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Introduzione

Questo monumentale capolavoro dantesco, massima espressione di


tutta la letteratura italiana, è un unico viaggio allegorico che il poeta
compie attraverso i mondi ultraterreni al fine di ritrovare la propria
fede e pace interiore perdute in una vita pericolosamente votata ai vizi
e alla decadenza morale. L'opera è divisa in tre cantiche, "Inferno",
"Purgatorio" e "Paradiso", ciascuna delle quali si compone di trentatre
canti; un canto proemiale porta il numero totale dei canti a cento, ma
è il numero perfetto e mistico per eccellenza, il tre, ad essere il
fondamento di tutta l'opera.

L'inferno, a forma di cono rovesciato, è uno scuro imbuto al fondo del


quale è conficcato l'angelo del Male, il ribelle Lucifero, posto così nel
luogo più lontano da Dio di tutto l'universo. Dante e la sua guida
spirituale Virgilio lo discendono completamente, incontrando via via
dannati colpevoli di delitti sempre più gravi. I personaggi danteschi
sono personaggi storici e mitologici, ma anche contemporanei del
poeta, protagonisti delle lotte intestine che dilaniavano tutti i comuni
italiani e toscani in particolare. Lo sdegno del poeta colpisce tutti
questi protagonisti dei mali italiani, e si appunta in modo particolare
contro la corruzione del clero e del papato, più propensi ad occuparsi
dei beni temporali che alla salute spirituale della cristianità. Le
vicende personali di Dante, costretto all'esilio dopo anni di lotte tra le
fazioni dei guelfi Neri e Bianchi di Firenze, offrono la chiave di lettura
con la quale comprendere l'opera.

Dopo la discesa agli inferi Dante risale nell'emisfero australe, dove


sorge la montagna del Purgatorio; qui coloro che in vita si
macchiarono di colpe minori si purificano attendendo il momento in
:
cui potranno salire al cospetto del Creatore e prendere posto tra i
beati. L'atmosfera di questa seconda cantica è molto più serena e
calma, e la salita del monte si svolge senza intoppi; lo stesso Dante
man mano che passa da una cornice a quella superiore vede mondarsi
la propria anima dal peso dei peccati compiuti. Al termine si arriva nel
Paradiso terrestre, dove la narrazione del viaggio lascia il posto ad
allegorie mistiche sul ruolo dei due massimi poteri del tempo, il
papato e l'impero, e sulla confusione dei loro rispettivi ruoli che
purtroppo si è verificata nell'Europa del tardo Medioevo. Qui Virgilio,
fedele compagno simboleggiante la ragione, lascia Dante alla guida di
Beatrice: occorre infatti la Fede per salire al Paradiso e presentarsi al
cospetto di Dio. La Beatrice che qui Dante ritrova non è più la donna
sensuale delle canzoni amorose del giovane poeta: ora è una figura
celestiale, spiritualizzata dalla Fede, che si pone come modello di vita
religiosa e di splendore mistico, priva di caratteristiche terrene e
completamente appagata dall'abbandono a Dio.

Nel Paradiso Dante e Beatrice risalgono i cieli dei pianeti e delle stelle
fisse, dove si presentano loro i beati che in diversa misura godono
della contemplazione del Creatore; qui Dante incontra tra gli altri tutti
i maggiori esponenti del pensiero cristiano, che si uniscono a lui nella
deplorazione per la rovina dell'edificio che essi avevano costruito così
mirabilmente; al termine dell'ascesa Dante giunge nell'Empireo, dove
il mistico per eccellenza, San Bernardo, lo conduce alla visione di
Cristo, della Vergine e dei Santi. La visione di Dio non può più essere
un processo sensitivo, data l'insufficienza della condizione umana:
solo un fugace atto intuitivo, permesso dalla Grazia divina, può far sì
che Dante "veda" il Creatore di tutte le cose; ma il mistero divino e
quello dell'Incarnazione di Cristo rimangono impossibili da penetrare
e ancor più da riferire.

