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Contesto storico

Il quattrocento è un secolo ancora pesantemente influenzato dalla crisi del secolo precedente, ma anche un
secolo di ripresa politica e demografica, che si svilupperà in modo diverso in ogni stato. Possiamo notare ad
esempio l’inizio della formazione di quelli che saranno gli stati nazionali (ex Francia Inghilterra spagna),
processo che però non coinvolgerà la nostra penisola. Il modello politico e amministrativo che si ha in Italia è
quello della signoria, evoluzione del comune. Possiamo notare una realtà politica sempre più frammentaria,
corti di signori che impongono il loro potere dinastico. La novità è che adesso le famiglie che si impongono
non sono più quelle aristocratiche, ma le famiglie borghesi arricchitesi dalla nuova fiorente economia, che
vogliono in un certo senso legittimare la loro ricchezza(in questo contesto la frammentazione geopolitica è
vista come un bene in quanto per ottenere il consenso i signori creavano attorno a sé una corte, un élite di
culturale di artisti, scrittori, poeti, finanziandoli di propria tasca e fungevano proprio da specchio delle virtù
del signore. Hanno contribuito a diffondere questa mentalità di uomo moderno che caratterizza il secolo
(mecenatismo))

Umanesimo origini

L’umanesimo è un fenomeno che riguarda prettamente la penisola italica (rinascimento più europeo). Non si
può dare una data precisa per la nascita di questa corrente, possiamo individuare intorno alla seconda metà
del 1300 nel nord Italia, ma la storia è u continuum e quindi non si può mai avere un passaggio netto. Alcuni
aspetti di questa corrente li possiamo trovare già nei tre autori fondamentali del medioevo: Dante, Petrarca,
Boccaccio. Dante: intellettuale che mette la sua cultura a favore di tutti impegnandosi nella vita pubblica e
politica. Petrarca: continuamente assalito da dubbi, conflitti interiori, Petrarca è il poeta dell’io e della
soggettività, il primo dei moderni. Boccaccio: pone al centro delle sue novelle un nuovo mondo, quello che
era effettivamente il cuore pulsante della società dell’epoca, il mondo borghese, mercantile, ingegnoso della
nuova classe emergente.

In cosa consiste l’umanesimo

Si esce da un secolo buio come quello del medioevo, che gli umanisti, i primi moderni, volevano
assolutamente lasciare alle spalle. Lo vedevano come un ostacolo tra il mondo classico e la nuova età di
splendore che si stava aprendo. Lo scopo dell’umanesimo (come si deduce dal termine homo=uomo) ha
come scopo quello di ridare dignità all’essere umano, sia nel singolo che a tutta l’umanità, e riorganizzare e
ricostruire completamente il sistema del sapere ponendolo su basi differenti. Serve una palingenesi, una
radicale riforma che trova ispirazione nel mondo classico greco-romano. Secondo gli umanisti questi popoli
sono stati in grado di produrre, oltre a opere monumentali in ogni campo, anche un sistema di valori
universali mai eguagliati nel futuro. Alcuni umanisti parlano di renovatio, una completa restaurazione di
questi valori, ma la maggior parte li vede come fonte di ispirazione, da rielaborare e adattare ai tempi
presenti. Al contrario del medioevo, che approvava o non i testi e le fonti del mondo antico in base alla loro
compatibilità con la religione cattolica, e quindi tendeva a leggere tutto in chiave cristiana, andando a
perdere il significato originale; al contrario gli umanisti hanno una visione laica del mondo, pongono l’uomo
al centro delle proprie azioni e del mondo e ritengono la possibilità di una creazione di una comunità
europea di dotti più che possibile (cosmopolitismo).

Dignità dell’uomo e filologia

La dimensione umana si allarga enormemente: non per sminuire la religione, ma si rendono conto
dell’enorme campo di azione dell’uomo qui sulla terra, e delle infinite possibilità che quest’ultimo ha (date da
Dio, perché autolimitarsi?) (SECOLARISMO: uomo deve esprimere le sue capacità qui sulla terra). La libertà è
la più alta forma di dignità umana, e consiste nello scegliere se vivere come una pecora o elevare sé stesso al
cielo grazie alla ragione e all’educazione, che deriva dagli esempi del mondo classico La visione laica e critica
dei testi porta allo sviluppo di una nuova disciplina, la filologia, che vede in Lorenzo Valla uno dei maggiori
esponenti (donazione di Costantino). La filologia diventa quasi una materia scientifica, un confronto
sistematico tra i testi, letti con attentissimo occhio critico. Cambia proprio il modo di approcciarsi ai testi, è
indispensabile il confronto con il testo originale e non con un commento fatto da altri. Questo modello
pedagogico deriva dai romani, in seguito alla scoperta del primo manuale di filologia, le istitutio oratoria di
Quintiliano (L'Institutio oratoria si delinea come un manuale di formazione del perfetto oratore un
programma di formazione culturale, morale, scolastica ed intellettuale, che il futuro oratore deve seguire
scrupolosamente, dall'infanzia fino al momento in cui avrà acquistato qualità e mezzi per affrontare un
uditorio).

