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L’800 è stato il secolo d’oro del romanzo.

E’ il secolo di Manzoni, di Balzac, di Flaubert, di


Dostoevskij, di Tolstoj. E’ il secolo in cui il romanziere si fa interprete della sua realtà (o di un
passato attraverso cui leggere il tempo presente, come nel romanzo storico di Manzoni): la
guarda, la analizza, la interpreta, ha fiducia nel poter cambiare (o almeno nel poter
denunciare, senza un corrispondente riscatto sociale, gli aspetti più miserevoli, come in
Verga). Il romanzo è un genere che consente di descrivere i fatti e la psicologia dei
personaggi tramite un narratore onnisciente, che crea la trama e narra le azioni mettendole
in ordine, sistemando secondo una logica e un principio di causa-effetto, e commentando
con oggettività, senza filtri e inganni. Nel 900 emergono nuovi modi narrativi e stilistici, un
nuovo modo di scrivere romanzi. Le differenze stilistiche col romanzo dell’800 sono da
ricercarsi dapprima nel cambiamento culturale (decadentismo) avvenuto già alla fine
dell’800, quando si assiste a una crisi del positivismo e delle correnti letterarie del
naturalismo francese e del verismo italiano: alla rappresentazione dell’oggettività della
realtà, che va studiata e interpretata con sguardo scientifico per scoprire e analizzare la
società e i suoi problemi, subentra la rappresentazione di un mondo soggettivo, irrazionale,
relativo, che non può più essere osservato e descritto linearmente perché da esso
emergono spinte irrazionali, inconsce, soggettive, non comprensibili solo grazie allo sguardo
e non valide per tutti. Ciò emerge inizialmente in poesia, con Baudelaire e con i simbolisti,
che inventano nuovi modi di rappresentare la realtà, la quale è simbolica, misteriosa e va
decifrata. Il Piacere di D’Annunzio risente di tale clima generale ed è espressione, nei
contenuti, del decadentismo, della decadenza dei valori assoluti che reggevano la società
(→ Andrea Sperelli è un dandy decadente, privo di uno scopo vero nella vita, di alti valori, di
ideali puri al di fuori dell’ideale estetico), ma, dal punto di vista della forma, dello stile, è
ancora un romanzo ottocentesco, dove il narratore è attendibile, ciò che ci dice corrisponde
effettivamente a ciò che accade e lo stile che usa è classico, lineare, l’azione viene narrata
per come avviene (anche se la narrazione non segue perfettamente la cronologia) e la
psicologia del personaggio viene analizzata da un narratore che descrive e commenta gli
accadimenti.Il clima di decadenza, di perdita di fiducia dell’uomo nei valori assoluti, che in
D’Annunzio emerge dai contenuti, è influenzato non solo dai cambiamenti esteriori della
società (il progresso scientifico che si traduce in nuove tecnologie e nuovi modi di produrre,
il capitalismo e il materialismo che privano l’uomo della sua spiritualità, gettandolo in una
realtà fatta di cose, di beni da produrre, di macchine industriali che rendono l’uomo schiavo
del processo produttivo) ma dal cambiamento nel modo di pensare, di intendere l’esistenza.
Le teorie di Darwin sull’evoluzione della specie, pur essendo il frutto e simbolo del
positivismo (della ricerca scientifica che analizza l’uomo con sguardo oggettivo al di là dei
valori religiosi e dei saperi tradizionali) dà un colpo anch’essa alla fiducia dell’uomo nel
proprio mondo → proprio perché non è più un essere superiore tra gli altri esseri prescelto
da Dio, con uno scopo, bensì il discendente di un’altra specie animale in lotta con le altre
specie, l’uomo viene privato di quella centralità che aveva nella storia. La filosofia di
Schopenhauer e di Nietzsche fanno emergere una visione del mondo che è frutto di inganni,
di illusioni, dove la realtà non è oggettiva ma frutto del condizionamento di bugie che gli
uomini si raccontano → la realtà in sé è priva di senso, non ha un senso da ricercare
all’esterno bensì da scoprire in noi stessi (in Schopenhauer nel filosofo-asceta, in Nietzsche
nell’oltre-uomo). La filosofia di Bergson fa emergere una concezione del tempo che è
soggettiva, non calcolabile, dove il tempo non è come una collana di perle (dove gli attimi si
succedono separatamente e ordinatamente come perle lungo un filo lineare) ma come un
gomitolo che intreccia gli eventi in un flusso continuo, dove gli eventi, passati e presenti,
sono collegati tra loro secondo logiche non lineari ma che come un gomitolo vanno sciolte,
scoperte. Da Freud in poi, la mente umana non è più vista come qualcosa di lineare, di
palese, una mente che sa ciò che pensa e dice, una mente integra, bensì una mente scissa,
dove dietro alla parte conscia (ciò che crediamo di essere e di pensare) si nasconde una
parte inconscia, sede di tutte quelle pulsioni, pensieri e desideri che la società reprime e che
la mente conscia dimentica, ma che alla fine riemergono, generando problemi e addirittura
nevrosi, psicosi. La prima guerra mondiale, infine, cancella per sempre i rimasugli
dell’ottimismo che si respirava nella belle epoque, mostrando agli uomini ciò che è la realtà
nei suoi aspetti tragici, crudeli, bassi, nella sua miseria. La Grande Guerra non è ancora la
“prima” guerra mondiale: è ciò che di più terribile l’uomo moderno ha conosciuto fino ad
allora. Questo è il mondo (e il modo di vedere e intendere il mondo) di uno scrittore del 900:
un mondo contraddittorio, dove il male prende il sopravvento sul bene e l’irrazionale sul
razionale, dove creder in Dio e nelle nuove divinità che lo hanno sostituito (la fede nel
progresso e nella scienza del positivismo) non è più possibile e dove non basta votarsi alla
fratellanza-uguaglianza tra gli uomini (ideali illuministici) o all’amore per la patria (ideali del
Risorgimento), perché il nazionalismo, l’imperialismo e la guerra hanno distrutto quelle
stesse aspirazioni ideali. Un mondo dove nemmeno affidarsi alla propria mente può salvare,
poiché la mente non è solo conscia, ma è soprattutto inconscia e ciò che si crede di sapere
e pensare cela in realtà un mondo represso, irrazionale, sommerso, di cui la mente conscia
è solo la punta dell’iceberg. Il mondo non può più essere rappresentato nella sua linearità,
ha bisogno di nuovi modi di espressione, che si traducono in nuovi contenuti che
rispecchiano la contraddittorietà del reale e di nuovi stili che possano esprimere tale
contraddittorietà anche nella forma. È in tale prospettiva e in tale contesto che consideriamo
scrittori del primo novecento come Proust, Kafka, Joyce, Pirandello e Svevo.