Inferno
:
Canto I
Dante si smarrisce nell' oscura selva dei suoi errori e peccati. Quando
spera di poter salire sulla cima di un colle e rivedere la luce del sole, il
cammino gli è sbarrato da tre fiere, simboleggianti lussuria, superbia
ed avarizia, ed è costretto a retrocedere. Gli appare Virgilio, il suo
modello di poeta, che lo invita a seguire un'altra strada: occorre
attraversare il regno degli inferi, e poi il Purgatorio. Poi Dante potrà
ascendere al Paradiso, dove Virgilio, non essendo stato battezzato,
dovrà lasciarlo ad un' altra guida.

Canto II
È il tramonto. L'animo di Dante, che si era riaperto alla speranza, è
nuovamente vinto dal dubbio. La visione dell'aldilà era stata concessa,
prima della morte solo ad Enea e a San Paolo; ma il primo era stato
eletto da Dio a fondatore di Roma, fulcro dell'impero e futura sede del
pontificato; l'altro a stabilire con la sua predicazione la fede in Cristo,
senza la quale non è dato salvarsi. Perché mai un tale dono di grazia
dovrebbe ripetersi a beneficio di un uomo qualsiasi, senza particolari
meriti e senza un visibile fine provvidenziale? Per vincere la viltà che
offusca lo spirito di Dante e minaccia di distoglierlo dall'onorata
impresa, Virgilio gli risponde che la sua salvezza sta a cuore a tre
donne beate: la Vergine, Santa Lucia e Beatrice. Quest' ultima non ha
esitato a scendere nel limbo per esortare Virgilio ad accorrere in aiuto
del suo amico disperato ed impotente. A queste parole la virtù di
Dante si rianima, come un fiore che il sole illumina all'alba; e con
spirito ardito e franco si avvia, dietro la sua guida, per il cammino alto
e silvestro.

Canto III
Virgilio e Dante si trovano di fronte alla porta dell'inferno, che nella
:
parte superiore porta incisa la famosa scritta conclusa con la sentenza
"Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".Entrambi attraversano l'uscio
penetrando così nel mondo infernale. L'ambiente buio, e si sentono
subito pianti, lamenti e grida dei dannati . Quell'anticamera
dell'inferno accoglie gli ignavi, coloro che vissero senza prendere mai
una posizione, né buona né cattiva, inutili a sé stessi ed alla società.
Tra le anime dannate si trovano anche gli angeli che nella guerra tra
Dio e Lucifero non si schierarono né dall'una né dall'altra parte.
Gli ignavi si lamentano della loro sorte perchè trascurati da tutti con
disprezzo per non aver lasciato in vita nessun ricordo di sé. Sono
continuamente punzecchiati da mosconi e vespe, così da versare ora
inutilmente (sono solo cibo per vermi) quelle lacrime e quel sangue
che in vita non furono in grado di versare. Sono anche costrette ad
inseguire una insegna che cambia rapidamente posizione in ogni
momento. Tra le anime Dante riesce a vedere quella di Celestino V,
colui che per vigliaccheria aveva ceduto alla carica papale lasciando il
posto a Bonifacio VIII, che il poeta ritiene responsabile del male di
Firenze e del suo esilio. Questo papa voleva che la chiesa avesse anche
il potere temporale.Dante guarda poi sul fiume Acheronte l'immensa
schiera di anime pronte ad essere traghettate sull'altra sponda da
Caronte.
Il traghettatore infernale si fa rispettare, subito urla contro i dannati,
minacciandoli e spaventandoli con percosse, poi si rivolge a Dante per
impedirgli il viaggio.
Virgilio salva tutto celebre frase "vuolsi così colà dove si puote ciò che si
vuole, e più non dimandare", "così è stato deciso in Paradiso, là dove si
può fare ciò che si vuole, e non chiedere altro", zittendo il demone.

Canto IV
Dante si risveglia nel Limbo, dove stanno i non battezzati privi di
colpe. Virgilio lo conduce ad un castello luminoso, al cui interno lo
:
salutano Orazio, Ovidio e Lucano. In un prato verde all'interno delle
mura sono radunati gli "spiriti magni", tra cui Enea, Ettore, Cesare,
Aristotele, Platone e Cicerone. I poeti si allontanano dal Limbo
nell'oscurità.

Canto V
All' entrata del secondo cerchio Minosse assegna ai peccatori il luogo
in cui sconteranno la loro pena. Al suo interno gli spiriti dei lussuriosi
sono trascinati da una tempesta incessante. Paolo e Francesca, amanti
infelici uccisi dal marito di lei, raccontano a Dante la loro storia;
questi si commuove e sviene nuovamente.

