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La Divina Commedia

(note generali) L’opera di Dante si articola in tre cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso) in cui il poeta
descrive il suo viaggio attraverso i tre regni dell’Oltretomba cristiano, pellegrinaggio di un’anima che
approda alla contemplazione di Dio dopo avere preso coscienza della perdizione e disperazione dei dannati
nell’Inferno e delle attese e speranze delle anime del Purgatorio.

Composizione

Gli studiosi ritengono che Dante abbia iniziato a scrivere l’Inferno tra il 1306 e il 1307 comunque non prima
del 1304. Il Purgatorio fu iniziato dopo il 1308 e il Paradiso dopo il 1316. La prima edizione a stampa del
poema si ebbe a Foligno nel 1472. Segui all’inizio del 1500 una edizione curata da Pietro Bembo. Il testo
oggi più accettabile è fornito dall’edizione di Giorgio Petrocchi basata su 27 manoscritti antichi.

Titolo

L’aggettivo divina che accompagna la Commedia nel titolo non è dantesco ma fu usato per la prima volta da
Boccaccio nel suo Trattatelo in laude di Dante per evidenziare l’alto valore del poema. Dante adoperò,
invece, la sola espressione di Commedia che, però, secondo alcuni studiosi si riferisce soltanto all’Inferno
perché nel Paradiso per segnalare la sua opera il poeta parla di “poema sacro” o “sacrato poema”. Tuttavia
nella epistola XIII a Cangrande della Scala che accompagna alcuni canti del Paradiso, Dante chiama la sua
opera Commedia. Nella stessa lettera, rifacendosi alla retorica medievale, spiega le ragioni stilistiche del
titolo. Infatti il genere comico è caratterizzato da un inizio triste con toni cupi che si serve di un linguaggio
piano e umile. La Commedia, infatti, comincia male e finisce bene a differenza della tragedia che comincia
bene e finisce male.

Struttura e simbologia

La Commedia comprende 100 canti, divisi in tre cantiche ognuna di 33 canti (l’Inferno è di 34 compreso il
primo canto che fa da proemio), i canti sono scanditi da terzine a rima incatenata di versi endecasillabi.
L’uso simbolico del numero tre (riferito alla Trinità) e dei suoi multipli come il nove è ricorrente in tutta
l’architettura dell’opera. Il poema è il resoconto del viaggio di Dante nell’Oltretomba compiuto dallo stesso
narratore all’età di 35 anni in una situazione di pericolo spirituale. Nel suo cammino Dante sarà
accompagnato dal poeta latino Virgilio (che rappresenta la ragione umana) fino al Purgatorio e poi da
Beatrice (che rappresenta la teologia) che nella parte alta del Paradiso lo affiderà a S. Bernardo (che
rappresenta lo slancio mistico).

Le fonti

Tra le fonti dell’opera annoveriamo: l’Eneide di Virgilio (soprattutto il canto VI); le opere di molti mistici del
medioevo come Gioacchino da Fiore; la Bibbia e l’Apocalissi di S. Giovanni, tutta la letteratura religiosa
medievale soprattutto la Navigazione di S. Brandano e le opere di Giacomino da Verona e Bonvesin de la
Riva.

La geografia

dell’aldilà La concezione dantesca dell’universo è basata sul pensiero di Aristotele in particolare


sull’interpretazione che ne aveva data S. Tommaso d’Aquino nel tentativo di conciliare le dottrine del
filosofo greco con la rivelazione cristiana. Tuttavia Dante accoglie nel suo poema anche altre prospettive
filosofiche frutto di studi e letture. Egli frequentò la scuola francescana di Santa Croce avvicinandosi al
platonismo e quella domenicana di S. Maria Novella dominata dal tomismo. Conobbe anche
l’interpretazione averroistica dell’aristotelismo. La collocazione dei regni dell’Oltretomba va vista nel
quadro del modello cosmologico dominante nel medioevo e accettato da S. Tommaso e dalla Scolastica,
vale a dire quello elaborato dall’astronomo Tolomeo nel II sec. d.C. In questo sistema la terra è al centro
dell’universo, attorno ad essa ruotano le sfere concentriche dei nove cieli: quelli dei pianeti, il cielo delle
stelle fisse con le costellazioni, il Primo Mobile, il tutto è contenuto nell’Empireo, sede di Dio e delle schiere
angeliche e dei beati. La terra è, poi, divisa in due emisferi: boreale, fatto di terre emerse al cui centro c’è
Gerusalemme; e australe, disabitato e occupato dall’oceano eccetto la montagna del Purgatorio che sorge
agli antipodi di Gerusalemme e sulla cui vetta c’è il paradiso terrestre. Questa topografia della terra è
dovuta alla caduta di Lucifero che dopo il suo peccato di superbia fu scagliato da Dio nel centro della terra.
Il passaggio di Lucifero avrebbe provocato la voragine infernale e simmetricamente la montagna del
Purgatorio.

