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CANTO I

Luogo: selva oscura


Smarrita la via della giustizia e del bene, Dante si ritrova nella selva oscura del
peccato. Dopo il turbamento iniziale, la prima luce dell’alba gli indica la cima di
un colle che egli cerca di raggiungere per trovare scampo dalle tenebre, ma,
mentre faticosamente ne sale le pendici, viene ostacolato da tre animali
selvatici: prima una lonza e poi un leone gli sbarrano la strada, infine una lupa
lo costringe a retrocedere verso la valle. All’improvviso appare l’ombra del
poeta latino Virgilio, al quale Dante chiede aiuto contro la lupa che gli preclude
la via alla sommità del colle. Virgilio depreca la natura e l’operato della lupa,
simbolo della cupidigia che solo il veltro, emblema di un imperatore a venire,
riuscirà a sconfiggere e a eliminare da ogni città d’Italia e dell’impero. Egli
quindi assicura a Dante che gli sarà guida verso il colle della salvezza, ma lo
condurrà per una via più difficile che attraversa l’Inferno e il Purgatorio; da qui
Dante potrà proseguire il viaggio per il Paradiso fino all’Empireo con l’aiuto di
un’anima più degna di lui (che, non avendo conosciuto in vita il cristianesimo,
non può aspirare alla città divina). Dante lo segue.

CANTO V
Luogo: II cerchio: lussuriosi
All’entrata del secondo cerchio Minosse accoglie i peccatori e, dopo averli
costretti a confessare le loro colpe, indica loro la punizione divina avvolgendosi
la coda intorno al corpo un numero di volte corrispondente al numero del
girone infernale al quale li invia. Dopo che Virgilio ha superato la resistenza del
giudice infernale al passaggio di Dante grazie a un nuovo richiamo alla volontà
divina, ai due si offre la vista della bufera che travolge i lussuriosi, fra i quali si
riconoscono alcuni protagonisti della storia e della letteratura classica e
medievale. Per soddisfare la curiosità di Dante, dalla schiera dei peccatori si
staccano due anime, Francesca da Polenta e Paolo Malatesta: le parole di
Francesca che narrano dell’adulterio e della morte violenta dei due
commuovono Dante al punto di fargli perdere i sensi.

CANTO X
Luogo: VI cerchio: eretici
Procedendo fra le mura e i sarcofagi, Dante manifesta il desiderio di incontrare
qualcuno degli eretici condannati nelle tombe ora scoperchiate, destinate a
essere chiuse solo il giorno del giudizio, e occupate in questa zona dagli
epicurei, negatori dell’immortalità dell’anima. Improvvisamente un dannato si
solleva e si rivolge a Dante, che ha riconosciuto essere suo concittadino: è
Farinata degli Uberti, il celebre esponente della parte ghibellina che dopo la
vittoria di Montaperti (1260) si oppose alla distruzione di Firenze voluta dagli
altri capi filo-imperiali. Farinata interroga Dante sulle sue origini familiari e,
dichiarata la militanza guelfa degli Alighieri, i due si scambiano accese battute
sulla superiore capacità dell’una parte e dell’altra. La disputa politica è
interrotta da un altro dannato, il fiorentino Cavalcante Cavalcanti che si leva
dalla tomba per domandare a Dante notizie del figlio Guido, poeta e suo "primo
amico": fraintendendone la risposta l’eretico si convince della morte del figlio e
ricade nella tomba. Senza prestare attenzione al dolore di Cavalcante, Farinata
riprende il discorso interrotto, profetizzando il futuro esilio di Dante. La
preveggenza di Farinata e l’ignoranza del presente dimostrata da Cavalcante
offrono l’occasione per un chiarimento sulla conoscenza dei dannati, limitata al
futuro e destinata a essere annullata dal giudizio universale. Dante e Virgilio
riprendono il cammino verso la riva interna del girone.