Canto VI
Al risveglio Dante si ritrova nel terzo cerchio, dove i dannati per il
peccato di gola giacciono prostrati da una pioggia scura, mista di
grandine e neve, e vengono dilaniati da Cerbero, un mostruoso cane a
tre teste con elementi umani. Non appena Virgilio ha placato la ferocia
del custode dandogli in pasto una manciata di terra, un dannato si
leva a sedere e richiama l'attenzione di Dante, dicendogli di essere
fiorentino e di chiamarsi Ciacco. Alle domande di Dante sul futuro di
Firenze, sulla situazione presente e sulle cause della discordia attuale,
Ciacco risponde profetizzando un primo, effimero, successo dei guelfi
bianchi seguito entro breve tempo da una più duratura vittoria della
parte nera; quindi il dannato esprime un severo giudizio sulla
condizione morale della città e indica nei vizi l'origine delle contese.
Infine, dopo aver dato notizie sul destino ultramondano di eminenti
personaggi fiorentini, Ciacco ricade a terra. Quindi Dante e Virgilio
riprendono il cammino e, parlando della sorte dei dannati dopo il
giudizio universale, arrivano sul ciglio del quarto cerchio, dove li
attende Pluto.
:
Canto VII
Il quarto cerchio, custodito dal demone Pluto, il dio greco della
ricchezza, è quello degli avari e dei prodighi, condannati a spingere
col petto pesanti macigni. Dante e Virgilio giungono poi alla palude
dello Stige, in cui sono immersi iracondi ed accidiosi. I primi si
percuotono e mordono a vicenda, i secondi giacciono sotto la
superficie.

Canto VIII
Costeggiando la riva dello Stige Dante e Virgilio giungono ai piedi di
una torre dalla cui sommità partono segnali luminosi. Questi si
rivelano essere avvisi di richiamo per Flegiàs, il traghettatore infernale
che, reprimendo l'ira, accetta i due sulla sua barca. Durante la
navigazione uno degli iracondi puniti nella palude si rivolge con
arroganza a Dante: è il fiorentino Filippo Argenti che, dopo un breve
scambio di battute ingiuriose, tenta di assalire la barca ma viene
ricacciato da Virgilio nel fango dove è straziato dagli altri dannati.
Infine la barca approda davanti alle mura della città di Dite,
rosseggiante per il fuoco, protetta da uno stuolo di diavoli che
impediscono a Dante e a Virgilio l'ingresso nel basso Inferno. Neppure
le parole di Virgilio riescono a persuadere i diavoli a piegarsi alla
volontà divina: di fronte alla loro ostilità e allo sconforto della sua
guida Dante è preso dal terrore, anche se Virgilio lo rassicura e gli
preannuncia l'arrivo di qualcuno in grado di aiutarli.

Canto IX
Sulle torri delle città appaiono le Erinni, che chiamano Medusa
affinché tramuti Dante in pietra. Interviene però un messo celeste, che
apre le porte di Dite e fa entrare i poeti. All'interno delle mura, gli
eretici giacciono in sepolcri infuocati posti in una pianura sconfinata.
:
Canto X
Uno dei dannati, Farinata degli Uberti, riconosce Dante e lo chiama a
sé; egli avverte il poeta che il suo ritorno a Firenze sarà molto
travagliato. Da un altro sepolcro Cavalcante de' Cavalcanti chiede a
Dante notizie del figlio Guido. Poi i due poeti riprendono il cammino.

Canto XI
Dante e Virgilio, per assuefarsi al puzzo intollerabile, si riparano
dietro la tomba del papa Anastasio II. Approfittando della sosta,
Virgilio spiega a Dante l’ordinamento dell’inferno. Restano ancora tre
cerchi da attraversare, il VII, l’VIII e il IX, dove sono puniti
rispettivamente i violenti, i fraudolenti e i traditori . Fuori dalla città
di Dite vi sono i peccatori per incontinenza. Questo ordinamento
corrisponde all’esame dei vizi fatto da Aristotele nell’Etica.

Canto XII
Siamo nel primo girone del settimo cerchio, custodito dai Centauri.
Qui i violenti contro il prossimo giacciono nel Flegetonte, un fiume di
sangue bollente. Il centauro Nesso mostra a Dante alcuni dei dannati,
tra cui Alessandro Magno, Guido di Monfort, Attila e Pirro.

