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LEZIONE 9.

La critica militante del dopoguerra

La critica militante nel dopoguerra: La storia della critica militante è una storia di autori, di riviste, delle
poetiche e dei movimenti letterari. Molto spesso alle generazioni poetiche corrispondono altrettante
generazioni critiche ( ad esempio la critica futurista).

La critica militante nel dopoguerra si contraddistingue soprattutto per l’impegno politico: abbraccia temi
ideologici, è vicina alle teorie estetiche marxiste di Sarte, con la sua idea di impegno sociale degli
intellettuali, caratterizzato da una scelta valoriale anziché da un’ esplicita adesione a un’ideologia politica, e
da Antonio Gramsci con la sua concezione di intellettuale integrale. In questa fase la critica discute di
poetiche che rispecchiano il rapporto tra letteratura e vita (pensiamo al realismo e al neorealismo).

L’impegno del critico: Dopo il 1945, con l’esperienza della guerra, della Resistenza e del crollo del
fascismo,il critico riflette sulla forma che l’impegno delle arti deve assumere.

Elio Vittorini fonda “Il Politecnico” (1945-47) la più importante rivista italiana del secondo dopoguerra,
sottolinea l’importanza che gli intellettuali abbiano un ruolo guida, come accadeva nella prima “Voce” di
Prezzolini in cui vi era anche una forma di richiesta sociale (in relazione alla scuola, al meridione, al
rapporto tra città e campagna).

Si diffonde in Italia il Neorealismo, che significa ritorno alla realtà e al popolo, mentre il prefisso neo
sottolinea l’eredità e allo stesso tempo la novità rispetto al realismo dell’800. Per i critici e per gli scrittori
del neorealismo era importante anche l’influenza esercitata dalla narrativa americana, diffusa in Italia
soprattutto da Pavese e Vittorini, secondo il quale era necessario aprirsi alle esperienze novecentesche
europei e americane.

Elio Vittorini. Vittorini propone anche delle riletture di opere del passato, ad esempio in “Diario pubblico”
attualizza le opere di Boccaccio e di Goldoni leggendole come commedie umane alla Balzac.

Secondo Vittorini la cultura doveva diventare operativa, pedagogica, non essere più consolatoria, inoltre
l’intellettuale era chiamato ad interagire con i problemi concreti. Mentre Togliatti, leader del Pci, auspicava
che la rivista seguisse la linea politica del partito, Vittorini rivendicava l’autonomia degli intellettuali rispetto
alle funzioni e al ruolo della politica.

Vittorini è un critico-editore che fare critici si serve soprattutto degli strumenti della promozione editoriale.
Vuole promuovere gli esordienti , vuole segnalare le novità, le nuove tendenza. Coltiva un vivo interesse
per gli scrittori americani più vivaci e più capaci di scuotere il romanzo dal realismo psicologico
ottocentesco e dall’intellettualismo. In questa direzione tra il 1940 e il 1941 realizza per l’editore Bompiani
la celebre antologia intitolata “Americana”, con le traduzioni di vari autori americani.

La raccolta di traduzioni fu bloccata dalla censura fascista che considerava inopportuno e antinazionale
l’entusiasmo per la cultura statunitense, ma venne pubblicata nel 1942 grazia ad una introduzione di Cecchi
che era priva delle note critiche e dei corsivi con cui Vittorini scandiva i diversi racconti.

Vittorini dirige “Il Politecnico” prima come settimanale e poi, dal 1946, come mensile. La sua idea è quella di
proporre una rivista che potesse unire intellettuali italiani di orientamento ideologico diverso in un
programma di rinnovamento culturale.
Ricordiamo che Vittorini, critico ed editore, rifiuta di pubblicare nei “Gettoni” “Il Gattopardo” di Giuseppe
Tomasi di Lampedusa destinato a un grande successo postumo con Feltrinelli. In realtà secondo Vittorini
l’opera era poco sperimentale per il pubblico. Dalla 1959 al 1966 Vittorini dirige insieme a Calvino “Il
Menabò della letteratura”, una rivista-collana strutturata per numeri monografici di sondaggio critico sui
temi della critica letteraria come il meridione, l’avanguardia, l’industria ecc. Sul “Menabò” Vittorini
interviene con brevi note e fulminei editoriali, uno stile nuovo, avanguardisti.

