustre, quello cioè che abbia le caratteristiche adatte per essere usato nelle opere
letterarie. Nessun volgare, a un attento esame, si rivela degno di essere considerato illustre, neppure il toscano
verso il quale Dante esprime giudizi assai severi. Il volgare ideale viene allora definito con procedimento
deduttivo: esso dev'essere illustre, perché capace di dare lustro a chi lo usa; cardinale, perché dev'essere il
cardine attorno al quale ruotano le altre parlate; aulico, perché degno di essere usato in una reggia, per quanto
inesistente in Italia; curiale, perché degno di essere usato dai membri di una corte ideale.
Nel secondo libro,
- usi possibili del volgare illustre, riservato agli scrittori dotati di alto ingegno e destinato a trattare gli argomenti
più elevati, ovvero la prodezza nelle armi, l'amore, la morale.
- La forma metrica più degna per questo volgare è quella più nobile e risalente a una lunga tradizione, ovvero la
canzone. questa va costruita facendo ricorso allo stile tragico, al verso più splendido, vale a dire l'endecasillabo
(eventualmente alternato al settenario) e con un lessico elevato e sublime. Dopo alcune osservazioni circa le
parti costitutive della canzone (melodia, strofa, versi, rime...), il libro si interrompe bruscamente a metà del
cap. XIV.

La Monarchia
L’opera è di difficile datazione, che oscilla tra: 1308 (si tratterebbe di uno sviluppo del Convivio), 1311-1313 (discesa
in Italia di Arrigo VII), 1318 e oltre (anni della composizione del Paradiso).
La Monarchia è un trattato in prosa latina di argomento storico-politico in 3 libri, con cui Dante prende parte alla
polemica sul rapporto tra Impero e Papato. difende il punto di vista dell’autorità civile più universale, l’Impero.
Il primo libro fa leva sulla necessità della monarchia universale che, assicurando una pace universale e un governo
unitario e coerente. Dante individua come ostacolo a tale raggiungimento la cupidigia dei beni terreni, che distolgono
l'uomo dal perseguimento della virtù, quindi attribuisce al monarca universale il compito di frenare l'avarizia degli
uomini attraverso lo strumento della legge. Il secondo libro ha un argomento più prettamente storico, in quanto Dante
si sofferma sul carattere provvidenziale dell'Impero romano, voluto da Dio per assicurare una condizione di pace e
stabilità al mondo e unificare i popoli in un'unica legge, così da preparare l'umanità alla nascita di Gesù. Tale tesi è
sostenuta da Dante non solo con prove storiche, ma anche con argomenti teologici e di fede. Il terzo libro confuta
entrambe le tesi che allora si contrapponevano, ovvero quella filoimperiale che sosteneva la supremazia dell'imperatore
sul papa e quella filopapale, che sosteneva l'opposto e cioè che l'autorità imperiale dipendeva non da Dio bensì dal papa
(era la cosiddetta teoria «del sole e della luna»). Con argomenti storici e filosofici Dante afferma che i due poteri, quello
spirituale e temporale, devono essere distinti e autonomi, in quanto destinati a scopi del tutto diversi: fine
dell'imperatore è di condurre gli uomini alla felicità terrena attraverso la giustizia e il rispetto delle leggi, mentre quello
del papa è di condurre gli uomini alla felicità eterna attraverso il magistero della fede e l'insegnamento dei principi
dottrinali.
Le tredici Epistolae
D scrisse varie lettere in latino (per lo più politiche), di cui 13 sono giunte fino a noi: esse ci mostrano molti artifici retorici
e riportano fitte citazioni e forme del latino biblico. L’epistola V è indirizzata ai principi e ai popoli d’Italia e invita a
riconoscere l’autorità suprema dell’Impero; la VI è rivolta ai fiorentini; la VII esorta Arrigo VII a non perdere tempo
prezioso; l’XI (1314, dopo la morte di Clemente V) è indirizzata ai cardinali italiani, che invita a eleggere un papa italiano,
che liberi la Chiesa dalla corruzione. L’epistola XIII, scritta per accompagnare l’invio e la dedica del Paradiso a
Cangrande della Scala, presenta le sole indicazioni di D per l’interpretazione della Commedia.

Operette latine minori


Egloge: due componimenti in latino in risposta al bolognese Giovanni del Virgilio, che affermano la dignità della poesia
in volgare. Sul modello delle Bucoliche di Virgilio, D traveste sé stesso e il proprio mondo in figure bucoliche per
trasmettere messaggi più complessi. Il trattatello Questio de aqua et terra è la trascrizione di una lezione cosmologico-
filosofica tenuta nel 1320 a Verona.
Ecloga\Egloga: il greco ecloghé indica un componimento scelto da un’opera più estesa. Nella letteratura latina fu usato
per indicare le Bucoliche di Virgilio. All’ecloga latina si riallacciarono Dante, Petrarca e Boccaccio, portando all’estremo
l’abitudine latina di mascherare sotto le figure e le vicende dei pastori riferimenti a personaggi ed eventi. L’ecloga ebbe
grande fortuna nella letteratura umanistica con Matteo Maria Boiardo e Iacobo Sannazaro; restò in vita fino al ‘700 ma
senza risultati memorabili.

Il fine della Commedia è salvare gli umani dalla miseria e condurli alla felicità.
La Divina Commedia: datazione, pubblicazione, diffusione
La datazione: non abbiamo documenti precisi sui tempi di composizione del capolavoro dantesco; le ipotesi più
verosimili fanno risalire l’avvio agli anni 1304-1305 o 1306-1307, quando Dante lasciò incompiuti il Convivio e il De
vulgari eloquentia; le tre cantiche furono diffuse separatemente: l’Inferno fu concluso e diffuso intorno al 1309, il
Purgatorio venne divulgato tra ’15 e ’16, il Paradiso fu iniziato nel 1316 e terminato negli ultimi anni di vita.
La diffusione: in merito alla diffusione della Commedia, sappiamo che le cantiche si diffusero mano a mano che
venivano scritte negli ambienti più diversi (anche orale).
Alla morte di D cominciano ad apparire commenti al poema: gli interventi di copisti come Francesco di Barberino e
Boccaccio furono determinanti. Le copie integrali più antiche risalgono agli anni Trenta e sono in genere chiare e
corredate da illustrazioni. La mancanza di copie autografe ha reso difficile stabilire un testo il più possibile vicino
all’originale: la critica di Giorgio Petrocchi si fonda sull’”antica vulgata”, un confronto dei manoscritti precedenti quelli
del Boccaccio. Nel 1472 apparvero ben 3 edizioni a stampa.
Titolo:Il titolo originale è Commedia: esso si lega 1. alla distinzione fra tragedia e commedia: la prima è all’inizio
piacevole e poi tremenda, la seconda è all’inizio complicata e poi felice; lo stile della prima è nobile, quello della
seconda è umile. 2. alla natura composita dell’opera, che mischia livelli stilistici e punti di vista
“Divina”: fu usato da Boccaccio nella sua biografia dantesca, ma venne integrato nel titolo a partire dal ‘500.

Struttura: Viaggio: Il poeta narra in prima persona il viaggio nei tre regni dell’oltretomba, che ha inizio l’8 aprile 1300
nella notte del Venerdì santo e consente a D di comprendere la struttura dell’universo, conoscere la condizione delle
anime dopo la morte e vedere Dio. Il poema si collega alla tradizione medievale delle visioni dell’aldilà e dei viaggi
allegorici e morali. Bea, che vive in cielo nella contemplazione di Dio, invia al poeta come guida attraverso l’Inf e il
Purg l’anima di Virgilio; sarà lei, apparsa nel Paradiso terrestre, a condurlo in Par.
I numeri: La struttura del poema si basa su rigorosi rapporti numerici a partire dal 3 (Trinità): Dante usa il metro della
terzina, costruita su 3 strofe, ciascuna di 3 endecasillabi legati da rima incatenata, ciascuna ripetuta 3 volte. I canti si
raccolgono in 3 cantiche di 33 canti ciascuna, salvo l’Inf che ne ha uno in più in funzione di prologo, per un totale di
100, numero perfetto.
Dante come personaggio-poeta
La Commedia di Dante Alighieri è un’opera autodiegetica, narrata in prima persona dal protagonista della storia, il
quale coincide con l’autore dell’opera; la distinzione tra Dante-personaggio che affronta il viaggio oltremondano e
Dante-poeta che narra tale avventura è molto sottile ma importante.
Dante-poeta, o auctor, è il fiorentino Dante Alighieri che, in un periodo molto esteso della sua vita, a partire dal 1306
fino alla morte, si dedica alla composizione del poema; è colui che racconta in poesia il viaggio compiuto da Dante-
personaggio e si dimostra alla continua ricerca di verità e giustizia.
Già nei primi versi dell’Inferno possiamo distinguere le due figure attraverso l’osservazione dei tempi verbali usati: Il
viaggio di Dante-personaggio è collocato nella settimana santa del 1300 e la sua azione è descritta con tempi verbali del
passato (mi ritrovai); le riflessioni di Dante-poeta sono invece sempre riportate con i tempi verbali del presente e del
futuro (è cosa dura). La ventina di appelli al lettore che troviamo sparsi nell’opera , oltre che ad attirare l’attenzione di
chi legge, contribuisce a sottolineare la presenza del narratore, che in tali appelli non si descrive come pellegrino
affaticato ma come persona intenta a scrivere; riportiamo il caso insolito in cui Dante-poeta, a conclusione del
Purgatorio, afferma di non poter continuare la narrazione in quanto gli manca lo spazio fisico nel quale scrivere.
La concezione di Virgilio: Dal punto di vista di Dante-poeta, Virgilio è un modello eterno di stile e una guida nella
stesura della Commedia in quanto nel sesto libro dell’Eneide si è cimentato nell’impresa di descrivere la discesa di Enea
agli Inferi. Dante-personaggio, nel sostituirlo con Beatrice come guida in Paradiso, sottolinea il fatto di averlo superato
grazie al proprio essere cristiano e possessore quindi di una verità rivelata inaccessibile a chi è nato prima dell’avvento
di Cristo.
La creazione di una lingua poetica
Dal punto di vista linguistico, la Commedia presenta delle grandi novità: D inserisce una variazione di registri
linguistici, che spaziano dal volgare basso a quello più nobile. Il volgare acquisisce possibilità espressive sconosciute
date dalle molte invenzioni lessicali. D fa ampio uso di termini toscani, dei dialetti settentrionali, o delle lingue
romanze; numerosi i termini modellati sul latino e quelli dalla forma volgare non ancora fissa. Le scelte linguistiche di
Dante non vennero comprese da tutti: ci si chiedeva come mai, un’opera di tale livello non utilizzasse esclusivamente
un volgare aulico o addirittura il latino. La scelta di Dante è da ricondurre ad una volontà di coerenza tra lingua e
personaggi. Un’anima dannata, nel pieno della sofferenza, non avrebbe mai potuto parlare una lingua ricercata.
Il volgare italiano raggiunge così una statura letteraria superiore a quella delle lingue romanze (giunte prima alla
letteratura), che mantiene fino al ‘500. Nell’area italiana diventa un riferimento per la diffusione di una forma media di
comunicazione linguistica nazionale su base toscana.

L’interpretazione:
Alcuni critici hanno sostenuto che una vera comprensione della sua poesia sarebbe possibile solo riattraversando
l’universo dottrinario medievale: l’opera mantiene qualcosa di segreto che sfugge al nostro sguardo moderno.
l’americano Singleton .
- la Commedia è un’opera dottrinale, che trasmette verità religiose, morali e filosofiche: essa infatti è un percorso di
redenzione che conduce alla salvezza, ma anche un’immagine esemplare di ogni esperienza umana.
- E’ un’opera simbolica: Dante sottolinea la molteplicità di sensi della scrittura: distingue un senso letterale (lo stato
delle anime dopo la morte) e uno allegorico (i premi o le punizioni della giustizia divina per i meriti e demeriti).
Secondo il metodo dell’allegoria, le singole fasi del viaggio e i personaggi nascondono altri significati rispetto a quelli
manifesti: Virgilio rappresenta la ragione umana, Bea rappresenta la fede e la scienza divina.
- Opera di giudizio storico e politico: La distinzione tra dannati, penitenti e beati serve a D per valutare le esistenze
degli uomini in rapporto al bene e al male compiuto in vita, secondo una prospettiva cristiana (si appella alla volontà
divina) che spesso coincide con le sue idee politiche, le quali si affacciano quasi ovunque. Si traduce in un’opera di
denuncia delle situazioni storiche ecc e di riscatto simbolico delle ingiustizie subite appellandosi alla volontà divina.
- Il realismo figurale: L’interpretazione allegorica dell’opera si lega anche al cosiddetto realismo figurale elaborato da
Auerbach: La Bibbia e la concezione figurale
Quando la Bibbia racconta che gli Ebrei furono liberati dalla schiavitù d'Egitto grazie al soccorso di Dio, essa racconta
un fatto storico. Ma nell'interpretazione medievale questo fatto storico, vero in sé, prefigura un altro fatto storico ancora
più importante: la liberazione dell'umanità, con la redenzione di Cristo, dalla schiavitù del peccato .
Ebbene, si dice in questo caso che il primo fatto è figura (cioè anticipazione e prefigurazione) del secondo, nel senso
che lo annuncia. Secondo la concezione cristiana medievale l'intera vicenda terrena è una figura (anticipazione e
prefigurazione) del destino eterno. L'originalità di Dante sta nell'aver concepito «una visione che vede e proclama come
già adempiuta la realtà figurale rappresentata dalla vita terrena».

L’Inferno (pag. 118)


Il poema inizia con lo smarrimento di D in una selva oscura; mentre egli tenta di risalire un colle, ostacolato da tre fiere
che rappresentano altrettanti vizi (lonza=lussuria, leone=superbia, lupa=avarizia), viene soccorso, per desiderio di Bea,
da Virgilio. L’Inf si apre in una voragine nei pressi di Gerusalemme e scende fino al centro della Terra, dove Lucifero è
conficcato nel ghiaccio. E’ diviso in 9 cerchi concentrici che accolgono i dannati secondo la gravità dei loro peccati,
secondo un principio ordinatore di origine aristotelica, preceduti da un Antinferno che ospita gli ignavi, rifiutati da Dio
e dal demonio. Il primo cerchio contiene il Limbo, dove dimorano i bambini e i giusti che non hanno ricevuto il
battesimo. Le pene si basano sulla legge del contrappasso, cioè su una corrispondenza o un’opposizione tra il carattere
della pena e quello del peccato. La cantica è dominata dalla negatività e da una sofferenza senza riscatto: di sovente egli
si commuove per le pene dei peccatori, altre volte contempla in modo distaccato e feroce le pene inferte. Il regno del
demonio è anche quello della dissoluzione civile e morale del mondo contemporaneo: la polemica politica colpisce
soprattutto la corruzione della vita comunale.
Il Purgatorio: Dal centro della Terra D e Vir risalgono verso la superficie fino a un monte che sorge su un’isola in
mezzo all’Oceano agli antipodi di Gerusalemme, nell’Emisfero australe.
Le anime penitenti sono ripartite in 7 gironi: in ognuno si espia uno dei 7 peccati capitali, disposti, dal basso verso
l’alto, in ordine di gravità decrescente. I gironi sono preceduti da un Antipurgatorio, dove si trovano le anime degli
scomunicati e di coloro che si sono pentiti in fin di vita: solo dopo una lunga attesa saranno ammessi a espiare le colpe
nei gironi. A differenza dell’Inf, i peccatori non dimorano in un solo girone, ma sostano in ciascuno più o meno tempo
secondo le loro colpe. Il percorso che conduce le anime alla purificazione è scandito da schemi rituali: un angelo
controlla il passaggio da un girone all’altro e ognuno rappresenta la virtù opposta al peccato punito nel girone
precedente cancellandone il segno. Anche nel Pur vige la legge del contrappasso, ma le pene sono sopportate con
serenità. Il tempo ha un peso determinante: l’ascesa della montagna è possibile solo di giorno e le anime sono guidate
dall’attesa della visione di Dio. Se nell’Inf D guarda le anime con la consapevolezza di un diverso destino, nel Pur egli
condivide il loro percorso di espiazione: il Pur è una comunità solidale di uomini. La polemica politica colpisce più
volte i principi contemporanei: i canti VI e XVI sono dedicati alla situazione dell’Italia e delle sue corti. Al culmine
dell’ascesa, D giunge nel Par terrestre, dove appare Bea e dopo l’immersione nel Letè e nell’Eunoè è pronto a salire.: la
parte finale della cantica si svolge in un crescendo sinfonico e corale.
Il Paradiso (vedi altro file)

Epoca 2: La crisi del mondo comunale 1300-1380 e l’Umanesimo

Inquadramento storico:
Nel XIV secolo l’Europa viene sconvolta da una depressione economica e sociale e da guerre locali che arrestano lo
sviluppo della civiltà urbana e indirizzandola di pari passo all’affermazione del modello signorile e del nuovo sistema
di Stati regionali che si manterrà fino al XVIII secolo.
Per distinguere le 2 epoche si può scegliere il 1378 (ritorno del papa a Roma, scisma d’Occidente, tumulto dei Ciompi).
Questo processo varia da paese a paese.
- carestie: si arresta lo sviluppo dell’agricoltura e diventa arduo garantirsi un’alimentazione adeguata
- sottonutrizione facilita la diffusione di malattie ed epidemie, tra cui la peste nera, proveniente dall’Oriente, che
colpisce tra ’48 e ’51 riducendo di un terzo la popolazione.
- l’abbandono di molti terreni coltivati, un’ulteriore riduzione della produzione agricola e una più netta separazione tra
potenti e subalterni: i mercanti investono le loro ricchezze nella proprietà fondiarie, sfruttando il lavoro contadino.
Grazie ai bassi compensi dei lavoratori agricoli, il prezzo dei cereali cala: l’oppressione delle classi subalterne esplode
spesso in rivolte, represse nel sangue.
- la guerra dei cento anni fra Francia e Inghilterra (1337-1453) è una vera catastrofe europea.
In Italia si afferma questa depressione proprio quando la civiltà urbana e mercantile raggiunge la massima crescita:
- I principi che avevano animato il XIII secolo hanno perso ogni capacità di azione e funzionano come meri pretesti che
possono essere rovesciati: gli ideali sono prerogativa essenziale degli uomini di cultura o delle classi subalterne.