L’Inferno

L’Inferno è collocato nella voragine aperta dal demonio tra Gerusalemme e il centro della terra. È diviso in 9
cerchi concentrici che progressivamente si restringono. I bordi dei cerchi sono a volte franati a causa del
terremoto seguito alla morte di Cristo, rendendo così possibile a Dante il passaggio dall’uno all’altro. I
dannati sono collocati nell’inferno in base ad un preciso ordine morale secondo il peccato di incontinenza,
malizia e matta bestialità. Nell’Antinferno ci sono i pusillanimi, gli ignavi, che in vita non hanno parteggiato
per niente e nessuno senza assumersi responsabilità e quindi non hanno una precisa collocazione. Nel
primo cerchio sono contenuti gli spiriti magni dell’antichità che però non conobbero Cristo (tra essi Virgilio)
e i bambini morti senza battesimo. Gli altri peccatori sono divisi in tre categorie: 1) incontinenti che non
seppero dominare le passioni (occupano 7 cerchi); 2) fraudolenti verso chi non si fida (ottavo cerchio) 3)
verso chi si fida (nono cerchio). Tra questi ultimi i traditori dei familiari, della patria, degli ospiti e dei
benefattori. Al centro del cerchio, immobilizzato nel ghiaccio, c’è Lucifero con tre facce che rappresentano
la parodia della Trinità. Con le tre bocche maciulla Bruto e Cassio (uccisori di Cesare) e Giuda (traditore di
Cristo) traditori delle due massime autorità politiche nel pensiero di Dante (Chiesa e Impero). Le pene dei
dannanti sono regolate dal contrappasso che lega in uno stretto rapporto di antitesi o di analogia il peccato
commesso alla pena subita. Le anime dell’Inferno sono molto legate alla loro vita terrena che ricordano
spesso con sofferta nostalgia. Questo legame con la precedente vicenda terrena si allenta nella dimensione
del Purgatorio e si dissolve in quella del Paradiso.

Il protagonista-narratore

Dante Agens è Dante personaggio che fa il viaggio, non ne sa più dei suoi personaggi ed è un osservatore
incerto impegnato in un percorso di continua ricerca. Dante auctor è il narratore esterno che giudica
personaggi ed eventi. Le due figure coincidono laddove il poeta si rivolge ai lettori con appelli.

I sensi della Commedia

Nella lettera a Cangrande della Scala lo stesso Dante indica i quattro sensi/significati o chiavi di lettura del
suo poema: letterale, allegorico, morale, anagogico. Il primo è l’aspetto denotativo della narrazione, il suo
significato letterale; L’allegoria è il significato più profondo, simbolico che va letto oltre il significato
letterale. L’allegoria della Commedia è l’allegoria dei teologi in cui il significato letterale non è
un’invenzione poetica (come accade, invece, per l’allegoria dei poeti) ma un reale fatto storico.
Nell’allegoria, dunque, si dice una cosa e un’altra pure. Il senso morale si lega all’insegnamento morale che
la narrazione ci indica; Il senso anagogico si lega al significato della narrazione sul piano del trascendente.
La filologia dantesca nel ‘900 ha individuato anche un altro significato che nel Medioevo era ben presente
agli antichi lettori della Commedia, vale a dire il significato figurale. Secondo il filologo Auerbach dal punto
di vista figurale i fatti storici sono sempre prefigurazione di eventi divini. Così la liberazione degli Ebrei dalla
schiavitù egizia grazie a Mosè prefigura sul piano della storia provvidenziale la liberazione dell’umanità dal
peccato per opera di Cristo. Interpretazioni critiche