Il dopoguerra: le riviste

Vittorini dirige “Il Politecnico”, ma le riviste che furono create erano diverse ricordiamo ad esempio “Il
Verri”. Rivista letteraria fondata e diretta da Luciano Anceschi nel 1956, va ricordata perché ha contribuito a
sprovincializzare la cultura italiana, ha dato spazi a temi come il ruolo letterario della psicanalisi e della
filosofia, e ha posto attenzione ad autori come Beckett, Pound.. Nel 1959, dunque nei primi anni dello
sviluppo economico italiano, E. Vittorini e I. Calvino fondano “Il Menabò di letteratura” che dà spazio alle
questioni letterarie più discusse.

A partire dagli anni Sessanta, il modo di fare critica conosce varie declinazioni, in particolare si affermano
figure come quella del critico-scrittore, del critico-saggista, del critico-filosofo, del critico-poeta.

Il Politecnico. Il 19 settembre 1945 Elio Vittorini presentò al pubblico la sua nuova rivista. L’idea di una
cultura che sappia trasformare il mondo è in piena sintonia con l’ideologia marxista, ma Vittorini non si
chiude in recinto solo ideologico o partitico, rivolge invece un appassionato appello alle forze migliori della
società, perché si coalizzino e promuovano una nuova cultura: nuova perché capace di superare il livello
puramente consolatorio, nuova perché capace di reagire alle ingiustizie della società e proteggere l’uomo
dalle sofferenze. Vittorini chiamava a questo impegno culturale intellettuali di varia provenienza ideologica,
dagli idealisti, ai cattolici, ai comunisti.

La critica degli scrittori: La critica di uno scrittore o di un poeta è sempre collegata alla sua poetica
personale, dunque lo scrittore critico è anche sempre critico di sé stesso e il suo approccio critico è
strettamente legato alla sua opera creativa.

Ad esempio, la critica di Ungaretti è molto improntata sulla storicizzazione. La critica di Montale, militante
e giornalistica è più eterogenea, riflette infatti sulle poetiche dei simbolisti francesi, su scrittori inglesi e
americani, e su alcuni poeti italiani per confrontarli in modo più o meno esplicito con la sua opera. Un altro
critico-scrittore della seconda metà del Novecento è Tommaso Landolfi che si concentra su artisti russi e
francesi riflettendo, con un tono spesso polemico, sulle linee sperimentali della narrativa del 900. La critica
dei poeti negli anni centrali del Novecento è incentrata sulle teorie formaliste, semio-strutturaliste,
psicanalitiche, sociologiche ecc. In questi anni, infatti, la critica riflette molto sulla natura materiale e
simbolica del linguaggio letterario. Gli scrittori del primo Novecento –, ad esempio Kafka e Joyce – vengono
letti insieme a Saussure, Freud, Foucault, Benjamin ecc. studiosi che influenzano autori come Pasolini,
Zanzotto, Sanguineti, Eco, Calvino, Tabucchi.

La nuoca critica militante, dunque, non è solo ideologica, ma prende posizione nei confronti dello
strutturalismo e della sperimentazione dei nuovi linguaggi, delle forme letterarie e della rappresentazione
della realtà.

Lezione 10
Il pensiero narrativo: Percepire l’esperienza in forma di narrazione è un bisogno antropologico dell’uomo,
che coinvolge i suoi desideri e le sue aspirazioni più profonde. Raccontare storie è fondamentale per il
funzionamento della mente umana, poiché la maggior parte delle informazioni e delle conoscenza vengono
organizzate e presentate in strutture narrative dotate di una dimensione cronologica e di una dimensione
causale. L’uomo è un animale che racconta storie, riesce infatti ad abitare la realtà solo organizzandola
narrativamente , evidenzia lo studioso Gottschall.