LETTERATURA 900
Militaria prima novecentesca cominciano a fermarsi scritture di un'economia più moderna
che comporta la sostituzione di un proletariato cittadino che si avvia a diventare una forza
sociale organizzata e consapevole. l'abbandono delle Campagne porta a un emigrazione
aggravando la questione meridionale. l'illusione di questi problemi porta una politica
coloniale cioè alla conquista della Libia che illude di poter risolvere il problema alla grave
situazione economica. con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale andrò andò in crisi il mito
positivista dello sviluppo scientifico considerato come un fattore sicuro del Progresso punto
con la teoria della relatività di Albert Einstein dimostra che anche le scienze così dette Datte
sono presupposti convenzionali relativi e trade fece nascere la teoria dell'inconscio andando
contro le vecchie concezioni psichiatriche. Sì basta quindi dalla Concezione della realtà
come è fatto gestivo ha una diversa percezione della complessità del reale dove entrano in
gioco elementi molteplici relativi e contraddittori irriducibile ha una visione schematica e
quantitativa dell'esistenza. il bisogno di trasformare radicalmente la culturale letteratura
italiana è ampiamente diffuso presso la più giovane generazione di intellettuali soprattutto a
Firenze che il loro scopo era di promuovere il miglioramento e la trasformazione nella
società. hanno forti tendenze antiborghese e antisocialisti che che esaltano la macchina che
si trasforma nella propaganda a favore della guerra. con il termine avanguardia si indica la
pasticche di Soldati che fa la scoperta ma nell'800 in senso purifica indica i gruppi che si
ponevano a capo di movimenti rivoluzionari nel campo letterario e artistico Infatti questi
gruppi si propongono In primo luogo compiti di rottura rifiutando non so la tradizione e
cultura del passato ma anche gli stessi canali della comunicazione artistica corrente. in Italia
la prima della Pan guardi storiche è il Futurismo che si diffuse presto in Europa e nel mondo.
Nel manifesto del Futurismo pubblicato sul quotidiano Parigino le figarò del 1909 Filippo
Tommaso Marinetti fa una rivolta contro la cultura del passato i suoi valori aprendo una
visione del mondo futurista basata sulla velocità il dinamismo lo sfrenato attivismo come
distintivi della Moderna realtà industriale chi ha i suoi emblema nel mito della macchina.
respinge ogni forma esistente di organizzazione politica e sindacale rifiuta il
parlamentarismo e socialismo il femminismo perché secondo lui si deve avere si deve
arrivare individualismo assoluto è gratuito dove lo stesso uomo può ridursi a un essere
meccanico e dinamico. Marinetti è nato ad Alessandria d'Egitto nel 1876 era di formazione
cosmopolita a diretto contatto con l'età della cultura parigina. prese parte alla prima guerra
mondiale e tu fa' favorevole all'avvento del Fascismo in cui si illude di vedere realizzate le
sue idee rivoluzionarie muffin invece per trasformarsi nel étoilée del regime.
MANIFESTO DEL FUTURISMO
ha un ha un significato dove fu Futur ovvero l'opposizione per la mentalità del passato con i
suoi valori morali politici artistico-culturali la loro critica per la cultura imbalsamata che
coincide con la morte mentre deve essere la vita che deve cercare il movimento un'azione
sempre più energetica frenetica e spavalda. In questo testo Si può osservare il passaggio
dal piano culturale a quello ginnico sportivo fino aggressività e alla violenza. sia
rovesciamento dei canoni tradizionali dall'ammirazione delle opere antiche si passa
un'estetica della velocità celebrando la bellezza della macchina che propone di interpretare i
