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CANTO XXVI INFERNO

SPAZIO: ottavo cerchio (ottava bolgia)

TEMPO: mezzogiorno del sabato santo del 9 aprile 1300.

PECCATORI E PENA: consiglieri fraudolenti che si muovono qua e là per la bolgia avvolti in fiammelle
che li nascondono completamente.

CONTRAPPASSO: per analogia, i loro consigli sono stati dannosi e diabolici, così ora sono avvolti in
lingue di fuoco, allusione alle “lingue” che i dannati hanno usato in modo malefico.

PERSONAGGI:

 Dante (auctor e agens)


 Virgilio
 Ulisse: secondo la tradizione classica è il mitico re di Itaca, marito di Penelope e padre di
Teleo, che contribuisce in modo determinante alla conquista di Troia, ideando lo
stratagemma del cavallo di legno, ma soprattutto è protagonista dell’Odissea dove non
appare più solo come un eroe astuto, ma come l’uomo animato dalla nostalgia della patria e
della famiglia. Dante, invece, accoglie una leggenda medievale secondo la quale, nel suo
instancabile desiderio di conoscere, avrebbe abbandonato la famiglia e si sarebbe rimesso in
mare fino a trovare la morte nel naufragio.
 Diomede: figlio del re di Argo e uno dei più valorosi guerrieri greci nella guerra di Troia.

I due eroi sono accomunati dallo stesso destino in quanto usarono la loro intelligenza e la loro
astuzia per compiere inganni. Dante ricorda inizialmente quello celebre del cavallo di Troia.

L’APOSTROFE A FIRENZE: i primi dodici versi fungono da raccordo con il canto precedete e sono uno
sfogo ironico nei confronti di Firenze in quanto Dante è molto rammaricato a causa della numerosa
presenza di ladri fiorentini. L’apostrofe è basata sulla metafora del volo e sull’ironia attraverso l’uso
della litote per mettere in cattiva luce la città. Preannuncia inoltre numerose punizioni da parte delle
città rivali e spera che accadano al più presto in quanto con l’avanzare dell’età non gli sarà più
possibile sopportare dolori di tale portata.

ANTICIPAZIONE DEL TEMA MORALE: Dopo una breve spiegazione dell’entrata difficoltosa nell’ottava
bolgia e di una breve descrizione del panorama ma anche dell’atmosfera che lo circondava, il
pellegrino esordisce con un’espressione di dolore provato anche solo dal ricordo di quello che ha
visto tanto da mantenere a bada la propria immaginazione poetica affinché sia assistita dalla virtù.
Questa pausa narrativa quindi funge da una sorta di anticipazione del tema morale del canto ovvero
la necessità di sapersi mantenere entro i limiti del sapere umano attraverso l’attività intellettuale
(ingegno accompagnato dalla virtù) affinché essa non sia volta a scopi negativi.

LE DUE SIMILITUDINI DELLE LUCCIOLE E DEL CARRO DI FUOCO: Dante descrive la bolgia in cui
l’elemento predominante è il fuoco attraverso due similitudini. La prima riguarda un contadino che
ammira dall’alto di un colle nel momento del crepuscolo (perifrasi della mosca e della zanzara)
estivo, i luoghi del suo duro lavoro, ora impreziositi dalle lucciole; paragona infatti tante lucciole a
quante fiamme era costituita la bolgia. La seconda invece richiama l’episodio biblico del libro dei re
nel quale il profeta Eliseo, che si vendicò con i ragazzi che lo prendevano in giro per la sua calvizie
facendoli sbranare dagli orsi, vide il carro di fuoco che rapì il profeta Elia senza poterlo seguire con lo
sguardo in quanto vedeva un'unica fiamma che saliva verso l’alto come una nuvoletta; paragona
infatti il carro infuocato a ogni fiammella che si muove all’interno della stretta bolgia tanto da non
far vedere l’anima di ogni peccatore nascosta nel fuoco. Lo spettacolo a cui assiste è cosi carico di
emozioni che produce in Dante uno sbandamento tanto da sentire il bisogno di reggersi ad una
sporgenza di una roccia per non cadere giù.