La narratività: Il concetto di narratività è stato definito da diverse teorie, che ne hanno indagato l’aspetto
semantico, pragmatico ecc. Lo studio della narratività vuole rispondere alla domanda: che cos’è la
narrazione? Secondo Prince : La narratività può essere definita come la rappresentazione di avvenimenti e
situazioni reali o immaginari in una sequenza temporale.

Ma come funzionano le storie che creiamo, ascoltiamo o ci scambiamo? Come funzionano i romanzi? Cosa
ci lega ai personaggi. Negli anni 60 tali questioni sono diventate oggetto di studio di una disciplina
autonoma, la “narratologia”, che voleva indagare la logica interna del racconto.

E’ importante analizzare i testi percorrendo anche una linea storica, perché i campi di studio sono mutati
anche in relazione al fatto che accanto alla testualità tradizionale sono nate nuove forme di narrazione che
chiamano in causa sempre nuovi mezzi d’espressione. Le discipline analitiche, pur nella loro specificità,
hanno l’obiettivo comune di confrontarsi con il testo e riconoscere le caratteristiche interne, vale a dire
ricostruire la struttura.

Narratologia: definizione

Nel Dizionario di narratologia, G. Prince fornisce due definizioni di narratologia:

1. Teoria del racconto. La narratologia studia la natura, la forma, e il funzionamento del racconto e
cerca di descrivere la competenza narrativa. Più in particolare, essa esamina ciò che è comune a
tutti i racconti e ciò che li differenzia l’uno dall’altro, e cerca di spiegare la capacità di produrli e di
comprenderli. Il termine è stato proposto da Todorov.
2. Studio del racconto come modo verbale di rappresentare situazioni ed eventi ordinati
temporalmente. In questa accezione ristretta la narratologia non si cura del livello della storia in
quanto tale e si concentra invece sulle possibili relazioni fra storia e testo narrativo, fra NARRARE e
testo narrativo, e fra storia e narrare. Più specificamente, la narratologia studia i problemi del
tempo, del modo e della voce.

La narratologia – la disciplina che si occupa di studiare le forme e le strutture della narrazione- ha


cercato di individuare le regole della grammatica e della logica che guiderebbero il funzionamento del
discorso.

Cercando di spiegare che cos’è la narrazione i narratologi si sono concentarti di volta in volta sul ruolo
che in essa svolgono i personaggi, le vicende, le forme di mediazione attraverso le quali è presentata la
storia, i procedimenti formali che distinguono un racconto dalle altre forme di discorso, gli elementi che
compongono un racconto, che rapporto c’è tra tempo del racconto e tempo dell’evento, quali sono il
suo ritmo, la sua durata, e la sua frequenza, quali sono le funzioni del personaggio, del lettore.

LEZIONE 10 - 11
L’analisi testuale nasce con la rivoluzione linguistica iniziata con Ferdinand de Saussure e dalle correnti
filosofiche del 900. Alla base delle teorie narratologiche vi è la svolta linguistica di Saussure. Nel “Cours
de linguistique générale” (1916) Saussure definisce il segno linguistico – vale a dire ogni parola o
espressione linguistica – come costituito da significante e significato. Il significante è la sequenza dei
suoni che compongono la parola, mentre il significato è il concetto ad essa collegato.

Il formalismo: Le categorie proposte nel Cours di Saussure avranno un ruolo epistemologico molto
rilevante nella riflessione sviluppata dai formalisti russi. Per questi studiosi (Jakobson, Propp, Tynjanos
ecc.) la forma era il principio di organizzazione del testo letterario, il suo meccanismo.

La prospettiva formalista, per cui ogni elemento di un testo trova il suo statuto teorico nella funzione
che svolge, viene applicata a tutti gli aspetti del linguaggio e dei suoi usi. Gli studiosi del Circolo
linguistico di Mosca sviluppano nei primi decenni del 900 una teoria del linguaggio poetico e letterario
interamente fondata sull’organizzazione linguistica del testo. Introducendo in concetto di letterarietà,
Jakobson separa il retroterra storico-culturale dal testo, separa la letterarietà dai contenuti personali e
storico-culturali che nelle indagini storicistiche tradizionali oscurano gli aspetti linguistici dei testi. Più
precisamente, Jakobson ha capovolto la relazione tra contenuti e linguaggio, assegnando al linguaggio il
ruolo centrale nell’interpretazione del testo letterario. I formalisti concepiscono l’opera letteraria come
un sistema, in altri termini tutti gli elementi dell’opera, sono in correlazione tra lotoe agiscono gli uni
sugli altri. Secondo i formalisti ciò che contraddistingue i testi poetici, ciò che rende conto della natura
letteraria di un testo dipende dalle regole e dai principi che governano l’uso della lingua da parte del
parlante.

