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-1-
Saggi Cherubini
Comitato Scientifico
Paolo Zampini, Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze (Direttore)
Sergio Givone, Università degli Studi di Firenze
Anna Maria Freschi, Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze
Raffaele Molinari, Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze
Giovanni Pucciarmati, Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze
Marco Rapetti, Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze
Skrjabin e il Suono-Luce
a cura di
Luisa Curinga
Marco Rapetti
http://digital.casalini.it/9788864538075
La pubblicazione di questo volume è stata resa possibile grazie al contributo del Conservatorio
Luigi Cherubini e della Fondazione Cianti Orselli di Firenze.
La presente opera è rilasciata nei termini della licenza Creative Commons Attribution 4.0
International (CC BY 4.0: http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/legalcode).
Prefazione vii
Enzo Restagno
Introduzione xiii
Luisa Curinga, Marco Rapetti
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
vi Skrjabin e il Suono-Luce
1. Skrjabin e noi
Negli ultimi decenni le esecuzioni di musiche di Skrjabin sono discretamente
aumentate, soprattutto grazie ad alcuni pianisti che le hanno stabilmente incluse
nei programmi dei loro recital; e non va dimenticato che la presenza nel reper-
torio è l’elemento più idoneo a garantire la sopravvivenza di un compositore. A
questa maggior presenza nei concerti è corrisposto un aumento di interesse per il
suo pensiero estetico, che si è tradotto in un incremento degli studi in cui il nostro
paese ha saputo svolgere un ruolo significativo, come dimostrano i saggi raccolti
in questo volume. Tuttavia l’approfondimento del ruolo svolto da Skrjabin nella
storia delle utopie del mondo moderno resta ancora in gran parte da esplorare.
Skrjabin morì nel 1915, a soli 43 anni, per la setticemia procuratagli dalla
puntura di un insetto sul labbro. Una macabra ironia lo aveva indotto un paio di
anni prima a denominare la sua decima e ultima sonata per pianoforte «Sonata
degli insetti» e questi ultimi «i baci del sole». Anche le metafore che accompa-
gnano questo componimento mostrano uno Skrjabin orientato verso quell’uto-
pia cosmica che avrebbe dovuto alimentare l’opera suprema: il Misterium. Pur
continuando a comporre – il pezzo più meritatamente celebre è il poema Vers la
flamme – dopo la Decima Sonata Skrjabin cessa di essere un compositore, alme-
no nel significato che normalmente viene attribuito a questa parola. La musica
diventa uno strumento il cui scopo principale è ampliare il nostro modo di rap-
portarci con la realtà; essa dovrebbe indurci a uscire dalla finitudine del quotidia-
no e aiutarci a conoscere altri spazi che esistono da sempre ma della cui presenza
abbiamo solo un vago sospetto.
Una coincidenza niente affatto casuale fece sì che proprio nel 1915, anno del-
la morte di Skrjabin, Einstein illustrasse all’Università di Berlino la teoria della
relatività. Dieci anni prima a Bogliasco, nella riviera ligure, Skrjabin compose
il Poema dell’estasi, un’opera che emana raggi luminosi proiettati nello spazio e
sospinti da un impulso irrefrenabile. Il suono-luce di cui trabocca questo gran-
de affresco sinfonico era concepito come un fascio di vibrazioni che si espando-
no nell’universo creando colori, cieli, pianeti e forme di vita. In un testo poetico
concepito come supporto alla partitura, Skrjabin scrisse: «Io vi chiamo alla luce,
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
viii Enzo Restagno
o forze misteriose annegate nelle oscure profondità dello spirito. Abbozzi di vita,
io vi dono l’audacia». Il linguaggio è enfatico, pericolosamente vicino al cattivo
gusto; eppure quelle immagini roboanti evocano un pensiero che, prolungan-
dosi nella musica, acquista un raro potere di seduzione.
Si è detto giustamente che il Prometeo, la Decima Sonata e gli ultimi pezzi
per pianoforte costituiscano altrettante premesse al progetto del Misterium; ma
le intuizioni che balenano in queste musiche da un lato fanno appello alla sine-
stesia, dall’altro sembrano presagire una dimensione gnoseologica nuova, capa-
ce di guidarci verso uno spazio più ampio nel quale vigono leggi geometriche e
armoniche diverse. Non sono mancati ascoltatori e critici che hanno guardato
con diffidenza alla musica di Skrjabin e alle sue teorie, accusando entrambe di
pericolose collusioni con la misteriosofia, ma principi strutturali quanto mai
rigorosi hanno dominato quasi per intero la sua produzione musicale, per non
parlare dell’uso magistrale delle scale ottotoniche e del cromatismo che tanto
affascinarono il giovane Stravinskij. E non si dovrebbe dimenticare che Georgij
Konjus, il primo insegnante di musica di Skrjabin, in un saggio pubblicato nel
1933 col titolo Diagnose métrotectonique de la forme des organismes musicaux1,
si incaricò di dimostrare la chiarezza cristallina delle simmetrie di questa mu-
sica, nella quale la precisione delle proporzioni che reggono l’impianto di una
sonata per pianoforte è tale da consentire la rappresentazione grafica del com-
ponimento come se si trattasse della planimetria di un edificio. Possiamo affer-
mare con certezza che questa ricerca minuziosa di proporzioni e corrispondenze
formali era per Skrjabin solo la prefigurazione di uno spazio sonoro più vasto
e complesso che era suo compito scoprire. In questa prospettiva diventa fonda-
mentale l’ideale sinestesico che compare in forma ancora parziale nel Prometeo
e che avrebbe dovuto affermarsi pienamente nel Misterium. La sinestesia non
è una specie di patchwork, come tende a farci credere una pseudocultura piut-
tosto diffusa. Tutti quelli che hanno affrontato seriamente questo problema – a
partire da Baudelaire nel suo sonetto Correspondances – hanno avuto la sen-
sazione di addentrarsi in un terreno misterioso che implica una diversa e più
complessa percezione della realtà e, come conseguenza, una diversa concezione
della dimensione soggettiva. Mallarmé si mosse profeticamente su questa linea
dichiarando: «Je suis maintenant impersonnel, et non plus Stéphane que tu as
connu, — mais une aptitude qu’a l’Univers Spirituel à se voir et à se développer,
à travers ce qui fut moi»2.
Il tema è dunque quello di superare la finitudine del soggetto che non è un
limite imposto agli esseri umani, ma subìto da questi ultimi per una sorta di ten-
1
G. Konjus, Diagnose métrotectonique de la forme des organismes musicaux, Éditions
musicales de l’État, Moscou 1933, edizione bilingue russa e francese [N.d.CC.].
2
Lettera a Henri Cazalis, 14 maggio 1867.
Prefazione ix
denza inerziale. La musica, fin dai tempi di Orfeo, è stata l’unica attività umana
capace di vincere l’inerzia che ci condanna alla finitudine. Essa riesce a supera-
re la contraddizione logica fra vicino e lontano. È vicina poiché risuona accanto
a noi che ne percepiamo le vibrazioni, ma quando queste ultime entrano in noi,
può accadere di tutto: possono ridestarsi ricordi lontani, presagi e visioni di cose
impossibili, mentre gli strati profondi della nostra coscienza possono restituirci
ciò che è stato o che avrebbe potuto essere. La musica fa rinascere stagioni sepol-
te in un passato lontano, più antico della nostra breve vita, e ci invita a esplorare
dimensioni sconosciute. Il primo segno di questa nuova disposizione del soggetto
a rispecchiare l’universo, la musica lo rivela attraverso la leggerezza, una condi-
zione che è quasi imponderabilità, quasi annullamento della forza di gravità. E
Skrjabin tale condizione la viveva anche fisicamente. Nulla meglio di un’imma-
gine di Pasternak ci permette di cogliere quest’aspirazione di Skrjabin, descritto
come un essere sul punto di spiccare il volo e di librarsi nello spazio: «Piaceva a
Skrjabin, dopo aver preso la rincorsa, continuare a procedere a salti, quasi per
forza d’inerzia, come rimbalza e scivola via un sasso lanciato sull’acqua e poco ci
mancava che si staccasse da terra e si librasse nell’aria. Dirò in generale che egli
sapeva raggiungere, sotto varie forme una leggerezza spiritualizzata e muoversi
vincendo la gravità, quasi volando»3. Presto volando è l’indicazione che Skrjabin
fornisce all’esecutore del movimento finale della Quarta Sonata per pianoforte!
L’altra radice dalla quale trae alimento il pensiero di Skrjabin è il contrasto fra
luce e oscurità: dall’alternanza e dall’intersezione di questi due poli nasce una re-
altà sonora che partecipa del respiro del cosmo. La Russia in cui operò Skrjabin
era quanto mai pronta ad accogliere messaggi di questo genere e le avanguardie
fiorite nel primo ventennio del secolo scorso assomigliano talvolta a una sorta di
deflagrazione cosmica. Era naturale che in quell’ambiente la musica di Skrjabin
venisse accolta come una profezia e il suo autore diventasse un simbolo. In tal sen-
so vale la pena ricordare brevemente la storia dello studio di musica elettronica si-
tuato nel sotterraneo di Vachtangova ulitsa a Mosca, ovvero nell’edificio nel quale
abitava il nostro musicista4.
Gli studi di musica elettronica furono negli anni ruggenti della Nuova Musica
uno dei più formidabili fucine di pensiero nei quali si sviluppò un’idea di musica
che desiderava infrangere i limiti di ogni tradizione: un nuovo universo acustico
3
M. Girardi (a cura di), Aleksandr Skrjabin. Appunti e riflessioni, Edizioni Studio
Tesi, Pordenone 1992, Prefazione, p. X.
4
La casa dove Skrjabin trascorse gli ultimi anni e dove morì il 14 aprile 1915 si trova
nel celebre quartiere dell’Arbat, vicino al Teatro Vachtangov. Per l’attuale toponomasti-
ca l’indirizzo è Bol’šoj Nikolopeskovkij pereulok, n. 11. La casa di Skrjabin è da anni un
museo ove ogni particolare è custodito con la massima cura; se poi si sale al primo piano
dove sono situati il soggiorno e lo studio del compositore, si ha l’impressione che lui sia
appena uscito e che potrebbe tornare da un momento all’altro.
x Enzo Restagno
Simon Sebag-Montefiore nel volume Stalin: The Court of the Red Tsar, Vintage
5
Books, New York 2005, p. 40, ha contestato la comune opinione che Molotov fosse il ni-
pote di Skrjabin. [N.d.CC.]
Prefazione xi
Dovrebbe nascere un suono, una sequenza di suoni, una musica […]. Ammesso per
un attimo tutto questo: quali linee, originate da chissà dove, non sarebbe possibile
sostituire e mettere alla prova? Quale linea non si potrebbe condurre in tal modo alla
sua conclusione, per poi sentirla, trasformata, avvicinarsi sotto di un altro senso?6
Rilke immagina dunque una possibile e segreta voce delle cose nascosta, eppu-
re più vicina all’essere stesso della cosa, alla sua verità. Naturalmente lui orienta
queste riflessioni verso la poesia, quella poesia più vera e più autentica della quale
è in cerca da tanti anni e conclude le riflessioni contenute in Urgeräusch dicendo:
«Eppure la poesia compiuta può realizzarsi solo a condizione che il mondo affer-
rato contemporaneamente con cinque leve compaia, sotto un determinato aspetto,
su quel piano soprannaturale che è appunto il piano della poesia»7. Questa frase
potrebbe benissimo descrivere il travaglio che scuote le opere dell’ultimo Skrjabin
fino a deflagrare nel progetto del Misterium. Indipendentemente dall’enorme la-
voro compiuto da Nemtin per completare quest’opera, credo che il Misterium resti
un problema aperto. Attraverso la sua encomiabile ricostruzione basata su abbozzi
più o meno decifrabili, ma soprattutto attraverso le ultime opere di Skrjabin che
costituiscono il più nobile dei presupposti al Misterium, siamo in grado di scorgere
l’enorme valore dell’utopia skrjabiniana; in una parola, il desiderio inappagato di
trascendere i limiti imposti da ogni vincolo e consuetudine. In questa prospettiva
Skrjabin e Rilke si collocano con grande autorevolezza e bellezza in uno dei punti
più cruciali della storia delle arti e del pensiero moderno, mostrando con le loro
opere la necessità di superare i sistemi tradizionali. Che tutto ciò sia in perfetta
sintonia con il pensiero dei nostri giorni, ça va sans dire!
6
R.M. Rilke, Rumore primigenio, in Del paesaggio e altri scritti, Cederna, Milano
1949, p. 130.
7
Ivi, p. 132.
Introduzione
Luisa Curinga, Marco Rapetti
Il 14 aprile 1915, pochi mesi dopo l’inizio della Prima guerra mondiale, mori-
va a Mosca Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, uno dei protagonisti più controversi e
determinanti nella storia della musica del Novecento. Il primo centenario della sua
scomparsa è stato ovunque l’occasione per concerti e manifestazioni in suo onore.
Fra le celebrazioni che hanno avuto luogo in Italia spicca il Convegno intitolato
Svetozvuk: il ‘Suono-Luce’, organizzato dal Conservatorio Luigi Cherubini di Fi-
renze, in collaborazione con il Centro Studi Skrjabiniani di Bogliasco e con l’As-
sociazione Italia-Russia di Firenze1. Il Convegno, svoltosi dal 27 al 30 aprile 2015
presso la Sala del Buonumore del Conservatorio e nella splendida cornice di Villa
Bardini, ha visto alternarsi relazioni musicologiche e interpretazioni musicali dal
vivo. L’ultima giornata ha incluso anche la proiezione di un documentario e si è
conclusa con una maratona pianistica dei migliori allievi del Conservatorio, che si
sono avvicendati nell’esecuzione integrale dei Preludi, dall’op. 2 all’op. 74. L’esecu-
zione senza interruzione dei novanta Preludi ha consentito di ripercorrere in meno
di due ore l’intera parabola evolutiva del compositore e di constatare l’originalità
della sua ricerca armonica; un percorso mistico e metafisico, oltre che musicale,
che ricorda quello pittorico di Vasilij Kandinskij, proiettato anch’esso verso forme
sempre più astratte e geometriche, apparentemente sospese in un vuoto cosmico.
L’opera di Skrjabin viene generalmente suddivisa in tre periodi distinti e a cia-
scun periodo è stata dedicata una giornata di studio e approfondimento. Marco Ra-
petti, ideatore e organizzatore della manifestazione, ha voluto abbinare un colore a
1
Il termine светозвук [svetozvuk] è un neologismo coniato nel 1917 dal poeta simbo-
lista Konstantin Bal’mont in un saggio dedicato al Prometeo, il Poema del Fuoco, op. 60.
In questa sua ultima opera orchestrale, Skrjabin introdusse per la prima volta degli effet-
ti luce, rendendola di fatto una composizione multimediale ante litteram. Nel titolo del
saggio di Bal’mont, Svetozvuk v prirode i svetovaja simfonija Skrjabina (Il Suono-luce in
natura e la sinfonia luminosa di Skrjabin), l’espressione «svetovaja simfonija» viene spesso
tradotta in modo errato come «sinfonia dei colori». A questo proposito, è interessante no-
tare come i concetti di ‘luce’ e ‘colore’ siano espressi in russo con due termini quasi omo-
foni, СВЕТ [svet] e ЦВЕТ [cvet]: la loro somiglianza sembra sottolineare il collegamento
fra il fenomeno fisico delle radiazioni elettromagnetiche prodotte dallo spettro visibile e
il fenomeno percettivo del colore (e non va dimenticato che in russo, lingua estremamen-
te poetica, la parola ЦВЕТ, ‘colore’, significa anche ‘fiori’).
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
xiv Luisa Curinga, Marco Rapetti
ogni stile, e precisamente il nero, il bianco e il rosso, ovvero i colori identificati per
primi dalla mente umana2. «Negli scritti di Skrjabin», sottolinea Luigi Verdi, «la luce
svolge sempre un ruolo importante, ed è chiamata a simboleggiare, nel suo spettro
di colori, i singoli stadi dell’individuazione spirituale dell’uomo»3. Evocati in im-
portanti composizioni dell’ultimo periodo (Sonata n. 7 ‘Messe blanche’, Sonata n. 9
‘Messe noire’, Poema ‘Vers la flamme’) ed esaltati nei quadri suprematisti che Kazimir
Malevič dipingeva in quegli anni, il nero, il bianco e il rosso descrivono anche gli
stadi di trasformazione della materia secondo l’antica tradizione alchemica: nigredo,
albedo e rubedo. Con il titolo Opera al Nero abbiamo quindi definito il primo stile
skrjabiniano (1883-1901 ca.), con Opera al Bianco il secondo (1902-1907 ca.) e con
Opera al Rosso l’ultimo (1908-1914). L’Opera al Nero corrisponde alla fase decaden-
te di estremizzazione e disfacimento dell’estetica romantica e si concretizza nell’uso
di forme e stilemi di derivazione chopiniana, nell’uso frequente di tonalità mino-
ri e in un gigantismo sinfonico di stampo tardo-romantico. Nell’Opera al Bianco si
compie un processo di purificazione stilistica che porta alla nascita di un origina-
le linguaggio ritmico-armonico basato su accordi e concatenamenti più complessi.
Tale linguaggio, destinato a influenzare anche il jazz nei decenni a venire, si svilup-
pa parallelamente a una progressiva condensazione della forma, all’introduzione di
un nuovo genere, il ‘poema’, e all’impiego sempre più esclusivo di tonalità maggiori
e tempi veloci, finalizzati al raggiungimento di un’estatica luminosità sonora. L’av-
veniristica Tastiera Luce inserita nella partitura del Prometeo evidenzia la sintesi si-
nestesica a cui Skrjabin perviene nell’ultimo periodo, quello dell’Opera al Rosso. In
questa fase culminante della sua parabola stilistica e speculativa, la definizione del
celebre ‘accordo mistico’ e l’uso radicale di scale ottotoniche, acustiche ed esatona-
2
Definire ‘colori’ il bianco e il nero, come si sa, è abbastanza opinabile. Per il bianco biso-
gnerebbe parlare di ‘colore acromatico’, essendo la somma di tutti i colori dello spettro elettro-
magnetico. Per il nero, invece, secondo alcuni non andrebbe neanche usato il termine ‘colore’,
in quanto il nero indica l’esatto contrario, cioè l’assenza di colori. Ma è proprio l’etimologia di
‘colore’ a ingenerare un affascinante paradosso: il latino color -ōris risale infatti alla radice san-
scrita ‘kal-’ della parola kala, che significa ‘nero’. A rigor di termini, il colore sarebbe quindi
un oscuramento/occultamento della luce, cioè del bianco, che dei colori rappresenta la totali-
tà (vedi la stessa radice sanscrita nel verbo latino celare). La percezione di Skrjabin dei colori
era affine a quella di Kandinskij, il quale nel suo celebre testo Über das Geistige in der Kunst
(Dello spirituale nell’arte) definisce il nero «silenzio eterno della morte» e il bianco «silenzio
ricco di possibilità». A questo punto, non possiamo non citare un altro curioso paradosso, le-
gato questa volta a un aggettivo qualificativo che si usa ancora nella lingua ligure, ovvero l’in-
declinabile birulò. Derivato dal francese bariolé, ‘variopinto’, il termine ha assunto nel tempo
diversi significati: da ‘multicolore’ a ‘colore che è la somma di tutti i colori’ a ‘colore che non
esiste’. Quest’ultima connotazione è la più diffusa nell’uso popolare e per questo l’aggettivo
viene usato soprattutto a fini ironici. Nel birulò sembrano di fatto coincidere il bianco (tutti i
colori) e il nero (nessun colore), in una surreale coincidentia oppositorum.
3
L. Verdi, Kandinskij e Skrjabin. Realtà e Utopia nella Russia pre-rivoluzionaria,
Akademos & Lim, Lucca 1996, p. 77.
Introduzione xv
4
Il volume è purtroppo mancante del contributo di Claudio José Boncompagni,
compositore e docente al Conservatorio di Firenze, prematuramente scomparso nel 2016.
Boncompagni è stato un entusiasta sostenitore e protagonista del Convegno, nel corso del
quale aveva presentato la relazione Skrjabin il progressivo. Il volume intende anche essere
un commosso omaggio alla sua memoria.
5
Tra i numerosi studi di Luigi Verdi segnaliamo la fondamentale monografia
Aleksandr Nikolajevič Skrjabin, L’Epos, Palermo 2010.
xvi Luisa Curinga, Marco Rapetti
stante Skrjabin probabilmente le conoscesse appena, la sua forma mentis mostra sor-
prendenti affinità con le concezioni espresse nei testi sacri delle due antiche civiltà.
Segue un’ampia riflessione filosofica di Antonia Soulez inerente le Qualia (qua-
lità sonore), modulata sulla pionieristica ricerca sonora di Skrjabin. La componen-
te sinestesica presente nell’immaginario musicale del compositore viene messa in
relazione da Soulez con gli aspetti letterari, filosofici e psicologici del suo misti-
cismo, aspetti che è possibile riscontrare anche in alcuni illustri protagonisti del-
la scena musicale del secondo Novecento, quali Gérard Grisey e Giacinto Scelsi.
I contributi successivi ampliano l’orizzonte degli studi, inglobando figure che
gravitano a diverso titolo intorno all’autore del Prometeo. Questa sezione è aperta
da Andrei Bliznukov con un articolo che non ha finalità di ricerca, ma che si sof-
ferma sull’iconografia e sui gusti artistici del compositore, offrendo una succinta
panoramica della pittura russa di inizio Novecento.
Daniele Buccio presenta un saggio incentrato sulla divulgazione e la ricezione
dell’opera di Skrjabin in Europa avviata dal suo primo biografo Boris de Schloezer
e proseguita dalla figlia del compositore, Marina, occupandosi inoltre delle rifles-
sioni estetiche e storiografiche che i due studiosi raccolsero nel volume Problèmes
de la musique moderne.
Le ricadute ideali e musicali della poetica skrjabiniana in Europa si protras-
sero fino alla metà del Novecento grazie ai compositori russi della generazione di
Obuchov, Čerepnin (padre e figlio), Lourié, Vyšnegradskij e Markevič che emi-
grarono in due ondate, soprattutto a Parigi. Il saggio di Luisa Curinga affronta
questa tematica, indagando anche le modalità attraverso cui il pensiero teosofico
skrjabiniano si innestò nelle tradizioni esoteriche occidentali.
I rapporti che legano Skrjabin al mondo del jazz sono ancora piuttosto trascura-
ti (va ricordato che il termine jazz ha iniziato a definire un preciso genere musicale
proprio intorno al 1915, anno di morte del compositore). Numerosi jazzisti del secon-
do dopoguerra, da Bill Evans a Chick Corea, hanno dichiarato di essersi ispirati al
linguaggio armonico skrjabiniano. In effetti, l’influsso di Skrjabin, che si era esibito
negli Stati Uniti nel 1906-1907, si è propagato oltreoceano a partire dagli anni Trenta
soprattutto grazie all’attività didattica di Joseph Schillinger, il quale ha influenzato ge-
nerazioni di compositori americani, come sottolinea Renato Strukelj nel suo elaborato.
Un anno prima della sua tournée americana, Skrjabin si era trasferito in Ligu-
ria insieme alla sua nuova compagna, Tat’jana de Schloezer. A Bogliasco nasce-
rà la figlia Ariadna e verrà composto il Poema dell’estasi. Proprio nel suggestivo
borgo marinaro vicino a Genova è stata fondata nel 1991 l’Associazione Bogliasco
per Skrjabin, poi divenuta Centro Studi Skrjabiniani. Uno dei suoi membri fon-
datori nonché attuale vice-presidente, Francesca Sivori, rievoca nel suo racconto
il soggiorno ligure del compositore, elencando successivamente le numerose ma-
nifestazioni svoltesi sotto l’egida dell’Associazione nell’arco di 27 anni di attività.
Ringraziamenti
Desideriamo esprimere la nostra gratitudine al Conservatorio Luigi Cherubini
di Firenze per aver reso possibile la realizzazione del Convegno e la pubblicazione
del presente volume; in particolare, ringraziamo Flora Gagliardi e Paolo Zampini,
che si sono succeduti alla direzione dell’Istituzione.
Ringraziamo inoltre la Fondazione Cianti-Orselli per la partecipazione al pro-
getto editoriale; Andrei Bliznukov, Igor Polesitsky, Jeffrey Thickman, Sara Rosen-
man e Suzanne Daumann per i preziosi suggerimenti e la supervisione linguistica,
nonché gli studiosi che hanno effettuato la peer review.
Un particolare ringraziamento va a due esponenti emeriti della cultura russa,
Aleksandr I. Lazarev e Valentina M. Kol’nikova, rispettivamente direttore e curatri-
ce del Museo Skrjabin di Mosca, oltre che al personale che opera nella casa-museo.
Ringraziamo inoltre la casa editrice Robert Laffont di Parigi per aver gentil-
mente concesso la riproduzione parziale del testo di Guy Sacre.
Grazie, infine, a Wolfgang Schweizer per l’autorizzazione a riprodurre il suo
dipinto intitolato Scriabin, nel quale sembrano rivivere i colori del Prometeo e le
forme biomorfe di Kandinskij6.
6
Il modo in cui Schweizer contrappone rosso e blu non sembra casuale: questi due
colori primari stanno agli estremi dello ‘schema musico-cromo-logico’ di Skrjabin e cor-
rispondono alle note Do e Fa diesis, distanti un tritono. Sia i dodici suoni della scala cro-
matica sia lo spettro dei colori immaginato dal compositore risultano così divisi in due
parti simmetriche. A proposito del rosso, va ricordata l’importanza che tale colore riveste
da sempre nell’immaginario russo, tanto da identificarsi con il concetto stesso di bellez-
za: vedi la relazione fra gli aggettivi krasnyj, ‘rosso’, e krasivyj, ‘bello’. Su una triade ‘rossa’
di Do maggiore si conclude significativamente il Poema dell’estasi. Per quanto riguarda il
blu, bisogna sottolineare che si tratta di un colore molto più ambiguo da definire, e non
sorprende che proprio sulle varietà di blu Skrjabin ebbe grandi ripensamenti nella sua ta-
bella di corrispondenze fra suoni e colori. Il russo utilizza due termini per distinguere la
tonalità scura (sinij) da quella chiara (goluboj). Tale distinzione si ritrova anche in italia-
no: azzurro, ciano, celeste e turchese definiscono con varie sfumature la fascia cromatica
compresa fra l’indaco e il verde. Nelle altre principali lingue europee si tende piuttosto a
utilizzare un solo termine generico, modificandolo mediante attributi e apposizioni; a se-
conda della latitudine, troviamo quindi una significativa preponderanza del ‘blu’ (france-
se, inglese, tedesco e lingue scandinave) o dell’‘azzurro’ (spagnolo e portoghese). Su una
triade ‘blu’ di Fa diesis maggiore si conclude programmaticamente il Poema del fuoco.
In questo senso Skrjabin sembra rifarsi alla radice proto-indoeuropea del termine ‘blu’,
bhle-was, poi assorbita nel germanico blēwa-blāo: tale radice indicava la luce in senso
lato, piuttosto che un colore specifico. Questo concetto troverà espressione attraverso il
termine blank, da cui deriva l’italiano ‘bianco’. Anche biavo/biado deriva dalla medesima
radice e si riferisce a una tonalità chiara di blu, affine al celeste. Caduto ormai in disuso,
il termine sopravvive soltanto nell’aggettivo ‘sbiadito’.
Nota dei curatori
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
На cмерть А.Н. Скрябина
Валерий Яковлевич Брюсов
(1873-1924)
Сонет
(1915)
In morte di A.N. Skrjabin
Valerij Jakovlevič Brjusov
(1873-1924)
Sonetto
This article is a translated excerpt of the extended chapter that Guy Sacre dedi-
cated to Scriabin in the second volume of his encyclopedia La Musique de Piano,
Dictionnaire des compositeurs et des oeuvres, Éditions Robert Laffont, Paris 1998,
pp. 2616-2674. Due to constraints of space, the editors decided only to include the
general description of the genres used by the composer in his piano music (prelude,
etude, mazurka, etc.), without the detailed analysis of each individual work and of
the following single compositions: Allegro Appassionato op. 4 – Nocturnes op. 5 –
Prelude and Nocturne for the left hand op. 9 – Concert Allegro op. 18 – Polonaise op.
21 – Fantasy op. 28.
Эта статья, переведенная с французского языка, взята из расширенного
варианта главы, которую Ги Сакр посвятил Скрябину во втором томе его
энциклопедии La Musique de Piano, Dictionnaire des compositeurs et des oeuvres,
Éditions Robert Laffont, Париж 1998, сс. 2616-2674. В связи с ограниченным
числом страниц имеющихся в распоряжении, выбор издателей пал на общее
описание и характеристику жанров, которыми композитор пользовался в
своей фортепьянной музыке (прелюдия, этюд, мазурка и т.д.), без детального
анализа каждого отдельного произведения и следующих сочинений: Аллегро
Аппасионато соч. 4 – Ноктюрны соч. 5 – Прелюдия и Ноктюрн для левой
руки соч. 9 – Концерт Аллегро соч. 18 – Полонез соч. 21 – Фантазия соч. 28.
Non è possibile immaginare musicisti più diversi di quei due condiscepoli che
furono Skrjabin e Rachmaninov. I talenti di quest’ultimo sono tanto numerosi
quanto i suoi gusti: scrive bene sia melodie di successo che cori liturgici, il piano-
forte non lo allontana dall’orchestra ed è un abile orchestratore, è appassionato
di folclore e rivendica la propria russicità. Infine e soprattutto, sa bene fin dove si
può spingere, lusinga il pubblico e gli regala un’arte molto più accessibile di quanto
sia sincera. Il suo amico, al contrario, non si interessa per molto tempo che al pia-
noforte, al quale lo lega una relazione privilegiata e quasi morbosa; coltiva l’arte
del piacere sonoro e si propone di essere il prosecutore di Chopin scrivendo pezzi
brevi di perfezione ineguagliabile, nei quali l’armonia delicata, la dizione raffina-
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
2 Guy Sacre
ta non sembrano destinate che agli happy few. Rachmaninov avrebbe finito per
imprigionarsi in uno stile, cessando quasi di scrivere e lasciando trasparire nel
suo esilio dorato e glorioso un’incontenibile malinconia. Skrjabin, al contrario,
avrebbe continuato ad avanzare verso regioni nuove e, senza mai rinnegare i suoi
primi amori, avrebbe creato con i suoi pezzi un universo musicale unico nel suo
genere, commisto di filosofia e misticismo, un mondo conchiuso e solitario che
la sua morte prematura, all’alba di sconvolgimenti storici, avrebbe reso fragile e
privo di una vera discendenza.
Non si parla mai dello stesso Skrjabin: ciascuno ha il proprio, che ritiene al di
sopra degli altri. Io farò altrettanto, cominciando con quello che mi coinvolge me-
no. È lo Skrjabin del terzo periodo (dopo il 1908), il veggente e mistagogo, quello
la cui testa è sempre più ingombra di speculazioni e le cui partiture sono sempre
più ingombre di letteratura delirante – il solo Skrjabin, in verità, oggi di moda.
Non si tratta di criticare la sua dottrina (per quanto si possa applicare alla musica
ciò che Valéry diceva della poesia, e cioè che «filosofare in versi è voler giocare a
scacchi seguendo le regole della dama»), né di rimproverargli di aver aggiunto ad
alcune opere, con una certa falsità, delle suggestioni letterarie costruite a poste-
riori (si vedano l’inutile farragine che imparrucca la Terza Sonata e le indicazioni
tardive che infiorettano il Concerto per pianoforte e orchestra), ancor meno si tratta
di contestare la sua musica. Ma bisogna deplorare i limiti angusti e altezzosi entro
cui il compositore ha condotto tale dottrina.
Alla moda, come potrebbe non esserlo? C’è tutto quel che serve per épater les
naïfs: innanzitutto, la sua pseudo-modernità. Questo accordo ‘prometeico’, ma
quanta eleganza! E le teorie sulle sue scale esa- epta- octofoniche – alle quali lui stes-
so rimase totalmente estraneo! Alla sua morte, tuttavia, c’è chi continua a impilare
le sue quarte, quando certi compositori sono già pervenuti alla politonalità; piani-
sticamente resta invischiato nei suoi arpeggi chopiniani, quando altri martellano
la tastiera a tutta forza con i pugni serrati.
Esagero. Nessuno avrebbe mai l’idea ridicola di mettere in dubbio la radiosa
bellezza di tante composizioni dell’ultimo Skrjabin e a qualcuna (il Poème-Noc-
turne!) ci si avvicina attoniti e col cuore tremante. Anche a lui, mutatis mutandis,
è successo come all’ultimo Mallarmé: poco a poco si è ritrovato murato in un lin-
guaggio ristretto che non gli lasciava altra possibilità che ripetersi. L’ultimo Skrja-
bin crede di compensare attraverso il ritmo l’immobilismo armonico e melodico,
popolato da trilli e canti di uccelli, mentre troppa sottigliezza ritmica (vedi lo stesso
fenomeno in Messiaen), unita a troppo rubato, finisce per affogare il ritmo stesso,
per soffocarne l’essenza. A che pro? Aver scritto così a lungo, e così da giovane,
una tale mole di temi meravigliosi e di armonie sconvolgenti, per poi rinunciarvi
nel nome di una missione ingrata – che strano destino!
Il secondo Skrjabin (dalla Quarta alla Quinta Sonata, ovvero dal 1903 al 1908)
è appassionante da seguire, laddove, insieme a una profusione sempre crescente di
indicazioni poetiche, compare la forma pianistica del poème, il tritono guadagna
L’opera pianistica di Skrjabin 3
1. I Preludi
Distribuiti lungo tutto l’arco della sua produzione, dall’op. 2 all’ultima op. 74,
i Preludi riassumono l’arte e l’evoluzione di Skrjabin con meno note che le Sona-
te. Infatti, accanto alla loro stringata concisione, al loro rigore formale, alla loro
profondità, le Sonate paiono magniloquenti, gli Studi scarmigliati, gli Improvvisi
incorreggibilmente frivoli. Non era affatto sufficiente che Chopin, come si è detto,
4 Guy Sacre
fosse la sua bibbia: occorreva anche che ne seguisse i precetti, il più esigente dei
quali è la durata. Skrjabin è un genio della forma preludio, nella quale giunge a es-
sere più lapidario, più essenziale dello stesso Chopin nei suoi preludi più corti. Più
tardi, quando si sarà allontanato da questo fratello maggiore tanto amato, quando
si sarà sforzato di rompere gli ormeggi l’uno dopo l’altro per navigare in un mare
avventuroso, gli resterà di Chopin, oltre a qualche tratto pianistico e qualche con-
torno di frase, il gusto per ciò che è allusivo, breve, istantaneo.
2. Gli Studi
Costituiti da tre grandi raccolte e da qualche pagina isolata, gli studi sono di-
stribuiti in ciascuno dei tre periodi. Come Chopin, e tanto precocemente quanto
lui, Skrjabin scrive degli studi. Non si tratta né di imitazioni né di esercizi di stile.
Nonostante il modello, in questo ambito in particolare, sia insuperabile – benché
la sua influenza si faccia sentire più a lungo, più tirannicamente che nel genere
del preludio – questi studi formano un insieme magnifico, in cui certi brani non
hanno nulla da invidiare agli studi più belli di Chopin. Ma è chiaro che li compo-
ne più per la sua gloria che per quella del pianoforte. La tecnica strumentale è nel
contempo più personale e più limitata. Lo Chopin delle opp. 10 e 25 trabocca d’in-
venzione, d’ingegnosità, ma soprattutto di gratuità. Skrjabin, a forza d’imprimere il
suo marchio nei suoi studi, finisce per renderli poco adatti al consumo corrente. In
molti di essi, ad esempio, un’orgogliosa, per non dire sprezzante, parte della mano
sinistra scoraggerà i migliori propositi. Si tratta di studi che non tengono in con-
siderazione le terminazioni digitali. Non si ripeterà mai abbastanza quanto quelli
di Chopin, al contrario, rispettino le dita nel momento stesso in cui le esaltano.
3. Le Mazurche
Il genere della mazurca non è sopravvissuto a lungo, nel caso di Skrjabin, all’in-
flusso di Chopin. Quello del preludio, invece, ha avuto più fortuna, accompagnan-
dolo fino all’ultimo numero d’opera. A parte due pezzi di gioventù senza numero
d’opera, le sue Mazurche formano tre raccolte, distanti dieci e poi cinque anni:
opp. 3, 25 e 40. È vero che la maggior parte degli Improvvisi dissimulano in real-
tà delle mazurche, così come certi Preludi, tra cui il terzo dell’op. 22, per citarne
uno. Questa vena appartiene solo al primo Skrjabin e risente inevitabilmente del
suo modello e del suo salotto con alcune eccezioni: si vedano in particolare le due
mazurche in Mi bemolle minore. Si tratta di un’inclinazione che ha dei limiti di
stile e d’espressione: come potrebbe seguirlo nella sua ricerca mistica? In compen-
so, lo spirito stesso della Danza (con la D maiuscola!) non solo non l’abbandona
ma penetra poco a poco tutta la sua musica, fino alle Danze op. 73: pensiamo alla
danse délirante che conclude la Sesta Sonata, o a certi titoli del terzo periodo, la
Danse languide (op. 51 n. 4) e la Caresse dansée (op. 57 n. 2).
L’opera pianistica di Skrjabin 5
4. Gli Improvvisi
Skrjabin prende in prestito da Chopin il termine ‘improvviso’ piuttosto che la
sua sostanza: dei suoi nove improvvisi, sei in realtà sono mazurche, dichiarate o
meno. Le ultime sono pubblicate nel 1897: di tutti i generi in cui ha seguito pas-
so passo le orme del suo predecessore, l’improvviso è quindi quello abbandona-
to per primo. Più esattamente, il compositore ha trasposto lo spirito d’avventura,
la fantasia, la libertà e l’approssimazione che lo caratterizza in una forma per lui
più alta, il poème. Gli Improvvisi non si suonano quasi mai, e a torto: la musica da
salotto ha i suoi gioielli, toccati da un dito di fata. Anche il meno importante di
questi pezzi ne fa parte, mentre i migliori (op. 12 n. 1, op. 14 n. 2) non hanno nulla
da invidiare ai Preludi della stessa epoca, tranne la brevità.
5. I Valzer
A rigor di termine, i Valzer sono cinque, disseminati fra il 1885 e il 1906 in di-
versi periodi della vita di Skrjabin. Ma l’ossessione del metro ternario in generale,
e della danza in particolare, è percettibile attraverso tutta la sua opera. Non solo
un buon numero di Mazurche ma anche dei Preludi e dei Poemi ‘valzereggiano’
in maniera evidente (citiamo solo un esempio: Caresse dansée, primo dei Pezzi op.
51). Purificato, trasformato, non è forse nuovamente il valzer che, in qualche mo-
do, traduce l’«ebbrezza» e l’«estasi» alla fine della Decima Sonata?
6. I Poemi
Un gran disordine regna in questo gruppo di opere. Il loro numero, tanto per
cominciare, non è chiaro: quindici pezzi ripartiti in dieci numeri d’opera portano
questo titolo generico, ma bisogna aggiungervi le due Danze op. 73 e soprattutto
una buona parte dei Morceaux (non meno di tredici), il che porta il totale a tren-
ta. Ma si tratta veramente di un numerus clausus? Chi, infatti, saprebbe definire
questa semplice e bella parola, ‘poema’, che appare soltanto a partire dallo Skrja-
bin del secondo periodo, in quell’anno 1903 in cui spicca la Quarta Sonata, e che
in seguito non cessa di essere utilizzata? È evidente che il compositore la abbia ri-
servata a pezzi di una certa ampiezza: ‘poema’ sarebbe per lui quello che ‘ballata’
è per Chopin. È il caso soltanto di quattro pezzi: Poème tragique e Poème satani-
que del 1903, Poème-Nocturne e Vers la flamme del 1912 e 1914. Gli altri constano
di due o tre pagine e talvolta di una pagina appena; nulla allora li differenzia dai
Preludi della stessa epoca, con i quali condividono non solo la concisione, la con-
6 Guy Sacre
7. I Pezzi
I Pezzi sono ventuno, inegualmente suddivisi in sette raccolte e databili all’in-
circa tra il 1905 e il 1908, gli anni che culminano con la Quinta Sonata e il Poema
dell’Estasi; vi aggiungeremo, per comodità, anche lo Scherzo op. 46 e il Feuillet
d’album op. 58. Sotto questo titolo impersonale, Morceaux, i sottotitoli rivelano
se si tratta di studi, preludi o poemi, che lo spirito del momento ha mescolato.
Nonostante ciò, i pianisti dovranno rispettare questo capriccio dell’autore, senza
smembrare tali raccolte prelevandovi vuoi un Poème fantasque, vuoi una Danse
languide. C’è poca distanza, è vero, fra l’una e l’altra di queste categorie e tutto di-
venta ‘poema’, per così dire, agli occhi di Skrjabin; tuttavia il compositore metteva
nella sua terminologia una certa sottigliezza che possiamo cercare di osservare.
