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LA COMMEDIA

La genesi della Commedia: politica e religione


La Commedia nasce da una visione cupa e apocalittica della realtà ma anche dalla speranza di
un riscatto futuro.
Attraverso l’esperienza come politico e come esule, Dante conosce un mondo caotico senza
virtù, gravido di malizia, violento e corrotto.
Dante non si mostra favorevole allo sviluppo della borghesia mercantile.
Inoltre rimpiange l’ordine fondato sulle antiche autorità universali (papa e imperatore).
A quell’epoca l’imperatore non esercita la sua autorità sull’Italia mentre la Chiesa, invece di
perseguire il fine della salvezza delle anime, cercando di sostituirsi all’imperatore, pensa solo
alla potenza terrena e si corrompe nella ricerca dei beni mondani.
Senza la corretta funzione delle due principali autorità del tempo, tutti i valori che nel passato
assicuravano un tranquillo e ordinato vivere civile sono sovvertiti:
 Si scatena negli uomini la volontà di sopraffarsi a vicenda (nascono i conflitti tra le fazioni
e le lotte che insanguinano le città italiane);
 L’assenza di ogni freno dall’alto favorisce la cupidigia di denaro;
 L’antica nobiltà feudale è calpestata e oppressa, le virtù cavalleresche di un tempo,
scompaiono.
La posizione di Dante mette in luce gli aspetti negativi dell’epoca in cui vive: coglie la crisi del
suo tempo e la guarda dal punto di vista del passato, quello della classe nobiliare sconfitta dai
nuovi ceti mercantili.
Per lui, quindi, la crisi non è semplicemente il passaggio da un mondo vecchio, ormai esaurito,
ad un mondo nuovo, ma è la fine del mondo, in assoluto.
In questa prospettiva apocalittica la punizione divina non può tardare: le forze del male saranno
battute da un inviato di Dio, un veltro (un cane da caccia che allegoricamente rappresenta
l’inviato da Dio) sconfiggerà la lupa (cioè l’avarizia e la cupidigia per il denaro) e riporterà ordine
e virtù sulla terra.
Dante ritiene di essere stato investito da Dio della missione di indicare all’umanità la via della
salvezza.
Per questo deve compiere il viaggio nei tre regni dell’oltretomba, esplorare tutto il male del
mondo che si concentra nell’Inferno, trovare la via della purificazione nel purgatorio, ascendere
di cielo in cielo sino alla visione di Dio, che è il fine ultimo di tutti.
Quanto appreso in questo viaggio dovrà ripeterlo agli uomini mediante il suo poema una volta
tornato sulla terra, in modo che essi possano vedere la diritta via smarrita.
Egli è il terzo mortale a compiere da vivo un viaggio nell’oltretomba: dopo Enea, grazie al quale
nacque l’Impero Romano, e dopo San Paolo, che diede i fondamenti alla fede cristiana, Dante
ora deve indicare la via della rigenerazione dell’Impero e della Chiesa, da cui dipende la
salvezza dell’umanità.
La Commedia, nascendo da queste forti aspirazioni politiche e religiose, assume quindi un
carattere profetico: si esprime sul futuro dell’umanità, invoca castighi divini e mostra la
prospettiva del riscatto.
Il viaggio raccontato rappresenta dunque il cammino di redenzione personale di Dante ma
anche quello di tutta l’umanità, verso la salvezza eterna e verso la «felicità di questa vita»
(adeguarsi ai principi evangelici significa raggiungere la felicità terrena).
Gli antecedenti culturali del poema
Dante cominciò a scrivere la Commedia probabilmente dopo il 1307, nel 1319 l’lnferno e il
Purgatorio erano già pubblicati, mentre il Paradiso comparve ormai postumo, dopo il 1321.
Dante mise a frutto tutti gli strumenti culturali del suo tempo, sia religiosi sia filosofici. Inserire
nel poema tutto lo scibile del tempo: tentativo di fare un’opera enciclopedica.
