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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA

Facoltà di Lettere e Filosofia


Corso di Laurea Magistrale in Filosofia

IL PAESAGGIO SONORO: PROSPETTIVE TEORICHE


E MUSICALI
Nascita del concetto e peculiarità filosofiche,
proposta per una lettura della musica del Novecento

Relatore:
Prof.ssa Luisa Bonesio
Correlatore:
Dott. Massimo Canepa

Tesi di Laurea di
Martino Mocchi

Anno Accademico 2010 - 2011


Ai miei genitori
per avermi permesso,
con infinita pazienza,
questa splendida opportunità:
studiare.
Indice generale

INTRODUZIONE........................................................................................................3
PRIMO CAPITOLO
PAESAGGIO SONORO: UN CONCETTO TEORICO.............................................9
1. Paesaggio sonoro e paesaggio...........................................................................9
2. I precursori: teoria dell'informazione e oggetto sonoro.................................12
3. La nascita del World Soundscape Project e l'opera di Murray Schafer...........22
4. Barry Truax e la prospettiva comunicazionale................................................41
5. Una parentesi urbanistica................................................................................59
6. L'effetto sonoro................................................................................................67
SECONDO CAPITOLO
PAESAGGIO SONORO E MUSICA........................................................................79
1. Musica e rumore..............................................................................................79
2. Musica descrittiva e musica a programma: la lettura tradizionale della natura...92
3. La svolta futurista..........................................................................................101
4. John Cage......................................................................................................110
5. Lo sviluppo della radio..................................................................................122
6. Musica concreta, musica d'ambiente e soundscape composition..................137
APPENDICE
LA CONSIDERAZIONE DEL RUMORE NELLA LEGISLATURA ITALIANA....157
BIBLIOGRAFIA.....................................................................................................172
SITOGRAFIA..........................................................................................................181

1
INTRODUZIONE

Il senso percettivo dominante, all'interno della cultura occidentale, è certamente


quello della vista: la “visione” del mondo, anche nel linguaggio quotidiano, tende a
coincidere in modo piuttosto banale con quella che rappresenta la percezione
generale della realtà. Non a caso, il nostro stare nel mondo si configura sempre come
un esperire dalla prospettiva di un singolo “punto di vista”. La prima conseguenza
consiste nel progressivo assorbimento della componente multisensoriale, che
caratterizza inevitabilmente ogni atto percettivo, all'interno della modalità di una
“immagine” sempre più svilita e impoverita. E in secondo luogo, nella perdita di
ogni riferimento specifico, terminologico, concettuale e culturale, attraverso cui
approcciare un discorso relativo alle altre sfere sensoriali. In ambito acustico, in
particolare, l'esistenza di una disciplina “ufficiale” dell'ascolto, come è sempre stata
la musica, ha contribuito a determinare l'affermarsi di questa tendenza, maturata alla
luce di un riconoscimento certo e inconfutabile di ciò che rappresenta il bello e il
buono a livello sonoro: ciò di cui vale la pena parlare è il suono musicale, per il
quale esiste un lessico e una regolamentazione precisa. Al di fuori di questo, rumore:
termine che ha assunto sempre più una connotazione negativa, e che ormai tende ad
essere relegato, con la più assoluta noncuranza, all'interno di quello che,
semplicemente, non risulta degno di considerazione.
La ricaduta di questa impostazione non deve essere misurata soltanto sul terreno
in qualche modo neutrale, relativo ad una evidente insufficienza teorica, quanto
piuttosto sul piano pratico e concreto, che ha a che fare con la qualità e con la
ricchezza della nostra esperienza di vita in generale: è proprio all'interno del
contesto reale, nel quale quotidianamente siamo inseriti, che si risconta la
contraddizione più evidente. Rientrando pienamente nella categoria del rumore,
infatti, il suono dell'ambiente ha tradizionalmente ricevuto la considerazione che,
appunto, è riservata all'argomento: nessuna. Il che rappresenta un serio problema
soprattutto in seguito all'affermarsi dell'industrializzazione, e del conseguente

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sviluppo tecnico e meccanico, che introduce nel panorama della vita umana una
serie di sonorità e di elementi acustici, sia quantitativi che qualitativi, assolutamente
inediti in precedenza. Il ritmo e il tradizionale rapporto che, da un punto di vista
acustico, regolava la millenaria interazione tra la voce dell'uomo e quella della
natura, tra l'operare del singolo e quello della comunità, viene assolutamente
soffocato dall'avvento di una massa sonora che si impone al di fuori di ogni
regolamentazione e al di fuori di ogni controllo. Il senso di partecipazione fondato
sull'equilibrio e sulla sostanziale omogeneità, che contraddistingue l'espressione
umana rispetto al volume del suono naturale, viene del tutto schiacciato
dall'emergere di una realtà sonora quantitativamente incommensurabile con essi.
L'individuo viene sempre più caratterizzandosi, quindi, come il semplice recettore
passivo di una situazione a lui esterna, spettatore di una manifestazione
incontrollabile e ingestibile con i propri mezzi. Questa deriva, che comporta una
progressiva disaffezione da parte del soggetto nei confronti del contesto sonoro nel
quale vive, produce evidentemente una sorta di circolo vizioso, in cui il disinteresse
permette, di fatto, lo sviluppo indiscriminato, e questo aumenta, di conseguenza, la
non considerazione.
Per trovare una riflessione che voglia confrontarsi con queste contraddizioni, e
provare ad elaborare delle vie per una possibile soluzione, bisogna attendere gli anni
'70 del Novecento, quando comincia a prendere forma il concetto di “paesaggio
sonoro”. Le prime formulazioni teoriche hanno origine in area canadese, all'interno
di un gruppo di ricercatori e di musicisti che, partendo dalla considerazione
dell'urgenza ecologica che caratterizza il mondo contemporaneo, si pone come
obiettivo quello di favorire una inversione di tendenza, che possa ristabilire un
rapporto armonico tra l'uomo e il proprio ambiente. Il punto di partenza dell'intera
riflessione consiste nel riconoscimento dell'impossibilità di considerare il fenomeno
sonoro attraverso categorie astratte e universali, su cui costruire delle modalità
interpretative valide in assoluto. Seguendo un tale approccio, infatti, si arriverebbe al
massimo alla comprensione dell'espressione meramente fisica e quantitativa del
suono, ossia ad un dato assolutamente privo di informazione per la nostra esistenza,
e non in grado di veicolare alcuna trasmissione di senso. Al contrario, il
riconoscimento di ciò che interpretiamo come una parola o come un canto, come un

3
rumore o come una musica, deve essere compreso a partire da quella mediazione
culturale e simbolica che risulta sempre implicata nel momento in cui prende forma
il contatto effettivo tra l'individuo e il suono. Non si tratta solo della trasmissione del
significato, che, è evidente, non può che avvenire alla luce di un “accordo”
preventivo tra gli individui di una società, ma anche, più in generale, del rumore e
del suono che accompagnano la vita di una comunità, regolandone i tempi, le pause,
i cambiamenti. Il punto di partenza consiste, in definitiva, nel riconoscimento del
fatto che il paesaggio sonoro, anche nelle sue manifestazioni più selvagge e più
originarie, implica necessariamente il riferimento ad un orizzonte culturale,
simbolico e sociale. La proposta concreta attraverso cui si cerca di “invertire la
rotta”, non può quindi che prendere le mosse da un duplice riconoscimento: da una
parte, la necessità di educare e di sensibilizzare la popolazione locale ad una
considerazione del fenomeno acustico in generale; dall'altra, l'esigenza di una messa
a punto di un bagaglio teorico e strumentale che possa permettere di mantenere
aperta la strada ad una riflessione comune, ma che al contempo possa assumere di
volta in volta i caratteri particolari necessari ad un intervento inevitabilmente locale.
Si capisce come la via indicata, e la realizzazione del progetto complessivo,
dipenda da un insieme di fattori ben più ampio di quello apparentemente implicato, e
necessiti il coinvolgimento di un apparato tecnico e disciplinare difficilmente
riconducibile ad un solo individuo, o anche ad un solo centro di ricerca. Questa
intrinseca interdisciplinarità si impone fin da subito come un aspetto imprescindibile
nella valutazione del concetto di paesaggio sonoro: da un lato, caratterizzandolo
come uno strumento assolutamente vitale e ricco di possibilità per favorire una
comprensione profonda del funzionamento della società umana in generale;
dall'altro, per contro, rendendolo estremamente fragile e difficile da inquadrare
all'interno di un unica prospettiva, proprio a causa delle diverse declinazioni che
esso assume all'interno dei contesti disciplinari nei quali di volta in volta è collocato.
Nel momento della sua nascita, il concetto si configura sotto un profilo musicale
ed ecologico, ma ben presto la riflessione si trova implicata in considerazioni che
riguardano la medicina e la fisiologia, la linguistica, la giurisprudenza, la geografia,
la psicologia, l'acustica, la sociologia, la religione, l'antropologia, l'architettura e
l'urbanistica, l'arte visiva, la comunicazione e i mass media. Si comprende, quindi,

4
come, più che in altri campi, sia necessario ancorare la riflessione ad un riferimento
filosofico forte, che possa fondare una visione di insieme sicura, sulla base della
quale verificare l'unità di intenti delle varie ricerche e delle varie prospettive
disciplinari, in modo da rendere possibile una prospettiva comune e un disegno
unitario finalizzato alla realizzazione di un progetto di lunga durata. E' stata proprio
questa prospettiva filosofica a costituire l'oggetto del primo capitolo della nostra
ricerca.
I nuclei teorici che sono stati individuati sono principalmente tre: il primo ha a
che fare con la particolare declinazione della “teoria dell'informazione” proposta da
Abraham Moles verso la fine degli anni '50, il secondo è rappresentato dalla
cosiddetta prospettiva “comunicazionale” inaugurata da Barry Truax in un'opera del
1984, e il terzo consiste nella nozione di “effetto sonoro”, portato al centro
dell'interesse da Augoyard e dalla ricerca sviluppata nell'ambito del centro Cresson.
Naturalmente non si tratta delle sole opere scritte sull'argomento: la scelta è stata
compiuta nell'ottica di privilegiare quelle esperienze che hanno saputo dare vita a
delle vere e proprie scuole di pensiero, riuscendo a legare ad una prospettiva
puramente teorica l'interesse per una ricerca pratica1.
Al centro di questo orizzonte si impone il testo che ha segnato una tappa
assolutamente imprescindibile all'interno della disciplina, dando vita al concetto
stesso di paesaggio sonoro, e tentandone per la prima volta un inquadramento
teorico: Il paesaggio sonoro, scritto da Murray Schafer nel 1977. La prospettiva
inaugurata dal compositore canadese si colloca all'interno di un ampissimo sfondo di
riferimento, che per molti versi sembra volere tratteggiare delle linee guida per
possibili sviluppi futuri della ricerca, più che fornire degli argomenti definitivi. Tra
gli obiettivi polemici individuati in questo testo, spicca la decisa presa di posizione
contro il mondo degli architetti e quello dei giuristi, accusati di aver ignorato per
decenni le problematiche relative all'ambiente sonoro, e di essersi quindi resi

1 Ricerca pratica portata avanti, nello specifico, all'interno di veri e propri centri di ricerca sul
paesaggio sonoro. I nomi dei tre autori citati sono infatti legati alle più importanti istituzioni di
ricerca in questo campo: il Groupe de Recherche de Musique Concrète (GRMC), tra i cui fondatori,
insieme a Pierre Schaeffer, spicca il nome di Abraham Moles; il World Soundscape Project (WSP),
fondato da Murray Schafer e, tra gli altri, da Barry Truax; e il Centre de recherche sur l'espace
sonore et l'environnement urbain (Cresson), che prende vita per mano del filosofo francese Jean
Francois Augoyard.

5
complici, in qualche modo, dello sviluppo che ha portato alla situazione attuale.
Abbiamo cercato di verificare questo punto di vista in riferimento, da un lato, alla
prospettiva urbanistica che Michael Southworth inaugurò già nel 1968, e, dall'altro,
proponendo una disamina e una considerazione della legislatura italiana relativa alle
problematiche acustiche.
L'altro ramo verso cui si è orientata la nostra considerazione del concetto di
paesaggio sonoro è quello della musica, che rappresenta l'oggetto del secondo
capitolo. L'idea di fondo consiste nel fatto che, dal nostro punto di vista, tale
concetto possa rappresentare uno strumento estremamente efficace per comprendere
e per dare un senso profondo ad alcune esperienze musicali (in particolare del
Novecento), che la riflessione propriamente musicologica ha sempre fatto fatica ad
inquadrare. E, in secondo luogo, nella convinzione che tali esperienze musicali
possano contribuire a rendere conto del tema stesso in modo più completo. Non solo
perché attraverso le opere possiamo tentare di comprendere quello che il paesaggio
sonoro ha rappresentato nel tempo (almeno attraverso la mediazione dei musicisti),
ma anche perché la prospettiva musicale permette di mostrare una possibile via
pratica alla soluzione del problema. Sono infatti numerose le esperienze musicali
che, precorrendo in modo significativo la nascita teorica del concetto di paesaggio
sonoro, hanno tentato, attraverso il riferimento specifico alle componenti acustiche
dell'ambiente, di stimolare l'ascoltatore ad una partecipazione più attenta al mondo
che lo circonda. E nella stessa ottica, del resto, tale argomento è stato ripreso da
Murray Schafer e dalla tradizione successiva.
E' evidente che una simile considerazione della musica del Novecento non può
riguardare in modo casuale tutte le esperienze del secolo, ma deve maturare alla luce
di una selezione di alcune di esse. Il filo conduttore che abbiamo individuato per
intraprendere questa operazione, è rappresentato dall'idea per cui l'avvicinamento
della musica al paesaggio sonoro è avvenuto nella forma di una progressiva
considerazione e di un progressivo inserimento dell'elemento del “rumore”
all'interno del discorso propriamente musicale. Siamo così riusciti ad indicare un
punto di inizio nella teoria futurista proposta da Russolo nell'Arte dei rumori, e a
descrivere un percorso che, passando attraverso la musica di John Cage e le
esperienze maturate di pari passo allo sviluppo del mezzo radiofonico, approda al

6
porto che fin da subito si era caratterizzato come la meta obbligata del viaggio: la
soundscape composition.
Lo scopo del lavoro, in definitiva, consiste in primo luogo nel tentativo di
rendere conto e di stimolare attenzione verso una esperienza che, nonostante al
giorno d'oggi risulti argomentata e supportata da uno sfondo teorico assolutamente
rispettabile, viene troppo spesso trascurata nella considerazione del nostro rapporto
con il mondo in cui viviamo. La particolare prospettiva all'interno della quale il
concetto è stato indagato, speriamo possa fornire degli elementi e degli spunti di
riflessione per la continuazione della ricerca futura.

7
PRIMO CAPITOLO.
PAESAGGIO SONORO: UN CONCETTO
TEORICO

1. Paesaggio sonoro e paesaggio

Nel presente capitolo si prenderà in considerazione il temine “paesaggio


sonoro” da un punto di vista teorico. Il che vuol dire ripercorrere le vicende legate
all'emergenza, alla natura propria e alle prospettive di tale concetto. Nel considerare
questa nozione sembra potersi individuare fin da subito una contraddizione: vale a
dire che i termini “paesaggio” e “sonoro”, rimandando implicitamente a due sfere
sensoriali diverse, danno alla nozione nel suo complesso un carattere ibrido non del
tutto comprensibile a livello intuitivo. La sfera sensoriale del paesaggio è in primo
luogo quella visiva: il termine nasce infatti in ambito artistico per indicare la “veduta
pittorica”, ossia la rappresentazione di una realtà percepita attraverso lo sguardo 1. La
attuale riflessione su cosa si debba intendere con questo termine è sicuramente più
complessa e articolata, ma è indubitabile che il riferimento principale rimane quello
ad una struttura percettiva basata sulla vista. Dall'altra parte, invece, lo sfondo
percettivo di riferimento del “sonoro” è ovviamente quello dell'udito.
L'ambito in cui la nozione di paesaggio sonoro prende forma è certamente
quello musicale e musicologico: nella misura in cui da un lato l’estensione delle
tradizionali barriere della musica produce un allargamento nella visione e
nell’interpretazione del sonoro, dall'altro l'impiego sempre più frequente dei suoni
non musicali all'interno di composizioni stimola l'interesse per una ricerca non
soltanto fisica, ma anche artistica, estetica, emotiva nei confronti di tali suoni. Se in
questo contesto risulta quindi determinante la riflessione sul ramo “sonoro” del
1 Si veda L. Bonesio, Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale, Diabasis, Reggio
Emilia 2007.

9
termine che stiamo considerando, è invece meno immediato il recupero della
nozione di “paesaggio”, tanto più che nessuno degli autori che considereremo tratta
direttamente la questione.
La domanda che sorge spontanea è quindi: in che senso il mondo sonoro deve
essere inteso come paesaggio? Perché si avverte l’esigenza di riprendere tale
nozione all’interno di un contesto propriamente uditivo? E quali conseguenze
determina questo? La prima istintiva riflessione riguarda la differenza che corre tra
l'idea di paesaggio e quella di paesaggio sonoro. Il concetto principale attorno cui
vorremmo provare a comprendere questa differenza è quello di durata, termine che
in questo contesto può assumere un duplice significato. Il primo è legato all'area
semantica della persistenza, della continuità temporale. In quest'ottica si può notare
come i tempi del paesaggio sonoro e quelli del paesaggio siano molto diversi.
Sicuramente anche quest'ultimo si modifica con dei tempi che non devono per forza
essere pensati come i tempi lunghi della storia: il cambiamento del paesaggio non
deve essere inteso soltanto come la trasformazione della struttura morfologica della
Terra, o il succedersi delle fasi della natura legate ai cicli stagionali. Basti pensare,
per esempio, a fatti come l'arrivo di una perturbazione atmosferica improvvisa,
l'alternarsi del giorno e della notte, l'accendersi dei lampioni al crepuscolo, per
notare come il paesaggio può cambiare, anche notevolmente, in tempi piuttosto
brevi. Ma nonostante questo, i tempi di mutazione del paesaggio rimangono
incommensurabili con i tempi di cambiamento praticamente istantanei del paesaggio
sonoro. Il passaggio di un passeggino con un bambino che piange, di un autobus che
ci attraversa la strada, di un uccellino che cinguetta sono esempi di come il
paesaggio sonoro può trasformarsi in maniera significativa in tempi estremamente
brevi.
C'è però un altro ambito semantico inerente al termine “durata”, che risulta in
questo contesto ancora più rilevante. Si tratta del significato che rimanda all'idea di
una unità che si trasforma ma che rimane riconoscibile in quanto identità.
Identificare una durata significa sempre, in qualche modo, riconoscere le tracce di
una continuità all'interno di una realtà che inesorabilmente muta. Proprio in
relazione a questo è possibile notare la differenza, forse più profonda, che intercorre
tra il paesaggio e il paesaggio sonoro: il paesaggio conserva, trattiene, ricorda,

10
mentre il paesaggio sonoro abbandona, dimentica, tace. Ogni attraversamento lascia
delle tracce fisiche sul paesaggio: microscopiche o capaci di resistere e mantenersi
per millenni, come è il caso delle cattedrali, dei templi, delle statue, e di molte altre
cose. Il paesaggio rimane come la testimonianza e la memoria di quello che è stato:
le più grandi opere compiute dall'uomo, ma anche molte delle più grandi efferatezze,
si conservano e si ricordano oggi attraverso i segni che hanno lasciato impressi nel
paesaggio. Come solchi, per riprendere la bellissima metafora gilsoniana: la storia è
quindi la ricerca di questi solchi e di queste tracce all'interno «del vasto paese che
non si vede»2, un cammino attraverso il paesaggio e attraverso i suoi resti, le sue
rovine. Il che porterà a tracciare a nostra volta altri solchi, a produrre nuovi resti, che
permetteranno in futuro nuovi riconoscimenti, nuove visioni, nuova luce. Nel
paesaggio si conserva la testimonianza e il ricordo del nostro passato.
Tutto questo non può caratterizzare allo stesso modo il paesaggio sonoro: la
rapidità con cui un suono nasce e produce il suo effetto, è la stessa con cui esso
scompare e viene dimenticato. O meglio: esso può essere ricordato esclusivamente
come esperienza soggettiva, in nessun modo potrà continuare ad essere un elemento
concreto del paesaggio sonoro. In quanto tale, infatti, quest'ultimo si identifica con i
suoni che formano la situazione acustica attualmente percepibile. Le moderne
tecniche di registrazione e di riproduzione del suono impongono sicuramente un
aggiornamento di questo punto di vista, ma non cambiano, a mio modo di vedere,
l'impostazione di fondo del problema: il paesaggio sonoro rimane caratterizzato
dalla sua dissolubilità, dalla sua evanescenza 3. La memoria del sonoro non può che
essere memoria individuale, soggettivamente significativa. E forse proprio questo
spiega il fortissimo impatto simbolico ed evocativo che il suono ha sempre avuto in
tutte le culture. La nostra ricezione del suono non permette una mediazione, se non
quella del suono stesso. Il mondo dei suoni non consente uno scavo all'interno di
esso, ma solo ed esclusivamente uno scavo nel nostro interiore, nella nostra sfera
emozionale, emotiva, simbolica. La quale, ovviamente, è influenzata dal contesto
individuale della nostra crescita, della nostra educazione e della nostra maturazione.

2 E. Gilson, Eloisa e Abelardo, tr. it. G. Cairola, Einaudi, Torino 1950, p. 146.
3 Si approfondirà nel corso del capitolo la questione relativa allo sviluppo delle moderne
tecnologie e alle conseguenti trasformazioni che queste hanno introdotto nella nostra modalità di
ricezione (non solo fisica) del suono.

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Da queste ultime osservazioni, però, si comincia a capire quale sia, in questo
preciso contesto, l'intento che sta dietro al recupero della nozione di “paesaggio”.
Ossia quello di reinterpretare il mondo del suono all'interno di una visione socio-
culturale moderna, che da un lato vada oltre le visioni mistiche provenienti dal
mondo antico, e dall'altro superi la fredda visione della scienza, basata sulla
considerazione meramente fisica e matematica del suono. Il concetto di paesaggio,
porta con sé necessariamente una interrogazione e un «radicale ripensamento del
Luogo, in quanto spazio non meramente astratto e geometrico, ma concreto lembo di
terra, ogni volta singolare, qualificato dall'incontro tra natura e cultura e dalle loro
stratificazioni storiche»4.
Proprio in questo senso, dunque, per il fatto che sempre «occorre una
mediazione simbolica affinché un contesto naturale possa diventare un paesaggio» 5,
tale concetto trova una sua perfetta collocazione all'interno della riflessione che
proveremo a considerare. Da un lato il paesaggio estende l'area di interesse del
sonoro a tutto il complesso della realtà udibile, ponendo fine all'annosa discussione
sulla natura propria del suono musicale, del suono non musicale, e della musica.
Dall'altro tale estensione porta con sé il riconoscimento di un mondo sonoro
ovunque significante per il soggetto che lo abita, ovunque carico di un contenuto
sociale, culturale, simbolico. Il “mondo dei suoni” diventa uno spazio abitato,
vissuto e costruito da chi vi risiede: un “paesaggio sonoro”, appunto. Sarà questo
l'oggetto dei prossimi paragrafi.

2. I precursori: teoria dell'informazione e oggetto sonoro

La comprensione scientifica del fenomeno sonoro si può considerare una


conquista piuttosto recente. L'anno decisivo è da considerare senza dubbio il 1877,
in cui curiosamente si verificano due eventi che cambiano radicalmente il rapporto
tra l'uomo e il mondo acustico. Il primo è rappresentato dalla scoperta del principio
della riproduzione del suono da parte di Thomas Edison: nel marzo 1877 lo

4 L. Bonesio, Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale, cit., p. 1.


5 Ivi, p. 23.

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scienziato mette a punto il ripetitore telegrafico automatico, che si trasforma nel
dicembre dello stesso anno nel primo embrionale modello di fonografo. Il secondo
evento consiste nella pubblicazione della monumentale opera Die Lehre von den
Tonempfidungen di Hermann von Helmholtz, che viene considerata, a ragione, il
punto di inizio della scienza acustica6. Sono molti i fenomeni fisici che vengono
spiegati per la prima volta in quest'opera: a partire dalle componenti armoniche del
suono, dalla natura dei battimenti, dall'origine del timbro e dei suoni combinati.
Come sono molte le innovazioni che lo studioso introduce nella comprensione del
funzionamento fisiologico dell'apparato uditivo. Queste scoperte permettono di
ancorare la disciplina ad una solida base scientifica, ponendo fine ad una
lunghissima tradizione mistico-filosofica nell'approccio all'acustica, che vede in
Confucio e Pitagora due tra i suoi esponenti più conosciuti. Volte a mostrare, tra le
altre cose, le enigmatiche relazioni che sussisterebbero tra il movimento degli astri e
le regole dell'armonia, tali riflessioni si possono dire infatti tutt'altro che superate in
epoca moderna: sostenute e arricchite dalla riflessione medievale, esse sopravvivono
alla rivoluzione scientifica, e si riaffacciano nella riflessione dei secoli successivi,
come dimostra, per esempio, il pensiero di Keplero.
Il modello helmholtziano, al contrario, coerentemente con la generale
impostazione scientifica, si basa sulla considerazione del fenomeno acustico come
un fenomeno meramente fisico-quantitativo: il suono è concepito come una
sovrapposizione di onde che creano una variazione di pressione nell'atmosfera,
trasformata dal nostro apparato uditivo in una percezione acustica. Se da un lato
sono innegabili i vantaggi a cui questa impostazione ha portato, permettendo di
comprendere la natura propria del suono e delle sue manifestazioni fisiche, dall'altro
è necessario rilevare l'inevitabile impoverimento che ad essa consegue
nell'interpretazione teorica del fenomeno nel suo complesso: il suono infatti viene a
perdere in primo luogo quello sfondo di riferimento simbolico e spirituale all'interno
del quale la visione tradizionale lo collocava, e di conseguenza ogni riferimento
interpretativo che voglia legarsi ad un particolare contesto sociale o culturale.

6 L'opera, pur essendo un classico della letteratura scientifica di tutti i tempi non ha mai visto
una traduzione italiana, e oltre all'originale versione tedesca ne esiste soltanto una traduzione
piuttosto datata in inglese, condotta nel 1885 da Alexander Ellis: H. Helmholtz, On the sensations of
tone, Dover, New York 1954.

13
Nel nostro studio sul paesaggio sonoro potremmo considerare questo momento
come il “punto zero” della visione moderna del suono: spogliato di ogni
considerazione ulteriore, tale elemento viene indagato e compreso attraverso le
precise formule matematiche e le regole scientifiche che ne descrivono il
comportamento fisico. Il progressivo emergere del concetto di paesaggio sonoro e
della riflessione intorno ad esso rappresenta, in termini molto generici, proprio il
percorso verso una ricomprensione del mondo sonoro come mondo costituito e
abitato da dinamiche sociali, culturali, simboliche. Non si tratta però, evidentemente,
del ritorno ad una interpretazione già data, quanto piuttosto dell'affermarsi di una
riflessione che matura a stretto contatto con le scoperte e le invenzioni che la
scienza costantemente mette a disposizione. Da un lato in relazione alla
comprensione di fenomeni fisici e psichici sempre nuovi, relativi all'ambito della
percezione acustica, dall'altro nei termini di una crescita esponenziale dei mezzi
tecnici attraverso cui intervenire e interagire con il mondo dei suoni.
Una tappa fondamentale in questo percorso è rappresentata dal testo Teoria
dell'informazione e percezione estetica7, pubblicato a Parigi nel 1958 ad opera di
Abraham Moles. Ingegnere acustico, fisico e filosofo, l'autore si colloca all'interno
di un vivace momento di ricerca e di sperimentazione acustico-musicale in area
francese, che vedrà nella nascita dell'Ircam, diretto da Pierre Boulez, e del GRMC 8,
per mano di Pierre Schaeffer, le esperienze più significative e conosciute dal grande
pubblico. Il punto di partenza di Moles consiste nell'interpretare l'uomo come un
sistema aperto in grado di interagire con l'esterno attraverso due canali: il canale
dell'azione e quello della comunicazione. Coerentemente a questa impostazione il
suono viene considerato secondo la sua duplice valenza di azione, in quanto suono
fisico che produce movimento, e di comunicazione, in quanto suono veicolante una
informazione. La prima rilevantissima conquista consiste nel trovare in questo modo
una unità di misura che rende i singoli messaggi paragonabili e confrontabili
direttamente tra loro: l'informazione. Per usare le parole dell'autore: «l'informazione
deve essere vista come una quantità», e «non si potrebbe insistere abbastanza su
7 A. Moles, Teoria dell'informazione e percezione estetica, tr. it. di D. Mezzacapa, Lerici
Editore, Roma 1969.
8 L'acronimo indica il Gruppo di Ricerca sulla Musica Concreta, che nasce a Parigi nel 1966, e
tra i cui membri ci sarà proprio Moles stesso. Si veda il cap. 2, paragrafo 6 per una più specifica
considerazione di questa esperienza.

14
questo concetto, che sembra all'origine stessa degli sviluppi della teoria delle
comunicazioni»9. Il punto di partenza consiste quindi nel rendere oggettivamente
identificabile e valutabile la quantità di informazione contenuta in un messaggio10.
Il primo luogo comune con cui Moles deve fare i conti consiste nell’idea per cui
il livello di informazione trasmessa sia proporzionale alla lunghezza del messaggio.
E' abbastanza semplice osservare, per esempio, che il messaggio “sono le sette di
sera, tra poco vado a mangiare, spero che mia moglie non abbia preparato la solita
pasta scotta e senza sale” contiene un minor grado di informazione rispetto al
messaggio “ti uccido”, pur essendo decisamente più lungo. O meglio, il numero
delle informazioni trasmesse dal primo messaggio è in realtà superiore rispetto al
secondo, ma nonostante questo dovrebbe risultare intuitivamente condivisibile il
fatto che l'unica informazione contenuta nel secondo ha un grado di importanza
talmente maggiore rispetto a quelle del primo, da rendere complessivamente
superiore anche il grado dell'informazione trasmessa. La valutazione del livello di
importanza dell'informazione viene stabilito da Moles in relazione alla capacità del
messaggio di indurre modifiche nel comportamento o nello stato d'animo del
ricevente. Si tratta di un passaggio saliente, che, come osserva l'autore, ha richiesto
una riflessione laboriosa:

solo con un raggiro tecnico è possibile astrarre sufficientemente il problema e renderlo


solubile, distinguendo cioè significato e valore. […] Il valore è la proprietà posseduta da
ciò che, per consenso unanime, è utilizzabile. Ora, se un messaggio è ciò che serve a
modificare il comportamento del ricevitore, il valore di un messaggio è tanto più grande
quanto più il messaggio stesso è capace di apportare queste modifiche del
comportamento11.

Sulla base di questo assunto è dunque possibile stabilire un criterio oggettivo di


misurazione dell'informazione trasmessa da un messaggio 12. L'elemento che viene

9 A. Moles, Teoria dell'informazione e percezione estetica, cit., p. 36.


10 Si noti fin da subito che il “messaggio” in questione non è rappresentato esclusivamente dal
messaggio della comunicazione verbale, ossia da un insieme di parole esprimenti un significato. Al
contrario, qualsiasi elemento sonoro viene interpretato come messaggio in grado di trasportare
informazione, e anzi sono proprio i messaggi non immediatamente significanti a livello semantico (il
messaggio poetico, per esempio, o quello musicale) che ne permettono il passaggio nella maggiore
quantità.
11 A. Moles, Teoria dell'informazione e percezione estetica, cit., p. 37.
12 Gli esempi citati da Moles sono numerosi, e vengono ordinati a partire da quei messaggi che
trasmettono un grado di informazione nullo, come per esempio “A B A B A B A B A B A B”, fino a
quelli che ne trasmettono la maggiore quantità possibile. Questi ultimi sono formati, secondo una
logica che può apparire in prima istanza paradossale, da termini scelti in maniera casuale

15
quindi messo al centro dell'attenzione, e che di conseguenza viene ordinato secondo
una scala crescente, è il grado di prevedibilità del contenuto trasmesso. Più un
messaggio risulta prevedibile e meno sarà la sua capacità di modificare il
comportamento del ricevente; al contrario, più il messaggio sarà imprevedibile,
inatteso e originale e più la reazione è da questo condizionata13.
La teoria fin qui considerata si basa su un modello ideale che isola all'interno
della realtà i tre punti costituiti dalla fonte, dal messaggio e dal ricevente, e li
considera in maniera assoluta e astratta. E' chiaro, d'altra parte, che la situazione del
mondo reale non potrà mai essere rappresentata attraverso questo schema, e questo
per due principali motivi: il primo consiste nel fatto che la trasmissione reale
dell'informazione nella realtà non è mai pura. Il mondo concreto produce sempre
degli elementi di disturbo, di interruzione: il silenzio assoluto, in natura, non esiste 14.
Ogni trasmissione di informazione è inquinata da rumore, inteso come elemento
sonoro percepito dal ricevente e non emesso dalla fonte 15. Nel mondo reale il
messaggio si caratterizza sempre come una struttura organizzata che emerge
all'interno di un contesto confuso e caotico. Le strutture teoriche a cui fa riferimento
il discorso molesiano sono quelle della figura e dello sfondo: ogni messaggio è una
figura che si staglia su uno sfondo informe, e come tale, cioè come struttura unitaria
e organizzata, rende possibile la propria identificazione.
Nella nostra società il rapporto quantitativo tra sfondo e figura è spesso molto
sbilanciato a favore dello sfondo: il rumore casuale del paesaggio che ci circonda è
di frequente molto più elevato, per esempio, rispetto alla voce di una singola persona
che ci parla. Nondimeno la nostra percezione è generalmente in grado di distinguere
il messaggio e di coglierne il contenuto. Questa sorprendente capacità che abbiamo
13 Riformulando l'esempio sopra citato, si potrebbe quindi a questo punto dimostrare che il
messaggio “sono le sette di sera, tra poco vado a mangiare, spero che mia moglie non abbia preparato
la solita pasta scotta e senza sale” trasmette meno informazione rispetto a “sono le sette di sera, tra
poco vado a mangiare, spero il mio gatto non abbia fatto fuori la mia solita pasta scotta e senza sale”.
Osservando nel dettaglio si nota che il numero delle informazioni trasmesse è esattamente lo stesso, a
parte il fatto che dal primo caso risulta che il soggetto in questione ha una moglie e nel secondo un
gatto: entrambi fatti piuttosto comuni. Ma complessivamente il secondo messaggio risulta meno
prevedibile del primo, e quindi maggiormente in grado di determinare una reazione.
14 Il silenzio assoluto non esiste, peraltro, nemmeno nelle costruzioni artificiali. E' fin troppo
noto il racconto in cui John Cage, fatto sdraiare in una camera anecoica, percepisce due rumori: uno
alto e uno basso. Il primo è dovuto alla propria attività nervosa, il secondo allo scorrimento del
sangue nelle vene.
15 Per ora considereremo valida questa definizione. Si rimanda al cap. 2, paragrafo 1 per una
più attenta considerazione del problema.

16
di isolare una sola voce in mezzo a centinaia, di percepire un messaggio all'interno
di una realtà acustica che lo sovrasta, dimostra per Moles che «in realtà percepire
equivale a selezionare»16. Ogni percezione è un atto di selezione di un elemento
all'interno di uno sfondo generalmente caotico. Arriviamo quindi al secondo motivo
per cui il modello ideale sopra tracciato non può funzionare: l'attività percettiva non
può mai essere considerata in astratto. In quanto attività di selezione, essa deve
essere compiuta da un soggetto reale all'interno di uno sfondo reale. La selezione
non procede mai secondo criteri univoci e universali, ma sempre a partire dalla
situazione concreta del soggetto in questione. Ogni selezione è determinata da un
particolare “punto di vista”, che non solo è caratterizzato da una localizzazione
specifica e univoca nello spazio, ma anche da un background soggettivo di
conoscenze, di abitudini, di costumi. Il nuovo modello potrebbe quindi essere
rappresentato attraverso due cerchi concentrici, dei quali il più grande rappresenta il
complesso della realtà sonora percepibile, mentre quello interno il punto di vista del
soggetto percipiente: la relazione che si instaura tra i due costituisce il modello,
soggettivo, di selezione applicata.
Si capisce a questo punto come gli elementi introdotti riguardino da vicino il
tema del paesaggio sonoro. Pur non essendo teorizzato in maniera esplicita, l'idea di
uno “sfondo” entro il quale il messaggio viene trasmesso è per tanti versi una
anticipazione del tema stesso. Certamente la prima considerazione deve riguardare il
fatto che il carattere di tale sfondo rimane in questo contesto meramente negativo:
esso rappresenta infatti esclusivamente l'elemento di disturbo che il mondo esterno
produce sulla trasmissione dell'informazione. Dall'altro lato, però, bisogna osservare
che l'introduzione di un elemento soggettivo nel meccanismo della percezione
acustica, produce una importante svolta nell'approccio alla tematica. In seguito a
questo, infatti, continuare a considerare il mondo dei suoni attraverso dei criteri
oggettivi che si pretendono validi in assoluto, significa annullare in primo luogo la
componente intersoggettiva di tale fenomeno, che si basa proprio non solo sulla
necessità di una presenza effettiva e contemporanea del suono e dei soggetti che
attraverso di esso comunicano, ma che risulta anche conseguente ad una particolare
componente culturale, sociale e formativa che deve essere comune a tutti i soggetti

16 A. Moles, Teoria dell'informazione e percezione estetica, cit., p. 140.

17
interessati.
Si ribadisce che la teoria di Moles considera il messaggio come una struttura
organizzata non necessariamente verbale. Per quanto gli esempi qui considerati
abbiano sempre fatto riferimento a situazioni di trasmissione di messaggi
semanticamente significativi, nell'idea dell'autore l'ambito del messaggio riguarda
anche tutta la gamma di sonorità provenienti dal mondo artistico e, in particolare,
musicale. Una tale estensione del concetto di messaggio risulta in questo contesto di
grande importanza, e porta ad un passo dalla impostazione definitiva del problema.
Non solo il messaggio musicale risulta in grado di trasmettere informazione: mentre
la trasmissione dell'informazione semantica richiede necessariamente un contesto
culturale comune (per esempio, banalmente, la conoscenza della stessa lingua), e si
deve basare quindi su una modalità di ricezione e di interpretazione condivisa e
prevista, il messaggio musicale permette, al contrario, il passaggio di una
informazione che viene recepita dalla sfera irrimediabilmente soggettiva del
sentimento e dell'emozione, e in quanto tale non direttamente traducibile da
individuo a individuo, e più difficile da mediare attraverso dei parametri condivisi.
La sua prevedibilità risulta quindi minore, e conseguentemente la capacità di
modificare il comportamento del ricevente, cosa che per Moles rappresenta il livello
dell'informazione trasmessa, maggiore.
Questo allargamento di prospettiva produce però a questo punto l'emergere di
una nuova urgenza teorica: fino a che punto un messaggio può essere considerato
musicale, dove si deve porre la soglia tra il musicale e l'informe, il casuale? La
domanda, posta alla fine degli anni '50, si contestualizza all'interno di una ampia
riflessione, che riguarda la natura della musica, da un lato, e lo statuto della
musicologia, in quanto disciplina in grado di comprenderne le espressioni, e di
contestualizzarle all'interno del proprio tempo, dall'altro. All'inizio del XX secolo lo
sviluppo della teoria dodecafonica aveva sconvolto l'impianto teorico dell'armonia
classica, aprendo una prima enorme crepa all'interno della tradizionale visione della
musica. Negli anni del secondo dopoguerra, lo sviluppo della tecnologia elettronica,
impiegato e sostenuto nel contesto della composizione musicale dalla maggior parte
delle avanguardie musicali del tempo, cambiano completamente anche
l'interpretazione di ciò che è il terreno più proprio del “musicale”: il suono.

18
L'adeguamento della tradizione musicologica a questi fatti è una urgenza sostenuta a
gran voce soprattutto dagli stessi compositori e artisti. E' precisamente in questo
contesto in primo luogo artistico che la domanda di Moles si inserisce, ed è sempre
all'interno di questo contesto che l'autore trova gli elementi per la propria risposta.
In particolare, l'influenza decisiva è da indicarsi nello sviluppo della musica
concreta e delle teorie del suo fondatore, il compositore e musicologo francese
Pierre Schaeffer17. Poiché l'opera schaefferiana è piuttosto complessa, sia da un
punto di vista musicale che teorico, considereremo qui soltanto alcuni aspetti
determinanti per la nostra riflessione. Secondo la formulazione dell'autore una
musica si definisce “concreta” nel momento in cui questa rappresenta una

inversione per la direzione del lavoro musicale. Al posto di essere un lavoro di


rappresentazione di idee musicali attraverso i simboli dello spartito, che affida così la loro
realizzazione concreta a degli strumenti conosciuti, ci si pone come obiettivo quello di
raccogliere l'elemento sonoro concreto, indipendentemente da dove esso provenga, e di
astrarne i valori musicali che contiene in potenza18.

Si tratta, quindi, di una vera e propria inversione, che rompe con il tradizionale
approccio che basa la propria attenzione sulla modalità della costruzione del suono,
mentre il suono stesso viene in qualche modo dato per scontato. Al contrario, tutto si
può trasformare in musica, ogni suono può essere considerato come un suono
musicale. Il lavoro del compositore consiste quindi in una ricerca continua
all'interno del flusso incessante e caotico del mondo sonoro che ci circonda di quel
suono da cui ottenere l'effetto voluto.
L'elemento teorico che garantisce una stabilità all'impianto è l'“oggetto sonoro”.
Il fatto che il compito del compositore sia quello della ricerca e dell'individuazione
degli elementi acustici da utilizzare, implica come inevitabile conseguenza il fatto
che il flusso sonoro nel suo complesso sia inteso come un insieme di singoli
elementi più piccoli isolabili tra di loro. Quello che noi percepiamo come flusso
continuo è in realtà l'insieme di una serie di unità dotate di una propria autonomia:
tali unità sono definite, appunto, oggetti sonori19. Con questo termine l'autore non
17 L'opera di riferimento principale è: P. Schaeffer, Traité des objets musicaux, Edition du
Seuil, Parigi 1966. L'opera non è tradotta in italiano, tutte le citazioni proposte sono tradotte da me.
18 Ivi, p. 23.
19 Nell'opera citata il concetto di oggetto sonoro viene trattato nel Libro V intitolato
“Morfologia e tipologia degli oggetti sonori”. Come indica lo stesso autore, però, la formulazione
originaria di tale concetto risale al 1948, anno in cui vede la luce anche la prima sistemazione
definitiva del concetto di musica concreta. Va da sé che l'influenza sul pensiero molesiano sarà

19
vuole definire qualcosa di preciso: non si tratta di individuare una sorta di unità di
misura per il mondo acustico, quanto piuttosto di arrivare alla possibilità di una
considerazione del suono in quanto tale, preso in se stesso, e indipendentemente dal
mezzo concreto, fisico attraverso il quale è realizzato. Il che produce un enorme
allargamento delle barriere del suono musicale, che va ad estendersi ben al di là
della tradizionale idea di suono prodotto da strumenti musicali. Ogni tipo di suono
può essere inteso come un suono musicale e utilizzato in quanto tale all'interno di
una composizione.
E' proprio questa idea di oggetto sonoro che rappresenta l'elemento mancante
alla costruzione molesiana. Citando direttamente Pierre Schaeffer, infatti, Moles
recupera l'idea secondo cui un oggetto sonoro si caratterizza come un elemento che
«possiede un centro di interesse autonomo attorno al quale, quando esso è isolato, si
organizza una percezione diretta della durata come dimensione dell'oggetto sonoro
stesso»20. Di questi oggetti sonori ne esiste una incredibile varietà, che in pratica
coincide con la varietà della realtà acustica stessa. Un oggetto sonoro, prosegue
Moles, si caratterizza come dotato di una «omogeneità interna», di una
«individualità acquisita», e di una «evoluzione nella durata» 21. Ossia, fuori dal
particolare lessico qui usato, i classici parametri attraverso cui si definisce qualsiasi
suono: l'altezza, il timbro e la durata. E' facile a questo punto comprendere come la
nozione di oggetto sonoro possa arrivare a riguardare l'intero ambito della realtà
acustica.
Si capisce quindi come il concetto di oggetto sonoro, e il conseguente
allargamento che la teoria schaefferiana porta ai tradizionali confini della musica, sia
recuperata da Moles proprio con l'intento di estendere la validità della propria
costruzione al complesso della realtà acustica. Se la barriera del musicale arriva a
comprendere ogni tipo di manifestazione sonora, e se il messaggio musicale
rappresenta un mezzo di trasmissione di informazione, la teoria dell'informazione
potrebbe infatti diventare un elemento definitivo per la comprensione della realtà
acustica in generale.
dovuta, per ovvie ragioni cronologiche, a qualche formulazione precedente rispetto a quella dell'opera
che stiamo considerando. Ci sembra in ogni caso utile, ai fini della nostra discussione, fare
riferimento alla teoria nella sua elaborazione più sistematica e definitiva.
20 A. Moles, Teoria dell'informazione e percezione estetica, cit., p. 188.
21 Ivi, p. 173.

20
Per quanto l'obiettivo possa sembrare raggiungibile, il riferimento alla nozione
di oggetto sonoro complica la costruzione fin qui presentata, se non altro nell'ottica
del problema che stiamo considerando. La difficoltà sorge dal momento che la
mediazione schaefferiana, nell'intendere qualsiasi elemento sonoro come oggetto, e
in quanto tale utilizzabile in senso musicale, si muove all'interno di una visione
teorica del mondo sonoro che deve essere necessariamente accettata. In particolare,
il presupposto che, pur non essendo formalmente riconosciuto, risulta implicato,
consiste nel fatto che un oggetto sonoro non esprime un significato e un valore di
per sé, ma soltanto in seguito all'intervento del compositore. Il compito del
compositore è appunto quello di fare emergere dal suono insignificante
l'informazione che esso contiene soltanto «in potenza». E' sicuramente vero, quindi,
per citare le parole di Moles, che Schaeffer in questo modo riesce a «fare della
musica una pura dialettica della durata, realizzando l'orchestra più generale che
esista»22, ma è altrettanto vero che di conseguenza l'intero complesso del suono reale
non può che diventare una successione vuota e insignificante, che realizza il suo
valore soltanto attraverso l'opera del compositore.
Questa mediazione lascia dunque, a nostro modo di vedere, l'opera di Moles in
una situazione di stallo. La riflessione si ferma su un crinale, che non sembra
riuscire a risolversi in una direzione definitiva. Da un lato l'interpretazione della
percezione come selezione rende il mondo sonoro dipendente dalla ricezione
individuale: ogni elemento è significante per un soggetto, in relazione alla propria
costituzione culturale e sociale di riferimento. Dall'altro però questa ricezione, per
poter essere significante, deve essere preceduta da una costruzione del messaggio
attraverso un intervento di organizzazione consapevole dell'oggetto sonoro. Da un
lato, quindi, sembra aprirsi la strada verso la possibilità di una relazione diretta tra il
singolo soggetto, la comunità, e il mondo sonoro che lo circonda. Dall'altro questa
stessa strada viene chiusa dall'idea che il messaggio può costituirsi tale solo in
seguito ad un intervento umano che impone alla materia sonora informe una
struttura che possa essere riconosciuta. Non è in definitiva concepita la possibilità
che il mondo sonoro possa veicolare un significato immediatamente, ossia, appunto,
senza mediazione. Ogni trasmissione di significato è trasmissione volontaria di uno

22 Ivi, p. 183.

21
specifico significato che il compositore o l'artista, ma anche il semplice parlante,
vuole comunicare. L'elemento socio-culturale viene così concepito come una
sovrastruttura che impone e orienta il mondo sonoro attraverso un investimento di
senso che viene prodotto dall'alto. Il senso si configura, di conseguenza, sempre
come una questione inerente la sovrastruttura umana (musicale, poetica, linguistica
che sia), e mai direttamente il suono nella sua immediatezza.
Certamente, in definitiva, la teoria della informazione ha rappresentato un punto
fondamentale verso la comprensione del mondo sonoro, e ha aperto la strada per
l'evoluzione decisiva della concezione tecnico-scientifica di approcciare il
fenomeno. Ma forse si è arrestata un attimo prima di essersi «definitivamente
imposta», come quel «punto di vista che fa passare l'immagine dell'universo
attraverso la percezione dell'individuo con tutte le sue incertezze, e sostituendo
concretamente con tale percezione l'uomo nel mondo materiale» 23. L'uomo concreto,
nel mondo materiale, non sente soltanto i suoni che altri uomini hanno organizzato
per trasmettere informazione (semantica o estetica che sia), ma anche, e forse
soprattutto, suoni casuali, disordinati, caotici, privi di significato. Ed è anzi proprio
questo orizzonte, all'interno del quale siamo costantemente immersi, ad essere
culturalmente e simbolicamente più significativo per la nostra esistenza. Si tratta
allora di compiere questo passo concettuale, trasformando il “mondo”, il
“complesso”, il “luogo” sonoro in un “paesaggio”.

3. La nascita del World Soundscape Project e l'opera di


Murray Schafer

La nascita definitiva del concetto, l'istituzionalizzazione teorica, per dir così, del
termine, avviene nel 1977 con l'opera Il paesaggio sonoro di Raymond Murray
Schafer24. L'obiettivo è quello di fornire uno sfondo di riferimento teorico alle
23 Ivi, p. 303.
24 Vorremmo chiarire fin da subito un piccolo enigma che circonda il nome del compositore e
filosofo canadese: il nome vero e proprio dell'autore sarebbe Murray (nome) Schafer (cognome).
Nell'ambito della pubblicazione del Paesaggio sonoro in lingua tedesca, l'editore aggiunse il nome
“Robert”. Successivamente, la “R” puntata accanto al nome venne interpretata come “Raymond”, e
con questo nome vennero pubblicate diverse tra le sue opere più famose. Si possono trovare, di
conseguenza, tutte e tre le versioni del nome.

22
ricerche e alle indagini pratiche che già venivano condotte dalla fine degli anni '60
all'interno del World Soundscape Project: un progetto che nasce sempre per mano
del filosofo e compositore canadese, con l'intento di porre al centro della riflessione
il tema, fino a quel momento piuttosto trascurato, dell'ecologia acustica. Quello che
si ricerca è quindi la possibilità di «trovare soluzioni per un paesaggio sonoro
ecologicamente equilibrato in cui il rapporto tra la comunità umana e il suo
inquinamento acustico possa essere armonico»25.
Nell'ambito del World Soundscape Project le iniziative promosse sono
molteplici: da un lato l'attenzione è rivolta ad una sensibilizzazione del grande
pubblico verso la tematica, dall'altro è favorita una ricerca pratica sul paesaggio
sonoro, resa possibile dal perfezionamento e dallo sviluppo degli strumenti tecnici di
registrazione e di riproduzione del suono. Le ricerche e gli esperimenti sono
documentati attraverso la pubblicazione di diversi volumi 26. L'attività pratica è
sempre accompagnata dal tentativo di approfondire la comprensione teorica delle
manifestazioni del suono nella società, e parallelamente di sviluppare una sensibilità
artistica nei confronti del paesaggio sonoro, come dimostrano le composizioni di
Barry Truax e di Hildegard Westerkamp, oltre a quelle dello stesso Murray Schafer.
Viene inoltre promossa la creazione di un archivio sonoro che si basa non solo sulle
registrazioni dirette per il periodo più recente, ma anche sulle varie testimonianze
raccolte all'interno del mondo della letteratura, della poesia e dell'arte, per tentare di
ricostruire una storia del paesaggio sonoro il più possibile completa. Si pone
attenzione infine sul difficile problema legato alle modalità di classificazione del
suono non musicale e quindi alla possibilità della sua rappresentazione grafica.
La pubblicazione de Il Paesaggio sonoro rappresenta sicuramente una svolta
fondamentale all'interno di tale ricerca, e si pone come un momento inaugurale per
gli studi del settore. Con quest'opera, infatti, viene fondato definitivamente il
concetto di “paesaggio sonoro”, definito in prima battuta come «un qualsiasi campo

25 Si veda The Canadian Encyclopedia: http://www.thecanadianencyclopedia.com/ndex.cfm


PgNm=TCE&Params=U1ARTU0003743
26 Per esempio: The book of noise del 1970, The Vancouver soundscape del 1974, European
sound diary del 1975, e Five village soundscapes del 1977. Uno studio di quella che è stata questa
esperienza è costituito da: Torigoe Keiko, A study of the World Soundscape Project, Master of Fine
Arts Thesis, Toronto 1982.

23
di studio acustico»27, e viene resa nota al mondo l'attività cominciata alla Simon
Fraser University di Vancouver, sede del World Soundscape Project. Quello che si
deve considerare per un corretto approccio all'opera, è la sua natura in un certo senso
ibrida: la finalità del testo non è rivolta esclusivamente alla trattazione teorica delle
problematiche relative all'ecologia acustica, così come non vuole essere il mero
resoconto dei risultati ottenuti su un piano pratico. La complessità del testo ricalca la
molteplicità degli approcci tentati all'interno del World Soundscape Project: la
prospettiva ecologica matura di pari passo ad una riflessione più strettamente
filosofica ed artistica sul fenomeno sonoro, nel tentativo di delineare una visione del
suono che non sia soltanto limitata all'analisi di un dato fisico-acustico, ma anche
sociologico, culturale e simbolico. L'ambizione del libro è quella di non imbrigliare
la materia all'interno di formule conclusive e definitive, ma di costituire il punto di
inizio per un lavoro che dovrà essere portato a compimento e supportato dal costante
riferimento ai dati sperimentali. Quelle che vengono tracciate sono spesso delle
prospettive di ricerca per le possibili direzioni che potrà prendere il lavoro futuro,
delle indicazioni di metodo ancora da verificare, più che dei punti di arrivo già
stabiliti. Se questo fatto conferisce al testo un carattere estremamente dinamico e un
valore che si estende oltre i confini della ricerca strettamente teorica, dall'altra parte
a volte sembra affidare al lettore delle intuizioni non del tutto argomentate, delle
possibilità ancora da interpretare. Il carattere del testo, insomma, è ben lontano dal
modello sistematico di un'opera scientifica, con tutti i pregi e i difetti che questo
fatto può comportare.
Il punto da cui prende le mosse la ricerca è il riconoscimento del fatto che «il
paesaggio sonoro del mondo sta cambiando» 28. Si tratta di un cambiamento
complesso, che non riguarda soltanto l'aspetto quantitativo del paesaggio, ossia la
mole complessiva di rumore prodotto, ma anche e soprattutto qualitativo. In termini
di cambiamento della qualità dei suoni del paesaggio, ma anche di differente
impressione percettiva da parte degli abitanti. Il punto di non ritorno per questo
cambiamento è identificato nella rivoluzione industriale: una enorme massa di suoni
prodotti dall'uomo e dalle proprie creazioni tecnico-industriali irrompono all'interno

27 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, tr. it. di N. Ala, Ricordi, Milano 2007, p. 19.
28 Ivi , p. 13.

24
del millenario paesaggio sonoro basato sui suoni della natura, arrivando ben presto a
sostituirsi ad esso29.
L'introduzione dell'elettricità e della macchina all'interno della catena produttiva
determina, come prima conseguenza, l'aprirsi di una notevole differenza tra i
possibili scenari sonori: il paesaggio sonoro della fabbrica diventa molto diverso da
quello del salotto borghese, quello della stazione da quello della piazza, quello della
città da quello della campagna. Ogni singolo uomo, in base alla propria estrazione
sociale e in base al proprio stile di vita, abita e si confronta con un paesaggio sonoro
differente. Lo scarto si è ovviamente mantenuto, e anzi è stato probabilmente
ampliato, a seguito dell'evoluzione tecnologica che ha portato alla situazione dei
giorni nostri. Come si può dunque provare a trovare dei criteri attraverso cui
confrontare tra loro e paragonare i diversi paesaggi sonori?
Murray Schafer identifica ogni paesaggio sonoro come caratterizzato da una
tonica, da dei segnali, e da delle impronte30. Nel linguaggio musicale la tonica
rappresenta la prima nota della scala, da cui prende nome la tonalità del brano, e
attorno a cui si costruisce l'intero sviluppo armonico della composizione.
Recuperando il termine proprio in questo senso musicale la tonica rappresenta nel
paesaggio sonoro lo «sfondo» entro cui si staglia la vita degli individui. La tonica è
l'elemento acustico fondamentale di un luogo, la sua peculiarità distintiva. La tonica
«è costituita dai suoni creati dalla sua geografia e dal suo clima: acqua, vento,
foreste, pianure, uccelli, insetti, animali»31. Gli individui che abitano il luogo sono
costantemente esposti alla percezione di tali suoni, tanto che alla fine essi non
vengono più nemmeno percepiti a livello conscio. La tonica accompagna in modo
costante la vita degli abitanti, e caratterizza inequivocabilmente la natura acustica di
un paesaggio.
I segnali invece sono quei suoni che emergono dallo sfondo acustico per essere
ascoltati consapevolmente. Non si tratta di suoni che attraverso un atto intellettuale
possono essere staccati dallo sfondo e portati al livello della percezione conscia,

29 Come vedremo meglio nel capitolo successivo, l'analisi dell'evoluzione del paesaggio
sonoro che qui viene presentata risente, a nostro modo di vedere, di un difetto nell'impostazione di
fondo, dal momento che una tale evoluzione si definisce in relazione ad un dato prevalentemente
fisico-quantitativo, tralasciando per lo più le valenze culturali e simboliche che sono implicate.
30 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 22.
31 Ibidem.