8. Le Sonate
Chi ha dimestichezza solo con i Preludi di Skrjabin, a qualunque periodo ap-
partengano, non può immaginarsi come abbia potuto scrivere delle sonate altret-
tanto pregevoli. Skrjabin ci lascia invece dieci eccellenti Sonate (senza contare i
saggi di gioventù), scaglionate lungo la sua breve vita: tre nel primo periodo, due
nel secondo, cinque nell’ultimo. Questo maestro dell’immediatezza e quasi dell’ef-
fimero, capace di dire l’essenziale in poche battute, non era affatto disorientato in
uno spazio più ampio, al contrario di Schumann, altro specialista del fugace. Ve-
nerava la sonata, sia il genere che la forma, e sentendo di averne l’estro cominciò
a comporre numerosi brani: quattro movimenti nella Prima e nella Terza, vere e
proprie sonate romantiche, assolutamente perfette, trascinate da un medesimo
slancio. Ben presto, tuttavia, avendo avuto la prova di essere un maestro di que-
sta forma, rinunciò a tali ampiezze. La Quarta Sonata (1903), che apre l’era della
L’opera pianistica di Skrjabin 7
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
10 Marco Rapetti
Il corpus delle sonate per pianoforte costituisce uno dei manifesti più esausti-
vi dell’evoluzione stilistica di Skrjabin, un’evoluzione così straordinaria per am-
piezza, originalità e coerenza da potersi paragonare per certi aspetti a quella di
Beethoven, nonostante il minor numero di opere distribuite lungo un arco tem-
porale più ristretto. Due iter creativi, quello del genio di Bonn e quello del genio
moscovita, che riflettono momenti storici epocali: se attraverso la sonata pianisti-
ca di Beethoven si assiste al passaggio dal classicismo tardo settecentesco all’Ot-
tocento romantico, le sonate di Skrjabin ci proiettano dal tardo romanticismo
ottocentesco verso la proteiforme modernità del Novecento1. Come scrive Marco
Alunno, «Skrjabin è erede di Beethoven, di Chopin, di Liszt, è vero, ma è anche
la loro estremizzazione, l’ultimo strappo che precede la rottura della corda»2. Le
1
Ai tempi in cui era studente al Conservatorio di Mosca, Skrjabin aveva deciso di
imparare a memoria tutte le sonate di Beethoven in vista dell’esame finale, ma aveva in-
terrotto il progetto a metà dichiarando che la musica di tale «uomo muscoloso tutto bici-
piti» lo annoiava. All’esame venne presentata solo l’op. 109. Skrjabin citato in F. Bowers,
Scriabin, Dover Publications Inc., Mineola 19962, p. 149.
2
L. Verdi, Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, L’Epos, Palermo 2010, p. 197.
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 11
dieci sonate pubblicate fra il 1895 e il 1913 inaugurano la tanto tardiva quanto ri-
gogliosa fioritura della sonata pianistica in Russia3, dove sia il genere sia la forma
continueranno a essere ampiamente rivisitati fino ai nostri giorni4. Anche il ciclo
sonatistico skrjabiniano, come quello beethoveniano, è stato suddiviso dagli stu-
diosi in tre periodi; una tripartizione per certi aspetti discutibile, ma che aiuta ad
analizzarne il complesso percorso di sviluppo5:
3
Gli unici esempi precedenti di qualche rilevanza, nonostante il loro stile magnilo-
quente ed epigonico, sono le quattro sonate di Anton Rubinštejn (1848-1877). Più origi-
nale, per quanto considerata dal suo autore un’opera minore, è la grande Sonata in Sol
maggiore op. 37 di Čajkovskij (1878). La Sonata in Si bemolle minore di Balakirev, iniziata
nel 1855-1856, fu completata e pubblicata soltanto nel 1905. La prima versione di questo
lavoro, priva di movimento finale, è apparsa postuma nel 1951. Le due versioni vengono
talvolta erroneamente menzionate come Sonata n. 1 e n. 2.
4
Basti pensare ai grandi cicli di Medtner (14 sonate composte fra il 1902 e il 1937),
Prokof’ev (9 sonate, 1907-1947), Mjaskovskij (9 sonate, 1907-1949), Aleksandrov (14 sona-
te, 1914-1971), Fejnberg (12 sonate, 1915-1961), Polovinkin (5 sonate, 1924-1929), Golubev
(10 sonate, 1930-1977), Ustvol’skaja (6 sonate, 1947-1988), Tiščenko (11 sonate, 1957-2008)
e Kapustin (20 sonate, 1984-2011). Innumerevoli sono inoltre i compositori che dagli ini-
zi del Novecento hanno lasciato almeno un paio di sonate per pianoforte, come Glazu-
nov, Kalafati, Rachmaninov, Bortkevič, Stančinskij, Mosolov, Roslavec, Protopopov,
Drozdov, Akimenko, Šaporin, Grečaninov, Ščerbačëv, Šostakovič, A. Čerepnin, Šebalin,
Kabalevskij, Ščedrin e Šnitke. Una nota a parte va fatta per Lev Ornstein, ebreo-ucraino
nato sotto l’impero zarista ma vissuto soprattutto negli Stati Uniti, dove è morto nel 2002
a 107 anni. La prima sonata (non pervenuta) del compositore più longevo della storia fu
composta alla fine degli anni Dieci mentre l’ottava e ultima nel 1990.
5
Se si include nel ciclo anche la Sonata in Mi bemolle minore, oggetto d’indagine del
presente saggio, la successione delle sonate skrjabiniane si delinea come una geometria
perfettamente simmetrica, ovvero come una parabola al cui vertice si staglia la Quinta,
cioè l’ultima sonata a riportare delle alterazioni in chiave. Sul lato destro si situano le pri-
me cinque sonate, che potremmo definire ‘essoteriche’, mentre sul lato sinistro troviamo
le cinque ‘esoteriche’ della maturità.
12 Marco Rapetti
Le sonate del primo periodo, in più movimenti, rappresentano una sintesi dei
modelli di sonata romantica post-beethoveniana che si rifanno principalmente a
Chopin, Schumann e Brahms. L’influsso lisztiano diventa più sensibile nelle so-
nate del secondo e terzo periodo, dove si assiste a una condensazione della dia-
lettica tematica in un’unica gittata temporale basata su proporzioni matematiche
precisamente calcolate6. Nel contempo il linguaggio armonico procede verso un
progressivo allontanamento dal sistema tonale maggiore-minore e verso l’estremo
potenziamento della tensione di dominante che, lasciata forzatamente non risol-
ta, crea un vertiginoso senso antigravitazionale. L’uso idiomatico di scale-accordo
simmetriche7, dalle quali si ingenera tutto il materiale tematico, porta quindi all’a-
bolizione delle consuete demarcazioni fra verticalità e orizzontalità, anticipando
tecniche compositive sfruttate più tardi nel jazz e nella musica seriale.
1. Le sonate giovanili
Anche Skrjabin, come Beethoven, si cimentò in maniera assidua con la forma-
sonata fin dai primi anni di apprendistato compositivo, quando era ancora un ra-
gazzino8. I primi abbozzi di sonate per pianoforte risalgono al 1884, anno in cui il
musicista dodicenne aveva iniziato privatamente gli studi di armonia e contrap-
punto sotto la guida rigorosa di Sergej Taneev, con il quale proseguirà più tardi
gli studi in conservatorio9. A quell’epoca Skrjabin era un gracile cadetto dell’Ac-
cademia militare e un suo compagno, Leonid Limontov, ricorda di avergli sentito
eseguire una Sonata in Fa maggiore di cui però non resta traccia10. Nel 1886 venne
portata a termine la Sonata-Fantasia in Sol diesis minore, un’opera di gusto pretta-
6
Una caratteristica inusuale che ritroviamo nella Sesta, Settima, Ottava e Decima
Sonata è l’aggiunta di una seconda sezione di sviluppo dopo la ripresa. Per quanto riguar-
da la Quarta Sonata, va ribadito che non si tratta di una sonata in due movimenti, come
spesso si afferma, ma di un unico movimento con ampia introduzione lenta.
7
Vedi soprattutto le scale ottotoniche e la scala esatonale, legate rispettivamente alla
tetrade diminuita o semi-diminuita e alla triade aumentata. Ricordiamo che soltanto nel
1968, grazie alla pubblicazione del fondamentale testo di Varvara Pavlovna Dernova,
Garmonija Skrjabina (Muzyka, Leningrado), si è cominciato a decifrare e a comprendere
il sistema di costruzione melodico-accordale dell’ultimo Skrjabin.
8
Le tre Sonate WoO 47, soprannominate Kurfürstensonaten, furono composte fra il
1782 e il 1783, quando Beethoven aveva 12-13 anni.
9
Soprannominato da Čajkovskij ‘il Bach russo’, Taneev fu il massimo esperto di con-
trappunto in Russia e un musicista fra i più eruditi del suo tempo. Morì in seguito a una
polmonite contratta durante il funerale di Skrjabin, il 16 aprile 1915. Maestro e allie-
vo sono sepolti nel cimitero di Novodevičij accanto a Nikolaj Rubinštejn, fondatore del
Conservatorio di Mosca.
10
Limontov, più tardi diventato attore, riporta il primo tema di questa sonata nelle
sue memorie pubblicate nel 1940. Difficile, se non impossibile, è verificare l’attendibilità
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 13
Figura 1 – Prima pagina del manoscritto autografo della Sonata-Fantasia in Sol diesis
minore op. postuma.
di tale testimonianza. Cfr. Christoph Flamm, Prefazione all’edizione Urtext delle Sonate
di Skrjabin, Bärenreiter, Kassel 20142, pp. VI-VII (I ed. 2011).
14 Marco Rapetti
Figura 2 – Nikolaj Zverev con i suoi allievi nel 1886. Skrjabin è il primo seduto a sinistra,
Rachmaninov il secondo in piedi da destra.
Adolf von Henselt (1814-1889), allievo di Hummel a Weimar, fu uno dei più celebri
11
pianisti-compositori del suo tempo. Nel 1838 si trasferì a San Pietroburgo dove visse per
quasi mezzo secolo, influenzando profondamente lo sviluppo della nascente scuola piani-
stica russa (l’anno prima era morto a Mosca John Field, altro fondamentale protagonista
nella storia del pianismo russo). Il Concerto in Fa minore op. 16, pubblicato nel 1846, ac-
quistò presto una notevole popolarità. Oggi è completamente scomparso dal repertorio.
12
Tra i compagni di Skrjabin in casa Zverev si trovavano, oltre a Rachmaninov, altre
promesse del pianismo russo: Aleksandr Gol’denvejser (1875-1961), Leonid Maksimov
(1873-1904), Fjodor Keneman (1873-1937).
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 15
2. La Sonata n. 0
Definita da vari studiosi Sonata n. 0 in virtù della sua importanza nel ciclo sona-
tistico skrjabiniano, la Sonata in Mi bemolle minore si compone di tre movimenti, e
rappresenta la prima composizione di ampie dimensioni portata a termine dall’au-
tore, fatta eccezione per alcuni passaggi su cui mi soffermerò più avanti. Anche in
questo caso si tratta di un brano in tonalità minore caratterizzato da una vena pateti-
ca e da una veemenza espressiva tipiche del tardo romanticismo russo15. A differenza
della Sonata-Fantasia, non ci troviamo più di fronte all’opera di un epigono ma alla
prima composizione irrefutabilmente skrjabiniana. Nel gennaio del 1888 Aleksandr
era entrato al Conservatorio di Mosca per studiare composizione e proseguire lo
studio del pianoforte con il celebre pianista e direttore d’orchestra Vasilij Safonov
(1852-1918). Questi, nominato di lì a poco direttore del Conservatorio, dichiarò di
non avere nulla da insegnare al nuovo allievo: i primi studi con Georgij Konjus16 e i
13
Anche la sonata giovanile di Čajkovskij, composta nel 1865 e pubblicata postu-
ma da Taneev come op. 80, fu scritta nella tonalità di Do diesis minore. Čajkovskij ri-
utilizzò un movimento del brano, lo Scherzo, integrandolo nella Prima Sinfonia op. 13
(1866-1868).
14
Cfr. Prefazione dell’edizione Urtext Bärenreiter, cit., pp. XXIV-XXV. In questa re-
cente edizione sono pubblicati per la prima volta anche i frammenti di una Quarta [sic]
Sonata in Sol diesis minore risalenti al 1892 e custoditi al Museo Glinka di Mosca. Di
un’altra Sonata in Sol minore menzionata da Skrjabin in un elenco di composizioni gio-
vanili non è pervenuto nulla.
15
Uno degli elementi che distinguono l’evoluzione linguistica skrjabiniana è il gra-
duale abbandono delle tonalità minori e l’identificazione della luce e dell’estasi con la
triade maggiore, che ritroviamo come momento di catartica apoteosi alla fine del Poema
dell’estasi e del Poema del fuoco. In entrambi i casi, la colossale tensione armonica ac-
cumulata per oltre venti minuti si libera finalmente su una triade, rispettivamente di
Do maggiore e Fa diesis maggiore, in una sorta di travolgente orgasmo multisensoriale.
Secondo la concezione sinestesica di Skrjabin, le due tonalità corrisponderebbero ai colo-
ri rosso e blu. Vedi nota 6 dell’Introduzione al presente volume.
16
Georgij Eduardovič Konjus (1862-1933) fu il primo vero insegnante del piccolo
Skrjabin, che gli venne affidato durante l’estate del 1883. Pianista e compositore raffi-
natissimo, oggi purtroppo dimenticato, fu ammirato da Taneev, Arenskij e soprattutto
16 Marco Rapetti
tre anni passati come discepolo di Zverev ne avevano forgiato e fatto fiorire il pro-
digioso talento. Che a sedici anni Skrjabin fosse già un pianista eccelso si evince
dalla complessità esecutiva della Sonata, la cui densa scrittura di tipo orchestra-
le evidenzia l’influsso del modello čajkovskiano, la Sonata in Sol maggiore op. 37,
apparsa nel 1879. Affermatosi fin da subito negli ambienti del Conservatorio come
strumentista, Skrjabin desiderava soprattutto essere apprezzato come composito-
re, e non soltanto di eleganti pezzi di carattere: da caparbio adolescente qual era,
voleva padroneggiare la grande forma. Sicuramente la Sonata venne discussa ed
eseguita in presenza dell’amico Emil’ Rozenov, ma viene spontaneo chiedersi se sia
mai stata sottoposta al giudizio di Safonov, Konjus e Taneev o a quello, ugualmen-
te severo ma più malevolo, di Anton Arenskij, col quale Skrjabin stava studiando
in quel periodo composizione. In effetti, segni e cancellazioni presenti nel mano-
scritto potrebbero essere stati apposti da uno dei suoi insegnanti o dallo stesso
Rozenov, più anziano di undici anni. Secondo la musicologa Valentina Rubcova,
l’autore non mostrò mai la Sonata ad Arenskij17; i rapporti con quest’ultimo, di
fatto, restarono sempre tesi, tanto che Arenskij nel 1892 si rifiuterà di assegnare al
suo allievo più geniale il diploma finale di composizione18. Sempre secondo Rub-
cova, tutte le sovrascritture a matita vanno considerate come ripensamenti dello
stesso Skrjabin19. Tuttavia, un’attenta analisi grafologica dimostra che, almeno per
quanto riguarda i segni aggiunti con inchiostro rosso, si tratta indiscutibilmente
di mano diversa da quella del compositore20.
Čajkovskij. Alcuni elementi del suo stile pianistico sembrano anticipare Skrjabin, come
aveva già rilevato a suo tempo il celebre musicologo e compositore Leonid Sabaneev
(1881-1968). Nel 2018 è uscito il primo cd dedicato all’opera pianistica di Konjus, regi-
strato da Jonathan Powell per Toccata Classics. Konjus apparteneva a una famiglia di
noti musicisti di origini franco-italiane: il fratello Lev, anch’egli pianista, si occuperà
più tardi di trascrivere per due pianoforti il Poema divino e il Poema dell’estasi.
17
Similmente al suo maestro Rimskij-Korsakov, neanche Arenskij si cimentò mai
con la sonata pianistica, dedicando al pianoforte soltanto una cospicua serie di pezzi bre-
vi da cui traspaiono il suo magistero contrappuntistico e il suo gusto raffinato, inseriti in
uno stile piuttosto convenzionale.
18
Come scrisse Jurij Engel’, critico musicale e biografo di Skrjabin, «avvenne così
che questo compositore che aveva portato siffatta gloria alla sua alma mater non rice-
vesse mai un diploma di composizione. Questo stesso Conservatorio ha onorato da al-
lora decine di altri musicisti il cui nome non ci dice più nulla». Engel’ citato in Bowers,
Scriabin, cit., p. 154.
19
Ringrazio il Museo Skrjabin di Mosca per aver fatto da tramite con Valentina
Rubcova, autrice di un’importante monografia (A.N. Skrjabin, Muzyka, Mosca 1989) e di
varie pubblicazioni dedicate a Skrjabin.
20
L’uso di inchiostro rosso per ribadire alterazioni poco chiare o legature mancanti si
ritrova solo nel secondo movimento, sebbene anche negli altri siano presenti errori e tra-
sandatezze grafiche.
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 17
21
La proverbiale distrazione del giovane Skrjabin e la sua mancanza di accuratezza
nel copiare le composizioni da pubblicare fu fonte di tensioni e battibecchi, soprattutto
con il meticoloso Rimskij-Korsakov e con l’editore Beljaev.
22
Pur con le riserve dovute al limitato materiale autografo da analizzare, la grafolo-
ga Maria Teresa Morasso ha individuato nella grafia di Skrjabin il cosiddetto ‘riccio del
soggettivismo’, ovvero un tratto che evidenzia una struttura caratteriale volta all’afferma-
zione di sé e a una forte presa di distanza dal mondo circostante. Altri tratti della grafia
skrjabiniana svelerebbero una costante ricerca di ‘saturazione affettiva’ – riconducibile
alla perdita della madre al momento della nascita e all’assenza del padre – nonché a un
carattere disciplinato e dotato di estremo autocontrollo ma, nel contempo, ipersensibile
e suscettibilissimo, come in effetti era Skrjabin. (Comunicazione personale all’autore del
febbraio 2015).
23
Secondo le indicazioni fornite dal capo del dipartimento scientifico del Museo
Skrjabin, Vladimir Popkov – cui vanno i miei più sentiti ringraziamenti – questa sigla
fu quasi certamente aggiunta negli anni Venti da Sergej Kaštanov, primo direttore del
Museo. La ritroviamo su tutti i fogli manoscritti non firmati dall’autore. Kaštanov su-
bentrò alla compagna di Skrjabin, la pianista Tat’jana von Schloezer, cui fu concesso di
custodire la casa e i beni del compositore durante gli anni turbolenti della Rivoluzione
e l’inizio dell’era sovietica. Grazie agli sforzi di Tat’jana si riuscì ad evitare che l’appar-
tamento venisse smembrato e riaffittato, e, sempre grazie a lei, si preservarono presso-
ché intatti i materiali e gli archivi del compositore. Duramente provata dalla morte di
Aleksandr e del figlio Julian, oltre che dalle vicissitudini storiche e dalla carestia del 1918,
Tat’jana si spense a 39 anni, il 10 marzo 1922, e non fece in tempo a partecipare all’aper-
tura ufficiale della Casa Museo, avvenuta il 17 luglio di quello stesso anno.
18 Marco Rapetti
24
Di questo finale esistono anche alcuni schizzi conservati al Museo Glinka di Mosca.
25
Bowers, Scriabin, cit., p. 169.
26
Il curatore di quella che è senz’altro la migliore edizione critica finora apparsa sot-
tolinea di non aver potuto visionare il manoscritto autografo e di essersi basato sull’edi-
zione facsimile di Garvelmann. A questo proposito, rinnovo i miei più vivi ringraziamen-
ti al direttore Aleksandr Lazarev e al personale del Museo Skrjabin di Mosca per avermi
offerto l’opportunità di consultare il testo originale.
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 19
Figura 4 – Prima pagina del secondo fascicolo (inizio del III movimento).
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 21
4. La pubblicazione parziale
Benché i tre movimenti siano stati concepiti in maniera estremamente or-
ganica secondo un principio ciclico, Skrjabin sottopose a completa revisione
soltanto il movimento iniziale in forma-sonata, introducendovi, tra l’altro, l’u-
nica cadenza presente in tutta la sua opera pianistica. Con il titolo Allegro ap-
passionato il pezzo fu eseguito per la prima volta nel 1893 da Rozenov durante
un applaudito concerto al Conservatorio di Mosca 27. Il più anziano docente del
Conservatorio, Pavel Schloezer, ne rimase entusiasta, tanto da affermare «Skrja-
bin è un vero compositore, non come quel Rachmaninov che copia Wagner e
pensa di essere Čajkovskij!»28. A San Pietroburgo il brano impressionò anche
Mitrofan Beljaev, il più importante mecenate e organizzatore di concerti russo,
fondatore dell’omonima casa editrice. L’Allegro appassionato venne sottoposto
al suo giudizio, unitamente alla Prima Sonata e a qualche pezzo breve, tramite
l’intermediazione di Safonov, ex maestro e ormai grande amico e sostenitore di
Skrjabin. Nonostante il parere contrario di Rimskij-Korsakov e di Glazunov e
grazie all’appoggio di Ljadov, il comitato direttivo della casa editrice più impor-
tante di tutta la Russia prese sotto contratto il giovane Saša, il quale divenne in
breve tempo il compositore favorito di Beljaev, nonché il meglio pagato. L’Allegro
appassionato fu dato subito alle stampe nel 1894 con il numero d’opera 4, e alla
correzione delle bozze partecipò lo stesso Safonov29. La Prima Sonata apparve
invece l’anno seguente come op. 6, insieme agli Studi op. 8, al Preludio e Not-
turno per la mano sinistra op. 9 e ai Due Improvvisi op. 10. Skrjabin prediligeva
l’op. 4: lo dimostra il fatto che la scelse per l’importante debutto a San Pietro-
burgo, il 7 marzo 1895, e la ripropose successivamente in vari recital30. «L’Allegro
appassionato è una composizione di rilievo, – scrive Luigi Verdi – giacché per
la prima volta vi è sperimentata una scrittura virtuosistica, dove si ravvisa un
lirismo panico esplosivo, dilagante, fatto di slanci spontanei, squisite armonie
27
Spesso traslitterato erroneamente come Allegro appassionata, seguendo la tenden-
za della lingua russa a pronunciare [a] le [o] non accentate, soprattutto in fine di parola.
L’uso scorretto dell’aggettivo italiano declinato al femminile deriva inoltre dal titolo apo-
crifo della Sonata op. 57 di Beethoven, la celebre Appassionata.
28
P. Schloezer citato in Bowers, Scriabin, cit., p. 166. Pavel Schloezer (1848-1898), pia-
nista e professore al Conservatorio di Mosca, fu il maestro della moglie di Skrjabin e nel
contempo zio della sua futura compagna, Tat’jana von Schloezer.
29
L’Allegro appassionato fu poi ripubblicato nel 1931 in Unione Sovietica da Muzgiz
(l’ex casa editrice Jurgenson nazionalizzata dal regime comunista) con correzioni e ritoc-
chi apportati a suo tempo dallo stesso compositore. Alcuni refusi si ritrovano comunque
anche nelle edizioni più recenti.
30
Skrjabin eseguirà la Prima Sonata in pubblico soltanto una volta, a San Pietroburgo,
l’11 febbraio 1894.
22 Marco Rapetti
32
Questi due brani del primo periodo, anch’essi caratterizzati da una scrittura mas-
siccia di tipo orchestrale, potrebbero essere stati pensati in origine come primo e terzo
movimento di una sonata in Si bemolle minore.
33
Beljaev pagò 400 rubli la Prima Sonata e 150 rubli l’Allegro appassionato. Finché
visse Beljaev, cioè fino al 1903, Skrjabin venne rimunerato il doppio rispetto agli altri
compositori. Ciò nonostante, si ritrovò spesso in ristrettezze economiche e la preoccupa-
zione per il denaro lo perseguitò tutta la vita. Cfr. Bowers, Scriabin, cit., p. 192.
34
Beljaev aveva fondato la sua casa editrice nel 1885 a Lipsia e non in territorio russo,
dove ancora non vigevano leggi sul diritto d’autore.
35
Skrjabin citato in Bowers, Scriabin, cit., p. 218.
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 23
Figura 5 – Pagina del manoscritto autografo contenente il secondo tema del II movimento
con evidenti cancellazioni a matita.
La seconda comparsa del tema (questa volta in Si minore) non riporta stra-
namente alcuna cancellazione tranne che per l’analogo passaggio alle bb. 90-92,
sopra le quali compare addirittura un punto interrogativo (si veda la seconda
battuta di pagina 20 del manoscritto, riprodotta a Fig. 3). Tutte le parti appa-
rentemente cassate a matita sono state eliminate senza scrupoli nell’edizione di
Vladimir Blok. Tale soluzione è tanto drastica quanto inaccettabile, in quanto la
forma dell’Andante risulta assai squilibrata e monotona sul piano tonale. Inoltre,
la settima di dominante alterata su Re diesis facente da collegamento fra A e B
24 Marco Rapetti
A’’ coda
A B A’ B’
(mancante)
A’’ coda
A A’ B’
(ricostruita)
Si magg./
Si magg. Si magg. Si min.
Re bemolle magg.
L’accordo di settima di dominante con quinta abbassata, esplorato per la prima vol-
36
«Bene. Ideale. Verità. Mète al di fuori di me (Fede in Dio che ha posto il conflitto dentro
di me, che mi ha dato la capacità di riuscire, attraverso di Lui e attraverso la Sua forza)»
II movimento
n. 0 → [Andante] / n. 1 → [Lento]:
37
Nell’elenco delle composizioni più importanti redatto da Skrjabin nel 1889, la
Sonata in Mi bemolle minore compare come op. 6. È significativo che, più tardi, l’autore
abbia riservato lo stesso numero alla Sonata in Fa minore, nonostante avesse libera scelta
nella numerazione, a ulteriore conferma del legame ideale fra le due composizioni. Cfr.
Flamm, Prefazione all’edizione Urtext Bärenreiter, cit., p. XXXV.
38
Nel 1891, mentre preparava gli esami finali in conservatorio, Skrjabin si danneggiò la
mano destra studiando la funambolica Parafrasi sul Don Giovanni di Liszt. Senza rassegnarsi
alla fine della carriera preannunciata dai medici, il compositore sviluppò ulteriormente la stra-
biliante agilità della sinistra. Risalgono a questo periodo alcune composizioni per la sola mano
sinistra: i celeberrimi Preludio e Notturno op. 9 e la Parafrasi su un valzer di Johann Strauss, bra-
no eseguito di frequente dall’autore, ma che non sembra sia mai stato fissato su carta.
39
Skrjabin citato in Bowers, Scriabin, cit., p. 168.
26 Marco Rapetti
«Delusione e fallimento nel raggiungere Bene, Ideale e Verità - Tirata contro Dio»
III movimento
n. 0 → [Presto] / n. 1 → Presto:
In questo sorta di succinto schema narrativo sono presenti altri due punti
che la Prima Sonata riassumerebbe come tragica epitome nel quarto movimen-
to (Funebre):
40
Il medesimo chiasmo su sesta tedesca si ritrova nel II movimento della Sonata di
Čajkovskij (bb. 43 e 134).
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 27
41
Lo squillante motivo affidato alle trombe che compare sovrapposto a questo accordo
è il «simbolo della sfida lanciata dall’uomo all’universo intero». Verdi, Skrjabin, cit., p. 165.
28 Marco Rapetti
sposizione degli accordi affidati alla mano destra, senza che la struttura armonica
originale risulti minimamente alterata (Ess. 4 e 5).
Esempio 4 – Inizio del primo tema dell’Allegro nella versione originale (1887-1889).
Esempio 5 – Inizio del primo tema dell’Allegro nella versione riveduta (1892).
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 29
Esempio 6 – Grafico della condotta delle voci nel primo tema dell’Allegro (bb. 1-16): a)
Mittelgrund (livello medio); b) Vordergrund (livello di superficie).
Esempio 7 – Rapporti tonali macrostrutturali riflessi nella microstruttura del primo tema
dell’Allegro.
42
È possibile che Skrjabin abbia ereditato la fascinazione per le strutture simmetriche e
palindromiche dal suo primo maestro, il sopra citato Georgij Konjus (vedi nota 16). Konjus
giunse persino ad aggiungere degli schemi dettagliati in alcuni suoi lavori pianistici, al fine
30 Marco Rapetti
Non a caso, lo scambio di voci che caratterizza il primo tema dell’Allegro viene
energicamente riaffermato nell’Andante, ovvero nel momento centrale, potremmo
dire ‘baricentrico’ della Sonata. Lo ritroviamo nella sequenza accordale che costi-
tuisce l’acme espressivo del primo tema (sottinteso forte), reiterato contemporane-
amente per diminuzione in ogni battuta della sequenza stessa, secondo una tecnica
di annidamento tematico (motivische Verschachtelung): nella sezione A (Es. 8) i tre
accordi richiamano la frase antecedente del primo tema dell’Allegro (con alcune
variazioni cromatiche legate al cambio di modo), mentre nella sezione A’ (Es. 9)
viene citata l’identica struttura armonica della frase conseguente.
La presenza del ‘tema chiastico’ all’inizio dell’Allegro, nel corso dell’Andante e,
come vedremo, alla fine del Presto rende l’intera struttura della Sonata perfetta-
mente simmetrica. Nel tema suddetto, come si è visto, l’incrocio di seconde minori
corrisponde alle note di volta superiore e inferiore intorno alla dominante (Si be-
molle). Un simile gioco di incroci si ritrova nel gruppetto rovesciato e ampliato di
una nota (La) da cui germina e prende forma – quasi prefigurando Bartók – tutto
il materiale tematico del terzo movimento. Il secondo tema, infatti, è una chiara
derivazione del primo e corrisponde al momento di massima effusione lirica della
Sonata; nello stesso tempo, esso si ricollega al secondo tema del primo movimen-
to, unificando ulteriormente il gioco di richiami tematici all’interno della macro-
struttura. L’entrata di questo tema spiegato viene preparata da un allargando non
segnato nell’autografo ma esplicitato dall’ispessimento delle figurazioni d’accompa-
gnamento. L’allargando porta a un tempo più disteso, se non addirittura dimezzato
(anche questa indicazione di tempo non si ritrova nel manoscritto ma è musical-
mente sottintesa, come pure l’accelerando al Tempo I all’inizio della ripresa). Il se-
condo tema si configura dunque come una specie di aumentazione del primo, del
quale rappresenta la trasformazione emozionale e simbolica (Es. 10)43.
Se l’Ur-Motiv della Sonata n. 0 è una nota di volta, quello della Sonata n. 1 è una
nota di passaggio ascendente fra tonica e modale. La ritroviamo, ben riconoscibile,
nella struttura di superficie di tutti e quattro i movimenti (Es. 11).
Esempio 8 – Scambi di voci su più livelli nella sezione A dell’Andante (bb. 20-22).
Esempio 9 – Scambi di voci su più livelli nella sezione A’ dell’Andante (bb. 69-71).
44
Personalmente ritengo che Skrjabin abbia voluto di proposito inaugurare il suo ci-
clo sonatistico con un riferimento, più o meno occulto, a Beethoven. L’Allegro della Prima
Sonata beethoveniana, op. 2 n. 1 (1793-1795) inizia, infatti, con una triade arpeggiata nel-
la medesima tonalità di Fa minore. Questo tipo di motivo iniziale ascendente e in crescen-
do è stato definito da Hugo Riemann ‘razzo di Mannheim’ (Mannheimer Rakete).
34 Marco Rapetti
Da evidenziare sono quindi le assonanze fra i secondi temi dei rispettivi pri-
mi movimenti: in entrambi i casi la linea melodica parte da una nota di volta in-
feriore, si apre verso l’alto per poi richiudersi, secondo un profilo curvilineo che
ricorda i motivi floreali Art Nouveau (Es. 14).
Anche nei due Presto (Es. 16) è facile riscontrare un’affinità di carattere, ot-
tenuta mediante una scrittura pianistica basata su accordi graffianti sovrapposti
a raffiche di ottave staccate alla sinistra, che Skrjabin chiamava ropoty, ‘mormo-
rii minacciosi’45:
45
Bowers, Scriabin, cit., p. 170.
46
Al confronto con la versione riveduta, che Skrjabin sottopose al vaglio di Rozenov,
la prima versione dell’Allegro presenta qualche goffaggine armonica e formale, oltre a nu-
merose incongruenze e imprecisioni grafiche. Manca soprattutto la splendida coda finale,
concepita come una specie di secondo sviluppo abbreviato in cui si sintetizza la dialettica
tematica di tutto il movimento. L’abile sovrapposizione contrappuntistica di primo e se-
condo tema all’inizio dello sviluppo è invece già presente nella prima stesura dell’Allegro.
Per una comparazione delle due versioni (1887-1889 e 1892), cfr. il commentario critico
delle due edizioni sopracitate: Metzler e Szidon (1986) e soprattutto Flamm (2011).
36 Marco Rapetti
Dal momento in cui una composizione mi si rivela nel suo insieme, non posso più
fermarmi fino a quando l’ho trascritta. Se ho dei dubbi, tuttavia, non riesco a scrivere,
neanche quando il brano è già concepito. Questo perché ciò che segue dipende da ciò
che precede. Naturalmente posso forzare la mano, ma è una cosa stupida47.
47
Skrjabin citato in Bowers, Scriabin, cit., p. 219.
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 37
Figura 7 – Passaggio abbozzato alla fine del III movimento (manoscritto autografo).
38 Marco Rapetti
la poco opportuna doppia dominante in primo rivolto posposta al II6 frigio an-
nacqua il tradizionale collegamento fra sesta napoletana e dominante, armonica-
mente più logico (Es. 17).
Il primo tentativo di completamento delle parti non finite potrebbe essere sta-
to realizzato da Leonid Sabaneev oppure da Elena Bekman-Ščerbina, l’allieva di
Skrjabin che presentò la Sonata in Mi bemolle minore in prima esecuzione asso-
luta nel 1918, dopo la morte dell’autore48. Purtroppo di questa ricostruzione – se
ricostruzione ci fu – non si ha alcuna informazione. Nel 1971 il pianista Roberto
Szidon è stato il primo a incidere l’opera su disco, seguito, nel 1973, da Michael
Ponti49. Entrambi i pianisti si sono basati sul facsimile del manoscritto autografo
appena pubblicato da Garvelmann, il quale ha anche curato le dettagliate note di
presentazione del cofanetto Vox di Ponti. Sia Szidon che Ponti hanno ricomposto
le parti mancanti, a eccezione del passaggio fra primo e secondo movimento, ese-
guito secondo l’autografo, ovvero con due ottave discendenti nel registro grave.
I completamenti (inediti) di Ponti risultano finora quelli più convincenti e la sua
concitata registrazione – nonostante alcune eccessive libertà e svariati arruffamenti
– si direbbe la più vicina allo stile esecutivo skrjabiniano. Fra i pochissimi pianisti
che hanno inciso la Sonata, Ponti è l’unico ad aver eseguito il primo movimento
nella versione riveduta dall’autore come Allegro appassionato e non in quella ori-
48
Elena Bekman-Ščerbina (1882-1951), brillante allieva di Zverev, Safonov e Paul
Pabst, fu la prima pianista a diffondere in Russia la musica di Debussy, Ravel, Albeniz e
altri illustri contemporanei, primo fra tutti Skrjabin. Il 6 marzo 1912 presentò a Mosca,
in prima esecuzione assoluta, la sua Sesta Sonata, brano che l’autore si rifiutò sempre di
suonare in pubblico, così come l’Ottava Sonata.
49
R. Szidon, Alexander Scriabin. Complete Piano Sonatas, Deutsche Grammophon,
2707-058; M. Ponti, Alexander Scriabin. 12 Piano Sonatas, VOX SVBX 5461-3.
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 39
ginale del 1887-1889, più immatura e meno elaborata. Ponti è anche l’unico a cor-
reggere l’accordo di Mi che compare quattro volte nel primo tema dell’Andante
sprovvisto di bequadro. Questa sua scelta è pienamente condivisibile: il contesto
tonale sembra esigere qui una triade minore, anche al fine di evitare la fastidiosa
falsa relazione a bb. 18 e 67 (Es. 18).
Tutti gli interpreti che hanno inciso il brano dopo Szidon e Ponti, utilizzando
perciò le recenti edizioni a stampa, si sono attenuti a una lettura pedissequa del
testo. Purtroppo tali edizioni sono improntate a un encomiabile ma talvolta miope
spirito filologico che accoglie persino i plateali errori e le grossolane imprecisio-
ni dell’autografo in nome di una sedicente e pedante ‘autenticità’, senza proporre
soluzioni più aderenti alla logica e allo stile dell’autore. Uno dei casi più clamoro-
si lo ritroviamo a b. 45 del secondo movimento, dove compare il gruppetto in se-
stina sul Do diesis; tale elemento melodico dall’apparenza puramente decorativa
rispecchia la cellula germinale del primo movimento e potremmo pertanto defi-
nirlo ‘gruppetto Ur-tematico’ (Es. 19).
Questo elemento viene ripetuto identico per ben cinque volte nel corso dell’An-
dante (ad esempio a b. 42). La presenza di un Mi e di un Re diesis si deve a una
momentanea distrazione dell’autore, il quale si è subito corretto scrivendo Do e Si
diesis una terza sotto, senza ricordarsi di raschiare via le due note sbagliate (non
dimentichiamo che cancellare l’inchiostro di china, all’epoca, non era impresa
facile). Benché si tratti in modo lapalissiano di una svista, entrambe le edizioni
critiche riportano le due cacofoniche terze (Flamm aggiunge un diesis al Mi per
attenuarne la sgradevolezza!) e tutti i pianisti, tranne Stephen Coombs, le hanno
pappagallescamente immortalate su disco.
Tornando ai due passaggi incompiuti, nel caso della transizione dal primo al
secondo movimento l’esecuzione testuale delle due strambe ottave al basso man-
tiene comunque un minimo senso musicale, sebbene la presenza di due brevi con
punto coronato (che ricordano le misteriose Sphinxes del Carnaval di Schumann),
la mancanza di pause nella mano destra, le doppie stanghette di battuta e l’assenza
di una nuova armatura di chiave evidenzino come questo passaggio non sia altro
che un mero scheletro armonico in attesa di sviluppo50.
Nel secondo caso, al contrario, la scrittura lacunosa e senza dinamiche dell’au-
tografo è stata spesso male interpretata, nel tentativo di rispettare alla lettera il
testo pervenutoci. Sia Coombs sia Bernd Glemser sia Maria Lettberg eseguono
infatti in diminuendo il passaggio di transizione incompiuto, prendendosi co-
munque la libertà di raddoppiare in ottave l’Ur-Motiv cromatico affidato alla ma-
no sinistra, come suggerisce Blok nella sua edizione, dove viene aggiunta anche
qualche indicazione di tempo e di carattere in un italiano non sempre corretto.
La grandiosa perorazione del primo tema del primo movimento viene quindi
suonata piano e lentamente, nonostante la poderosa scrittura a pieni accordi.
Nelle mani di questi pianisti, comunque brillanti, la Sonata si estingue così, in-
spiegabilmente, in pianissimo. Che tale interpretazione sia fallace si desume al
primo ascolto e non convince affatto la spiegazione forzata offerta da Flamm,
secondo il quale «ciò che Skrjabin ha cercato di catturare qui è nichilismo tra-
smutato in suono. Uno stato costante di tormento mentale porta a un’inattesa
disperazione, interrotta da scoramento e occasionalmente da lampi di speranza
che rimangono un miraggio. Lo scatenamento irragionevole e la pazzia condu-
cono alla fine a una completa estinzione»51. A parte il tipo di scrittura – che in
questa parte finale è senza dubbio un abbozzo – va sottolineato che tutte le so-
nate del primo e secondo periodo si concludono con un perentorio fortissimo,
anche quando l’ultimo gesto tragicamente affermativo è preparato da un grande
50
Flamm suggerisce la possibilità di eliminare tout court le due battute di transizio-
ne. Personalmente ritengo che tale scelta, pur sensata, sia più arbitraria di un completa-
mento stilisticamente coerente.
51
Flamm, prefazione all’edizione Urtext delle Sonate, cit., p. XXXIX.