Nell’ambito degli studi di filologia dantesca oltre all’opera di Auerbach sul senso figurale vanno ricordate le
tesi di Croce e di Singleton. Benedetto Croce nel suo studio Dottrina e poesia nella Divina Commedia fa una
distinzione nell’opera di Dante tra ciò che definisce dottrina e ciò che è poesia. Per Croce la dottrina è tutto
l’apparato di pensiero filosofico e teologico che impronta il poema dantesco, nonché i frequenti riferimenti
astronomici e alle conoscenze scientifiche del tempo. Per poesia Croce intende lo slancio lirico di molti canti
in cui traspare l’universo emozionale del poeta, la sua passione politica, il suo forte senso morale, il suo
smarrimento di fronte alla potenza dell’amore e al mistero di Dio. Questa interpretazione di Croce ha per
molto tempo (prima metà del Novecento) accreditato una lettura selettiva del poema dantesco,
distinguendo tra quei canti espressione di poesia pura come quello di Paolo e Francesca o di Farinata degli
Uberti e quelle parti del poema più legate alla cultura del Medioevo. C. Singleton nella seconda metà del
Novecento ha, invece, rivalutato una lettura unitaria del poema di Dante in cui le parti più strettamente
poetiche si legano alla struttura complessiva dell’opera, al bagaglio di conoscenze filosofiche e teologiche in
un disegno unitario che ha la pretesa di rappresentare una visione compatta e ordinata del mondo.
Nell’universo dantesco ogni cosa ha il suo posto, ogni realtà sublime o infima è contemplata come un
aspetto di una realtà complessa voluta da Dio. Nella visione teocentrica dell’universo dantesco è molto
chiaro ciò che sta in basso (e che è moralmente deprecabile) e ciò che sta in alto (il modello da imitare, il
fine da raggiungere). Il peccato è la perdizione, il buio che attanaglia l’uomo che non vede Dio. La
beatitudine celeste è l’obiettivo della vita del credente. Quindi per comprendere pienamente anche i canti
più poetici è necessario inserirli nella complessa architettura del poema da cui non possono essere letti
separatamente.

Dante Pre-umanista

Dante nel suo poema dimostra uno straordinario amore per il mondo antico. Ne è testimonianza il fatto che
la sua guida per i primi due regni dell’aldilà sia Virgilio (che rappresenta la ragione), verso il quale Dante
provò particolare ammirazione. Per questo si è anche parlato di un Dante pre-umanista. In realtà in Dante
l’amore per i classici non è ancora sorretto da quello studio filologico, da quell’approfondimento che
caratterizzerà Petrarca e gli umanisti. D. è attratto dalle grandi personalità del mondo antico, ma il loro
agire si iscrive in un orizzonte limitato dalla volontà di Dio. Per questo motivo se egli pure apprezza la sete
di conoscenza di Ulisse (protagonista del canto XXVI dell’Inferno), tuttavia non può che condannare quella
sete di conoscenza se essa sfida i limiti imposti da Dio. E così il viaggio di Ulisse che oltrepassa le colonne
d’Ercole – limite del mondo conosciuto – e si avventura nel mondo senza gente non può che risolversi con
un fallimento, perché viola le leggi divine. In poche parole pure nella sua eccelsa levatura morale e
spirituale Dante resta uomo del Medioevo, tutto calato in un mondo che ancora non ha messo al centro di
tutto le capacità dell’uomo e la sua autonomia dal divino.

L’ allegoria della commedia

L’impianto allegorico del poema appartiene alla cultura medievale. Nel convivio Dante distingue
un’allegoria dei poeti dall’allegoria dei teologi: nel primo caso il piano letterale è un’invenzione fittizia, sotto
la quale si nasconde una verità; nel secondo caso il piano, letterale è costituito da elementi storici, che
rimandano a ulteriori significati. Questo era riservato alla sacra scrittura: infatti essa racconta fatti
assumono un significato fatti reali a persone vere, ma nel disegno di dio questi assumono un altro
significato. Nell’epistola a Cangrande riprende l’esempio dell’esodo: la fuga degli ebrei rappresenta il
significato letterale, ma allegoricamente essa significa la redenzione dell’umanità per opera di Cristo. Il suo
poema va letto come si leggono le scritture: agiscono personaggi concreti (Virgilio, beatrice, catone, lo
stesso dante) che assumono un significato allegorico.