segni della modernità punto auspica l'avvento di una suggestiva rappresentazione ricca di
immagini analogiche della città e del mondo industriale punto lo stesso linguaggio del
Manifesto tende a risolversi nell'azione attraverso la concitazione espressiva l'uso di uno
stile scandito energico che trova espressione nei futuri e né gli imperativi.
MANIFESTO TECNICO FUTURISMO
Marinetti in questo testo rappresenta un punto di vista tecnico i procedimenti su cui intende
basarsi il nuovo letteratura futurista punto ha come presupposto la distruzione della sintassi
trasmettendo la ricezione della stessa comunicazione letteraria attraverso l'articolazione
logica del pensiero. l'uso del verbo all'infinito per comunicare il senso della durata punto
l'eliminazione della aggettive dell'avverbio con la sola indicazione del sostantivo che esalta
la consistenza materiale delle cose accentuando le componenti meccaniche dell'esistenza
punto dalla distruzione della sintassi si giunge a teorizzare le parole di libertà .Che rendono
possibili il trionfo dell'immaginazione senza fili punto Marinetti intende dare voce consistenza
non la psicologia dell'uomo ma la realtà della materia nelle sue risonanze profonde ed è per
questo motivo che utilizza molte sinestesie dal momento che le sensazioni per il loro
movimento e la loro mutevolezza attendono a confonderti a compenetrarsi e trasformarsi di
lune nelle altre.
LIRICA
La lirica del primo Novecento esprime un'esigenza di Rinnovamento in seguito la crisi della
Cultura positivistica e allo esaurisce delle forme della letteratura tradizionale. il romanzo oltre
a subire propone trasformazioni diventa un genere poco praticato se si accenta la
produzione di opere di facile consumo alla prosa narrativa e giovani scrittori preferisco una
prosa lirica che si ispira ai fumetti di Baudelaire dei simbolisti che vengono ispirati a punto
dal frammento della composizione che cerca di suggerire impressioni simili a quelle della
poesia. La definizione di poeti crepuscolari e risale al recensione pubblicata 1909 sulla
stampa di Giuseppe Antonio Borgese che parla di una voce crepuscolare la voce di una
gloriosa poesia che si spegne. questi poeti rappresentano l'esaurirsi di un'intera tradizione
che aveva annoverato fra gli ultimi prestigiosi esponenti Carducci e D'Annunzio. ai contenuti
aulici sublimi di questa tradizione espressi in forma storicamente complesse lavorate i
crepuscolari contrappongono l'amore per le piccole cose con le atmosfere più grigi comuni
della vita quotidiana revocata attraverso un linguaggio dimesso e tendenzialmente vicino al
parlato . butano la concezione significato della poesia che non ha più messaggi eccezionali
da proporre Ma si mimetizza nel opacità dell'esistenza Borghese presentandosi come
esperienza minore se non addirittura inutili i modelli di questa tendenza vanno cercati in un
certo simbolismo intimista introverso diffuso soprattutto in Francia in Belgio. i crepuscolari
quindi interpretare in maniera diversa la crisi dei valori poetici del mondo Borghese.
Insieme alle Avanguardie, in Italia si diffuse un movimento letterario – diversissimo rispetto
al Futurismo – che gli storici della letteratura definiscono “Crepuscolari”. Il termine fu
utilizzato per definire la loro poesia malinconica, rinunciataria e di disagio. I crepuscolari
però ebbero il merito di resistere contro l'aggressiva propaganda dannunziana e futurista.
Dinanzi alla realtà minacciosa e aggressiva loro si rifugiarono nella propria anima.
Opponendosi ancora una volta a D’Annunzio, il loro stile era prosaico e colloquiale; in
qualche cosa richiamano la poesia di Montale.

