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L’Orlando Furioso per punti

La materia: Ariosto opera una perfetta fusione della materia carolingia e della materia bretone, continua
l’opera cavalleresca interrotta da Boiardo che aveva già avuto molta fortuna sul suolo italico grazie anche ai
volgarizzamenti dei romanzi francesi del duecento e dei cantari del secolo successivo. L’austera epica
carolingia viene arricchita dall’introduzione della tematica amorosa: il saggio e valoroso paladino Orlando
non solo cede all’amore, ma totalmente traviato da tale sentimento, diventa addirittura pazzo.

Il pubblico: Lo stesso Ariosto dichiara che l’opera è stata composta “per spasso e recreatione de’ Signori e
persone de animo gentile”, fatta “di cose piacevoli e dilettevole di arme et amor”; pubblicata “per sollazzo
et a piacer d’ognuno”. Il poema è pensato e composto per un pubblico d’elitè, di persone colte che
gravitano attorno al Signore e alla corte. Conserva in molti tratti gli stilemi del racconto orale, del poema
letto o recitato di fronte ad un pubblico reale: ma ormai questa è una convenzione della trattazione
romanzesca. Il poema è pensato per essere pubblicato e letto individualmente. Ormai con l’avvento della
stampa il poema è diretto a un pubblico nazionale formato dalla koinè ideale di tutti coloro che sono colti,
qualsiasi sia la loro provenienza. Non certo solamente il pubblico della corte ferrarese. Essendo un pubblico
colto è chiaro che non si sarebbe accontentato solamente del livello della “fabula”, del piacere del
racconto; ma era un pubblico sofisticato con un gusto già formato che apprezzava soprattutto i continui
riferimenti al mondo classico. (l’episodio di Cloridano e Medoro è la riproposizione del virgiliano episodio di
Eurialo e Niso, solo per fare un esempio).

Il motivo dell’inchiesta: Al centro del Furioso, come già nei romanzi cavallereschi vi è il motivo
dell’inchiesta: l’azione è mossa dal desiderio di ritrovare un oggetto. In epoca medioevale, sostanzialmente
si trattava di una ricerca di carattere metafisico, trascendente (una reliquia, il Santo Graal). In Ariosto il
motivo della quete assume una valenza totalmente laica e profana. Tutto ciò carica l’oggetto ricercato di un
valore estremamente vano e aleatorio: l’oggetto non viene trovato appunto perché non corrisponde più ad
un “significato” etico e morale condiviso e accettato da tutti, ma si trasforma in oggetto vano, una forma di
vanità che non può più produrre nulla se non essere una dimostrazione plastica del continuo affaccendarsi
dell’uomo in una vita che non ha più senso, che ha perso tutte le certezze. L’inchiesta risulta per forza
inconcludente e fallimentare. L’emblema di tale vaghezza è rappresentato da Angelica che muove l’azione
già dal I Canto: per lei molti cavalieri abbandonano la ricerca di qualcosa di più tangibile come un elmo, un
cavallo, un’arma. In lei cercano l’amore, ma quell’amore e quel codice che ne rappresentava la grammatica
non esiste più, è materia del passato, seppur affascinante. Anzi è un amore che porta alla perdizione e alla
follia. Emblematico è anche l’episodio del Palazzo di Atlante: qui sono attirati da un mago tantissimi
paladini, che in una carambola di visioni e inganni rischiano di rimanere intrappolati per sempre. In quel
castello pensano di poter stringere in pugno le proprie illusioni, ma di fantasmi si tratta, di immagini vaghe
e ingannevoli. Spesso e volentieri la ricerca segue un percorso labirintico e circolare: i cavalieri vagano
senza meta e si ritrovano sempre allo stesso punto. La ricerca inappagata produce delusione e frustrazione,
è spreco di energia e intelligenza. I protagonisti vagano e errano, viaggiano senza meta e sbagliano di
continuo. Il desiderio ossessivo si traduce in fissazione, in follia. Solo pochi riescono a tarare le proprie
forze, tra questi Ruggiero e Bradamante, oppure Orlando, ma solo dopo che ha riconquistato il suo senno.

