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Johann Sebastian Bach

https://it.wikipedia.org/wiki/Johann_Sebastian_Bach

Lista delle Composizioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Lista delle composizioni di Johann Sebastian Bach (1685-1750), ordinate per numero di catalogo
secondo il Bach-Werke-Verzeichnis. Mancano dall'elenco le opere andate perdute o non giunte
sino a noi.

BWV 1-524 - Composizioni vocali

BWV 525-771 - Composizioni per organo

BWV 772-994 - Composizioni per clavicembalo

BWV 995-1013 - Composizioni per strumenti vari

BWV 1014-1040 - Musica da camera

BWV 1041-1071 - Composizioni per orchestra

BWV 1072-1080 - Composizioni contrappuntistiche

BWV 1081-1128 - Aggiunte recenti

BWV Anh. 1-212 - Appendice (Anhalt)

Bach Complet

https://www.youtube.com/watchv=EgTzZ-94CDc

https://www.youtube.com/watchv=hvw0A-ylgLI

https://www.youtube.com/watchv=ay7PlTx7rg8&list=PLtxzH2doMQ1nWiZLrmLpY-
aALD96JZ1pq

https://www.youtube.com/watchv=eZNJI9sheh0&list=PLr5RRQC6c-
2gOwHzEuOyD5qWEO8zIVKWz

Composizioni vocali
Cantate

Introduzione

https://www.youtube.com/watchv=3KdO6AwfY20

https://it.wikipedia.org/wiki/Cantate_di_Johann_Sebastian_Bach

Benché siano cantate, il termine cantata non venne usato estensivamente da Johann Sebastian
Bach, che spesso, nei manoscritti delle cantate sacre, scriveva solo la data di esecuzione relativa
al calendario liturgico. Il termine cantata venne utilizzato nella pubblicazione di queste opere a
partire dall'edizione curata dalla Bach-Gesellschaft.

Cantate sacre: BWV 1-200


Cantate profane: BWV 201-224

https://www.youtube.com/watchv=VyhXuTcw0ns

https://www.youtube.com/watchv=Qsp8uyB8L3g

https://www.youtube.com/watchv=ODjl6A3v6b0

https://www.youtube.com/watchv=2-1axuNyJD0

https://youtu.be/RhgVhSBKTSk

BWV 1 - Wie schön leuchtet der Morgenstern


https://www.youtube.com/watchv=7fNaMOtVUc4
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV1-Ita2.htm

BWV 2 - Ach Gott, vom Himmel sieh darein


https://www.youtube.com/watchv=W5aMSz3LPEE
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV2-Ita2.htm

BWV 3 - Ach Gott, wie manches Herzeleid


https://www.youtube.com/watchv=YXydugzKQcw
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV2-Ita4.htm

BWV 4 - Christ lag in Todesbanden


https://www.youtube.com/watchv=3ffg4mU7FNE
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata4-testo.html

Christ lag in Todesbanden (Cristo giaceva nel sudario), BWV 4

Cantata per soli, coro e orchestra


Testo: Martin Lutero
Occasione: per il giorno di Pasqua

Sinfonia (mi minore)


per archi e continuo
Christ lag in Todesbanden
Coro in mi minore per coro e tutti gli strumenti
Den Tod niemand zwingen kunnt
Duetto in mi minore per soprano, contralto, cornetto, trombone e continuo
Jesus Christus, Gottes Sohn
Aria in mi minore per tenore, violini e continuo
Es war ein wunderlicher Krieg
Coro in mi minore per coro e continuo
Hier ist das rechte Osterlamm
Aria in mi minore per basso, archi e continuo
So feiern wir das hohe Fest
Duetto in mi minore per soprano, tenore e continuo
Wir essen und leben wohl
Corale in mi minore per coro e tutti gli strumenti

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, cornetto, 3 tromboni, 2 violini, 2 viole,
continuo
Composizione: Arnstadt, 1707 (revisione 1724 - 1725)
Prima esecuzione: Arnstadt, St.Blasiuskirche, 24 aprile 1707
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1851

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Fin dalla seconda metà del Seicento il termine di "cantata" servì a definire un brano cantato
diviso in più parti e con accompagnamento strumentale. Ma, mentre nell'opera e nell'oratorio, gli
altri due importanti generi della composizione vocale del tempo, predominavano gli elementi
drammatici ed epici, la cantata assunse un aspetto meno aulico e fastoso e seguì una linea
espressiva più spiccatamente lirica. Se, come sembra ormai accertato, il madrigale e la
canzonetta diedero origine alla cantata italiana profana, specialmente nelle due forme di cantata
solista e duetto da camera, bisogna ricordare che alla base della cantata da chiesa tedesca c'erano
i mottetti concertanti e le elaborazioni concertanti di canti chiesastici. I primi prendevano
comunemente lo spunto da un versetto del Vangelo o delle Epistole, e talvolta anche da un
Salmo, cioè da un testo in prosa; le altre invece si valevano di un intero canto chiesastico. In
origine però le cantate non erano molto articolate e non avevano quella precisa rifinitura formale
che assunsero in seguito con il contributo e l'esperienza bachiana. In esse si alternavano le parole
della Bibbia, che costituivano il testo in prosa, agli squarci corali in cui venivano rielaborate
intonazioni liturgiche e melodie di canti chiesastici.

A Lipsia Bach compose cinque Annate complete di cantate sacre, ma a noi ne sono rimaste
appena duecento che si aggiungono alla trentina di cantate profane, che non differiscono molto
strumentalmente dalle prime, anche se il loro scopo era diverso ed era rivolto a festeggiare
matrimoni e occasioni liete e tristi di principi e personaggi illustri della società tedesca del
tempo. Una produzione estesa e di notevole impegno in cui, pur se a volte diverse composizioni
erano dettate da motivi contingenti e occasionali e dalla necessità di non perdere lo stipendio
annuo di settecento talleri (esclusi gli incerti saltuari), Bach rivela la sua originalità e la sua
genialità, insieme a quella profondità e sincerità interiore che gli derivava dalla sua tenace e
incondizionata fede nel pietismo.

La Cantata "Christ lag in Todesbanden" BWV4, detta anche "cantata per il primo giorno della
Pasqua", fu scritta tra il 1707 e il 1708, probabilmente a Weimar, utilizzando versi di un inno di
Lutero ricavato da una sequenza pasquale medioevale in lingua latina. La disposizione dei sette
pezzi è rigorosamente simmetrica e alterna un coro, un duetto, un'aria, un coro, un'aria, un duetto
e un coro, tutti conclusi con un Alleluja. La musica si basa su una melodia del dodicesimo secolo
e tutta la Cantata denuncia un tono schiettamente arcaico, pur nella varietà delle figurazioni
vocali. La sinfonia introduttiva ha un carattere solenne e grave, in una severa combinazione tra
l'arte contrappuntistica e il simbolismo barocco. Arioso e ben ritmato è il coro del Versus I,
secondo il gioco delle voci, nello stile fugato luminosamente bachiano. Più severo il Versus II, su
un basso continuo, mentre più vivace e mosso si presenta il Versus III. Di grande effetto la linea
vocale del Versus IV e solenne la successiva aria del basso su un ritmo ternario. Un'atmosfera di
festosa allegria si diffonde nella invocazione del Signore del Versus VI. Un richiamo alla
scrittura corale iniziale si può cogliere nell'ultimo Versus, caratterizzato da una pienezza sonora
che appartiene alla sigla creativa del migliore Bach.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La cantata «Christ lag in Todesbanden» è una delle prime scritte da Bach e la sua composizione
può essere fissata, con buon margine di sicurezza, intorno agli anni 1707-1708, e cioè al periodo
di Mühlhausen, nella cui chiesa di San Biagio Bach prestava servizio in qualità di organista. Il
priore di questa chiesa, e una parte del clero, di indirizzo pietistico, erano avversi ad un
eccessivo allargamento della musica nel servizio liturgico e si deve a questa ostilità se Bach
scrisse in quel periodo poche cantate e se esse non assunsero quella struttura che avrebbero
avuto in seguito. Se infatti la tipica cantata bachiana presenterà recitativi ed arie e, assunto un
testo biblico e scritturale, ne darà una versione articolata e prossima a quella dell'oratorio, con la
cantata di Mühlhausen ci troviamo di fronte a schemi ancora molto rigidi. Nella cantata n. 4, in
particolare, mancano i recitativi e il testo di Lutero viene ripreso integralmente senza alcuna
rielaborazione. Si tratta inoltre di una cantata-corale, cioè basata sul corale luterano, anche
questo posto a base di ciascuno dei sette versetti di cui consta la composizione. Questa è
preceduta da una 'sinfonia' termine che qui sta ad indicare una introduzione orchestrale, semplice
e grave, di sole quattordici battute. Il primo versetto, allegro, è per quartetto e la voce del
soprano è accompagnata dall'arcaico cornetto. Segue un duetto per soprano e contralto e ancora
un trio per tenore, violino e basso continuo. Il quarto versetto a quattro voci con la melodia del
corale affidata al contralto. Nel quinto il tema è proposto alternativamente dal basso, poi dagli
archi ed infine ripreso insieme. Il sesto versetto è per soprano, tenore e basso continuo. La
cantata, che fu scritta «in feria pascatos», e cioè per uno dei giorni della settimana di Pasqua, si
conclude con l'esecuzione a quattro voci del corale.

Bruno Cagli

BWV 5 - Wo soll ich fliehen hin


https://www.youtube.com/watchv=7Xp8ZhWJE_o
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV5-Ita2.htm

BWV 6 - Bleib bei uns, denn es will Abend werden


https://www.youtube.com/watchv=_sAYmG8uwQ0
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV6-Ita2.htm

BWV 7 - Christ unser Herr zum Jordan kam


https://www.youtube.com/watchv=sidLZxl_2EQ
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV7-Ita2.htm

BWV 8 - Liebster Gott, wann werd' ich sterben


https://www.youtube.com/watchv=Hfkq-S7Vis8
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata8-testo.html

Liebster Gott, wenn werd ich sterben (Amatissimo Dio, quando morrò), BWV 8
Cantata in mi maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Kaspar Neumann
Occasione: 16a domenica dopo la festa della Trinità

Liebster Gott, wenn werd ich sterben


Coro in mi maggiore per coro e tutti gli strumenti
Was willst du dich, mein Geist, entsetzen
Aria in do diesis minore per tenore, oboe d'amore e continuo
Il tema è ripreso dall'opera "Almira" di Händel
Zwar fühlt mein schwaches Herz Furcht
Recitativo in do diesis minore/la maggiore per contralto, archi e continuo
Doch weichet, ihr tollen, vergeblichen Sorgen!
Aria in la maggiore per basso, flauto traverso, archi e continuo
Il tema è ripreso dall'opera "Almira" di Händel
Behalte nur, o Welt, das Meine!
Recitativo in fa diesis minore/sol diesis minore per soprano e continuo
Herrscher über Tor und Leben
Corale in mi maggiore per coro e tutti gli strumenti
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, flauto traverso, 2 oboi d'amore, corno, 2
violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1724 (revisione 1744 - 1747)
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 24 settembre 1724
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1851

Guida all'ascolto (nota 1)

La cantata Liebster Gott, wann werd'ich sterben («Amatissimo Dio, quando morrò») fu scritta da
Bach per la sedicesima domenica dopo la S.S. Trinità, il cui Vangelo narra l'episodio del figlio
della vedova di Naim. La composizione della Cantata avvenne a Lipsia, probabilmente nel 1724,
cioè agli inizi dell'ultimo periodo della produzione bachiana. Il testo consiste di una
rielaborazione dell'omonimo Lied di Kaspar Neumann. La melodia di questo Lied è dovuta a
Daniel Vetter, organista della Nikolaikirche di Lipsia, morto nel 1721. Da un'opera del Vetter
Bach trasse il fondamento del corale finale. Le due strofe estreme del Lied di Neumann sono
mantenute inalterate a costituire il coro iniziale e il corale finale della Cantata. Le tre strofe
centrali sono state invece rielaborate in modo da articolarne il testo in due arie e due recitativi.
La cantata viene così ad essere divisa in sei pezzi.

L'organico previsto da Bach comprende un coro a quattro voci (soprano, contralto, tenore e
basso), flauto, due oboi d'amore, corno, archi e basso continuo: esso è impiegato per intero
soltanto nel coro iniziale e nel corale finale. Le due arie e i due recitativi sono invece affidati a
voci soliste: al tenore, accompagnato da un oboe d'amore e sostenuto dal continuo, la prima aria;
al contralto, accompagnato dagli archi e dal continuo, il primo recitativo; al basso, con flauto,
archi e continuo, la seconda aria; al soprano, sul solo fondamento del continuo, il secondo
recitativo.

Il coro iniziale è introdotto da una frase ascendente dell'oboe d'amore su un ostinato del basso
continuo: in esso lo Spitta e lo Schweitzer vedono come il rintoccare di campane funebri. Scrive
lo Schweitzer: «Mentre componeva il primo coro, Bach vedeva chiaramente davanti a sè, come
solo un pittore può vedere, tutta la scena descritta dal Vangelo: il corteo funebre che esce dalla
porta della città accompagnato dai funebri rintocchi della campana in mi maggiore cui fanno eco
all'unisono tutte le piccole campane dei dintorni». E lo Spitta aveva già annotato: «E' un vero
quadro musicale, composto quasi da rintocchi di campane e da profumo di fiori, ed in cui si
sente alitare la poesia dei cimiteri nei giorni di primavera». La scrittura è essenzialmente
strumentale, fondata, come ha scritto Werner Neumann, «sulle volute melodiche e nostalgiche
dei due oboi d'amore ai quali si sovrappone l'appello insistente della campana della morte, un
motivo ripetuto dal flauto», mentre «la parte riservata alle otto brevi sezioni corali non consiste
per così dire che in un commento del vasto quadro strumentale». Ancora l'oboe d'amore è il
protagonista dell'aria del tenore, un vero e proprio duetto a contrasto tra lo slancio appassionato
della voce e la luminosa serenità della ornata melodia strumentale. Il recitativo del contralto è
una pagina d'alta intensità drammatica. Vi contrasta la lieta, danzante aria del basso, punteggiata
da una luminosa figura ternaria del flauto. La calma serenità del recitativo del soprano introduce
il solenne canto del corale finale a quattro parti (gli strumenti raddoppiano le voci: i violini
primi, il flauto, il primo oboe d'amore e il corno, i soprani; i violini secondi e il secondo oboe
d'amore, i contralti; le viole, i tenori; gli strumenti realizzatori del continuo, i bassi).
Carlo Marinelli

BWV 9 - Es ist das Heil uns kommen her


https://www.youtube.com/watchv=QXyNmy3CgLQ
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV9-Ita2.htm

BWV 10 - Meine Seel erhebt den Herren


https://www.youtube.com/watchv=aN9m_3Ul2wI
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV9-Ita4.htm

BWV 11 - Lobet Gott in seinen Reichen (oratorio dell'ascensione)


https://www.youtube.com/watchv=uIOV9_kx7mE
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV11-Ita2.htm

BWV 12 - Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen


https://www.youtube.com/watchv=4wwMcy4_Iwg
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV12-Ita2.htm

BWV 13 - Meine Seufzer, meine Tränen


https://www.youtube.com/watchv=9Cvkm2mdNIQ
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata13-testo.html

Meine Seufzer, meine Tränen (I miei sospiri, le mie lacrime), BWV 13


Cantata in re minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Georg Christian Lehms
Occasione: 2a domenica dopo l'Epifania

Meine Seufzer, meine Tränen


Aria in re minore per tenore, 2 flauti a becco, corno inglese e continuo
Mein liebster Gott lässt mich annoch
Recitativo in si bemolle maggiore/fa maggiore per contralto e continuo
Der Gott, der mir hat versprochen
Corale in fa maggiore per contralto, 2 flauti a becco, corno inglese, 2 violini, viola e continuo
Mein Kummer nimmet zu
Recitativo in si bemolle maggiore per soprano e continuo
Ächzen und erbärmlich Weinen
Aria in sol minore per basso, violino solo, 2 flauti a becco e continuo
So sei nun, Seele, deine
Corale in si bemolle maggiore per coro, 2 flauti a becco, corno inglese, archi e continuo
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti a becco, corni inglese, 2 violini,
viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1726
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 20 gennaio 1726
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1852

Guida all'ascolto (nota 1)

La composizione porta la data di nascita del 1726 ed è compresa nella terza Annata delle cantate
bachiane. E' un tipico Kirchenlied intriso di accorato rimpianto e di fiducia nella divinità, da
cantarsi nella seconda domenica dopo l'Epifania. Esso è formato da un'aria appassionata del
tenore, da un recitativo del contralto con il basso continuo, da due corali, di cui il primo vigoroso
e solenne e il secondo, conclusivo dell'opera, più stemperato e melodico, da un recitativo del
soprano e da un'aria di ampio e possente sviluppo sostenuta dal violino e dai flauti, che
nell'economia strumentale di questi lavori svolgono un ruolo di pungente forza espressiva.

BWV 14 - Wär' Gott nicht mit uns diese Zeit


https://www.youtube.com/watchv=PooWv2IYJ9E
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV14-Ita2.htm

BWV 15 - Denn du wirst meine Seele nicht in der Hölle lassen (spuria, di Johann Ludwig
Bach)
https://www.youtube.com/watchv=pXPAsG2p72E
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV16-Ita2.htm

BWV 16 - Herr Gott, dich loben wir


https://www.youtube.com/watchv=y7ldaeA5UTU
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV16-Ita4.htm

BWV 17 - Wer Dank opfert, der preiset mich


https://www.youtube.com/watchv=RNevIP5nI7w
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV17-Ita2.htm

BWV 18 - Gleichwie der Regen und Schnee vom Himmel fällt


https://www.youtube.com/watchv=xbQBqqOtMsc
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV18-Ita2.htm

BWV 19 - Es erhub sich ein Streit


https://www.youtube.com/watchv=vIDF40MOjYQ
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV18-Ita4.htm
BWV 20 - O Ewigkeit, du Donnerwort
https://www.youtube.com/watchv=Km_XiO2JVRM
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV20-Ita2.htm

BWV 21 - Ich hatte viel Bekümmernis


https://www.youtube.com/watchv=NKOIszoJm_s
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV21-Ita6.htm

BWV 22 - Jesus nahm zu sich die Zwölfe


https://www.youtube.com/watchv=xcflikYLk1w
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV22-Ita2.htm

BWV 23 - Du wahrer Gott und Davids Sohn


https://www.youtube.com/watchv=jFold6aip6s
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata23-testo.html

Du wahrer Gott und Davids Sohn (Tu, vero Dio e figlio di David), BWV 23
Cantata in do minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: domenica di Quinquagesima

Du wahrer Gott und Davids Sohn


Duetto in do minore per soprano, contralto, 2 oboi e continuo
Ach, gehe nicht vorüber
Recitativo in la bemolle maggiore/mi bemolle maggiore per tenore, 2 oboi, archi e continuo
Aller Augen warten, Herr
Coro in mi bemolle maggiore per coro, 2 oboi, archi e continuo
Christe, du Lamm Gottes
Corale in sol minore/do minore per coro e tutti gli strumenti
Ripreso nel Coro finale della Passione secondo Giovanni, BWV 245

Organico: soprano, contralto, tenore, coro misto, 2 oboi, cornetto, 3 tromboni, 2 violini, viola,
continuo
Composizione: Köthen, 1723 (revisione 1724)
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 7 febbraio 1723
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1855

Guida all'ascolto (nota 1)

La cantata "Du wahrer Gott und Davids Sohn" BWV 23 è del 1723, per la Dominica Estomihi, e
richiede tre voci (soprano, alto, tenore), il coro, e un organico di 2 oboi, cornetto, 3 tromboni, 2
violini, viola e continuo. Per quanto scritta a Cöthen, con la precedente BWV 22, appartiene alla
prima annata lipsiana (1723-24), e insieme le due cantate furono presentate nell'ultima domenica
possibile in Quaresima a Lipsia, quella di Quinquagesima (Estomihi), ma la prima delle due era
sicuramente nota per aver costituito la prova di ammissione il 7 febbraio dell'anno precedente, il
1723. Il testo, probabilmente di Bach, è ripreso da Giovanni (5, 4-10; 20, 19-31). Particolare
interessante ci è offerto dal corale finale che diventerà quello della Passione secondo Matteo, con
la precisazione che la cosa si rendeva possibile per la vicinanza fra la domenica di
Quinquagesima e il tempo della Passione, nella tematica della crocifissione. I tre versi di questo
corale sono affidati al soprano ma ogni ripresa è presentata in maniera differente, sia sotto
l'aspetto strumentale che per i tempi adottati. La cantata si apre con un duetto fra soprano e alto,
una preghiera di compassione costruita su un'armonia cromatica, con un frequente movimento
semitonale anche nella linea. L'andamento in canone è dovuto al doppio significato presente nel
titolo ("Du wahrer Gott und Davids Sohn") e si presenta sia nelle voci che nei due oboi obbligati,
con un effetto di grande ricchezza. Nel recitativo che segue, per tenore, durante il quale oboi e
violino intonano l'Agnus Dei, di particolare espressività è il pianto disperato iniziale ("Ach! gehe
nicht vorüber"). Singolare ancora la struttura nel n. 3, che è quella di rondò, con un equilibrio
perfetto fra tecnica e spiritualità. Ma tutta la cantata, di soli quattro numeri, è piuttosto
particolare per la forma, di concezione cameristica e destinata ad un uditorio raffinato. Anche per
questo probabilmente la cantata non fu scelta per la prova di ammissione del 1723.