 Richiama il genere del poema allegorico e la letteratura didattico-enciclopedica
→ Roman de la rose
→ Dante venerava il suo maestro Brunetto Latini che scrisse Tresor e Tesoretto
 Usa lo schema del viaggio come ricerca dell’espiazione e della salvezza (tipico del romanzo
cavalleresco del ciclo bretone e della letteratura mistica),
 Trae ispirazione dalla Bibbia e dall’apocalisse di Giovanni (per il messaggio apocalittico e
profetico, ma anche di pentimento),
 Recupera, soprattutto per i canti dell'Inferno, il modello classico della discesa agli inferi di
Enea (da cui vengono ripresi anche nomi e immagini di luoghi, come l’Acheronte, lo Stige; e
figure come Caronte, Cerbero)
 Legenda Aurea di Jacopo da Varazze
 La Navigazione di San Brandano
 La Leggenda del Pozzo di San Patrizio
 De Babilonia Civitate Infernali
 Libro delle Tre Scritture
 I Sette Vizi Capitali
 Matilde di Hackeborn
 Matilde di Magdeburgo

I fondamenti filosofici
La base filosofica del poema è la Scolastica e in particolare il pensiero di san Tommaso, autore
che aveva compiuto una geniale opera di fusione della filosofia aristotelica con il cristianesimo.
Il poema dantesco è per certi aspetti, l’equivalente in volgare delle grandi Summae del
Medioevo, opere che abbracciavano e racchiudevano tutta la realtà in sistema concettuale
capace di spiegare l’esistenza di ogni cosa.
Filosoficamente nel poema di Dante confluisce:
 Sia il filone razionalistico del pensiero medievale, che, rifacendosi al pensiero di
Aristotele, mirava a fondare la fede su basi razionali, dimostrandone le verità, secondo il
principio «capire per credere»;
 Sia il filone mistico, che si rifaceva ad Agostino e concepiva l’ascesa a Dio non come
percorso intellettuale ma come slancio d’amore, al fine di annullarsi nell’infinità di Dio.
Oltre Agostino ritroviamo anche l’influenza di altri grandi mistici medievali: primo tra tutti
san Bernardo ma anche san Bonaventura.
Non è un caso che nel cielo del Sole, dove sono raccolti gli spiriti sapienti, san Tommaso e
Agostino siano vicini. Non è nemmeno un caso che l’ultima guida nell’ascesa di Dante verso
Dio sia proprio san Bernardo.
Dobbiamo ricordare una importante differenza tra l’opera di Dante e gli scritti teologici o
filosofici: il fine di Dante non è spiegare concettualmente il mondo ma trasformarlo per
restaurarne l’ordine sconvolto.
Il suo poema è stato scritto «non per la pura speculazione, ma per l’azione», per «togliere dallo
stato di miseria i viventi e condurli allo stato della felicità» (Epistola a Cangrande).
Visione medievale e pre-umanesimo
Grazie al pensiero teologico e alla filosofia medievale, la visione del mondo di Dante è
caratterizzata da un’incrollabile fede nel possesso della verità, dalla convinzione che il senso
ultimo dell’universo sia stato definitivamente spiegato dalla religione e dalla filosofia.
In Dante l’universo appare retto da un ordine perfettamente regolato dalla volontà di Dio, in cui
ogni elemento, dal più basso al più sublime, trova una giustificazione e un fine.
Questo modo di pensare si colloca all’interno della mentalità medievale.
Ma altri aspetti si suggeriscono tendenze che saranno proprie della cultura dell’epoca
successiva:
anche se Dante condanna Ulisse per la follia con cui ha superato i limiti umani, il suo ardore di
conoscenza gli appare tuttavia nobile. In Ulisse si riflette la dignità dell’umanità antica che, pur
non sorretta dalla rivelazione divina, ha saputo raggiungere un altissimo livello di conoscenza.