Lo spazio del poema: il filone principale dell’inchiesta ha bisogno di uno spazio adatto. E’ uno spazio
vastissimo che spazia tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud, che ci porta a visitare regni oltremondani sia
in cielo che sottoterra. Lo spazio immaginato da un autore ci fornisce precise indicazione sulla sua
concezione della realtà Se prendiamo l’esempio dantesco della Commedia ci rendiamo conto che lo spazio
dantesco è caratterizzato da due direttrici. La prima si muove in linea retta dal basso verso l’alto; dove alto
e basso sono allegorie una della perfezione spirituale divina e l’altra della fragilità morale dell’uomo. Il
viaggio di Dante da giù a su, dall’Inferno al Paradiso celeste non è altro che un cammino obbligato dal
peccato alla redenzione. E’ poi un movimento lineare e non intervallato sostanzialmente da ostacoli: è un
percorso voluto da Dio e il protagonista non può tergiversare, tornare indietro, vagare senza meta. Non si
aprono varchi, non ci sono crocevia che tormentosi. Si tratta di un movimento obbligato. Lo spazio del
Furioso è invece uno spazio orizzontale che sfiora il cielo solo in rare occasioni, anche se decisive. L’uomo-
paladino si muove in una dimensione tutta terrena: è solo qui che può appurare la propria inconsistenza,
alla prova dei fatti, delle delusioni. E’ sulla terra che impara che quasi tutto ciò che vuole è vano e
inconsistente. L’episodio lunare potrebbe contraddire ciò che abbiamo detto, ma Ariosto inventa un
satellite che è complementare alla Terra, è solamente una sua immagine speculare. Il mondo terrestre è un
mondo in cui non è presente la trascendenza. E’ il campo delle azioni umane, delle passioni, delle bassezze,
dell’errore. Se Dante è guidato, i paladini sono lasciati soli al gioco del destino e del caso. Questo spazio
orizzontale è ingarbugliato, complicato da mille strade, da mille incroci, da luoghi bui e sperduti come la
selva dell’esordio. Spesso i protagonisti non possono neppure far valere le proprie qualità perché è il caso
che li muove. Ariosto ha una visione più lucida e disincantata della realtà: è svanita quella cieca fiducia
nelle possibilità dell’uomo che aveva caratterizzato il primo Umanesimo.

Il tempo del Furioso: L’organizzazione del tempo è simile a quella dello spazio. Il tempo non è lineare, ma
labirintico, intricato. Molti avvenimenti accadono contemporaneamente, ma sembrano succedersi sull’asse
del tempo. Altri avvenimenti sembrano contemporanei ma accadono in tempi differenti. Il poeta con
l’accorgimento dell’entrelacement torna sovente su episodi lasciati in sospeso. La ricerca inappagata e
frustrante gioca sull’effetto di sospensione, sull’effetto sorpresa, sull’attesa. La struttura narrativa è
divagante e digressiva. La struttura formale è omologa a quella tematica. La materia romanzesca tende ad
espandersi in mille rivoli e complicazioni. In teoria il racconto potrebbe continuare all’infinito.

Struttura narrativa e visione del mondo: Il labirinto non è solo metafora del tempo e dello spazio, ma è
anche l’immagine reale e complessa che Ariosto ha della realtà che lo circonda. La volontà di stordire il
lettore alla fine è solo un accorgimento dell’autore: se si osserva più da vicino si può intravedere una sottile
trama che lega gli episodi e gestisce sapientemente i tempi della narrazione. Gli episodi non si susseguono
in un moto casuale, come spesso avveniva in Boiardo, ma sembrano orchestrati da un sapiente maestro
che riesce a organizzare gli incastri come in un puzzle. Nella molteplicità si riscontra il principio dell’unità. A
episodi patetici si susseguono episodi più scanzonati e ironici, all’amore si accosta sempre la guerra. Si
possono riscontrare delle precise simmetrie: Orlando cerca la donna amata, Bradamante cerca Ruggiero
per giungere al matrimonio; Orlando tradito da Angelica giunge alla follia, Bradamante credendosi
abbandonata scoppia di gelosia (sentimento che può portare alla follia. Orlando ama Angelica come
farebbe un cavaliere cortese, Bradamante ama invece Ruggiero di amore vero (anche se ciò è funzionale al
motivo dell’encomio verso la casate estense). Orlando percorre un cammino di degradazione dalla virtù alla
follia, Ruggiero compie un percorso inverso: dalle fole giovanili alla maturità dell’età adulta. Sono solo
alcuni esempi di parallelismi e differenze che Ariosto riesce a dominare con maestria.