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 41
diminuendo, come nell’op. 6 e nell’op. 19. Rivelatori, in ogni caso, sono gli unici
due segni di dinamica specificati dall’autore nel terzo movimento:
1) il fff (più che fortissimo) a b. 173 coincide chiaramente con la ripresa e con la
più potente affermazione dell’Ur-Motiv attraverso un’imperiosa successione di
accordi alternati a un’ottava ripetuta nel registro ipergrave, come il rintocco di
una fragorosa campana ortodossa. La medesima sonorità fff include anche la
marcatissima riapparizione del secondo tema a b. 201 (sottinteso Meno mosso):
a questo punto, l’enorme tensione di dominante precedentemente accumulata
si scarica finalmente sulla tonica, Mi bemolle minore. Questo secondo tema, il
cui inizio corrisponde al gruppetto Ur-tematico, si direbbe pensato per il tim-
bro penetrante di una tromba, come quella che incarnerà il tema della volontà
creatrice nel Poema dell’estasi. Eseguire con sonorità pianissimo tale culmine
espressivo è in palese contrasto con il tipo di accompagnamento tonitruante
affidato da Skrjabin alla mano sinistra e non si giustifica assolutamente all’in-
terno del percorso teleologico della Sonata;
2) il ppp (più che pianissimo) sugli ultimi due accordi di tonica si spiega invece facen-
do riferimento al primo movimento, che qui viene citato apertamente a conclusio-
ne della struttura ciclica – potremmo dire ‘uroborica’ – della Sonata. Nell’Allegro
appassionato, infatti, la drammatica coda si conclude con un disegno ascendente
in crescendo culminante su un accordo di Mi bemolle minore fff, seguito da altri
due accordi pp/ppp che riprendono l’accordo di tonica a mo’ di eco52. Nel terzo
movimento riappare un disegno simile, sempre culminante su un accordo di Mi
bemolle minore, la cui sonorità è necessariamente più che fortissimo. A quest’ac-
cordo ne seguono altri due, identici a quelli dell’Allegro appassionato: il ppp spe-
cificato dall’autore serve perciò a rimarcare il desiderato effetto di eco dopo il fff,
esattamente come nel primo movimento, appena citato in maniera testuale.
52
Facendo riferimento a Rachmaninov, il quale utilizzò in varie composizioni un
motivo musicale di quattro note costruito sul proprio cognome, si può supporre che i due
accordi in pianissimo siano una specie di firma corrispondente alle due sillabe Skrja-bin:
pp la prima sillaba accentata, ppp la seconda non accentata. Per quanto intrigante, resta
comunque una mia fantasiosa ipotesi.
42 Marco Rapetti
53
Va ricordato che un accordo comprendente quattro quarte sovrapposte, ottenuto at-
traverso il moto lineare delle parti, si trova già a b. 45 dell’Impromptu à la Mazur op. 2 n.
3 (1889).
54
Richard Taruskin fa un’interessante analisi strutturale e psicologica della ‘sesta di
Skrjabin’ e dell’accordo del Tristano giungendo alla seguente conclusione: «L’accordo di
Skrjabin è il più radicale dei due in quanto è una struttura armonica ad hoc senza alcun
precedente. Mentre l’accordo di Wagner può essere descritto tassonomicamente come una
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 43
Esempio 21 – Passaggio di transizione alla fine del III movimento completato da Marco
Rapetti.
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 45
aggregato armonico corrisponde alle sei note della scala per toni interi e differisce
solo di un suono dal celeberrimo ‘accordo mistico’ (Ess. 22 e 23)57:
56 del Valzer in Re bemolle maggiore op. postuma, composto nello stesso anno: benché
presentata in maniera meno evidente rispetto al Valzer op. 1, qui la sesta di Skrjabin
compare arricchita dalla presenza della nona minore.
57
Si noti come la struttura intervallare dell’accordo nella prima metà della battuta, pri-
ma dell’apparizione della quarta aumentata (Re), corrisponda a una perfetta geometria spe-
culare nelle due mani: Lab2-Solb3-Do4 (settima minore + quarta aumentata) alla mano sini-
stra ↔ Fab4-Sib4-Lab5 (quarta aumentata + settima minore) alla mano destra.
46 Marco Rapetti
ha l’aggiunta di una lettera, mentre in russo avviene sia il cambio sia l’aggiunta:
da мифический si passa a мистический. Anche l’accordo ‘mitico’ manifesta un’o-
rigine contrappuntistica e rimanda al modello chopiniano: la notevole tensione
armonica deriva infatti dalla doppia nota di volta superiore e inferiore che risuo-
nano contemporaneamente, in questo caso come doppia appoggiatura del secon-
do grado, cioè la quinta dell’accordo. La stessa doppia nota di volta si ritrova nella
‘sesta di Skrjabin’ come pure nell’accordo di sesta tedesca che abbiamo visto essere
alla radice del primo tema della Sonata58.
con doppia appoggiatura cromatica alla fine del Notturno in Si bemolle minore op. 9 n.
1 (1829-1830), dove ritroviamo un accordo di sesta eccedente sul secondo grado frigio
sopra un pedale di tonica, procedimento che ne intensifica il lato dissonante, e quin-
di la forza espressiva. Un altro caso eclatante si trova alla fine del Primo Scherzo in Si
minore op. 20 (1831-1832), dove una sesta tedesca sul sesto grado viene fatta risuonare
più che fortissimo sopra un pedale di dominante. La doppia spinta gravitazionale con-
tenuta negli accordi di sesta eccedente verrà ancora sfruttata da Skrjabin nelle opere
del secondo periodo secondo l’armonia funzionale ereditata da Chopin: vedi, ad esem-
pio, la sesta tedesca che prolunga la tonica alla fine dello Studio in Do diesis minore op.
42 n. 5 (1903).
La Sonata in Mi bemolle minore opera postuma 47
10. Conclusione
Come afferma Blok, «meno c’è da aggiungere a un’opera incompiuta di musi-
ca classica, maggiore è il contributo del compositore stesso, maggiore è la ragione
per un musicista interessato di affrontarne il completamento»60. In questo senso,
la Sonata in Mi bemolle minore rappresenta una grande opportunità per un pia-
nista, in quanto il brano è in massima parte compiuto e merita indiscutibilmente
di essere riscoperto e riproposto in concerto. Come si è potuto constatare, l’ope-
ra contiene in sé molti elementi che prefigurano la futura evoluzione stilistica di
Skrjabin e si impone all’attenzione come una precocissima ma già matura mani-
festazione del suo mondo interiore.
59
Secondo uno studio di Ivan Martinov dedicato alle opere giovanili di Skrjabin (O
rannem tvorčestve Skrjabina, «Sovetskaja Muzyka», 1940), la transizione originale fra se-
condo e terzo movimento era basata su citazioni dell’Allegro iniziale. Purtroppo non mi è
stato possibile consultarlo per sapere da quali fonti l’autore abbia tratto le sue conclusioni.
60
V. Blok, An Early Scriabin Manuscript, «Music in the URSS», Oct-Dec 1989, pp.
34-35.
61
Flamm, prefazione all’edizione Urtext delle Sonate, cit., p. XXXIX.
62
La Sonata in Mi bemolle minore con i miei completamenti è stata da me presenta-
ta in prima esecuzione assoluta il 18 aprile 2015 a Genova, nel salone di Palazzo Tursi, in
occasione delle giornate skrjabiniane organizzate dall’Associazione Anfossi in collabo-
razione con il Centro Italiano Studi Skrjabiniani di Bogliasco. Lo spartito è in corso di
pubblicazione.
63
R. Levi Montalcini, Elogio dell’imperfezione, Garzanti, Milano 1987.
L’improvvisazione meditata: cenni storici e
interpretativi sul Concerto per pianoforte e
orchestra di Skrjabin*
Benedetto Ciranna
The present paper focuses on Scriabin’s Piano Concerto op. 20, which, albeit rarely
performed, is one of the most refined works for piano and orchestra in the Rus-
sian repertoire. The piece was written in 1896-97, when the composer was only 24,
and it belongs to the period most influenced by the great Romantics, especially by
Chopin. Scriabin’s original style, however, is already strikingly evident. I attempt
to explain why this piece is so unique in comparison to other contemporary works
and analyse the history of its interpretation.
Главной темой данного доклада является Концерт для фортепиано, соч. 20,
Скрябина. Хотя и редко исполняемый, он принадлежит к числу наиболее
рафинированных произведений для фортепиано с оркестром во всей
русской музыке. Произведение было написано в 1896-1897 годах, когда
композитору было всего двадцать четыре года, оно принадлежит к тому
периоду, когда его творчество было наиболее сильно подвержено влиянию
великих романтиков, прежде всего Шопена. Тем не менее, оригинальный
стиль Скрябина проявляется в нем уже совершенно отчетливо. Я пытаюсь
объяснить, почему это произведение является таким уникальным по
сравнению с другими современными ему работами и анализирую историю
его интерпретации.
Il Concerto in Fa diesis minore per pianoforte e orchestra op. 20, composto nel
1896-1897, costituisce la prima composizione sinfonica di Skrjabin e nel contempo
l’ultimo e più importante concerto per pianoforte russo del diciannovesimo seco-
lo. La genesi del brano fu molto tormentata e l’editore Beljaev dovette pazientare
parecchio prima di ottenere la partitura finita. Skrjabin fu spinto dal suo maestro
e amico Vasilij Il’ič Safonov a comporre un concerto, conscio del fatto che ogni
pianista-compositore in carriera dovesse avere un brano con orchestra da propor-
re al pubblico nei suoi concerti. Durante il primo anno di studi al Conservatorio
di Mosca (1887-1888) Skrjabin aveva già composto una Fantasia per pianoforte
e orchestra, che verrà pubblicata postuma e orchestrata da Grigorij Zinger. Cro-
nologicamente, quindi, spetterebbe a lei e non al Concerto il battesimo del sinfo-
nismo. In verità, ci sarebbe anche un Allegro Sinfonico senza numero d’opera a
contendere il primato.
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
52 Benedetto Ciranna
Ho appena ricevuto la tua lettera che mi ha immerso in uno stato depressivo. Non c’è
niente che possa dire per giustificarmi a parte un paio di cose che mi impediscono di
concentrarmi in generale e di scrivere la partitura in particolare. È colpa della nevralgia
di cui ho sofferto diversi giorni. Sono così mortificato! Adesso farò tutto ciò che posso
per rimediare…3
1
Le date riportate in questo scritto fanno tutte riferimento al calendario giuliano, fis-
sato nel 46 a.C. da Giulio Cesare e in vigore in Russia fino alla rivoluzione d’ottobre 1917,
dopo la quale si decise di adottare quello gregoriano, come in Occidente.
2
A.N. Skrjabin, Pis’ma, Izdatelstvo muzyka, Moskva 1965, citato in J.P. Norris,
The Development of the Russian Piano Concerto in the Nineteenth Century, PhD thesis,
Sheffield University, UK 1988, p. 135, consultabile online all’indirizzo <http://etheses.
whiterose.ac.uk/1786/1/DX183136.pdf> (11/2018). Dalla tesi di dottorato Norris ha tratto
il volume The Russian Piano Concerto, vol. 1, The Nineteenth Century, Indiana University
Press, Bloomington 1994.
3
Skrjabin, citato in Norris, The Development of the Russian Piano Concerto, cit., p. 136.
L’improvvisazione meditata 53
Ieri ho ricevuto da Nikolaj Andreevič una lettera che mi ha addolorato. Gli sono molto
grato per il suo aiuto, ma ha sprecato tutto questo tempo sul concerto solo per dire
che l’orchestrazione è debole? Visto che è così gentile non avrebbe potuto indicare i
punti che gli sembrano più deboli e spiegare il perché? Per orchestrare un concerto
non occorre avere scritto molte sinfonie come esercizi preliminari. Nikolaj Andreevič
sostiene che orchestrare un concerto sia molto più difficile che scrivere una sinfonia.
Supponiamo che questo sia vero. Ma varrebbe solo per un’orchestrazione ideale. Quello
che voglio per il mio primo tentativo è un’orchestrazione decente. E questo può essere
raggiunto grazie ai consigli e a un piccolo aiuto da parte delle persone che conosco. È
facile dire di ‘studiare l’orchestrazione’ ma si può seguire una sola strada, che sarebbe
ascoltare l’esecuzione della propria composizione. Tentativi ed errori sono il migliore
insegnante. Ora, se io non ascolto la mia musica e nessuno mi dice niente, allora come
posso imparare? Ho letto le partiture, continuo a leggerle e continuerò certamente a
farlo, ma sono sempre convinto della stessa cosa… la necessità di fare esperienza. Sto
lavorando tutti i giorni, ma questo non mi porta da nessuna parte. Posso fare il maggior
numero di invenzioni e combinazioni che preferisco. Posso creare motivi che lo stesso
Nikolaj Andreevič non ha mai neppure sognato. Ma senza pratica, questo conta poco.
Perdonami se ci blatero sopra. Ma tutto questo è piuttosto doloroso per me. Avevo
molta stima di Nikolaj Andreevič, ma mi sono accorto che si comporta come un
bambino. In ogni caso mi dispiace di averlo disturbato e non ripeterò lo stesso errore
in futuro. Me la caverò da solo. Consigliami, per favore, cosa devo fare? In ogni caso
fammi avere la partitura (ce l’hai tu). La riorchestrerò e ne risponderò io stesso. Sergej
Ivanovič [Taneev] è così generoso, vuole fare di tutto per rendere l’orchestrazione un
successo. Sta lavorando con me […]4.
Guarda che pasticcio! Ci sono molte cose incomprensibili. È al di sopra delle mie
forze. Non posso misurarmi con un tale pasticcione. La cosa migliore sarebbe che
il compositore pubblicasse il Concerto per due pianoforti e trovasse qualcuno per
orchestrarlo. Quanto a me, ho del lavoro da fare e non ho tempo per ripulire Skrjabin5.
Eppure il filosofo Valentin Asmus, nella sua introduzione alle lettere di Skrja-
bin, fa notare che in seguito Rimskij considererà i demeriti e le imperfezioni di
Skrjabin come figlie del suo genio; nella sua autobiografia lo definirà «quella stel-
4
Ivi, p. 137.
5
F. Bowers, Skrjabin, trad. it. M.T. Bora, Gioiosa Editrice, Pieve del Cairo 1990, p.
237.
54 Benedetto Ciranna
6
N.A. Rimskij-Korsakov, My Musical Life, A.A. Knopf, New York 1942, p. 379.
7
Norris, The Development of the Russian Piano Concerto, cit., p. 138.
8
Ibidem.
9
Bowers, Skrjabin, cit., p. 244.
L’improvvisazione meditata 55
come già notato, evita il virtuosismo appariscente e il primo movimento non pre-
senta alcuna cadenza. Probabilmente furono proprio questi aspetti inusuali a mo-
tivare la perplessità di Rimskij-Korsakov. Nonostante gli indiscussi debiti verso
altri compositori della tradizione romantica, Skrjabin mostra già uno stile molto
personale che, per certi versi, anticipa le composizioni future. Da un punto di vista
formale, Skrjabin resta comunque fedele alla tradizione, con il primo movimento
in forma-sonata e un brioso rondò finale in ritmo di mazurca. L’Adagio utilizza
un tema – scritto a undici anni – come base per una serie di raffinatissime varia-
zioni ornamentali. Anche se siamo ancora ben lontani dalla poetica della matu-
rità, possiamo notare come sia già presente la tendenza a muovere da situazioni
di stasi rarefatta per poi innescare un turbinio di forze dinamiche che conduco-
no all’apoteosi. Ne vediamo traccia già nel primo movimento, ma soprattutto nel
rondò conclusivo, che incede vorticosamente fino alla perorazione del celebre tema
cantabile. Anche nel Concerto si riscontra la tendenza a organizzare in maniera
rigorosa il materiale armonico-melodico, come accadrà in maniera radicale nelle
opere della maturità. A tal riguardo, Faubion Bowers riporta un’interessante con-
versazione tra Sabaneev e Skrjabin, avvenuta anni più tardi, riguardo ai processi
creativi e alle loro applicazioni nel Concerto:
Per questo bizzarro uomo di fantasia, risulta ancor più strano il fatto che questo sia
uscito fuori dalla sua testa. La sua creatività musicale era per metà frutto di spontaneità,
ma in parte, forse ancor più di metà, era dovuta ad una logica e geometrica costruzione.
Egli stesso affermò più volte che raramente aveva improvvisato dei temi, che piuttosto
tendeva a formalizzare. Amava dimostrare queste ‘costruzioni razionali’ nelle sue
composizioni, dopo averle scritte10.
Il pensiero deve essere sempre presente nella composizione e nella creazione dei
temi. Esso si manifesta attraverso un criterio ben preciso. Ed è questo principio che
guida e regola la creazione musicale. Creo i miei temi seguendo queste regole, così da
integrarsi armoniosamente tra loro seguendo una corretta proporzione. Prendiamo,
ad esempio, il mio Concerto. Il suo disegno iniziale si basa su una sequenza di tre
note discendenti. In questo contesto il tema cresce e si dispiega. Suonando il tema del
Concerto ho accentato molto questa sequenza discendente e la melodia ha assunto un
significato del tutto diverso11.
Questo nucleo di tre note giocherà un ruolo molto importante nello sviluppo
del primo movimento, soprattutto nel passaggio che conduce alla ripresa. In questo
movimento Skrjabin utilizza un linguaggio che può evocare Grieg e Schumann,
Ivi, p. 240.
10
Ibidem.
11
56 Benedetto Ciranna
oltre naturalmente a Chopin, le cui tracce sono più evidenti nel finale. Come il Se-
condo Concerto di Brahms (1881), anche l’op. 20 si apre con un solo di corno. Nella
frase si aggiungono gradatamente archi e legni, preparando la nostalgica entra-
ta del pianoforte, con una timbrica complessiva che Liszt avrebbe definito ‘grigia
di tono’, come fece per il Concerto brahmsiano. In questo lavoro giovanile, anche
l’influenza di Brahms non va dunque sottovalutata.
Il Concerto op. 20 ha dunque avuto alterne fortune. Non sono stati molti, in re-
altà, i grandi pianisti che lo hanno affrontato. Per questo mi è sembrato interessante
indagare l’evoluzione del gusto nell’interpretazione di questo Concerto. Skrjabin lo
eseguì spesso, ma purtroppo non abbiamo nessuna sua registrazione. Non ne ab-
biamo neanche di Vladimir Sofronickij, artista che più di ogni altro seppe intuire
la poetica skrjabiniana. La prima registrazione in nostro possesso è datata 1946,
con Heinrich Neuhaus al pianoforte e Nikolaj Golovanov a capo dell’Orchestra
Sinfonica della Radiotelevisione dell’URSS. Quella di Neuhaus è un’interpretazio-
ne molto istintiva e viscerale, romanticamente eroica. I tempi d’esecuzione sono
molto veloci e sembrano oltrepassare le sue capacità tecniche; anche l’orchestra
mostra alcune pecche. Si potrebbe dire che i mezzi non sono all’altezza delle idee
travolgenti che il pianista vorrebbe esprimere. D’altronde, benché fosse ricono-
sciuto come specialista di Skrjabin, Neuhaus era più un didatta che un virtuoso
dello strumento, dal quale sapeva cavare sonorità ammalianti.
Se la fedeltà assoluta al testo non era una priorità per molti interpreti della pri-
ma metà del Novecento, con Solomon siamo in presenza di un approccio del tut-
to opposto. Nel 1949, Solomon registrò il Concerto con la Philarmonia Orchestra
diretta da Walter Susskind. Il pianista inglese, nonostante avesse studiato a Pari-
gi con Alfred Cortot, interpreta anche Skrjabin con un approccio neoclassico. Sin
dall’attacco si capisce che l’orchestra sarà molto più coinvolta rispetto all’esecuzione
di Neuhaus, e instaura un vero e proprio dialogo con il solista. L’integrazione con
l’orchestra è eccellente: il pianoforte sa mettersi sullo sfondo quando gli episodi
melodici vengono svolti dall’orchestra, risultando talvolta fin troppo poco presente.
Al 1950 risale la terza incisione da parte di un altro russo, una personalità che
rifugge da facili etichette, Samuil Fejnberg. Fejnberg registrò il Concerto con l’Or-
chestra Sinfonica della Radiotelevisione dell’URSS diretta da Aleksandr Gauk.
Anche in questo caso, già dall’attacco si comprende quale sarà l’approccio inter-
pretativo. Il tema viene enunciato con un fraseggio molto spezzato; esitazioni e un
largo ricorso al rubato conferiscono al brano un tono decadente. Fejnberg stacca
tempi vertiginosi, molto simili a quelli di Neuhaus, ma supportati da una maggiore
efficienza tecnica. Da notare la sciolta leggerezza con cui affronta i passaggi d’agi-
lità, e la bellezza del suono nei momenti più delicati. Probabilmente Fejnberg fu il
pianista che, insieme a Sofronickij, seppe capire più di tutti l’inquieta e tormen-
tata poetica skrjabiniana, mostrando particolare attenzione critica nei confronti
del testo. Va ricordato che Fejnberg fu influenzato dal linguaggio di Skrjabin an-
che nella sua attività di compositore. Come Neuhaus, egli considera le figurazioni
L’improvvisazione meditata 57
veloci – ad esempio, le semicrome dopo una nota coronata – pari a piccole caden-
ze di carattere decorativo. Un manierismo, in parte dovuto all’altissima velocità
d’esecuzione scelta dai due artisti russi, che verrà abbandonato nelle interpreta-
zioni dei decenni successivi.
La forza dell’interpretazione di Dmitrij Baškirov, incisa nel 1960 con l’Orche-
stra Sinfonica di Mosca, sta senza dubbio nel solista, ma anche nell’incandescente
temperamento del direttore Kirill Kondrašin. In questa registrazione è evidente la
scelta di tempi molto più comodi rispetto a quelli di Fejnberg, specie nel primo mo-
vimento, che esaltano l’aspetto più emotivo del brano. Si tratta di una versione che
inaugura un nuovo modo di affrontare Skrjabin nei decenni a seguire, diventando
un punto di riferimento pari alla Quinta Sonata registrata da Viktor Meržanov nel
1958. È un’esecuzione che accentua il carattere russo dell’opera, grazie anche al sa-
piente utilizzo delle dinamiche da parte di Kondrašin, il quale enfatizza gli effetti
di crescendo e diminuendo. Nell’Andante Baškirov mette in particolare evidenza
la cantabilità delle linee melodiche. Nel terzo movimento, il secondo tema è ben
delineato, senza esagerazioni di velocità. Va inoltre notata la fedeltà con cui viene
rispettato il Meno mosso che prepara la perorazione orchestrale del tema lirico.
Dieci anni dopo, nel 1970, Stanislav Neuhaus, figlio di Heinrich, effettua la sua
incisione del Concerto con l’Orchestra Sinfonica di Stato dell’URSS diretta da Vik-
tor Dubrovskij. Questa interpretazione dimostra come si fosse ormai codificato
un modo nuovo di eseguire Skrjabin: un inizio potente e affermativo introduce
un’esecuzione di esemplare chiarezza e nitore tecnico.
Al 1971 risale l’esecuzione di Vladimir Aškenazi e Lorin Maazel con la London
Philarmonic Orchestra. Aškenazi sceglie dei tempi più tranquilli rispetto ai pia-
nisti finora menzionati, sottolineando la tensione emotiva attraverso il fraseggio,
rendendo espressivi persino i passaggi più impervi e virtuosistici. A mio avviso
la chiarezza espositiva di Aškenazi non ha eguali e l’agilità delle ultime pagine è
mirabile.
Gli anni Ottanta ci hanno regalato quella che forse è la più bella e comunque
una delle più personali esecuzioni di questo capolavoro: nel 1987, l’americano Gar-
rick Ohlsson, insieme all’Orchestra Filarmonica Ceca diretta da Libor Pesek, re-
alizza un’incisione memorabile. Ohlsson prosegue sulla scia di Aškenazi, ma con
sostanziali differenze. Mentre Aškenazi porta al massimo splendore una linea in-
terpretativa consolidatasi nei decenni, Ohlsson trova una chiave di lettura origina-
le. L’inizio è trattenutissimo, molto stentato nell’incedere, venato di malinconica
rassegnazione, come se il pezzo facesse fatica a prender vita. L’idea di Ohlsson è
in fondo romantica e si basa su una grande libertà nel fraseggio e nei tempi, ma
il suo è il romanticismo passionale e introverso di Chopin e non quello cupo di
matrice tedesca o quello eroico di Liszt. Ohlsson mostra nell’Andante l’eleganza
e la raffinatezza del suo timbro pianistico ed è l’unico che esegue davvero Adagio
la terza variazione. Sia l’orchestra sia il direttore offrono una delle prove più con-
vincenti che io abbia avuto modo di ascoltare.
58 Benedetto Ciranna
12
P. Rattalino, Guida alla musica pianistica, Zecchini, Varese 2012, p. 531.
«È necessario che la forma risulti perfetta…»
Luigi Verdi*
A common tendency among many music scholars has been to uncover some re-
curring features related to numerology that reveal hidden symmetries in Scriabin’s
musical architectures. A formal analysis would therefore allow the perception of
balance conditioned by specific numerical sequences. This type of logic is partic-
ularly discernible in the compositions that followed Prometheus. In these works,
the composer seems to reduce his harmony to a single chord that is continually
transposed according to patterns of special harmonic links. These links determine
increasingly regular, geometric figures on an imaginary dodecagon whose vertices
represent the twelve notes. The more the figure is regular and symmetrical, the
more the relative composition will be a sequence of cyclic transpositions, or “ka-
leidocyclic.” From a harmonic analysis of some brief miniatures, the elements of
this logic determining the technique of Scriabin’s later period can be noticed in an
increasingly evident manner. Many 20th century composers used cyclic harmonic
patterns but did not develop a unitary theory to systematize their use. An analysis
of these patterns is particularly interesting: it shows how a reset of cyclic elements
inherited from the tradition could be a starting point for a kaleidocyclic technique
in musical composition.
Анализируя некоторые относящиеся к нумерологии повторяющиеся мотивы,
многие музыковеды стремились открыть возможные скрытые элементы
симметрии в музыкальной архитектуре Скрябина. Формальный анализ
может выявить наличие определенного равновесия, возможного благодаря
четким числовым рядам. Такой тип логической структуры особенно заметен
в композициях, которые следуют за Прометеем. В этих работах композитор
стремится свести гармонию к отдельным аккордам, которые постоянно
трансформируются согласно схемам определенных гармонических
связей. Эти связи обуславливают возникновение все более регулярных
геометрических фигур на основе воображаемого двенадцатигранника,
вершины которого представляют собой двенадцать нот. Чем более та или иная
фигура регулярна и симметрична, тем более соответствующая композиция
будет последовательностью циклических транспозиций или, иными словами,
тем более она будет «калейдоскопической». Начиная с анализа гармонии
некоторых коротких миниатюр, элементы этой логики, которая определяют
технику Скрябина в его поздний период, становятся с годами все более и
более заметны. Многие композиторы ХХ века использовали циклические
схемы в гармонии, без того, чтобы при этом создать последовательную
теорию, которая могла бы привести к систематизированию их практического
использования. Анализ этих схем особенно интересен: наша цель в том, чтобы
показать, как «перезагрузка» этих циклических элементов, унаследованных
от традиции, может стать отправной точкой для.
∗
Conservatorio S. Cecilia di Roma.
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
60 Luigi Verdi
1. Introduzione
È necessario che la forma risulti perfetta come una sfera, come un cristallo. Non posso
terminare prima di essermi reso conto che la sfera è compiuta. Ho sempre sostenuto
che nella composizione la matematica deve giocare un ruolo importante. Talvolta nelle
mie composizioni si svolge tutto un calcolo matematico, il calcolo della forma… e il
calcolo del piano della modulazione. Tale calcolo non deve essere casuale… altrimenti
la sua forma non sarà cristallina1.
Con queste parole, riportate dal suo biografo Leonid Sabaneev, Skrjabin espri-
meva la sua idea di forma musicale. E ancora: «Ho acquisito lo ferma convinzione
che una vera creazione deve essere il riflesso di una legge universale»2. Questa legge
universale si esprimerebbe per Skrjabin attraverso una costruzione architettonica
quadrata, caratterizzata dall’impiego dei medesimi intervalli per l’impalcatura de-
gli accordi, dei temi e delle figurazioni: «Quando cominciava la composizione di
una nuova opera, egli calcolava esattamente la posizione di ogni nota»3… «Devo
essere così preciso da rendere la forma cristallina»4, diceva.
Nelle architetture di Skrjabin molti studiosi hanno creduto di intravedere alcu-
ne costanti particolari, impregnate di numerologia e di simmetrie occulte: un’at-
tenta analisi formale permetterebbe così di svelare un equilibrio condizionato da
precise successioni numeriche. L’articolazione delle opere posteriori al Prometeo,
in particolare, ubbidirebbe a questo tipo di logica5. In effetti queste ‘architetture’
possono essere simbolicamente ben evocate da figure geometriche costruite su
un immaginario dodecagono, i cui vertici rappresentino le dodici note della sca-
la cromatica. Questa particolare rappresentazione grafica, benché mai adottata
esplicitamente da Skrjabin, ha una sua ragione d’essere perché ebbe un suo primo
sviluppo proprio in Russia in alcuni studi teorici di Sergej Taneev, Georgij Kon-
jus e Boleslav Javorskij, che ne intravidero l’interesse6. I due disegni di Skrjabin
contenuti nel manoscritto dell’Atto preliminare del Mysterium ne sono ulteriore
legittimazione7: il primo rappresenta la concezione skrjabiniana dell’universo, il
1
L. Sabaneev, Vospominanija o Skrjabine (Ricordo di Skrjabin), Muzykal’nyj Sektor,
Moskva 1925, p. 123.
2
Ivi, p. 47.
3
L. Danilevič, A.N. Skrjabin, Gosudarstvennoe muzykal’noe izdatel’stvo, Moskva 1953, p. 93.
4
F. Bowers, Scriabin. A Biography, Second, Revised Edition, Dover, Mineola NY 1996,
I, p. 332.
5
Si veda M. Kelkel, Scriabine, sa vie, l’ésoterisme et son langage musicale, Honoré
Champion, Paris 1984.
6
Si veda anche Jurij Cholopov, Symmetrische Leitern in der Russisches Musik,
«Musikforschung», 4, 1975, pp. 379-407.
7
In russo Predvaritel’noe Dejstvie, in francese Acte préalable, in italiano è denomi-
nato anche Atto preliminare, Rituale preparatorio, Atto primigenio; cfr. M. Girardi (a cura
di), Aleksandr Skrjabin. Appunti e riflessioni, Studio Tesi, Pordenone 1992, p. LXXXVII.
«È necessario che la forma risulti perfetta…» 61
secondo il tempio dove doveva essere celebrato il Mysterium, una semisfera con
dodici portali (dodici come le note musicali) che si rifletteva sull’acqua, dando
l’illusione di una sfera (Fig. 1).
Figura 1 – Due disegni di Skrjabin contenuti nel manoscritto dell’Atto preliminare del
Mysterium.
8
Si tratta di varianti dell’‘accordo di Prometeo’.
62 Luigi Verdi
1/8, quindi ‘Do-’ significa che un accordo sulla fondamentale Do appare per
un totale di 1/8, mentre ‘Do#----------’ indica che l’accordo su fondamentale
Do diesis compare 10 volte;
–– nella terza colonna è riportato il grafico che rappresenta il totale delle varie
trasposizioni, come segmenti che uniscono i vertici di un immaginario dode-
cagono-scala cromatica: quanto più la figura sarà regolare e simmetrica, tanto
più la relativa composizione sarà di tipo ‘caleidociclico’9, intendendo con ‘ca-
leidociclo’ una successione di trasposizioni cicliche tali da determinare una fi-
gura geometrica regolare.
Collegamenti: prevalenza del tritono con suture lungo un asse di triade dimi-
nuita (Fa, La bemolle, Si).
Fondamentali: accordi più usati su tre tritoni (Fa-Si, Sol-Do diesis, Do-Fa diesis).
occorre scoprire in quale maniera gli accordi si colleghino fra loro, secondo quali
leggi di attrazione o affinità. A questo scopo è necessario identificare le note fon-
damentali di tutti gli accordi, nell’ordine secondo cui si succedono nel corso della
composizione, note che corrispondono, con qualche rarissima eccezione, alla voce
superiore della parte notata ‘Luce’10.
Nella Tab. 5 è riportata la frequenza delle apparizioni dei vari collegamenti, a
partire da quello di semitono ascendente (uguale a 1) a quello di settima maggio-
re ascendente (uguale a 11).
Dall’analisi di questi dati emerge con chiarezza che i vari accordi si collegano
di preferenza con le loro trasposizioni a distanza di terza minore (ascendente e di-
scendente) e di tritono. In altre parole tutti gli accordi che si pongono lungo l’asse
di una settima diminuita possono considerarsi appartenenti a un’unica famiglia,
poiché si collegano molto più frequentemente tra loro rispetto agli altri. I colle-
gamenti lungo l’asse di una settima diminuita (Tipo I) sono infatti ben 112 + 84
+ 52 = 248 (70%), mentre quelli verso l’asse di una settima diminuita discendente
di semitono (Tipo II) sono 62 (17%) e quelli verso l’asse di una settima diminuita
ascendente di semitono (Tipo III) sono solo 45 (13%).
Nei collegamenti del Tipo I prevalgono le successioni a distanza di terza mi-
nore discendente (112) a cui segue il tritono (84) e la terza minore ascendente (52).
Nei collegamenti del Tipo II la successione al semitono discendente e quella alla
terza maggiore discendente ricorrono entrambi 22 volte, la successione alla quar-
La parte ‘Luce’ notata per ‘tastiera a colori’ nella partitura del Prometeo è costitui-
10
ta ascendente ricorre 10 volte e quella alla seconda maggiore superiore 8 volte. Nei
collegamenti del Tipo III la successione al semitono ascendente e quella alla terza
maggiore ascendente ricorrono 18 volte ciascuna, mentre la successione alla quar-
ta discendente 6 volte e quella alla seconda discendente 3 volte.
È interessante notare che, facendo uso di una simbologia di tipo geometrico,
facendo cioè corrispondere ogni fondamentale dell’accordo di Prometeo ai vertici
di un dodecagono (rappresentazione della scala cromatica di 12 suoni), la serie dei
collegamenti lungo l’asse di una settima diminuita dà origine a una figura geome-
trica altamente significante: un quadrato, simbolo del numero 4 (Do, Mi bemolle,
Fa diesis, La) con le sue diagonali, simboli del numero 2 (Do-Fa diesis, La-Mi be-
molle); questa figura è all’origine di tutta la sezione introduttiva del Prometeo (Fig. 2).
Qui la logica dei collegamenti sembra più sfumata, ma sempre con il tritono
in evidenza. La figura risultante ne mette bene in evidenza i rapporti e le simme-
trie più evidenti.
74, questa tendenza è portata oltre, poiché il collegamento sul tritono va configu-
randosi come collegamento di un accordo con se stesso.
fosse sempre diversa. Sarebbe come avere una progressione tonale o un canone
nei quali il modello o il tema cambiassero ogni volta: non si avrebbe più né una
progressione né un canone.
All’inizio del XX secolo molti compositori furono incuriositi dal fascino dei
collegamenti accordali ciclici a distanza di intervalli regolari, soprattutto terza
(maggiore o minore), tritono e triade aumentata. Questi collegamenti permette-
vano di rompere in maniera decisa con il sistema tonale, basato sul rapporto di
quinta, per indagare le caratteristiche dei rapporti intervallari che dividevano l’ot-
tava in parti uguali. Furono allora composte intere sezioni di opere basate su tali
andamenti armonici (Ravel, Stravinskij, Szymanowski), brani bipartiti con ripre-
se al tritono (Skrjabin) o ancora fughe con entrate a distanza di terza o di tritono
(Bartók). Non si trattava ancora di cicli rigorosi, ma di una tendenza alla ripetizio-
ne periodica di elementi su livelli di trasposizione pianificati, che si concludevano
nella posizione iniziale, una sorta di progressioni statiche12.
Un caso particolare è quello del compositore Nikolaj Roslavec, considerato
un illustre skrjabinista, che basò molte sue composizioni su accordi-scala di base
unici, sottoponendoli alle più ardite trasformazioni tematiche. Negli accordi uti-
lizzati da Roslavec, di sette o otto suoni, non è mai incluso un insieme esatonale
completo, quindi si può affermare che la composizione verticale dei suoi accordi
evita l’esatonalità, mentre l’andamento orizzontale la predilige. Infatti, in base a
un’analisi di cinque suoi pezzi significativi, composti attorno al 1920, appare evi-
dente che i collegamenti accordali si svolgono prevalentemente lungo un’asse esa-
tonale (1,3,5,7,9,11) escludendo sistematicamente l’altra asse (2,4,6,8,10). Assente
ogni logica di tipo ciclico, che tuttavia può rappresentare un caso particolare di
questo sistema.
La scala esatonale si raffigura geometricamente con l’esagono, simbolo del nu-
mero 6; essa rappresenta anche una delle proprietà fondamentali dell’accordo di
Prometeo, secondo cui tutte le sue trasposizioni a distanza di tono, cioè su una
scala esatonale (Do, Re, Mi, Fa diesis, Sol diesis, Si bemolle), hanno quattro no-
te in comune fra loro13. Si vedano le Tabb. 11-13 relative a tre dei Cinque Prelu-
di di Roslavec (1919-1922), sugli accordi-scala (1-2-1-1-2-1-2-1-1), (1-2-1-3-1-3-1) e
(1-3-2-1-1-2-2)14:
12
Verdi, Caleidocicli musicali, cit.
13
Questa proprietà è in relazione con la costituzione interna dell’accordo di Prometeo,
che comprende 5 suoni su 6 posti a intervalli di tono: tutti gli accordi composti di 6 suo-
ni, 5 dei quali siano a distanza di tono, hanno infatti quattro note in comune con le pro-
prie trasposizioni poste sull’asse di una scala esatonale. Si veda anche Verdi, Kandinskij
e Skrjabin, cit., p. 67.
14
La costituzione intervallare è la successione di intervalli che separano un insieme
di note poste in ordine scalare all’interno di un’ottava (L. Verdi, Organizzazione delle al-
tezze nello spazio temperato, «Diastema», Treviso 1998, p. 59).
«È necessario che la forma risulti perfetta…» 69
6. Un percorso possibile
Molti compositori del Novecento hanno fatto uso di moduli armonici ciclici
senza sviluppare però una teoria unitaria che ne sistematizzasse l’uso. Un’analisi di
questi andamenti armonici si rivela particolarmente ricca di spunti dal punto di
vista della composizione: l’obiettivo è ora mostrare come una ricodificazione degli
elementi ciclici ereditati dalla tradizione fornisca le basi per sviluppare una tecnica
della composizione musicale più rigorosamente caleidociclica.
«È necessario che la forma risulti perfetta…» 71
Nei miei Cinque Preludi-variazioni per pianoforte (1995), tutto quello che è
emerso dalle analisi precedenti è portato alle estreme conseguenze: viene applicata
la logica del collegamento ciclico, cosicché le figure armoniche risultanti diventa-
no regolari e simmetriche. Sono tutti basati su un accordo strettamente derivato da
quello ‘prometeico’. Nel primo preludio la regolarità dei collegamenti (tono, quinta
e tritono) e della frequenza degli accordi utilizzati rispecchia un progetto pianificato
in precedenza; nel secondo pezzo la frequenza delle fondamentali degli accordi è ri-
gorosamente periodica; il terzo e il quarto sono strettamente interconnessi, nel sen-
so che tutti i collegamenti di semitono ascendente o discendente si trasformano in
collegamenti di quinta e di quarta; nel quinto preludio infine è da rilevare un diver-
so tipo di periodicità nella frequenza e nella successione degli accordi (Tabb. 16-20).
La stessa tecnica sta alla base di altre mie composizioni per pianoforte delle
quali, in conclusione, presento qui le successioni accordali nella loro veste esclu-
sivamente grafica (Figg. 4-9).
The present essay deals with the initial stages of the cosmogony imagined by Scri-
abin for his Prefatory Action, a sort of sketched prelude to his utopian and never
realized Mysterium. We shall show the affinities between Scriabin’s cosmogony and
some ancient Greek (more specifically Orphic) and Indian (Vedic) cosmogonies.
Bearing in mind the sources that might have been available to Scriabin, it seems
rather unlikely that the composer could have had a direct knowledge of those an-
cient Greek and Indian myths. Therefore, we may assume that, independent from
direct influences, Scriabin’s imagination and his way of thinking were quite similar
to those of the authors of ancient Indian sacred texts.
В данном эссе речь идет о первых ступенях той космогонической системы,
которую Скрябин выразил в своем Предварительном действе, своего рода
эскизной прелюдии к нереализованной утопической Мистерии. Мы пока-
жем сходства между космогонией Скрябина и некоторыми древнегречески-
ми (прежде всего орфическими) и индийскими (ведическими) космогониче-
скими системами. Принимая во внимание характер источников, доступных
Скрябину, не представляется возможным предполагать, что композитор мог
получить неопосредованное представление о греческих и индийских мифах.
Тем не менее, мы можем предположить, что и без прямого, непосредствен-
ного влияния воображение Скрябина и путь его мысли были чрезвычайно
близки к логике авторов древнеиндийских священных текстов.