Roberto Chiesa

BWV 24 - Ein ungefärbt Gemüte


https://www.youtube.com/watchv=ioHhbb2L0B0
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV24-Ita2.htm

BWV 25 - Es ist nichts Gesundes an meinem Leibe


https://www.youtube.com/watchv=mNe2lR5aLXo
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV24-Ita4.htm

BWV 26 - Ach wie flüchtig, ach wie nichtig


https://www.youtube.com/watchv=dwVUVyVIDTE
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV26-Ita2.htm

BWV 27 - Wer weiß, wie nahe mir mein Ende


https://www.youtube.com/watchv=nt1Ri6-zR8c
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV27-Ita2.htm

BWV 28 - Gottlob! nun geht das Jahr zu Ende


https://www.youtube.com/watchv=9KDMPET_iGk
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV28-Ita2.htm
BWV 29 - Wir danken dir, Gott, wir danken dir
https://www.youtube.com/watchv=CwGWocp80-o
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV29-Ita2.htm

BWV 30 - Freue dich, erlöste Schar


https://www.youtube.com/watchv=O9JeQEHFIBc
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV30-Ita2.htm

BWV 30a - Angenehmes Wiederau


https://www.youtube.com/watchv=cXCBgiPyySU

BWV 31 - Der Himmel lacht! Die Erde jubilieret


https://www.youtube.com/watchv=PNn5HwexVAU
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV31-Ita2.htm

BWV 32 - Liebster Jesu, mein Verlangen


https://www.youtube.com/watchv=9Zt27z1ZbN4
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV32-Ita4.htm

BWV 33 - Allein zu dir, Herr Jesu Christ


https://www.youtube.com/watchv=zb57WJtCkm0
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV33-Ita4.htm

BWV 34 - O ewiges Feuer, o Ursprung der Liebe


https://www.youtube.com/watchv=rETHbd-Vb3k
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV34-Ita2.htm

BWV 34a - O ewiges Feuer, o Ursprung der Liebe


BWV 35 - Geist und Seele wird verwirret
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV35-Ita2.htm

BWV 36 - Schwingt freudig euch empor


https://www.youtube.com/watchv=Ij8un7SjDH0
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata36-testo.html

Schwingt freudig euch empor (Innalzatevi felici), BWV 36


Cantata in re maggiore per soli, coro e orchestra
Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: 1a domenica d'Avvento

Schwingt freudig euch empor


Coro in re maggiore per coro e tutti gli strumenti
Riprende il Coro n. 1 della Cantata BWV 36c
Nun komm, der Heiden Heiland
Corale in fa diesis minore per soprano, contralto, 2 oboi d'amore e continuo
Die Liebe zieht mit sanften Schritten
Aria in si minore per tenore, oboe d'amore e continuo
Riprende l'Aria n. 3 della Cantata BWV 36c
Zwingt die Saiten in Cythara
Corale in re maggiore per coro e tutti gli strumenti
Willkommen, wilkommen, werter Schatz!
Aria in re maggiore per basso, archi e continuo
Riprende l'Aria n. 5 della Cantata BWV 36c
Der du bist dem Vater gleich
Corale in si minore per tenore, 2 oboi d'amore e continuo
Auch mit gedampften, schwachen Stimmen
Aria in sol maggiore per soprano, violino solo e continuo
Riprende l'Aria n. 7 della Cantata BWV 36c
Lob sei Gott, dem Vater, g'ton
Corale in si minore per coro e tutti gli strumenti

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1726 - 1730 circa (revisione 1731)
Prima esecuzione: Lipsia, 2 dicembre 1731
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1857
Guida all'ascolto (nota 1)

Nel catalogo delle opere di Bach, il capitolo delle Cantate non è solo il più ricco, ma anche il più
rivelatore e il più intricato. Ricco per la quantità e la varietà delle composizioni che ci sono
pervenute: oltre duecento Cantate sacre e circa trenta profane. Rivelatore per i metodi che Bach
affinò soprattutto allo scopo di far fronte all'intenso ritmo produttivo che gli veniva richiesto:
negli anni trascorsi a Lipsia, per fare un esempio, il suo contratto con la cantoria di San
Tommaso prevedeva che egli preparasse circa sessanta Cantate l'anno. Intricato, infine, per la
difficoltà di ricostruire la genesi delle singole opere e per l'impossibilità di valutare in maniera
realistica la frequenza con la quale Bach riutilizzava in ambito sacro i materiali delle Cantate
profane, e viceversa: per comprendere quanto lacunose siano le nostre informazioni a riguardo
basterà ricordare che la maggior parte delle Cantate profane è andata perduta e che identico
destino, nonostante la quantità di opere in nostro possesso, è stato seguito da circa il quaranta per
cento della sua produzione sacra.

Da quel che conosciamo, in ogni caso, è possibile ricavare un'idea del modo in cui Bach
lavorava e dell'importanza che il genere della Cantata ha avuto nell'evoluzione del suo stile dal
giorno in cui, diciottenne, si era recato a Lubecca per ascoltare le Abendmusiken di Dietrich
Buxtehude, un tentativo di rinnovamento stilistico che grazie all'impiego di ampie masse
strumentali e corali rese più ambizioso e spettacolare il genere della Cantata da chiesa.

L'esperienza compiuta accanto a Buxtehude servì al giovane Bach soprattutto per la tecnica
dell'orchestrazione, per la capacità di usare in funzione espressiva i rapporti fra le diverse
famiglie strumentali, per la facilità nel conferire un senso drammatico all'alternanza di pagine
corali e passaggi solistici. Con un incessante lavoro di elaborazione e perfezionamento, tuttavia,
Bach trasformò la Cantata in un organismo sempre più plastico e versatile, tale da assorbire e
metabolizzare in una forma coerente fonti musicali e stilistiche anche molto lontane fra loro.

In molti casi la Cantata bachiana recupera linguaggi arcaicizzanti, è scandita da fraseggi duri, da
melodie di mistica asciuttezza o da trame polifoniche al limite dell'esoterismo. Parallelamente,
Bach introduce nella Cantata le movenze più aggiornate della musica profana, come si vede dal
frequente uso di ritmi di danza oppure dal taglio galante delle arie solistiche, dai duetti,
dall'impostazione operistica che queste pagine spesso condividono con i recitativi.

Nelle Cantate di Bach, dunque, la coerenza musicale non è assicurata dall'omogeneità dei mezzi
stilistici, ma dal modello letterario della tradizione luterana, come pure dalle simmetrie che
l'autore pianifica per meglio rivestirne sia i contenuti teologici, sia quelli più schiettamente
narrativi. Il testo, infatti, alterna di solito corali, versetti biblici, preghiere e versi liberi di
meditazione: con precisa corrispondenza, Bach tende a distribuire il materiale musicale in base a
un simbolismo che nella maggior parte dei casi dipende più dall'intenzione di rafforzare l'effetto
drammatico dei versi che da una cabala numerologica o da speculazioni astratte. L'uso di
rigorosi schemi geometrici e il ricorso a un simbolismo ben codificato diventano inoltre per
Bach efficacissimi strumenti di lavoro, elementi di un vero e proprio metodo il cui scopo è
quello di semplificare, se non proprio di automatizzare, la selezione dei materiali musicali e il
processo compositivo di fronte alle esigenze poste di volta in volta dai testi. Solo grazie a una
simile organizzazione del lavoro Bach poteva riutilizzare in una Cantata le arie scritte per
un'altra, oppure mutare il testo di una Cantata profana adattandovi quello destinato all'uso
liturgico, secondo l'uso che allora si definiva "parodia".

Nel calendario della chiesa luterana il periodo dell'Avvento, che comprende le quattro
domeniche precedenti il Natale, coincide con l'inizio dell'anno liturgico. Durante questo arco di
tempo, all'epoca di Bach, in chiesa non potevano svolgersi festività o celebrazioni di alcun
genere. Era vietato anche fare musica, specie se accompagnata da strumenti, mentre al massimo
poteva essere tollerata l'esecuzione di semplici corali o di brani per organo solo. Si faceva
un'eccezione solo per la prima domenica di Avvento: in questa data, infatti, l'inaugurazione
dell'anno liturgico offriva il pretesto per una celebrazione fastosa, nella quale era previsto si
ricorresse ampiamente all'esecuzione di musica con strumenti. Per dare un'idea di come si
svolgessero simili celebrazioni, basterà leggere la nota che Bach scrisse sul retro della partitura
della Cantata BWV 61 per il servizio della prima domenica di Avvento dell'anno 1724. La
riportiamo qui nella traduzione che ne ha dato Alberto Basso (Frau Musika, Torino, EDT, 1983,
vol. II, p. 33):

(1) Si preludia. (2) Motetta. (3) Si preludia sul Kyrie, che viene eseguito per intero. (4) Si intona
davanti all'altare. (5) Si legge l'Epistola. (6) Si canta la Litania. (7) Si preludia sul corale. (8) Si
legge l'Evangelium. (9) Si preludia alla musica principale [= Cantata]. (10) Si canta il Credo.
(11) La predica. (12) Dopo la predica, come d'abitudine si cantano alcuni versetti di un Lied.
(13) Verba Institutionis [= istituzione della Santa Cena]. (14) Si preludia alla musica. E dopo
questa si alternano preludi e canto di corali, sino al termine della Comunione.

Come si vede, l'esecuzione della Cantata è immersa in un contesto di partecipazione liturgica


molto ampio; la sua posizione subito dopo la lettura del Vangelo ne rafforza ulteriormente il
compito retorico cui essa assolveva, quello di incrementare l'efficacia drammatica della vicenda
sacra e di muovere i fedeli alla partecipazione, ovvero - nel senso più forte del termine - alla
compassione.

Alla festività della prima domenica di Avvento Bach destinò in tutto tre Cantate. Il tono festoso
dell'occasione liturgica gli consentì almeno in un caso di valersi di materiale profano nella
composizione. Come vedremo, in ogni caso, tutte le tre Cantate sono concepite su una semplice
scansione simmetrica che gioca per lo più sul contrasto fra il giubilo dell'attesa e il più oscuro
raccoglimento della preghiera.

***

Lo stato in cui ci sono giunti i materiali autografi di questa Cantata consentono di gettare uno
sguardo nel laboratorio di Bach e di ricostruire almeno in parte un processo che con ogni
probabilità si è verificato in molti altri casi, ma di cui non esistono testimonianze altrettanto
significative. Della Cantata BWV 36 possiamo infatti distinguere ben cinque stesure successive,
tre profane e due sacre. La prima, su testo del poeta Picander (pseudonimo di Christian Friedrich
Henrici), era stata pensata per la festa di compleanno di un insegnante della Thomasschule, o
forse dell'Università di Lipsia, e iniziava con i versi «Steigt freudig in die Luft» (BWV 36c). La
sua composizione risale probabilmente al 1725. Il 30 novembre 1726 Bach riutilizza la musica di
questa prima Cantata per festeggiare un altro compleanno, quello della principessa Charlotte
Friederica Wilhelmine di Anhalt-Köthen (Cantata BWV 36a). La tecnica della parodia consentì
successivamente a Bach di ottenere, con l'inserzione di alcune modifiche, la partitura di due
Cantate sacre pressoché identiche, entrambe indicate nel catalogo con il numero BWV 36, una
delle quali soltanto (l'unica che ci è giunta autografa) venne eseguita per l'Avvento, il 2 dicembre
1731. Nel 1735, qualche ritocco ancora l'avrebbe di nuovo adattata a un festeggiamento
mondano, quello di un amico della famiglia Bach, il giurista Johann Florens Rivinus, nominato
rettore dell'Università di Lipsia (Die Freude reget sich, BWV 36b).

Per quanto la genesi della Cantata sia complessa, meno arduo è stabilire di quali interventi abbia
avuto bisogno per essere trasformata da opera profana in opera sacra. Bach si limitò infatti a
introdurre alcune pagine direttamente riferite al Lied di Lutero prescritto per l'apertura dell'anno
liturgico, «Nun komm, der Heiden Heiland», e a distribuire il materiale in modo da ottenere una
simmetria che era invece estranea alla primitiva versione profana. Otto sono in tutto gli episodi
musicali della Cantata, divisa in due parti di quattro. Le arie e i cori, ripresi dalla matrice
profana, hanno un chiaro tono di festa ed esprimono gioia per la venuta del Signore. Il miracolo
dell'incarnazione provoca tuttavia un'accorta meditazione cui per contrasto danno voce le nuove
parti aggiunte: le elaborazioni solistiche del corale che figurano negli episodi n. 2 e n. 6 e il
Kirchenlied finale.
Stefano Catucci

BWV 36a - Steigt freudig in die Luft


https://www.youtube.com/watchv=OeNziPADDVQ

BWV 36b - Die Freude reget sich


https://www.youtube.com/watchv=Zb-naYbI8nk

BWV 36c - Schwingt freudig euch empor


https://www.youtube.com/watchv=1L24l66Hqwk
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata36c-testo.html

Schwingt freudig euch empor (In alto slanciatevi gioiosi), BWV 36c
Cantata in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: forse Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: compleanno di un insegnante (forse Johann Burkhard Mencke)

Schwingt freudig euch empor


Coro in re maggiore per coro, oboe d'amore, 2 violini, viola e continuo
Riutilizzato nel Coro n. 1 delle Cantate BWV 36 e 36b
Ein Herz, in zärtlichem Empfinden
Recitativo in si minore per tenore e continuo
Die Liebe führt mit sanften Schritten
Aria in si minore per tenore, oboe d'amore e continuo
Riutilizzato nell'Aria n. 3 delle Cantate BWV 36 e 36b
Du bist es ja, o hochverdienter Mann
Recitativo in mi minore/re maggiore per basso e continuo
Der Tag, der dich vordem gebar
Aria in re maggiore per basso, 2 violini, viola e continuo
Riutilizzata nell'Aria n. 5 delle Cantate BWV 36 e 36b
Nur dieses Einz'ge sorgen wir
Recitativo in si minore/fa diesis minore per soprano e continuo
Auch mit gedämpften, schwachen Stimmen
Aria in la maggire per soprano, viola d'amore e continuo
Riutilizzata nell'Aria n. 7 delle Cantate BWV 36 e 36b
Bei solchen freudenvollen Stunden
Recitativo in re maggiore per tenore e continuo
Riutilizzato nel Recitativo n. 8 della Cantata BWV 36b
a. Wie die Jahre sich erneuen, so erneue sich dein Ruhm
Coro in re maggiore per coro, oboe d'amore, 2 violini, viola e continuo
b. Jedoch, was wünschen wir
Recitativo per tenore e continuo
c. Dein Verdienst recht auszulegen
Coro per coro, oboe d'amore, 2 violini, viola e continuo
d. Drum schweigen wir
Recitativo per basso e continuo
e. Deines Lebens Heiligthum
Coro per coro, oboe d'amore, 2 violini, viola e continuo
f. So öffnet sich der Mund zum Danken
Recitativo per soprano e continuo
g. Wie die Jahre sich erneuen, so erneue sich dein Ruhm
Coro per coro, oboe d'amore, 2 violini, viola e continuo

Organico: soprano, tenore, basso, coro misto, oboe d'amore, viola d'amore, 2 violini, viola,
continuo
Composizione: Lipsia, 1725
Prima esecuzione: Lipsia, St. Paulikirche, 27 marzo 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1887
Guida all'ascolto (nota 1)

Si sa che è relativamente modesto (non più di una ventina di esempi) il numero delle cantate
profane che Bach ci ha lasciato, anche se i documenti in nostro possesso ci segnalano almeno
una cinquantina di composizioni del genere. Si deve supporre, tuttavia, che la produzione in
questo campo sia stata ben più consistente: cantate profane di vario tipo furono composte per
cerimonie universitarie, per feste comunali e scolastiche, per omaggi a nobili signori, per nozze
o per altre circostanze fra le quali non si devono trascurare quelle legate alle manifestazioni
organizzate dalle corti di Weimar, di Köthen, di Dresda e di Weissenfels.

La Cantata Schwingt freudig euch empor (BWV 36c) è l'unica nota fra quelle composte per
cerimonie comunali e scolastiche (di altre tre si conosce unicamente il testo), ma essa ha seguito
un percorso del tutto singolare. L'opera ha conosciuto, infatti, non meno di cinque stesure, tre
profane (BWV 36a, 36b, 36c) e due sacre (BWV 36A e 36B), fatto unico nella produzione
bachiana. La matrice originaria è una cantata di auguri (appunto, BWV 36c) a noi pervenuta in
copia autografa ma con un'intestazione posticcia che la indica scritta per il compleanno del
rettore della Thomasschule Johann Matthias Gesner (1691-1761); questi resse quella carica fra il
1730 e il 1734, ma l'autografo risale incontrovertibilmente alla primavera del 1725. D'altra parte,
il testo (che è di ignoto autore ma è probabilmente opera di Picander, lo pseudonimo dietro il
quale si nascondeva Christian Friedrich Henrici, 1700-1764, che fu il principale autore di testi
per le opere bachiane del periodo di Lipsia) testimonia che la composizione fu certamente
realizzata come cantata di auguri per il compleanno di un insegnante, o della Thomasschule o
dell'Università. Si è avanzata l'ipotesi, anzi, che destinatario dell'omaggio sia stato Johann
Burckhard Mencke (1675-1732), professore di diritto all'Università che in quel momento
celebrava il 50° anno di età (era nato il 27 marzo).

Successivamente l'opera fu riutilizzata una prima volta il 30 novembre 1726 (o 1725) come
cantata di auguri - Steigt freudig in die Luft (BWV 36a) - per la principessa Charlotte Friederica
Wilhelmine di Anhalt-Köthen, e una seconda volta - Die Freude reget sich (BWV 36b) - per una
manifestazione accademica, probabilmente per il compleanno (28 luglio 1735) di un altro
professore universitario, Johann Florens Rivinus (1701-1761). In entrambi i casi si deve
supporre che sia stato l'autore stesso del testo (Picander ) a rielaborare i versi, senza modificarne
per altro la struttura metrica, tenendo conto delle due diverse circostanze.

Nel frattempo Bach aveva provveduto a modificare la cantata profana in cantata sacra, dandone
due diverse stesure, la prima delle quali (BWV 36A) risalente agli anni compresi fra il 1726 e il
1730 e formata da 5 numeri, mentre la seconda (BWV 36B), costituita da 8 numeri, venne
eseguita il 2 dicembre 1731 (Prima Domenica di Avvento).

Delle varie elaborazioni cui l'opera è stata sottoposta, quelle per noi significative sono la prima
versione profana (1725) e la seconda versione sacra (1731). Per quanto concerne la versione
originale, sarà sufficiente dire che essa è formata da due cori (nn. 1 e 9), quattro recitativi (nn.
2,4, 6, 8, uno per ciascuna delle 4 voci soliste) e tre arie (nn. 3, 5, 7), rispettivamente per tenore
con flauto traverso, per basso con violini e per soprano con viola d'amore. I cori e le arie si
ritroveranno senza modifica alcuna nelle due versioni sacre (anche l'organico strumentale rimane
praticamente inalterato, con la sola aggiunta di un secondo oboe d'amore e la sostituzione della
viola d'amore con un violino nell'aria del soprano).

Alberto Basso

BWV 37 - Wer da gläubet und getauft wird


https://www.youtube.com/watchv=enhosGRodpg
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV37-Ita2.htm

BWV 38 - Aus tiefer Not schrei' ich zu dir


https://www.youtube.com/watchv=CvJDnR-bELM
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV38-Ita2.htm

BWV 39 - Brich dem Hungrigen dein Brot


https://www.youtube.com/watchv=yV25KhUH1BE
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV39-Ita2.htm

BWV 40 - Darzu ist erschienen der Sohn Gottes


https://www.youtube.com/watchv=vLDTvI1RrgI
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata40-testo.html

Dazu ist erschienen der Sohn Gottes (Per questo è venuto al mondo il figlio di Dio), BWV 40
Cantata in fa maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: 2° giorno della festa di Natale

Dazu ist erschienen der Sohn Gottes


Coro in fa maggiore per coro e tutti gli strumenti
Riutilizzato nel Cum Sancto Spiritu della Messa BWV 233
Das Wort ward Fleisch und wohnt in der Welt
Recitativo in fa maggiore/si bemolle maggiore per tenore e continuo
Die Sünd macht Leid
Corale in sol minore per coro, 2 oboi, corno, archi e continuo
Höllische Schlange, wird dir nicht bange
Aria in re maggioreper basso, 2 oboi, archi e continuo
Die Schlange, so im Paradies
Recitativo in si bemolle maggiore per contralto, archi e continuo
Schuttle deinen Kopf und sprich
Corale in re minore per coro, 2 oboi, corno, archi e continuo
Christenkinder, freuet euch!
Aria in fa maggiore per tenore, 2 oboi, 2 corni e continuo
Jesu, nimm dich deiner Glieder ferner in Genaden an
Corale in fa minore per coro, 2 oboi, corno, archi e continuo

Organico: contralto tenore, basso, coro misto, 2 oboi, 2 corni, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1723
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 26 dicembre 1723
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1857
Guida all'ascolto (nota 1)

Per Da(r)zu ist erschienen der Sohn Gottes BWV40 ("Per questo è venuto al mondo il figlio di
Dio"), eseguita alla chiesa di san Nicola il giorno di santo Stefano del 1723, Bach fece ricorso al
modulo che pone in particolare rilievo la pagina di apertura, un coro vivace e solenne al tempo
stesso, nel quale il contrasto tra la fonte del bene e quella del male, sconfitta, viene messo in
evidenza tramite gesti musicali molto netti, scolpiti. Una breve introduzione orchestrale
concentra in pochissime battute episodi in dialogo che coinvolgono prima i corni, poi gli oboi,
quindi gli archi. La parte del coro è articolata in tre sezioni, l'ultima delle quali ripete la prima in
forma variata, mentre quella centrale, più ampia, segue lo stile rigoroso della fuga. Due sono le
arie, una destinata alla voce di basso, l'altra al tenore. La prima ha un carattere più drammatico,
rappresentativo, accentuata dal ritmo nervoso che ne sostiene lo svolgimento. La seconda è più
aperta e spettacolare, dando vita a florilegi melodici che coinvolgono non solo la voce, ma anche
gli oboi e persino la parte del basso continuo. In questo caso Bach riprende uno degli usi più
antichi della musica sacra e concentra su una singola espressione del testo l'uso di un intenso
decorativismo musicale: freuet euch, "rallegratevi", parole che riassumono in una sola tonalità
emotiva l'intera esperienza della Natività.