La cultura: in questo clima di disgregazione


I centri culturali: l’università (di alto livello ma estranea alle problematiche del tempo), mentre la cultura in lingua
latina perde vitalità. Firenze consolida il suo ruolo di centro culturale più prestigioso d’Italia e i numerosi scrittori
fiorentini che percorrono la penisola ne diffondono i modelli letterari che rivelano un particolare gusto per i generi
narrativi, da cui avrà origine il Decameron di Boccaccio (intellettuale municipale e ruolo della letteratura). Il Regno di
Napoli (Boccaccio,Petrarca); Venezia e le corti venete conservarono una certa vitalità (Verona e Padova mantennero
viva la tradizione dello studio dei classici); la sede papale di Avignone dove convergono molti scrittori e intellettuali
italiani: qui si sviluppa un’erudizione che, prendendo le mosse dai classici, si impegna in un nuovo uso letterario del
latino, di cui Petrarca è il protagonista.
La letteratura:
- Il ruolo della letteratura volgare:
Grazie ai capolavori di Dante, Petrarca e Boccaccio, nel XIV secolo all’egemonia europea della produzione in lingua
d’oc o d’oïl si sostituisce quella della nuova letteratura italiana. la cultura fiorentina, e in particolare la Commedia, sono
i punti di riferimento linguistici per una comunicazione in volgare in tutta la penisola: si riduce la sperimentazione
linguistica locale e anche l’uso letterario delle altre lingue romanze.
- Il ruolo della letteratura e il rapporto con il pubblico cambiano:
viene meno il collegamento tra esperienza letteraria e partecipazione attiva alla vita civile della letteratura comunale
duecentesca e prevale una letteratura di intrattenimento, priva di audacia sperimentale e basata su schemi riconoscibili.
Aumenta la produzione di libri rivolti a un pubblico relativamente basso, favorita dall’utilizzo della carta: nella
produzione libraria si impegnano gli stessi intellettuali (P,B). Nascono biblioteche private ben fornite e si formano le
prime grandi biblioteche laiche di famiglie signorili o di istituzioni pubbliche
- Gli intellettuali:
esclusi dalle istituzioni ecclesiastiche e universitarie, gli scrittori in volgare hanno posizioni sociali intermedie e si
rivolgono sia a un pubblico popolare sia a uno aristocratico affermando la dignità delle loro opere a prescindere dal
destinatario cui si rivolgono. Gran parte delle biografie degli intellettuali sono ricche di viaggi e spostamenti tra corti.
Contrapposto a questa figura, resiste soprattutto in Toscana l’intellettuale municipale, radicato nella vita cittadina.

La produzione letteraria del 1300:


per meglio capire la produzione letteraria di quest’epoca, è necessario chiarire iI Concetti storiografici: tardo-gotico e
Umanesimo
Indicano 2 tensioni artistiche che contraddistinguono il XIV secolo. Tardo-gotico: col termine gotico si definisce uno
stile che caratterizza l’arte europea tra XIII e XV secolo e che nasce e si diffonde nel XII secolo nel Nord della Francia
(grandi cattedrali francesi). Si identifica con una propensione per la verticalità, una rappresentazione ornamentale della
natura, la ricerca di valori simbolici. Il termine nacque con intenzioni spregiative fra gli umanisti in riferimento alla
scrittura dell’Europa settentrionale considerandola barbara (“dei Goti”), opponendole una scrittura romana. Solo nel
‘700, il diffondersi di un nuovo interesse per il nordico e il barbarico causò la nascita di un gusto neo-gotico, che si
riferisce alla fase finale dello sviluppo dello stile. Tardo- gotico: si riferisce alla ripresa di schemi della cultura volgare,
cortese e comunale, codificati nel secolo precedente (XII-XIII), che si lega alla percezione della fine di un mondo e di
una civiltà.
Umanesimo

Francesco Petrarca
La vita
Nacque ad Arezzo il 20 luglio 1304 da ser Pietro, in esilio insieme ai Bianchi, ed Eletta Canigiani. Francesco fu di
solito chiamato Petracchi e solo quando era già celebre si attribuì la forma più nobile Petrarca.
L’infanzia e gli studi: Incisa poi a Pisa e a Carpentras, vicino ad Avignone (dal 1305 nuova sede della corte pontificia).
Qui Fra compì gli studi di grammatica e retorica e successivamente studiò diritto a Montpellier. Nonostante ciò
dimostrò sempre una naturale propensione alla lettura, in particolare quella dei classici latini (Cicerone e Virgilio).
La produzione poetica:
’18 e ’20: morì la madre ed egli scrisse il suo primo componimento poetico, una breve elegia in latino. Si trasferì a
Bologna col fratello Gherardo per terminare gli studi di diritto; tuttavia nel
’26: la morte del padre li costrinse a tornare ad Avignone. I due passarono alcuni anni immersi nell’ambiente culturale e
mondano della corte papale, incontro di diverse tendenze e gusti. Notevole fu il successo del giovane Fra, che si impose
nei circoli con la sua cultura classica e le sue prime poesie in volgare toscano.
Laura: alle brigate cortesi è legato l’incontro e l’amore per Laura, vista per la prima volta nel Venerdì Santo del 1327:
non sappiamo nulla della donna, se non che era sposata.
1330: consumato il patrimonio paterno e abbandonata l’intenzione di darsi all’attività giuridica, Fra assunse la posizione
di chierico, che gli garantì varie rendite economiche.
1336 e ’37 compì il primo viaggio a Roma. Nacque anche Giovanni e acquistò una casa a Valchiusa, dove si dedicò
agli studi e intraprese la stesura di opere latine (De viris illustribus, Africa).
Recatosi a Napoli, Fra fu esaminato dal re Roberto d’Angiò, che riconobbe la sua alta cultura e poi a Roma fu
incoronato d’alloro in Campidoglio. Nel periodo seguente il successo sociale sancito dalla cerimonia romana si rivelò
illusorio: i conflitti politici, le catastrofi naturali e la morte dei cari turbano Fra, che vuole sottrarsi all’ambiente corrotto
di Avignone; il ripiegamento su sé stesso si lega all’attesa di un rinnovamento politico e a un amore per l’Italia, patria di
antichi valori. l’Italia rappresentava per lui il mito dell’antica potenza romana, da rinnovare grazie a una restaurazione
dell’Impero. una grande speranza suscitò in lui il tentativo di riforma politica di Cola di Rienzo, eletto nel 1347 tribuno
del popolo romano, ma alla sua caduta, il consenso di Fra si trasformò in delusione e riprovazione per gli eccessi del
tribuno
43’ 50’: viaggiò molto a Napoli, Parma, in Provenza e a Verona (qui scoprì nella Biblioteca Capitolare le lettere di
Cicerone ad Attico, a Quinto e a Bruto).
- 1348 si ristabilì a Parma, mentre infuriava la peste nera; lì lo raggiunse la notizia della morte di Laura (6 aprile
1348).
- ’50 si recò a Roma per il Giubileo: durante il viaggio sostò a Firenze, dove strinse grande amicizia col
Boccaccio.
Rifiutò sempre gli inviti del Boccaccio e di altri amici perché si stabilisse a Firenze e accettò l’invito del signore di
Milano Giovanni Visconti, preferendo un regime signorile in espansione a un regime comunale pieno di conflitti.
’53-’61, furono meno irrequieti e i Visconti utilizzarono la sua presenza come legittimazione culturale della loro politica
espansionistica. (solo alcune missioni diplomatiche lo sottrassero ai suoi studi:
’61 lasciò Milano per sfuggire la peste e si rifugiò a Padova e poi a Venezia, dove ottenne una casa sulla riva degli
Schiavoni in cambio della promessa di donare la sua biblioteca alla Repubblica veneziana.
Fino al ’68 Fra si pose come tramite politico-culturale tra i due poli politici di Venezia e Milano. Si interessa ai tentativi
di riportare la sede papale a Roma.
70’ avuto in dono un terreno ad Arquà sui Colli Euganei, vi fa costruire una casa, in cui passerà il suo tempo con
Francesca e dove si dedicherà ancora agli studi e alla revisione delle sue opere (Canzoniere). La quiete degli ultimi anni
è turbata dalla cattiva salute, da notizie funeste e da una guerra tra Venezia e Padova.
’73 Muore ad Arquà, in seguito a un attacco di febbre.

Lo scrittore di fronte alla società contemporanea e la contraddizione


La figura del P appare rivoluzionaria rispetto a tutti gli altri intellettuali della società comunale per via del suo
cosmopolitismo: la formazione ad Avignone lo pone in una dimensione internazionale, lontano sia dagli intellettuali
comunali laici (Dante) sia dagli intellettuali religiosi medievali. P si fa portavoce di ideali politici di giustizia e virtù,
ma nel quotidiano accetta la realtà politica contemporanea, dando il suo sostegno ai regimi dai quali riceve
riconoscimenti pubblici e sicurezza economica. Nella vita quotidiana egli accetta quella politica che nel piano ideale
critica, in virtù della difesa della propria vita intellettuale.

La poetica:

- La lingua: La separazione tra il latino e il volgare:


Le opere del P sono caratterizzate da una singolare scissione tra latino e volgare: si tratta di un vero bilinguismo: il
latino e il volgare sono per lui due codici letterari distinti e destinati a funzioni diverse:
il latino: sembra a prima vista avere un ruolo più nobile, smentito dalla cura estrema che dedica alla revisione delle
liriche in volgare. P vuole ricondurre il latino a una limpida forma classica: per farlo è necessario liberarlo dalla
barbarie dei secoli vicini, riscoprendo gli antichi testi latini (attività di filologo ad altissimi livelli: si costruisce una
biblioteca di dimensioni eccezionali). Dei grandi scrittori classici (Cicerone per la prosa e Virgilio per la poesia) occorre
imitare le forme, i modi linguistici e stilistici: lo scrittore latino moderno non deve seguire lo stile particolare un singolo
autore, ma trarre frutto dall’insegnamento di tutti gli antichi che rivelano qualità ed equilibrio.
Il volgare toscano il volgare diventa una lingua pura, separata dalla caoticità dell’esperienza quotidiana: egli perfeziona
la lingua a livelli estremi, vedendo in essa sempre un margine di miglioramento (la scrittura è per lui manifestazione del
valore dell’autore). P in questo fa una scelta opposta a Dante, il quale procede in maniera sperimentale: il procedimento
del P è invece la riscrittura, egli parte da alcuni progetti e ritorna su di essi infinite volte con arricchimenti, aggiunte e
richiami; per questo non è possibile legare le sue opere a momenti specifici.

- l’umanesimo cristiano
L’umanesimo del P coinvolge tutta la sua esistenza e non solo la sua figura di letterato:
- Quello del P è un umanesimo cristiano: egli avverte un conflitto tra il suo culto della classicità e il messaggio
cristiano. Tale conflitto viene superato attraverso il culto degli antichi e l’insegnamento di Agostino che pone
una continuità tra pensiero platonico antico e tradizione cristiana. Dio rappresenta un bene sicuro che libera
dalla falsità della vita sociale

Prosa latina:
Le raccolte epistolari: Due importanti raccolte di lettere in prosa latina, scambiate con amici e personaggi politici e
non solo: le Familiares e le Seniles. L’idea di raccogliere le sue lettere nasce dalla lettura delle epistole di Cicerone
(scoperte da lui) e delle Epistole morali di Seneca raccolte nel volume Ad Lucilium. Esse non sono scritture spontanee,
ma sono costruite con grande cura letteraria con l’obiettivo di dare anche un’immagine ufficiale di sé:
Familiares: (1366) è la raccolta più ampia e si compone di 24 libri in cui si ha una ricca varietà di situazioni concrete.
Da essa furono escluse 19 lettere politiche, spesso polemiche, raccolte a parte con il titolo “Sine nomine”;
Seniles: (1361) che pensava di chiudere con un’epistola rivolta ai posteri, Posteritati, in cui intendeva presentare sé
stesso attraverso una narrazione ufficiale della propria vita. Qui prevalgono il ripiegamento su di sé e la riflessione sul
trascorrere degli anni.
Temi: è difficile distinguere le due raccolte in base alla loro tematica: vi è un intreccio tra narrazione autobiografica,
definizione della propria figura intellettuale, meditazione morale e religiosa. Al centro vi è sempre l’autore con le
proprie vicende umane e intellettuali. In primo piano sono le questioni filologiche e letterarie, il desiderio di resuscitare
il mondo antico, la polemica politica, filosofica e religiosa,

Le altre opere latine del P possono essere distinte in 3 gruppi:

i trattati storico-eruditi, sono legati all’esaltazione degli eroi e dei comportamenti degli antichi: il De viris illustribus
(Valchiusa, ’38-’39) costruisce le biografie di 36 personaggi antichi su modelli eroici, che danno rilievo allo scontro tra
individui eccezionali e ostilità del destino. I Libri delle cose memorabili (’43-’45, incompiuti) seguono il modello di
Valerio Massimo raccogliendo una serie di exempla ricavati sia dall’antichità che da epoche più vicine.
i trattati morali P si interroga sul rapporto tra la propria prospettiva umanistica e la realtà sociale: il De vita solitaria
(1346), in due libri, esalta la solitudine di Valchiusa e una vita intellettuale dedicata allo studio e all’analisi dell’uomo,
opposta al caos di Avignone.
scritti polemici si legano a occasioni particolari e precisano la sua concezione del mondo, fornendo un esempio di
scrittura aggressiva. Le Invective contra medicum (’52-’53) polemizzano contro la falsa scienza dei medici avignonesi;
l’Invettiva contro un uomo potente ma senza nessuna sapienza e virtù (’55) è contro un cardinale che aveva criticato la
sua carriera;

Versi latini:
La poesia latina per P resta una possibilità non approfondita,
“Africa” (’38-’39), è un poema epico in esametri dedicato a Roberto d’Angiò e diffuso solo dopo la morte del poeta. si
narrano, sul modello dell’Eneide, le vicende della seconda guerra punica,
“Bucolicum carmen” (’46-’48): è una raccolta di 12 egloghe ed è un calco delle Bucoliche di Virgilio.
66 Epistole metrice (’50), sono delle poesie di corrispondenza raccolte in 3 libri senza un assetto definitivo.
“7 Psalmi penitentiales” (’48), preghiere in versi prosastici, in rapporto con la poesia biblica e con il linguaggio latino
della Vulgata

Il Secretum: è una delle più importanti opere in prosa dell’autore


E’ un’opera autobiografica, frutto della crisi spirituale che vive nei suoi ultimi anni di vita e non destinata alla
pubblicazione, infatti a differenza dell'epistolario egli non costituisce una propria figura pubblica ufficiale.
al ’42-’43, altri al ’47; venne pubblicata solo dopo la morte.
La struttura: il Secretum è strutturato in 3 libri, come un dialogo tra il poeta e Sant'Agostino in presenza di una donna,
personificazione della verità. Agostino e Fra non rappresentano due punti di vista opposti, ma due aspetti contrapposti e
contraddittori della coscienza del P: le sue certezze ideologiche e il suo comportamento reale. Il primo libro si apre con
l’apparizione di una figura femminile, la Verità, per aiutarlo a uscire dall’errore; a lei si aggiunge sant’Agostino, che
inizia con Fra un lungo dialogo. Si evidenzia la contraddizione che caratterizza l’attaccamento alle cose terrene, che
sono pure apparenze, opposte alla certezza della verità divina. Nel secondo libro il santo prende in esame i vizi che
assediano Fra, il più insidioso dei quali è l’accidia, una vera malattia intellettuale. Nel terzo libro si analizzano l’amore
e la gloria. Sant’ Agostino condanna l’amore per Laura come ciò che ha deviato il suo desiderio da Dio e la ricerca della
gloria intellettuale come pura vanità. Fra riconosce le accuse e formula vari propositi, ma il dialogo si chiude senza una
soluzione definitiva e senza una trasformazione di Fra.