1. Premessa
Nelle sue memorie sul compositore, Leonid Sabaneev ricorda una conversazio-
ne in cui Skrjabin gli disse: «Io sono più indù dei veri indù», e Boris de Schloezer
afferma che l’autore del Poema dell’estasi, scherzando, si autodefinisse spesso come
un indù vero e proprio1. È un fatto ben noto che Skrjabin, forse anche per influenza
Izdatel’ctva, Moskva 1925, p. 295 (nuova ed.: Klassikа XXI, Moskva 2000); B. de Schloezer,
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
76 Francisco Molina-Moreno
della teosofia, fosse affascinato dalla cultura indiana. Sabaneev testimonia un effi-
mero interessamento del nostro autore per la pratica dello yoga e, secondo Tompa-
kova, il trattato di yoga di Ramacaran era tra i libri che componevano la biblioteca
personale del compositore2. Diversi altri studiosi hanno menzionato libri sull’India
posseduti da Skrjabin: l’opera di Barth sulle religioni dell’India, The Light of Asia di
Sir Edwin Arnold, che Skrjabin leggeva nella versione francese di Léon Sorg, rac-
conti di viaggio e, infine, il poema La vita di Buddha di Aśvaghoṣa (ca. 50-180 d.C.),
nella versione russa di Konstantin Bal’mont3. Come ricorda Luigi Verdi, Skrjabin
ammirava inoltre il dramma Śakúntalā di Kālidāsa, che vide rappresentato a Mosca
nella versione russa di Bal’mont, con Alisa Koonen come protagonista4. Skrjabin si
dedicò anche per qualche tempo allo studio del sanscrito, poiché voleva utilizzarlo
nel testo del suo Mistero5; l’esecuzione di questo tanto colossale quanto utopistico
spettacolo-rito sinestesico avrebbe dovuto effettuarsi in India, in un enorme tem-
pio da costruirsi su un lago6. Alla fine, Skrjabin riuscì a scrivere soltanto il testo
Alexandre Scriabine, Librairie des Cinq Continents, Paris 1975, p. 199 (trad. francese di
M. Minuščina dall’ed. russa: Aleksandr Skrjabin: ličnost’, misterija, Grani, Berlin 1923).
2
Sabaneev, Vospominanija, cit., p. 234; O.M. Tompakova, Aleksandr Nikolaevič
Skrjabin i ego muzej. (Aleksandr Skrjabin e il suo museo), VRIB Sojuzreklamkul’tura,
Moskva 1990, p. 18.
3
A. Barth, Les religions de l’Inde, Librairie Sandoz et Fischbacher, Paris 1879; E.
Arnold, The Light of Asia, Trübner & Co., London 1879 (versione francese di L. Sorg, La
lumière de l’Asie, Chamuel, Paris 1899, <http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k73041q/
f2.image> (11/18); K.D. Bal’mont, Ašvagoša. Žizn’ Buddy, М. i S. Sabašnikoby, Moskva
1913, riedizione: G. M. Bongard-Levin, Žizn’ Buddy / Ašvagoša. Dramy / Kalibasa. Perevod
K. Bal’monta, Chudožestbennaja Literatura, Moskva 1990 (si veda la parte che in questo li-
bro corrisponde alla Vita di Buddha in <http://www.abhidharma.ru/A/Buddha/Content/
Shakyamuni/0001.pdf> (11/18); M. Kelkel, Alexandre Scriabine. Éléments biographiques,
l’ésotérisme et le langage musical dans les dernières oeuvres, Paris 1974 (thèse de docto-
rat), p. 72; Schloezer, Alexandre Scriabine, cit., p. 40; F. Bowers, Scriabin, Dover, New York
19962, vol. II, p. 211; L. Verdi, Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, l’Epos, Palermo 2010, p. 63.
4
Verdi, Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, cit., p. 65; cfr. anche Sabaneev, Vospominanija,
cit., p. 239 (ed. 2000, p. 277).
5
Schloezer, Alexandre Scriabine, cit., p. 182; a quanto ricordiamo dalle nostre visite
negli anni 2007-2008, il manuale di sanscrito adoperato da Skrjabin (A. Bergaigne e V.
Henry, Manuel pour étudier le sanscrit védique. Précis de grammaire, chrestomathie, le-
xique, Émile Bouillon, Paris 1890) si poteva ancora vedere nello studio della casa-museo
del compositore a Mosca.
6
Sul Mistero di Skrjabin si vedano L. Sabaneev, “Prometej” Skrjabina, «Muzykа»,
1911, pp. 286-294: 287-288 (versione tedesca: L.L. Sabanejew, Prometheus von Skrjabin,
in W. Kandinsky und F. Marc, Der blaue Reiter, Piper Verlag, München 1912, pp. 56-68
[ed. 1965, pp. 107-24]; ed. italiana: L. Sabaneev, Il Prometeo di Skrjabin, in V. Kandinskij
e F. Marc, Il cavaliere azzurro, De Donato, Bari 1967, pp. 99-114); L. Sabaneev, Skrjabin,
Skorpion, Moskva 1916, pp. 12-13, 34-84, 95-103 e 228-229; O. von Riesemann, Zur
Einführung, in Id., Prometheische Phantasien, Deutsche Verlagsanstalt, Stuttgart 1924
Più indù degli indù? Skrjabin, le cosmogonie orfiche e la mitologia vedica 77
(ristampa Wollenweber, München 1968), pp. 5-23: 11-19; Sabaneev, Vospominanija, cit.,
pp. 20, 44-46, 58, 82-83, 86, 106-108, 119-120, 122, 149-150, 160, 171, 205-206, 214-215,
229, 233, 267-272 e 284; Schloezer, Alexandre Scriabine, cit., pp. 121-206; M. Scriabine,
Introduction, in Schloezer, Alexandre Scriabine, cit., pp. 7-21: 14 e 17; Bowers, Scriabin,
cit., vol. II, pp. 49-50, che rinvia a J. Engel’, Skrjabin. Biografičevskij očerk, «Muzykal’nyj
sovremennik», 4-5, 1916, pp. 5-96, in particolare 56-57; M. Kelkel, Alexandre Scriabine.
Un musicien à la recherche de l’absolu, Fayard, Paris 1999, pp. 225-226 e 351; Verdi,
Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, cit., pp. 66, 72, 126, 128-142, 190 e 319.
7
Citiamo, appena modificata, la traduzione italiana di Verdi in Aleksandr Nikolaevič
Skrjabin, cit., p. 419. Il testo originale russo di quei versi nella prima versione (l’unica
completa) dell’Atto preliminare si trova in A.N. Skrjabin, Zapisi, «Russkie propilei», 6,
1919, pp. 120-247. Nella seconda versione, riveduta e corretta da Skrjabin, ma non finita, il
compositore pensa di far cantare i versi da un coro; il testo è un po’ diverso, benché il con-
tenuto sia molto simile: «In un volo di folgore, in uno scoppio minacciante, / nell’amoro-
sa ondata creatrice / nel suo alito divino, / il viso occulto della cosmogenesi. / L’ardore di
un istante crea l’Eternità, / caccia la profondità dello spazio; / l’infinito emana l’alito del
mondo, / e di sonorità avvolge il silenzio».
8
F. Molina-Moreno, Para el éxtasis y el misterio: dos poemas (no musicales) de Alexander
Scriabin, «Scherzo», 304, 2015, pp. 76-85: 78, <http://eprints.ucm.es/31019/> (11/18).
78 Francisco Molina-Moreno
il tuono cui si accenna in qualche mito cosmogonico (non certo il Big Bang, teoria
non ancora ipotizzata ai tempi di Skrjabin)9. Peraltro, secondo quanto testimonia
Sabaneev, per Skrjabin la folgore rappresentava la volontà creatrice10, ma dobbiamo
considerare con attenzione lo scoppio e il soffio infuocato (vv. 5 e 7), di cui l’alito
del mondo (v. 11) sembra quasi una conseguenza.
9
M. Schneider, Le rôle de la musique dans la mythologie et dans les rites des civilisa-
tions non européennes, in Roland-Manuel, Histoire de la musique, I (Encyclopédie de la
Pléiade), Gallimard, Paris 1960, pp. 131-214: 133-134, 149, 151, 162-164 e 182-183; Id., Le
symbole sonore dans la musique religieuse ou magique non européenne, in J. Porte (éd.),
Encyclopédie des musiques sacrées, I, Labergerie, Paris 1968, pp. 53-79: 68; F. Molina-
Moreno, El orfismo y la música, in A. Bernabé e F. Casadesús (cur.), Orfeo y la tradi-
ción órfica. Un reencuentro, Akal, Madrid 2008, pp. 817-40: 821-822 e 825; Música de
Orfeo y música de los órficos, <http://eprints.ucm.es/15383/1/Música_órfica.pdf>, 2014,
p. 4 (11/18).
10
Sabaneev, Vospominanija, cit., p. 287.
11
Crizia, frammento 19, vv. 32-34, tramandato da Sesto Empirico, Adversus mathe-
maticos, 9, 54, in B. Snell (hrsg.), Tragicorum Graecorum Fragmenta, I Band, Vandenhoeck
& Ruprecht, Göttingen 1986, p. 181. Cfr., al riguardo, Molina-Moreno, El orfismo y la
música, cit., p. 821, e Id., Música de Orfeo y música de los órficos, cit., p. 4.
12
A. Bernabé (hrsg.), Poetae Epici Graeci. Testimonia et fragmenta. Pars II: Orphicorum
et orphicis similium testimonia et fragmenta, K.G. Saur, Leipzig-München 2004-2007,
tomo I, pp. 119-120, frammento 111 tramandato da Proclo, Commento alla Republica di
Platone, in W. Kroll (hrsg.), Proclus Diadochus. In Platonis Rem publicam commentarii,
Teubner, Leipzig 1899-1901, tomo II, p. 138, versi 14-15 e Bernabé, Orphicorum, cit., tomo
I, p. 293, frammento 360 (tramandato da uno scolio alle Argonautiche di Apollonio Rodio,
3, 26 in K. Wendel, Scholia in Apollonii Rhodii Argonautica, Weidmann, Berlin 1935, p.
216; Euripide, frammento 192 in R. Kannicht, Tragicorum Graecorum Fragmenta, vol. 5.1,
Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2004, p. 292, tramandato da Giuliano, Lettere, 30
(cfr. J. Bidez et al., L’empereur Jullien. Oeuvres complètes. Tome I, partie 2: Lettres et frag-
ments, Les Belles Lettres, Paris 1924, p. 57 e dalla Suda, α, 1751, s. v. Ἀμφίων. Su queste
testimonianze delle cosmogonie greche, cfr. Molina-Moreno, El orfismo y la música, cit.,
p. 822, e Id., Música de Orfeo y música de los órficos, cit., p. 4.
Più indù degli indù? Skrjabin, le cosmogonie orfiche e la mitologia vedica 79
d’amore e l’eternità (v. 9) del poema di Skrjabin, che poteva aver conosciuto indi-
rettamente quelle dottrine attraverso l’amico Viačeslav Ivanov, filologo classico
e poeta. Ovviamente, però, nelle testimonianze dell’antica Grecia e nel brano di
Skrjabin, il Respiro, il Tempo e l’Eros si succedono in ordine diverso.
13
Eléna Petróvna von Hahn, coniugata Blavackij (1831-1891) è stata una filosofa, teo-
sofa, saggista occultista e medium russa naturalizzata statunitense. Nel 1875 fondò a New
York la Società Teosofica, che ambiva a divulgare il pensiero teosofico, secondo il quale
tutte le religioni sarebbero derivate da un’unica verità divina. [N.d.CC.]
14
RV, 10, 129, 2b: “ānīd avātáṃ svadháyā tád ékam”, testo sanscrito in Th. Aufrecht
(hrsg.), Die Hymnen des Ṛgveda, Adolph Marcus, Bonn 1877, tomo II, p. 430 (ristam-
pa: Harrassowitz, Wiesbaden 1968); cfr. la trad. inglese in R.T.H. Griffith, The Hymns of
the Rig-Veda, E.J. Lazarus, Benares 1896-1897, nuova edizione Motilal Banarsidass, New
Delhi 1986, p. 633; cfr. anche H.-G. Nicklaus, Die Maschine des Himmels: zur Kosmologie
und Ästhetik des Klangs, Wilhelm Fink Verlag, München 1993, p. 9. Le traduzioni italiane
dei testi sanscriti citati sono dell’autore di questo saggio.
15
RV, 10, 129, 3b.
16
L’Atharvaveda è l’ultima delle quattro suddivisioni dei Veda: gli atharvan erano le
formule propiziatorie adoperate durante alcune cerimonie sacrificali della religione ve-
dica. [N.d.CC.]
80 Francisco Molina-Moreno
Quando Prāṇá, col suo tuono grida alle piante / queste impregnano i suoi calici,
concepiscono e nascono in abbondanza. / Quando Prāṇá, all’arrivo della stagione, /
grida alle piante, allora tutto è felice, tutto ciò che c’è sulla terra17.
17
AV, 11, 4, 3-4. Testo sanscrito in J. Gippert, Atharvaveda, <http://titus.uni-frankfurt.
de/texte/etcs/ind/aind/ved/av/avs/avs.htm> (11/18); cfr. la trad. inglese in Griffith, Hymns
of the Atharva Veda, <http://www.sacred-texts.com/hin/av/av11004.htm> (11/18).
18
AV, 11, 4, 12 b. Testo sanscrito in Gippert, Atharvaveda, cit., <http://titus.uni-
frankfurt.de/texte/etcs/ind/aind/ved/av/avs/avs.htm?avs466.htm> (11/18); cfr. la trad. in-
glese in Griffith, Hymns of the Atharva Veda, cit.
19
Con il termine Sáṃhitā, trascrizione di un sostantivo femminile sanscrito, si inten-
de una raccolta ordinata di versi o di testi. La parte più antica dei Veda, gli antichissimi
testi sacri indiani, fu composta tra tra il 2000 e il 1100 a.C., ed è per l’appunto costituita
da diverse Sáṃhitā. Tra queste vi è il Yajurveda, ovvero una raccolta di formule sacrificali
impiegate nel rituale vedico (mantra), scritto in parte in versi e in parti in prosa, che rap-
presenta il più antico esempio di opera letteraria in sanscrito. Ne esistono due diverse ver-
sioni, il Kṛṣṇa Yajurveda (Yajurveda nero) – che comprende anche la Taittirīya Sáṃhitā –,
e il Śukla Yajurveda (Yajurveda bianco). [N.d.CC.]
20
Taittirīya Sáṃhitā, 3, 4, 7. Testo sanscrito in J. Gippert, Taittirīya Sáṃhitā, <http://
titus.uni-frankfurt.de/texte/etcs/ind/aind/ved/yvs/ts/ts.htm> (11/18). Sui gandharvās e le
apsarasas, cfr. A.A. Macdonell, Vedic Mythology, Trübner, Strassburg 1898, pp. 134-137
(ristampa: Motilal Banarsidass, Delhi 1974 e 1981). Secondo il RV, 7, 33, 12 b, apsarásaḥ
pári jajñe vásiṣṭhaḥ, cioè, ‘da una apsarás nacque Vásiṣṭha’, uno dei sette ṛṣayaḥ (plurale
di ṛṣi), di cui parleremo dopo.
Più indù degli indù? Skrjabin, le cosmogonie orfiche e la mitologia vedica 81
21
Cfr. A. Macdonell e A.B. Keith, Vedic Index of Names and Subjects, J. Murray,
London 1912 (ristampa: Motilal Banarsidass, Delhi 2007).
22
RV, 4, 42, 8.
23
RV, 10, 109, 4.
24
RV, 10, 130, 7.
25
AV, 11, 1, 1.
26
AV, 11, 1, 24. Il mestolo citato si riferisce a un cucchiaio di legno, adoperato nei sa-
crifici vedici per versare il burro chiarificato nel fuoco.
27
AV, 12, 1, 39.
28
RV, 1, 113, 17a.
29
RV, 3, 61, 6.
30
RV, 7, 77, 6a.
31
RV, 7, 79, 4.
32
RV, 7, 80, 1.
82 Francisco Molina-Moreno
denti di Vásiṣṭha, uno dei sette ṛṣayaḥ33, che merita nel nostro contesto una spe-
ciale attenzione, poiché, secondo lo Śatapatha Brāhmaṇa, 8, 1, 1, 6, lo ṛṣi Vásiṣṭha
è il respiro (prāṇo vai vasiṣṭha ṛṣiḥ)34. Questa identificazione fra un poeta-cantore
e il respiro è coerente col fatto che il respiro è il fondamento fisiologico della voce,
quindi del linguaggio verbale e del canto.
Gli ṛṣayaḥ sono poeti-cantori e i loro inni accompagnano il sacrificio vedico,
come si deduce da molti passi del Ṛgveda: «Agni merita di essere lodato dagli ṛṣayaḥ
del presente e del passato»35; «Oh Indra! Alcuni canti di lode giunsero insieme,
altri separatamente, ma tutti contengono eccellenti preghiere. Ora e in passato i
canti di lode degli ṛṣayaḥ, la loro parola e la loro musica, si adoperano per giungere
fino a Indra»36; «Poiché nei versi śakvarī, che suonano con forza, avete infuso, oh
Vásiṣṭhās, vigore per Indra»37; «Beato ti faccia, sì, la splendente; Sárasvatī genero-
sa sembra ricca in doni, lodata alla maniera di Jamadágni, celebrata alla maniera
di Vásiṣṭha»38; «Io adorno le mie lodi con un canto antico, alla maniera di Kaṇva,
per mezzo del quale Indra si rinvigorisce»39; «Questo antico pensiero, straripan-
te di grasso e miele, i Káṇvās, col suo canto di lode, lo hanno reso più potente»40.
Inoltre, la composizione degli inni vedici veniva attribuita agli ṛṣayaḥ, come pos-
33
Nella Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad, 2, 2, 3-4 (della recensione Kāṇva = 2, 2, 4-6 della
Mādhyandina = Śatapatha Brāhmaṇa, 14, 5, 2, 4-6), vengono elencati i nomi dei sette ṛṣayaḥ
in un passo di cui proponiamo questa traduzione: «(3) Su quello c’è questa stanza: “Un bic-
chiere con la bocca in giù e il fondo in su. Molti doni diversi vi sono posti. I sette ṛ´ṣayaḥ
sono seduti sul suo orlo. L’ottava, la voce, è unita all’anima del mondo”». Il bicchiere con la
bocca in giù e il fondo in su rappresenta la testa. I molti doni diversi sono invece gli organi
dei sensi. «I sette ṛ´ṣayaḥ sono seduti sul suo orlo»: gli organi dei sensi sono appunto gli
ṛ´ṣayaḥ. «L’ottava, la voce, è unita all’anima del mondo», ovvero la voce è in contatto con l’a-
nima del mondo. (4) Questo è Gótama e quello è Bháradvāja. Questi due sono Viśvā´mitra
e Jamadágni. Questi altri sono Vásiṣṭha e Kaśyápa. La lingua è Atri, poiché con la lingua
si mangia (ad) il cibo. Colui che mangia ha appunto quel nome: Atri. Chi sa questo, man-
gia tutto e tutto diventa il suo cibo» (il testo sanscrito si può consultare in <http://titus.uni-
frankfurt.de/texte/etcs/ind/aind/ved/yvw/upanisad/bau/bau.htm> (11/18).
34
I Brāhmaṇa sono testi religiosi indiani in sanscrito composti intorno al XI-IX se-
colo a.C. allo scopo di illustrare il rapporto tra le formule sacrificali (mantra) e le azio-
ni (karman) relative alle cerimonie descritte nei Veda. Il Śatapatha Brāhmaṇa – lette-
ralmente il ‘Brāhmaṇa dei cento sentieri’ – è il Brāhmaṇa collegato al Śukla Yajurveda
(Yajurveda bianco): si tratta del Brāhmaṇa più noto ed esteso, un autentico compendio di
riti sacrificali. È uno dei più recenti, essendo stato redatto nella sua forma definitiva in-
torno all’VIII secolo a.C. [N.d.CC.]
35
RV, 1, 1, 2.
36
RV, 6, 34, 1.
37
RV, 7, 33, 4b.
38
RV, 7, 96, 3.
39
RV, 8, 6, 11.
40
RV, 8, 6, 43.
Più indù degli indù? Skrjabin, le cosmogonie orfiche e la mitologia vedica 83
siamo dedurre dalle allusioni che accompagnano le citazioni dei brani vedici. Si
veda, ad esempio, Śatapatha Brāhmaṇa, 2, 5, 1, 4: «Perciò uno ṛṣi disse: “Tre ge-
nerazioni sono passate”»41.
Il carattere specificamente musicale dell’esecuzione degli inni e delle preghie-
re nel culto vedico (e quindi il carattere musicale dell’attività degli ṛṣayaḥ) viene
attestato da qualche passo del Ṛgveda, in cui si accenna agli strumenti musicali
adoperati nel rituale religioso. Ad esempio, in RV, 8, 58 (= 69), vv. 8-9, leggiamo:
«Cantate, alzatevi per cantare, figli di Príyamedha. Che cantino i vostri figli, e voi
cantate come fareste per una roccaforte, cantate con coraggio. Suoni il liuto42, ri-
suoni la sua corda; vibri la corda, la preghiera che si eleva per Indra»43. In RV, 10,
135, 7, osserviamo come la musica strumentale accompagni le lodi per gli dei an-
che nell’aldilà: «Questa è la residenza di Yama, quella che chiamano palazzo degli
dei. Qui il suo flauto viene suonato, e i canti di lode lo glorificano»44.
6, 1, 1, 2. Il respiro vitale che era in centro, quello era, senza dubbio, Indra. Dal centro
egli accese con il suo potere i respiri vitali. E, poiché li accese, egli è ‘colui che accende’
(indha). I respiri vitali, una volta accesi, generarono sette persone separatamente.
6, 1, 1, 3. Essi (cioè, i respiri vitali) dissero: «Così, veramente, mai potremo procreare.
Facciamo dunque una sola persona da quelle sette persone». Fecero da quelle sette
persone una sola persona: unirono due di loro in ciò che c’è dall’ombelico in su; due
in ciò che c’è in giù; un’altra persona diventò un fianco; un’altra ancora l’altro fianco;
un’altra ancora la base (i piedi).
41
Śatapatha Brāhmaṇa, 2, 5, 1, 4. Testo sanscrito in J. Gippert, Śatapatha Brāhmaṇa,
<http://titus.uni-frankfurt.de/texte/etcs/ind/aind/ved/yvw/sbm/sbm.htm> (11/18).
42
Si ammette anche la traduzione come ‘arpa’; cfr. H. Grassmann, Wörterbuch zum
Rig-Veda, Brockhaus, Leipzig 1873 (Ristampa: Otto Harrassowitz, Wiesbaden 1976), s. v.
‘gargara’.
43
RV, 8, 58 (69), 8-9.
44
RV, 10, 135, 7.
45
Śatapatha Brāhmaṇa, 6, 1, 1, 1.
84 Francisco Molina-Moreno
ugualmente, è la testa (śiras). E poiché i respiri vitali si mostrarono (śri), perciò essi sono
eccellenze (śriyas). E poiché si mostrarono (śri) nel tutto, perciò il tutto è il corpo (śarīram).
Abitanti celesti,
portatori di fuoco,
guide dei destini,
artefici dell’universo48,
guardiani delle frontiere,
combattenti di Dio,
travolgono ogni baluardo.
46
Śatapatha Brāhmaṇa, 6, 1, 1, 2-5.
Cfr. Skrjabin, Zapisi, cit., pp. 203-206, e la traduzione di Verdi in Skrjabin, cit., pp.
47
419-424.
48
Ricordiamo che i sette ṛṣayaḥ venivano anche chiamati bhūtakṛ´taḥ, cioè ‘creatori
dell’essere, del mondo’ (si vedano i passi citati in 4.2.).
49
Traduzione italiana di Verdi in Skrjabin, cit., pp. 422-423. Si veda il testo originale
in Skrjabin, Zapisi, cit., p. 205 (vv. 102-121).
Più indù degli indù? Skrjabin, le cosmogonie orfiche e la mitologia vedica 85
Fra ciò che si racconta sugli ṛṣayaḥ nelle fonti indiane non abbiamo ancora tro-
vato niente di simile a ciò che dice Skrjabin nei versi appena citati. Tuttavia, nono-
stante alcune piccole differenze, è evidente che nella cosmogonia di Skrjabin, come
in quelle vediche, un gruppo di sette personaggi svolge una funzione di rilievo50.
6, 1, 1, 8. Proprio lui, Prajā´pati, provò un desiderio: «Se io potessi essere qualcosa di più,
se io potessi procreare!» Fece degli sforzi, praticò l’ascesi. Affaticato dall’ascesi, dunque,
creò prima di tutto il brahman, la triplice scienza. Questo è per lui il fondamento; perciò
hanno detto: ‘Il brahman è il fondamento di tutto questo’. Perciò, quando si recitano
le formule di invito per il sacrificio, si sta in piedi, poiché quello è il fondamento, cioè
il brahman. In base a quel fondamento, praticò l’ascesi.
6, 1, 1, 9. Creò le acque dalla sua voce51, dall’universo. Emise la sua voce. Invase il tutto.
E quel tutto cos’era? Poiché tutto lo invase (āp), perciò si chiama ‘acque’ (āpas), e, poiché
tutto lo coperse (vṛ), perciò si chiama ‘oceano’ (var)52.
50
Secondo M. Scriabine, Alexandre Scriabine. Notes et réflexions, Klincksieck, Paris
1979, p. 81, quei sette angeli possono costituire un’allusione alla teoria teosofica delle
sette razze umane oppure, più esattamente, a sette fasi successive nell’evoluzione dell’u-
manità, ipotesi accolta in Verdi, Skrjabin, cit., p. 141. Ci sembra che il parallelismo con i
sette ṛṣayaḥ sia più stretto, ma la suggestione di Marina Scriabine merita uno studio più
approfondito.
51
Benché non si parli di Prajā´pati, il ruolo del canto nelle cosmogonie vediche (per
l’appunto nella creazione delle acque) si vede anche nella Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad, 1,
2, 1: «All’inizio, certamente, qui non c’era niente. Veramente, questo era coperto dalla
morte, dalla fame, poiché la fame è la morte. Allora fece la mente: Desidero essere io – si
disse. Si muoveva, intonando canti di lode. Mentre li intonava, nacquero le acque» (trad.
nostra). Su questo passaggio si veda Nicklaus, Die Maschine des Himmels, cit., p. 19, n. 2).
Non è chiaro quale sia il soggetto di «fece la mente»; potrebbe essere una personificazione
della Morte, accennata nella frase precedente.
52
Śatapatha Brāhmaṇa, 6, 1, 1, 8-9.
53
Śatapatha Brāhmaṇa, 7, 5, 2, 21. La traduzione ‘la voce’ può anche essere resa con
Vāk, cioè la dea della voce oppure la voce divinizzata.
86 Francisco Molina-Moreno
(che, come abbiamo già detto, significa «colui che ha fatto tutto»), è un altro nome
di Prajā´pati, come si può dedurre mettendo a confronto un passo del Ṛgveda con
uno della Vājasaneyisaṃhitā e ancora con un altro dello Śatapatha Brāhmaṇa.
Infatti nel Ṛgveda, 10, 81, 7, Viśvákarman viene chiamato vācáspati, che significa
«signore della voce» oppure «sposo di Vāk»: «Oggi vorremmo offrire una libagione
al signore della voce, a Viśvákarman, veloce come il pensiero, per ottenere il suo
favore nella lotta»54. D’altro canto, nella Vājasaneyisaṃhitā, 9, 1, si dice:
Oh, divinità vivificante, dai la vita al sacrificio, dai la vita al signore del sacrificio, per
la nostra prosperità. Oh, divino gandharvá, purificatore del desiderio, purifica il nostro
desiderio. Oh, signore della voce, fai che questo cibo sia gradevole per noi55.
Quindi va detto: «Oh, divinità vivificante, dai vita al sacrificio, dai vita al signore del
sacrificio, per la nostra prosperità. Oh, divino gandharvá, purificatore del desiderio,
purifica il nostro desiderio. Oh, signore della voce, rendi questo cibo gradevole per
noi». E ciò va ben detto, perché Prajā´pati è il signore della voce, e il cibo è il signore
del sacrificio56.
D’altro canto, abbiamo già visto un passo della Taittirīya Sáṃhitā, 3, 4, 7, che
dice: «Prajā´pati è Viśvákarman [cioè, colui che ha fatto tutto]: la mente. È un gan-
dharvá: il suo verso ed il suo canto sono le apsárasas, le sue portatrici»57.
Altri dettagli su come Vāk aiutò Prajā´pati nella creazione del mondo si trova-
no nel Pañcaviṃśa Brāhmaṇa, 20, 14, 2:
Allora Prajā´pati si trovava lì da solo. Vāk era ciò che lui aveva, Vāk era la sua compagna.
Lui guardò: «Voglio lasciarla uscire. Lei lo invaderà tutto». La lasciò uscire. Lei lo invase
tutto; si estese verso l’alto come si estende un ruscello d’acqua. Lui ne tagliò una terza
parte: a fu la terra, e veramente è ancora così; per l’appunto, quello è il terreno della
terra. Ne tagliò un altro terzo, ka: questo fu lo spazio intermedio; quello è veramente
nel mezzo; quell’‘essere nel mezzo’ è la caratteristica dello spazio intermedio. Ne tagliò
un altro terzo: ho brillò verso l’alto; quello fu il cielo, e così brilla ancora; veramente
quella è la celestialità del cielo58.
54
RV, 10, 81, 7.
Vājasaneyisaṃhitā, 9, 1. Testo sanscrito in J. Gippert, Vājasaneyisaṃhitā, 2008
55
<http://titus.uni-frankfurt.de/texte/etcd/ind/aind/ved/yvw/vs/vs.htm> (11/18).
56
Śatapatha Brāhmaṇa, 5, 1, 1, 16.
57
Taittirīya Sáṃhitā, 3, 4, 7. Testo sanscrito in J. Gippert, Taittirīya Sáṃhitā, cit.
58
Pañcaviṃśa Brāhmaṇa, 20, 14, 2. Testo sanscrito in J. Gippert, Pañcaviṃśa
Brāhmaṇa, 2009, <http://titus.uni-frankfurt.de/texte/etcs/ind/aind/ved/sv/pb/pb.htm>
(11/18); cfr. Schneider, Le rôle de la musique dans la mythologie, cit., p. 139.
Più indù degli indù? Skrjabin, le cosmogonie orfiche e la mitologia vedica 87
In questo passo del Pañcaviṃśa Brāhmaṇa, 20, 14, 2, possiamo vedere un prin-
cipio di articolazione linguistica della voce: non si tratta ormai del tuono, feno-
meno sonoro indeterminato, prima manifestazione di Prāṇá, l’alito divinizzato,
cui si accenna in qualche passo dell’Atharvaveda (cfr. 4.1.). Le sillabe menzionate
nel Pañcaviṃśa Brāhmaṇa (a, ka, ho) vengono associate rispettivamente alla ter-
ra, allo spazio intermedio e al cielo. Sembrerebbe che l’articolazione della voce, la
distinzione di sequenze di suoni corrispondano alla distinzione degli esseri nel
processo cosmogonico. Qualcosa di simile si trova nella Genesi (1, 3-24), dove le
parole di Dio creano la luce e tutte le creature. D’altro canto, nel salmo 33 (32), 6,
si dice: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli; dal soffio della sua bocca ogni
loro schiera». È ben noto, inoltre, l’inizio del Vangelo di San Giovanni, 1, 1-3 («In
principio era il Verbo […] e tutto è stato fatto per mezzo di lui»), che presenta una
notevole affinità con lo Śatapatha Brāhmaṇa, 8, 1, 2, 9, in cui è scritto che lo ṛṣi
Viśvákarman è la parola, poiché «tutto è stato fatto attraverso la parola». Tuttavia,
le parole del passo del Pañcaviṃśa Brāhmaṇa non designano, da un punto di vista
linguistico, le realtà che vengono create grazie a loro. In sanscrito, infatti, a non
significa «terra», ka non significa «spazio intermedio», e ho non significa «cielo»; a
e ho sono soltanto interiezioni, mentre ka è la radice di un pronome interrogativo.
Un altro esempio di articolazione linguistica della voce di Prajā´pati si trova
nello Śatapatha Brāhmaṇa, 11, 1, 6, 1-3:
11, 1, 6, 2. Un anno dopo si formò una persona. Quella persona era Prajā´pati. È per
questa ragione che la donna, la vacca o la cavalla partoriscono entro un anno, perché
entro un anno nacque Prajā´pati. Questi ruppe l’uovo dorato. Non esisteva a quei tempi
nessun punto di sostegno. L’uovo d’oro portato da Prajā´pati galleggiò di qua e di là
tanto tempo quanto dura un anno.
11, 1, 6, 3. Un anno dopo [Prajā´pati] volle parlare. Disse: «Bhūs», ed esistette la terra;
«Bhuvas», ed esistette lo spazio intermedio; «Svar», ed esistette il cielo. È per questa
ragione che il bambino comincia a parlare entro un anno, perché fu entro un anno
che Prajā´pati parlò59.
Nel brano citato, le parole pronunciate da Prajā´pati e associate alla terra, allo
spazio intermedio e al cielo, bhūs, bhuvas e svar significano rispettivamente «l’es-
sere», «gli esseri» e «luminosità». Queste tre parole, insieme alla sillaba sacra om,
furono anche pronunciate da Vásiṣṭha, uno dei sette ṛṣayaḥ, quando desiderava
59
Śatapatha Brāhmaṇa, 11, 1, 6, 1-3.
88 Francisco Molina-Moreno
una progenie. Nel Jaiminīya Upaniṣad Brāhmaṇa, 3, 18, 6, infatti, si legge: «Perciò,
certamente, Vásiṣṭha, desideroso di progenie, generato dal dio Savitar come can-
tore degli dèi, consacrò con formule magiche ed emise la sua voce: Bhūs, bhuvas,
svar, om»60. È bene ricordare che la sillaba om è l’essenza ultima di tutte le cose,
secondo la Chāndogya Upaniṣad, 1, 1, 1-3:
(1, 1, 1). Om. Questa sillaba è l’udgītha, su cui occorre meditare. Om è il principio del
canto. Ecco la sua spiegazione: (1, 1, 2) la terra è l’essenza di questi esseri. L’acqua è
l’essenza della terra. Le piante sono l’essenza dell’acqua. L’essenza delle piante è l’uomo.
L’essenza dell’uomo è la parola. L’essenza della parola è l’inno. L’essenza dell’inno è il
canto. L’essenza del canto è l’udgītha. (1, 1, 3) Quella è l’essenza delle essenze, la più
alta, la suprema, l’ottava, l’udgītha61.
Secondo gli studiosi, la parola rāsa, che abbiamo tradotto come «essenza»,
significa anche «fine», «sostegno» e «origine»62; quanto al termine udgītha, si-
gnifica «canto in alto» e «ad alta voce», come possiamo dedurre dallo Śatapatha
Brāhmaṇa, 14, 4, 1, 25:
E questo è, veramente, l’udgīthá: in verità è il respiro, poiché per mezzo del respiro
l’universo è stato innalzato. Vāk certamente è un canto, e ud (in alto) e gīthá (canto)
sono l’udgīthá.
5. Conclusioni
Nel poema di Skrjabin l’idea fondamentale del suono iniziale della cosmogo-
nia non si è sviluppata fino a stabilire correlazioni come quelle che abbiamo visto
negli ultimi brani citati dalle fonti vediche fra sillabe o parole della lingua e realtà
fisiche. Forse questa differenza è dovuta al fatto che Skrjabin, in quanto musicista,
prestava attenzione al suono in sé stesso, indipendentemente dal suo significato
linguistico. Si può affermare quindi che il nostro musicista-poeta non abbia segui-
to ad pedem litterae una fonte indiana specifica, che d’altro canto è quasi sicuro
non conoscesse. Le affinità fra Skrjabin e gli autori dei testi vedici qui menzionati
possono invece essere dovute, come già suggeriva Schloezer, a un rapporto pro-
60
Jaiminīya Upaniṣad Brāhmaṇa, 3, 18, 6. Testo sanscrito in J. Gippert, Jaiminīya-
Upaniṣad-Brāhmaṇa, 2008, <http://titus.uni-frankfurt.de/texte/etcs/ind/aind/ved/sv/
jub/jub.htm> (11/18).
61
Chāndogya Upaniṣad, 1, 1, 1-3: 1. Testo sanscrito in J. Gippert, Chāndogya
Upaniṣad, 2012, <http://titus.uni-frankfurt.de/texte/etcs/ind/aind/ved/sv/upanisad/
chup/chup.htm> (11/18).
62
D. De Palma (trad.), Upaniṣads, Siruela, Madrid 1995, p. 31 e n. 2; cfr. anche
Schneider, Le rôle de la musique, cit., p. 147.
Più indù degli indù? Skrjabin, le cosmogonie orfiche e la mitologia vedica 89
fondo determinato da una somiglianza nella percezione del mondo e nella con-
cezione della vita63.
Lo stesso Schloezer ha segnalato un’altra manifestazione di questa somiglian-
za: le riflessioni di Skrjabin sul rapporto fra creazione, differenziazione (e quindi
molteplicità), spazio e tempo64, appartengono a un’epoca in cui Skrjabin non aveva
fatto ancora la conoscenza delle opere di Elena Blavackaja, né conosceva le dottri-
ne indù da cui Blavackaja aveva tratto ispirazione; d’altro canto, sempre secondo
Schloezer, Skrjabin a malapena poteva aver trovato qualcosa del genere in altre
opere sull’India a lui note65. Difatti, secondo Sabaneev, Skrjabin affermava che la
propria attività artistica e creativa gli avesse insegnato tutto ciò che era successi-
vamente confluito nella sua dottrina filosofica, la quale coincideva sorprendente-
mente con le dottrine mistiche orientali66.
63
Schloezer, Alexandre Scriabine, cit., pp. 199-200.
64
Skrjabin, Zapisi, cit., pp. 135-136, 147, 149, 161 e 166-167; cfr. M. Scriabine (trad.),
Alexandre Scriabine. Notes et réflexions, cit., pp. 11-12, 27, 29, 44 e 50-52.
65
Schloezer, Alexandre Scriabine, cit., pp. 137 e 40.
66
Sabaneev, Skrjabin, cit., pp. 41-42.
Contribution à une philosophie pour les Qualia
(qualités sonores). L’exemple de la recherche
sonore de Scriabine
Antonia Soulez*
I will first recount the synesthetic tradition of sound-colours and then raise the
following questions: how do we get beyond analogical correspondence? Is anal-
ogy between different sensations irrational? What about the sensorial qualities and
their status? Whereas Scriabin represents composition under the influence of Eu-
ropean music, composer Ivan Vyshnedgradsky wonders if the manner in which
Scriabin conceived the process of partially generating a sound-universe is legiti-
mate. A mapping of sounds is an important first step, but it does not unearth all the
microtonal potentialities of sound. As for Scriabin’s “mysticism,” one has to wonder
what it means in regard to the importance of philosophy, literature and psycho-
physiological science to him. Some contemporary composers have also suggested
that Scriabin does not end the romantic tradition but instead begins a new era.
He could be seen as the forerunner of different musical trends, not only of atonal-
ity but also, since he was searching for “composing vibrations,” of Giacinto Scelsi’s
exploration into sounds as polar entities. Scelsi, also a mystic composer, claimed
that Scriabin was his predecessor. Today spectralist composers like Gérard Grisey
have also named Scriabin as their predecessor, although his music focused more on
space rather than time as a dimension to be integrated into sound. In my article, I
will demonstrate that Scriabin is a sonorist ahead of his time, who used additional
notes while abandoning tonal foundation, in contrast to Scelsi, who was more con-
cerned with sound per se and its inner “harmonies.” Scriabin can be seen, therefore,
as anticipating aspects of modern aesthetics of sound that do not appear as mystic
just for the sake of mysticism. Indeed, mysticism served his sound-universe rather
than his sound-universe sustaining his mysticism (in the manner of Scelsi).
Сначала я дам краткий обзор синестетической традиции цветозвука. После
чего перед нами встает целый ряд вопросов. Как можно выйти за пределы
аналогового соответствия? Является ли аналогия между различными
чувствами иррациональной? Какова суть и каков статус сенсорных качеств?
В то время как Скрябин - олицетворение композиции под влиянием
европейской музыки, Иван Вышнеградский (русский композитор-
конструктивист) задается вопросом о том, насколько легитимен способ
скрябиновского понимания процесса частичной генерации звукового
универсума. Классификация звуков является важной первой ступенью,
однако она не выявляет микротональные возможности звука. Точно
также как и в отношении к так называемому «мистицизму» Скрябина
часто задаются вопросом о том, что они означают для него, принимая
во внимание важность для композитора философии, литературы и
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
92 Antonia Soulez
1
Cet essai prend sa source dans une conférence qui a été prononcée en anglais à
l’université de Tel Aviv en mars 2016 à l’invitation du Pr. Eli Friedlander, sous le titre On
Scriabine’s Conception of Sound-Colours. From Sound-Colours to an Aesthetics of Sound.