Il greco e le filosofie antiche

Nel 1453 con l’invasione dei turchi ottomani e la caduta di Costantinopoli, ci fu una vera e propria diaspora
degli intellettuali greci, che trovarono per la maggior parte rifugio in Italia, portando con loro le loro
biblioteche e un’infinità di manoscritti e testi antichi ancora sconosciuti. Tra questi, furono riscoperte tutte le
opere di Platone, fino a quel momento sconosciute in occidente. Si ha così un forte distacco dal medioevo,
che incentrava i propri studi sulla filosofia di Aristotele (scolastica ecc., Aristotele cristianizzato medievale),
con Leonardo Bruni, primo a tradurre in latino i dialoghi platonici, si pongono le basi per il neoplatonismo
(unione tra filosofia platonica e valori cristiani). Il neoplatonismo pone al centro dell’universo l’animo umano,
che nel suo microcosmo interno incarna perfettamente tutti i valori e le qualità del macrocosmo (mondo che
ci circonda), quindi mette in evidenza le infinite possibilità dell’uomo. Uno dei primi è Marsilio Ficino, che nel
1472 fonda una vera e propria Accademia neoplatonica a Firenze.

Giovanni Pico della Mirandola: Oratio de hominis dignitate

G. P. della Mirandola nasce vicino Modena intorno al 1460 e acquista precocemente la fama di essere un
uomo di vastissima cultura e i avere una memoria singolare. Si trasferisce a Firenze dove dedica la sua ricerca
alla filosofia. Vuole riunire tutte le grandi filosofie antiche, e progetta un grande convegno internazionale per
il quale scrive 900 tesi, che tuttavia non verranno mai discusse. Per aprire queste tesi scrive un discorso sulla
dignità dell’uomo, Oratio de Hominis Dignitate.

In breve afferma che Dio ha creato un capolavoro, il mondo, ma non ha creato nessuno capace di
apprezzarlo e capirlo. Per questo motivo crea l’uomo, l’ultimo delle creature, ma visto che tutte le nature
specifiche erano già state date alle altre creature, l’uomo non ne ha una ma ha tutto in comune con gli altri.
La natura dell’uomo è quella di contemplare l’universo e di comprendere la grandezza della creazione di Dio.
In questo risiede la libertà dell’uomo, di scegliere il proprio destino (uno dei destini possibili è vivere la vita
totalmente in comunione con dio, base del neoplatonismo, anima e dio un’unica cosa). Questo testo viene
considerato il manifesto dell’Umanesimo, anche se scritto quando questo periodo già si stava chiudendo (più
visto come summa e riassunto dei valori). Questo testo può essere confrontato con l’Antigone di Sofocle
(tragedia greca del 4 secolo d.C.) in cui dice “nulla è più prodigioso dell’uomo”, quindi possiamo vedere che
questi valori erano già esistenti nel mondo classico, la natura umana è sempre stata così e non cambierà mai.

Poema epico cavalleresco

“Il 400 è il secolo senza poesia (Benedetto Croce)”: parzialmente vero, prima metà del 400 soprattutto opere
di saggistica/trattati, no produzione originale. Nella seconda metà del 400 però si sviluppano due centri di
produzione letteraria: Firenze (Lorenzo de Medici ecc.) e Ferrara: ducato degli estesi. Proprio lì si ebbe
l’invenzione del poema epico cavalleresco. In realtà non è altro che una rielaborazione e unione tra due
generi letterari che trovano le lor radici nella Francia del basso medioevo: le Chanson de Geste e il romanzo
cortese. Già nel trecento questi racconti (nel medioevo erano “racconti di piazza” dei giullari) furono messi
per iscritto nei cosiddetti cantari, come una fusione tra i due generi. Si prende il contesto generale e
l’ambientazione delle guerre sante delle chanson de geste, uniti all’elemento magico, l’individualità del
cavaliere e la continua ricerca della realizzazione personale (donna, oggetto del desiderio) dal romanzo
cortese, oltre che all’elemento magico amato dai cantari (attrazione per le componenti irrazionali, mistero
appassiona gli umanisti)