Canto XIII
Nel secondo girone, custodito dalle Arpie, stanno i violenti contro se
stessi, ovvero i suicidi, tramutati in piante, e gli scialacquatori,
inseguiti e morsi da cagne affamate. Dante strappa un ramoscello da
una pianta, che comincia a parlare: è Pier delle Vigne, che prega
Dante di riabilitare la sua memoria.

Canto XIV
:
Nel terzo girone, in un deserto infuocato, i violenti contro Dio nella
persona, ovvero i bestemmiatori, sono sdraiati a terra sotto una
pioggia di fuoco; tra essi c'è il gigante Capaneo. Dante e Virgilio
arrivano alla sorgente del Flegetonte, e qui il secondo spiega al primo
l'origine dei fiumi infernali.

Canto XV
Sempre camminando sull'argine di pietra del ruscello di sangue, Dante
e Virgilio si inoltrano nel settimo cerchio: viene loro incontro correndo
un gruppo di sodomiti, violenti contro natura. Uno di essi, con grande
stupore, riconosce Dante e ne richiama l'attenzione: Dante incontra
così il suo maestro Brunetto Latini, uomo politico e intellettuale
fiorentino, che, per parlare qualche istante con l'antico allievo,
abbandona la schiera dei compagni di pena. Brunetto loda il discepolo
e, dopo avergli predetto l'ostilità dei concittadini, attacca duramente il
comportamento morale e politico delle fazioni fiorentine ed esorta
Dante a non curarsi della cattiva sorte, tanto è l'onore che le sue
qualità gli riservano. Quindi gli indica altri sodomiti, come lui tutti
intellettuali e letterati illustri; infine, non prima di avergli affidato
l'eredità morale della sua opera più significativa, il Tresor, si allontana
di corsa per raggiungere la schiera con la quale è punito e per non
essere raggiunto da un altro gruppo di dannati che avanza.

Canto XVI
Dante è riconosciuto da tre fiorentini, che gli chiedono se sono vere le
brutte notizie su Firenze apprese da un dannato appena arrivato
all'inferno, Guglielmo Borsiere; Dante risponde con un'aspra invettiva
contro la corruzione della propria città. Proseguendo nel viaggio, i due
poeti arrivano all'abisso in cui precipita il Flegetonte, e vedono salire
da esso un orribile mostro: Gerione, simbolo della frode.
:
Canto XVII
Gerione custodisce il terzo girone, quello dei violenti nell'arte, cioè
usurai, seduttori e adulatori. I primi siedono al limite del deserto,
presso l'abisso, con al collo delle borse recanti lo stemma della loro
famiglia. Dante e Virgilio salgono in groppa a Gerione che li porta al
fondo dell'abisso.

Canto XVIII
CANTO XVIII
Luogo: VIII cerchio: I bolgia: seduttori -
II bolgia: adulatori
Gerione ha lasciato scendere Dante e Virgilio all’ingresso dell’ottavo
cerchio, detto Malebolge perché suddiviso in dieci fossati concentrici -
le bolge appunto - collegati da ponticelli di roccia: il luogo è tutto
dominato dal colore ferrigno della pietra e al centro termina in un
profondo pozzo. Nella prima bolgia i dannati sono divisi nelle due
schiere dei ruffiani e dei seduttori, che procedono ordinatamente in
senso opposto come fanno sul ponte Angelico a Roma i pellegrini
durante il Giubileo; camminando sull’argine Dante può riconoscere fra
i ruffiani il bolognese Venedico Caccianemico, che brevemente gli
espone la sua colpa. Dal ponte è possibile vedere in volto anche i
dannati dell’altra schiera, fra i quali Virgilio indica Giasone, capo degli
Argonauti e seduttore di Isifile e Medea. Nella seconda bolgia gli
adulatori sono immersi nello sterco: qui Dante riconosce il lucchese
Alessio Interminelli e, grazie al suggerimento di Virgilio, può vedere
Taide, prostituta della commedia classica, mentre si graffia con le
unghie lorde.