Elle s’intègre à un ensemble de réflexions plus anciennes sur « une philosophie pour les
qualia sonores » que je construis pas à pas.
2
Système de logique déductive et inductive (1843) : sont dites ‘émergentes’ des pro-
priétés sans précédent et imprédictibles qui résultent d’un effet de l’ensemble des formes
d’un système à partir de formes inférieures ou micro-formes en vertu d’un niveau d’orga-
nisation d’ordre supérieur. Il est important de noter que ces propriétés sont inexplicables
déductivement ou causalement à partir des formes inférieures dont elles proviennent. C’est
l’aspect qui fait dire aux partisans de l’émergentisme en musique (sur le modèle des sciences
cognitives) que le son est ‘vivant’. Ce texte, adapté, a constitué la référence de source philo-
sophique du festival Across.
Contribution à une philosophie pour les Qualia (qualités sonores) 93
3
Ce qui ne veut pas dire qu’elle soit plus religieuse, et moins mystique, comme le sou-
tient étrangement Giacinto Scelsi (v. ci-après).
4
Je renvoie ici aux travaux de Luigi Verdi, qu’il m’a aimablement transmis. Je le
remercie tout particulièrement pour son article en hommage au musicologue français
Manfred Kelkel, mort en 1999, auteur d’un livre sur Scriabine qui fit date. Que la fon-
dation Bogliasco, où j’ai été en résidence un mois à l’automne 2016, s’en trouve remer-
ciée en personne de sa directrice Ivana Folle, pour les contacts qu’elle m’a permis de
prendre à Gênes avec des collègues de l’université ainsi qu’avec des musiciens, ainsi que
Francesca Sivori.
5
Cf. B. Saglietti, Dal Clavecin oculaire di Louis Bertrand Castel al Clavier à lumières
di Aleksandr Skrjabin, «Metamorfosi dei Lumi» VI, 2012, pp. 187-205. Voir aussi la pro-
duction du peintre-compositeur Marco De Biasi (1977): <http://www.marcodebiasi.info/
progetti/suonoecolore/> (11/18).
94 Antonia Soulez
Cf. V. Segalen, Synesthésie et poésie symboliste, «Mercure de France», avril 1902 (re-
6
8
C’est le titre de l’article consacré à Kandinsky et Schönberg, traduit en fran-
çais par E. Hyvärinen : C. Dahlhaus, La construction du disharmonique, 2, avril 1984,
«Contrechamps», L’âge d’homme, pp. 137-142.
9
Peut-être dans le prolongement de Schopenhauer très lu à Vienne, plutôt qu’à cause
de Freud.
10
Voir dans le même numéro de «Contrechamps» cité dans une note ci-dessus, à la p.
96, Jelena Hahl-Koch, sur « l’amitié artistique de Kandinsky avec Schönberg, documenta-
tion ». Elle écrit que Kandinsky a entendu Schönberg pour la première fois en 1911. C’était
quand le second Quatuor à cordes op. 10 avec soprano fut joué. Elle ajoute qu’il fut très
frappé par l’atonalité laquelle passait à l’époque pour un chaos atonal artistique, et une
version du « bolchevisme menaçant les états européens », mais en contraste Kandinsky
sentit quelque chose d’intéressant et nouveau.
11
M. Kelkel, Alexandre Scriabine : sa vie, l’esoterisme et le langage musical dans son
œuvre, Champion, Paris 1984, p. 345.
96 Antonia Soulez
12
Le rapport de Boulez avec Klee est lui au contraire dénué de référence à des concep-
tions synesthésiques Quand Boulez se tourne vers le peintre, c’est pour scruter plus avant
les recherches de Berg en direction du matériau sonore animé par la conviction que Berg
est descendu des éléments de la musique (Solfège) vers des particules sonores infiniment
petites presque microtonales. C’est un mouvement qui impliquait déjà la dissolution des
notes en de telles entités presque imperceptibles et invitait donc à entendre des mondes
possibles émergents et à les extraire de ce que les compositeurs considéraient comme in-
décomposables. A travers Klee, Boulez dit qu’il trouve l’incitation à composer structura-
lement (c’est l’époque de ses Structures, années 1950) la forme-fugue, ainsi dans Fugue
en rouge sur Bach, de Klee (1921). Voir P. Boulez, Le pays fertile, Gallimard, Paris 1989,
ainsi que O.H. Moe, D. Bozo (dir.), Klee et la musique, Catalogue de l’Exposition, Centre
Georges-Pompidou, Musée National D’art Moderne, Paris 10 Octobre 1985-1er Janvier
1986, Le Centre, Paris 1985.
13
Voir A. Soulez (dir.), Dictées de Wittgenstein à Waismann et pour Schlick, PUF,
Paris 1997 (réed. Vrin, Paris 2015).
Contribution à une philosophie pour les Qualia (qualités sonores) 97
des couleurs, la peinture au contraire s’offre comme une issue intéressante pour la
justifier sans raisonnement. Telle est la peinture du même titre de Paul Klee, Stu-
fung également intitulée Rhythmus (1921)14, œuvre de carrés, aquarelle et plume,
à regarder « dans le mouvement », à savoir musicalement15. La vibration est alors
censée apporter ce que le plan ne permet pas. C’est par la vibration que rouge et
vert, pourtant incompatibles, co-existent dans le mouvement (v. oeuvres de Klee
autour de Schwingendes polyphon, années ‘30) où les couches ou strates (Stufung)
de couleurs sont traitées comme des harmonies. Toutefois, le propos est compo-
sitionnel (peindre la fugue, et musicaliser la composition du thème-fugue) et non
à proprement parler synesthésique16. Rouge et vert « sonnent ensemble », précisé-
ment en l’absence de fondement soutenant leur analogie.
14
On sait que par superposition des états, quantiquement parlant, rouge et vert
peuvent être ensemble, même si logiquement, il y a une contradiction.
15
J’ai présenté ce point dans une Journée consacrée à Gilles G. Granger à la MSH Paris
nord, Actes parus dans A. Soulez, A. Moreno (coord.), La pensée de G. Granger, Hermann,
Paris 2010.
16
Voir Moe et Bozo, Klee et la musique, cit. On sait que Klee eut beaucoup de difficulté
à choisir entre musique et peinture, et qu’il pensait la peinture ‘musicalement’. Les peintures
en strates rythment une différenciation des valeurs de son (Klang) dans le mouvement.
17
On en trouve un fragment traduit en français dans l’ouvrage de Kelkel, Alexandre
Scriabine, cit., fragment reproduit également dans l’ouvrage récent Jean-Yves Clément,
Alexandre Scriabine, Actes Sud, Paris 2015, p. 113. Noter que le mot ‘extase’ désigne
moins l’état extatique d’un esprit mystique que la conscience absolue de l’artiste.
98 Antonia Soulez
18
Le nom du compositeur français d’origine russe Ivan Wyschnegradsky (1893-1979)
a été utilisé selon la transcription employée par le compositeur lui-même. Les conven-
tions de transcription du russe en français renvoyent à l’orthographe Vychnegradski,
tandis que la translittération scientifique selon le International Scholarly System serait
Vyšnegradskij. [Note des Éditeurs]
19
Nicolas Kul’bin (un cubo-futurist, 1868-1941, St. Petersbourg) est à cet égard
représentatif.
Contribution à une philosophie pour les Qualia (qualités sonores) 99
20
G. Scelsi, Les anges sont ailleurs, Actes Sud, Arles 2006, pp. 106-107.
21
Ibidem.
22
On peut abonder dans ce sens en tout domaine, en évitant la problématique dou-
teuse de ‘l’influence’. Ainsi le constructivisme aussi aurait trouvé une certaine réponse au
problème de Scriabine dans un ultrachromatisme poussé, en sens inverse de la direction
de Scriabine (qui visait une unité totale projetée en extension), vers le micro-intervallaire.
Voir ci-après, sur Wyschnegradsky.
100 Antonia Soulez
23
Sur l’immersion sonore voir M. Solomos, De la musique au son, PUF, Rennes 2013,
p. 267.
Contribution à une philosophie pour les Qualia (qualités sonores) 101
24
B. de Schloezer, A. Scriabine, « Musique russe », II, 1953, pp. 228-248.
25
F.C. Lemaire, La musique au XXe siècle en Russie, Fayard, Paris 1994.
102 Antonia Soulez
dirais même que Scriabine était plus révolutionnaire dans le champ de l’harmonie
que le Wyschnegradsky de 1917, qui se disait marqué par Scriabine.
Mais j’aurais tendance à voir les choses autrement. Scriabine devance le jeune
Wyschnegradsky, qui dépassera par d’autres moyens et ressources techniques le
sens de l’investigation du sonore recherché par Scriabine en y apportant de toute
autres réponses. Ce sont les fameuses recherches sur la pansonorité de Wyschne-
gradsky qui font qu’on s’intéresse à lui depuis les années 1970 (voir l’entretien avec
Daniel Charles)26. Toutefois elles s’affirmèrent ultérieurement alors que le construc-
tiviste russe était devenu parisien en 192027.
This brings to mind what a wonderful little “Corti’s organ” – a sort of piano keyboard
– inside everyone’s ear, the hundred little keys of which are flying up and down
recording sensitory impressions all day long!
Than what a wonderful thing is the sympathetic vibration of sound – a close
analogy to the resultants of two adjacent complementary colours in painting!
That Sèvres vase there on my mantelpiece might be broken without any physical
contact whatsoever – just by standing on the other side of the room and playing
the right note on a violin.
Further – we know that no musical note is single or isolated, but that every apparently
single sound has numberless little satellites, some of which we cannot detect, but all
there nevertheless. These upper “partial sounds” can be reinforced or weakened by
the different qualities of instruments, by the arrangements of harmony, and by many
other means.
Small wonder then that this mystery has proved a siren from time to time to draw men’s
minds from musical art to the science of musical sound, and thence back again to a
possible combination of the two. A veritable ignis fatuus it has indeed proved hitherto,
for musical harmony as we know it was surely never evolved from acoustic laws, but
on purely aesthetic lines30.
30
Ivi, p. 2.
31
« Musique absolue » est l’expression consacrée qu’on trouve sous la plume du mu-
sicologue allemand Carl Dahlhaus pour qualifier l’esthétique romantique allemande de
la fin du XIX e siècle contre laquelle s’insurgea l’historien et critique musical autrichien
Eduard Hanslick, partisan du « formalisme musical » et champion de l’anti-wagnérisme.
Schumann, Beethoven sont souvent cités comme représentatifs de cette conception ‘auto-
nomiste’ que Aaron Ridley surnomme (en visant le philosophe de la musique Peter Kivy)
« autonomaniaque ».
104 Antonia Soulez
32
Voir L. Verdi, Thematic Vocabulary in Scriabin’s Last Sonatas, «Journal of the
Scriabin Society of America», XV (1), Winter 2010-2011, pp. 58-75 : 58-59 et les exemples
qui suivent tirés des six dernières sonates dont il classe sonate par sonate la gamme des
états en les disposant dans des tableaux à colonnes.
33
J.-M. Chouvel, L’Harmonie et la forme : quelques remarques analytiques sur l’opus
74, n. 4, d’Alexandre Scriabine, «Analyse musicale» 72, 4e trimestre, 2013, pp. 123-131. Je
remercie ici l’auteur pour cet article.
Contribution à une philosophie pour les Qualia (qualités sonores) 105
34
Ibidem, à propos de l’accord final de l’opus 74, n. 4.
35
A cet égard, on est bien loin de Susanne Langer, et des discussions sur la symétrie
qu’elle imaginait entre logique de la tonalité (dans le contexte tonal) et logique des formes
projetées de sentiments, v. S.K. Langer, Philosophy in a New Key. A Study in the Symbolism
of Reason, Rite, and Art, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts 1942.
36
Voir P. Kivy, The fine art of Repetition, Cambridge University Press, Cambridge
(UK) 1993, ch. XVI (What was Hanslick denying?), p. 280. L’expression arousal qui s’ap-
plique aux émotions, traduit une expression kantienne tacitement refusée par Eduard
Hanslick connu pour son formalisme musical (au sens non logique que cette expression
106 Antonia Soulez
sons qui n’est pas des ‘histoires’ – est l’événement musical de cette musique toute
d’exploration. A ce point, les discussions en philosophie du langage appliquée à la
musique qui discutent de la théorie de l’arousing, ne rejoignent pas véritablement
au niveau théorique, celles de l’’expériencialité’ impliquant une ‘conscience’ qui
sous-tend la saisie narratologique37 de ce que ‘racontent’ les sons écoutés pour eux-
mêmes. Le point de vue cognitiviste n’est pas assumé assez clairement pour que
les deux approches s’accordent au bénéfice de la musique qui s’écoute. Il faudrait
défendre à nouveaux frais une approche autonomiste des sons écoutés pour eux-
mêmes car comment, sans faire de l’équilibrisme théorique une sorte d’exercice
au dessus du vide, parler de conscience sans tomber dans le piège des émotions ?
Un piège contre lequel la théorie censée prendre d’immenses précautions pour ne
pas céder à telle ou telle facilité ‘psychologique’ ne nous protège nullement. Le fait
est que l’on n’’entend’ trop rarement la musique dont les spécialistes nous parlent.
Pour y revenir, le rapport entre mélodie et harmonie est repensé. Scriabine les
définit désormais l’une par rapport à l’autre : « la mélodie est de l’harmonie dé-
composée, et l’harmonie une mélodie condensée »38. La phrase est célèbre. Elle
exprime la façon dont Scriabine se situe dorénavant aux confins de la tradition du
tonal, à deux doigts d’en sortir. La mutualité entre elles est à rapporter à une sorte
processus bidimensionnel du son. S’il y a quelque chose comme une esthétique
du son chez Scriabine, on peut le détecter à la bifurcation de ces deux dimensions
à travers leurs entrelacs. Cependant, ces entrelacs qui réfléchiraient un système
combinatoire universel sont le résultat d’une architecture voulue par le composi-
teur. D’où l’aspiration obsessionnelle de Scriabine à un art total régi par un prin-
cipe d’idéalisation de la volonté du compositeur appelé à exercer son emprise sur
les processus sonores.
Ainsi resituée, que retenir de l’envolée inspirée de Eaglefield Hull que j’ai citée
plus haut ? Si l’on m’accorde que l’esprit de la science infiltre la recherche sonore
scriabinienne, je dirais que ce musicologue rend justice, certes dans un style un
peu compassé, à certaines Notes et Réflexions, en quatre livres, que la fille de Scria-
pouvait avoir au milieu du XIXe siècle). Kant caractérisait par là l’expressivité de la mu-
sique, aux §§ 53-54 de la Critique du Jugement. Kivy s’empare de cette théorie de source
kantienne pour remettre à sa place l’anti-émotionnalisme de Hanslick en reprenant à son
compte, la remarque ‘cognitiviste’ avant la lettre de Kant sur « l’éveil d’une chaîne d’idées
esthétiques » (§ 49). Voir aussi la discussion de Stephen Davies sur ces questions où il pré-
cise que Peter Kivy ne propose pas une théorie de l’expressivité musicale qui se réduit à
une théorie cognitiviste des émotions en musique : S. Davies, Themes in the Philosophy of
music, Oxford University Press, New York 2003, ch. 11, p. 180.
37
L’expression de ‘narratologie’ est actuellement en vogue. Voir par exemple les tra-
vaux de Christian Hauer dont l’approche herméneutique se réclame d’un point de vue co-
gnitif (Conférence Centre d’études des Arts contemporains, CEAC, EHESS, Paris 2007).
38
Citation bien connue que l’on trouve par exemple dans l’ouvrage de J.-Y. Clément,
Alexandre Scriabine, Actes-Sud 2015, p. 128.
Contribution à une philosophie pour les Qualia (qualités sonores) 107
bine a réunies39. Ces dernières invitent en effet à prêter attention à quelques propos
frappants qui font plus d’une allusion à des questions scientifiques orientées vers
l’émergence du son. Elles indiquent en tous cas une tendance plus physiologique
qu’affective au sens traditionnel. J’ai relevé par exemple à la p. 21 la mention par
Scriabine de la psychologie de Wundt. Tandis que la notion de jeu ou conscience de
ma fantaisie éclaire l’interaction entre le moi et mon non-moi dans le déploiement de
la multiplicité des sphères de la sensation, il est expliqué comment opèrent les vibra-
tions dans la musique qui culminent dans une sorte de théorie du génie au 3e livre
(1905-1906). Le lecteur découvre ainsi un mélange de science acoustique en déve-
loppement et de recherche de ‘l’absolu sonore’ à l’aide de dispositifs graphiques que
Scriabine s’était constitués pour lui-même comme le ferait un artisan-graphiste40.
Sous cet angle, on peut déclarer spécifique et nouvelle la façon dont Scriabine
met en relation les états de conscience musicaux, sans jamais oublier qu’ils sont
musicaux d’abord et non psychologiques, selon la logique des annotations qu’on
a décrite plus haut, avec les mouvements vibratoires des sons à la pointe qu’il dé-
crit comme extrême de chaque phénomène oscillatoire. En l’absence d’une science
positive réellement disponible, Scriabine fait de la qualité musicalement ressentie
moins un affect sentimental que peut-être un refuge d’une quantification renon-
cée. Le 4e livre qui contient une première version de l’Acte Préalable, et couvre la
période allant de l’opus 9 à l’opus 74, se focalise sur l’effet d’une sorte de destitution
de l’individualité dans l’immersion du sonore émancipé, il faudrait dire émancipé
d’une conception harmonique fondée sur l’attraction tonale d’un principe de ré-
solution. Ce mélange de considérations scientifiques et de lyrisme impressionniste
culmine dans l’idée d’une grande totalité dont le système serait celui d’un univers
exclusivement créé par le musicien.
39
Scriabine (éd.), Alexandre Scriabin, Notes et réflexions, cit. Sur cette édition voir,
dans ce volume, la note 4 de l’article de D. Buccio.
40
Les diagrammes de Scriabine sont chose fameuse et spatialisent les systèmes
d’accords dans un sens totalisant et systématique. Voir par exemple Kelkel, Alexandre
Scriabine, cit.
108 Antonia Soulez
41
Voir E. Swedenborg, Écrits. On peut se reporter à la lettre de Kant de 1758 à
Charlotte de Knobloch. Cf. I. Kant, Rêveries d’une visionnaire expliqué par les rêves de la
métaphysique, Johann Jacob Kanter, Königsberg 1766.
42
Emanuel Swedenborg est cité par Schönberg dans un texte de 1941, La composition
avec 12 sons dans Le Style et l’Idée, pp. 162-187, en particulier p. 170 de l’édition Buchet-
Chastel, Paris 2011. C’est un passage de Schönberg que cite Hugues Dufourt : « L’idée de
l’espace musical est celle d’une perception absolue et unitaire » […] « Dans cet espace,
comme dans le ciel de Swedenborg décrit par Balzac dans Séraphîta, il n’y a ni haut ni bas,
ni droite ni gauche, ni avant ni arrière absolus. Chaque configuration musicale, chaque
mouvement de sons doivent être avant tout compris comme une relation mutuelle entre
sons, de nature oscillatoire, apparaissant à différents moments et à différents endroits.
Pour la faculté imaginative et créatrice, ces relations dans la sphère matérielle sont aussi
indépendantes des directions et des plans que peuvent l’être, pour nos facultés percep-
tives, les objets matériels dans leur sphère propre » (H. Dufourt, La musique spectrale,
Delatour, Sampzon 2014, p. 155).
Contribution à une philosophie pour les Qualia (qualités sonores) 109
43
Dufourt rappelle le point de vue anti-adornien de Dahlhaus : c’est la religion juive
qui est au fondement de sa théorie esthétique, bien plus que l’expression de l’héritage his-
toriquement nécessaire du matériau tonal comme le prétend Adorno (ivi, p 162).
44
Voir par exemple Lemaire, La musique du XXe siècle en Russie, cit., p 21.
45
G. Grisey, Écrits, ou l’invention de la musique spectrale, éd. établie par Guy Lelong
(avec la collab. d’Anne-Marie Réby), MF Éditions, Paris 2008 : Vous avez dit spectral ?
(1998), p. 121 sqq. Sur le temps en musique spectrale, il énonce des considérations qui ne
permettent pas de faire de Scriabine un précurseur véritable. Voir aussi sa Lettre à Sylvain
Cambreling (7 avril 1995), ivi, p. 304, où il déclare « aimer son Poème de l’extase ».
110 Antonia Soulez
autre46. Scelsi a pu être d’autant plus réceptif à la démarche de Scriabine qu’il était
lui-même mystique et un poète.
Cependant, la dématérialisation qui bientôt sonne comme un slogan, ne conduit
pas forcément le processus à une dissolution de la matière sonore dans le silence et
l’ineffabilité mystique. Scriabine, je crois, a davantage envisagé d’instaurer, comme
je l’ai dit, une expérience collectivement partagée d’immersion dans le son, et c’est
le sens de la notion d’extase et de ses techniques de la résonance. Loin de regarder
en direction de sa propre évanescence ou extinction, la musique chez lui contri-
bue au contraire à rendre le Tout sonore. C’est ce que je comprends par son ap-
pel à « disparaissons, dissolvons-nous ! » Non pas une exhortation à l’ineffabilité
ou quelque silence mais à l’inverse, au Tout sonore. Ne sont-ce pas d’ailleurs les
derniers mots de l’Acte Préalable qu’on peut lire dans ses Notes et réflexions intro-
duites par sa fille Marina ?
Scriabine entend, selon moi, mobiliser la volonté de former le son dans un sys-
tème qui serait déterminé, appelant à une construction résolue. Il s’agirait d’ériger
l’analogue sonore d’une présentation géométrique des possibilités combinatoires
du son, afin de mettre en évidence les effets de sa présence au sein d’un univers
qu’on pourrait qualifier d’auditivement rayonnant, en songeant au rayonnisme
en peinture, représenté par exemple par les futuristes russes Michel Larionov et
Natalia Gontcharova. La dimension de la lumière qui entre dans son programme
synesthésique justifie l’idée d’un tel rayonnisme musical, et c’est peut-être là que
réside ce ‘quelque chose de russe’ auquel il a été fait plus haut allusion, à côté d’un
tropisme vers l’occident européen.
Sh. Kanach (éd), Giacinto Scelsi, Les anges sont ailleurs, Actes Sud, Arles 2006, p.
46
106.
Contribution à une philosophie pour les Qualia (qualités sonores) 111
A m’en tenir à ce parallèle et sans parler d’influence, l’on aurait donc affaire
à deux stratégies contraires pour, comme dit Scelsi, « composer la vibration »47.
Je les désignerais volontiers par les expressions de ‘multiplicité extensive par em-
pilements’ (Scriabine) en contraste avec la ‘multiplicité intensive de mondes dans
un son’ (Scelsi). Ce traitement contrasté du son entre Scriabine et Scelsi est d’au-
tant plus frappant que c’est d’une attitude mystique qu’ils se sont tous deux récla-
més. Pour Scelsi, la bonne direction est celle qui s’oriente sur un seul son et non
une multiplicité arborescente d’accords comme chez Scriabine. Tous deux ont,
il est vrai, recherché la vibration, et Scelsi en particulier pour la laisser résonner
au cœur d’un son atteint par petites approximations serrées (trilles, tremolos…),
vibrionnantes, un peu comme le dessinateur esquisse un trait en plusieurs fois,
jamais d’un seul jet48. Scelsi a inventé des graphismes spéciaux pour représenter
ces tremblements propres qui font entendre à l’oreille l’incertitude de l’emplace-
ment d’un son dans l’échelle des sons, comment et où lui assigner une place49. Dès
lors, composer la vibration vise à susciter cet état de quasi-transe semblable à ce
que ressentait, pensait Scelsi, l’homme primitif. Sharon Kanach a une jolie façon
de caractériser l’ondiola par lequel Scelsi a exploré ces phénomènes de vibration.
Ce fétiche qu’elle surnomme un « dinosaure de l’ère informatique » a sans doute
permis à Scelsi de dépasser le piano qui ne lui a pas suffi. L’extase, de son point de
vue, devait couronner au bout du chemin ce « Yoga du son » selon l’expression de
Scelsi50, à condition d’être produite par le vrai son, et d’être générée comme chez
Scriabine par des lois d’affinité en accord avec « l’arche de la résonance ».
7. Conclusion
En souvenir peut-être du Timée, ce dialogue bien connu de Platon sur l’analo-
gie entre les mouvements de l’âme et les mouvements du cosmos, Scelsi dit du son
dans Les anges sont ailleurs, qu’il est « le premier mobile de l’immuable ». La for-
mule est évidemment évocatrice. Source de révélation venant de l’intérieur, il est
47
Cf. Scelsi, Les anges sont ailleurs, cit.
48
Voir François-Xavier Féron, Les variations dans la vibration: vibratos, trémolos et
trilles dans la Trilogie - Les trois stades de l’homme (1956-1965) pour violoncelle seul de
Giacinto Scelsi, « Filigrane », Université Lille Nord de France, 2012.
49
Les Quattro Pezzi su una nota sola pour orchestre (1959) exemplifient cette re-
cherche qui explique que Scelsi se soit senti à l’étroit avec le clavier d’un piano, insuffi-
sant pour sa démarche d’avoir à composer la vibration. Ainsi l’on sait qu’après une grave
crise, début des années ’50 à la suite de laquelle il délaissa le piano, il eut recours en 1957
à un ondiola ou clavoline, système combinant un clavier avec un amplificateur et mo-
dulateur de fréquences ou FM, conçu comme un auxiliaire destiné à capturer ces pulsa-
tions sismiques.
50
Voir Féron, Les variations dans la vibration, cit.
112 Antonia Soulez
doté d’une force cosmique qui le désigne comme « l’élément le plus matériel dans
la matière et dans l’homme mais aussi comme le plus spirituel ». Certes, la formu-
lation est emphatique. Mais elle aide à comprendre en quoi, également pour Scria-
bine, le son est la plus matérielle des choses susceptibles d’être perçues, et en même
temps, la plus pure, d’où l’idée de ‘pure matière’, non parce que l’on pourrait l’isoler
‘en soi’, mais parce qu’elle renferme l’esprit de l’homme qui la pense. Dans les Ve-
das, est-il précisé encore, ce son prend le nom de Anahad, qui signifie ‘son infini’51.
Il est significatif que Scelsi mentionne Scriabine dans ce contexte, de façon aus-
si généreuse et développée, après avoir rendu compte du changement de sens de
« l’harmonie » introduit par Debussy. Il ne manquait plus qu’une touche de vita-
lisme pour que « les vibrations sonores (aient) des effets sur les cellules vivantes ».
Scriabine souscrirait-il aux formulations de Scelsi qui pourtant n’est en rien son
successeur direct musicalement parlant ? Des affirmations telles que « la Mystique
est individuelle, la religion collective », « Pour l’individu, le son est l’équivalent
du mysticisme » etc… à quoi s’ajoutent des formules comme : « Pour tous, la mu-
sique est encore expression temporelle ; le son pur, lui, est sans temps et sans lieu.
La musique est vibration pour l’homme ; le son atemporel est vibration absolue
pour lui-même»52, sont autant de déclarations sans doute trop tranchées et dites
sur un mode quasi-oraculaire, pour souffrir d’être discutées en finesse. Mais peu
nous importe ici si c’est le poète qui parle. Scriabine aurait tout au plus reconnu
en Scelsi un allié futur.
L’addiction à l’instrument chez Scriabine révèle en tous cas à quel point le pia-
no opérait comme une sorte de miroir acoustique servant à l’audition des sons,
pour ne pas dire, avec l’expression de Philippe Langlois53, d’auto-portrait acous-
tique étant donné la capacité réverbérante qu’il exploitait en usant de la réso-
nance. Certes, cela n’a rien d’étonnant de la part d’un pianiste virtuose qui jouait
ses propres pièces. Scriabine alliait les deux, interprétation et écriture et, pour
cette raison, il y a entre son œuvre et le jeu de l’interprète une certaine logique de
la composition que la performance projette en retour. Le piano s’offre en somme
comme un medium d’écoute, et même d’auto-écoute, des structures sonores qu’il
produit lui-même en tant qu’instrument, et cela moyennant cet aller-retour entre
sensations sous leurs deux faces, passives et créatrices que Scriabine lui-même al-
lègue dans ses Notes et réflexions. C’est ce phénomène interactif de résonance par
51
Ces citations se trouvent dans l’ouvrage de Scelsi, Les Anges sont ailleurs. Les
sources des passages sont : The Meaning of Music, January 1944, publ. 1991, first version,
« Review of the Foundation Isabella Scelsi, I suoni, le onde… » n. 2.
52
Voir Scelsi, Les anges sont ailleurs, cit., p. 85, et en particulier les textes sur l’Évolu-
tion de l’harmonie et le Son et musique, p. 99 puis 125.
53
Ph. Langlois, Les cloches d’Atlantis. Musique électroacoustique et cinéma. Archéo-
logie et histoire d’un art sonore, Éditions MF, Paris 2013. On lira avec profit le chapitre 12
(en particulier p. 389).
Contribution à une philosophie pour les Qualia (qualités sonores) 113
vibration de complexes sonores que Scelsi a retenu qui le conduit à voir en Scria-
bine (et Debussy), au delà de la tradition harmonique tonale, un précurseur de la
composition de vibrations.
Et ce n’est pas à tort si l’on se souvient de ce qu’écrit Scriabine dans ses Notes
et réflexion54 où il dit que la musique relie ensemble tous les états de conscience
en constituant leur seule et unique substance car, reconnaît-il encore, l’esprit et la
matière sont soumis aux mêmes phénomènes vibratoires : « Tout est vibratoire »,
comme en témoignent en particulier ses sonates 6e, 7e, 8e et 10e, mais aussi déjà la
5e avec les premières mesures et les traits à la main gauche dans le très grave et, de
même, Vers la flamme. Pour le dire autrement, ce que Scriabine a cherché avec le
piano à savoir : faire entendre à la main la résonance par vibrations, Scelsi l’a ex-
ploré ensuite plus techniquement après avoir délaissé le piano à un moment où lui
est apparu insuffisant pour cela55.
La systématicité d’une sorte d’univers des relations entre accords se répondant
selon des correspondances, se présente chez Scriabine moins comme un système
d’analogies de ressemblances entre sons, que sous la forme d’un système program-
matique de ressemblances entre rapports d’accords entre eux. L’accord prédomine
en effet sur la note au profit d’un rendu sonore complexe et étendu. Les aspects de
tremblement, d’oscillation et d’incertitude sont exploités comme s’ils s’échelonnaient
au long d’un nuancier psychologique d’émotions. Mais, la dimension psychologique
est de pure apparence. Les annotations d’humeur qu’on a mentionnées s’adressent
à l’instrumentiste. Scriabine ne nous raconte aucune histoire, pas d’epos. L’histoire
est ce qui arrive au son quand on joue, celle du processus composé de la vibration
par accords. Ce n’est pas de la psychologie. Le mood est ici intrinsèquement musical.
Alors, quelle conception du musical, hors du système tonal qu’elle brise, la mu-
sique de Scriabine anticipe-t-elle ? On mentionne en réponse l’atonalité viennoise
pour un des quatre préludes de l’opus 74. Certains décèlent des structures dodé-
caphoniques à 12 ou 11 sons, ainsi dans l’Acte préalable (1912-15)56.
Si de son côté, Gérard Grisey, qui le rapproche de Debussy, a vu se profiler une
conception pré-spectrale, ce n’est cependant pas sans reconnaître qu’il manque
à Scriabine l’essentiel pour appartenir à ce courant notamment la dimension du
temps, cruciale dans la musique spectrale : « Ce qui change radicalement dans
la musique spectrale, c’est l’attitude du compositeur face aux faisceaux de forces
constituant les sons et face au temps nécessaire à leur émergence »57. C’est le temps
54
Voir, ici, la note 39.
55
Sauf dans une œuvre dédiée à la mémoire de son ami le poète Henri Michaux, à sa-
voir un quatuor à cordes, n. 5, 1985.
56
Cfr. M. Kelkel, Alexandre Scriabine : un musicien á la recherche de l’absolu, Fayard,
Paris 1999, pp. 352-353.
57
Grisey, Écrits, cit., p. 121.
114 Antonia Soulez
qui en devenant une dimension du son se rend matériellement palpable. Objet même
de la forme, tel devient le temps par dilatation ou contraction selon un processus
d’auto-génération des sons plus organique. Il s’agit de modéliser le son au moyen
du spectre harmonique par la maîtrise de l’enharmonicité.
En l’absence d’un appel à fondamentale, mais aussi sans affirmer une logique de
la dissonance, les accords s’enchaînent en forme d’agrégats suspendus par le haut
– comme il a été souligné au passage à propos de l’opus 67 – d’où il résulte une vé-
ritable exploration de la sonorité, de nature la moins aléatoire possible. Il ne s’agit
pourtant pas de construire une nouvelle grammaire avec des règles de composi-
tion des accords modelés sur des gammes modales de l’invention de Scriabine lui-
même. Il a suffi à Scriabine d’inventer une sonorité sans avoir à choisir le timbre
contre la hauteur comme le fera Schönberg58. Une chose paraît certaine, c’est que,
en répondant à l’option d’écrire cette sonorité en toute exactitude, Scriabine a dû
se doter d’un outil graphique pour l’invention. Scriabine fait ainsi partie de ces
compositeurs qui pensent que c’est l’écriture qui produit l’invention à l’aide de
graphismes59. Répond à cette attente, comme on l’a vu, le recours à de nombreux
diagrammes géométriques qui déterminent, dans l’espace, des correspondances
destinées à représenter l’univers total des sons pris, comme j’aime à dire, dans des
accords, plutôt que des mondes à l’intérieur d’un son unique (comme chez Scelsi).
Même si, selon ses dires, une conférence de Bergson entendue dans un congrès
international de philosophie à Genève en 1906, lui aurait révélé l’importante di-
mension du temps dans la musique au sens d’une pure durée, en contraste avec
une explication mécanique du temps60, il est clair que Scriabine ne pouvait bien
sûr à l’époque atteindre à une conception spectrale intégrant le temps. C’est à
une approche essentiellement spatiale du son qu’il a consacré son effort de gra-
phiste-compositeur. C’est en quoi, par ses diagrammes, il annonce à la rigueur
plutôt Wyschnegradsky, comme celui-ci l’a reconnu lui-même, et ses élabora-
tions constructivistes de « cartographies d’espaces-sons » (Martine Jost) causées
par « la nature explosive du son » et auxquelles ce qu’il a appelé le principe de la
« Pansonorité »61.
Pour conclure, sans contribuer à l’instauration d’une écriture micro-tonale
constructiviste comme celle de Wyschnegradsky qui vient après lui, Scriabine s’ar-
rête pourrait-on dire au seuil d’une recherche orientée vers l’ultrachromatisme. Sa
recherche de l’essence du son reste liée à la stratégie d’ajouter des notes en extension
58
Cfr. M. Solomos, Introduction à D. Guigue, Esthétique de la sonorité. L’héritage de
Debussy dans la musique pour piano du XXe siècle, L’Harmattan, Paris 2009.
59
Cfr. F. Delalande, Le son des musiques, Buchet-Chastel, Paris 2001.
60
En réalité, le bergsonisme est avant tout celui de Grisey lui-même, voir H. Dufourt,
La musique spectrale, Delatour, Sampzon 2014, p. 343.
61
Voir I. Wyschnegradsky, La loi de la Pansonorité (1954), Contrechamps, Gèneve
1996 et P. Criton (éd.), Ivan Wyschnegradsky. Libération du son, cit.
Contribution à une philosophie pour les Qualia (qualités sonores) 115
toujours plus grande au lieu de la focaliser, comme Scelsi, sur des micro-structures
internes au son qui s’annonceront bientôt décisives au regard de l’aventure contem-
poraine. C’est pourquoi, en vertu de ses limitations propres, fermeture de la forme
musicale sur elle-même que dénonce Boris de Schloezer, aspect clos et répétitif de
son harmonie, explosion contenue de la potentialité du son, la démarche de Scria-
bine et sa recherche de la ‘pure matière du son’, pionnières comparées aux musiques
qui précèdent, semblent malgré tout davantage fermer l’époque des tentatives de
sorties hors du cadre harmonique traditionnel, qu’annoncer, au service d’une es-
thétique du son, une nouvelle syntaxe musicale.
L’iconografia skrjabiniana e la pittura russa
d’inizio Novecento
Andrei Bliznukov*
This article deals primarily with Scriabin’s iconography and the general state of af-
fairs of Russian painting at the beginning of 20th century. The author notes that
the realistic figurative trend, which was prevalent in the Russian art scene at that
time, was too far removed from Scriabin’s own aesthetic goals and motivations. On
the other hand, Malevich’s and Kandinsky’s search for innovation (which in many
respects paralleled Scriabin’s own musical quest), still did not lead to a creative rap-
prochement between the composer and these artists. The author suggests a possible
reason for this by analysing the interior decoration of Scriabin’s last apartment via
the paintings, sculptures and objects of decorative art which had been chosen by
the composer himself. He certainly liked the works of Nikolai Sperling, now an al-
most completely forgotten second-rate Symbolist painter. In a more general sense,
the interior decoration of Scriabin’s apartment indicates a possible absence of any
real interest in the field of painting, sculpture and decorative arts.
Эта статья касается иконографии Скрябина и вообще русской живописи
в начале XX века. Автор констатирует, что реалистическое фигуративное
течение, лидирующее в те годы на российской художественной сцене,
было слишком далеко от эстетических целей и мотиваций Скрябина. Но
и новаторские поиски Малевича и, особенно, Кандинского, во многом
параллельные музыкальным исканиям Скрябина, все же не привели к
творческому сближению композитора с этими художниками. Возможную
причину этого автор находит, анализируя обстановку московского дома
Скрябина- картин, скульптур, предметов декоративно-прикладного
искусства, выбранным композитором для украшения собственного жилища.
Предпочтение отдавалось работам Николая Шперлинга, ныне почти
полностью забытого второразрядного художника-символиста. В более общем
плане обстановка дома Скрябина указывает на отсутствие у композитора
четких и осмысленных интересов и вкусов в области живописи, скульптуры
и декоративных искусств.
*
Associazione Culturale Italia-Russia di Firenze. Le traduzioni dal russo sono dell’auto-
re, che desidera ringraziare Luisa Curinga, Chiara Guerzi, Marco Rapetti e Natal’ja Ugleva.
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
118 Andrei Bliznukov
1
Sulla situazione generale nella pittura russa nella seconda metà dell’Ottocento e
all’aprirsi del Novecento si veda D. Sarab’janov, La seconda metà del XIX secolo: la real-
tà sociale vista attraverso il prisma della pittura, in La pittura russa, 2 voll., II, pp. 729-
796, Electa, Milano 2001; D. Sarab’janov, Tra Otto e Novecento: trasfigurazione poetica
della realtà, ivi, pp. 797-856; C. Gray. The Russian Experiment in Art, Thames & Hudson,
London 1962.
2
Tra la ricchissima letteratura su Repin segnalo la recente monografia D. Jackson,
The Russian Vision: the Art of Ilya Repin, ACC Publishing Group, Woodbridge 2015.
3
Ivi, pp. 33, 182.
4
Ivi, pp. 71-77.
5
Ivi, pp. 28-30.
6
Ivi, pp. 127-131.
L’iconografia skrjabiniana e la pittura russa di inizio Novecento 119
Figura 1 – Repin nel 1914 mentre ritrae il celebre basso Fëdor Šaljapin (1873-1938).
Uno dei pochi ritratti di Skrjabin, conservato nella Casa Museo di Mosca, si
deve a Boris Kustodiev (1878-1927), fedele allievo di Repin7. Si tratta di un di-
segno eseguito dal vivo, che raffigura l’ultimo concerto del compositore a Pie-
trogrado8, avvenuto il 2 aprile 1915, pochi giorni prima della sua morte9. La
freschezza del tocco di Kustodiev ha qualcosa in comune con i veloci schizzi
degli artisti-reporter che disegnano nelle sale dei tribunali americani, ma l’o-
pera è nello stesso tempo permeata da un senso di malinconia, come se l’artista
presentisse la fine imminente del compositore. Il disegno di Kustodiev è indub-
biamente il più significativo dal punto di vista artistico tra i pochi ritratti di
Skrjabin di cui disponiamo.
Possiamo ipotizzare che lo scarso numero di immagini pittoriche dell’autore
del Prometeo derivi dalla sua maggior attenzione nel confronti del nuovo e più mo-
derno mezzo fotografico: quando si presentava la necessità o il desiderio di avere
un ritratto, Skrjabin – che seguiva con passione anche gli sviluppi della nascente
7
Boris Kustodiev assistette il maestro nel suo ultimo lavoro di grande formato, l’Adu
nanza solenne del Consiglio di Stato (1901-1903, San Pietroburgo, Museo Russo). Sul di-
pinto e sulla collaborazione tra Repin, Kustodiev e altri allievi del maestro vedi ivi, pp.
114-119.