Matteo Maria Boiardo (1441-1494)

Era un nobile, feudatario, politico in Reggio Emilia (territorio del ducato degli Este), uomo di cultura altissima
scrive sia poesie in latino che un canzoniere in volgare. Con il sostegno del duca, nel ‘76 inizia la
composizione di un poema epico cavalleresco in ottave, l’Orlando Innamorato. Diviso in tre libri (terzo
incompiuto, pericolo discesa di Carlo 8 in Italia), già dal titolo si denota la fusione tra i due elementi carolingi
e bretoni, di cui Boiardo denoterà le caratteristiche principali che diventeranno poi ispirazione per Ariosto. I
personaggi sono molto diversi tra loro e dai modelli originali: hanno la prodezza (la qualità di affrontare la
fortuna, il destino). Anche i nemici non sono più rozzi, visti solamente come barbari, personaggi senza cultura
e da annientare completamente, ma vengono visti come portatori di un’altra cultura (ovviamente quella
umanistica è la migliore). Questa dialettica tra virtù e fortuna è il tema chiave dell’umanesimo, i personaggi
sono dei piccoli umanisti. Boiardo utilizza la tecnica dell’entrelacement, conclude la narrazione di una vicenda
2/3 capitoli dopo per mantenere il lettore incollato al libro. La lingua è ibrida (base toscana/elementi
padani/latinismi) Introduce il tema encomiastico: trova legami di parentela tra i paladini e la famiglia degli
Este che aveva commissionato l’opera.

Trama Orlando Innamorato

La vicenda si apre con un banchetto tra cristiani e saraceni alla corte di Carlo Magno (torneo indotto per la
Pentecoste: in tempi sacri si fermavano i combattimenti), quando all’improvviso arriva una donna bellissima,
Angelica (principessa del Katai), accompagnata da un cavaliere (fratello Argalìa), e propone un duello contro
quest’ultimo: il vincitore la avrà in sposa. Ad un certo punto Argalìa, invincibile, viene sconfitto, allora
Angelica si infila l’anello magico che la fa diventare invisibile. Inizia una vera e propria caccia ad Angelica per
tutto il mondo, a cui prendono parte Orlando e Ranaldo(cugino). Ranaldo e Angelica bevono entrambi da
una fonte magica e i ruoli si scambiano: Angelica innamorata e Ranaldo la odia. La vicenda si sposta in
oriente, scontro tra Orlando e Agricane (re dei Tartari), scontro signorile, confronto tra culture la notte
(quando si fa buio si fermano dal combattere e parlano, si nota la cultura decisamente superiore di orlando)
chiede di essere battezzato prima di morire. Nel frattempo Ruggiero (paladino) tenuto in ostaggio dal mago
Atlante perché per una profezia se prenderà parte alla guerra morirà. Angelica e Ranaldo ribevono dalla
fontana: lotta tra Orlando e Ranaldo per Angelica, non si concentrano sull’assedio di Parigi. Allora Carlo
Magno la “sequestra”, la dà in custodia al duca più anziano, e la promette in sposa a chi sconfiggerà più
saraceni in battaglia. L’esito dello sconto però non si saprà mai, e verrà ripreso dall’Orlando Furioso quasi un
secolo dopo (sequel).