Il Canzoniere:
La composizione: Oltre al lavoro di organizzazione, P svolse anche un incontentabile lavoro di correzione, testimoniato
da due celebri manoscritti: il Vaticano Latino 3196 e il VL 3195, in parte autografo. Lo studio di questi manoscritti ha
permesso di ricostruire ben 9 fasi di elaborazione del Canzoniere: dalla raccolta allestita nel ’36 a quella sistemata tra
’73 e ’74. La prima edizione a stampa si ebbe a Venezia nel 1470.
La struttura: è la prima raccolta di componimenti lirici volgari che si sistema in un libro: si tratta di 366
componimenti, numerati dallo stesso autore; un certo numero di rime rimasero escluse e costituiscono il gruppo delle
Rime extravaganti. Il libro presenta una divisione in 2 parti: la prima (che inizia con “ Voi ch’ascoltate in rime sparse il
suono”f ino al n^ 263) tratta la passione amorosa per Laura; la seconda, (che inizia con la canzone I’ vo pensando, et nel
pensier m’assale), è caratterizzata dal turbamento e dal disinganno, dovuti alla morte di Laura. Questa divisione non è
comunque legata alla volontà di distinguere rime in vita e in morte di Laura. il Canzoniere non è una storia d’amore, ma
un intreccio di situazioni, che danno uno scorcio sull’animo del poeta e legate tanto con mezzi espliciti, quanto con
connessioni segrete.
Il significato: Ogni interpretazione dell’opera di P deve partire dal principio di contraddizione tra la ricerca della verità
e e la pace divina e l’attaccamento alle illusorie apparenze della varietà terrena; la poesia del P è un tentativo di
comporre questo conflitto, che si rivela però impossibile: la poesia tende ad allontanarsene attraverso un linguaggio
senza tempo; ma Laura costringe il poeta a mantenere il suo sguardo verso il presente.

La figura poetica di Laura


All’amore per Laura è dedicato quasi tutto il Canzoniere.
- viene eliminata ogni traccia di realismo e di concretezza: in primo piano sono i suoi capelli d’oro, le nobili
vesti, la bianca carnagione, gli occhi luminosi; su tutte le cose che tocca si posa qualcosa di tenero, i suoi
movimenti sono soavi. Anche lo stesso poeta perde di concretezza: il suo ruotare attorno a Laura determina la
perdita di sé.
- atti, gesti, situazioni, si collocano su un piano simbolico. Proprio per questo alcuni contemporanei pensarono
che l’amore per Laura e il suo nome fossero fittizi, ma lo stesso P rivendicò la realtà del suo amore. A partire
da un amore reale, P sviluppa un proprio sistema poetico e simbolico: una serie di metafore ricorrenti
accompagna la sua evocazione. Laura è l’immagine di un desiderio incolmabile che diventa una ragione di
vita. La sua rivelazione iniziale si presenta come un momento originario che la poesia si affanna a ripetere; la
sua morte introduce il tema dell’assenza di quelle immagini e del loro ritorno nel sogno o nella vita
ultraterrena. Il nome: della donna si identifica e si confonde con il lauro, pianta di Apollo e simbolo della
poesia (alcuni giochi di parole: Laura-lauro-l’auro).

Lingua e stile:
- perfezione formale: promuove un ideale di raffinatezza e di equilibrio stilistico-linguistico. La lingua poetica
del P tende a una forma pura e assoluta, incontaminata da ogni elemento realistico o di livello basso. La
parola poetica si afferma come un privilegio riservato a una limitata comunità intellettuale.
- Pluralità: un procedimento stilistico essenziale: ogni oggetto o parte del discorso (sostantivi, aggettivi,
avverbi…) si presenta a coppie o a gruppi di tre, in cui i singoli termini possono essere legati da rapporti di
somiglianza o essere contraddittori. Questo permette di creare ampie combinazioni e opera anche sulle
strutture metriche, generando un ritmo misurato.
- Siamo su un piano opposto a quello dello sperimentalismo dantesco: mentre il volgare di Dante si costruisce
per arricchimento, quello di P opera per riduzione, puntando a una lingua toscana ideale.

I Triumphi
I Trionfi iniziati nel 1351-52 sono un poema allegorico in terzine, rimasto incompiuto.
Tema: Il poema intende delineare un processo di ascensione dell’umano nell’eternità di Dio (riprende il modello della
Commedia). Il poeta immagina di essere a Valchiusa e di assistere a varie visioni, nelle quali alcune figure simboliche
celebrano il proprio trionfo accompagnate da personaggi del mito e della storia in 6 quadri diversi.
1’ quadro: trionfo dell’Amore: il poeta segue il carro infuocato di Amore, che portando con sé personaggi illustri della
storia (tra cui una giovinetta di cui si invaghisce), si dirige verso Cipro, isola di Venere, dove l’autore, che riconosce la
propria condizione di schiavo di Amore, viene rinchiuso in una prigione. La giovinetta si rivela Laura e grazie alla sua
resistenza, sull’Amore trionfa la Castità. Su questa si impone però la Morte (che appare nelle sembianze di una donna
vestita di nero), che distrugge ogni cosa terrena. La morte viene superata dalla Fama (presentata nei panni di una
regina) e i tre canti a essa dedicati presentano tre schiere di personaggi illustri, due di grandi uomini d’azione e una di
intellettuali. La fama tuttavia soccombe con il trionfo del Tempo che ne svela la vanità. Al di là del Tempo, si afferma
però l’immobilità e la certezza dell’Eternità, in cui viene sconfitta la varietà che fa vaneggiare gli uomini.

Giovanni Boccaccio
La vita
Nacque forse a Firenze o a Certaldo tra il giugno e il luglio 1313 da una relazione illegittima tra il mercante Boccaccino
di Chelino e una donna sconosciuta. B costruì sulla propria nascita e giovinezza molte invenzioni letterarie (amore per
una certa Fiammetta) da cui hanno tratto spunto varie ipotesi biografiche: certo è solo che venne presto sottratto alla
madre e accolto in casa dal padre, che lo legittimò. Da varie relazioni il B ebbe almeno 5 figli illegittimi: grande dolore
provò nel ’55 per la morte della piccola Violante
La formazione: il padre gli fece impartire la prima educazione nell’ambiente mercantile fiorentino. Nel 1327 si trasferì
a Napoli come rappresentante dell’impresa bancaria dei Bardi, principale sostegno finanziario della corte angioina, e
Giovanni lo seguì. Nei primi anni del soggiorno napoletano il giovane seguì l’apprendistato bancario presso i Bardi, ma
fu presto attratto dalla corte angioina: partecipò alla vita cortese della nobiltà napoletana e subì il fascino della
letteratura cortese e romanzesca di Francia. La sua passione per la cultura latina ricevette uno stimolo dalla
frequentazione della biblioteca reale: B iniziò un’intensa attività letteraria, sia in latino ma soprattutto in volgare,
destinati all’ambiente cortese.
Negli anni 40: fu costretto a rientrare a Firenze, in preda a una prima crisi finanziaria. B si dedicò a una nuova
produzione letteraria, rinnovando il contatto con la tradizione fiorentina ma mantenendo un’appassionata nostalgia per i
modelli cortesi napoletani e approfondendo la conoscenza della letteratura latina.
’48 si diffonde l’epidemia di peste a causa della quale il padre muore. In questi anni scrive il Decameron ce terminerà
nel 51. Nel frattempo la sua fama di letterato e la sua posizione sociale cominciavano a procurargli vari riconoscimenti
dal Comune di Firenze;
Negli anni ’50: ricoprì vari incarichi ufficiali promuovendo nella cultura fiorentina varie iniziative culturali.
Determinante fu il rapporto con Petrarca: iniziato a Firenze nel 1350 (durante la sosta del P che si recava a Roma per il
Giubileo); nel ’51 B, su incarico della città di Firenze, raggiunse P a Padova per invitarlo a ricoprire una cattedra nello
studio appena fondato e, nonostante il rifiuto, continuò a intrattenere con lui stretti rapporti: nel ’59 B visitò il P a
Milano, consultando la sua biblioteca. Come P, scelse la condizione di chierico
Anni ’60: Il fallimento di una congiura nel ’60 in cui erano implicati personaggi a lui vicini, fece cadere in disgrazia il
B: tenuto lontano dagli incarichi pubblici, visse un periodo di crisi anche religiosa. Dal ’61 si ritirò a Certaldo, dove
condusse un’appartata vita di studio e meditazione e scrisse nuove opere latine e volgari. In seguito a una nuova fase di
distensione politica a Firenze, nel ’65 ottenne nuovi incarichi pubblici come l’ambasceria ad Avignone per offrire a
Urbano V l’appoggio di Firenze per il ritorno della sede papale a Roma; egli offrì un grande sostegno alla politica estera
del governo fiorentino, rivolta contro l’Impero e i Visconti. Nonostante la vecchiaia, compì ancora numerosi viaggi: nel
’67 fu a Venezia dal P e nel ’68 fu suo ospite a Padova; nel ’70 si recò a Napoli. Nel ’73 fu chiamato dal Comune
fiorentino a una lettura pubblica con commento della Commedia nella chiesa di Santo Stefano di Badia, che continuò
per alcuni mesi; 21 dicembre 1375morì a Certaldo

Poetica del Boccaccio


- La condizione di fiorentino trapiantato a Napoli rende particolarmente vari e multiformi i suoi interessi: egli cercò di
riassumere nelle proprie invenzioni il meglio dell’atteggiamento cortese (corte angioina) e di quello comunale e
municipale (Firenze), guardando insieme al mondo classico: B riprende questi motivi della cultura europea del XII e
XIII secolo e li traduce in un orizzonte più laico e mondano, configurandosi come punto di riferimento per
l’Umanesimo fiorentino.
- Boccaccio umanista: spinto anche dai rapporti con il Petrarca, B si dedica allo studio e alla ricerca della letteratura
classica (Omero), dando impulso a un lavoro di trascrizione e diffusione di manoscritti e affermando il valore di tale
attività. L’amore di B per l’antichità mantiene sempre e comunque un’impronta laica e un carattere non assolutistico:
egli ha ben chiaro che il pubblico non si limita agli studiosi e resta convinto della preminenza del volgare.
- B costruisce quindi numerose opere che fanno da fondamento a generi destinati a durare per secoli:dal
romanzo d’avventura (Filocolo)
cavalleresco (Filostrato),
genere arcadico-pastorale (Commedia delle ninfe fiorentine),
poemetto idillico (Ninfale fiesolano),
romanzo confessionale-sentimentale (Elegia di Madonna Fiammetta),
alla novella moderna (Decameron); ma soltanto le Rime percorrono tutta la sua esistenza e mostrano la sua disponibilità
a linguaggi e modelli differenti.
- Il culto di Dante:
Nelle sue invenzioni letterarie B trasse da D gran frutto e a lui dedicò un importante lavoro di copista ed editore. Scrisse
inoltre il “Trattatello in laude di Dante”, una biografia che interpreta l’opera di D alla luce di una concezione
umanistica della poesia, vista come facoltà superiore contrapposta all’impegno civile. Lo stesso punto di vista troviamo
nelle Esposizioni sopra la Comedia.
La scrittura di B inoltre, si rivolge sempre all’esterno e non si arresta mai all’io dell’autore, come quella del P.

Le opere del periodo napoletano


Gli scritti della giovinezza napoletana del B si rivolgono al pubblico cortese, in cui acquistano un grande rilievo le
donne:
Filocolo: romanzo in prosa in 5 libri, concluso nel ’36 e stampato nel 1472, che costituisce un punto di partenza della
narrativa moderna. Esso si presenta come risposta a una richiesta di Fiammetta, che aveva udito parlare in una brigata
napoletana. B sovrappone lo schema del romanzo greco alessandrino e quindi moltiplica descrizioni, discorsi,
monologhi sentimentali, divagazioni dotte: è un perfetto esempio di narrazione tardo-gotica. Il romanzo vuole essere
anche uno specchio della vita cortese napoletana, offrendone un’idealizzazione.
Filostrato (vinto d’amore) è un poemetto in ottave diviso in 9 parti. In esso il B si confronta con la recente tradizione
dei cantari: quest’opera fissa un modello di uso narrativo dell’ottava, essenziale per la letteratura italiana fino al ‘600. Il
tema è ricavato dal ciclo troiano, ma si limita all’episodio dell’amore di Troiolo, figlio di Priamo, per la vedova greca
Criseida, prigioniera a Troia.

Le opere fiorentine:
Il ritorno a Firenze (inverno ’40-’41) induce B a tentare una letteratura che leghi l’orizzonte cortese all’ambiente della
sua città. Scritta tra ’41 e ’42,
Commedia delle ninfe fiorentine: (41-42) costituisce un omaggio a Firenze e alle sue donne. A un’ampia narrazione in
prosa si avvicendano componimenti in terza rima. Nelle colline nei pressi di Fi il pastore Ameto si intrattiene con 7
ninfe devote a Venere e si innamora di Lia. La novità sta nel fatto che sia i moduli pastorali sia quelli allegorici vengono
trasposti in un orizzonte mondano e cortese: la descrizione delle 7 donne insiste sullo splendore fisico, imponendo un
nuovo canone della bellezza femminile, tutto sensuale.
l’Amorosa visione, poema in terza rima
Ninfale fiesolano, poemetto in ottave scritto tra ’44 e ’46, che vuole essere un cordiale omaggio a Firenze, di cui si
raccontano le origini a partire dai discendenti di Africo e Mensola.
L’Elegia di Madonna Fiammetta
scritta tra ’43 e ’44 sotto forma di lunga lettera in prosa rivolta da Fiammetta alle donne innamorate, essa riprende i
moduli dell’elegia eroica latina.
- La novità è che B attribuisce la parola a una voce femminile, un’amante abbandonata e disperata che mi manifesta ad
altre donne per suscitarne la compassione e consolarsi. Componente autobiografica: F ci dice del suo amore per un
giovane fiorentino, Panfilo (ritratto dell’autore) che lascia Napoli per tornare a Firenze. Con questa struttura si
costruisce il primo romanzo psicologico della nostra letteratura:

Il Corbaccio (a sé)
Il Corbaccio è un breve e violento scritto in prosa volgare il cui titolo allude forse al corvo, simbolo funebre di
maldicenza. All’origine dell’opera c’è forse qualche sfortunato amore senile: essa infatti è percorsa da un furore
misogino risentito e si pone come negazione del Decameron e del rapporto con i personaggi e il pubblico femminili. È
una sorta di amarissimo addio al mondo amoroso e cortese.

Il Decameron: è considerato una delle opere principe del Boccaccio.


Tempo: viene scritto tra il 48 e il 51, nel periodo in cui prolifera l’epidemia di peste a Firenze. Non si ha nessuna
notizia precisa sui tempi della redazione: molte novelle possono essere state abbozzate già prima del ’48 e continua fu
l’opera di revisione del Boccaccio, come documenta un manoscritto autografo del 1370.
Diffusione: l’opera si diffuse subito con rapidità, consacrando la fama del suo autore in Italia e non solo. L’eccezionale
diffusione del Dec nel XIV e XV secolo è attestata da un gran numero di manoscritti: i primi possessori furono
mercanti, ma l’opera penetrò in ambienti diversi e se ne ebbero da subito esemplari illustrati e traduzioni. Con la
stampa, il Dec divenne uno dei libri più diffusi. A inizio ‘500 il Bembo fissò nel Dec il modello perfetto della prosa
volgare; fin dal ’59 fu tra i libri proibiti.
Struttura: è una raccolta di 100 novelle che si inseriscono in una cornice narrativa: le novelle sono legate al piacere,
ma trovano in un orrido cominciamento la loro cornice narrativa che ne contestualizza la narrazione: la peste del ’48 e
la rappresentazione del contagio che da un resoconto della disgregazione della società contemporanea. Essa ha
certamente alle spalle alcuni celebri precedenti letterari (Paolo Diacono) ed è anche sfoggio di bravura descrittiva.
Mentre la città è in preda alla violenza della natura e al caos sociale, 7 fanciulle (Pampinea, Fiammetta, Filomena,
Emilia, Lauretta, Neifile ed Ellissa) e 3 giovani (Panfilo, Filostrato, Dioneo) si incontrano nella chiesa di Santa Maria
Novella e decidono di abbandonare la città e di rifugiarsi nel contado. Qui il gruppo avrebbe atteso l’aquietarsi
dell’epidemia, organizzando una vita di svaghi. Il gruppo decide di eleggere, a turno tra i 10, una regina o un re che
regoli la vita di ogni giornata: la prima regina, Pampinea, decide che si passi il pomeriggio raccontando novelle. Così
per 10 giorni, sotto il reggimento di diversi re, che decidono la tematica del giorno, ognuno racconta una novella (da qui
il titolo “Decameron”) Il libro è diviso nelle 10 giornate in cui si collocano le narrazioni: ogni giornata è accompagnata
da un’introduzione e da una conclusione in cui B descrive la vita amena della brigata e da una ballata di leggera
sensualità recitata da una donna. La cornice ha anche un valore simbolico: il raccontare e l’organizzazione gerarchica
della brigata diventa restaurazione di un ordine in risposta allo sconvolgimento della peste. Nell’ordine della brigata
inoltre, si riflette l’atteggiamento tipico delle classi dominanti nel Comune mercantile,;
Gli interventi dell’autore
I temi delle novelle
l’esemplarità di certi personaggi: questo tema viene restituito sotto varie forme. Attraverso: gesti, parole e condotta
sociale: sottolineati in punti strategici del libro. Nella decima giornata attraverso prove di magnificenza e di cortesia;
nella prima, le doti primarie dei protagonisti sono l’arguzia e l’aggressività. Emerge con forza anche l’esaltazione
dell’intelligenza e dell’astuzia di alcuni individui che beffano gli altri, i quali scambiano l’illusione per realtà suscitando
inevitabilmente il riso.
fittissima tematica religiosa,(che compare fin dall’inizio con l’immagine dei ragazzi in chiesa), fondamentale della
vita contemporanea. Nonostante ciò B non da alla sua opera una dimensione spirituale, né si impegna in critiche del
mondo religioso, esclusa qualche frecciata contro l’ipocrisia degli uomini di chiesa.
Amore e le donne: (alle quali è dedicata l’opera) che B rappresenta in tutte le sue possibili variazioni. All’amore
autentico della giovinezza, accosta gli ingiusti desideri dei vecchi. Numerose sono le presenze femminili, vivaci e
concrete e allo stesso tempo piene di misteriosa seduzione. Non mancano dolci e appassionate figure materne.
Le forze della fortuna e l’imprevisto: con i quali i personaggi devono confrontarsi nelle loro avventure
L’ironia e il comico: risum movere è nell'intenzione dell'autore e, appunto, nel dilettare e consolare è insita la poetica
di questo testo. Ad avvertirci di questa chiave di lettura è Boccaccio stesso nell'Introduzione, quando, rivolgendosi alle
donne, a cui è dedicata l'opera, le tranquillizza subito rassicurandole che alla tristezza e al dolore, suscitati dal ricordo
dello scenario drammatico della peste, succederà la letizia che sempre segue la sofferenza.

