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La Commedia

La parola “commedia” fa subito pensare a un’opera divertente e leggera, ma non si può certo
giudicare tale il poema dantesco. I motivi che hanno indotto Dante a scegliere la
denominazione Commedia vengono spiegati nell’Epistola a Cangrande della Scala, in cui il poeta
dichiara che l’opera appartiene al genere della commedia perché:

• la commedia all’inizio narra situazioni difficili e dolorose, ma si conclude con un lieto fine, mentre
la tragedia ha un inizio solenne e pacato, ma un finale tragico

• lo stile è medio, anche se non mancano passaggi verso il registro linguistico più
basso nell’Inferno o verso lo stile sublime nel Paradiso

La definizione di Commedia compare due volte nell’Inferno; nel Paradiso, invece, l’opera è definita
«poema sacro». Pare che l’aggettivo “divina” sia dovuto a Giovanni Boccaccio, che lo usa nella sua
biografia dantesca forse per il contenuto dottrinale ed erudito dell’opera.

La Commedia (1306-1321) è un poema allegorico-didascalico in terzine di endecasillabi. È


un’opera allegorica, perché il viaggio di Dante nell’aldilà è allegoria del cammino di ciascun uomo
verso la salvezza sotto la guida della ragione (Virgilio) e della teologia (Beatrice), ma vuole essere
anche un’opera didascalica perché intende fornire insegnamenti di ordine morale. Alla complessità
dei messaggi, che Dante volle affidare al suo poema, corrisponde un rigoroso ordine compositivo del
testo, la cui struttura è scandita da un ritmo ternario: il numero 3 è il numero della Trinità, il numero
1 esprime l’unità di Dio; a essi si accompagna il numero 10 che corrisponde a quello dei
comandamenti affidati a Mosè sul Sinai. Il poema è composto di 3 cantiche; ogni cantica a sua volta
è composta di 33 canti, formati da terzine. Nell’Inferno i canti sono 34, ma il primo funge da proemio
all’intera opera. La somma totale di 100 canti declina perfettamente (10 volte) il dieci. L’Inferno ha 9
cerchi e un vestibolo (10); il Purgatorio ha 9 parti (spiaggia, Antipurgatorio, 7 cornici) e il Paradiso
terrestre (10); il Paradiso ha 9 cieli più l’Empireo (10). Tre sono le fiere che impediscono il cammino
al poeta (la lonza, il leone, la lupa) e tre le guide (Virgilio, Beatrice e San Bernardo). Le terzine hanno
le rime incatenate, ognuna delle quali ricorre tre volte; solo alla fine di ciascun canto compare un
verso isolato, accordato dalla rima con il secondo verso dell’ultima terzina. Queste corrispondenze
rigorose non limitano la libertà del racconto poetico, sostenuto da una potente e straordinaria
fantasia.

Un viaggio salvifico
Il motivo del viaggio nell’aldilà deriva a Dante da Virgilio che, nel VI libro dell’Eneide, narra la discesa
di Enea agli Inferi. Dante ricorda il viaggio nell’oltretomba dell’eroe troiano, fondatore della civiltà
romana, proprio nel II canto dell’Inferno. Un altro viaggio nell’aldilà, cui Dante allude nello stesso
canto, è quello di san Paolo, predicatore della fede cristiana come si legge nella Seconda epistola ai
Corinzi. Ma è difficile citare modelli specifici a cui Dante si è ispirato in modo più o meno diretto: nella
sua opera convivono, per esempio, anche le suggestioni derivate dalla lettura dei poemetti
oltremondani di Bonvesin de la Riva e di Giacomino da Verona.

Attraverso la visione dei peccati infernali, delle penitenze del Purgatorio e delle beatitudini del
Paradiso, Dante dà un’interpretazione delle passioni umane dal punto di vista etico-
religioso e personale. Il poeta si sente depositario di una missione di salvezza che indichi la «diritta
via» smarrita dall’umanità e mostri, con un racconto “esemplare”, che il male commesso nel mondo
si tramuta in pene eterne o, al contrario, che il bene fatto in vita è premiato dopo la morte. A questo
scopo Dante presenta soprattutto personaggi famosi della sua epoca, affinché gli uomini diventino
più corretti nel loro operare, indotti da esempi concreti di persone note, punite o premiate dalla
giustizia divina.

Il significato morale della missione di cui Dante si sente investito è chiaramente esplicitato nel XVII
canto del Paradiso, durante l’incontro con il trisavolo Cacciaguida. Dopo aver chiesto all’antenato
chiarimenti sulle numerose profezie udite durante il suo viaggio, Dante apprende di essere destinato
all’esilio e a una vita di privazioni, che lo porterà a mendicare ospitalità e accoglienza presso vari
signori. Egli domanda perciò cosa dovrà fare una volta tornato nel mondo dei vivi: nei tre regni
dell’oltretomba ha appreso molte cose che, se rivelate, potrebbero attirargli nuovi odi e rendere la
sua vita ancora più dura. Ma Cacciaguida lo esorta a non avere paura: egli dovrà riferire la sua
esperienza nel suo poema, che porterà polemiche e scandali, ma, contemporaneamente, stimolo a
intraprendere la via della salvezza e motivo di fama immortale. Con queste parole Dante vuole
chiarire il valore profetico della sua Commedia: le dure condanne e le invettive, cioè i discorsi
fortemente polemici e le accuse contro personaggi celebri della sua epoca, non devono essere
interpretate come una sorta di rivalsa per le sofferenze patite, ma piuttosto come un monito agli
uomini, affinché meditino sul proprio operato e sappiano che cosa li attende dopo la morte.

La legge del contrappasso


Secondo la legge del contrappasso (“patire il contrario”, dal latino contra, “al contrario” e pati,
“patire”), che regna nell’Inferno e nel Purgatorio, la giustizia divina assegna una pena fisica in
rapporto al peccato commesso.

La legge del contrappasso consiste:

• in una relazione di analogia tra il carattere della pena e quello del peccato commesso in vita
(contrappasso per analogia), come accade ai lussuriosi (c. V dell’Inferno), travolti in vita dalla
passione dei sensi e nell’aldilà da una bufera che non si arresta mai

• in una relazione di opposizione tra il carattere della pena e quello del peccato commesso
(contrappasso per contrapposizione), come accade agli indovini (c. XX dell’Inferno) che, colpevoli
di aver voluto predire il futuro, hanno la testa girata verso le spalle e sono costretti a camminare
all’indietro
Lo spazio e il tempo nella Commedia
Secondo il sistema tolemaico seguito da Dante, la Terra è immobile al centro dell’universo e intorno
le girano nove cieli (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, Cielo stellato, Primo
Mobile), racchiusi tutti entro l’immensa sfera dell’Empireo, il Cielo immobile, sede di Dio e dei Beati.
Dante riteneva che la Terra fosse in origine divisa in due emisferi: uno, boreale, con a nord
Gerusalemme, formato solo di terra; l’altro, australe, completamente coperto dall’acqua. Quando
l’angelo Lucifero, ribellatosi a Dio, precipitò dall’Empireo e cadde sulla Terra, una massa di questa,
inorridita per il suo contatto, si inabissò ed emerse dalla parte opposta, dando origine alla montagna
del Purgatorio. Nella Terra si creò così un grande vuoto, una voragine a forma di imbuto,
l’Inferno appunto, nelle cui profondità rimase conficcato Lucifero.