Firenze e la produzione umanistica

Firenze culla della nuova civiltà umanistica, soprattutto grazie al governo di una famiglia di banchieri, i
Medici, che ne promuovono lo sviluppo e la bellezza. Soprattutto con Lorenzo de Medici (1469-1492),
promuoverà alla massima potenza il mecenatismo nella città, arricchendola della gran parte delle opere
artistico/architettoniche/letterarie che sono considerate figlie del genio fiorentino. Soprattutto nella seconda
metà del 400 a Firenze c’è il rilancio della lirica in volgare, che avviene principalmente per motivi politici:
Firenze ha soprattutto un primato della cultura, con i suoi massimi esponenti Dante e Petrarca, e volevano
continuare su questa scia. È anche grazie all’operato dei medici se opere della letteratura fiorentina sono
giunte a noi. Per promuovere il volgare, Intorno a sé il Magnifico riesce a raccogliere una cerchia di poeti e
dotti che fondano le basi per una nuova letteratura, incentrata sui modelli classici, non solo latini ma anche
della tradizione greca, da poco riscoperta, la brigata laurenziana, un vero e proprio circolo culturale
(composto da illustri: Luigi Pulci, Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola ecc.).
Alla corte Medicea è di notevole importanza la presenza di Marsilio Ficino, che fondò un’accademia
neoplatonica nel 1472. Fondamentale era lo studio dell’amore ideale (ex lettura del Simposio), tema
principale per i neoplatonici. Si focalizzano come in passato sull’importanza dello sguardo e di come l’amore
nasca dalla vista, e quindi sull’importanza della bellezza, rivalutata completamente: la bellezza terrena è in
funzione della bellezza dell’animo. Come tutte le cose però, anche la bellezza è soggetta l tempo, tempo che
corrompe, e ritorna l’idea di vivere sul momento, cogli l’attimo, ama adesso (ispirazione Orazio e Catullo).
Altro tema è l’idillio pastorale, idealizzare una vita tranquilla di campagna perché la vita a corte è una vita di
facciata

Lorenzo de Medici

Lorenzo de medici, detto il magnifico, è un personaggio fondamentale per la storia e politica italiana. Nipote
di Cosimo il vecchio, diventa signore di Firenze nel ’69, e affianca all’attività politica (ago della bilancia della
penisola) una fervente attività di mecenate. Oltre che per motivi politici, lo fa per passione; infatti anch’egli è
un abile scrittore, sia in prosa che lirica. Tra le sue opere: La lencia da Barberino, poemetto comico di
ambientazione pastorale che è una parodia dei modelli stilnovistici; raccolte di poesie tipo idilli pastorali ex
Selve d’amore; opere religiose teatrali; Trionfo di Bacco e Arianna (canzona di bacco), scritta per il carnevale
del 1490, è un invito alla gioia, al godersi la vita(riferimento Odi di Orazio, ode 11 libro 1), che ti sfugge dalle
mani in poco tempo, si vede anche un senso di malinconia per lo scorrere del tempo inesorabile e
infrenabile.

Luigi Pulci

Nasce nel 1432 a Firenze da un’antica famiglia nobiliare decaduta, e comincia a frequentare la famiglia dei
medici già da giovanissimo. Di 17 anni più grande, ebbe un’importante influenza su Lorenzo, soprattutto
grazie al binomio della sua personalità di politico serio e scrittore giocondo. Ha un forte legame con
Poliziano, ma ha vari contrasti anche molto accesi con Marsilio Ficino per le sue posizioni sempre meno
ortodosse (sia temi religiosi che metafisico/filosofici), tanto che verso gli ultimi anni della sua vita si allontanò
da Firenze, e alla sua morte nell’84 venne sepolto in terra sconsacrata per la sua fama di miscredente. La sua
opera principale è un poema epico cavalleresco commissionatogli da Lucrezia Tornabuoni (madre di
Lorenzo), per motivi politici (alleanza con la Francia doveva essere celebrata)

Morgante

Il Morgante è un poema eroicomico in ottave che ha due edizioni; una prima di 23 canti del 78 (ispirazione
da un manoscritto cantare anonimo, l’Orlando) e una seconda con cinque canti aggiuntivi dell’83, il
Morgante maggiore (ultimi 5 canti stonano con il resto del poema, più drammatici, parlano della disfatta a
Roncisvalle e la morte di Orlando, forse influenzati dal clima cupo alla corte medicea dopo la morte di
Giuliano e la congiura), Il poema fu commissionato da Lucrezia Tornabuoni, aveva motivi politici
(Francia(alleata dei Medici) sente la minaccia dei turchi sul mediterraneo, quindi riprendere le imprese tanto
amate dei paladini di Carlo Magno contro gli arabi aveva fine propagandistico). Morgante è un gigante che
Orlando (cacciato dalla Francia a causa delle menzogne di Gano di Maganza, traditore responsabile della
disfatta di Roncisvalle) incontra e converte al cristianesimo. Morgante incontrerà poi un mezzo gigante,
Margutte, che ha compiuto tutti i crimini possibili e inimmaginabili e se ne vanta (tutto tranne tradire).
Margutte rappresenta il lato caotico della vita dell’uomo, sembra quasi andare contro gli ideali
dell’umanesimo, Pulci è considerato poeta dell’eccesso. Questa continua provocazione della norma riprende i
poeti comico-realistici medievali ex Cecco Angiolieri. L’intera vicenda ha toni comici, una parodia dei poemi
cavallereschi però conservandone i valori, e addirittura le morti dei due protagonisti è comica. Lo scheletro
della trama è composto dalle vicende di orlando, però viste non più seguendo il protagonista (anzi Orlando
scompare dal racconto), ma i personaggi secondari. Il lessico è furfantesco, basso, popolare, pieno di
tecnicismi appartenenti alla realtà popolare.
Angelo Poliziano