Canto XIX
Nella terza bolgia i simoniaci sono conficcati a testa in giù nella
:
pietra; lingue di fuoco bruciano loro le piante dei piedi. Dante ne
interroga uno, papa Niccolò III; questi scambia il poeta per Bonifacio
VIII, che dovrebbe prendere il suo posto nella buca spingendolo più in
basso, ed inveisce contro di lui. Dante pronuncia un discorso contro i
papi simoniaci.

Canto XX
Luogo: VIII cerchio: IV bolgia: maghi e indovini

Nella quarta bolgia il contrappasso punisce la presunzione umana di


divinare il futuro: gli indovini hanno la testa e il collo girati al
contrario, così che, non potendo guardare avanti, sono costretti a
camminare all’indietro procedendo lentamente e bagnando di lacrime
il dorso. Anche Dante non trattiene il pianto alla vista della figura
umana così deturpata, ma è aspramente rimproverato della sua
immotivata compassione di fronte alla giustizia divina; quindi Virgilio
gli mostra i maghi e gli indovini dell’antichità, Tiresia, Arunte, e
Manto che gli offre il modo di narrare l’origine della città di Mantova.
Su richiesta di Dante, la guida indica altri indovini, Euripilo, Michele
Scotto, Guido Bonatti e Asdente, solo accennando a maghe e
fattucchiere. Infine, Virgilio esorta l’allievo a riprendere il cammino,
perché la luna sta per tramontare sotto Siviglia e quindi sulla terra
sono circa le sei del mattino.

Canto XXI
Luogo: VIII cerchio: V bolgia: barattieri

Dante e Virgilio sono sul ponte che attraversa la quinta bolgia, colma
di pece bollente entro la quale sono immersi, invisibili, i barattieri.
Improvvisamente appare sul ponte un diavolo che porta sulla spalla
un dannato: gettandolo nella pece, fa sapere ai suoi compagni e ai due
:
spettatori che si tratta di uno degli Anziani di Lucca, città ricca di
pubblici amministratori che si arricchiscono vendendo per denaro le
prerogative concesse ai loro uffici. Il lucchese cerca di liberarsi dalla
pece, emergendo alla superficie, ma i diavoli preposti alla custodia dei
dannati minacciano di straziarlo con i loro uncini se non si terrà ben
nascosto entro la pece. Dopo aver fatto nascondere Dante, Virgilio
arriva sul sesto argine per trattare con i diavoli che nel frattempo sono
sbucati dalla loro tana sotto il ponte: dal capo Malacoda ottiene
l’assicurazione all’incolumità sua e del suo allievo, che quindi richiama
dal nascondiglio. Malacoda offre ai due una scorta di dieci diavoli fino
al prossimo passaggio per la bolgia successiva, dato che il sesto ponte
è crollato a seguito del terremoto concomitante alla morte di Cristo. Il
diavolo mescola verità e menzogna, perché il terremoto ha fatto
crollare tutti i ponti e non esiste nessun passaggio praticabile sulla
sesta bolgia. Costretti a malincuore ad accettare l’offerta, Dante e
Virgilio si incamminano sull’argine in compagnia della minacciosa e
tragicomica scorta.

Canto XXII
Il barattiere Ciampolo di Navarra rivolge la parola a Dante; i diavoli
tentano di uncinarlo, ma egli fugge tuffandosi nella pece. Due diavoli,
Alichino e Calcabrina, si azzuffano rinfacciandosi la mancata preda e
cadono nella pece. Dante e Virgilio approfittano del trambusto per
fuggire.

Canto XXIII
Luogo: VIII cerchio: VI bolgia: ipocriti

Per paura che i dieci diavoli, beffati da Ciampolo e umiliati dal tuffo
nella pece, possano inseguirli e attentare alla loro incolumità, Virgilio
corre precipitosamente verso la sesta bolgia portando Dante in braccio
:
come fa una madre con il figlio: non appena in salvo, i due vedono
comparire sull’argine i diavoli, ormai inoffensivi perché incapaci di
allontanarsi dal fossato a cui li ha ordinati la giustizia divina. La
nuova bolgia è affollata dagli ipocriti, che camminano lentamente
sotto il peso di cappe di piombo, esternamente dorate. Mentre i due
procedono camminando sul fondo della bolgia, un dannato riconosce
Dante dalla sua parlata toscana e lo invita a fermarsi con lui e il suo
compagno di pena: i due ipocriti sono i bolognesi Catalano dei
Malavolti e Loderingo degli Andalò, fondatori dell’ordine dei Cavalieri
di Maria (detti popolarmente frati Godenti), che insieme furono
podestà a Firenze. Crocifisso al suolo della bolgia c’è Caifas, che
sconta così, insieme agli altri membri del Sinedrio, la condanna a
morte di Cristo. Infine Virgilio domanda a Catalano di indicargli la via
per la risalita: scopre così che tutti i ponti sulla bolgia sono franati, e
che il diavolo Malacoda gli ha mentito.