Il viaggio di Dante nell’oltretomba dura una settimana: dal venerdì santo, 8 aprile 1300, fino al giovedì
dopo Pasqua, 14 aprile. Dante, guidato da Virgilio, inizia il suo viaggio nella notte dell’8 aprile. Il 1300
è un anno importante perché è l’anno del primo Giubileo, in cui la Chiesa ha concesso la remissione
di tutti i peccati. Alle ore 18 di sabato 9 aprile giunge nelle profondità dell’Inferno, dove risiede
Lucifero. È l’alba della domenica di Pasqua: Dante e Virgilio, che rappresenta la ragione umana, usciti
dall’Inferno, si trovano sulla spiaggia del Purgatorio, una montagna che s’innalza sull’oceano. La salita
è faticosa e dura tre giorni e mezzo: infatti arrivano sulla cima, sede del Paradiso terrestre, a
mezzogiorno di mercoledì 13 aprile. Qui Virgilio scompare e il suo posto viene preso da Beatrice, che
rappresenta la teologia e lo accompagna di cielo in cielo; a lei subentra san Bernardo. Con Beatrice,
quindi, Dante comincia la sua ascesa verso il Paradiso, che dura un giorno e mezzo e termina il 14
aprile con la visione di Dio.

I ruoli di Dante
Nella Commedia Dante appare nella triplice veste di personaggio, narratore e autore, ma questi tre
ruoli non coincidono e non comportano i medesimi punti di vista: il punto di vista di
Dante personaggio (cioè l’uomo che, per volontà di Dio, intraprende ancora vivo un viaggio nei regni
dell’oltretomba) è più limitato di quello di Dante narratore (l’io narrante che “rivive il viaggio” nella
sua memoria e che ne porta testimonianza agli uomini attraverso il suo racconto). Dante autore è
colui che mette in versi l’accaduto e che, a distanza di tempo, è in grado di interpretare il significato
delle situazioni che hanno provocato lo smarrimento di Dante personaggio e di fare considerazioni di
carattere etico, storico e politico sulle visioni descritte e sui fatti raccontati (da qui deriva il valore
didascalico, cioè che fornisce insegnamenti, ed etico della Commedia).

Le interpretazioni
L’interpretazione allegorica di un testo consente di trovare al suo interno una pluralità di significati,
detta polisemia. Questo metodo di lettura era stato applicato alle Sacre Scritture fin dalla tarda
antichità per coglierne il senso “nascosto” e, a partire dal V secolo, fu usato anche per interpretare i
testi dell’antichità classica in chiave cristiana. Mentre il senso letterale è quello che si ricava dalla
prima lettura di un testo, il senso allegorico è quello che “sta sotto” il senso letterale. All’inizio del
poema le tre belve, oltre al loro significato letterale, cioè una lonza, un leone e una lupa che sbarrano
la strada a Dante, assumono anche il valore allegorico di tre impedimenti che ostacolano il
pentimento dell’anima: la lonza è allegoria della lussuria, il leone della superbia, la lupa
della cupidigia. Lo stesso vale per Virgilio e Beatrice, che, oltre alla loro natura fisica di guide di Dante,
sono rispettivamente allegoria della ragione, e della teologia e della Fede senza la quale l’uomo non
può ascendere al Cielo. Nella Commedia ogni personaggio (o avvenimento) è figura di un
altro (personaggio o avvenimento), e questo è l’adempimento del primo. Nel poema, come si è visto,
secondo l’interpretazione allegorica, Virgilio è l’allegoria della ragione umana, Beatrice invece della
grazia divina. Tuttavia non per questo le due guide smettono di essere persone concrete e realmente
esistite: Virgilio storicamente è il poeta latino vissuto nel I secolo a. C., colui che scrisse l’Eneide e
preannunciò nella sua opera, pur essendo un pagano, la venuta di Cristo; Beatrice nella Vita Nova è
la donna amata da Dante in gioventù, che gli nega il saluto, lo deride e muore giovane, mentre
nella Commedia è una persona umana beata, destinata a risorgere nel giorno del giudizio universale.
L’esistenza storica di Beatrice, cioè il dato reale, non la sminuisce, anzi è indispensabile per
renderla una figura della beatitudine eterna. Infatti, è proprio come persona storica e per quello che
realmente significò per il poeta che Beatrice rappresenta la grazia celeste e la luce che guida a Dio.

Lo stile della Commedia


Lo stile del poema è medio: il registro linguistico passa da quello più basso dell’Inferno a quello più
elevato del Paradiso, ma le scelte linguistiche non rispondono a una divisione così rigorosa e rigida.
Lo stile dell’Inferno è generalmente caratterizzato dall’asprezza del linguaggio (le rime «aspre e
chiocce» di cui Dante parla all’inizio del canto XXXII); tuttavia, non mancano anche esempi di registro
elevato e la narrazione si apre a soluzioni linguistiche molto diverse (termini tecnici, di uso quotidiano,
neologismi). Le stesse osservazioni valgono per il Purgatorio, al cui linguaggio più nobile si
accompagnano termini di uso popolare, e per il Paradiso, in cui lo stile sublime si abbassa verso il
registro basso, aspro e violento, dell’invettiva morale e politica. Come abbiamo già detto, per questa
varietà di stili (alto, medio, basso) il critico Gianfranco Contini ha definito «plurilinguismo» e
«pluristilismo» il modello stilistico di Dante nella Commedia.

Il poema è composto di terzine a rima incatenata (ABA-BCB-CDC...), una forma metrica di invenzione
dantesca. Alla fine di ciascun canto compare un verso isolato, accordato dalla rima con il secondo
verso dell’ultima terzina. I versi sono endecasillabi con variazioni di accenti ritmici (da tre a cinque).
Le pause ritmiche coincidono spesso con le pause sintattiche di fine terzina; numerose le variazioni
foniche di accenti e di vocali aperte e chiuse.
INFERNO
L’Inferno fu creato da Dio dopo la ribellione di Lucifero ed è il luogo in cui venne precipitato per
espiare la sua superbia. A quel tempo non erano ancora state create né le cose corruttibili né l’uomo.
L’Inferno durerà eternamente perché è luogo di condanna definitiva, riservata a coloro che
peccarono senza mai pentirsi, mantenendo l’arroganza del peccato. Oltre alla suddivisione basata sui
peccati e sulla loro gravità, vi è anche quella spaziale secondo la quale l’Inferno è suddiviso in tre
zone: Antinferno, Alto Inferno e Basso Inferno.
Superato l’Antinferno, dove sono puniti gli ignavi, e il Limbo (I cerchio), dove si trovano le anime dei
non battezzati e dei pagani virtuosi, si entra nell’Inferno vero e proprio. L’anima si presenta
a Minosse, giudice infernale, confessa i propri peccati e precipita nel cerchio assegnatole in rapporto
alla gravità della colpa commessa.
Nell’Alto Inferno sono puniti gli incontinenti, cioè coloro che non seppero contenere nella giusta
misura le proprie passioni. Sono distribuiti dal II al V cerchio.

Nel VI cerchio si trovano gli eretici, racchiusi dentro le mura roventi della città di Dite, popolata dai
diavoli. Poiché in vita essi vollero restare fuori dalle leggi e dai dogmi del cristianesimo, cioè fuori
della grazia di Dio, rappresentano una categoria a sé, divisi dagli altri dannati.
Il Basso Inferno, separato dall’Alto Inferno dal fiume Stige, si estende dal VII al IX cerchio. Vi sono
puniti coloro che si comportarono violentemente. Il VII cerchio è diviso in tre gironi, a seconda della
forma di violenza.
L’VIII cerchio (Malebolge) è ripartito, secondo la gravità della colpa, in 10 bolge.