Stefano Catucci

BWV 41 - Jesu, nun sei gepreiset


https://www.youtube.com/watchv=r6TRChdfdow
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV41-Ita4.htm

BWV 42 - Am Abend aber desselbigen Sabbats


https://www.youtube.com/watchv=eocxzFBsuXs
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV42-Ita2.htm

BWV 43 - Gott fähret auf mit Jauchzen


https://www.youtube.com/watchv=PnWyQUR7d3o
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV42-Ita4.htm

BWV 44 - Sie werden euch in den Bann tun


https://www.youtube.com/watchv=2MqkELwZhxc
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV44-Ita2.htm

BWV 45 - Es ist dir gesagt, Mensch, was gut ist


https://www.youtube.com/watchv=S2Is1A5NAYA
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV45-Ita2.htm

BWV 46 - Schauet doch und sehet, ob irgend ein Schmerz sei


https://www.youtube.com/watchv=k_gyrnfrgEw
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV46-Ita4.htm

BWV 47 - Wer sich selbst erhöhet, der soll erniedriget werden


https://www.youtube.com/watchv=eJT1HU4p4ss
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV47-Ita4.htm

BWV 48 - Ich elender Mensch, wer wird mich erlösen


https://www.youtube.com/watchv=C3EBfiFBEAs
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV48-Ita2.htm

BWV 49 - Ich geh' und suche mit Verlangen


https://www.youtube.com/watchv=A1WnUy3DEYQ
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata49-testo.html

Ich geh' und suche mit Verlangen (Vado bramoso in cerca), BWV 49
Cantata in mi maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Philipp Nicolai
Occasione: 20a domenica dopo la festa della Trinità

Sinfonia (mi maggiore)


per oboe d'amore, organo, archi e continuo
Tratta dal terzo movimento del Concerto per clavicembalo, BWV 1053
Ich geh' und suche mit Verlangen
Aria in do diesis minore per basso, organo e continuo
a. Mein Mahl ist zu bereit't
Recitativo in la maggiore per soprano, basso, archi e continuo
b. Komm, Schönste, komm und lass dich küssen
Arioso in la maggiore per soprano, basso, archi e continuo
Ich bin herrlich, ich bin schön
Aria in la maggiore per soprano, oboe d'amore, violoncello piccolo e continuo
Meine Glaube hat mich selbst so angezogen!
Recitativo in fa diesis minore/mi maggiore per soprano, basso e continuo
Dich hab' ich je und je geliebet
Duetto in mi maggiore per soprano, basso, oboe d'amore, archi e continuo

Organico: soprano, basso, oboe d'amore, 2 violini, viola, violoncello piccolo, organo obbligato,
continuo
Composizione: Lipsia, 1726
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 3 novembre 1726
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1860
Guida all'ascolto (nota 1)

L'esecuzione delle Cantate Sacre, una delle principali forme espressive della musica luterana,
aveva luogo nel corso della funzione religiosa, fra la lettura del Vangelo e il sermone: si trattava
di un brano musicale di non piccola portata, suddiviso in arie, duetti, cori, recitativi e parti
strumentali, il cui testo era tratto dalle Sacre Scritture o costituito da poesie originali. Questa
forma d'arte occupa gran parte della produzione bachiana e ha costituito un notevole motivo di
interesse per la critica. Poche Cantate, infatti, ci sono giunte con una data apposta dall'autore e la
ricostruzione cronologica (che non corrisponde al numero d'opera) si è basata sui cambiamenti di
scrittura e sullo studio delle filigrane e dei rastri (le penne a cinque punte con cui venivano
tracciati i pentagrammi che cambiavano a seconda dell'epoca e della località).

Nella prima fase Bach si rifà anzitutto alla tradizione familiare e poi ai modelli della Germania
del Nord e del Centro, come Pachelbel e Buxtehude: la musica in questo caso è divisa in sezioni
piuttosto brevi e contrastanti tra loro per tempo e numero di voci impiegate. Inoltre come
accompagnamento per le arie viene spesso impiegato un ostinato che insiste su una stessa frase
mentre la linea melodica cambia.

Negli anni di Weimar (1708-1717) e poi in quelli di Köthen (1717-1723), Bach conferisce alle
sue Cantate un carattere di omogeneità che prelude ai grandi cicli del periodo di Lipsia. È in
questo momento, inoltre, che il musicista inizia a liberarsi dei modelli più arcaici e ad attingere
dall'opera elementi profani, incorrendo così nella tanto unanimemente temuta "teatralità".
L'influenza del concerto italiano e delle Ouvertures di stile francese è presente anche in questo
settore della produzione bachiana, e si esplicita nell'impiego dell'introduzione strumentale, qui
ancora di proporzioni ristrette rispetto alle vere e proprie sinfonie che apriranno le Cantate di
Lipsia. L'influenza del melodramma italiano, napoletano nella fattispecie, è riscontrabile invece
nella struttura dell'aria, che assume forma di agilità virtuoslstica di stampo prettamente
operistico. Bach inoltre sviluppa il recitativo dandogli un contorno melodico che lo avvicina
all'aria, pur non assumendone del tutto le caratteristiche. Il numero dei cori va riducendosi sino a
collocarsi solo all'inizio e alla fine della Cantata o a scomparire del tutto.

Ancora una volta, quindi, Bach effettua una progressiva azione di rivoluzione all'interno di una
forma musicale, giungendo ad introdurre in un rigidissimo genere religioso elementi puramente
profani.

Nel periodo di Lipsia, al quale appartiene la BWV 49, come direttore della musica eseguita nelle
chiese di Lipsia, Bach doveva provvedere alla preparazione di una cantata alla settimana, e
spesso di due o più: se ne dovrebbe dedurre che in ventisette anni di cantorato la sua produzione
in questo senso sia stata sterminata. Non è così: a tutt'oggi ci sono pervenute 163 cantate con
destinazione liturgica, comprese le otto che formano i tre oratori. La semplice dispersione del
materiale non spiega la questione, che per lungo tempo risultò assai controversa, soprattutto in
seguito alle affermazioni dello Spitta, che voleva l'attività bachiana nel settore continua fino alla
morte. Il Necrolog parla esplicitamente di cinque annate di cantate per tutte le domeniche e i
giorni di festa, di cui, dopo la morte di Bach, due passarono in eredità a Carl Philipp Emanuel, e
tre a Wilhelm Friedemann, che smarrì la quarta e la quinta.

Una ricostruzione è dunque possibile in relazione alle prime tre annate, che prendono l'avvio
dalla prima domenica dopo la Trinità, il 30 maggio 1723. Il problema critico più dibattuto si è
posto sulla data finale della produzione, che, come è facile intuire, esula da una mera questione
di cronologia per investire l'intero percorso musicale bachiano. Solo nel 1957 gli studi compiuti
da Alfred Dürr e Georg von Dadelsen hanno dimostrato che dopo il 1729 Bach sospese la
produzione regolare di cantate, con una «coda» di quattordici brani non collegati, composti
presumibilmente tra il 1729 e il 1735. Le ripercussioni della scoperta sono importantissime, e
dimostrano che a partire da una certa data Bach si disinteressò della produzione religiosa nella
forma tradizionale della cantata per dedicarsi all'attività profana del «Collegium Musicum» e
alla ricerca speculativa delle opere teoriche. Abbiamo così un nuovo anno con funzioni di
spartiacque, il 1730, in cui il musicista, deluso dalle difficoltà oppostegli continuamente dalle
autorità di Lipsia e «saziato» da una forma musicale che aveva utilizzato al massimo delle
risorse, si rivolse verso altre strade, sia con la ricerca materiale di un nuovo impiego, sia con il
ritiro nella «Köthen» intima che prelude alla sua più alta produzione.

Ma neanche nei primi cinque anni di attività Sebastian mostra una condotta continua: contro la
produzione piuttosto regolare dei primi due, con trentasette e cinquantadue cantate, si registra un
calo di attività nel terzo e quarto anno, con ventisette e nove cantate.

La quinta annata comprende le quattordici Cantate composte saltuariamente dopo il 1729. A


questo schema vanno aggiunte cinque composizioni che risultano una parodia di precedenti brani
composti da Bach, quattro cantate sacre al di fuori del calendario liturgico e le cantate composte
per nozze, funerali e simili occasioni.

Principale collaboratore di Bach nella stesura dei testi fu Christian Friedrich Henrici, detto
Picander (nomignolo che significa uomo-gazza e che allude a una spiacevole disavventura del
poeta, finito in carcere per aver sparato ad un contadino invece che a una gazza), ma il suo
intervento non fu continuo.
È soprattutto alla produzione di cantate di questi anni che i fautori del simbolismo bachiano e
della «musica poetica» si sono rifatti per dimostrare l'intima connessione fra linguaggio musicale
e linguaggio poetico esplicato nel simbolo numerico.

In questa ricerca di codificazione, Bach utilizza un preciso schema di cantata, al cui interno sono
presenti il mottetto corale, il recitativo, l'aria, la strofa di corale conclusivo. Commenta Basso:
«Caricata di simboli, ispirata alle sacre letture e alle interpretazioni suggerite dalla teologia, la
Kirchenmusik si presentava dunque come una similitudine del cosmo, come un mondo in sé
compiuto e dotato di tutti gli attributi, degli elementi fondamentali che regolano la natura. E in
questa sua compostezza raggiungeva il massimo rendimento possibile, consentendo al fedele di
sentirsi totalmente calato nella vita contemplativa e al musicista di conquistare, con l'esercizio e
l'applicazione, smisurati spazi».

Potrebbe sorprendere in quest'ambito sacrale ancor più che sacro l'operazione di «parodia»
effettuata in moltissimi casi da Bach. Effettivamente molti studiosi si stupirono quando le
ricerche rivelarono la gran parte delle Cantate dì Lipsia, gli oratori, le Messe brevi, parte della
Messa in si minore, e persino gran parte della Matthäus-Passion erano frutto di rielaborazioni di
opere precedenti, spesso profane. Ma alla luce della nuova immagine di Bach questa prassi va
inquadrata nel gigantesco tentativo perseguito dal musicista di unificare e integrare i più diversi
stili musicali, compresi il sacro e il profano.

Il testo della Cantata BWV 49 narra la parabola delle nozze del figlio del Re, ma in questo caso
Bach tratta l'argomento con aperta sensualità descrivendo Cristo e l'Anima come due fidanzati
che attendono con trepidazione di unirsi in matrimonio. La Cantata, per soprano, basso e coro, si
apre con una Sinfonia, nata probabilmente come adattamento di un movimento di un concerto
per tastiera andato perduto e poi riutilizzato in seguito in altro lavoro ancora con la tastiera
protagonista. L'organo riveste in questo momento un ruolo di assoluto rilievo, prima che siano le
voci a diventare protagoniste. La prima Aria del basso rappresenta un Cristo dal volto umano,
che si strugge per la sua «colomba» della quale va «bramoso in cerca», e che ritroverà subito
dopo in un recitativo a due al quale segue un duetto con l'Anima. La Cantata continua con
un'aria del soprano seguita ancora da un recitativo che prelude all'apoteosi conclusiva. Nel finale
le voci dei due solisti vengono intramezzate da interventi del coro e avvolte dal magico suono
dell'organo.

BWV 50 - Nun ist das Heil und die Kraft


https://www.youtube.com/watchv=d6xz3xr3Sek
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata50.html#Testo

Nun ist das Heil, und die Kraft (Ora la salute e la potenza), BWV 50
Cantata in re maggiore per doppio coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Apocalisse 12, 10
Occasione: festa di san Michele
Nun ist das Heil, und die Kraft
Coro in re maggiore per coro e tutti gli strumenti

Organico: doppio coro misto, 3 oboi, 3 trombe, timpani, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1723
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 29 settembre 1723
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1860

Frammento di una Cantata perduta


Guida all'ascolto (nota 1)

La chiarezza di idee nel rifiuto dì ogni compromesso con i dettami della moda è una colpa che si
paga cara, come ebbe a sperimentare di persona Bach che, sordo alle «galanti» lusinghe del suo
tempo, si vide ripagato da ben scarse gratificazioni, quando non da aperte ostilità (Scheibe). Due
sole furono infatti le cantate che in un'epoca satura di edizioni sacre videro la luce durante la vita
del loro autore, su un totale di circa trecento composte (un centinuaio sono andate smarrite).

Trascorse esattamente un secolo dalla morte del musicista prima che la Bachgesellschaft, tanto
meritoria nella diffusione della musica del suo paladino, ormai ampiamente riabilitato, ne
iniziasse la pubblicazione, seguendo una numerazione che è quella della loro progressiva
comparsa e non dell'ordine cronologico nel quale furono scritte. Averle raccolte insieme dopo
che quell'erede squattrinato del figlio Friedemann se le era bacchettate per dodici talleri,
disperdendole in tutta la Germania, aver sceverato il grano dal loglio degli apocrifi, fu certo
opera di non scarso rilievo, della quale dovettero tener conto tutti i successivi esegeti bachiani
attivi nella catalogazione e nella stampa delle edizioni critiche (Bach Werke Verzeichins, più
comunemente noto con la sigla BWV).

Il termine «cantata» per un aspetto della produzione religiosa barocca, introdotto in Germania
dal pastore e librettista tedesco Neumeister (1700), non venne adottato da Bach che in rare
occasioni (7 per l'esattezza): preferì definirle «Geistliche Konzerte» (concerti sacri) o più
semplicemente «Kirchenmusik» (musica da chiesa).

Di non poco debitrice all'omonima forma profana italiana (arie, ariosi, recitativi) e al
melodramma, la cantata della riforma raggiunse il suo massimo splendore nei centri
dell'ortodossia luterana dove, com'è noto, le due sfere convivevano in perfetto accordo, mentre
trovò fieri avversari nei pietisti che vi ravvisavano germi di corruzione secolare.

Gli immediati precursori di questo genere — che non potranno essere rintracciati prima del 1700
perché solo a partire da questa data si può effettivamente parlare di musica sacra della riforma, e
che Bach ampiamente conosceva — furono il compositore Philipp Krieger, brillante operista di
stampo italiano, Zachow, imprescindibile modello nel diverso trattamento musicale delle
parafrasi (risolte con recitativi e arie con da capo) e del testo biblico («concertato» e fuga),
mentre Telemann apri la via alle sinuose e «affettive» delicatezze dello stile galante.

I due lavori che ascolteremo stasera [Cantate BWV 118 e 50 n.d.r.] appartengono agli ultimi anni
dell'attività del Cantor di Lipsia che oltre ai molteplici impegni (organista, bibliotecario,
insegnante, direttore della musica durante i servizi liturgici), doveva garantire alle tre chiese
principali di San Tommaso, San Nicola e San Paolo, una cantata per ogni domenica e per le
festività: 59 l'anno, dunque, stando al calendario liturgico, che il coro intonava prima del
sermone, verso la fine della messa.

La religiosità di Bach che è innanzitutto sforzo morale ed estetico di conciliazione degli opposti
(celeste-terrestre) e riflesso anche di precisi postulati filosofici (leibniziani) che tendono a far
coincidere l'armonia cosmica con quella umana, senza ombre di tragicità irrisolta, si dispiega in
queste due opere con naturalissimi accenti.

Per la cantata n. 50 in re maggiore (1735-1750) si tratta di un frammento (mancano arie e


recitativi), della durata di appena tre minuti, il cui testo racchiude un verso dell'Epistola per la
festa di San Michele («Apocalisse» 12, 10) e che dunque con ogni probabilità, anche se il
problema non è stato del tutto risolto dagli studiosi, venne eseguita in quell'occasione. È l'unica
cantata bachiana che si avvale di un doppio coro quale troviamo invece in alcuni mottetti, nella
«Passione secondo San Matteo» e nella «Messa in si minore». La tavolozza orchestrale, affine al
«Sanctus» di questa stessa messa, si compone di 3 oboi, 3 trombe, 2 violini, viola, organo e
basso continuo. Di fronte al testo biblico scatta immediata ed espressiva la musa di Bach come
perfettamente esemplifica il soggetto della fuga esposto dalla voce dei bassi che alle parole
«Heil» [salute), «Kraft» (forza), «Reich» (regno), «Macht» (potenza), poste in rilievo sul tempo
forte della battuta, avviano un deciso percorso ascensionale per intervalli di 3a, 4a, 5a e 8a.

La fusione dei due cori si realizza poi in un clima di trionfale solennità mentre gli oboi e la
fanfara delle trombe si incaricano attraverso rapidi arpeggi, di sottolinearne la magnificenza.

Fiamma Nicolodi

BWV 51 - Jauchzet Gott in allen Landen


https://www.youtube.com/watchv=w_UQHrLUG4o
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata51-testo.html

Jauchzet Gott in allen Landen (Gridate di gioia a Dio in ogni terra), BWV 51
Cantata in do maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: 15a domenica dopo la festa della Trinità e in ogni tempo

Jauchzet Gott in allen Landen


Aria in do maggiore per sopranoo e tutti gli strumenti
Wir beten zu dem Tempel an
Recitativo in la minore per soprano, archi e continuo
Höchster, mache deine Güte fermer alle Morgen neu
Aria in la minore per soprano e continuo
Sei Lob und Preis mit Ehren
Corale in do maggiore per soprano, 2 violini e continuo
Alleluja, Alleluja
Aria in do maggiore per soprano e tutti gli strumenti

Organico: soprano, tromba, 2 violini, viola, continuo


Composizione: Lipsia, 1730
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 17 settembre 1730
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1863
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il più importante tra i compiti musicali a cui doveva adempiere il Kantor della Thomasschule di
Lipsia, incarico che Bach ricoprì dal maggio del 1723 fino alla morte, era quello di fornire
musica sacra per tutte le domeniche e le più importanti festività previste dagli ordinamenti
liturgici luterani, che nella severa ed ortodossa Lipsia erano osservati più rigorosamente che
altrove. Bach, benché gravato da altre numerose incombenze, nei primi anni lipsiensi s'impegnò
scrupolosamente a produrre, settimana dopo settimana, eccezion fatta per i periodi dell'Avvento
e della Quaresima, Cantate di sua composizione (per un totale di circa sessanta lavori l'anno,
raggruppati poi in cinque cicli di "annate" complete) da eseguirsi durante i riti religiosi che si
celebravano nelle due chiese più importanti della città: la Thomaskirche e la Nikolaikirche.

Successivamente la sua produzione di Cantate sacre diminuì gradualmente, per interrompersi del
tutto dopo il 1735 (tra il 1729 e il 1735 ne scrisse appena una dozzina), soprattutto quando,
assunta la guida del locale Collegium Musicum nel 1729, Bach si volse alla composizione di
Cantate profane o di opere di tipo speculativo, sfruttando per le esigenze del culto lavori
precedentemente composti - a volte ricorrendo alla tecnica della parodia - oppure proponendo
opere di altri musicisti contemporanei.

La Cantata Jauchzet Gott in allen Landen BWV 51 per soprano, tromba, archi e continuo, è una
delle ultime scritte da Bach a Lipsia. L'intestazione dell'autografo assegnerebbe l'opera alla
quindicesima domenica dopo la Trinità; tuttavia l'ulteriore precisazione apposta "et in Ogni
Tempo" indica, che la Cantata, eseguita forse per la prima volta il 17 settembre 1730, poteva
essere riproposta anche in altre occasioni liturgiche, tanto più che nel testo - di autore anonimo
-.mancano riferimenti precisi alla severa lettura evangelica del giorno, tratta dal "Discorso della
Montagna" (Matteo 6, 24-34).

L'impegno virtuosistico richiesto ai due solisti, specie nei due movimenti esterni, è tale da far
pensare che Bach scrisse questa cantata avendo in mente degli esecutori ben precisi. Mentre per
la parte della tromba è facile pensare a Gottfried Reiche, uno dei più noti strumentisti allora
attivi a Lipsia, per quella del soprano, che nei brani di apertura e di chiusura si spinge fino al do
sopra il rigo non è possibile fornire indicazioni sufficientemente precise: recentemente è stato
proposto, tra gli altri, il nome del castrato Giovanni Bindi, affermatosi da poco tempo a Dresda,
dando corpo all'ipotesi che questa Cantata sia stata originariamente destinata alla corte sassone
più che al regolare servizio liturgico in una delle due chiese di Lipsia.

La Cantata, l'unica scritta da Bach per una tale combinazione vocale-strumentale, si compone di
tre arie separate da un recitativo e da un corale. Nell'aria di apertura (Jauchzet Gott in allen
Landen), la struttura con il "da capo", con modulazione al tono relativo di la minore, si fonde
con quella di un allegro da concerto. L'esortazione a lodare Dio per la sua eterna bontà e
misericordia si traduce nella gioiosa contrapposizione del motivo "a fanfara" dell'orchestra con
le agili colorature del soprano, riprese per terze o con brevi imitazioni dalla tromba (e nella parte
centrale dell'aria dai violini primi). Nel recitativo successivo (Wir beten zu dem Tempel an), che
può essere meglio definito come un arioso accompagnato, l'intenso canto del solista, sostenuto
prima dalle semplici ma espressive crome ribattute degli archi e poi dal solo basso continuo, si
scioglie nella seconda parte del brano in capricciosi melismi posti sulla parola "lallen" (ossia
balbettare), ad esprimere l'incapacità umana a descrivere i miracoli divini. Nella seconda aria
(Höchster, mache deine Gute), anch'essa con il "da capo", l'invito rivolto al Signore a rinnovare
perennemente la sua bontà, si esprime musicalmente in un brano costruito su un basso ostinato
variato e su un morbido ritmo di siciliana. Dopo l'intonazione della strofa supplementare del
corale Nun lob, mein Seel, den Herren (Sei Lob und Preis mit Ehren), affidata non al coro ma al
soprano sostenuto dall'intensa elaborazione contrappuntistico-imitativa dei primi e secondi
violini, si passa senza interruzione alcuna al virtuosistico Alleluja, finale, proposto in un fugato
estremamente libero: le ampie colorature e i brillanti interventi della tromba restituiscono a
questo inno di ringraziamento e di lode lo stesso tono di chiara luminosità ed esuberanza con il
quale era iniziato, chiudendo l'intera Cantata in una cornice di mirabile unitarietà espressiva.

Marco Carnevali

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Gli anni di Lipsia (1723-1750) costituiscono il culmine dell'attività professionale ed artistica di


J.S. Bach. Anni difficili, caratterizzati da un'intensa produzione, soprattutto sul versante della
musica sacra, dai frequenti contrasti con i rettori della Thomasschule presso la quale Bach
effettuava l'ufficio di Cantor (compositore, didatta e direttore musicale), dal progressivo
accrescersi della famiglia e dal mai sopito desiderio di trovare impieghi di maggiore
soddisfazione in città musicalmente più vive ed aggiornate della piccola, isolata, provinciale
Lipsia (a Dresda, ad Amburgo ecc.). Gli impegni presso la Thomasschule ed il ruolo di
personalità fra le più autorevoli della vita musicale lipsiense favorirono l'incremento della
produzione bachiana di musiche ufficiali sacre (le oltre 200 cantate per la liturgia domenicale
protestante) e profane (cantate cerimoniali e celebrative). La Cantata BWV 51, "Jauchzet Gott in
alien Landen", appartiene al primo gruppo. E' una cantata composta per la quindicesima
domenica dopo la Trinità ed ebbe la sua prima esecuzione il 17 settembre del 1730; il suo testo
poetico parafrasa ed in parte cita le letture evangeliche previste per la detta festività ma la
moderazione con cui ciò vien fatto rende la cantata, per esplicita indicazione dell'autore,
eseguibile in qualsiasi momento dell'anno liturgico. La cantata è scritta per soprano, tromba,
archi e continuo; cosa poco men che rara in Bach, è priva del coro. Sua caratteristica principale è
l'antagonismo fra la voce e la tromba che si sfidano con le rispettive peculiarità virtuosistiche nel
primo e nell'ultimo brano della composizione, secondo una cifra stilistica di matrice più profana
che sacra ed assai frequentata dai musicisti italiani (basti qui rammentare la celebre "Su le
sponde del Tebro" di Alessandro Scarlatti) che privilegia le seduzioni di funambolici atletismi
esecutivi vocali e strumentali in competizione. La parte per tromba di questa cantata potrebbe
essere stata pensata per Johann Gottfried Reiche, capo degli Stadtpfeifern di Lipsia ed uno fra i
più noti strumentisti della città. I brani che costituiscono la cantata sono l'aria d'apertura, un
recitativo accompagnato per soprano ed archi, un'aria in 12/8 in stile di siciliana per soprano e
continuo ed un corale per soprano due violini e continuo concluso da un vibrante "Allelujah"
fugato in cui la tromba torna a competere con la voce.
Franco Piperno

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La cantata bachiana Jauchzet Gott in allen Landen Bwv 51, è una composizione misteriosa
quanto ad origine e destinazione. La s'ipotizza eseguita a Lipsia il 17 settembre 1730 per la XV
Domenica dopo la Trinità, e sicuramente fu impiegata anche in seguito in un contesto liturgico.
Pare tuttavia improbabile che un ruolo vocale tanto virtuosistico, che tra l'altro raggiunge per tre
volte e per salto il do sovracuto, sia stato concepito per la voce bianca di uno dei fanciulli cantori
della Thomasschule per i quali nacquero i capolavori lipsiensi di Bach. È dunque ipotizzabile
un'originaria destinazione cxtraliturgica, all'interno d'una Corte (quella di Weißenfels, per la
quale nel 1729 Bach scrisse la Cantata Bwv 210, o magari quella di Weimar di tre lustri prima,
cui potrebbero risalire i primi tre movimenti della cantata) o di un'istituzione concertistica (il
CoIIegium Musicum di Lipsia diretto da Bach sempre dal 1729), dove sarebbe stato impiegato
un cantante donna o un castrato - esattamente come nel teatro d'opera coevo. Comunque sia, la
composizione mostra una natura estetica eccezionale che fonde due tradizioni differenti. La
struttura fondamentale va ricondotta al citato modello del mottetto solistico, coltivato
assiduamente negli ospedali veneziani, di cui Bach adotta la sequenza quadripartita (aria-
recitativo-aria-alleluja), applicandola tuttavia a una lingua differente (tedesco, non latino) e
interpolandovi il corale, elemento a lui carissimo, tipico della cantata luterana e perciò del tutto
eterogeneo rispetto al modello italiano.

