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ma le numerose esegesi dei celebri versi non hanno mai svelato chi si celi dietro
l’allegoria del veltro.
Giovanni Getto sfiorò la corretta interpretazione quando ipotizzò che il veltro fosse
Dante stesso.
Il sommo poeta è consapevole ora che ha una missione da compiere, missione che non
è soltanto quella di varcare le soglie dell’aldilà ma è qualcosa di più, per questo il suo
compito è paragonato a quelli svolti da
Al timore di non sentirsi degno affianca la necessità di essere umile. Egli è “solo” uno
strumento del disegno divino, è stato scelto per narrare agli uomini ciò che vedrà nel suo
viaggio oltremondano. La sua umiltà lo porta a dire che la Comedia è l’espressione più di una
volontà celeste che un suo merito personale.
Soprattutto, trova più ampio e coerente significato tutta l’impostazione del suo
capolavoro nel senso che, come più volte è stato detto ed egli stesso afferma nell’Epistola a
Cangrande, Dante si pone un compito dottrinale, per cui il suo viaggio ha come scopo quello
di condurre, non solo se stesso, ma tutti gli uomini dalla miseria della loro condizione, dalla
«selva oscura», alla salvezza.
Il percorso che egli compie attraverso uno scenario che raffigura magistralmente gli
orrori dei peccati umani, altro non è se non un processo di liberazione da essi peccati. Dante-
uomo dovrà, con l’aiuto di Virgilio e di Beatrice, compiere quel viaggio interiore che lo porta
dallo smarrimento iniziale alla beatitudine finale.
Ma al Dante-uomo si affianca il Dante-poeta e vate che ha il compito di descrivere
tale percorso spirituale per permettere anche agli altri uomini di liberarsi dalla colpa. È questa
la sua vera missione: scrivere l’opera che aiuterà gli uomini a liberarsi della lupa. Il veltro che
verrà è, quindi, la sua poesia che non si “limita” a raccontare la sua vicenda personale ma ha
il coraggio, la “pretesa”, di parlare a tutti gli uomini.
La sua profezia completa quella iniziale fatta da Virgilio ed avalla l’ipotesi che stiamo
svolgendo: il veltro che ucciderà la lupa è la forza della sua poesia che ricopre una duplice
funzione, spirituale e politica. Darà vital nodrimento a chi vorrà combattere la propria
interiore cupidigia, ma avrà anche il coraggio di colpire come un vento impetuoso le più alte
cime, «i potenti della terra» commenta Sapegno, che preferiamo interpretare come i
prepotenti della terra.
La Divina Commedia racconta fatti di cronaca, fa parlare personaggi storici famosi,
denuncia crimini impuniti, condanna papi e preti simoniaci. Inoltre, discute di filosofia,
teologia, astronomia, descrive paesaggi, fa rivivere uomini del mondo antico, dipinge animali
e mostri mitologici.
L’universale divulgazione della sua opera e la trasmissione orale di molti suoi versi,
che anche i ceti più umili hanno mantenuto fino ai nostri giorni, è la prova più evidente della
volontà dell’Alighieri di incidere nella realtà storica del suo tempo, e oltre.
È proprio questo, forse, il motivo centrale della sua missione: scrivere un’opera che
porti l’uomo a lottare ed a prendere posizione contro chi è lupo dell’altro. Non a caso, infatti,
la sua prima e più dura condanna è rivolta agli ignavi, a coloro che “mai non fur vivi”, e non
a caso operò delle scelte linguistiche e stilistiche rivoluzionarie.
Lo stile comico
Dante avrebbe dovuto, per l’importanza dell’argomento trattato, utilizzare lo stile
tragico, formalmente il più alto ed elegante fra i canoni stilistici, ma meno adatto allo scopo
che si era prefisso: parlare al cuore degli uomini. L’invenzione del “plurilinguismo”, un
linguaggio che rompe con le regole formali della tradizione e si colora della linfa vitale della
lingua volgare, va inserito in questa prospettiva, ovvero nel preciso intento di fare della
letteratura uno strumento che mira a trasformare la realtà interiore umana e… quella storica.
È quindi l’uso della cultura, il compito del suo poetare che vogliamo evidenziare. Il
veltro è un cane da caccia che attacca i suoi nemici!
Dante stilnovista, prima dell’esilio, si era “adattato” alle regole del linguaggio
letterario aristocratico, aveva giostrato con i poeti del tempo a colpi di fioretto, utilizzando le
stesse sobrie armi, perché l’eleganza e la raffinata compostezza formale erano i presupposti
necessari per essere ammessi nei salotti aristocratici. Anzi, in quel tempo erano proprio
l’aspetto retorico-formale e la perfezione stilistica il fine che spingeva molti uomini di cultura
a cimentarsi nelle litterae. Ma con l’inizio del Trecento la situazione precipita, il Papato
mette le mani su Firenze, Dante è esiliato, Carlo d’Angiò e Pietro III d’Aragona si dividono il
Sud d’Italia. È finito il tempo degli eleganti colpi di fioretto e con la Comedia, che prende il
titolo proprio dalla scelta dello stile comico utilizzato, Dante inaugura una letteratura che non
si accontenta della bellezza dei suoi versi, ma ha il coraggio di toccare il cuore degli uomini e
di affrontare le belve che si cibano del sangue umano.