25
quanto piuttosto di suoni che nascono già con questo carattere e questo obiettivo: i
segnali «devono» essere ascoltati. Possiamo annoverare come esempio i suoni delle
campane, i clacson delle macchine, le sirene ecc. La terza componente che
contraddistingue un paesaggio sonoro è rappresentata dalle “impronte sonore”, che
indicano un «suono comunitario che possiede caratteristiche di unicità oppure
qualità tali da fargli attribuire, da parte di una determinata comunità, valore e
considerazioni particolari»32. Si tratta quindi di suoni che esprimono un'alta tensione
simbolica e rituale a livello comunitario: potremmo pensare come esempio alla voce
del muezzin nelle comunità arabe.
Si può notare che la distinzione qui compiuta da Murray Schafer non è del tutto
esaustiva, e non permette di comprendere la totalità delle manifestazioni acustiche
che potrebbero contraddistinguere un paesaggio sonoro: in primo luogo vengono
esclusi da questa classificazione i rumori che la comunità umana esprime in quanto
tale. Si pensi ad esempio al tono di voce con cui si è soliti parlare, al timbro della
voce, che spesso risulta anche notevolmente diverso da comunità a comunità, ai
mezzi di trasporto che vengono utilizzati, alle abitudini religiose. Tutti questi
elementi contribuiscono a delineare in modo assolutamente determinante la natura di
un paesaggio sonoro. Una prima correzione al modello proposto, dovrebbe essere
quindi quella di estendere il concetto di “tonica” non solo agli elementi acustici
derivati direttamente dalle caratteristiche morfologiche e naturali del territorio, ma
anche a quegli elementi artificiali che caratterizzano la vita della comunità umana
che vi è insediata. La seconda osservazione riguarda la differenza tra “segnali” e
“impronte sonore”: non sempre questa differenza risulta chiara, dal momento che
spesso i segnali risultano tali proprio perché devono dare una impronta alla
comunità. E' il caso piuttosto evidente delle campane nella nostra società, in cui
spesso la funzione di segnale si sovrappone a quella di impronta e viceversa.
Più convincente risulta invece la distinzione introdotta da Murray Schafer tra
paesaggi sonori lo-fi e hi-fi. Le sigle sono riprese, ovviamente, dall'ambito della
riproduzione musicale, in cui stanno ad indicare il livello di fedeltà del suono
riprodotto a quello originale: alta (high-fidelity), o bassa (low-fidelity). La
riproduzione ad alta fedeltà permette all'ascoltatore di percepire nella maniera più

32 Ibidem.

26
accurata possibile ogni singolo suono che viene riprodotto 33, e nello stesso senso il
termine può essere messo in relazione al paesaggio sonoro. Nell'idea di Murray
Schafer un paesaggio sonoro hi-fi è caratterizzato dalla possibilità di percepire
distintamente i singoli suoni che lo compongono, mentre avviene il contrario nel
caso di paesaggio sonoro lo-fi. Il fenomeno che ha caratterizzato la modernità è
rappresentato proprio dalla trasformazione dei paesaggi sonori da hi-fi a lo-fi. Il che
avviene prevalentemente a causa della crescita continua di quel “brusio di fondo”
che caratterizza in primo luogo le aree urbane, e che nel nostro presente, purtroppo,
si estende a riguardare sempre più contesti. E' il caso evidente del traffico
automobilistico, che costituisce un rumore di fondo continuo, ma è anche il caso dei
numerosi luoghi, o «non-luoghi», come sono stati definiti 34, in cui per diverse
ragioni si tende ad uniformare lo sfondo sonoro attraverso la produzione di un
rumore costante (che spesso vorrebbe essere inteso come “musica”). Basti pensare ai
centri commerciali, ai supermercati, alle hall dei grandi alberghi, per capire come
questi spazi vengono trasformati intenzionalmente in paesaggi sonori lo-fi attraverso
la diffusione di musica che non ha nessuna pretesa di essere ascoltata, ma che nasce
con l'obiettivo dichiarato di creare uno sfondo sonoro continuo35.
La strategia su cui si basa questa scelta è prevalentemente commerciale: la
finalità è quella di creare confusione, distrarre il cliente e il consumatore, in modo
che questo possa, appunto “distrattamente”, spendere più di quello che farebbe dopo
una attenta valutazione. E' esattamente il contrario, del resto, da quello che avviene
quando si cerca di favorire la concentrazione e l'attenzione: le università, i luoghi di
culto, i musei, i teatri, le sale da concerto si caratterizzano generalmente, infatti,
come dei luoghi acustici hi-fi. Si noti che la differenza tra questi due tipi di
paesaggio sonoro non è soltanto basata su una valutazione quantitativa del rumore,
ma è conseguente al modo in cui è pensato, da un punto di vista acustico, il luogo

33 E' evidente che il discorso si basa su una situazione oggi sorpassata, come dimostrano i
concetti di hi-end, e le varie tecniche digitali che, ai nostri giorni, permettono una riproduzione ben
più sofisticata del suono rispetto a quella cui fa riferimento Schafer.
34 Marc Augè, Non-luoghi, tr. it. di D. Rolland, Eleuthera, Milano 1993.
35 Si tratta della cosiddetta Muzak, contro la quale si sono schierati a più riprese, e
giustamente, numerosi compositori. Lo stesso Murray Schafer in quest'opera definisce la Muzak
come un «impasto di suoni bovini», che «moltiplica i suoni e riduce un'arte sacra a una sbavatura
dolciastra». Il monito è abbastanza chiaro e deciso: «Muzak è musica che non deve essere ascoltata»
(R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., pp. 142-143).

27
stesso. Il problema sta nel tipo di relazione che si vuole favorire tra la fonte sonora e
l'uditore. In una sala da concerto durante una esecuzione per orchestra, potrebbe
esserci un livello acustico ben più elevato rispetto a quello, per esempio, di un
ufficio postale; nondimeno diremo che la sala da concerto (anche, e soprattutto,
durante l'esecuzione) costituisce un paesaggio sonoro hi-fi, a differenza dell'ufficio
postale.
Quest'ultima osservazione è di una certa importanza, dal momento che permette
di gettare nuova luce sulle categorie introdotte da Murray Schafer. In alcuni passi del
testo, infatti, l'approccio dell'autore sembra limitarsi a riconoscere in tali concetti, a
livello applicativo, degli strumenti utili per identificare la modalità dei paesaggi
sonori “pre” e “post” rivoluzione industriale: soltanto il paesaggio sonoro naturale e
incontaminato permette la percezione distinta di ogni singolo suono, e di
conseguenza la possibilità di un rapporto autentico con esso. Viceversa, «il
paesaggio sonoro lo-fi appare con la rivoluzione industriale e viene ulteriormente
incrementato dalla successiva rivoluzione elettrica. Il paesaggio sonoro lo-fi nasce
dalla congestione sonora»36. Io credo, invece, che la distinzione possa essere
utilizzata anche oltre questo ambito, per arrivare a costituire un punto di partenza
importante non solo per un atteggiamento volto alla ricomprensione storica del
paesaggio sonoro, ma anche per una riflessione relativa alla situazione attuale.
Proprio perché si caratterizzano come delle formule che superano una semplice
valutazione oggettiva e quantitativa della rumorosità dell'ambiente, i concetti di
paesaggio sonoro hi-fi e lo-fi permettono di attraversare trasversalmente le varie
situazioni, portando implicitamente ad una valutazione del rapporto che si instaura
tra il luogo e il soggetto che vi abita. Una considerazione di tal genere risulta di
fondamentale importanza, ovviamente, per qualsiasi progetto, passato, presente o
futuro, che voglia intervenire sul paesaggio.
Il problema di fondo che sembra tenere lo stesso autore al riparo dalla portata
estremamente ampia delle proprie stesse proposte teoriche, è forse proprio il
movente e la spinta da cui prende origine l'intera trattazione. Si tratta dell'urgenza
del riconoscimento che «il paesaggio sonoro del mondo sta cambiando». Anzi, si
potrebbe dire che il paesaggio sonoro del mondo è già cambiato. E certamente non

36 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 105.

28
in meglio:

l'inquinamento acustico rappresenta oggi un problema mondiale e il paesaggio sonoro


sembra avere raggiunto ormai il massimo della volgarità. Secondo molti autorevoli esperti,
se questo problema non verrà rapidamente preso in considerazione, il punto di arrivo sarà
una sordità universale37.

Di fronte a questo, ovviamente, la pacata attenzione che dovrebbe essere rivolta


alla ricerca formale e nozionistica cede decisamente il passo all'appassionata
battaglia che deve porre le basi per un mondo migliore. L'approccio ecologista fa da
sfondo all'intero pensiero di Murray Schafer e deve essere attentamente valutato per
una giusta comprensione dell'opera nel suo complesso. Si tratta di una questione che
difficilmente riesce a trovare un inquadramento definitivo, dal momento che di volta
in volta assume caratteri diversi, condizionando in modo non univoco la riflessione
dell'autore. Il problema principale che in più punti sembra emergere consiste nel
fatto che le considerazioni ecologiche orientano la trattazione verso la difesa a priori
della situazione del passato a scapito di quella presente. Sebbene non si possa negare
il fatto che la rivoluzione industriale abbia introdotto un cambiamento decisivo e
irreversibile, e troppo spesso non in senso migliorativo, nel paesaggio sonoro,
arrivando a produrre in molti ambiti quella «demistificazione degli elementi» 38 che
Murray Schafer rileva, la prospettiva di un “ritorno al passato”, dal nostro punto di
vista, non sembra rappresentare una via percorribile.
Nell'ambito del paesaggio sonoro, più che in altri, lo sviluppo della tecnologia
offre all'uomo delle possibilità di intervento assolutamente impensabili
precedentemente. Una posizione volta a migliorare il presente non può che partire da
una comprensione e da una conoscenza di tali mezzi, in vista della costruzione di un
futuro che non sia l'emulazione delle caratteristiche del passato, ma che, proprio
partendo da quelle, si rivolga ad una prospettiva ancora da costruire e da verificare.
Alla “demistificazione” degli elementi hanno fatto troppo spesso da contraltare
episodi di “mistificazione” di altri elementi, il più delle volte non compresi e relegati
con troppa fretta nel calderone delle “follie collettive” del nostro tempo. L'approccio
ecologista, di conseguenza, deve invece partire da una comprensione attenta della
propria contemporaneità, cercando in questa i mezzi tecnici e gli strumenti per il

37 Ivi, p. 13.
38 Ivi, p. 42.

29
proprio intervento, e trovando nel passato gli argomenti e il sostegno teorico per la
propria trasformazione.
E' proprio questo approccio, del resto, a rappresentare il ramo positivo della
visione ecologista schaferiana, che, appunto, facendo tesoro della lezione del
passato, mira a costruire un presente che ristabilisca una attenzione e una cura verso
l'elemento sonoro. L'idea centrale consiste nel fatto che il mondo acustico che ci
circonda non deve solo essere tollerato, in qualche modo reso accettabile, ma deve
essere primariamente compreso, vissuto, abitato, e quindi partecipato e prodotto
attivamente. Da qui un atteggiamento molto critico nei confronti di quegli interventi
volti a diminuire semplicemente l'impatto sonoro del rumore, riducendo il volume
delle emissioni senza interrogarsi sul senso profondo della relazione tra il paesaggio
sonoro e la qualità della vita di chi vi abita. Il paesaggio sonoro è prodotto in primo
luogo dall'attività dell'uomo, e di conseguenza non si potrà mai giungere ad una
situazione stabile ed efficace, se la disattenzione e la mancanza di interesse verso
questo elemento continuerà a caratterizzare l'approccio dell'individuo nella vita di
tutti i giorni. Una considerazione correttamente ecologista deve partire proprio da
questa domanda, indagando e ricercando le cause e i fondamenti che legano l'uomo
al proprio paesaggio, e favorendo il rafforzamento di questa relazione. Ecco perché
una legislazione che si pone come obiettivo la mera riduzione del rumore non può
che risultare assolutamente inefficace. L'unico interesse che queste legislazioni
possono avere è l'interesse dello studioso, che dalla lettura deduce «le fobie e i
disturbi acustici di ogni epoca. I loro diversi orientamenti costituiscono lo specchio
del mutare degli atteggiamenti e della percezione collettiva e assumono una
particolare importanza nello studio del valore simbolico dei diversi suoni»39.
Lo studio delle legislazioni permette per esempio di notare come per secoli le
leggi siano state dirette principalmente contro le manifestazioni della voce umana, di
cui l'utilizzo nobile prevedeva pacatezza e ritegno: urla e schiamazzi denotavano
maniere rozze e appartenenza a classi subalterne, e come tali erano puniti. Al
contrario, nessun articolo fu mai promulgato con l'obiettivo di ridurre il suono ben
più potente dell'organo da chiesa o delle campane. Da questo si deduce che non si
tratta mai soltanto di limitare il rumore sgradevole, ma piuttosto di incentivare il

39 Ivi, p. 101.

30
suono attorno al quale la comunità si ritrova, che rappresenta un segnale o un
simbolo per la vita stessa. Le attuali legislazioni, che prevedono la limitazione
indiscriminata del rumore sulla base di limiti fissati per fascia oraria 40, falliscono
completamente questo obiettivo, favorendo invece la percezione del paesaggio
sonoro come un insieme indistinto di suoni anonimi. La disaffezione verso il mondo
sonoro che ci circonda porta, come inevitabile conseguenza, al disinteresse nei
confronti della nostra modalità di partecipazione a tale mondo. Il paesaggio sonoro
diventa una realtà estremamente frammentaria e soggettiva, composta da elementi
che trovano il loro significato esclusivamente nella sfera dell'interesse personale, e
che, quando vengono resi oggetto di attenzione, è per riconoscerne dei motivi di
disturbo. Solo in un contesto del genere, e solo a favore di un contesto del genere,
l'idea di un intervento legislativo finalizzato alla riduzione meramente quantitativa
del livello del rumore può trovare il suo sostegno.
Le osservazioni qui esposte non sintetizzano, del resto, tutte le cause da cui
deriva il degrado del paesaggio sonoro attuale. Almeno un elemento deve essere
ancora preso in considerazione: si tratta dell'associazione tra suono e potere 41. Per
quanto sia un argomento che affonda le proprie radici in un pensiero arcaico e
mitico, apparentemente molto lontano dalla nostra civiltà post-industriale, è
necessario notare che «nell'immagine degli uomini l'associazione tra rumore e potere
non è mai stata realmente infranta. E' un legame che passa da Dio al sacerdote, da
questi all'industriale e, in epoca più recente, al commentatore radiotelevisivo e
all'aviatore»42. Il problema non sta nella capacità di produrre rumori estremamente
potenti, ma nell'essere autorizzati a farlo. Osservando la nostra società non è certo
difficile trovare esempi che possano dimostrare come l'antica alleanza tra rumore e
potere sia tutt'altro che sciolta. L'avvento dell'industrializzazione ha anzi permesso
una enorme crescita nella capacità di produrre rumore, e di conseguenza ha
notevolmente alzato, in quest'ottica, la posta in gioco. La successiva svolta introdotta
dai mezzi di riproduzione del suono rende oggi la battaglia uno scontro possibile in

40 Per una considerazione dettagliata della legislazione italiana in materia di rumore, si veda
l'Appendice alla presente tesi.
41 Si tratta di una questione ampiamente discussa, che esula gli obiettivi del presente scritto.
Numerosa è la bibliografia in merito, si veda per esempio: M. Schneider, La musica primitiva, tr. it.
di S. Tolnay, Adelphi, Milano 1992.
42 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 112.

31
ogni momento e in ogni luogo, ponendo così le basi per quell'«imperialismo
sonoro», come lo definisce Murray Schafer, che contraddistingue la situazione
attuale. Lo sviluppo della civiltà porta quindi non solo al perpetuarsi degli antichi
miti, ma rinnova lo scontro ad un livello più alto, che non riguarda soltanto i singoli
individui, ma anche gruppi di individui accomunati da appartenenze musicali,
religiose, politiche, sociali, fino allo scontro tra stati nel complesso43. Quanto questa
situazione possa avere delle ripercussioni sulla natura del paesaggio sonoro è cosa
ovvia e sotto gli occhi di tutti: uno dei rumori considerati più fastidiosi nelle società
occidentali, secondo le statistiche, è rappresentato dal rumore dei motorini per
strada, un tipico ambito in cui lo scontro per il potere tra ragazzi trova un terreno
estremamente fertile.
Da queste considerazioni, l'indagine schaferiana si allarga a considerare il suono
come un elemento nel suo complesso di natura simbolica. La portata di queste
considerazioni è estremamente ampia, e richiederebbe un approfondimento
adeguato. Murray Schafer si riferisce direttamente alla teoria junghiana
dell'“archetipo” per comprendere come ogni manifestazione sonora non debba
riguardare soltanto l'area del razionalmente percepito, ma anche un sostrato
«inconscio più ampio, che non è mai definito esattamente o completamente
chiarito»44. Con questo il suono si estende a comprendere qualcosa di più del
semplice significato trasmesso dalle parole o dai vari segnali, comunicando in prima
istanza emozioni, sensazioni, passioni. Ecco perché il paesaggio sonoro dovrebbe
essere compreso all'interno di una riflessione “archetipica”, alla luce della quale i
miti e i simboli che attraverso il linguaggio possono essere comunicati, e che

43 Estremamente interessante sono gli studi che riguardano l'utilizzo del rumore nelle pratiche
di guerra, sia come arma fisica, sia come arma psicologica. L'impiego di suoni a bassissime
frequenze, per esempio, produce un effetto che non può essere percepito dall'orecchio (proprio perché
la frequenza ricade al di fuori del range percettivo), ma produce effetti di altro tipo sugli organi
interni del nostro corpo, che possono causare, per esempio, forti nausee, o in casi estremi anche la
morte per esplosione del cuore. Le cosiddette “armi sonore” sono state spesso utilizzate anche in
occasione di scioperi o manifestazioni, per disperdere la folla: si veda per esempio un articolo del
2009 apparso sul quotidiano Repubblica: http://www.repubblica.it/2009/09/ sezioni/esteri/cannoni-
sonori/cannoni-sonori/cannoni-sonori.html. Sul tema si consideri anche l'articolo di M. Liverani,
Armi di distruzione sonora, pubblicato online all'interno dell'interessante blog
www.essererumoroso.org (http://www.essererumoroso.org/ blog0/?p=24). Il riferimento più completo
è J. Volcler, Il suono come arma, gli usi militari e polizieschi dell'ambiente sonoro, tr. it. di R.
Cristofani, DeriveApprodi, Roma 2012.
44 Le citazioni che Murray Schafer fa dell'opera junghiana sono tratte da C. G. Jung, L'uomo e
i suoi simboli, tr. it. di R. Tettucci, Tea, Milano, 1991. In questo caso: p. 5.

32
attraverso il suono possono essere evocati,

possano nascere autoctoni in tutti gli angoli della terra, e nondimeno essere identici, perché
vengono appunto generati da quell'inconscio umano che è sempre il medesimo, che è
ovunque diffuso e i cui contenuti differiscono fra loro infinitamente meno che non le razze
e gli individui45.

Gli esiti a cui queste considerazioni potrebbero portare sono estremamente


rilevanti, arrivando a porre le basi per l'individuazione di un terreno comune a tutti
gli uomini, fondato sulla modalità di partecipazione all'evento simbolico nel suo
complesso. Il che rappresenterebbe, evidentemente, anche la chiave di volta per la
soluzione dei problemi legati al paesaggio sonoro. Non è nostro compito dare
risposta definitiva a tali questioni, quanto piuttosto rimarcare ancora una volta come
il peculiare metodo dell'indagine schaferiana, pur lasciando aperte e incompiute
alcune questioni, porti a degli spunti e a delle riflessioni estremamente profondi, e a
degli stimoli che potrebbero costituire dei nodi cruciali per la ricerca futura.
La natura simbolica del suono culmina con il riferimento al silenzio. La
celeberrima figura apocalittica per cui «quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si
fece silenzio in cielo per circa mezz'ora»46 sintetizza bene la potenza evocativa di
questo elemento. Il silenzio rappresenta una pausa all'interno delle nostre esistenze,
necessita riempimento, interroga l'uomo sul senso più intimo e profondo della
propria vita: il vuoto, l'assenza, il nulla. Proprio a questo tema è dedicato l'ultimo
capitolo dell'opera, dove il suono diventa il metro con cui si confrontano gli
interrogativi più propri del vivere umano, che si intrecciano con la profondità della
domanda relativa ad un senso che sembra continuamente sfuggire. Di fronte a questo
arretriamo, ci nascondiamo: emettendo rumore per convincerci di non essere soli,
per ricordarci della presenza di altra vita. Lo stesso identico fenomeno continua a
reiterarsi nonostante l'evoluzione e le conquiste della civiltà: si ritrova nei riti e nei
canti dell'uomo primitivo, come nelle moderne manifestazioni dell'uomo
occidentale, inebriato dalle conquiste della propria tecnica, ma incapace di ascoltare
in silenzio, di stabilire un rapporto con la dimensione fondamentale del fatto di stare
al mondo.

L'uomo moderno, che teme la morte come non mai era accaduto in precedenza, evita il

45 Ivi, p. 75.
46 Apocalisse 8,1.

33
silenzio per alimentare la propria credenza fantastica in una vita senza fine. […] Per
l'uomo occidentale, la contemplazione del silenzio totale si è trasformata in un'esperienza
negativa e terrificante47.

Di fronte a questo impoverimento del senso della nostra ricerca, e del senso
della nostra vita, si staglia sempre più imperante il rumore e il frastuono senza fine
dei paesaggi sonori contemporanei, sintomo evidente di una società incapace di
confrontarsi con la propria finitezza, con i propri limiti, e con la propria
imperfezione. In questa bellissima immagine di Murray Schafer vorremmo
sintetizzare la portata filosofica e profondamente umana del suo pensiero:

tutti i suoni sono imperfetti. Perché un suono fosse totalmente privo di distorsioni iniziali,
dovrebbe aver avuto inizio prima della nostra vita. E soltanto se esso continuasse anche
dopo la nostra morte – così che noi non percepissimo in esso alcuna interruzione – allora
potremmo percepirlo come un suono perfetto. Ma un suono come questo, che abbia avuto
inizio prima di noi e continui costante e senza cambiamenti per tutta la nostra vita, durando
oltre la nostra morte, verrebbe da noi percepito come... silenzio48.

Questo excursus all'interno della valenza simbolica del suono non è soltanto
finalizzato a mostrare l'ampiezza dello sfondo sul quale si muove la riflessione
schaferiana, ma rappresenta anche un elemento imprescindibile per un progetto che
abbia come finalità l'intervento e la trasformazione del paesaggio sonoro. La
dimensione simbolica, da cui deriva per la maggior parte la nostra percezione
emotiva e psicologica del suono, deve essere tenuta primariamente in considerazione
nella valutazione della qualità di un paesaggio sonoro. Il che permette di ribadire
ancora una volta l'inefficacia che caratterizza la maggior parte delle legislature
attuali contro il rumore. Non solo inefficaci, ma addirittura controproducenti: nella
misura in cui quando un suono viene vietato si carica automaticamente di un grande
valore simbolico. Il suono del tamburo sacro era il suono proibito a tutti i membri
della comunità, e proprio per questo era “il suono” per eccellenza 49. Allo stesso
modo mettere fuori legge un particolare suono vuol dire, secondo Murray Schafer,
«concedergli un ultimo onore: quello di renderlo onnipotente» 50. Il discorso qui
potrebbe estendersi ben oltre i limiti della discussione sul paesaggio sonoro, per

47 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 353.


48 Ivi, p. 359.
49 Sono molti i riferimenti possibili all'argomento: si veda per esempio C. Sachs, Storia degli
strumenti musicali, tr. it. di M. Papini, Mondadori, Milano 1980; M. Schneider, Il significato della
musica, tr. it. di A. Audisio, Se, Milano 2007.
50 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 281.

34
avvicinarsi ad una amplissima tradizione di dibattito filosofico e teologico sulla
natura della legge. Certamente, senza entrare nel dettaglio, l'idea che una legge per
funzionare non può essere imposta dall'alto, ma deve essere seguita e rispettata in
prima istanza a livello interiore, «scritta nel nostro cuore»51, secondo il famoso
precetto biblico, è a mio modo di vedere uno spunto troppo spesso ignorato dal
pensiero laico52. E sicuramente nella stessa direzione si colloca l'osservazione
shaeferiana secondo cui «l'unica legislazione contro il rumore veramente efficace
mai escogitata fu quella in cui interveniva la punizione divina: l'Epopea di
Gilgamesh (3000 a.C. Circa)»53.
Ma come è possibile allora, alla luce di tutte queste considerazioni, costruire un
paesaggio sonoro di qualità? Su quali basi? Con che mezzi? E' a questi interrogativi
che viene dedicata l'ultima sezione dell'opera, che rappresenta la sezione più
“pratica” del lavoro: come si può pensare a un intervento diretto sul paesaggio
acustico che ci circonda? che ruolo dovrà avere, con che mezzi dovrà operare, su che
cosa si dovrà basare la ricerca del designer acustico? In primo luogo si osserva che il
«design acustico non deve mai trasformarsi in un controllo estetico dall'alto. Il suo
scopo è piuttosto quello di ristabilire una significativa cultura uditiva e questo
compito riguarda tutti noi»54.
La partecipazione, quindi, è il primo elemento necessario alla riuscita
dell'intervento: il progetto deve in primo luogo essere compreso e favorito dagli
abitanti del luogo. Non si tratta, in questo caso, del fatto che qualcuno possa
accettare o meno la qualità del lavoro dell'esperto, non si tratta della nota questione
relativa alla distanza tra le ragioni dell'arte (o della scienza) e quelle del popolo. Si
tratta piuttosto del fatto che dalla capacità di farsi comprendere dipende l'intera
riuscita dell'operazione: il paesaggio sonoro non può essere pensato in nessun caso
come un elemento estraneo alla popolazione locale, imposto dall'alto attraverso un
intervento esterno. Tutti ne fanno parte e tutti ne sono direttamente i produttori. Per

51 Geremia 31, 33.


52 Non si pretende certo di aver risolto con queste poche osservazioni la questione. Si vuole
però osservare che una disponibilità maggiore da parte della cultura laica ad accogliere gli argomenti
tradizionalmente considerati “dei teologi”, potrebbe portare ad un arricchimento generale e a nuove
prospettive di ricerca. Si rimanda in particolare a P. Sequeri, L'umano alla prova, Vita e Pensiero,
Milano 2002.
53 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 265.
54 Ivi, p. 286.

35
riprendere l'immagine usata da Murray Schafer, ci troviamo ad un concerto
permanente dell'universo dove i posti in sala sono gratuiti. Non solo: ci troviamo ad
assistere ad un concerto con uno strumento in mano, per cui l'equilibrio della
composizione dipende in prima istanza dal modo in cui decidiamo di farne uso, di
“accordarci” con il resto dell'universo55. E proprio questa immagine deve fornire le
coordinate per comprendere l'importanza dell'intervento del designer acustico: egli
viene a costituire, seguendo la nostra immagine, il diapason e il metronomo del
paesaggio sonoro, il responsabile del fatto che tutti gli strumenti possano suonare
con lo stesso ritmo e nella stessa tonalità.
Nello sviluppo concreto del progetto, il primo «modulo» di riferimento non può
che essere costituito dall'essere umano, con la sua capacità sensoria, con la propria
voce e con il proprio orecchio. In questa ottica il paesaggio sonoro naturale è
pressoché perfetto: pochissimi suoni naturali, infatti, hanno la capacità di arrecare
danno all'udito umano o di impedire una comunicazione vocale. Il secondo livello di
comprensione deve relazionarsi al concetto di “comunità acustica”. Platone
identifica la comunità ideale in 5400 individui, ossia il limite massimo di persone da
cui un singolo oratore poteva essere udito, così come anticamente i confini dei
quartieri cittadini erano stabiliti in base ai limiti della percezione del suono delle
campane. I mezzi della tecnica rendono questi numeri quasi ridicoli, permettendo
agevolmente di rendere percepibile un suono a distanza impensabile, e
frammentando così i confini acustici di quella che si considerava la comunità
naturale. Il che rende necessario, di conseguenza, oltre che un intervento regolatorio,
un atto di ricomprensione delle categorie implicate. Il primo compito del designer
acustico è quindi quello di comprendere i caratteri e i limiti della comunità con cui si
confronta.
A partire da questo, il compito successivo deve consistere in un intervento
finalizzato all'educazione e alla sensibilizzazione all'ascolto della popolazione
interessata. L'obiettivo può essere perseguito attraverso diverse strategie e iniziative,
alcune delle quali sono diventate nel tempo dei veri e propri “classici” per chi si
occupa della materia. Tra queste iniziative la più famosa consiste nell'ideazione di
«passeggiate sonore» attraverso percorsi stabiliti. Si tratta di vere e proprie “visite

55 Il termine accordare ha una interessante assonanza con il fatto di “mettersi d'accordo”.

36
guidate” attraverso il paesaggio sonoro con l'obiettivo di far prendere coscienza
all'individuo del mondo acustico nel quale è inserito. Proposte a partire dai primi
anni '60 all'interno del World Soundscape Project, le passeggiate sonore sono
tutt'oggi molto diffuse56. L'idea di base è ovviamente quella di stimolare
un'attenzione diversa verso il paesaggio e verso lo stesso atto dell'ascolto, che sia
finalizzato a cogliere nel suono il suo significato più intimo, cercando di stabilire
con esso una relazione profonda, che sappia accogliere e apprezzare il momento del
rumore e come quello del silenzio, . Un atteggiamento in netta controtendenza
rispetto alla imperante politica pubblicitaria “da villaggio turistico”, basata sulla
forza dell'immagine pubblicitaria, dove la qualità del paesaggio dipende meramente
da ciò che si vede, e la dimensione acustica viene generalmente subordinata al
“tormentone” musicale dell'anno.
Andare contro questa tendenza significa, per usare una espressione schaferiana,
«pulire l'orecchio»57, ossia in realtà pulire la mente: svuotarla da tutti i luoghi
comuni che la società del consumo le impone, e cercare un contatto più intimo con il
mondo che ci circonda. Oltre alle passeggiate sonore gli esercizi proposti sono
numerosi: l'ascolto del silenzio, la sospensione della parola, la capacità di isolare un
suono all'interno di una realtà caotica, la descrizione di un suono con parole. Si
intuisce come l'intento voglia travalicare il campo della ecologia acustica per
arrivare a teorizzare la necessità di un cambiamento di approccio che riguarda la vita
dell'individuo nel suo complesso. L'obiettivo è quello di ritrovare una sintonia e un
rapporto armonico con i ritmi del nostro corpo e della natura in generale58. Anche in
questo caso l'esempio da seguire è rappresentato semplicemente dalle alternanze
stagionali e dai ritmi che la natura ha spontaneamente costituito: gli studi e i grafici
derivati permettono di notare che «per ogni cosa c'è una stagione» 59. Così nei tempi
56 Anche in Italia le iniziative sono numerose. Il concetto di passeggiata sonora ha avuto una
evoluzione nel tempo: l'idea schaferiana è quella di un viaggio attraverso un luogo, del quale viene
messa in risalto la componente acustica. Ultimamente questo modello è stato utilizzato, per esempio,
con scopi artistici: dei lettori mp3 sono distribuiti ai partecipanti, che si trovano ad ascoltare paesaggi
sonori artificiali durante la passeggiata. Sull'argomento si veda il cap. 9 di: R. Belgiojoso, Costruire
con i suoni, Franco Angeli, Milano 2009.
57 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 289.
58 Gli studi sul rapporto tra i ritmi del corpo e quelli del cosmo hanno sempre costituito un
terreno di interesse particolare per i filosofi. Numerose sono le teorie formulate, a partire dalla
famosa concezione pitagorica. Una utile introduzione all'argomento si può considerare Introduzione
alla filosofia della musica, a cura di C. Migliaccio, Utet, Novara 2009.
59 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 317.

37
lunghi come in quelli brevi, il volume sonoro della natura sembra essere regolato da
una vera e propria partitura musicale, in cui le voci, i canti e i rumori dei suoi
esecutori si alternano senza mai sovrapporsi, adeguandosi alle caratteristiche
particolari di ogni contesto60.
Studiando i peculiari caratteri di ogni paesaggio sonoro, conoscendo le modalità
e le possibilità di una coesistenza armonica tra i suoni, e con la padronanza dei
mezzi derivati dalle più recenti scoperte scientifiche, l'intervento del designer
acustico si colloca allora in una difficile intersezione che comprende gli ambiti
propri dell'educatore, dell'ecologista, del ricercatore, dello storico, del tecnico, dello
scienziato.

Il compito di un designer acustico è quello di mettere fine a questo disordine, cercando di


collocare nuovamente la società in un contesto più umano. E questo compito non è certo
meno arduo di quello di un urbanista o di un pianificatore, ma è altrettanto necessario61.

Certamente il conseguimento dell'obiettivo potrà essere raggiunto soltanto


attraverso una presa di coscienza più generale del problema, in particolare da parte
degli architetti e degli urbanisti. Il contesto geografico e l'organizzazione spaziale
dell'ambiente costituiscono infatti elementi di fondamentale importanza per una
corretta propagazione del suono. In passato gli edifici si caratterizzavano non solo
per il loro aspetto visivo, ma anche sonoro: i grandi spazi, le chiese, i palazzi, i teatri
venivano costruiti con una grande attenzione verso l'elemento acustico. Oggi tale
elemento serve al massimo per mascherare i fastidi dovuti ad una insufficienza
complessiva a livello progettuale. L'approccio al fenomeno acustico si caratterizza
quindi, in ambito urbanistico e architettonico, in senso prevalentemente negativo: il
suono non si progetta per essere ascoltato, ma per coprirne dell'altro. Con un tale
atteggiamento non si riuscirà mai a invertire la tendenza:

oggi gli architetti lavorano per dei sordi. E anche le loro orecchie sono foderate di
prosciutto. E fino a quando gli architetti non si stureranno le orecchie e non si
eserciteranno nella pratica della pulizia dell'orecchio, l'architettura moderna andrà avanti
con la sua imbecillità62.

Di fronte a questo, l'atteggiamento del designer non deve certo essere remissivo
60 Si vedano i risultati citati qui da Schafer, ma anche: F. Mosetti, Musica subsonica e cicli
ambientali; R. Haase, Ritmi armonicali nella natura. Entrambi in: L'ascolto del tempo, a c. di A.
Mayr, A. Colimberti, G. Montagano, (mp)x2 Editore, Firenze 1995.
61 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 300.
62 Ivi, p. 309.

38
o rinunciatario. Anzi, l'urgenza della situazione necessita un intervento deciso e
perentorio: conoscendo i principi e i fondamenti dell'armonia egli deve porre le basi
per una orchestrazione del paesaggio che dia vita ad una composizione equilibrata.
Le regole armoniche che in questo caso sono implicate non sono evidentemente le
stesse che riguardano l'armonia musicale, ma sono costituite da quattro principi
fondamentali. Il primo consiste nel «rispetto dell'orecchio e della voce»63, nella
consapevolezza che quando l'orecchio soffre di uno spostamento di soglia e quando
la voce non riesce a essere udita ci troviamo in presenza di un ambiente nocivo. Il
secondo riguarda la natura simbolica del suono: per essere compreso in modo
approfondito nella sua valenza e nella sua funzione sociale, il suono non deve mai
essere interpretato semplicemente come un segnale funzionale, ma deve sempre
essere indagato anche nella sua componente simbolica. Il terzo principio prevede la
conoscenza dei ritmi e dei tempi del paesaggio sonoro naturale, inteso come primo
esempio, forse ancora insuperato, di paesaggio realmente a misura d'uomo. Infine è
necessario che il designer conosca «quei meccanismi di equilibrio grazie ai quali è
possibile correggere un paesaggio sonoro compromesso»64. Si tratta dei veri e propri
strumenti del mestiere, che necessitano una buona comprensione del suono e degli
effetti sonori in quanto fenomeni fisici, e dei vari mezzi tecnici esistenti per
controllarli.
Se da un lato questi principi costituiscono il fondamento e la possibilità per un
intervento efficace, dall'altro, come abbiamo visto, l'impresa riguarda un ampio
coinvolgimento delle categorie sociali implicate, da che risulta evidente che «un
designer acustico non può rimodellare la società nel suo complesso, può soltanto
mostrare quali errori la società stia commettendo nel non riconoscere questo stato di
cose e questa esigenza»65. L'intervento si caratterizza quindi per una intrinseca
ambivalenza: può offrire al suo pubblico solo nella misura in cui è costretto a
richiedere da esso. E' un compito quasi profetico, nel senso biblico del termine, che
non può mai fare riferimento a degli schemi assoluti e a degli elementi certi su cui
contare, ma che sempre deve fare i conti con i caratteri peculiari della realtà locale,
rinunciando ad argomenti e a schemi predefiniti. Un compito che va costruito e
63 Ivi, p. 328.
64 Ibidem.
65 Ivi, p. 329.

39
pensato nel dettaglio, ma che allo stesso tempo deve essere evocativo ed emotivo a
livello complessivo. Un compito che richiede la conoscenza e la padronanza delle
più recenti conquiste della tecnica, ma che si rivolge in prima istanza al sentimento.
In fin dei conti: un compito difficile, che richiede creatività, sensibilità, disponibilità
e capacità di approfondimento teorico. In questo senso l'intervento del designer può
essere paragonato a quello dell'artista: è proprio questo l'ultimo pensiero che
troviamo nell'opera. L'artista ricerca, propone, suggerisce, mai impone. Stimola con
il proprio comportamento e con il proprio esempio, evoca con le proprie immagini,
ma spesso, nonostante questo, si ritrova ai margini della società, non compreso e non
accettato a causa delle logiche del mercato e delle ragioni della “gente comune”.
Ecco quindi un altro ambito a cui il lavoro del designer può fare riferimento: l'arte,
la cui funzione è quella di «spalancare nuovi modelli di percezione, rappresentare
stili alternativi di vita»66.
Da queste osservazioni nascerà una prolifica corrente musicale definita
soundscape composition, che non lascerà indifferenti molti dei più grandi
compositori del Novecento67. La fusione del mondo espressivo dell'arte con le
istanze e le preoccupazioni provenienti da una riflessione ecologista rappresenta
forse la conquista teorica di più grande respiro di questa opera, in grado di elevare la
riflessione al di sopra della mera considerazione degli aspetti quantitativi legati al
degrado ambientale, e rendendola invece uno strumento in grado di fondare una
comprensione dell'umano nel suo complesso. Alla luce del riconoscimento
dell'intrinseca ambivalenza che lo contraddistingue: da un lato attore in grado di
costruire il proprio destino, dall'altro ospite inaspettato di un mondo già regolato
dalle sue leggi e dai suoi ritmi. Su questo sfondo l'esperienza artistica trova la sua
dimensione in quanto espressione felice di «sogni utopistici», ma anche la
profondità e la serietà legate alla possibilità di comunicare un messaggio in un
linguaggio diverso, stimolando una partecipazione da parte del recettore e creando in
esso una consapevolezza su cui costruire la possibilità di un mondo migliore. Uno
degli esempi che viene citato è la Universe Symphony di Charles Ives, un'opera
pensata per centinaia e migliaia di esecutori sparsi sulle montagne, nelle valli, nelle

66 Ibidem.
67 Affronteremo l'argomento nel dettaglio nel successivo capitolo.

40
colline di chissà quale angolo di mondo. Un'opera in fondo irrealizzabile, e che
nessun singolo individuo avrebbe mai potuto controllare o padroneggiare:

si tratta certo di una intuizione, ma di una intuizione che stimola enormemente


l'immaginazione. Immaginarci come uno degli esecutori di questa sinfonia dell'universo
induce a prestare una maggiore attenzione critica alla nostra partecipazione, invece di
considerarci semplicemente degli abitanti di una discarica di rifiuti. Riusciremmo ad
analizzare e criticare meglio la musica, a individuare i solisti, i direttori, le prime donne, a
rilevare i pregi e i difetti di ciascuno. E il designer acustico potrebbe offrirci la nostra parte
di partitura, come già hanno realmente fatto certi giovani compositori, nel corso di alcune
esecuzioni di composizioni ambientali68.

4. Barry Truax e la prospettiva comunicazionale

Dopo il 1977, l'interesse di Murray Schafer si è rivolto principalmente alla


composizione musicale e allo studio del ruolo educativo e formativo della musica.
L'impegno legato ai temi del paesaggio sonoro e alle sue conseguenze sociali ed
ecologiche, da parte del compositore canadese, vede quindi in qualche modo un
cambiamento di prospettiva, o almeno di ambito, rispetto a quello considerato fino a
questo punto. Gli aspetti più strettamente teorici della ricerca vengono infatti
abbandonati a favore di un approccio più concreto e pratico nella considerazione del
suono e dei suoi possibili utilizzi69. Le suggestioni e gli interrogativi che rimangono
aperti nel Paesaggio sonoro sono quindi lasciati in eredità alle ricerche del World
Soundscape Project, e proprio in questo ambito trovano una elaborazione e una
sistemazione più definitiva. Tra queste ricerche quella che più decisamente si pone
come la continuazione della prospettiva inaugurata dal maestro, è certamente
rappresentata dal lavoro di Barry Truax. Compositore e sperimentatore nell'ambito
della musica elettroacustica e dell'informatica musicale, Truax è stato fin dai primi
anni '60 uno dei più stretti collaboratori di Murray Schafer, partecipando in prima
persona alla fondazione del World Soundscape Project. Tra i suoi scritti, quello che
riguarda più da vicino il tema del paesaggio sonoro è probabilmente Acoustic
Communication, pubblicato nel 1984. In quest'opera si avverte chiaramente una
68 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 337.
69 Stanno a conferma di questa affermazione, oltre alle numerosissime composizioni musicali,
alcuni scritti significativi: si veda per esempio The Thinking Ear: On Music Education del 1986, A
Sound Education: 100 Exercises in Listening and Soundmaking del 1992 o il più recente A Little
Sound Education del 2009.

41
duplice esigenza: da un lato quella di cercare una sistemazione teorica per alcune
categorie introdotte dalla riflessione schaferiana, che come abbiamo visto non
sembrano avere ancora trovato una collocazione definitiva. Dall'altro quella di
aggiornare l'impianto complessivo della teoria alla luce delle più recenti scoperte e
conquiste della tecnica.
Il primo obiettivo è perseguito attraverso il ricorso alla prospettiva
“comunicazionale”, che consiste, secondo la definizione dell'autore, in «un nuovo
approccio al ben noto argomento del suono. Uso il termine “comunicazione
acustica” perché rappresenta il modo più generale possibile per descrivere il
complesso dei fenomeni che riguardano il suono secondo una prospettiva umana» 70.
In quest'ottica, dunque, il concetto di «“paesaggio sonoro” non si considera un
sinonimo di “ambiente acustico”, ma un termine centrale per la comunicazione
acustica. Esso si riferisce al modo in cui l'individuo e la società nel suo complesso
comprendono l'ambiente acustico attraverso l'udito»71. Si può notare fin da queste
prime battute come l'approccio, anche da un punto di vista stilistico, sia molto più
pacato rispetto a quello della prosa schaferiana. Il che da un lato toglie forse un po'
di tensione all'opera in generale: appassiona meno, se così si vuole dire. Ma
dall'altro permette una comprensione molto più attenta e sofisticata dei concetti
implicati, e apre la strada per una considerazione certamente più definitiva del
problema.
Parlare di paesaggio sonoro in una prospettiva comunicazionale, quindi,
significa mettere questo concetto in relazione ad altri elementi che diventano
assolutamente imprescindibili. Il primo è quello di “contesto”: ogni ambiente sonoro
è caratterizzato da un particolare contesto, all'interno del quale si definiscono le
condizioni generali per ogni possibile significazione. Il suono preso in se stesso,
astrattamente, non trasmette alcun significato: questo non può che essere la
conseguenza delle particolari circostanze fisiche dell'ambiente attraverso cui il
suono si propaga, e delle determinazioni culturali della situazione nella quale è
percepito. Il che vuol dire pensare ad ogni manifestazione sonora come ad una
“relazione” che si instaura tra più elementi, che di conseguenza non possono più
70 Barry Truax, Acoustic Communication, Ablex Publishing Corporation, Norwood, New
Jersey 1984, p. xi. L'opera non è tradotta in italiano, tutte le citazioni riportate sono tradotte da me.
71 Ivi, p. xii.

42
essere pensati in maniera isolata. «L'approccio comunicazionale mira a comprendere
la struttura formata da suono, ascoltatore e ambiente come un sistema di relazioni, e
mai questi singoli elementi come entità isolate»72. Questa impostazione, tra le altre
cose, fornisce degli elementi che rappresentano la possibilità del superamento
definitivo della teoria dell'informazione di Abraham Moles.
Tale teoria, riconosce Barry Truax, ha rappresentato una svolta decisiva nel
modo di interpretare il mondo acustico, e costituisce una premessa indispensabile
per la nascita della propria stessa concezione. E' proprio grazie alla teoria
dell'informazione, infatti, che il suono ha cominciato a essere considerato come un
mezzo per uno «scambio di informazione, piuttosto che per un trasferimento di
energia»73. Osservazione che è del tutto in sintonia con l'impostazione che abbiamo
delineato nel primo paragrafo, e pone l'attenzione sull'evoluzione che ha
rappresentato la teoria dell'informazione rispetto alla visione scientifica del suono.
D'altra parte però, la teoria di Moles non è riuscita ad arrivare ad una sintesi
definitiva del fenomeno sonoro, garantendone una coerenza e una visione di insieme
unica, proprio a causa del particolare recupero del concetto di oggetto sonoro.
L'approccio comunicazionale, di conseguenza, si pone come obiettivo quello di «non
considerare in nessun modo il suono indipendentemente dai processi cognitivi che
ne permettono una comprensione»74 E anzi qualche pagina più avanti leggiamo che
«l'“oggetto sonoro” (ossia un suono dell'ambiente isolato dal suo contesto attraverso
una registrazione) non può significare nulla, fuorché una semplice sensazione
uditiva»75. Il che sembra rappresentare, chiaramente, una vera e propria risposta alla
teoria molesiana.
L'argomentazione procede cercando di definire meglio il concetto di paesaggio
sonoro: l'operazione viene condotta partendo dalla differenza semantica che
intercorre tra il “sentire”, nel suo senso esteriore di “udire”, e l' “ascoltare”. Tale
differenza è la stessa che distingue il termine “paesaggio sonoro” rispetto a qualsiasi
altra formulazione rimandante ad una idea generale di “ambiente acustico”76. Il

72 Ivi, p. xi.
73 Ivi, p. 10.
74 Ivi, p. 9.
75 Ivi, p. 45.
76 Va da sé il fatto che non sempre le possibilità della traduzione permettono di rendere in
modo del tutto efficace gli argomenti proposti. Una tale considerazione rimarrà implicita nel corso

43
paesaggio sonoro non si può infatti considerare semplicemente come la somma
delle onde sonore percepibili in un dato spazio, cioè come la mera totalità del suono
udibile. Piuttosto si tratta di una visione complessa che implica in primo luogo una
attenta considerazione del modo in cui tale suono è recepito e interpretato dalla
popolazione che lo abita e che lo produce. E' evidente, se occorresse sottolinearlo
ancora una volta, che la modalità di tale ricezione non può che dipendere dal
contesto particolare in cui si verifica, dalle regole sociali e culturali che la comunità
si costruisce, e dalle strutture linguistiche e simboliche che ne stanno alla base.
Soltanto seguendo questo approccio si può arrivare ad una comprensione totale del
fenomeno sonoro:

se noi spostiamo la nostra attenzione dalle onde sonore e dal segnale acustico inteso come
artefatto al paesaggio sonoro, in cui il suono rappresenta la mediazione delle relazioni tra il
singolo individuo e l'ambiente, possiamo capire le complicate modalità in cui il suono
funziona, e non solo semplicemente il modo in cui questo si comporta77.

Il primo elemento da indagare è quindi l'ascolto, cioè l'atto da cui prende le


mosse ogni nostra attività e interazione con il suono. L'ascolto si differenzia dal
semplice udire per il fatto di essere un processo attivo: ascoltando non ci limitiamo a
percepire passivamente una realtà sonora, ma attribuiamo a quella realtà un senso, la
interpretiamo. E' un atto di attribuzione simbolica di significato, quindi, che è
implicato durante l'ascolto. Un atto che può essere influenzato da diversi fattori: da
un lato i fattori “oggettivi”, relativi cioè alle differenti condizioni che caratterizzano
di volta in volta il paesaggio sonoro, e dall'altro i fattori “soggettivi”, inerenti alla
nostra capacità momentanea di aprirci alla recezione del dato percettivo. Il nostro
ascolto non può essere infatti considerato come una attività neutrale che produce un
effetto costante e prevedibile a degli impulsi. Al contrario, il risultato di tale
processo, pur potendo essere, in alcuni casi, il prodotto dagli stessi identici stimoli,
è sempre influenzato dalla nostra condizione fisica e mentale, dalla nostra
disponibilità attuale a recepire informazioni provenienti dall'esterno.

del testo. I termini a cui si fa riferimento sono quelli inglesi hear (sentire, udire), e listen (ascoltare).
Vorremmo rilevare, sempre a livello linguistico, una difficoltà inerente alla stesa nozione di
“paesaggio sonoro”: il termine inglese soundscape è infatti coniato con l'idea di esprimere, anche a
livello grafico e fonetico, una unitarietà e una forza ben maggiore rispetto a qualsiasi altra
espressione generica indicante un “ambiente acustico” (sonic environment). Tale aspetto non è
riproducibile nella lingua italiana.
77 B. Truax, Acoustic Communication, cit., p. 12.

44
Truax distingue di conseguenza tre principali livelli di ascolto: “l'ascolto-alla-
ricerca” (listening-in-search), “l'ascolto-nella-prontezza” (listening-in-readiness),
“l'ascolto di sottofondo” (background listening)78. Quello che differenzia questi tre
livelli è proprio il grado di attenzione che rivolgiamo all'evento sonoro. Nel primo
caso siamo estremamente concentrati sulla ricezione di un unico suono particolare, il
che ci permette di percepirlo anche in situazioni estremamente disagiate: la voce di
un amico in discoteca, la linea melodica della viola in una composizione sinfonica,
per esempio. Il secondo caso è caratterizzato dalla disponibilità ad accogliere
soltanto quell'insieme suoni che ci trasmettono una particolare informazione: siamo
pronti a ricevere un messaggio, indipendentemente dal suono attraverso cui ci viene
comunicato. Un esempio può essere quello della mamma che viene svegliata dal
pianto del bambino, o anche semplicemente dal suo respiro affannoso, ma non dal
passaggio di un camion lungo la strada. Il terzo tipo di ascolto è caratterizzato da un
minore livello di attenzione: quando percepiamo ripetutamente gli stessi suoni,
questi tendono a diventare suoni di sottofondo, influendo sempre di meno sulla
nostra vita, proprio perché, abituandoci, rivolgiamo ad essi sempre meno attenzione.
Sulla base di queste tipologie di ascolto si ridefiniscono quegli elementi
interpretativi del paesaggio sonoro che avevamo visto introdotti nell'opera di Murray
Schafer: la tonica, il segnale e l'impronta sonora. Il recupero di questi elementi va di
pari passo ad un vero e proprio ribaltamento di prospettiva, che sposta l'attenzione
dal suono in sé al tipo di atto percettivo che viene implicato. I tre concetti si liberano
quindi da quella pretesa di oggettività che caratterizzava la visione schaferiana, e
che sembrava difficilmente gestibile: il concetto oggettivo infatti non può che essere
il prodotto di un singolo punto di vista imposto successivamente sulla comunità. Al
contrario, lo spostamento di orizzonte che qui si verifica mette queste nozioni alle
dirette dipendenze della struttura stessa della percezione individuale. Il vociare di
una classe di bambini in un asilo, per esempio, potrebbe essere considerato come
una tonica da chi abita nella casa di fronte, come un segnale dalla mamma di un
bambino, e come una impronta sonora dalla maestra della classe. Una tale
sistemazione dei concetti sicuramente conferisce una estrema chiarezza alla teoria,
rendendo questi elementi dei cardini attraverso cui interpretare il paesaggio sonoro,

78 Ivi, p. 20.

45
ma dall'altra parte complica notevolmente le cose per un approccio che volesse
intervenire su di esso migliorandone la situazione. Il processo di attribuzione
simbolica dell'elemento sonoro, infatti, viene in questo modo disperso e
frammentato all'interno del gusto e della disponibilità soggettiva del momento e
dello stato d'animo individuale, facendo crollare il presupposto per qualsiasi
progetto che volesse stabilire un equilibrio tra il paesaggio sonoro e il punto di vista
(necessariamente intersoggettivo) della comunità che lo abita. Il che d'altra parte
rappresenta, a mio modo di vedere, un punto di partenza assolutamente necessario
per una riflessione che voglia considerare seriamente il tema del paesaggio sonoro
nel nostro mondo contemporaneo. Il multiculturalismo che contraddistingue le
attuali società globali frammenta la modalità dell'investimento simbolico all'interno
dei gruppi, delle culture e delle minoranze che le costituiscono. La “comunità
acustica” non può più, quindi, essere considerata un punto di partenza dato per
scontato, ma al contrario deve rappresentare un punto di arrivo che sia costituito,
fondato e identificato. Solo da questo atto può partire un progetto di trasformazione
che trovi il suo appoggio e il suo sostegno nella popolazione locale.
Certamente il contesto sociale del 1984 era molto diverso da quello attuale,
nondimeno, a mio modo di vedere, l'intuizione di Barry Truax si muove proprio in
questa direzione. Si tratta infatti, nell'ottica dell'autore, di mettere in luce il fatto che

l'ordine che sta alla base del paesaggio sonoro naturale (anche se questo insieme di suoni
può sembrare casuale ad un qualsiasi osservatore), e i gradi di ordine e di disordine che
caratterizzano i paesaggi sonori umani, possono essere riflessi nei processi mentali che li
organizzano79.

Il punto è rappresentato, quindi, dalla possibilità di trovare una “costante


umana”, presente in ogni individuo, che possa essere posta a fondamento della
costruzione interpretativa del fenomeno sonoro da parte del soggetto, e che allo
stesso tempo possa essere la base su cui costruire l'idea stessa di comunità acustica.
Senza questo elemento non si potrebbe procedere oltre lo stallo concettuale che
sembra delinearsi all'orizzonte. Se l'investimento simbolico del suono, infatti, viene
rimesso nella sfera propria del singolo, ogni interpretazione basata sull'idea di una
modalità di ricezione intersoggettiva e comunitaria sembra doversi escludere a
priori, in quanto dovuta ad una imposizione esterna di significato sulla comunità
79 Ivi, p. 43.

46
stessa80: la “costante comunitaria” non potrebbe che essere il prodotto del punto di
vista dell'osservatore esterno, o al massimo di uno dei suoi membri, successivamente
imposto all'intera comunità. L'alternativa che sembra quindi porsi è questa: o
perdere del tutto la possibilità di pensare ad un intervento sul paesaggio sonoro,
essendo questo messo alle dipendenze della situazione “umorale” e imprevedibile
del singolo, oppure, dall'altro lato, perdere il senso specifico della comunità in
quanto insieme di soggetti liberi e interagenti, per sostituirlo con un riconoscimento
dall'alto di soggetti simili accomunati da tratti arbitrari. Il che, se già sembra limitato
per quanto riguarda il riconoscimento delle società antiche, risulta del tutto
fuorviante e inefficace per la comprensione di quelle contemporanee.
La soluzione di questo problema, nell'ottica di Barry Truax, consegue
direttamente alla particolare impostazione comunicazionale. Per il fatto, in
particolare, che questa si basa sul riconoscimento di un «continuum» tra parola,
musica e suoni dell'ambiente. Il che è reso possibile, a sua volta, proprio dal
particolare modo di intendere la nozione di paesaggio sonoro. Se si dovesse pensare
al paesaggio sonoro come un semplice fatto fisico, infatti, non ci sarebbero elementi
a supporto di questa interpretazione: mentre la parola e la musica si basano su un
fatto primariamente comunicativo, che ne rende possibile il confronto, i suoni
dell'ambiente sarebbero invece rappresentati soltanto attraverso un livello
quantitativo di rumore. Al contrario,

una volta che abbiamo sostituito la nozione [di ambiente acustico] con quella di
“paesaggio sonoro” per porre l'accento sul modo in cui l'ambiente acustico è compreso,
questo comincia a caratterizzarsi come una componente importante per la comunicazione
umana, e come tale è comparabile con le altre [cioè la parola e la musica]81.

L'elemento comunicativo è quindi l'elemento che permette di mettere in


successione queste tre modalità di trasmissione acustica dell'informazione. Il fatto di
intendere come un'unica struttura la sequenza “parola – musica – paesaggio sonoro”
permette alcune considerazioni. Innanzitutto si nota che l'estensione del repertorio
sonoro coinvolto aumenta notevolmente muovendoci da sinistra a destra. Mentre la
80 A meno che non si voglia pensare ad una comunità in cui ogni possibile attribuzione di
senso, riferita ad ogni possibile suono, sia regolata da un codice preciso (il che è evidentemente
impossibile). La regolamentazione dell'elemento sonoro, per inciso, sebbene sia basata
prevalentemente su leggi non scritte, è peraltro un elemento fondamentale nell'atto complessivo
legato alla costruzione di una comunità. Il caso più evidente è quello della lingua.
81 B. Truax, Acoustic Communication, cit., p. 43.