8
Com’è noto, così veniva chiamata San Pietroburgo dal 1914 al 1924, prima di essere
battezzata Leningrado.
9
Secondo il calendario giuliano, il concerto ebbe luogo il 15 aprile.
120 Andrei Bliznukov
10
Emil Bendel faceva parte di una corrente di fotografi russi che non aderì alle istanze
delle avanguardie rivoluzionarie sviluppatesi anche nell’ambito della nascente arte fotogra-
fica. Contrariamente a fotografi avanguardisti quali Aleksandr Rodčenko, Lazar Lisickij e
Boris Ignatovič, altri artisti, tra cui Sergej Lobovikov, Aleksandr Grinberg e lo stesso Emil
Bendel, cercarono di avvicinare la fotografia alla pittura. Secondo questi fotografi ‘pittorici’,
la fotografia non doveva avere uno scopo documentario, ma trasmettere emozioni, stati d’a-
nimo e significati poetici. Per ottenere questo risultato, essi si avvalevano di lenti speciali in
grado di ‘ammorbidire’ le immagini e utilizzavano procedimenti di stampa molto sofistica-
ti, prediligendo la raffigurazione di paesaggi, nudi femminili e vecchi edifici. Lobovikov, ad
esempio, impiegava una tecnica di stampa al bromuro per ottenere immagini evocative del-
la Russia rurale, Vituchnovskij realizzava suggestivi ritratti di ‘tipi’ russi, mentre Grinberg
si dedicava principalmente a studi di nudo e di figura. Tutti soggetti considerati contrari ai
dettami rivoluzionari, in quanto esaltavano i valori mondo borghese che la lotta di classe
voleva invece abolire. Sulla fotografia in Russia nei primi decenni del Novecento e, in par-
ticolare, sulla fotografia pittorica cfr. Quiet Resistance: Russian Pictorialism of the 1900s-
1930s, Multimedia Complex of Actual Arts-House of Photography Museum (MAMM),
Moscow 2005, Catalogo della mostra tenutasi a Venezia presso la Fondazione Scientifica
Querini Stampalia Onlus nel 2005 e il comunicato stampa diffuso in occasione della mostra
From Pictorialism and Avant-Garde to Socialist Realism: Russian Photography, 1920s-1930s,
Nailya Alexander Gallery, New York, September 7-October 13, 2012, <http://www.nailyaa-
lexandergallery.com/attachment/en/56d892946aa72c911361fc27/TextTwoColumnsWithF
ile/56dfe6885aa837944c5cd8d5> (11/2018). [N.d.CC.]
11
Su Sud’binin cfr. J.-M. Lhôte, Séraphin Soudbinine, un céramiste puissant et in-
spiré, «Revue de la céramique et du verre», juillet-août 1994, pp. 26-35; J. Milner, A
Dictionary of Russian and Soviet Artists 1420-1970, Woodbridge Antique Collectors’
Club, Suffolk 1993, p. 414.
12
Leonid Osipovič Pasternak, definito dal figlio Boris «pittore accademico», fu do-
cente alla scuola di Belle arti di Mosca e dal 1921 finì esule prima in Germania, poi in
Palestina e in seguito in Inghilterra. Cfr. il recente saggio G. Weissblei, In Search for a
New Jewish Art: Leonid Pasternak in Jerusalem, «Ars Judaica», 13, 2017, pp. 91-110. Il
L’iconografia skrjabiniana e la pittura russa di inizio Novecento 121
sua famiglia in disegni veloci dal tratto elegante, dandone un’immagine domestica,
con un tono emotivo lontano dall’atmosfera inquieta e visionaria della sua musica.
Le ultime testimonianze artistiche riguardanti Skrjabin sono i calchi delle ma-
ni e dell’orecchio eseguiti post mortem dallo scultore Sergej Merkurov (1881-1952),
all’epoca abbastanza giovane. Di lì a poco Merkurov avrebbe conosciuto una gran-
de fortuna in patria per i suoi monumenti di Lenin e di Stalin in scala faraonica,
cui fu in seguito attribuito ben scarso valore artistico. Nel 1915, quando effettuò i
calchi di Skrjabin, lo scultore aveva già alle spalle una prestigiosa commissione di
genere analogo, la maschera funebre di Lev Tolstoj, morto nel 1910.
Nell’arco di tempo che va dal 1900 al 1915, periodo in cui Skrjabin raggiunse
l’apice della fama, coesistevano nell’arte figurativa russa tre principali correnti. La
prima, capeggiata da Repin, continuava a seguire l’estetica realista; pur avendo tra
i suoi seguaci anche molti artisti di talento modesto, questa corrente raggiunse
spesso risultati altissimi in vari generi: ad esempio, Isaak Levitan nel paesaggio,
Vasilij Surikov nella pittura di soggetto storico, Vasilij Vereščagin nella rappre-
sentazione di temi d’attualità. I realisti costituivano la componente maggiorita-
ria nella scena artistica russa e furono presi a modello a partire dagli anni Trenta,
quando i loro epigoni diedero vita al cosiddetto Realismo Socialista, unico stile
ammesso dal regime sovietico13.
Il secondo gruppo, che si potrebbe definire dei decadenti, si ricollegava alla gran-
de corrente internazionale dell’Art Nouveau, e comprendeva soprattutto i membri
del movimento artistico Mir Iskusstva (Mondo dell’arte), di cui faceva parte anche
Leonid Pasternak, di cui si è già accennato14. I decadenti rivolgevano program-
maticamente le loro attenzioni verso il passato, o meglio verso alcune particolari
epoche, come il Settecento, che ritenevano una sorta di secolo d’oro in cui evadere
attraverso l’arte.
La terza via, quella più interessante e ricca di sviluppi futuri, era rappresentata
dalle cosiddette avanguardie, e annoverava tra i suoi maggiori rappresentanti Vasilij
Kandinskij, Kazimir Malevič, Natal’ja Gončarova e Michail Larionov. Sorprende,
invero, l’assenza di contatto diretto tra gli avanguardisti e Skrjabin, nonostante in-
seguissero fini estetici piuttosto simili. La ricerca sinestetica di Skrjabin era molto
vicina a quella di Kandinskij, ma, nonostante le indiscutibili affinità intellettuali e
gruppo Mir Iskusstva fu attivo sulla scena artistica dal 1898 alla fine degli anni Dieci del
Novecento, anche se l’ultima mostra si svolse a Parigi nel 1927. Cfr. A. Kamenskij (a cura
di), “Welt der Kunst”: Vereinigung russischer Künstler zu Beginn des 20. Jahrhunderts,
Aurora-Kunstverlag, Leningrad 1991.
13
D. Sarab’janov, Correnti moderne del XX secolo: dalla sperimentazione al realismo
socialista, in La pittura russa, cit., II, pp. 857-942.
14
Mir Iskusstva era anche il titolo di un’importante rivista creata a S. Pietroburgo nel
1899 da Aleksandr Benois, Léon Bakst e Sergej Djagilev. Il celebre impresario teatrale,
fondatore dei Balletti russi, la diresse fino alla sua chiusura, nel 1904.
122 Andrei Bliznukov
l’interesse di entrambi per la teosofia, un incontro tra i due universi artistici non
si concretizzò mai15.
In questa breve panoramica di artisti non si può non ricordare la figura di Mi-
kalojus Konstantinas Čiurlionis (1875-1911), pittore e compositore simbolista rus-
so-lituano, probabilmente conosciuto da Skrjabin tramite un altro russo-lituano,
l’artista e poeta Jurgis Baltrušaitis (1873-1944), padre dell’omonimo storico dell’arte
ben noto in Occidente. Va detto però che l’arte di Čiurlionis, morto peraltro giova-
nissimo, non riuscì a liberarsi da un certo provincialismo e quindi a spiccare, per
così dire, il volo. Lo stesso Skrjabin diceva di lui: «è un po’ troppo spettrale, non
possiede una vera forza, e non vuole che il suo sogno diventi realtà»16. Un altro pit-
tore simbolista, oggi ricordato quasi esclusivamente in virtù del suo rapporto con
Skrjabin, è il pittore belga Jean Delville (1867-1953), autore, tra l’altro, della cele-
bre copertina della prima edizione del Prometeo (1912), un’immagine di indubbio
effetto carica di simbolismi occulti.
Figura 2 – Interno della casa moscovita dove Skrjabin trascorse gli ultimi anni.
negli stessi anni in cui Kandinskij, che aveva studiato anche musica e suonava pianoforte
e violoncello, iniziava a utilizzare per i suoi lavori titoli desunti dal linguaggio musicale,
come ‘improvvisazione’ o ‘composizione’. In effetti, i parallelismi fra i vari stili dei due
artisti sono molteplici. Il 1910 segnerà comunque un momento di svolta per entrambi: in
quell’anno, infatti, venne completata la partitura del Prometeo, prima composizione sine-
stesica inglobante effetti luce, e venne dipinto il primo acquarello astratto, oggi conserva-
to al Centre Pompidou di Parigi. Le due opere sono considerate pietre miliari nella storia
della musica e in quella dell’arte pittorica. [N.d.CC.]
16
L. Sabaneev, Vospominanija o Skrjabine, Klassika-XXI, Moskva 2014, pp. 143-144.
L’iconografia skrjabiniana e la pittura russa di inizio Novecento 123
Ma quali erano i gusti di Skrjabin in ambiti artistici diversi dalla musica? Uno
sguardo attento all’arredo della sua ultima casa moscovita, miracolosamente so-
pravvissuta a tutte le peripezie storiche del XX secolo e divenuta museo nel 1922,
può fornirci delle indicazioni in tal senso (Figg. 2 e 4). Ciò che colpisce subito è il
contrasto tra il carattere escatologico-rivoluzionario dell’opera del compositore e
la tranquillità medio-borghese della sua dimora, comoda, accogliente e del tutto
‘prevedibile’: balzano all’occhio la banalità di alcuni quadri che decorano le stanze
(ad esempio, le copie amatoriali di dipinti erotici di scuola francese del Settecento
eseguite da Nikolaj Šetinin, zio del compositore per parte di madre). Decisamente
più interessante è la stampa fotografica del San Giovanni Battista di Leonardo ap-
pesa in camera da letto. Spiccano, invece, per la qualità e l’attenzione verso il gusto
moderno, i mobili della sala da pranzo in stile Art Nouveau, comprati dal com-
positore a Bruxelles e disegnati probabilmente da Gustave Serrurier-Bovy (1858-
1910). Questi mobili e il lampadario sono gli oggetti esteticamente più pregiati fra
quelli che si trovano nell’appartamento. Probabilmente, più che di mancanza di
gusto si potrebbe parlare di relativo disinteresse da parte di Skrjabin verso tutto
ciò che non fosse direttamente collegato alla sfera musicale17. Tra gli oggetti che
costituiscono una testimonianza diretta dei suoi gusti vanno comunque men-
zionate, oltre al mobilio di Serrurier-Bovy, le opere di Nikolaj Sperling (1881- ?),
giovane pittore simbolista legato a Skrjabin da amicizia e da affinità artistiche18. I
quadri di Sperling affissi alle pareti esprimono un gusto molto simile a quello che
traspare dalla copertina del Prometeo disegnata da Delville. Lo stile rispecchia un
misticismo un po’ superficiale e alla moda, che denota una preferenza verso l’e-
sotico, sia orientale che medievale, e una fascinazione nei confronti del Maligno:
tutti ingredienti del clima decadente di fine secolo, riscontrabili spesso anche nelle
opere più raffinate dei membri del Mir Iskusstva. In uno dei quadri di Sperling, la
figura del Filosofo orientale che contempla un loto ha un’espressione tra il soave e
l’ammiccante, ma la sua somiglianza con Cristo rende quest’insieme inquietante
(Fig. 3)19. La presenza dell’opera proprio nel salone in cui si facevano esperimenti
17
Viene in mente la celebre frase di Svjatoslav Richter, «io non vivo in URSS, io vivo
nella musica». È difficile indicare la fonte esatta di questa citazione, proveniente forse da
un’intervista o più probabilmente da una conversazione privata con un giornalista stra-
niero. La battuta si diffuse ben presto, divenendo di uso comune negli ultimi decenni del
regime sovietico.
18
Il poco che si conosce della personalità e dell’arte di Sperling è riassunto in V. Popkov,
O. Dubrovina, O. Sanžarova, Skrjabin i sovremenniki. Materialy k biografii N.V. Šperlinga,
«Memorial’nyj Muzej A.N. Skrjabina», Moskva 2016, in cui si riportano le testimonianze
che attestano la presenza di Sperling ad Atene negli anni Trenta e il suo trasferimento in
Etiopia nel 1946. In ogni caso rimangono sconosciute il luogo e la data della morte di quel-
lo che sembra essere stato un amico intimo di Skrjabin.
19
Su questo dipinto si veda O. Sanžarova, Temnoe očarovanie N.V. Šperlinga,
Isslebovatel’skij etjud, in Skrjabin i sovremenniki, cit., pp. 110-113.
124 Andrei Bliznukov
20
Su quest’opera cfr. ivi, pp. 108-110.
21
Ivi, pp. 106-108.
L’iconografia skrjabiniana e la pittura russa di inizio Novecento 125
Ancora un volta, viene spontaneo chiedersi come sia possibile che Skrjabin non
abbia mai menzionato Kandinskij nei suoi scritti e non l’abbia mai incontrato22.
Allargando il discorso, si potrebbe rilevare come il compositore non abbia avuto
forse sufficiente consapevolezza delle affinità e delle analogie fra la propria ricerca
artistica e quella delle avanguardie pittoriche a lui contemporanee.
22
Nonostante Kandinskij ammirasse soprattutto Schönberg, col quale ebbe una nu-
trita corrispondenza, il suo percorso artistico si direbbe più affine a quello di Skjabin, del
quale seguì con grande interesse gli esperimenti sinestesici. «Hanno un ruolo marginale,
in Schönberg, le due componenti fondamentali della concezione estetica che accomuna
Kandinskij a Skrjabin: il rapporto sinestesico suono-colore e, soprattutto, l’idea di un’ar-
te totale coinvolgente, allo stesso livello, tutte le forme di ogni singola arte»: L. Verdi,
Kandinskij e Skrjabin, Realtà e utopia nella Russia pre-rivoluzionaria, Akademos & Lim,
Lucca 1996, p. 53.
Intorno ai Problèmes de la musique moderne
di Boris de Schloezer e Marina Scriabine
Daniele Buccio
This article briefly provides some information about the dissemination of Scri-
abin’s art in Europe, as promoted by Boris de Schloezer (1881-1969) in the early
1920s, and subsequently by Marina Scriabine (1911-1998) during the post-war
period up to the 1990s. Its core content consists of some references to the genesis
of and critical reception to the aesthetic, and the historiographical reflections
contained in their volume Problèmes de la musique moderne. Both the elabora-
tion and the acceptance of this monograph, which had already been conceived
and outlined in the immediate post-war years and which was constantly perfect-
ed over the course of a decade until its publication in 1959, are retraced through
the recognition of some biographical and intellectual vicissitudes of the two au-
thors, the scrutiny and the transcription of some unpublished sources (mostly
consisting of their correspondence with Massimo Mila and André Souris), as
well as the consideration of some reviews from the predominantly French and
Italian critical literature of the time. The article also gives a concise account of
the two authors’ connections with Italian cultural life and of some aspects of the
Parisian artistic context of the 1950s.
Статья содержит краткую информацию о распространении влияния
искусства Александра Скрябина в Европе благодаря деятельности Бориса
Шлёцера (1881-1969) в начале 1920-х годов, и, впоследствии, начиная
с послевоенного периода и вплоть до 1990-х годов, благодаря Марине
Скрябиной (1911-1998). Стержнем статьи является анализ происхождения
и критического восприятия эстетических и истроиографических
постулатов, содержащихся в их труде Проблемы современной музыки. Как
генезис, так и последующий прием монографии, которая была задумана
и вчерне выполнена в первые послевоенные годы, и была предметом по-
стоянного обогащения и усовершенствования на протяжении более чем
десятилетия, вплоть до ее публикации в 1959 году, прослеживаются через
осмысление некоторых биографических фактов и интеллектуальных собы-
тий в жизни двух авторов. Значительную помощь в этом оказало изучение
и транскрипция некоторых неопубликованных источников, по большей
части писем к Массимо Мила и от Андре Сури, а также анализ некоторых
рецензий, в основном в итальянской и французской критической литера-
туре того времени. В статье говорится о связях двух авторов с итальянской
культурной жизнью, а также о некоторых аспектах художественной сцены
Парижа 1950-х годов.
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
128 Daniele Buccio
Marina Scriabine (1911-1998)1 nel secondo dopoguerra sino agli anni Novanta, con
conseguenze decisive anche per la ricezione italiana2. Il presente scritto contiene
alcuni accenni a tale attività di diffusione, e brevi riferimenti ad aspetti significa-
tivi della genesi e dell’accoglienza critica riservata alle riflessioni estetiche e sto-
riografiche dei due studiosi raccolte, nel volume Problèmes de la musique moderne
pubblicato alla fine degli anni Cinquanta.
Stabilitosi a Parigi intorno al 1920 e rifugiatosi nel sud della Francia dopo l’oc-
cupazione tedesca negli anni Quaranta, Schloezer fece nuovamente ritorno nella
capitale francese al termine della seconda guerra mondiale insieme con Marina e
Madame Boulian, riavviando l’intensissima attività di critica musicale e lettera-
ria già intrapresa nel 1921 per la «Nouvelle Revue Française», la «Revue Musicale»
e per il quotidiano della comunità russa a Parigi «Poslednie Novosti»3. Accanto
1
Marina Scriabine adottò la grafia francofona del suo cognome sin dal suo arrivo in
Belgio all’età di undici anni e conseguì ufficialmente con tale nominativo la cittadinan-
za francese il 13 luglio del 1934 (cfr. «Journal officiel de la republique française. Lois et
décrets» Soixante-sixième année, 171, 22 luglio 1934, p. 7454). In virtù della consuetudine
e della volontarietà, tale grafia è stata mantenuta in questo contributo, mentre il cognome
del padre è stato reso con traslitterazione dal russo conformemente al resto del volume.
2
La prima monografia di Schloezer, dedicata alla personalità ed ai caratteri generali
dell’opera di Skrjabin e pubblicata dall’editore Grani di Berlino nel 1923, ebbe un consi-
derevole rilievo per il pubblico di lettori russi; l’autore non attese in seguito alla stesura
di un secondo volume annunciato, concernente più specificamente l’opera musicale di
Skrjabin. A Parigi Schloezer tenne una conferenza introduttiva in occasione del concerto
commemorativo dei dieci anni dalla scomparsa del compositore presso la Salle de l’ancien
conservatoire (2, rue du Conservatoire) lunedì 27 aprile 1925, durante il quale si esibirono
il pianista Grégoire Gourevitch (1895-1959) e la cantante Nina Kochitz (1891-1965). Negli
stessi anni Schloezer criticò Alfredo Casella per avere omesso la menzione di Skrjabin
nel suo recente volume L’evoluzione della musica a traverso la storia della cadenza perfet-
ta (cfr. B. de Schloezer, Réflexions sur la musique: De quelques erreurs courantes, «Revue
musicale» 8, 1924, pp. 269-272). Giovedì 9 luglio 1936 Madame Schloezer, Marguerite
Boulian, eseguì in prima esecuzione francese la Sixième Sonate op. 62 di Skrjabin presso
l’Association des Jeunes Auteurs Français di Parigi (cfr. «Comœdia», 3264, 8 Juillet 1936).
Nel 1953 Schloezer pubblicò il saggio Alexandre Scriabin nel secondo volume della pub-
blicazione Musique russe a cura di Pierre Souvtchinsky (pp. 229-248) e nel 1973 venne
pubblicato postumo l’ultimo articolo di Schloezer dedicato a Skrjabin, la voce del 1968
Scriabine et l’extase, per l’Encyclopédie des musiques sacrées, tome III, pp. 293-298 a cura
di Jacques Porte per i tipi di Labergerie.
3
Cfr. Boris de Schlœzer/Notice biographique, in Pour un temps/Boris de Schloezer,
Centre Georges Pompidou/Pandora Editions, Paris 1981, pp. 11-12: «Après la guerre,
Boris de Schloezer reprend sa collaboration à la Nouvelle Revue Française et s’intéresse de
plus en plus aux manifestations nouvelles de l’art sonore. Il suit de près le développement
des musiques électronique et concrète. La naissance de cet univers sonore englobant la
totalité des sons et leurs divers traitements pose de nouvelles interrogations. S’agit-il seu-
lement d’un élargissement de moyens instrumentaux ou de principes entièrement diffé-
rents ? L’absence d’un langage musical commun ne nécessite-t-il pas une écoute différente?
Intorno ai Problèmes de la musique moderne 129
pochi mesi nel 1971, venne notevolmente ritardata a causa di problemi contrattuali occor-
si con la casa editrice Vienna di New York allora diretta da Philippe Winters ed ebbe luo-
go soltanto nel 1987 grazie all’University of California Press. Tra il 28 e il 30 novembre del
1972 Marina Scriabine prese parte ad Oslo ai lavori della giuria dello Scriabin International
Piano Competition; incoraggiò e promosse pianisti decisamente impegnati nell’esecuzione
del repertorio skrjabiniano quali Hilde Somer (1922-1979), Robert Cornman (1924-2008),
Walid Akl (1945-1997), Roberto Szidon (1941-2011), John Bell Young (1953-2017), François
Glorieux (*1932) e Michael Rudy (*1953), anche attraverso la redazione di presentazioni di
registrazioni discografiche e in occasione di diverse trasmissioni radiofoniche. Agli inizi
degli anni Settanta supervisionò la traduzione in lingua francese di Ivan Vyšnegradskij del
testo poetico dell’Acte préalable e collaborò insieme con Claude Ballif per la realizzazione
di un progetto di redazione di un numero speciale della «Revue Musicale» commemora-
tivo del centenario della nascita di Skrjabin, che non fu possibile portare a compimento.
Tra i diversi contributi di Marina sono da segnalare un articolo per il terzo volume de «Les
Cahiers Canadiens de Musique» nel 1971, il contributo Wer ist Alexander Skrjabin? nel
volume a cura di O. Kolleritsch Actes du colloque Alexander Skrjabin, Universal Edition,
Graz 1980, l’articolo di carattere divulgativo Actualité de la musique de Scriabine nella ri-
vista «Piano [La Lettre du Musicien]» del 1 settembre del 1995 e Pamjat’ serdca, «Učenye
zapiski Gosudarstvennogo memorial’nogo muzeja A. N. Skrjabina» 3, IRIS-PRESS, Mosca
1998, pp. 173-179. A Marina si deve la pubblicazione nel 1979 della traduzione in france-
se dei quaderni e delle annotazioni private di Skrjabin, Notes et Réflexions. Carnets inédits
condotta sull’edizione del 1919 curata dalla madre Tat’jana e da Schloezer. La loro diffu-
sione in lingua italiana nei primi anni Novanta è avvenuta grazie alla traduzione di Maria
Giovanna Miggiani a cura di Maria Girardi.
5
Marina Scriabine recensì fra l’altro la prima esecuzione di Désert di Edgar Varèse
del 2 dicembre del 1954 presso il Théâtre des Champs-Élysées, la prima esecuzione fran-
cese de Le Réveil des Oiseaux di Olivier Messiaen, il Thesaurus of Scales and Melodic
Patterns di Nicholas Slonimsky, la monografia di Serge Moreux del 1953 su Béla Bartók,
L’évolution de la musique. De Bach à Schoenberg di Leibowitz del 1951, nonché lavori mu-
sicali e critici di Pierre Boulez, di Pierre Schaeffer e di Max D’Ollone.
6
Cfr. M. Scriabine, Evolution de la musique contemporaine ou révolution, «Revue
d’esthétique» 2, 1949, pp. 425-428 e M. Scriabine, Evolution de la musique contemporaine
ou révolution. II, «Revue d’esthétique» 4, 1949, pp. 485-488. È verosimilmente all’ultima
di queste presentazioni che Boulez si riferisce in una comunicazione a Cage datata 30 di-
cembre 1950 (cfr. J.-J. Nattiez (éd.), Pierre Boulez / John Cage. Correspondance, Bourgois,
Paris 1991, pp. 140-141).
Intorno ai Problèmes de la musique moderne 131
attraversino l’opera di Schloezer sin dai primi anni Venti7, le esperienze di queste
presentazioni costituirono occasioni rilevanti per la definizione di un nucleo di
prime riflessioni che vennero ad approfondirsi sensibilmente nel corso degli anni
Cinquanta; la monografia appare strettamente legata ai contributi del dopoguerra,
costituendo in effetti il frutto di rimeditazioni protratte nell’arco di un decennio.
In particolare, è possibile seguire interessanti varianti testuali in quattro scritti
di Schloezer pubblicati antecedentemente alla monografia, dai quali il testo defi-
nitivo trae origine: si tratta degli articoli Quelques considérations sur la musique
contemporaine del 19488, Quelques considérations sur l’être de la musique del mar-
zo del 19499, Triple écran du musicien dell’agosto del 194910 e Musique contempo-
raine, musique moderne del 195411. La volontà di Schloezer di integrare e talora
puntualizzare alcune posizioni esposte nell’Introduction à J.-S. Bach (le quali a
loro volta traevano origine dalle intuizioni dal carattere frammentario, «quelque
peu décousu», contenute nelle quattro Notes en marge: “À la recherche de la réalité
musicale” pubblicate alla fine degli anni Venti12) sembrò trovare negli spunti cri-
tici offerti da Robert Francès un impulso consistente, con riguardo anche alla de-
finizione del ruolo della percezione nell’esperienza musicale, muovendo da una
condivisa ricezione del gestaltismo13. A questi testi sono da affiancare le riflessioni
7
Cfr. B. de Schloezer, Réflexions sur la musique: Être modernes?, «Revue musicale»
10, 1923, pp. 84-85 e la comunicazione dell’aprile del 1938, dal titolo La musique ancienne
et le goût moderne (Qualche riflessione sulle nostre successive attitudini nei riguardi della
musica antica), in Atti del terzo congresso internazionale di musica, Le Monnier, Firenze
1940, pp. 7-16.
8
B. de Schloezer, Quelques considérations sur la musique contemporaine, in La pro-
fondeur et le rythme. Cahiers du Collège Philosophique, Arthaud, Grenoble-Paris 1948,
pp. 29-56.
9
B. de Schloezer, Quelques considérations sur l’être de la musique, «Les Temps
Modernes», 41, Mars 1949, pp. 551-558.
10
B. de Schloezer, Triple écran du musicien, «Empédocle», 4, Août 1949, pp. 21-36.
11
B. de Schloezer, Musique contemporaine, musique moderne, «La Nouvelle Nouvelle
Revue Française», 15, Mars 1954, pp. 513-516.
12
B. de Schloezer, Notes en marge: “À la recherche de la réalité musicale”, «La Revue
musicale», IX (3), Janvier 1928, pp. 214-228; IX (4), Février 1928, pp. 48-52; IX (5), Mars
1928, pp. 133-137; IX (6), Avril 1928, pp. 244-249.
13
Cfr. B. de Schloezer, Sens, forme et structure en musique (Réponse à M. R. Francès),
«Les Temps modernes», 43, 1949, pp. 934-942. Le riflessioni sull’Introduction à J.-S. Bach
vennero esposte da Robert Francès nel proprio articolo La structure en musique, «Les
Temps Modernes», 37, 1948, pp. 719-731. Ancora dieci anni più tardi Schloezer riteneva
Robert Francès il solo studioso in grado di coniugare la preparazione scientifico-speri-
mentale per lo studio psicologico con la conoscenza del linguaggio musicale attuale (cfr.
B. de Schloezer, Aventure de la musique moderne, «Nouvelle Nouvelle Revue Française»,
15, 1960, p. 1150 e M. Scriabine, Francès (R.), La perception de la musique, «Revue d’e-
sthétique», 14, 1961, pp. 95-96).
132 Daniele Buccio
«Cahiers Renaud-Barrault», 2-3, 1954, pp. 116-120. La realizzazione dei «Cahiers» costi-
tuì la riuscita di un precedente progetto editoriale mancato dal titolo «Variation», poi di-
venuto «La Révolution sérielle», nel quale Marina non venne in definitiva coinvolta. Cfr.
R. Wangermée, André Souris et le complexe d’Orphée. Entre surréalisme et musique sériel-
le, Mardaga, Liège 1995, pp. 302-310.
15
M. Scriabine, Athématisme et fonction thématique dans la musique contemporai-
ne, «Polyphonie», 3, 1954, pp. 35-46. Il testo di Marina approfondiva a distanza di alcu-
ni anni lo spunto conclusivo della recensione di Schloezer del volume Schœnberg et son
école pubblicato da Leibowitz nel 1947, contenuta nella rivista «Fontaine», 59, 1947, p.
138: « Quelques mots encore pour finir […] concernant ce que l’auteur nomme l’‘athé-
matisme’ de certaines productions dodécaphoniques : elles n’auraient plus de thème à
proprement parler, parce qu’elles ont renoncé à la reprise et que tout y est ‘variation’.
Or il me semble que la notion de ‘thème’ se ramène entièrement à celle de fonction
thématique; dans maintes partitions de l’école de Vienne cette fonction incombe à la
série élaborée par le compositeur, comme l’admet lui-même M. Leibowitz (« on peut
dire que toute pièce dodécaphonique n’est qu’une suite de variations sur sa série ini-
tiale », p. 114) dans d’autres – à un intervalle, à une figure rythmique, mais quel que
soit l’élément qui remplisse cette fonction, fût-ce un son unique (dans Wozzeck), il y a
toujours thématisme et l’‘athématisme’ est un leurre ». Schloezer rafforzò ulteriormen-
te le critiche al testo di Leibowitz con argomentazioni di rilevante portata metodologi-
co-storiografica nel suo articolo Que signifie la Musique ? (II) nell’autunno dello stesso
anno («Critique», 18, 1947, pp. 419-425); Leibowitz reagì a distanza di un anno con una
propria recensione dell’Introduction à J.S. Bach dal titolo Esthétique musicale et musi-
cologie nella medesima rivista («Critique», 30, 1948, pp. 986-1000). Cfr. R. Leibowitz,
Introduction à la musique des douze sons, L’Arche, Paris 1949, pp. 265-270; P. Boulez,
Jalons (Pour une décennie). Dix ans d’enseignement au Collège de France (1978-1988),
a cura di J.-J. Nattiez, Bourgois, Paris 1989, pp. 185 e 253; I. Kovács, Wege zum musi-
kalischen Strukturalismus: René Leibowitz, Pierre Boulez, John Cage und die Webern-
Rezeption in Paris um 1950, Argus, Schliengen 2004, pp. 136-144.
Intorno ai Problèmes de la musique moderne 133
16
La distinzione tra musica contemporanea e moderna è coeva ad alcune riflessio-
ni svolte in sede di critica letteraria da Stephen Spender (cfr. Poésie moderne et poésie
contemporaine, tr. fr. di Jean Tournier, «La Table Ronde», 15, 1949, pp. 355-370); testi
di Spender erano stati pubblicati in Francia anche nella rivista «Fontaine», con la qua-
le Schloezer aveva collaborato nel corso degli anni Quaranta. Sebbene Gun-Britt Kohler
nella sua fondamentale monografia dedicata a Schloezer sia incline a ritenere che la fase
conclusiva della stesura del volume sia avvenuta intorno al 1953 (Boris de Schloezer (1881-
1969). Wege aus der russischen Emigration, Böhlau, Wien Köln Weimar 2003, p. 305), la
corrispondenza conservata presso la Médiathèque de Monaco rivela come la revisione
dell’intero testo da parte di Schloezer fosse ancora in corso di svolgimento nella tarda
primavera del 1956, quando venne contestualmente a chiarirsi la volontà di definire un
accordo con il direttore delle Éditions de Minuit, Jérôme Lindon; gli stessi riferimenti
alla Troisième Sonate di Boulez e al Klavierstück XI di Stockhausen non avrebbero potu-
to precedere il 1957.
17
Anche Schloezer aveva svolto analoghe distinzioni in sede di critica letteraria (cfr.
«Revue d’esthétique», 14, 1961, pp. 151-152). L’origine di tali differenziazioni potrebbe es-
sere stata suscitata dalla comunicazione di Anne Souriau del 23 aprile 1955 per la Société
française d’Esthétique, nella quale il concetto di ‘mystère’ era stato trattato come catego-
ria estetica. Marina definì le proprie posizioni intorno al ‘langage énigmatique’ tra il 1960
ed il 1961, poi pubblicate nella «Revue d’esthétique» (16, 1963, pp. 1-22), esposte nel corso
di un programma radiofonico insieme con Anne Souriau e François Lyonnais diffuso il
21 aprile del 1964 dall’emittente France Inter e riproposte nel corso della conferenza De
l’œuvre énigmatique à l’énigmatique dans l’œuvre ancora presso la Société française d’E-
sthétique (cfr. «Revue d’esthétique», 19, 1966, p. 205).
18
Le lettere inviate da Boris de Schloezer a Massimo Mila sono conservate presso la
Paul Sacher Stiftung di Basilea; i passi inediti qui riportati sono tratti dalla trascrizione
della copia in microfilm. La conoscenza tra Mila e Schloezer risaliva al Primo Congresso
Internazionale di Musica (Firenze, Palazzo Vecchio, 30 aprile-4 maggio 1933), nel cor-
so del quale il musicologo torinese allora ventitreenne aveva presentato una relazione
dal titolo Musica e ritmo nel cinematografo; assai suggestiva è la presenza di Schloezer a
Firenze in quella occasione e nel corso di tre successive edizioni fiorentine del Congresso.
Anche Marina Scriabine soggiornò a Firenze nel dicembre del 1933 accompagnata dalla
moglie di Schloezer, Madame Marguerite Boulian, in via della Robbia n. 42 presso la fa-
miglia Cociubei ed ebbe a presentare diversi anni più tardi una relazione su La perspec-
tive temporelle dans les œuvres de la Renaissance al Convegno Internazionale di Studi
Brunelleschiani svoltosi dal 16 al 22 ottobre del 1977. Nel marzo del 1933 Schloezer rice-
vette l’invito a partecipare come relatore al Primo Congresso Internazionale di Musica
da Ugo Ojetti, già Accademico d’Italia e presidente della commissione ordinatrice delle
prime edizioni. Nei primi anni Trenta la monografia di Schloezer dedicata a Stravinskij
134 Daniele Buccio
Je viens de recevoir la Rassegna Musicale et y lis votre article sur les ‘ascètes’ de Royaumont,
si amical et si intelligent. Il m’a fait très grand plaisir, ainsi qu’à Marina, à ma femme, à
Boulèz [sic], à Froidebise auquel je l’ai communiqué; et maintenant il va faire le tour de
Royaumont où Marina va porter le No [Numéro] de la Rassegna aujourd’hui. Vous avez
eu juste le ton ad hoc et saisi l’essentiel. Une réserve seulement, non deux même.
1) vous avez tort de voir en moi le représentant de l’esthétique musicale française.
C’est l’esthétique ‘du cœur’ qui domine ici, pour autant qu’il y ait une esthétique
musicale chez messieurs les critiques parisiens.
2) Non, mon esthétique n’est pas ‘glaciale’, je suis parfaitement d’accord avec vous,
la musique est ‘expressive’, mais où nous divergeons c’est qu’elle n’exprime pas la
aveva destato l’interesse dei critici italiani e venne recensita da Guido Maggiorino Gatti,
già segretario delle giornate fiorentine del congresso (Cfr. Recensioni. Libri. Boris De
Schloezer, Igor Strawinsky (Collezione «La Musique Moderne») – ed. Claude Aveline,
Parigi, «La rassegna musicale», III, marzo 1930, pp. 173-175). Ojetti, personalmente inte-
ressato alla critica su Toscanini e Stravinskij, aveva proposto a Schloezer di collaborare
con le riviste «Pègaso» e «La Rassegna Musicale», anche con articoli già apparsi in lingua
francese dei quali egli avrebbe avuto cura di predisporre la versione in italiano; a questo
interessamento si deve la pubblicazione di due contributi: Comprendere la musica («La
rassegna musicale», IV, gennaio 1931, pp. 17-30) e L’enigma di Strawinsky («La rassegna
musicale», VII, marzo-aprile 1934, pp. 89-96). Schloezer concluse la settima seduta mat-
tutina del Primo Congresso Internazionale di Musica il 4 maggio del 1933 nella sala dei
Duecento di Palazzo Vecchio con la relazione Comprendre la musique (Alla ricerca del-
la realtà musicale), nella quale i contenuti del primo articolo vennero rielaborati in una
forma adattata per la circostanza; in seguito presentò La fonction sociale du compositeur
l’11 maggio del 1937, La musique ancienne et le goût moderne il 30 aprile del 1938 (prima
relazione della prima seduta presieduta da Ojetti), Expression et création il 19 maggio del
1949, rispettivamente nel corso delle tornate fiorentine del secondo, del terzo e del sesto
Congresso Internazionale. Mila fu presente nel 1949 insieme a Schloezer nella medesima
sessione di quel VI Congresso Internazionale di musica, pochi mesi dopo la pubblicazio-
ne della recensione sull’Introduction à J.-S. Bach, i cui contenuti stimolarono le riflessio-
ni estetiche racchiuse nella raccolta di saggi L’esperienza musicale e l’estetica, la cui pri-
ma edizione ebbe luogo nel 1950 (Cfr. Recensioni. Libri. Boris De Schloezer, Introduction
à J.-S. Bach (Essai d’esthétique musicale), «La rassegna musicale» XIX (1), gennaio 1949,
pp. 67-69). Intorno alla metà di giugno del 1951 Mila partecipò a un incontro curato da
Schloezer presso l’abbazia di Royaumont sul tema La musique et le cœur; offrì un resocon-
to critico dell’evento su «La Rassegna Musicale» dell’ottobre del 1951 (n. 4, pp. 298-300)
dal titolo Incontro con gli asceti di Royaumont: «Così come, del resto, il ricordo migliore
che abbiamo conservato di questo soggiorno fra gli anacoreti di Royaumont, è la rapida
possibilità di simpatia e di comunicazione, l’apertura umana e il pronto stabilimento di
contatti reali con tutti i presenti, e in modo particolare con quella persona profondamen-
te umana che è, nonostante le sue glaciali opinioni estetiche, Boris de Schloezer». Nella
medesima circostanza Mila registrò anche alcune impressioni riguardo alle Trois mélo-
dies dans un langage imaginaire di Marina Scriabine interpretate da Jeanne Fort-Badard.
Intorno ai Problèmes de la musique moderne 135
subjectivité qui est à sa source; ce sont les formes qui sont expressives; elles sont
‘parlantes’, mais de soi. Elles me disent quelque chose, mais se disent elles-mêmes.
Elles ont un sens, mais c’est leur présence. Voila le vrai formalisme. Je travaille
ferme au livre sur les Perspectives de la Musique Contemporaine. […]
[…] Une idée m’est venue: ne pourriez-vous m’arranger une conférence, à Turin
par exemple: je parlerais des Perspectives de la Musique Contemporaine, et après la
conférence il y aurait discussion? Ce pourrait être péssionnant [sic]. Qu’en pensez-vous?
Le livre avance, mais lenteement [sic], à cause de ma santé. […]
[…] Votre idée de publication de notre livre (Marina et moi nous le signons ensemble)
en Italie me sourit extrêmement. Si cela pouvait réussir j’en serais ravi et reconnaissant.
J’ai des propositions de quatre éditeurs français, mais ne me suis pas encore décidé. Voici
quelques détails. Le titre: Les perspectives de la Musique Contemporaine. Dimension:
250 pp. à peu près, du format usuel. J’écris les trois premiers chapitres: 1) ‘Le Langage
Musical’ où je reprends certaines des idées de mon Bach, avec quelques modifications
et sous une forme plus simple, plus accesible [sic]. 2) ‘L’Univers sonore du musicien’ où
j’étudie brièvement le matériau (l’espace sonore et son découpage en champs d’action-
échelles diverses), le matériel (les instruments) et les exécutants, qui constituent autant
d’écrans entre la pensée du compositeur et l’auditeur. 3) ‘De la monodie grégorienne à
la polyphonie sérielle’ – une vue générale de l’évolution de la musique. Ensuite viennent
trois autres chapitres qu’écrit Marina et que je supervise: 1) ‘La technique sérielle’ –
analyse et critique. 2) Etude des possibilités offertes par les instruments mécaniques –
radio, appareils électroniques, etc. 3) Nouvelles méthodes de composition nécessitées
par l’enrichissement et l’élargissement du matériau sonore, rupture avec le tempérament
égal, réforme radicale de la notation… Ces derniers chapitres s’appuient sur des études
acoustiques, mais mises à la portée du public, sans mathématiques. Quand le manuscrit
sera entièrement recopié, c’est à dire fin Octobre, je vous en enverrai d’ailleurs une
copie. Je pourrais naturellement publier l’ouvrage chez Gallimard, mais celui-ci n’a
fait absolument aucune publicité pour mon Introduction à J.S. Bach, tandis que Plon,
Denoël et les éditions de Minuit, m’assurent une publicité importante. Je crois que je me
déciderai finalement pour les Editions de Minuit qui est une jeune maison, dynamique.