Ambientazione delle novelle: vastissimo è lo spazio storico e geografico del Dec (lo schema del viaggio costituisce
spesso l’ossatura della narrazione): la maggior parte delle novelle sono ambientate nella Toscana contemporanea, ma
numerose si collocano in altre regioni d’Italia o d’Europa, nel presente o nel passato prossimo, e fanno riferimento a
personaggi e situazioni notissimi al tempo. Scarse sono quelle collocate in un passato più remoto o nell’antichità
classica.

Significato storico del Decameron: il senso dell’opera di B va ricercato nella sua forza di invenzione letteraria: attratto
sia dal mondo aristocratico sia da quello comunale. Tardo - gotica
La lingua:
Boccaccio utilizza una prosa raffinata ed elegante che crea un modello di edonismo linguistico ancora presenti sono
alcuni schemi della retorica medievale (uso di rime), ma B approfondisce soprattutto il rapporto con la prosa latina
antica. Questa prosa è capace di fare propri i livelli stilistici più diversi: dal sublime ed eroico al patetico, dal tragico al
comico e grottesco. Boccaccio passa da una lingua fiorentina aristocratica che rifiuta ogni elemento dialettale o
particolare a una lingua invasa da termini popolari e forme dialettali o invenzioni.

Epoca 3: Il mondo umanistico e le signorie 1380-1494

Inquadramento storico: Alla disgregazione sociale ed economica che tocca il punto massimo nel 1380, succede un
processo di ricostruzione e riorganizzazione, in modo particolarmente rapido nella nostra Penisola (Francia e Inghilterra
sono ancora devastate dalla guerra dei 100 anni che termina solo nel 1453) che va dal 1380 al 1494. Questo processo
avviene nella Penisola con ritmi diversi, tuttavia porta ad un’affermazione economica e culturale del paese a livello
mondiale.
- Commerci e produzione agricola prendono nuovo vigore: molti mercanti continuano ad ampliare i loro
possedimenti terrieri, creando nuovo lavoro per i contadini. Molti di loro si arricchiscono a tal punto da entrare
a far parte di una nuova e più ampia aristocrazia, il Patriziato, di origine comunale e mercantile, la quale gode
di antichi privilegi feudali e non solo (nonostante la sua fonte di guadagno fosse di origine borghese)
- Si affermano le Signorie: al vertice delle città-stato italiane si impongono i signori, i quali, esercitando un
duro controllo mettono fine alle lotte tra le famiglie e le fazioni comunali, garantendo una relativa pace interna.
Essi rendono inoltre ereditari i loro poteri e rendono lo stato una proprietà familiare e personale.
Con i termini “Umanesimo” e “Rinascimento” si fa riferimento a quel periodo storico che approssimativamente va
dalla fine del 1300 e si conclude nella seconda metà del 1500 (limiti cronologici discussi: alcuni studiosi lo fanno
iniziare nel XIV secolo con Petrarca e Boccaccio, altri lo riferiscono alla fase di massimo sviluppo culturale durante le
guerre d’Italia). Il termine “Rinascimento” fa riferimento
- Ad un senso di rinascita (provato in fin dei conti solo dagli uomini di cultura) in seguito alla ristrutturazione e
all’uscita dalla crisi del 1380: gli studiosi e gli artisti italiani ebbero allora la convinzione di essere al centro
della civiltà europea.
- ad una nuova rinascita e al rifiorire delle arti e delle letterature sulla base della riscoperta dei classici greci e
latini che erano scomparsi o mal interpretati dall’ottica medievale.
- a una nuova concezione dell’uomo e della sua condizione: in questo periodo matura una concezione
orizzontale della condizione umana e non più verticale (uomo dipendente da Dio): si rivaluta la vita mondana e
si afferma una maggiore consapevolezza delle potenzialità dell’uomo come individuo, che grazie alle sue
capacità e agli strumenti che ha a disposizione si fa artefice del suo destino.
Si sono poi fatte molte sovrapposizioni tra il concetto di Rinascimento e quello di Umanesimo:
Il termine “Umanesimo”: fa riferimento
- non tanto ad una fase preparatoria del Rinascimento, quanto più alla sua prima espressione, che affonda le
radici nella riscoperta dei classici antichi.
- Umanista: uomo di cultura che in questo periodo si dedica ad un’attività letteraria in latino sulla base
dell’imitazione dei classici antichi. Gli umanisti potevano avere origini sociali diverse: piccola e media
borghesia, mercanti, piccola nobiltà feudale: le loro idee non si opponevano praticamente mai a quelle delle
classi dominanti. L’umanista cerca infatti di affermarsi nel mondo che lo circonda anche attraverso
l’assunzione di posizioni di prestigio sociale: ha bisogno quindi dell’appoggio dei potenti, come principi e
signori. Essi vengono riconosciuti dai poteri costituiti e assumono incarichi pubblici (rapporti con uomini di
potere non privi di difficoltà). In modo particolare con l’affermarsi del regime dei Medici si afferma la figura
dell’intellettuale cortigiano, pronto a fare della propria cultura uno strumento di esaltazione del suo signore.
Gli artisti: acquisiscono molta dignità. Essi non sono più considerati “artigiani” privi di cultura. Le loro arti si
fondano su una solida formazione classica, filosofica, letteraria e filologica.
- pre-umanisti si indicano invece alcuni eruditi che, tra Due e Trecento, si adoperarono per la diffusione di testi
classici poco noti
- u. filologico per distinguere, nel 14° e 15° sec., l’attività degli umanisti intesa al recupero, allo studio, alla
pubblicazione dei testi classici. Petrarca può essere considerato il caposcuola dell’Umanesimo
- Le lingue e letterature classiche sono considerate come strumento di elevazione spirituale per l’uomo, e
perciò chiamati, secondo un’espressione ciceroniana, studia humanitatis. In primo piano viene posta
l’educazione letteraria: questa viene considerata una forma di conoscenza storica che pone l’uomo in rapporto
con il passato e il futuro. La letteratura ha anche però un valore retorico, infatti si ricerca la perfezione formale.
In questo senso la poesia è la forma d’espressione privilegiata e più nobile. POLEMICA: questa prospettiva
nega la tendenza medievale a privilegiare le discipline scientifiche e la teologia: diffidenza verso la religiosità
cristiana. Altri valori sono la concezione della giustizia e dell’equilibrio.
- LE FASI: non è possibile proporre un’immagine unitaria dell’Umanesimo, in quanto i caratteri generali di
questo movimento e le diverse fasi di sviluppo lo rendono un periodo abbastanza eterogeneo. U. repubblicano:
(1 periodo) Venezia e Firenze durante l’oligarchia e mira a conciliare letteratura e impegno civile; U.
cortigiano: concepisce la letteratura come ornamento e celebrazione del potere signorile; U. laico e mondano:
esalta la vita terrena e la fisicità dell’uomo che aspira a gloria e potere; U. cristiano: approfondisce l’esperienza
religiosa; U. filologico: s’incentra sull’attività filologica incentrandosi sugli aspetti letterari e storici. Si predica
la rassegnazione di fronte alla miseria della vita.; U. filosofico: (2 periodo) elabora una nuova visione del
mondo in rapporto con la filosofia antica.

La produzione letteraria umanistica La letteratura umanistica si basa sul principio


- dell’imitazione delle tematiche e del linguaggio dei classici antichi. Questo principio viene interpretato i
diversi modi: alcuni autori prendono esempio dagli antichi senza fare riferimento ad un modello unico: essi traggono il
meglio dagli autori antichi più autorevoli, ponendo l’accento sulla “varietas”. I secondi invece imitano, in ogni campo
della letteratura, un solo autore esemplare:
POESIA: Virgilio, Orazio e Catullo in base ai generi; PROSA: Cicerone sta alla base di tutta la prosa umanistica, tanto
è vero che si sviluppa il “Ciceronianismo”, che utilizza una forma molto ornata a scapito del contenuto; TRAGEDIA:
vengono ripresi i caratteri tipici della tragedia classica.
- Letteratura latina:
letteratura degli umanisti, più moderna e avanzata che fino al 1470 occupa una posizione preminente. Nonostante ciò gli
scambi tra latino e volgare sono molteplici: il latino degli umanisti è ben lontano da quello medievale, e grazie
all’influsso del volgare acquisisce molta vivacità e si arricchisce.

- Letteratura volgare:
che ricopre una certa importanza solo in Toscana e in particolar modo a Firenze: il fiorentino è l’unico idioma a cui si
riconosce un certo valore. Il volgare tuttavia prende sempre più piede al di fuori dell’ambito artistico, diffondendosi per
esempio nelle scritture ufficiali e negli usi di carattere pratico. Da ciò deriva il successivo interesse degli umanisti per il
volgare, al quale verrà riconosciuta una dignità letteraria. (mercantesca: forma letteraria che si sviluppa a Firenze in
ambito mercantile. Erano libri di uso pratico e raccolte di memorie di famiglia che conservano i valori familiari e morali
di questa classe sociale con la sua forma mentis. Franco Sacchetti: scrittore di novelle in volgare: egli narra per
consolare l’uomo, al quale raccomanda di tenersi vicino ai valori medi e alla realtà più semplice. Egli diffida dalle
donne, prive di valore se non nel loro ruolo di angeli del focolare.
Umanesimo fiorentino, presso la Curia, nell’Italia padana

Il Regno di Napoli: retto dalla monarchia aragonese (1442-!558). Il potere aragonese crollerà nel 1495, con l’invasione
dei francesi. Nel 1501 il regno verrà riconquistato in favore degli spagnoli di Ferdinando il Cattolico.
L’iniziativa culturale è accentrata nel suo potere monarchico e nella nobiltà a esso più vicina.
- l’Accademia Porticus Antonia: fondata dal Panormita dove i vari umanisti si erano raccolti. Guidata, dopo la
suamorte, dal Pontano.
- Giovanni Pontano: umanesimo mondano
Intellettuale al servizio presso la corte aragonese e nella cancelleria reale, fu precettore.
umanesimo è laico e mondano.
fondere letteratura, gusto per il piacere, esercizio politico e riflessione.
latino, per immettere la propria comunicazione in un orizzonte più ampio della corte napoletana ma promuove
l’impegno di scostare la lingua latina da ogni atteggiamento puramente erudito.
Le opere: Carmina
-Sannazaro
partecipò molto presto all’Accademia napoletana e durante l’invasione straniera si mantenne fedele ai suoi signori. Alla
caduta della monarchia aragonese seguì il suo re in esilio in Francia
, giovinezza segnata da varie disgrazie che si riflettono nelle sue opere in un’ombrosa malinconia.
Le opere: “L’Arcadia”. S mise insieme 10 brani in prosa legati ad altrettante ecloghe. Nonostante il grande successo,
l’Arcadia è un’opera enigmatica e di difficile interpretazione. Il mondo dei pastori riflette la corte aragonese. Petrarca.
Ampio pubblico. “Sonetti e canzoni” raccolta delle rime del S che è anche il risultato più alto del petrarchismo
napoletano. La poesia latina del S raggiunge il maggiore risultato ne Il parto della vergine, breve poema con dedica a
Clemente VII
Michele Marullo Tarcaniota greco, poeta in latino di eccezionale valore. Durante l’assedio dei Turchi visse a Napoli

L’epoca delle guerre d’Italia: dal 1494 al 1559

Inquadramento storico:
frammentazione: Mentre nei secoli medievali si erano formati in Europa i vari regni nazionali (Francia, Inghilterra,
Spagna), l’Italia rimane un paese estremamente frammentato in tante unità politiche autonome e spesso in conflitto tra
loro. Tale situazione politico-amministrativa era stata favorita anche dalla stessa conformazione territoriale, molto varia
(pianure, ex paludi, Appennini). La situazione politica estremamente frammentaria e le continue lotte interne rendevano
l’Italia debole e vulnerabile, provando la società già ridotta all’osso. Per questo motivo nel 1445 si stipulò la PACE DI
LODI, rimasta in vigore fino al 1494.
Marchese di Monferrato, Repubblica di Venezia (più ricca e forte militarmente. Non aveva ricchezze territriali ma
grazie alla fiorente economia manteneva una flotta fissa. Era infatti il regno più potente dell’epoca), Ducato di Milano
(prima Sforza e poi Visconti), Repubblica fiorentina (era molto importante sul piano internazionale perché elargiva
prestiti economici a molti sovrani europei con interessi molto forti), Stato del Papa, Regno di Napoli (Aragonesi),
Marchesato di Mantova (Gonzaga), Marchesato di Ferrara (Ferrara era la capitale ed era governata dalla fam. Degli
Este. Essa godeva di alleanze molto convenienti e si trovava in una situazione strategica: vicino al Po', ovvero una ricca
rete di comunicazione da Torino fio all’Adriatico. Ferrara sorgeva vicino ad una zona paludosa bonificata dagli Este e
quindi molto fertile: la produzione agricola permetteva non solo di approvvigionare adeguatamente il popolo, che di
conseguenza era più soddisfatto e meno propenso alla rivolta ma anche di vendere il surplus agricolo alle altre città, con
le quali si instaura un rapporto di fiducia che ne permetteva in parte il controllo. Pericoli per Ferrara: Venezia, in quanto
anch’essa voleva avere l’esclusiva sulla via commerciale del Po', tant’è che chiamavano la foce sull’Adriatico Golfo di
Venezia; Papa per la sua volontà di espandersi entro i territori estensi Possedeva già Bologna).
Carlo VIII: con la discesa dei francesi in Italia hanno inizio le invasioni straniere nella nostra Penisola e si apre la
lunga fase di lotte tra Francia e Spagna per la contesa dell’Italia (pace di Cateau-Cambrésis 1559).
- fine dell’indipendenza degli stati italiani e danno luogo a un nuovo assetto politico e sociale che si conserverà
fino agli inizi del 1700. VEDI QUAD.
CAUSE: crollo dell’indipendenza italiana è riconducibile a una generale condizione di instabilità politica, militare ed
economica:
- Gli stati italiani si trovavano in costante pericolo: i principi e i signori potevano vedersi privati dei loro poteri
da un momento all’altro.
- A questo aspetto si aggiunse il problema della difesa militare: essendo l’Italia un paese frammentato non si
ebbero azioni di difesa coese (eserciti di mercenari), molti anzi la videro come opportunità e per avere un
tornaconto personale pensarono di sfruttare la potenza straniera nei conflitti interregionali. Gli eserciti italiani
di mercenari, vennero sopraffatti dalle milizie straniere, al cui successo contribuirono le armi da fuoco.
- Le sorti della guerra si legarono poi alle condizioni dell’economia. Lo sviluppo economico italiano, nel corso
del XV secolo era avvenuto sulla base di strutture economiche arretrate. Mentre gli altri paesi, per risollevarsi
dalla depressione economica del 1300, si erano impegnati a edificare strutture unitarie attorno al potere
centralizzato nelle mani del re, l’Italia poggiava il proprio sviluppo su basi estremamente fragili. Essendo la
guerra, un’impresa sempre più di carattere finanziario che necessitava l’impegno di grandi capitali, l’Italia si
trova di fronte a un’impresa al di fuori della sua portata. Nuovi orizzonti commerciali, dai quali l’Italia
rimaneva esclusa (Atlantico e Oriente). Il reddito agrario, basato sul duro sfruttamento dei contadini da parte
dell’aristocrazia feudale, costituisce in maniera sempre più netta la spina dorsale dell’economia italiana.
In questo contesto alcuni stati signorili italiani riescono a mantenere una certa indipendenza, rafforzando
l’organizzazione interna e il potere assoluto dei principi. Essi riducono i poteri intermedi e governano mediante la corte,
presso la quale assumono personale dalle competenze più disparate. La società italiana di questi anni risulta dominata
dal sistema cortigiano, dallo sviluppo di una nuova aristocrazia di corte, legata alle famiglie principesche.