47
lingua si basa pressappoco su 40 fonemi 82, il numero dei suoni dell'ambiente è
pressoché infinito. Questo porta di conseguenza alla necessità di una organizzazione
sintattica del suono molto maggiore nel caso della lingua, e quindi ad un aumento
della quantità di informazione trasmessa nell'unità di tempo. Una ulteriore differenza
è relativa al fatto che, mentre il valore semantico della parola può essere in qualche
modo isolato e considerato da un punto di vista assoluto 83, il suono del paesaggio
sonoro non può prevedere un simile approccio: esso infatti «acquisisce significato
solamente attraverso il suo contesto, e cioè, attraverso la relazione complessiva che
instaura con l'ambiente»84. Si tratta, nell'ottica di Barry Truax, di un allargamento di
prospettiva necessario: una tale impostazione permette infatti di eliminare qualsiasi
barriera tra i vari campi e le varie modalità di interpretazione del suono, per
considerarlo come un unico evento complesso, che ha a che fare, nella sua variante
linguistica, musicale e ambientale, con l'esperienza della comunicazione umana in
generale.
Il nucleo concettuale che sta alla base di questa rappresentazione è da
identificare nella struttura che rende possibile ogni trasmissione di significato, cioè il
processo “suono – struttura – significato”. La riflessione qui sembra avvicinarsi
molto al terreno specifico della filosofia del linguaggio, ma l'attenzione dell'autore si
concentra invece ancora una volta sul tema del paesaggio sonoro: in che senso si può
sostenere che il paesaggio sonoro sia un sistema strutturato e non casuale? La
domanda evidentemente non vuole spostare la riflessione su temi creazionistici o
teleologici, quanto piuttosto porre l'accento su quei meccanismi complessi che sono
riconoscibili in natura, e che rendono il paesaggio sonoro naturale generalmente
bilanciato e armonico. Si tratta di un tema già preso in considerazione da Murray
Schafer85, del quale Barry Truax riprende le conclusioni più significative. In natura,
anche senza l'intervento umano, i paesaggi sonori si caratterizzano in modo
82 L'esempio di Barry Truax si riferisce in questo caso alla lingua inglese.
83 Come dimostra per esempio l'idea della traduzione del significato di un termine,
assolutamente impossibile da pensare per gli elementi che costituiscono il paesaggio sonoro.
84 B. Truax, Acoustic Communication, cit., p. 45.
85 Si veda il cap. 16 de Il paesaggio sonoro. Sono molti, del resto gli studi dedicati al tema
dell'equilibrio del paesaggio sonoro naturale. Per esempio: D. Rothenberg, Musicalità e naturalità,
come evidenziare le analogie; e B. Krause, L'ipotesi della nicchia. Come gli animali ci hanno
insegnato a ballare. Entrambi in: Ecologia della musica. Saggi sul paesaggio sonoro, a c. di A.
Colimberti, Donzelli Editore, Roma 2004. Si veda anche G. Pavan, Paesaggi sonori. Le voci della
natura, in: Paesaggi di casa, a c. di L. Bonesio e L. Micotti, Mimesis, Milano 2003.

48
equilibrato e generalmente bilanciato. Immaginiamo per esempio il canto degli
uccelli in una foresta, una delle situazioni naturali che appaiono acusticamente più
caotiche: le componenti armoniche dei vari canti tendono a distribuirsi sulla intera
gamma delle frequenze in modo da non coprirsi e da non confondersi a vicenda.
Non solo le frequenze, ma anche i tempi risultano ben coordinati: quando due suoni
ricadono nello stesso range di frequenza generalmente si distribuiscono in fasi
diverse della giornata, o in momenti diversi dell'anno. Inoltre una tale costruzione
non è statica, ma è il prodotto di una evoluzione dinamica. Ne è prova il fatto che
l'inserimento di un nuovo suono (per esempio l'arrivo di una nuova specie di uccelli)
modifica di conseguenza gli altri già presenti, in modo che nel nuovo paesaggio
possa ristabilirsi un equilibrio. Questo elemento, attraverso cui è possibile
riconoscere nel paesaggio sonoro una struttura organizzata dinamica e in evoluzione,
permette alla fine di giustificare l'idea secondo cui linguaggio parlato, musicale e
paesaggistico costituiscono un unico sistema complesso.
Il passaggio successivo nella riflessione proposta rappresenta un momento
saliente per la costruzione complessiva: in che cosa consiste, precisamente, la nostra
conoscenza linguistica? Sono molteplici i fattori implicati nella comunicazione
verbale: quale di questi risulta determinante per dire che un soggetto sa o non sa
parlare una lingua? Per prima cosa Truax separa due ambiti: quello delle
“competenze” e quello delle “prestazioni”86. Questo secondo termine fa riferimento
alla capacità di utilizzare la lingua «in movimento», ossia durante lo svolgimento del
discorso. Rimanda in qualche modo al grado di “brillantezza” che ognuno di noi
possiede nel gestire una conversazione, nel saper scegliere le strategie
argomentative migliori all'interno del discorso. E' evidente che questo ambito non
corrisponde precisamente alla nozione che stiamo cercando: è possibile infatti
sostenere che qualcuno, pur non essendo brillante, sappia parlare una lingua. Risulta
più complesso cercare di capire cosa siano le competenze. Sicuramente in questo
ambito deve rientrare la conoscenza del significato delle parole, che sembra
costituire del resto il punto centrale della questione. E' però abbastanza semplice
osservare che è plausibile, per non dire ovvio, che un soggetto possa conoscere una
lingua, pur non conoscendo l'intero complesso terminologico che la costituisce. Fino

86 B. Truax, Acoustic Communication, cit., p. 48.

49
a pochi minuti fa non sapevo cosa fosse il “femtrometro”, eppure chiunque sarebbe
convenuto sul fatto che conoscevo l'italiano. Stabilire dei criteri per identificare
quali siano i termini indispensabili e quali no sarebbe certamente una impresa
piuttosto complicata, e verosimilmente infruttuosa. Senza contare che la conoscenza
della semantica dei singoli termini dovrebbe in un secondo momento estendersi a
comprendere la semantica degli enunciati: se già risulta praticamente impossibile
poter conoscere il significato di tutti i termini, figuriamoci quello di tutte le possibili
combinazioni che possono formare un enunciato.
Bisogna dunque concludere che quanto stiamo cercando è l'idea di una
conoscenza delle «relazioni strutturali» su cui si fonda la comunicazione verbale.
Per esempio: se si afferma “vorrei un domani” qualunque ascoltatore che conosca la
lingua italiana sarebbe portato a riconoscere la frase come incompleta, e ad
aspettarsi un completamento (per esempio “migliore”). Invece alla frase “vorrei un
femtrometro” chiunque sarà portato a rispondere: “cos'è un femtrometro?”.
L'esempio dimostra che la nostra conoscenza della lingua è in realtà il prodotto di
una capacità di «costituire la comunicazione in modo strutturalmente corretto, anche
se questa non è mai stata esperita prima!» 87. Si tratta in qualche modo di una
competenza «metalinguistica» che costituisce il “livello zero” della comunicazione
linguistica, e che anticipa ogni esperienza soggettiva: il giudizio sull'enunciato può
essere formulato prima di ogni esperienza sensibile che riguarda quell'enunciato,
ossia indipendentemente dalla conoscenza dei termini implicati.
Allo stesso modo la cosa funziona nel caso della musica: la “competenza”
musicale consiste nella conoscenza di un insieme di relazioni strutturali che
caratterizzano la base del linguaggio musicale. Ascoltando un brano con una
cadenza regolare chiunque sarà in grado di accorgersi di una eventuale interruzione
o di una inversione di cadenza. Il che sarà avvertito come fastidioso
indipendentemente dalla conoscenza del lessico musicale, ossia delle regole di
notazione sul pentagramma o delle relazioni su cui si costruiscono i rapporti
armonici. Anche in questo caso, quindi, si deve riconoscere un “livello zero” che
rende possibile la comunicazione del messaggio musicale. Si noti che queste
relazioni strutturali non possono essere pensate come elementi statici e definitivi,

87 Ivi, p. 49.

50
dati una volta per tutte, ma piuttosto come insiemi variabili e in evoluzione di
comportamenti sociali su cui si fonda la comunicazione. Questo carattere è
facilmente riconoscibile nel caso della musica, osservando come molte delle opere
che oggi vengono considerate più importanti nella storia della musica sono state
accolte con molta freddezza al loro tempo.
Si può a questo punto capire dove abbia portato la riflessione: se il paesaggio
sonoro può essere considerato come una struttura organizzata in grado di trasmettere
significato, allora

possiamo supporre che ci sia una “competenza del paesaggio sonoro” in ogni persona, che
funzioni in modo analogo alla nozione di competenza linguistica e musicale. […] Durante
tutta la nostra vita siamo inseriti in un mondo sonoro che ci fornisce la base per
riconoscere e interpretare la struttura del suono dell'ambiente e ricavarne informazioni che
possiamo usare88.

Si tratta allora, come nel caso della competenza linguistica e musicale, di un


elemento che è primariamente soggettivo, in quanto direttamente implicato nel
processo della percezione, ma allo stesso tempo sociale, essendo conseguente al
particolare percorso di educazione e di crescita di ognuno. Un elemento che
condiziona la recezione individuale del fenomeno sonoro, ma che è costituito in
primo luogo a partire dalle determinazioni culturali e identitarie all'interno del quale
l'individuo si colloca. Siamo quindi giunti ad ottenere quel tassello teorico che
mancava alla costruzione: un elemento che, partendo dalla inevitabile modalità di
ricezione individuale del suono, possa stare a fondamento dell'idea stessa di una
comunità acustica sulla quale poter misurare l'intervento del designer.
Su questo sfondo, quindi, anche la riflessione riguardante la componente
soggettiva e i fenomeni psicoacustici legati alla percezione del suono trova la
propria ragion d'essere: la comprensione del fenomeno percettivo individuale non
deve infatti comportare alcuna rinuncia ad una visione complessiva e comunitaria
nella modalità di recezione del suono. Anzi, i due approcci procedono di pari passo,
sostenendosi a vicenda per arrivare ad una comprensione sempre più articolata del
fenomeno sonoro nel suo complesso. Ecco perché, alla fine, «l'“ultima frontiera”
negli studi della comunicazione acustica è la mente stessa» 89. L'affermazione

88 Ivi, p. 50.
89 Ivi, p. 51.

51
rappresenta la conclusione di questa riflessione: l'oggetto che da qui in avanti si
considererà è proprio quello della comunità acustica, che, una volta trovata la
propria legittimazione teorica, deve essere compreso e individuato nei suoi tratti
particolari e specifici, per costituire la base e il riferimento per il lavoro del designer
acustico.
Comprendere il senso peculiare di una comunità acustica significa estendere
l'orizzonte all'intero “sistema” di ascoltatori, che risulta anche in primo luogo il
soggetto produttore del paesaggio sonoro. Il che vuol dire, da un lato, indagare le
relazioni interne che si instaurano tra individui e tra gruppi sociali, spesso divergenti
per quel che riguarda la valutazione simbolica e il particolare rapporto che
intrattengono con il mondo del suono. Dall'altro considerare il problema più
generale della relazione tra la comunità e lo spazio fisico nel quale è inserita, che
costituisce la sua ambientazione e il suo paesaggio naturale.
Si tratta di una questione estremamente rilevante: «una delle lezioni
dell'ecologia è che quando ci consideriamo come “diversi” rispetto alla natura che ci
circonda, e non come una parte integrante di essa, nella maggior parte dei casi
stiamo violando il suo equilibrio, il che rappresenta un pericolo per noi stessi» 90. Si
capisce fin da subito quindi come la comprensione della comunità acustica non
possa che partire da una comprensione più generale del funzionamento della
comunità nel suo complesso. Come abbiamo più volte rilevato, l'elemento sonoro
non può essere infatti pensato come astratto e analizzabile isolatamente, ma deve
sempre collocarsi in un contesto particolare e essere inquadrato in base ai tratti
specifici della comunità locale. Il primo tentativo di definizione riconosce la
comunità acustica come «qualsiasi paesaggio sonoro in cui l'informazione acustica
gioca un ruolo pervasivo nella vita degli abitanti» 91. Si tratta evidentemente di una
definizione molto generica, dal momento che ogni paesaggio sonoro abitato
possiede queste caratteristiche, che però permette di mettere in luce fin da subito il
fatto che la comunità acustica ha a che fare con un sistema di scambio di
informazione.
La comunità determina e definisce il suono che le è proprio, e a sua volta il

90 Ivi, p. 57.
91 Ivi, p. 58.

52
suono definisce la comunità in cui si manifesta. E' un circolo chiuso di
significazione, dipendente dalle caratteristiche della comunità e del suo paesaggio
sonoro, e difficilmente comprensibile al di fuori di esse. Il suono accompagna
l'attività stessa della comunità, essendone per alcuni versi il prodotto e per altri
l'elemento regolatore: in questi casi il suono intrattiene un legame “positivo” con la
propria società. Nella nostra contemporaneità, purtroppo, questo circolo virtuoso che
lega attraverso l'elemento sonoro l'uomo e il proprio ambiente è sempre più spesso
sostituito da una situazione di soffocamento del paesaggio naturale da parte del
suono artificiale. In questo caso il rapporto diventa “negativo”: sempre più elementi
saranno interpretati come rumore, che costituisce «il principale nemico della
comunità acustica»92. Individuare una comunità acustica nel nostro tempo significa
quindi cercare le tracce del rapporto tra l'uomo e il proprio ambiente ad un livello
più profondo rispetto a quello della frenesia della vita di tutti i giorni, in cui i suoni
vengono dimenticati con la stessa fretta e con la stessa disattenzione con cui dal
nulla sono creati.
I suoni che risultano più importanti per la vita della comunità sono i segnali
sonori. Ancora una volta la ripresa di questa categoria schaferiana permette di
specificare più nel dettaglio la peculiarità del concetto: nella formulazione di Murray
Schafer, i segnali sonori sono tutti quei suoni che riescono a staccarsi dallo sfondo
continuo che caratterizza la vita della comunità trasmettendo una informazione agli
individui. Addentrandoci meglio nella questione, notiamo però che, per un
individuo appartenente ad una determinata comunità, qualsiasi elemento sonoro può
assumere questo carattere: una porta che sbatte, una voce, il suono del vento.
Certamente si potrebbe fare riferimento ad una componente intenzionale attraverso
cui distinguere i primi dai secondi, ma questo parametro non sembra del tutto
efficace: si pensi per esempio al rumore del tuono, o al canto degli uccelli, che in
molte società hanno rappresentato dei simboli fortissimi per l'organizzazione
comunitaria. Si può attribuire una intenzionalità a questi eventi sonori? Certamente
no. Bisogna quindi concludere che questi suoni non possano costituire dei segnali
sonori? L'ipotesi sembra altrettanto implausibile. Nell'ottica di Barry Truax il
problema trova una soluzione nel momento in cui il segnale sonoro per essere tale

92 Ibidem.

53
deve rappresentare un elemento caratteristico anche in riferimento alla storia e allo
sviluppo della comunità stessa. Un segnale sonoro non è un suono che trasmette una
informazione momentanea, attualmente significante. Al contrario: «i segnali sonori
sono i componenti più suggestivi della comunità acustica, e spesso questi suoni sono
unici e di importanza storica; in questo caso si possono considerare come le tracce
sonore della comunità»93. I segnali sonori sono dunque quei suoni che creano una
continuità con il passato.
Ogni segnale sonoro ha un suo particolare profilo acustico, che si determina in
base alle caratteristiche della fonte che lo emana, e alla struttura morfologica dello
spazio in sui si propaga: le caratteristiche del paesaggio influenzano quindi la
modalità di propagazione del segnale sonoro, che a sua volta incide sui ritmi e sulla
organizzazione della vita della comunità. Un esempio calzante è rappresentato dal
già citato caso dei confini dei quartieri urbani, che venivano definiti in base al limite
di udibilità del suono delle campane. Il segnale sonoro definisce quindi anche un
“orizzonte acustico” all'interno della vita della comunità, che rappresenta il limite
oltre al quale il suono prodotto dall'operare collettivo non può più essere udito, oltre
il quale regna il silenzio (inteso come suono non significante), l'ignoto.
Comprendere il carattere e i confini della comunità acustica significa dunque
individuare in primo luogo i particolari segnali sonori che la caratterizzano, da cui
derivare l'atteggiamento complessivo nei confronti del mondo sonoro. E' un
procedimento complesso, che non si risolve semplicemente nell'individuazione di
quei suoni che hanno rappresentato in passato degli elementi importanti per gli
abitanti, ma che è volto a comprendere gli elementi che, all'interno di un paesaggio
sonoro che costantemente si trasforma, rappresentano una continuità nel fenomeno
generale della rappresentazione acustica comunitaria. Gli elementi che scompaiono
spesso si caricano di sentimenti nostalgici ed evocativi che sono facilmente
riconoscibili. E' invece più difficile comprendere quali siano i nuovi elementi che li
sostituiscono e che li rimpiazzano all'interno della struttura complessa del paesaggio
sonoro, e all'interno del nostro processo di rappresentazione simbolica. Per quanto si
voglia dire che il paesaggio sonoro del nostro tempo “non è più quello di una volta”,
rimane il fatto che il senso di vuoto e di solitudine che spesso ci assale quando ci

93 Ivi, p. 59.

54
allontaniamo da luoghi familiari è certamente dovuto ad un fatto anche acustico (che
spesso cerchiamo di mascherare alzando il volume dell'autoradio). I nuovi paesaggi
sonori, per quanto confusi e caotici, e per quanto differenti da quelli passati,
rinnovano e riproducono il legame complessivo e la struttura simbolica di significato
che era implicata in essi.
Una volta compresi e individuati i segnali sonori, l'attenzione deve essere
rivolta al paesaggio sonoro naturale in cui è inserita la comunità. Il che vuol dire
rilevare in primo luogo gli elementi distintivi del paesaggio fisico, e i conseguenti
effetti che questi producono sulla diffusione del suono (si pensi ad esempio ad
elementi climatici come il vento, la pioggia, ma anche la secchezza o l'umidità
dell'aria, alla presenza di vegetazione o meno). E quindi valutare le caratteristiche
dell'intervento insediativo umano: la tipologia degli edifici, la loro altezza e il loro
impatto ambientale. Si tratta di osservazioni da condurre in tempi sufficientemente
lunghi, in modo da poter individuare le costanti e le regolarità in relazione
all'evolvere delle stagioni e delle fasi della natura: «non c'è niente di più
significativo per l'analisi del paesaggio sonoro che monitorare i cambiamenti nel
paesaggio in lunghi periodi di tempo»94. Solo a questo punto si può quindi rivolgere
l'attenzione direttamente all'attività umana, che risulta condizionata in primo luogo
proprio dalle caratteristiche e dai ritmi del paesaggio, non solo sonoro, naturale: i
momenti di riposo, di festa, di lavoro sono infatti scanditi dall'alternanza della luce e
del buio, del clima e delle stagioni dell'anno.
Con questo arriviamo al cuore del problema, che consiste nella considerazione
dell'impatto psicologico che il mondo acustico ha sulla mente umana. Gli elementi
più dannosi in quest'ottica sono quelli causati dai suoni meccanicamente ripetuti, che
creano una sorta di assuefazione nell'uditore, e i fenomeni in cui si verifica una
sovrapposizione casuale di suoni. Si tratta principalmente di fenomeni che vengono
introdotti dall'uomo: come abbiamo già rilevato i suoni in natura, oltre ad essere
necessariamente sempre diversi l'uno dall'altro, tendono a sovrapporsi raramente,
distribuendosi invece su una ampia gamma di tempi e di frequenze che ne garantisce
il riconoscimento individuale. Come osserva giustamente Barry Truax, riprendendo
il celeberrimo versetto di Ecclesiaste 3,1, in natura «per ogni cosa c'è il suo

94 Ivi, p. 65.

55
momento, la sua stagione». La saggezza della natura, come in molti altri casi,
dovrebbe essere presa come esempio e come modello per il nostro insediamento, più
che essere considerata come una mera risorsa da sfruttare e da controllare.
I tre elementi che vengono indicati come fondamentali per un modello
funzionale di paesaggio sonoro sono la “varietà”, la “complessità” e l' “equilibrio”.
La varietà riguarda «i diversi generi di suono, e le variazioni di particolari tipi di
suono, che si verificano e sono chiaramente percepibili. […] La complessità ha a che
fare col suono stesso, e con il genere e il livello di informazione che esso comunica.
[…] L'equilibrio si realizza in un paesaggio come il risultato dei vincoli spaziali,
temporali, sociali e culturali che l'ambiente impone all'intero sistema» 95. Si osservi
come la modernità, che pur ha portato ad una crescita generale della complessità dei
rapporti sociali e degli scambi umani, non ha avuto effetto su questi tre parametri.
Anzi: il “progresso” economico, che ha determinato una crescita del rumore
complessivo nei nostri paesaggi, nella maggior parte dei casi, oltre ad averne alterato
l'equilibrio, ha prodotto un impoverimento nella loro varietà e nella loro
complessità. L'enorme aumento dei mezzi di informazione e dei moderni sistemi di
comunicazione ha standardizzato le modalità di trasmissione dell'informazione
rendendola un fenomeno “di massa”. I paesaggi sonori del passato erano
estremamente vari e complessi proprio perché non contenevano suoni replicabili, e
di conseguenza ogni singolo suono portava con sé la propria quantità specifica di
informazione. La possibilità di riprodurre esattamente un suono, invece, tende ad
omologare paesaggi sonori molto distanti e differenti tra loro, comportandone
appunto un impoverimento: l'informazione trasmessa diventa generica, dal momento
che deve essere universalmente comprensibile e interpretabile.
E' sulla base di questa comprensione della comunità acustica che si misura la
qualità dell'intervento del designer, che viene ogni volta pensato in base alla
peculiarità del contesto locale, e centrato sulle caratteristiche specifiche dell'area
interessata. Il che vuol dire inquadrare il lavoro stesso del designer in una
prospettiva comunicazionale, ossia all'interno di una visione di insieme del
paesaggio sonoro che lo consideri come un unico sistema il cui riferimento è
rappresentato dalla qualità della vita dei suoi abitanti e del suo ambiente. Ciò

95 Ivi, p. 70.

56
comporta, come aveva già rilevato il pensiero schaferiano, escludere a priori quegli
interventi che si pongono come obiettivo la mera riduzione quantitativa del suono
fisico: «è importante che l'analisi per funzionare prenda in considerazione
attentamente l'intero sistema acustico da un punto di vista qualitativo, oltre che
quantitativo»96. Certamente anche il controllo del rumore deve essere considerato
come un fatto importante e necessario, ma per la riuscita del progetto questo aspetto,
da solo, non è sufficiente:

bisogna che prima la gente prenda coscienza della situazione, che cominci ad ascoltare,
che consideri i problemi e i danni che da questa possono derivare, e che faccia uno sforzo
consapevole per arrivare ad una soluzione attraverso qualsiasi mezzo possibile. Il
cambiamento non avviene immediatamente, e un cambiamento profondo della comunità
acustica deve prevedere una ri-definizione strutturale e una partecipazione della
popolazione coinvolta – ma questo è possibile!97.

Si ripropone quindi il dilemma e la difficoltà che avevamo già visto


caratterizzare il lavoro del designer acustico: si tratta di un lavoro che deve essere
valutato e portato avanti attraverso le ragioni degli esperti, o che deve tenere in
conto le ragioni “della gente”? E' possibile parlare di una competenza professionale
relativa all'ambito del paesaggio sonoro, o si tratta di un lavoro che, dovendo
interessare tutti e dovendo prevedere il coinvolgimento di tutti, può essere svolto da
chiunque? Ciò che in ogni caso è sicuro è che un intervento calato dall'alto sulla
comunità non può rappresentare una soluzione al problema. L'intervento deve essere
pensato come un lavoro “porta a porta”, che ponga il ricercatore e lo studioso allo
stesso livello della popolazione con la quale interagisce. Da un lato infatti questo
permetterebbe una comprensione molto migliore delle caratteristiche proprie del
territorio, dall'altro, fatto altrettanto importante, di instaurare una sintonia e una
fiducia tra le parti.
I principi a cui l'intervento si deve ispirare sono in primo luogo quelli indicati
come caratterizzanti una buona situazione acustica: la varietà, la complessità e
l'equilibrio. Più complicato è, al di là del riconoscimento teorico di questa necessità,
cercare di capire il modo in cui tale situazione possa essere concretamente realizzata.
A questo proposito Barry Truax indica una via che non era stata ancora presa in
considerazione in riferimento al paesaggio sonoro: la stocastica. Si tratta di un

96 Ivi, p. 82.
97 Ivi, p. 83.

57
concetto portato al centro della riflessione, in particolare musicale, del tempo, da
Iannis Xenakis98, che lo recupera in relazione all'idea di introdurre variabili casuali
nel processo compositivo. In ambito matematico le formule stocastiche
rappresentano delle ipotesi di modellizzazione di processi probabilistici, ossia dei
tentativi di prevedere il movimento generale di sistemi complessi di cui non si
conosce né il numero né il valore delle variabili. La ripresa del concetto nel contesto
musicale si basa sull'idea per cui scelte casuali e indipendenti di note possono
produrre, a livello complessivo, una composizione strutturata. Proprio in questa
accezione il termine viene recuperato in riferimento al paesaggio sonoro: la
previsione e il controllo di ogni singola azione di ogni singolo membro della
comunità è evidentemente un obiettivo impossibile. Potrebbe invece essere più
attuabile l'idea di stabilire una formula che possa prevedere l'andamento
complessivo del paesaggio sonoro, pur partendo dal riconoscimento della
imprevedibilità e della casualità della scelta individuale.
La prospettiva è certamente interessante, e viene messa in questo contesto in
stretta relazione con il concetto di archetipo, ripreso, attraverso la mediazione
schaferiana, dalla teoria di Jung. Il funzionamento del processo archetipico, si
osserva, è simile a quello stocastico, dal momento che si tratta di una immagine
astratta che trova la propria espressione in numerosissime manifestazioni concrete.
Non si tratta quindi di prevedere le singole manifestazioni, le quali procedono
sicuramente in modo indipendente e casuale le une dalle altre. Quanto piuttosto di
avere la possibilità, partendo dalla conoscenza dell'idea archetipica, di anticipare un
movimento di fondo che sarà valutabile solo a posteriori nelle sue forme particolari.
Per un progetto che voglia intervenire sulla struttura complessiva del paesaggio
sonoro si tratta di strumenti concettuali estremamente rilevanti, che permettono di
agire ad un livello più profondo rispetto a quello della semplice percezione
momentanea, migliorando così la possibilità di riuscita del progetto stesso.
Come si vede, quindi, i mezzi per la possibilità di una inversione di tendenza ci
sono: sia da un punto di vista tecnico che concettuale. La strategia delineata, quindi,
consiste proprio nel riconoscere in quei processi che attualmente determinano la

98 Si veda per esempio: Iannis Xenakis, Musica e architettura, tr. it. di L. Lionello, G.Secco, A.
Varese, Spirali, Milano 1982, Parte Prima.

58
continua crescita del deterioramento del paesaggio sonoro, gli stessi elementi
attraverso cui rendere possibile una inversione di tendenza. Nella consapevolezza
che «la prima e la più semplice strategia per il design acustico è l'imperativo:
“Ascolta!”»99. Di fronte a questo rimarranno sempre le schiere degli scettici e degli
scontenti, pronti a mettere in luce la difficoltà del cambiamento piuttosto che i
grandi miglioramenti a cui questo potrebbe portare. Non resta quindi che sperare che

la preoccupazione per un pericolo imminente, se sottoposta all'attenzione di un numero


sufficientemente ampio di persone, possa provocare il desiderio di un cambiamento e di
una trasformazione su larga scala dei nostri valori di riferimento. Nel frattempo possiamo
interrogarci sulle nostre abitudini acustiche, e prendere coscienza di come il suono
influenza le nostre vite. Siamo soddisfatti di questo? Lo accettiamo serenamente o
possiamo pensare di recuperare un controllo del paesaggio sonoro attraverso le nostre
azioni? Dopotutto il paesaggio sonoro non è altro che un riflesso di noi stessi100.

5. Una parentesi urbanistica

Abbiamo considerato fino a questo punto l'approccio al tema del paesaggio


sonoro per come emerge dalla riflessione di autori collocabili nell'area geografica
canadese. La scelta è stata motivata dalla considerazione di questa esperienza come
il punto di inizio di una riflessione teorica specifica sul tema del paesaggio sonoro, e
dal tentativo conseguente di darne un resoconto il più possibile completo e senza
interruzioni. L'approccio che abbiamo analizzato è quello proveniente da un ambito
di interesse musicale e filosofico, che basa la propria riflessione sul riconoscimento
di una urgenza ambientale ed ecologica relativa al mondo contemporaneo, e che
deduce da qui la necessità di portare avanti un discorso non solo teorico, ma anche
pratico, come dimostra la nascita del World Soundscape Project e tutti gli
esperimenti ad esso legati. Quelli che abbiamo considerato i “precursori” di questa
riflessione (Abraham Moles e Pierre Schaeffer), pur essendo collocabili in un'area
geografica diversa, condividono questo tipo di approccio. L'obiettivo polemico di
questi autori, come è stato messo in luce più volte, è identificato principalmente nel
mondo dei giuristi e in quello degli urbanisti, accusati di non comprendere la
peculiarità del fenomeno sonoro e di non partecipare, di conseguenza, al progetto
99 B. Truax, Acoustic Communication, cit., p. 105.
100 Ivi, p. 106.

59
per la costruzione di un futuro migliore.
Vorremmo quindi provare a considerare, in questo paragrafo, le critiche rivolte
al mondo dell'urbanistica101. In particolare tali critiche, che vedono in Murray
Schafer l'esponente più rappresentativo e anche il più “agguerrito”, ci sembrano
essere messe in difficoltà da un importante articolo pubblicato nel 1969 da Michael
Southworth, uno dei più importanti urbanisti contemporanei e professore presso il
MIT, intitolato The sonic environment of the cities102. In queste pagine la riflessione
si concentra attorno al tema del paesaggio sonoro delle città, che viene inquadrato in
una prospettiva diversa da quella fino a qui considerata, sia per lo sfondo
disciplinare entro il quale si colloca, sia per le soluzioni che vengono elaborate. Il
punto di partenza consiste nel riconoscimento dell'elemento sonoro come un fatto
imprescindibile per la comprensione della città moderna. L'esperienza della città non
può più essere vissuta come una esperienza esclusivamente visiva, ma deve essere
compresa primariamente nel suo carattere multisensoriale: «è importante esplorare
le conseguenze di questa invasione di sensazioni non-visive per la qualità della vita
della città, e chiedersi in che modo il controllo di queste possa migliorare quella
qualità»103. Ed è proprio questo il centro della problematica con cui si deve misurare
il progettista: «non è più sufficiente disegnare uno spazio che soddisfi soltanto
l'occhio»104.
Già da queste prime osservazioni si può notare come, in relazione al nostro
argomento, il punto di vista di Southworth sia nettamente in anticipo rispetto alla
riflessione urbanistica del tempo (e per molti versi come si trovi ancora in anticipo
rispetto a quella attuale). L'oggetto del saggio è il resoconto di un esperimento
condotto attraverso la città di Boston, volto a stabilire, a partire proprio dal
presupposto della multisensorialità, dei criteri che possano fondare un nuovo
approccio alla pratica urbanistica e architettonica. L'esperimento consiste in un
accompagnamento attraverso lo spazio metropolitano di tre gruppi di persone
formati rispettivamente da individui ciechi, sordi e normodotati. Il tragitto è

101 Rimandiamo invece all'appendice per una considerazione specifica dell'approccio della
giurisprudenza e per una analisi più specifica della legislazione italiana relativa al rumore.
102 M. Southworth, The sonic environment of the cities, 1969; in “Environment and Behavior”,
Vol. 1(1), Jun 1969. Le traduzioni sono mie.
103 Ivi, p. 49.
104 Ibidem.

60
ovviamente studiato in modo da comprendere il passaggio all'interno di luoghi
acusticamente e spazialmente molto differenti tra loro, ed è prevista la ripetizione
dello stesso percorso in giorni diversi della settimana e dell'anno, e in condizioni
climatiche differenti. Alla fine di ogni passeggiata i partecipanti vengono sottoposti
ad un questionario, che costituisce la base della ricerca sperimentale. I dati raccolti
sono certamente limitati e circoscritti, e anche le conclusioni non possono pretendere
di avere una validità incontrovertibile, ma il metodo seguito rappresenta, nell'ottica
di Southworth, il tentativo di inaugurare un vero e proprio «campo di studio» 105, che
possa diventare sempre più sicuro e sempre più solido sulla base dei successivi
esperimenti e delle successive ricerche.
La prima conclusione che viene presentata nel lavoro consiste, come ci si
poteva aspettare, nella conferma dell'interazione che giocano le varie aree sensoriali
nella costruzione di un atto percettivo complesso. La mancanza di alcune aree
sensoriali in individui diversamente abili, per esempio, determina la conseguente
crescita percettiva di altre, e viceversa106. Se tali considerazioni erano del resto ben
acquisite dal pensiero scientifico dell'epoca, bisogna rendere a Southworth il merito
di averle contestualizzate all'interno di un ambito non ancora considerato.
Assodata sperimentalmente questa prima conclusione, l'argomentazione si
estende ad una considerazione più generale del fenomeno sonoro:

la piacevolezza di un suono sembra dipendere da molto altro rispetto alle sue


caratteristiche fisiche. I suoni di bassa e media frequenza e intensità sono generalmente
preferiti, ma l'apprezzamento aumenta quando i suoni sono nuovi, informativi, conseguenti
ad azioni personali, e culturalmente approvati, come per esempio gli uccelli e le
campane107.

Tale conclusione rappresenta il punto di partenza per l'idea di una


“progettazione del suono” (sonic design) che dovrà avere una importanza sempre
crescente all'interno del progetto urbanistico complessivo. E la stessa ricerca dovrà
essere condotta, parallelamente, in relazione ad ogni altra area sensoriale, in modo
che il progetto della città possa assumere quella completezza che caratterizza il
nostro processo percettivo. Dal punto di vista acustico, gli elementi identificati come
105 Ivi, p. 52.
106 Tra i diversi esempi possibili, si prenda per esempio la percezione acustica del traffico, che
per individui normodotati si caratterizza semplicemente come “traffico”, mentre per individui non
vedenti si distingue nelle sue varie componenti: macchine, moto, biciclette ecc.
107 M. Southworth, The Sonic Environment of the cities, cit., p. 59.

61
determinanti per dare il via ad un cambiamento di prospettiva sono individuati
all'interno della città stessa: ogni spazio deve essere considerato in base alle proprie
caratteristiche peculiari, e deve essere utilizzato di conseguenza come uno strumento
per stimolare l'attenzione verso la sua nuova componente percettiva. Particolarmente
adatti a questo scopo sono tre elementi: gli spazi aperti, gli spazi stretti
acusticamente “reattivi”, e i segni sonori108. I primi per la loro ambiguità acustica
possono servire a far prendere confidenza con nuovi suoni di ampio raggio, come le
sirene, nonché stimolare l'attenzione verso effetti acustici caratteristici degli ampi
spazi. I secondi, come i vicoli per esempio, possono essere animati acusticamente,
magari al solo passaggio dell'individuo, oppure diventare la sede per giochi acustici
che coinvolgano bambini e ragazzi. Il terzo elemento individuato, ossia quello dei
segni sonori109, ribalta invece la prospettiva, invertendo il rapporto tra l'area visiva e
quella acustica. Con questo termine infatti si vogliono intendere quegli elementi
sonori che hanno una grande riconoscibilità anche al di fuori del proprio contesto, e
la proposta consiste nell'utilizzarli per caratterizzare in maniera più marcata degli
elementi visivi che altrimenti potrebbero non essere notati, oppure per trasmettere
informazioni socialmente rilevanti.
Attuare questo tipo di intervento non significa trascurare l'obiettivo della
riduzione del rumore presente nelle città moderne, che rappresenta spesso un
elemento insostenibile per la vita dell'uomo, ma significa riconsiderare questo
obiettivo all'interno di una visione di più ampio raggio, all'interno di un progetto più
generale che sia finalizzato ad «aumentare il grado di informatività del paesaggio
sonoro (soundscape)»110. Il che vuol dire cercare una via che possa nel complesso
«rendere le città meno stressanti e più piacevoli per i propri cittadini» 111, ma anche
che possa sviluppare in questi un nuovo «senso di consapevolezza per costruire un
ambiente più vicino alle azioni e agli scopi umani»112.
Queste considerazioni, si diceva, sembrano fare emergere qualche problema

108 Ivi, p. 67.


109 Il termine sembra ricordare molto da vicino quello di “segnale sonoro” introdotto da
Murray Schafer. In realtà l'espressione inglese utilizzata da Murray Schafer è sound signal, a
differenza del termine che compare in questo contesto: sonic sign. Ciò non toglie che il carattere
attribuito a questo elemento da entrambi gli autori sia molto simile.
110 M. Southworth, The Sonic Environment of the cities, cit., p. 70.
111 Ivi, p. 65.
112 Ivi, p. 70.

62
all'interno della visione del paesaggio sonoro sopra presentata, e in particolare in
riferimento ad alcune tesi di Murray Schafer. Il primo problema è relativo all'aprirsi
di un dilemma in un certo senso lessicale, filologico, e storiografico: a chi si deve
attribuire, a questo punto, la paternità del termine “paesaggio sonoro” (soundscape)?
A Murray Schafer o a Southworth stesso? La questione è già stata discussa da
qualche studioso del settore113, pur senza aver trovato una sistemazione definitiva. In
effetti la soluzione non sembra semplice: da un lato infatti l'articolo di Southworth
introduce il termine in un documento scritto ben otto anni prima rispetto alla
principale opera schaferiana, dall'altro abbiamo testimonianze abbastanza sicure del
fatto che Murray Schafer usasse il termine durante il suo insegnamento accademico
e nelle lezioni tenute presso il World Soundscape Project, di cui lo stesso nome
rappresenta, del resto, una prova inconfutabile. Entrando più nel dettaglio bisogna
rilevare d'altra parte che il concetto comincia ad assumere una sua peculiarità
soltanto in seguito alla riflessione contenuta ne Il paesaggio sonoro, mentre
l'articolo di Southworth utilizza il termine prevalentemente come sinonimo di una
più generica idea di “spazio acustico”114. Certamente bisogna escludere un contatto
tra i due autori, per cui si deve supporre che entrambi abbiano coniato il neologismo
autonomamente. Quello che sembra quindi potersi concludere, da questa breve
parentesi storiografica, è una sorta di duplice paternità nei confronti del termine:
all'intuizione southworthiana bisogna riconoscere in qualche modo la “paternità
storica” del concetto, intendendo con questo la sua unità fonetica e linguistica 115.
Alla riflessione di Murray Schafer spetta invece la “paternità concettuale”, nel senso
che è stato l'autore canadese ad avere aperto la via per una considerazione del
“paesaggio sonoro” in quanto nuovo concetto specifico sul quale fondare una

113 Si veda per esempio J. Winkler, Paesaggi sonori; in A. Mayr (a c. di), Musica e suoni
dell'ambiente, CLUEB, Bologna 2001; oppure S. von Fischer, Versuche, die Musik der Welt zu
erfassen, in «Archithese», n. 6, 2008, pp. 56-59.
114 Questo non vuole assolutamente dire, del resto, che l'analisi di Southworth non abbia colto
la peculiarità del fenomeno sonoro nel suo complesso. Quello che si sta argomentando è soltanto
relativo alla caratterizzazione del termine specifico “paesaggio sonoro”, che nel testo considerato non
sembra assumere una sua peculiarità rispetto ad ogni altra definizione più generica di “spazio
acustico”.
115 Si noti che questo aspetto riveste una importanza notevole per lo sviluppo della questione,
come avevamo già osservato nella nota 75: l'esistenza linguistica del termine è il primo punto di
partenza per la sua caratterizzazione concettuale. La forza e l'impatto che possiede il termine
soundscape è molto maggiore rispetto ad ogni altra formulazione rimandante ad un generico acoustic
environment (ambiente acustico).

63
riforma nell'interpretazione del mondo acustico.
La seconda questione che deve essere ricompresa, alla luce di questo articolo, è
relativa alla considerazione generale che emerge dal mondo della musicologia in
riferimento a quello dell'urbanistica. La già citata osservazione di Murray Schafer,
per cui “gli architetti lavorano per dei sordi e sono sordi a loro volta” 116, sembra
infatti del tutto smentita dall'approccio inaugurato dal saggio di Southworth, che
dimostra una comprensione del fenomeno sonoro non solo non attribuibile a un
sordo, ma per molti versi addirittura in anticipo (almeno cronologicamente) rispetto
alla stessa posizione schaeferiana. In particolare, in questo contesto, la riflessione
procede sulla base di una considerazione del mondo sonoro in quanto elemento
primariamente sociale e culturale: il paesaggio sonoro è sempre inteso come
paesaggio sonoro “percepito”, mai come semplice insieme di rumori. Al di fuori
della visione propriamente umana e individuale del suono (che riporta il fenomeno
ad un complesso simbolico e storico-sociale), questo non può dire alcunché, rimane
un dato fisico muto e privo di interesse. Da qui nasce la consapevolezza di dovere
intervenire con l'obiettivo di costruire non semplicemente ambienti acustici
“sopportabili”, ma primariamente informativi e in sintonia con il senso dell'operare e
del vivere proprio della comunità che li abita117. Il progettista acustico (sonic
designer, altro elemento che si trova introdotto in questa sede e che verrà poi ripreso
e messo al centro nella riflessione schaferiana), si muove nella consapevolezza che
la sua opera serve per «a) migliorare l'identità del paesaggio sonoro, b) rafforzare il
numero dei suoni piacevoli e trovare dei criteri per favorire suoni nuovi, c)
rafforzare la correlazione tra il suono e lo spazio visivo dell'attività umana»118.
Come si vede, il centro della problematica è avvertito pienamente, e il compito
che si prospetta per il progettista è ben diverso da quello di cercare di rendere le città
semplicemente “più silenziose”: esso le deve rendere più informative, più a misura
d'uomo, più piacevoli. Utilizzando per questo i mezzi che vengono offerti dalla città
stessa, dalle sue caratteristiche acustiche e dai suoi spazi, e trovando in questi le

116 Si veda la nota 61 del presente capitolo.


117 Il che porta di conseguenza a criticare quegli interventi basati su effetti di mascheramento e
di copertura del rumore attraverso altro rumore, e la nascita di quei fenomeni “paramusicali” come la
Muzak. Posizione del tutto condivisa da molti altri compositori, tra cui Murray Schafer stesso (si veda
nota 33).
118 M. Southworth, The Sonic Environment of the cities, cit., p. 67.

64
ragioni e gli spunti per il proprio progetto. La città nel suo complesso deve essere
considerata non solo come un fatto visivo, spaziale, ma anche, e primariamente,
acustico. Quella di Southworth, quindi, è una posizione che matura del tutto
all'interno della riflessione urbanistica: sia nella sua nascita sia nella sua
conclusione. Affermazione che sembra rappresentare, evidentemente, una netta
smentita al giudizio di Murray Schafer. Si deve quindi concludere che tale giudizio
sia erroneo o privo di fondamento? Prima di arrivare ad una simile conclusione,
bisognerebbe considerare il problema in un'ottica un po' più ampia, cercando di
contestualizzare l'articolo di Southworth all'interno della riflessione urbanistica
complessiva, da cui derivare il peculiare approccio disciplinare al tema del
paesaggio sonoro. La domanda che sembra necessario porsi è quindi la seguente:
l'articolo The sonic environment of the cities rappresenta un caso isolato, proveniente
dalla lungimirante riflessione di un solo autore, o deve essere invece considerato
come il sintomo di un differente approccio verso il tema del paesaggio sonoro in
ambito urbanistico, come il segno di un fermento da cui dedurre una inversione di
tendenza già in atto all'interno della disciplina alla fine degli anni '60? Nel primo
caso, evidentemente, si dovrebbe considerare Murray Schafer “colpevole” di non
conoscere il saggio e il lavoro di Southworth, mentre nel secondo caso l'intero
impianto dell'argomentazione sarebbe da considerare fondato su un presupposto
sbagliato.
La risposta a questa domanda, purtroppo, può essere trovata forse prima nei fatti
che nelle parole: basta un rapido sguardo ai paesaggi sonori delle nostre città
contemporanee per capire che la considerazione degli aspetti acustici non
rappresenta ancora oggi un elemento centrale nella riflessione urbanistica e
architettonica. Il rumore e la confusione sonora che contraddistinguono le aree
urbane è un elemento in continua crescita e in continua espansione, come
dimostrano i numerosi studi sull'argomento. Con questo non si vuole arrivare,
ovviamente, ad attribuire la responsabilità di questo fatto esclusivamente alla
inadeguatezza dell'approccio urbanistico, quanto piuttosto a rilevarne l'evidente
mancanza. Ciò che sembra già provato dai fatti deve, però, essere ricercato anche
nelle parole, il che non ha rappresentato una questione facile per la nostra ricerca: è
pressoché inesistente infatti, almeno in Italia, una bibliografia di riferimento, e la

65
questione risulta per lo più ignorata dagli stessi studiosi ed esperti del settore. Quello
che si potrebbe definire l'approccio urbanistico al paesaggio acustico è infatti una
prospettiva inesistente all'interno della disciplina, che al contrario, nella
considerazione del fenomeno sonoro, sembra concentrarsi esclusivamente intorno
alla valutazione delle norme e dei vincoli legali che impongono dei limiti al progetto
architettonico. In particolare, come si vedrà meglio in seguito, il problema centrale è
quello della cosiddetta “zonizzazione acustica”, ossia quello delle soglie di rumore
che possono essere raggiunte in ogni area abitata in relazione alla propria
destinazione d'uso. Come rileva lo stesso Southworth «il problema [dell'urbanistica]
in quegli anni, ma anche adesso, è centrato attorno al concetto di “rumore”, e non
attorno al problema del suono in quanto esperienza estetica e informativa» 119. Il
dilemma quindi è sempre riconducibile ad una considerazione limitata ed erronea
del mondo sonoro nel suo complesso: il rumore si caratterizza come una quantità da
dover controllare e gestire, e non come un mezzo e uno strumento attraverso cui
arricchire la nostra esperienza quotidiana.
Tra i pochissimi urbanisti che meritano di essere citati a questo proposito, c'è
Kevin Lynch, che è stato maestro di Southworth stesso. In un'opera del 1960
intitolata L'immagine della città120 l'obiettivo è, come da titolo, quello di
comprendere l'emergere della città come immagine, come figura, come
rappresentazione. Il punto centrale della riflessione consiste nel mostrare che tale
immagine non può essere intesa come una rappresentazione astratta e come un
oggetto a sé stante, ma deve sempre essere costruita e contestualizzata a partire dal
modo in cui essa viene percepita dai suoi abitanti e dagli individui reali che la
vivono. Il che implica che tale immagine non possa che essere irriducibilmente
soggettiva, e, pur essendo costruita, ipoteticamente, nello stesso momento e nello
stesso luogo, possa differire anche notevolmente in base alle caratteristiche del
soggetto che la realizza. Un qualsiasi soggetto infatti non può mai ritenersi
responsabile di una rappresentazione completa e definitiva dell'evento, ma deve
sempre passare attraverso a un atto di selezione e di sintesi per poterselo raffigurare.

Ad ogni istante vi è più di quanto l'occhio possa vedere, più di quanto l'orecchio possa

119 La frase, con il permesso dell'autore, è citata da una mail personale inviatami il 5/1/2012.
120 K. Lynch, L'immagine della città, tr. it. di G. Guarda, Marsilio Editore, Padova 1964.

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sentire, qualche area o qualche veduta rimangono inesplorate. Niente è sperimentato
singolarmente, ma sempre in relazione alle sue adiacenze, alle sequenze di eventi che
portano ad esso, alla memoria delle precedenti esperienze121.

Come si vede, le intuizioni che avrebbero potuto aprire la strada ad un diverso


modo di intendere l'urbanistica erano quindi già state formulate nei primi anni '60.
Purtroppo l'evoluzione della disciplina non ha seguito la strada che queste avrebbero
potuto aprire, e ancora oggi la “immagine della città” che caratterizza la visione
urbanistica sembra appoggiare su delle categorie che certamente andrebbero
riconsiderate. Almeno, per quanto ci riguarda, da un punto di vista acustico. Il
giudizio schaferiano per cui “gli architetti lavorano per dei sordi”, in conclusione, al
di là dei toni utilizzati, e pur essendo colpevole di non aver considerato due
esperienze estremamente significative all'interno del panorama dell'urbanistica
moderna, si può considerare complessivamente giustificato.

6. L'effetto sonoro

A partire dagli anni '80 l'influenza degli studi compiuti in area canadese
comincia ad essere recepita anche in Europa, dando vita a numerose esperienze
ispirate al World Soundscape Project e al nuovo ambito disciplinare inaugurato alla
Simon Fraser University. Le ricerche condotte in queste sedi ampliano notevolmente
le considerazioni e le riflessioni iniziate da Murray Scahfer e dai suoi allievi, e
rappresentano per la prima volta la possibilità concreta di costruire una rete di studio
sul tema del paesaggio sonoro che possa assumere una dimensione veramente
mondiale. Il che è del tutto in sintonia, del resto, con la prospettiva delineata in area
canadese, che, per usare le stesse parole del suo fondatore, si è sempre basata
sull'idea che «lo studio del paesaggio sonoro non potesse essere accentrato in un
solo paese o in una sola istituzione»122.
Rendere conto in modo esaustivo della diffusione di tali esperienze risulta
piuttosto complicato, soprattutto per il fatto che gli indirizzi che prende la ricerca
riguardano gli ambiti più disparati: il paesaggio sonoro viene infatti recepito,
121 Ivi, p. 23.
122 R. Murray Schafer, Recensione, in J. F. Augoyard - H. Torgue, Repertorio degli effetti
sonori, tr. it. di S. Doria, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2003, pp. XIII-XIX.

67
giustamente, come un concetto in grado di costituire un oggetto di riflessione per
numerose discipline, a partire dalla musica e passando per la filosofia, la psicologia,
l'urbanistica, la geografia, l'antropologia, la sociologia. Nell'ambito della nostra
indagine l'attenzione dovrà quindi essere limitata a quelle esperienze che hanno
riguardato la maturazione del concetto da un punto di vista strettamente teorico. Il
che ci indirizza senza esitazioni verso il centro di ricerca Cresson, fondato dal
filosofo Jean Francois Augoyard a Grenoble nei primi anni '80123. Il punto centrale
della ricerca viene individuato nel carattere multisensoriale della percezione umana,
di cui si favorisce una comprensione multidisciplinare, sfruttando i diversi contributi
provenienti dagli ambiti specifici di ognuno dei membri che partecipano al progetto:
il geografo e architetto Pascal Amphoux, il sociologo e ingegnere Henry Torgue, per
citarne alcuni tra i più noti. Il fine è rappresentato dalla possibilità di trovare dei
criteri sui quali basare l'intervento progettuale urbanistico e architettonico che
possano favorire un migliore approccio al tema relativo alla percezione del territorio
delle città e delle aree urbane in genere, e del paesaggio sonoro in particolare.
All'interno della ampia produzione teorica e sperimentale del Cresson, la nostra
attenzione si concentra su una pubblicazione del 1995, intitolata Repertorio degli
effetti sonori. L'opera viene pubblicata a nome di Francoise Augoyard e Henry
Torgue, ma in realtà si tratta di un lavoro collettivo, che

è frutto di una ricerca interdisciplinare durata una dozzina d'anni. […] Tutti i ricercatori del
laboratorio “Cresson” hanno pazientemente raccolto gli effetti sonori sia in un importante
insieme di interviste raccolte nel corso degli anni, sia nel corso di numerose descrizioni
architettoniche e osservazioni degli spazi, sia nei lavori di caratterizzazione acustica
dell'ambiente costruito124.

Il motivo di un tale impegno di ricerca teorica e pratica deve essere messo in


relazione ad un intento che va oltre l'atteggiamento meramente chiarificatorio e
didascalico nei confronti dei vari effetti sonori, e compreso, invece, proprio a partire
dallo sfondo teorico che viene delineato da Augoyard stesso nelle riflessioni
introduttive e conclusive dell'opera. Come si può notare dalla frase sopra citata, la
123 Il termine “Cresson” è l'acronimo di Centre de recherche sur l'espace sonore et
l'environnement urbain. A tutt'oggi questa istituzione rappresenta uno dei nuclei di ricerca più vivi in
ambito europeo: oltre alle numerose pubblicazioni sull'argomento all'interno del centro sono attivi
diversi master e corsi di specializzazione sul tema della relazione tra l'uomo e l'ambiente, e in
particolare sulla dimensione sonora di questo rapporto. Per approfondimenti si veda online:
www.cresson.archi.fr.
124 J. F. Augoyard - H. Torgue, Repertorio degli effetti sonori, cit., p. XXIV.

68
comprensione di ciò che rappresenta l'effetto sonoro può essere possibile soltanto
attraverso una domanda interdisciplinare, che ponga al centro il soggetto e la sua
esperienza nel mondo: esperienza sempre complessa e sempre inscindibile dalla
pluralità e dalla molteplicità dei dati contemporaneamente coinvolti. Questa
necessità, che sembra essere implicata nella nozione di effetto sonoro, è il primo
elemento per cui, nell'ottica di Augoyard, tale concetto dovrebbe essere rivalutato e
riconosciuto come il centro della riflessione complessiva sul mondo acustico.
A introduzione dell'opera è posta una breve Recensione scritta da Murray
Schafer, nella quale lo studioso canadese mette a confronto la futura pubblicazione
con quello che viene definito «tuttora il miglior vocabolario esistente, nel suo
genere, al mondo»125: lo Handbook for acustic ecology. Si tratta di un'opera
pubblicata a nome di Barry Truax nel 1977, ma anche in questo caso frutto di un
lavoro collettivo condotto all'interno del World Soundscape Project126. La
motivazione da cui trae origine questo lavoro sta nel riconoscimento di una grande
confusione terminologica e concettuale che ruota attorno al mondo dell'acustica: tale
disciplina ha infatti una storia piuttosto recente 127, e il suo affermarsi come scienza
ha sempre dovuto scontare la difficoltà relativa all'imperante paradigma percettivo
che caratterizza la nostra cultura occidentale128. Il che emerge chiaramente, in prima
istanza, proprio in relazione al lessico specifico di tale disciplina, che non riesce ad
avere una propria autonomia, ma che si caratterizza piuttosto come il risultato di una
costruzione a posteriori, operata attraverso il recupero di una terminologia già
esistente, adattata ad un nuovo contesto. Ne sono prova termini come prospettiva,
colore, spettro, ombra, fuoco, immagine, per esempio: tutti derivati dall'ambito
dell'ottica e inseriti successivamente, in qualche modo, all'interno dell'acustica.
125 Ivi, p. XV.
126 Di tale opera esistono due edizioni differenti. La prima edizione consiste nella
pubblicazione cartacea, avvenuta nel 1977, mentre la seconda nella pubblicazione del CD-Rom nel
1999. Il testo di riferimento rimane inalterato, mentre evidentemente vengono molto agevolati i
collegamenti interni all'opera attraverso il ricorso all'ipertesto. A tale seconda edizione faremo
riferimento: B. Truax, Handbook for acoustic ecology, CD-Rom edition, Cambridge Street
Publishing, Cambridge Massachussett 1999. L'opera non è tradotta in italiano, tutte le citazioni sono
tradotte da me.
127 La data di inizio della acustica moderna può essere considerata, come avevamo già
osservato, il 1877, anno della pubblicazione dell'opera Die Lehre von den Tonempfindungen di
Helmholtz.
128 Un paradigma che è ovviamente costruito attorno all'assoluta priorità dell'area percettiva
visiva. Non per niente, quando parliamo di una percezione complessa del mondo, parliamo di una
“visione” del mondo.