LEZIONE 11

Formalismo e strutturalismo linguistico

Il Formalismo – la scuola letteraria affermatasi in Russia tra 1914 e il 1915 e fiorita fino al 1930 – influì
notevolmente sulle correnti posteriori e particolarmente sullo Strutturalismo. Lo strutturalismo critico trova
il suo presupposto logico nello strutturalismo di Saussure. I formalisti considerano ciò che l’opera ha
specificamente letterario ( la letterarietà). I formalisti sono i primi a considerare l’arte e la letteratura come
il prodotto di una convenzione, influenzati dalle lezioni di Saussure con il suo Corso di linguistica generale. Il
formalismo osserva l’importanza saussuriana, analizza porzioni isolate di un’opera, mentre lo strutturalismo
mette in relazione tra loro diverse parti di un’opera.

Lo strutturalismo linguistico: ispirato all’opera di de Saussure, ha influenzato importanti scuole linguistiche


del XX secolo come ad esempio quella del circolo di Praga.

Saussure: non ha solo influenzato il formalismo, ma è considerato il padre della linguistica moderna e dello
strutturalismo di stampo europee.

La linguistica di Ferdinand de Saussure:

Sebbene Saussure non abbia mai usato ilo termine “struttura”, lo strutturalismo europeo si ispira
certamente ai suoi insegnamenti. Gli elementi chiave della linguistica saussuriana, che veranno poi ripresi
dallo strutturalismo sono: la distinzione tra langue e parole, li linguaggio come sistema, la definizione di
segno linguistico (costituito da significante e significato), l’arbitrarietà del linguaggio, la differenza tra
sincronia e diacronia nello studio della lingua.
Langue e parole: Saussure introduce la distinzione di langue e parole. La langue è l’aspetto sociale del
linguaggio, è un sistema comune a tutti, è l’insieme di convenzione necessarie adottare dal corpo sociale
per consentire l’esercizio della facoltà del linguaggio negli individui. La parole è l’atto linguistico individuale,
reso possibile dal fatto che emittente e ricevente condividono la langue. La langue è un “tesoro depositato
dalla pratica delle parole nei soggetti appartenenti a una stessa comunità”. La parole è la realizzazione del
segno linguistico, e l’esecuzione individuale di un atto linguistico. Il “circuito della parole”, coinvolge fatti
psichici, fisici, fisiologici.

La lingua come sistema : Per Saussure il linguaggio non è una semplice nomenclatura, non è una
corrispondenza naturale di parole e cose, ma un sistema complesso di segni considerati come parti
indipendenti di un insieme. La lingua è come un “sistema” in cui tutti gli elementi hanno un ruolo e sono in
relazione tra di loro per produrre senso. Secondo lo studioso, la lingua possiede una naturale struttura: i
segni non sono definiti dal loro rapporto con il mondo esterno (referente), ma in base al rapporto con gli
altri segni linguistici, come accade per i pezzi della scacchiera, la cui funzione è determinata dalla funzione
degli altri pezzi ( la metafora degli scacchi viene spesso usata da Saussure per spiegare le sue teorie ). Lo
strutturalismo linguistico teorizzato da Saussure ci aiuta a comprendere lo strutturalismo in quanto teoria
che si afferma in diverse scienza a partire dal primo 900. In base all’approccio strutturalista ogni oggetto di
studio costituisce una struttura, vale a dire un insieme organico i cui elementi non hanno valore autonomo
ma lo assumono nelle relazioni oppositive e distinte di ciascun elemento rispetto a gli altri elementi
dell’insieme. In particolare, nella critica letteraria lo strutturalismo considera soprattutto l’aspetto formale,
e la scompone in elementi e unità il cui valore è determinato dai rapporti con gli altri elementi dell’opera.