LA RIFORMA PROTESTANTE: Tra la fine del secolo XV e l’inizio del successivo, dilagano nuovi episodi di
corruzione nell’ambiente ecclesiastico. E’ in questo periodo che nasce l’esigenza di una religiosità autentica.
Nell’Europa settentrionale, dove il controllo della Chiesa è meno forte, prende il via il movimento della Chiesa
protestante, che trova in Martin Lutero la sua figura guida. Tale riforma infrangerà per sempre l’unità religiosa cattolica
dell’occidente cristiano. La Riforma ebbe una larghissima diffusione e trovò solide basi nei ceti popolari, nell’appoggio
delle aristocrazie cittadine e servendosi di nuovi mezzi di diffusione come la stampa.
La chiesa, temendo un ulteriore collasso delle istituzioni papali, propose una religiosità severa e arroccata su se stessa, i
cui principi, riassunti nell’espressione di “Controriforma”, verranno fissati nel 1545-63: Concilio di Trento:
●si eliminano certe forme di corruzione mantenendo però una centralità politica (polo diplomatico e religioso
internazionale).
● Si codificano dogmi di comportamento, si impone un controllo assoluto su ogni forma di religiosità e si reprimono
tutte le forme di eresia e la componente folclorica che nei secoli si era intrecciata al Cristianesimo ricorrendo
all’assolutismo più spietato: viene rilanciato il Tribunale dell’Inquisizione, riorganizzato nel 1542 come Santo Uffizio,
che conduce un’accanita persecuzione degli atteggiamenti eterodossi rivolta anche contro ebrei ed emarginati.
●La cultura: Lo Stato pontificio fa un uso politico della cultura:
- L’istruzione: la Chiesa si impadronisce dell’istruzione, eliminando le scuole pubbliche laiche e creando scuole
gestite direttamente dalle istituzioni ecclesiastiche con l’obiettivo di estirpare antichi culti popolari e a
rafforzare alcune forme di devozione. Grande cura è posta quindi nell’istruzione dei membri della nobiltà e
della borghesia cittadina e nella formazione del clero, per cui vengono istituiti i seminari. Una preminenza
assoluta in campo educativo spetta ai gesuiti, che fondarono scuole in tutta Eu e crearono dei collegi, che per
tutto il periodo dell’educazione scolastica tenevano gli studenti separati dalla vita sociale. Si impedisce al
popolo ogni rapporto immediato con i testi sacri(passa attraverso la parola dei sacerdoti) e si ostacola ogni
diffusione della Bibbia in volgare. e dei predicatori. Il controllo della cultura comportava anche la censura
della produzione libraria: nel 1559 venne pubblicato il primo organico Indice dei libri proibiti.
- L’arte: Nasce il mito di Roma centro del Rinascimento: magnifiche opere d’arte vengono commissionate per
rafforzare la devozione delle masse e per conferire un’immagine prestigiosa al potere temporale; molte sono le
iniziative urbanistiche e architettoniche e artistiche e la padronanza delle tecniche e lo studio degli antichi
toccano il livello più alto la corte di Roma diviene un modello per tutte le altre corti ita: il suo sistema offre
opportunità di carriera e si avvale della distribuzione di benefici e rendite ecclesiastiche, ciò attira anche
numerosi intellettuali e artisti. La letteratura: Il clero non ebbe solo il compito di controllare la cultura
contemporanea, ma elaborò anche nuovi contenuti e forme: nuovo vigore prese la mistica (mistica della
Controriforma) e la letteratura a essa collegata (Teresa de Avila e di san Juan de la Cruz): la ricerca del dialogo
con Dio attraverso un’estasi mistica. Annales ecclesiastici: uniformare la conoscenza della storia religiosa. del
prete oratoriano Cesare Baronio. Particolare sviluppo ebbe lo studio delle vite dei santi. Con la stampa, la
produzione libraria aumenta molto e fornisce nuovo materiale: per facilitare il lavoro degli studiosi furono
istituite varie biblioteche pubbliche moderne: a Roma e la Biblioteca Ambrosiana a Milano. La biblioteca
comincia a organizzarsi nel XV secolo per impulso degli umanisti; si formano grandi biblioteche laiche private
e si attua una politica di acquisti di manoscritti di cui si occupano gli stessi umanisti. Ricchi cittadini e potenti
signori aprono queste biblioteche a studiosi ed eruditi: vengono creati ambienti appositi per la conservazione e
la consultazione dei testi e un’amministrazione che fa capo a un bibliotecario specializzato.. Le maggiori
biblioteche ne raccolgono gran parte, ma senza potere aspirare alla completezza; per lo più scelgono di
specializzarsi in determinati settori.
La cultura: Nella prima metà del 1500 prende il via la cosiddetta “Età moderna”, caratterizzata da un consapevole
distacco dal mondo antico medievale, dato da vari fattori: la scoperta di nuovi continenti che modifica la percezione
dello spazio; lo sviluppo delle nuove tecniche adottate nel XV secolo (armi da fuoco, stampa) che modificano
concretamente la quotidianità: l’alfabetizzazione aumenta grazie alla divulgazione di esti di carattere scientifico-
divulgativo ma anche artistico-letterario; la prospettiva geometrica e le tecniche figurative che diffondono un modo
nuovo di percepire la realtà e tradurla in immagini. (Leonardo, Raffaello e Michelangelo)
Gli intellettuali e il sist. cortigiano:
A differenza delle corti quattrocentesche, in cui il ruolo del letterato non era ben definito, qui tende a diventare più
preciso e specialistico.
Fenomeno dell’emigrazione intellettuale: artisti figurativi e scrittori lasciano l’Italia per cariche diplomatiche, lotte tra
fazioni, persecuzioni religiose o per seguire i loro signori; a Firenze perde il suo ruolo di preminenza di centro artistico
guida e molti intellettuali lasciano la città. Resiste la cultura municipale, ma le strutture municipali non riescono a dare
adeguato sostegno economico agli scrittori. La corte papale mantiene una relativa stabilità e offre a molti scrittori i
vantaggi della carriera ecclesiastica: molti trovano la tranquillità economica facendosi chierici delle rendite
ecclesiastiche. Ferrara è il centro più disponibile e creativo, in quanto il pubblico cortigiano cerca una forma d’arte
narrativa e teatrale di intrattenimento.
le letterature europee in volgare si confrontano con i capolavori di Petrarca e Boccaccio, rilanciati da Bembo e gli ideali
della società cortigiana di tutta Europa si ispirano al Cortegiano di Castiglione.
In questi anni la letteratura italiana si propone definitivamente come un organismo unitario, con una lingua letteraria

- La stampa diventa il mezzo di diffusione libraria preminente: la cultura si inserisce così in un meccanismo
economico e nasce la figura dell’editore stampatore che lavora in piccole imprese tipografiche. Centro
dell’editoria ita è Venezia, seguita da Roma, Firenze, Milano e Ferrara.
- Le tendenze letterarie: Il Classicismo si identifica con una tendenza ad adattare i modelli classici alla lingua
volgare e ai caratteri del mondo contemporaneo, superando le differenze tra i centri culturali e i dialetti. Valori:
misura, eleganza ed equilibrio ma non ha uno sviluppo lineare, è ricco di creatività (Pietro Bembo, Baldassar
Castiglione). Accanto al classicismo o in contrasto con esso si distinguono tendenze differenti. La cultura
della contraddizione con spirito critico, mette in luce l’ambivalenza di ogni comportamento e i limiti di ogni
visione assoluta della realtà (Machiavelli, Ariosto, Erasmo da Rotterdam, ma tracce anche nel classicista
Castiglione). L’anticlassicismo rifiuta i modelli del classicismo, si ricollega a tradizioni folcloriche o
medievali e si concentra su una sperimentazione linguistica che fa ricorso al dialetto (Folengo e Ruzzante).
Manierismo, termine tratto dalla storia dell’arte, si indica l’atteggiamento di quegli scrittori che esasperano i
canoni del classicismo, facendoli propri con la volontà di sottolinearne il carattere artificiale arrivando
all’eccesso. Il Manierismo avrà ampia diffusione nel secondo XVI secolo e troverà la sua manifestazione più
alta nel Tasso.
Manierismo: dalla parola maniera, nel XVI secolo ha un’accezione positiva e una negativa; nell’uso del Vasari indica lo
stile di un artista, ma designa anche modi eccessivamente cerimoniosi. A fine XVIII secolo, con esso si definiva
negativamente. A metà ‘900 con le avanguardie artistiche il vocabolo è stato esteso alla letteratura.
- L’invenzione del teatro moderno Già a fine XV secolo si erano sviluppate nuove forme di spettacolo, svolte
per iniziativa delle corti in ambienti chiusi, che univano alla rappresentazione di testi drammatici varie
invenzioni scenografiche. Nel primo ‘500 furono composte le prime commedie originali in volgare:
determinante fu l’iniziativa dell’Ariosto e della corte di Ferrara. Nasce così il teatro moderno, rappresentazione
di un testo drammatico in uno spazio chiuso, con un luogo scenico.

Il dibattito sulla lingua


Nel periodo delle guerre d’Ita, gli intellettuali tendono a cercare sicurezza su un terreno culturale comune sentendo la
necessità di uscire dalla pluralità di sperimentazioni linguistiche e letterarie degli anni 1470-’94: pongono la questione
della lingua e cioè si propongono di cercare una lingua letteraria identitaria e comune che si imponga in tutta la
penisola. Nei primi decenni del nuovo secolo, la ricerca resta molto aperta, con prospettive eterogenee e con una
continuità delle precedenti esperienze miste, mentre perdura una letteratura in latino, considerata da molti intellettuali
l’unico strumento di comunicazione universale. La produzione in latino inizierà ad arretrare negli anni ’30, favorendo la
diffusione dei generi volgari e dei due modelli classicisti elaborati negli anni ’20:
Il modello linguistico e letterario del classicismo volgare del Bembo: con la teorizzazione delle Prose e con
l’esempio delle Rime, il classicismo volgare del B imprime un nuovo sviluppo alla nostra letteratura, facendo cadere la
preminenza del latino.
Il modello cortigiano del Castiglione che propugna una lingua che ricavi il meglio dai vari idiomi e dalle differenti
esperienze della letteratura volgare
Il modello toscano che rivendica la validità del toscano contemporaneo.
Ambienti cortigiani, con gli interventi del Calmeta, di Angelo Colocci e Mario Equicola.
Intanto si infittiscono le discussioni teoriche, ma in modo sempre più tecnico: un nuovo terreno di discussione è offerto
dalla riscoperta, negli anni ’40, della Poetica e della Retorica di Aristotele che determina la ricerca di una definizione
più rigida del sistema dei generi letterari.
IL CLASSICISMO

Pietro Bembo:
Nacque a Venezia nel 1470 da una famiglia aristocratica ed ebbe una buona educazione sia letteraria che filosofica. Da
giovane compì molti viaggi al seguito del padre: fu in Sicilia e soggiornò a Ferrara, dove strinse amicizia con l’Ariosto.
Egli con l’esperienza, gli studi e i viaggi definì meglio il suo profilo di scrittore e filologo, rivolta sia al latino che al
volgare. Il rapporto con lo stampatore e filologo Aldo Manuzio lo indusse ad affrontare le prime prove di una filologia
applicata ai testi in volgare.
Nell’ottobre 1505 il B partì per Roma, ma si fermò a Urbino, dove rimase fino al ’12: nella corte ducale, sotto
Guidubaldo di Montefeltro e poi sotto Francesco Maria della Rovere, si raccoglievano nobildonne e personaggi di centri
diversi; lì il B iniziò le Prose della volgar lingua. Bembo, in quanto figura centrale del dibattito sulla lingua del 1500,
elabora il suo modello linguistico e letterario e con la teorizzazione delle Prose e l’esempio delle Rime, il suo modello
di classicismo volgare un nuovo sviluppo alla letteratura, facendo cadere la preminenza del latino.
La carriera ecclesiastica: da Leone X il B ricevette la carica di datario dei Brevi (responsabile dei documenti pontifici),
entrò così nella carriera ecclesiastica (nell’ordine dei gerosolimitani) da cui ricavò benefici, compì alcune deludenti
missioni diplomatiche.
Le opere e l’amore: La vita del B fu animata da forti amori, come quello per la nobildonna veneta Maria Savorgnan e
quello con Lucrezia Borgia, moglie di Alfonso I d’Este. Nonostante la sua condizione di chierico avrà 3 figli da
Faustina della Torre. Il testo più importante della sua esperienza giovanile è infatti un dialogo d’amore, gli Asolani: si
tratta di 3 libri in prosa ambientati ad Asolo, nella villa dell’ex regina di Cipro Caterina Cornaro. Di fronte a una nobile
brigata in festa per le nozze di una damigella, 3 giovani parlano dell’amore da punti di vista diversi. Lo sfondo
mondano del dialogo e la prosa si ispirano al Decameron e alla società cortigiana. Il libro ebbe perciò grande successo.
Lirica: La forma letteraria volgare che più interessa il B è la lirica, Nelle Rime, elaborate in tutta la vita e stampate nel
’30, si ha una riproduzione della lirica di Petrarca: la parola poetica cerca uno splendore formale, rispetto cui i contenuti
appaiono inessenziali.
Nel ’30 ebbe l’incarico di bibliotecario e storico ufficiale della Repubblica di Venezia e iniziò la redazione in latino dei
12 libri delle Storie di Venezia; tornò a Roma, dove morì il 19 gennaio ’47.

Baldassarre Castiglione:
Nacque nel 1478 a Casatico di Marcaria, da una famiglia della nobiltà militare legata ai marchesi di Mantova. La sua
formazione si svolse nella Milano di Ludovico il Moro. Durante la sua vita fu al servizio di corti e ambienti diversi: alla
morte del padre ebbe, come primogenito, la responsabilità della famiglia e fu assunto al servizio del marchese
Francesco Gonzaga; per il duca di Urbino Guidubaldo da Montefeltro. Alla morte del duca passò al servizio di
Francesco Maria della Rovere. Entra nella condizione ecclesiastica e acquisendo vari benefici: inviato come nunzio
apostolico in Spagna e a Madrid tenne un atteggiamento filospagnolo. Nel momento più convulso delle guerre d’Ita, il
C poté osservare la situazione da punti di vista privilegiati: prima nel mondo delle corti e della nobiltà padana, poi nella
corte di Urbino e poi nelle strutture dello Stato della Chiesa e nella carriera ecclesiastica. La sua cultura non è però
quella di un professionista: la letteratura in latino e in volgare è per lui un’espressione del suo essere gentiluomo.

Libro del cortegiano:1513 - ebbe stesure diverse: da una redazione all’altra si hanno mutazioni formali ma anche sottili
variazioni ideologiche. Struttura e contenuti: Il libro è un dialogo diviso in 4 volumi ed è ambientato nel palazzo di
Urbino. Da tale dialogo il C ricava delle leggi di equilibrio su cui basare una figura globale di uomo di corte, per lui il
modello più compiuto di uomo. Trama: Mentre il duca Guidubaldo, malato, è nelle sue stanze, la duchessa Elisabetta e
la signora Emilia Pio hanno una conversazione mondana tra i più illustri frequentanti di Urbino. Per allietare i
convenuti, Federico Fregoso propone di “formar con parole un perfetto cortegiano”. (Ludovico da Canossa Ottaviano
Fregoso Federico Fregoso Giuliano dè Medici Bembo ne definiscono l’immagine fisica e morale, la perfetta donna di
palazzo; i rapporti tra il cortigiano e il principe; il dialogo è concluso da un’esaltazione dell’amore del.
classicismo di C appare molto più libero di quello del Bembo: nella questione della lingua e non solo, ma anche in tutti
gli ambiti della vita, il cortigiano deve riferirsi ai classici con un equilibrio moderato, e vivendo in una condizione di
variabilità deve mantenere sempre una prospettiva aperta e moderna, rifacendosi al suo “bon giudicio”. Nessuna forma
può essere assoluta ed è sempre necessario un confronto con la realtà mutevole.
La grazia: qualità essenziale per dare agli altri un’immagine positiva di sè: ciò richiede un forte impegno, che dovrà
però nascondersi, al punto di far sembrare naturale ogni comportamento artificiale (sprezzatura). Il comportamento del
cortigiano è un teatro di apparenze che tiene conto della cultura della contraddizione.

Monsignor Giovanni della Casa (cultura senese: intrattenimento)


Nella carriera di DC si notano un distacco dalle radici fiorentine e dagli ideali umanistici a favore di un conformismo,
chiuso e oppressivo, ostile a ogni originalità, nell’ottica della Controriforma
- contatto con la cultura veneta e in particolare con Bembo.
- conformismo documentato dal Galateo (tra ’51 e ’55): in una prosa colloquiale presenta un insieme di ammaestramenti
circa la “comune conversazione” che un anziano rivolge a un giovinetto (mondo di gentiluomini). Proprio il
conformarsi al costume corrente è segno di educazione civile. Il suo conformismo linguistico emerge nelle Rime dove
DC seguì il modello del petrarchismo di Bembo e tra la gravità e la piacevolezza individuate da Bembo, egli sceglie la
prima, adottando uno stile solenne e complesso.