Questa ammirazione per il valore del mondo antico si riflette anche nella scelta di Virgilio: non è
un caso che proprio un grande poeta classico sia chiamato a rappresentare nel poema la
ragione umana nella sua più alta espressione, e per questo sia assunto da Dante come guida
nella parte terrena del suo viaggio.
Per questi motivi si è talvolta parlato di pre-umanesimo di Dante.
L’allegoria nella Commedia
Il poema possiede un impianto allegorico tipico della cultura medievale.
Come sappiamo, una lunga tradizione, ripresa anche da Dante, aveva riconosciuto quattro livelli
di senso:
o Letterale,
o Allegorico (cioè la verità nascosta sotto la veste poetica),
o Morale (da cui si ricavano insegnamenti per la condotta dell’uomo),
o Anagogico (che allude alla realtà trascendente di Dio e alla ricerca spirituale del
lettore).
Sul piano allegorico, nel Convivio, Dante aveva poi distinto:
o L’allegoria dei poeti in cui il piano letterale è un’invenzione fittizia, sotto cui si
nasconde una verità;
o L’allegoria dei teologi in cui il piano letterale è vero, è un evento o un personaggio
reale e storico, che rimanda a significati ulteriori.
Ma se nel Convivio le canzoni andavano lette secondo l’allegoria dei poeti (la donna cantata è
finzione letteraria, sotto cui si nasconde la Filosofia), la Commedia deve essere letta in altro
modo.
Questa scelta era stata già anticipata nell’Epistola a Cangrande con un esempio tratto dalla
Sacra Scrittura: la fuga degli Ebrei dall’Egitto ha un piano letterale, ma, allegoricamente,
significa la redenzione (reale) dell’umanità per opera di Cristo.
Similmente Dante ritiene che l’allegoria da utilizzare per leggere la Commedia sia quella dei
teologi: il suo poema va letto come si leggono le Sacre Scritture.
La concezione figurale
Nella Commedia, oltre all’allegoria, ha un ruolo determinante anche la concezione figurale,
tipica del Medioevo.
La visione cristiana dell’epoca concepiva la storia non come una catena di fatti terreni (legati dal
rapporto di causa ed effetto) ma li vedeva continuamente correlati al piano divino.
In questo disegno divino ogni fatto poteva esser visto come anticipazione di altri che dovevano
verificarsi.
Ogni figura, persona o fatto, si realizza compiutamente nell’adempimento, nel manifestarsi del
disegno voluto da Dio.
Quindi, anche seguendo la concezione figurale, possiamo affermare che la rappresentazione
dantesca è pienamente “realistica”. La condizione eterna in cui i personaggi della Commedia si
trovano è l’adempimento della loro figura terrena.
In questo modo, nell’aldilà dantesco ogni personaggio viene “trasferito” con tutte le sue
passioni e tensioni, manifestando nel modo più completo tutto ciò che caratterizzava la
sua personalità nella vita terrena.
Il titolo della Commedia e la concezione dantesca degli stili
Sappiamo dal De Vulgari Eloquentia che la cultura medievale distingueva i principali stili in:
«tragico», «comico» o «mezzano» ed «elegiaco» o «umile».
Visto poi nell’Epistola a Cangrande, che Dante fa rientrare l’opera nello stile «comico» per due
motivi:
1) Perché ha un inizio doloroso (l’Inferno) ed una fine lieta (il Paradiso), diversamente
la «tragedia» ha un inizio lieto e un finale doloroso;
2) Per lo stile «dimesso e umile».
Non pensiamo che Dante definisca «umile» il suo stile perché il poema è scritto in volgare:
Dante è convinto che si possa scrivere in stile «tragico» anche in lingua volgare.
L’argomento del poema è dei più sublimi e alti: la realtà eterna delle anime dopo la morte.