IL PALOMBARO
è una poesia visiva di Corrado Govoni ed appartiene alla raccolta Rarefazioni e parole in
libertà (1915).
uno degli esempi più noti delle «tavole parolibere» di Govoni, che, pur ricollegandosi al
Futurismo (basato sulle parole in libertà e il verso libero), si differenzia per la maniera
inconfondibile del tratto e del segno. Se quello di Marinetti e dei seguaci futuristi è uno
stile scattante, aggressivo e dinamico, quello di Govoni è invece un disegno infantile
accompagnato da una scrittura altrettanto infantile, che fanno parte della sua
formazione crepuscolare.

Il termine "rarefazioni", che compare nel titolo della raccolta, costituisce la spia
indicativa di una poetica ancora attenta alla staticità di atmosfere sospese e un po'
evanescenti.

Si tratta di una poesia visiva, ciò vuol dire che è costituita da disegni e da didascalie
associate a ciascun disegno. Il testo non avrebbe alcun senso senza la parte raffigurata e
viceversa. Questo stile è coerente con la poetica futurista, perché i futuristi basano la loro
poetica sulle parole in libertà e il verso libero, mentre in questa poesia l'autore fa uso di
punti tipografici differenti, elimina i verbi, la punteggiatura, le congiunzioni e dispone il
testo e le raffigurazioni in modo totalmente libero.
I disegni di oggetti domestici e familiari offrono all'autore lo spunto per didascalie, che,
interpretando i particolari in senso analogico (si leggano le diverse definizioni del
«palombaro», a destra della figura), ne offrono anche interpretazioni ironiche o
degradanti (le «ostriche» diventano «cofani di sputi e di perle»). Da notare come le
parole e i disegni siano disposti in modo ondulante, per ricreare la sensazione di essere
in un fondale marino.

Certamente la figura centrale della composizione è il palombaro, arricchito di aggettivi


ben definiti: dapprima sono buoni (spauracchio, burattino, acrobata profondo) e poi
diventano ostili (becchino mascherato, assassino ermetico, boia sottomarino).

Dalla radice etimologica stessa della parola si può dedurre qualcosa: palombarius, lo
sparviero (= uccello rapace). Il palombaro e lo sparviero sono accomunati
dall'immagine di chi si precipita o s'immerge per raggiungere la preda. È uno
spauracchio perché è fonte di terrore assiduo e sempre incombente; è uomo pneumatico
perché lo scafandro del palombaro è colmo d'aria; assassino ermetico perché lo stesso è
chiuso ermeticamente; è boia sottomarino perché con un'accetta sembra un boia!