L’ANTICLASSICISMO:
● le lingue artificialiIn diversi centri dell’Ita settentrionale i modelli classicistici incontrano una forte opposizione:
elementi alternativi derivanti da esperienze plurilinguistiche che sfuggono all’influenza del toscano e si caratterizzano
per le contaminazioni tra linguaggi diversi, elementi dialettali e schemi letterari di varia origine. che è possibile
riassumere con il termine di anticlassicismo.
- lingua maccheronica: nel nord italia
usata negli ambienti universitari di Padova tra ‘400 e ‘500; questa lingua si basa sulla grammatica e sulla morfologia del
latino, ma costruisce le frasi nell’ordine sintattico del volgare e immette numerose forme lessicali volgari, creando un
effetto di parodia. Teofilo Folengo la lingua maccheronica diventa un eccezionale mezzo espressivo. Folengo accresce
e rielabora continuamente un corpo di scritti dal titolo Macaronea. Il Baldus è poema in esametri in cui la parodia
linguistica ha come obiettivo principale l’Eneide: ciò si giustifica con l’origine mantovana comune a Virgilio. Trama: Il
poema narra la giovinezza di Baldo, a capo di una banda di teppisti che impongono la loro legge nelle campagne del
Mantovano. Baldo intraprende con i suoi seguaci un viaggio ardimentoso, che lo condurrà in luoghi magici e grotteschi
da cui emergono mostri maligni: è un percorso di discesa nel male.
Lettura dell’opera: l’unica legge del poema è il paradosso da cui emerge una realtà confusa: molti sono i punti di
somiglianza col poema di Pulci, ma la lingua maccheronica si costruisce sulla frizione tra elementi opposti: latino e
volgare, cultura classica e dialetto. Molti sono i contatti di F con la cultura popolare e con il carnevale, come dimostrano
il capovolgimento di prospettiva.

- Lingua pedantesca:
Una certa fortuna nel XVI secolo ebbe anche un’altra lingua artificiale, il pedantesco, basato sulla struttura
grammaticale e sintattica del volgare, ma con forme lessicali latine.

●Il teatro a Venezia e nel Veneto


In area veneta le esperienze plurilinguistiche hanno un peso rilevante anche nel teatro,
- Angelo Beolco, detto Ruzzante
Beolco, padovano conobbe da vicino il mondo contadino. Presto si distinse per le sue doti di attore e uomo di
spettacolo, creando un originale personaggio di contadino padovano, Ruzzante. Nella sua polemica anticlassicista egli si
appoggia all’uso del dialetto padovano.
Approfondendo il proprio legame con il mondo contadino, il teatro di Beolco richiama al conflitto tra città e campagna
e alle angherie subite dai contadini e dando un’immagine concreta della realtà ita di quegli anni propone delle leggi che
rendano meno dura la vita e il lavoro agricolo.

- Pietro Aretino
Nato ad Arezzo. La polemica anticlassicistica di Aretino non si appoggia a tradizioni dialettali, ma esprime
un’insofferenza per i modelli pedanti e precostituiti, esaltando l’ingegno individuale e mantenendo sempre una
prospettiva anticortigiana e antipedantesca. Con la sua letteratura tagliente si eresse a “flagello dei principi”. Data la sua
fama di autore osceno, fino all’800 i testi dell’A circolarono in maniera semiclandestina, cui si accompagnava una
critica riduttiva;
Le opere: alla morte di Leone X si distinse per le violente pasquinate sottoforma di sonetto che sostenevano la
candidatura di Giulio dè Medici al pontificato, eletto papa Adriano VI, l’Aretino affrontò un breve esilio (erano testi
satirici, usati come arma di battaglia nella lotta tra le fazioni della Curia).
I libri delle Lettere: raccolgono la corrispondenza con signori, artisti e intellettuali, e modellate sull’immagine che egli
intendeva dare di sé. L’uso di scrivere lettere in volgare prese sempre più piede nella società cortigiana e aristocratica e
intorno al 1540 e Aretino può essere considerato l’iniziatore di questo genere editoriale

Francesco Guicciardini: la vita di un politico di alto rango leggi pag. 332,333 e 334.
La riflessione sui fondamenti della politica: i Ricordi
Gli scritti: durante la sua vita G non pubblicò nessuno dei suoi scritti, in quanto non erano destinati a una circolazione
pubblica ma erano stati composti a titolo di riflessione personale o per precise circostanze politiche. Avvertimenti:
Un’opera pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1576 che ebbe un grande successo, ponendosi come punto di
riferimento per la forma dell’aforisma dal greco aphorismós=definizione, indica una massima breve e sentenza
memorabile che si riferisce a una circostanza specifica e limitata ma si inserisce in un sapere sistematico. Il vero trionfo
dell’aforisma si avrà nell’800 e nel 900 Nietzsche). Realizza una raccolta di brevi pensieri, raccomandazioni morali
rivolti ai rapporti umani in generale: G. evita però regole universali e promuove un atteggiamento teso alla duttilità.
L’unica regola costante è la discrezione: qualità che l’uomo deve avere nel valutare i rapporti sociali perché
consapevole del fatto che questi sono dominati dall’apparenza e dall’ambizione. Come Machiavelli, G pensa in un
mondo dominato da una negatività immodificabile, occorre limitarsi a difendere il proprio “particulare” (il proprio
interesse individuale e familiare).
La Storia d’Italia: è un progetto storiografico che pone i propri limiti cronologici tra la morte di Lorenzo il Magnifico
(1492) e quella di Clemente VII (1534). Viene scritto tra il 1537e il 1540 (morte di Clemente VII G lasciò la carica di
governatore di Bologna quando vide delusa la sua ambizione di dirigere la politica del duca Cosimo.) Nel 1561 venne
stampata a Fi con alcune censure e senza gli ultimi 4 libri (a inizio ‘600 nell’Indice); la prima edizione completa in 20
libri apparve a Venezia nel 1564.
L’opera ebbe subito grande fortuna, soprattutto negli ambienti laici e protestanti di tutta Europa.
A partire dall’età felice di Lorenzo il Magnifico, egli individua un susseguirsi di errori e sconfitte che hanno portato
l’Ita dalla libertà di fine ‘400 alla sottomissione straniera unendo narrazione e spiegazione dei fatti:
- Alla radice delle più grandi mutazioni ci sono i conflitti tra interessi e punti di vista individuali: l’accecamento
di principi e governanti che hanno creduto di trarre vantaggi dalla presenza straniera e in realtà hanno causato
la tragedia del paese.
- individua gli inganni sui quali si costruisce la vita collettiva, ricavandone la negazione di ogni valore assoluto:
è questo nichilismo a spingerlo verso una visione laica della storia, estranea a ogni giustificazione
trascendente.
- Francesco de Sanctis vide nell’”uomo del Guicciardini”, nel suo cinismo e nel suo senso pratico e politico
un’immagine della corruzione dell’Ita rinascimentale, in riferimento ai Ricordi in cui l’autore insiste sulla cura
per il “particulare”.
- In questo senso la storiografia del Guicciardini si allontana dal modello classico: il valore che essa attribuiva al
valore dei grandi personaggi viene sostituita da sconfitte e fallimenti.

Giovanni Giorgio Trissino


Una diversa interpretazione del classicismo proviene da Trissino.
Egli scoprì il testo del De vulgari eloquentia e lo divulgò a Fi nel 1513, propugnando:
- La sua ricerca si rivolge soprattutto ai generi seri della letteratura classica: la tragedia e poema eroico
Il sistema dei generi
La fondazione del sistema dei generi letterari moderni avviene sulla base dei generi classici e sulla base dei generi della
tradizione volgare romanza. - tradizione volgare: sono quello lirico e quello novellistico, che hanno come punto di
riferimento Petrarca e Boccaccio. La lirica però rimane vincolata al Petrarca, sulla base degli scritti di Bembo, mentre la
novella resta un genere più libero. il romanzo o poema cavalleresco, che trova un modello moderno nell’OF e la poesia
burlesca.
-letteratura classica: è essenziale per i nuovi generi teatrali e per il dialogo (di cui si serve la produzione di trattatistica -
Bembo e Castiglione); il dialogo comico rovescia gli schemi della conversazione dialogica (Aretino). La storiografia
(Machiavelli e Guicciardini). Alcuni generi letterari intermedi: (poesia): la satira e il poemetto(poemi di ridotta
dimensione erano molto diffusi nella letteratura classica, in forme e con tematiche varie: poemetti mitologici (in cui il
mito si intrecciava spesso all’origine di un luogo), idillici (che ambientavano le vicende in dolci paesaggi naturali),
erotici, didascalici (che offrivano insegnamenti morali o pratici es. le Georgiche di Virgilio); a questi la letteratura
cristiana aggiunse quelli religiosi. (prosa) l’orazione e la lettera

- La lirica petrarchistica
Sulle orme del Bembo, si sviluppa nel XVI secolo una lirica petrarchistica ad opera di aristocratici soprattutto: si
servono del linguaggio lirico del P (sonetto) come forma di comunicazione tra gentiluomini, per mostrare la loro
partecipazione a una degna vita sociale. Questo però va riducendo il petrarchismo a un sistema della ripetizioni
pedissequo e meccanico. 4 aree di diffusione della lirica petrarchistica: 1. Area veneta- è molto forte la fedeltà al
Bembo; 2. Area padana e lombarda; 3. Area tosco-romana- a Fi è forte l’opposizione al modello del Bembo:
Michelangelo Buonarroti e Giovanni della Casa; 4. Area meridionale- dopo il crollo della monarchia aragonese,
l’aristocrazia feudale napoletana comincia negli anni ’30 a modi di comunicazione culturale che rimedino all’assenza di
una corte. La lirica femminile:
Nella società cortigiana dell’età delle guerre d’Ita la donna partecipa attivamente alla vita culturale: la maggior parte
delle poetesse appartiene alla piccola nobiltà, ma si cimentano anche le cortigiane di lusso, la stampa aumenta il
pubblico di lettrici. Genere prediletto è la poesia d’amore che fa proprio il linguaggio petrarchistico e gli schemi
bembistici (Vittoria Colonna, Veronica Gàmbara, Isabella di Morra e Gaspara Stampa)
- La novella
La novella si lega strettamente ad una richiesta molto elevata di consumo editoriale in quanto risponde al bisogno di
intrattenimento e circola liberamente all’interno di strutture letterarie diverse. Il Decameron resta il libro più letto, anche
se solo dagli anni ’20 si cerca un più diretto contatto con esso, sia dal punto di vista linguistico, sia da quello strutturale
della cornice. un pubblico di scarsa cultura fecero nascere, intorno alla metà del secolo, delle raccolte in cui lo schema
della cornice boccaccesca si presentava come un segno di eleganza tutto esteriore (Piacevoli notti di Matteo Maria
Bandello)
- La poesia burlesca:
Sul modello del Berni si sviluppa una poesia comica che offre un’immagine paradossale e osceno del mondo
ecclesiastico e cortigiano, attingendo alla tradizione burlesca fiorentina, in primo luogo il Burchiello e il Pulci B
(prevalenza da capitoli in terza rima e da sonetti): esse inaugurano il genere bernesco.

I generi teatrali
Si impongono 3 grandi generi drammatici: la tragedia, la commedia e un genere misto.

La tragedia classicistica
Nel ‘500 e nel ‘600 i testi dei grandi tragici greci e la Poetica di Aristotele (genere letterario perfetto) costituiscono un
punto di riferimento per coloro che tentano di costruire in Ita un moderno teatro tragico. Ma proprio l’eccessivo
scrupolo nell’imitazione degli antichi impedisce un’intensa drammaticità. I conflitti tragici avevano di solito come
sfondo gli spazi del potere (corte) e coinvolgevano personaggi di alto grado sociale (re e principi). L’ambientazione
della tragedia, sebbene si collocasse spesso nel mito o nella storia lontana, permetteva di alludere ai conflitti politici del
tempo e alla problematica della ragion di Stato. Nella tragedia si scelsero i versi (endecasillabi sciolti).
La commedia: all’inizio si ha un più rapido e multiforme sviluppo però poi dagli anni ’20 si diffonde uno schema
“normale”, che segue i modelli latini (Plauto e Terenzio). La commedia si pone come uno specchio in cui la società
aristocratica contempla i contrasti della vita sociale in un mondo familiare borghese e cittadino.
Qui si presenta un repertorio di tipi umani e materiali comici (scambio tra gemelli) che in questo caso vengono ricavati
dalla tradizione volgare, soprattutto dal Boccaccio e dalle novelle di beffa. Anche dal punto di vista linguistico utilizza
una prosa volgare che si rifà al Decameron per quanto riguarda i dialoghi ironici e beffardi. La commedia si abbandona
spesso alla deformazione del linguaggio.
(La Calandria di Bernardo Dovizi da Bibbiena e la Mandragola di Machiavelli: se la Mandragola si lega all’esperienza
individuale dell’autore, nella Calandria si realizza una sintesi esemplare tra uno schema classico (lo scambio tra
gemelli) e un motivo di beffa ripreso da Boccaccio).
Il genere misto ha origine dagli spettacoli mitologici e pastorali delle corti padane (Arcadia del Sannazaro); in generale
risponde alle esigenze di evasione del pubblico di corte.
La storiografia:
- moderna storiografia, seguendo gli schemi della tradizione latina.
- uno strumento per dimostrare il passaggio dalla civiltà dallo splendore antico alla barbarie dei secoli bui e quindi la
rinascita della virtù nel mondo contemporaneo.
La nascita della critica letteraria
A metà XVI secolo anche sotto l’impulso delle discussioni sulla lingua e della riflessione sulla Retorica e sulla Poetica
di Aristotele Accademia degli infiammati a Padova:
si sviluppa un nuovo tipo di riflessione critica e razionale sui testi letterari, sulla base di valori linguistici e retorici sulla
base della cooperazione di poetica e retorica e su una tendenza alla tecnicizzazione del discorso. (Ludovico Castelvetro,
scrisse il maggiore commento 500esco alla Poetica aristotelica, la Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta; il
Castelvetro rifiuta qualsiasi autorità se non quella di un razionalismo radicale).
La crisi della cultura fiorentina e toscana
Il Principato mediceo e la cultura fiorentina
Il passaggio di Carlo VIII a Firenze nel ’94 determinò la fuga di Piero dè Medici e la restaurazione della Repubblica,
guidata dal domenicano Savonarola; la sua predicazione ebbe subito grande risonanza a Firenze e fuori: dalle sue parole
traspariva l’attesa di grandi sconvolgimenti, evitabili solo con un rinnovamento religioso e con l’abbandono
dell’edonismo mondano della società signorile. Il suo spirito profetico si accentuò con la fine del regime mediceo: egli
attribuì a Firenze la missione di ricostruire la vita civile sulla base della solidarietà cristiana; questo tentativo stimolò un
fervore religioso che fece di Firenze la “nuova Gerusalemme”. La lotta di S per un rinnovamento radicale trovava
fondamento nell’Umanesimo civile e cristiano; essa portò alla costituzione di un organismo politico relativamente
democratico in cui aveva un peso determinante la borghesia artigiana: questo sistema si scontrò con quello signorile e
con la Chiesa. Alla fine prevalsero le forze che si opponevano al rigorismo del frate, guidate dalla ricca borghesia e
dall’aristocrazia cittadina: S fu condannato al rogo e morì nel ’98; si instaurò allora un regime repubblicano moderato
fino al 1512, quando i Medici tornarono a Firenze.
Le vicende politiche di Fi dal 1494 al 1530 evidenziarono la crisi del modello municipale, mentre sul piano nazionale e
internazionale prevalevano i regimi assolutistici. La caduta della Repubblica nel 1530 recise ogni continuità con le
tradizioni comunali e il giovane Alessandro, figlio di Lorenzo dè Medici, duca di Urbino, ricevette il titolo di duca di Fi.
Il 6 gennaio ’37 egli fu assassinato dal cugino Lorenzino dè Medici, che pensava di riportare a Fi la libertà. Il partito
mediceo però chiamò alla successione il giovane Cosimo dè Medici, che condusse una politica abilissima ed estese i
confini dello Stato fiorentino all’intera Toscana. Nel ’57 annettè Siena al Ducato fiorentino e nel ’69 ricevette il titolo di
granduca di Toscana. Di fronte a queste vicende politiche, le classi intellettuali assunsero 3 diverse posizioni: 1. Chi
partecipò attivamente alla vita politico-istituzionale (Machiavelli); 2. Chi, pur vivendo altrove, mantenne contatti con
Fi; 3. Chi, dopo la caduta della seconda repubblica, visse in esilio e diffuse gli ideali civili legati ai valori municipali e
repubblicani fuori Fi.
La politica culturale di Cosimo fu improntata alla promozione dell'immagine della sua casata e di Firenze stessa.
Aiutato da intellettuali di primo calibro come il vecchio Niccolò Niccoli e Marsuppini e da Vespasiano da Bisticci,
Cosimo promosse un umanesimo profondamente distante da quello della prima metà del '400 fiorentino: pur lasciando
un certo grado di autonomia agli altri centri toscani, promosse un umanesimo non più civile e omaggiante nei confronti
delle tre corone volgari (Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio), ma totalmente classicheggiante e
impregnato di una profonda vocazione filosofica. Per questi motivi, infatti, Cosimo e il suo entourage si scontrarono
con gli umanisti Leon Battista Alberti. Cosimo fondò a Firenze l'Accademia neoplatonica, fulcro per la diffusione delle
teorie di Platone in terra italiana e luogo ideale per il ritrovo degli umanisti ove potevano scambiarsi le varie teorie
filosofiche, dando in tal modo una svolta radicale all'umanesimo fiorentino. L’intellettuale di maggior spicco del suo
entourage che lo aiutò in questo progetto fu Marsilio Ficino, figlio del primo medico di famiglia dei Medici al quale
Cosimo rimase legato da profondi vincoli d'amicizia.
Ma all’inizio questo programma incontrò le resistenze degli intellettuali e la persistenza della tradizione fiorentina si
manifesta attraverso esperienze bizzarre, che si oppongono al depurato classicismo di Bembo.
- Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca:
in opposizione al rigido classicismo quattrocentesco di Bembo, fondò l’Accademia degli umidi,
Giorgio Vasari e le biografie degli artisti
L’aretino GV, pittore, accademico, erudito e architetto, che si imporrà come l’artista ufficiale della Fi di Cosimo, gli
dedicò le Vite dè più eccellenti pittori, scultori ed architettori, da Cimabue a Michelangelo, la cui prima edizione uscì a
Fi nel 1550; l’opera creò un nuovo genere letterario, quello delle biografie di artisti.
- Cellini: La Vita leggi Un’esperienza avventurosa a pag. 347.
La Vita è un’autobiografia composta in gran parte dettata a un garzone di bottega nel corso del lavoro artistico. Essa
può essere considerata come la prima autobiografia moderna, in quanto incentrata sul valore dell’esperienza
individuale. Il racconto non mira a ricostruire l’attività artistica, ma a esibire la propria persona: le opere d’arte
appaiono solo in quanto manifestazioni dell’io.
Niccolò Macchiavelli:

La vita
Firenze – 1469. Bernardo e da Bartolomea dè Nelli: il padre, notaio schierato contro Savonarola gli fece impartire una
buona educazione umanistica. Il ruolo nella politica: Macchiavelli rappresenta una figura centrale nella politica di
Firenze:
- secondo segretario della cancelleria della Repubblica (1498): incarico ricevuto dal gonfaloniere Pier Soderini (1502-
caduta Savonarola) che ripose in lui molta fiducia: doveva occuparsi dei documenti riguardanti l’attività militare e
diplomatica e assumere vari incarichi operativi.
- molti missioni diplomatiche in Ita e in Europa: Si reca più volte in Francia, alla corte di Luigi XII, è inviato presso
Cesare Borgia, presso l'esercito fiorentino che assediava Pisa, presso il papa, presso l'imperatore Massimiliano in
Germania. Frutto di queste missioni diplomatiche sono varie relazioni nelle quali elabora delle analisi
politiche approfondite e acute, insieme ad alcuni consigli rivolti a Firenze.
- la conoscenza delle strutture statali e militari del tempo e venne finalizzata a dotare la città di un esercito proprio e di
non avvalersi più dei mercenari, convinto che la situazione in cui versava l'Italia, richiedesse un nuovo tipo di politica,
più risoluto, in cui occorrono "prudentia et armi". (magistratura dei Nove ufficiali dell’ordinanza e milizia fiorentina,
di cui fu eletto segretario).
- Nel 1512 espulsi i francesi, alleati della repubblica fiorentina, a Firenze rientrano i Medici. Questo segna la fine della
carriera politica di Machiavelli. Viene confinato per un anno a San Casciano. (Il principe e iniziò i Discorsi sopra la
prima Deca di Tito Livio). La sua vocazione politica lo spingeva a cercare di riavere qualche incarico: sperando che i
Medici tenessero conto del suo attaccamento alle istituzioni statali, nel 1516 dedicò Il principe a Lorenzo dè Medici.
Tuttavia ottenne solo incarichi di scarso rilievo. Nel 1521 fu inviato a Carpi, al capitolo dei frati minori, per cercare un
predicatore per Fi e durante questa missione sostò a Modena presso Francesco Guicciardini, amico e governatore della
città;

-Nel 1522 alla scoperta di una congiura contro i Medici (Pier Paolo Boscoli), Machiavelli viene arrestato e torturato,
perchè sospettato di complicità.

- Nel 1525 viene revocata l’interdizione che ne era derivata e inizia a ricoprire uffici pubblici e il papa gli conferisce
vari incarichi; tuttavia il sacco di Roma causa la caduta dei Medici e il ritorno del regime repubblicano, che lo esclude
dagli incarichi pubblici.
L’attività letteraria:
- nei primi 14 anni, aveva concentrato tutto il suo impegno nell’”arte dello stato”: 1525 Istorie fiorentine (per iniziativa
del cardinale Giulio dè Medici); dialoghi Dell’arte della guerra
- interessi letterari, legati alla tradizione civile e a un amore per l’antichità. (la Mandragola la Clizia).
L’epistolario
È una raccolta di lettere scritte ad amici e conoscenti, giunte a noi solo in piccola parte. Esse non erano state concepite
per una pubblicazione, ma soltanto per una finalità pratica: sono stese con grande immediatezza. Stile: abbandonando i
rigidi canoni dell’epistolografia umanistica e comunicano il senso di una realtà varia, passando da sottili riflessioni sulla
politica contemporanea a dati autobiografici, narrativi, comici. Il gruppo più significativo è quello delle lettere a
Francesco Vettori, ambasciatore fiorentino a Roma tra il marzo 1513 e il gennaio 1515 e quelle rivolte a Francesco
Guicciardini. Da una lettera a quest'ultimo, datata 10 dicembre 1513, si desume la data di composizione del Principe.
Spicca quella in cui M descrive una sua giornata all’Albergaccio, dai giochi dell’osteria al sublime isolamento della
sera, quando si dà allo studio degli autori antichi e alla riflessione politica. M ritiene che sia giusto vivere sia gli aspetti
quotidiani più comici e volgari, sia quelli più sublimi dell’impegno intellettuale. M sottolinea il suo passare da cose
“gravi” a cose “vane”: Sa passare dalla serietà alla vanità e nella varietà
Gli scritti del periodo della cancelleria
Durante l’attività di cancelliere e segretario della Repubblica (1498-1512) M ci ha lasciato molti scritti ufficiali, che
possiamo suddividere in 3 categorie:
1. Legazioni: i dispacci che inviava a Fi durante le sue ambascerie; 2. Commissarie: gli scritti relativi a particolari
incarichi interni, come le ispezioni del territorio della Repubblica; 3. Scritti di governo: quasi sempre a nome delle
magistrature da cui M dipendeva, per le diverse occasioni politiche e amministrative. Inoltre, M redasse vari “scritti
politici minori”, legati a circostanze specifiche, dove notevole è lo spazio lasciato alle opinioni personali. Sul carattere
dei Francesi, serie di massime con il racconto della strage di Senigallia a opera del Valentino: questo racconto politico
sarà stampato in appendice alla prima edizione del Principe.
Il Principe
De principatibus (presto tradotto in volgare il Principe) è un celebre trattato, scritto quasi tutto d’un fiato nel 1513,
nell’esilio dell’Albergaccio. M intendeva dedicarlo a Giuliano dè Medici, ma dopo la sua morte (marzo 1516) la dedica
fu indirizzata a suo nipote Lorenzo, duca di Urbino. Con quest’opera M voleva mostrare ai nuovi signori la propria
competenza tecnica e la propria disponibilità a collaborare per la realizzazione di un principato mediceo.
La diffusione: l’opera circolò inizialmente solo come manoscritto e su stampata postuma nel 1532, suscitando subito
interesse e scandalo, in quanto condannati come contrari a ogni senso etico o religioso. Nel 1559 le opere di M vengono
inserite nell’Indice, ma continuano a circolare: si diffonde la formula, in cui si vorrebbe riassumere il machiavellismo,
“il fine giustifica i mezzi”; l’aggettivo machiavellico diventa sinonimo di ingannatore senza scrupoli. Nei secoli
successivi questo mito ha subito molte modificazioni; sottolineando come quest’opera sia stata capace di rispondere in
modi diversi alle esigenze di diversi momenti storici.

Struttura e contenuti: Si tratta di uno scritto (trattato) composto di 26 capitoli con rubriche in latino, le quali riassumono
brevemente i temi che il capitolo va a trattare: 1) capitoli 1-11 hanno lo scopo di fornire una classificazione dei tipi di
principato e l’intento di risolvere il problema della sicurezza del principato: si distinguono due grandi categorie,
principati ereditari e nuovi. Questi possono essere governati da un principe in vari modi. Ci sono poi ulteriori distinzioni
tra principati misti (che si aggiungono a un principato preesistente), principati che si formano sopra preesistenti sistemi
repubblicani, principati civili (in cui il principe riceve il potere dai cittadini) ed ecclesiastici (in cui il potere si identifica
con l’autorità religiosa- Stato della Chiesa). Per quanto riguarda il tema della sicurezza, il principe prudente deve sapere
controllare una realtà complicata e mutevole: le soluzioni devono essere attinte per imitazione dalla storia antica o dalle
vicende politiche più recenti. Ma prima di tutto è fondamentale la virtù individuale: la capacità di suscitare consenso nel
popolo.
2) capitoli 12-14 sono dedicati al problema militare: M esprime un giudizio negativo sulle truppe mercenarie, causa dei
rovesci subiti dai principi ita nelle recenti guerre. 3)Dal capitolo 15 M definisce i comportamenti e le qualità umane del
principe. Qui M polemizza con il comportamento ideale del principe della trattatistica tradizionale: se un principe savio
si pone come obiettivo la sicurezza dello Stato, deve prendere atto di tutti i mezzi per resistere alle insidie provenienti
dai rapporti con gli uomini. Egli deve mostrarsi dotato di tutte le qualità morali positive, ma deve sapere assumere, se i
tempi lo richiedono, anche comportamenti moralmente negativi. Per avere successo deve sapere “usare la bestia e
l’uomo” (figura mitica del centauro), deve essere sia volpe (astuzia) sia leone (forza). In quest’opera M ribalta la
concezione umanistica dell’uomo, basata sull’idea di una trasparenza del comportamento: la saviezza del principe è
legata alla sua capacità di far coesistere atteggiamenti contrastanti (cultura della contraddizione); il ben e il male 4) Il
capitolo 24 riflette sulle cause del crollo dei principi ita di fronte alle invasioni straniere, che M fa risalire alla loro
incapacità di prevedere i tempi basandosi sulla storia passata. 5) capitolo 25, il problema del rapporto tra virtù (capacità
di controllo dell’uomo) e fortuna (non intesa nell’accezione attuale ma come destino mutabili ed imprevedibili: un
fiume in piena che l’uomo deve saper arginare-guerre d’italia). Di fronte al continuo mutare dei tempi, il successo
sarebbe garantito mutando e adottando una condotta adeguata al variare della fortuna. Questa ipotesi si scontra con la
convinzione che gli uomini siano incapaci di mutare carattere. Questa conclusione viene corretta con un’improvvisa
scelta a favore di un atteggiamento basato sull’impeto dell’azione, a scapito della riflessione. Ciò viene reso con
un’aggressiva immagine della fortuna-donna. 5)L’ultimo capitolo culmina in una citazione della canzone All’Italia del
Petrarca: invita i Medici a prendere le armi e a guidare i principi ita per liberare l’Italia dagli stranieri.
La prosa è rapida e incalzante e aggressiva. Utilizza uno stile tecnico con classificazioni, opposizioni, confronti tra punti
di vista che si escludono a vicenda, massime assolute, metafore e figurazioni simboliche.
I Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio sistemata tra ’15 e ’17.
Struttura e contenuti: dedicata a due esponenti del circolo degli Orti Oricellari. Parte 1 da un postulato: la necessità di
imitazione degli antichi, dalle arti alla politica. E 2 dai primi 10 libri della storia di Roma di Livio, tratta in tre libri il
problema tra Monarchia e repubblica: Rifacendosi alla sua esperienza di cancelliere della Repubblica fiorentina, M
abbandona le posizioni del Principe, esaltando i regimi repubblicani e individuando nell’antica Roma il loro modello
supremo e più resistente: in realtà M. non discute la scelta a favore di un regime monarchico o repubblicano: M mostra
il suo interesse per soluzioni diverse purchè si ricerchi il successo politico attraverso i principi riportati ne Il Principe. A
questo cambio di prospettiva contribuisce anche l’insuccesso dei tentativi di impiego presso il nuovo regime: questo
spinge M ad avvicinarsi al circolo degli Orti, che si riallacciava alla tradizione repubblicana dell’Umanesimo civile.
Analogamente al Principe invece, nei Discorsi Macchiavelli sostiene un sistema basato su l’opposizione di contrari: la
repubblica romana per esempio si basava sulla lotta tra plebei e patrizi. La religione: tra i principi virtuosi che hanno
fatto grande la Repubblica romana c’è la religione. La religione cristiana nell’epoca contemporanea a Macchiavelli
invece, ha allontanato gli uomini dall’impegno nella realtà mondana.
La morte dello stato: la riflessione dei Discorsi si pone in un orizzonte pessimistico: lo Stato potrà sottrarsi alla rovina
solo ricostruendo senza fine i suoi fondamenti originari, ma alla fine troverà sempre la morte: se gli uomini sono
immutabili, la storia si muove e quelle stesse virtù positive si corrompono: gli Stati nascono, crescono e muoiono.
L’antica Roma rimane comunque il modello più resistente, cui si oppone quello di Firenze, la cui storia appare
dominata da un ripetersi di errori.
Dell’arte della guerra, stampato nel 1521 un dialogo immaginario avvenuto negli Orti Oricellari. M presenta le sue
riflessioni sul problema militare.1. la polemica contro le armi mercenarie e 2. viene poi rivendicata la funzione
essenziale della fanteria
Machiavelli poeta
Il Decennale, modellato linguisticamente sulla Commedia, è un poemetto in terza rima del 1504 in cui si riassume la
storia di Fi e d’Italia dal 1494 al 1504 con tanto di riflessione morale e politica. M iniziò un Decennale secondo, rimasto
incompiuto. l’Asino, poema in terza rima rimasto incompiuto. Asino è un mezzo paradossale per guardare alla rovescia
il mondo umano.
Machiavelli “comico”
L’interesse per il comico si manifesta soprattutto nelle lettere familiari, in alcuni componimenti poetici, nell’Asino,
“Belfagor Arcidiavolo”, è una novella autonoma in cui M si riallaccia ad alcuni temi tradizionali della novellistica: la
malignità delle donne, la rappresentazione comica del mondo diabolico, il meccanismo della beffa. La Mandragola, è
il capolavoro del teatro volgare del ‘500. Scritta nel ’18 e rappresentata per le nozze di Lorenzo dè Medici, fu stampata
nello stesso anno. Il prologo, in forma di canzone, mostra come la scrittura della commedia sia per l’autore un modo di
confrontarsi con la sua situazione presente, essendogli impedite altre attività. La vicenda si svolge a Fi, dove il giovane
Callimaco tenta di conquistare Lucrezia, moglie del vecchio uomo di legge Nicia, sfruttando la stupidità di Nicia, che
vuole a tutti i costi dei figli: gli fa credere che Lucrezia avrà la fecondità solo se berrà una pozione di mandragola, che
causerà la morte del primo uomo che giacerà con lei. Callimaco, travestito, viene condotto nella stanza di Lucrezia e la
convince del suo amore. Lucrezia è l’immagine del savio: essa appare all’inizio donna virtuosa ma, di fronte all’inganno
di Callimaco e alla stupidità di Nicia, essa sa mutare natura. Clizia, ispirata a Plauto e basata sull’amore del vecchio
Nicomaco per la giovane schiava Clizia e sulla beffa a cui la moglie sottopone all’innamorato, costringendolo ad
abbandonare il suo desiderio.
Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, in cui si difende la preminenza della lingua viva fiorentina

Epoca 5: La società di Antico regime 1559-1690

Inquadramento storico: la Controriforma


Quest’epoca è caratterizzata da una società di Antico regime:
- Politica: grandi monarchie assolute con dure repressioni verso ogni dissenso. il dominio spagnolo e il Papato della
Controriforma ne fanno una pedina fondamentale negli interessi internazionali. Fino a metà XVII, poi subiscono
l’egemonia francese
- Economia:
rigidissime strutture economiche e sociali, strettamente controllate dalla nobiltà e dallo stato.
Una crisi economica che prende avvio da una diminuzione della produzione agricola negli ultimi anni del XVI secolo
porta allo spopolamento delle campagne, a violente rivolte a cui partecipano strati sociali diversi a un aumento del
vagabondaggio e avvia un processo di
rifeudalizzazione. Questo mondo tuttavia è molto diverso da quello del feudalesimo, date le scoperte geografiche, le
nuove invenzioni e tecniche
violento colonialismo. Ma non mancano fasi di sviluppo, con la diffusione di nuovi beni e consumi e di colture
originarie delle Americhe.