Il plurilinguismo dantesco

La molteplicità degli aspetti reali (dal più basso al più alto) si riflette nella molteplicità dei piani stilistici e
linguistici. Nell’inferno spicca uno stile aspro fatto di termini rari e spesso crudelmente dialettali, vocaboli
plebei e scurrili (puttana merda cul), non mancano anche passi di linguaggio letterario più elevato come i
versi dedicati a beatrice nel II canto che riprendono la poesia cortese. Sono presenti parole del linguaggio
domestico, termini tecnici della marineria ed è presente anche l’invenzione di linguaggi cifrati o barbarici.
Nel purgatorio si passa al livello di sublimità ardua o preziosa (ci sono versi in lingua d’oc o anche numerose
citazioni in latino). Nel paradiso è presente un eccezionale sublimità, evidenziata anche dai latinismi
provenzalismi e francesismi preziosi. Questa pluralità di piani linguistici definisce il plurilinguismo francese.

PLURALITA’ DI PIANI LINGUISTICI

L’opera risulta costituita da una somma di generi diversi: il poema didascalico, allegorico, l’enciclopedia il
tratto filosofico, la profezia apocalittica, la commedia, la tragedia, la satira, l’invettiva, la lirica elegiaca,
l’inno religioso, la preghiera. La commedia è un’opera narrativa: il racconto di un viaggio-esperienza
all’interno dei regni dell’oltretomba cristiano.
I Canto

INTRECCIO

Dante, a metà della propria vita, dopo essersi smarrito si ritrova in una selva buia e spaventosa.
Successivamente, dopo la notte, giunge ai piedi di un colle illuminato dal sole e inizia l’ascesa. Ma
all’improvviso compare una lince che gli impedisce il cammino. Il poeta, successivamente incontra prima un
leone affamato e poi una lupa, che lo inducono a tornare nella selva. Sulla strada del ritorno, Dante chiede
aiuto a un’anima, Virgilio, il quale lo incoraggia e lo invita a riprendere il cammino verso il colle. Dante
chiede aiuto a Virgilio stesso che gli rivela come sia necessario seguire un altro itinerario, poiché quella lupa
uccide ogni persona che si ponga sul suo cammino, fino a quando non giungerà un cane da caccia che la
farà morire. Il poeta latino gli si offre come guida attraverso i 3 regni dell’oltretomba. Dante accetta e inizia
il suo straordinario viaggio.

LE 3 FIERE

Le bestie feroci che si oppongono al cammino di dante hanno un significato allegorico: esse rappresentano
ordinariamente la lussuria, la superbia e l’avarizia o cupidigia, che rappresentano i vizi più comuni fra gli
uomini. Leone (superbia) lonza(lussuria) lupa (cupidigia). Alcuni commentatori le identificano con superbia,
invidia ed avarizia, questa teoria è accreditata nel canto VI dove dante incontra ciacco, al quale pone
domande sul futuro politico di Firenze, ed egli risponde dicendo che le cause dei mali siano attribuite a
questi 3 vizi. Altri commentatori identificano le 3 fiere con la frode la violenza e l’incontinenza.

VIRGILIO

Publio Virgilio marona nacque ad andes, presso Mantova nel 70 a.C. egli scrisse le bucoliche, entrò a far
parte del circolo di mecenate. Tra il 37 e il 30 a.C. compose le georgiche (dedicate all’agricoltura). Nel 29
a.C. si dedicò alla scrittura dell’Eneide per 11 anni. Mori a brindisi e successivamente fu sepolto a Napoli. Si
sviluppò sia la leggenda di un poeta- mago che costruiva talismani, sia quella di un Virgilio cristiano che
avrebbe profetizzato la nascita di cristo, secondo un’arbitraria interpretazione della IV ecloga (delle
bucoliche). Il poeta latino è per dante un punto di riferimento insostituibile, è il massimo auctor, e questo
significa che per dante merita di essere creduto e obbedito, colui che rappresenta la scienza, la saggezza, un
tutore, maestro di moralità. Allegoricamente rappresenta la sapienza pagana, è collocato nel limbo e può
condurre dante solo entro un certo limite (inferno e purgatorio), nel paradiso, a condurre dante sarà
beatrice. Allegoricamente questo rappresenta che la ragione umana da sola non è in grado di raggiungere la
salvezza, se non intervengono la teologia e la grazia divina.