Angelo Ambrogini (di Montepulciano, mons politanus, Poliziano) nasce nel 1454, e nel 73 entra alla corte di
Lorenzo come precettore del figlio Piero. Dopo la congiura dei Pazzi (è lui che salva Lorenzo), entra in
contrasto con la moglie del magnifico e si trasferisce a Mantova dai Gonzaga. Muore nel 94. È stato un
ottimo conoscitore dei classici, un espertissimo filologo con una straordinaria memoria, tanto che si narra
correggesse le opere solo con la memoria (addirittura gli interventi filologici di Poliziano sono ancora validi
tutt’ora (unico uomo del 400 ancora valido)); la sua attività di filologo confluisce nei Miscellanea, una raccolta
di discussioni su questioni linguistiche (manuale di filologia di oltre 100 libri in latino). Scrive in greco
(epigrammi), latino (Sylvae, trascrizioni delle sue introduzioni ai corsi universitari), e in volgare (epistola
introduttiva alla Raccolta Aragonese, raccolta di componimenti in volgare da inviare a Federico d’Aragona per
dimostrare la dignità letteraria; canzoni a Ballo, raccolta di canzoni fluide nella metrica scritte apposta per
essere cantate e ballate).

Stanze per la giostra del magnifico giuliano: poema celebrativo per la vittoria di Giuliano in una giostra. È la
storia di un cacciatore, Iulio, che non voleva saperne niente dell’amore e si innamora di una cerbiatta
tramutata in fanciulla per opera di cupido, che ha il volto di Simonetta Cattaneo della Volta sposata Vespucci,
nobildonna ligure di una bellezza sublime (volto della Primavera di Botticelli e di tutte le altre donne da lui
raffigurate ex nascita di Venere). In due libri, il secondo incompiuto, perché erano morti sia giuliano sia due
anni dopo Simonetta.

Fabula di Orfeo: scritta per un matrimonio alla corte dei Gonzaga a Mantova, narra della favola di Orfeo e
Euridice (narrata nelle Metamorfosi e nelle Georgiche di Virgilio). È importante perché segna l’inizio del teatro
profano in lingua volgare. Poliziano prende il modello del dramma sacro e vi scrive di un argomento
mitologico classico e fonde insieme il mito classico e i valori umanistici.

Rinascimento quadro storico

Nella prima metà del 500 la civiltà umanistico-rinascimentale raggiuge il suo apogeo (varie ipotesi data fine,
concilio di Trento 59 o sacco di Roma 27, comunque le date sono convenzionali perché storia è un continuo).
In questi anni gli ordini del mondo in vigore da secoli si vanno a rompere. In Italia muore Lorenzo de Medici,
la politica di equilibrio in Italia si va a rompere con la discesa di Carlo 8 e Luigi 12 per la conquista del Regno
di Napoli. Lo stato pontificio è l’unica realtà territoriale all’interno dell’Italia che resiste e mantiene la sua
unità almeno dal punto di vista territoriale e di ricchezze. Però la chiesa va avanti non senza problemi: a
causa della corruzione dello stato della chiesa, la vendita delle indulgenze e una serie di contraddizioni di
vescovi sacerdoti e uomini di chiesa, che andavano completamente contro la dottrina, si ha la nascita di una
riforma della chiesa che spaccherà in modo irrimediabile la cristianità: la riforma protestante di Lutero.
Inoltre, con la scoperta dell’America e l’allargamento delle tratte commerciali, il mediterraneo non è più il
centro del mondo, e gli equilibri tra gli stati si vanno a incrinare, ribaltando ordini esistenti da secoli.