La varietà di forme e tecniche compositive del tardo barocco è poi ben rappresentata dai cinque
tempi della cantata: la scrittura moderna con tromba e violino concertanti nella prima aria, la
monodia accompagnata nel recitativo e arioso col basso continuo, le variazioni sul basso ostinato
nella seconda aria, il corale figurato, integrato in una struttura strumentale da sonata a tre, e
infine, simmetricamente all'esordio, nuovamente la scrittura concertante dell'Alleluia conclusivo,
ma coniugata con la forma del fugato. La cantata si presta inoltre a essere interpretata come una
latente struttura ternaria analoga al concerto strumentale, in cui la prima aria funga da Allegro
iniziale, il complesso recitativo - seconda aria unificato dall'accompagnamento del solo
continuo, da intimistico e contrastante tempo centrale nel tono relativo minore, mentre il corale e
l'Alleluia prescritti senza soluzione di continuità, costituiranno l'Allegro conclusivo, ancora nella
tonalità base di do maggiore. Una tripartizione che corrisponderebbe inoltre al piano tematico
della cantata, in cui un'umile professione di fede di toccante autenticità è incastonata tra due
perentorie confessioni di lode. Se la prima aria rinnova gli splendori dei Concerti
brandeburghesi, col concertino dei tre "strumenti" (soprano, violino e tromba) che compete col
tutti orchestrale, il clamore si stempera nel recitativo in cui la voce appoggia la propria intensa
perorazione sugli accordi ribattuti degli archi, fino alla trasformazione della scena con l'arioso
accompagnato dal solo continuo, idealmente protratto nell'aria omogenea per organico, tonalità e
atteggiamento espressivo: un intimo Wiegenlied della coscienza, tradotto in un nastro vocale di
rasserenante distensione. Riguadagnato il do maggiore d'impianto i due violini innescano un
fidente gioco imitativo al quale la voce sovrappone l'intonazione del corale. La cantata culmina
nella monumentale realizzazione dell'Alleluia conclusivo, il cui tema, scagliato dal soprano nel
silenzio dell'orchestra, è prontamente raccolto dalla tromba concertante e dal tutti degli archi,
coinvolti in un fugato tanto concitato quanto efficace.

Raffaele Mellace
BWV 52 - Falsche Welt, dir trau' ich nicht
https://www.youtube.com/watchv=F4eKluZCAfs
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV52-Ita2.htm

BWV 53 - Schlage doch, gewünschte Stunde (spuria, di Georg Melchior Hoffmann)


https://www.youtube.com/watchv=wck8cPO8VW0
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata53.html

Schlage doch, gewünschte Stunde (Deh, suona, ora desiderata), BWV 53


Cantata in mi maggiore per contralto e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: forse Salomon Franck
Occasione: cantata funebre

Schlage doch, gewünschte Stunde


Aria in mi maggiore per contralto e tutti gli strumenti

Organico: contralto, 2 violini, viola, violoncello, 2 campanelle, continuo


Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1863

Attribuzione errata, composizione di Georg Melchior Hofmann


Guida all'ascolto (nota 1)

La Cantata Schlage doch, gewünschte Stunde («Deh, suona, ora desiderata») è in realtà un'aria
funebre per voce sola di contralto. Fu scritta da Bach intorno al 1730, a Lipsia, Il testo è d'autore
sconosciuto, anche se potrebbe essere ascritto a Salomo Franck, «librettista» di Bach a Weimar.
Lo strumentale prevede oltre agli archi e al continuo due campanelle, in si e in mi. L'attribuzione
a Bach di questa Cantata solistica è stata contestata da alcuni critici ma è affermata dallo Spitta e
dallo Schweitzer.

L'aria è fondata su un giro melodico ad ampio respiro, con note di valore lungo (semibrevi e
minime). I rintocchi funebri delle campanelle non intaccano il carattere consolante della pagina,
quella sorta di dolce, rasserenante melanconia che lo Schweitzer ha felicemente chiamato
«nostalgia della morte».

Carlo Marinelli

BWV 54 - Widerstehe doch der Sünde


https://www.youtube.com/watchv=PqO4Npbo_WM
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata54-testo.html
Widerstehe doch der Sünde (Resisti dunque al peccato), BWV 54
Cantata per contralto, 2 violini, 2 viole e continuo

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Georg Christian Lehms
Occasione: 7a domenica dopo la Trinità

Widerstehe doch der Sünde


Aria, in mi bemolle maggiore per contralto e tutti gli strumenti
Riutilizzata nella Passione secondo S. Marco, BWV 247 n. 53
Die Art verruchter Sunden ist zwar von aussen wunderschon
Recitativo in do minore/la bemolle maggiore per contralto e continuo
Wer Sünde tut, der ist vom Teufel
Aria, in mi bemolle maggiore per contralto e tutti gli strumenti

Organico: contralto, 2 violini, 2 viole, continuo


Composizione: Weimar, 1714
Prima esecuzione: Weimar, Schlosskirche, 15 luglio 1714
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1863

Guida all'ascolto (nota 1)

La Cantata Widerstehe doch der Sünde («Resisti dunque al peccato») è una cantata solistica,
scritta intorno al 1730, a Lipsia, per la settima domenica dopo la S.S. Trinità. Essa è articolata in
due arie intramezzate da un recitativo. Il testo è d'autore sconosciuto. E' probabile che la musica
sia stata presa da Bach dalla perduta Passione secondo S. Marco. Lo strumentale comprende i
soli archi (violini e viole a due) e il continuo.

Lo Schweitzer ha sottolineato l'arditezza della prima aria che comincia sull'accordo di settima.
Agli archi è affidato un disegno ondulante che sembra avvolgere la linea vocale, che appare
meno continua, interrotta in sezioni, appassionatamente tesa in una discorsiva affermatività. Il
recitativo «Die Art verruchter Sünden» («L'apparenza degli infami peccati») è interamente
affidato alla voce, con cupe inflessioni declamanti, appena sostenute armonicamente dal
continuo che solo sul finire assume un disegno incalzante che prepara e introduce lo slancio
della seconda aria «Wer Sünde tut» («Chi commette il peccato»), caratterizzata da un lungo
vocalizzo sulla parola «Teufel» («diavolo»).

Carlo Marinelli

BWV 55 - Ich armer Mensch, ich Sündenknecht


https://www.youtube.com/watchv=YvDcBsn78sw
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV55-Ita2.htm

BWV 56 - Ich will den Kreuzstab gerne tragen


https://www.youtube.com/watchv=GqtHzaPCe9I
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV55-Ita4.htm

BWV 57 - Selig ist der Mann


https://www.youtube.com/watchv=pU5Q316sM9o
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV57-Ita2.htm

BWV 58 - Ach Gott, wie manches Herzeleid


https://www.youtube.com/watchv=Rf7ShfqRlxM
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV58-Ita5.htm

BWV 59 - Wer mich liebet, der wird mein Wort halten


https://www.youtube.com/watchv=0Oorxqthffo
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV59-Ita2.htm

BWV 60 - O Ewigkeit, du Donnerwort


https://www.youtube.com/watchv=FZMhz-Xhq2I
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV60-Ita2.htm

BWV 61 - Nun komm, der Heiden Heiland


https://www.youtube.com/watchv=mREUBjHoE0w
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata61-testo.html

Nun komm, der Heiden Heiland (Ora vieni, salvatore dei miscredenti), BWV 61
Cantata in la minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Erdmann Neumeister
Occasione: 1a domenica d'Avvento

Nun komm, der Heiden Heiland


Coro in la minore per coro e tutti gli strumenti
Der Heiland ist gekommen
recitativo in do maggiore per tenore e continuo
Komm, Jesu, komm zu deiner Kirche
Aria in do maggiore per tenore, archi e continuo
Siehe! Siehe! Ich stehe vor der Thür'
Recitativo in mi minore/sol maggiore per basso, archi e continuo
Öffne dich, mein ganzes Herze
Aria in sol maggiore/mi minore per soprano, violoncello e continuo
Amen, Amen, komm, du schöne Freudenkrone
Corale in sol maggiore per coro, fagotto, 2 violini, viola e continuo
Organico: soprano, tenore, basso, coro misto, fagotto, 2 violini, viola, violoncello, continuo
Composizione: Weimar, 1714
Prima esecuzione: Weimar, Hofkapelle, 2 dicembre 1714
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1868

La Cantata BWV 62 ha lo stesso titolo


Guida all'ascolto (nota 1)

Nel catalogo delle opere di Bach, il capitolo delle Cantate non è solo il più ricco, ma anche il più
rivelatore e il più intricato. Ricco per la quantità e la varietà delle composizioni che ci sono
pervenute: oltre duecento Cantate sacre e circa trenta profane. Rivelatore per i metodi che Bach
affinò soprattutto allo scopo di far fronte all'intenso ritmo produttivo che gli veniva richiesto:
negli anni trascorsi a Lipsia, per fare un esempio, il suo contratto con la cantoria di San
Tommaso prevedeva che egli preparasse circa sessanta Cantate l'anno. Intricato, infine, per la
difficoltà di ricostruire la genesi delle singole opere e per l'impossibilità di valutare in maniera
realistica la frequenza con la quale Bach riutilizzava in ambito sacro i materiali delle Cantate
profane, e viceversa: per comprendere quanto lacunose siano le nostre informazioni a riguardo
basterà ricordare che la maggior parte delle Cantate profane è andata perduta e che identico
destino, nonostante la quantità di opere in nostro possesso, è stato seguito da circa il quaranta per
cento della sua produzione sacra.

Da quel che conosciamo, in ogni caso, è possibile ricavare un'idea del modo in cui Bach
lavorava e dell'importanza che il genere della Cantata ha avuto nell'evoluzione del suo stile dal
giorno in cui, diciottenne, si era recato a Lubecca per ascoltare le Abendmusiken di Dietrich
Buxtehude, un tentativo di rinnovamento stilistico che grazie all'impiego di ampie masse
strumentali e corali rese più ambizioso e spettacolare il genere della Cantata da chiesa.

L'esperienza compiuta accanto a Buxtehude servì al giovane Bach soprattutto per la tecnica
dell'orchestrazione, per la capacità di usare in funzione espressiva i rapporti fra le diverse
famiglie strumentali, per la facilità nel conferire un senso drammatico all'alternanza di pagine
corali e passaggi solistici. Con un incessante lavoro di elaborazione e perfezionamento, tuttavia,
Bach trasformò la Cantata in un organismo sempre più plastico e versatile, tale da assorbire e
metabolizzare in una forma coerente fonti musicali e stilistiche anche molto lontane fra loro.

In molti casi la Cantata bachiana recupera linguaggi arcaicizzanti, è scandita da fraseggi duri, da
melodie di mistica asciuttezza o da trame polifoniche al limite dell'esoterismo. Parallelamente,
Bach introduce nella Cantata le movenze più aggiornate della musica profana, come si vede dal
frequente uso di ritmi di danza oppure dal taglio galante delle arie solistiche, dai duetti,
dall'impostazione operistica che queste pagine spesso condividono con i recitativi.

Nelle Cantate di Bach, dunque, la coerenza musicale non è assicurata dall'omogeneità dei mezzi
stilistici, ma dal modello letterario della tradizione luterana, come pure dalle simmetrie che
l'autore pianifica per meglio rivestirne sia i contenuti teologici, sia quelli più schiettamente
narrativi. Il testo, infatti, alterna di solito corali, versetti biblici, preghiere e versi liberi di
meditazione: con precisa corrispondenza, Bach tende a distribuire il materiale musicale in base a
un simbolismo che nella maggior parte dei casi dipende più dall'intenzione di rafforzare l'effetto
drammatico dei versi che da una cabala numerologica o da speculazioni astratte. L'uso di
rigorosi schemi geometrici e il ricorso a un simbolismo ben codificato diventano inoltre per
Bach efficacissimi strumenti di lavoro, elementi di un vero e proprio metodo il cui scopo è
quello di semplificare, se non proprio di automatizzare, la selezione dei materiali musicali e il
processo compositivo di fronte alle esigenze poste di volta in volta dai testi. Solo grazie a una
simile organizzazione del lavoro Bach poteva riutilizzare in una Cantata le arie scritte per
un'altra, oppure mutare il testo di una Cantata profana adattandovi quello destinato all'uso
liturgico, secondo l'uso che allora si definiva "parodia".

Nel calendario della chiesa luterana il periodo dell'Avvento, che comprende le quattro
domeniche precedenti il Natale, coincide con l'inizio dell'anno liturgico. Durante questo arco di
tempo, all'epoca di Bach, in chiesa non potevano svolgersi festività o celebrazioni di alcun
genere. Era vietato anche fare musica, specie se accompagnata da strumenti, mentre al massimo
poteva essere tollerata l'esecuzione di semplici corali o di brani per organo solo. Si faceva
un'eccezione solo per la prima domenica di Avvento: in questa data, infatti, l'inaugurazione
dell'anno liturgico offriva il pretesto per una celebrazione fastosa, nella quale era previsto si
ricorresse ampiamente all'esecuzione di musica con strumenti. Per dare un'idea di come si
svolgessero simili celebrazioni, basterà leggere la nota che Bach scrisse sul retro della partitura
della Cantata BWV 61 per il servizio della prima domenica di Avvento dell'anno 1724. La
riportiamo qui nella traduzione che ne ha dato Alberto Basso (Frau Musika, Torino, EDT, 1983,
voi. II, p. 33):

(1) Si preludia. (2) Motetta. (3) Si preludia sul Kyrie, che viene eseguito per intero. (4) Si intona
davanti all'altare. (5) Si legge l'Epistola. (6) Si canta la Litania. (7) Si preludia sul corale. (8) Si
legge l'Evangelium. (9) Si preludia alla musica principale [= Cantata]. (10) Si canta il Credo.
(11) La predica. (12) Dopo la predica, come d'abitudine si cantano alcuni versetti di un Lied.
(13) Verba Institutionis [= istituzione della Santa Cena]. (14) Si preludia alla musica. E dopo
questa si alternano preludi e canto di corali, sino al termine della Comunione.

Come si vede, l'esecuzione della Cantata è immersa in un contesto di partecipazione liturgica


molto ampio; la sua posizione subito dopo la lettura del Vangelo ne rafforza ulteriormente il
compito retorico cui essa assolveva, quello di incrementare l'efficacia drammatica della vicenda
sacra e di muovere i fedeli alla partecipazione, ovvero - nel senso più forte del termine - alla
compassione.

Alla festività della prima domenica di Avvento Bach destinò in tutto tre Cantate. Il tono festoso
dell'occasione liturgica gli consentì almeno in un caso di valersi di materiale profano nella
composizione. Come vedremo, in ogni caso, tutte le tre Cantate sono concepite su una semplice
scansione simmetrica che gioca per lo più sul contrasto fra il giubilo dell'attesa e il più oscuro
raccoglimento della preghiera.
***

Risale agli anni di Weimar ed è, dal punto di vista della cronologia, la prima Cantata che Bach
fece eseguire per l'Avvento, il 2 dicembre 1714. Una seconda esecuzione sembra abbia avuto
luogo a Lipsia nel 1723. Il testo è tratto dal secondo libro di Cantate che il poeta Erdmann
Neumeister aveva sistemato assemblando fonti differenti, secondo la tradizione luterana, ad uso
di Georg Philipp Telemann durante il periodo in cui questi operava ad Eisenach, la città natale di
Bach.

Caratteristica di questa Cantata è l'ampia pagina di apertura in stile francese, uno dei primi
esempi del genere nel ciclo bachiano, poi destinato a diventare un elemento quasi costante nella
produzione successiva, specie in quella realizzata a Köthen. Sul tipico andamento puntato
dell'ouverture alla francese Bach inserisce contrappuntisticamente il tema del corale «Nun
komm, der Heiden Heiland» e - sulle parole «deB sich wundert alle Welt» - un fitto episodio
fugato. L'alternanza di galanteria e rigore devozionale si ripete nella prima aria, «Komm, Jesu,
komm», introdotta quasi per metamorfosi attraverso un recitativo che lentamente si trasforma in
una melodia ariosa. Anche negli episodi successivi Bach adotta una inconsueta varietà di
soluzioni vocali e strumentali: si notino il recitativo del soprano con archi in pizzicato, l'aria
subito successiva, imperniata su un basso continuo asciuttissimo, o ancora il finale, che riprende
il tema del corale ma lascia spazio sia agli interventi contrappuntistici del soprano, sia a una
parte quasi concertante del violino.

Stefano Catucci

BWV 62 - Nun komm, der Heiden Heiland


https://www.youtube.com/watchv=qQ6EZ5L5NG0
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata62-testo.html

Nun komm, der Heiden Heiland (Ora vieni, salvatore dei miscredenti), BWV 62
Cantata in si minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto da Martin Lutero
Occasione: 1a domenica d'Avvento

Nun komm, der Heiden Heiland


Coro in si minore per coro e tutti gli strumenti
Bewundert, o Menschen, dies grosse Geheimnis
Aria in sol maggiore per tenore, 2 oboi, archi e continuo
So geht aus Gottes Herrlichkeit und Thron
Recitativo in re maggiore/la maggiore per basso e continuo
Streite, siege, starker Held!
Aria in re maggiore per basso, archi e continuo
Wir ehren diese Herrlichkeit
Recitativo in la maggiore/si minore per soprano, contralto, archi e continuo
Lob sei Gott, dem Veter, g'tan
Corale in si minore per coro e tutti gli strumenti

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 oboi, corno, 2 violini, viola,
violoncello, continuo
Composizione: Lipsia, 1724
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 3 dicembre 1724
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1868
La Cantata BWV 61 ha lo stesso titolo
Guida all'ascolto (nota 1)

Nel catalogo delle opere di Bach, il capitolo delle Cantate non è solo il più ricco, ma anche il più
rivelatore e il più intricato. Ricco per la quantità e la varietà delle composizioni che ci sono
pervenute: oltre duecento Cantate sacre e circa trenta profane. Rivelatore per i metodi che Bach
affinò soprattutto allo scopo di far fronte all'intenso ritmo produttivo che gli veniva richiesto:
negli anni trascorsi a Lipsia, per fare un esempio, il suo contratto con la cantoria di San
Tommaso prevedeva che egli preparasse circa sessanta Cantate l'anno. Intricato, infine, per la
difficoltà di ricostruire la genesi delle singole opere e per l'impossibilità di valutare in maniera
realistica la frequenza con la quale Bach riutilizzava in ambito sacro i materiali delle Cantate
profane, e viceversa: per comprendere quanto lacunose siano le nostre informazioni a riguardo
basterà ricordare che la maggior parte delle Cantate profane è andata perduta e che identico
destino, nonostante la quantità di opere in nostro possesso, è stato seguito da circa il quaranta per
cento della sua produzione sacra.

Da quel che conosciamo, in ogni caso, è possibile ricavare un'idea del modo in cui Bach
lavorava e dell'importanza che il genere della Cantata ha avuto nell'evoluzione del suo stile dal
giorno in cui, diciottenne, si era recato a Lubecca per ascoltare le Abendmusiken di Dietrich
Buxtehude, un tentativo di rinnovamento stilistico che grazie all'impiego di ampie masse
strumentali e corali rese più ambizioso e spettacolare il genere della Cantata da chiesa.

L'esperienza compiuta accanto a Buxtehude servì al giovane Bach soprattutto per la tecnica
dell'orchestrazione, per la capacità di usare in funzione espressiva i rapporti fra le diverse
famiglie strumentali, per la facilità nel conferire un senso drammatico all'alternanza di pagine
corali e passaggi solistici. Con un incessante lavoro di elaborazione e perfezionamento, tuttavia,
Bach trasformò la Cantata in un organismo sempre più plastico e versatile, tale da assorbire e
metabolizzare in una forma coerente fonti musicali e stilistiche anche molto lontane fra loro.

In molti casi la Cantata bachiana recupera linguaggi arcaicizzanti, è scandita da fraseggi duri, da
melodie di mistica asciuttezza o da trame polifoniche al limite dell'esoterismo. Parallelamente,
Bach introduce nella Cantata le movenze più aggiornate della musica profana, come si vede dal
frequente uso di ritmi di danza oppure dal taglio galante delle arie solistiche, dai duetti,
dall'impostazione operistica che queste pagine spesso condividono con i recitativi.

Nelle Cantate di Bach, dunque, la coerenza musicale non è assicurata dall'omogeneità dei mezzi
stilistici, ma dal modello letterario della tradizione luterana, come pure dalle simmetrie che
l'autore pianifica per meglio rivestirne sia i contenuti teologici, sia quelli più schiettamente
narrativi. Il testo, infatti, alterna di solito corali, versetti biblici, preghiere e versi liberi di
meditazione: con precisa corrispondenza, Bach tende a distribuire il materiale musicale in base a
un simbolismo che nella maggior parte dei casi dipende più dall'intenzione di rafforzare l'effetto
drammatico dei versi che da una cabala numerologica o da speculazioni astratte. L'uso di
rigorosi schemi geometrici e il ricorso a un simbolismo ben codificato diventano inoltre per
Bach efficacissimi strumenti di lavoro, elementi di un vero e proprio metodo il cui scopo è
quello di semplificare, se non proprio di automatizzare, la selezione dei materiali musicali e il
processo compositivo di fronte alle esigenze poste di volta in volta dai testi. Solo grazie a una
simile organizzazione del lavoro Bach poteva riutilizzare in una Cantata le arie scritte per
un'altra, oppure mutare il testo di una Cantata profana adattandovi quello destinato all'uso
liturgico, secondo l'uso che allora si definiva "parodia".