Ma è davvero così? "Il Palombaro" allude ad altro: non è esclusivamente un uomo in


mezzo ad un oceano limitato da creature marine viventi. È ben altro...
"Il Palombaro" è come la poesia stessa: egli rappresenta tutta la produzione letteraria
delle parolibere, che minacciosamente si immergono nel panorama letterario mondiale.
Queste rinnegano tutta la produzione poetica antecedente, da Omero a D'Annunzio. Con
le "tavole parolibere" si pensa di portare progresso attraverso la consapevolezza che la
poesia in versi non abbia più alcuna utilità (pneumatico, cioè cosciente di se stesso, del
suo obiettivo). Questo "uomo pneumatico" è visto da tutto il campo poetico come un
assassino (perché fa massacro di tutta la letteratura precedente), ermetico (perché è
denso di espressioni analogiche e simboliche, non sempre di facile interpretazione,
quindi enigmatico, strano, alieno).
Figure retoriche
Analogia = ombrello mendicante. Il riferimento va alla forma a ombrello della medusa.

Metafora = primavera metallizzata dei coralli. Il riferimento va ai rametti di corallo, forse


per il loro colore o per la loro apparente immobilità.

Analogia = attinia. All'autore ricorda un ceppo, cioè la base del fusto dell'albero,
insanguinato, perché di colore rossastro.

Analogia = oloturia. Esso è un cetriolo di mare e lo definisce un "sacco verminoso di


cenciaiuolo".
Analogia = lenza. Il riferimento va al cordone ombelicale, il collegamento tra mamma e
bambino. In questo caso è il collegamento fra il palombaro e la superficie del mare.

Commento
"Il palombaro" descrive l'immersione di un palombaro nel fondale marino.

La poesia visiva potrebbe apparire, a chi la guarda con occhio poco attento, un testo per
bambini. In realtà è proprio il contrario: il messaggio contenuto in questo tipo di poesia è
criptico ed enigmatico... si può provare a darle un senso, ma si tratterebbero solo di una
personale interpretazione.

Ad esempio, viene nominato il «sottomarino» e sappiamo che la poesia è stata scritta nel
1915. Siamo nel pieno della 1° Guerra Mondiale: i tedeschi guidati da Hindenburg
avviano il blocco navale contro la Gran Bretagna, dando inizio alla guerra sottomarina
indiscriminata. Ecco perché era cara a Govoni la scena del Palombaro/Sparviero.
Probabilmente voleva denunciare gli atti compiuti nei Mari del Nord sia dall'Asse che
dagli alleati; e a gran voce Govoni propaganda nel suo stile una pace senza indennità né
annessioni.
Palombaro potrebbe essere lo straniero che terrorizza, tiranneggia, saccheggia,
massacra. E viene definito dall'autore: spauracchio, becchino ruba-cadaveri, uomo
pneumatico, assassino ermetico. Il palombaro è colui che distrugge indistintamente tutto
ciò che è bello e inquietante, che depreda, che decapita. È il portatore del caos.
Sergio Corazzini – Bando 1906

Il crepuscolarismo di Corazzini, che adotta il verso libero e si mostra sensibile alla lezione
simbolista, ha anche un forte valore di proposta esistenziale; il poeta si presenta come un
fanciullo malato, fino a negare, paradossalmente, il significato di poesia alla sua povera scrittura
dell'anima. La sua poesia è focalizzata su "piccole cose", dietro le quali non emergono valori
segreti, ma si nasconde il vuoto, tipico dei poeti crepuscolari tra i quali Corazzini fu annoverato. I
suoi versi esprimono da un lato un malinconico desiderio per quella vita che la malattia gli
negava, dall'altro un nostalgico ritrarsi dall'esistenza presente, proprio perché avara di
prospettive future.
Nelle poesie di Corazzini si possono cogliere due momenti: quello del povero poeta sentimentale
che racconta la propria malinconia con un linguaggio semplice e dimesso e quello del poeta
ironico che adotta un linguaggio meno trasparente, più polisemico, a volte addirittura simbolico.