Canto XXIV
Luogo: VIII cerchio: VII bolgia: ladri

Dante e Virgilio giungono alla rovina del ponte crollato, tanto erta da
essere impraticabile al vivo; dopo l’iniziale turbamento della guida e
di riflesso anche dell’allievo per la difficoltà della risalita, Virgilio
esorta Dante e lo aiuta nell’impresa che infine, dopo molta fatica e
qualche rischio, li conduce sull’argine della settima bolgia. Dal nuovo
fossato si leva una voce incomprensibile: dato che l’oscurità non
permette di vedere dal ponte quello che succede sul fondo, i due
scendono nella bolgia. Il luogo è infestato da ogni tipo di serpenti, con
i quali sono legate dietro la schiena le mani dei peccatori, i ladri. Uno
di questi, trafitto fra il collo e le spalle da una serpe, viene incenerito
all’istante, ma, subito dopo, riprende sembianze umane risorgendo
dalle sue ceneri come l’araba fenice. A compiere la metamorfosi è il
pistoiese Vanni Fucci, ladro sacrilego, che, per vendicarsi della
:
curiosità di Dante, gli profetizza l’ascesa dei guelfi neri a Firenze e la
rovinosa sconfitta della parte bianca a Pistoia.

Canto XXV
Luogo: VIII cerchio: VII bolgia: ladri

Terminata la profezia, Vanni Fucci rivolge a Dio un gesto osceno di


sfida, ma la sua superbia viene immediatamente punita dai serpenti
che lo avvolgono fino a bloccarne i movimenti e le parole. Dante
commenta l’intero episodio rivolgendo una dura invettiva contro
Pistoia. Quindi compare Caco, il centauro colpevole del furto degli
armenti di Ercole, con il dorso ricoperto di bisce. Lo seguono tre ladri,
due dei quali subiscono metamorfosi: il primo si fonde con un
serpente a sei piedi che lo ha avvinghiato come edera all’albero,
formando una sola mostruosa creatura, il secondo si trasforma in
serpe dopo essere stato trafitto da un serpentello che,
contemporaneamente, diventa uomo. Nell’unico ladro che ha
mantenuto il suo aspetto umano Dante riconosce Puccio Sciancato e
nel serpente trasformato in uomo Francesco dei Cavalcanti, fiorentini
come tutti gli altri protagonisti di queste metamorfosi.

Canto XXVI
Dante trasforma il suo sdegno per i tanti fiorentini incontrati
all’Inferno in un’aspra invettiva contro la sua città, per la quale
pronostica le sciagure che le augurano tutti i comuni toscani
sottomessi al suo dominio. Quindi Dante e Virgilio risalgono il dirupo,
fino a raggiungere l’argine da dove è visibile l’ottava bolgia. Il fossato
è disseminato di fiamme in movimento, simili a lucciole in una sera
d’estate, e ciascuna di esse custodisce un peccatore, colpevole di un
aver suggerito e consigliato una frode. Restando sulla sommità del
ponte, Dante nota una fiamma biforcuta ed esprime il desiderio di
:
sapere chi cela; dopo aver saputo che vi sono puniti insieme Ulisse e
Diomede, corresponsabili sia dell’inganno del cavallo che permise ai
greci di espugnare Troia sia del furto fraudolento della statua di
Pallade, prega la sua guida di far avvicinare la fiamma. Virgilio
acconsente al desiderio, ma riserva a sé il compito di interrogarla:
dalla lingua di fuoco Ulisse gli parla della sua sete di conoscenza del
mondo e degli uomini, che lo condusse a lasciare la patria per
intrapprendere un viaggio oltre le Colonne d’Ercole. Sfidando i divieti
divini, Ulisse con un ristretto gruppo di compagni giunse in mare
aperto: ma, ormai in vista della montagna del Purgatorio, un turbine
inabissò la loro nave prima che potessero raggiungere la meta del loro
desiderio di sapere.