69
Un tale fenomeno è ancora una volta da inquadrare come conseguenza dello
sviluppo urbano e industriale dell'età moderna: la crescita della complessità acustica
dei paesaggi sonori (soprattutto delle città) rende necessaria la creazione e la
configurazione di un nuovo lessico e di una nuova terminologia che possa
relazionarsi con fenomeni inediti. La caratterizzazione e la chiarificazione
concettuale di tale lessico procede in modo molto frammentario e parziale e, anche
quando è stata tentata, è sempre maturata a partire da una errata interpretazione del
fenomeno sonoro nel suo complesso, inteso esclusivamente come un dato oggettivo
e quantitativo, e mai come elemento percepito e comunicativo. Si capisce quindi lo
sfondo da cui prende le mosse il tentativo di Barry Truax: la finalità è quella di
costruire un “Manuale”129 che possa costituire il riferimento preciso e definitivo per
la formalizzazione del lessico inerente all'acustica e alle sue problematiche, sulla
base del quale fondare la discussione tra esperti e appassionati del settore. Si capisce
però, allo stesso tempo, come una tale impresa risulti costitutivamente inadeguata, o
per meglio dire, possa portare ad un risultato solo parzialmente efficace, proprio in
relazione alla visione di fondo del paesaggio sonoro maturata all'interno del World
Soundscape Project. La difficoltà consiste nel fatto che una chiarificazione
concettuale e terminologica, proprio per differenziarsi dall'erroneo presupposto sul
quale si è fondata fino adesso, dovrebbe procedere dalla considerazione
dell'elemento acustico “reale”, percepito, che come tale non può che essere
molteplice e complesso nel suo manifestarsi, e quindi sembra non permettere alcuna
possibilità di analisi. Al contrario, un approccio volto a costruire un manuale, deve
necessariamente isolare il fenomeno dal complesso sensibile per analizzarlo
singolarmente: ogni termine che viene definito nell'opera non può che risultare
quindi come la conseguenza di un atteggiamento “estrattivo”, attraverso il quale
ogni fenomeno e ogni aspetto interessato viene “tirato fuori” dalle condizioni reali
della sua manifestazione sensibile e indagato in maniera isolata e astratta.
Si può alla fine comprendere come l'operazione sia caratterizzata da una
intrinseca ambivalenza: da un lato, il tentativo di costruire un riferimento lessicale

129 Truax rileva in verità la difficoltà nell'arrivare ad un format definitivo per l'opera: «durante
la stesura, lo stile e la natura dell'opera sono state molto discussi. Dovrebbe presentarsi come un
dizionario, come un glossario, come un manuale? E così via. Alla fine ha preso le caratteristiche di
tutti e tre» (Handbook of acoustic ecology, intro1, cit., p. 7.).

70
che possa stare alla base della comunicazione disciplinare, rappresenta un punto
imprescindibile per lo sviluppo della materia stessa; dall'altro, il presupposto che
rende possibile una tale operazione implica l'accettazione di un punto di vista
certamente lontano da quello condiviso da Murray Schafer e dai suoi allievi. Tale
difficoltà è chiaramente avvertita da Barry Truax stesso, che nell'introduzione
dell'opera cerca di mettere in guardia dal fatto che «il nostro approccio deve essere
compreso a partire da tutti gli scritti che abbiamo pubblicato, e non semplicemente
da questo, dove tende a rimanere sottinteso» 130. E non solo: in più punti troviamo
l'avvertimento per cui

non incominciate a leggere il volume fino a che non avete cominciato ad ascoltare. Non
avrebbe senso fintantoché non abbiate cominciato a cercare di scoprire la vera natura del
suono nel solo modo possibile – ossia ascoltando e pensando a quello che avete sentito131.

Nella consapevolezza di questo limite, la raccolta proposta da Barry Truax


presenta un elenco di oltre 600 voci ordinate in base al proprio ambito semantico e
alla propria area di appartenenza. Il “Manuale” rappresenta uno strumento
estremamente preciso e puntuale nell'analisi dei fenomeni acustici, ma allo stesso
tempo estremamente funzionale e gestibile grazie all'ampio lavoro di classificazione
e di riferimenti incrociati all'interno di ogni voce 132. Nel complesso costituisce uno
strumento certamente completo per l'approccio alla tematica, e si può convenire con
il parere di Murray Schafer secondo cui tale opera rappresenta un dizionario ben più
ampio e più compiuto rispetto al Repertorio degli effetti sonori. Quello che però è
necessario obiettare all'interpretazione dello studioso canadese, consiste nel fatto che
tale paragone non sembra affatto giustificato: se è innegabile infatti che lo
Handbook rappresenta uno strumento più raffinato e più definitivo rispetto al
Repertorio, è d'altro canto vero che quest'ultimo non si è mai voluto collocare
all'interno della stessa linea interpretativa che caratterizza il primo. Il Repertorio
degli effetti sonori non si presenta né come un dizionario, né come un glossario, né
come un manuale, quanto piuttosto come un'opera teorica che introduce un nuovo
paradigma interpretativo nell'approccio al tema del paesaggio sonoro nel suo

130 Ibidem.
131 Ivi, p. 9.
132 Tale caratteristica viene resa ancora più funzionale nella versione digitale, che viene
arricchita anche di un interessante collezione di campioni sonori come esempio di ogni effetto e di
ogni concetto presentato.

71
complesso, fondato proprio su una nuova comprensione del concetto di “effetto
sonoro”. Per quanto ampia possa essere la parte relativa alla classificazione dei vari
effetti, ciò che conta è il terreno teorico all'interno del quale questa è collocata.
Sempre nella Recensione Murray Schafer sostiene che «Augoyard e i suoi
collaboratori si occupano degli effetti del suono sugli ascoltatori piuttosto che delle
loro proprietà fisiche»133. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una verità
soltanto parziale: quello che viene ricercato nell'opera in questione non è una nuova
via attraverso cui riuscire a classificare e a comprendere le manifestazioni del suono,
quanto piuttosto un nuovo strumento teorico che possa fondare una più salda
comprensione della nostra esperienza acustica complessiva.
L'ottica delineata da Augoyard parte dal riconoscimento di un vuoto teorico
proprio all'interno dei mezzi concettuali che usiamo per interpretare la struttura e il
funzionamento dello spazio acustico nella nostra esperienza concreta. Quelle che
vengono identificate come le nozioni più pertinenti per darne una forma teorica,
ossia quelle di “oggetto sonoro” e di “paesaggio sonoro”, sono concetti che, si
riconosce, hanno rappresentato delle svolte assolute nella nostra modalità di
considerazione del suono in generale, ma che difficilmente permettono di fondare
una comprensione relativa alla dimensione quotidiana della nostra esperienza
sonora. Da un lato, l'oggetto sonoro va ad indagare una forma talmente essenziale
del suono da stare in un certo senso “prima” della nostra reale esperienza di ascolto:
il riconoscimento di quelle unità che costituiscono per l'orecchio del compositore le
cellule della composizione procede a partire da una interpretazione del suono in
quanto elemento significante in assoluto, indipendentemente dall'atto effettivo della
nostra percezione. Sembra quindi difficile trovare la possibilità di un impiego di
questo concetto al di fuori dell'ambito propriamente musicale in riferimento al quale
è stato elaborato. Dall'altro lato, la nozione di paesaggio sonoro sembra superare la
dimensione propria del nostro ascolto nell'altro senso, ossia andando “oltre” ad essa.
Il che è conseguenza del contesto primariamente educativo e valutativo all'interno
del quale la nozione è stata pensata: il paesaggio sonoro rischia continuamente di
oltrepassare il semplice dato percepibile per restituirne una visione generica ed
orientata, che tende a corrispondere più a ciò che dovrebbe essere rispetto a ciò che

133 R. Murray Schafer, Recensione, cit., p. XV.

72
realmente è134. Quello che alla fine succede è che

da un punto di vista operativo, cioè quando vogliamo descrivere e definire l'insieme delle
forme sonore percepibili nell'ambiente, che siano degli stimoli rumorosi, dei suoni
musicali o dei suoni di qualsiasi genere, ci mancano dei concetti generici. Né il concetto di
paesaggio sonoro, troppo ampio e vago, né quello di oggetto sonoro troppo elementare (nel
senso di livelli di organizzazione del dato), ci permettono di lavorare comodamente nella
scala dei valori quotidiani135.

Di fronte a questa insufficienza teorica, la proposta di Augoyard è quella di


porre al centro dell'attenzione il concetto di “effetto sonoro”, che rappresenta uno
strumento «adatto all'ambiente sonoro concreto che permette di collegare in modo
coerente i campi della percezione e dell'azione, dell'osservazione e della concezione,
dell'analisi e della creazione»136. Ciò che caratterizza questo concetto è appunto la
sua irriducibile ambivalenza: anche da un semplice punto di vista lessicale l'“effetto”
si caratterizza come ciò che sta in mezzo tra una causa e un evento, e non è
riducibile semplicemente a quest'ultimo. L'evento è sempre situato, è sempre
singolare, mentre l'effetto da un lato recupera questa dimensione, nel senso che può
diventare “situazione”, ma dall'altro sta a monte, mantenendo il suo carattere
universale. Ad una causa segue un effetto, indipendentemente dall'evento che si
verifica, ma allo stesso tempo l'evento che si verifica si può definire come effetto
della causa. Applicato all'ambito dell'acustica, questo carattere permette di dare vita
ad una nuova via interpretativa, che ha in qualche modo la possibilità di mantenersi

134 La lettura della concezione schaeferiana ruota qui attorno al concetto di “unità estetica”: «il
paesaggio sonoro (nell'opera di Murray Schafer) designa in modo specifico quello che in un luogo
sonoro è percepibile come unità estetica» (Repertorio degli effetti sonori, cit., p. 174). Il che porta,
secondo il parere di Augoyard, a non dare del complesso sonoro una lettura neutrale, ma a cercare di
interpretare la molteplicità attraverso delle formule che possano costituire allo stesso tempo i criteri
per una comprensione attuale e per un orientamento futuro. Questo determina che alcuni paesaggi
sonori vengano “scartati a priori” dalla riflessione, come succede nel caso dei paesaggi sonori lo-fi,
per esempio. Dal mio punto di vista questa lettura del pensiero di Murray Schafer è soltanto parziale:
la costruzione presentata nel Paesaggio sonoro è infatti una costruzione più complessa, che dovrebbe
essere valutata, da un lato, in relazione all'ampissimo sfondo teorico entro il quale si colloca,
dall'altro in relazione all'esperienza complessiva del World Soundscape Project. Il che permetterebbe
di recuperare, a mio modo di vedere, all'interno di un contesto “estetico”, e quindi operativo, anche
paesaggi sonori lo-fi e caotici: lo dimostra, per esempio, l'idea stessa di soundscape composition. Ciò
non toglie che la visione presentata da Augoyard, secondo cui il concetto di paesaggio sonoro non
può servire come elemento specifico per la comprensione dell'esperienza irriducibilmente singolare di
ascolto, non abbia un fondamento. Il paesaggio sonoro, infatti, sembra continuamente oscillare tra il
polo di una esperienza soggettiva e quello di una esperienza collettiva del paesaggio, le quali,
fondandosi reciprocamente, rendono difficile la possibilità di una interpretazione separata dei due
ambiti.
135 J. F. Augoyard - H. Torgue, Repertorio degli effetti sonori, cit., p. 175.
136 Ivi, p. 180.

73
a metà strada tra l'approccio oggettivo proprio della scienza e quello soggettivo a
cui, al di fuori del singolo dato percepito, non è dato esprimere alcun giudizio sul
mondo in generale.
Le caratteristiche dell'effetto sonoro permettono di intercettare secondo un
triplice punto di vista l'ambito della realtà acustica in generale. Il primo aspetto che è
implicato consiste nella dinamica relazionale, umana e sociale, che ne sta alla base:
nel senso che la recezione del suono è sempre “effetto” della particolare cultura
all'interno della quale essa avviene. Il secondo riguarda la struttura del luogo fisico
attraverso cui il suono si propaga, che risulta assolutamente determinante per
l'effetto sonoro che ne deriva. E in terzo luogo è strettamente implicata la
disposizione percettiva del singolo soggetto che percepisce. Si capisce quindi come
tale concetto si collochi in una intersezione che permette di mettere in
comunicazione il fenomeno irrimediabilmente soggettivo del percepire con la natura
oggettiva dello spazio fisico in cui avviene l'azione, e con il dato socio-culturale
della comunità a cui si riferisce. «Esso (il concetto di effetto sonoro) sembrava
ricoprire con pertinenza questa interazione che noi cerchiamo di cogliere tra
l'ambiente sonoro fisico, il luogo sonoro in una comunità socioculturale e il
“paesaggio sonoro interno” a ciascun individuo»137.
La natura “ibrida” che caratterizza l'effetto sonoro è proprio l'elemento che
conferisce al termine la propria forza operativa e teorica rispetto ai concetti
considerati. L'effetto sonoro non può mai essere isolato e interpretato alla luce di una
sola delle sue componenti, ma deve sempre essere compreso nella dinamica che lo
costituisce intrinsecamente: soggetto-oggetto, spazio-luogo, individuo-società. Per
mantenere viva questa caratteristica bisogna diffidare dall'attribuire al termine lo
statuto del “concetto” moderno, volto a formalizzare e a strutturare in maniera
137 Ivi, p. 177. La nozione di “paesaggio sonoro interno” viene ripresa dagli studi di Manuel
Periáňez. Tali studi, estremamente originali sia da un punto di vista stilistico che concettuale, si
collocano all'interno di un'area propriamente psicanalitica, che esula dagli obiettivi del nostro lavoro.
Segnaliamo in particolare il saggio Le paysage sonore interne, pubblicato nel 1983 sulla rivista
Recherche et Architecture, n. 55, pp. 48-57, consultabile online all'indirizzo http://mpzga.
free.fr/psi.html. In questa sede il carattere essenziale del termine viene indicato nella sua «natura
polisemica e nel suo ruolo operativo volto a stabilire una pressione mentale di pari intensità tra la
dimensione interiore e la dimensione esteriore degli eventi» (ivi, p. 1, traduzione mia). Si tratta quindi
di una nozione complessa nel suo funzionamento, che attinge dal bagaglio “memoriale” della nostra
esperienza percettiva sonora per influire sulle modalità della ricezione attuale, collocandosi in una
dimensione che sta a metà tra la funzione attiva di produzione di paesaggio e quella passiva legata
alla recezione del dato esterno.

74
definitiva la nozione a cui si riferisce. Al contrario: «l'effetto sonoro conserva per
noi il valore di paradigma. Idea a metà strada tra l'universale e il particolare, di volta
in volta modello e guida, esso permette un discorso generale sui suoni, ma non può
fare a meno di esempi»138. Questa componente di concretezza e di operatività rende
tale paradigma uno strumento imprescindibile anche per il designer acustico
stesso139. Nell'ottica del designer, infatti, esso rappresenta la possibilità concreta di
tenere unita all'interno di un unico atto interpretativo, la molteplicità dei punti di
vista che caratterizzano la complessità della nostra percezione, e che generalmente
vengono invece separati all'interno dei diversi approcci disciplinari.
La prima area in cui la nozione può essere d'aiuto al designer è quella relativa
alla comprensione e alla corretta valutazione quantitativa del paesaggio sonoro:
fondare questa comprensione semplicemente su delle misure e dei regolamenti,
infatti, porta spesso a un risultato impersonale e distaccato. Al contrario, l'effetto
sonoro, proprio per la sua intrinseca interattività, rappresenta un modello più
efficace per la rappresentazione del fenomeno sonoro. La seconda area di interesse è
quella del rapporto con lo spazio costruito: la conoscenza degli effetti sonori
determina la possibilità di rendere prevedibili le caratteristiche acustiche dello
spazio urbano, e quindi di valutare a priori l'impatto del progetto architettonico. E,
infine, l'effetto sonoro rappresenta uno strumento estremamente utile per chi volesse
porsi come obiettivo quello dell'educazione e della sensibilizzazione del cittadino
verso le tematiche acustiche, dal momento che permette di costruire, anche a livello
sperimentale, una dimensione dell'ascolto complessa che può essere paragonata a
quella dell'ascolto reale.
La nozione di effetto sonoro si colloca, quindi, al centro della riflessione del
Cresson come un nuovo paradigma in grado di portare ad una comprensione più
approfondita e più realistica del mondo sonoro, e in grado di fornire dei mezzi più
efficaci, rispetto a quelli proposti dalla riflessione precedente, su cui basare un
intervento di educazione e di trasformazione sociale. Una prospettiva ancora più
ampia è quella delineata da Pascal Amphoux, in un interessante articolo del 1995 140,
138 J. F. Augoyard, H. Torgue, Repertorio degli effetti sonori, cit., p. 180.
139 Per la precisione, la figura del progettista acustico non viene indicata attraverso questo
termine, ma ricorrendo alla parola “rumorista”. Per coerenza con l'intero lavoro, noi continueremo ad
utilizzare il termine inglese “designer”.
140 P. Amphoux, Passasggio in maggiore, in AA.VV., L'ascolto del tempo, a cura di A. Mayr,

75
in cui la riflessione è basata sul recupero di due concetti appartenenti al mondo della
biologia, e in particolare della cronobiologia, all'interno di un contesto acustico e
musicale. I concetti sono quelli di «sincronizzatore» e di «datore di tempo». A
partire da questi elementi, la riflessione si svolge con l'obiettivo di interpretare il
paesaggio sonoro come una delle componenti principali per la regolamentazione dei
ritmi temporali di una comunità. Il primo senso attraverso cui questo avviene
consiste nell'interpretare il suono come un “sincronizzatore sociale”: nella vita della
comunità ci sono degli elementi acustici che rappresentano per gli abitanti un vero e
proprio «orologio interno»141. Spesso questo non avviene come conseguenza di un
procedimento valutativo conscio da parte dell'individuo, ma viene prodotto da
processi inconsci dovuti alla frequente ripetizione del suono nello stesso momento
del giorno, della settimana o dell'anno. Possono per esempio svolgere la funzione di
sincronizzatori sociali i suoni delle campanelle della ricreazione, del passaggio del
primo tram, della raccolta dei rifiuti, dell'apertura dei negozi.
Il problema con cui questa teoria deve fare i conti, però, è quello dell'aumento
della complessità dei paesaggi sonori moderni, in cui non sembrano più individuabili
dei suoni in grado di svolgere questa funzione per l'intera comunità, come potevano
essere, per usare una sola immagine, le campane della chiesa in passato. Al
contrario, questi elementi sembrano disperdersi nella molteplicità delle situazioni
particolari che caratterizzano la vita di ogni singolo individuo. L'organizzazione
temporale delle moderne società diventa, di conseguenza, un fatto certamente meno
centralizzato e in un certo senso più caotico e casuale rispetto alle società del
passato, il che conferisce alla teoria dell' “orologio interno” un carattere troppo
rigido e strutturato per poter essere funzionale anche nella nostra contemporaneità.
Sembra dunque necessario un concetto più flessibile, che possa permettere di
relazionarsi con una nuova tipologia di temporalità, frammentata e non centralmente
organizzata, continuamente in trasformazione e continuamente modificata dai nuovi
elementi che vi si aggiungono.

A. Colimberti, G. Montagano, (mp) x 2 editore, Firenze 1995.


141 Ivi, p. 73. Anche questo concetto di “orologio interno” è ripreso dall'area della
cronobiologia, in cui è utilizzato per indicare il ritmo biologico che contraddistingue la vita di un
organismo. La società viene quindi interpretata come un unico organismo complesso, che trova al suo
interno gli elementi su cui fondare la propria organizzazione temporale. Il fulcro dell'argomentazione
consiste nel rilevare che gli elementi sonori giocano in questo ambito un ruolo decisivo.

76
Tale concetto è identificato da Amphoux nel «datore di tempo». Da un lato
l'evoluzione della teoria rappresenta il passo necessario verso un indebolimento di
quello che è stato definito “sincronizzatore sociale”, ma dall'altro permette di
mantenere aperta la strada alla comprensione della temporalità sociale come un fatto
quantificabile e complessivamente identificabile. Il concetto di “datore di tempo”
permette di dare una prospettiva generale al problema della temporalità, che non
viene più inquadrata soltanto in relazione ad un singolo fenomeno sonoro, ma viene
compresa ad un livello più generale, come l'interazione di decine e decine di
elementi che, nella loro manifestazione, finiscono per «autoinnescarsi» tra loro. La
grande crescita del numero dei sincronizzatori sociali porta a dover alzare lo sguardo
ad una dimensione più complessa dell'interpretazione sociale, che consideri il
problema del tempo non più come il problema di un ritmo, di una cadenza
organizzata che deve essere riconosciuta, ma come una dinamica in continua
evoluzione, relativa ad un ritmo che cambia incessantemente e in maniera
imprevedibile. «Non è più il determinismo causale dei sincronizzatori, ma la
pregnanza formale di una composizione di effetti, dove le cause sono multiple,
dislocate e aggrovigliate. Per questa ragione, a un approccio causale conviene
sostituire un approccio effettivo ai fenomeni sonori»142.
Il che ci riporta al centro della riflessione sull'effetto sonoro, che anche in un
contesto così ampliato sembra rappresentare l'elemento decisivo e imprescindibile
per una corretta comprensione del problema. Quello che risulta ancora una volta
essenziale in questa nozione è il proprio carattere intrinsecamente multidisciplinare,
la propria relazione costitutiva con il luogo in cui si situa, e la portata emotiva che
riveste per l'ascoltatore. Tutti questi elementi caratterizzano l'esperienza di ascolto
dell'effetto sonoro come un momento sempre in qualche modo «paradossale»:
l'interazione tra l'effetto e l'evento, infatti, rende quest'ultimo un fatto percepito nella
sua interezza, ma al contempo mascherato. Il dato che percepiamo normalmente,
risulta sempre la somma di una onda originaria, a cui si aggiunge il particolare
effetto dovuto all'interazione con il luogo in cui si manifesta: si tratta di un atto che
viene al contempo affermato e negato, nel senso di “alterato”. E sta proprio in questa
alterazione, del resto, la possibilità stessa della nostra percezione del suono: per

142 P. Amphoux, Passaggio in maggiore, cit., p. 77.

77
poter arrivare alle nostre orecchie, esso deve manifestarsi, passare attraverso un
luogo, diventando, appunto, “effettivo”. Le modalità di questo paradosso sono
diverse da effetto a effetto, e come tali vanno indagate. Ciò che però rappresenta un
elemento comune a tutti, consiste nel fatto che «in tutti i casi vi è un cambiamento di
temporalità, o meglio una modificazione del rapporto interattivo tra le varie
temporalità; ed è in tal senso che gli effetti sonori possono essere considerati dei
datori di tempo»143.
Si capisce, quindi, come il concetto di effetto sonoro renda possibile, alla fine,
la comprensione di una temporalità comune alla quale altrimenti sembra necessario
doversi rinunciare. La costruzione di una armonia sociale, inquadrata secondo il
nuovo ordine che viene introdotto con la nozione di “datore di tempo”, va intesa
come la costruzione di una armonia in senso propriamente musicale: ossia come un
equilibrio apparentemente instabile e paradossale tra consonanze e dissonanze, che
si giustifica e si risolve all'interno della composizione stessa, senza poter trovare
all'esterno degli elementi sui quali appoggiarsi. In questo senso si passa, nel modo di
interpretare la società, da una «logica della conformità ad una logica della
convenienza, cioè della messa in forma dell'insieme delle regole che sono alla base
dell'utilizzo di un luogo e dell'appartenenza ad un gruppo»144. Si ritrova quindi la
possibilità di un rinsaldamento teorico tra un livello osservativo, da cui dedurre le
caratteristiche di una temporalità in continuo cambiamento e di un ritmo sempre
variabile, e un livello in un certo senso prescrittivo, legato al problema della
«morfogenesi di un codice sociale»145 ad esso collegato. In definitiva:

all'ordine minore del codice e dell'adattamento che caratterizza la definizione dei


sincronizzatori si sostituisce l'ordine maggiore dell'appropriazione e della creazione che
genera un codice in mutazione perpetua e che caratterizza ciò che in queste pagine
abbiamo chiamato i datori di tempo. Dall'uno all'altro vi è un passaggio in maggiore, cioè,
effettivamente, un cambio di tonalità – forse l'immagine più bella del tempo che un datore
di tempo possa fornirci146.

143 Ivi, p. 78.


144 Ivi, p. 79.
145 Ibidem.
146 Ivi, p. 80.

78
SECONDO CAPITOLO.
PAESAGGIO SONORO E MUSICA

1. Musica e rumore

Il Professore e Musicologo Antonio Serravezza, durante un colloquio personale,


mi espose uno dei suoi capisaldi teorici: «si dice che il XX secolo sia stato un secolo
“breve”, e per alcuni aspetti può anche essere vero, ma in ambito musicale non è
così: il XX secolo non solo è stato un secolo molto lungo, ma soprattutto è stato un
secolo largo». L'affermazione fa ovviamente riferimento alla celeberrima teoria di
Hobsbawm, che identifica i confini del XX secolo negli anni 1914 e 1991. In ambito
musicale questa proposta, secondo il parere di Serravezza, non può essere sostenuta:
correnti come il blues o il jazz, che rappresentano dei fatti imprescindibili per la
comprensione del Novecento musicale, affondano le loro origini ben prima della
data indicata. L'invenzione del fonografo risale al 1877, la teoria dodecafonica
schoenberghiana vede le sue prime formulazioni proprio a cavallo tra gli ultimi anni
del XIX secolo e i primi del successivo. E per quel che riguarda la fine del secolo
musicale il 1991 non annovera nessun avvenimento particolarmente significativo se
non, per qualche cultore, la morte di Freddy Mercury. Il limite superiore rappresenta
quindi una questione ancora più difficile di quella inferiore, e tutt'oggi non sembra
individuabile alcun elemento attraverso cui sancire il definitivo tramonto del
Novecento musicale1.
Ma soprattutto musicalmente, diceva Serravezza, il Novecento è un secolo
largo. Nel senso che sono molteplici le linee interpretative che procedono in
parallelo, e che derivano proprio dalle molteplici tradizioni e correnti musicali che lo

1 Si intende, in questo contesto, ricercare la fine intesa come fine di un certo approccio
compositivo. Sono diversi i fattori peculiari e imprescindibili che caratterizzano l'esperienza musicale
del XXI secolo, uno su tutti il diffondersi della cosiddetta “musica liquida”. Si tratta, però, di fattori
riconducibili al modello della fruizione sociale della musica, del consumo e delle abitudini all'ascolto
delle persone, piuttosto che di un vero e proprio cambiamento nel modo di “fare” la musica.

79
costituiscono. Parlare di “una musica” per il Novecento è impossibile: il Novecento
è il secolo di Louis Armstrong, dei Beatles, di John Cage, di Michael Jackson, di
Schoenberg e dei Sex Pistols. Ognuno di questi nomi potrebbe, secondo alcune
ragioni, essere considerato come il punto di inizio della storia della musica di questo
secolo, e nessuna di queste ragioni sembra potersi escludere a priori o in modo
definitivo. Tra le varie letture musicali che si possono dare del secolo passato (nel
quale probabilmente, a livello musicale, stiamo ancora vivendo), una è quella che a
noi, in questa sede, interessa particolarmente: la considerazione della musica come il
progressivo percorso di assimilazione del rumore all'interno della musica stessa.
Le ragioni che hanno prodotto e reso possibile questo fenomeno sono
molteplici, e tra queste certamente risultano imprescindibili i fattori tecnici che
hanno perfezionato, nel corso del secolo, la riproduzione del suono in modo
artificiale. Da un certo punto in avanti, infatti, la ricerca musicale, intesa
precedentemente soprattutto come indagine dei rapporti possibili tra i suoni (cioè
come indagine armonica), si rivolge sempre più alla considerazione del problema del
repertorio sonoro utilizzato. Questo nuovo approccio trova rapidamente numerosi
consensi tra i compositori e tra i musicisti, e si impone per alcune correnti come il
vero e proprio termine della ricerca musicale in generale.
Il che è comprensibile anche in relazione alle tendenze dominanti dell'epoca: a
partire dai primi anni del '900, infatti, la rivoluzione a cui si assiste in ambito
musicale è rappresentata dall'affermarsi della teoria dodecafonica, che nell'idea
stessa del suo fondatore costituisce l'evoluzione definitiva rispetto a qualsiasi
concezione armonica tradizionale. Mentre tale visione tradizionale si basa infatti sul
riconoscimento di una nota fondamentale, detta tonica, attorno alla quale si struttura
tutta la costruzione del brano, l'idea dodecafonica parte dal riconoscimento di una
uguaglianza tra tutti i 12 suoni della scala cromatica all'interno della composizione.
Questa idea rappresenta del resto un punto di arrivo quasi inevitabile: le varie
“eccezioni” introdotte nei secoli all'interno delle regole dell'armonia tonale
costituiscono ormai un apparato estremamente complesso, e la ricerca di nuove
formule espressive porta inevitabilmente a soluzioni che non possono più essere
pensate come varianti del modello tradizionale, ma come qualcosa di nuovo. Lo
dimostrano le ben note discussioni su alcuni degli ultimi lavori di Beethoven e su

80
alcuni passi delle opere wagneriane2: arrivata ad un certo grado di saturazione, la
struttura armonica classica, per poter evolvere, deve necessariamente negare se
stessa.
Il che produce, di conseguenza, la necessità di elaborare altri criteri, che non
siano la mera casualità, sulla base dei quali stabilire l'ordine e la scelta delle note
all'interno della composizione. Lo stesso Schoenberg definisce delle soluzioni
possibili a questo proposito, e il successivo sviluppo della musica seriale ne proporrà
le più svariate. Tali criteri, che si allontanano sempre più dall'essere scelti sulla base
della piacevolezza estetica, vengono cercati in territori sempre più estremi e
complessi: serie geometriche e matematiche, leggi probabilistiche e aleatorie, regole
della stocastica implicate nella teoria cinetica dei gas, per fare qualche esempio. Il
che produce due importanti derive nella musica classica contemporanea: la prima
consiste nel fatto che tali esperienze rappresentano in qualche modo il capolinea per
una ricerca che voglia intendersi come ricerca armonica; la seconda nel progressivo
allontanamento di tali sperimentazioni dal gusto e dalla ricezione del pubblico, e nel
crescente isolamento dei compositori contemporanei in ambiti sempre più
autoreferenziali e inaccessibili ai più.
Su questo sfondo si comprende quindi come l'emergere di una “nuova via” per
la ricerca musicale, ossia quella rappresentata dall'ampliamento dell'orizzonte
sonoro interessato e dalle possibilità a questo legate, sia accolta quasi come una
ancora di salvezza dagli stessi compositori. I quali vedono in questo, da un lato, la
possibilità di sganciarsi dalle sempre più incomprensibili (almeno a livello musicale)
formule della musica seriale per ritornare all'interno di un ambito armonico più
tradizionale, e decisamente più in sintonia con il gusto e con i desideri del grande
pubblico. Dall'altro, la possibilità di proporre questo recupero non all'interno di una
formula musicale già nota, ma di un contesto vero e proprio di ricerca e di
sperimentazione.
Il che produce una autentica rivoluzione all'interno dei canoni tradizionali del

2 Un ampio dibattito filosofico riguarda il rapporto tra questi autori e la teoria dodecafonica:
per diversi interpreti, Beethoven (soprattutto negli ultimi Quartetti) e alcuni passi delle opere di
Wagner avrebbero anticipato nei fatti quel disfacimento dell'armonia tonale che la riflessione
schoenberghiana ha portato a termine con le parole. Si veda, per esempio, la posizione sostenuta da
Ian Bent e William Drabkin in: Analisi musicale, tr. it. di A. Bruni, P. Ferella, F. Vacca, EDT, Torino
1998.

81
compositore: la sua stessa immagine viene completamente stravolta. La classica
raffigurazione dell'uomo con le mani sulla tastiera del pianoforte intento a
interpretare uno spartito, lascia progressivamente spazio al ritratto del compositore
moderno, ripreso in mezzo a complessi congegni tecnologici formati da cavi,
tastiere, manopole di controllo e spie luminose. La ricerca musicale diventa
strettamente legata al progresso delle tecnologie implicate in ambito compositivo: da
un lato nel senso di strumenti elettronici di produzione sonora, dall'altro nel senso di
strumenti di registrazione e di riproduzione3. Il perfezionamento degli strumenti
elettronici, infatti, permette un impiego sempre più massiccio di questi nelle
composizioni, e determina una estensione notevole dell'area dei suoni gestiti per via
sintetica. Di pari passo, l'aumento della fedeltà nel processo di registrazione e di
riproduzione del suono, rende possibile una tecnica sempre più accurata di recupero
del materiale sonoro all'interno del paesaggio, e il conseguente impiego di questo
materiale nel discorso musicale.
Si comprende bene, a questo punto, come questo sfondo teorico costituisca un
riferimento assolutamente centrale per la nostra riflessione. Da un lato, infatti, la
comprensione di ciò che è musica e di ciò che è rumore per una determinata società
potrebbe rappresentare il terreno proprio su cui basare l'intervento del designer
acustico: se le due aree risultassero chiaramente distinguibili e individuabili, si
potrebbe dire che il lavoro del designer consisterebbe nella trasformazione del
rumore dei nostri paesaggi sonori in musica4. Dall'altro lato, la considerazione di
come il rumore del paesaggio è stato introdotto all'interno dell'area musicale,
permette di comprendere cosa questo abbia rappresentato nelle varie epoche e nei
vari momenti storici (almeno a partire da un certo punto in avanti), deducendo
dall'atteggiamento artistico del compositore la particolare interpretazione della realtà
sonora da parte di una società.
Secondo la prima delle accezioni riportate si capisce, quindi, come il tentativo
di distinguere ciò che rappresenta “musica” da ciò che invece si deve considerare
“rumore” abbia costituito un'area di indagine centrale per molti degli autori fin qui
3 Per una interessante introduzione alla storia degli strumenti elettronici musicali, si veda il
sito: http://www.suonoelettronico.com/introduzione.htm
4 Il che, del resto, non è molto lontano dal movente di fondo da cui tutta la riflessione ha preso
le mosse: ne è prova il pensiero di Murray Schafer, l'esperienza della musica concreta teorizzata da
Pierre Schaeffer, e la successiva nascita della soundscape composition.

82
considerati. In particolare, la panoramica più generica su ciò che si può considerare
“rumore”, e su ciò che tradizionalmente è stato inteso con questo termine, viene
presentata da Murray Schafer al capitolo 13 del suo Paesaggio sonoro. In questa
sede si individuano quattro principali definizioni del termine, ognuna delle quali
corrispondente ad un diverso modo di approcciare la questione. La prima definizione
è la classica definizione di rumore, che corrisponde genericamente ad un «suono non
desiderato»:5 si tratta di una definizione presente nell'Oxford English Dictionary già
a partire dal 1255 in corrispondenza della voce noise. E' evidente che per quanto tale
definizione possa apparire plausibile, almeno un problema, non di secondaria
importanza, sembra rimanere irrisolto anche ad una prima analisi: non desiderato da
chi? La vita di ogni giorno pone costantemente esempi di suoni che vengono
considerati non desiderabili da alcuni individui e assolutamente desiderabili da altri.
Come trovare un criterio per stabilire dei parametri il più possibile “oggettivi”, che
possano mettere d'accordo le parti? La definizione proposta non sembra essere in
grado di fornire una risposta a questo interrogativo.
Proprio in questa direzione si muovono invece le successive due definizioni:
«suono non musicale» e «qualsiasi suono di forte intensità». 6 La prima di queste
proposte è introdotta dal fisico tedesco Hermann Von Helmholtz, il quale distingue
appunto il suono musicale dal rumore in base alla forma dell'onda che caratterizza il
suono: i suoni musicali sono caratterizzati da oscillazioni periodiche, mentre i
rumori da oscillazioni aperiodiche. Per citare direttamente le parole di Helmholtz:

la prima e principale differenza tra i vari suoni esperiti dal nostro orecchio è quella tra
rumori e suoni musicali. […] La sensazione di un suono musicale è dovuta ad un rapido
movimento periodico del corpo sonoro; la sensazione di un rumore ad un movimento non
periodico7.

Il tentativo è sicuramente interessante, dal momento che permetterebbe di


trovare un criterio scientificamente valutabile per distinguere le due aree acustiche.
Ma va da sé che accettare una tale ipotesi vorrebbe dire relegare nell'ambito del
rumore la gran parte della musica scritta nella nostra contemporaneità, perdendo
ogni strumento concettuale per comprendere l'esperienza musicale del Novecento e

5 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 254.


6 Ibidem.
7 H. Helmholtz, On the sensations of tone, cit., pp. 7-8.

83
del periodo attuale.
L'idea di definire rumore un «qualsiasi suono di una certa intensità», invece,
trova oggi ampi consensi in molti ambiti, tra i quali, almeno in una certa misura, il
linguaggio quotidiano. Parlare di rumore significa infatti generalmente parlare di
suono quantitativamente intollerabile, indipendentemente dalla sua qualità. Su
questa definizione si basa anche l'approccio legislativo, generalmente volto a
contenere le emissioni sonore all'interno di certi parametri espressi in decibel. Tale
approccio, come abbiamo già più volte osservato, porta come conseguenza un
inevitabile appiattimento nel modo di intendere il suono in generale, che viene in
questo modo isolato dal suo contesto, spogliato delle sue componenti e delle sue
valenze culturali, sociali, simboliche, per essere considerato come un mero dato
quantitativo su cui agire. Il suono diventa una questione generica, indistinta,
universalmente valutabile, perdendo così la propria specificità.
L'ultima definizione di rumore rimanda ad un contesto sicuramente più tecnico:
rumore è inteso come un «disturbo all'interno di qualsiasi sistema di
comunicazione».8 Si tratta per esempio del cosiddetto “rumore bianco” (il rumore
inevitabilmente prodotto dall'elettricità) nelle registrazioni musicali e nelle
comunicazioni telefoniche, o dell'“effetto neve” sugli schermi televisivi. Certamente
questo utilizzo del termine risulta meno interessante per il nostro contesto, e ci
sembra sufficiente rilevarne l'esistenza.
La disamina meramente linguistica del termine potrebbe condurre alla scoperta
di nuove sfumature e di nuove aree semantiche inerenti al concetto 9, ma va da sé che
l'attenzione di Murray Schafer non è in questo caso quella del filologo o del
letterato, quanto piuttosto quella del musicista e del filosofo, volto a pensare a
categorie che possano fornire gli elementi per una migliore comprensione della
nostra società, e di conseguenza gli strumenti per un intervento che la possa
migliorare.

8 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 254.


9 Per fare solo un esempio: il versetto biblico del Salmo 100, 1 in inglese riporta “Make a
joyful noise unto the Lord”, che in italiano è reso con “Giubilate al Signore”. C'è in questa traduzione
il rimando ad una componente gioiosa e festosa del rumore, che rappresenta una offerta gradita a Dio.
Componente che non sembra emergere da nessuna delle definizioni sopra riportate. Allo stesso modo,
alcune sfumature di significato si possono ritrovare ancora oggi in lingue straniere (si veda
l'estensione semantica che sembra caratterizzare il termine francese bruit rispetto all'inglese noise,
per esempio), e da una analisi comparata potrebbero emergere dati interessanti.

84
In quest'ottica, nessuna delle definizioni proposte sembra immune da rischi o da
pericoli. Il nodo centrale della questione si concentra intorno al fatto che la
considerazione di ciò che è rumore oscilla tra un polo “soggettivo”, in cui questo è
inteso come elemento di disturbo individuale, e un polo “oggettivo”, in cui è invece
inteso come quantità misurabile e controllabile. Nel primo caso il rischio è quello di
perdere ogni possibilità per un progetto che voglia intervenire modificando la
situazione reale del paesaggio sonoro, visto che il “bene”e il “male” della realtà
sonora ricadrebbero esclusivamente nel gusto e nella disposizione momentanea del
singolo individuo. Nel secondo caso si recuperano le condizioni concettuali che
rendono possibile il progetto ma si perde, per contro, ogni considerazione della
specificità sociale e simbolica del fenomeno sonoro nel suo complesso. La posizione
di Murray Schafer, evidentemente, vede in questa seconda possibile deriva il
pericolo più grande che si possa correre, ed è quindi evidente che nella sua ottica
«delle quattro definizioni principali, ancora oggi la più soddisfacente rimane
probabilmente quella di “suono non desiderato”. Secondo questa definizione,
rumore (noise) è un termine soggettivo»10.
Tale conclusione, da un lato, è sicuramente sostenuta da una eccezionale
coerenza nell'interpretazione del problema, dall'altro, però, rilancia e radicalizza
delle questioni estremamente complesse, che diventano in qualche modo l'unità di
misura attraverso cui valutare il progetto del designer. Tale progetto viene a perdere
infatti ogni riferimento oggettivo su cui potersi fondare, e richiede d'altro canto una
disamina estremamente puntuale della società locale all'interno della quale si
contestualizza.
Sulla stessa lunghezza d'onda sembra muoversi anche Michael Southworth nel
già citato articolo del 1969. Il rumore viene qui definito come

un suono che non è voluto per qualsiasi ragione: potrebbe essere un suono che non è
culturalmente approvato, che è monotono e vuoto, che interferisce con l'attività umana, o
che si impone all'attenzione per le sue alte frequenze o per la sua intensità. La sensazione
di rumore può essere dovuta a molti altri fattori oltre che l'alto volume di decibel 11.

L'impostazione sembra in un primo momento ricadere nell'ambito della


considerazione del suono come “suono non voluto”, ma è evidente dalle righe

10 R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, cit., p. 255.


11 M. Southworth, The sonic environment of the cities, cit., p. 67.

85
successive che il nocciolo del problema sopra delineato è chiaramente avvertito
dall'autore, che tenta di proporre una sorta di mediazione tra i due punti di vista,
arrivando così ad una definizione “ibrida”, che da un lato parte da un approccio
soggettivo al problema, e dall'altro tenta di salvarne la dimensione intersoggettiva e
sociale. E' chiaro, del resto, che lo stallo che caratterizzava la posizione di Murray
Schafer non viene risolto in queste poche righe.
Una via diversa è invece quella tentata da autori come Abraham Moles e Barry
Truax, che si allontanano da un terreno concettualmente “neutrale”, per dare invece
una risposta al problema del rumore all'interno del sistema da loro stessi elaborato.
Nell'ambito della prospettiva molesiana, in particolare, la considerazione di ciò che
rappresenta il rumore si situa in un punto assolutamente centrale della riflessione:
tale considerazione infatti permette in qualche modo di “attualizzare” l'intera teoria,
spostandola da un terreno astratto e privo di riferimenti concreti, all'interno di un
mondo effettivo e reale, abitato da soggetti in carne ed ossa in grado di comunicare
tra loro. Il problema diventa quindi quello di capire «in che modo si opera la
distruzione del messaggio, e reciprocamente la sua emergenza su quello sfondo, nel
quadro dell'universo, che è il rumore»12.
La comprensione è condotta, come si vede, a partire dalla dinamica figura-
sfondo, che distingue l'ambito percettivo del messaggio da quello del caotico,
dell'informe. Ciò che viene posto alla base di questa distinzione è il concetto di
«intenzionalità nella trasmissione»13, che permette di caratterizzare il messaggio
informativo attraverso un grado di organizzazione e di coerenza interna che non può
appartenere alla realtà acustica dello sfondo. Si capisce quindi come, in questa
ottica, la riflessione sul rumore porti con sé la possibilità di “dire qualcosa” su ciò
che concerne l'intero ambito della comunicazione umana. Tale comunicazione
diventa infatti, nel suo complesso, una questione di riconoscimento di una figura-
messaggio all'interno di uno sfondo-rumore. Al di fuori di questo modello, nel
mondo reale, non può essere data comunicazione. Il che implica il fatto che rumore e
informazione si distinguono soltanto in relazione al modello percettivo e
rappresentativo umano: presi in se stessi, in quanto grandezze fisiche, non è

12 A. Moles, Teoria dell'informazione e percezione estetica, cit., p. 119.


13 Ivi, p. 120.

86
possibile individuare alcuna differenza tra l'uno e l'altra. E' soltanto l'intenzionalità
del trasmettitore, quindi, che determina ciò che rappresenta «un segnale che non si
vuole trasmettere», e più in generale «un suono che non si vuole sentire» 14. Si
comprende quindi come alla fine questa definizione, che sembra assomigliare del
tutto alla prima delle definizioni considerate da Murray Schafer, sia in realtà
inquadrata all'interno di uno sfondo di riferimento ben più ampio: il rumore
rappresenta la linea di demarcazione tra il suono dell'universo e il suono dell'uomo,
e in ultima istanza la condizione di possibilità di quest'ultimo.

Il rumore appare quindi come il fondale dell'universo, dovuto alla natura stessa delle cose,
contro il quale il messaggio deve staccarsi. Non esiste messaggio senza rumore, per ridotto
che esso sia. Il rumore è il fattore di disordine contingente all'intenzionalità del messaggio,
che è caratterizzata invece da un grado qualsiasi di ordine. […] Il rumore non può che
degradare l'ordinamento del messaggio, esso non può aumentare l'informazione, esso
distrugge l'intenzionalità. Il rumore è dunque un fenomeno irriducibile che limita la nostra
conoscenza dell'universo in tutti i campi15.

Bisogna rilevare come questa costruzione, pur considerando il rumore


all'interno di una visione esclusivamente negativa, riesca ad ottenere nel complesso
una coerenza argomentativa attraverso cui sistemare tale concetto. Si tratta, però, di
una coerenza interna, che proprio in quanto tale non può pretendere di dirsi
conclusiva nei confronti della questione. Uno dei molti punti, per esempio, che
rimangono aperti, è relativo al modo in cui viene caratterizzato il suono del
paesaggio in generale: tutto ciò che non è prodotto diretto di una intenzionalità viene
relegato da Moles nell'area del rumore. Va da sé, invece, il fatto che molto spesso il
suono dell'ambiente risulta estremamente informativo per chi lo ascolta, e come tale
dovrebbe essere considerato.
Nell'opera di Barry Truax la riflessione su ciò che rappresenta “rumore” prende
le mosse dalla stessa prospettiva delineata nelle pagine di Moles: se la
comunicazione in generale è intesa come trasmissione di informazione, il rumore si
può considerare come qualsiasi evento che interferisce con questo atto. Ciò che
caratterizza queste pagine è un approfondimento relativo al modo in cui questa
interferenza può avvenire. Truax indica tre modi principali: il primo si verifica
quando ci troviamo ad avere a che fare con suoni che siamo in grado di riconoscere,

14 Ivi, p. 123.
15 Ivi, p. 134.

87
ma che ci trasmettono una informazione alla quale associamo un significato
negativo. E' il caso di suoni che ci producono fastidio o stress psicologico, per
esempio. Il secondo caso è lo stesso che presentava Abraham Moles: rumore è
qualsiasi agente acustico che possa oscurare la trasmissione del suono informativo.
Spesso questi rumori, soprattutto se ripetuti, tendono nel lungo tempo ad essere
assorbiti nel paesaggio acustico in generale, senza più essere riconosciuti
coscientemente dal soggetto che vi abita.
Il terzo modo in cui il rumore può interagire con la comunicazione umana
introduce invece un nuovo modo di interpretare questo elemento, portando al
superamento della visione meramente negativa di Moles:

il rumore nel senso di informazione che non riesce a essere del tutto modellizzata e
ordinata dal cervello, è l'unica fonte possibile di nuova informazione. […] Spesso si usa il
termine “rumore” in senso non-peggiorativo per indicare un suono apparentemente non
riconosciuto e non definito che sembra essere potenzialmente significante16.

Si capisce come in questo senso l'ambito del rumore si estende oltre l'orizzonte del
disturbo, del fastidio, del dato che interrompe e che interferisce con la nostra
possibilità di comunicazione, per inerire invece con una nuova area di tipo creativo,
costruttivo, artistico17. Dal rumore casuale del mondo che ci circonda infatti nasce
l'ispirazione, la suggestione, l'emozione. Il messaggio artefatto della comunicazione
umana si basa sempre su modelli già acquisiti, non più in grado di sorprendere. Il
rumore dell'universo, invece, continua a stimolare la nostra percezione con eventi
sempre nuovi, con la creazione di timbri e di immagini sonore sempre diverse. Non
perdere la capacità di lasciarsi suggestionare e ispirare da queste significa mantenere
aperta la possibilità di comunicare con il mondo, trovando nuovi mezzi espressivi
che possano intercettare e significare all'interno di una realtà che continuamente
cambia. Come sottolinea Truax, le regole sintattiche di una nuova lingua, in grado in
un primo momento di stimolarci ad una nuova forma di pensiero, diventano col
tempo dei modelli acquisiti. Lo stesso succede con gli stili musicali, che spesso al
loro primo apparire vengono celebrati come avanguardie, e in pochi anni diventano

16 Barry Truax, Acoustic Communication, cit., p. 88.


17 Questa nuova considerazione del rumore ha aperto la strada ad una serie di riflessioni: si
veda per esempio l'articolo Riflessioni di un compositore sul rumore di Sergio Lanza, pubblicato sulla
rivista online De Musica nel 2009, all'indirizzo http://users.unimi.it/~gpiana/dm12/lanza/lanza
_riflessioni_sul_rumore.pdf

88
il riferimento obbligato (e in un certo senso anche banale) per la nuova ricerca
compositiva. Il rumore, inteso in questo senso più ampio, rappresenta invece una
risorsa senza fine per l'uomo e per la sua possibilità comunicativa, non solo verbale
ma anche artistica. In particolare esso si caratterizza come il nucleo della pratica
musicale e compositiva. Il che ci riporta al centro della riflessione su “musica e
rumore”.
Riprendere tale riflessione alla luce delle osservazioni considerate, significa
aver liberato il campo da una serie di possibili fraintendimenti che potevano
influenzare il discorso. Il dato che sembra emergere in maniera inconfutabile
consiste nel riconoscimento del rumore come un fenomeno esclusivamente sociale e
culturale: ogni tentativo di comprensione di questo elemento deve partire da una
definizione soggettiva del problema. I vari tentativi di arrivare ad una definizione
oggettiva hanno nettamente mancato l'obiettivo, come spesso è purtroppo dimostrato
dal fallimento degli interventi legislativi e giuridici relativi alla materia 18. Allo stesso
modo, e forse a maggior ragione, una tale affermazione deve valere per quello che
intendiamo con il termine “musica”19. Il che, si ribadisce, è del tutto sensato, dal
momento che i due ambiti, da un punto di vista fisico e quantitativo, sono
esattamente la stessa cosa. In che modo può quindi avere senso la nostra
affermazione secondo cui vorremmo considerare la musica del Novecento come il
“progressivo percorso di assimilazione del rumore all'interno della musica stessa”?
Innanzitutto è necessario fare una precisazione. Un tale processo di

18 L'unica possibilità che sembra rimanere aperta per inquadrare il problema secondo un senso
oggettivo è quella di allontanarsi dall'elemento culturale e sociale per valutare invece il contesto del
rumore da un punto di vista medico e fisiologico. Il termine di riferimento è quello della “soglia del
dolore”, ossia un limite quantitativo espresso in Decibel, al di sopra del quale un suono può arrecare
un danno irreversibile al nostro sistema uditivo. Tale approccio è sicuramente da tenere in
considerazione, e anzi da sostenere in maniera indiscutibile. Si vuole però osservare che una tale
impostazione, proprio perché pretende di inerire con un dato semplicemente fisico e fisiologico, si
allontana da quello che realmente percepiamo come musica e come rumore. Una volta tutelata la
salute del nostro apparato uditivo, resta ancora molta strada prima di poter pensare ad un rapporto
armonico tra la nostra vita e il mondo acustico che ci circonda, da cui dipende in maniera
determinante la salute della persona nel suo complesso. Rapporto che non può che essere stabilito
sulla base di ciò che “realmente ci dà fastidio”, ossia il “rumore”, nel suo senso soggettivo,
comunitario e culturale. Cosa che in nessuna legislazione sembra essere tenuta in considerazione.
19 Il fatto è piuttosto evidente e sotto gli occhi di tutti: ciò che rappresenta “musica” per un
appassionato di heavy metal, per esempio, è spesso recepito come “rumore” da altri individui, pur
formati e cresciuti all'interno dello stesso contesto sociale e culturale. (E' noto, del resto, il giudizio
per cui “questa non è musica, è rumore”). La stessa differenza, amplificata, emerge dal confronto di
quello che rappresenta musica per determinate culture rispetto ad altre.

89
assimilazione può essere interpretato in un duplice senso: da un lato, nel senso di
inserimento all'interno dell'opera musicale di strumenti non convenzionali, in grado
di produrre suoni non convenzionalmente ritenuti musicali (e in quanto tali
“rumori”). Si pensi ai sintetizzatori, ai vari filtri e alle varie distorsioni che ormai
comunemente vengono impiegati in ambito musicale. Questo primo senso porta alla
nascita della musica elettronica e alle sue peculiarità: si tratta sempre, in ogni caso,
di un'esperienza che crea il suono all'interno di un momento che potremmo definire
performativo20. Dall'altro lato, l'inserimento del rumore nella musica può essere
inteso come il recupero di un suono già esistente in altro ambito, che viene soltanto
“riportato” nel momento della esecuzione o della composizione musicale. Il che può
avvenire sia attraverso una registrazione vera e propria, sia attraverso la
ricostruzione fisica degli elementi che nel mondo esterno producono un certo suono.
Questo secondo tipo di esperienza è quella da cui si sviluppa la soundscape
composition, ed è quella che interesserà maggiormente la nostra considerazione.
L'ingresso all'interno della composizione di suoni appartenenti al paesaggio
sonoro in generale determina la necessità di un'interpretazione musicale che non sia
più supportata soltanto da un riferimento estetico o musicale in senso stretto, ma
anche in primo luogo da una riflessione che interpreti la relazione complessiva tra la
composizione e il paesaggio sonoro entro il quale si contestualizza. Quello che si
instaura nel momento della composizione è infatti un atto interpretativo del
paesaggio sonoro nel suo complesso, del quale non si cerca di dare una lettura
neutrale, ma piuttosto di costruire una prospettiva possibile. Nell'ambito del nostro
discorso, un tale recupero permette di mostrare come l'approccio musicale, pur
procedendo all'interno di una modalità espressiva non strettamente teorica, abbia per
molti versi anticipato la riflessione teorica stessa, mostrando nei fatti una sensibilità
verso il tema del paesaggio sonoro, e della realtà acustica in generale, che verrà
formalizzata nelle parole solo diverso tempo più tardi. Secondo questo punto di vista
le opere si potranno considerare nella loro valenza “paesaggistica”, ossia nella loro
possibilità di dire qualcosa sul paesaggio: nei termini di una propria

20 Una interessante riflessione, non solo musicale ma anche filosofica, sulla natura della
musica elettronica, sulla sua nascita e sulle sue prospettive è contenuta negli atti del convegno
tenutosi nel 1999 al teatro alla Scala di Milano: Musica e tecnologia domani, a c. di R. Favaro, Lim
Editrice, Lucca 2002.

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contestualizzazione all'interno di un paesaggio, e nei termini di una propria
interpretazione dello stesso.
La seconda area di interesse che il tema riveste in riferimento alla nostra ricerca
deriva proprio da questa “visione interpretativa” che la composizione musicale,
intesa in questo senso, fornisce del paesaggio sonoro: una visione che può diventare
il punto di partenza per un confronto tra le varie modalità interpretative
dell'elemento sonoro in generale. Un tema estremamente delicato per la ricerca sul
paesaggio sonoro è quello che concerne la possibilità di approcciare la questione di
una storia del paesaggio sonoro. Si tratta di un tema particolarmente sentito per
esempio da Murray Schafer, che dedica i primi capitoli del Paesaggio sonoro
proprio al tentativo di ricostruire attraverso le testimonianze del passato la struttura
dei paesaggi sonori delle epoche precedenti. Tali testimonianze sono trovate da un
lato nelle opere scritte: romanzi, poesie, testi teatrali; dall'altro, da un certo punto in
avanti, nelle registrazioni dirette dei suoni del paesaggio. E' chiaro, del resto, che tali
testimonianze sono costitutivamente incomplete: da un lato, nel caso dei testi scritti,
manca il “dato”, ossia l'elemento sonoro stesso; dall'altro, le registrazioni dei suoni
dell'ambiente, spesso ricavate indirettamente da materiale registrato per altri scopi,
non permettono di derivare la chiave interpretativa attraverso cui valutare il suono
stesso21. Una tale mediazione potrebbe essere svolta proprio dal particolare ambito
musicale che stiamo considerando, che da un lato riprende direttamente l'elemento
sonoro all'interno del paesaggio, dall'altro ci permette di inquadrarlo all'interno di

21 Per poter costruire una storia reale del paesaggio sonoro, infatti, non basta ricostruire
semplicemente l'elemento acustico che caratterizza il paesaggio stesso, ma è necessario in primo
luogo conoscere la modalità in cui tale elemento acustico viene recepito e caricato simbolicamente.
Un approfondimento interessante potrebbe venire dalla considerazione del linguaggio
cinematografico, che spesso ricostruisce (anche fedelmente) i paesaggi sonori di altre epoche, ma li
interpreta secondo i criteri del nostro tempo (qualche interessante esempio e osservazione si trova in
M. Curia, Effetto/Musica, Sonorità speciali e narrazione cinematografica, 2007; disponibile online
all'indirizzo http://users.unimi.it/~gpiana/dm11/curia/effetto_musica.pdf). Il rumore del tuono presso
gli antichi greci, per esempio, rappresentava la voce di Zeus (si veda a questo proposito J. Janes, Il
crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza, Adelphi, Milano 1984); il suono delle
campane aveva nel Medioevo una valenza simbolica ben maggiore rispetto a quella attuale (come
dimostra G. Merlatti, Di bronzo e di cielo, Ancora, Milano 2009), il passaggio del treno nel far west
era percepito in modo molto diverso rispetto ad oggi. La semplice ricostruzione fisica di tali suoni, di
conseguenza, non è assolutamente sufficiente a rendere conto dell'esperienza effettiva del paesaggio
sonoro. A questo proposito, citiamo uno dei pochi tentativi, peraltro veramente ben riusciti, di
ricostruire il paesaggio sonoro di un'altra epoca a partire dal recupero della dimensione, sia
quantitativa che interpretativa, coinvolta: J. M. Fritz, Paysages Sonores du Moyen Âge, Honoré
Champion Éditeur, Parigi 2000.

91
una interpretazione di fondo che deriva dalla sensibilità del compositore 22. Sulla
base di queste due indicazioni cercheremo di condurre la riflessione nei paragrafi
successivi.