Nella parte più profonda dell’Inferno, il IX cerchio, sono puniti i traditori, immersi nel ghiaccio della
palude di Cocito. A seconda che abbiano tradito i parenti, la patria, gli ospiti o i benefattori, essi si
trovano in una delle quattro zone in cui è diviso il cerchio.

Nel punto più basso dell’Inferno si trova lo spaventoso Lucifero, «lo imperador del doloroso regno».
Ha sei ali e tre facce con tre bocche, con cui fa a pezzi tre traditori: Giuda, il traditore di
Dio, Bruto e Cassio, i traditori di Cesare (che per Dante impersona l’Impero).
I due poeti si aggrappano ai peli di Lucifero e scendono lungo il suo corpo gigantesco fino alla «natural
burella», una grotta naturale da cui parte uno stretto canale che dal centro della Terra porta alla
montagna del Purgatorio, dove escono «a riveder le stelle».
Canto I
Commedia, Inferno

Il primo canto dell’Inferno costituisce il proemio dell’intera Commedia e segna l’inizio del viaggio che
Dante si appresta a compiere attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. È la notte del venerdì
santo del 1300, anno del Giubileo. Dante si trova sperduto in una «selva oscura» (rappresentazione
allegorica del peccato in cui l’anima umana si smarrisce), fino a quando, impaurito e angosciato, arriva
ai piedi di un colle illuminato dal Sole, che accende in lui una nuova speranza di salvezza, alimentata
dall’«ora del tempo», il mattino, e dalla «dolce stagione», la primavera, il periodo del risveglio della
natura e della risurrezione pasquale di Cristo. Dante si sente rinfrancato e comincia a salire il colle,
quando tre belve gli sbarrano il cammino e lo fanno indietreggiare verso la selva. Sono una lonza, un
leo ne e una lupa, allegorie dei tre maggiori vizi che attanagliano l’animo umano: lussuria, superbia e
avarizia. Ma ecco apparire l’ombra di un uomo, venuto per portargli soccorso: è Virgilio, il poeta latino
caro a Dante, il quale lo invita a seguire un altro cammino. Virgilio profetizza a Dante la venuta di un
veltro – un cane da caccia, allegoria di un misterioso personaggio che giungerà per redimere il genere
umano e ricondurlo verso i valori eterni del bene e della giustizia sociale – che ricaccerà la lupa
nell’Inferno. Egli spiega a Dante che, per la sua salvezza, dovrà condurlo in un viaggio in cui gli
verranno mostrate le pene dell’Inferno e le penitenze delle anime del Purgatorio, destinate a salire
in Paradiso. Se poi Dante vorrà vedere i beati, Virgilio lascerà il posto a un’altra guida, poiché Dio non
vuole che un pagano varchi la porta del cielo. Rinfrancato da queste parole, Dante si dice pronto a
seguirlo.

Nel mezzo del cammin di nostra vita1


mi ritrovai per una selva oscura2 Allor fu la paura un poco queta17
ché la diritta via3 era smarrita. che nel lago del cor18 m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pièta19.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura4
esta5 selva selvaggia e aspra e forte6 E come quei che con lena affannata20
che nel pensier rinova la paura! uscito fuor del pelago21 a la riva
si volge a l’acqua perigliosa e guata22,
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben7 ch’i’ vi trovai, così l’animo mio23, ch’ancor fuggiva,
dirò de l’altre cose8 ch’io v’ho scorte. si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva24.
Io non so ben ridir com’i’ v’entrai,
tant’era pien di sonno9 a quel punto10 Poi ch’èi25 posato un poco il corpo lasso26,
che la verace11 via abbandonai. ripresi via per la piaggia27 diserta,
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso28.
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle12 giunto,
là dove terminava quella valle13 Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta29,
che m’avea di paura il cor compunto14, una lonza30 leggiera e presta31 molto,
che di pel macolato era coverta;
guardai in alto, e vidi le sue spalle15
vestite già de’ raggi del pianeta e non mi si partia dinanzi al volto32,
che mena dritto altrui per ogne calle16. anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto33. poi che ’l superbo Iliòn fu combusto59.

Temp’era dal principio del mattino, Ma tu perché ritorni a tanta noia60?


e ’l sol montava ’n su con quelle stelle perché non sali il dilettoso monte61
ch’eran con lui quando l’amor divino ch’è principio e cagion di tutta gioia62?»

mosse di prima quelle cose belle34; «Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
sì ch’a bene sperar m’era cagione che spandi di parlar sì largo fiume63?»
di quella fera a la gaetta pelle35 rispuos’io lui con vergognosa fronte64.

l’ora del tempo e la dolce stagione36; «O de li altri poeti onore e lume65


ma non sì che paura non mi desse vagliami66 ’l lungo studio e ’l grande amore
la vista che m’apparve d’un leone37. che m’ha fatto cercar lo tuo volume67.

Questi parea che contra me venisse38 Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore68;
con la test’alta e con rabbiosa fame, tu se’ solo69 colui da cu’ io tolsi
sì che parea che l’aere ne tremesse39. lo bello stilo70 che m’ha fatto onore.

Ed una lupa, che di tutte brame Vedi la bestia per cu’ io mi volsi:
sembiava carca ne la sua magrezza40, aiutami da lei, famoso saggio71,
e molte genti fe’ già viver grame41, ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi72».

questa mi porse tanto di gravezza42 «A te convien tenere altro vïaggio73»


con la paura ch’uscìa di sua vista, rispuose poi che lagrimar mi vide,
ch’io perdei la speranza de l’altezza43. «se vuo’ campar d’esto loco selvaggio74:

E qual è quei che volontieri acquista44, ché questa bestia, per la qual tu gride,
e giugne ’l tempo che perder lo face45, non lascia altrui passar per la sua via,
che ’n tutt’i suoi pensier piange e s’attrista; ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide75;

tal mi fece la bestia sanza pace46 e ha natura sì malvagia e ria76,


che, venendomi ’ncontro, a poco a poco che mai non empie la bramosa voglia77,
mi ripigneva là dove ’l sol tace47. e dopo ’l pasto ha più fame che pria.

Mentre ch’i’ rovinava in basso loco48, Molti son li animali a cui s’ammoglia78,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto e più saranno ancora, infin che ’l veltro79
chi per lungo silenzio parea fioco49. verrà, che la farà morir con doglia80.
Quando vidi costui nel gran diserto50,
«Miserere di me51» gridai a lui, Questi non ciberà terra né peltro81,
«qual che tu sii, od ombra52 od omo certo53!». ma sapienza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro82.
Rispuosemi54: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi Di quella umile83 Italia fia salute84
mantoani per patria ambedui55. per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso85 di ferute86.
Nacqui sub Julio, ancor che fosse tardi56,
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto57 Questi la caccerà per ogne villa87,
nel tempo de li dei falsi e bugiardi58. fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla88.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia, Ond’io per lo tuo me’89 penso e discerno90
che tu mi segui, e io sarò tua guida, perch’io fu’ ribellante a la sua legge100,
e trarrotti di qui per luogo etterno91, non vuol che ’n sua città per me si vegna101.

ove udirai le disperate strida, In tutte parti impera e quivi regge102;


vedrai li antichi92 spiriti dolenti, quivi è la sua città e l’alto seggio103:
che la seconda morte ciascun grida93; oh felice colui cu’ ivi elegge104!»

e vederai color che son contenti E io a lui: «Poeta, io ti richeggio105


nel foco94, perché speran di venire per quello Dio che tu non conoscesti,
quando che sia a le beate genti95. a ciò ch’io fugga questo male e peggio106,

A le qua’96 poi se tu vorrai salire, che tu mi meni107 là dove or dicesti,


anima fia97 a ciò più di me degna: sì ch’io veggia la porta di san Pietro108
con lei ti lascerò nel mio partire98; e color cui tu fai cotanto mesti109».

ché quello imperador che là su regna99, Allor si mosse, e io li tenni dietro.