Nel calendario della chiesa luterana il periodo dell'Avvento, che comprende le quattro
domeniche precedenti il Natale, coincide con l'inizio dell'anno liturgico. Durante questo arco di
tempo, all'epoca di Bach, in chiesa non potevano svolgersi festività o celebrazioni di alcun
genere. Era vietato anche fare musica, specie se accompagnata da strumenti, mentre al massimo
poteva essere tollerata l'esecuzione di semplici corali o di brani per organo solo. Si faceva
un'eccezione solo per la prima domenica di Avvento: in questa data, infatti, l'inaugurazione
dell'anno liturgico offriva il pretesto per una celebrazione fastosa, nella quale era previsto si
ricorresse ampiamente all'esecuzione di musica con strumenti. Per dare un'idea di come si
svolgessero simili celebrazioni, basterà leggere la nota che Bach scrisse sul retro della partitura
della Cantata BWV 61 per il servizio della prima domenica di Avvento dell'anno 1724. La
riportiamo qui nella traduzione che ne ha dato Alberto Basso (Frau Musika, Torino, EDT, 1983,
voi. II, p. 33):

(1) Si preludia. (2) Motetta. (3) Si preludia sul Kyrie, che viene eseguito per intero. (4) Si intona
davanti all'altare. (5) Si legge l'Epistola. (6) Si canta la Litania. (7) Si preludia sul corale. (8) Si
legge l'Evangelium. (9) Si preludia alla musica principale [= Cantata]. (10) Si canta il Credo.
(11) La predica. (12) Dopo la predica, come d'abitudine si cantano alcuni versetti di un Lied.
(13) Verba Institutionis [= istituzione della Santa Cena]. (14) Si preludia alla musica. E dopo
questa si alternano preludi e canto di corali, sino al termine della Comunione.

Come si vede, l'esecuzione della Cantata è immersa in un contesto di partecipazione liturgica


molto ampio; la sua posizione subito dopo la lettura del Vangelo ne rafforza ulteriormente il
compito retorico cui essa assolveva, quello di incrementare l'efficacia drammatica della vicenda
sacra e di muovere i fedeli alla partecipazione, ovvero - nel senso più forte del termine - alla
compassione.

Alla festività della prima domenica di Avvento Bach destinò in tutto tre Cantate. Il tono festoso
dell'occasione liturgica gli consentì almeno in un caso di valersi di materiale profano nella
composizione. Come vedremo, in ogni caso, tutte le tre Cantate sono concepite su una semplice
scansione simmetrica che gioca per lo più sul contrasto fra il giubilo dell'attesa e il più oscuro
raccoglimento della preghiera.
***

Questa Cantata si basa sull'elaborazione di materiali musicali considerati d'obbligo per la


festività dell'Avvento: il Lied di Lutero dal quale Bach aveva tratto il tema dell'introduzione
della Cantata BWV 61, «Veni redemptor gentium», diventa però ora il nucleo ispiratore del
finale, mentre l'incipit della Cantata ha uno stile concertante che coinvolge i soprani e il corno in
un reciproco rinvio di frammenti melodici. L'aria del tenore è basata su un ritmo di danza, una
siciliana, e questo offre l'occasione di notare come in Bach sia frequente anche in ambito
liturgico l'adozione di formule dello stile galante, quasi che il compositore fosse convinto di
poter in qualche modo rafforzare, attraverso questa commistione, l'efficacia retorica del canto
sacro. In questo caso l'aria del basso ha un piglio decisamente teatrale, eroico («Streite, siege,
starker Held!»), e certo tratteggia l'attesa della Redenzione con una forza drammatica che oggi
può apparire ingenua, ma che al tempo di Bach doveva suscitare la convinzione di una speranza
autentica.

Stefano Catucci

BWV 63 - Christen, ätzet diesen Tag


https://www.youtube.com/watchv=ugwRo3md1CM
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV63-Ita2.htm

BWV 64 - Sehet, welch eine Liebe hat uns der Vater erzeiget
https://www.youtube.com/watchv=pBVvi-WPWjA
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata64-testo.html

Sehet, welch eine Liebe hat uns der Vater erzeiget, BWV 64
Cantata in mi minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: per il 3° giorno della festa di Natale

Sehet, welch eine Liebe hat uns der Vater erzeiget


Coro in mi minore per coro, cornetto, 3 tromboni, archi, organo e continuo
Das hat er Alles uns getan
Corale in sol maggiore per coro, cornetto, 3 tromboni, archi, organo e continuo
Riutilizzato nel Corale n. 6 di BWV 91
Geh, Welt! behalte nur das Deine
Recitativo in do maggiore/re maggiore per contralto e continuo
Was frag' ich nach der Welt
Corale in re maggiore per coro, cornetto, 3 tromboni, archi, organo e continuo
Riutilizzato nel Corale n. 8 di BWV 94
Was die Welt in sich hält
Aria in si minore per soprano,, archi e continuo
Der Himmel bleibet mir gewiss
Recitativo in sol maggiore per basso e continuo
Von der Welt verlang' ich nichts
Aria in sol maggiore per contralto, oboe d’amore e continuo
Gute Nacht, o Wesen, das die Welt erlesen
Corale in mi minore per coro, cornetto, 3 tromboni, archi, organo e continuo

Organico: soprano, contralto, basso, coro misto, cornetto, oboe d'amore, 3 tromboni, 2 violini,
viola, violoncello, organo, continuo
Composizione: Lipsia, 1723
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 27 dicembre 1723
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1868

Guida all'ascolto (nota 1)


Fin dalla seconda metà del Seicento il termine di "cantata" servì a definire un brano diviso in più
parti e con accompagnamento strumentale. Ma, mentre nell'opera e nell'oratorio, gli altri due
importanti generi della composizione vocale del tempo, predominavano gli elementi drammatici
ed epici, la cantata assunse un aspetto meno aulico e fastoso e seguì una linea espressiva più
spiccatamente lirica. Se, come sembra ormai accertato, il madrigale e la canzonetta diedero
origine alla cantata italiana profana, specialmente nelle due forme di cantata solista e duetto da
camera, bisogna ricordare che alla base della cantata da chiesa tedesca c'erano i mottetti
concertanti e le elaborazioni concertanti di canti chiesastici. I primi prendevano comunemente lo
spunto da un versetto del Vangelo o delle Epistole, e talvolta anche da un Salmo, cioè da un testo
in prosa; le altre invece si valevano di un intero canto chiesastico. In origine però le cantate non
erano molto articolate e non avevano quella precisa rifinitura formale che assunsero in seguito
con il contributo e l'esperienza bachiana. In esse si alternavano le parole della Bibbia, che
costituivano il testo in prosa, agli squarci corali in cui venivano rielaborate intonazioni liturgiche
e melodie di canti chiesastici. Fu il pastore protestante Erdmann Neumeister ad ampliare nel
1700 il linguaggio della cantata, introducendovi le forme dell'opera, in particolare il recitativo e
le arie con il da capo. Lo stesso Neumeister nella prefazione alle sue "Geistliche Cantaten statt
einer Kirchenmusic" ammise esplicitamente di aver scritto le sue cantate con il pensiero rivolto
alla predica domenicale e che la loro forma non era altro che un brano operistico, cioè una
successione di recitativi e arie.

Nel periodo in cui svolse a Weimar le funzioni di Konzertmeister (1714-1717) Bach adottò
questa nuova forma di cantata e accettò la collaborazione del librettista Salomo Franck che, oltre
ad essere il segretario del concistoro di quella città, era un fedele seguace delle innovazioni
apportate da Neumeister. Inizialmente la cantata bachiana eseguita prima e a volte anche dopo la
predica nella messa, si articolava nel seguente modo: il brano di apertura era una fuga per coro o
un tempo concertante con coro, di solito su un passo della Bibbia; seguivano quindi i recitativi e
le arie, inframezzati a volte da ariosi o da duetti, per terminare con la strofa di un canto
chiesastico costruita in modo semplice e lineare. Successivamente quando Bach si stabilì a
Lipsia dal 1723 in poi e ricoprì l'ufficio di "Cantor e director musices" nella celebre
Thomasschule, sviluppò e ampliò notevolmente la forma della cantata, introducendovi dialoghi
fra due personaggi allegorici (la cosiddetta cantata corale), arie, ariosi, melodie caratteristiche di
danza che servivano a rendere la composizione più varia e meno pesante e arricchendo
notevolmente la strumentazione con l'espansione dei ritornelli delle arie: un procedimento in cui
Bach riversa in modo prepotente la sua fantasia inventiva, superando di gran lunga tutti i
contemporanei.

A Lipsia Bach compose cinque Annate complete di cantate sacre, ma a noi ne sono rimaste
appena duecento che si aggiungono alla trentina di cantate profane e che non differiscono molto
strumentalmente dalle prime, anche se il loro scopo era diverso ed era rivolto a festeggiare
matrimoni e occasioni liete e tristi di principi e personaggi illustri della società tedesca del
tempo. Una produzione estesa e di notevole impegno in cui, pur se a volte diverse composizioni
erano dettate da motivi contingenti e occasionali e dalla necessità di non perdere lo stipendio
annuo di settecento talleri (esclusi gli incerti saltuari), Bach rivela la sua originalità e genialità,
insieme a quella profondità e sincerità interiore che gli derivava dalla sua tenace e
incondizionata fede nel pietismo.
***

I maestri di fede luterana predisponevano la composizione delle cantate in cicli organici che
coprivano l'intero anno liturgico e prendevano il nome di "annate". Di tali cicli composti da Bach
soltanto tre sono pervenuti sino a noi: i primi due in maniera quasi completa e risalenti al
periodo 1723-'24 e 1724-'25, mentre il terzo (1725-'26) presenta varie lacune. Ogni ciclo o
annata comprende un numero di cantate che varia in funzione della datazione della Pasqua, la
festa più importante dell'anno in quanto celebrativa dell'evento centrale della Cristianità, cioè la
Resurrezione. Il compito di Bach è stato quello di scrivere delle cantate strettamente collegate
alla celebrazione liturgica delle varie feste e per tale ragione esse si ispirano alle letture del
giorno (Epistola e Vangelo) e sono intessute di richiami e citazioni ricavate dai testi dell'Antico e
del Nuovo Testamento.

La Cantata indicata dalle prime parole del testo "Sehet, welch eine Liebe hai uns der Vater
erzeiget" BWV 64 è del 1723 ed è stata scritta per la festa di S. Giovanni Evangelista (Feria III
Nativitatis Domini). Si apre con un coro costruito su una fuga trattata liberamente in cui il
soprano, il contralto, il tenore e il basso sviluppano un discorso vivace e fluido, dalle plastiche
risonanze armoniche, secondo il tipico stile bachiano rivolto a sfruttare al massimo l'estensione e
l'altezza delle voci. Il corale che segue ("Das hater Alles uns gethan") è caratterizzato da
dolcezza e sobrietà melodica di pungente effetto timbrico. Dopo il recitativo del contralto,
incastonato tra le figurazioni e le scale del basso continuo, si ascolta un altro corale ("Was
frag'ich nach der Welt") più semplice del precedente, ma molto preciso nel sottolineare
l'espressività della parola. Di notevole efficacia lirica le successive due Arie, la prima affidata al
soprano e la seconda, dopo un breve recitativo, cantata dal contralto su accompagnamento
dell'oboe d'amore e del basso continuo. La composizione termina con una solenne e nobile
melodia ("Gute Nacht, o Wesen, das die Welt erlesen!") rispondente in pieno alla concezione
religiosa e pietistica di Bach.

BWV 65 - Sie werden aus Saba alle kommen


https://www.youtube.com/watchv=qhzr7EU6XS8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV65-Ita2.htm

BWV 66 - Erfreut euch, ihr Herzen


https://www.youtube.com/watchv=qFlTRAhCav8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV66-Ita2.htm

BWV 66a - Der Himmel dacht auf Anhalts Ruhm und Glück
https://www.youtube.com/watchv=KwExJxmkSy4

BWV 67 - Halt im Gedächtnis Jesum Christ


https://www.youtube.com/watchv=xWFliBt-FFk
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV67-Ita2.htm
BWV 68 - Also hat Gott die Welt geliebt
https://www.youtube.com/watchv=UrPZhFBtVgI
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV68-Ita2.htm

BWV 69 - Lobe den Herrn, meine Seele


https://www.youtube.com/watchv=3p47HM3dIvw

BWV 69a - Lobe den Herrn, meine Seele


https://www.youtube.com/watchv=2rvv2Esz4J8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV69a-Ita2.htm

BWV 70 - Wachet! betet! betet! wachet!


https://www.youtube.com/watchv=NV6JGaUJGwE

BWV 70a - Wachet! betet! betet! wachet!


https://www.youtube.com/watchv=985kidsK61c
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV70-Ita2.htm

BWV 71 - Gott ist mein König


https://www.youtube.com/watchv=9b6rtn532A0
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV71-Ita5.htm

BWV 72 - Alles nur nach Gottes Willen


https://www.youtube.com/watchv=51TVduzoUFs
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV72-Ita2.htm

BWV 73 - Herr, wie du willt, so schicks mit mir


https://www.youtube.com/watchv=KBKhKSHl51I
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata73-testo.html

Herr, wie du willt, so schicks mit mir (Come vuoi tu, Signore), BWV 73
Cantata in sol minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: forse Salomon Franck
Occasione: 3a domenica dopo l'Epifania

a. Herr, wie du willt, so schicks mit mir


Coro in sol minore per coro e tutti gli strumenti
b. Ach! aber ach! wie viel lässt mich
Recitativo in sol minore per tenore e tutti gli strumenti
c. Du bist mein Helfer
Recitativo in sol minore per basso e tutti gli strumenti
d. Dein Wille zwar ist ein versiegelt Buch
Recitativo in sol minore per soprano e tutti gli strumenti
Ach, senke doch den Geist der Freuden
Aria in mi bemolle maggiore per tenore, oboe e continuo
Ach, unser Wille bleibt verkehrt
Recitativo in do minore per basso e continuo
Herr, so du willt
Aria in do minore per basso, archi e continuo
Das ist des Vaters Wille, der uns erschaffen hat
Corale in do minore per coro e tutti gli strumenti
Riutilizzato nel Corale n. 6 della Cantata BWV 186a

Organico: soprano, tenore, basso, coro misto, 2 oboi, corno, organo obbligato, 2 violini, viola,
continuo
Composizione: Lipsia, 1723 - 1724
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 23 gennaio 1724
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1870

Guida all'ascolto (nota 1)

Secondo lo Spitta e il Rust, la Cantala n. 73 risale agli anni tra il 1725 e il '27; vale a dire al
primo periodo della produzione di Bach come Cantor della Thomasschule di Lipsia. Presuntiva
n'è pure l'attribuzione del testo al Pisendel. Mentre quasi certo si può ritenere che anche il
compositore vi ebbe parte, se non altro indirizzando il librettista nel solco dell'antica cantata
tedesca agli inizi desunta dai corali e dai salmi e aggiornata appunto a quell'epoca dallo stesso
Pisendel, mediante il principio della parafrasi.

Parallela si dava intanto la nuova fioritura di questo genere di composizione religiosa; dai
moderni fornita di una letteratura autonoma a base di recitativi e arie, sotto il duplice influsso
delle forme operistiche italiane e della reazione al Pietismo; e dai conservatori osteggiata in
nome sia della tradizione, sia della finalità edificatoria che aveva permesso alle cantate d'inserirsi
nel servizio luterano tra il vangelo e il sermone intorno ai primi del Settecento, e ora, secondo
questi, messa in crisi. Ma Bach, chiamato a sublimare il genere, convenne solo in parte alla
polemica. Conciliarne le tesi in un contemperamento, di volta in volta diverso nelle soluzioni,
ma sempre indirizzato ad approfondire la lezione religiosa con il linguaggio della musica, fu
piuttosto il suo ideale estetico-mistico. Ciò di cui la Cantata n. 73 «per la III domenica dopo
l'Epifania» offre uno dei saggi più dimostrativi.

Nella liturgia di Lipsia il «proprio del giorno» portava la purificazione del lebbroso e il
risanamento del servo del centurione, dal Vangelo di S. Marco. Tuttavia niente di esso è passato
direttamente nel testo musicato da Bach. Quasi che troppo rapido fosse nel racconto evangelico
il passaggio della condizione d'angoscia alla grazia per l'intelligenza dei fedeli, l'anonimo
scrittore preferì indugiare sulla prima delle due condizioni, come prefigurando l'argomento di un
sermone sull'ineluttabilità della sofferenza umana, placata solo quando la si consideri volere di
Dio. E ne ricavò lo spunto e la perorazione conclusiva da due corali del secolo XVI; nell'ordine:
«Herr wie du willt» e «Von Gott will ich nicht lassen», lasciando alla musica di riscattare con la
sua verità la modestia delle proprie amplificazioni libere.

L'inframezzarsi dei recitativi solistici tra le riprese del coro si pone come la caratteristica di
maggiore evidenza del pezzo con cui principia la Cantata; che a un'analisi più attenta rivela un
impianto concettuale alla base della sua complessa struttura. Già la melodia del coro, anticipata
nella sua seconda, strofe dal corno, risulta derivata da un terzo corale «Wo Gott der Herr», vicino
nello spirito agli altri usati dal testo.

Inoltre, sempre nella parte introduttiva, risuona sin dalla seconda battuta l'inizio di questo
cantico, reso più perentorio dalla contrazione di tre note e scandito duramente dai violini contro
il dispiegarsi obbiettivo del disegno affidato agli oboi. Sebbene motivo meno spiccante del
cosiddetto tema del destino della V Sinfonia di Beethoven, al quale lo Schweitzer ha voluto
avvicinarlo, esso finirà col rivelarsi elemento chiave. Per due terzi del pezzo, infatti, il coro lo
elude in quella figurazione ritmica, lasciandolo agli interludi strumentali, ma dopo l'ultimo e più
implorante recitativo, si piega infine a farlo proprio per enunciarlo tre volte sulle parole «Come
vuoi Tu», la terza con un'ombra di renitenza avanzata dall'armonia dissonante. E da siffatta
conclusione viene suggellato il contrasto tra l'indecifrabile volontà suprema e il vano tentativo di
sottrarvisi, donde muove l'austera drammaticità del brano.

Nettamente diversa, quanto logicizzata dall'invocazione di un «raggio di gioia», segue l'aria con
da capo per tenore, oboi, archi e continuo. Poi l'impotenza a vincere lo sgomento dell'ignoto, se
non si prenda a modello il Cristo, è dipinta dal recitativo del basso, tutto intessuto da cromatismi
e dalla stupenda aria che ne nasce. Sotto il profilo formale, questa è meglio definibile un arioso,
giacché voce e orchestra (archi e organo) formano un'entità inscindibile; il canto s'attiene al tono
della declamazione lirica; e il sentimento del testo quale ragione della forma vi è sottolineato in
partenza da un altro motivo del'abnegazione dell'io: col suo gesto melodico, che s'innalza e
ripiega dolente, l'elemento d'unione tra gli episodi per cui trascorre questa miratile meditazione
sulla morte. Un'autentica «Passione» umana.

Quindi, attinto uno dei vertici della interiorità espressiva, anche Bach sembra aver giudicato
concluso il suo compito. La tradizione richiedeva che l'ultimo pezzo fosse un corale in modo
venisse intonato anche dal popolo, ed egli volle uniformarvisi riprendendo, oltre le parole, la
musica dell'inno «Tale è il voler di Dio» di Ludwig Helmhold (1568). Che per come compie la
Cantata sembra nascere dal suo stesso seno.

BWV 74 - Wer mich liebet, der wird mein Wort halten


https://www.youtube.com/watchv=yTOKDbTkMM8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV74-Ita2.htm

BWV 75 - Die Elenden sollen essen


https://www.youtube.com/watchv=EsL_gQ3OIOc
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV75-Ita2.htm
BWV 76 - Die Himmel erzählen die Ehre Gottes
https://www.youtube.com/watchv=koetgT-M5H4
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV77-Ita2.htm

BWV 77 - Du sollt Gott, deinen Herren, lieben


https://www.youtube.com/watchv=0mc-g_yGd3U
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV77-Ita4.htm

BWV 78 - Jesu, der du meine Seele


https://www.youtube.com/watchv=JAlt2NAfaYA
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata78-testo.html

Jesu, der du meine Seele (O Gesù che hai salvato la mia anima), BWV 78
Cantata in mi bemolle maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto da Johann Rist
Occasione: 14a domenica dopo la festa della Trinità

Jesu, der du meine Seele


Coro in sol minore per coro, flauto traverso, 2 oboi, 2 violini, viola e continuo
Riutilizzato nel Cruxifixus della Messa BWV 232
Wir eilen mit schwachen, doch emsigen Schritten
Duetto in si bemolle maggiore per soprano, contralto, organo, violoncello e violone
Ach! Ich bin ein Kind der Sünden
Recitativo in re minore/do minore per tenore e continuo
Dein Blut, so meine Schuld durchstreicht
Aria in sol minore per tenore, flauto traverso e continuo
Die Wunden, Nägel, Kron' und Grab
Recitativo in mi bemolle maggiore/fa minore per basso, archi e continuo
Nun, du wirst mein Gewissen stillen
Aria in do minore per basso, oboe, archi e continuo
Herr, ich glaube, hilf mir Schwachen
Corale in sol minore per coro, flauto traverso, 2 oboi, 2 violini, viola e continuo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, flauto traverso, 2 oboi, corno, 2 violini,
viola, violoncello, violone, continuo
Composizione: Lipsia, 1724
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 10 settembre 1724
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1870

Guida all'ascolto (nota 1)


La Cantata "Jesu, der du meine Seele" BWV 78 è stata scritta per la Dominica 14 post Trinitatis
nel 1724. Sono richieste quattro voci soliste, il coro, e un organico così composto: flauto, 2 oboi,
corno, 2 violini, viola, continuo (cello, violone, organo). Il testo si basa su un inno popolare
pubblicato nel 1641 dal teologo, poeta e compositore Johann Rist. Esiste anche l'ipotesi, secondo
Brausch, che il libretto sia nato da una parafrasi madrigalesca di Mariane von Ziegler. Lo spunto
poetico è quasi certamente quello derivato da Luca (17,19) che si riferisce alla guarigione dei
dieci lebbrosi, alle parole "Alzati e vattene, la tua fede ti ha salvato". La struttura è quella di una
"Predigt-kantate" con una meditazione sul peccato, la redenzione e l'amore di Cristo. Il carattere
malinconico e dolce ad un tempo, di tutta la cantata, appare sin dalla prima sezione, strutturata
come una ciaccona, su un passaggio cromatico discendente nell'ambito di una quarta (il "passus
duriusculus" già trovato altrove). Il tema viene ripetuto per 27 volte, in un fitto intreccio
contrappuntistico, per giungere al corale con il tema della ciaccona rovesciato. Segue poi il
duetto ("Wir eilen mit schwachen") fra soprano e alto, legato, nel suo andamento canonico e
leggero, all'idea del fedele che segue il Maestro, nella struttura di aria col da capo. Seguono il
recitativo e l'aria del tenore ("Das Blut, so meine Schuld durchstreicht"), il primo costruito su
citazioni del corale, il secondo, di grande intensità, con il flauto traverso obbligato. Ancora un
recitativo e un'aria, in quinta e sesta posizione, affidate al basso. Il primo, in stile accompagnato,
è particolarmente interessante per le variazioni espressive e dinamiche richieste; la seconda
("Nun du wirst mein Gewissen stillen"), in forma bipartita, è simile ad un allegro da concerto. Il
corale, in ultima posizione ("Herr, ich glaube, hilf mir schwachen"), conclude nella maniera più
semplice, a quattro voci, la Cantata, con una professione di fede e un'invocazione di aiuto per
superare le debolezze della vita.