2. Musica descrittiva e musica a programma: la lettura


tradizionale della natura

La definizione precisa di ciò che si debba intendere con il concetto di “musica a


programma” rappresenta una questione piuttosto complicata, e tutt'oggi al centro di
un dibattito aperto23. Secondo il senso più generale, con questo termine si dovrebbe
indicare «ogni musica che segue un dato modello extramusicale» 24. Il che implica
immediatamente almeno una difficoltà: praticamente tutte le composizioni artistiche
(se non altro nel concetto di “ispirazione”), sembrano poter avere a che fare con un
riferimento extramusicale. Quando tale “riferimento” diventa un “modello”? Che
caratteristiche deve avere quest'ultimo? E soprattutto, in che modo deve strutturarsi
il collegamento tra tale modello e la composizione? Basta che questo svolga un
ruolo ispiratore o deve aderire alla tessitura musicale? Fino a che punto? Come si
vede, le questioni sono estremamente delicate e sottili, e rendono difficile la
formulazione di una definizione che si possa adattare a tutti i singoli casi in maniera
definitiva. Una seconda difficoltà emerge dalla considerazione storica del fenomeno,
visto che tale concetto nasce attorno al 1800, in riferimento ad una precisa
esperienza musicale, e viene quindi riadattato solo successivamente alle forme
compositive precedenti, maturate all'interno di esigenze diverse. Il che porta a

22 Il che significa, evidentemente, considerare un singolo punto di vista (e come tale


inevitabilmente parziale) all'interno del complesso sociale. L'osservazione si deve sempre tenere
presente sullo sfondo, per non cadere nel rischio di basare l'interpretazione di un fatto sociale su di un
elemento astratto e privo di una contestualizzazione effettiva, come quello che rappresenta il singolo
elemento sonoro “estratto” dal suo contesto sociale. Tale elemento non deve fondare infatti la
deduzione di un atteggiamento sociale complessivo, quanto essere rivelatore di un certo tipo di
considerazione parziale, ma pur sempre storicamente significativa, del paesaggio sonoro.
23 Si veda per esempio: J. P. Bartoli, Retorica e narratività musicali nel XIX secolo, in
Enciclopedia della Musica, Einaudi, Torino 2004; S. Kunze, voce Musica a programma, in A. Basso,
a cura di, Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, UTET, Torino 1984; E.
Pozzi, La musica a programma: descrizione e narrazione nell’Ottocento europeo, in Id., Le culture
musicali del Novecento, Scuola IAD-Università Tor Vergata, Roma 1999.
24 S. Kunze, Musica a programma, cit., p.22.

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confluire nel concetto di “musica a programma” una serie di correnti musicali e di
linee interpretative diverse, non facilmente distinguibili tra loro. La confusione è
accresciuta dai numerosi casi di attribuzione a posteriori, proprio sull'onda di questo
entusiasmo “naturalistico”, di titoli evocativi ad alcune opere, sulla base di
suggestioni provate da critici vari o da semplici ascoltatori, il più delle volte
contrastanti con l'intento stesso del compositore25.
Una proposta che trova oggi un certo successo nell'ambito della riflessione
musicologica consisterebbe nel risolvere la difficoltà distinguendo il concetto di
“musica descrittiva”, riferibile all'esperienza musicale del Settecento, da quello di
“musica a programma”, che invece si svilupperebbe soltanto a partire da alcune
esperienze della musica ottocentesca. La differenza tra i due ambiti, come sostiene,
per esempio, Kunze, sta principalmente nell'atteggiamento di fondo verso il dato
extramusicale: nell'esperienza settecentesca sono infatti ancora gli aspetti
propriamente musicali a garantire una struttura solida al brano, in modo da
permettere l'inserimento di parti descrittive non strutturali, che infatti vengono
solitamente affidate prevalentemente agli strumenti solisti 26. Al contrario,
l'esperienza della musica a programma27, sostenuta da una visione romantica
dell'arte, si basa sull'idea di un avvicinamento della musica alla poesia e alla
letteratura, trovando nel testo di riferimento non soltanto uno stimolo e una
suggestione, quanto una vera e propria linea guida: la parte descrittiva (che a questo
punto dovremmo chiamare “programmatica”) riveste quindi un ruolo assolutamente
centrale e strutturale all'interno della costruzione musicale, imponendo a questa
precise dinamiche evolutive28.

25 Sono diventati celeberrimi, per esempio, alcuni “titoli” attribuiti ad alcune Sonate di
Beethoven in periodi posteriori alla sua morte: Il chiaro di luna, L'appassionata.
26 Si consideri, per esempio, il primo Movimento, detto Il cardellino, del Concerto per flauto e
orchestra Op. 10 n. 3 (RV 428) di Vivaldi. Si può notare chiaramente come la parte del “cardellino”,
ossia la partitura assegnata al flauto, si stacchi nettamente dallo sfondo musicale dell'orchestra, di per
sé autonomo e ben strutturato, trovando in questa distanza e in questa apparente imprevedibilità
l'effetto descrittivo rimandante al saltellare gioioso e al cinguettio del cardellino.
27 Tra le prime e più note opere a programma citiamo la Symphonie Phantastique di Hector
Berlioz, Don Quijote e Till Eulenspiegel (oltre che la celeberrima Così parlò Zarathustra) di Richard
Strauss, e Les Preludes di Franz Liszt.
28 Va da sé che questa breve introduzione non pretende di aver risolto la complessità dei
problemi sollevati, quanto piuttosto di aver reso conto di una discussione musicologica inerente
alcune aree musicali che interesseranno la nostra considerazione. E' evidente, per esempio, che anche
dopo la svolta introdotta nell'800 si possano riconoscere delle esperienze riconducibili alla area
descrittiva, così come la suggestione extramusicale che anima la musica pre-ottocentesca non è così

93
Che si intenda da un versante descrittivo, o più specificamente programmatico,
quello che interessa la nostra riflessione è il fatto che l'elemento naturale, e quindi in
un certo senso paesaggistico, abbia sempre avuto una considerazione particolare tra i
compositori. Ripercorrere in maniera esaustiva questo rapporto è pressoché
impossibile: cercheremo quindi di farlo attraverso la considerazione di tre opere
celeberrime, che possano mettere in luce alcuni aspetti per noi rilevanti della musica
del secolo XVIII e XIX, portandoci alle soglie della svolta che riguarda l'esperienza
musicale del Novecento. La prima di tali opere è rappresentata da Le Quattro
Stagioni di Vivaldi, scritta nel 1725, e da molti additata come un tipico esempio di
composizione programmatica ante litteram29. Interpretazione che, del resto, non
sembra così infondata: lo sviluppo musicale di ogni stagione procede infatti
seguendo l'andamento di un sonetto che ne interpreta le caratteristiche principali. La
stagione da cui emerge il carattere più imitativo e più descrittivo del paesaggio è
probabilmente l'Estate, che viene concepita come una lunga riflessione alle soglie di
un temporale che si delinea dapprima all'orizzonte, e che va via via affermandosi
come una prospettiva sempre più concreta30. Il che conferisce fin da subito un
carattere ambivalente alla scena: il sole e il caldo, fonti primarie di vita, diventano
gli elementi responsabili del “languore” provato dall'uomo e dalle altre creature. Il
fuoco stesso, tradizionalmente visto come il dono più grande che la natura ha fatto
all'uomo, diventa dall'altro lato sinonimo di distruzione.
Anche da un punto di vista musicale, l'apparente clima sereno e disteso che
emerge dalle prime battute dell'opera è in realtà velato da un fondo di inquietudine e
di preoccupazione. La calma piatta che caratterizza la scena non permette un
abbandono, un riposo sereno, ma sembra necessitare una attenzione che non deve
essere abbandonata. In questo contesto di assenza di movimento, l'elemento che si

univocamente riconducibile, senza ulteriori chiarificazioni, ad un unica chiave interpretativa.


29 Per una presentazione dell'opera vivaldiana suggeriamo: V. Boccardi, Vivaldi a Venezia,
Canova, Venezia 2003; e per una analisi particolare della musica strumentale: C. Fertonani, La
musica strumentale di Antoio Vivaldi, Olschki, Firenze 1998.
30 Riportiamo il testo del sonetto di riferimento per l'Estate: Sotto dura Staggion dal Sole
accesa/ Langue l'uom, langue 'l gregge, ed arde il Pino;/Scioglie il Cucco la Voce, e tosto
intesa/Canta la Tortorella e 'l gardelino./Zèfiro dolce Spira, ma contesa/Muove Bòrea improviso al
Suo vicino;/E piange il Pastorel, perché sospesa/Teme fiera borasca, e 'l suo destino;/Toglie alle
membra lasse il Suo riposo/Il timore de' Lampi, e tuoni fieri/E de mosche e moscon lo Stuol
furioso./Ah, che purtroppo i suoi timor Son veri!/Tuona e fulmina il Ciel e grandinoso:/Tronca il
capo alle Spiche ed a' grani alteri.

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stacca è rappresentato proprio dal dato sonoro, che si identifica con il canto degli
uccelli: prima il “cucco”, caratterizzato dalle sue cadenze regolari, quindi la
“tortorella”, e infine il “gardellino”, molto più brioso e imprevedibile, reso
attraverso il ricorso al trillo del flauto e del violino. E poi il vento, che introduce un
movimento all'interno di una scena statica e immobile, primo sintomo della
trasformazione imminente, che si rispecchia nella mente del protagonista (il
“pastorello”) portandolo all'interno di una dimensione di vera e propria
preoccupazione. In primo luogo per il pericolo legato al proprio “destino” fisico, ma
forse anche per quel “destino” morale che potrebbe essere stato argomento dei
pensieri e motivo del pianto precedente. Da qui in avanti, il secondo e il terzo
movimento sviluppano in parallelo l'evoluzione dello stato d'animo interiore del
pastorello e del paesaggio fisico che man mano va trasformandosi assumendo
tonalità sempre più cupe: prima le mosche, poi i tuoni e i lampi, e alla fine la scena
quasi drammatica della spiga mozzata, simbolo che sembra unire definitivamente la
dimensione esteriore del paesaggio sotto la grandine con quella prettamente interiore
legata ad un destino ineffabile e a volte incomprensibile.
In definitiva, emerge una lettura del paesaggio geografico e sonoro che si
risolve in chiave umana: il carattere di tale paesaggio determina l'evoluzione del
carattere interiore del soggetto, ne fornisce il pretesto. Soggetto che in questo caso è
individuato sia nella figura del protagonista della vicenda narrata, sia
nell'ascoltatore. Nella scena iniziale gli elementi implicati rappresentano quelli di
una natura in un certo senso mansueta, addomesticata: il canto degli uccelli, il
gregge al pascolo. A livello musicale tutta la tensione si crea in una dimensione
interiore tipicamente umana che risulta essere, alla fine, il filo conduttore di tutti e
tre i movimenti. La complicazione dell'elemento naturale, la crescente complessità
del suo carattere sonoro accompagna ed è funzionale alla crescita della complessità
dei pensieri del protagonista, e di conseguenza dell'ascoltatore. La natura descrittiva
del brano permette di mettere in scena, in definitiva, una situazione paesaggistica
che non diventa mai l'oggetto verso cui è rivolta l'attenzione, ma che risulta
funzionale ad una riflessione in prima istanza umana.
La seconda opera che vorremmo considerare è la celeberrima sinfonia n. 6, detta

95
La Pastorale, di Beethoven, composta nel 180731. Per quel che interessa la nostra
riflessione, emerge fin da subito abbastanza chiaramente che, a distanza di circa
ottant'anni, l'approccio al tema della natura non è cambiato. Il che viene affermato in
primo luogo da Beethoven stesso nel sottotitolo dell'opera, che recita: “più
espressione di sentimento che di pittura”. La natura nel suo complesso viene quindi
ripresa nei suoi tratti distintivi (in primo luogo acustici), ma non in quanto oggetto
diretto di riflessione. Quello che conferisce motivo a questa ripresa è la messa in
scena dell'emozione e del sentimento che la situazione evoca nell'animo del
compositore. In particolare, il tema della natura è un tema molto caro a Beethoven,
che era solito trascorrere lungo tempo passeggiando attraverso la campagna, dove
spesso trovava fonte di ispirazione per il proprio estro compositivo. Ciò che viene
messo in luce di questi momenti è proprio la spensieratezza e la tranquillità che
domina la scena: una serenità che accomuna l'animo del compositore e il fluire
dell'evento musicale. I titoli che Beethoven annota per indicare i cinque movimenti
della sinfonia, e che svolgono in qualche modo il ruolo di una parte programmatica,
sono altrettanto significativi per dedurre gli intenti nei confronti dell'opera.
Il primo movimento rappresenta un “Risveglio dei sentimenti all'arrivo in
campagna”, una espressione di gioia nell'animo del compositore che ritrova la pace
lontano dalle preoccupazioni della città. Quello che all'inizio si caratterizza come un
bagliore lontano, un orizzonte appena percepito, diventa ben presto una esplosione
di gioia e di felicità che riguarda tutti i sensi e tutte le facoltà del dell'animo,
trasmettendo la sensazione di una libertà finalmente trovata e un senso di abbandono
all'interno del paesaggio. Il secondo movimento viene presentato come la “Scena
attorno al ruscello”, e costituisce la parte più ampia della composizione, nonché,
probabilmente, la più significativa. L'assenza di elementi dissonanti e la costruzione
estremamente lineare conferisce all'insieme un carattere di respiro molto ampio e di
assoluta distensione. L'elemento descrittivo emerge qui con più forza rispetto al
resto dell'opera: la natura è dipinta nei suoi tratti più armoniosi e più sereni. A livello
acustico il motivo che domina la scena è quello dello scorrere dall'acqua del
31 La bibliografia relativa a Beethoven e alla sua opera è certamente molto ampia. Ci limitiamo
a segnalare un volume specifico sulla sinfonia che considereremo: T. Balbo, Ludwig Van Beethoven,
la Sesta sinfonia, Albisani Editore, Bologna 2007; rimandiamo invece all'ottimo sito
www.lvbeethoven.com in cui si può trovare una bibliografia ragionata sul compositore (in particolare
per la bibliografia in italiano: http://www.lvbeethoven.it/Biblio/Beethoven-Bibliografia.html).

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ruscello, che viene reso attraverso l'orchestrazione degli archi, molto regolare, e
attraverso la frequente ripetizione del tema principale, che rimanda proprio all'ideae
del fluire dell'acqua che, pur essendo un elemento in continuo divenire, si identifica
sempre in una immagine costante. Nella coda di questo movimento compare il
motivo del canto degli uccelli, rappresentato attraverso tre distinti strumenti a fiato,
che viene riproposto con una precisione descrittiva quasi sorprendente. Il terzo
movimento (“L'allegra riunione dei contadini”) introduce, all'interno di questa scena
quasi idilliaca, l'elemento umano: lontano dal mondo cittadino anche questo sembra
contestualizzarsi nel clima festoso che caratterizza in generale l'ambiente. Come se
si potessero distinguere due gradi di umanità, e l'uomo a contatto con la natura
potesse essere più libero di esprimere il carattere gioioso della propria indole.
L'andamento musicale ricorda il ritmo di una danza, e nel complesso non rompe la
dimensione di pace e di serenità che viene descritta nei movimenti precedenti.
L'arrivo della “Tempesta”, caratterizzata da una imponenza e da un fragore
straripante, almeno a livello musicale, si impone sulla scena come un dato
assolutamente inaspettato, che però si contestualizza perfettamente, nel complesso,
all'interno della situazione in corso: la scena sembra evocare più i volti ridenti e
scherzosi dei contadini che corrono al riparo, che l'immagine di una natura
distruttrice. La conclusione della sinfonia è rappresentata da un “Canto di grazie:
rendimento di grazie all'Onnipotente dopo la tempesta”, in cui il ringraziamento,
oltre che essere dovuto alla fine della tempesta in quanto fenomeno fisico, sembra
estendersi alla considerazione di una situazione che ha portato una serenità morale e
interiore nell'animo del compositore.
Anche in questo caso, alla fine, possiamo quindi dire che la natura viene ripresa
e considerata nella sua valenza primariamente umana. Da un lato risulta
estremamente significativo notare come l'attenzione del compositore, nel ricostruire
una scena di grande sensibilità e di grande armoniosità, sia rivolta agli elementi
acustici che contraddistinguono il paesaggio. Dall'altro, però, bisogna ancora una
volta concludere che questa ripresa è funzionale all'espressione del sentimento e
dell'emozione che si vuole trasmettere, e non sembra diventare in nessun momento
l'oggetto diretto della riflessione.
La terza opera che vorremmo considerare ci porta avanti cronologicamente di

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circa un altro secolo, proprio alle soglie del Novecento: si tratta dell'opera di
Debussy La Mer, scritta nel 190532. La tendenza alla descrizione è una caratteristica
piuttosto diffusa all'interno di quella che è definita come la corrente musicale
impressionista33: l'utilizzo di “immagini musicali”, spesso aventi come riferimento il
mondo della natura, rappresenta infatti uno stratagemma sicuramente efficace per
trasmettere l'“impressione” e il sentimento soggettivo del compositore. Ne sono
prova in prima istanza i Preludi per pianoforte, in cui ogni brano è accompagnato
dalla descrizione della situazione paesaggistica che dovrebbe evocare. E viene
confermata proprio dall'opera in questione, che risulta formata da tre movimenti
intitolati rispettivamente “Dall'alba a mezzogiorno sul mare”, “Giochi d'acqua” e
“Dialogo tra il vento e il mare”.
Quella che potrebbe apparire ad un primo sguardo, o almeno dal titolo, una
scena distesa e solare, si caratterizza invece fin dal primo accordo attraverso dei
colori estremamente cupi e introspettivi. La prima battuta, sostenuta dalle sole note
del contrabbasso e dalla grancassa, introduce in una dimensione quasi tragica: il
mare del titolo appare come l'oceano nero durante la notte, in cui si inabissano i
pensieri del compositore, provato da uno scandalo sentimentale a seguito
dell'abbandono della moglie e del suo tentato suicidio. Il sorgere del sole procede
con difficoltà, sempre in bilico tra l'elemento della luce che comincia a diffondersi e
il buio che non vuole scomparire, musicalmente simboleggiato proprio dal perdurare
dalla grancassa. Poi finalmente l'atmosfera si rischiara, e il mare torna ad essere
l'elemento amato da Debussy, nel quale il compositore trova il suo sfogo e la sua
consolazione34. Il clima si distende, e nel secondo movimento, in cui l'elemento

32 Anche in questo caso, la bibliografia di riferimento è piuttosto vasta. Segnaliamo due volumi
interessanti: C. Migliaccio, Invito all'ascolto di Debussy, Mursia, Milano 1997; e A. Malvano,
Claude Debussy. La Mer, Albisani Editore, Bologna 2011.
33 Tale corrente, il cui nome non ha mai convinto Debussy, vede proprio in questo compositore
e in Ravel i suoi esponenti principali. Si vedano, oltre che La Mer, i Preludi di Debussy, e Jeux d'Eau
di Ravel, come gli esempi più noti di composizioni impressioniste descrittive.
34 In una lettera del 12 Settembre 1903 indirizzata a André Messager Debussy scrive: «Forse
non sapete che avrei dovuto intraprendere la bella carriera del marinaio, e che solo per caso ho
cambiato strada. Ciononostante, ho mantenuto una passione sincera per il mare». Nella lettera, in cui
il compositore accenna per la prima volta al progetto di stesura di La Mer, poco più avanti leggiamo:
«Mi ribatterete che l'Oceano non bagna esattamente le colline della Borgogna! E che il tutto sembrerà
probabilmente un paesaggio costruito a tavolino! In effetti, ho del mare infiniti ricordi; e questo, a
mio avviso, vale più della realtà, il cui fascino in genere soffoca troppo il nostro pensiero». (La
citazione si può trovare in: O. Bossini, programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa
Cecilia, tenutosi all'Auditorium Parco della Musica di Roma, il 14 Novembre 2009) . Queste frasi, tra

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descrittivo si impone con forza maggiore, l'evoluzione musicale assume quasi il
carattere di uno scherzo, imprevedibile e spumeggiante come il movimento delle
onde che si scontrano tra loro, a formare quasi una danza da cui prendono vita forme
sempre nuove. Il tono quasi giocoso che la composizione assume in queste battute
viene riportato all'ordine nell'ultima parte del movimento, che introduce il momento
successivo. Il “Dialogo tra il vento e il mare” non sfocia mai nell'enfasi di una vera e
propria tempesta, ma resta sempre teso tra due posizioni in conflitto che non
riescono a trovare un equilibrio, ma neanche i motivi per una rottura definitiva. Sul
finale, il tema introdotto dall'oboe produce nel brano la svolta verso una riflessione
più nostalgica e malinconica, che rimane come l'ultimo argomento prima del gran
finale, deciso e colorito.
Forse più ancora delle altre opere considerate, La Mer si contraddistingue come
una riflessione tutta interiore del compositore, che, mentre la compone, sta vivendo
un momento di estrema difficoltà e di estrema solitudine. Il mare diventa quindi un
«archetipo quasi junghiano, come se quell'immagine rispecchiasse l'archetipo di una
forza oscura e irrazionale che muove la coscienza»35. Il recupero dell'elemento
descrittivo si sviluppa all'interno di una dimensione quasi psicanalitica dell'animo
umano, che è mosso da passioni e da tumulti inconsci e imprevedibili. E' evidente
ancora una volta, quindi, come tale recupero sia assolutamente funzionale
all'espressione di un dissidio tutto interno all'animo del compositore e non oggetto
diretto di considerazione.
Il percorso compiuto attraverso la lettura di queste tre opere potrebbe risultare,
secondo alcuni punti di vista, parziale e in un certo senso “di parte”. Il che è
inevitabile: non si poteva pensare di considerare nello specifico tutte le esperienze di
musica descrittiva e programmatica scritte nell'arco di tre secoli. Del resto, non
essendo il nostro intento quello di stabilire dei nuovi criteri musicologici, quanto
piuttosto quello di collocare il tema del paesaggio sonoro all'interno di un dibattito
prettamente musicale, riteniamo che, in riferimento a questo, delle conclusioni
interessanti siano state raggiunte. Due sono gli elementi principali: il primo consiste
nell'aver messo in luce il fatto che il paesaggio ha sempre rappresentato un tema di
le altre cose, permettono di sottolineare ancora una volta come l'intento descrittivo sia solo funzionale
all'espressione di un sentimento proprio, più che un oggetto in se stesso.
35 O. Bossini, programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia, cit.

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particolare interesse per i compositori. E non solo: è proprio in particolare il dato
sonoro del paesaggio a non essere recepito come un mero dato passivo, ma a
rappresentare un elemento attivo e ispiratore, ad essere vissuto come una
componente imprescindibile per la relazione con il luogo in generale. Il che dimostra
una attenzione verso questo tema per molti versi più sofisticata rispetto alla nostra
attuale.
Il secondo elemento che è emerso è relativo al particolare recupero che del tema
del paesaggio viene fatto in ambito musicale: in questo senso si potrebbe dire che
tale recupero è sempre dovuto all'espressione di qualcosa che trascende il paesaggio
stesso, il quale diventa invece un elemento funzionale a tale espressione. La musica
descrittiva è, insomma, primariamente musica “di sentimento”, più che “di
paesaggio”: l'obiettivo è quello di costruire una immagine musicale che permetta di
esprimere il sentimento provato dal compositore e di trasmetterlo all'ascoltatore. La
costruzione di una immagine che possa avere come riferimento anche un contesto
visivo, e non soltanto musicale, cosa che spesso viene prodotta attraverso l'impiego
dell'elemento programmatico, è evidentemente uno stratagemma efficace a questo
scopo. D'altro canto, però, questo stratagemma sposta il recupero dell'elemento
sonoro all'interno di un contesto del tutto accessorio e strumentale. L'esperienza
musicale descrittiva pre-novecentesca, in conclusione, non permette di individuare
alcun dato che possa giustificare l'ipotesi di un impiego in ambito artistico di una
nozione simile a quella di paesaggio sonoro. Nel senso che il nucleo concettuale di
tale nozione non viene mai reso autonomo e messo direttamente al centro
dell'attenzione. Non si può dunque dire che la musica descrittiva parli del paesaggio
sonoro, quanto piuttosto che tale musica cerchi, attraverso l'elemento sonoro (spesso
recuperato in prima istanza dal paesaggio), di evocare alcune immagini del
paesaggio36.

36 Si ribadisce ancora una volta come tale affermazione rappresenti una conclusione per nulla
scontata: la possibilità di interpretare il paesaggio partendo dal dato sonoro, e a maggior ragione la
possibilità di costruire una immagine del paesaggio attraverso l'utilizzo esclusivo di tale dato (che in
questo contesto non poteva che essere imitato attraverso gli strumenti dell'orchestra), compresa e
utilizzata in ambito artistico già nel 1700, deve attendere la riflessione degli anni ‘70 del Novecento
per trovare anche una formulazione teorica.

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3. La svolta futurista

Per secoli, come abbiamo visto, il suono del paesaggio ha rivestito un ruolo
centrale nella composizione musicale, in quanto elemento in grado di stimolare
l'estro del compositore, e in grado di suggerire nuove vie alla pratica orchestrale e
compositiva in genere, basate sull'idea di un tentativo di imitazione di suoni non
facenti parte del tradizionale repertorio sonoro musicale. Questo approccio subisce
una evoluzione radicale proprio con l'avvento del Novecento, e in particolare grazie
allo sviluppo delle teorie futuriste. Nonostante sia innegabile che il background sul
quale è possibile collocare tali teorie riguarda un momento di grande sviluppo
tecnologico e scientifico, relativo in particolare all'area della registrazione e della
riproduzione del suono, bisogna osservare, fin da subito, che l'impiego del suono
registrato direttamente all'interno della composizione è un fenomeno che si sviluppa
solo qualche decennio più tardi, e non riguarda direttamente la composizione
futurista. La svolta concettuale che tale corrente inaugura, quindi, non deve essere
considerata semplicemente come una mera conseguenza relativa al livello di
sviluppo delle scienze e delle tecnologie, ma deve essere intesa come una vera e
propria intuizione che apre la strada ad un nuovo modo di concepire la musica, e,
come vedremo, il paesaggio sonoro in genere.
Tra la produzione letteraria futurista le opere che interessano maggiormente la
nostra considerazione sono due: il Manifesto tecnico della Musica futurista, scritto
nel 1911 da Pratella, e L'arte dei rumori, composta due anni più tardi da Russolo37. Il
primo di questi scritti nell'idea iniziale doveva rappresentare in qualche modo la
posizione “ufficiale” dei futuristi nei confronti della musica, ragion per cui è stato

37 Per completezza segnaliamo anche l'altro manifesto, sempre di Pratella, che rappresenta una
tappa importante nello sviluppo della concezione musicale futurista: il Manifesto dei musicisti
futuristi del 1910, in cui l'obiettivo polemico viene individuato nella situazione musicale italiana,
dominata dall'insegnamento accademico della musica all'interno dei licei e dei conservatori, e da un
conseguente apparato di critici e di esperti ancorato a criteri musicali del tutto sorpassati. Argomento
che esula dal nostro tema. Parleremo più dettagliatamente nel corso del testo, invece, del Manifesto
futurista per la città musicale, che rappresenta, per il nostro discorso, una esperienza molto
significativa. Una raccolta dei principali manifesti del futurismo si può trovare in V. Birolli, a cura di,
Manifesti del futurismo, Abscondita, Milano 2008; per il Manifesto dei musicisti futuristi rimandiamo
invece alla raccolta pubblicata da Gallino: I manifesti del futurismo in trentaduesimo, Ignazio Maria
Gallino Editore, Milano 2006; per una lettura critica della musica futurista segnaliamo le opere di D.
Lombardi: Il suono veloce, Ricordi, Milano 1996, e Rumori futuri, studi e immagini sulla musica
futurista, Vallecchi, Firenze 2004.

101
scritto da colui che, all'interno degli artisti che aderirono al movimento, possedeva
certamente la migliore preparazione in materia. Quello che ne consegue è però un
risultato, onestamente, modesto: il centro dell'argomentazione, al posto di presentare
una nuova concezione della musica, o almeno di provare a inaugurare delle nuove
prospettive musicali, sembra concentrarsi sulla mera distruzione sistematica di tutti
gli elementi che sono ritenuti il fondamento dell'evoluzione tradizionale di tale
disciplina. In primo luogo il sistema cromatico, quindi il ritmo, la tonalità, il
contrappunto, la melodia, la struttura dell'orchestra, le regole formali che stanno alla
base dei vari generi. Tutti elementi che, del resto, sono già entrati nella
considerazione dei compositori novecenteschi, e hanno trovato la ragione della loro
evoluzione ben più “nei fatti” e nelle esperienze pratiche di questi, che non nelle
parole del Manifesto pratelliano38. Per ciò che riguarda il nostro argomento, si trova
una osservazione proprio a conclusione dell'opera, secondo cui uno dei compiti della
nuova musica dovrebbe consistere nel

portare nella musica tutti i nuovi atteggiamenti della natura, sempre diversamente domata
dall'uomo per virtù delle incessanti scoperte scientifiche. Dare l'anima musicale delle folle,
dei grandi cantieri industriali, dei treni, dei transatlantici, delle corazzate, degli automobili
e degli aeroplani. Aggiungere ai grandi motivi centrali del poema musicale il dominio della
Macchina ed il regno dell'Elettricità39.

Lo spunto potrebbe risultare certamente interessante, ma non trovando sostegno


né nell'argomentazione del testo né nella diretta esperienza compositiva di Pratella
(almeno fino al 1911), sembra caratterizzarsi come una esortazione di cui è difficile
interpretare le modalità di un effettivo impiego nella pratica compositiva: si tratta di
una proposta che va nella direzione di una estensione della pratica descrittiva e
imitativa, per cui attraverso il suono dell'orchestra si dovrebbe cercare di riprodurre
nuovi timbri e di ispirarsi a nuove immagini40? O si tratta di altro?

38 Da questo punto di vista, per esempio, il Manuale di Armonia di Schoenberg, scritto nel
1910, svolge un ruolo decisamente più rivoluzionario e distruttivo, assestando un colpo decisivo
all'idea di tonalità e di armonia. Così come le indagini sul sistema enarmonico avevano trovato ampio
spazio già nella ricerca musicale dei due secoli precedenti. Lo stesso Helmholtz nel 1877, pur senza
ricorrere alla pomposità dei toni futuristi, osservava che «questa riduzione (dovuta alla accettazione
del sistema cromatico) sacrifica la grande varietà di espressione che dipende dalla diversità delle
scale» (On the sensatios of tone, cit., p. 248). Su questo argomento si può vedere: A. Frova, Armonia
celeste e dodecafonia, RCS, Milano 2006.
39 B. Pratella, Manifesto tecnico della musica futurista, 1911, in V. Birolli, a cura di, Manifesti
del futurismo, cit., p. 45.
40 Opzione che sembra emergere anche dall'ascolto delle stesse opere musicali di Pratella.

102
Di ben altra caratura teorica, e di ben altro effetto per l'evoluzione
dell'esperienza musicale novecentesca in genere, risulta invece il secondo degli
scritti futuristi sulla musica: L'arte dei rumori di Russolo. Scritta nella forma di una
lettera indirizzata proprio a «Balilla Pratella, grande musicista futurista» 41,
l'argomentazione ruota attorno all'idea della necessità di estendere il repertorio
sonoro utilizzato nelle composizioni oltre i confini del suono considerato
tradizionalmente musicale. Significativamente tale intuizione procede al di fuori di
ogni riferimento tecnico alla pratica compositiva, di cui Russolo era del tutto
incompetente42, e si contestualizza invece all'interno di una riflessione che riguarda
nel complesso la società, e in particolare proprio il tema del paesaggio sonoro.
«La vita antica fu tutta silenzio. Nel diciannovesimo secolo, coll'invenzione
delle macchine, nacque il Rumore»43. A partire da questa categorica sentenza,
l'obiettivo è quello di ripercorrere l'evoluzione delle caratteristiche musicali delle
varie epoche della civiltà occidentale in relazione allo sviluppo delle condizioni
della vita sociale. La frattura è individuata ancora una volta nell'esperienza storica
della rivoluzione industriale. Fino a quel momento la crescita della complessità delle
strutture musicali si può comprendere a partire da esigenze tutte interne al discorso
compositivo: così i pochi intervalli che caratterizzavano la concezione musicale
greca diventano la base per lo sviluppo dei modi del canto gregoriano, quindi delle
polifonie e dei contrappunti fiamminghi, e infine dell'impianto armonico moderno. A
seguito dell'avvento della “Macchina” la prospettiva, invece, cambia radicalmente:
la necessità di rinnovamento viene imposta alla riflessione musicale dall'esterno. La
complicazione dei paesaggi sonori delle città moderne, la crescita continua dei nuovi
timbri che vengono introdotti all'interno di questi, rendono i suoni prodotti dagli
strumenti musicali tradizionali dei suoni ormai superati, già sentiti. La sfida per i
compositori moderni non deve più, quindi, essere intesa come la ricerca di nuove
formule che sforzino una volta di più le già lacerate regole dell'armonia tonale, ma si
deve giocare proprio all'interno del mondo reale. Attraverso la costruzione di una

41 L. Russolo, L'arte dei rumori, 1913, in V. Birolli, a cura di, Manifesti del futurisno, cit., p.
83.
42 Nonostante sia ricordato principalmente per lo scritto che stiamo considerando, Russolo
ebbe una formazione pittorica presso l'Accademia di Belle Arti di Brera, e non si dedicò mai, invece,
allo studio della musica in senso tradizionale.
43 L. Russolo, L'arte dei rumori, cit., p. 83.

103
nuova visione della musica, che possa permettere di misurarsi e di interagire, da un
punto di vista artistico, con un repertorio sonoro assolutamente inedito:

Beethoven e Wagner ci hanno squassato i nervi e il cuore per molti anni. Ora siamo sazi e
godiamo molto di più nel combinare idealmente dei rumori di tram, di motori a scoppio, di
carrozze e di folle vocianti, che nel riudire, per esempio, l'“Eroica” o la “Pastorale”44.

Al di là dello sproposito che il paragone sembra istituire, è evidente che tale


affermazione vuole rappresentare il superamento anche di quell'atteggiamento
imitativo e descrittivo che abbiamo visto caratterizzare il recupero dell'elemento
paesaggistico nei secoli passati. Il suono va portato in scena di per se stesso, senza
mediazioni e senza interpretazioni sentimentali: «l'arte dei rumori non deve limitarsi
ad una riproduzione imitativa. Essa attingerà la sua maggiore facoltà di emozione
nel godimento acustico in se stesso»45. Tali affermazioni, per quanto possano
apparire avanguardiste, sono in realtà da intendere come il tentativo di ritornare ad
una visione della musica ben più originaria di quanto possa sembrare: la musica,
secondo questo punto di vista, si allontana dalla concezione moderna per
ricominciare ad essere uno strumento di partecipazione collettiva al concerto
dell'universo. L'atto compositivo si libera dai rigidi schemi dell'armonia e dei generi
della musicologia Settecentesca e Ottocentesca per diventare un atto espressivo
immediato e trasparente, in grado di comunicare non solo con le ristrette élites che si
riunivano nei teatri e nei salotti borghesi (o aristocratici), ma con ogni individuo in
quanto corpo vibrante all'interno della risonanza cosmica46. L'interrogativo futurista,
in fin dei conti, coglie in pieno l'esigenza della musica classica e contemporanea di
liberarsi dai vincoli e dalle costrizioni di una riflessione che l'ha allontanata dal
senso e dal gusto della “gente”, che l'ha isolata in ambiti sempre più ristretti e
sempre più inaccessibili. Come soluzione, invece, la musica deve rinascere
all'interno delle strade e delle piazze, deve essere animata dai suoni che tutti
producono e che tutti possono sentire, deve ripartire dal legame profondo con il
territorio e con il paesaggio in cui vive.

44 Ivi, p. 85.
45 Ivi, p. 87.
46 A questo proposito si veda anche lo scritto di Marinetti Abbasso il tango e Parsifal del 1914
in cui l'oggetto della polemica risulta essere «l'imbecillità della moda» e la «corrente pecorile dello
snobismo» che caratterizza l'esperienza musicale borghese (in V. Birolli, a cura di, Manifesti del
futurisno, cit., p. 129)..

104
Da questo punto di vista, la ricerca musicale non deve limitarsi a trovare
nell'elemento sonoro del paesaggio una fonte di ispirazione o una mera suggestione,
quanto piuttosto cercare di stabilire con esso una alleanza che possa fondare un
nuovo modo di intendere l'arte in generale. Il paesaggio sonoro non si caratterizza
più quindi soltanto come un elemento funzionale ad altro, ma si pone al centro
dell'attenzione come il termine attorno cui costruire un nuovo modello musicale, che
possa essere al contempo la base per una nuova interpretazione dello sfondo sonoro
della società in generale. Quello che primariamente deve cambiare, nell'ottica di
Russolo, è il rapporto dell'uomo con il paesaggio sonoro nel suo complesso. Anzi: è
proprio il fatto che questo rapporto sia cambiato ad imporre ai compositori delle
nuove frontiere e delle nuove sfide. A partire da questo punto, quindi, la musica
comincia a diventare musica “di paesaggio”, dal momento che questo elemento
diventa un oggetto specifico per il pensiero musicale, e dal momento che la
composizione pretende di indicare una via trasformativa nei confronti di esso. La
riflessione presentata nell'Arte dei rumori, contenendo uno specifico riferimento al
paesaggio sonoro in quanto elemento che va compreso, interpretato e quindi
trasformato, inaugura, in chiave prettamente artistica, la riflessione sul “paesaggio
sonoro”.
Una interessante conferma di questa riflessione è rappresentata da un manifesto
del 1933, forse meno noto dei precedenti, ma nella nostra ottica certamente non
meno significativo: il Manifesto futurista per la città musicale. Da questo
documento, infatti, si può notare come la riflessione sia costruita non solo in
riferimento ad una prospettiva artistica e musicale, ma in primo luogo, appunto,
paesaggistica. Il discorso parte proprio dal riconoscimento del fatto che «la musica
ha influenze e risonanze non trascurabili sul nostro spirito», e dall'altra parte che «il
nostro lavoro, le nostre opere, le nostre creazioni sono tutte sospinte da una musica
interiore»47. Quello che si propone è quindi una sonorizzazione della città stessa, in
modo che attraverso «potenti amplificatori radiofonici posti agli imbocchi ed agli
sbocchi delle vie principali», possa essere diffusa una musica che accompagni
l'attività umana durante la giornata. Il manifesto individua delle precise fasce orarie

47 Il Manifesto futurista per la città musicale non si trova nelle raccolte citate, ma si può
trovare riprodotto in Lombardi, Rumori futuri, cit., p. 118.

105
in cui tale intervento dovrebbe collocarsi, e la relativa musica che deve essere
trasmessa. Tra gli obiettivi, oltre alla generale rivalutazione del mezzo tecnologico, e
all'ovvia considerazione per cui gli abitanti della città risulterebbero più rilassati, più
sereni e più produttivi, viene messo in luce il fatto che «si otterrà un movimento più
ritmico e più ordinato nelle vie»48. Al di là della realizzabilità del progetto, che
probabilmente con i mezzi tecnici disponibili ai tempi sarebbe stato piuttosto arduo
da mettere in pratica, nella nostra ottica risulta significativo rilevare come la
riflessione musicale prende forma alla luce di un riferimento preciso ad un contesto
primariamente sociale. Da un lato la ripresa dell'elemento sonoro del paesaggio
fornisce alla musica la possibilità per uno sviluppo e per una crescita della propria
area di interesse, dall'altro è proprio la lettura musicale del paesaggio a dare di
questo una interpretazione non solo relativa al presente, ma anche un orientamento
relativo ad una trasformazione futura. Si capisce, quindi, come i due discorsi
procedano in modo strettamente legato fra loro: il riferimento paesaggistico non
svolge semplicemente un ruolo funzionale all'espressione di qualcosa d'altro, ma si
lega pienamente alla considerazione di una situazione reale, per la quale il discorso
artistico prova ad elaborare delle alternative.
Se quindi, in conclusione, possiamo dire senza dubbio che la visione teorica
della musica inaugurata dal futurismo, costruita attorno all'intuizione di Russolo,
costituisce una svolta concettuale assoluta nel modo di interpretare tale disciplina, e
si pone alla base di una lunga esperienza compositiva che attraversa tutto il '900, non
altrettanto si può dire, invece, della diretta produzione musicale di questo
movimento. Come abbiamo già osservato, infatti, Russolo non aveva mai portato
avanti studi in materia, e le sue composizioni sembrano configurarsi più come degli
esperimenti sonori che altro. L'idea che sta alla base di queste esperienze è
rappresentata dal tentativo di sostituire, o di affiancare, agli strumenti dell'orchestra
tradizionale i cosiddetti “intonarumori”, ossia dei marchingegni in grado di produrre
dei suoni assolutamente lontani da quelli tradizionalmente considerati all'interno
dall'ambito del musicale, e per lo più imitativi di esperienze sonore rimandanti
proprio al paesaggio sonoro industriale: rumori di motori, sirene, stantuffi, ecc49.
48 Ibidem.
49 Tali oggetti, del resto, erano piuttosto complessi, e manifestavano una ricerca ed un lavoro
costruttivo non certo banale. Il suono era prodotto dall'urto e dallo sfregamento di componenti

106
La composizione probabilmente più famosa è Risveglio di una città50, in cui tale
risveglio viene rappresentato, appunto, attraverso il rumore meccanico del motore, il
nuovo protagonista del paesaggio urbano. Nell'ottica di Russolo ogni rumore si
identifica secondo una componente armonica di base, da cui deve essere derivata
l'altezza complessiva del suono. Il che porta, di conseguenza, alla possibilità di
trattare tali rumori come delle vere e proprie note, da armonizzare e da combinare
tra loro secondo i criteri dell'armonia. Un tale approccio è del tutto assente, però,
nella composizione in questione, che si configura come una successione di singoli
rumori in cui non compare, se non nei primi venti secondi, alcuno sviluppo
armonico, dando di conseguenza l'impressione di una “verifica degli strumenti” più
che di un vero e proprio brano musicale. Certamente se ne può derivare dall'ascolto
l'impressione di una notevole cura e attenzione nella ricostruzione del rumore 51,
mentre sembra decisamente più difficile comprendere l'esigenza estetica che ne sta
alla base.
Da un punto di vista musicale il brano che risulta forse più interessante,
all'interno della produzione futurista, è Sintesi musicali futuriste, con musica di Aldo
Giuntini, costruita su un testo di Marinetti. L'approccio in questo caso si allontana da
quello del Risveglio di una città per tornare ad una forma più vicina a quella della
musica programmatica: il brano si sviluppa in relazione alla vicenda raccontata nel
testo marinettiano, componendosi quindi di una serie di brevi scene volte a
rappresentare delle situazioni extramusicali. Tali situazioni, come si può
immaginare, sono ben diverse da quelle idilliache rappresentate nella musica
tradizionale: i titoli sono espressi da una voce registrata direttamente all'interno della
traccia musicale, e rimandano a circostanze estremamente dinamiche, in cui
prevalgono i temi della velocità, della guerra, dell'eroismo52. L'andamento musicale

prevalentemente metalliche, come chiodi, catene, lastre di ferro, contenute all'interno di una struttura
risonante in legno, collegata a sua volta ad un altoparlante. Attraverso particolari manovelle, il suono
poteva essere accelerato o rallentato, alzato o abbassato di tonalità e di intensità.
50 La produzione musicale futurista è disponibile praticamente per intero online: segnaliamo a
tal proposito il sito http://digilander.libero.it/sitographics/musiche%20futuriste.htm.
51 L'intonarumore non conteneva al suo interno direttamente il motore o l'oggetto reale da cui
il suono era prodotto. Al contrario, tali suoni erano generati attraverso complesse costruzioni
comprendenti lastre di metallo, catene e ingranaggi che fatte vibrare producevano determinati suoni.
Il che permetteva di controllare il suono e di determinarne l'altezza a piacimento.
52 Per citarne alcuni: “Gli eroi Borsini e Ciaravolo affondano col cacciatorpediniere Nullo nel
Mar Rosso”, “La festa dei motori di guerra”, “Accerchiati vincemmo a Passu Arieu”.

107
è caratterizzato dalla sola presenza del pianoforte, spesso sfruttato in chiave non
convenzionale: in generale prevalgono le dinamiche del “forte” e del “fortissimo”,
nonché un atteggiamento prevalentemente percussivo, e poco disposto al lirismo e
all'attenzione per gli elementi melodici. Nel complesso, però, emerge chiaramente
una caratterizzazione unitaria e ben costruita della scena, che viene resa attraverso
l'utilizzo del duplice elemento musicale e narrativo.
Quello che manca, in definitiva, nel panorama musicale del futurismo italiano, è
una figura di spicco che possa restituire all'intuizione russoliana una dignità
propriamente artistica, analoga a quella che Boccioni seppe dare alla pittura, e
Marinetti alla letteratura. In questo modo, lo spunto si ferma alla formulazione “sulla
carta”, e viene in qualche modo lasciato da sviluppare ai posteri.
Il terreno in cui tale intuizione ebbe un effetto immediato è stato forse più di
altri quello della Russia degli anni '20, caratterizzata da un clima di grande fermento
artistico ispirato ai movimenti di avanguardia europei53. Nella nostra ottica,
l'esperienza più significativa è certamente la Symphony of the Factory Sirens, scritta
da Arsenij Avraamov nel 1922, e rappresentata nel porto di Baku in occasione del
quinto anniversario della rivoluzione d'Ottobre. Tale monumentale opera si può
pienamente definire probabilmente come il primo esempio di soundscape
composition, rappresentando una composizione scritta apposta per una occasione e
contestualizzata all'interno di un luogo ben preciso: sia per quanto riguarda la
strumentazione impiegata, sia per il messaggio comunicato. La strumentazione fa
riferimento in primo luogo agli elementi già presenti nel porto, inserendo all'interno
della struttura musicale una serie di timbri assolutamente non convenzionali prodotti
da sirene portuali, da rumori provenienti dalle fabbriche adiacenti, dalle trombe delle
navi. Il dispiegamento dei mezzi coinvolti è impressionante, anche a distanza di
quasi un secolo: gli elementi sonori vengono prodotti simultaneamente da due
battaglioni di artiglieri e alcuni reggimenti completi di fanteria, camion, idrovolanti,
25 locomotive a vapore, diversi cori umani e da una serie di sirene intonate, a cui si

53 Lo stesso Marinetti tentò, senza riuscirci, di avvicinare l'esperienza russa a quella del
movimento futurista italiano. Il fallimento fu dovuto principalmente alla piega che l'avanguardia
assunse in questo stato: lontana dai toni bellicisti del futurismo italiano, l'esperienza russa fu
supportata dalla condivisione di un ideale di pace e di libertà tra tutti gli uomini. Ideale che fu
successivamente messo a dura prova, e a volte anche del tutto negato, a seguito dello scoppio della
rivoluzione comunista e all'adesione di molti artisti al partito bolscevico.

108
aggiungono, come detto, le sirene delle fabbriche di Baku e quelle delle navi
dell'intera flotta del Caspio, schierata per l'occasione. L'orchestrazione è regolata da
direttori posti in cima a torrette costruite per l'occasione attraverso bandiere colorate
e colpi di pistola.
Il motivo di un tale dispiegamento di forze è in prima istanza certamente
celebrativo: l'impatto visivo della scena voleva essere sufficiente a ripagare “il
prezzo del biglietto”, come si dice. Quello che però emerge dall'ascolto permette di
notare come tale imponenza di mezzi fisici non vada mai a scapito dell'aspetto
musicale, che risulta nel complesso molto ben bilanciato ed equilibrato. Il fine del
discorso musicale è quello di portare in trionfo la rivoluzione bolscevica,
rappresentata acusticamente attraverso l'Internazionale, e coronarne il successo. Il
rombo del cannone che si sente all'inizio, e che rappresenta un motivo costante in
tutta la prima parte, simboleggia in quest'ottica proprio la forza del movimento
rivoluzionario in grado di abbattere i “bastioni della reazione”, identificati con la
Chiesa (interpretata attraverso il ricorso al suono delle campane), e con il potere
dello Zar. Il lungo boato che si sente intorno al dodicesimo minuto rappresenta una
svolta all'interno della composizione, che sembra entrare in una seconda parte,
dominata proprio dal motivo dell'Internazionale, che viene orchestrato in modo
quasi contrappuntistico, passando dalla voce delle sirene a quella dei cori umani alle
trombe delle navi, e formando così un filo conduttore in tutto lo sviluppo del brano.
Il momento culminante è rappresentato dallo “scontro” musicale tra questo motivo e
il tema della Marsigliese, che compare esattamente nel centro della composizione, e
che sembra rappresentare da un lato la sfida tra due visioni antitetiche del mondo,
ma dall'altro forse anche la istintiva solidarietà che si instaura tra due ideali volti a
liberare l'umanità. L'intera seconda parte risulta nel complesso più ricca, da un punto
di vista musicale, rispetto alla prima: interessante risulta per esempio l'impiego dei
suoni più bassi delle sirene da nebbia con effetto di bordone, e la costruzione della
struttura ritmica scandita attraverso suoni sempre diversi: la marcia dell'esercito, il
suono del cannone, gli stantuffi delle locomotive. Il “gran finale” è caratterizzato
dalla ripetizione ininterrotta dell'Internazionale e dal tripudio delle sirene.
La composizione deve essere compresa alla luce dei numerosi piani di lettura
che essa implica, e che stanno a fondamento della sua costruzione. In primo luogo

109
da un punto di vista politico: non si tratta solo della dimostrazione di forza che
questa esperienza vuole rappresentare agli occhi del mondo occidentale, ma anche,
in un'ottica interna, di un atto fondativo vero e proprio, come dimostra il fatto che
sia stata scelta come sede dell'evento una provincia ai limiti estremi del confine
dell'impero, entrata a farne parte solo due anni prima. Il che permette di osservare
come l'elemento sonoro, e artistico in generale, sia interpretato in quanto argomento
di primaria importanza attraverso il quale stimolare il senso di appartenenza ad una
società. In secondo luogo in una prospettiva musicale, dal momento che rappresenta
un primo riuscito esperimento in cui il suono dell'ambiente e gli elementi
propriamente musicali si legano tra loro dando esito ad un concerto certamente
inusuale, ma al contempo di innegabile qualità. In terzo luogo, e forse in modo più
significativo, per la visione dell'arte che ne risulta implicata: una forma artistica che
non si limiti alla sola scrittura, ma che «aspiri ad una radicale unione delle arti, della
tecnologia e dello spazio urbano»54. Un'arte che si contestualizza e che si relaziona
con una intera società, con l'intento di trasmetterle un messaggio e di costruirne uno
sviluppo.

4. John Cage

Gli anni '30 e '40 rappresentano un periodo piuttosto complesso per lo sviluppo
delle correnti della musica sperimentale. In primo luogo la responsabilità è da
attribuire certamente all'imponente apparato della censura che caratterizza i regimi
totalitari in area europea e russa, e che vincola la ricerca musicale, come qualsiasi
altra forma artistica, all'interno di motivi e di schemi ben precisi. Da un altro punto
di vista, però, forse il motivo è legato anche ad una certa difficoltà da parte dei
compositori stessi a relazionarsi con mezzi assolutamente inediti e del tutto
differenti da quelli tradizionalmente utilizzati. L'intuizione futurista, infatti,
procedeva all'interno di un contesto di sviluppo tecnologico ancora piuttosto
arretrato: le possibilità che le tecniche di registrazione e di riproduzione sonora

54 La citazione è tratta da un articolo di Delia Wendell, di prossima pubblicazione sulla rivista


Journal of Urban Design.

110
lasciavano intravedere all'orizzonte potevano far supporre grandi progressi in questo
campo, ma quello che era effettivamente disponibile si costituiva di strumenti
estremamente complicati nell'utilizzo, e piuttosto limitati per quel che riguarda le
potenzialità musicali55. Inoltre la diffusione della radio, che in un primo momento si
basa sulla trasmissione della musica essenzialmente dal vivo, impone la necessità di
un aggiornamento delle pratiche esecutive, che diventa il terreno su cui si devono
confrontare musicisti, direttori, e, di conseguenza, gli stessi compositori 56.
All'interno del dibattito musicale, quindi, si sente la necessità di trovare delle
soluzioni a queste nuove questioni, che si sovrappongono all'interesse per la
sperimentazione vera e propria.
Tale sfondo di riferimento porta a non sorprendersi del fatto che il territorio più
proprio della nuova ricerca musicale diventi quello del continente americano, e che
per ritrovare esperienze che possono in qualche modo riprendere il filo della
riflessione degli anni '20, si debba aspettare circa trent'anni. Il primo compositore a
recepire la portata delle idee futuriste, e a collocarsi di conseguenza sulla scia di
questo nuovo approccio compositivo, è un giovane pianista che nel 1937 ha già
avuto il privilegio di studiare per due anni con Arnold Schoenberg, e sta
cominciando la propria carriera di musicista: John Cage. La data indicata non è
casuale: in tale anno, infatti, poco più che venticinquenne, Cage tiene una
conferenza a Seattle il cui titolo è The future of Music: Credo, che contiene il
presupposto teorico da cui prenderà le mosse il proprio lavoro, e il cui testo è
considerato ancora oggi, giustamente, uno dei riferimenti teorici più importanti per
lo sviluppo della musica del Novecento57.
Il tono usato fin dalle prime battute sembra voler conferire a queste pagine il
carattere di un vero e proprio manifesto:
Io credo nell'utilizzo del rumore.

55 Una chiara e precisa storia degli strumenti elettronici, e della musica elettronica in generale,
si può trovare all'indirizzo web: http://www.suonoelettronico.com/cap_iiii_1.htm.
56 Interessante, per esempio, è l'effetto che il fenomeno della musica riprodotta alla radio
produce sulla pratica del “vibrato” nelle orchestre: si veda G. Clericetti, Musica riprodotta alla
radio: un'ipotesi di prassi esecutiva, in A. Rigolli - P. Russo, a cura di, Il suono riprodotto, EDT,
Torino 2007.
57 Pronunciato per la prima volta nel 1937, il testo è stato pubblicato solo nel 1958 all'interno
della brochure che accompagnava il concerto di George Avakian, alla Town Hall di New York, in
occasione dei primi 25 anni di carriera di John Cage. Attualmente si trova pubblicato all'interno della
principale raccolta delle opere teoriche di Cage: Silence, Calder and Boyars, Londra 1968.

111
Ovunque ci troviamo, quello che sentiamo è per lo più rumore. Se lo ignoriamo, ci
disturba. Se lo ascoltiamo, lo troviamo affascinante. Il suono di un vagone a cinquanta
miglia all'ora. Che procede lineare tra le stazioni. Pioggia. Noi vogliamo catturare e
controllare questi suoni, per usarli non come degli effetti, ma come dei veri e propri
strumenti musicali58.

Si percepisce chiaramente la ripresa del tema russoliano: il primo elemento a cui


si deve rivolgere la ricerca musicale è quello del rumore. La complessità sempre
crescente dei paesaggi sonori umani, la crescita dei suoni contenuti in essi, impone
la necessità di confrontarsi, da parte dei compositori e da parte di un nuovo tipo di
pratica compositiva, con un mondo sonoro sconosciuto e apparentemente distante
dai canoni tradizionali del suono musicale. Il che implica la messa in discussione di
tutta una serie di categorie musicali coinvolte, e in primo luogo la riconsiderazione
della stessa definizione di musica: «se questa parola “musica” è sacra e considerata
esclusivamente in riferimento all'esperienza degli strumenti musicali del
diciottesimo e del diciannovesimo secolo, noi possiamo sostituirla con un termine
più significativo: organizzazione del suono»59. Da che si capisce che è lo stesso
concetto di strumento musicale a dover essere rivisto: tale categoria deve
sicuramente estendersi a comprendere come minimo anche gli strumenti elettronici,
ma più in generale dovrebbe riguardare qualsiasi suono udibile che possa entrare a
far parte della composizione. E' inoltre evidente che il sistema di notazione
tradizionale, basato su una pratica compositiva limitata ad un certo insieme di suoni
e di strumenti considerati, risulta assolutamente inefficace per rappresentare una
forma musicale che si trova ad avere a che fare con l'insieme dei suoni percepibili in
generale. E di conseguenza diventa fondamentale elaborare dei nuovi sistemi di
notazione che possano permettere di raggiungere tale scopo60.
Se già alcuni passi sono stati fatti per emancipare la musica dal suo status
tradizionale, e in primo luogo nella direzione di un superamento della concezione

58 J. Cage, The future of Music, cit., p. 3. La traduzione è mia.


59 Ibidem.
60 Quello relativo ai limiti della scrittura tradizionale è un problema chiaramente avvertito non
solo da Cage: la riflessione musicale degli anni ‘50 e ‘60 pone a più riprese l'attenzione su questo
tema, elaborando le soluzioni più disparate. Si tratta di una esigenza particolarmente condivisa tra i
compositori della cosiddetta scuola di Darmstadt. La soluzione più nota è probabilmente quella
sviluppata da Stockhausen, che ancora oggi sta alla base della rappresentazione grafica del segnale
midi che caratterizza l'interazione tra gli strumenti elettronici e il computer. Una importante raccolta
di tali esperimenti è stata curata proprio da John Cage: Notations, Something Else Press, New York
1969.