1. Nel mezzo... vita: a trenta cinque peccato; il sonno che addormenta la metaforico il Sole è la luce che guida
anni, come Dante scrive coscienza del peccatore è una verso il bene, cioè a Dio.
nel Convivio (IV, 23, 6-10) citando un metafora. 17. queta: sopita, calmata.
passo biblico che calcola la durata 10. a quel punto: cioè dopo la morte 18. nel lago del cor: nella cavità
della vita umana in 70 anni; occorre di Beatrice. interna del cuore («lago del cor» è una
ricordare anche un’altra fonte biblica 11. verace: veritiera, ma in senso più metafora), sede delle passioni.
per questo verso: «Nel mezzo della ampio “del bene, della salvezza”. 19. pièta: angoscia, affanno; il
mia vita andrò alle porte dell’Inferno» 12. un colle: si oppone alla «selva» e termine in Dante ha sempre il
(Isaia XXVIII, 10). più avanti è chiamato «dilettoso significato di “tormento, oppressione
2. selva oscura: foresta buia; la monte» (v. 77): allegoricamente fisica”.
«selva» è «oscura» perché rappresenta la vita virtuosa, che è alla 20. con lena affannata: con respiro
rappresenta allegoricamente il base della felicità umana; i raggi del affannoso.
traviamento morale e intellettuale in sole che lo illuminano rappresentano 21. pelago: mare.
cui si trovò Dante dopo la morte di la Grazia divina, che assiste e indirizza 22. guata: guarda con insistenza; la
Beatrice e, più in generale, lo stato di le persone virtuose. forma “guatare” (usata al posto del
ignoranza e di corruzione del genere 13. valle: la selva è qui detta «valle» normale “guardare”) implica il terrore
umano al tempo. per significare l’abbassarsi dell’anima del naufrago nel rivedere il pericolo (e
3. la diritta via: la strada che conduce a un’esistenza peccaminosa, in infatti l’acqua è definita «perigliosa»)
alla salvezza spirituale. contrapposizione al colle illuminato al quale è appena scampato.
4. Ahi quanto... dura: è arduo («è cosa che rappresenta invece la «diritta 23. l’animo mio: la mia mente.
dura») descrivere in che modo era via». 24. lo passo... viva: il passaggio (cioè la
fatta («qual era»); da notare 14. compunto: afflitto, amareggiato. selva) che non lasciò mai vivo nessuno
l’allitterazione della d e della r. 15. le sue spalle: i pendii presso la che non riuscisse a superare
5. esta: questa; si tratta di una forma cima del colle. l’impedimento del peccato; in senso
arcaica dell’aggettivo dimostrativo. 16. vestite... calle: illuminate allegorico sta a significare che
6. selva... e forte: da notare la («vestite») dai raggi del Sole l’abitudine del peccato conduce alla
coordinazione per polisindeto («e... («pianeta»), che guida («mena dannazione chiunque non se ne
e»). dritto») gli uomini («altrui» è un allontani in tempo. Nella similitudine
7. del ben: dell’incontro con Virgilio e pronome indefinito) per la giusta svolta in queste due terzine («E come
di aver preso coscienza della mia strada («calle»), cioè quella che quei... persona viva»), il mare
condizione di peccatore. conduce a Dio. Secondo la cosmologia rappresenta la selva del peccato,
8. de l’altre cose: le tre fiere di cui tolemaica, il Sole era un pianeta che mentre il naufrago corrisponde alla
parlerà più avanti. girava intorno alla Terra, immobile al volontà di redenzione del poeta,
9. tant’era... sonno: tanto avevo la centro dell’universo. In senso ancora spaventato dal pensiero della
mente offuscata dall’errore del selva, ma desideroso di
allontanarsene per raggiungere la 35. a la gaetta pelle: dalla pelle intendersi non solo in senso
salvezza. maculata; «gaetta» deriva dal esclusivamente letterale, ma anche
25. èi: ebbi; è una forma molto provenzale caiet (“screziato”) e anche morale: Dante non precipita
frequente nell’italiano antico. «a» (invece di “da”) per il fisicamente (si dice infatti che la lupa
26. lasso: stanco. complemento di termine è una gli viene incontro «a poco a poco»),
27. piaggia: il pendio ancora dolce che costruzione tipica del francese. ma il tornare verso la selva prefigura
conduce alla salita del colle. 36. l’ora... stagione: il poeta pensa di la fine della speranza e la paura di non
28. ’l piè... basso: chi sale su un pendio riuscire a sfuggire al pericolo riuscire a salvarsi.
fa sì che «’l piè fermo», che deve rappresentato dalla lonza perché il 49. chi... fioco: scopriremo tra poco
sorreggere il corpo, si trovi sempre più momento astronomico è che è il grande poeta latino Virgilio (70
in basso dell’altro piede, sollevato a particolarmente propizio. a.C.-19 a.C.). Oltre alla spiegazione
cercare un nuovo appoggio; in senso 37. ma non sì... d’un leone: la letterale fornita nella parafrasi, vi è
allegorico l’espressione significa che speranza di salvarsi è subito vanificata una seconda interpretazione che
Dante procede faticosamente perché dall’apparire di un leone (allegoria legge «fioco» nel significato di
il suo proposito di raggiungere la virtù della superbia). “evanescente”. Resta però il
è ancora incerto. 38. venisse: rima imperfetta. problema del rapporto tra l’essere
29. erta: salita. 39. tremesse: tremasse. un’ombra e il «lungo silenzio», dal
30. una lonza: la lonza (dal francese 40. che di tutte... magrezza: che nella momento che Dante non può sapere
antico lonce; è allegoria della lussuria) sua magrezza sembrava carica se Virgilio è «fioco» prima che questi
è un felino simile alla lince e alla («carca») di ogni cupidigia («brame»). abbia parlato. La spiegazione sta forse
pantera di cui si trova notizia nei 41. e molte... grame: la lupa, magra e nel significato allegorico di Virgilio,
bestiari medievali (libri che affamata, simboleggia la cupidigia. che simboleggia la ragione: dal
raccoglievano brevi descrizioni di 42. questa... gravezza: la lupa momento che solo adesso Dante ha
animali, reali e immaginari, («questa», pronome pleonastico che preso coscienza della gravità della sua
accompagnate da spiegazioni riprende il soggetto del v. 49), mi situazione, è normale che le prime
moraleggianti) e che Dante poteva provocò tanta angosciosa parole pronunciate dalla voce della