Roberto Chiesa

BWV 79 - Gott der Herr ist Sonn und Schild


https://www.youtube.com/watchv=INeKvvSxy0U
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV79-Ita2.htm

BWV 80 - Ein Feste Burg ist unser Gott


https://www.youtube.com/watchv=cNZvQbvf5gA
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV80-Ita2.htm

BWV 80a - Alles, was von Gott geboren


https://www.youtube.com/watchv=MiYEp3wP33o

BWV 80b - Ein Feste Burg ist unser Gott


https://www.youtube.com/watchv=1WDbKZbMkwg&list=RD1WDbKZbMkwg&index=1

BWV 81 - Jesus schläft, was soll ich hoffen


https://www.youtube.com/watchv=YR0V5my_iU8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV81-Ita2.htm
BWV 82 - Ich habe genug
https://www.youtube.com/watchv=K9q1jtjti9A
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV82-Ita2.htm

BWV 83 - Erfreute Zeit im neuen Bunde


https://www.youtube.com/watchv=5LwKSG4FbLw
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV83-Ita2.htm

BWV 84 - Ich bin vergnügt mit meinem Glücke


https://www.youtube.com/watchv=kEvuGagpnx4
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV84-Ita5.htm

BWV 85 - Ich bin ein guter Hirt


https://www.youtube.com/watchv=y8zOnjH5RZY
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV85-Ita5.htm

BWV 86 - Wahrlich, wahrlich, ich sage euch


https://www.youtube.com/watchv=ubc2_3mj18U
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV85-Ita5.htm

BWV 87 - Bisher habt ihr nichts gebeten in meinem Namen


https://www.youtube.com/watchv=5debK177aOE
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV87-Ita5.htm

BWV 88 - Siehe, ich will viel Fischer aussenden


https://www.youtube.com/watchv=QgC0Zbc5-VQ
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV88-Ita2.htm

BWV 89 - Was soll ich aus dir machen, Ephraim


https://www.youtube.com/watchv=J8sjbmTIMqI
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV89-Ita2.htm

BWV 90 - Es reisset euch ein schrecklich Ende


https://www.youtube.com/watchv=sTGJR3hpC-8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV90-Ita2.htm
BWV 91 - Gelobet seist du, Jesu Christ
https://www.youtube.com/watchv=SJa716LSba4
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata91-testo.html

Gelobet seist du, Jesu Christ (Sii tu lodato, Gesù Cristo), BWV 91
Cantata in sol maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: forse di Bach da Martin Lutero
Occasione: per il giorno di Natale

Gelobet seist du, Jesu Christ


Coro in sol maggiore per coro e tutti gli strumenti
Der Glanz der höchsten Herrlichkeit
Recitativo e corale in mi minore per soprano e continuo
Gott, dem der Erdenkreis zu klein
Aria in la minore per tenore, 3 oboi e continuo
a. O Christenheit! Wohlan
Recitativo in sol maggiore/do maggiore per basso, archi e continuo
b. Nichts ist es spat und fruhe
Recitativo alternativo in sol minore per basso e continuo (organo)
a. Die Armut, so Gott auf sich nimmt
Duetto in mi minore per soprano, contralto, violini e continuo
b. Sein menschlich Wesen
Duetto alternativo in mi minore per soprano, contralto, violini e continuo
Das hat er alles uns getan
Corale in sol maggiore per coro e tutti gli strumenti

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 oboi, 2 corni, timpani, 2 violini, viola,
continuo
Composizione: Lipsia, 1724
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 25 dicembre 1724
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1875
Guida all'ascolto (nota 1)

La Cantata Gelobet seist du, Jesu Christ («Sii tu lodato, Gesù Cristo»), fu scritta da Bach per la
prima delle tre festività del Natale, a Lipsia, in un anno compreso tra il 1735 e il 1744,
probabilmente nel 1736, ma fu poi da lui riveduta e consolidata nella redazione definitiva dopo il
1740. Il testo consiste di una rielaborazione dell'omonimo Lied di Martin Lutero, probabilmente
dovuta a Christian Friedrich Henrici (il «librettista» lipsiense di Bach). Con procedimento simile
a quello usato per la Cantata n. 8, le due strofe estreme del Lied di Lutero sono mantenute
inalterate come testi del coro iniziale e del corale finale, mentre la seconda strofa è elaborata nel
primo recitativo, la terza e la quarta sono conglobate a costituire l'aria, e la quinta e la sesta,
infine, sono parafrasate, rispettivamente, nel secondo recitativo e nel duetto. La Cantata è così
suddivisa in sei pezzi.
L'organico previsto da Bach comprende un coro a quattro voci (soprano, contralto, tenore e
basso), tre oboi, due corni, timpani, archi e basso continuo: esso è impiegato per intero soltanto
nel coro iniziale e nel corale finale. L'aria, il duetto e i due recitativi sono invece affidati a voci
soliste: al soprano, sostenuto dal solo continuo, il primo recitativo; al tenore, con tre oboi e il
continuo, l'aria; al basso, sostenuto dagli archi e dal continuo, il secondo recitativo; al soprano e
al contralto, con primi e secondi violini all'unisono e basso continuo, il duetto.

La Cantata n. 91 appartiene a quel gruppo di Cantate dell'ultimo periodo di Lipsia che sono
caratterizzate, come ha notato lo Schweitzer, «da una giovanile freschezza di ispirazione, tanto
che talvolta si sarebbe tentati di credere di trovarsi di fronte ad opere del periodo di Weimar,
anziché dalla tarda maturità, se non fosse per una certa perfezione formale che le distingue,
rivelando maggior pratica ed esperienza nel maestro... Questo ritorno all'arte primitiva si
manifesta in Bach principalmente con la semplicità della strumentazione... Naturalmente, tra
tutte le Cantate dell'ultimo periodo di Lipsia, quelle che più si distinguono per queste
caratteristiche giovanili, sono quelle di Natale: l'autore era ormai vicino alla sessantina, ma i
bambini che giocavano ai suoi piedi non gli lasciavano sentire il peso dell'età».

Carlo Marinelli

BWV 92 - Ich hab in Gottes Herz und Sinn


https://www.youtube.com/watchv=b_vjp2hGvDA
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV92-Ita2.htm

BWV 93 - Wer nur den lieben Gott lässt walten


https://www.youtube.com/watchv=in5XDlJnrB8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV93-Ita2.htm

BWV 94 - Was frag ich nach der Welt


https://www.youtube.com/watchv=UmtTuCgUeT4
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV94-Ita2.htm

BWV 95 - Christus, der ist mein Leben


https://www.youtube.com/watchv=20w30XMdhtI
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV96-Ita2.htm

BWV 96 - Herr Christ, der ein'ge Gottessohn


https://www.youtube.com/watchv=ojRmbYXKXtc
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV96-Ita2.htm

BWV 97 - In allen meinen Taten


https://www.youtube.com/watchv=fR632tliHTw
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV97-Ita2.htm

BWV 98 - Was Gott tut, das ist wohlgetan


https://www.youtube.com/watchv=KjaB2vHR8vg
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV98-Ita2.htm

BWV 99 - Was Gott tut, das ist wohlgetan


https://www.youtube.com/watchv=TwmQo97zb6I
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV99-Ita2.htm

BWV 100 - Was Gott tut, das ist wohlgetan


https://www.youtube.com/watchv=bxNsMF2kV1Y
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV100-Ita2.htm

BWV 101 - Nimm von uns, Herr, du treuer Gott


https://www.youtube.com/watchv=MRQdwWA2c3w
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV102-Ita2.htm

BWV 102 - Herr, deine Augen sehen nach dem Glauben


https://www.youtube.com/watchv=I9jNCcB-vfw
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV102-Ita4.htm

BWV 103 - Ihr werdet weinen und heulen


https://www.youtube.com/watchv=suZnk5-0Wrc
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata103-testo.html

Ihr werdet weinen und heulen (Voi piangerete e vi lamenterete), BWV 103
Cantata in si minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Marianne von Ziegler
Occasione: 3a domenica dopo Pasqua

Ihr werdet weinen und heulen


Coro in si minore per coro, ottavino, violino solo, 2 oboi, archi e continuo
Wer sollte nicht in Klagen untergehn
Recitativo in fa diesis minore/do diesis minore per tenore e continuo
Kein Arzt ist ausser dir zu finden
Aria in fa diesis minore per contralto, violino concertante o flauto traverso e continuo
Du wirst mich nach der Angst auch wiederum erquicken
Recitativo in si minore/re maggiore per contralto e continuo
Erholet euch, betrübte Stimmen
Aria in re maggiore per tenore, tromba, archi e continuo
Ich hab' dich einen Augenblick
Corale in si minore per coro, tromba, flauto traverso, 2 oboi d'amore, archi e continuo

Organico: contralto, tenore, coro misto, ottavino, flauto traverso, 2 oboi d'amore, tromba, 2
violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1725
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 22 aprile 1725
Edizione: Simrock, Bonn, 1830

Guida all'ascolto (nota 1)

La Cantata "Ihr werdet weinen und heulen" BWV 103 scritta nel 1725 per la Dominica Jubilate
su testo di Mariane von Ziegler, richiede due voci (alto e tenore), il coro, flauto, flauto piccolo. 2
oboi, oboe d'amore, tromba, 2 violini, viola e continuo. E' interessante ricordare che in questo
caso, come altrove, Bach non rispetta completamente il testo poetico della Ziegler ma porta
alcune modifiche, con abbreviazioni e condensazioni particolarmente evidenti nei recitativi, rese
necessarie anche dalle finalità pratiche di esecuzione, oltre che da ragioni musicali. Il testo
prende lo spunto da Giovanni (16,20) al versetto "Voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si
rallegrerà": su di esso il coro è impegnato, dopo una introduzione strumentale, con fitto stile
polifonico in una doppia proposta fugata. Nell'adagio seguente, un recitativo accompagnato, si
svolge il secondo emistichio, che nella parte finale richiede ancora il coro (terza apparizione
fugata) con l'idea centrale della trasformazione del dolore in gioia. I poli opposti di dolore e
gioia sono anche i motivi ispiratori dei due recitativi che precedono le due arie, entrambe di
carattere virtuosistico e di struttura bipartita, con l'apporto di strumenti concernenti il flauto
piccolo nel primo caso e la tromba nell'altro.

Roberto Chiesa

BWV 104 - Du Hirte Israel, höre


https://www.youtube.com/watchv=MQl42VeDqmU
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata104-testo.html

Du Hirte Israel, höre (Tu pastore d'Israele, ascolta), BWV 104


Cantata in sol maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: 2a domenica dopo Pasqua

Du Hirte Israel, höre!


Coro in sol minore per coro, 2 oboi, corno inglese, archi e continuo
Der höchste Hüter sorgt für mich
Recitativo in mi minore/si minore per tenore e continuo
Verbirgt mein Hirte sich zu lange
Aria in si minore per tenore, 2 oboi d'amore e continuo
Ja, dieses Wort ist meiner Seelen Speise
Recitativo in re maggiore per basso e continuo
Beglückte Herde, Jesu Schafe
Aria in re maggiore per basso, oboe d'amore, archi e continuo
Der Herr ist mein getreuer Hirt
Corale in la maggiore per coro, 2 oboi, corno inglese, archi e continuo

Organico: tenore, basso, coro misto, 2 oboi (anche oboi d'amore), corno inglese, 2 violini, viola,
continuo
Composizione: Lipsia, 1724
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 23 aprile 1724
Edizione: Simrock, Bonn, 1830
Guida all'ascolto (nota 1)

La cantata sacra, Du Hirte Israel, böre (BWV 104), fa parte della cosiddetta prima annata
(comprendente il periodo compreso fra il 30 maggio 1723 e il 4 giugno 1724). La cantata in
questione venne eseguita il 23 aprile 1724 nella Dominica Misericordias Domini (la seconda
domenica dopo la Pasqua, che in quell'anno cadde il 9 aprile). Il testo del Vangelo per quella
Domenica (che prende nome dalle prime parole dell'introito) è tratto da Giovanni 10, vv. 12-16 e
si riferisce all'episodio del Cristo che si paragona al buon pastore. È questo un tema caro alla
cultura religiosa ebraica e al cristianesimo. In una civiltà essenzialmente dedita alla pastorizia, è
naturale che la figura del pastore, del capo e conduttore del gregge dovesse assumere
connotazioni importanti, costimire un punto di riferimento obbligato. Al pastore si riconnettono
funzioni di comando, ma anche di protezione, di dedizione, di amore, di fratellanza, tutte
all'insegna di una fortezza che è tanto dell'anima quanto del corpo. La parabola del buon pastore,
presente anche in Luca (cap. 15), è in realtà la proiezione di concetti che sono già espressi
nell'Antico Testamento, specialmente nei Salmi. Nel Nuovo Testamento, poi, l'immagine è
destinata a fortificarsi e ad assumere la connotazione più specifica del "buon pastore"
(sottolineando tanto l'aspetto della bontà quanto quello della capacità), in contrapposizione
all'opinione popolare corrente in Israele che aveva finito col fare dei pastori persone assimilabili
ai predoni e agli assassini.

È importante tener presente nelle cantate bachiane consacrate a questa Domenica - oltre la BWV
104, appartengono a questa festività liturgica la cantata BWV 85 (Ich bin ein guter Hirt, 15
aprile 1725) e la cantata BWV 112 (Der Herr ist rnein getreuer Hìrt, 8 aprile 1731) - ì passi più
significativi dell'Epistola e del Vangelo previsti dal calendario liturgico. All'Epistola viene
proposto un passo della Pima Lettera di Pietro (2, vv. 21-25) che si chiude su queste parole:
«Eravate erranti come pecore, ma adesso siete tornati al pastore e custode delle vostre anime». E
al Vangelo, Giovanni (10, vv. 12-16), è detto fra l'altro: «Io sono il buon pastore, e conosco le
mie pecore, e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre; e
offro la mia vita per le pecore. Ed ho ancora altre pecore che non sono di quest'ovile; anche
quelle io devo radunare, ed ascolteranno la mia voce, e si avrà un solo gregge, un solo pastore».

La prima di tali cantate, Du Hirte Israel, böre (BWV 104), si apre con una citazione del Salmo
80, v. 2 («Tu, pastore d'Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come il gregge, mostrati, tu che
siedi sopra i Cherubini»). Tali parole forniscono l'occasione per fare tesoro di un'immagine che è
carissima alla cristianità e dare vita ad un quadro di circostanza, ad una scena pastorale dotata di
un apparato strumentale e di un andamento ritmico conforme al genere che l'età barocca tanto
predilesse. Nonostante il diverso impegno del coro, ora condotto in omofonia, ora in polifonia, le
linee melodiche sono sempre morbide e non v'è soluzione di continuità fra i cinque episodi
corali: i due interventi fugati, di 20 battute ciascuno, condotti sul secondo emistichio del
versetto, si svolgono su un tema che è una dilatazione del tema iniziale, mentre le due parole-
chiave (böre e erscheine, "ascolta" e "mostrati"), dotate ciascuna di un proprio motto musicale,
percorrono tutta la partitura con dolce insistenza. Il principio pastorale è ribadito nelle due arie,
specie nella seconda, che nell'episodio centrale propone in maniera toccante l'immagine del
sonno della morte. L'Opera, i cui testi "liberi" (quelli delle due arie e dei due recitativi) sono di
ignoto autore, si chiude sul corale Allein Gott in der Höh sei Ehr.

Alberto Basso

BWV 105 - Herr, gehe nicht ins Gericht


https://www.youtube.com/watchv=Z_sxxUWcwoA
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata105-testo.html

Herr, gehe nicht in's Gericht (Signore, non giudicare), BWV 105
Cantata in sol minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: 9a domenica dopo la festa della Trinità

a. Herr, gehe nicht in's Gericht


Coro in sol minore per coro e tutti gli strumenti
b. Herr, gehe nicht in's Gericht
Aria in sol minore per tenore, basso e tutti gli strumenti
Mein Gott, verwirf mich nicht
Recitativo in do minore/si bemolle maggiore per contralto e continuo
Wie zittern und wanken der Sünder Gedanken
Aria in mi bemolle maggiore per soprano, oboe e archi
Wohl aber dem, der seinen Bürgen weiss
Recitativo in si bemolle maggiore/mi bemolle maggiore per basso, archi e continuo
Kann ich nur Jesum mir zum Freunde machen
Aria in si bemolle maggiore per tenore, corno, archi e continuo
Nun, ich weiss, du wirst mir stillen
Corale in sol minore per coro archi e continuo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 oboi, corno, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1723
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 25 luglio 1723
Edizione: Simrock, Bonn, 1830
Guida all'ascolto (nota 1)
Nel catalogo delle opere di Bach, il capitolo delle Cantate non è solo il più ricco, ma anche il più
rivelatore e il più intricato. Ricco per la quantità e la varietà delle composizioni che ci sono
pervenute: oltre duecento Cantate sacre e circa trenta profane. Rivelatore per i metodi che Bach
affinò soprattutto allo scopo di far fronte all'intenso ritmo produttivo che gli veniva richiesto:
negli anni trascorsi a Lipsia, per fare un esempio, il suo contratto con la cantoria di San
Tommaso prevedeva che egli preparasse circa sessanta Cantate l'anno. Intricato, infine, per la
difficoltà di ricostruire la genesi delle singole opere e per l'impossibilità di valutare in maniera
realistica la frequenza con la quale Bach riutilizzava in ambito sacro i materiali delle Cantate
profane, e viceversa: per comprendere quanto lacunose siano le nostre informazioni a riguardo
basterà ricordare che la maggior parte delle Cantate profane è andata perduta e che identico
destino, nonostante la quantità di opere in nostro possesso, è stato seguito da circa il quaranta per
cento della sua produzione sacra.

Da quel che conosciamo, in ogni caso, è possibile ricavare un'idea del modo in cui Bach
lavorava e dell'importanza che il genere della Cantata ha avuto nell'evoluzione del suo stile dal
giorno in cui, diciottenne, si era recato a Lubecca per ascoltare le Abendmusiken di Dietrich
Buxtehude, un tentativo di rinnovamento stilistico che grazie all'impiego di ampie masse
strumentali e corali rese più ambizioso e spettacolare il genere della Cantata da chiesa.

L'esperienza compiuta accanto a Buxtehude servì al giovane Bach soprattutto per la tecnica
dell'orchestrazione, per la capacità di usare in funzione espressiva i rapporti fra le diverse
famiglie strumentali, per la facilità nel conferire un senso drammatico all'alternanza di pagine
corali e passaggi solistici. Con un incessante lavoro di elaborazione e perfezionamento, tuttavia,
Bach trasformò la Cantata in un organismo sempre più plastico e versatile, tale da assorbire e
metabolizzare in una forma coerente fonti musicali e stilistiche anche molto lontane fra loro.

In molti casi la Cantata bachiana recupera linguaggi arcaicizzanti, è scandita da fraseggi duri, da
melodie di mistica asciuttezza o da trame polifoniche al limite dell'esoterismo. Parallelamente,
Bach introduce nella Cantata le movenze più aggiornate della musica profana, come si vede dal
frequente uso di ritmi di danza oppure dal taglio galante delle arie solistiche, dai duetti,
dall'impostazione operistica che queste pagine spesso condividono con i recitativi.

Nelle Cantate di Bach, dunque, la coerenza musicale non è assicurata dall'omogeneità dei mezzi
stilistici, ma dal modello letterario della tradizione luterana, come pure dalle simmetrie che
l'autore pianifica per meglio rivestirne sia i contenuti teologici, sia quelli più schiettamente
narrativi. Il testo, infatti, alterna di solito corali, versetti biblici, preghiere e versi liberi di
meditazione: con precisa corrispondenza, Bach tende a distribuire il materiale musicale in base a
un simbolismo che nella maggior parte dei casi dipende più dall'intenzione di rafforzare l'effetto
drammatico dei versi che da una cabala numerologica o da speculazioni astratte. L'uso di
rigorosi schemi geometrici e il ricorso a un simbolismo ben codificato diventano inoltre per
Bach efficacissimi strumenti di lavoro, elementi di un vero e proprio metodo il cui scopo è
quello di semplificare, se non proprio di automatizzare, la selezione dei materiali musicali e il
processo compositivo di fronte alle esigenze poste di volta in volta dai testi. Solo grazie a una
simile organizzazione del lavoro Bach poteva riutilizzare in una Cantata le arie scritte per
un'altra, oppure mutare il testo di una Cantata profana adattandovi quello destinato all'uso
liturgico, secondo l'uso che allora si definiva "parodia".
Nel calendario della chiesa luterana il periodo dell'Avvento, che comprende le quattro
domeniche precedenti il Natale, coincide con l'inizio dell'anno liturgico. Durante questo arco di
tempo, all'epoca di Bach, in chiesa non potevano svolgersi festività o celebrazioni di alcun
genere. Era vietato anche fare musica, specie se accompagnata da strumenti, mentre al massimo
poteva essere tollerata l'esecuzione di semplici corali o di brani per organo solo. Si faceva
un'eccezione solo per la prima domenica di Avvento: in questa data, infatti, l'inaugurazione
dell'anno liturgico offriva il pretesto per una celebrazione fastosa, nella quale era previsto si
ricorresse ampiamente all'esecuzione di musica con strumenti. Per dare un'idea di come si
svolgessero simili celebrazioni, basterà leggere la nota che Bach scrisse sul retro della partitura
della Cantata BWV 61 per il servizio della prima domenica di Avvento dell'anno 1724. La
riportiamo qui nella traduzione che ne ha dato Alberto Basso (Frau Musika, Torino, EDT, 1983,
voi. II, p. 33):

Si preludia.
Motetta.
Si preludia sul Kyrie, che viene eseguito per intero.
Si intona davanti all'altare.
Si legge l'Epistola.
Si canta la Litania.
Si preludia sul corale.
Si legge l'Evangelium.
Si preludia alla musica principale [= Cantata].
Si canta il Credo.
La predica.
Dopo la predica, come d'abitudine si cantano alcuni versetti di un Lied.
Verba Institutionis [= istituzione della Santa Cena].
Si preludia alla musica. E dopo questa si alternano preludi e canto di corali, sino al termine
della Comunione.