UNGARETTI

Giuseppe Ungaretti è uno dei maggiori poeti italiani del Novecento. La sua prima raccolta poetica
fu Porto sepolto – scritta nel 1916 durante la guerra – che poi andò a confluire nella raccolta
Allegria: il porto rappresentava l’ancora di salvezza, la vita, ma era sepolto dalla morte e dalla
guerra e per questo diventava soltanto un miraggio. Nel 1919 Ungaretti scrisse la raccolta
Allegria di naufragi; il titolo rappresenta un ossimoro, cioè l’accostamento di due termini
contrapposti, come la vita e la morte. Proprio mentre la morte sembrava vicina e incombente,
come in guerra, veniva fuori il grande valore della vita: più è vicina la morte e più si è attaccati
alla vita, come ne La Quiete dopo la tempesta di Leopardi. Porto sepolto e Allegria di naufragi,
insieme ad altre poesie, confluirono nella raccolta poetica dal titolo Allegria. In questa raccolta
sono presenti tutte le grandi novità poetiche novecentesche, sia dal punto di vista metrico sia
linguistico. Prima della composizione di Allegria di naufragi, Ungaretti infatti fu fortemente
influenzato dalle avanguardie, conosciute soprattutto nel suo lungo soggiorno a Parigi. Le
avanguardie ebbero il merito di travolgere e di svecchiare profondamente la cultura tradizionale
europea, portando innumerevoli innovazioni. Ungaretti fu soprattutto influenzato dal Futurismo e
dal Surrealismo francese e da questi trasse alcune novità poetiche come ad esempio: 1) i versi
divennero molto brevi e alle volte furono addirittura formati da una sola parola; 2) le parole furono
scelte per la loro carica evocativa e per il loro suono; attraverso il filtro della memoria, le parole
dovevano rendere facilmente l’idea del sentimento che volevano trasmettere; 3) la punteggiatura
– in questa prima raccolta – non fu utilizzata: il compito di comunicare era riservato soltanto alla
parola; 4) i termini e i concetti lontani tra di loro furono collegati tramite delle analogie; 5) il verso,
la strofa e la rima furono abolite; 6) la sintassi fu distrutta e l'aggettivo – inteso come un inutile
ornamento – fu ridotto al minimo. In Allegria di naufragi il tema principale è la tragica condizione
del soldato e della vita di trincea che diventano simbolo dell’intera umanità: non è soltanto il
soldato che si sente fragile e precario come una foglia in autunno – cioè che sta per cadere da
un momento all’altro – ma l’intero genere umano. Per questo motivo vita e morte nella poesia di
Ungaretti sono sempre accostati, così come accade nel titolo stesso, Allegria di naufragi:
l’allegria rappresenta la vita, il naufragio invece rappresenta la morte. Per resistere a questo
sentimento di precarietà, lui propone una fratellanza che accomuna tutti gli essere umani, con un
destino uguale. Un'altra caratteristica importante della poesia di Ungaretti è la brevità e
l'essenzialità che pongono la sua poesia distantissima dallo stile dannunziano, lungo e
magniloquente. Simbolo della brevità di Ungaretti – e di tutta la poesia del Novecento – è la
poesia Mattina (M’illumino d’immenso). In questa poesia il poeta mette in risalto soltanto l’alba, il
mattino e la vita... l’allegria insomma. Come lui stesso dice è la guerra ad avergli insegnato la
brevità, “perché in guerra non c’era tempo” nemmeno di pensare: in guerra dovevi essere veloce
e dovevi dire tante cose con poche parole. La seconda opera di Ungaretti, Il Sentimento del
tempo, fu pubblicata per la prima volta nel 1933, ma anche questa, come tutte le altre, fu
ripubblicata con aggiunte e modifiche. Sebbene di grande rilievo, Il Sentimento del tempo è un
po’ meno innovativa. Adesso la guerra era più lontana e quindi i ricordi si fecero più vaghi e più
letterari. Il linguaggio torna ad essere un po' più tradizionale e si inserisce in quella corrente
letteraria che gli storici della letteratura chiamano Ermetismo. I poeti ermetici non descrivono
eventi e sentimenti, ma li evocano attraverso la forza delle parole. Con questa raccolta Ungaretti
si ricollega alla grande tradizione poetica italiana, da Petrarca a Leopardi. Dopo l’Allegria – opera
nella quale Ungaretti aveva rotto in maniera nettissima con la tradizione poetica italiana – nel
Sentimento del tempo comincia la fase della ricostruzione e infatti tornano le forme metriche
tradizionali, ritorna la punteggiatura, il verso e la rima. Anche il linguaggio è diverso: è più
classico e più difficile. Il poeta si limita a evocare, mai a descrivere; per questo gli ermetici hanno
visto in Ungaretti una sorta di precursore. La guerra ormai è un lontano ricordo e le avanguardie
hanno finito la loro fase propositiva; di conseguenza la poesia europea – dopo la grande tragedia
della Prima guerra mondiale – vuole ricostruire e non più rompere e si diffonde una tendenza che
alcuni storici della letteratura – ma soprattutto dell’arte – hanno chiamato “Ritorno all’ordine”.
Dopo la rottura, il disordine e le innovazioni, c’è un bisogno esistenziale di ordine. È un nuovo
ritorno all’arte classica. Anche l’ambientazione è diversa: non più la trincea, ma un immaginario
mitologico e sognato. Questo percorso di ritorno alla struttura tradizionale della poesia si compie
del tutto con l’ultima opera di Ungaretti, Il dolore, inspirata alla tragica morte del figlio di nove
anni. In questa raccolta si mescola il dolore personale al dolore universale, anche per via della
seconda guerra mondiale. In questa opera tornano tutte le forme metriche della grande
tradizione letteraria italiana, dal verso, alla strofa, dalla rima. In quest'opera Ungaretti mostra di
avere una visione nobile e alta della poesia e del suo grande valore morale. La poesia serve a
conoscere la condizione dell’uomo, che non può essere conosciuta con la ragione.