CANTO XIX
Luogo: VIII cerchio: III bolgia: simoniaci
Dal ponte sulla terza bolgia Dante osserva il fondo, tutto disseminato di fori
nella pietra tondi e larghi quanto i bacili battesimali di San Giovanni a Firenze:
nei fori sono infilati a testa in giù gli ecclesiastici che fecero commercio dei beni
sacri, i simoniaci, di cui spuntano solo le gambe, che guizzano e scalciano a
causa del fuoco appiccato alle piante dei piedi. Per poter parlare con un
dannato Dante e Virgilio scendono nella bolgia, e si accostano al foro dove è
conficcato papa Niccolò III, che spiega un iniziale equivoco con il fatto che è in
attesa dell’arrivo di papa Bonifacio VIII prima, e poi di Clemente V, che
prenderanno il suo posto spingendolo in profondità fra le fessure della roccia.
Dante replica con una dura condanna della degenerazione della chiesa, che per
avarizia ha abbandonato gli insegnamenti evangelici e si è dedicata alla cupida
venerazione del denaro. Quindi, per risalire la riva del fossato, Virgilio prende
Dante in braccio e lo porta sull’argine della quarta bolgia.

CANTO XXVI
Luogo: VIII cerchio: VIII bolgia: consiglieri fraudolenti
Dante trasforma il suo sdegno per i tanti fiorentini incontrati all’Inferno in
un’aspra invettiva contro la sua città, per la quale pronostica le sciagure che le
augurano tutti i comuni toscani sottomessi al suo dominio. Quindi Dante e
Virgilio risalgono il dirupo, fino a raggiungere l’argine da dove è visibile l’ottava
bolgia. Il fossato è disseminato di fiamme in movimento, simili a lucciole in una
sera d’estate, e ciascuna di esse custodisce un peccatore, colpevole di un aver
suggerito e consigliato una frode. Restando sulla sommità del ponte, Dante
nota una fiamma biforcuta ed esprime il desiderio di sapere chi cela; dopo aver
saputo che vi sono puniti insieme Ulisse e Diomede, corresponsabili sia
dell’inganno del cavallo che permise ai greci di espugnare Troia sia del furto
fraudolento della statua di Pallade, prega la sua guida di far avvicinare la
fiamma. Virgilio acconsente al desiderio, ma riserva a sé il compito di
interrogarla: dalla lingua di fuoco Ulisse gli parla della sua sete di conoscenza
del mondo e degli uomini, che lo condusse a lasciare la patria per
intraprendere un viaggio oltre le Colonne d’Ercole. Sfidando i divieti divini,
Ulisse con un ristretto gruppo di compagni giunse in mare aperto: ma, ormai in
vista della montagna del Purgatorio, un turbine inabissò la loro nave prima che
potessero raggiungere la meta del loro desiderio di sapere.

CANTO XXXIII
Luogo: IX cerchio: II zona: traditori della patria - III zona: traditori
degli ospiti
l peccatore intento a rodere il cranio del compagno narra la sua storia e illustra
i motivi del suo gesto bestiale: è il conte Ugolino della Gherardesca, podestà di
Pisa dopo la sconfitta della Meloria (1284), accusato di essersi accordato con la
parte guelfa e di aver ceduto dei castelli di proprietà comunale ai rivali
lucchesi, per questo imprigionato insieme ai suoi quattro figli nella torre della
fame dall’arcivescovo ghibellino Ruggieri degli Ubaldini, di cui ora si ciba per
l’eternità. Il racconto di Ugolino è dettagliato solo riguardo alla prigionia e alla
morte per fame dei suoi figli, preceduta dall’offerta al padre di cibarsi di loro.
Dante commenta il racconto con una dura invettiva contro Pisa, novella Tebe,
carnefice anche dei figli innocenti. Quindi con Virgilio entra in Tolomea, la terza
regione di Cocito, dove giacciono supini i traditori degli ospiti, le cui lacrime
ghiacciate formano una visiera sugli occhi. Dante avverte la presenza di un
vento di cui chiede ragione a Virgilio, ma la guida rimanda la risposta a quando
la causa sarà visibile. Con una promessa che poi non mantiene, Dante induce a
parlare il frate godente Alberigo dei Manfredi, che spiega come le anime dei
traditori degli ospiti vengano mandate in Tolomea ancor prima della morte dei
corpi, nei quali vengono sostituite da un demonio: l’esempio è fornito dal suo
compagno di dannazione, il genovese Branca Doria assassino del suocero
Michele Zanche, che al momento della finzione narrativa era ancora vivo. Il
canto si chiude con una dura invettiva contro i genovesi.

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