Dante propone un nuovo tipo di sublime: non più quello classico, che rappresentava solo il
nobile e l’elevato, con aristocratica esclusione dell’umile e quotidiano, ma un sublime ispirato
alla visione cristiana della vita, che non teme di accogliere in sé anche gli aspetti più concreti e
dimessi del reale, sino a quelli più bassi e più turpi, senza per questo veder sminuita la sua
sublimità.
Abbiamo già visto come la sua fede in un perfetto ordine divino del mondo permette a tutta la
realtà (dalla più alta alla più bassa) di trovare un senso, un fine e quindi anche una dignità.
Dante elabora anche una formula letteraria nuova che esce dagli schemi tradizionali del
«tragico» e del «comico»: il poema sacro capace di abbracciare la realtà imperfetta degli uomini
e l’eterna verità di Dio, il caos e la miseria della terra e l’immobile perfezione del cielo,
chiudendo il tutto in una salda sintesi.
L’aggettivo “Divina” verrà poi introdotto da Boccaccio nella sua biografia su Dante, e
venne integrato al titolo solo a partire dal Cinquecento.
Plurilinguismo dantesco
Molteplicità dei piani stilistici e linguistici utilizzati: lingua e stile si innalzano progressivamente
nelle tre cantiche con l’innalzarsi della materia.
In nessuna delle tre cantiche il livello stilistico è unico.
1. Nell’Inferno stile aspro, fatto di termini rari e a volte crudamente dialettali, vocaboli plebei e
scurrili, di rime rare e difficili, dai suoni striduli e sgradevoli.
Ma non mancano passi di linguaggio letterario elevato, come i versi dedicati a Beatrice o le
terzine del racconto di Francesca, che riprendono il linguaggio e le formule della poesia
cortese. Non mancano parole del linguaggio domestico, della medicina.
2. Nel Purgatorio il linguaggio si fa più elevato e nobile, coerentemente con il carattere della
cantica, ma anche qui la varietà dei livelli stilistici è notevole. Ricompare talvolta il linguaggio
plebeo, e al livello della sublimità preziosa, terzine filosofico-politiche, versi in lingua d’oc, o
passaggi in cui si mescolano il latino di Virgilio, linguaggio biblico ed evangelico.
3. Nel Paradiso, a rendere il senso di una conoscenza sempre più profonda della verità, Dante
ricorre ad un linguaggio di eccezionale sublimità, composto di latinismi, provenzalismi e
francesismi preziosi, neologismi; nonostante questo, non esita a ridiscendere a termini
concreti e plebei nei passi di più violenta invettiva politica e morale.

Pluralità dei generi


La Commedia non coincide con nessun genere, infatti nella sua struttura confluisce una somma
di generi diversi della tradizione.
La Commedia però è fondamentalmente un’opera narrativa.
L’opera è soprattutto il racconto di un viaggio-esperienza, proteso inesorabilmente verso un
punto terminale, che imprime a tutta la vicenda la sua dinamicità: la visione di Dio.
Focalizzazione variabile
La vicenda è narrata in prima persona dal suo stesso protagonista. Il Dante che narra non
coincide con il Dante che vive gli avvenimenti narrati.
Il racconto avviene a distanza di tempo dai fatti, quando l’esperienza è conclusa: pertanto il
Dante-narratore ha una conoscenza superiore a quella del Dante-personaggio, che vive
progressivamente l’esperienza del viaggio e dell’apprendimento.
Questa superiorità spesso emerge quando Dante-narratore interviene con avvertimenti al
lettore, appelli, preannunci di cosa accadrà in seguito, spiegazioni, commenti, considerazioni
generali, da cui risulta la sua più ampia conoscenza (focalizzazione sull’ottica del narratore).