IL VELTRO

Il veltro (ovvero il cane da caccia che avrebbe in futuro dovuto uccidere la lupa), può alludere a tanti
personaggi. Un aiuto ci viene dato quando beatrice preannuncia l’avvento di un duce, con il compito di
moralizzare la chiesa, o anche nel 27esimo canto del paradiso, dove San Pietro predice che la provvidenza
divina, la quale per mezzo di Scipione conservò a Roma l’impero, giungerà in aiuto della chiesa stessa.
Questo fa capire anche come dante attribuisca all’imperatore il compito di guidare il genere umano alla
felicità terrena. Per quanto riguarda un identificazione precisa ci sono vari significati: in senso geografico,
Feltre o Montefeltro (il veltro potrebbe essere un personaggio nato in questi luoghi), oppure feltro nel
senso di panno povero ( personaggio di umili origini), oppure può essere riconducibile al fatto che di feltro
erano foderate le urne elettorali dei magistrati, feltro nel senso di cielo , o nel senso astrologico (feltro può
essere associato alla costellazione gemelli, dove è nato dante, quindi l allusione sarebbe a se stesso). Altre
supposizioni: Cristo, lo spirito santo, congrade della scala, L imperatore Arrigo o enrico VII ed altri.

ANALISI
La commedia si apre con un accattivante tono affabulatorio: il bosco fitto e intricato, lo smarrimento, il
viaggio e, poco dopo le ardue prove. Da un lato abbiamo il racconto del protagonista che si smarrisce, e
cerca di uscirne salendo su un colle. ma le 3 fiere lo ricacciano nella selva oscura, da cui spera di uscire con
Virgilio, che lo accompagnerà in un viaggio attraverso i 3 regni dell’oltretomba. Allegoricamente, il
protagonista, l’umanità intera, in un periodo di traviamento, che coinvolge l’intera società dove Dante vive.
Allora tenta di sconfiggere tre dei principali vizi con l’aiuto delle recuperate facoltà razionali (Virgilio). Ma la
via del bene (retta via) è lunga e difficoltosa e comporta un lungo itinerario di purificazione attraverso la
presa di coscienza del peccato, prima di raggiungere la beatitudine. Per quanto riguarda lo spazio il
narratore non si dilunga in minuziose descrizioni spaziali aggettivazione è di natura psicologica; l’aggettivo
oscura è in opposizione allegorica con la luce del sole. La qualificazione di selvaggia mira a sottolineare
l’orrore che essa produce in chi vi si trova, ma in realtà si tratta dell’orrore che la situazione peccaminosa
deve suscitare in chi ne è vittima. Il tema del viaggio rimanda alla mentalità cristiana, a quello della vita
concepita come passaggio dalla realtà terrena a quella celeste. Dante ci fornisce puntuali indicazioni
cronologiche. Dante nacque nel 1265, e afferma nel mezzo del cammin di nostra vita, cioè a 35 anni, nel
1300 anno del giubileo. Inoltre nel canto 21esimo dell’inferno ci fa capire anche il giorno, venerdì santo, l 8
marzo o il 25 aprile. L’ora del giorno è l’alba, ora dove la luce del sole (dio) prevale sulle tenebre (il
peccato). Inoltre c’è una distinzione temporale fra dante autor e dante Agens, il narratore è onnisciente.
Dante Agens che comincia il suo pellegrinaggio è ben diverso da dante autor che sa già la verità della
contemplazione di Dio.
II CANTO

INTRECCIO

Verso il tramonto, Dante è assalito da angoscianti dubbi: Enea e San Paolo ebbero il privilegio di compiere
un viaggio nell’ aldilà, l’uno in quanto padre di Roma e del suo impero e l’altro per rafforzare la fede negli
uomini, Dante, si domanda perché egli stesso dovrebbe compierlo, e Virgilio, gli rivela come per
intercessione di beatrice sia corso in suo aiuto e come essa sia stata sollecitata da S. Lucia, sollecitata per il
medesimo motivo dalla Madonna. Dante si sente allora rinvigorito ed è definitivamente pronto ad inoltrarsi
lungo un percorso difficile e selvaggio.