aver visto nel 1285, quando, secondo oppressione («gravezza»). ragione siano “fioche” per aver
un documento dell’epoca, uno di 43. la speranza de l’altezza: la taciuto a lungo.
questi animali fu tenuto in gabbia a speranza di raggiungere la cima del 50. gran diserto: la «piaggia diserta»
Firenze presso il palazzo del comune. colle («altezza»). La lupa è presentata del v. 29 sembra allargarsi a dismisura.
31. leggiera e presta: agile e veloce. come il più temibile degli animali 51. Miserere di me: abbi pietà di me.
32. non mi si... volto: non si poiché, come dice san Paolo, «la 52. ombra: anima di un morto.
allontanava («partia») dalla mia vista; cupidigia è la radice di tutti i mali» 53. certo: dotato di un corpo vivo e
«volto» è una sineddoche per (1 Tim. VI, 10), causa principale del rea le.
“persona”. disordine morale e politico che 54. Rispuosemi: mi rispose; il
33. più volte vòlto: è una affligge la società. Dante introduce pronome “mi”, aggiunto alla fine del
paronomasia, una figura retorica che qui, per la prima volta, il tema civile e verbo, è in funzione enclitica. A
accosta due parole simili nel suono, politico che percorre tutta parlare è Virgilio, simbolo della
ma diverse nel significato, come la Commedia. ragione umana che condurrà Dante
«selva selvaggia» del v. 5. Dante 44. E qual è quei... acquista: l’avaro attraverso l’Inferno e il Purgatorio.
intende dire che fu più volte sul punto (secondo alcuni il giocatore). 55. e li parenti miei... ambedui: e i
di tornare indietro. 45. perder lo face: gli fa perdere in un miei genitori (latinismo da parentes,
34. Temp’era... cose belle: era l’alba momento tutto ciò che ha ottenuto. “genitori”) furono originari dell’Italia
(«temp’era dal principio del mattino»; 46. tal mi fece... sanza pace: allo settentrionale, entrambi («ambedui»)
il complemento di tempo è retto dalla stesso modo (quello di chi «piange e mantovani. Ai tempi di Virgilio,
preposizione «da») e il Sole sorgeva s’attrista») mi ridusse la vista di quella Mantova si trovava nella Gallia
(«montava ’n su») insieme alle stelle bestia insaziabile («sanza pace», cisalpina; i termini “lombardo” e
della costellazione dell’Ariete («quelle perché tormentata da una “Lombardia” sono di origine
stelle»), con cui si trovava («ch’eran irrefrenabile cupidigia). medievale e derivano dal nome della
con lui») quando Dio fece muovere 47. mi ripigneva... tace: mi ricacciava popolazione germanica che tra il VI e
per la prima volta («mosse di prima») («ripigneva») nella selva oscura, dove l’VIII secolo d.C. si stanziò nell’Italia
gli astri del cielo («quelle cose belle»). il Sole non si fa sentire («tace»); il del Nord e, in particolare, nella
Ai tempi di Dante era opinione passaggio dalla sfera visiva («’l sol») a Pianura padana: i Longobardi. Al
comune che la creazione del mondo quella uditiva («tace») fa di questa tempo di Dante il termine «lombardi»
fosse avvenuta all’inizio della metafora anche una sinestesia. indicava gli abitanti dell’Italia
primavera, quando il Sole si trova 48. Mentre ch’i’... loco: mentre settentrionale mentre, oltralpe,
appunto nel segno dell’Ariete. precipitavo verso il basso. Il verso è da
veniva usato anche per designare tutti 68. ’l mio autore: l’autore per 82. e sua nazion... feltro: e la sua
gli italiani. eccellenza, la massima autorità tra nascita («nazion») avverrà «tra feltro
56. Nacqui sub Julio... tardi: Virgilio tutti i poeti. e feltro» (il feltro è una stoffa prodotta
nacque ai tempi di Giulio Cesare («sub 69. tu se’ solo: le affermazioni con l’infeltrimento delle fibre che, non
Julio»), ma troppo tardi perché questi formano un climax ascendente avendo bisogno di essere tessuta, è
potesse conoscerlo e apprezzarlo («maestro» – «autore»); in poco costosa e di poco pregio). Si
come poeta; Cesare, infatti, fu ucciso particolare, con questa ultima tratta di uno dei versi più oscuri del
nel 44 a.C., e Virgilio compose la sua dichiarazione Dante si propone come poema, ma l’interpretazione più
prima opera, le Bucoliche, tra il 42 e il ideale continuatore della grande plausibile è che il «veltro»
39 a.C. poesia classica dell’antichità. rappresenterebbe un personaggio di
57. buono Augusto: l’imperatore 70. lo bello stilo: lo stile tragico, umili origini (secondo alcuni, verrebbe
Augusto, che fu un uomo di grande solenne, proprio di un poema epico dall’ordine francescano che segue la
valore («buono»). qual è appunto l’Eneide. regola della povertà). Per coloro che
58. nel tempo... bugiardi: Virgilio morì 71. saggio: in quanto poeta, Vir gilio è identificano il veltro con Cangrande
19 anni prima che nascesse Cristo, anche maestro di sapienza. della Scala, «tra feltro e feltro»
quindi visse al tempo del paganesimo 72. polsi: arterie. sarebbe un’allusione al territorio
(gli «dei falsi e bugiardi»). 73. tenere altro vïaggio: percorrere compreso tra la veneta Feltre e
59. cantai... combusto: Virgilio è un’altra strada («vïaggio»); si noti la Montefeltro in Romagna.
l’autore dell’Eneide, un poema epico dieresi che fa di “viaggio” un trisillabo 83. umile: misera, decaduta.
che narra le avventure del principe (vi-ag-gio) e garantisce 84. fia salute: sarà la salvezza.
troiano Enea («figliuol d’Anchise») il all’endecasillabo undici sillabe 85. vergine Cammilla... Niso: sono
quale, dopo che Troia («Iliòn»; Troia metriche. Solo la ragione potrà aiutare alcuni degli eroi celebrati da Virgilio
era detta anche Ilio dal nome del suo Dante a liberarsi dalla tentazione nell’Eneide, che muoio no nel corso
fondatore) fu conquistata e bruciata peccaminosa dei sensi e dello spirito. della guerra tra Latini e Troiani: i due
(«combusto») dai Greci, viaggiò nel 74. campar... selvaggio: scam pare a inseparabili amici troiani Eurialo e
Mediterraneo, giunse nel Lazio e qui questa selva. Niso, la vergine guerriera Camilla,
fondò un nuovo regno da cui ebbe 75. ché questa... l’uccide: perché figlia del re dei Volsci, e Turno, re dei
origine Roma. Nell’espressione «di l’avarizia («questa bestia», cioè la Rutuli, vinto in duello da Enea.