112
armonica tonale, adesso è necessario «elaborare nuovi metodi che possano sostenere
e relazionarsi con il sistema dodecafonico introdotto da Schoenberg»61. Nuovi
metodi che non considerino soltanto la prassi compositiva in senso stretto, ma che
entrino in relazione con una nuova forma di musica in senso complessivo: il recente
sviluppo tecnologico pone il compositore nella condizione di realizzare per se
stesso, senza bisogno di alcuna mediazione ulteriore, la propria opera. Il che
rappresenta un cambiamento epocale per la disciplina: l'interprete avrà un ruolo
diverso d'ora in avanti, e di conseguenza l'insegnamento stesso della musica dovrà
essere ricalibrato in base alle nuove esigenze. Come conseguenza la composizione
musicale risulta ormai inscindibile dalla conoscenza dei mezzi tecnici che ne
permettono la produzione, e dei vari contesti per i quali deve essere creata, che non
sono più solo quelli del concerto o del teatro, ma possono essere il cinema o la radio,
per esempio. Ciò che diventa assolutamente necessario è quindi la costruzione di
centri in cui proporre questo nuovo insegnamento della musica e in cui far crescere
delle nuove generazioni di compositori.
Contestualizzare queste riflessioni all'interno del loro tempo risulta certamente
sorprendente, a maggior ragione se messe in relazione al pensiero di un ragazzo
appena giunto alla fine del proprio percorso di formazione. Ciò che caratterizza
chiaramente queste poche pagine, e che permette di superare l'impostazione
futurista, consiste nel fatto che la visione di fondo da cui è motivata la critica è
finalizzata in primo luogo alla costruzione, piuttosto che alla distruzione, di un
modello musicale62. Quello che anima lo spirito del giovane compositore è un
mondo sonoro che si spiega all'orizzonte, ricco di suggestioni e di stimoli musicali
da inquadrare e da comprendere nel processo compositivo.
61 J. Cage, The future of Music, cit., p. 5.
62 Modello che verrà formalizzato con più precisione nel saggio del 1958 intitolato
Experimental Music, contenuto anch'esso nella già citata raccolta Silence. Non si vuole con questo
sostenere che l'approccio futurista fosse solo distruttivo: la differenza è dovuta al fatto che la
prospettiva cageana sembra maturare fin dal principio in relazione ad una ben precisa idea musicale
e compositiva, cosa che invece non poteva caratterizzare la teoria russoliana, proprio a causa della
sua formazione, e della mancanza di una conoscenza specifica del lessico della musica. L'arte dei
rumori inaugura una riflessione che è al contempo sociale, paesaggistica e musicale, ed è motivata, di
conseguenza, dal tentativo di sostenere la necessità di un rinnovamento che deve riguardare la
struttura della società in generale, e il suo rapporto con il fenomeno sonoro in particolare. Il che viene
a riguardare, di conseguenza, anche la formula di una esperienza musicale che necessita sicuramente
nuovi stimoli e nuovi impulsi vitali. Il Credo di Cage, al contrario, ha come primo obiettivo quello di
inserirsi all'interno di un dibattito propriamente musicale, che solo secondariamente trova come suo
oggetto l'aspetto sociale e paesaggistico.

113
La vastissima produzione musicale di John Cage si può considerare, nel
complesso, come un'unica forma di sperimentazione sul suono in tutte le sue forme:
dall'orchestra tradizionale, al rumore delle macchine per la strada, al più assoluto
silenzio, non c'è area acustica che non sia stata presa in considerazione e abilmente
trasformata in arte63. Il primo ambito a cui è rivolta l'attenzione del giovane
compositore è quello del suono tradizionalmente considerato musicale, del quale si
cercano delle nuove formule e delle nuove costruzioni armoniche. E' proprio questo
ad attirare Cage verso l'insegnamento di Schoenberg: l'aprirsi, con la teoria
dodecafonica, di una nuova via espressiva, che possa sviluppare, partendo da un
materiale di base dato e conosciuto, delle soluzioni e degli effetti sonori
imprevedibili. Le prime composizioni si possono ricollocare interamente all'interno
di questa corrente: sono esercizi scolastici, in un certo senso, anche se con questo
termine si deve intendere un modello di riferimento non certo “classico”.
Già dalla fine degli anni '30, però, si può notare nelle partiture di Cage il senso e
il gusto per una sperimentazione che lo porta ad allontanarsi dalla teoria del maestro
per rivolgersi direttamente ad un materiale sonoro ancora inesplorato e ancora da
verificare. E' il caso del ciclo Imaginary Landscape, i cui primi tre brani sono
composti tra il 1939 e il 1942. La costruzione musicale si basa su una spiccata
ricerca ritmica, proposta attraverso il ricorso a strumenti percussivi non abituali, che
si fonde con una attenzione per la costruzione melodica, che pure procede
prevalentemente al di fuori dei canoni tradizionali. I nuovi timbri utilizzati, che
consistono per larga parte di suoni prodotti attraverso processi di sintesi elettronica,
manifestano proprio la volontà di esplorare questa nuova area sonora che si affaccia
al mondo musicale grazie alle più recenti scoperte scientifiche. Il mito del rumore
meccanico, che caratterizzava la poetica futurista, viene sostituito dall'interesse per il
mondo della tecnologia e dell'elettronica, che si impone come il principale oggetto
della ricerca musicale. Quello che si cerca di costruire, come appare evidente dal
titolo, è un “paesaggio immaginario” che possa collocare l'ascoltatore in una
dimensione differente da quella in cui si trova64.
63 Il catalogo completo delle opere di John Cage arriva a comprendere quasi 400 composizioni.
Rimandiamo al sito http://www.johncage.info, che ne propone una classificazione cronologica
definitiva.
64 Il che rappresenta, sia detto di passaggio, una netta anticipazione di quella che è la corrente
e la tradizione della musica ambient che, nella sua versione moderna, viene considerata a partire dalle

114
A seguito di queste esperienze l'attenzione si rivolge all'esplorazione di nuove
sonorità raggiungibili attraverso la modifica degli strumenti tradizionali: sono degli
anni '40 le prime sperimentazioni sul cosiddetto “pianoforte preparato”, ossia un
pianoforte modificato internamente attraverso il posizionamento di vari oggetti sulle
sue corde: viti, bulloni, pezzi di plastica, noci, pezzi di gomma65. Quello che ne
risulta, da un punto di vista acustico, è ovviamente una situazione del tutto
inaspettata, che permette di sfruttare lo strumento per produrre sonorità inedite e
all'interno di contesti non usuali66. La tecnica esecutiva diventa al contempo molto
complessa, dal momento che il pianista si deve relazionare con un effetto sonoro
assolutamente diverso da quello previsto, e anche con una sensibilità manuale non
conforme a quella abituale: è evidente, infatti, che i vari oggetti posizionati sulle
corde, alterandone la tensione, determinano una risposta diversa dei martelletti.
Proprio a causa di questo, la partitura viene lasciata piuttosto libera e per molti versi
affidata alle mani dell'esecutore. L'obiettivo è proprio quello di far entrare in
contatto tale esecutore con lo strumento che sta suonando e con la realtà acustica che
ne deriva. Senza una attenta considerazione dell'aspetto puramente sonoro della
musica da parte del suo esecutore, questa non riuscirà mai a definirsi tale. L'intento
di John Cage diventa quindi quello di portare consapevolezza e di stimolare
attenzione, attraverso la sua musica, verso un mondo sonoro che continuamente
circonda non solo l'esecutore, ma anche lo stesso ascoltatore, e che, se fatto oggetto
di ascolto, può rivelare, anche nelle sue componenti apparentemente più ovvie, degli
elementi di valore.
Il che ci introduce nel centro dell'ambito compositivo cageano che
maggiormente interessa il nostro discorso. A partire dagli anni '50 l'attenzione del
compositore si indirizza direttamente al mondo esterno, alla quotidianità della nostra

esperienze di Brian Eno sul finire degli anni '70. Lo stesso Brian Eno, del resto, riconosce questa
influenza. Approfondiremo meglio la questione in seguito.
65 E' questo per esempio il materiale utilizzato per la preparazione del pianoforte per le
Sonatas and Interludes, scritte tra il 1946 e il 1948. La tecnica è stata usata in molte occasioni da
John Cage, e la preparazione dello strumento si differenzia di volta in volta.
66 In particolare l'interesse di John Cage in questi anni è rivolto alla ricerca ritmica e
percussiva. Il che si spiega in primo luogo considerando che è proprio di questi anni l'inizio della
collaborazione, poi durata tutta la vita, col coreografo Merce Cunningham. E quindi comprendendo
come l'esigenza primaria fosse quella di sperimentare delle forme musicali che potessero
accompagnare una azione scenica di danza. Da questo punto di vista, ricorrendo al mezzo del
pianoforte preparato, il risultato è veramente sorprendente.

115
esistenza, al mondo sonoro in se stesso. Da un punto di vista compositivo questo
vuol dire due cose: da un lato, l'introduzione dell'elemento sonoro reale, preso
direttamente dall'esperienza di tutti i giorni, all'interno della composizione 67;
dall'altro, la maturazione dell'interesse per le pratiche aleatorie e per l'ambito della
composizione non programmata, che diventa proprio l'espressione artistica
dell'esperienza del paesaggio sonoro: ossia quella di una realtà non organizzabile e
non prevedibile “sulla carta”, di una realtà caotica e in un certo senso casuale, ma
non per questo meno ricca di qualità e di valore. L'esperimento certamente più
famoso, e anche più discusso, è 4'33'': il titolo indica esattamente la durata del brano,
che nell'idea iniziale doveva essere diviso in tre movimenti, rispettivamente della
durata di 30'', 2'23'' e 1'40''68, tutti costituiti da assoluto silenzio. Le interpretazioni
che sono state date dei numeri e del senso del brano sono molteplici, e non è questa
la sede per tentarne una sistemazione. Dal nostro punto di vista, risulta sufficiente la
considerazione di quello che Cage stesso disse, a più riprese, a proposito di quello
che lui stesso definiva il suo pezzo più riuscito:

non hanno compreso il punto (si riferisce al pubblico presente alla prima
rappresentazione). Non c'era silenzio. Quello che loro pensavano silenzio, dal momento
che non sapevano ascoltare, era in realtà pieno di suoni accidentali. Si poteva sentire il
vento che si agitava all'esterno durante il primo movimento. Durante il secondo, qualche
goccia di pioggia ha cominciato a cadere sul tetto, e durante il terzo sono state le persone
stesse a creare una moltitudine di suoni interessanti parlottando o alzandosi 69.

E ancora, in un'altra occasione: «io pensavo che avrebbe portato la gente a


rendersi conto che il suono dell'ambiente rappresenta una musica che è più
interessante di quella stessa musica che loro vorrebbero ascoltare entrando in una
sala da concerto»70.
Si capisce allora come da questo punto in avanti la riflessione musicale cageana

67 Gli esempi sono molti. Probabilmente la composizione più famosa è Imaginary landscape n.
4: un concerto pensato per 12 apparecchi radio. Gli apparecchi venivano recuperati direttamente in
loco, e si sintonizzavano inevitabilmente sulle frequenze locali, dipendenti, di conseguenza, dal luogo
e dall'orario della performance. Un altro esempio è il “Concerto per caffettiere” tenuto durante la
trasmissione televisiva Lascia o raddoppia, diventato noto, soprattutto in Italia, per la reazione non
propriamente entusiasta di Mike Buongiorno. La trascrizione dell'evento si trova in: AA.VV., John
Cage, Mudima, Milano 2009.
68 Nelle successive versioni del brano la durata dei movimenti risulta a volte diversa. Quella da
noi indicata rappresenta la durata della prima esecuzione, tenuta a Woodstock il 29 Agosto 1952.
69 Da un'intervista con John Kobler del 1968, riportata nel volume di R. Kostelanetz,
Cvonversing with Cage, Routledge, London 2002, p. 70. La traduzione è mia.
70 Ibidem, da un'intervista con Jeff Goldberg del 1974.

116
assuma il carattere di una vera e propria riflessione sul paesaggio sonoro nel suo
complesso. Il che la porta ad estendersi ben al di là dell'ambito prettamente tecnico e
compositivo della musica, per collocare invece tale disciplina sullo sfondo di una
riflessione estremamente più ampia che arrivi a realizzare una immagine
complessiva della società e del suo funzionamento. Alla base sta anche in questo
caso il riconoscimento di una urgenza di fondo, legata alla trasformazione del nostro
rapporto e del nostro modo di vivere la natura.

Abbiamo agito contro di essa, siamo insorti contro la sua esistenza. Allora, la nostra
preoccupazione di oggi deve essere di reinserirla in ciò che essa è. E la natura non è una
separazione dell'acqua e dell'aria, del cielo e della terra ecc..., ma un insieme-lavoro e un
insieme-gioco di questi elementi. Ciò che noi chiamiamo ecologia. La musica, così come
io la concepisco, è ecologica. Si potrebbe dire di più: essa è ecologia71.

La citazione permette di mettere in luce molto bene l'idea di una musica che si
relaziona con un contesto totale, in cui trova i suoi elementi costitutivi e verso cui
matura la propria identità. Il significato profondo della ricerca sulle dinamiche
aleatorie è proprio questo: la musica è sempre inserita in un contesto imprevedibile.
Per poter essere liberata dalle proprie imposizioni e dalle proprie etichette, questo
contesto deve entrare a far parte della musica stessa. Da un lato essa non deve
imporre il proprio scopo al suo pubblico, dall'altro non deve essere disturbata da
questo. Pensare ad una musica assoluta, in questo senso, sarebbe assurdo: la
riflessione passata ha dato per scontato questo presupposto, è sempre maturata alla
luce di una convinzione precisa su ciò che potesse essere considerato musica o
meno, e proprio per questo è sempre stata fondata su una illusione tipica del
«musicista “professionista”». La musica non è mai potuta esistere come un elemento
astratto e apprezzabile al di fuori di ogni considerazione ulteriore, piuttosto «essa è
sempre sfociata nella natura, perfino quando era costruita in senso inverso» 72. Oggi
questo presupposto deve cadere, la musica deve mostrare una nuova via, deve
diventare «Armonia»73. A questo scopo la costruzione musicale non deve imporre
una visione al suono, ma deve accoglierlo in quanto tale: «all'epoca dell'armonia e

71 J. Cage, Per gli uccelli, tr. it. di W. Marchetti, Multhipla Edizioni, Milano 1977, p. 246.
72 Ivi, p. 245.
73 Ivi, p. 247. La considerazione cageana è qui molto influenzata da quello sfondo che è
sempre stato alla base della propria ricerca: la dottrina Zen e la filosofia orientale in generale.
L'Armonia si configura come uno stato di equilibrio tra la condizione del singolo, della società e del
mondo. Equilibrio che a sua volta riguarda sia uno stato fisico che uno stato psichico.

117
del contrappunto c'era il bene e il male, e delle regole per mantenere il bene contro il
male. Oggi, noi dobbiamo piuttosto identificarci con i rumori, e non per cercare
leggi per i rumori»74. La musica, in quanto disciplina che sperimenta e ricerca le
regole dell'armonia, diventa la via prescelta per la costruzione dell'Armonia
generale: «la musica è, oggi, una via, e una via necessaria verso l'Armonia.
L'Armonia è ciò che noi oggi possiamo rappresentarci in termini di ecologia»75.
Il pensiero di John Cage è sostenuto in questi passi dalla riflessione di un
sociologo che viene indicato, all'inizio della conversazione, come uno dei pensatori
più influenti per lo sviluppo del proprio pensiero musicale: Marshall McLuhan. In
particolare, Cage fa riferimento ad un saggio intitolato The Agenbite of Outwith76, in
cui, secondo la propria lettura, si racchiude il nocciolo di tutta la prospettiva
interpretativa della moderna società: «ciò che avviene accade ovunque e
contemporaneamente. Non si vive solo in modo parziale, ma totalmente. Occorre
disfarsi di tutti gli investimenti parziali. L'arte, per esempio, è dappertutto:
impossibile disfarcene»77. Il che permette di chiudere definitivamente il circolo
interpretativo costruito da Cage: da un lato la musica, nel suo riferirsi direttamente al
suono contestualizzato, offre un elemento attraverso cui porre attenzione sul suono
come esperienza estetica da cui trarre fonte di benessere e di Armonia 78; dall'altro la
società di massa, proprio perché deve essere intesa come un unico enorme individuo,
può accedere alla comprensione del fenomeno musicale nella sua interezza e nella
sua totalità. Non solo: l'analisi proposta da McLuhan sembra individuare proprio
nell'arte l'elemento in grado di invertire il destino della nostra moderna società:
sfruttando i nuovi mezzi della comunicazione di massa, proprio l'arte potrà infatti
arrivare ad avere una influenza sul mondo sempre più concreta e sempre più
decisiva79.
74 Ibidem. In questa affermazione si può leggere senza dubbio un riferimento polemico verso la
teoria musicale schaefferiana.
75 Ibidem.
76 M. McLuhan, The Agenbite of Outwit, in Location 1, n. 1, Spring 1963, pp. 41-44.
Consultabile online all'indirizzo: http://projects.chass.utoronto.ca/mcluhan-studies/v1_iss2/1_2art6.
htm.
77 J. Cage, Per gli uccelli, cit., p. 240.
78 «Non ho mai ascoltato un solo suono che fosse miserabile! Non ne ho mai ascoltato uno che
mi facesse pensare alla decadenza o alla putrefazione!», scrive Cage in queste pagine.
79 Il saggio in questione di McLuhan si conclude con la frase secondo cui «i nuovi media non
sono giocattoli; e non dovrebbero quindi essere lasciati nelle mani di Mamma Oca o di Peter Pan. Al
contrario dovrebbero invece essere affidati soltanto ai nuovi artisti» (M. McLuhan, The Agenbite of

118
Questo sfondo teorico conferisce alla prospettiva cageana un grande senso di
ottimismo verso il futuro:

la mia musica, a differenza di un certo numero di altre è pronta, come ho detto, ad


affrontare la sovrappopolazione dell'anno 2000. Vale a dire di un'epoca in cui non ci sarà
forse più bisogno di compositori che siano dei semplici individui, ma in cui, io lo spero, i
suoni basteranno e si basteranno a se stessi. Spero che la mia musica contribuisca a far
riconoscere l'importanza dell'ecologia. Ma non mi faccio alcuna illusione sul ruolo che
sono chiamato a svolgere in questo campo: sarà, senza dubbio, un ruolo assai umile.
L'ecologia, io penso fermamente, si affermerà da sola80.

Ancora una volta lo scorrere del tempo permette di verificare nei fatti il destino di
tale prospettiva, costringendoci ad aggiungere, con forse troppa noncuranza, un'altra
goccia al serbatoio delle grandi intuizioni troppo presto dimenticate. L'ultima parola,
per fortuna, spetta di nuovo alla musica, il veicolo principale dell'espressione
cageana, per provare a pensare, per la verità senza troppa convinzione, che tale
dimenticanza sia solo il frutto di un'insufficienza della parola, laddove l'arte può
permettere una comunicazione.
La produzione che parte dalla metà degli anni '50 pone la sua attenzione
principalmente sugli elementi che abbiamo individuato per via teorica. L'indagine
sul suono del paesaggio diventa un riferimento imprescindibile per la
sperimentazione e per la ricerca musicale di John Cage, e le composizioni che si
basano su questi elementi sono molte. A cominciare da Radio Music del 1956, basata
sempre sull'utilizzo della radio come strumento musicale, e poi Water Music del
1959, che utilizzava materiale inerente al mondo dell'acqua (tubi, lavandini,
giocattoli acquatici, pentole a pressione) per produrre il suono, o 0'00'', nominata
anche 4'33'' No.2, che sostanzialmente presentava una situazione di silenzio, in cui il
risultato acustico era dovuto ad una interazione casuale di elementi prodotti
all'interno e all'esterno della scena81. Oltre al ricorso ad elementi acustici presi
Outwit, cit., p. 44). E' evidente che la lettura di John Cage sia in qualche modo “di parte”, ossia
finalizzata a mettere in risalto proprio l'elemento positivo che emerge dalla lettura del saggio, legato
alle nuove possibilità che sembrano aprirsi per il mezzo artistico, piuttosto che l'elemento di pericolo
e di preoccupazione, ben presente nel testo di McLuhan, relativo ad un certo tipo di sviluppo sociale.
Un interessante testo attraverso cui inquadrare meglio la particolare lettura cageana del pensiero del
sociologo canadese risulta essere: J. Cage, A Year from Monday, Wesleyan University Press,
Middletown, Connecticut 1963, che contiene il resoconto degli appunti presi da Cage negli anni
1965-67 (intitolati: Diary: how to improve the world (You will only make matters worse) 1965, 1966,
1967).
80 J. Cage, Per gli uccelli, cit., p. 251.
81 Il testo completo della partitura recita così: «In una situazione dotata della massima
amplificazione (ma senza feedback) eseguire una azione disciplinata». La stessa partitura sarà poi

119
dall'ambiente, l'attenzione è sempre rivolta alle pratiche che potevano favorire la non
ripetibilità dell'evento, ossia all'inserimento all'interno della composizione di
elementi che, a fronte di input costanti, restituiscono risultati ogni volta differenti.
L'input è ovviamente l'azione dell'esecutore, ed è regolata dalla partitura; il risultato
è invece il brano musicale stesso. Tra queste pratiche quella sicuramente più
considerata è il libro di divinazione dell'I-Ching, anche se non risulta l'unica: in
particolare negli anni '70 l'obiettivo di Cage è quello di trovare nella natura stessa
oggetti il cui utilizzo creasse una discontinuità tra la causa e l'effetto.
Una delle composizioni più riuscite, a mio modo di vedere, si basa proprio su
questo procedimento, ricorrendo all'utilizzo di grosse conchiglie riempite d'acqua:
Inlets, del 1977. La composizione è pensata per due esecutori che, muovendo le
conchiglie, provocano un riflusso dell'acqua interno da cui scaturisce il suono di un
gorgoglio continuo. Essendo la struttura interna della conchiglia non lineare, il
suono non segue direttamente il movimento dell'esecutore, ma spesso lo anticipa o
lo segue di qualche secondo, rendendo praticamente impossibile prevedere il
momento dell'interazione tra i suoni e quindi il risultato complessivo del brano. Il
suono emerge in qualche modo “da solo”, e come tale bisogna accoglierlo ed
ascoltarlo, attribuendogli un valore propriamente artistico. Il senso di questa
costruzione è proprio questo: il suono non ha valore in se stesso, il suo impatto sulla
nostra sensibilità dipende dalla nostra disponibilità ad accoglierlo. Sempre nella
stessa ottica, quindi, allo sfondo rappresentato dal gorgoglio dell'acqua si aggiunge il
suono del crepitio di pigne sul fuoco, che nelle indicazioni dell'autore dovrebbe
essere registrato in diretta durante l'esecuzione. L'atmosfera che si crea è di estrema
distensione e rilassatezza, e viene rotta dalla comparsa improvvisa di una singola
nota prodotta dall'utilizzo di una conchiglia come fosse una tromba. L'effetto è
assolutamente straniante, e permette di notare come quello che nella vita di tutti i
giorni sarebbe considerato un chiaro elemento di disturbo82, può in realtà contenere

ripresa in Variation IV, in cui vengono specificate meglio le istruzioni relative alla modalità in cui
svolgere l' «azione disciplinata».
82 Il timbro di questo suono si avvicina infatti a quello di una sirena, anche se risulta
certamente più ricco di armoniche, e quindi più morbido. I cosiddetti toni puri, come per esempio,
appunto, il suono di una sirena, di un clacson o di un diapason, sono considerati tra gli elementi più
fastidiosi in assoluto per l'uomo, e proprio per questo sono i più colpiti dalle varie legislazioni
acustiche.

120
una grandissima forza espressiva ed emotiva per chi lo ascolta.
Tra le varie opere della maturità sicuramente la più complessa e la più rilevante
per il nostro discorso è Roaratorio, an irish circus on Finnegans Wake. La
costruzione dell'opera è condotta direttamente sul testo del romanzo di James Joyce,
e prevede una parte propriamente recitativa, una parte parlata (di lettura del testo,
che generalmente veniva svolta da Cage stesso) e una parte suonata, unite alla
riproduzione di materiale registrato. Le varie sequenze non sono autonome, ma si
sovrappongono e si intersecano interagendo continuamente tra loro, dando vita a
scenari sempre nuovi e dipendenti dalla particolare situazione del momento.
L'azione si svolge tutta intorno al pubblico che, essendo posto nel centro, risulta
protagonista in prima persona: le proprie azioni e reazioni vengono infatti spesso
utilizzate come indicazioni su cui basare improvvisazioni e cambiamenti di
programma. Da un punto di vista sonoro, i paesaggi creati non lasciano mai spazio
alla retorica o alla descrizione fine a se stessa. Il microcosmo sonoro che si crea
nello spazio del concerto non è una idealizzazione del macrocosmo esterno, ma è
questo stesso messo in scena: con le sue regole e la sua caoticità, con le sue
interferenze e le sue dinamiche non sempre prevedibili. I suoni riprodotti spaziano
dalle onde del mare al canto dei gabbiani, dai trilli delle campanelle della scuola ai
fischi delle sirene di fabbrica. Non c'è spazio per la celebrazione, per la godibilità: il
cambiamento impone continuamente un nuovo adattamento, stimola
incessantemente una nuova comprensione. Così è: nella realtà come nella
rappresentazione. Il paesaggio sonoro, il rumore stesso del mondo viene messo sulla
scena, e diventa opera d'arte.
Il pensiero e l'opera di John Cage, alla fine di questo excursus, rappresentano, a
mio modo di vedere, l'esperienza artistica novecentesca che meglio di ogni altra ha
saputo interpretare e dare forma all'urgenza di un cambiamento imposto dalla
trasformazione senza regole del mondo in cui viviamo. L'idea che ha sostenuto e
animato tutto il percorso di ricerca e di sperimentazione che abbiamo provato a
descrivere, è rappresentata dalla concezione dell'arte come unica via per riconoscere
all'interno di un mondo sempre più caotico quegli elementi di bellezza attorno ai
quali provare a costruire un futuro migliore. In questo senso la musica deve dirsi
“ecologica, anzi: ecologia”: in quanto deve intrattenere un discorso profondo con il

121
luogo abitato (oikos), costituito dallo spazio fisico nel quale siamo immersi, ma
anche dal sentimento che ci lega ad esso. Un'esperienza totale, quindi, che come tale
non può mai essere assolutizzata o separata dalla percezione istantanea del
momento. Ecco perché il tempo del concerto non viene più a distinguersi da quello
della vita quotidiana, e l'elemento sulla scena incarna la stessa realtà dell'esperienza
di tutti i giorni. Non a caso il momento della performance viene ridefinito da Cage
come il momento dell'happening: in cui qualcosa accade, che riguarda e che
coinvolge tutti i presenti, e che non deve finire con l'uscita dalla sala da concerto. Il
concerto, la musica, l'arte devono mostrare delle nuove vie, che possano essere alla
base della nostra nuova esperienza di vita quotidiana. In questo senso, io credo che
si possa dire che la musica di John Cage si pone come un riferimento assoluto per la
considerazione del tema che stiamo affrontando.

5. Lo sviluppo della radio

Il fenomeno tecnologico che maggiormente ha influito sulla trasformazione e


sul cambiamento percettivo del paesaggio sonoro del Novecento è certamente la
radio. La radio rappresenta la prima esperienza in cui il segnale elettrico derivato
dalla trasformazione dell'energia fisica dell'onda sonora, viene trasmesso attraverso
delle onde elettromagnetiche in grado di essere intercettate e quindi riconvertite
nello stato originario. Tale riconversione avviene pressoché simultaneamente in tutti
gli apparecchi in grado di interpretare il messaggio nella sua nuova forma. L'impatto
che tale fenomeno ha sulla società del XX secolo è estremamente ampio, arrivando a
determinare, per usare un'espressione di Barry Truax, «non soltanto un'estensione
delle possibilità del suono, ma piuttosto una vera e propria trasformazione del modo
in cui questo funziona»83. Fino a questo momento, infatti, ogni suono è
contraddistinto dalla propria “area di udibilità”, che determina il “profilo” del suono
stesso. Tale profilo risulta invece enormemente esteso ed allargato a seguito della
diffusione della radio, arrivando ad abbattere le barriere dello spazio fisico e gli

83 B. Truax, Acoustic communication, cit., p. 110.

122
ostacoli tradizionali84. La prima delle conseguenze che bisogna considerare riguarda
l'investimento simbolico di cui tale suono viene caricato: esso assume una sorta di
“aura di autorità” che ancora oggi, nonostante il fenomeno sia diventato a noi
assolutamente familiare, non sembra essere svanita85. Il controllo di tale suono
diventa di conseguenza sinonimo di potere, e anzi proprio nell'ottica di conferire
potere comincia ad essere utilizzato, come dimostra chiaramente l'ascesa di molti
regimi politici, a partire dagli anni '2086.
Dal nostro punto di vista, la conseguenza teorica più interessante consiste nel
fatto per cui, attraverso la diffusione della radio, si separa definitivamente il prodotto
sonoro dalla fonte che lo ha causato. E' quello che Murray Schafer definisce con il
termine “schizofonia”: un suono può essere percepito indipendentemente dal suo
contesto originario, valutato in se stesso e quindi reintrodotto all'interno di un nuova
situazione inedita. Il che determina un duplice effetto: da un lato si assiste ad una
separazione tra l'ambiente fisico in cui l'individuo si colloca e quello sonoro
trasmesso dagli altoparlanti, e dall'altro la stessa separazione si verifica all'interno
della sfera percettiva del singolo, dal momento che quello che l'orecchio sente si
separa da quello che gli altri sensi si aspetterebbero di percepire. I paesaggi sonori,
di conseguenza, tendono a perdere la loro specificità, fondendosi in qualche modo
tra loro, omologandosi e influenzandosi reciprocamente. Questo da un lato porta ad
una grande estensione delle possibilità del fenomeno sonoro in generale, ma
dall'altro deve implicare una attenta riconsiderazione della psicologia dell'ascolto
individuale, che inserito in un contesto “schizofonico” assume delle nuove
caratteristiche.

84 Si noti che la possibilità di riprodurre un suono che sia percepibile da tutti allo stesso tempo,
è molto diversa dal fatto di riprodurre un suono attraverso una registrazione e un ascolto successivo:
nel primo caso il messaggio trasmesso può avere un significato attuale, immediato, e circoscritto; nel
secondo, per poter essere sempre attuale, deve contenere una informazione necessariamente
universale e “atemporale”. Questo fatto determina una enorme crescita delle possibilità di impiego
del mezzo e quindi della sua diffusione.
85 Si vede nel fatto per cui tendiamo a dare credibilità, in assoluto, ad una notizia ascoltata alla
radio. Le spiegazioni di tale fenomeno potrebbero essere anche molto complesse, e non spetta a noi
trovarle. E' interessante però notare che il fenomeno della percezione di suoni provenienti da lontano,
e indipendenti dalla fonte che li emette, è quello che ha sempre caratterizzato le “visioni” mistiche dei
profeti, degli sciamani, dei santi. Il contatto tra l'uomo e Dio (indipendentemente dalle sembianze che
a questo si vogliono attribuire) ha sempre trovato in questo tipo di comunicazione una delle sue
forme privilegiate.
86 Si veda, come esempio, riferito al caso italiano, C. Bramanti, Con la radio alla conquista
dell'impero, Sandit Editore, Milano 2007.

123
All'analisi di questo fenomeno è dedicata la seconda parte della già considerata
opera di Barry Truax: Acoustic Communication. Il punto centrale
dell'argomentazione consiste proprio nel mettere in evidenza il fatto che la
trasmissione radiofonica introduce all'interno della società non solo una quantità
notevole di suoni elettronici, dalle caratteristiche assolutamente inedite per
l'ambiente naturale, ma anche, e soprattutto, un nuovo paradigma di ascolto, che
viene inconsciamente assimilato dall'individuo, e quindi posto alla base della propria
esperienza quotidiana. Nella nostra contemporaneità ciò che caratterizza questo
paradigma è costituito da elementi tendenzialmente negativi, se considerati in
relazione ad una situazione di equilibrio ideale tra l'uomo e il paesaggio che lo
circonda.
Il primo punto è relativo alla considerazione dell'ascoltatore, che diventa sempre
e primariamente trattato come un consumatore, come un oggetto da indirizzare e da
influenzare, a cui far nascere un desiderio che successivamente deve essere
soddisfatto. In secondo luogo, esso non viene mai considerato come un individuo,
ma sempre collocato all'interno di un “target”, da trattare secondo i criteri derivati
dalle indagini di mercato e dalle ricerche statistiche. Ne deriva quindi una
impersonalità nella costruzione del messaggio in generale: tale messaggio per essere
efficace deve essere semplice e incisivo, immediatamente identificabile. Si tratta di
una sorta di bombardamento continuo, nel quale l'individuo viene coinvolto e
trascinato, spesso suo malgrado. Da un punto di vista musicale, l'offerta è sotto gli
occhi di tutti: senza volere entrare nel merito della qualità, quello che colpisce è
l'assoluta standardizzazione della proposta, legata, salvo rari casi, ai pochi brani più
gettonati del momento. E lo stesso vale per l'informazione, di cui viene ricercato
molto più l'aspetto scandalistico, di facile presa, piuttosto che quello
dell'approfondimento87.
Quello che dal nostro punto di vista risulta essenziale, è rilevare che il modello

87 Inutile, ma in un certo senso anche doveroso, osservare che esistono le eccezioni. Per lo più
considerate, del resto, esperienze “di nicchia”, piuttosto che variazioni e alternative reali al modello
dominante. E' significativo, almeno in Italia, che tali esperienze siano sostenute prevalentemente da
fondi pubblici. Sarebbe interessante in quest'ottica, io credo, considerare il fenomeno della diffusione
delle radio online, da cui potrebbero emergere dei dati significativi, dal momento che sarebbe forse
possibile identificare il carattere di un'esigenza che in qualche modo matura “dal basso”, piuttosto che
essere imposta dall'alto. L'affermazione è sicuramente da argomentare in modo più convincente: la
lasciamo consapevolmente come uno spunto aperto.

124
di ascolto su cui una tale impostazione si basa, e che di conseguenza favorisce, è un
modello distratto, parziale, caotico. Il messaggio radiofonico non deve richiedere
attenzione, ma imporsi “di nascosto”, stimolando interesse qua e là,
accompagnando, scandendo un tempo nella vita dell'ascoltatore. Il primo obiettivo è
quindi quello di riempire, di non lasciare spazi vuoti, che possano rappresentare una
pausa di riflessione, in qualche modo una “presa di coscienza”: lo dimostrano
chiaramente i vari jingle pubblicitari e le varie sigle disseminate nella
programmazione88. Il suono viene costruito per risultare potente, strutturato, sicuro:
tutto disegnato sulle basse frequenze e sui processi di compressione, che gli
conferiscono un impatto e una presa più facile. Tutto questo, evidentemente, da un
lato allontana sempre di più il pubblico dall'idea di un rapporto partecipativo e
comunicativo con il mondo sonoro che gli sta attorno, dall'altro fa venir meno
l'interesse per l'ascolto del suono “reale”, che, se paragonato a quello radiofonico,
sembra sempre risultare vuoto e inconsistente. Il mondo dei suoni tende quindi ad
essere vissuto sempre più come un elemento passivo da non considerare, se non
addirittura come un motivo di disturbo da evitare. Tale modello, purtroppo, è quello
che è andato via via affermandosi non solo nella radio, ma in generale nel mondo dei
media, dalla televisione al cinema, e che ancora oggi impera incontrastato, come
dimostrano i vari spazi virtuali dei videogiochi e del mondo di internet89.

Non possiamo ignorare il fatto che non solo la società e i media sono cambiati
profondamente, ma anche la natura stessa delle nostre abitudini all'ascolto. Come possono
funzionare delle alternative quando la sensibilità e il gusto del pubblico sono stati educati
per anni a preferire il suono “pulito”, artificiale, e tecnologicamente costruito? Gli
ascoltatori delle radio ormai sono sofisticati per quel che pensano rappresenti il suono “di
qualità” e la pratica della programmazione professionale90.

88 Barry Truax propone a questo proposito un elenco di “classi di durata” dei vari elementi che
costituiscono il palinsesto radiofonico, studiate in base ai criteri elencati: gli spot pubblicitari durano
tipicamente 30 o 60 secondi, la musica da 3 a 4 minuti, le introduzioni dell'annunciatore attorno ai 10
secondi, e il jingle della radio non più di 3 secondi. (B. Truax, Acoustic Communication, cit., p. 163).
E' facile notare come, rispetto al 1984, la situazione si sia evoluta estremizzando questo modello: le
pause pubblicitarie occupano decisamente più spazio, il tempo dedicato al singolo brano musicale
arriva raramente a superare i 3 minuti, condizionando, di conseguenza, la modalità artistica della
produzione della musica stessa.
89 In questo caso, da un punto di vista puramente tecnico, bisognerebbe considerare la svolta
dovuta alla sintesi digitale del suono. Nella nostra ottica, però, il discorso non cambia. Anzi: tali
possibilità, che permettono un intervento ben più consistente e incisivo sul materiale sonoro, sono
rimesse completamente al servizio del modello dominante, instaurando una alleanza che non sembra
manifestare segni di cedimento.
90 B. Truax, Acoustic Communication, cit., p. 177.

125
Se questa conclusione rappresenta certamente la presa di coscienza di una
difficoltà che non può essere ignorata, dall'altro lato non bisogna sottovalutare le
nuove possibilità che proprio la tecnologia conferisce al progetto e alla sua capacità
di intervento. E' evidente che si tratta, in questo senso, di invertire in qualche modo
la rotta, sfruttando gli stessi strumenti tecnologici per costruire delle “alternative
creative” al modello considerato91. Si tratta di riprendere, per la verità, le orme di un
cammino in parte già tracciato: al suo primo apparire la radio è stata accolta come
un mezzo in grado di suscitare e di stimolare un sentimento di partecipazione e di
coinvolgimento creativo rispetto al mondo sonoro, dando vita, tra le altre cose, a
numerose esperienze artistiche. In particolare, a partire dalla fine degli anni '20, il
nuovo genere che comincia ad affermarsi è quello del “radio dramma”: si tratta di
“mettere in scena”, sfruttando le possibilità derivate dal mezzo radiofonico, delle
situazioni recuperate da altri contesti artistici, in particolare dalla narrativa e dal
romanzo. La costruzione scenica è interamente realizzata, ovviamente, attraverso
materiale sonoro, che viene ricercato all'interno del paesaggio, o costruito per
l'occasione. Tali paesaggi sonori artificialmente costruiti conferiscono alla
trasmissione un carattere estremamente realistico e coinvolgente, e permettono di
mettere in luce la forza dell'elemento sonoro nell'atto complesso della nostra
percezione del luogo92.
Tra le varie esperienze che si potrebbero citare, le più significative sono
probabilmente quelle realizzate dalla compagnia The Mercury Theatre. Si tratta del
gruppo di attori fondato da Orson Welles nel 1937 che, dopo una serie di fortunati
spettacoli teatrali, diede vita l'anno successivo a quello che ancora oggi è
considerato uno dei programmi radiofonici più noti e più riusciti di sempre: The
Mercury Theatre on Air. Tale programma proponeva al pubblico, con appuntamenti
di un'ora a cadenza settimanale, la messa in scena di veri e propri audio drammi,

91 Truax stesso, in quanto compositore, considera questa possibilità come una prospettiva
concreta e una via assolutamente percorribile: «il mio primo interesse come compositore è quello di
utilizzare la tecnologia elettroacustica per esplorare nuove idee nel suono, e quindi non ho dubbi a
proposito dell'utilità di questo approccio» (ivi, p. 189).
92 Si noti, per esempio, la differenza tra questo approccio e quello che caratterizza i moderni
audio-libri: in questi ultimi il suono è costruito in modo assolutamente limpido e per quel che
riguarda la voce narrante, ma non vi è nessuna attenzione verso l'elemento “paesaggistico” che viene
narrato. Il che conferisce un certo distacco e una certa freddezza all'ascolto complessivo: segno
evidente di un differente investimento simbolico attraverso cui interpretiamo l'elemento sonoro.

126
basati su romanzi o su racconti tratti dalla letteratura classica e contemporanea. Il
culmine di questa esperienza è rappresentato dalla puntata trasmessa la sera di
Halloween del 1938, in cui la vicenda del dramma si sviluppa seguendo la trama del
romanzo di George Wells, The War of the Worlds, in cui si narra dell'invasione della
terra da parte degli alieni. La rivisitazione radiofonica interpreta la vicenda sotto
forma di un notiziario di guerra in cui si alternano i collegamenti tra lo studio e i vari
“inviati” sul posto93. L'introduzione è affidata alla voce di Welles, che svolge il ruolo
del giornalista in studio, e che introduce l'ascoltatore all'interno della situazione,
spiegando il motivo del pericolo. Mano a mano l'atmosfera si carica di tensione,
accompagnata da uno sfondo sonoro funzionale a questo scopo. Il primo elemento
acustico che compare è il ticchettio di un orologio, forse volente rappresentare il
tempo dell'umanità che sembra essere arrivato ad un bivio. E quindi cominciano i
vari collegamenti “fuori sede”, in cui la voce degli attori viene trattata con degli
effetti particolari, dando perfettamente l'idea di uno spazio diverso. Sullo sfondo
vanno via via affermandosi rumori che rappresentano urla di panico, caos, situazioni
di emergenza. Vengono quindi intervistati gli esponenti delle forze dell'ordine e
dell'esercito, mobilitati per l'occasione. Gli ultimi collegamenti si caratterizzano per
la difficoltà nella trasmissione: la linea viene interrotta bruscamente, le parole si
sentono a tratti, spesso coperte dal suono di esplosioni, di granate e di spari.
La recezione da parte del pubblico fu assolutamente inaspettata: alla
trasmissione seguì una vera e propria crisi di panico collettiva negli Stati Uniti: la
notizia venne diffusa e trasmessa di bocca in bocca, e divenne ben presto il tema più
discusso dai media di tutto il mondo94. Dal nostro punto di vista questo fatto sta
certamente a conferma dell'“aura di autorità” che si diceva circondare il suono
proveniente dalla radio, ma l'elemento più interessante consiste nel rilevare il modo
in cui attraverso il solo utilizzo del dato acustico, si sia riuscito a costruire un
93 Tale modello ha in realtà un precedente in una trasmissione radiofonica inglese del 1926, in
cui Ronald Knox basa la “diretta” sulla notizia inventata di una rivoluzione in atto a Londra. Anche in
questo caso la situazione acustica è costruita attraverso il recupero di materiale registrato per
l'occasione, e il realismo della scena è provato dai numerosi casi di panico collettivo che furono
causati dalla trasmissione.
94 E' dovuto principalmente a questo aspetto, relativo all'incredibile reazione popolare alla
trasmissione, il motivo della grande popolarità di questa esperienza: Welles divenne una celebrità, e
all'evento si ispirarono numerose iniziative. Per citarne solo una: ancora nel 2008 si propose di
istituire, con il patrocinio dell'UNESCO, la “Giornata mondiale della radio”, nella data del 30
Ottobre, proprio in onore della ricorrenza della trasmissione. La scelta, però, ricadde sul 13 Febbraio.

127
paesaggio estremamente realistico e definito, sulla base del quale poter stimolare
l'ascoltatore ad un diverso atteggiamento nei confronti della realtà nel suo
complesso.
Tali esperienze e sperimentazioni vanno affermandosi parallelamente nel
continente europeo95, anche se a partire dagli anni ‘30 l'inasprimento della situazione
politica tende a limitare fortemente la libertà degli artisti, vincolando ogni tentativo
di ricerca, soprattutto relativo all'ambito radiofonico, all'interno di logiche di
controllo e di propaganda da parte degli stati. Bisogna attendere quindi gli anni del
secondo dopoguerra, per assistere ad un fermento artistico che possa riallacciarsi alle
forme di sperimentazione considerate. Merita certamente considerazione, in
quest'ottica, un importante lavoro del 1951, intitolato Träume96, dell'artista tedesco
Günter Eich. A differenza dell'audio dramma, che recupera il proprio materiale da
un'opera precedentemente composta per un altro ambito artistico (come la
letteratura, il romanzo), questa opera viene pensata fin da subito in relazione alla
specificità della sua trasmissione, ossia alla particolarità del mezzo esclusivamente
acustico su cui si basa.
L'esperimento, della durata di circa 75 minuti, propone all'ascoltatore cinque
sogni, che diventano un mezzo per mettere in scena, nell'ottica dell'autore, le
ossessioni e le paure condivise della propria società. Lo scopo di fondo è quindi
prevalentemente morale e socio-politico: l'opera d'arte deve permettere di
“risvegliare” la massa dal torpore intellettuale e culturale in cui si trova 97. Gli
elementi su cui fare perno per ottenere questo risultato, come osserva Ryder, sono

95 Si vedano per esempio, in area tedesca, le sperimentazioni di Hans Flesch, l'opera Weekend
(1930) di Walter Ruttmann, Lindberghflug (1929) di Bertold Brecht, e l'adattamento radiofonico di
Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin (1930). Abbiamo già ampiamente considerato la
sperimentazione futurista in Italia, e citato l'esperienza di Ronald Knox in area inglese.
96 L'opera è nota anche con il titolo inglese: Dreams. Per una analisi di questa esperienza
artistica rimandiamo all'articolo di R. G. Ryder, When only the Ears Are Awake, Günter Eichand the
Acoustical Unconscious, in F. Feiereisen - A. Merley Hill, a cura di, Germany in the Loud Twentieth
Century, Oxford University Press, New York 2012, pp. 35-47. Le traduzioni sono mie.
97 Sullo sfondo del discorso eichiano sembra potersi individuare un riferimento alle teorie di
Benjamin: in particolare ne L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, e in Piccola
storia della fotografia, in cui compare il concetto di “inconscio ottico”, da Eich in un certo senso
rielaborato in “inconscio uditivo”. Entrambi i saggi sono contenuti in W. Benjamin, L'opera d'arte
nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, tr. it. di E. Filippini, Einaudi,
Torino 2000, . Si vedano inoltre i saggi Reflections on Radio e Theatre and Radio, in: Selected
Writings, Vol. 2 1931-1934, a c. di M. W. Jennings, H. Eiland, G. Smith, Harvard University Press,
Cambridge Massachussett 1999, pp. 543-544 e pp. 583-587.

128
tre: «la compenetrazione tra l'ascoltatore e l'ascoltato, il gioco tra la realtà e la
fantasia, e il sogno inteso come un barometro simbolico delle paure e dei desideri
nascosti di ognuno»98. Come si comprende, la riflessione teorica su cui si sviluppa il
discorso artistico è molto ampia, collocandosi su uno sfondo che si avvicina all'area
della psicologia e della sociologia. Dal nostro punto di vista l'elemento più
significativo è il primo: la “compenetrazione” tra il ricevente e il ricevuto è quanto
contraddistingue il senso dell'udito rispetto alla modalità percettiva dominante della
vista. Il suono ci attraversa, entra dentro di noi: siamo “immersi” in esso, nell'atto
dell'ascolto, e a maggior ragione nell'atto della produzione del suono, il “dentro” e il
“fuori” sembrano confondersi. Il che è perfettamente in sintonia, nella prospettiva di
Eich, con quello che rappresenta il sogno: situazione a metà strada tra realtà e
invenzione, riflesso della propria esperienza e allo stesso tempo proiezione di
qualcosa d'altro. Il concetto centrale che si impone è quindi quello di “inconscio”: la
dimensione sonora è quella che più di ogni altra permette di intercettare e
comunicare con questo ambito dell'umano in cui si nascondono le ragioni più
profonde dei nostri comportamenti.
Il risveglio dal sogno rappresenta quindi lo stratagemma artistico attraverso cui
rappresentare la presa di coscienza, da parte dell'individuo, di alcuni meccanismi che
regolano il nostro agire collettivo: «svegliatevi, perché i vostri sogni sono terribili! E
state svegli, perché l'orrore si avvicina». In questa frase, pronunciata durante il
monologo conclusivo, si racchiude l'essenza di tutta la composizione: i “sogni
terribili” e l'“orrore” rappresentano il passato della società tedesca, che in un atto di
assenso quasi casuale, o quasi inconscio, ha potuto dare vita, e in un certo senso
anche giustificare, una esperienza come quella nazista. E sono le stesse prospettive
che potrebbero ricomparire all'orizzonte, se non ci sarà un cambiamento sentito e
deciso, sul quale basare un diverso modo di approcciare la realtà nel suo complesso.
Il che riporta in primo piano l'elemento acustico: non si tratta soltanto di una
“affinità” tra la radio e il sogno, ma piuttosto di un legame «nel modo in cui il
medium conferisce un nuovo ordine al nostro paesaggio sonoro di tutti i giorni in
modo da stimolare una attenzione a quei suoni e a quelle voci di cui normalmente

98 R. G. Ryder, When only the Ears Are Awake, cit., p.41.

129
non ci accorgiamo»99. L'opera d'arte, attraverso l'utilizzo del mezzo della radio, si
carica quindi di questa nuova responsibilità.
La costruzione del brano è molto complessa, dal momento che ad una
attenzione propriamente musicale si sovrappone una riflessione decisamente più
teorica sul linguaggio e sulla comunicazione. In primo luogo bisogna rilevare la
presenza dell'elemento elettronico, utilizzato per introdurre l'ascoltatore in atmosfere
acusticamente non del tutto collocabili, sospese. Le immagini che compaiono nei
sogni sono piuttosto crude, rimandando a scene di deportazioni, esecuzioni,
cannibalismo, per esempio. Il primo sogno rappresenta la situazione forse più
significativa per la nostra ricerca: il contesto è quello di un gruppo di persone che si
trovano all'interno di un veicolo che si muove, probabilmente un vagone,
completamente al buio. Gli elementi sonori che caratterizzano la scena sono le voci
dei personaggi, e l'accompagnamento costante sullo sfondo che sembra appunto
ricordare il rumore regolare di un treno che viaggia. Via via vanno distinguendosi i
personaggi, rappresentati da una coppia molto anziana, e dai loro figli e nipoti.
Quello che emerge dalla discussione è il fatto che, mentre la coppia anziana ha
vissuto l'esperienza del mondo reale, gli altri protagonisti non hanno mai avuto di
esso alcuna percezione diretta, ma solo mediata attraverso il racconto. La svolta
narrativa avviene quando qualcuno scopre un buco da cui si riesce a vedere
all'esterno:

Donna molto vecchia: Se c'è un buco nel muro dovremmo riuscire a guardare fuori.
Nipote: Okay, guarderò fuori. Donna molto vecchia: Cosa vedi? Nipote: Vedo cose che non
riesco a capire. Madre: Descrivile. Nipote: Non conosco quali sono le parole che
appartengono a queste cose. Madre: Perché non guardi fuori ancora? Nipote: No, ho
paura100.

Da queste poche frasi emerge tutta la potenza della costruzione del racconto
eichiano: senza i propri riferimenti simbolici e culturali l'uomo arretra di fronte al
mondo, si rintana, ha paura. Il bambino torna nell'oscurità in cui ha sempre vissuto,
perché non conosce le parole che corrispondono alle cose che vede: senza questa
mediazione egli si sente dominato da esse, dal momento che non può comprendere.
La sovrastruttura che l'uomo si costruisce diventa quindi una sorta di giustificazione

99 Ibidem.
100 Ivi, p. 43.

130
per non soccombere nei confronti del mondo: una questione di vita o di morte.
Soltanto attraverso una estremizzazione così radicale della questione si può istituire
una relazione con quello che è successo, col peso del passato: l'esperienza tedesca
rappresenta un gesto metafisico, ontologico, altrimenti assolutamente
incomprensibile. Senza arrivare, ovviamente, a giustificare tale gesto, la soluzione
rimane all'interno del contesto propriamente artistico, viene cercata tutta su un piano
psicologico, attraverso la composizione del suono resa possibile dalla radio. Il primo
spostamento della scena viene compiuto attraverso il cambiamento della direzione
verso cui è orientata la voce dei personaggi: dall'essere “neutrale”, diventa sempre
più presente, sempre più diretta verso il microfono, che rappresenta l'orecchio
dell'ascoltatore. Il messaggio viene quindi orientato direttamente verso l'esterno,
come se quel buco che è stato trovato per guardare fuori sia in realtà rappresentato
nell'aver trovato un modo per “parlare fuori”: la radio. La “visione” di quel mondo
esterno che fa paura, perché incomprensibile, si trasforma quindi nella “descrizione”
acustica dello stesso mondo che noi rappresentiamo. Noi ascoltatori, a cui il
messaggio è rivolto.
Progressivamente lo spazio dell'ascoltatore va coincidendo con quello dei
personaggi narranti: la crescita della nostra consapevolezza, che deriva proprio da un
atto di “sonorizzazione del mondo”, ci porta all'interno di quel vagone, di quella
macchina in movimento di cui non si conosce la destinazione. E
contemporaneamente l'identificazione con i personaggi sposta questo stesso mondo
buio all'interno della nostra mente, come se il buco, questa volta, fosse rappresentato
dai nostri stessi occhi in grado di guardare. Il discorso assume allora a questo punto
il carattere di una riflessione interna, in cui il mondo incomprensibile si identifica
con il mondo da noi osservato. L'elemento acustico del treno gioca in questo
passaggio un ruolo decisivo: questo suono, infatti, che all'inizio sembra essere
necessario esclusivamente alla localizzazione del contesto, mano a mano va
identificandosi con il suono interno del sogno, con il rumore del respiro e delle
pause dei personaggi, e quindi, secondo il procedimento descritto, con il rumore
interno della nostra mente, dei nostri organi vitali. In conclusione, questo primo
sogno

131
rappresenta il sogno collettivo tedesco. La conseguenza è che noi sentiamo il respiro del
sonno collettivo come se il suono dei suoi organi interni si trasformasse in quello del treno.
Questo suggerisce che l'intenzione di Eich è quella di risvegliare i tedeschi facendogli
ascoltare il loro stesso sogno. Questo esempio ci porta alla nozione di inconscio acustico
collettivo, attraverso cui imparare ad ascoltare coscientemente quello che il nostro corpo
traduce inconsciamente nel sogno. Il sogno collettivo tedesco si sveglia dal suo processo
inconscio ed è costretto a fare i conti con questo stesso corpo in quanto storia collettiva 101.

L'ampiezza della prospettiva inaugurata da Eich, nella considerazione del suono


come una componente imprescindibile per la fondazione di un discorso orientato
alla comprensione del rapporto dell'individuo con il mondo e con la società, è
certamente significativa.
Un altro atteggiamento che comincia a diffondersi negli anni '50, legato
all'affermarsi della radio, e alle nuove prospettive artistiche che questa introduce, è
quello del “documentario sonoro”. Si tratta di un'esigenza che prende le mosse dal
duplice obiettivo di salvare il materiale sonoro che costituisce i nostri paesaggi, e di
restituirne una forma che ne possa fare comprendere l'intrinseco valore. Anche in
questo caso la tecnica che sta dietro al processo di composizione (ossia il
meccanismo di registrazione del suono e di riproduzione attraverso la radio), viene
considerata in quanto elemento che può estendere, e non semplicemente sostituire, le
possibilità del nostro apparato uditivo. Il che permette di considerare questa stessa
tecnica come un mezzo creativo, costruttivo, attraverso cui educare all'ascolto il
nostro orecchio, mettendo in primo piano elementi del paesaggio che generalmente
sfuggono alla nostra attenzione, e mostrando come ogni suono possa rappresentare
un elemento ricco di stimoli, se realmente ascoltato. Uno dei primi a basare la
propria ricerca su questa considerazione è Tony Schwartz, che nel 1946 realizza la
composizione New York 19, il cui titolo sottolinea il fatto che si basa per intero su
suoni registrati proprio nel distretto numero 19 di New York. In particolare,
l'interesse per l'operazione deriva in primo luogo dal riconoscimento di una
componente sonora estremamente vitale e folkloristica nelle strade attraversate
dall'autore, e dal desiderio di conservare questo elemento. La composizione risulta
quindi formata da una selezione di suoni registrati durante l'attraversamento delle
strade di Manhattan, da cui l'ascoltatore deriva l'impressione di una situazione viva e
dinamica, caratterizzata da uno scambio fertile e vivace di intuizioni artistiche, da

101 Ivi, p. 45.

132
una condivisione di messaggi e di esperienze diverse. I musicisti di strada sono la
nota più caratteristica e più ricorrente di questo paesaggio sonoro: provenienti da
tutte le nazioni, simbolo di una società sempre più multiculturale, manifestano un
senso di positività nei confronti della vita nel complesso, e trasmettono una certa
gioia a coloro che passano. Oltre a questi è possibile percepire tutti gli elementi che
contraddistinguono il paesaggio sonoro della città: rumore di motori, grida e
schiamazzi, canti improvvisati dai passanti, lavori in corso ecc.
A questa prima opera compiuta seguiranno una serie di composizioni basate
sullo stesso procedimento102. All'interno di questa impostazione “documentaristica”,
va piano piano maturando un interesse per il motivo peculiarmente estetico: il suono
non viene più restituito così com'è, nudo e crudo, ma in qualche modo orchestrato.
Senza mai arrivare ad imporsi come unico elemento di attenzione, e bilanciando
sempre il proprio intervento con lo scopo di fondo dell'opera, tale atteggiamento
permette di costruire una immagine sonora sempre più complessa e sempre più
suggestiva, attraverso cui comunicare un messaggio sempre più efficace
all'ascoltatore. Sull'onda di questa impostazione si sviluppano numerose esperienze:
dai documentari creati per la trasmissione Radio Ballads della BBC (trasmessi tra il
1957 e il 1964), alla fortunata trasmissione, sempre della BBC, Singing the Fishing
(1960), in cui materiale sonoro registrato veniva inframezzato da interviste in studio
e esecuzione di brani in diretta. In area canadese spiccano gli esperimenti sonori di
Imbert Orchard, in cui si cerca di costruire un paesaggio sonoro artificiale che possa
comunicare a più livelli con il pubblico: lo sviluppo dei brani è rappresentato da un
flusso sonoro continuo, formato da suoni che l'ascoltatore dovrebbe riconoscere e
nei quali, di conseguenza, dovrebbe progressivamente immedesimarsi103.
Il risultato probabilmente più significativo, in questo ambito compositivo, è
quello raggiunto da Glenn Gould: il pianista canadese, ritiratosi dalle scene

102 Per esempio: Nueva York: a Tape Documentary of Puerto Rican New Yorkers (1955),
Music in the streets (1957), The World in my Mail Box (1957), A Dog's Life (1958), You're Stepping
on my Shadow (1962), Tony Schwartz Records the Sounds of the Children (1970). Segnaliamo che
qualche esempio gratuito degli esperimenti di Schwartz è disponibile online all'indirizzo
http://www.loc.gov/rr/ record/schwartzrecordings.html. L'esperienza compositiva di Schwartz, e la
riflessione teorica su cui si basa, è testimoniata in un interessante libro: T. Schwartz, The Responsive
Sound, Anchor Press, New Zeland 1974.
103 Si veda per esempio From the Mountains to the Sea, People in Landscape, Skeena, River
of the Clouds e Fortunate Islands.