La Chiesa della Controriforma: vedi contesto

I luoghi istituzionali laici


La letteratura più interessante si sviluppa per lo più fuori dal controllo ecclesiastico e numerosi sono gli intellettuali
laici. Corti: ancora forte è il peso culturale (anche se in Ita la loro vivacità è molto diminuita) ma la posizione degli
uomini di cultura che vogliano dedicarsi soltanto agli studi è difficile: al cortigiano colto, che tratta alla pari con il
principe, si sostituisce il segretario, che impiega la sua penna per svolgere servizi politici, diplomatici, amministrativi.
Venezia si presenta come l’anti-Roma: le sue istituzioni repubblicane e le sue tradizioni stimolano una vita culturale
relativamente libera, La corte degli Estensi, dopo un ultimo momento di splendore, entra in una crisi, legata alla perdita
di Ferrara e al trasferimento della capitale a Modena.
Accademie: dove gli intellettuali trovano una zona protetta, eludendo i grandi problemi del presente e affrontando con
un esercizio “chiuso” della letteratura. Accademie: nascono nell’ita del XV secolo come luoghi di incontro e
discussione tra gli umanisti: si tratta di strutture libere e aperte, che vogliono promuovere una cultura estranea alle
istituzioni della tradizione medievale. Il termine, di origine greca, designò inizialmente la scuola filosofica di Platone,
che si riuniva nei giardini di Academo, e passò poi a indicare riunioni informali; ma a un certo punto questi incontri
cominciarono a darsi regole, a legarsi a iniziative pubbliche e a collegarsi a poteri politici diventando istituzioni.

Una cultura di opposizione


regime c’è una cultura che si batte contro le norme totalizzanti dell’Antico R., contro le autorità filosofiche e
scientifiche (Bruno Campanella e Galilei), prospettando una conoscenza libera e critica. Questa cultura trova spazio
soprattutto in Francia e nei paesi protestanti e creano nelle altre culture la consapevolezza di un distacco tra cultura
asservita al potere e cultura critica
- giansenismo e molinismo:
All’interno del cattolicesimo della Controriforma ma spesso in contrasto con la Chiesa ufficiale, si affacciano
orientamenti dottrinali e teologici pur senza cadere nell’eresia. Il molinismo sorge dalla riflessione del gesuita spagnolo
Luis de Molina: per conciliare il libero arbitrio con la predestinazione divina. Il giansenismo si colloca in polemica con
i gesuiti; il suo punto di partenza è la riflessione del cattolico olandese Cornelis Jansen il quale afferma che l’uomo
nasce corrotto e quindi senza la grazia divina compia inevitabilmente il male.;
- libertini per lo più nobili miscredenti verso tutte le fedi rivelate, tendenti verso forme di religione naturale o
verso l’ateismo. (l’Accademia degli incogniti di Venezia).Da libertus=schiavo affrancato.
L’ossessione della politica
In tutta la società eu dominata dall’Antico regime si presta grande attenzione all’arte politica: proliferano gli scritti su
questo argomento, Ritorna Macchiavelli con il concetto di “ragion di Stato”,
Tommaso Campanella
è uno dei teorici delle utopie che elaborano modelli di Stati perfetti che si propongono come alternativi alla situazione
contemporanea e prospettano riforme tanto radicali quanto inattuabili. Utopia: dal greco ou=non e tópos=luogo, indica
un luogo che non esiste. La parola fu coniata dall’umanista inglese Tommaso Moro, che così intitolò un suo trattato
latino (1516) in cui descriveva un’immaginaria isola felice, governata dalla ragione.
Paolo Sarpi la battaglia politico-religiosa
Nato a Venezia entrò nell’ordine dei Servi di Maria. - Insoddisfatto dei risultati del Concilio di Trento, perché ambiva a
una riforma più profonda della Chiesa e a una pacificazione col mondo protestante, sottolinea il proprio distacco morale
dalle gerarchie ecclesiastiche e guarda con crescente simpatia alla Riforma protestante.
La Repubblica di Venezia gli chiese consulenza su questioni di diritto ecclesiastico, per affermare la propria autonomia
dalle ingerenze della Controriforma. Nominato teologo e canonista della Repubblica. I contrasti con Roma divennero
particolarmente tesi, per l’opposizione di Paolo V alle leggi veneziane che vietavano la costruzione di chiese e alle
azioni giuridiche contro sacerdoti accusati di reati comuni. S, che era stato scomunicato, si abbattè la vendetta
ecclesiastica, con un attentato nel1607.
Le opere: L’Istoria dell’interdetto: opera storiografica si concentra: sui rapporti tra Papato e potere laico; La sua
conoscenza dei meccanismi istituzionali della Chiesa lo aveva convinto che era impossibile la riforma ecclesiastica e
che era necessario rafforzare le strutture statali, cercando alleanze contro il connubio tra Papato e assolutismo spagnolo.
Ripose le sue speranze nella politica inglese, come mostra il suo carteggio con l’ambasciatore inglese Dudley Carleton,
che lo stimolò all’impresa della Istoria del concilio tridentino. L’Istoria del concilio tridentino: S, in 8 libri, analizza,
a partire dal papato di Leone X, le reazioni della Chiesa alla Riforma protestante, i primi tentativi di indire un concilio,
soffermandosi sugli ostacoli che vi si frappongono, per poi addentrarsi nelle vicende del Concilio di Trento, fino alla
condanna dei propositi di mediazione con la Riforma. S è lontano dalla storiografia umanistica e ne inaugura una di tipo
tecnico-istituzionale: S si riallaccia a Machiavelli e Guicciardini (Storia d’Italia): è infatti la storia di una caduta, di una
degenerazione ineluttabile.
Torquato Tasso

Vita: Sorrento – 1544 dal letterato bergamasco Bernardo (che era segretario del principe di Salerno, Sanseverino)
Bernardo fu coinvolto in un tentativo di ribellione dei Sanseverino contro il viceré di Napoli e venne esiliato, dovendo
seguire il suo signore a Roma; il piccolo Torquato andò con lui e si separò dalla madre, che non avrebbe più rivisto.
Questo trauma segnò l'infanzia del poeta ed ebbe certamente conseguenze sul suo equilibrio psicologico. A Padova e a
Bologna, studiò diritto, filosofia ed eloquenza. Nel frattempo iniziò una prima attività letteraria e compose il Rinaldo,
un poema in ottave sulla materia cavalleresca del ciclo carolingio.
1559 iniziò il progetto di un poema sulla prima crociata, che poi si sarebbe sviluppato nella Gerusalemme liberata.
1565 si stabilì a Ferrara, dove lavorava al servizio del cardinale Luigi d'Este e dove fu ben accolto nell'ambiente di
corte. Questo è però anche il periodo in cui Tasso cominciò a manifestare segni di squilibrio mentale e di inquietudine,
che lo spinsero a sottoporre il poema al vaglio di alcuni amici e letterati e poi a farsi esaminare dall'Inquisizione di
Ferrara per scrupoli religiosi, venendone completamente assolto. La cosa creò non poco imbarazzo ad Alfonso, che
essendo figlio di Renata di Francia (calvinista e perciò considerata "eretica") non voleva attirare l'attenzione del
Sant'Uffizio sulla sua corte. La situazione precipitò nel 1577, quando il poeta aggredì con un coltello un servo da cui si
credeva spiato, presente Lucrezia, e venne confinato per un periodo nel convento di S. Francesco; riuscì a fuggire e
lasciò Ferrara.
Dopo essere tornato a Ferrara, dimostrandosi squilibrato e violento fu arrestato e rinchiuso per ordine di Alfonso
nell'ospedale di Sant'Anna, dove sarebbe rimasto come prigioniero per sette anni. Trattato all'inizio come pazzo, fu
sottoposto a una custodia estremamente dura che col tempo si attenuò, permettendogli anche di scrivere. Durante la
reclusione venne anche pubblicato il poema col titolo di Gerusalemme liberata, da lui non riconosciuto e senza che
potesse esercitare alcun controllo sull'edizione, e l'opera non mancò di suscitare polemiche letterarie
Liberato da Sant’Anna, a Roma, nel 1593 pubblicò il rifacimento completo del poema col titolo di Gerusalemme
conquistata. stampò i sei Discorsi del poema eroico, in cui giustificava le scelte che avevano guidato la composizione
del poema, specie in raffronto col modello del poema epico-cavalleresco di Boiardo e Ariosto.
LA CORTE: per T invece la letteratura è un modo di offrirsi interamente al pubblico di corte, dal rapporto col quale
egli cerca successo e gloria. Nell’amara esperienza quotidiana, tuttavia egli si accorge dell’impossibilità di
un’identificazione completa e felice con l’ambiente a cui si rivolge: ecco allora l’insoddisfazione e il desiderio di fuga.

La corte ferrarese: a Ferrara, dopo un ultimo periodo di splendore la situazione precipita nel 1597, quando essa passa
allo Stato della Chiesa e la corte di trasferisce a Modena. La cultura ferrarese del XVI secolo, raccolta attorno alla corte
estense (i duchi Ercole II e Alfonso II.), cerca delle forme letterarie cortigiane d’evasione. Rimane legata a un gusto
particolare per il romanzesco, le fantastiche e l’avventura, dove trionfino le armi e gli amori.
Particolare rilievo lo ha il poema eroico:
Poema eroico: nel XVI secolo, come il risultato della volontà da parte dei poeti classicisti, di un compromesso tra
genere epico classico e tradizione romanzesca seguendo le linee guida della Poetica di Aristotele dell’epica di Omero:
essi erano quasi tutti in ottave e prendevano spunto da vicende e personaggi contemporanei e avevano spesso intenzioni
celebrative. I primi tentativi di poema eroico apparvero nel 1548 con L’Italia liberata dai Goti in endecasillabi sciolti
del Trissino e l’Amadigi di Bernardo Tasso: ambizioso compromesso tra tradizione romanzesca e aspirazioni
classicistiche. Il frutto di queste prove fu raccolto nella Gerusalemme liberata del Tasso, sulla cui onda, per tutto il XVII
secolo, si produssero molti poemi eroici. Essi Questi dovettero però confrontarsi con l’Orlando furioso, la cui struttura
libera non soddisfaceva le norme classicistiche.

IL PADRE: Il padre rappresenta per lui il modello di cortigiano e di scrittore, un punto di riferimento: con la sua opera
si propone di diventare ciò che il padre non ha potuto essere fino in fondo. L’atteggiamento di T verso l’autorità è
ambiguo: in essa egli scorge sempre qualcosa di paterno (a cui vorrebbe aggrapparsi) a cui però non riesce a uniformarsi
interamente a causa della coscienza del proprio valore individuale. D ciò il suo senso di colpa.

LA POETICA:
- rapporto con il padre e la corte
- problema che preoccupa fin dall’inizio T è il passaggio dal romanzo cavalleresco della tradizione ferrarese a
un poema eroico moderno, fondato sui canoni dell’epica classica ma che non può prescindere dalle richieste
del pubblico contemporaneo: diletto ma anche valori stabili.
- si basa su un difficile equilibrio tra termini opposti come storia e finzione, verisimile e meraviglioso, unità e
varietà. Mentre alla storia appartiene l’ambito del vero, alla poesia compete quello del verisimile; la poesia
epica deve ricorrere a contenuti storici (vero: valori stabili) e costruirvi sopra finzioni
(meraviglioso/verosimile:diletto)
- Riflesso dei suoi scompensi psichici e riflesso del clima oscurantista della controriforma.
La scrittura lirica
Nella sua vita T scrisse molte liriche, alle quali manca però un centro in quanto imperniate su tematiche diverse. La
produzione lirica per T è un modo di partecipare alle occasioni sociali secondo il costume del petrarchismo cortigiano;
Altra novità rispetto al petrarchismo di Bembo è il recupero del rapporto con la musica, riconoscibile nel ritmo e nel
linguaggio e testimoniato dalla produzione di madrigali e sonetti.
-Rime: negli ultimi anni a Sant’Anna iniziò una risistemazione generale delle sue liriche. Nella Prima parte delle Rime
vi è una risistemazione generale delle liriche d’amore. Nella Seconda Parte delle Rime, comparsa nel ’93 a Brescia
opera una risistemazione contenente le liriche encomiastiche.

l’Aminta:
- è un’opera che si rifà alla tradizione della favola pastorale. Favola pastorale: genere drammatico che si
sviluppa nel XVI secolo nell’ambiente colto del Manierismo: era un tipo di favola basata su intricate vicende
amorose a lieto fine tra pastori, ambientate in in luoghi bucolici e silvestri indefiniti. Questa forma raggiunse
un perfetto equilibrio nell’Aminta del Tasso.

- TEMA: La favola presenta l’amore del pastore Aminta per la ninfa Silvia: secondo uno schema tradizionale, la
ninfa fugge l’amore e preferisce la caccia; Dafne cerca di convincerla ad accettare l’amore di Aminta, mentre
Tirsi aiuta Aminta a vincere la sua timidezza.

- l’immagine poetica tradizionale dei pastori si trasforma in specchio della vita di corte: permette di mettere in
scena alcuni personaggi che raffigurano esponenti della corte ferrarese: Tirsi è un’immagine dell’autore,
incline a una disincantata saggezza e sazio degli splendori della vita di corte.

- Struttura: quasi nessuna delle azioni si svolge sulla scena e quasi tutte vengono narrate in dialoghi tra i vari
personaggi. Si susseguono molte sorprese, raccontate o suscitate da altri racconti (nel gioco convenzionale
delle morti apparenti degli amanti). I cori che concludono ogni atto intendono offrire un insegnamento di
sapienza mondana.
.

La Gerusalemme liberata:

Opera principe del poeta: in cui i caratteri del poema eroico trovano la loro massima espressione.

LE FASI:
1559: il primo abbozzo col titolo provvisorio di Gierusalemme. In seguito il progetto si sviluppò sulla linea del nuovo
genere del poema eroico 
1565-1575: l'opera prese forma negli anni mentre l'autore si trovava alla corte di Ferrara, col probabile
titolo Goffredo (dal nome del protagonista Goffredo di Buglione, il capo storico della crociata). In realtà Tasso era
profondamente insoddisfatto dell'opera e la sottopose al giudizio critico di vari intellettuali, ricevendone osservazioni
anche malevole, e decise di non stamparla in attesa di un'ulteriore revisione. Mentre era recluso a Sant'Anna, tuttavia,
alcuni suoi amici ne pubblicarono degli stralci senza il suo permesso e col titolo non d'autore Gerusalemme liberata.
1593: Dopo la reclusione a Sant’Anna pubblica un rifacimento con il titolo di Gerusalemme conquistata
Critica.

IL TEMA:
La presa del Santo Sepolcro ad opera dei cristiani durante la prima Crociata del 1096-1099. La vicenda racconta l'ultimo
anno di permanenza dei crociati in Terrasanta e l'assedio finale alla città di Gerusalemme, che si conclude con la
conquista del Sepolcro ad opera di Goffredo di Buglione, designato quale capitano delle forze cristiane. Le
forze infernali tentano, senza successo, di ostacolare l'assedio spargendo discordie nel campo cristiano e distogliendo i
Crociati dal loro dovere con lusinghe di vario tipo (specialmente amorose. Armida maga allettatrice dei cristiani), anche
se alla fine Goffredo saprà riportare i suoi "compagni erranti" sulla retta via e assicurare il buon esito della guerra con la
vittoria finale. Rispondeva ad aspirazioni sia religiose che militari, poteva dare sfogo a una fantasia di rivalsa contro il
mondo orientale e esorcizzare l’incubo dell’invasione turca.

I PERSONAGGI:
Il numero dei personaggi principali è decisamente inferiore rispetto al modello del poema cavalleresco di Ariosto, in
accordo con la nuova concezione del poema eroico abbracciata da Tasso (sul punto si veda oltre): essi si dividono
nettamente in due gruppi, cristiani (bene) e pagani (male) e ciò corrisponde anche alla loro caratterizzazione, dal
momento che i Crociati (Goffredo, Rinaldo e Tancredi) appaiono come un personaggio collettivo di cui il pubblico
condivide i valori. Essi però risultano distratti dalle passioni terrene (escluso naturalmente Goffredo, che ha il compito
di richiamarli all'ordine), mentre i difensori di Gerusalemme sono in genere votati al loro dovere e incrollabili nella
fede (tranne Clorinda che si converte in punto di morte.

IL FINE ENCOMIASTICO:
Anche al centro della Liberata è presente il motivo encomiastico tipico del poema cavalleresco del XV-XVI sec. e
naturalmente l'opera è dedicata ad Alfonso II d'Este, il duca di Ferrara signore e protettore del poeta, cui Tasso si
rivolge nel proemio ringraziandolo di avergli offerto asilo nella sua corte dopo i viaggi e le peregrinazioni in gioventù
LINGUAGGIO: Per suscitare nel lettore la meraviglia, fosse necessario uno stile magnifico e sublime; per ottenerlo, fa
uso di figure retoriche, di calchi letterari classici e volgari (Virgilio, Petrarca). La lirica di Della Casa rimane per T modello
essenziale per il “parlar disgiunto”, fatto di continui spostamenti di parole, inversioni dell’ordine sintattico, rotture tra
svolgimento sintattico e metrico (enjambement e chiasmo).

Potrebbero piacerti anche