Canto XXVII
(Dante incontra l'anima di Guido da Montefeltro, che un diavolo
disputò con successo a S. Francesco).Dopo le parole di Ulisse, un’altra
fiamma attira i due poeti, muovendosi. Chiede notizie sulla Romagna.
Dante fa un quadro della situazione politica della regione, dominata
da uomini pronti alla guerra. L’anima si fa riconoscere dicendo: "Fui
guerriero e poi frate , credendo così di riparare al male creato. Ma la
sua conversione era stata soltanto formale, dettata dalla convenienza,
il cordiglio francescano non aveva cinto un uomo nuovo. Alla sua
morte San Francesco venne per portarlo in cielo, ma il diavolo lo
fermò con queste parole: "Quest’anima deve seguirmi all’inferno,
poiché è contraddittorio che ci si possa pentire di una colpa che si ha
l’intenzione di compiere. Quando fu davanti a Minosse, questi girò
otto volte la coda intorno al suo corpo, destinandolo al cerchio
ottavo. Dopo la converasazione, la fiamma si fa indietro e Dante
giunge al ponte che domina la bolgia dei seminatori di discordia.

Canto XXVIII
:
Luogo: VIII cerchio: IX bolgia: seminatori di scismi e discordie
Nella nona bolgia il contrappasso punisce chi seminò discordie e
provocò scismi, con squartamenti, mutilazioni e ferite ancor più
sanguinose di quelle provocate dalle guerre più cruente della storia.
Un diavolo è preposto alla punizione, che è tanto più spettacolare e
orribile quanto più grave fu la colpa del dannato: fra questi Dante
incontra Maometto con le interiora e l’intestino che gli penzolano da
uno squarcio fra il mento e l’inguine, e suo genero Alì con il volto
spaccato dal mento alla fronte. Dopo aver saputo da Virgilio che Dante
è vivo, il profeta dell’islamismo gli raccomanda di avvertire lo
scismatico fra Dolcino dell’assedio in cui lo stringerà il vescovo di
Novara, affinché possa prepararsi e ritardare il proprio arrivo nella
nona bolgia. Anche il romagnolo Pier da Medicina, con la gola
squarciata e privo del naso e di un orecchio, affida a Dante un
messaggio per due eminenti cittadini di Fano, preannunciando un
prossimo tradimento del signore di Rimini, città che costò cara a un
altro dannato, il tribuno Curione che spinse Cesare contro Pompeo e
ora porta la lingua mozzata in gola. Quindi il fiorentino Mosca dei
Lamberti con le mani mozzate chiede di essere ricordato come colui
che diede inizio alle faide fra guelfi e ghibellini. Infine si presenta il
trovatore Bertran de Born che, per aver istigato il re Enrico III a
ribellarsi al padre, ora è smembrato egli stesso e porta in mano la
propria testa come fosse un lume.

Canto XXIX
Prima di lasciare la nona bolgia Dante cerca con gli occhi in essa un
suo congiunto, Geri del Bello, seminatore di discordia, la cui morte
violenta è rimasta invendicata, ma Virgilio gli ricorda che l’ombra di
questo suo parente è passata sotto il ponte, mostrando sdegno e
minacciandolo col dito, quando egli era tutto intento ad osservare
Bertran de Born. Ripreso il cammino, i due pellegrini giungono sopra
:
l’ultima bolgia dell’ottavo cerchio, nella quale si trovano i falsatori,
divisi in quattro categorie: falsatori di metalli con alchimia, falsatori di
persone, falsatori di monete, falsatori di parole. Con il corpo
deformato da orribili morbi giacciono a mucchi o si trascinano carponi
gli alchimisti. Due di questi dannati attirano l’attenzione di Dante:
stanno seduti, appoggiandosi l’uno alla schiena dell’altro, e cercano,
con furiosa impazienza, di liberarsi delle croste che li ricoprono
interamente. Furono arsi sul rogo dai Senesi, il primo, Griffolino
d’Arezzo, per non avere mantenuto fede alla promessa di far alzare in
volo, novello Dedalo, uno sciocco; il secondo, Capocchio, per aver
falsificato i metalli, da quell’eccellente imitatore della natura che fu in
vita.