Dal romanzo all’epica: La materia cavalleresca sembrerebbe, come detto, potersi espandere all’infinito
nelle sue bizzarrie. Alla fine tutti i filoni si ricompongono: Orlando riacquista il senno e sconfigge i pagani,
Angelica sposa un umile soldato e torna felice alla sua terra lontana, Bradamante e Ruggiero si uniscono in
matrimonio, Rinaldo bevendo alla fonte magica delle Ardenne rinsavisce e rinuncia al suo amore per
Angelica. Alla struttura aperta del romanzo cavalleresco che sembra aperto a innumerevoli conclusioni via
via si sostituisce una struttura più monolitica e compatta che è quella dell’epica classica. A metà del poema
il castello del Mago Atlante perde i suoi incantesimi, dopo che Orlando riconquista la saggezza l’uso
dell’entrelacement si fa più raro. Gli episodi successivi vengono iniziati e conclusi, anche il motivo
dell’inchiesta muta di segno: dalla ricerca di un vano oggetto si passa ad una ricerca interiore e intellettuale.
La conversione di Ruggiero sembra porre fine al continuo errare dei cavalieri. L’uomo per Ariosto non può
continuare a vagare all’infinito, non può perseverare nell’errore per sempre. Se nella vita reale l’uomo è
destinato allo scacco, almeno nella fantasia dell’opera, nella sua dimensione fantastica e magica l’intelletto
può trovare un ordine e uno scopo. Se nella realtà storica domina la paura e l’arbitrio della Fortuna, almeno
la realtà complicata di un racconto può sottostare alle leggi della razionalità. In che modo poter dominare il
caos dell’opera? Almeno conferendole una forma armonica e equilibrata seppur volutamente ingannatrice.
La quiete per Ariosto la si può trovare solo nell’opera scritta. Lo scacco pratico, nel campo della realtà, trova
un risarcimento estetico nella finzione. Solo nella finzione dell’opera l’artista può essere artefice e padrone
del proprio destino.

Il significato della materia cavalleresca: Che valore poteva avere la materia cavalleresca per un
intellettuale scaltro e lucido, sostanzialmente pessimista? Già Boiardo aveva cucito addosso ai cavalieri
medioevali un abito più elegante e moderno: non più rozzi assassini, ma filosofi-guerrieri, non più uomini
devoti solo alla morte e alla battaglia, ma fini interpreti del gusto rinascimentale: le avversità del Caso si
potevano sconfiggere per Boiardo con uno sguardo sulla realtà più aperto, più tollerante, più razionale. Per
Ariosto, invece, queste carte non valgono più. La crisi che ha investito la patria, i mutamenti epocali che si
affacciano all’orizzonte, la diversa condizione dell’intellettuale lo spingono ad avere una visione più
disincantata e malinconica della realtà. Non tutto si può vincere con l’intelligenza. La civiltà cortese con tutti
i suoi splendidi apparati sta esalando gli ultimi fiati. La cavalleria sta tramontando e non basta al poeta
conferire ai paladini le caratteristiche di uomini di scienza. Si tratta di un mondo ormai lontano, che può
essere vagheggiato con nostalgia e distacco. In questo senso Ariosto può affermare non senza ironia nel
primo canto “Oh, gran bontà dei cavalieri antiqui !”. Ci vuol comunicare che ormai quei tempi son passati,
se son mai esistiti nella realtà storica. Ma allora il Furioso è solo evasione consolatoria in un mondo
perduto? E’ solo pretesto per perdersi nella propria capacità di affabulare? No. La materia cavalleresca
costituisce il palcoscenico in cui l’autore recita un monologo che lo porta a riflettere sulle grandi
contraddizioni della sua epoca: la molteplicità del reale, il capriccio della Fortuna e la possibilità per l’uomo
di poterla dominare, la ricerca di cose vane legate ad un esperienza ingenua dell’edonismo, la follia,
l’amore, la vita, la morte. La grandezza di Ariosto consiste nel fatto che le avventure cavalleresche non si
riducono a motivo di facciata, ma conservano la loro verve e la loro potenza, ora sentimentale ora vigorosa.
Il romanzesco conserva il suo fascino e incolla il lettore alla pagina, ma permette al poeta di parlarci della
condizione etica dell’uomo del suo tempo. Nel poema si amalgamano così il piacere di raccontare e la
riflessione concettuale. Il romanzo cavalleresco secondo il Contini si trasforma in romanzo contemporaneo
del Rinascimento. In conclusione Ariosto non è un solo un sognatore, un folletto che volteggia tra castelli,
selve e incantesimi, ma uno spregiudicato e lucido osservatore della realtà e dei comportamenti umani.

L’ironia, lo straniamento e l’abbassamento.