VIRGILIO MEDIATORE TRA DANTE E I DUE GRECI: Dante tra tutte le fiamme ne nota una particolare
perché è biforcuta proprio come quella che si elevò sulla pira di Eteocle e Polinice (due fratelli tebani
che secondo la leggenda si odiarono così tanto a tal punto che, dopo essersi uccisi a vicenda, la
fiamma della pira funebre su cui erano stati posti i loro cadaveri, si divise in due), Virgilio a questo
punto da buon maestro riepiloga sinteticamente i misfatti dei due greci dannati, Ulisse e Diomede,
mettendo in primo piano l’inganno del cavallo di Troia, che causò la nascita della nobile stirpe dei
troiani, e in seguito si allude ad altre due imprese, frutto d’astuzia e d’inganno. Il primo episodio fu lo
smascheramento di Achille che si nascondeva sotto le vesti di una donna presso Licomede, re di
Sciro, per non partecipare alla guerra di Troia, mostrandogli delle armi e risvegliando la sua indole
guerriera, seguì i due e abbandonò Deidamia, figlia del re, che si era innamorata di lui. Il secondo
episodio invece riguarda il furto della statua di Atena dall’acropoli troiana che secondo la leggenda
avrebbe reso espugnabile la città. Queste vicende entusiasmarono talmente tanto Dante che chiese
di parlare con i due dannati. Virgilio accetta la richiesta e si propone mediatore per contattare Ulisse
e Diomede per 3 motivi in particolare: Dante non ha dimestichezza con il greco proprio perché restò
quasi sconosciuto in Occidente per tutto il Medioevo, il magister ha più familiarità con loro essendo
anche egli un personaggio del mondo classico e infine non si degnerebbero di parlare con lui in
quanto i greci hanno un atteggiamento di superbia e riluttanza nei confronti degli stranieri. Virgilio
allora attraverso un’elaborata captatio benevolentiae composta da ripetizioni (s’io meritai è
l’espressione con cui Didone nelle Eneide si rivolse a Enea), parallelismi, antitesi, perifrasi e di
costruzioni latine attira l’attenzione della fiamma più alta, Ulisse.

IL RACCONTO DI ULISSE: prima che Ulisse esponga la sua storia (tecnica dello scorcio e dell’ellissi),
viene descritto brevemente e realisticamente attraverso l’uso di ripetizioni di suoni che gli
attribuiscono anche una sorta di dinamismo. Il dannato inizia la narrazione con una rapida analessi
relativa alla partenza dopo il soggiorno presso la maga Circe che aveva trasformato i suoi compagni
in porci, motivando la nuova avventura che stava per affrontare, descrivendola come un fuoco che
brucia dentro che neanche gli affetti più cari possono placare. Ulisse, assecondando questa sua
esigenza non fa altro che sviluppare la propria natura di uomo a cui è connessa la sete di conoscenza
che lo porta verso ciò che è ignoto e lontano attraverso una nuova avventura pericolosa. La sfida che
narra è in un certo qual modo sproporzionata poichè sta affrontando il mare aperto con una piccola
barca e con pochi compagni anche se fidati. Le notazioni sulla rotta compiuta sono per lo più di tipo
geografico poiché il pensiero va verso e oltre quella foce stretta nella quale Ercole aveva posto i suoi
limiti e che Ulisse non esiterà a superare. Afferma, inoltre, che anche se nei suoi compagni le
esitazioni erano molteplici, bastava un’ “orazion picciola” a convincergli, infatti utilizzò un comando
sotto le vesti di una preghiera in quanto è un’esortazione che stimola la curiositas. Il dannato, infatti,
li induce a riflettere sulla loro natura di uomini, destinati quindi a conoscere, e in questo modo
ubbidiscono, diventano ancora più convinti del loro capo ed il loro animo è carico ancor più di
entusiasmo.

IL NAUFRAGIO: Ormai notte, superate le colonne d’Ercole e passati 5 mesi dall’inizio del viaggio
(cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, 5 pleniluni) apparve dinanzi a loro
una montagna, (il Purgatorio). Ulisse e i compagni se ne rallegrarono, ma presto l'allegria si tramutò
in pianto, da quella nuova terra, infatti, sorse una tempesta che investì la prua della nave, facendola
ruotare tre volte (numero divino) su se stessa; la quarta volta la inabissò levando la poppa in alto,
finché il mare l'ebbe ricoperta tutta.
LA CELEBRAIONE DELLA GRANDEZZA UMANA E DEI SUOI LIMITI: Dante ritiene che nella conoscenza
risieda la perfezione della natura umana, ma la conoscenza per lui non è avventura di ricerca
personale, esplorazione dell’ignoto, capace di sfidare ogni limite, bensì è adeguazione ad un
patrimonio di nozioni già dato una volta per tutte. Per questo condanna il viaggio di Ulisse, che,
animato da un eccessivo orgoglio nelle forze dell’”ingegno" umano, si è spinto al di là dei limiti
segnati da Dio alla conoscenza dell’uomo, ed a quel “folle volo” contrappone il proprio viaggio di
conoscenza, compiuto con la consacrazione di un’investitura divina e con la guida della Rivelazione.
Egli punisce il re di Itaca, inoltre, per la temerarietà e la follia con cui ha superato i limiti umani, il suo
ardore di conoscenza, invece, gli appare nobile. In Ulisse, infatti, si riflette la dignità dell’umanità
antica che, pur non sorretta dalla rivelazione divina, ha saputo raggiungere un livello altissimo di
conoscenza.

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