Canto XXX
Improvvisamente compaiono due anime, pazze di furore: l'una si
avventa su Capocchio da Siena, e azzannandolo al collo lo trascina,
l'altra su Griffolino. Ma prima di essere sbranato, l'aretino rivela a
Dante l'identità e il peccato dei due: sono il fiorentino Gianni Schicchi
e Mirra, che si finsero un'altra persona per ottenere favori da un
testamento l'uno, l'altra per commettere adulterio con il padre. Quindi
a Dante appare un dannato, con il ventre rigonfio per l'idropisia, che
confessa di essere maestro Adamo, e di aver falsificato il fiorino di
Firenze su incarico dei conti Guidi da Romena, nel Casentino. Su
invito di Dante, maestro Adamo denuncia l'identità di due suoi
compagni di pena che sembrano fumare per la febbre: l'una è la
moglie di Putifarre che accusò ingiustamente Giuseppe, l'altro falsario
di parola è il greco Sinone che, fingendosi amico, convinse i troiani a
far entrare il cavallo dell'inganno in città. Sinone reagisce alla
denuncia di maestro Adamo, e i due danno vita a una rissa fatta di
tragicomici colpi e di reciproche accuse. Dante rimane intento a
seguire la lite fino a che non lo distolgono i rimproveri di Virgilio per
:
aver dimostrato tanto volgare interesse.

Canto XXXI
Luogo: pozzo dei giganti
Dante e Virgilio lasciano Malebolge, e, superato l’ultimo argine
roccioso, si ritrovano immersi nel crepuscolo e odono un suono di
corno più terribile di quello lanciato da Orlando a Roncisvalle. Per la
scarsa luce Dante crede di vedere le torri di una città che sono invece,
gli spiega Virgilio, giganti conficcati attorno al pozzo dalla vita in giù:
via via che si avvicinano diminuisce l’errore e aumenta la paura di
Dante. Giunti ai margini del pozzo Virgilio mostra al suo allievo
Nembrot, il gigante responsabile della costruzione della torre di
Babele, reso ora incapace di parlare una lingua comprensibile, poi
Fialte che sfidò Giove tentando di scalare l’Olimpo e ora è incatenato
in modo da non potersi muovere, mentre Briareo, di cui Dante ha
chiesto notizie, è immobilizzato più lontano e non è visibile. Accanto a
Nembrot è conficcato Anteo, il gigante ucciso da Ercole, libero da
catene perché non prese parte alla rivolta contro Giove: dopo averlo
blandito, Virgilio gli chiede di trasportarlo sul fondo del pozzo. Anteo
non può opporsi alla richiesta, quindi distende la mano e afferra
Virgilio, che a sua volta stringe a sé Dante; infine depone i due sulla
distesa ghiacciata di Cocito.

Canto XXXII
Cocito è diviso in zone: nella Caina i traditori dei parenti stanno
immersi nel ghiaccio fino al capo, tenuto abbassato; nella Antenora i
traditori della patria hanno invece il capo rivolto in alto: tra essi Bocca
degli Abati e Gano di Maganza. Dante vede un dannato che rode la
testa di un altro, e chiede a Bocca il nome di entrambi.

Canto XXXIII
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Il dannato che rode la testa all'altro è il conte Ugolino della
Gherardesca, la sua vittima l'arcivescovo Ruggeri. Dante e Virgilio
passano poi nella zona detta Tolomea, dove i traditori degli amici
tengono il capo talmente all'insù che le lacrime gli si congelano sugli
occhi: tra essi frate Alberigo e Branca Doria.

Canto XXXIV
L'ultima zona di Cocito è la Giudecca, dove i traditori dei benefattori
sono completamente immersi nel ghiaccio. Ora Dante e Virgilio sono
di fronte a Lucifero, infisso nel ghiaccio dalla vita in giù. Esso ha tre
teste, e ciascuna delle tre sue bocche dilania un peccatore: la prima
Giuda, la seconda Bruto, la terza Cassio. I due poeti si aggrappano al
corpo di Lucifero e lo ridiscendono, passando nell'emisfero terrestre
meridionale. Attraverso uno stretto budello riescono a ritornare in
superficie in corrispondenza degli antipodi.
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