In funzione speculativa è costante nel Furioso l’utilizzo del procedimento dello straniamento. Esso consiste
in un improvviso mutamento nella prospettiva da cui è presentata la materia, nell’allontanarla o nel
guardarla con occhio estraneo. Così facendo si evita quell’empatia costante che accomuna lettore e
personaggi: in questo modo il lettore può provare la possibilità di osservare la scena da un altro punto di
vista, da un’altra dimensione. Come riesce a ottenere tale effetto Ariosto? Spesso e volentieri con
l’inserzione di commenti e giudizi ironici e beffardi che spezzano l’illusione narrativa. Altre volte facendo
finta di possedere una non perfetta conoscenza dei fatti. In questo modo l’autore dimostra al lettore di
nutrire egli stesso dei dubbi, di guardare con occhio distaccato e disincantato i personaggi e le situazioni. Si
tratta di una delle tante forme che assume il costante sguardo ironico del narratore. Un altro procedimento
affine allo straniamento è quello dell’abbassamento. Non siamo sul piano del rovesciamento parodico che
costituisce l’anima dell’opera del Pulci, ma ci troviamo di fronte a una sorta di resa di distanza. L’autore sa
bene che i valori cavallereschi sono avviati a tramontare, sa bene che paladini e cavalieri senza macchia e
senza peccato non avrebbero più larga presa su un pubblico esperto. A questo punto occorre abbassarne la
dignità epica, presentarli sotto una luce più prosaica e familiare, più umana.

In che modo: Sacripante abbattuto da una donna, Orlando che descrive il suo giaciglio con termini tratti dal
mondo contadino. Solo così i personaggi sarebbero potuti diventare più vicini al pubblico. L’ironia è quindi
uno strumento che permetto all’autore di indagare meglio la natura dell’uomo del suo tempo.

Personaggi sublimi e personaggi pragmatici.

Tale atteggiamento critico da parte di Ariosto si appunta principalmente verso quei personaggi che
dovrebbero essere i più fedeli ai loro ideali e ai loro princìpi. Per esempio Orlando: diventa pazzo perché
non più in grado di guardare Angelica con le lenti della modernità. Il suo è un atteggiamento idealizzante, la
donna per lui è sempre la dama del mondo cortese. Ariosto celebra la virtù di questo eroe, ma è una non
virtù, è un atteggiamento che porta alla follia. Orlando non sa essere un uomo moderno, ma rimane un
cavaliere medioevale. Di contro Ariosto disegna personaggi più mobili, più capaci di confrontarsi con la
realtà e col mutevole corso della Fortuna. Personaggi che sarebbero piaciuti a Machiavelli. Ferraù, nel
primo canto rinuncia all’inseguimento di Angelica e si accontenta di un oggetto meno sublime: l’elmo di
Orlando. Il realismo spregiudicato di personaggi simili corregge l’idealismo portato all’estremo di
personaggi epici come Orlando. L’autore non condanna e non loda, ma ci presenta le due facce dell’agire
umano. Nel corso della narrazione si attua una sorta di pluralismo delle prospettive: un fatto o un
comportamento possono essere giudicati in modo differente anche a distanza di qualche canto. Non si
impone mai un giudizio definitivo, incontrovertibile.

La lingua e la metrica dell’Orlando Furioso.

A rimettere le cose in ordine nel poema concorrono sicuramente la lingua e lo stile. La molteplicità, la
confusione, le disarmonie sono riequilibrate dall’uso sapiente della forma. Il criterio linguistico seguito da
Ariosto nell’edizione definitiva è quello di Bembo, ispirato ad un’idea classicista di uniformità, compostezza
e equilibrio. Non si tratta però di una sorta di monolinguismo petrarchesco, perché accanto al latinismo e al
termine aulico compaiono termini più comuni e colloquiali. I vari livelli dell’Ariosto sono governati con
maestria e senso della misura. Nulla stona, nulla sembra di troppo. Alla fusione unitaria contribuisce anche
il ritmo dell’ottava nell’interpretazione che ne dà l’autore. L’ottava era il metro tradizionale della poesia
cavalleresca, ma nel Furioso essa non ha più nulla della ripetitività monotona e meccanica che possedeva
nei cantari, né le bizzarrie che comparivano nei ritmi del Pulci. A seconda della materia trattata l’ottava
ariostesca può avere ritmiche diverse: se prevale la riflessione allora l’ottava avrà un andamento più
disteso; nelle parti epiche può farsi solenne; in quelle più drammatiche può divenire vibrante. Ma al di
sopra di ogni varietà tonale trionfa una costante fluidità di ritmo, uno slancio che sembra tradurre sul piano
formale il movimento incessante che percorre tutta la vicenda narrata.

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