Come si vede, l'esecuzione della Cantata è immersa in un contesto di partecipazione liturgica


molto ampio; la sua posizione subito dopo la lettura del Vangelo ne rafforza ulteriormente il
compito retorico cui essa assolveva, quello di incrementare l'efficacia drammatica della vicenda
sacra e di muovere i fedeli alla partecipazione, ovvero - nel senso più forte del termine - alla
compassione.

Alla festività della prima domenica di Avvento Bach destinò in tutto tre Cantate. Il tono festoso
dell'occasione liturgica gli consentì almeno in un caso di valersi di materiale profano nella
composizione. Come vedremo, in ogni caso, tutte le tre Cantate sono concepite su una semplice
scansione simmetrica che gioca per lo più sul contrasto fra il giubilo dell'attesa e il più oscuro
raccoglimento della preghiera.

***

Questa Cantata, una delle più belle dell'intero catalogo bachiano, non ha alcun riferimento
all'Avvento ed è piuttosto scritta per una domenica di fine luglio, in coincidenza con la lettura di
Luca 16, 1-9. Si tratta della parabola dell'amministratore infedele, quella che termina con le
parole di Gesù: «Nessun servo può servire due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si
affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona». La Cantata si
concentra subito sul senso di questa conclusione, senza troppo badare allo svolgimento della
parabola. Si tratta perciò di una Cantata meditativa in cui il coro pronuncia ammonimenti,
formula invocazioni o recita preghiere, mentre i solisti si ripiegano nella riflessicene oppure
formulano voti di pace.

L'inizio della Cantata segue il modello del preludio e fuga: un Adagio di forte impatto
drammatico, con significative spezzature ritmiche, interessanti incisi strumentali e diversi modi
di invocazione distribuiti fra le varie parti del coro; quindi un Allegro che insiste ossessivamente
sullo stesso tema e vi cuce intorno una virtuosistica trama di contrappunto. Le arie sono due,
entrambe debitrici dello stile concertante: la prima con soprano e oboe solista, senza basso
continuo e con i soli archi a tratteggiare il sostegno armonico; la seconda in tempo di danza e
con due strumenti in evidenza, il corno e il violino.

Stefano Catucci

BWV 106 - Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit


https://www.youtube.com/watchv=xXMUpqSyJJo
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata106-testo.html

Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit (Il tempo di Dio è il tempo migliore), BWV 106
Cantata in mi bemolle maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: per il funerale di Dorothea Susanne Eilmar-Tilesius

Sonatina - Molto adagio (mi bemolle maggiore)


per tutti gli strumenti
a. Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit
Coro in mi bemolle maggiore/do minore per coro e tutti gli strumenti
b. In ihm leben, weben
Aria in mi bemolle maggiore per coro e tutti gli strumenti
c. Ach, Herr! lehre uns bedenken
Aria in do minore per tenore e tutti gli strumenti
d. Bestelle dein Haus!
Aria in do minore/fa minore per basso, 2 flauti a becco e continuo
Tema simile alla Fuga n. 16, BWV 861
e. Es ist der alte Bund, Mensch, du musst sterben
Trio in fa minore per contralto, tenore, basso e continuo
f. Ja, komm, Herr Jesu, komm
Aria in fa minore per soprano e tutti gli strumenti
g. Ich hab mein Sach Gott heimgelstellt
Corale in fa minore per soprano, coro e tutti gli strumenti
a. In deine Hände befehl' ich meinen Geist
Solo in si minore per contralto, 2 viole da gamba e continuo
b. Heute wirst du mit mir im Paradies sein
Solo in la bemolle maggiore per basso, 2 viole da gamba e continuo
c. Mit Fried' und Freud' ich fahr' dahin
Duetto in do minore per contralto, basso, 2 viole da gamba e continuo
a. Glorie, Lob, Ehr' und Herrlichkeit
Corale in mi bemolle maggiore per coro e tutti gli strumenti
b. Durch Jesum Christum, Amen
Finale in mi bemolle maggiore per coro e tutti gli strumenti

Organico: contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti a becco, 2 viole da gamba, basso continuo
Composizione: Arnstadt, 1707 - 1708
Prima esecuzione: Arnstadt, St.Blasiuskirche, 3 giugno 1708
Edizione: Simrock, Bonn, 1830

Guida all'ascolto (nota 1)

Bach compose un numero considerevole di Cantate sacre (almeno duecento delle trecento che
sono state conservate) e una trentina (in effetti sarebbero poco più di quaranta, se tutte fossero
giunte sino a noi) di Cantate profane, che sono al limite tra il sacro e il profano, in quanto alcune
sono cantate per commemorazioni funebri (Trauerkantaten), come quella BWV 106, meglio
conosciuta con il nome di Actus Tragicus e composta, secondo André Pirro, nel 1707 in
occasione della morte dello zio del musicista, Tobias Lämmerhirt, e secondo Hermann
Schmalfuss nel 1708, per i funerali di Dorothea Susanna Eilmar, sposata al consigliere Johann
Adolf Tilesius e sorella del pastore Georg Christian Eilmar, amico di Bach. L'Actus Tragicus
(così è designata l'opera nella copia - l'autografo è andato perduto - dovuta a Christian Friedrich
Penzel, datata ottobre 1768 a Lipsia) si avvale di un organico strumentale molto esile, formato
da due flauti a becco, due viole da gamba e continuo. Si apre con un brano strumentale chiamato
Sonatina; su un movimento regolare di crome (Molto adagio) affidato al basso continuo le due
viole indicano un disegno melodico discendente e poi si uniscono al basso, come in un
movimento processionale. Sopra questo sfondo armonico i due flauti intrecciano una frase molto
malinconica, invitante al raccoglimento. Segue un coro a quattro voci, con lo stesso
accompagnamento orchestrale diviso in tre episodi diversi. Il primo, di particolare slancio
ritmico, è costruito sulle parole che racchiudono il titolo della Cantata "Il tempo del Signore è il
miglior tempo". Dopo un Allegro fugato, su un passo derivato dagli Atti degli Apostoli, si giunge
alla terza parte (Adagio assai), che si sofferma sulla parola morte. Un'aria per tenore in
movimento Lento riconduce l'ascoltatore all'atmosfera processionale introduttiva, su cui si
inserisce il basso (Vivace) con un'aria contrappuntata da fioriture vocali. Si giunge così ad un
terzetto (contralto, tenore, basso) accompagnato dal solo basso continuo, sulle parole tratte
dall'Ecclesiastico ("È legge antica, l'uomo deve morire"). Dal terzetto emerge un a solo del
soprano in tempo arioso, accompagnato dalle due viole da gamba e dal flauto, che insieme al
basso continuo formano la melodia a quattro voci del corale "Ich hab' mein' Sach' heimgestellt".
Alla ripresa della prima parte del terzetto il soprano ripropone alcuni frammenti dell'arioso,
prima di concludere su una lunga cadenza. Ancora arie del contralto e del basso, prima di
giungere al coro conclusivo della Cantata, accompagnato da tutta l'orchestra in un clima di
vivacità ritmica. È un canto di speranza sulla melodia del corale che dice "Ich dich hab'ich
gehoffet, Herr" (In te ho sperato, o Signore). Il discorso musicale della Cantata si mantiene su un
piano di elevata nobiltà e spesso raggiunge una indubbia efficacia drammatica.

BWV 107 - Was willst du dich betrüben


https://www.youtube.com/watchv=yHIL0UTuc7Y
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV107-Ita2.htm

BWV 108 - Es ist euch gut, dass ich hingehe


https://www.youtube.com/watchv=dqxKmFHmaAg
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV108-Ita2.htm

BWV 109 - Ich glaube, lieber Herr, hilf meinem Unglauben


https://www.youtube.com/watchv=751uNkZ5l-8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV109-Ita2.htm

BWV 110 - Unser Mund sei voll Lachens


https://www.youtube.com/watchv=Uz7XHnJ87cY
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata110-testo.html

Unser Mund sei voll Lachens (La nostra bocca sia tutta un sorriso), BWV 110
Cantata in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Georg Christian Lehms
Occasione: per il giorno di Natale

Unser Mund sei voll Lachens


Coro in re maggiore per coro, 2 flauti traverse, 3 oboi, fagotto, 3 trombe, timpani, archi e
continuo
Utilizza l'ouverture della quarta suire per orchestra, BWV 1069
Ihr Gedanken und ihr Sinnen
Aria in si minore per tenore, 2 flauti tenori e continuo
Dir, Herr, ist Niemand gleich!
Recitativo in fa diesis minore/la maggiore per basso, archi e continuo
Ach Herr! was ist ein Menschenkind
Aria in fa diesis minore per contralto, oboe d'amore e continuo
Ehre sei Gott in der Höhe
Duetto in la maggiore per soprano, tenore e continuo
Arrangiamento del “Virga Jesse floruit” del Magnificat, BWV 243a
Wacht auf, ihr Adern und ihr Glieder
Aria in re maggiore per basso, tromba, 2 oboi, oboe da caccia, archi e continuo
Alleluja! gelobet sei Gott!
Corale in si minore per coro, tromba, 2 flauti traverse, 2 oboi, oboe da caccia, archi e continuo
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti traversi, 3 oboi, oboe d'amore,
oboe da caccia, fagotto, 3 trombe, timpani, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1725
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 25 dicembre 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1876

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Su testo di Lehms è anche la Cantata Unser Mund sei voll Lachens BWV 110 ("La nostra bocca
sia tutto un sorriso"). Eseguita al servizio mattutino (alle ore 7) del giorno di Natale di quello
stesso 1725. Per l'Ouverture Bach riutilizza l'inizio della Ouverture n. 4 per orchestra (BWV
1069), aggiungendo due flauti traversi e collocandola ai due estremi di una pagina corale in stile
festoso e solenne. Le tre arie che seguono stemperano l'enfasi sonora tornando a seguire
l'andamento meditativo del testo: l'organico strumentale impegnato si assottiglia e le voci
dialogano con gli strumenti a fiato, flauti (prima aria) e oboe (seconda aria), o tra loro (soprano e
tenore nella terza aria) con il sostegno del solo basso continuo. Solo con la quarta e ultima aria si
torna al clima sonoro dell'Ouverture, con l'intervento di una tromba a rafforzarne il tono
celebrativo. Anche in questo caso è diverso l'autore del testo del corale di chiusura, i cui versi si
devono a un poeta di fine Seicento, Kaspar Ziegler.

Più ampia della precedente, questa Cantata è stata più volte riutilizzata da Bach in versioni che
rimaneggiano la pagina d'apertura, resa via via più articolata tramite l'inserzione di episodi più
vicini allo stile cameristico delle prime tre arie.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La solennità dell'Ouverture n. 4 è chiamata direttamente in causa da Bach nella Cantata BWV


110 «Unser Mund sei voll Lachens», composta per il giorno di Natale 1725 su un testo tratto
dall'annata Gottgefälliges Kirchen-Opffer (1711) di Georg Christian Lehms, bibliotecario della
corte di Darmstadt (Bach avrebbe impiegato questa raccolta anche per il II e il III giorno di
Natale dello stesso anno, nelle Cantate BWV 57 «Selig ist der Mann» e BWV 151 «SüBer Trost,
mein Jesus kömmt»). Già la veste letteraria presenta una struttura inconsueta per una cantata
bachiana, mancando totalmente di recitativi su testo originale. Le forme a disposizione si
riducono pertanto a quattro: il corale, il motto biblico, l'aria e il duetto. Già la pagina d'apertura
della Cantata, un imponente coro concertante di 189 misure, ripropone il movimento introduttivo
dell'Ouverture n. 4, sul quale Bach innesta una composizione corale originale. Arricchita la
compagine strumentale con una coppia di flauti traversi che viene a contribuire a uno degli
organici più sontuosi dell'intera produzione bachiana, questo primo movimento alterna la
solennità cerimoniale delle sezioni strumentali con lo slancio incontenibile dell'Allegro fugato,
dominato da una figura di terzine che traduce la gioia del sorriso (ma la musica allude piuttosto
al prorompere festoso di un riso liberatorio) cui fa riferimento il testo di Lehms, parafrasi del
Salmo 125 (126). Si apprezzi la cura di Bach nel ricavare spazi dalla sonorità cameristica
riservati ai solisti senza ripieni e sostenuti da un'orchestra più ridotta, senza rinunciare nemmeno
a un lungo a solo del basso (intervento, quest'ultimo, realizzato dal compositore per una ripresa
della cantata attorno al 1730). Il coro è seguito da una nutrita serie di pezzi solistici che
stemperano in un clima espressivo più intimo e contenuto l'esuberanza dell'esordio. La galleria è
aperta da un'aria delicata in cui il tenore è coadiuvato da una coppia di flauti traversi. Un
brevissimo accompagnato su testo biblico (con tendenza latente all'arioso) la separa dall'aria
successiva riservata alla coppia contralto-oboe d'amore, molto attenta alla pittura sonora del testo
devozionale e anch'essa in tonalità minore (la prima aria era in si, questa invece in fa diesis). La
cantata riguadagna progressivamente la tonalità d'impianto (re maggiore) dapprima attraverso il
duetto in La maggiore, che riprende una pagina (il «Virga Jesse floruit») del Magnificat Bvw
243a, composto per il giorno di Natale di due anni prima: le voci, accompagnate dal solo
continuo, vi propongono la traduzione tedesca del latino della Vulgata «Gloria in excelsis Deo et
in terra pax hominibus bonae voluntatis», appartenente alla lettura evangelica del giorno di
Natale. Precede il corale conclusivo soltanto l'aria del basso, in re maggiore: simmetrico rispetto
al coro d'apertura, la nuova pagina recupera un respiro concertante, grazie anche all'intervento
della tromba solista nonché dell'organico completo.

Raffaele Mellace

BWV 111 - Was mein Gott will, das g'scheh' allzeit


https://www.youtube.com/watchv=CUkkevIEGT8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV111-Ita2.htm

BWV 112 - Der Herr ist mein getreuer Hirt


https://www.youtube.com/watchv=iyz3vtqxsmw
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV112-Ita2.htm

BWV 113 - Herr Jesu Christ, du höchstes Gut


https://www.youtube.com/watchv=KcosBkNGjPI
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV113-Ita2.htm

BWV 114 - Ach, lieben Christen, seid getrost


https://www.youtube.com/watchv=Ce50aJIIc70
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV114-Ita2.htm

BWV 115 - Mache dich, mein Geist, bereit


https://www.youtube.com/watchv=XrK0XOSayj8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV115-Ita2.htm

BWV 116 - Du Friedenfürst, Herr Jesu Christ


https://www.youtube.com/watchv=-    EwuuvsSMS0&list=PLVYHlQEbjyvH3rPOwrdnry--
BUUUzLS9g&index=7
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV116-Ita2.htm
BWV 117 - Sei Lob und Ehr' dem höchsten Gut
https://www.youtube.com/watchv=RZxzNIvPDho
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV117-Ita2.htm

BWV 118 - O Jesu Christ, mein's Lebens Licht (prima versione)


https://www.youtube.com/watchv=c2OILc6Wl0E
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata118.html#Testo

O Jesu Christ, mein's Lebens Licht (O Gesù Cristo, luce della mia vita), BWV 118
Mottetto in si bemolle maggiore per coro e orchestra
Prima versione

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Martin Behm
Occasione: cantata funebre

Jesu Christ, mein's Lebens Licht


Coro in si bemolle maggiore per coro e tutti gli strumenti

Organico: coro misto, 2 litui, cornetto, 3 tromboni


Composizione: 1736 - 1737 circa
Prima esecuzione: 11 ottobre 1740 per il funerale del conte Joachim Friedrich von Flemming
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1887

Guida all'ascolto (nota 1)

La chiarezza di idee nel rifiuto dì ogni compromesso con i dettami della moda è una colpa che si
paga cara, come ebbe a sperimentare di persona Bach che, sordo alle «galanti» lusinghe del suo
tempo, si vide ripagato da ben scarse gratificazioni, quando non da aperte ostilità (Scheibe). Due
sole furono infatti le cantate che in un'epoca satura di edizioni sacre videro la luce durante la vita
del loro autore, su un totale di circa trecento composte (un centinuaio sono andate smarrite).

Trascorse esattamente un secolo dalla morte del musicista prima che la Bachgesellschaft, tanto
meritoria nella diffusione della musica del suo paladino, ormai ampiamente riabilitato, ne
iniziasse la pubblicazione, seguendo una numerazione che è quella della loro progressiva
comparsa e non dell'ordine cronologico nel quale furono scritte. Averle raccolte insieme dopo
che quell'erede squattrinato del figlio Friedemann se le era bacchettate per dodici talleri,
disperdendole in tutta la Germania, aver sceverato il grano dal loglio degli apocrifi, fu certo
opera di non scarso rilievo, della quale dovettero tener conto tutti i successivi esegeti bachiani
attivi nella catalogazione e nella stampa delle edizioni critiche (Bach Werke Verzeichins, più
comunemente noto con la sigla BWV).

Il termine «cantata» per un aspetto della produzione religiosa barocca, introdotto in Germania
dal pastore e librettista tedesco Neumeister (1700), non venne adottato da Bach che in rare
occasioni (7 per l'esattezza): preferì definirle «Geistliche Konzerte» (concerti sacri) o più
semplicemente «Kirchenmusik» (musica da chiesa).

Di non poco debitrice all'omonima forma profana italiana (arie, ariosi, recitativi) e al
melodramma, la cantata della riforma raggiunse il suo massimo splendore nei centri
dell'ortodossia luterana dove, com'è noto, le due sfere convivevano in perfetto accordo, mentre
trovò fieri avversari nei pietisti che vi ravvisavano germi di corruzione secolare.

Gli immediati precursori di questo genere — che non potranno essere rintracciati prima del 1700
perché solo a partire da questa data si può effettivamente parlare di musica sacra della riforma, e
che Bach ampiamente conosceva — furono il compositore Philipp Krieger, brillante operista di
stampo italiano, Zachow, imprescindibile modello nel diverso trattamento musicale delle
parafrasi (risolte con recitativi e arie con da capo) e del testo biblico («concertato» e fuga),
mentre Telemann apri la via alle sinuose e «affettive» delicatezze dello stile galante.

I due lavori che ascolteremo stasera [Cantate BWV 118 e 50 n.d.r.] appartengono agli ultimi anni
dell'attività del Cantor di Lipsia che oltre ai molteplici impegni (organista, bibliotecario,
insegnante, direttore della musica durante i servizi liturgici), doveva garantire alle tre chiese
principali di San Tommaso, San Nicola e San Paolo, una cantata per ogni domenica e per le
festività: 59 l'anno, dunque, stando al calendario liturgico, che il coro intonava prima del
sermone, verso la fine della messa.

La religiosità di Bach che è innanzitutto sforzo morale ed estetico di conciliazione degli opposti
(celeste-terrestre) e riflesso anche di precisi postulati filosofici (leibniziani) che tendono a far
coincidere l'armonia cosmica con quella umana, senza ombre di tragicità irrisolta, si dispiega in
queste due opere con naturalissimi accenti.

La cantata n. 118 — più propriamente un mottetto — utilizza la prima strofa di un cantico


funebre di Martin Bohm (1610) nel quale si ricorda la fragile e transeunte condizione dell'uomo
(«Auf Erden bin ich nur ein Gast», sulla terra sono solo un ospite), rischiarata dalla luce del
Signore («O Jesu Christ, mein's Lebens Licht», Gesù Cristo, luce della mia vita).

Di questa composizione ci sono giunte due partiture originali risalenti rispettivamente al 1737 e
al 1740, la prima per soli fiati destinata a un'esecuzione all'aperto, la successiva offerta in chiesa
durante i funerali del conte von Flemming.

Caso più unico che raro Bach prescrive in entrambi gli organici, peraltro assai differenziati, due
«litui», strumenti a fiato di antichissima origine dal suono dolce e velato. L'orchestra moderna li
può agilmente sostituire, adottando le edizioni Oxford University Press, oppure quella Breitkopf
e Haertel che prevede 2 oboi, 1 corno inglese, 2 fagotti, 2 corni, 3 trombe e timpani.

Dopo la luminosa e pacata introduzione strumentale, sulla melodia del corale (di anonimo)
affidata al soprano si innestano liberamente le altre in un terso gioco polifonico che addita la
serena trasfigurazione del dolore e della morte.

Fiamma Nicolodi

BWV 118b - O Jesu Christ, mein's Lebens Licht (seconda versione)


https://www.youtube.com/watchv=tTrt0P83k4Q

BWV 119 - Preise Jerusalem, den Herrn


https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata119-testo.html
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV119-Ita2.htm

Preise, Jerusalem, den Herrn (Loda, o Gerusalemme, il Signore), BWV 119


Cantata in do maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: elezione del consiglio municipale di Lipsia

Preise, Jerusalem, den Herrn


Coro in domaggiore per coro, 2 flauti a becco, 3 oboi, 4 trombe, timpani, archi e contimuo
Gesegnet Land! glücksel'ge Stadt!
Recitativo in sol maggiore per tenore e continuo
Wohl dir, wohl dir, du Volk der Linden
Aria in sol maggiore per tenore, 2 oboi da caccia e continuo
So herrlich stehst du, liebe Stadt
Recitativo in do maggiore per basso, 2 flauti a becco, 2 oboi da caccia, 4 trombe, timpani,
archi e continuo
Die Obrigkeit ist Gottes Gabe
Aria in sol minore per contralto, 2 flauti a becco e continuo
Nun! wir erkennen es und bringen dir
Reciotativo in fa maggiore/do maggiore per soprano e continuo
Der Herr hat Gut's an uns getan
Coro in do maggiore per coro, 2 flauti a becco, 3 oboi, 4 trombe, timpani, archi e continuo
Zuletzt! Da du uns, Herr, zu deinem Volk gesetzt
Recitativo in fa maggiore/mi minore per contralto e continuo
Hilf deinem Volk, Herr Jesu Christ
Corale in do maggiore per coro a cappella

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti a becco, 3 oboi, 2 oboi da caccia,
4 trombe, timpani, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1723
Prima esecuzione: Lipsia, Nikolaikirche, 30 agosto 1723
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1876

Guida all'ascolto (nota 1)

Le due cantate in programma [Bwv 119 e BWV 120 n.d.r.] fanno parte di un'ampia serie di
composizioni celebrative con le quali Bach, nel corso dei ventotto anni trascorsi a Lipsia (1723-
1750), provvide a solennizzare l'insediamento annuale degli organi amministrativi della città. Il
Consiglio Municipale di Lipsia era composto da 30 membri elettivi, scelti ogni anno nel giorno
di San Bartolomeo, il 24 agosto. Il primo lunedì successivo si teneva una lunga cerimonia, dalle
7 del mattino al pomeriggio inoltrato, il cui filo conduttore era rappresentato da un fitto
programma di iniziative religiose, messe e benedizioni, che avevano fra l'altro lo scopo di
ritualizzare la stipula del patto sociale fra il popolo, i suoi rappresentanti e l'ordine celeste,
fondamento e garanzia di ogni sodalizio civile. Nella chiesa di St. Nikolaus, situata accanto al
Municipio, veniva eseguita per l'occasione una nuova cantata che era onere e privilegio esclusivo
del director musices, e alla cui composizione Bach attese pertanto regolarmente fino all'anno
della sua morte.