Troia» la particella «di» ha valore di lupa), contro cui invochi aiuto Dall’unione dei Latini con i Troiani
moto da luogo, cioè sta per “da”, («gride») non permette a nessuno vincitori nascerà una nuova stirpe che
come al v. 23 «fuor del pelago». («altrui») di passare per la sua strada, porrà le basi del futuro dominio
60. noia: angoscia, pena. ma anzi lo ostacola («lo ’mpedisce») romano sul mondo; infatti dal figlio di
61. il dilettoso monte: è il colle del v. fino a farlo morire; allegoricamente, Enea, Iulo, discenderà la gens Julia a
13, detto «dilettoso» perché è la via Dante intende dire che la cupidigia è cui appartenevano Giulio Cesare e
per la salvezza. così radicata nei cuori umani che l’imperatore Ottaviano Augusto.
62. di tutta gioia: di ogni gioia. nessuno riesce a salvarsi. 86. di ferute: per le ferite riportate; si
63. quella fonte... fiume: Virgilio è 76. ria: crudele, iniqua. lega sintatticamente a «morì» del v.
definito, con una metafora tipica della 77. che mai non empie... voglia: la 107.
poe sia classica, un fiume e una fonte cupidigia rende l’animo insaziabile 87. la caccerà... villa: il veltro caccerà
di eloquenza. («mai non empie») e non gli permette la lupa di città in città («per ogne
64. rispuos’io... fronte: gli («lui») di soddisfare i suoi smodati desideri villa»), per ogni luogo.
risposi, con un atteggiamento di (la «bramosa voglia»). 88. là onde... dipartilla: da dove («là
reverenza (o secondo alcuni, di 78. Molti son... s’ammoglia: in senso onde») l’invidia del demonio («’nvidia
stupore). allegorico vuol dire che l’avarizia si prima») la fece uscire («dipartilla»);
65. onore e lume: Virgilio è «onore» accompagna ad altri vizi: violenza, secondo Dante la cupidigia è stata
per gli altri poeti perché li onora con il frode e inganni d’ogni genere. inviata sulla Terra dal demonio allo
suo prestigio e la sua gloria; ed è 79. ’l veltro: per vincere la lupa scopo di corrompere il mondo.
«lume» perché tutti quelli venuti dopo occorre il «veltro», cioè un cane da 89. per lo tuo me’: per il tuo meglio;
guardano a lui come maestro e caccia ben addestrato e veloce. «me’» è la forma apocopata di
modello. 80. con doglia: con dolore, con “meglio”.
66. vagliami: mi giovi, mi valga presso sofferenza. 90. discerno: giudico. In coppia con
di te; il pronome “mi” è enclitico. 81. non ciberà... peltro: il veltro non «penso» va inteso come “giudico
67. cercar lo tuo volume: leggere e sarà avido né di dominio («terra») né opportuno”.
rileggere le tue opere («lo tuo di ricchezze (il «peltro» è una lega 91. e trarrotti... per luogo etterno: ti
volume»). metallica che, per sineddoche, porterò via («trarrotti») da qui
significa “moneta”). attraverso l’Inferno («luogo etterno»,
perché luogo di pena eterna; si veda morte» il valore di “dannazione retto dalla forma impersonale «si
anche l’inizio del canto III, p. 249). seguita alla morte fisica” (la “prima” vegna».
92. antichi: perché alcuni sono morte). 102. In tutte parti... regge: Dio è
all’Inferno fin dalle origini della storia 94. color che... nel foco: le anime del imperatore del creato («in tutte parti
umana. Purgatorio accolgono con gioia la impera»), ma governa («regge») il
93. che la seconda morte... pena loro assegnata (qui Paradiso («quivi») in modo diretto,
grida: ognuno dei quali («ciascun», indistintamente indicata con così come l’imperatore terrestre è
relativo agli «spiriti dolenti» del v. l’espressione «nel foco») perché anche re di uno stato particolare.
116) dimostra, attraverso i suoi sostenute dalla speranza sicura del 103. seggio: trono.
lamenti («grida» è il verbo della cielo. 104. felice... elegge: felice colui che
proposizione relativa), la propria 95. a le beate genti: in Paradiso. («cu’», come più avanti al v. 135) Dio
dannazione eterna (la «seconda 96. A le qua’: alle quali («qua’» con sceglie («elegge») per il Paradiso
morte» è quella che arriverà dopo il apocope) beate genti. («ivi», alla lettera “lì”).
Giudizio universale, quando anche il 97. anima fia: ci sarà un’anima, cioè 105. ti richeggio: ti richiedo, ti invoco.
corpo morirà una seconda volta e per Beatrice. Virgilio rappresenta la 106. questo male e peggio: la
sempre). Secondo la dottrina cattolica ragione che può guidare Dante sulla schiavitù del peccato e la dannazione
gli uomini vengono giudicati subito via del bene e della perfezione, ma eterna che ne consegue (il «peggio»).
dopo la morte e le loro anime solo la grazia, di cui è simbolo 107. mi meni: mi conduca.
accedono all’Inferno o al Paradiso o al Beatrice, potrà condurlo a capire le 108. la porta di san Pietro: per alcuni
Purgatorio per un periodo di verità eterne. commentatori rappresenta il
penitenza. Alla fine dei tempi, Dio 98. nel mio partire: quando io me ne Purgatorio, che ha una porta
giudicherà tutti gli uomini, quelli in andrò (cioè all’arrivo nel Para diso sorvegliata da un angelo «vicario di
vita e quelli già morti, e li destinerà terrestre, posto sulla cima della Pietro» (Purg. XXI, 54) e rientrerebbe
definitivamente o all’Inferno o al montagna del Purgatorio). nei regni che Dante visiterà con
Paradiso. Il Giudizio universale implica 99. quello imperador... Virgilio; per altri starebbe invece a
la resurrezione della carne, con la regna: perifrasi per Dio. indicare il Paradiso, che però, nella
quale i corpi si riuniranno alle anime e 100. perch’io fu’... sua legge: poiché geo grafia dantesca, non ha nessuna
le anime dei dannati proveranno non fui sottomesso («fu’ ribellante», porta.
anche corporalmente le pene che già “fui ribelle”) alla legge di Dio; Virgilio 109. cui tu fai... mesti: che tu mi
provavano con l’anima. Il verso è non poteva essere cristiano, poiché raffiguri («fai») così infelici («mesti»,
comunque di interpretazione incerta morì prima della nascita di Cristo. che riprende il «dolenti» del v. 116); si
e alcuni intendono: “ciascuno impreca 101. che ’n sua città... si vegna: Dio tratta dei dannati dell’Inferno.
contro («grida») la propria condizione non permette che Dante acceda al
di dannato”, attribuendo a «seconda Paradiso tramite Virgilio; «per me» è