19
All’edizione del 1959 seguì nel 1977 una seconda edizione con una postfazione
di Iannis Xenakis dal titolo Univers des sons che evoca quello della prima relazione di
Schloezer per il Collège Philosophique e quello del secondo capitolo dei Problèmes. Il ti-
tolo originario della monografia Perspective de la musique contemporaine venne letteral-
mente ripreso da Xenakis nel 1983 per un proprio articolo pubblicato nel primo nume-
ro della rivista «Echos», p. 47. Il testo dei Problèmes è stato di recente ristampato (PUR,
Rennes 2016) a cura di Bernard Sève e preceduto da un saggio del curatore che non è stato
possibile consultare per la redazione del presente scritto.
136 Daniele Buccio
Massimo Mila
nel quarto e ultimo volume degli «Incontri musicali» da lui diretti23, costituisce la
più estesa trattazione critica, non priva di devota ammirazione, mista ad alcune
riserve perlopiù rivolte allo statuto della percezione e ai capitoli redatti da Marina,
indirizzate ad aspetti quali la dissoluzione della nozione di melodia, la nozione di
‘esperienza ritmica’, il riconoscimento del ruolo della percezione a fronte dell’astra-
zione del procedimenti seriali. Schloezer rispose alle obiezioni di Boucourechliev
nell’articolo per la «Nouvelle Revue Française», Aventure de la musique moderne,
direttamente scaturito dai contenuti del volume24.
In alcune lettere del marzo del 1959 André Souris condivise in forma priva-
ta con Schloezer e Marina le proprie impressioni sul testo appena pubblicato25.
Bruxelles, 14 mars 59
Cher Boris, chère Marina,
Je viens de terminer la lecture, crayon en main, de votre ouvrage. L’ouverture en est
magistrale et ce chapitre premier m’apparaît comme une des plus beaux textes de
l’esthétique contemporaine, dense, profond et d’une rayonnante vérité. Le problème
fondamental du langage musical y est exposé dans toute son ampleur, éclairé dans toutes
ses perspectives et finalement explicité d’une manière si complète que je ne vois pas ce
qu’on pourrait opposer à ses conclusions, au niveau de la réflexion philosophique. Les
paragraphes X et XI entre autres, précisent définitivement ce qui distingue le langage des
arts du langage usuel et les remarques sur la ‘quantité d’information’ me semblent des
plus fertiles. (Je vous signale seulement, dans ce chapitre, une petite erreur historique:
la pratique du tempérament égal n’a pas coïncidé avec le désir d’‘élargir le champ des
modulations’ mais seulement des transpositions. Il suffit de feuilleter le Clavier bien
tempéré pour constater que Bach n’y sort jamais des limites des tons voisins, dont il
s’est toujours contenté, quelques extravagances passagères mises à part)26.
23
A. Boucourechliev, Problemi della musica moderna, traduzione italiana di P.
Castaldi, «Incontri musicali», 4, 1960, pp. 171-185.
24
B. de Schloezer, Aventure de la musique moderne, «Nouvelle Nouvelle Revue
Française», 15, 1960, pp. 1145-1153. Il concetto di percezione esposto nei Problèmes, già
criticato da Boucourechliev, assunse per Michel Vinaver il carattere di riferimento sug-
gestivo per la propria creatività drammaturgica (cfr. M. Vinaver e N. Otto-Witwicky,
Lecture musicologique de l’écriture de Michel Vinaver in Paroles et musiques, a cura di C.
Naugrette e D. Pistone, L’Harmattan, Paris 2012, pp. 139-140).
25
Le lettere sono conservate presso la Médiathèque de Monaco. Un accenno al vivo
scambio della corrispondenza tra Schloezer e Souris conservata negli «Archives Eliane
et Michel Souris» è riportato da Robert Wangermée nell’ampia monografia André
Souris et le complexe d’Orphée. Entre surréalisme et musique sérielle, Mardaga, Liège
1995, p. 332. Per una considerazione delle vicissitudini biografiche di Souris e Schloezer
a seguito delle divergenze d’opinione cfr. C. Esclapez, La musique comme parole des
corps. Boris de Schloezer, André Souris et André Boucourechliev. Essai, L’Harmattan,
Paris 2007, pp. 97-98.
26
Cfr. Schloezer, Triple écran du musicien, cit., p. 30; Schloezer-Scriabine, Problèmes
de la musique moderne, cit., 19772, p. 75.
138 Daniele Buccio
Je vous suis encore d’assez près au début du Chap. II, mais je bute à la fin du parag.
III, page 63: ‘dans la mesure où j’assume ce devenir, l’œuvre est intériorisée’. Si ce n’est
que dans une certaine mesure, je ne perçois pas l’œuvre, mais des bribes seulement.
En musique, la compréhension ne peut être cohérente que si elle est complète. Ceci
résulte de toute expérience musicale véritable, et aussi de l’Introduction à J.S. Bach.
Il me faut maintenant vous avouer qu’à partir du parag. IV je décroche peu à peu, jusqu’à
ne plus vous suivre du tout dans la 2e partie. C’est que, dès la page 65, se multiplient
vos étranges références à ce que vous nommez l’histoire, références chronologiques
au nombre de 10, une par siècle, et références techniques tellement générales qu’elles
englobent parfois plusieurs siècles. J’ai beau faire, si vous me parlez du XVIe siècle
(pour ne pas remonter plus loin) je ne sais vraiment à quoi vous faites allusion. Je
n’ai qu’une modeste connaissance de la musique de ce siècle (environ 3.000 pièces),
mais elle suffit à m’en donner une vue si variée, si hétérogène, que je ne trouve aucune
constante qui puisse le recouvrir tout entier et en même temps le caractériser. Ainsi
pour les autres ‘siècles’.
Quant à vos références techniques, je n’en vois guère qui se rapportent à la réalité des
faits connus aujourd’hui. Pour n’en citer qu’une, p. 90: ‘la simplification des structures
rythmiques due à l’adoption d’une barre de mesure a favorisé le développement de
la polyphonie, etc…’ Si, comme je le suppose vous parlez des 2 siècles de polyphonie
dite franco-flamande, dans quel manuscrit ou dans quel imprimé originel avez vous
trouvé l’ombre d’une barre de mesure ou, dans la musique instrumentale, autre
chose que des barres de tactus? Et des structures rythmiques simples? Non, votre
remarque s’applique à la période suivante et le mot ‘favorisé’ doit être remplacé par
‘arrêté’. (La polyphonie de Bach n’est pas plus ‘développée’ que celle de Josquin, elle
est seulement moins pure).
Votre André
Intorno ai Problèmes de la musique moderne 139
[…] je vous confirme que mes critiques se rapportent à toute la matière de votre ouvrage,
mis à part le 1er chapitre et le début du second. Elles se ramènent à ceci qu’à mes yeux,
vous avez échaffaudé [sic] des théories sur des théories et non sur des faits musicaux. Si
j’ai tort, c’est maintenant à vous de me le prouver. Encore faudra-t-il que nous parlions
des mêmes choses, et au même niveau technique […]
A queste voci è possibile aggiungere quella di Maurice Faure, con qualche lie-
ve perplessità intorno alle opinioni degli autori sul rapporto tra pubblico e mu-
sica elettronica28, quella di Olivier Revault d’Allonnes che non contiene elementi
critici29, quella di René Dumesnil30, quella del direttore d’orchestra e compositore
Robert Siohan31e infine la considerazione antologica del filosofo André Jacob a di-
stanza di alcuni anni32.
27
C. Deliège, Bibliographie, «Revue belge de Musicologie / Belgisch Tijdschrift voor
Muziekwetenschap», XIII (1-4), 1959, p. 132. Alcuni mesi più tardi Deliège fece un accenno
al concetto di ‘sens spirituel’ esposto nei Problèmes in Aspects d’une conjonction Debussy-
Baudelaire, «Revue belge de Musicologie / Belgisch Tijdschrift voor Muziekwetenschap»,
16, 1961, p. 94 (ripubblicato in Invention musicale et idéologies, Bourgois, Paris 1986, p.
134 e in M. Joos (a cura di), Claude Debussy. Jeux de formes, Rue d’Ulm, Paris 2004).
28
M. Faure, Le livre de Semaine. Problèmes de la musique moderne de B. de Schloezer et M.
Scriabine, «Les Lettres Nouvelles», 7, 15 avril 1959, pp. 13-15. Le riserve di Maurice Faure sem-
brarono in seguito aggravarsi nel suo Une nouvelle écoute, «Esprit», 28, Janvier 1960, pp. 22-38.
29
O. Revault d’Allonnes, B. de Schloezer et M. Scriabine, Problèmes de la musique
moderne. 1 vol. in-8° de 192 p., Paris, Éditions de Minuit, 1959, «Journal de psychologie
normale et pathologique», 58e année, 1961, pp. 255-256; cfr. anche O. Revault d’Allonnes,
Technique et langage de la musique concrète, «Journal de psychologie normale et patholo-
gique», 60e année, 1963, pp. 421-436.
30
R. Dumesnil, La musique, «Mercure de France», 336, Mai-Août 1959, p. 322.
31
R. Siohan, De Schlœzer (Boris) et Scriabine (Marina). – Problèmes de la musique mo-
derne (Paris. éd. de Minuit, 1959, 22,5 x 14), «Revue d’esthétique», 14, 1961, pp. 222-224.
32
A. Jacob, 100 Points de vue sur le language, Klincksieck, Paris 1969, pp. 241-244.
Le idee di Schloezer si trovano compendiate anche nell’ultima parte di un contributo di
140 Daniele Buccio
Pascal Dasseleer, Pour une approche du jugement de beauté aux confins de l’ontologie et de
l’analyse musicale. Application à l’Intermezzo op. 117 n. 1 de Johannes Brahms, «Revue des
archéologues et historiens d’art de Louvain», 26, 1993, pp. 122-127.
33
L. Pestalozza, Boris de Schloezer-Marina Scriabine, Problèmes de la musique mo-
derne, Paris, les éditions de minuit, 1959, «L’approdo musicale», 9, gennaio-marzo 1960,
pp. 246-248. Nel corso del terzo degli Entretiens avec Boris de Schloezer a cura di Michel
Hofmann diffuso il 30 maggio 1966 dall’emittente radiofonica France Culture, Schloezer
ebbe a sintetizzare: « J’ai essayé de montrer que ce qu’on pourrait appeler l’âme, l’esprit
d’une œuvre musicale ne peut être atteint qu’à travers l’étude de la chair musicale, c’est
à dire de la structure des sonorités; c’est ça en somme la base de toute ma pensée dans
cet Introduction à J.-S. Bach et ce qui est curieux c’est que la critique non seulement fran-
çaise, mais italienne sur le moment m’a justement accusé de formalisme : j’ai été classé
dans le sens mauvais du mot, que j’étais un intellectualiste qui voulait réduire l’œuvre
uniquement à sa constitution, mais c’était pas ça du tout. Je voulais étudier la constitution
de l’œuvre […] et de là passer à la signification et au sens, mais pas faire ce qu’on fai-
sait d’ordinaire, c’est à dire faire de la littérature autour de la musique; cela me sem-
blait absolument stérile. Le résultat c’est que j’ai eu des critiques favorables de la part
des philosophes et plutôt je dirai pas une critique défavorable, mais plutôt une indiffé-
rence de la part des musiciens ». Anche nel corso del VI Congresso fiorentino la prolusio-
ne di Schloezer nel pomeriggio del 19 maggio del 1949 venne preceduta dalla relazione
Contributo ad una critica di alcune posizioni formalistiche di Mario Zafred in apertura
della seduta, nella quale al termine formalismo veniva associato secondo un’avversione
generica il significato di aridità intellettualistica: «Quando la musica non adempie più le
Intorno ai Problèmes de la musique moderne 141
[…] Boris de Schloezer e Marina Scriabine, che hanno sviluppato in questi Problèmes
de la musique moderne le tesi già svolte nella celebre Introduction à Bach, finiscono
col cadere dalla padella oggettivistica alla brace formalistica, dal momento che per
oggettività essi intendono lo star fuori dalla storia degli uomini per porsi all’interno
dei processi strutturali della materia, cioè a dire fuori dall’opera d’arte e secondo i
canoni di uno sbrigativo scientismo positivista che, come sempre, confonde questa
col materiale di cui è fatta. Di qui l’inevitabile formalismo, che è una nuova versione
scientista e positivista della teoria idealistica dell’arte per l’arte.
In questo ambito interrogativo, questo studio acquista una proporzione diversa, quella
di un’acuta analisi dello sviluppo del linguaggio, del materiale sonoro nello svolgimento
della musica occidentale; e riesce a fornire, nonostante tutto, al lettore preziose nozioni
tecniche e più d’una notazione suggestiva.
sue naturali funzioni sociali, quando si isola per il diletto di poche persone al mondo ed
inizia così un indifferente monologo, allora certamente essa si rinchiude in uno dei più
tipici fenomeni della decadenza, il lambiccameno di sintassi e di stili, l’eccessiva atten-
zione a dei tecnicismi: il formalismo in una parola», in Atti del sesto Congresso interna-
zionale di musica, presieduto da Ildebrando Pizzetti, Firenze, 18-21 maggio 1949, Barbera,
Firenze 1950, p. 91.
34
L’autore ripercorse alcune delle argomentazioni concernenti il carattere linguisti-
co dell’espressione musicale presentate nei Problèmes nella sezione conclusiva del capito-
lo Boris de Schloezer e il linguaggio musicale ne L’estetica musicale dal Settecento a oggi,
Einaudi, Torino 19682, pp. 180-182; cfr. anche E. Fubini, Les Philosophes et la musique,
Vol. I, trad. francese di D. Pistone, Honoré Champion, Paris 1983, pp. 201-207 e con riferi-
mento a Marina Scriabine, M. Tessarolo, L’espressione musicale e le sue funzioni, Giuffrè,
Milano 1983, pp. 299-302.
35
<http://www.filosofia.unimi.it/piana/index.php/filosofia-della-musica/72-
barlumi-per-una-filosofia-della-musica> (12/18) .
36
H. Drux, Comptes rendus, «Diogene», 31, 1960, pp. 132-141. Marina Scriabine col-
laborò nel 1976 con la medesima rivista trimestrale sostenuta dall’Unesco che pubblicava
i propri numeri simultaneamente in francese, spagnolo, inglese e arabo.
142 Daniele Buccio
Cfr. F. Blume, Was ist Musik. Ein Vortrag, Bärenreiter, Kassel 1959. Karl Gustav
37
Fellerer nel suo volume Der Akademismus in der deutschen Musik des 19. Jahrunderts
(Westdeutscher, Opladen 1976, p. 7) accomunò il testo dei Problèmes alle tendenze strut-
turaliste ed antiromantiche di Donald Mitchell in The Language of Moderne Music (Faber,
London 1963) e di Ulrich Dibelius in Moderne Musik (Piper, München 1966), che a suo av-
viso sembravano rinnovare analoghe controversie ottocentesche. Di particolare interesse
sono le considerazioni di Ulrich Mosch nel volume Musikalisches Hören serieller Musik.
Untersuchungen am Beispiel von Pierre Boulez’ «Le Marteau sans maître» edito nel 2004
dalla casa editrice Pfau di Friedberg (pp. 158-164) ed il contributo di Andreas Wehrmeyer
Zur Bedeutung und historischen Stellung der musikästhetischen Positionen Boris Schlözers
in K. Eberl, W. Ruf (hrsg.), Musikkonzepte – Konzepte der Musikwissenschaft: Bericht
über den Internationalen Kongress der Gesellschaft für Musikforschung Halle (Saale) 1998.
Band II: Freie Referate, Bärenreiter, Kassel 2000, pp. 558-564. In contesto russo si seg-
nala altresì la menzione di Pavel Christoforovič Kananov e Ida Pinchasovna Vulych in
Zarubežnaja literatura o muzyke: Literatura obščego soderžanija, metodologija e istorija
muzykozhahija, teoretičeskie e istoričeskie muzykal’nye discipliny, Sov. Kompozitor 1972,
pp. 247-248, 564.
38
Pubblicati rispettivamente nel 1961 e nel 1963 presso Les Éditions de Minuit (impr.
Corbière et Jugain di Alençon). Cfr. R. Francès, Marina Scriabine. Introduction au langa-
ge musical, 1 vol. in-8o de 148 p. Paris, Éditions de Minuit, 1961, «Journal de psychologie
normale et pathologique», 61e année, 1964, pp. 382-384.
Da Skrjabin all’École de Paris: misticismo,
simbolismo ed esoterismo tra Russia ed Europa
Luisa Curinga*
While there is a common thread that Scriabin shares with the youngest Russian
émigré composers, there is also a much subtler one linking him to a number of
French composers from the first half of the 20th century. Musicians such as Lourié
and Obukhov were particularly close to Scriabin’s language and to his spiritual
world. The Russian mysticism and symbolism that they brought with them found
fertile ground in the Paris milieu. From the end of the 19th century, esotericism,
mysticism and occultism permeated French cultural life, not only in Dadaist and
Surrealist circles, but also for composers like Messiaen, Jolivet, and Martenot. This
cross-pollination between Russian and French composers can also be explained by
their mutual interest in each others’ musical traditions. The composers of post-rev-
olutionary Russia were fascinated by French music, while their French colleagues
were particularly impressed by Stravinsky and Prokofiev and considered them
their allies in the battle against German hegemony. Scriabin’s style, together with
Stravinsky’s and Prokofiev’s, was an essential point of reference for the subsequent
generation of Russian composers. Ultimately, all Russian émigré composers car-
ried with them some of Scriabin’s heritage as a manifestation of their Russian soul.
В то время как есть, безусловно, объединяющая Скрябина с русскими
композиторами-эмигрантами более молодого поколения общность,
существует более тонкая связь между Скрябиным и некоторыми французскими
композиторами первой половины ХХ века, такими как Лурье и Обухов, которые
были особенно близки к его формальному языку и духовному миру. Русский
мистицизм и символизм, которые они принесли с собой, нашли для себя
плодородную почву в парижской среде. Начиная с конца XIX века эзотеризм,
мистицизм и оккультизм пропитали собой культурную жизнь Франции, и
не только в кругах сюрреалистов и дадаистов, они распространились также
и среди композиторов, таких как Мессиан, Жоливе и Мартено. Скрещение
взаимных влияний между русскими и французскими композиторами может
быть также объяснено их взаимным интересом к музыкальным традициям друг
друга. Композиторов послереволюционной России привлекала французская
музыка, тогда как их французские коллеги интересовались, прежде всего,
Стравинским и Прокофьевым, которых они считали союзниками в борьбе с
гегемонией немецкой музыки. Композиционный язык не только Скрябина,
но и Стравинского с Прокофьевым, был важнейшей отправной точкой для
следующего поколения русских композиторов. Наконец, все композиторы
русской эмиграции брали с собой какую-то часть скрябинского наследия, как
проявление их русской души.
*
Conservatorio Statale di Musica G.B. Pergolesi di Fermo; Università degli Studi di
Macerata.
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
144 Luisa Curinga
Molto è stato detto e scritto sul misticismo di Skrjabin, sui suoi rapporti con il
pensiero filosofico e con il simbolismo russo, e sulle conseguenze che le sue idee
ebbero non solo sulla sua opera, ma anche su diverse generazioni di compositori,
così come su artisti di altri ambiti espressivi. Pur nel suo modo originale di assi-
milare queste suggestioni extra-musicali e di farne sostanza compositiva, Skrja-
bin si inserisce in un contesto molto ampio che coinvolge diverse nazioni e che
ha ricadute profonde e protratte nel tempo, ben al di là del breve arco temporale
in cui si racchiude la sua esistenza. Inoltre, l’impulso ideale e musicale trasmesso
dal compositore ad alcuni colleghi russi più giovani si diffonderà attraverso di lo-
ro in Europa, soprattutto a Parigi, andandosi a innestare sulle tradizioni mistiche
ed esoteriche occidentali.
L’intera Europa vede a partire all’incirca dagli ultimi due decenni dell’Otto-
cento un risveglio di interesse nei confronti di magia e occultismo, mostra pecu-
liare attenzione verso il valore del simbolo, è sensibile a una visione mistica della
vita e conosce diversi tentativi di ricerca dell’unità tra confessioni religiose, leggi
morali e miti orientali e occidentali, nel segno della teosofia.
Per esempio, il compositore e pittore visionario Mikalojus Konstantinas
Čiurlionis (1875-1911), lituano, ma formatosi a Varsavia e a Lipsia, fu totalmen-
te impregnato di un misticismo che aveva uno dei suoi punti di riferimento nelle
formulazioni antroposofiche di Rudolf Steiner – così affini a quelle di Skrjabin –
ma che si integrava con il folclore e con il panteismo lituano, con le filosofie india-
ne e con le tecniche d’avanguardia1. Čiurlionis, che in tutta l’arte del Novecento
può essere forse paragonato solo a Paul Klee, era ammirato da Stravinskij e da
Kandinskij; come Skrjabin, egli cercava di trasmettere il mistero della Natura, il
suo respiro possente, nel tentativo di penetrare «il senso universale intravisto nel
Cosmo quando si manifesta all’Uomo, che cerca di estrarne un’essenza da tutti
comprensibile e da tutti sotterraneamente attesa»2. Tuttavia Čiurlionis intendeva
la strada dell’arte visuale e quella della musica come complementari, autonome
e non intersecantesi, come percorsi espressivi che veicolavano contenuti simili o
analoghi, ma specifici di ciascun linguaggio3.
In Belgio il simbolista Jean Delville, che ebbe numerosi contatti con Skrjabin,
iniziò nel 1880 a studiare «la psicologia occultista» e fu influenzato da alcuni per-
sonaggi che credevano nella possibilità di controllare le forze sovrannaturali, come
il lionese Joséphin Péladan, E.G. Bulwer-Lytton, Adolphe Louis Constant (questi,
1
Cfr. G. Di Milia, Vita breve. Lungo viaggio fuori dal tempo, in Id. e O. Daugelis
(a cura di), Čiurlionis. Un viaggio esoterico. 1875-1911, Catalogo della mostra, Milano,
Palazzo Reale, 17 novembre 2010-13 febbraio 2011, Mazzotta, Milano 2010, pp. 17-28; C.
Strinati, Čiurlionis compositore, in ivi, pp. 29-33.
2
Strinati, Čiurlionis compositore, cit., p. 30.
3
Cfr. ivi, p. 33.
Da Skrjabin all’École de Paris 145
noto con lo pseudonimo di Elipha Lévi, aveva fama di mago, di evocatore di spi-
riti), Papus (nome iniziatico di Gérard Encausse), Louis Delbekeda e Stanislav de
Guaita, nonché da gruppi iniziatici che si ispiravano alla massoneria di rito scozzese
e da consorterie come i Rosacroce. Delville e Skrjabin vennero inoltre in contatto,
probabilmente in maniera autonoma, con la studiosa di religioni orientali Elena
Petrovna Blavackaja che, come è noto, fondò a New York nel 1875 insieme a Hen-
ry Steele Olcott The Theosophical Society4.
In Francia e Inghilterra queste idee fecero più presa che altrove, ma è soprattutto
in Francia che trovarono il terreno più fertile per la loro maturazione e per la loro
traduzione musicale e artistica, che si concretizzò in nuove poetiche di avanguardia.
Un ruolo consistente, e forse non ancora pienamente valorizzato, nel processo
di diffusione e di integrazione tra pensiero mistico russo e pensiero mistico fran-
cese e, soprattutto, nello sviluppo di tutte quelle poetiche musicali che prendono
le mosse da queste idee, si verificò grazie all’apporto di diversi compositori russi e
dell’Europa dell’est che arrivarono a Parigi in due ondate, la prima dopo la rivo-
luzione, negli anni 1917-1920 e la seconda tra il 1939 e il 19415.
Questi compositori emigrati andarono a costituire un gruppo estremamente flu-
ido e non chiaramente definito che prese il nome di École de Paris, sulla falsariga
dell’analogo raggruppamento di artisti figurativi. La prima ondata comprendeva
musicisti quali Nikolaj Obuchov, Arthur Lourié, Nikolaj e Aleksandr Čerepnin,
Ivan Vyšnegradskij, Nikolaj Nabokov, Aleksandr Grečaninov e Vladimir Dukel’skij,
mentre alla seconda generazione trasferitasi a Parigi negli anni Trenta appartene-
vano, tra gli altri, Igor’ Markevič, Joseph Schillinger, Lazarij Saminskij, Jurij Pome-
rancev e Fëdor Akimenko. A questi vanno aggiunti altri compositori non russi, ma
dell’Europa dell’est o centrale, tra cui il rumeno Marcel Mihalovici, che raggiunse
Parigi nel 1919, il ceco Bohuslav Martinů, lo svizzero Conrad Beck, l’ungherese
Tibor Harsanyi e, più tardi, anche il polacco-francese Alexandre Tansman e l’au-
striaco Alexandre Spitzmüller6. Taluni, come Obuchov, restarono a Parigi tutta la
vita, altri, come Lourié e Čerepnin, proseguirono il loro cammino errante verso
Londra o verso gli Stati Uniti.
Il raggruppamento, che mantenne questo nome per circa un ventennio, aveva
carattere informale e non condivideva un’estetica comune: a causa di questa flui-
dità, differenti fonti citano compositori diversi come membri del gruppo. Secondo
Alexandre Tansman, l’Ėcole de Paris
4
Su questi temi cfr. M.L. Frongia, Il simbolismo di Jean Delville, Patron, Bologna
1978, pp. 17-20.
5
Aleksandr Glazunov, invece, lascia la Russia per Parigi nel 1928.
6
Cfr. L. Korabelnikova, Alexander Tcherepnin, The Saga of a Russian Emigré Composer,
Indiana University Press, Bloomington 2008, pp. 42-43 e pp. 65-71.
146 Luisa Curinga
[…] was not a school in the normal sense of the word, but rather a group of composers
from Eastern and Central Europe. We were bounded by deep friendship as well as an
attachement to France and its culture. Certainly our interests were closely tied to the
period of our youth, but we never built ourselves “a little shrine” nor did we present
ourselves as an artistic group united by a technical or aesthetic slogan7.
Mihalovici sottolineava invece come il nome del gruppo, inventato dai critici
musicali mutuandolo dall’omonimo raggruppamento di artisti e scultori che ope-
ravano a Parigi a partire dagli anni Dieci, spettasse di diritto a tutti i musicisti stra-
nieri che vivevano o avevano vissuto a Parigi, compresi i compositori del passato, a
partire da quelli rinascimentali e da Lully, passando per Mozart, Chopin e Wagner
per giungere fino a De Falla, Enesco, Honegger, Stravinskij, Prokof ’ev, Copland8.
Le reciproche influenze tra compositori russi e francesi si spiegano non soltan-
to con il comune fondo mistico e simbolico, ma anche con un mutuo interesse nei
confronti delle rispettive espressioni musicali: da un lato, i musicisti della Russia
post-rivoluzionaria provavano grande interesse nei confronti della musica francese,
dall’altro i loro colleghi francesi, conquistati in primo luogo da Stravinskij e Prokof’ev,
vedevano nei musicisti russi degli ‘alleati’ contro l’egemonia della musica tedesca.
Del resto Stravinskij e Prokof ’ev, insieme a Skrjabin, furono punti di riferimento
imprenscindibili anche per i compositori russi operanti nei primi decenni del No-
vecento. Nel 1932 Lourié, in relazione al cosiddetto ‘problema sciita della musica
russa’ – cioè quello riguardante l’eredità del folclore nella musica nazionale – scrisse:
The Frenchmen of the modernist period, however, became in the natural course the allies
of the Russians, as their conviction that dependence on the German must be shaken
off attained maturity about the time, and the “Scythian” problem of Russian music
seemed to meet the case. Against this background Stravinsky made his appearance,
and a living bond between Russian and French music became an accomplished fact.
The works of his first period served to strengthen this bond and revealed again the
great gulf between Russian and French music on the one hand and German music,
as it existed, on the other. […] Every Russian composer to whom Moussorgsky and
his creations […] were dear, adopted The Rite of Spring as their banner. The young
French school (after Debussy) accepted this banner as the symbol of its own work in
the cause of nationalism9.
jego czasy, Łódź 1996, citato e tradotto in Korabelnikova, Alexander Tcherepnin, cit. p. 67.
Cfr. anche F. Lazzaro, Écoles de Paris en musique 1920-1950. Identités, nationalisme, co-
smopolitisme, Vrin, Paris 2018.
8
Marcel Mihalovici citato in ivi. p. 69.
9
A. Lourié, The Russian School, «The Musical Quarterly», XVIII, 1932, pp. 519-529: 522.
Da Skrjabin all’École de Paris 147
We saw in him a young man with a still unformed musical personality who accepted
and refracted the influence of grown-ups – Stravinsky, Scriabin… But it turns out that
Prokovief, in his turn, already exerts a tremendous influence on his juniors, for whom
he plays the role of “maitre”, his style being copied and assimilates10.
In it [L’éternel étranger] I express my belief in the Russian people and their great spiritual
predestination… I tread a path of revolution. I feel closer to Scriabin, who was the first
to destry dualism – the opposition of mode and harmony, which is absolutely alien to
adherents of Schoenberg11.
10
B. de Schloezer, Muzykal’nye zametki, «Poslednie novosti», 16 Fevral’ 1925, tradot-
to in Korabelnikova, Alexander Tcherepnin, cit., pp. 55-56.
11
I. Vyšnegradskij, lettera a Čerepnin, 1 ottobre 1968, The Nicolas and Alexander
Tcherepnin archive, Paul Sacher Foundation, Basel. L’éternel étranger è una composizio-
ne di Vyšnegradskij per 4 pianoforti, percussioni, coro e solisti, su liriche proprie.
12
Cfr. L. Curinga, André Jolivet e l’umanesimo musicale nella cultura francese del
Novecento, Edicampus, Roma 2013, p. 35; L. Conti, Ultracromatiche sensazioni. Il mi-
crotonalismo in Europa (1840-1940), Lim, Lucca 2008, pp. 135-173; J. Allende-Blin, Die
Skrjabinisten oder wie eine Komponostengeneration links liegen blieb, in Aleksandr
Skrjabin und die Skrjabinisten, «Musik-Konzepte», 32-33, 1983, pp. 81-102; Id., Ein
Gespräch mit Ivan Wyschnegradsky, in ivi, pp. 103-122.
148 Luisa Curinga
Figura 1 – Arthur Lourié, Formes en l’air (à Pablo Picasso), Tre pezzi per pianoforte,
1915 (Ed. Muzgiz, Mosca).
Analogamente a Lourié, nello stesso anno Obuchov ideò per il suo sistema ar-
monico uno speciale tipo di notazione: interamente enarmonica, si basava su due
principi: i cinque tasti neri del pianoforte erano chiamati lo, té, ra, tu, di e al po-
sto delle alterazioni venivano usate delle croci oblique (Fig. 2). Questa notazione
aveva il merito di non dover utilizzare i segni di alterazione così frequenti nella
musica atonale e di avanguardia.
14
C. Fischer, Astrology and French society: the dialectic of Archaism and Modernity,
in E.A. Tirykian (ed.), On the margin of the visible, John Wiley & Sons, New York 1974,
pp. 281-193: 285.
150 Luisa Curinga
Il est un prophète qui emploie la musique comme une langue universelle pour clamer
aux hommes un nouvel évangile. Par lui, nous prenons conscience de l’extase de grands
mystiques qui n’est pas, comme le vulgaire l’imagine, un état de béatitude contemplative,
mais un soulèvement de tout l’être dans un bondissement de joie, dans un élan d’amour
vers le divin entraperçu et saisi15.
15
H. Prunières, Œuvres de Nicolas Obouhov – Salle Gaveau, «La Revue Musicale»,
147, Juin 1934, p. 48.
16
Cfr. Y. Simon, La querelle de la notation Obuhow, in Id., Composer sous Vichy,
Symétrie, Lyon 2009, pp. 251-261.
Da Skrjabin all’École de Paris 151
Parmi les recherches qui ont été faites dans ce sens, celles de M. Nicolas Obouhow
me paraissent apporter une solution claire et pratique. la meilleure qui soit à
ma connaissance. N’étant pas prophète, je ne sui pas en mesure d’affirmer que
graphiquement, les croix dont il use pour remplacer les notes diésées ou bémolisées
constituent le procédé dont l’usage sera généralisé par nos petit-neveux. Mais je suis
persuadé que l’initiative de M. Obouhow qui répond aux exigences de l’évolution
harmonique a le mérite d’être logique et simple. C’est pourquoi elle aura fait faire un
pas décisif vers une normalisation nécessaire de l’écriture musicale17.
17
A. Jolivet, nota datata 19 giugno 1946 (ex Archives André Jolivet, Paris), in Quelques
appréciations de maîtres éminents sur la Nouvelle Notation simplifié de Nicolas Obouhov,
supplemento de «L’Éducation musicale», luglio 1946, ora in Christine Jolivet-Erlih (a cura
di), André Jolivet. Écrits, Delatour, Sampzon 2007, p. 614.
18
Cfr. Barkalya, Esthétique et technique compositionnelle de Nicolas Obouhov, cit.,
pp. 90-92.
19
La denominazione Theremin (ˈθɛrəmɪn) deriva evidentemente dal nome del suo
inventore e inizialmente fu occidentalizzata in modi differenti: ætherphone/etherphone,
thereminophone o termenvox/thereminvox. Lo strumento fu brevettato nel 1928.
152 Luisa Curinga
Alla dimostrazione di Theremin aveva assistito anche Maurice Martenot, che svi-
luppò negli stessi anni le sue ondes Martenot, a partire da principi analoghi. Anche
l’ingegnere elettrico René Bertrand realizzò nel 1927 il Dynaphone, a cui lavorava
già dal 1914. Intanto Edgard Varèse, che era tornato negli Stati Uniti nel 1933 do-
po una permanenza di quattro anni a Parigi, proseguiva la ricerca sugli strumenti
che potessero affrancare la musica dalle pastoie del sistema temperato: «J’attends
des instruments nouveaux, particulièrement dans le domaine éléctrique ou radio-
électrique. Par exemple, le Martenot ou Bertrand comme une des possibilités»20.
A New York, nel 1933, Varèse lavorò anche con Theremin: «[…] nous sommes,
avec Teremin qui a un magnifique Laboratoire – en plein travail pour mes nouveaux
instruments – basés sur des données nouvelles»21. Se l’inesausta ricerca di Varèse
di un ‘Laboratorio’ in cui poter realizzare gli strumenti rivoluzionari che aveva in
mente fu sempre frustrata, egli riuscì comunque a ottenere risultati inediti attra-
verso l’uso delle celebri ‘sirene’ inserite ad esempio in Amériques in un contesto
orchestrale ancora tardo-romantico, e con i due Theremin presenti nell’organico
di Equatorial (1934), oltre che attraverso il sapiente uso degli strumenti a percus-
sione ad altezza indeterminata.
Il substrato di misticismo indubbiamente presente in Varèse è perlopiù messo
in ombra dall’impronta scientifica che egli intese dare alla sua musica. Se il misti-
cismo di Obuchov deriva direttamente da quello di Skrjabin ed è quindi legato al
contesto culturale russo, quello di Martenot, invece, è radicato nell’atmosfera pa-
rigina dell’epoca. Le suggestioni mistiche ed esoteriche si innestano in Francia, a
partire dagli anni Trenta, in un umanesimo musicale diffuso, secondo cui l’uomo,
al centro della creazione artistica, deve essere messo in grado, attraverso la musica,
di raggiungere la «comunione» con il cosmo e con gli altri uomini.
L’anelito verso una comunione con il mondo avvertito da Jolivet a dall’insieme
dei compositori francesi che si riconoscono in una visione umanista della musica
è condiviso anche dai prosecutori russi di Skrjabin che operano a Parigi. L’esigen-
za di ripudiare ogni astrazione e ogni meccanicismo in favore di una musica con
un’essenza metafisica e la denuncia del divorzio tra musica e pubblico attuatasi a
causa dell’indifferenza spirituale e del cerebralismo di tanta musica di avanguar-
dia sono sentite, infatti, tra gli altri, anche da Lourié che, nel 1941, da poco arriva-
to negli Stati Uniti dopo gli anni parigini, esprime con chiarezza la sua posizione:
The defect of contemporary music consists in the very fact that it has stubbornly and
consciously turned away from its own nature. Music has become patently nihilistic,
music is based on non-existence, comprising musical time and space exclusively in
the mechanism of the profession of craft, proclaiming them as ends in themselves,
20
C. Jolivet-Erlih, Introduction, in Edgard Varèse-André Jolivet. Correspondance
1931-1965, Contrechamps, Genève 2002, pp. 11-34: 24.
21
E. Varèse, lettere ad André Jolivet del 14 e 16 ottobre 1933, ivi, pp. 62-66: 65.
Da Skrjabin all’École de Paris 153
repudiating all of its metaphysical essence. It was a great heresy which had resulted in
a terrible impoverishment of the spirit. […] Among the conditions necessary for the
development of a musical style, spiritual experience is always included, and not the
material acquisitions of the epoch. Since style is the very soul of every art work, how
can there be style where there is non soul?22
It is not strange that the public […] has begun to give signs of an increasing indifference
with respect to the sort of music to which the composer himself is indifferent. […] The
indifference of public is absolutely justified by such esthetic principles. […] The gulf
between contemporary music and the public has grown wider and deeper. As to the
tie between music and the composer, it has been reduced to a simple mechanism for
producing a concatenations of sounds23.
L’action des ondes sur l’état physique de l’auditeur est considérable. Dans certains
fortissimo, le corps entier en perçoit les résonances. Qui sait si cette mise en lumière
de l’action directe de la musique sur l’état physiologique ne fera pas franchir aux
compositeurs une nouvelle étape, qui le rapprochera du sens que la musique avait
autrefois, aux temps où elle avait sa place rituelle?25
E, ancora:
22
A. Lourié, Musings on Music, «The Musical Quarterly», XXVII, 1941, pp. 235-242:
236.
23
Ivi, p. 237.
24
M. Martenot, Une opinion: les instruments d’ondes radio-électriques et l’évolution
de la musique, «Le mois», mars-avril 1933.
25
Ibidem.
154 Luisa Curinga
Ils sont encore susceptibles de perfectionnements, mais tels quels, et pouvant produire
toutes les fractions du son, ce sont eux qui permettent de se rapprocher le plus
possible d’une harmonie naturelle. D’ailleurs, il faut constater que les inventeurs de
ces instruments ont eux-mêmes une claire conscience de l’évolution prochaine de la
musique: je veux parler notamment du compositeur Obouhow, mais aussi de techniciens
comme Maurice Martenot et René Bertrand27.
Inoltre Jolivet ritiene che la sonorità così pura di questi strumenti, dovuta al
sistema di produzione radio-elettrica, li unisca più direttamente di ogni altro stru-
mento al sistema ondulatorio universale e che, per questo motivo, essi agiscano
più direttamente sul magnetismo degli esseri umani.
Se Jolivet sembrava interessato soprattutto all’aspetto mistico della visione di
Obuchov, che gli fornì una conferma alle idee maturate grazie a letture e riflessio-
ni personali, Olivier Messiaen, da parte sua, ritenne dagli scriabiniani parigini sia
un pensiero estetico che idee tecnico-musicali.
Obuchov, Vyšnegradskij e Messiaen, negli anni Trenta, appartenevano al mede-
simo circolo di intellettuali che operavano nella direzione di un universalismo mu-
sicale di stampo umanista. Messiaen probabilmente entrò in contatto con Obuchov
e con la sua musica grazie alla mediazione di Vyšnegradskij, che Messiaen ammi-
rava al punto di voler prendere lezioni da lui. Secondo la testimonianza di Clau-
de Ballif, Messiaen negli anni Quaranta faceva analizzare opere di Obuchov nella
sua classe al Conservatorio di Parigi. Le opere teoriche di Messiaen e di Obuchov
furono scritte a pochi anni di distanza: Messiaen pubblicò nel 1944 Technique de
mon langage musical, mentre il saggio De l’harmonie tonale di Obuchov è del 1947.
I due compositori condividevano un atteggiamento analogo nei confronti
dell’arte sacra, utilizzavano le antiche forme liturgiche e credevano nel ruolo del-
la musica per la creazione di un mondo migliore e più umano, se non addirittura
Ibidem.
26
A. Jolivet, Gènese d’un renouveau musical (1937), in Jolivet, Écrits, cit., pp. 53-73:
27
60-61.
Da Skrjabin all’École de Paris 155
di un’arte universale che superasse il limite umano per divenire sacra e salvatri-
ce. In questo processo il compositore aveva un ruolo di mediatore, e operava per
realizzare la sintesi tra parola, gesto, musica, colore e silenzio28. Come Obuchov,
Messiaen interpretò in senso universalista e in modo personale la tradizione mu-
sicale cristiana e quella orientale; entrambi si mossero nella direzione di una «me-
tafisica religiosa» intesa come una «combinazione di tradizione e modernità»29.