Talvolta avviene il contrario: la vicenda spesso viene presentata dal punto di vista del Dante-
personaggio, che vive immerso nei fatti e non sa ancora come essi andranno a finire, o non
riesce a coglierne subito tutto il senso, o non capisce bene che cosa stia succedendo
(focalizzazione sull’ottica del personaggio).
o Dante narratore → focalizzazione zero
o Dante personaggio → focalizzazione interna
Il Dante-narratore, che sa già tutto, non sempre spiega che cosa accadrà, pertanto anche il
lettore resta all’oscuro, e scopre le cose man mano che si rivelano alla vista del personaggio.
La focalizzazione sull’ottica del personaggio crea un effetto di sospensione narrativa,
conferendo al racconto una forte tensione dinamica: fa vivere dall’interno, e perciò con
maggiore intensità drammatica, ciò che costituisce l’essenza del viaggio, la tensione della
continua scoperta del pellegrino, che si protende avanti verso la sua meta, vivendo
un’eccezionale esperienza intellettuale, morale, religiosa.
Narratori di II grado
Il viaggio di Dante costituisce il filone centrale del racconto. Da questo nascono altre narrazioni:
i racconti fatti dalle varie anime, che rivelano a Dante le loro storie.
Si tratta di narrazioni di 2° grado, inserite all’interno della prima: quelli che nel racconto di I
grado sono personaggi, nel racconto di II divengono narratori. Queste storie sono accomunate
da una stessa tecnica narrativa: quella dello scorcio e dell’ellissi.
I personaggi non narrano le loro vicende dall’inizio alla fine: il racconto insiste solo sul momento
centrale delle testimonianze, quello in cui tocca il culmine della tensione drammatica in cui si
addensa tutto il significato dell’esperienza vissuta (scorcio), nascondendo altro non necessario
(ellissi).
Velocità del racconto
I personaggi e i paesaggi sono descritti mentre la narrazione della storia continua a procedere.
Spazio e tempo
Il viaggio di Dante segue una traiettoria verticale, dal basso verso l’alto, dal buio alla luce; essa
è prestabilita dalla volontà di Dio. I regni oltremondani si collocano in una dimensione oggettiva
dell’eterno, mentre le vicende delle anime si collocano su un asse soggettivo del tempo, che è
quello storico e umano.

IL PROLOGO
Dante racconta di essersi smarrito all'età di 35 anni in una “selva oscura” (= il peccato)
Dopo una notte di angoscia trascorsa nella selva comincia a salire un colle illuminato dal sole,
che simboleggia la salvezza.
Il suo cammino viene sbarrato da tre fiere: una lonza, un leone e una lupa, cioè le tre grandi
categorie di peccati: la lussuria, la superbia, la avarizia.
In suo soccorso, il poeta latino Virgilio gli indica strada per la salvezza.
Questa strada è però lunga e passa attraverso Inferno e Purgatorio (entrambi collocati nella
sfera terrestre), per poi salire in cielo verso Dio.
Virgilio rappresenta la ragione umana: per questo guiderà Dante attraverso Inferno e
Purgatorio. La scelta di Virgilio come guida del viaggio ha varie motivazioni:
- È considerato nel Medioevo l'uomo più sapiente dell'antichità, rappresentava per questo
il culmine massimo a cui può giungere la ragione umana affidata alle sue sole forze,
senza l'aiuto della rivelazione.
- È ritenuto nel Medioevo profeta inconsapevole della venuta di Cristo, a per via della IV
Bucolica, in cui si parla della nascita di un fanciullo che riporterà l’età dell'oro tra gli
uomini.
- È considerato da Dante “maestro” di “bello stilo”.

L’INFERNO
Dante immagina di compiere questo viaggio, durato 7 giorni, nel 1300, anno del primo
Giubileo indetto da Bonifacio VIII.
Prima di accingersi al suo viaggio nell'aldilà, Dante è preso da sconforto: ha il dubbio di
affrontare un'impresa folle, temeraria, contraria alle leggi divine. È Virgilio a rassicurarlo
dicendogli che la sua missione è voluta da Dio stesso.