Caratteristiche

Mentre l’umanesimo era un fenomeno quasi interamente italiano (totus noster), il rinascimento è
caratterizzato dalla diffusione degli ideali umanisti in tutta Europa, grazie agli scambi epistolari e alla
diffusione della stampa. I pensatori Europei (ricordiamo Erasmo da Rotterdam o Thomas Moore) assumono
un atteggiamento militante, prendendo posizione contro tutte le controversie del loro tempo (corruzione
della chiesa, problemi politici...); riflessioni libere simili non si potevano vedere in Italia, perché gli spazi di
interventi de pensatori italiani erano molto più limitate a causa del panorama politico sempre più caotico e
frammentario. Comunque gli italiani rimangono i più eccelsi di questa corrente, un modello, e molti di loro si
trasferiranno alle corti di sovrani stranieri in Europa per evitare le crisi politiche della penisola, contribuendo
alla diffusione del movimento. Il clima ideologico non è più quello del 400, caratterizzato da un ottimismo
per la riscoperta dei valori dell’uomo, ma è un clima di profonda instabilità e conoscenza della crisi. L’unico
stato che sembrava sicuro era quello pontificio, ma dopo il sacco di Roma (1527) non ci sono più sicurezze. Il
tema principale diventa quello della riflessione sulla politica e la storiografia, e i due esponenti principali
saranno Machiavelli e Guicciardini.

La condizione degli intellettuali

I principali centri di diffusione e sviluppo delle arti rimangono comunque le corti signorili: quello che cambia
però sono i compiti dell’intellettuale di corte. Ai cortigiani viene chiesto di essere versatili, non si devono
occupare più solo della produzione artistica ma anche di questioni burocratiche, amministrative, politiche. In
questo modo vedono il loro tempo da dedicare alla letteratura notevolmente ridotto, e quindi anche una
libertà creativa limitata (tutto ciò sofferto molto da Ariosto).

La lingua

Il latino è sempre stata la lingua internazionale della cultura (filosofica, religiosa ecc), ma si sentiva il bisogno
in questo periodo più che mai di stabilire una lingua letteraria italiana che non fosse identificabile con il
fiorentino, poiché si cercava una lingua il più possibile sciolta da dialettismi vari. Ci sono tre idee su quale
dovesse essere questa lingua modello: 1. Doveva racchiudere il meglio di ogni dialetto 2. Doveva essere il
fiorentino contemporaneo (machiavelli) 3. Quella del classicismo volgare, ovvero prendere come modello i
classici della letteratura italiana: Petrarca per la lirica e Boccaccio per la prosa; questa teoria venne
formalizzata da Pietro Bembo nel 1525 nel trattato Prose della volgar lingua. Comunque la lingua italiana
teorizzata da Bembo esiste, ma solo per pochi e in un contesto solamente scritto. Con la riscoperta della
Poetica di Aristotele da parte di Giorgio Valla, vengono teorizzate rigide norme perla poesia e i testi teatrali.

Ludovico Ariosto: vita

Nasce il 1474 a Reggio Emilia, primo di 10 fratelli. Il padre lavora alla corte degli Estensi e cosi viene
introdotto subito a quell’ambiente. Studia diritto senza un reale interesse, la sua passione sono le materie
umanistiche. Entra anella corte del cardinale Ippolito d’Este, fratello del duca Alfonso. In questo contesto
inizia la stesura del suo capolavoro, l’Orlando Furioso, dedicato al cardinale. Come suo cortigiano è costretto
a gestire varie questioni amministrative e a viaggiare molto (aneddoto messaggero dal papa per la
scomunica del cardinale, è dovuto scappare perché lo volevano buttare a mare). Nel 1517 si rifiuta di seguire
il cardinale in Ungheria e passa alla corte del fratello, il duca Alfonso 1. La situazione economica peggiora ed
è costretto ad accettare l’incarico di amministratore della Garfagnana (1522-25), dove dimostrerà di eccelse
doti politiche. La sua frustrazione per la condizione si può leggere nelle satire, composte tra il 1517 e il 1525.
Finalmente torna a Ferrara dove può godere della tanto bramata libertà intellettuale e soddisfare la sua
indole pacifica e buona fino alla sua morte nel 1532.

Satire

Il termine satira deriva dal latino satura lanx (=piatto pieno, carico, ricco di primizie per gli dei), è un genere
letterario interamente latino e soprattutto misto sia nello stile che nel contenuto. Nella letteratura latina la
satira aveva due volti: satira sociale e politica, o satira di costume (critica di comportamenti privati). L’opera
mostra una notevole ispirazione ai Sermones (o satire) di Orazio, conversazioni scherzose che partono da
spunti quotidiani. La satira nasce come un racconto di sé e della sua personalità, descritta come una
conversazione immaginaria con il dedicatario. Scrive in terzine dantesche di endecasillabi con rime
incatenate, perché? Per avere una lettura più fluida e veloce, per ottenere quella colloquialità che è di fatto
obbiettivo del poeta. Prende come modello Dante sia nella metrica che nello stile, possiamo infatti notare un
pluristilismo alla massima potenza, il mix di stili si ha anche a distanza di poche parole (tipico umanista,
rappresenta poliedricità nello stile). Si nota una grandissima ironia, più intesa come autoironia, simbolo di
intelligenza. Il tema principale delle satire (sono 7) è l’analisi della sua vita da cortigiano, della sua
insoddisfazione e della poca libertà che la sua vita gli concede.
Contenuti delle satire:

1. Al fratello Alessandro e Ludovico da Bagnoregio; tratta della separazione dal Cardinale Ippolito,
Ariosto ci spiega i motivi per cui non lo vuole seguire in Ungheria, che sono motivi sia comici (salute
cagionevole, clima, cibo eccetera), ma anche motivi più profondi, una riflessione sul suo status da
cortigiano e di come si senta limitato. (apostrofe alle muse, non può esprimere la sua libertà, libertà
che infondo è l’essenza stessa della letteratura)
2. Al fratello Galasso; chiede di procurargli una sistemazione a Roma per un viaggio diplomatico, con
poi una polemica alla curia papale. Già sappiamo di una prima ambasciata alla curia papale non finita
molto bene (il papa lo voleva far buttare a mare)
3. Al cugino Annibale Malaguzzi; racconta al cugino della sua nuova vita ai servizi del duca Alfonso I e
di come sia più dura della precedente, sottolinea il bisogno e la ricerca di libertà
4. Al cugino Sigismondo Malaguzzi; scritta nel periodo in cui amministra la Garfagnana (1522-25),
racconta delle sue difficoltà e si rammarica per la mancata libertà (satira amara)
5. Ad Annibale Malaguzzi; tema completamente diverso, in occasione delle nozze del cugino, che
Ariosto definisce un “grande guaio”. È un elenco di pro e contro, con una nota misogina
6. A Pietro Bembo (caro amico); chiede aiuto all’amico per trovare un maestro precettore di greco per il
figlio Virginio. Si rammarica di non aver studiato il greco, essenziale da conoscere, ed esalta il valore
dell’istruzione umanistica, che crea i cittadini migliori.
7. A Bonaventura Pistofilo (segretario del duca); spiega il perché ha rifiutato un’ambasciata a Roma dal
papa Clemente 7, la sua unica voglia è essere libero.

Orlando Furioso

Nascita ed edizioni

“L’Orlando Furioso è un poema che si rifiuta di cominciare e si rifiuta di finire”: così lo descrive Calvino: si
rifiuta di cominciare, perché è la continuazione di un altro poema epico, L’Orlando Innamorato, il gigante
della letteratura epico cavalleresca italiana fino a questo momento; si rifiuta di finire, perché Ariosto lavorerà
a quest’opera per gran parte della sua vita, gli ultimi 25 anni, e lo concluderà pochi mesi prima della morte,
veramente un poema che lo accompagnerà per tutta la vita. La prima notizia dell’esistenza di un poema
inedito risalgono al 1507, in una lettera scritta dalla sorella del cardinale Ippolito per ringraziarlo della lettura
in anteprima di alcuni canti. La presenza di un poema amato dalla corte è costante in varie lettere fino al
1516, quando venne pubblicata la prima edizione, in 40 canti, superando in breve tempo i due poemi epico
cavallereschi che detenevano un primato, Il Morgante e L’Orlando Innamorato. Di notevole rilevanza è
quest’ultimo, perché il poema di Ariosto non è altro che una gionta, un continuo del poema Boiardesco (sua
fortuna-sfortuna: così amato ma incompiuto, che molto hanno voluto continuarlo o riscriverlo, diventando
addirittura più noti dell’originale). Nel 1521 viene pubblicata una seconda edizione del poema, modificato
quasi solamente per quanto riguarda la lingua, che era troppo tendente al dialetto padano, visto sempre più
come rozzo ecc dagli umanisti. Per queste modifiche linguistiche si basa sul modello di Bembo (prose della
volgar lingua è del 25, ma Ariosto era un suo caro amico e le aveva conosciute “in anteprima”). La terza e
definitiva ristampa è del 1532, e stavolta il poema viene arricchito di 6 canti, ma non aggiunti alla fine bensì
intromessi nell’intreccio della trama, cambiando completamente la numerazione; inoltre, modifiche
linguistiche verso un modello più toscanizzante.