La questione relativa all’influenza di Obuchov su Messiaen e agli elementi ide-
ali e linguistici più o meno dichiarati che quest’ultimo trasse da Obuchov, già sug-
gerita nei due numeri monografici Aleksandr Skrjabin und die Skrjabinisten della
rivista «Musik-Konzepte» nel 1983-1984 e da Yannick Simon nel 2009, e avvia-
ta da Nino Barkalaya nella sua recente tesi di dottorato su Obuchov, meriterebbe
senza dubbio un lavoro di approfondimento30. Infatti, nonostante Messiaen non
abbia mai riconosciuto alcun debito nei confronti di Obuchov, che non è nemme-
no nominato nella biografia di Messiaen di Peter Hill e Nigel Simeone del 200531,
la scrittura pianistica di Messiaen degli anni Quaranta mostra notevoli affinità
con quella che Obuchov aveva utilizzato appena ventitreenne già dal 1915, anno
della morte di Skrjabin. Nei pezzi pianistici di Obuchov l’impronta di Skrjabin è
evidente, benché più ardita nei suoi esiti. Molti tratti caratteristici dei lavori per
piano di Messiaen degli anni Quaranta, come l’uso di accordi con sonorità di cam-
pane nel registro acuto, riecheggiano con evidenza i pezzi composti da Obuchov
circa trent’anni prima.
In effetti è sufficiente esaminare le partiture degli anni Quindici-Venti di Obu-
chov e quelle degli anni Quaranta di Messiaen per rintracciare molti casi eloquen-
ti di affinità, se non addirittura di prestiti. La tematica con ogni probabilità può
essere foriera di interessanti scoperte ma, in questa sede, mi limiterò a portare un
esempio significativo, mettendo a confronto le prime due battute di Détresse de
Satan, tratto dalla raccolta di sei miniature per pianoforte Révélation di Obuchov
28
Su questi temi cfr. Barkalaya, Esthétique et technique compositionnelle de Nicolas
Obouhov, cit., pp. 149-156. Si veda anche P. Deane Roberts, Nikolai Obuchov, in L. Sitsky
(ed.) Music of the twentieth-century avant-garde: a biocritical sourcebook, Greenwood
Press, Westport-London 2002, pp. 339-344.
29
Barkalaya, Esthétique et technique compositionnelle de Nicolas Obouhov, cit., p. 152.
30
Aleksandr Skrjabin und die Skrjabinisten, «Musik-Konzepte», 32-33, München,
1983; Aleksandr Skrjabin und die Skrjabinisten II, «Musik-Konzepte», 37-38, München,
1984; Simon, Composer sous Vichy, cit., p. 261; Barkalaya, Esthétique et technique composi-
tionnelle de Nicolas Obouhov, cit., pp. 149-156. Cfr. anche L. Sitsky, Music of the Repressed
Russian Avant-Garde: 1900-1929, Greenwood Press, Westport-London 1994, in partico-
lare il capitolo 21, Nikolai Obuchov: Mystic Beyond Scriabin, pp. 254-263; Ch. Dingle,
R. Fallon (eds.), Messiaen Perspectives 1: Sources and Influences, Ashgate Publishing
Company, Burlington 2013, pp. 317-318.
31
P. Hill, N. Simeone, Messiaen, Yale University Press, New Haven-London 2005.
156 Luisa Curinga
(1915, Es. 1) e le b. 22-24 di Regard de la Vierge, il quarto brano dei Vingt Regards
sur l’Enfant-Jésus di Messiaen (1944, Es. 2), sempre per pianoforte.
Esempio 2 – O. Messiaen, Regard de la Vierge, bb. 22-24, da Vingt regards sur l’Enfant Jésus
per pianoforte (1944).
Sia nella linea superiore dell’esempio tratto da Obuchov che nelle bb. 23-24 di
quello tratto da Messiaen gli accordi che evocano il suono delle campane – comu-
nemente considerati una sorta di cifra stilistica del compositore francese – sono
costruiti in maniera del tutto analoga, utilizzando la sovrapposizione una quarta
aumentata (intervallo tipico delle campane) e una quarta giusta, in modo che tra
le due note estreme dell’accordo intercorra un intervallo di nona minore. Obu-
chov, inoltre, utilizza gli stessi intervalli, ma invertendone l’ordine, negli accordi
del secondo pentagramma, in cui a una quarta giusta si sovrappone una quarta
aumentata.
L’atmosfera sonora dei due brani è quindi del tutto simile, così come l’atmo-
sfera ideale che attinge in entrambi gli autori a un misticismo spirituale e religio-
so e condivide sovente le stesse simbologie; tra questa quella della croce, di cui ho
parlato poco sopra, è riscontrabile anche nei Vingt regards sur l’Enfant Jésus. Al-
tre somiglianze possono essere individuate tra queste due raccolte di Obuchov e
di Messiaen; allo stesso modo, altre raccolte pianistiche del compositore russo, in
Da Skrjabin all’École de Paris 157
Comme dit Ravel, 1914 est une date dans l’histoire de la musique, car N. Obouhow a
ouvert un chemin nouveau et cette date vous devez la rétablir comme étant due à N.
Obouhow et non à des plagiaires qui ont voulu le réduire au silence. Un jour que nous
entendions ensemble de la musique de Messiaen (réunion chez une dame où il avait
pas mal de monde) j’ai voulu me révolter et Nicolas m’a dit [:] il faut plutôt le plaindre
car si on [ne] suit pas son propre chemin on devient infailliblement stérile32.
È evidente quindi che un filo sotterraneo collega Skrjabin non solo con i suoi
prosecutori insediatisi in Europa e negli Stati Uniti, ma anche con diversi musicisti
francesi che, in maniera diretta o mediata, gli sono debitori. È un debito che trova
le sue radici nella concezione mistica di Skrjabin, ma che ha ripercussioni sulla
scrittura di questi compositori, nei quali è forte l’esigenza di tradurre in linguag-
gio musicale delle idee di stampo filosofico, esoterico, sacrale e spiritualista. Per
questo motivo il tema meriterebbe ulteriori studi, che potrebbero contribuire a
comprendere in maniera più esaustiva un periodo della storia musicale francese
particolarmente felice, ricco di richiami e suggestioni che si compongono come
in un mosaico a costruire un quadro di estremo interesse.
32
I. Vyšnegradskij, lettera del 28 ottobre 1954 (F-Pn, BnF, Département de la
Musique, Rés Vma. 180), citata in Simon, Composer sous Vichy, cit., p. 261.
Da Skrjabin al jazz
Renato Strukelj
In 1929, the Russian composer, theorist and teacher Joseph Schillinger (1895-1943)
emigrated to New York, where he became a professor at the New School in Manhat-
tan. While there he introduced the Schillinger System of Musical Composition, a
method based on mathematical processes. A great admirer of Scriabin’s, he taught
such celebrated musicians as George Gershwin, Glenn Miller, and Benny Good-
man, as well as many Hollywood and Broadway composers. In this essay, I high-
light Schillinger’s pivotal role: thanks to his contribution, Scriabin’s music deeply
influenced generations of American composers. Jazz compositions of the 30s and
40s show interesting similarities with Scriabin’s harmonic language, especially in
their use of complex altered dominant chords. Scriabin’s innovative style continued
to have an impact on later musicians, such as Bill Evans, whom Glenn Gould de-
fined as “the Scriabin of Jazz.” Tributes to the Russian master have also been paid
by Chick Corea, Fred Hersch, Gérard Badini, and other important jazz musicians.
В 1929 году русский композитор, теоретик и педагог Иосиф Шиллингер
(1895-1943) эмигрировал в Нью-Йорк, где он стал профессором в New School
на Манхеттене и ввел в обиход свою систему музыкальной композиции
(Система Шиллингера), основанную на математических процессах.
Большой поклонник Скрябина, он стал учителем таких прославленных
музыкантов как Джордж Гершвин, Гленн Миллер и Бенни Гудмен, а также
многих композиторов, связанных с Бродвеем и Голливудом. В моем эссе я
подчеркиваю важность вклада Шиллингера в широкое распространение
влияния музыки Скрябина, влияния, которое простирается на поколения
американских композиторов. Джазовые композиции 1930-х и 1940-х годов
содержат интересные аналогии с гармоническим языком Скрябина, в
особенности в том, что касается использования комплексных измененных
доминирующих аккордов. Новаторский стиль Скрябина продолжал
оказывать влияние и на более поздних композиторов, таких как Билл Эванс,
которого Гленн Гульд назвал «Скрябиным джаза». Дань русскому маэстро
отдали также Чик Кориа, Фред Херш, Жерар Бадини и другие выдающиеся
джазовые музыканты.
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
ISBN 978-88-6453-807-5 (online), CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press
160 Renato Strukelj
alla fioritura del genio di Skrjabin e alla diffusione della sua musica. Attento osser-
vatore della scena musicale internazionale, Schillinger fondò nella neonata URSS la
prima orchestra jazz sovietica. Nel 1929 decise tuttavia di emigrare negli Stati Uniti
(Fig. 1), dove insegnò matematica e teoria musicale alla Columbia University di New
York, divenendo presto un vero e proprio caposcuola. Nel 1940 pubblicò un trattato
intitolato Kaleidophone, nel quale riportò un enorme numero di modelli musicali
creati attraverso procedimenti matematici, che permettevano combinazioni melo-
diche generate dallo sviluppo di un soggetto centrale, alla stregua delle multiple
riflessioni speculari generate da un caleidoscopio1. In altri due monumentali saggi
teorici, The Schillinger System of Musical Composition2 e The Mathematical Basis of
the Arts3, Schillinger applicò complessi calcoli matematici a sequenze e combina-
zioni di intervalli, dando origine a un gran numero di soluzioni armoniche e me-
lodiche inedite, slegate da regole restrittive; tali soluzioni amplificavano di fatto lo
spettro delle possibilità compositive. Alcuni concetti, quali, ad esempio, la permu-
tazione (processo di elaborazione di cellule motiviche) e l’espansione (elaborazio-
ne matematica del materiale melodico e armonico), influenzarono profondamente
i suoi allievi, generando nuova linfa compositiva. Queste strategie di elaborazione
furono applicate anche in ambito ritmico, generando innumerevoli e imprevedibi-
li combinazioni. Tutto questo fermento teorico attirò l’attenzione di compositori e
musicisti alla ricerca di nuove strade da percorrere, come George Gershwin, Benny
Goodman, Glenn Miller e altri importanti direttori di big bands, oltre a vari com-
positori di musical per Broadway. Schillinger venerava Skrjabin come un idolo ed
era affascinato dalla costruzione architettonica delle sue composizioni spesso basa-
te su precisi calcoli matematici. Le peculiarità delle sue armonie inaudite e del suo
metodo compositivo rappresentarono una grande fonte di ispirazione per questo
pioniere della didattica compositiva. Perciò, è plausibile ritenere che buona parte
delle teorie di Schillinger abbiano preso spunto proprio dalle intuizioni e dal genio
innovativo di Skrjabin; similmente, è ancor più plausibile che Schillinger abbia rap-
presentato il canale di trasmissione delle tecniche compositive skrjabiniane verso il
jazz. Gershwin, in particolare, frequentò Schillinger per quattro anni, proprio nel
periodo in cui stava scrivendo l’opera Porgy and Bess, sentendosi però spesso de-
presso e a corto di fantasia creativa. Alcune soluzioni compositive e armoniche di
quest’opera potrebbero quindi essere derivate dallo studio e dall’applicazione delle
poliedriche teorie di Schillinger e, indirettamente, dal pensiero musicale di Skrja-
bin. Proviamo dunque a fare alcune comparazioni.
Figura 1 – New York, 1929: Joseph Schillinger al pianoforte insieme a Lev Termen (alias
Léon Téremin, 1896-1993), inventore dello strumento omonimo, e al direttore d’orchestra
Nikolaj Sokolov (1886-1965).
4
V.P. Dernova, Garmoniia Skrjabina [Armonia skrjabiniana], Muzyka, Leningrado
1968 (trad. ingl. R.J. Guenther, Varvara Dernova’s Garmoniia Skrjabina: a translation and
critical commentary, Ph.D. Dissertation, Catholic University of America, Washington
1979).
162 Renato Strukelj
ty-eights/dick-hyman-thinking-about-bix/> (11/18).
7
Durante il soggiorno americano Skrjabin compose i Quattro pezzi op. 56 e i Due
pezzi op. 57, e iniziò a lavorare alla Quinta Sonata op. 53.
Da Skrjabin al jazz 163
8
Cfr. Bill Evans: i ricordi del giornalista e amico Gene Lees, <https://www.musicajazz.
it/bill-evans-ricordi-del-giornalista-amico-gene-lees/> (11/18).
9
Cfr. G. Russell, The Lydian Chromatic Concept of Tonal Organization, Concept
Publishing Co., New York 1953.
164 Renato Strukelj
10
In questo disco la mia esecuzione pianistica è affiancata da Saverio Tasca al vibra-
fono e da Giovanni Maier al contrabbasso.
Skrjabin a Bogliasco, il ‘paese dell’estasi’
Francesca Sivori*
Bogliasco is a picturesque little village near Genoa, where Scriabin lived in 1905-
1906 with his new partner and “inspiring muse,” Tatyana de Schloezer. At about
the same time, Kandinsky was living in Rapallo, 12 miles south of Bogliasco, with
his partner Gabrielle Münter. The Russian nobility and intelligentsia had for a long
time sought out the Ligurian Riviera for its luxuriant beauty and the curative and
restorative qualities of the warm Mediterranean climate. At the time of Tsar Nicho-
las II, it also became the shelter of many political refugees, including Georgi Ple-
khanov (1856-1918), considered the “father of Russian Marxism.” While Scriabin
unfortunately never met Kandinsky, Plekhanov and he soon became friends. The
great revolutionary was present at the first private rendition of the Poem of Ecstasy,
with its author at the piano. This orchestral masterpiece, which can be seen as an
apotheosis of light, was mostly written in Bogliasco. In 1991, a group of musicians,
scholars and Scriabin’s fans created an Italian association in the name of the Rus-
sian composer. Concerts, masterclasses and other events have been taking place in
Genoa and Bogliasco since then.
Больяско – небольшая живописная деревня около Генуи, где Скрябин жил в
1905-1906 годах со своей новой подругой и «вдохновляющей музой» Татья-
ной Шлёцер. Примерно в то же самое время, Кандинский жил в Рапалло, в 18
километрах милях к югу от Больяско, со своей подругой Габриэль Мюнтер.
Русская знать и интеллигенция на протяжении длительного времени любили
Лигурийскую ривьеру за ее роскошную красоту и за целебные и восстанав-
ливающие силы свойства ее мягкого средиземноморского климата. Во время
правления Николая II эти места стали также прибежищем для многочислен-
ных политических эмигрантов, включая Георгия Плеханова (1856-1918), об-
щепризнанного «отца русского марксизма». В то время как Скрябин ни разу
не встретился с Кандинским, он не только познакомился, но и подружился
с Плехановым. Великий революционер присутствовал на первом домашнем
исполнении Поэмы экстаза, где за фортепиано был сам автор. Этот шедевр,
который можно рассматривать как своего рода апофеоз света был написан,
по большей части в Больяско. В 1991 году группа музыкантов, ученых и цени-
телей творчества Скрябина создали итальянскую Ассоциацию, носящую имя
композитора. С тех пор в Генуе и Больяско были проведены многочисленные
концерты, мастер-классы и другие мероприятия.
Bogliasco è una ridente cittadina alle porte di Genova, primo paese della Riviera
di Levante. All’inizio del Novecento, era ancora un piccolo villaggio di contadini e
pescatori, attraversato dal grande ponte della ferrovia (Fig. 1). In quest’angolo pitto-
resco e tranquillo Skrjabin si trasferì a giugno del 1905 insieme alla nuova compa-
Marco Rapetti, Luisa Curinga (a cura di), Skrjabin e il Suono-Luce, ISBN 978-88-6453-806-8 (print)
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166 Francesca Sivori
Tat’jana descrive il borgo della riviera ligure come «un vero paradiso sulla
terra con cipressi, aranci e cactus»2. A causa della precarie condizioni econo-
miche della coppia fu possibile prendere in affitto soltanto un piccolo e angusto
appartamento al secondo piano di una vecchio stabile posto di fronte al binario
della ferrovia. Le finestre si trovavano all’altezza dello sbuffo delle locomotive a
vapore, e ogni volta che passava un treno l’appartamento veniva invaso da fumo
1
Dei tre figli avuti da Tat’jana, solo Marina scamperà a un destino tragico: il picco-
lo Julian, talento musicale prodigioso, morirà annegato nel fiume Dnepr’ nel 1919, all’e-
tà di 11 anni. Ariadna, dopo una gioventù irrequieta e movimentata, si legherà alla re-
sistenza francese durante l’occupazione nazista e, convertitasi all’ebraismo, si arroulerà
nell’Armée Juive. Verrà uccisa a Toulouse nel 1944.
2
Tat’jana de Schloezer, citata in M. Girardi, L’ultimo istante è assoluta differenzia-
zione e assoluta unità – L’estasi, in C. de Incontrera (a cura di), Viaggio in Italia, Teatro
Comunale di Monfalcone, Monfalcone 1989, p. 385.
Skrjabin a Bogliasco, il ‘paese dell’estasi’ 167
Figura 3 – I tre figli di Skrjabin avuti da Tat’jana de Schloezer: Julian, Marina e Ariadna.
168 Francesca Sivori
Figura 4 – La casa di via Avanzini in due immagini di inizio Novecento (lato strada e lato
ferrovia).
3
Cfr. J. Engel’, Muzykal’nyi sovremennik, «Russkaja muzykal’naja gazeta», dicembre
1915-gennaio 1916, p. 62.
Skrjabin a Bogliasco, il ‘paese dell’estasi’ 169
4
L. Verdi, Skrjabin, L’Epos, Palermo 2010, p. 48.
5
Va ricordato il caso clamoroso del matematico e astronomo Vsevolod Lebedincev,
alias dottor Calvino (1881-1908). Questo giovane rivoluzionario poliglotta entrò in con-
tatto con l’agronomo e botanico sanremese Mario Calvino nel 1906-1907, durante un
soggiorno in Liguria. Calvino, che era socialista, massone e aveva simpatie anarchiche,
prestò il proprio passaporto a Lebedincev affinché potesse rientrare in Russia senza es-
sere arrestato. In seguito a un fallito attentato allo zar Nicola II, Lebedincev venne pro-
cessato e impiccato in Finlandia come sedicente rivoluzionario italiano. Il ‘caso-Calvino’
comparve su tutti i giornali e rischiò di far degenerare i rapporti fra Italia e Russia. Mario
Calvino decise così di espatriare e si recò in Messico e poi a Cuba, dove nel 1923 nacque
il suo primo figlio, il grande scrittore Italo. Cfr. C.G. De Michelis, E Calvino sia impicca-
to, «La Repubblica», 25 marzo 1989, p. 28; S. Adami, L’ombra del padre. Il caso Calvino,
«California Italian Studies», I (2), 2010; A. Areddu, Il caso Calvino, Leucotea, Sanremo
2014. [N.d.CC.]
6
Cfr. L. Verdi, Russi in Liguria, «Slavia», III, 1995, pp. 187-208. Si veda inoltre A.
Dokukina Böbel, C.M. Fiannacca (a cura di), Passi, passaggi, passioni: Scrittori, poeti,
artisti russi in Liguria nel corso di un secolo (1825-1925), De Ferrari, Genova 2001; A.
Tamborra, Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917. Riviera ligure, Capri, Messina, Rubbettino,
Soveria Mannelli 20022; A. D’Amelia, D. Ritti (a cura di), Russkoe prisutstvie v Italii 1900-
1940, Spravočnik (La presenza russa in Italia, 1900-1940, Prontuario), Rosspen, Moskva
2019, in preparazione. Si suggerisce anche la consultazione del sito <http://www.russini-
talia.it>.
170 Francesca Sivori
Il soggiorno a Nervi della grande poetessa e scrittrice e della sua famiglia, nel
7
1902-1903, è mirabilmente descritto dalla sorella Anastasija nel suo libro di memorie:
cfr. A. Cvetaeva, Nervi, amato paese (a cura di Avgusta Dokukina Böbel e Caterina M.
Fiannacca), Sagep, Genova 1998. Marina Cvetaeva diventerà intima amica di Tat’jana de
Schloezer nel 1920 e le resterà al fianco fino alla morte. A Tat’jana è dedicata la poesia
Bessonnica! Drug moj! (‘Insonnia! Amica mia!’). [N.d.CC.]
8
Abram Solomonovič Zalmanov (1875-1964), inventore della ‘capillaroterapia’, fu una
delle principali figure di riferimento per i numerosi russi in Liguria nel decennio prima della
Rivoluzione. La sua clinica di Bogliasco rimase attiva dal 1906 al 1915, così come l’ambulato-
rio medico e la Libreria Russa che lo scienziato aveva aperto a Nervi, nell’odierna via Marco
Sala. Laureatosi a Heidelberg nel 1901, Zalmanov venne nominato membro straordinario
della Reale Accademia di medicina di Genova nel 1907 e, dopo aver ottenuto un’altra laurea
in medicina dall’Università di Pavia, si iscrisse nel 1912 all’ordine dei medici che esercitava-
no a Genova. Arruolatosi volontario allo scoppio della Prima guerra mondiale, diresse ospe-
dali militari a Mosca e nel 1918 venne chiamato al Cremlino per diventare medico personale
di Lenin e della sua famiglia. Nonostante l’amicizia con Lenin e le varie nomine direziona-
li offertegli, nel 1921 Zalmanov abbandonò per sempre l’Unione Sovietica, trasferendosi in
Germania e tornando spesso a Nervi. Nel 1924 riaprì la sua prestigiosa clinica bogliaschi-
na ma dopo poco venne espulso dal Regno in quanto considerato un pericoloso bolscevi-
co rivoluzionario. I ripetuti tentativi di ristabilirsi in Italia, dove era rimasta la sua famiglia,
furono sempre rigettati dal regime fascista. Trasferitosi a Parigi durante la Seconda guerra
mondiale, venne arrestato dalle SS ma si rifiutò di dirigere l’ospedale dove venivano curati i
militari tedeschi. Nonostante fosse ebreo e per di più cittadino sovietico, Zalmanov fu subito
rilasciato per la grande fama di cui godeva in Germania e in tutta Europa. Morì in Francia,
a quasi 90 anni, mentre stava scrivendo il suo terzo libro. [N.d.CC.]
Skrjabin a Bogliasco, il ‘paese dell’estasi’ 171
l’extase e che dichiarò di voler apporre come epigrafe all’opera l’incipit dell’Inter-
nazionale («In piedi, dannati della terra!») in segno di ammirazione verso Plecha-
nov e come contributo simbolico alla lotta rivoluzionaria.
Durante il periodo trascorso da Skrjabin a Bogliasco insieme a Tat’jana si dete-
riorò definitivamente il rapporto con la moglie Vera. Il compositore viaggiò spesso
tra Bogliasco e Vesenaz, in Svizzera, dove aveva lasciato la famiglia e dove la pri-
mogenita prediletta, Rimma, sarebbe morta improvvisamente all’età sette anni, nel
luglio del 1905, poche settimane dopo il trasferimento di Aleksandr a Bogliasco.
Dopo la separazione, Vera tornerà con i figli a Mosca per riprendere la sua attivi-
tà come docente al Conservatorio e per dedicarsi alla diffusione della musica del
marito, cui non concederà mai il divorzio. Sia Vera sia Tat’jana sopravviveranno
pochi anni alla prematura scomparsa di Aleksandr, avvenuta il 14 aprile 19159.
Figura 5 – Bogliasco in un’immagine di inizio Novecento del fotografo G.B. Sciutto. [Per
cortesia di Pier Luigi Gardella, giornalista e storico del borgo ligure]
9
Nel capitolo intitolato Malaise (‘Malessere’) della sua importante monografia,
Faubion Bowers affronta lo spinoso problema dell’omosessualità di Skrjabin e di altri fa-
mosi compositori russi dell’Ottocento. Ai tempi dell’impero zarista l’omosessualità veniva
punita con la prigione e l’esilio in Siberia (depenalizzata nel 1917, tornerà ad essere consi-
derata un crimine nel 1933 all’epoca di Stalin). Bowers evidenzia come i conflitti interiori
generati da una sessualità egodistonica siano ricollegabili a fenomeni quali ipocondria e
depressione (Glinka), dipsomania e alcolismo (Musorgskij), pulsioni suicide (Čajkovskij),
fondamentalismo religioso (Balakirev), misantropico isolamento (Taneev) e psicopatolo-
gie di vario genere. È quasi sicuro che Skrjabin fosse affetto da una severa sindrome bi-
polare. Cfr. F. Bowers, Scriabin, Dover Publications, New York 1962, pp. 63-74. [N.d.CC.]
172 Francesca Sivori
Nel 1990, grazie alla sollecitazione del critico musicale Claudio Tempo e all’a-
desione della sezione culturale del Consolato Russo (allora URSS) di Genova, il
Comune e la Pro loco di Bogliasco decisero di celebrare il grande compositore
russo attraverso una serie di incontri musicali che evidenziassero le moltepli-
ci valenze culturali — musicali, filosofiche e scientifiche — della sua opera. In
quest’occasione, venne dedicato a Skrjabin il largo di fronte alla stazione ferro-
viaria, a pochi metri dal luogo dove si trovava la casa nella quale abitò. Queste
celebrazioni portarono alla costituzione di un centro studi e attività permanenti
‘nel nome di Skrjabin’: oltre al promotore, Claudio Tempo, aderirono all’inizia-
tiva i musicologi Edilio Frassoni, Piero Santi e Luigi Verdi (quest’ultimo consi-
derato uno dei maggiori esperti di Skrjabin a livello internazionale); il pianista
Massimiliano Damerini (tra i più significativi interpreti italiani dell’opera piani-
stica skrjabiniana), la docente di pianoforte Lidia Arcuri, lo scienziato Ruggero
Pierantoni (ricercatore del CNR, impegnato da anni in ricerche sulle sineste-
sie percettive), Daniela Grondona e Francesca Sivori. Nasceva così, il 14 marzo
1991, l’Associazione Culturale Bogliasco per Skrjabin. L’eco suscitata dagli in-
contri musicali di Bogliasco ha confermato subito la vivacità di interessi skrja-
biniani in Italia e la necessità di un centro di ricerca dedicato a uno dei massimi
compositori del XX secolo. La seconda edizione degli incontri musicali Boglia-
sco per Skrjabin (14-16 novembre 1991) ha visto la straordinaria partecipazione
dell’unica figlia del compositore ancora vivente, Marina Scriabine (1911-1998),
e della nipote Miriam Degan, figlia di Ariadna. In quell’occasione, sono state
eseguite per la prima volta in Italia le due serie di Preludi composte dal piccolo
Julian Skrjabin e ritrovate da Marco Rapetti a New York. Il consolidarsi della
fama dell’Associazione Bogliasco per Skrjabin ha portato quindi all’invito da
parte del Festival Skrjabiniano di Mosca, nel gennaio 1992, e a collegamenti con
il Museo Skrjabin di Mosca, l’Unione operatori musicali della Russia, l’Associa-
zione Skrjabin di Amsterdam e la Skrjabin Society di New York.
Nel 1996 l’Associazione ha aggiunto al nome originario quello di Centro Ita-
liano Studi Skrjabiniani.
Skrjabin a Bogliasco, il ‘paese dell’estasi’ 173
1991
Seconda edizione degli Incontri musicali Bogliasco per Skrjabin
Concerti di Andrea Bacchetti, Robert Cornam, Aleksej Nasedkin, Andrea Pestalozza
Conferenze di Maria Grazia Tajè, Maria Girardi
con la partecipazione straordinaria di Marina Scriabine e Miriam Degan
1992
Terza edizione degli Incontri musicali Bogliasco per Skrjabin
Concerti di Hakon Austbø, Dimitrj Klimov, Ljuba Pastorino Moiz,
Dorella Sarlo, Marina Artoli, Roberto Logli, Luisa Och
Conferenze di Vladimir Blok, Piero Santi, Luigi Verdi, Edilio Frassoni, Giampaolo
Gandolfo
Spettacolo di danza ‘Skrjabiniana’ con la Compagnia L. Vronska, coreografie di François
Guillbard
1993
Quarta edizione degli Incontri musicali Bogliasco per Skrjabin
Concerto Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova
Massimiliano Damerini, pianista; Antoni Wit, direttore
Concerti di Sabina Concari, Massimo De Stefano, Paolo W. Cremonte, Laura Och
Conferenze di Manfred Kelkel, Mauro Balma
1994
Quinta edizione degli Incontri musicali Bogliasco per Skrjabin
Concerti di Boris Bechterev, Luisa Och, Timothy Young, Quartetto Ethos
Conferenze di Mauro Balma, Rubens Tedeschi
(avvio della collaborazione con Amsterdam per realizzare il Prometeo a Genova
con effetti luce)
1995
Sesta edizione degli Incontri musicali Bogliasco per Skrjabin
Concerti di Massimiliano Damerini, Pietro Rigacci
Conferenze di Piero Santi, Edilio Frassoni, Luigi Verdi
(riprese a Bogliasco per il film documentario su Skrjabin diretto da Oliver Becker)
1996
Settima edizione degli Incontri musicali Bogliasco per Skrjabin
Corso di interpretazione skrjabiniana tenuto da Massimiliano Damerini
Conferenze di Luigi Verdi, Piero Santi, Claudio Tempo, Mauro Balma, Giampaolo
Gandolfo, Tonino Tornitore
174 Francesca Sivori
1997
Ottava edizione degli Incontri musicali Bogliasco per Skrjabin
Concerti di Marco Rapetti, Alessandro Dolci
Conferenze di Marco Rapetti, Luigi Verdi
(presentazione del film documentario Aleksandr Skrjabin di Oliver Becker al Palazzo
Ducale di Genova)
1998
Nona edizione degli Incontri musicali Bogliasco per Skrjabin
Concerti di Stefano Romani, Timothy Young
Conferenza di Claudio Tempo
(sul «Journal of the Skrjabin Society» esce un articolo dedicato al Centro Italiano Studi
Skrjabiniani)
1999
Esecuzione del Prometeo con effetti luce al Teatro Carlo Felice di Genova
Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova
Massimiliano Damerini, pianista; Jansung Kachidze, direttore
2000
Prima Stagione musicale Note d’Arte ai Musei di Nervi
Concerti di Biondi-Brunialti, Mario e Marcello Trabucco, Gian Enrico Cortese, Margherita
Colangelo, Ernesto Oppicelli, Andrea Visconti, I Polifonici di Genova, Fabio Macelloni,
Valentino Ermacora, Gabriella Ravazzi, Massimiliano Damerini, Collegium Pro Musica,
Irene Cerboncini, Massimo De Stefano
Lettura dei quadri: Maria Flora Giubilei
2001-2002
Seconda Stagione musicale Note d’Arte ai Musei di Nervi
(Mostra su Kandinskij a Palazzo Ducale)
Concerti di Francesca Salvemini, Silvana Libardo, Alessandra Magrini, Paolo Ferrigato,
Irene Schiavetta, Annarita Cecchini, Simphonia Ensemble, Margherita Colangelo, Ernesto
Oppicelli, Andrea Visconti, Cappella Artemisia, Riccardo Ristori, Mauro Castellano, Sara
Sternieri, Faye Nepon, Marco Grossi, Massimo Elice
Lettura dei quadri: Maria Flora Giubilei
2002
Musica in Villa ai Musei di Nervi
Concerti di Nello Alessi, Ensemble Polifonico del Conservatorio Paganini, Marco Bettuzzi,
Adriana Marino, Mattia Sanguineti, Nuova Scuola Armonia
Lettura dei quadri: Maria Flora Giubilei
2002-2003
Terza Stagione musicale Note d’Arte ai Musei di Nervi
Concerti di Il Concento Ecclesiastico, Luca Ferrari, Giorgio De Martino, Susanna Kwon,
Massimo Anfossi, Giulio Glavina, Edoardo Torbianelli, Gli Ottoni del Paganini, Margherita
Colangelo, Ernesto Oppicelli, Andrea Visconti, Silvia Rumi, Andrea Coen, Anna Maria
Skrjabin a Bogliasco, il ‘paese dell’estasi’ 175
2003-2004
Quarta edizione Stagione musicale Note d’Arte ai Musei di Nervi
Concerti di Ensemble Il Falcone, Gruppo Titango, Irene Cerboncini, Massimo De Stefano,
Coro Polifonico Voci Bianche, Fabio Macelloni, Silvia Piccollo, Marinella Di Fazio,
Maurizio Less, Marco Muzzati, Arnaldo Musenich, Giuseppe Bignami, Massimo Coco,
Elisabetta Valerio, Anna Cecchini, Margherita Colangelo, Ernesto Oppicelli, Andrea
Visconti, Franco Foderà, Barbara Petrucci, Massimo Gentili-Tedeschi, Matteo Ronchini,
Pinuccia Schicchi, Ekaterina Metlova, Federico Forgione
Lettura dei quadri: Maria Flora Giubilei
2004
Prima edizione degli Incontri Internazionali NerviMusei in Musica
Concerti di Bob Van Asperen, Ensemble Il Falcone, Monica Huggett, Collegium Pro Musica
Seminari di Luigi Verdi, Antonio Camurri, Giovanni Guanti, Gianluigi Mattietti, Maria
Flora Giubilei
Masterclass di Fabio Vacchi, Bob Van Asperen, Monica Huggett, Vittorio Ghielmi, Patrizia
Vaccari, Stefano Bagliano, Lorenzo Cavasanti, Marcello Scandelli, Ugo Nastrucci, Barbara
Petrucci, Gianluca Capuano, Carlo Lo Presti
2005
Quinta edizione Stagione musicale Note d’Arte ai Musei di Nervi
Concerti di Matteo Brasciolu, Chiara Alberti, Collegium Pro Musica, Valentina Messa, Jay
Gottlieb
Seconda edizione degli Incontri Internazionali NerviMusei in Musica
Concerti di Massimiliano Damerini, Riccardo Agosti, Giulio Plotino, Bob Van Asperen,
Monica Huggett
Seminari di Luigi Verdi, Ruggero Pierantoni, Gianluigi Mattietti, Claudio Tempo, Giovanni
Guanti, Antonio Camurri, Maria Flora Giubilei
Masterclass di Fabio Vacchi, Gemma Bertagnolli, Patrizia Vaccari, Monica Huggett, Stefano
Bagliano, Bob Van Asperen, Barbara Petrucci, Cristiano Contadin, Paul Beier, Renzo Bez,
Fabrizio Cipriani, Gianluca Capuano, Carlo Lo Presti
I Concerti dei Fieschi: Rassegna Internazionale a San Salvatore (Cogorno)
Concerti di Irene Cerboncini, Massimo De Stefano, Damerini Ensemble, Marco Pasini,
Annarita Cecchini, Walter Barbaria, Ernesto Oppicelli, Andrea Visconti, Naimana
Casanova, Dario Bonnucelli
2006
Terza edizione degli Incontri Internazionali NerviMusei in Musica
Concerti di Hakon Austbø, Mario Trabucco, Matteo Ronchini
Seminari di Ruggero Pierantoni, Lidia Baldecchi Arcuri, Luigi Verdi, Alessandra Gagliano
Candela
176 Francesca Sivori
2007
Quarta edizione degli Incontri Internazionali NerviMusei in Musica
Concerti di Hakon Austbø, Massimiliano Damerini, Massimo De Stefano, Markus
Stockhausen, Tara Bouman, Bob Van Asperen, Stefano Bagliano, Gianluca Capuano,
Patrizia Vaccari
Seminari di Gianluigi Mattietti, Massimo Di Stefano
Masterclass di Fabio Vacchi, Hakon Austbø, Markus Stockhausen, Tara Bouman, Biondi-
Brunialti, Bob Van Asperen, Stefano Bagliano, Gianluca Capuano, Patrizia Vaccari
Seconda edizione della Rassegna MusicaOltre a Casa Paganini
Tecnologia e informatica per la musica in collaborazione con InfoMus Lab dell’Università
di Genova e la partecipazione dell’IRCAM di Parigi di Roberto Doati e Gianandrea Gazzola
Spettacolo di danza curato da Giovanni Di Cicco
2008
Quinta edizione degli Incontri Internazionali NerviMusei in Musica
Seminari di Irene Cerboncini, Jean-Jacques Nattiez
Masterclass di Fabio Vacchi, Hakon Austbø, Paola Biondi, Tara Bouman, Debora Brunialti,
Markus Stockhausen, Pavel Vernikov
Concerti degli allievi dei corsi
2009
Sesta edizione degli Incontri Internazionali NerviMusei in Musica
Seminario di Jean-Jacques Nattiez
Masterclass di Fabio Vacchi, Hakon Austbø, Pavel Vernikov, Markus Stockhausen, Tara
Bouman con la partecipazione straordinaria di Amos Oz
Concerti degli allievi dei corsi
2010
Settima edizione degli Incontri Internazionali NerviMusei in Musica
Seminario di Michel Imberty
Masterclass di Fabio Vacchi, Hakon Austbø, Pavel Vernikov, Quartetto di Cremona
Concerti degli allievi dei corsi
2014
Prima edizione di Master4Strings, Corsi di perfezionamento musicale per stru-
menti ad arco
Seminario di Carlo Costalbano
Docenti Quartetto di Cremona, Giulio Plotino
Concerti degli allievi dei corsi
Skrjabin a Bogliasco, il ‘paese dell’estasi’ 177
2015
Seconda edizione di Master4Strings, Corsi di perfezionamento musicale per
strumenti ad arco
Seminari di Pietro Gargini, Carlo Costalbano
Docenti Quartetto di Cremona
Concerti degli allievi dei corsi
2016
Terza edizione di Master4Strings, Corsi di perfezionamento musicale per stru-
menti ad arco
Docenti Quartetto di Cremona
Concerti degli allievi dei corsi
2017
Sesta edizione Stagione musicale Note d’Arte ai Musei di Nervi
Concerti di Carola Gennaro, Lucia Zanoni, Alessandra Farro, Margherita Succio, Ginevra
Pruneti, Paolo Andreoli, Cesare Pezzi, Orchestra da Camera Philos
Lettura dei quadri: Maria Flora Giubilei
Великий обречённый
Константин Дмитриевич Бальмонт
(1867-1942)
(1921)
Il grande predestinato
Konstantin Dmitrievič Bal’mont
(1867-1942)
Sivori F. XVI, 93, 165, 170, 172 Succio M. 177
Skrjabin A. XVI, 166-168 , 172 Sud’binin S. 120
Skrjabin E. 166 Surikov V. 121
Skrjabin J. 17-18, 166-167, 172 Susskind W. 56
Skrjabin L. 166 Swedenborg E. 108
Skrjabin M. 166 Szidon R. 18, 35, 38-39, 46-47, 130
Skrjabin R. 166, 171 Szymanowski K. 68
Slonimsky N. 129-130
Smijers A. 129 Tajè M.G. 173
Snell B. 78 Tamborra A. 169
Šnitke A. X, 11 Taneev S. 12, 15-16, 53, 60, 107, 171
Sobol’ A. 169 Tansman A. 145-146
Soffici A. 169 Taruskin R. 42-43
Sofronickij V. 56, 58 Tasca S. 164
Sokolov N. 161 Tedeschi R. 173, 175
Solomon (Solomon Cutner) 56, 58 Tempo C. 30, 78-79, 172-175
Solomos M. 100, 109, 114 Termen (Theremin) L. 151-152, 161
Somer H. 130 Tessarolo M. 141
Sorg L. 76 Thickman J. XVII
Šostakovič D. 11 Tichomirov B. 173
Soulez A. XVI, XIX, 91, 96-97 Tirykian E.A. 149
Souriau A. 133 Tiščenko B. 11
Souris A. 127, 132, 137, 139 Tolstoj L. 121
Souris E. 137 Tompakova O.M. 76
Souris M. 137 Torbianelli E. 174
Souvtchinsky P. 128 Tornitore T. 173
Spender S. 133 Tournier J. 133
Sperling N. 117, 123-124 Trabucco Marcello 174
Spitzmüller A. 145 Trabucco Mario 174, 175
Stalin X, 121, 171
Stančinskij A. 11 Ugleva N. 117
Steele Olcott H. 145 Ugorskij A. 58
Steiner R. 144 Ustvol’skaja G. 11
Sternieri S. 174
Stockhausen K. 133 Vaccari P. 175-176
Stockhausen M. 176 Vacchi F. 175-176
Stravinskij I. VIII, 68, 101, 133-134, Vāk 85, 86, 88
143-144, 146-148 Valerio E. 175
Strawson P.F. 103 Valéry P. 2
Strinati C. 144 Van Asperen B. 175-176
Strukelj R. XVI, 159 Van Der Goltz K. 176
Struve N. 129 Varèse E. 130, 152
190 Skrjabin e il Suono-Luce