L'inferno è un'immensa voragine a forma di cono rovesciato, che si apre nell'emisfero
settentrionale nei pressi di Gerusalemme e sprofonda sino al centro della Terra.
Le sue pareti sono divise in cerchi, in cui sono distribuiti i dannati a seconda dei peccati
commessi.
a. Prima dell'inferno vero e proprio, al di qua del fiume Acheronte che ne segna il confine, c’è
l’Antinferno, dove Dante incontra gli ignavi, cioè coloro che non seppero scegliere né il
bene né il male.
b. Il primo cerchio dell’inferno è costituito dal Limbo: qui sono accolti i bambini non battezzati e
gli antichi giusti vissuti prima di Cristo.
c. Qui, in un “nobile castello” avvolto in una sfera luminosa, Dante trova i grandi poeti e filosofi
del mondo classico, ma anche dotti arabi come Averroè.
I peccatori veri e propri sono distinti da Dante, secondo un criterio derivante da Aristotele, in tre
grandi sezioni, a seconda che le loro colpe derivino da incontinenza, violenza, frode.
La prima sezione (cerchi dal II al V) comprende peccatori che non hanno saputo porre freno alle
passioni:
 Lussuriosi, travolti da una bufera incessante;
 Golosi, sferzati da pioggia e neve fetide;
 Avari e prodighi, che spingono col petto dei pesanti macigni;
 Iracondi e accidiosi, immersi nelle acque fangose della palude Stigia.
Le altre due sezioni sono racchiuse entro le mura infocate della città di Dite, sorvegliate da
diavoli che sbarrano l'accesso a Dante e Virgilio. Solo l'intervento di un angelo che fa fuggire i
diavoli rimuove l'ostacolo.
Subito al di là delle mura vi è il VI cerchio (fuori dalla classificazione aristotelica delle colpe)
 Quello degli eretici, sepolti in sarcofagi di pietra infocati.
Il VII cerchio comprende i violenti. Questo è diviso in tre gironi:
1. Quello dei violenti contro il prossimo, immersi in un fiume di sangue bollente
2. Quello de i violenti contro sé stessi (suicidi) trasformati in alberi nodosi e contorti;
3. Infine, in un sabbione rovente su cui piove fuoco, quello dei violenti contro Dio
(bestemmiatori), la natura (omosessuali) e l'arte (nel senso di mestiere, cioè gli usurai
che violano la legge divina di ricavare il compenso
dal lavoro).
Ai piedi di uno strapiombo roccioso si apre l'VIII cerchio,
Malabolge, che comprende
 I fraudolenti, coloro che hanno usato inganno verso
chi non si fida. Essi sono distribuiti in dieci fosse
concentriche (bolge):
- Ruffiani e seduttori, sferzati da diavoli,
- Adulatori, immersi nello sterco,
- Papi simoniaci, cacciati a capofitto dentro delle buche,
- Indovini, che hanno il viso stravolto verso la schiena,
- Barattieri, tuffati nella pece bollente,
- Ipocriti, gravati da cappe di piombo dorato,
- Ladri, che si trasformano continuamente in serpenti,
- Consiglieri di frode, avvolti da fiamme,
- Seminatori di scismi e discordie, mutilati e sventrati da
diavoli,
- Falsari, colpiti da malattie ripugnanti.

Il IX cerchio infine è costituito dal grande lago ghiacciato di Cocito, in cui sono immersi i
traditori, cioè coloro che hanno ingannato chi si fida (traditori dei parenti, della patria, degli
amici, dei benefattori).
Al centro del lago, che è anche il centro della terra, sta conficcato Lucifero, immane mostro
peloso con sei ali di pipistrello, con tre volti (parodia della Trinità divina), le cui tre bocche
maciullano Bruto e Cassio, che tradirono Cesare, e Giuda, che tradì Cristo.