LE 3 FORME DELLA GRAZIA DIVINA

La grazia divina è l’aiuto soprannaturale che dio concede all’uomo affinché possa operare il bene, quindi
raggiungere la salvezza. Le 3 donne benedette rappresentano 3 forme di Grazia divina:

Madonna: Grazia preveniente (precede le azioni dell’uomo facendogli conoscere la verità e la bontà divine)

Lucia: grazia illuminante (illumina l’uomo riguardo le verità soprannaturali)

Beatrice grazia operante (opera nell’uomo guidandolo al bene)

ANALISI

Il tempo

Il canto si apre con una notazione paesistica e temporale, questo sia per produrre un effetto di maggiore
realismo sia per dare tono all’ opera. Siamo all’imbrunire: momento che coincide con lo spegnersi
progressivo delle attività umane ed animali. Questo perché dante ha una morte spirituale, uno sconforto
causato dalla selva, infatti l’aere bruno, smorza i colori ed è quindi un’anticipazione del buio totale che
caratterizza l’inferno.

L’ invocazione alle muse

È logico che l’eroe senta il bisogno d’invocare in aiuto le muse, per chiamare a sé l’ispirazione divina e per
legittimare la verità che c’è nelle sue parole. L’invocazione è un po’ sui generis, affiancata da un’altra
invocazione a sé stesso, dimostrando la consapevolezza della propria grandezza e l’enorme difficoltà del
compito che si è assunto.

IL POSSIBILE MODELLO NARRATIVO

Dante si trova in una condizione di traviamento morale, che tenta di superare con l’uscita dalla selva. Lo
sviluppo dell’azione è difficoltoso per l’eroe, infatti si intravedono i primi antagonisti (fiere), che potranno
essere sconfitti solo con l’aiuto di un aiutante (Virgilio) che possiede un mezzo magico (la ragione).
Attraverso varie peripezie si arriva allo spannung, momento in cui dante vede lucifero e si trova nel luogo
più buio e più lontano da dio. Superata questa prova la vicenda si concluderà in un felice epilogo, segnato
dalla vista della montagna del purgatorio, epilogo che avrà fine con la visione diretta e benefica di Dio.

I DUBBI DI DANTE

Dante manifesta dubbi legittimi (dubbi che se non avesse avuto avrebbe peccato di presunzione) Infatti
dante enuncia le motivazioni degli altri illustri viaggi nell’oltretomba: Enea andò nei campi elisi per udire dal
padre Anchise il futuro di Roma, essendo così investito di una grande missione: essere il progenitore di
Roma e del suo impero, Impero voluto da dio, dal suo disegno provvidenziale, in modo tale che si diffonda il
cristianesimo. L’ altro, San paolo, fu anche esso strumento divino per rafforzare quella fede cristiana
fondamentale per la salvezza. Dante li mette sullo stesso piano di veridicità. Dante, umile peccatore, con
l’aiuto della ragione e della teologia può raggiungere la salvezza, e con lui l’umanità intera, la sua missione
è rivolta anche alle 2 massime autorità civili: il papa e l’imperatore. Dante sembra però voler rinunciare al
viaggio dopo aver percorso col pensiero tutte le difficoltà che avrebbe affrontato. A questo punto Virgilio, in
qualità di maestro lo rimprovera e successivamente gli spiega l’antefatto (in questo momento la fabula si
discosta dall’intreccio): c’è l’intervento di 3 donne benedette, 3 abitanti dell’empireo.

L’INTERVENTO DI 3 DONNE BENEDETTE

Virgilio definisce l’immagine di Beatrice: i suoi tratti contraddistintivi sono gli occhi risplendenti e la voce
della dolcezza di un angelo. Tutto il discorso di beatrice è da intendersi anche in chiave allegorica: la
teologia cerca sempre di allontanare l’uomo dal male, cerca di indicare alla ragione la strada per
raggiungere la salvezza. Beatrice rivela l’intervento della madonna. le 3 donne si contrappongono alle 3
fiere: il pellegrino, per vincere le 3 fiere ha bisogno della grazia preveniente, della grazia illuminante e della
grazia operante. Nonostante dante abbia ascoltato il racconto di Virgilio, appare ancora incerto, ma dopo le
esortazioni del suo maestro, il suo animo si apre nuovamente alla speranza.

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