DA ALLEGRIA

SOLDATI

Bosco di Courton, luglio 1918

1. Noi stiamo (= soldati, ma anche in generale tutti gli esseri umani) come

2. In autunno

3. Sui rami degli alberi

4. Stanno le foglie in attesa di cadere


Noi tutti (=soldati, ma anche in generale tutti gli esseri umani) qui in trincea ci
sentiamo come in autunno sui rami degli alberi si sentono le foglie in attesa di
cadere.

La guerra nel Carso è fonte di grande ispirazione per Ungaretti, il quale scrive in
trincea diverse poesie, prima apparse sulla rivista «Lacerba» nel 1915 e poi
pubblicate, nel dicembre 1916, nella raccolta Il porto sepolto: il diario dal fronte. A
queste poesie se ne aggiungono altre, confluite prima nella raccolta Allegria di
naufragi del 1919, poi nell’edizione dell’Allegria del 1931 e, con altre varianti, in
quella definitiva del 1942.

Il titolo Il porto sepolto nasce da un ricordo dell’infanzia del poeta vissuta ad


Alessandra d’Egitto: la notizia di un «porto sommerso» in fondo al mare dalla sabbia
del deserto, di un’era anteriore alla fondazione della città e di cui si è persa la
memoria. Un porto sepolto che è anche, in qualche modo, simbolo del mistero
dell’esistenza. La vita, infatti, è un mistero così difficile da decodificare che, anche in
mezzo alla morte e alla distruzione portata dalla guerra può nascere un’illogica
vigoria, dalla quale deriva il titolo definitivo Allegria. Nonostante la maggior parte
delle liriche contenute nella raccolta facciano riferimento alla guerra e alla morte, il
titolo Allegria è giustificato, dunque, dal fatto che il sentimento d’allegria scaturisce
nell’attimo in cui l’uomo acquisisce la consapevolezza di essere riuscito a scampare
alla morte.

Originariamente, la lirica Soldati (che appartiene alla sezione dell’Allegria intitolata


Girovago) aveva per titolo il sostantivo Militari che, come quello poi scelto
definitivamente, risultava essere parte integrante del testo e un ausilio indispensabile
per comprendere il significato stesso della poesia.