PARAFRASI
La selva (vv. 1-12)
A metà del percorso della vita di ogni uomo, mi ritrovai in una selva oscura, poiché avevo smarrito la
via del retto vivere.
È davvero arduo esprimere a parole come fosse questa selva selvaggia, intricata e difficile da
attraversare, che solo a ripensarci provo la stessa paura di allora!
La selva era così spaventosa che solo la morte lo è un po’ di più; ma per spiegare quanto bene ho
ricavato da quell’esperienza, racconterò delle altre cose che vi ho potuto vedere.
Io non so dire con precisione come mi ritrovai nella selva, tanto la mia anima era ottenebrata dal
sonno nel momento in cui abbandonai la via del vero bene.
Il colle (vv. 13-30)
Ma, dopo che fui arrivato ai piedi di un colle, nel punto in cui terminava quella distesa che mi aveva
riempito il cuore di paura,
guardai in alto e vidi i pendii del colle illuminati dai raggi del Sole, l’astro che guida ogni uomo per la
via della vera virtù.
Allora si calmò, almeno in parte, la paura che mi aveva attanagliato il cuore durante la notte trascorsa
con tanta angoscia.
E come fa chi è appena giunto alla riva dopo uno scampato naufragio, che si volge col respiro ancora
affannoso a fissare la distesa d’acqua che gli ha fatto correre un pericolo tanto grave,
così l’animo mio, che ancora rifuggiva dal pericolo della selva, si volse indietro a guardare
nuovamente quel luogo che non ha mai lasciato sopravvivere nessuno.
Dopo che ebbi riposato un poco il corpo stanco, ripresi il cammino lungo il pendio solitario, in modo
tale che il piede su cui mi appoggiavo era sempre il più basso.
Le tre fiere (vv. 31-60)
Ma quasi all’inizio della salita vera e propria, ecco farsi avanti una lonza agile e molto veloce, ricoperta
di pelo a macchie;
e questa belva non si allontanava dal mio cospetto, anzi impediva così tanto il mio cammino che più
volte mi voltai per tornare indietro.
Era la prima ora del mattino e il Sole sorgeva all’orizzonte in compagnia di quelle stelle con le quali si
trovava quando Dio iniziò la creazione
e fece muovere per la prima volta gli astri; cosicché l’ora mattutina e la dolce stagione primaverile mi
dettero motivo di non temere quella fiera dalla pelle maculata;
ma non mi confortarono abbastanza da evitarmi lo spavento per l’apparizione di un leone.
Questo sembrava venire contro di me con la testa alta e con una fame così rabbiosa che l’aria stessa
sembrava tremare di paura.
E mi apparve anche una lupa che, nella sua magrezza, sembrava portare tutti i segni dell’avidità e già
aveva fatto vivere nel dolore molte persone;
per la paura che incuteva il suo aspetto, questa belva suscitò in me un senso di oppressione così grave
che persi la speranza di raggiungere la vetta del colle.
E come colui che si adopera per procurarsi ricchezze e beni di valore, quando giunge il momento in
cui perde ogni avere, si dispera e si rammarica profondamente;
allo stesso modo mi ridusse quella belva insaziabile che, venendomi incontro, a poco a poco mi
respingeva nella selva dove non filtra la luce del Sole.
Virgilio (vv. 61-99)
Mentre precipitavo verso la valle, mi apparve l’ombra di una figura umana che, per la lunga abitudine
al silenzio, sembrava aver perduto la forza di parlare.
Quando vidi costui nel gran deserto che mi circondava, gli gridai: «Abbi pietà di me, chiunque tu sia,
o un’ombra o un uomo in carne e ossa!».
Mi rispose: «Non sono più un uomo ormai, lo fui un tempo e i miei genitori provenivano dall’Italia
settentrionale, entrambi originari di Mantova.
Nacqui al tempo di Giulio Cesare, troppo tardi perché questi potesse apprezzarmi, e vissi a Roma
sotto il valente Augusto, quando ancora si veneravano gli dèi pagani, falsi e bugiardi.
Fui poeta e cantai di Enea, figlio di Anchise e uomo giusto, che fuggì da Troia dopo che la città e la
sua superba rocca furono bruciate.
Ma tu perché ritorni verso la selva dell’angoscia? Perché non sali il colle che dà gioia, che è principio
e causa della perfetta felicità?».
«Sei tu dunque quel famoso Virgilio, quella fonte di poesia da cui scaturisce un così largo fiume di
eloquenza?» gli risposi io con atteggiamento umile e riverente.
«Onore e guida di tutti gli altri poeti, possa giovarmi il continuo impegno e il grande amore che mi ha
spinto a studiare a fondo le tue opere.
Tu sei il mio maestro e la mia massima autorità, tu sei il solo da cui ho appreso lo stile alto che mi ha
reso degno della gloria poetica.
Vedi la lupa a causa della quale sono tornato indietro: o famoso saggio, aiutami contro di lei, che mi
fa tremare il sangue nelle vene».
«Devi seguire un’altra strada» mi rispose Virgilio, vedendomi piangere «se vuoi trovare scampo da
questa selva:
perché la lupa, a causa della quale ti lamenti e chiedi aiuto, impedisce a chiunque di passare per la
sua strada e anzi lo ostacola fino a ucciderlo;
e ha una natura così malvagia ed empia da non riuscire a saziare mai la propria avidità e, dopo aver
mangiato, ha più fame di prima.
La profezia del veltro (vv. 100-111)
Molti sono gli animali con cui si accoppia e saranno ancora più numerosi in futuro, finché non arriverà
un veltro che la farà morire con grandi sofferenze.
Questo cane da caccia non avrà desiderio né di possedimenti terrieri né di ricchezze ma di sapienza,
amore e virtù, e sarà di umili origini.
Sarà lui il salvatore di quella povera Italia per la quale morirono, combattendo, la vergine Camilla,
Eurialo e Turno e Niso.
Il veltro caccerà la lupa da ogni città finché non l’avrà risospinta nell’Inferno, il luogo da cui l’invidia
di Satana in origine la fece uscire.
Il viaggio nell’oltretomba (vv. 112-136)
Perciò, per il tuo bene, ritengo opportuno che tu mi segua; io ti farò da guida conducendoti da qui
attraverso l’Inferno, luogo di pena eterna,
in cui potrai udire le grida disperate dei dannati e vedrai le anime che soffrono da tempi remoti e che
dimostrano con il loro dolore la disperazione di essere dannate in eterno;
vedrai poi le anime che sono contente di purificarsi nel fuoco perché sono certe di arrivare, non
importa in quanto tempo, tra i beati del Paradiso.
E se poi tu vorrai salire fino ai beati, per questo ci sarà un’anima più degna di me: ti lascerò con lei al
momento di andarmene via;
perché Dio, che regna nel Paradiso, non vuole che si arrivi alla città celeste attraverso la mia guida
poiché io, pagano, non fui sottomesso alla sua legge.
Dio, che esercita il proprio potere di imperatore su tutto il creato, nel Paradiso ha la sua città e il suo
trono. È felice davvero chi viene prescelto per questa celeste beatitudine!».
Dissi dunque a Virgilio: «Poeta, a mia volta ti chiedo, in nome di quel Dio che non hai conosciuto,
affinché io possa sfuggire alla schiavitù del peccato e a quanto ne consegue, che è anche peggio,
di portarmi in quei luoghi che poco fa hai citato, in modo che io possa vedere la porta del Paradiso e
i dannati che tu descrivi tanto infelici». Allora Virgilio si mosse e io lo seguii.
Le linee guida del poema
Si delineano, fin dal primo canto, le due linee guida del poema dantesco: da un lato l’esperienza
individuale di Dante personaggio/narratore («mi ritrovai»), dall’altro l’intento etico, politico e
religioso di Dante autore che proietta la vicenda personale in una dimensione collettiva (la «nostra»
vita) che coinvolge l’umanità intera.