Le pene obbediscono al principio del contrappasso:
1) Analogia (ad esempio la bufera dei lussuriosi rimanda alla forza travolgente della passione, i
suicidi che distrussero il loro corpo sono privati del corpo, i seminatori di discordie hanno il
corpo diviso),
2) Contrasto (ad esempio gli ignavi, che nella loro esistenza non hanno mai avuto il coraggio di
schierarsi, nell'aldilà sono costretti a correre dietro a una bandiera).
Custodi dei vari cerchi sono figure mostruose e demoniache. All'inizio Dante le ricava dalla
mitologia classica (soprattutto dall’Eneide): Minosse, Cerbero, Caronte, il Minotauro, i Centauri,
le Arpie, Gerione. Dalle Malebolge in poi entrano in scena i diavoli (già comparsi sulle mura
della città di Dite).
Sono rappresentati, secondo tradizione, con grandi ali di pipistrello, corna, zanne, e sono
caratterizzati da una comicità beffarda e plebea.

IL PURGATORIO
Dante e Virgilio scendono lungo il corpo di Lucifero, aggrappandosi al mantello del mostro.
Attraverso un cunicolo risalgono quindi nell'altro emisfero, ed emergono all'aria aperta sulla
spiaggetta del purgatorio.
Il purgatorio è un monte altissimo, che si erge dall'oceano agli antipodi di Gerusalemme
nell'emisfero meridionale.
Qui approdano gli spiriti destinati alla purificazione, che si raccolgono dopo la morte alla foce
del Tevere e sono trasportati al purgatorio da una navicella condotta da un angelo.
Il monte è distinto in tre zone:
1) In un antipurgatorio: ai piedi del monte, devono sostare, prima di iniziare la purificazione, gli
scomunicati, i pigri a pentirsi, i morti di morte violenta, i principi negligenti. Dante accede al
purgatorio attraverso una porta custodita da un angelo.
2) Il purgatorio vero e proprio è distinto in sette cornici che contornano il monte. In ciascuna di
esse è punito uno dei peccati capitali: i superbi sono gravati da macigni, gli invidiosi hanno
le palpebre cucite, gli iracondi sono avvolti da un fumo acre, gli accidiosi corrono intorno alla
cornice, gli avari e prodighi giacciono distesi a terra, i golosi sono scarnificati dal desiderio
dei frutti profumati di un albero miracoloso, i lussuriosi sono immersi nel fuoco.
Anche qui le pene rispondono al principio del contrappasso, per analogia (il fuoco dei lussuriosi)
e per contrasto (i macigni che schiacciano a terra i superbi).
Custodi di ogni cornice sono gli angeli.
A differenza dell'inferno, nel purgatorio i peccatori non dimorano in una sola cornice, ma le
attraversano tutte, sostando più o meno a lungo in ciascuna di esse secondo le colpe di cui si
macchiarono in vita.
L'atmosfera che domina nel purgatorio è completamente diversa da quella dell'inferno: qui le
anime non sono dannate ma sono felici pur nella sofferenza, perché consapevoli che la loro
attesa sarà ripagata con la visione divina.
3)Sulla cima del monte vi è la terza zona, il paradiso terrestre, sotto forma di un giardino
Il fatto che in cima al purgatorio vi sia il paradiso terrestre significa che, al termine della
purificazione, l'uomo torna alla condizione di innocenza originaria, in cui si trovava nell'Eden,
prima della colpa di Adamo.
Qui Dante incontra una fanciulla che in riva a un limpido ruscello canta e coglie fiori: è Matelda,
che simboleggia la felicità terrena perfettamente innocente, prima del peccato originale. Agli
occhi di Dante si offre quindi una processione simbolica, che rappresenta i libri dell'Antico
Testamento, le virtù teologali (Fede, Speranza, Carità) e cardinali (Prudenza, Fortezza,
Giustizia, Temperanza), i sette doni dello Spirito Santo.