Fonti

Mondo classico latino (Virgilio, Ovidio, Catullo ecc.), anche il titolo denota un richiamo a una tragedia di
Seneca, Hercules Furens. Ma ancora, anche la letteratura italiana soprattutto Petrarca come modello per la
poesia d’amore. (Pio Rajina nell’800-900 scrive le fonti dell’Orlando furioso, cita tutti i possibili riferimenti)
Trama

Caratterizzato da una materia particolarmente articolata, la trama si può dividere in tre filoni narrativi
principali.

 Guerra tra cristiani e saraceni: è il tema principale, ricorrente in tutta la vicenda e in comune a tutti i
protagonisti, li avvicina tra loro; fino al canto 12 però fungeva solo da cornice, da lì in poi assume un
ruolo più serio e concreto
 Tema dell’innamoramento per Angelica e follia di Orlando: accomuna tutti i paladini ma li allontana
tutti tra di loro, ognuno in ricerca di qualcosa (la quest dei romanzi cortesi). La follia è strettamente
legata all’amore, in quanto causata da quest’ultimo, ed è sviluppato come tema verso la metà del
poema. (Ricerca disperata di qualcosa di irraggiungibile=follia= si svela al castello di Atlante)
 Tema di Ruggiero e Bradamante/ filone encomiastico: dall’amore tra Ruggiero (ex saraceno
convertito e battezzato, ma in realtà cristiano orfano e non lo sapeva) nascerà poi la famiglia degli
Estensi, lode alla famiglia.

Temi

Nel poema troviamo tutti i temi più vari possibili: parte dagli spunti lanciati nell’Orlando innamorato e li
sviluppa tutti, aggiungendone altri più originali. Li propone con varietà ed equilibrio (non c’è un tema
principale come non c’è un protagonista, titolo fuorviante). Anche ogni singolo tema è sviluppato in tutte le
forme: ex l’amore, è sia sentimento puro e generoso, ma anche passione, fino alla gelosia morbosa e folle.
Ancora, onore e fedeltà sono temi tipici dei poemi cavallereschi e molto apprezzati alla corte perché
considerati valori concreti (alla corte solo predicati, in quel mondo messi veramente in pratica>modello),
come anche l’elemento magico (molto amato dagli umanisti, ermetismo, verità misteriosa che non è
accessibile a tutti e va scoperta e ricercata). Infine, il tema della ricerca e della follia vanno di pari passo, e ci
danno un’indicazione della visione del mondo per Ariosto.

Visione del mondo/labirinto:

Per Ariosto la vita è un grande labirinto, nel quale ognuno è sempre alla ricerca di qualcosa (quest), ricerca
che però non porta a niente di concreto, solo alla consapevolezza della mancanza e quindi alla follia. Per
sopperire alla mancanza poi si fa affidamento sull’illusione, la finzione, il magico. Il tema del labirinto è
ricorrente in tutto il poema, anzi è intrinseco in esso, lo stesso poema è un labirinto al cui interno si aprono
altri labirinti. Fisicamente però questo palazzo di illusioni ci appare solo nel 12° canto, con il castello del
mago Atlante: è popolato di cercatori ma deserto di ciò che si cerca. Tutto il poema di Ariosto in realtà si
concentra sul binomio tra virtù e fortuna, perché quando la seconda ci colpisce, sta a noi e alla nostra virtù
trovare la soluzione, binomio che troviamo anche nella riflessione politica di Machiavelli.

Struttura

Ariosto perfeziona la tecnica dell’entrelacement, già usata in boiardo, per mantenere sempre viva l’attenzione
del lettore. Ma non è un intreccio disordinato, fuori controllo, bensì l’autore è un abile burattinaio fa muovere
i suoi personaggi senza che i loro fili rimangano ingarbugliati (ogni storia iniziata è sempre conclusa).
L’autore interviene più volte per riflettere sui comportamenti dei personaggi, spesso mostrati nei loro aspetti
più contraddittori; non si pone ai però come un saggio che giudica, ma come un esperto che ha attraversato
molte vicende dolorose e che quindi può analizzare con malinconica autoironia le vicende dei paladini.
Per quanto riguarda lo stile, Ariosto fa grande riferimento a Pietro Bembo, da cui prende il modello
linguistico perfezionato con le varie edizioni. Il metro usato è quello dell’ottava, un metro adattabile al
pluristilismo dell’opera, in quanto è anch’esso un metro “disordinato”, caratterizzato da una discontinuità di
ritmo interna (6 rime incatenate + 2 baciate)

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