I modelli di Dante
Il motivo del viaggio nell’oltretomba non è un’invenzione dantesca. Dante poteva trovarne un
esempio proprio nell’Eneide di Virgilio, il cui protagonista scende agli Inferi per incontrare l’anima del
padre (in realtà, il viaggio di Enea nell’oltretomba è il pretesto per profetizzare la grandezza di Roma
e di Augusto). L’altro grande modello di Dante è san Paolo che, nella seconda lettera ai Corinzi,
racconta di essere asceso al terzo cielo del Paradiso.

I significati del primo canto


Per facilitare la comprensione del primo canto, riportiamo qui sotto uno schema dei significati
letterali e allegorici di alcuni fondamentali elementi del testo.
PURGATORIO
L’idea di Purgatorio, luogo dove i penitenti espiano le loro colpe, si affermò con le origini del
cristianesimo, ma fu confermata ufficialmente dalla Chiesa soltanto nel 1274, con il concilio di
Lione. Si deve, però, a Dante la rappresentazione del Purgatorio come una montagna che sorge su
un’isola solitaria in mezzo all’Oceano, nell’emisfero delle acque, cioè nell’emisfero australe, agli
antipodi dell’Inferno.

Le anime dei penitenti si distinguono da quelle dei dannati dell’Inferno per il fatto che si
sono pentite dei peccati commessi e sono state perdonate da Dio; tuttavia, prima di accedere al
Paradiso, devono espiare le proprie colpe. Inoltre, al contrario delle anime dell’Inferno, non sono
condannate a restare per l’eternità nella cornice del Purgatorio a cui sono state destinate in
relazione ai loro peccati, ma salgono a poco a poco verso il Paradiso terrestre.

I penitenti vengono prelevati dalla riva del Tevere da un angelo nocchiere che le trasporta fino alla
spiaggia della montagna del Purgatorio e da qui alcuni hanno direttamente accesso al Purgatorio,
mentre altri, il cui pentimento è stato tardivo, sono costretti a restare per qualche tempo
nell’Antipurgatorio.

Anche nel Purgatorio le anime scontano pene inflitte sulla base della legge del contrappasso ma, a
differenza dei dannati, esse devono pregare e meditare. Il Purgatorio, come l’Inferno, è diviso in
tre sezioni: Antipurgatorio, Purgatorio e Paradiso terrestre.

• Antipurgatorio: qui stanno i negligenti, cioè coloro che hanno aspettato a pentirsi fino
all’ultimo istante della vita. Sono divisi in quattro schiere:
– gli scomunicati, che devono stare nell’Antipurgatorio 30 volte il tempo che durò la
scomunica;
– i pigri, i morti di morte violenta e i príncipi negligenti, che devono stare nell’Antipurgatorio
tanti anni quanti vissero
• Purgatorio: è diviso in sette balzi, o cornici, corrispondenti ai sette vizi capitali (superbia,
invidia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria). Mentre nell’Inferno, man mano che si procede
nella discesa, più grave è la pena in rapporto alla colpa commessa, qui più si sale e più la
colpa da espiare è leggera, e quindi più lieve la pena. L’atmosfera è serena, allietata
dal canto che è la caratteristica principale di questo regno: le anime, infatti, intonano salmi
penitenziali e laudi che esaltano la virtù. Paradiso terrestre: si estende sulla sommità del
Purgatorio e vi convergono le anime dei penitenti prima di ascendere al
Paradiso. Virgilio guiderà Dante fin sulla cima del Paradiso terrestre. Lì verrà incontro al
poeta Beatrice, che gli farà da guida nel Paradiso dove, non più sufficiente la ragione umana
(Virgilio), diventa necessaria la Grazia (Beatrice).
PARADISO
La visione del Paradiso di Dante è, in linea generale, conforme a quella del filosofo Tommaso
d’Aquino e alle concezioni antropologiche di Tolomeo. La Terra è una sfera immobile situata
nel mondo sublunare. La Terra è circondata da due elementi, aria e fuoco. Superato il limite
della sfera del fuoco inizia il Paradiso dantesco, costituito da nove cieli, che splendono in misura
maggiore e ruotano con velocità crescente dal primo, e più basso, al nono, il più alto, e
dall’Empireo. I primi sette cieli prendono nome dal pianeta dominante contenuto in ciascuno e
sono: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno. L’ottavo è il cielo delle Stelle fisse che
formano le costellazioni, mentre il nono si chiama cielo cristallino (per la sua purezza) o Primo
mobile, perché è il primo a muoversi e a trasmettere la forza motrice agli altri cieli.

Oltre il nono cielo, il più alto, c’è l’Empireo, la sede della candida rosa dove si dispongono i beati. Gli
scanni più alti della rosa sono occupati dalla Vergine Maria e da san Giovanni Battista,
rispettivamente madre e padre dell’umanità. La rosa, detta “candida” perché i “petali” che la
compongono, le anime, sono vestite di bianco, riceve luce diretta da Dio; è divisa in due sezioni che
accolgono l’una i beati che credettero in Cristo venturo, l’altra i credenti in Cristo venuto. Intorno a
Dio, descritto come un punto (Dio è uno), ruotano nove cori angelici, nove cerchi concentrici, dal
più piccolo, più luminoso e veloce perché più vicino a Dio, al più grande e lontano, meno
luminoso e meno veloce.

Nei nove cori si dispongono nove ordini angelici. Le creature angeliche, figure già presenti
nell’Antico Testamento, sono state create da Dio assieme alla materia e ai cieli e
sono sostanze dello splendore divino, che assume cioè consistenza in loro. I cori angelici hanno
nomi diversi e, come i cieli, sono disposti in ordine gerarchico perché splendono, come già detto, in
misura maggiore o minore a seconda della loro vicinanza a Dio. Il coro più vicino a Dio è quello
dei serafini, quello più lontano è quello degli angeli. Essi sono le intelligenze (o virtù) motrici dei
nove cieli, cui imprimono luce e moto sempre maggiori, dal cielo più basso (la Luna) a quello più
alto (il Primo mobile).

I nove cori angelici sono raggruppati in tre gerarchie:


• la prima gerarchia è formata da serafini, cherubini e troni
• la seconda gerarchia è composta da dominazioni, virtù e potestà
• la terza gerarchia comprende principati, arcangeli e angeli

I beati ricevono luce e amore da Dio e ne godono in modo diverso in rapporto ai loro meriti: ognuno
viene pienamente soddisfatto dall’Onnipotente e non può desiderare di più. La beatitudine in
Paradiso consiste dunque nella visione di Dio, che appaga perfettamente la volontà e il desiderio di
tutti i beati. La sede di tutti i beati è l’Empireo ma, per volontà divina, essi vanno incontro a Dante di
cielo in cielo per mostrargli il loro diverso grado di beatitudine e per rafforzare, con il loro
splendore, le sue capacità visive. In tal modo, alla fine del suo viaggio ultraterreno, il poeta potrà
sostenere la visione di Dio.
Dante ascende di cielo in cielo guidato da Beatrice, che rappresenta la Grazia. Dal Primo mobile,
Dante e Beatrice salgono all’Empireo: qui il poeta assiste alla visione della candida rosa dei beati,
dove va a collocarsi anche Beatrice. A lei subentra san Bernardo, che, in funzione di guida e di
maestro, illustra a Dante la struttura della candida rosa (canti XXX-XXXII). Con una invocazione alla
Vergine (canto XXXIII), il santo ottiene per il poeta il supremo miracolo della visione di Dio. Il poeta
giunge così alla meta del suo viaggio, cioè alla contemplazione dell’«etterno lume», circondato da
tre sfere sfolgoranti di colori diversi, la Trinità.

Il Paradiso è suddiviso in nove cieli:

• nel cielo della Luna stanno gli spiriti che mancarono ai voti
• nel cielo di Mercurio vi sono gli spiriti attivi, che fecero del bene ma mossi dal desiderio di
acquisire gloria
• nel cielo di Venere si mostrano a Dante gli spiriti amanti
• nel cielo del Sole vi sono gli spiriti sapienti
• nel cielo di Marte stanno i combattenti per la fede
• nel cielo di Giove appaiono gli spiriti giusti
• nel cielo di Saturno stanno gli spiriti contemplanti
• nel cielo delle Stelle fisse vi sono gli spiriti trionfanti

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