Al termine di essa, su un carro trionfale trainato da un grifone, tra angeli che cantano gettando
fiori, compare Beatrice, che indirizza a Dante duri rimproveri, inducendolo a confessare le sue
colpe. Attraverso un'altra scena allegorica gli rivela poi profeticamente la storia futura, in
particolare la corruzione della Chiesa, e gli indica la sua missione.
D'ora innanzi Beatrice (= la Teologia) si sostituirà a Virgilio (= la Ragione) come guida al viaggio
di Dante sino alla realtà sovrannaturale e ai misteri divini.
Dante viene immerso nel fiume Lete, che fa dimenticare le colpe, poi nel fiume Eunoè, che fa
ricordare il bene compiuto, e a questo punto è «puro e disposto a salire a le stelle».

IL PARADISO
Le anime, eccezionalmente, scendono a incontrare Dante nei vari cieli, per rendere manifesto
alla sua percezione ancora umana l'ordinamento morale del paradiso.
I cieli sono nove sfere concentriche, composte di materia cristallina e incorruttibile, che
ruotano intorno alla terra. In ognuno di essi, tranne nell'ultimo, è infisso un pianeta o una stella.
Nei primi 3 cieli compaiono quindi anime di minore perfezione, mentre nei cieli successivi vi
saranno spiriti più perfetti. Ma questa ripartizione non comporta gradi diversi di beatitudine:
essa infatti consiste nell'adeguamento totale della creatura al volere di Dio, che l'assegna a
quella determinata posizione; quindi, soggettivamente, ogni anima è perfettamente appagata, e
non desidera una collocazione superiore.
 Nel cielo della luna vi sono le anime che, forzate dalla volontà altrui, vennero meno ai
voti;
 Nel cielo di Mercurio coloro che furono attivi nel bene per amore di fama e onore;
 Nel cielo di Venere quelli che seppero rivolgere a degno oggetto il loro impulso amoroso;
 Nel cielo del sole appaiono gli spiriti dei sapienti, i grandi filosofi e mistici del Medioevo,
quali san Tommaso e san Bonaventura;
 Nel cielo di Marte coloro che morirono combattendo per la fede;
 Nel cielo di Giove i giusti;
 Nel cielo di Saturno i contemplativi;
 Nel cielo delle stelle fisse tutti i santi che celebrano il trionfo di Cristo e di Maria. Qui
Dante subisce un vero e proprio esame teologico sulla fede, la speranza e la carità, da
parte dei tre apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni;
 Nel nono cielo, il Primo Mobile, che è il più ampio e il più veloce, appare un'immagine
simbolica di Dio come punto luminoso, circondato da nove cerchi di luce, che
rappresentano le nove gerarchie angeliche che presiedono ai vari cieli.
 Di qui Dante passa al cielo di pura luce intellettuale, l’Empireo, vera sede dei beati.
Se nei vari cieli i beati si erano presentati fasciati di luce e disposti in modo da formare varie
figurazioni simboliche, nell'Empireo invece appaiono con quelle sembianze che avranno il
giorno del Giudizio, vestiti di bianche stole e disposti sui gradini di un immenso anfiteatro,
paragonato dal poeta a una candida rosa.
Il centro di essa è dato dal raggio della luce divina che si riflette sulla superficie esterna del
Primo Mobile. Tra la rosa dei beati e Dio fanno la spola gli angeli che volano in alto per
attingere la grazia e poi scendono a distribuirla di gradino in gradino tra le anime.
Qui Beatrice torna al suo seggio nell'anfiteatro, e ad essa subentra san Bernardo, il grande
mistico, che rivolge la sua preghiera alla Vergine affinché interceda per Dante presso Dio.
La sostituzione delle guide è significativa: la Teologia ha guidato Dante sino all'Empireo, ma per
la visione ultima di Dio essa non è sufficiente, occorre uno slancio mistico.
Dante segue con gli occhi il raggio della luce divina, finché arriva a fondersi con la divinità, e a
cogliere i sommi misteri, l'unità e trinità di Dio e la doppia natura di Cristo.

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