Il poeta “racconta” la condizione dei soldati, paragonandoli alle foglie degli alberi in
autunno. Le parole-chiave della lirica sono proprio «autunno» (v. 2) e «foglie» (v.4).
L’analogia nasce dalla somiglianza che s’instaura fra la fragilità delle foglie
d’autunno, destinate inesorabilmente a cadere e ad essere spazzate via dal vento, e
la precarietà della condizione dei soldati al fronte che, in qualsiasi momento,
possono cadere a terra per un colpo di arma da fuoco. Il poeta ricorre spesso nelle
sue liriche all’artificio retorico dell’analogia per sovrapporre in maniera immediata
immagini che sono in apparenza molto distanti fra loro, fondendole senza ricorrere
all’utilizzo di passaggi logici espliciti.

Ungaretti racconta con pochissime parole, ma in maniera molto esplicita l’incertezza


e la precarietà della vita dei soldati al fronte. La brevità dei versi e l’assenza quasi
totale di punteggiatura, come in tutte le liriche dell’Allegria, consente al poeta di
acquisire piena consapevolezza di ciò che sente e di riportare al lettore soltanto le
parole scavate di cui parla in Commiato1: i termini che vincono il silenzio e
assumono una rilevanza fondamentale, permettendo di far emergere ciò che è
nascosto.

Il poeta associa, dunque, la vita umana e le foglie, come avevano già fatto in
passato autori come Omero (nell’Iliade) e Virgilio e come si era già verificato nella
Bibbia.

La condizione dei soldati al fronte è particolarmente difficile, sia dal punto di vista
fisico che da quello psicologico. Sono uomini fragili (come le foglie) perché sono
lontani dai propri affetti più cari e costretti a rischiare la propria vita, oltre che a
vedere ogni giorno immagini funeree negli occhi dei propri compagni. Tuttavia,
Ungaretti sembra dirci che non è necessario essere soldati per vivere una situazione
di precarietà: la riflessione pare universalizzarsi perché i soldati potrebbero essere
tutti gli uomini e la guerra, in un certo qual senso, potrebbe rappresentare la vita
stessa che è assurda, come ogni conflitto, perché contrassegnata dalla
consapevolezza della finitudine. A riprova di ciò, notiamo l’utilizzo della forma
impersonale «Si sta» (v. 1) che rende la situazione universale, in quanto tutti
abbiamo un equilibrio precario e su ognuno di noi aleggia la presenza della morte.

La precarietà è ben esplicitata attraverso il ricorso all’enjambement dei primi due


versi che crea un effetto di sospensione e trasmette un’immagine che si discosta
molto dalla stabilità.

Ungaretti che, come ci suggerisce all’inizio della lirica, sta svolgendo il suo ruolo
come soldato in trincea nel bosco di Courton (in Francia) vuole raccontare, dunque,
al lettore la tragedia della guerra e la precarietà della stessa condizione umana.
FRATELLI

La poesia Fratelli in origine si intitolava Soldati (sia nella raccolta Porto sepolto del 1916, sia in
Allegria del 1919), nel corso degli anni fu rimaneggiata più volte fino alla stesura definitiva
nell’edizione del 1942 dell’Allegria.

Verte su uno dei temi fondamentali del primo Ungaretti: la "fraternità degli uomini nella
sofferenza", nel caso specifico è la fraterna solidarietà che lega i soldati nella condizione di
fragilità imposta dalla guerra. Gli uomini legati dal comune destino di morte si uniscono nel
comune sentimento di precarietà non solo legato alla situazione contingente ma riferito anche
alla condizione umana nel suo complesso. La solidarietà rappresenta l’istintiva reazione
(involontaria rivolta) alla constatazione della precarietà umana.

Metrica:

Cinque strofe di versi liberi. Non essendovi che un solo verbo (siete al v.1) la centralità viene
assunta da sostantivi e aggettivi che si affiancano l’uno all’altro.

Dal punto di vista stilistico, Ungaretti rende il linguaggio estremamente suggestivo attraverso
l’uso di termini essenziali ed immediati. Poche parole scarne e crude e un termine che scandisce
tutta la lirica : fratelli, ripetuta all’inizio e alla fine della lirica.

Spazi bianchi, scomposizione dei versi e pause servono a dare rilievo al valore delle poche e
scarne parole utilizzate.

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