133
concertistiche poco più che trentenne, non ha mai nascosto il proprio interesse per la
tecnologia e per le nuove possibilità musicali che da questa venivano aperte. In
primo luogo sono le tecniche di “montaggio” del nastro registrato, che egli stesso
utilizzò abbondantemente nei propri dischi, ad attirare fin da subito la sua attenzione
come esecutore104. Ma certamente non si può sottovalutare l'importanza della
riflessione teorica e musicale che Gould sviluppò, in quanto compositore, proprio in
relazione all'affermarsi della pratica radiofonica: «immagino che tutto risalga al
1945-46. la radio mi affascinava e l'ascoltavo moltissimo. La radio ostentatamente
teatrale dell'epoca era anche, nel senso più reale della parola, un'impresa
documentaria di grande livello, che riusciva a cancellare, il più delle volte, la
differenza tra teatro e documentario»105.
Sulla scia di questa considerazione sono diversi gli esperimenti tentati da
Gould, e il risultato sicuramente più compiuto è rappresentato dalla trilogia intitolata
The Solitude Trilogy, formata dalle composizioni The Idea of North, The
Latecomers, e The Quiet in the Land, scritte tra il 1968 e il 1976. Il filo conduttore
dell'intera opera, come appare evidente dal titolo, è quello della solitudine. Nelle
prime due composizioni tale elemento viene messo in relazione al paesaggio del
nord, che l'autore stesso sostiene di avere sempre amato 106. Si tratta del paesaggio
del Canada settentrionale, immerso nel ghiaccio e nella neve per gran parte
dell'anno, caratterizzato dai suoi grandi laghi, dal clima estremamente rigido, dalle
enormi distanze delle pianure disabitate. La tragicità che continuamente viene
ribadita dalle voci dei soggetti intervistati è la tragicità della vita umana, vissuta in
mezzo a questo sterminato deserto di ghiaccio, in cui i collegamenti tra gli uomini

104 La registrazione dei dischi fino al secondo dopoguerra avveniva praticamente “in diretta”,
nel senso che mentre il gruppo o il musicista suonava veniva registrato il segnale sonoro prodotto.
L'idea di intervenire sulla traccia in un secondo momento, per esempio tagliando e incollando tra loro
i pezzi di nastro contenenti le versioni migliori di un brano, comincia a prendere piede proprio a
partire dalla metà degli anni '50. Gould, contrariamente alla maggior parte degli esecutori, soprattutto
di musica classica, prende posizione a favore di tali procedimenti, diventandone anzi uno dei più noti
sperimentatori e utilizzatori. Si vedano a questo proposito le numerose interviste raccolte in G.
Gould, L'ala del turbine intelligente, tr. it. di A. Levi, Adelphi, Milano 2007; e, dello stesso autore,
No, non sono un eccentrico, tr. it. di C. Boschi, EDT, Torino 1989.
105 G. Gould, Quando la radio diventa musica, 1971, in Id., No, non sono un eccentrico, cit.,
p. 72.
106 «Il Nord mi affascinava ed era logico che facessi un documentario su questo soggetto» (ivi,
p. 73). Del resto, è noto il carattere piuttosto solitario di Glenn Gould, come emerge chiaramente
dalla biografia romanzata scritta da Michel Schneider: Glenn Gould, Piano Solo, tr. it. di S. Toffetti,
Einaudi, Torino 1991.

134
sono spesso impossibili, e il senso di isolamento diventa un motivo ricorrente. La
costruzione musicale è retta dalla presenza di un bordone continuo, su cui prendono
vita progressivamente i vari dialoghi e le varie voci che contestualizzano
l'ascoltatore all'interno della situazione. Nella prima composizione tale bordone è
rappresentato dal rumore del treno, che rappresenta il suono stesso dell'esperienza
del compositore: Gould attraversa le terre del nord proprio in treno, nel 1962. Sul
finale della composizione l'intreccio del dialogo tra i personaggi lascia spazio alla
voce del compositore, che conclude il brano portando in primo piano l'elemento
della natura, celebrato nella sua purezza e nella sua potenza. E proprio questo
elemento permette di individuare una continuità con The Latecomers, in cui il suono
di bordone è rappresentato dal rumore continuo delle onde del mare, simbolo della
natura selvaggia in cui è immersa la vita di queste persone. Il tono dei dialoghi in
questa seconda composizione è decisamente più teatrale, più recitato, costruito
attraverso l'impiego di effetti sonori che, soprattutto all'inizio, conferiscono un
carattere piuttosto sinistro al brano.
Oltre alla presenza del bordone, l'elemento propriamente musicale è
caratterizzato dall'orchestrazione delle voci durante i dialoghi: l'intervento dei
personaggi non segue un criterio semantico o narrativo, ma viene piuttosto legato a
delle logiche armoniche che, come afferma lo stesso autore, riprendono le figure
tradizionali del contrappunto e della fuga. E' un fatto che emerge quasi casualmente
durante il lavoro compositivo: le esigenze radiofoniche impongono a Gould di
limitare la durata dei brani a dei tempi precisi, costringendolo a tagliare dal nastro
registrato dei pezzi di discorso.

A cinque settimane dalla data prevista, mi sono reso conto che ero assolutamente lontano
da quello che volevo e che dovevo riuscire ad ottenere: un'unità integrata in cui la
struttura, la trama delle parole stesse, permettesse di differenziare i personaggi e di creare
situazioni all'interno della forma documentaria. E' chiaro che non ci si poteva arrivare se
non con un enorme lavoro di montaggio, e così ho passato tre settimane a fare questo, pur
non avendo alcuna certezza sulla forma finale che avrebbe preso107.

Quello che si ottiene da questa operazione è una esperienza di ascolto che


riprende i caratteri del paesaggio sonoro quotidiano, in cui l'attenzione non può mai
soffermarsi su un unico elemento, ma è continuamente distratta dalla

107 G. Gould, Quando la radio diventa musica, cit., p. 73.

135
sovrapposizione di altri fattori. Nella costruzione documentaria la sovrapposizione
non è soltanto acustica, ma anche concettuale: il contenuto delle voci sembra
continuamente aprire nuovi orizzonti e nuovi scenari interpretativi all'interno dello
stesso paesaggio. Questo, nell'ottica di Gould, dovrebbe educare l'ascoltatore a non
riportare il suono udito all'interno di una logica meramente razionale e interpretativa,
ma anche primariamente estetica: «bisogna procedere in modo diverso, mantenendo
cioè tutti gli elementi in un flusso costante di combinazioni e di tensioni nervose,
evidentemente tali da essere presi dalla struttura senza avere mai la possibilità di
fermarsi»108.
Questa costruzione vede il suo culmine nell'ultima opera della trilogia, scritta
quasi un decennio dopo rispetto alle prime due. L'oggetto che viene posto al centro
dell'attenzione, in questo caso, consiste nella comunità mennonita che risiede presso
Winnipeg, nel Canada meridionale. Anche in questo caso il materiale sonora si basa
su numerose tracce registrate dal vivo durante il viaggio che Gould stesso fece in
queste zone, nel 1971109. Oltre alla presenza di voci umane, che rappresentano il dato
predominante sulla scena, sullo sfondo compaiono numerosi elementi legati al
paesaggio sonoro: canti e suoni religiosi, ma anche rumori di lavoro, e musica.
L'aspetto che viene continuamente ribadito e messo in primo piano è rappresentato
proprio dalla religiosità che accompagna la vita di questo gruppo protestante: lo
dimostra il primo suono che si sente nella composizione, quello delle campane, e lo
dimostra il continuo riferimento a cori religiosi durante lo sviluppo del brano. Nel
complesso, la struttura della composizione segue un andamento decisamente più
musicale rispetto alle precedenti: in più punti la musica accompagna direttamente le
parole, creando uno sfondo su cui si intrecciano i discorsi parlati. Anche in questo
caso l'orchestrazione delle voci non segue un criterio lineare, dando vita a situazioni
in cui le parole si sovrappongono e si rincorrono seguendo dei principi
primariamente estetici. L'immagine che emerge del paesaggio, a livello sonoro, è
una immagine serena, distesa, rassicurante, anche se i temi trattati nelle interviste
sono piuttosto complessi. Alla base c'è la percezione di una inevitabilità, da parte di

108 Ivi, p. 78.


109 Parte di questo materiale e di questa esperienza si può consultare online presso l'archivio
Glenn Gould all'interno del sito della National Library of Canada: http://www.collectionscanada.
gc.ca/glenngould/index-e.html.

136
una comunità regolata da usi e costumi immutati da secoli, di fare i conti con una
società ormai diventata cosmopolita e multiculturale. Questo crea una sorta di
isolamento volontario da parte del gruppo nei confronti del mondo esterno, dando
vita ad un senso di solitudine, che è l'elemento che stabilisce appunto una continuità
con le opere precedenti di Gould. All'interno della comunità, però, la forza della fede
costruisce un senso di appartenenza ben più marcato rispetto a moltissime situazioni
moderne, un atteggiamento di fiducia e di ottimismo verso il futuro, e un equilibrio
con l'elemento naturale che in molti casi, purtroppo, non si ritrova nelle società
attuali. E' certamente questa, in definitiva, l'impressione che Gould vuole
testimoniare e documentare all'ascoltatore. La peculiarità del mezzo attraverso cui il
messaggio viene trasmesso, ossia il mezzo esclusivamente acustico, permette ancora
una volta di notare come, da un lato, l'attenzione del compositore sia legata ad un
intento conservativo del materiale sonoro stesso: la ricchezza e la complessità
acustica dei paesaggi descritti non deve essere perduta. E come, dall'altro, questo
mezzo permetta di recuperare, anche nell'ambito della riproduzione, un rapporto
estremamente vivo e profondo tra i soggetti intervistati e l'ambiente circostante, da
cui si nota quanta parte del nostro rapporto con l'ambiente in generale sia affidato ad
elementi acustici.

6. Musica concreta, musica d'ambiente e soundscape composition

Il percorso compiuto attraverso la musica del Novecento ci ha portato ad un


passo da quella che è l'esperienza musicale che riguarda per eccellenza il paesaggio
sonoro: la soundscape composition. Si tratta, dal nostro punto di vista, di quello che
fin da subito si era imposto come il punto di arrivo obbligato della riflessione
musicale: tale formula nasce, infatti, all'interno dell'ambito stesso del World
Soundscape Project, in particolare grazie ai contributi di Barry Truax e di Hildegard
Westerkamp, e matura di pari passo alla presa di coscienza teorica verso i temi
dell'ecologia acustica e del paesaggio sonoro. Non si tratta più, quindi, di trovare
nella musica le tracce di una riflessione che possa avvicinarla al tema del paesaggio
sonoro, ma viceversa di ricercare nella teoria le esigenze da cui prende le mosse il

137
discorso propriamente musicale. I due percorsi procedono all'interno dello stesso
ambito di ricerca, dando vita ad una esperienza complessa, che deve essere
correttamente compresa proprio a partire dalla solidarietà che si instaura tra il
discorso teorico e quello artistico, tra la prospettiva filosofica e quella compositiva.
Dagli anni '80 ad oggi gli esperimenti compiuti in questa direzione sono certamente
molteplici, rendendo impossibile, oltre che probabilmente inutile, il tentativo di una
catalogazione esaustiva. Quello che cercheremo di fare emergere in questo
paragrafo, invece, sono le specificità di questo approccio compositivo, attraverso il
confronto con altri due modelli che per molti versi hanno rappresentato delle
anticipazioni per la soundscape composition, e che in molti casi sono ancora oggi
erroneamente confusi con questa: si tratta della musica concreta e della musica
d'ambiente.
L'esperienza musicale di Pierre Schaeffer, ossia di colui che è considerato in
modo indiscusso il fondatore della musica concreta, si colloca all'interno di un clima
estremamente vivace di sperimentazione e di ricerca, nella Francia degli anni
'60-'70, in cui la scena era dominata dalla figura di Pierre Boulez, e dagli
esperimenti da quest'ultimo condotti nell'ambito della musica elettronica. La
diffusione degli strumenti elettronici, e in particolare l'inizio dell'impiego del mezzo
informatico in ambito musicale110, sono in generale il punto di riferimento per tutte
le correnti dell'avanguardia europea di questi decenni111. Schaeffer inizia la sua
carriera come ingegnere presso la società radiotelevisiva francese (RTF): come per
molti altri compositori, la sua conoscenza della musica non si basa su una
educazione in senso tradizionale, ma parte da un interesse rivolto all'ambito del
suono in generale, che matura proprio sul campo lavorativo. Fin da giovane subisce
l'influenza degli scritti futuristi, nei quali trova sostegno al pensiero di una musica
che deve essere intesa come arte dell'organizzazione sonora in generale, piuttosto
che come tecnica della modulazione armonica. Il che lo porta ad avere un
atteggiamento piuttosto polemico verso le tendenze dominanti del suo tempo.
I principi di quella che verrà definita successivamente “musica concreta” sono

110 E' Max Mathews, nel 1957, ad inaugurare la strada per la produzione di sonorità complesse
attraverso un computer digitale.
111 Si vedano, per esempio, la scuola di Darmstadt e le ricerche di Stochkausen in area tedesca,
e le esperienze di Luciano Berio e di Luigi Nono in Italia.

138
formulati già nel 1952, in un articolo intitolato Vers une musique expérimentale112.
Come si intuisce fin dal titolo, il centro della questione è rappresentato dal tentativo
di elaborare una via autonoma e indipendente di ricerca, che possa diventare un vero
e proprio riferimento all'interno delle molteplici esperienze che in quegli anni
venivano etichettate con il temine piuttosto generico di musica “sperimentale”113, e
di conseguenza si pone il problema del rapporto con le altre forme dell'avanguardia
del tempo. Il punto di partenza consiste in un riconoscimento di inadeguatezza da
parte della visione musicale che caratterizza la propria contemporaneità.
Riconoscimento che procede secondo un duplice intento: da un lato, viene portata
avanti una critica verso l'elemento stesso su cui si fonda la costruzione musicale,
ossia il suono; dall'altro, si pone l'attenzione sullo statuto sociale e istituzionale della
musica, che viene identificato come obsoleto e non adeguato alle moderne esigenze.
Per quanto riguarda il suono, Schaeffer propone un vero e proprio elenco in cui
vengono messi in evidenza i limiti dell'approccio contemporaneo, in particolare a
causa dell'utilizzo del mezzo elettroacustico. In tale elenco compaiono praticamente
tutte le tecniche che caratterizzano la sperimentazione musicale del periodo: «1. La
produzione del suono per via elettronica non ha alcuna rilevanza musicale […]. 2.
L'utilizzo di strumenti preparati o esotici, che oggi si aggiunge alla classica modalità
di produzione del suono considerato musicale, non è di nessuna rilevanza […]. 3. Le
pratiche dell'accelerazione, decelerazione, sovrapposizione e montaggio del suono,
sono totalmente irrilevanti […]. 4. E non più rilevante è la costruzione di oggetti
sonori complessi ottenuti da suoni o rumori, attraverso la combinazione delle

112 P. Schaeffer, Vers une musique expérimentale, in «Revue Musicale», n. 236, 1957, pp. 11-
27. le traduzioni sono mie.Sull'esperienza relativa alle prime fasi dello sviluppo del pensiero e della
pratica musicale schaefferiana si veda anche: C. Palombini, Pierre Schaeffer, 1953: Towards an
Experimental Music, in «Music & Letters», Vol. 74, n. 4, Nov. 1993, pp.542-557.
113 Questo termine ha una storia particolare, in ambito musicale, essendo stato un concetto per
molti versi amato, ma anche spesso ripudiato e rifiutato, dagli stessi compositori. Questo
probabilmente perché, fino alla metà degli anni '70, con il termine si tendeva ad identificare in
generale tutta la produzione non convenzionale, arrivando di conseguenza a sovrapporre ricerche e
ambiti tematici tra loro notevolmente differenti. Il concetto di “musica sperimentale”, del resto, non è
l'unico, e le espressioni che nascono proprio in questi anni per cercare di comprendere tali esperienze
sono molteplici: si veda per esempio il concetto di “nuova musica”. Il che aumenta la confusione
attorno a questo ambito. Il fenomeno, nel complesso, esprime chiaramente una difficoltà da parte del
pensiero musicologico a relazionarsi con una forma musicale assolutamente inedita e non conforme a
quelle precedenti. La chiarificazione concettuale del termine comincia con un'opera fondamentale,
scritta nel 1974: Michael Nymann, Musica sperimentale, tr. it. di S. Zonca e G. Carlotti, Shake
Edizioni, Milano 2011.

139
tecniche sopra citate»114. Allo stesso tempo è la struttura sociale della musica, il suo
“modo”, a dover essere cambiato: la crescita dei suoni impiegati e delle pratiche
compositive utilizzate introduce il pubblico in una nuova dimensione dell'ascolto,
che non può più essere spiegata soltanto attraverso i tradizionali principi estetici, ma
deve estendersi ad un livello di indagine che consideri l'intera natura psichica e
fisiologica del soggetto interessato. Il che implica la necessità di adeguare a queste
nuove esigenze l'intero impianto formale della musica: a cominciare dall'idea stessa
del concerto e della performance, alle modalità della notazione, come è già stato
avvertito da altri compositori, e alle pratiche esecutive.
La spinta verso questo rinnovamento è quello che porta Schaeffer a fondare, nei
primi anni '50, il GRMC115: un centro attorno a cui si raduneranno diversi nomi di
primo piano del panorama musicale, tra cui Abraham Moles. La riflessione che si
cerca di promuovere all'interno di questo gruppo viene sintetizzata bene nell'ultimo
paragrafo dello scritto: «1. Tutto ricade nella questione relativa alla nozione di
strumento. Il suono non può più essere caratterizzato attraverso un approccio
causale, ma deve essere caratterizzato esclusivamente dall'effetto che esso produce.
Deve essere considerato in se stesso […]. 2. Allo stesso modo, è necessario
ammettere che la nozione di nota musicale, così strettamente legata alla
considerazione causale dello strumento, non è più sufficiente per rendere conto
dell'oggetto sonoro […]. 3. La classica relazione tra il compositore e la performance,
tra l'autore e l'esecutore, è cambiata in modo radicale […]. 4. Ed è cambiato anche il
contatto con il pubblico. Il concerto non è più uno spettacolo, o almeno non nel
senso in cui lo si considera tradizionalmente. Le nuove condizioni dell'ascolto
introducono nuovi elementi, allo stesso tempo fisici e fisiologici, individuali e
sociali»116. E' evidente che, dal nostro punto di vista, il punto centrale è
rappresentato da quest'ultima osservazione, per cui la musica si allontana dal suo
ambito tradizionale, per diventare uno strumento in grado di intercettare una
dimensione molto più generale della nostra esperienza. Di fronte alla tendenza che
caratterizza nel complesso la musica sperimentale, che si isola sempre più dal
mondo in cui vive e a cui pretende di comunicare, maturando di conseguenza il
114 P. Schaeffer, Vers une musique expérimentale, cit., p. 11.
115 Groupe de Recherche de Musique Concrète.
116 P. Schaeffer, Vers une musique expérimentale, cit., pp. 26-27.

140
proprio discorso artistico alla luce di una forma musicale standardizzata e di una
società non realmente conosciuta ma soltanto prefigurata, la proposta “concreta”
portata avanti da Schaeffer parte proprio dal riconoscimento dell'inevitabilità di
questo confronto: «perché affermiamo che questa ricerca implica una esperienza di
gruppo? […] La ragione profonda della nostra affermazione risiede nella natura
stessa del musicale, che comporta, come tutti i linguaggi, una dimensione
fondamentalmente sociale»117.
Il recupero di tale dimensione ruota attorno al concetto di “oggetto sonoro”, che
si impone come il punto di riferimento centrale della costruzione musicale concreta.
All'analisi di tale concetto Schaeffer dedica gran parte della propria opera principale,
intitolata, appunto, Traité des objets musicaux. Il nocciolo argomentativo, per quello
che ci interessa, consiste nel mettere in luce la natura comunicativa e sociale di tale
elemento: l'oggetto sonoro non è un suono costruito in laboratorio attraverso
processi noti solo al compositore, e per la maggior parte delle volte lontano
dall'esperienza quotidiana di chi lo ascolta, ma è recuperato all'interno del mondo
reale, nella dimensione propria della nostra vita. Il che permette di configurare per
l'ascoltatore una esperienza che non è soltanto estetica, ma in primo luogo simbolica
e sentimentale: egli infatti è coinvolto dal materiale sonoro stesso, nel quale rivive
una esperienza di vita, prima che un atto di ascolto musicale. Ancora una volta tale
convinzione viene argomentata in riferimento alla mancanza che contraddistingue la
visione dei compositori moderni:

la musica sperimentale non cerca in nessun modo di indagare il fenomeno psico-acustico,


e in particolare non si interessa agli stimoli elementari. Essa parte dal riconoscimento
sperimentale dell'esistenza della musica come un tipo di comunicazione pratica universale,
di cui noi siamo obbligati ad accettare le strutture e gli oggetti propri nel modo in cui
vengono utilizzati. Dall'altro lato (cioè nella considerazione concreta della musica), […]
sembra invece possibile stabilire delle relazioni sperimentali tra il segnale fisico (il suono,
compreso attraverso dei parametri acustici) e l'oggetto musicale (percepito attraverso
un'intenzione di ascolto musicale): questa deve essere la proposta specifica di una
sperimentazione musicale118.

Un concetto cardine all'interno della costruzione schaefferiana diventa quindi


quello di “acusmatica”, che rappresenta la volontaria separazione tra il suono e la
sorgente che lo produce119. Una tale impostazione permette di allontanarsi dalla
117 P. Schaeffer, Traité des objets musicaux, cit., p. 477.
118 Ivi, p. 168.
119 Il termine viene coniato proprio da Scaheffer, che lo riprende dall'esperienza di Pitagora: si

141
tradizionale interpretazione del suono che caratterizza l'approccio scientifico
dell'acustica, per porre al centro della riflessione la domanda: “che cosa sento
esattamente?”. La considerazione meramente oggettiva legata all'aspetto quantitativo
del suono viene quindi estesa verso il recupero dell'elemento soggettivo relativo alla
particolare reazione individuale suscitata da uno stimolo esterno. Il che porta,
parallelamente, a far nascere nell'ascoltatore una nuova coscienza verso il suono
stesso: la sua considerazione, al di fuori di ogni riferimento visivo, permette di
cogliere sfumature impossibili da notare nell'esperienza quotidiana. E' proprio qui,
dunque, che la nozione di “acusmatica” si salda con il concetto di “oggetto sonoro”,
venendo a costituire la base concettuale su cui si sviluppa il discorso schaefferiano:
«se c'è un oggetto sonoro, è soltanto fintantoché c'è un ascolto cieco rispetto
all'effetto sonoro e al contenuto: l'oggetto sonoro non si rivela mai chiaramente se
non nell'esperienza acusmatica»120.
Se da un lato tale conclusione rappresenta un punto di arrivo estremamente
coerente con il complesso dell'argomentazione, è chiaro che, dall'altra parte, la
forma di ascolto che in questo modo si configura non può che caratterizzarsi come
una esperienza decontestualizzata e inevitabilmente isolata. Il che sembra in qualche
modo non solo previsto dall'autore, ma anche ricercato, visto che proprio su questo
procedimento si basa l'atto compositivo: compito del compositore è infatti quello di
estrarre l'elemento sonoro dal suo contesto, per metterne in luce la componente
propriamente artistica e musicale. La composizione si configura quindi come una
successione di oggetti sonori, che, al di fuori dell'ambito in cui normalmente siamo
abituati a collocarli, possono liberare tutta la loro espressività, diventando un fatto
propriamente musicale. Il mezzo di tale trasformazione è, ovviamente, in primo
luogo, proprio il compositore: un individuo che, educato all'ascolto, riesce a svelare
quella potenzialità del suono che nell'esperienza quotidiana non viene generalmente
percepita. E in secondo luogo è il registratore, che permette, grazie allo sviluppo
della ricerca scientifica, una sempre maggiore fedeltà con il dato originario121.

dice infatti che i discepoli del filosofo di Samo (chiamati akousmatikoi) fossero soliti ascoltare le
lezioni da dietro una tenda, in modo che fosse udibile solo la voce del maestro, e non la sua figura
fisica. Questo, probabilmente, per favorire la concentrazione sul messaggio dell'insegnamento,
evitando possibili distrazioni.
120 P. Schaeffer, Traité des objets musicaux, cit., p. 95.
121 Come afferma lo stesso Schaeffer: «tutto quello che dobbiamo fare è schiacciare il bottone

142
Il risultato finale si situa quindi, in definitiva, in una dimensione di
«ambiguità»122, relativa al fatto che da un lato la comprensione dell'oggetto sonoro
non sembra possibile al di fuori della dimensione soggettiva, ossia la struttura
percettiva umana (non solo fisica, ma anche culturale, simbolica, sociale), che
caratterizza la musica in quanto fenomeno comunicativo. Ma dall'altro la coerenza
organizzativa del materiale e della sua scelta non può diventare una questione
casuale, dovendo invece rispondere a dei criteri in un certo senso oggettivi. Quello
che in più punti Schaeffer si preoccupa di indagare, e che costituisce un motivo
estremamente delicato nella propria costruzione, è rappresentato dall'insieme di
regole in grado di trasformare l' “oggetto sonoro” in “oggetto musicale”. Ecco
perché, dopo una minuziosa analisi del concetto di oggetto sonoro che occupa circa
500 pagine, nella sua opera principale l'autore sostiene che «il grosso resta ancora da
fare, cioè passare dall'oggetto sonoro all'oggetto musicale, o, se si vuole,
determinare, all'interno degli oggetti sonori adatti, quale sia il repertorio dei segni
musicali possibili»123. Quello che si vuole assolutamente escludere, in definitiva, è
rappresentato dal fatto che il paesaggio sonoro, senza alcuna mediazione, possa
avere un valore in sé. Non basta l'opera musicale che sia rivolta al repertorio sonoro
che caratterizza il paesaggio: per poter essere effettivamente un'opera artistica essa
deve manifestare una forma e una coerenza che non è presente nel paesaggio sonoro
di tutti i giorni.
Tale punto di vista emerge molto chiaramente dal resoconto di un incontro
tenuto presso la Societé francaise de Philosophie nel 1971, tra i cui altri partecipanti
spiccano i nomi di Jean Wahl e Maurice de Gandillac. L'oggetto della discussione è
il pensiero musicale di John Cage, contro il quale Schaeffer si accanisce a più

del registratore» (ivi, p. 98). Questo diventa il nuovo atto compositivo: un atto che racchiude il suo
senso e la sua profondità nel processo di sensibilizzazione all'ascolto, nella crescita all'interno
dell'individuo di un senso di partecipazione all'esperienza del mondo acustico nel suo complesso. E
che perde invece ogni specificità nel momento stesso della sua esecuzione: il bottone di un
registratore può essere azionato da chiunque. Non volendo, per ragioni di coerenza argomentativa,
considerare nello specifico esempi musicali appartenenti all'area della musica concreta, rimandiamo
alla raccolta pubblicata nel 1998 dall'etichetta Emf, intitolata L'Oeuvre Musicale, che contiene
numerosi esempi della produzione propriamente musicale di Schaeffer. Oltre a questo, è giusto
osservare che la sfida artistica con la quale il compositore si è cimentato è stata quella di recuperare
l'impianto “concreto” anche all'interno di altre forme espressive, come la radio e il cinema in
particolare.
122 E' lo stesso Schaeffer ad affermarlo: Traité des objets musicaux, cit., p. 97.
123 Ivi, p. 475.

143
riprese124: il centro della sua argomentazione consiste nel rilevare che non si possono
«prendere per sinonimi (i concetti di) musica sperimentale e musica indeterminata.
[…] L'indeterminazione è il contrario dell'esperienza, di tutte le aspirazioni
scientifiche dell'epoca»125. Quello che non si concepisce è la possibilità che la
tessitura musicale possa essere sorretta da un argomento casuale: la struttura di
un'opera, affinché questa possa essere detta tale, deve sempre fondarsi sulla
relazione tra un soggetto e un oggetto. Schaeffer è, a questo proposito,
assolutamente categorico: «finché c'è una relazione soggetto-oggetto, si sa di cosa si
parla; quando non c'è più, non si sa più di cosa si parla» 126. Si comprende come il
terreno del contendere tenda a spostarsi verso un piano più propriamente filosofico
che musicale, del quale questo risulta solo come l'inevitabile conseguenza. Il
problema, io credo, è che Cage avrebbe assentito con l'osservazione di Schaeffer:
quello che è qui in questione non è tanto il preteso rapporto soggetto-oggetto che si
deve instaurare tra l'opera e il suo ascoltatore, quanto piuttosto quello che si debba
intendere con il termine di “oggetto”. L' “oggetto” che viene trasmesso
all'ascoltatore attraverso la costruzione indeterminata di molte opere cageane, per
Schaeffer, semplicemente, non è un oggetto. Per essere tale, invece, esso deve
contenere una forma precisa, che renda possibile un passaggio di significato:
l'oggetto musicale deve strutturarsi come un messaggio.
Il che implica, evidentemente, la necessità di una mediazione da parte di un
altro soggetto, che organizzi una forma e conferisca una struttura ad una massa
sonora altrimenti insignificante. Quello che è in gioco, alla fine, nella visione della
musica presentata da Schaeffer, è la trasmissione di un messaggio da un soggetto ad
un altro: l'oggetto musicale non può che emergere attraverso l'azione di un soggetto,
e non può che diventare, di conseguenza, il veicolo per la comunicazione di questa
stessa azione. Si può notare, quindi, come la costruzione musicale qui proposta vada
infine incontro alla stessa impasse in cui si era imbattuta la costruzione teorica di

124 L'esperienza è riportata con il titolo Musica e an-archia, in AA. VV., John Cage, cit., pp.
113-147. Non sempre le critiche mosse da Schaeffer nei confronti di Cage assumono dei toni
propriamente diplomatici: «mi permetta di aggiungere che non prendo affatto seriamente la
paccottiglia di Cage, tutti i suoi bluff, le partiture come quelle che lei ha messo in circolazione: è
pappa per gatti, è buttare alla gente un certo numero di richiami per gonzi, perché nessuno sa leggere
le partiture. Non c'è niente su quelle partiture, sono delle bestialità» (ivi, p. 132).
125 Ibidem.
126 Ibidem.

144
Abraham Moles: impasse dovuta ancora una volta all'ambiguità di una nozione
come quella di oggetto sonoro, che da un lato pretende di diventare il cardine
attraverso cui recuperare la dimensione soggettiva del nostro ascolto, collocandosi
proprio all'interno del contesto reale della nostra esperienza quotidiana; ma
dall'altro, per poter essere effettivamente comunicante, deve diventare “oggetto
musicale”, e quindi imporsi sull'ascoltatore come un singolo punto di vista, una
singola interpretazione della realtà. Quello che nella nostra ottica occorre rilevare,
per concludere, consiste nel rapporto che una tale proposta intrattiene con il concetto
di paesaggio sonoro. L'elemento acustico, all'interno della sua manifestazione
effettiva, nel suo contesto reale, viene considerato come privo di valore e di
significato. O meglio, contenente un valore “in potenza”, che aspetta l'azione del
compositore per essere individuato liberato. Il recupero del materiale sonoro
all'interno del paesaggio, quindi, si risolve in un fatto puramente estetico, finalizzato
alla costruzione di un discorso propriamente musicale: è soltanto in questa forma
che il suono entra a far parte di un linguaggio, permettendo così la trasmissione di
un messaggio. Quello che la riflessione successiva criticherà a questo approccio si
racchiude proprio in questo punto: nel fatto, cioè, di non aver considerato il
paesaggio sonoro come un elemento in grado di comunicare con il soggetto, ma
soltanto come un mezzo attraverso cui costruire un significato.
Sul versante opposto rispetto alla teoria della musica concreta, che riprende il
suono dal paesaggio per trasformarlo in una esperienza musicale, sta l'approccio
della cosiddetta musica d'ambiente, che si fonda sul recupero del suono musicale,
costruito in modo da diventare una esperienza paesaggistica, o, più precisamente,
appunto, d'ambiente. Questa corrente compositiva conosce una fortuna
estremamente ampia nel corso dell'ultimo trentennio del Novecento, arrivando a
coinvolgere artisti di assoluto primo piano, non solo all'interno di quella che
generalmente viene definita la tradizione “colta”, ma anche in senso decisamente più
popolare. Autori come Aphex Twin, Laurie Anderson, David Sylvian, Pink Floyd,
Tangerine Dream, Miles Davis, per citarne solo alcuni, sono stati tutti in qualche
modo considerati legati a questa corrente compositiva, in modo da averne anticipato
per alcuni versi i caratteri, o da esserne stati influenzati direttamente. Il che permette
di fare emergere fin da subito una certa difficoltà, relativa al tentativo di trovare una

145
coerenza e una continuità all'interno di questa produzione, proveniente dai contesti
più disparati. Ciò che oggi si comprende sotto l'etichetta di “ambient music”
riguarda un complesso di esperienze estremamente ampio, e i vari termini che sono
stati coniati con lo scopo di classificarle, come spesso succede, hanno probabilmente
aumentato la confusione, piuttosto che favorito una chiarificazione 127. Per ovviare a
questa difficoltà la nostra considerazione sarà riferita in particolare alla teoria e al
modello pratico descritto da colui che è considerato in modo inconfutabile il
fondatore di tale approccio musicale: Brian Eno.
Il punto di partenza della riflessione recupera una lezione che, dal nostro punto
di vista, risulta ormai comune a molti autori: l'idea di una musica che deve
allontanarsi dalle rigide formule e dalle complesse pratiche compositive che la
caratterizzano, per rivolgersi di nuovo, con un atteggiamento realmente di ricerca e
di apertura, al mondo del suono in se stesso, per indagarlo e conoscerlo nella sua
peculiarità. Con la disponibilità a lasciarsi suggestionare e influenzare da esso, nel
tentativo di stabilire con esso un contatto, che rappresenterebbe il tratto più profondo
e più originario di qualsiasi esperienza musicale. E' quello che Brian Eno esprime
attraverso il concetto di “musica per non-musicisti”:

le cose che ci incuriosivano erano così esplicitamente antiaccademiche da essere


dichiaratamente scritte per non-musicisti. (I compositori d'avanguardia) si preoccupavano
più del come le cose venivano fatte – quali processi erano impiegati per comporle ed
eseguirle – che del suono risultante. Era una musica, dicevamo allora, di processo anziché
di prodotto128.

L'atteggiamento critico che contraddistingue un certo ambito della riflessione


musicale, rivolto soprattutto a quella che viene considerata l'espressione “ufficiale”
dell'avanguardia negli anni '60 e '70, è un argomento piuttosto noto, che accomuna
Eno a molti degli autori che abbiamo fin qui considerato. Quello che invece
caratterizza queste pagine è l'alternativa che viene proposta a fronte del problema:
l'inversione di tendenza sta nella possibilità delle nuove forme di sperimentazione
127 Si pensi, ad esempio, a generi musicali come “ambient house”, “lounge music”, “chill-out
music”, “downtempo”, “dark ambient”, “drone music”, “lowercase”, “psybient”, “space music”.
128 B. Eno, Prefazione, in M. Nymann, La musica sperimentale, cit., p. 8. Il concetto di
“musica per non-musicisti” è stato sempre al centro della riflessione di Brian Eno: uno dei suoi primi
scritti, datato verosimilmente attorno ai primi anni '70, si intitolava proprio Musica per non-musicisti.
Di tale scritto furono pubblicate soltanto 25 copie da parte dello stesso autore, e probabilmente
nessuna di queste è stata conservata fino ai giorni nostri. Di questo fatto si parla in una delle poche
monografie dedicate interamente a Eno: E. Tamm, Brian Eno. His Music and the Vertical Colour of
Sound, Da Capo Press, Cambridge Massachussett 1995.

146
musicale di trovare una relazione con il pubblico. Il che vuol dire, in primo luogo,
riuscire a farsi ascoltare: tale affermazione si struttura sulla base del riconoscimento
di una tendenza che lega sempre più strettamente le possibilità dell'evoluzione
musicale alle logiche del mercato e alle politiche delle grandi etichette
discografiche. La soluzione va quindi ricercata, innanzitutto, a livello di produzione
musicale: è necessario dare vita a nuove case discografiche, a nuove etichette che
possano produrre materiale rivolto ad un pubblico diverso, e allo stesso tempo
offrire ai compositori nuovi mezzi attraverso cui favorire un nuovo approccio
musicale129.
Tale proposta non rimane soltanto una indicazione sulla carta, ma si trasforma
in una realtà di fatto nel 1975, quando Eno fonda la Obscure Records, e
successivamente quando questa viene trasformata, nel 1978, nella etichetta
indipendente Ambient. L'operazione si fonda sulla convinzione che «un nuovo
pubblico di massa stava silenziosamente iniziando ad aggregarsi intorno a un nuovo
modo di ascoltare. Queste persone volevano qualcosa di diverso dalle vecchie
categorie di rock, jazz e classica»130. Ed è proprio questa novità che Eno è pronto a
soddisfare: «volevano una musica di spazio, di carattere, di atmosfera – e la
trovavano nelle colonne sonore dei film, nelle registrazioni ambientali, nei
movimenti lenti, nei lavori meditativi provenienti da altre culture, e in alcune delle
opere dei compositori “sperimentali”»131.
Il risultato di questa convinzione coincide con il primo disco prodotto
dell'etichetta “Ambient”: Music for Airport, del 1978132. La copertina interna

129 Tale intuizione è certamente molto interessante, e meriterebbe un approfondimento ben


maggiore rispetto a quello che possiamo proporre in questa sede: lo sfondo entro il quale
l'affermazione si colloca è infatti relativo ad una considerazione socio-politica-economica della
musica, che non è l'oggetto della nostra riflessione. Si osserva, però, che attraverso lo sviluppo delle
etichette indipendenti si sono potute affermare molte tra le più valide esperienze musicali del
Novecento: si veda per esempio, oltre all'etichetta fondata da Brian Eno, a cui è strettamente legata la
diffusione della musica ambient, l'esperienza della Real World Record, ad opera di Peter Gabriel, e,
oltreoceano, della celeberrima Motown.
130 B. Eno, Prefazione, cit., p. 9.
131 Ibidem.
132 La nostra considerazione della musica di Brian Eno sarà condotta attraverso il riferimento a
questo unico disco, che rappresenta il punto di inizio “ufficiale” della pratica compositiva che stiamo
considerando. Sembra però giusto osservare che Eno è stato uno dei compositori più prolifici in
assoluto, almeno per quello che riguarda il panorama pop del Novecento: come arrangiatore e
produttore ha “creato” fenomeni musicali del calibro degli U2, David Bowie, Talking Heads. Come
musicista ha fondato i Roxy Music, e ha collaborato con moltissimi artisti, tra cui Robert Frip, David
Byrne, John Cale; mentre all'interno della sua produzione solista, che riguarda direttamente il genere

147
dell'album riportava quello che ancora oggi è considerato il punto di inizio teorico, e
il vero e proprio manifesto, della musica d'ambiente. Il primo scoglio con cui Eno
deve fare i conti è rappresentato dalla cosiddetta Muzak, ossia una forma musicale
che nasce negli anni '50, con l'intento dichiarato di non avere come priorità quella di
essere ascoltata, quanto piuttosto il fatto di caratterizzare il contesto nel quale si
colloca attraverso toni vivaci, allegri e positivi 133. Il senso di una tale operazione si
può trovare prevalentemente, per non dire esclusivamente, in ragioni di tipo
commerciale, ben lontane dall'ambito musicale. Anzi: la costruzione musicale deve
essere volutamente semplificata e ridotta a motivi molto orecchiabili, quando non
basata sulla riproposizione di brani già noti “sotto mentite spoglie”. La povertà
musicale di tale impresa, ma anche forse soprattutto la bassa considerazione sia etica
che estetica di cui viene investita la musica nel suo complesso, porta Brian Eno,
coerentemente con tutte le altre opinioni che abbiamo incontrato nel corso della
nostra ricerca, ad affermare che «comprensibilmente, ciò ha condotto la maggior
parte degli ascoltatori (e dei compositori) dotati di discernimento, ad abbandonare
decisamente l'idea che la musica ambientale possa essere degna d'attenzione»134.
E' chiaro di conseguenza che il discorso debba prendere una direzione in netta
controtendenza rispetto a quella descritta, cosa che avviene attraverso il recupero di
un elemento che, per quello che ci interessa, rappresenta un punto decisivo su cui
soffermarci: il contesto. La musica d'ambiente, secondo la formulazione di Brian
Eno, non si muove verso l'idea di una standardizzazione del paesaggio sulla base di
valori precostituiti, ma nell'ottica di una valorizzazione specifica di ogni paesaggio,
attraverso la considerazione dei valori che questo incarna, e dei tratti fisici che lo
distinguono.

Mentre le ditte produttrici di musica in scatola oggi in attività procedono sulla base di una
regolarizzazione degli ambienti, uniformando le specifiche idiosincrasie acustiche e
atmosferiche dei diversi luoghi, la Musica d'Ambiente si preoccupa di valorizzarne i
caratteri. Mentre la musica di sottofondo convenzionale è costruita strappando ogni senso
di dubbio e di incertezza (e pertanto ogni genuino interesse), la Musica d'Ambiente

ambient, ricordiamo Discreet Music e Evening Star (1975), Music for films (1978), Thursday
Afternoon (1985), Generative Music (1996), The Equatorial Stars (2004), e l'ultimo, in ordine di
apparizione, Small Craft on a Milk Sea (2010).
133 Esperienza con la quale ci siamo già imbattuti nel corso dello scritto: si vedano le note 33 e
116 del primo capitolo.
134 B. Eno, Musica d'ambiente, in Id., Futuri impensabili, tr. it. P. Bertrando e G. Bezzato,
Giunti, Firenze 1997, p. 323.

148
mantiene queste qualità. E mentre quella intende “vivacizzare” l'ambiente introducendovi
stimoli, questa si propone di introdurre calma e spazio per pensare135.

In primo luogo viene quindi messa in evidenza la diversità del fine che la
musica persegue: l'interazione che si cerca con l'individuo procede secondo dei
criteri molto più “umani”, finalizzati a valorizzare una dimensione serena e
armonica del vivere, e a favorire l'attenzione verso il luogo in cui ci si trova. Ma
quello che principalmente distingue questo approccio da quello della Muzak,
consiste nella tipologia di ascolto sulla quale l'opera viene costruita. La musica
d'ambiente non nasce con l'intenzione di essere ascoltata, né di non esserlo, quanto
piuttosto con l'obiettivo di instaurare una relazione con un luogo e con le persone
che lo abitano. Il messaggio musicale in quest'ottica non deve imporsi, trasmettendo
i propri valori, ma non deve nemmeno passare del tutto inosservato: deve in un certo
senso “accompagnare” l'attività umana in un luogo e in un tempo preciso,
suggerendo delle alternative, aprendo dei nuovi orizzonti. E' un'esperienza che
nasce, quindi, sia con l'obiettivo di essere ascoltata, sia di non esserlo: «la Musica
d'Ambiente deve essere in grado di accettare molti livelli di attenzione nell'ascolto,
senza forzarne uno in particolare; deve essere possibile ignorarla quanto
interessarsene»136. E' quello che Eno esprime attraverso il bel concetto di «umore
sonoro», che viene indicato come la nozione da cui trae origine tutta la riflessione:
quello che si cerca, in fin dei conti, è un suono che possa conferire una connotazione
espressiva ad un determinato contesto fisico, attraverso la quale definirne meglio le
peculiarità, e provare ad orientarne l'attività futura.
Tutta la costruzione teorica proposta da Eno, considerata dal nostro punto di
vista, sembra però andare incontro ad una brusca battuta d'arresto nel momento
stesso della produzione di quello che rappresenta il veicolo della sua diffusione: il
disco. Se fino a questo punto, infatti, la proposta era sorretta dall'idea di un
riferimento specifico al luogo per il quale la musica è pensata, dall'altra parte la
possibilità che questa possa essere trasportata e ricontestualizzata, attraverso il
supporto magnetico, in qualsiasi ambiente, sembra creare un netto conflitto. Music
for Airport, per poter essere considerata veramente come una “musica per
aeroporto”, dovrebbe essere esperita proprio in questo contesto specifico. Il che vuol
135 Ibidem.
136 Ibidem.

149
dire, da un punto di vista strettamente sonoro: non solo all'interno di una struttura
caratterizzata da un particolare profilo acustico, ma anche in presenza di quello che è
il rumore “reale” del luogo stesso. Una esperienza musicale che voglia tenere in
conto del luogo particolare per la quale è pensata, non può essere costruita al di fuori
di quella che è la sua particolarità acustica. La costruzione teorica qui proposta,
quindi, sembra avvicinarsi più ad una idea di “musica a programma”, costruita cioè
attraverso il recupero dell'elemento paesaggistico in quanto suggestione, veicolo
funzionale ad una trasmissione di sentimento, che ad una reale esperienza di
“musica di paesaggio”.
Tutta la difficoltà ruota attorno a quello che si vuole intendere con il termine
“ambiente”: la spiegazione dell'autore tende, probabilmente in modo consapevole, a
non volersi risolvere in una interpretazione precisa, ma a rimanere in bilico tra una
considerazione di questo concetto in quanto luogo fisico preciso, che possa diventare
in qualche modo lo scenario concreto dell'azione; e dall'altra parte in quanto spazio
mentale, interno alla nostra indole e alla nostra sfera del sentimento: «un ambiente si
definisce come un'atmosfera o un'influenza che circonda: una tinteggiatura» 137. Si
tratta dunque alla fine di una “colorazione musicale”, che risulta interna alla musica
stessa: lo dimostra il fatto che si possa pensare di «creare con l'elettronica spazi
acustici virtuali (che non esistono in natura)» 138. Se da un lato questa considerazione
apre la via ad una nuova esperienza relativa all'utilizzo del mezzo elettronico, in
senso creativo e produttivo, arrivando ad indicare il lavoro sul suono come una
attività che deve coinvolgere primariamente l'artista e il compositore, e non soltanto
il tecnico139, dall'altro, secondo il nostro punto di vista, allontana dall'idea di una
musica effettivamente di paesaggio.
Si dovrebbe capire, a questo punto, dove abbia portato il percorso compiuto

137 Ibidem.
138 Ivi, p. 320.
139 E' una affermazione che si legge nel testo stesso di Brian Eno: «c'era però ancora l'assunto
che lavorare sul suono fosse un lavoro meramente “tecnico” – riservato a tecnici e produttori – in
contrasto con il lavoro realmente creativo: scrivere canzoni e suonare strumenti» (ivi, p. 321). Una
tale dichiarazione si contestualizza certamente più nell'ambito della musica popolare, in cui
effettivamente la distinzione tra “musicista” e “tecnico” era ancora decisamente marcata, che
all'interno della tradizione “colta”, in cui, come abbiamo ampiamente potuto mettere in luce nel corso
della nostra ricerca, il ruolo creativo e costruttivo insito nella considerazione del suono in sé, e di
conseguenza nei mezzi tecnici della sua produzione, è un fatto assodato, rispetto allo scritto di Eno,
da almeno 30 anni.

150
attraverso la musica concreta e la musica d'ambiente: alla possibilità di inquadrare in
modo più efficace i caratteri peculiari di quella che è la “soundscape composition”.
Detto in poche parole, e correndo consapevolmente il rischio di una eccessiva
semplificazione, questa esperienza si colloca a metà strada tra i due approcci
considerati, riprendendo e portando a compimento le intuizioni che li caratterizzano.
Da un lato si recupera, infatti, l'idea di una musica “contestualizzata”, che viene
pensata e che vede la propria maturazione all'interno di un luogo preciso, dal cui
ascolto risulta assolutamente inseparabile. Dall'altro, è questo stesso assunto che
determina l'impossibilità di sviluppare il discorso musicale indipendentemente da
quei suoni che caratterizzano il contesto per il quale è creato.
Il punto di partenza concettuale è contenuto in un testo che rappresenta la tesi di
dottorato di Hildegard Westerkamp, scritto nel 1988, in cui il problema che viene
indagato è quello del rapporto tra la musica e il paesaggio sonoro 140. In particolare
l'assunto centrale si rivolge alla considerazione del fatto che quella che l'autrice
definisce “musica-come-ambiente” (music-as-environment), ossia quella
componente musicale a cui la nostra vita di tutti i giorni sembra non potersi
sottrarre, che ci rincorre all'interno del paesaggio sonoro urbano, nei supermercati,
nei negozi, nei locali, nelle metropolitane, nelle stazioni, nei centri commerciali, ha
una grossa influenza sul nostro stile di vita. Non solo dal momento che diventa
giorno dopo giorno una presenza più costante e più concreta nella nostra esperienza,
ma soprattutto perché condiziona fortemente il modello del nostro ascolto: tale
suono viene infatti istintivamente vissuto come un suono dominante, dotato di
autorità, sbilanciando di conseguenza il rapporto con il contesto sonoro nel quale ci
troviamo. In un certo senso, questa esperienza ci zittisce, rendendoci ascoltatori
soltanto passivi di una forma sonora che ci viene imposta 141. Al contrario, come
140 Il titolo del lavoro è: Listening and Soundmaking: a Study of Music-as Environment, ed è
disponibile online presso il sito della Simon Fraser University, all'indirizzo
http://summit.sfu.ca/search/apachesolr_search/westerkamp.
141 E' evidente che questo concetto di music-as-environment, di cui viene messo in luce
primariamente il carattere legato alla dimensione commerciale e consumista, non ha nulla a che
vedere con quello di ambient music, ma si struttura ancora una volta in relazione ad esperienze quali,
in primo luogo, la Muzak. Non solo questa, per la verità: un interessante capitolo dello scritto è
dedicato, per esempio, al di fuori di ogni retorica convenzionale, all'analisi della musica del Natale.
Tale oggetto, nella sua generalità, è stato il centro di altri diversi studi filosofici e sociologici: si
vedano per esempio gli scritti di Adorno (A social critique of radio music, in «The Kenyon Review»,
Summer/Fall 1996, Academic Research Library, pp. 229-235; On the social situation of music, e On
the fetish-character in music, in T. W. Adorno, Essays on Music, tr. ingl. di S. Gillespie, University of

151
insegna la lezione schaferiana, il paesaggio sonoro si caratterizza in primo luogo
come un elemento relazionale: quando si struttura un equilibrio tra noi e l'ambiente
nel quale ci troviamo, sentiamo un “desiderio” di partecipare ad esso. Non solo dal
momento che vogliamo ascoltare e comprenderne il significato attraverso il suono, il
linguaggio, la musica specifica che lo contraddistingue, ma anche perché sentiamo
di conseguenza la necessità di partecipare ad esso, producendo il nostro proprio
suono: alzando o abbassando il tono della voce, limitando le parole, cantando.
E' questo duplice riconoscimento teorico, che ha a che fare da una parte con il
senso di autorità e di potere che circonda il suono nella sua forma musicale, e
dall'altra con la necessità di un rapporto partecipativo e relazionale attraverso cui
stabilire una armonica convivenza tra l'uomo e il suo ambiente, che costituisce
l'impianto su cui si fonda la soundscape composition.

Come, ci potremmo chiedere, è possibile ritrovare una vitalità interiore, cioè, un desiderio
di ascoltare e di produrre il suono – un desiderio di creare – in una società in cui la
rumorosità e il carattere schizofonico del paesaggio sonoro tendono a privarci di questa
stessa vitalità, di questo stesso desiderio di usare le nostre orecchie e la nostra voce in
modo attivo e in modo creativo?142

L'elemento centrale in cui risiede questa vitalità, come si può osservare per
esempio nel caso dei bambini, è da riconoscere nella capacità e nella possibilità di
vivere il tempo assoluto del presente, senza preoccupazioni relative al passato o al
futuro. Questa incondizionata “presenza”, che non è solo un fatto fisico, ma anche, e
forse soprattutto, mentale, apre la via ad un contatto reale ed im-mediato con il
mondo che ci circonda. E' questo che diventa quindi il primo obiettivo della
costruzione musicale: favorire la creazione di un contesto in cui compositore e
ascoltatore possano vivere una situazione “presente”. In modo da poter liberare
l'energia creativa insita negli individui, che spesso invece viene schiacciata e
soffocata dalla confusione dei paesaggi sonori moderni, e mostrare di conseguenza
la possibilità di una relazione diversa con il luogo e con il tempo nel suo complesso.
In questo modo più che mai, il momento del “concerto” diventa una esperienza
cruciale, in cui in gioco non è soltanto l'esperienza estetica, che anzi passa del tutto

California Press, Berkley and Los Angeles, 2002), e di Jacques Attali (Noise: The Political Economy
of Music, tr. ingl. di B. Massumi, University of Minnesota Press, Minneapolis 1985).
142 H. Westerkamp, Listening and Soundmaking, cit., p. 125. Traduzioni mie.

152
in secondo piano143, ma piuttosto un momento fondativo dell'esperienza sociale: «la
musica in questo modo funziona come una attività in grado di creare una
condivisione e una interazione sociale. Quando facciamo esperienza della musica in
questo modo riceviamo la conferma che la società è possibile. Una tale interazione
musicale/sociale può essere definita un rito completo»144.
Il riferimento al tema del rito schiude degli orizzonti molto ampi per la
riflessione, che non possono essere considerati estesamente in questa sede 145. Dal
nostro punto di vista, l'elemento essenziale è invece da individuare nel fatto che una
tale concezione dell'evento musicale, pur non rifiutando assolutamente, per la
propria costruzione, i mezzi e gli strumenti che offre la tecnica, si avvicina ben più
ad una visione arcaica e tribale della musica, che non alle più recenti esperienze
della ricerca “sperimentale”. E' una considerazione che avevamo già proposto in
riferimento alle teorie futuriste, e che potrebbe rappresentare un filo conduttore
all'interno di tutto il nostro recupero della musica novecentesca: l'avvicinamento al
concetto di rumore, e la sua progressiva considerazione nel discorso musicale, può
essere letto certamente come una generale esigenza di tornare ad una concezione più
originaria della disciplina. Lo sviluppo dell'estetica Settecentesca e Ottocentesca ha
portato, infatti, ad uno spostamento dell'attenzione dall'esperienza propriamente
sonora, fondata sul senso di partecipazione e di condivisione che è reso possibile dal
suono, dalla voce, dal canto146, ad una progressiva considerazione dell' “opera” in se
stessa, in quanto costruzione del singolo, basata su delle formule e delle regole
precise. Il che ha prodotto, da un lato, quell'aura di intoccabilità attorno alla figura
del compositore, considerato come il testimone solitario di una verità superiore;
dall'altro, la sempre più spiccata autoreferenzialità dell'opera d'arte, che pretende di

143 Nel descrivere le esperienze musicali che caratterizzano alcune tribù africane, basate
proprio su una considerazione della musica che si avvicina molto a quella da lei teorizzata, Hildegard
Westerkamp sostiene che «qui il processo creativo che si sviluppa all'interno del contesto sociale è
più importante del prodotto finale o “opera d'arte”. Si verifica una “partecipazione ad un gioco
collettivo” e “una nuova ricerca verso una nuova, immediata comunicazione» (ivi, p. 128).
144 Ivi, p. 126.
145 Uno di questi possibili orizzonti è l'avvicinamento del campo musicale alle modalità di un
certo tipo di esperienza teatrale: si veda a questo proposito S. Dalla Palma, Il teatro e gli orizzonti del
sacro, Vita e Pensiero, Milano 2001, e V. Turner, Dal rito al teatro, tr. it. di P. Capriolo, il Mulino,
Bologna 2001. Oppure all'ambito della liturgia: P. Sequeri, L'estro di Dio, Glossa Edizioni, Milano
2000.
146 Elemento che si può ritrovare, oltre che in molte altre esperienze musicali, nella pratica a
noi culturalmente molto vicina del canto gregoriano, come dimostra per esempio il tema dello jubilus.