Il segno: Secondo Saussure il segno è come una relazione solidale tra due entità: un’espressione
(significato) e un contenuto (significato). Il piano dell’espressione (significante), che è presente, rinvia
un’entità assente (significato). Il segno linguistico è un’entità psichica a due facce che unisce un concetto e
un’immagine acustica. L’immagine acustica non è il suono materiale, ma è la traccia psichica di un suono,
mentre il concetto è astratto. Ad esempio, se leggiamo silenziosamente un libro, non emettiamo né
sentiamo nessun suona ma il “ricordo” (l’immagine) dei suoni che conosciamo in quanto suoni della nostra
lingua, ci sarà sufficiente per capire ciò che stiamo leggendo. Il significante è la forma fonica o grafica
utilizzata per richiamare l’immagine che, nella nostra mente, è associata a un determinato concetto o
significato. Un esempio: al semaforo il colore rosso è legato al significato “fermarsi”, mentre il verde
significa “avanzare”.

L’arbitrarietà del linguaggio: Contrariamente a una tradizione filosofica antichissima, che vede nel segno
linguistico un rimando motivato alla cosa cui fa riferimento, per Saussure il rapporto tra significante e
significato è convenzionale. La lingua unisce dei suoni a concetti senza che vi sia una motivazione intrinseca,
un aggancio naturale, dunque il sistema linguistico è arbitrario, come dimostra l’esistenza stessa di diverse
lingue: non c’è alcuna ragione perché in italiano si scelga la parola “sorella” per indicare un certo legame
familiare, mentre in inglese si dice “sister”. Le espressioni che una società eredita poggiano su un’abitudine
collettiva, su una convenzione. Anche i segni di cortesia, dotati di una certa espressività naturale, sono
fissati da una regola, ed è questa regola che costringe a impiegarli, non il valore intrinseco. L’arbitrarietà del
segno non viene messa in discussione da fenomeni linguistici come l’onomatopea, la figura retorica che
riproduce nel lessico i suoni linguistici di una determinata lingua. Le onomatopee, sono legate per la
maggior parte ai contesti culturali. Occorre precisare che “arbitrarietà” non vuol dire che il segno sia frutto
di una libera scelta del parlante, ma che esso è nato per convenzione, ovvero che il rapporto con il suo
significato è del tutto immotivato.
Prospettiva sincronica e prospettiva diacronica: Secondo Saussure la lingua possiede un aspetto stabile e
un aspetto evolutivo, che aprono la strada a due prospettive di studio: una linguistica sincronica e una
linguistica diacronica. La linguistica sincronica analizza la lingua in un dato momento storico, al contrario la
linguistica diacronica guarda alla lingua come una successione di trasformazioni avvenute nel corso dei
secoli. Quindi la linguistica diacronica studia gli aspetti evolutivi della lingua, i rapporti tra termici che, nel
tempo, si sostituiscono gli uni agli altri. La diacronia riguarda la parole che è appunto l’espressione dei
cambiamenti della lingua. La linguistica sincronica, fotografa la lingua in un determinato momento, si
concentra sullo stato delle lingua, sugli aspetti grammaticali, sui rapporti logici e psicologici tra termini
coesistenti che formano un sistema, e che la coscienza collettiva stessa percepisce come sistema.

Saussure si concentra sulla lingua come sistema dando priorità ad uno studio sincronico.

Analogamente a Saussure, i formalisti usano un approccio sincronico allo studio del testo artistico. Inoltre
come per Saussure è centrale il concetto di differenziazione ( gli elementi della lingua si caratterizzano per
la loro relazione oppositiva), anche i formalisti oppongono il linguaggio quotidiano al testo artistico: nel
linguaggio quotidiano le parole sono un semplice veicolo per esprimere idee o descrivere eventi e oggetti,
mentre nel linguaggio poetico vengono introdotti degli artifici che disturbano l’automatismo della
percezione, producendo quello che i formalisti definiscono “straniamento”.

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