153
non essere valutata secondo nessun altro criterio che non siano le regole stesse delle
sue geometrie interne e del suo impianto strutturale. E' del tutto comprensibile, di
conseguenza, che questo approccio sia alla base del progressivo isolamento del
fenomeno musicale dalla partecipazione e dal gusto del pubblico, e della società nel
suo complesso. Non solo per la crescita della complessità delle tecniche
compositive, che necessitano un gusto sempre più addestrato e una competenza
sempre più specifica per poter essere comprese, ma anche, e forse soprattutto,
perché tale riferimento tende a non rientrare più nell'interesse degli stessi
compositori.
L'inversione di tendenza si basa ancora una volta, secondo la prospettiva
inaugurata da Barry Truax, sul carattere “contestuale” e “presenziale” dell'esperienza
musicale: la fruizione e l'ascolto devono essere considerati un fatto fisico, corporale,
prima che estetico e intellettuale. Quello che si impone come obiettivo primario è il
tentativo di costruire delle condizioni che possano permettere di stabilire un contatto
umano tra i soggetti coinvolti, e di conseguenza un senso di partecipazione attivo e
creativo tra questi e lo spazio in cui si trovano. Torna a essere centrale, quindi, il
concetto di contesto, attraverso il quale viene reso possibile l'atto di
“riconoscimento” tra il compositore e l'ascoltatore: non si tratta solo di una
conoscenza fisica, momentanea, basata sul fatto che entrambi presenziano lo stesso
luogo, ma è soprattutto una questione culturale ad essere implicata. Ogni suono deve
essere considerato, all'interno della costruzione musicale, non in quanto elemento
astratto, da utilizzare in chiave puramente estetica, ma valutato e compreso nella sua
valenza locale e particolare. Il contatto tra gli individui coinvolti è un contatto
profondo, che richiama una storia comune da parte degli ascoltatori, e apre la
possibilità di un coinvolgimento che eccede di gran lunga quello del concerto
tradizionale.

Nella soundscape composition, è precisamente il contesto ambientale che è conservato,


tenuto in considerazione e sfruttato dal compositore. L'esperienza passata dell'ascoltatore,
le sue associazioni, e i modelli della sua percezione del paesaggio sonoro sono invocati dal
compositore e in questo modo integrati nella strategia compositiva. […] Se la soundscape
composition ha successo produce come effetto il cambiamento della consapevolezza
dell'ascoltatore e del suo atteggiamento verso il paesaggio sonoro, e in questo modo
cambia la sua relazione con questo. Il fine della composizione è quindi sociale e politico,
oltre che artistico147.
147 B. Truax, Acoustic Communication, cit., p. 207.

154
La costruzione teorica che regge l'impianto musicale, come si vede, è molto
ampia. Il che comporta l'inevitabile rischio che possa arrivare ad eccedere, in un
certo senso, rispetto a quello che, alla fine, deve pur sempre essere un risultato: si
voglia chiamare spettacolo, concerto, o, secondo il termine più generale, evento
musicale. Che sia fatta conformemente a dei criteri estetici, o che sia l'esito di una
riflessione sociale e politica, il compito del compositore deve prevedere, in ultima
istanza, una scelta stilistica. Fino a quando il compositore non arriverà a coincidere
con l'anima stessa della comunità, ruolo che forse potrebbe incarnare lo sciamano
presso alcune tribù, o fino a quando il discorso effettivamente musicale non
comincerà ad essere riconosciuto nel ritmo spontaneo della vita dell'uomo, di
qualsiasi uomo, che trova una armonia con la voce della terra su cui vive, e dell'aria
che respira, fino a quel momento la prospettiva indicata dal compositore non potrà
che essere il prodotto di una mediazione: tra il singolo individuo e la società, tra la
direzione dell'evoluzione e quella della tradizione, tra il momento dell'inizio
dell'opera e quello dell'inizio del senso. Se non si vuole accettare di ridurre l'atto
compositivo ad un atto di mera “educazione all'ascolto”, cosa che, appunto, non si
vuole, questa ambivalenza non può essere superata. Il che, io penso, rappresenta una
ambivalenza che sta alla base non solo di qualsiasi atteggiamento musicale, ma
anche di qualsiasi formula ed esperienza artistica nel suo complesso. Si tratta, del
resto, di una questione che è pienamente avvertita, e pienamente accettata, all'interno
della prospettiva musicale che stiamo considerando: il compositore, in fin dei conti,
è un musicista, non un redentore. La difficoltà nel lavoro dell'artista sta proprio,
allora, in questo sforzo di doversi relazionare con un compito che deve
continuamente trovare un equilibrio tra una richiesta che non può che eccedere da un
lato (diventare uno sciamano), o dall'altro (diventare un educatore). L'orizzonte
entro il quale la sua azione si colloca è, invece, quello dell'arte: che suggerisce delle
alternative, che accoglie dei bisogni, e che stimola delle riflessioni.
Sulla base di queste considerazioni, le esperienze che si potrebbero considerare,
al giorno d'oggi, sono moltissime. Gli sviluppi che l'impianto della soundscape
composition ha conosciuto sono i più disparati, estendendosi dai concerti per
campane ai tentativi di sonorizzazione degli spazi urbani, dalle sinfonie portuali agli

155
esperimenti più arditi nelle gallerie autostradali 148. Dopo avere segnalato i numerosi
riferimenti attraverso cui comprendere e confrontarsi con un tale approccio
musicale, scegliamo volontariamente di non considerare nello specifico nessuna di
queste composizioni: non certamente per il riconoscimento di una mancanza di
valore in esse, quanto per la consapevolezza dell'inutilità di parlare di esperienze
che, come unico scopo, richiedono proprio di essere vissute.

148 Una buona panoramica di questi esperimenti è contenuta in R. Belgiojoso, Costruire con i
suoni, cit. Per avere una esperienza diretta di quello in cui consiste questo approccio musicale,
rimandiamo all'ampio materiale contenuto nella sitografia relativa alla sezione “Soundscape
Composition”.

156
APPENDICE.
LA CONSIDERAZIONE DEL RUMORE
NELLA LEGISLATURA ITALIANA.

Come abbiamo più volte messo in luce nel corso della nostra riflessione, uno
degli approcci che risulta più contestato e criticato, da parte di coloro che si
occupano di paesaggio sonoro, è quello legislativo. La ragione di questa critica,
detto in estrema sintesi, si fonda sul fatto che un tale atteggiamento sarebbe la
conseguenza di una considerazione esclusivamente quantitativa del rumore, che
procede senza la minima attenzione alle componenti soggettive, culturali e sociali
del suono, così fondamentali per una comprensione effettiva del nostro rapporto con
questo elemento. Quello che contraddistingue l'intervento legislativo, in effetti, è, in
modo piuttosto generale, l'individuazione di livelli massimi di rumore che non
possono essere superati. Il che viene stabilito del tutto indipendentemente dal tipo di
suono coinvolto e dal significato culturale e simbolico che lo lega al proprio
contesto. La conseguenza che in questo modo viene inevitabilmente favorita, è la
frammentazione dell'interpretazione del fenomeno sonoro all'interno di criteri
irrimediabilmente soggettivi, e del tutto indipendenti dal significato profondo,
storico, che tale elemento intrattiene con la propria comunità. E, dall'altro lato, il
progressivo allontanamento degli individui coinvolti da un senso di partecipazione
creativa con il paesaggio sonoro in generale. Il suono perde così ogni identità e ogni
connotazione positiva, e la considerazione complessiva di tale elemento si limita per
lo più al riconoscimento di un disturbo o di un fastidio che vorremmo evitare.
Tutta la critica si basa su una riflessione teorica che, per quanto lungimirante,
proviene dagli anni '70. Non sono tanto le coordinate concettuali relative ai temi del
paesaggio sonoro e dell'ecologia acustica a dover essere “aggiornate”, quanto
piuttosto il riferimento ad un apparato legislativo che, pur tra mille difficoltà e
spesso in netto ritardo rispetto agli eventi, ha subito una evoluzione. La crescita

157
della complessità dei paesaggi sonori urbani, la trasformazione dei luoghi di lavoro,
e lo sviluppo delle zone insediative, hanno necessitato a più riprese un adeguamento
della prospettiva legislativa, che non può più, di conseguenza, essere inquadrata
attraverso una considerazione generale e priva di riferimenti, ma deve essere
compresa e valutata nella sua specificità. Sono queste considerazioni a motivare, in
questa sede, l'analisi della situazione italiana1.
Per introdurre l'argomento vorremmo scegliere una via probabilmente inusuale,
ma nondimeno significativa, attraverso cui mettere in luce un problema di fondo
relativo alla questione. La pubblicità online di una nota ditta nell'ambito degli
isolamenti acustici, basa la propria persuasività sul fatto che:

quando ci si trova a confronto con vicini eccessivamente rumorosi le possibili strade,


lecite, percorribili sono due: una azione legale, oppure una corretta protezione acustica.
Nella prima ipotesi purtroppo ci si scontrerebbe con la burocrazia e con la legge italiana
che, nelle cause riguardanti due parti civili, è decisamente lenta o carente. Un ulteriore
problema sarebbe inoltre quello della difficoltà nel poter dimostrare le proprie ragioni
davanti ad un giudice di pace, insieme ai lunghissimi tempi tecnici necessari per una
udienza2.

La conclusione del discorso porta, evidentemente, a sostenere che non valga la


pena intraprendere questa prima strada, quanto attrezzarsi adeguatamente per la
seconda, della quale vengono forniti i dettagli. Curiosamente il link che rimanda a
tale pubblicità compare in molte delle pagine in cui è possibile consultare gli articoli
del codice civile e penale inerenti al tema dell'inquinamento acustico. Al di là del
carattere narrativo di questa vicenda, risulta significativo prendere atto della
generale sfiducia che caratterizza l'atteggiamento del cittadino nei confronti delle
istituzioni: nella maggior parte dei casi, infatti, l'individuo, di fronte a un problema
acustico, non si affida alla via dell'azione legale o giuridica, ma cerca piuttosto di

1 Vorremmo rilevare, fin da subito, che la considerazione legislativa del tema dell'inquinamento
acustico e del rumore si sviluppa in relazione ad una triplice prospettiva. La prima area di interesse ha
a che fare con il problema dell'esposizione al rumore nei luoghi di lavoro, e si basa su un approccio
prevalentemente medico-fisiologico al mondo sonoro; la seconda riguarda la questione
dell'isolamento acustico degli edifici, ossia quello che oggi si definisce, attraverso un termine
piuttosto ambiguo, “comfort acustico”; mentre un terzo approccio prende in esame direttamente la
questione dell'acustica ambientale. E' evidente che la nostra considerazione del problema sarà
orientata alla comprensione di questa terza area concettuale, eventualmente a scapito delle altre due.
Tutti i decreti che tratteremo sono reperibili online senza alcuna difficoltà. Rimandiamo alla
Bibliografia per un elenco completo della normativa interessata.
2 http://www.stsisolamenti.com/faq_casa.html?gclid=CI6uyb-XmK4CFcGDDgodWGiBJw. Ci
siamo permessi di correggere, nel testo citato, i grossolani errori sintattici e grammaticali presenti
nell'originale.

158
“cavarsela da solo”, anche a costo di spese notevoli (come dimostra, appunto, la
pubblicità in questione). Il che favorisce, almeno in relazione al tema che stiamo
considerando, la creazione di un vero e proprio circolo vizioso: la mancanza di
denunce determina la difficoltà, da parte delle istituzioni, di riconoscere gli elementi
sonori più o meno rilevanti per la comunità, le leggi si caratterizzano di conseguenza
in modo molto generale e approssimativo, il che porta il cittadino ad aumentare la
propria sfiducia nei loro confronti, e quindi a non affidarsi a queste in caso di
problema.
Il riconoscimento di questo fatto porta a tenere, sullo sfondo della nostra
riflessione, la consapevolezza secondo cui una corretta costruzione teorica della
legge non è detto che basti a risolvere la questione: quello che in primo luogo
andrebbe favorito, infatti, è il senso di fiducia da parte del cittadino nei confronti di
essa. Si capisce quindi come il problema necessiti un intervento di ampio raggio, che
oltrepassa i limiti del nostro discorso, avendo a che fare con la forma
dell'organizzazione sociale nel suo complesso. Restando all'interno dei confini della
nostra riflessione, invece, vorremmo porre l'attenzione su un carattere che rende il
suono, proprio per sua natura, più difficile di altri elementi da inquadrare all'interno
di un discorso giuridico o penale: ossia il fatto che esso non lascia testimonianze, se
non in termini di impressioni soggettive, come tali sempre opinabili e sempre
particolari. Un intervento efficace, quindi, in termini molto generali, dovrebbe porsi
fin da subito come obiettivo quello di essere presente, attuale, di sapersi relazionare
con una realtà che si manifesta sempre in un preciso tempo e in un preciso luogo. Il
che potrebbe voler dire, per esempio, la costituzione di commissioni di tecnici e di
esperti che possano intervenire a livello locale, comprendendo la specificità del
problema, e che possano misurare il proprio intervento in riferimento ad una
partecipazione sociale che dovrebbero contribuire a stimolare3. La prospettiva
3 Con queste poche osservazioni si pretende di avere fornito un inquadramento generale al
problema, e non certo, evidentemente, di averlo risolto. E' però utile ribadire che, come il nostro
lavoro dovrebbe avere contribuito a dimostrare, una più attenta considerazione del rumore e un
cambiamento relativo al tradizionale approccio in materia di ecologia acustica (che sia tentato per via
istituzionale, artistica, filosofica, o legislativa), non può che prendere le mosse all'interno di una
prospettiva locale e particolare del problema. Solo un tale intervento specifico e mirato, infatti,
permetterebbe di portare avanti quelli che sono i tre principi fondamentali su cui fondare un nuovo
approccio virtuoso: educazione e sensibilizzazione all'ascolto rivolta ai cittadini, riconoscimento del
valore e del significato particolare del suono all'interno della comunità, garanzia di efficacia da parte
di un sistema di controllo, che possa relazionarsi con il suono nel momento stesso della sua

159
legale, come vedremo, non sembra andare propriamente in questa direzione.
La prima considerazione “moderna” dei problemi relativi al fenomeno
dell'inquinamento acustico, in Italia, si trova all'interno dei codici civile e penale. Si
tratta, per la verità, di un'area di interesse piuttosto marginale: gli articoli in merito
sono decisamente limitati, come numero, e presentano delle prospettive alquanto
generali. Nello specifico, tale argomento viene trattato nell'articolo 659 del Codice
Penale, e negli articoli 844 e 2087 del Codice Civile. Nessuno dei tre è mai stato
abrogato, e la loro validità deve essere di conseguenza considerata inalterata, a
partire dalla data della loro promulgazione, fino ai giorni nostri. Il che dovrebbe
bastare a dimostrare, anche ad una prima analisi, che difficilmente tali articoli
dovrebbero poter rappresentare dei modelli efficaci e applicabili all'interno dei nostri
paesaggi sonori contemporanei, dato che l'entrata in vigore del Codice Penale risale
al 1930, e quella del Codice Civile al 1942. Nel più antico dei due codici,
coerentemente con l'intento di fondo che lo costituisce, il rumore viene considerato
esclusivamente in quanto possibile elemento di «disturbo» della quiete pubblica, ed
è quindi messo in relazione alle sanzioni attraverso cui saranno puniti i trasgressori.
Quello che colpisce è l'assoluta arbitrarietà che caratterizza i termini in questione:
concetti come “schiamazzi”, “rumore”, “strepiti di animali”, “strumenti sonori o di
segnalazione acustica” vengono utilizzati come se, per il solo fatto di essere
nominati, possano rimandare a qualcosa di immediatamente compreso e condiviso
da tutti.
Un tale atteggiamento si ritrova negli stessi termini negli articoli interessati del
Codice Civile: in particolare l'Articolo 844 individua nel concetto di «normale
tollerabilità» il termine attorno al quale costruire la soluzione del problema. Il testo
recita: «il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di
calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal
fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla
condizione dei luoghi»4. Come si vede, il contesto è quello relativo alla proprietà di
un fondo, e alle conseguenti possibilità, da parte del proprietario, di interagire con lo
spazio circostante. Dal nostro punto di vista risulta interessante notare come tali

manifestazione.
4 Codice civile, art. 844.

160
formulazioni rimangono legate ad una duplice considerazione del fenomeno sonoro:
da un lato si cerca infatti di costruire un apparato in grado di rendere il più possibile
oggettiva la valutazione del problema (il riferimento ad ammende e a conseguenze
penali precise, l'attribuzione di responsabilità nei confronti del proprietario),
dall'altro il metro del giudizio rimane legato ad un riferimento primariamente
soggettivo (la normale tollerabilità, il disturbo, il rumore), che sembra rimandare ad
una forma di sapere condiviso, avente a che fare con i tratti particolari e specifici di
una comunità data. Tale ambivalenza sembra essere l'esito di una impostazione, per
la verità, non del tutto scorretta: da un lato si costruisce, infatti, una struttura che
possa conferire al giudice, o a chi per lui, il potere di condannare il colpevole,
dall'altro si rimette la sentenza a criteri particolari, da definire in base alla situazione
specifica, e al contesto in cui si manifesta il problema. Quello che a questo punto
resterebbe da definire, è proprio la natura di questo “giudice”, o di questo “chi per
lui”, che non voglia essere la personificazione di un potere estraneo e imposto
dall'alto sulla comunità, ma che si caratterizzi come una figura in grado di compiere
quella mediazione necessaria tra una giustizia locale, che non può non considerare
l'apparato delle regole non scritte e delle abitudini consolidate su cui si fonda la vita
di una comunità, e le formule di una giustizia “ufficiale”, costruite attorno a principi
(possibilmente) inconfutabili. L'evoluzione del discorso giuridico quindi, a partire da
questo punto, può scegliere una duplice direzione: rafforzare una prospettiva
centralizzata, cercando di eliminare ogni possibile elemento particolare, e ancorando
di conseguenza la discussione a parametri assoluti, che possano essere giudicati in
maniera incontrovertibile da qualsiasi arbitro esterno. Oppure favorire il potere
locale, attraverso misure che possano permettere la comprensione specifica del
fenomeno del rumore, dando vita ad apparati che, sulla base di un quadro di
riferimento comune, possano intervenire in una situazione e in un contesto
particolare.
La direzione verso cui si incammina il percorso legislativo, aprendo di
conseguenza la strada alle numerose critiche che abbiamo più volte considerato, è
quella rappresentata dalla prima prospettiva. Anzi: quello che occorre in primo luogo
notare, è che, per almeno 50 anni, il problema viene del tutto ignorato. Per vedere
una legge scritta in tema di inquinamento acustico, infatti, bisogna aspettare il 1991,

161
quando il primo Marzo viene promulgato un decreto da parte della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, che si pone come obiettivo quello di fissare i “Limiti massimi
di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno” 5. Si tratta
di un decreto che per la prima volta tenta di prendere in considerazione il problema
del paesaggio sonoro e dell'inquinamento acustico, il che viene fatto perseguendo
una triplice finalità: in primo luogo si costruisce una precisa definizione semantica
dei termini utilizzati, secondariamente si propongono i criteri di quella che viene
definita la “zonizzazione acustica” del territorio, e infine si stabiliscono i parametri
veri e propri attraverso cui ritenere un rumore sanzionabile o meno. Per quel che
concerne le definizioni, dal nostro punto di vista risulta interessante rilevare come
l'ambivalenza che caratterizzava l'approccio presentato nei Codici non si sia in
nessun modo risolta. Il che emerge chiaramente, per esempio, dalla spiegazione di
quello che si dovrebbe intendere con il termine “rumore”: «qualunque emissione
sonora che provochi sull'uomo effetti indesiderati, disturbanti o dannosi o che
determini un qualsiasi deterioramento qualitativo dell'ambiente»6.
Il concetto di “zonizzazione acustica” si basa sull'idea di una divisione, appunto,
in “zone”, del territorio, in relazione al particolare utilizzo a cui questo è destinato. Il
compito è affidato agli enti comunali, e deve essere svolto conformemente ad una
tabella, allegata al decreto, che identifica sei possibili “classi” di appartenenza: aree
particolarmente protette, aree destinate ad uso prevalentemente residenziale, aree di
tipo misto, aree di intensa attività umana, aree prevalentemente industriali, aree
esclusivamente industriali. Una volta compiuta questa individuazione, si tratta di
stabilire le modalità attraverso cui poter considerare un suono come un elemento
“indesiderato, disturbante o dannoso”. La prima modalità fa riferimento ad un
criterio assoluto: all'interno di ogni area nessun suono può superare una determinata
soglia, che viene espressa attraverso un valore in decibel, e che varia in base al
periodo (diurno o notturno) della giornata. Tali soglie sono comprese all'interno di
un range che oscilla tra i 45 dB per le aree particolarmente protette durante il
periodo notturno, ai 70 dB consentiti, giorno e notte, all'interno delle aree
industriali7.
5 Si tratta, appunto, del titolo del D.P.C.M. del 1/3/1991.
6 D.P.C.M. 1 marzo 1991, Allegato A.
7 Si tenga sempre presente, a questo proposito, che il decibel è una unità di misura costruita su

162
A questo criterio meramente quantitativo se ne affianca un altro, applicabile
negli ambienti abitativi, detto “differenziale”. Il procedimento viene stabilito nel
tentativo di considerare l'impatto sonoro che una particolare sorgente produce
all'interno di un dato ambiente. Si tratta, in poche parole, di rilevare il livello sonoro
dell'ambiente in un certo intervallo di tempo (che corrisponde al valore del “rumore
residuo”), e quindi di confrontarlo con il valore misurato in un intervallo successivo,
in cui in tale ambiente è stata introdotta la sorgente in questione (da cui deriva il
valore del “rumore ambientale”). La differenza tra rumore ambientale e rumore
residuo determina quello che si chiama “livello differenziale del rumore”: tale
parametro, per essere accettabile, non deve superare i 5 dB durante il giorno, e i 3
dB nel periodo notturno.
Al di là del fatto che un tale criterio sembrerebbe favorire, dal nostro punto di
vista, un approccio piuttosto “elitario” al problema, dal momento che,
sostanzialmente, tutela i paesaggi sonori già equilibrati, senza garantire grosse
soluzioni per quelli inquinati, è interessante notare come, a partire da questo sistema,
si provi a proporre una valutazione qualitativa, e non solo quantitativa, del fenomeno
sonoro. Si tratta di una valutazione che procede a partire dal riconoscimento
oggettivo del fastidio che procurano al nostro udito alcuni fenomeni, come per
esempio le componenti impulsive e tonali di un suono. Quando ci si trova in
presenza di fenomeni di questo tipo, la misura del livello differenziale viene
penalizzata, attraverso l'aggiunta d'ufficio di una costante di 3 dB al valore del
rumore ambientale, in modo che il valore realmente percepito non possa superare un
livello differenziale effettivo di 2 dB. Al contrario, sempre attraverso lo stesso
procedimento, si tenta di garantire dei margini di concessione ai rumori a tempo
parziale8, sottraendo, invece che aggiungendo, gli stessi 3 dB al valore del rumore

una scala logaritmica, e non lineare. Questo comporta che l'aumento di 3 dB nella pressione sonora
sia corrispondente, dal nostro punto di vista percettivo, circa al raddoppiamento del rumore di un
ambiente nel suo complesso. Si capisce, quindi, come le soglie indicate rappresentino delle grandezze
molto diverse tra loro. Nel complesso, in ogni caso, io credo che tali valori si possano considerare
ragionevoli.
8 Di tutti e tre gli elementi vengono date delle definizioni precise: un suono con componenti
impulsive rappresenta una «emissione sonora nella quale siano chiaramente udibili eventi sonori di
durata inferiore a un secondo», un suono con componenti tonali corrisponde ad «una emissione
sonora all'interno della quale siano evidenziabili suoni corrispondenti ad un tono puro o contenuti
entro 1/3 di ottava», mentre un suono a tempo parziale si verifica «nel caso di persistenza del rumore
stesso per un tempo totale non superiore ad un'ora».

163
ambientale.
Si capisce come, nel complesso, il decreto tenti di colmare un vuoto esistente
nella legislazione italiana in riferimento al tema dell'inquinamento acustico, e già la
presa di coscienza di tale vuoto, seppur avvenuta con tempi non propriamente
tempestivi rispetto all'evoluzione dei fatti, rappresenta di per sé un dato degno di
nota. Il carattere generale, certamente più rivolto al tentativo di sistematizzare la
problematica da un punto di vista tecnico e oggettivo, piuttosto che di valutare delle
alternative alla luce di eventuali approfondimenti teorici, si scontra continuamente
con la natura di un oggetto che non si lascia ridurre, per sua stessa essenza, ad una
tale considerazione. Da un lato, quindi, tale decreto fissa un punto di partenza
necessario e imprescindibile per lo sviluppo di un discorso legislativo relativo alla
materia, ma dall'altro, per poter essere effettivamente efficace, richiederebbe una
messa a punto nel suo stesso approccio di fondo.
L'evoluzione di questo decreto è rappresentata dalla “Legge quadro
sull'inquinamento acustico”, del 26 Ottobre 1995. Le innovazioni che presenta
questo testo sono essenzialmente due: la prima riguarda la specificazione degli
organismi competenti e responsabili, pubblici e privati, dello sviluppo normativo e
della gestione esecutiva, la seconda è relativa al tentativo di impostare la questione
non solo sulla base di una presa di coscienza del problema, ma anche su un piano di
lunga durata che ne possa invertire la tendenza. A partire dalle definizioni
introduttive, però, si capisce che l'impostazione generale, dal nostro punto di vista,
non è cambiata. E' particolarmente emblematica, a questo proposito, la definizione
che viene proposta del termine “inquinamento acustico”:

l'introduzione di rumore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno tale da provocare


fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane, pericolo per la salute umana,
deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell'ambiente abitativo
o dell'ambiente esterno o tale da interferire con le legittime fruizioni degli ambienti
esterni9.

Ancora una volta troviamo l'accostamento di valori che richiederebbero un


approccio e una considerazione, nonché una modalità di intervento, totalmente
indipendenti: una cosa infatti è parlare del “pericolo per la salute umana”, che ha a
che fare con la struttura fisiologica del nostro organismo e del nostro apparato

9 Legge 26 Ottobre 1995, n. 447, Art.2, comma 1, lettera a.

164
uditivo, cioè con un dato che, per quanto dipendente dalle caratteristiche individuali,
risulta quantificabile e argomentabile attraverso dei criteri oggettivi. E una cosa è
invece parlare di “fastidio”, di “disturbo”, di “riposo” e di “attività umana”, tutti
termini rimandanti necessariamente ad una considerazione particolare e specifica
della comunità, e assolutamente non comprensibili se non in riferimento ad un
contesto concreto.
Il problema, dal nostro punto di vista, è particolarmente urgente, dal momento
che tale contraddizione non rimane confinata all'interno di un piano esclusivamente
teorico, come una imprecisione formale sulla carta, ma al contrario produce un
effetto in primo luogo pratico, come si può notare dalla considerazione degli articoli
7 e 8, in cui viene affrontato nello specifico il delicato tema relativo ai piani di
risanamento acustico. Tali piani si strutturano in relazione ad un duplice intento: da
un lato rivolgono l'attenzione alla situazione attuale, prendendo in considerazione la
tipologia e l'entità dei vari problemi, individuando i soggetti responsabili, le priorità
dell'intervento e gli eventuali costi ad esso connessi; dall'altro vorrebbero garantire
uno sviluppo armonico ed equilibrato per il futuro, vincolando sulla base di
parametri precisi qualsiasi progetto in corso d'opera. La competenza di tale
intervento viene lasciata, giustamente, nelle mani dei Comuni, in quanto organismi
in grado di comprendere e di interagire con la dimensione locale e specifica
dell'intervento. Il problema, però, è che non viene indicato, all'interno del Comune,
quale sia la figura responsabile di questo compito. Se questo non sembra creare
grossi problemi in relazione al primo ambito dell'intervento, le cose si complicano
notevolmente in relazione al secondo, ossia in relazione alla qualificazione del
progetto futuro. Se il Comune, infatti, diventa soltanto la sede dell'approvazione
istituzionale del progetto, è evidente che la misurazione tecnica e la valutazione
dell'impatto acustico debba ricadere sulle spalle di un tecnico esterno (di cui si
definiscono i requisiti nell'art. 2, comma 6, 7, 8, 9), che finisce ad incarnare in
maniera emblematica la contraddittorietà intrinseca alla costruzione teorica. E' infatti
giustamente ordinato che «i soggetti che effettuano i controlli devono essere diversi
da quelli che svolgono le attività sulle quali deve essere effettuato il controllo» 10. Ma
se questo fosse finalizzato ad evitare possibili conflitti di interesse, bisognerebbe

10 Ivi, Art. 2, comma 9.

165
perlomeno, altrettanto giustamente, rilevare che una situazione in cui i soggetti che
svolgono le attività sulle quali deve essere effettuato il controllo sono gli stessi che
pagano il tecnico per effettuare tale controllo, non sembra rappresentare una
condizione perfettamente serena, almeno dal punto di vista del tecnico, all'interno
della quale svolgere il proprio lavoro.
Ciò che ancora una volta non si vuole considerare, è la necessità di un apparato
in grado di mediare tra un approccio “assoluto” al fenomeno sonoro, che per
funzionare deve essere costruito su argomenti fisiologici e assolutamente generali, e
un approccio contestuale, localizzato e specifico, che cerchi di orientare i progetto
alla luce di una comprensione qualitativa e culturale delle sue esigenze. Il
compromesso a cui si arriva, in ambito legislativo, determina una seconda
conseguenza negativa, che ricade di nuovo su quella che è la figura del tecnico:
questo viene a caratterizzarsi, infatti, come il mero strumento locale di un apparato
che pretende di procedere in modo assolutamente autonomo. Il suo compito, di
conseguenza, diventa quello di un semplice esecutore, che rileva dei dati strumentali
e li paragona a dei valori già altrove stabiliti, senza che gli sia garantita ed affidata la
minima indipendenza e la minima possibilità di valutare il risultato sulla base di una
propria esperienza e di una propria considerazione specifica del problema. Egli
diventa, alla fine, un “tecnico”, appunto: nel significato filosoficamente più svilente
del termine11. Un tale approccio non solo, quindi, non favorisce lo sviluppo di un

11 In contrapposizione ad un significato “elevato” del tecnico e della tecnica, come quello, per
esempio, che si trova sulla Enciclopedia Treccani: «tecnica. L’insieme di attività pratiche basate su
norme acquisite empiricamente, sulla tradizione o sull’applicazione di conoscenze scientifiche, che
sono o sono state proprie di una data situazione sociale e produttiva, di una data epoca e zona
geografica; soggetta a evoluzione storica, la t., soprattutto nel mondo occidentale, è caratterizzata da
un insieme di relazioni reciproche, in base alle quali ha senso parlare di sistemi tecnici cui
corrispondono diversi livelli di capacità produttive e realizzative, destinate ai fini sociali che di volta
in volta si impongono» (http://www.treccani.it/enciclopedia/tecnica). Il tecnico, soprattutto in
un'epoca come la nostra, in cui la storia della tecnologia tende a segnare in modo sempre più marcato
le tappe della storia umana nel suo complesso, dovrebbe essere investito in primo luogo di questo
compito di responsabilità, diventando una figura chiave per la comprensione del rapporto tra gli
uomini, sempre più vincolata dallo strumento tecnico, e per una presa di coscienza da parte dell'uomo
verso i propri mezzi operativi nel complesso. La persona del tecnico, intesa in questo senso alto, ossia
non come un semplice “operatore”, ma come un conoscitore profondo del proprio strumento e della
modalità in cui questo si relaziona al proprio contesto sociale, diventa quindi il testimone di una
storia, di una tradizione che lega il proprio lavoro alla natura sociale del mezzo con il quale opera. Il
tecnico diventa allora un “artigiano”: padrone di un sapere che è anche un'arte, e la stessa tecnica un
mezzo attraverso cui costruire nuovi orizzonti, e creare nuove possibilità. Detto per inciso, tale
trasformazione rappresenta proprio un punto di approdo all'interno della costruzione musicale del
Novecento, come abbiamo cercato di mettere in luce nel capitolo 2.

166
apparato di specialisti che si relazioni con una dimensione sociale, e si prenda carico
di una riflessione che vada nell'interesse di un benessere condiviso, ma al contrario
ne tarpa propriamente le ali.
Gli anni successivi vedono una intensificazione delle operazioni verso la
regolamentazione dell'inquinamento acustico, che portano nel 1997 all'emanazione
di due decreti volti a stabilire la “Determinazione dei valore limite delle sorgenti
sonore”, e la “Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici” 12. Il primo
di questi consiste sostanzialmente in un approfondimento del modello contenuto nel
DPCM del 1 Marzo 1991: si riprende infatti la zonizzazione delle aree territoriali
proposta in quella sede, contestualizzandola attraverso dei nuovi parametri che
possano permettere una migliore valutazione complessiva dell'ambiente sonoro.
Innanzitutto distinguendo i limiti massimi di emissione delle fonti sonore, rispetto a
quelli generali di immissione13, e quindi affiancando a questi criteri i valori di
attenzione e quelli di qualità. Il valore di attenzione intende rilevare una situazione
sonora in grado di costituire un «potenziale rischio per la salute umana o per
l'ambiente»14, e viene stabilito in riferimento ai valori massimi di immissione
indicati per ogni zona territoriale, in base alla durata del suono e alla sua
disposizione all'interno della giornata. Il valore di qualità, invece, indica un obiettivo
«da conseguire nel breve, nel medio e nel lungo periodo con le tecnologie e le
metodiche di risanamento possibili»15. In generale, il livello di qualità si attesta 3 dB
al di sotto del livello massimo di immissione, ad eccezione delle aree a destinazione
esclusivamente industriale, in cui i due livelli coincidono. Come si capisce, l'intento
del decreto è quello di aprire la strada ad una inversione di tendenza verso la
riqualificazione dei paesaggi sonori, rendendo effettivi e oggettivamente
quantificabili dei parametri che, altrimenti, rimanevano validi soltanto sulla carta.
La conferma di questo irrigidimento legislativo proviene dal decreto del 5
12 Si tratta nel primo caso del DPCM del 14/11/1997, e nel secondo del DPCM del 5/12/1997.
13 Con valore di emissione si intende il livello di rumore prodotto da una singola sorgente
sonora, mentre il valore di immissione indica la quantità complessiva di rumore prodotto dalla totalità
delle fonti sonore all'interno di un dato ambiente.
14 Tale definizione era già stata formulata nella Legge quadro sull'inquinamento acustico del
1995: si veda Art. 2, comma 1, lettera g. E' l'indicazione di precisi limiti quantitativi, in relazione a
questo parametro, a caratterizzare questo nuovo decreto.
15 Legge quadro sull'inquinamento acustico del 26/10/1995, art. 2, comma 1, lettera h. Anche
in questo caso, come si vede, il presente decreto, più che introdurre la definizione del parametro, ne
fissa dei precisi riferimenti quantitativi.

167
dicembre 1997, che definisce i requisiti acustici passivi degli edifici. Lo scopo viene
perseguito attraverso la classificazione degli edifici in sette categorie, e la
conseguente indicazione dei valori acustici che devono contraddistinguere, in
relazione ad ogni classe, le componenti strutturali (partizioni orizzontali e verticali,
pareti esterne, interne, divisorie), e gli impianti tecnologici (ascensori, scarichi
idraulici, servizi igienici, riscaldamento, condizionamento ecc.). Tali valori sono
decisamente restrittivi e dimostrano, appunto, la volontà di portare avanti una
battaglia che si estenda a coinvolgere non solo gli specialisti, ma anche in primo
luogo i progettisti e i costruttori, e che possa quindi sensibilizzare l'intera società ad
una presa di coscienza del problema.
Nel complesso quindi i decreti del 1997 esprimono lo sforzo verso un impegno
e una attenzione decisamente maggiore rispetto al passato. Il primo punto su cui
viene fondata la possibilità di un cambiamento consiste nel recupero e nella messa a
punto di un criterio di classificazione del territorio, che renda coerente la particolare
destinazione urbanistica di ogni area con la qualità acustica del suo ambiente. In
secondo luogo vengono stabiliti dei limiti assoluti riconosciuti come imprescindibili
per la qualificazione di un ambiente in quanto acusticamente equilibrato. Se tali
punti di partenza costituiscono dei dati sicuramente positivi, dall'altra parte è
necessario rilevare in primo luogo una generale lentezza nei processi attuativi di tali
leggi16, e in secondo luogo, ancora una volta, il proseguimento della riflessione
all'interno di una assoluta mancanza di considerazione nei confronti degli aspetti
qualitativi, sociali e culturali del suono.
Dal 1997 ad oggi, lo sviluppo legislativo nel campo dell'inquinamento acustico
si è concentrato prevalentemente sulle specifiche tecniche attraverso cui attuare i
decreti già emanati (il che è stato in buona parte affidato alle Regioni), e attorno al
tema della sicurezza acustica nei luoghi di lavoro. Per quanto riguarda la nostra
particolare considerazione, bisogna rilevare che nessun emendamento ha modificato
l'impostazione di fondo che abbiamo provato a considerare. Nel 1998 vengono
emanati tre nuovi decreti: il primo è relativo alle tecniche di rilevamento e di
16 Soltanto per la classificazione da parte dei Comuni delle aree acustiche del territorio (nel
caso della Lombardia), si passa dal 1 Marzo 1991, in cui viene teorizzata la necessità di tale atto e
vengono descritte le caratteristiche delle varie zone acustiche, alla Deliberazione regionale n.
VII/9776 del 2 Luglio 2002, che approva i “criteri di dettaglio per la redazione della classificazione
acustica del territorio comunale”, presentati nella Legge Regionale del 10 Agosto 2001.

168
misurazione17, di cui vengono dettagliatamente illustrate le modalità di esecuzione
(allegato B), e le specifiche in riferimento al rumore stradale e ferroviario (allegato
C), nonché gli elementi necessari affinché il rapporto contenente i dati rilevati sia
valido. Il secondo riguarda i requisiti necessari al tecnico acustico, che vengono
definiti sempre da un punto di vista strettamente tecnico e professionale, e ben
lontano dal tentativo di riconsiderare una figura così fondamentale per il successo
del progetto nel suo complesso18. E il terzo, promulgato nel mese di Novembre, si
pone come obiettivo quello di regolare l'impatto acustico delle ferrovie e delle
metropolitane19.
Il decreto ministeriale del 29 Novembre 2000 stabilisce dei parametri per
interventi di contenimento e di abbattimento del rumore ad opera delle società e
degli enti gestori di servizi pubblici. A parte la possibilità di notare ancora una volta
come i tempi risultino assolutamente dilatati20, quello che sorprende è l'apparato
metodologico attraverso il quale si cerca di definire, per via del tutto teorica, e
attraverso una rigida costruzione matematica, che procede in modo assolutamente
indipendente da una possibile considerazione del punto di vista degli abitanti del
luogo, le aree a cui deve essere riconosciuta una priorità di intervento. Si noti che
questo comporta, oltre al rischio consistente di promuovere un'azione che non sia
recepita in modo positivo dalla popolazione locale, uno spreco cospicuo di mezzi e
di risorse: se il dialogo con gli abitanti del luogo potrebbe infatti permettere di
identificare senza margini di errore le sorgenti considerate più fastidiose, un
intervento basato sul modello proposto non potrebbe che cominciare da una
rilevazione sistematica (lunga e dispendiosa) dei parametri acustici di tutte le aree
interessate, dai quali derivare di conseguenza i fattori di rischio. Nella tabella 1
allegata al decreto sono riportati, in modo interessante, le varie tipologie possibili di
risanamento acustico, di cui si mette in evidenza il campo di impiego preferibile,
l'efficacia e il costo21.

17 Decreto del 16 Marzo 1998.


18 Si veda il DPCM del 31 Marzo 1998.
19 DPR 18 Novembre 1998, n. 459.
20 Il decreto indica, per infrastrutture di interesse regionale o locale, o di interesse nazionale o
interregionale, 18 mesi per l'individuazione del problema, 18 mesi per la formulazione di un piano
risolutivo, e 15 anni per la sua attuazione. Per aeroporti e altre infrastrutture, 5 anni per l'attuazione.
21 Da cui si può notare come tali interventi abbiano dei costi piuttosto elevati.

169
Vale la pena citare, per completare il quadro, il DPR del 30 Marzo 2004, n.142,
che stabilisce le “Disposizioni per il contenimento e la prevenzione
dell'inquinamento acustico derivante dal traffico veicolare”. Tali disposizioni sono
messe in relazione alla tipologia della strada, al particolare contesto che la circonda,
e alla fascia oraria interessata. Il regolamento delle strade urbane di quartiere e delle
strade locali è lasciato nelle mani dei Comuni, da gestire in base alla zonizzazione
acustica e alla relativa classe di appartenenza di ogni area. E' certamente
sorprendente che si sia dovuto aspettare il 2004 per un inquadramento sistematico
del fenomeno del traffico urbano sotto un profilo acustico 22, e che solo a partire da
tale data si sia cercata una soluzione in riferimento a dei valori e a dei limiti
quantitativi precisi. Ma così è.
Per concludere: la disamina dell'apparato legislativo italiano in materia di
inquinamento acustico ci ha portato a doverci confrontare con una situazione
generalmente in sintonia con quella che le critiche provenienti dall'ambito della
riflessione sul paesaggio sonoro ci avevano prefigurato. Il primo punto da rilevare
consiste, almeno fino a questo momento, nel ritardo complessivo che la riflessione
ha scontato rispetto all'affermarsi e all'evolvere degli eventi. Il che ha prodotto la
necessità di caratterizzare tale operazione come una continua rincorsa, volta alla
trasformazione, attraverso interventi estremamente impegnativi sia da un punto di
vista tecnico che economico, di una situazione sempre già pienamente in atto,
piuttosto che ad una anticipazione di una situazione in divenire, che possa porre le
basi per uno sviluppo equilibrato. Al giorno d'oggi la situazione è diversa: l'apparato
legislativo volto a regolamentare lo sviluppo futuro è piuttosto corposo. Ma,
sinceramente, la speranza che questo possa incidere realmente su un cambiamento di
prospettiva, è piuttosto remota. Tale cambiamento, infatti, dovrebbe essere il
prodotto di una trasformazione della modalità di considerazione sociale del

22 Si intende, appunto, sistematico: un atteggiamento volto a regolare le emissioni sonore dei


veicoli si può infatti già riscontrare nel decreto legislativo del 30 Aprile 1992, n. 285, e all'articolo 11,
comma 1 della Legge Quadro sull'Inquinamento Acustico possiamo leggere che «entro un anno dalla
data di entrata in vigore della presente legge, […] sono emanati regolamenti di esecuzione, distinti
per sorgente sonora relativamente alla disciplina dell'inquinamento acustico avente origine dal
traffico veicolare, ferroviario, marittimo, aereo». Nonostante questi riferimenti piuttosto vaghi, il
primo tentativo di inquadrare il problema attraverso dei precisi parametri quantitativi e, soprattutto,
attraverso un piano di prevenzione e di riqualificazione del fenomeno, è rappresentato appunto dal
decreto del 2004.

170
fenomeno sonoro nel suo complesso. L'approccio legislativo, per quanto costruito
intorno a dei buoni propositi, non ha saputo individuare, a nostro avviso, una figura
forte che si possa assumere la responsabilità di questa inversione di tendenza,
partendo dai tre punti che abbiamo indicato come necessari per il successo
dell'operazione: educazione, comprensione specifica del fenomeno, e garanzia di
controllo. L'unica figura che potrebbe in qualche modo svolgere questo compito, il
tecnico, allo stato attuale deve scontare una duplice “condanna”, proveniente da un
lato dal potere economico nelle mani del suo datore di lavoro, che risulta coincidere
con l'individuo al quale egli dovrebbe porre dei vincoli al progetto, dall'altro da un
apparato legislativo che ne limita l'intervento all'atto di una semplice rilevazione
quantitativa, escludendone a priori ogni possibile valutazione soggettiva e
esperienziale del problema.
Tale conseguenza è il prodotto dell'erronea convinzione secondo cui la
comprensione e la regolamentazione del mondo sonoro nel suo complesso possa
avvenire sulla base di parametri quantitativi assoluti, attraverso i quali dare una
forma precisa a concetti quali equilibrio sonoro, tutela dell'ambiente, inquinamento
acustico. Come al contrario insegna la riflessione sul paesaggio sonoro, una corretta
interpretazione del fenomeno non può che maturare alla luce di una comprensione
della relazione specifica che si instaura tra il suono, nella sua manifestazione sempre
inevitabilmente attuale e locale, e il soggetto che lo percepisce. Questa tensione di
fondo continua a riaffiorare all'interno del discorso legislativo, che a più riprese deve
fare riferimento a concetti (come quello di “rumore”, di “disturbo”) che non possono
che essere dati per scontati, o per meglio dire, affidati ad una sapienza storica e
locale, che rappresenta proprio l'elemento che si pretende di escludere attraverso
l'atto legislativo stesso. Se il discorso legislativo provasse a considerare un po' più
nello specifico la riflessione maturata intorno al concetto di paesaggio sonoro, io
credo, gli orizzonti e le possibilità che ad esso si potrebbero schiudere sarebbero
certamente notevoli.

171
BIBLIOGRAFIA

PRIMO CAPITOLO
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SECONDO CAPITOLO
TESTI SULLA MUSICA IN GENERALE
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Studi, Milano 2008.
AA.VV., Introduzione alla filosofia della musica, a c. di C. Migliaccio, Utet, Novara
2009.
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EDT, Torino 1996 (in particolare, in riferimento alle esperienze considerate, si
considerino i volumi: 6. BASSO, A., L'età di Bach e di Haendel; 7. PESTELLI,
G., L'età di Mozart e di Beethoven; 10. SALVETTI, G., La nascita del
Novecento; 11. VINAY, G., Il Novecento nell'Europa orientale e negli Stati
Uniti; 12. LANZA, A., Il secondo Novecento).
BENCIVELLI, S., Perché ci piace la musica, Sironi, Milano 2007.
BERIO, L., Intervista sulla musica, Laterza, Roma-Bari 2007.
BERTINETTO, A., Il pensiero dei suoni, Bruno Mondadori, Milano 2012.
COWELL, H., Essential Cowell, Selected Writings on Music, Dick Higgins,
Kingston NY 2002.
FROVA, A., Armonia celeste e dodecafonia, BUR, Milano 2006.
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- La voce, la musica, il demoniaco, Spirali, Milano 1983.
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degli strumenti musicali, tr. it. di M. Papini, Mondadori, Milano 1980].
SCHNEIDER, M., Il significato della musica, Se, Milano 2007.
- Le rôle de la musique dans la mythologie et les rites des civilisations non
européennes, Editions Gallimard, Paris 1960 [La musica primitiva, tr. it. di S.
Tolnay, Adelphi, Milano 1992].

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armonia, tr. it. di G. Manzoni, Net, Milano 2002].
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SURIAN, E., Manuale di storia della musica, 4 Voll., Rugginenti Editore, Milano
2005. (In particolare: vol. 2, Dalla musica strumentale del Cinquecento al
periodo classico; vol. 3, L'Ottocento: La musica strumentale e il teatro d'opera;
vol. 4, Il Novecento).
VARÈSE, E., The Liberation of Sound, in AA.VV., Audio Culture, cit., pp. 17-22.

TESTI SPECIFICI SULLE ESPERIENZE MUSICALI CONSIDERATE


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AA.VV., I manifesti del futurismo in trentaduesimo, Ignazio Maria Gallino Editore,
Milano 2006.
AA.VV., Il suono riprodotto. Storia, tecnica e cultura di una rivoluzione del
Novecento, a c. di A. Rigolli e P. Russo, EDT, Torino 2007.
AA.VV., Manifesti del futurismo, a c. di V. Birolli, Abscondita, Milano 2008.
AA.VV., Musica e tecnologia domani. Convegno internazionale sulla musica
elettroacustica, Teatro alla Scala 20-21 Novembre 1999, a c. di R. Favaro, Lim
Editrice, Lucca 2002.
BALBO, T., Ludwig Van Beethoven. La Sesta sinfonia, Albisani Editore, Bologna
2007.
BRAMANTI, C., Con la radio alla conquista dell'impero, Sandit Editore, Milano
2007.
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impensabili. Diario, racconti, saggi, tr. it. di P. Bertrando, G. Bezzato, Giunti,
Firenze 1997].
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GOULD, G., Glenn Gould Reader, a c. di T. Page, Alfred Knopf, New York 1984
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- No, je ne ssuis pas du tout un excentrique, Libraire Arthème Fayard, Paris 1986
[No, non sono un eccentrico, tr. it. di C. Boschi, EDT, Torino 1989].
- The Prospects of Recording, in Audio Culture, cit., pp. 115-126.
HODGKINSON, T., An Interview With Pierre Schaeffer, pioneer of Musique
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APPENDICE
SINTESI DELLA PRINCIPALE NORMATIVA NAZIONALE IN MATERIA DI
INQUINAMENTO ACUSTICO:
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° marzo 1991 (“Limiti massimi
di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno”);
• Legge 26 ottobre1995, n. 447 (“Legge quadro sull’inquinamento acustico”);
• Decreto Ministeriale 11 dicembre 1996 (“Applicazione del criterio differenziale
per gli impianti a ciclo continuo”);
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 novembre 1997
(“Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”);
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 1997
(“Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici”);
• Decreto Ministeriale 16 marzo 1998 (“Tecniche di rilevamento e di misurazione
dell’inquinamento acustico”);
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 31 marzo 1998 (“Atto di
indirizzo e coordinamento recante criteri generali per l’esercizio dell’attività del
tecnico competente in acustica”);
• Decreto del Presidente della Repubblica del 18 novembre 1998, n. 459
(“Regolamento recante norme di esecuzione dell’art. 11 della Legge 26 ottobre

179
1995, in materia di inquinamento acustico derivante da traffico ferroviario”);
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 aprile 1999, n. 215
(“Regolamento recante norme per la determinazione dei requisiti acustici delle
sorgenti sonore nei luoghi di intrattenimento danzante e di pubblico spettacolo e nei
pubblici esercizi”);
• Decreto del Ministero dell’Ambiente 29 novembre 2000 (“Criteri per la
predisposizione, da parte delle società e degli enti gestori dei servizi pubblici di
trasporto o delle relative infrastrutture, dei piani degli interventi di contenimento e
abbattimento del rumore”);
• Decreto del Presidente della Repubblica del 3 aprile 2001, n. 304 (“Regolamento
recante disciplina delle emissioni sonore prodotte nello svolgimento delle attività
motoristiche”);
• Decreto del Presidente della Repubblica del 30 marzo 2004, n. 142 (“Disposizioni
per il contenimento e la prevenzione dell’inquinamento acustico derivante dal
traffico veicolare”);
• Decreto Legislativo 10 aprile 2006, n. 195 (“Esposizione dei lavoratori al rischio
derivante dal rumore”);
• Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (“Attuazione dell'articolo 1 della legge 3
agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro” - Titolo VIII, Capo 2).

180
SITOGRAFIA

SITI DEDICATI AL TEMA DEL PAESAGGIO SONORO O INERENTI


http://wfae.proscenia.net/about/index.html: il World Forum for Acoustic Ecology
rappresenta la più grande area online di discussione e di coordinamento sui temi
dell'ecologia acustica e del paesaggio sonoro. Oltre ad un'ampia bibliografia
dedicata al tema, sul sito è possibile consultare la rivista Soundscape
(http://wfae.proscenia.net/journal/index.html), e trovare riferimenti a numerosi
blog che si occupano dello stesso tema. Da questo sito traggono spunto
numerosi siti analoghi, tutti in coordinamento tra loro, specifici per le varie aree
geografiche del mondo. La lista completa è presente all'indirizzo
http://wfae.proscenia.net/membership /index.html.
http://www.klanglandschaft.org: il forum sul paesaggio sonoro, nato in area svizzera,
che rappresenta la continuazione europea del forum sopra citato. All'interno,
oltre a trovarsi un repertorio notevole di indicazioni bibliografiche, è possibile
accedere ad una selezione di opere musicali.
http://paesaggiosonoro.ning.com: il forum in ambito italiano, affiliato a quello sopra
citato, che costituisce il principale organo di discussione tra esperti ed
appassionati italiani di paesaggio sonoro.
http://www.paesaggiosonoro.it: il sito pubblico in cui vengono raccolte e
pubblicizzate le maggiori iniziative legate al paesaggio sonoro in Italia.
http://www.worldlisteningproject.org: un sito interamente dedicato all'argomento del
paesaggio sonoro e dell'ecologia acustica. Raccoglie numerose esperienze sia
teoriche che pratiche.
http://www.cresson.archi.fr: il sito del centro di ricerca Cresson. E' consultabile la
descrizione dell'ampia attività didattica, la biografia dei suoi membri, e l'elenco
delle numerose pubblicazioni.
http://www.sfu.ca/~truax/wsp.html: il sito ufficiale del World Soundscape Project, e
le pagine personali di Barry Truax e Hildegarde Westerkamp, presso la Simon

181
Fraser University: http://www.sfu.ca/~truax, http://www.sfu.ca/~westerka. E'
possibile trovare molto materiale (tra cui articoli, interviste, foto, esempi sonori)
relativo allo sviluppo della riflessione canadese, e alle ricerche sia teoriche che
musicali, condotte in questo ambito.
http://www.sounday-times.com/it/index.html: un altro sito italiano che raccoglie
numerose esperienze e riferimenti al mondo del paesaggio sonoro e ai temi del
sound design.
http://www.essererumoroso.org/blog0: un blog italiano, certamente meno ricco dei
siti sopra citati, ma contenente una serie di interessanti articoli e di proposte sul
tema del paesaggio sonoro e del rumore.
http://www.firenzesoundmap.org e http://www.bolognoise.org: due interessanti
esperimenti basati sul concetto di paesaggio sonoro, finalizzati alla “mappatura”
sonora di due città italiane: Firenze e Bologna.
http://users.unimi.it/~gpiana/demus.htm: il sito della rivista online De Musica, che
tratta in generale tematiche inerenti alla filosofia della musica. In particolare
segnaliamo alcuni articoli che interessano nello specifico il tema del paesaggio
sonoro:
http://users.unimi.it/~gpiana/dm12/lanza/lanza_riflessioni_sul_rumore.pdf
http://users.unimi.it/~gpiana/dm11/curia/effetto_musica.pdf
http://users.unimi.it/~gpiana/dm8/serra/serra_nancy.pdf
http://users.unimi.it/~gpiana/dm1/dm1comgp.htm
http://users.unimi.it/~gpiana/dm1/dm1musem.htm
http://users.unimi.it/~gpiana/dm1/dm1schcp.htm

SITI CHE HANNO A CHE FARE CON LE ESPERIENZE MUSICALI CONSIDERATE:


http://www.lvbeethoven.com: il più grande sito dedicato al compositore tedesco. Si
può trovare una dettagliata biografia dell'autore, una classificazione completa
delle opere, un archivio di file musicali scaricabili e ascoltabili online, la
principale discografia di riferimento, e una ampia bibliografia organizzata per
temi.
http://digilander.libero.it/sitographics/musiche%20futuriste.htm: una presentazione
dell'esperienza musicale futurista, con la possibilità di ascoltare campioni e

182
brani tratti dal repertorio del movimento.
http://www.suonoelettronico.com: un sito interamente dedicato alla musica
elettronica. All'interno, oltre che una storia dello sviluppo di tale esperienza
musicale, e una presentazione dettagliata degli strumenti e delle principali
tecniche utilizzate, si può trovare un'ampia discografia rimandante alle opere più
significative.
http://www.johncage.info: il database più completo relativo alla figura di John Cage.
All'interno si trova una ampia discografia, una catalogazione completa e
ragionata delle opere, e una sezione molto fornita dedicata alle indicazioni
bibliografiche.
http://www.collectionscanada.gc.ca/glenngould/index-e.html: l'archivio Glenn
Gould presso la “Library of Canada”. E' possibile trovare delle pagine
interessanti sulle esperienze considerate nella nostra ricerca.
http://www.loc.gov/rr/record/schwartzrecordings.html: un'altra pagina dedicata ad
uno degli artisti considerati nel nostro lavoro: Tony Schwartz. I brani proposti
appartengono agli esperimenti radiofonici compiuti dall'autore negli anni '60.
Infine proponiamo una serie di indirizzi in cui è possibile farsi un'idea di quella che
costituisce l'esperienza vera e propria della soundscape composition:
http://sonosphere.org/en/collection_en/artist_en: un sito molto originale che
raccoglie il più ampio archivio a nostra conoscenza di esperienze musicali
collocabili (secondo parametri piuttosto variabili) nell'area della soundscape
composition.
http://soundexplorations.blogspot.com: un blog piuttosto recente che contiene
riferimenti a installazioni, esperienze artistiche e musicali aventi a che fare con
il tema del paesaggio sonoro.
http://www.naisa.ca: la sigla significa “New Adventures in Sound Art”, il sito
contiene numerose esperienze legate alla sperimentazione musicale, passeggiate
sonore, e propone un calendario di iniziative legate al tema.
http://www.electrocd.com/en/bio/westerkamp_hi/oeuvres: in cui si può trovare un
resoconto della produzione di Hildegard Westerkamp.
http://www.max-neuhaus.info: il sito dell'artista Max Neuhaus.

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Potrebbero piacerti anche