Nonostante la quantità di musica scritta per questa occasione, non restano di Bach che sette
cantate, per lo più risalenti ai primi anni del suo soggiorno a Lipsia. La prima, Preise, Jerusalem,
den Herrn BWV 119 («Loda, o Gerusalemme, il Signore»), venne eseguita il 30 agosto 1723 ed
è concepita nel più caratteristico "stile militare", o celebrativo. L'organico strumentale è
particolarmente ricco nella sezione dei fiati, con quattro trombe, tre oboi e tre flauti dritti, ai
quali bisogna aggiungere due timpani nella sezione delle percussioni. L'orchestra d'archi è
relegata per lo più a un ruolo di sostegno o di interludio, eccezion fatta per un recitativo («So
herrlich stehst du», n. 4), nel quale essa tratteggia una sorta di pittura d'ambiente evocando le
movenze di una fanfara. Gli interventi del coro sono poco elaborati dal punto di vista della
polifonia e hanno piuttosto l'aspetto di una scrittura concertistica, come si vede specialmente
nell'apertura della cantata, dove il coro è inserito fra due passaggi di Ouverture in stile francese.
L'ultimo coro («Der Herr hat Guts an uns getan», n. 7) è una fuga che comunque si adegua allo
stile "da concerto" grazie all'indicazione del "da capo" che gli conferisce una forma strofica.

Il testo, anonimo, trae spunto dal Salmo 147 ed è basato su libere elaborazioni madrigalesche di
una poesia religiosa dal metro irregolare, alla quale viene aggiunta la quarta strofa della versione
luterana del Te Deum: «Herr Gott, wir loben Dich» («Signore Iddio, noi ti lodiamo»). Il destino
della città di Lipsia viene paragonato a quello di Gerusalemme, e la cittadella fortificata di Sion,
simbolo della forza che difende la legge tenendola in armonia con i dettami del sacro, richiama
alla mente dei fedeli l'analoga posizione della rocca di Pleissenburg.

Più che a un'esaltazione del potere come tale, tuttavia, la cantata mira a drammatizzare il rinnovo
non solo degli organi collegiali della città, ma proprio del patto sociale su cui questi si fondano e
di cui il paragone con Gerusalemme, città storica e città celeste, rappresenta il simbolo canonico
nel quadro di un rito nel quale la musica gioca un ruolo essenziale, presentandosi come il tramite
e l'elemento di continuità fra l'ordine del mondo laico e del mondo religioso.

Per il suo tono brillante e festoso, la Cantata Preise, Jerusalem, den Herrn BWV 119 venne scelta
e diretta da Felix Mendelssohn-Bartholdy a Lipsia il 25 aprile 1843, in occasione
dell'inaugurazione del monumento a Bach per il quale, tre anni prima, era stata aperta in città
un'ampia sottoscrizione.

Stefano Catucci

BWV 120 - Gott, man lobet dich in der Stille


https://www.youtube.com/watchv=wUVwYQCwYKc
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata120-testo.html
Preise, Jerusalem, den Herrn (Loda, o Gerusalemme, il Signore), BWV 119
Cantata in do maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: elezione del consiglio municipale di Lipsia

Preise, Jerusalem, den Herrn


Coro in domaggiore per coro, 2 flauti a becco, 3 oboi, 4 trombe, timpani, archi e contimuo
Gesegnet Land! glücksel'ge Stadt!
Recitativo in sol maggiore per tenore e continuo
Wohl dir, wohl dir, du Volk der Linden
Aria in sol maggiore per tenore, 2 oboi da caccia e continuo
So herrlich stehst du, liebe Stadt
Recitativo in do maggiore per basso, 2 flauti a becco, 2 oboi da caccia, 4 trombe, timpani,
archi e continuo
Die Obrigkeit ist Gottes Gabe
Aria in sol minore per contralto, 2 flauti a becco e continuo
Nun! wir erkennen es und bringen dir
Reciotativo in fa maggiore/do maggiore per soprano e continuo
Der Herr hat Gut's an uns getan
Coro in do maggiore per coro, 2 flauti a becco, 3 oboi, 4 trombe, timpani, archi e continuo
Zuletzt! Da du uns, Herr, zu deinem Volk gesetzt
Recitativo in fa maggiore/mi minore per contralto e continuo
Hilf deinem Volk, Herr Jesu Christ
Corale in do maggiore per coro a cappella

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti a becco, 3 oboi, 2 oboi da caccia,
4 trombe, timpani, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1723
Prima esecuzione: Lipsia, Nikolaikirche, 30 agosto 1723
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1876

Guida all'ascolto (nota 1)

Le due cantate in programma [Bwv 119 e BWV 120 n.d.r.] fanno parte di un'ampia serie di
composizioni celebrative con le quali Bach, nel corso dei ventotto anni trascorsi a Lipsia (1723-
1750), provvide a solennizzare l'insediamento annuale degli organi amministrativi della città. Il
Consiglio Municipale di Lipsia era composto da 30 membri elettivi, scelti ogni anno nel giorno
di San Bartolomeo, il 24 agosto. Il primo lunedì successivo si teneva una lunga cerimonia, dalle
7 del mattino al pomeriggio inoltrato, il cui filo conduttore era rappresentato da un fitto
programma di iniziative religiose, messe e benedizioni, che avevano fra l'altro lo scopo di
ritualizzare la stipula del patto sociale fra il popolo, i suoi rappresentanti e l'ordine celeste,
fondamento e garanzia di ogni sodalizio civile. Nella chiesa di St. Nikolaus, situata accanto al
Municipio, veniva eseguita per l'occasione una nuova cantata che era onere e privilegio esclusivo
del director musices, e alla cui composizione Bach attese pertanto regolarmente fino all'anno
della sua morte.

Nonostante la quantità di musica scritta per questa occasione, non restano di Bach che sette
cantate, per lo più risalenti ai primi anni del suo soggiorno a Lipsia. La prima, Preise, Jerusalem,
den Herrn BWV 119 («Loda, o Gerusalemme, il Signore»), venne eseguita il 30 agosto 1723 ed
è concepita nel più caratteristico "stile militare", o celebrativo. L'organico strumentale è
particolarmente ricco nella sezione dei fiati, con quattro trombe, tre oboi e tre flauti dritti, ai
quali bisogna aggiungere due timpani nella sezione delle percussioni. L'orchestra d'archi è
relegata per lo più a un ruolo di sostegno o di interludio, eccezion fatta per un recitativo («So
herrlich stehst du», n. 4), nel quale essa tratteggia una sorta di pittura d'ambiente evocando le
movenze di una fanfara. Gli interventi del coro sono poco elaborati dal punto di vista della
polifonia e hanno piuttosto l'aspetto di una scrittura concertistica, come si vede specialmente
nell'apertura della cantata, dove il coro è inserito fra due passaggi di Ouverture in stile francese.
L'ultimo coro («Der Herr hat Guts an uns getan», n. 7) è una fuga che comunque si adegua allo
stile "da concerto" grazie all'indicazione del "da capo" che gli conferisce una forma strofica.

Il testo, anonimo, trae spunto dal Salmo 147 ed è basato su libere elaborazioni madrigalesche di
una poesia religiosa dal metro irregolare, alla quale viene aggiunta la quarta strofa della versione
luterana del Te Deum: «Herr Gott, wir loben Dich» («Signore Iddio, noi ti lodiamo»). Il destino
della città di Lipsia viene paragonato a quello di Gerusalemme, e la cittadella fortificata di Sion,
simbolo della forza che difende la legge tenendola in armonia con i dettami del sacro, richiama
alla mente dei fedeli l'analoga posizione della rocca di Pleissenburg.

Più che a un'esaltazione del potere come tale, tuttavia, la cantata mira a drammatizzare il rinnovo
non solo degli organi collegiali della città, ma proprio del patto sociale su cui questi si fondano e
di cui il paragone con Gerusalemme, città storica e città celeste, rappresenta il simbolo canonico
nel quadro di un rito nel quale la musica gioca un ruolo essenziale, presentandosi come il tramite
e l'elemento di continuità fra l'ordine del mondo laico e del mondo religioso.

Per il suo tono brillante e festoso, la Cantata Preise, Jerusalem, den Herrn BWV 119 venne scelta
e diretta da Felix Mendelssohn-Bartholdy a Lipsia il 25 aprile 1843, in occasione
dell'inaugurazione del monumento a Bach per il quale, tre anni prima, era stata aperta in città
un'ampia sottoscrizione.

Stefano Catucci

BWV 120a - Herr Gott, Beherrscher aller Dinge


https://www.youtube.com/watchv=Qa92g5FNles

BWV 120b - Gott, man lobet dich in der Stille


https://www.youtube.com/watchv=XolA1m6zPkU

BWV 121 - Christum wir sollen loben schon


https://www.youtube.com/watchv=UxQj8GrcLuc
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV121-Ita2.htm
BWV 122 - Das neugeborne Kindelein
https://www.youtube.com/watchv=2xpp6tBcSS4
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata122-testo.html

Das neugebor'ne Kindelein (Il fanciullino appena nato), BWV 122


Cantata in sol minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Cyriakus Schneegaß
Occasione: domenica dopo Natale

Das neugebor'ne Kindelein


Coro in sol minore per coro, 2 oboi, corno inglese, archi e continuo
O Menschen, die ihr täglich sündigt
Aria in do minore per basso e continuo
Die Engel, welche sich zuvor vor euch als vor Verfluchten scheuen
Recitativo in sol minore per soprano, 3 flauti e continuo
a. Ist Gott versöhnt und unser Freund
Aria in re minore per contralto, archi e continuo
b. O wohl uns, die wir an ihn gläuben
Trio in re minore per soprano, contralto, tenore, archi e continuo
Dies ist ein Tag, den selbst der Herr gemacht
Recitativo in si bemolle maggiore/sol minore per basso, archi e continuo
Es bringt das rechte Jubeljahr
Corale in sol minore per coro, 2 oboi, corno inglese, archi e continuo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 flauti, 2 oboi, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1724
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 31 dicembre 1724
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1875

Guida all'ascolto (nota 1)

Fin dalla seconda metà del Seicento il termine di "cantata" servì a definire un brano diviso in più
parti e con accompagnamento strumentale. Ma, mentre nell'opera e nell'oratorio, gli altri due
importanti generi della composizione vocale del tempo, predominavano gli elementi drammatici
ed epici, la cantata assunse un aspetto meno aulico e fastoso e seguì una linea espressiva più
spiccatamente lirica. Se, come sembra ormai accertato, il madrigale e la canzonetta diedero
origine alla cantata italiana profana, specialmente nelle due forme di cantata solista e duetto da
camera, bisogna ricordare che alla base della cantata da chiesa tedesca c'erano i mottetti
concertanti e le elaborazioni concertanti di canti chiesastici. I primi prendevano comunemente lo
spunto da un versetto del Vangelo o delle Epistole, e talvolta anche da un Salmo, cioè da un testo
in prosa; le altre invece si valevano di un intero canto chiesastico. In origine però le cantate non
erano molto articolate e non avevano quella precisa rifinitura formale che assunsero in seguito
con il contributo e l'esperienza bachiana. In esse si alternavano le parole della Bibbia, che
costituivano il testo in prosa, agli squarci corali in cui venivano rielaborate intonazioni liturgiche
e melodie di canti chiesastici. Fu il pastore protestante Erdmann Neumeister ad ampliare nel
1700 il linguaggio della cantata, introducendovi le forme dell'opera, in particolare il recitativo e
le arie con il da capo. Lo stesso Neumeister nella prefazione alle sue "Geistliche Cantaten statt
einer Kirchenmusic" ammise esplicitamente di aver scritto le sue cantate con il pensiero rivolto
alla predica domenicale e che la loro forma non era altro che un brano operistico, cioè una
successione di recitativi e arie.

Nel periodo in cui svolse a Weimar le funzioni di Konzertmeister (1714-1717) Bach adottò
questa nuova forma di cantata e accettò la collaborazione del librettista Salomo Franck che, oltre
ad essere il segretario del concistoro di quella città, era un fedele seguace delle innovazioni
apportate da Neumeister. Inizialmente la cantata bachiana eseguita prima e a volte anche dopo la
predica nella messa, si articolava nel seguente modo: il brano di apertura era una fuga per coro o
un tempo concertante con coro, di solito su un passo della Bibbia; seguivano quindi i recitativi e
le arie, inframezzati a volte da ariosi o da duetti, per terminare con la strofa di un canto
chiesastico costruita in modo semplice e lineare. Successivamente quando Bach si stabilì a
Lipsia dal 1723 in poi e ricoprì l'ufficio di "Cantor e director musices" nella celebre
Thomasschule, sviluppò e ampliò notevolmente la forma della cantata, introducendovi dialoghi
fra due personaggi allegorici (la cosiddetta cantata corale), arie, ariosi, melodie caratteristiche di
danza che servivano a rendere la composizione più varia e meno pesante e arricchendo
notevolmente la strumentazione con l'espansione dei ritornelli delle arie: un procedimento in cui
Bach riversa in modo prepotente la sua fantasia inventiva, superando di gran lunga tutti i
contemporanei.

A Lipsia Bach compose cinque Annate complete di cantate sacre, ma a noi ne sono rimaste
appena duecento che si aggiungono alla trentina di cantate profane e che non differiscono molto
strumentalmente dalle prime, anche se il loro scopo era diverso ed era rivolto a festeggiare
matrimoni e occasioni liete e tristi di principi e personaggi illustri della società tedesca del
tempo. Una produzione estesa e di notevole impegno in cui, pur se a volte diverse composizioni
erano dettate da motivi contingenti e occasionali e dalla necessità di non perdere lo stipendio
annuo di settecento talleri (esclusi gli incerti saltuari), Bach rivela la sua originalità e genialità,
insieme a quella profondità e sincerità interiore che gli derivava dalla sua tenace e
incondizionata fede nel pietismo.
***

I maestri di fede luterana predisponevano la composizione delle cantate in cicli organici che
coprivano l'intero anno liturgico e prendevano il nome di "annate". Di tali cicli composti da Bach
soltanto tre sono pervenuti sino a noi: i primi due in maniera quasi completa e risalenti al
periodo 1723-'24 e 1724-'25, mentre il terzo (1725-'26) presenta varie lacune. Ogni ciclo o
annata comprende un numero di cantate che varia in funzione della datazione della Pasqua, la
festa più importante dell'anno in quanto celebrativa dell'evento centrale della Cristianità, cioè la
Resurrezione. Il compito di Bach è stato quello di scrivere delle cantate strettamente collegate
alla celebrazione liturgica delle varie feste e per tale ragione esse si ispirano alle letture del
giorno (Epistola e Vangelo) e sono intessute di richiami e citazioni ricavate dai testi dell'Antico e
del Nuovo Testamento.

La Cantata "Das neugeborne Kindelein" BWV 122 fu composta per la festività di Natale del
1724, come è indicato nel sottotitolo (Kantate am Sonntag nach Weihnachten), e non presenta
particolari annotazioni di rilievo sotto il profilo della forma, in quanto rispetta la struttura
classica di questo genere poetico, con strofe, recitativi e corali. Il coro iniziale, nella tonalità sol
minore-sol maggiore, ha un carattere più intimo che solenne, reso evidente anche dai morbidi
impasti strumentali. L'aria dei basso, nella tonalità di do minore, esprime prima un sentimento di
sofferenza e poi di gioia, secondo le regole della tradizione teologica che vuole l'umanità redenta
dall'intervento della divinità. Tre flauti a becco sottolineano versetto per versetto il corale e il
successivo intervento del soprano conferisce un tono di estasi all'intero brano. Molto efficace
nella armonica fusione degli accenti sia umani che trascendenti è il Trio cantato da contralto,
soprano e tenore sfociante in una sensazione di concretezza terrena nelle parole "Gott ist mit uns
und will uns schützen" (Dio è con noi e ci proteggerà). Un tema agitato e vigoroso conduce al
coro finale, dalla scrittura omofona armonizzata a quattro voci e simile ad un'aria di danza.
Nell'organico strumentale di questa Cantata è previsto, fra l'altro, un oboe da caccia insieme al
violone e a tre flauti a becco.

BWV 123 - Liebster Immanuel, Herzog der Frommen


https://www.youtube.com/watchv=Mguz7f_suDY
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV123-Ita2.htm

BWV 124 - Meinem Jesum lass' ich nicht


https://www.youtube.com/watchv=_B2pL16xMck
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV124-Ita2.htm

BWV 125 - Mit Fried und Freud ich fahr' dahin


https://www.youtube.com/watchv=EUHXq8iLaCM
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata125-testo.html

Mit Fried' und Freud' ich fahr' dahin (E' con pace e con gioia che io me ne vado), BWV 125
Cantata in mi minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Martin Lutero
Occasione: festa della Purificazione di Maria

Mit Fried' und Freud' ich fahr' dahin


Coro in mi minore per coro, flauto traverso, oboe, archi e continuo
Ich will auch mit gebroch'nen Augen nach dir
Aria in si minore per contralto, flauto traverso, oboe d'amore e continuo
O Wunder, dass ein Herz
Recitativo in la minore/si minore per basso, archi e continuo
Ein unbegreiflich Licht erfullt den gazen Kreis der Erden
Aria (Duetto) in sol maggiore per tenore, basso, violini e continuo
O unerschöpfter Schatz der Güte
Recitativo in mi minore per contralto e continuo
Er ist das Heil und sel'ge Licht
Corale in mi minore per coro, corno, flauto traverso, oboe, archi e continuo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, flauto traverso, oboe (anche oboe
d'amore), corno, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1725
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 2 febbraio 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1878

Guida all'ascolto (nota 1)

Le Cantate sacre di Giovanni Sebastiano Bach, rimasteci in numero di circa 200, apparvero
soprattutto nel periodo di Lipsia, cioè dal 1723 alla morte. Nel rito protestante tale forma fa parte
dell'ufficio domenicale e di altri giorni festivi. I testi, tutti in lingua tedesca, sono un misto di
versetti biblici, di strofe di cantici della poesia spirituale tedesca fiorita dalla Riforma e di
parafrasi liriche composte in alcuni casi, forse, da Bach stesso e per lo più da verseggiatori del
tempo, come quel Picander autore della parte, lirica del testo della Passione secondo San Matteo.
Musicalmente la cantata di Bach si compone di 4 o 5 pezzi dove, accanto al carattere lirico che
impronta di sè anche i recitativi, affiora non di rado quello virtuosistico, tanto che nel loro
complesso le cantate furono definite una specie, di oratori, in piccolo, anche se si distinguono da
quelli per l'assenza della narrazione dello «storico». Comune invece a entrambe le forme è
l'elemento musicale del «corale» il quale, ove più ove meno elaborato, entra in veste ciclica o a
sè stante nella composizione.

La Cantata della Purificazione di Maria («Mit Fried' und Freud' ich jahr dahin»: «E' con pace e
con gioia che io me ne vado», secondo le parole del cantico di Simeone) è scritta per Flauto
traverso, Oboe, Violini primi e secondi, Basso continuo e per le voci di Soprano (e Corno col
soprano), Alto, Tenore, Basso. I cinque brani che la compongono alternano le tonalità di mi
minore, si minore, sol maggiore.

Il primo brano è un 12/8 nel quale lo Schweitzer ravvisa un'andatura allusiva ai passi «di chi se
ne va». Dopo una breve introduzione orchestrale le quattro parti vocali enunciano il testo da cui
la cantata si contrassegna («Mit Fried'...»). Seguono un'Aria per contralto («Ich will...») e un
Recitativo per basso («O Wunder...») accompagnato da soli archi e continuo. Il successivo
Duetto è per tenore e basso e si svolge in forme imitative. Un breve Recitativo conduce al pezzo
finale, un corale («Er ist das Heil...»), dove voci e strumenti si riuniscono in cinque parti.

Giorgo Graziosi

BWV 126 - Erhalt uns, Herr, bei deinem Wort


https://www.youtube.com/watchv=xSaY0fX8LiA
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV126-Ita2.htm

BWV 127 - Herr Jesu Christ, wahr' Mensch und Gott


https://www.youtube.com/watchv=uQghy8Ih3ZA
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata127-testo.html

Herr Jesu Christ, wahr'r Mensch und Gott (Gesù Cristo Signore, vero uomo e Dio), BWV 127
Cantata in fa maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Paul Eber
Occasione: domenica di Quinquagesima

Herr Jesu Christ, wahr'r Mensch und Gott


Coro in fa maggiore per coro, 2 flauti a becco, 2 oboi, archi e continuo
Wenn Alles sich zur letzten Zeit entsetzet
Recitativo in si bemolle maggiore/fa maggiore per tenore e continuo
Die Seele ruht in Jesu Händen
Aria in do minore per soprano, 2 flauti a becco, oboe, archi e continuo
a. Wenn einstens die Posaunen schallen
Recitativo in do maggiore/sol minore/do maggiore per basso, tromba, archi e continuo
b. Fürwahr, fürwahr, euch sage ich
Aria in do maggiore/sol minore/do maggiore per basso, tromba, archi e continuo
Ach Herr, vergieb all' uns're Schuld
Corale in fa maggiore/do maggiore per coro, 2 flauti a becco, 2 oboi, archi e continuo

Organico: soprano, tenore, basso, coro misto, 2 flauti a becco, 2 oboi, tromba, 2 violini, viola,
continuo
Composizione: Lipsia, 1725
Prima esecuzione: Lipsia, Nikolaikirche, 11 febbraio 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1878

Guida all'ascolto (nota 1)

La cantata "Herr Jesu Christ, wahr'r Mensch und Gott" BWV 127, per la Dominica Estomihi del
1725, richiede tre voci (soprano, tenore, basso), il coro e un organico di 2 flauti, 2 oboi, tromba,
2 violini, viola, continuo. Si tratta di un caso singolare che si distacca notevolmente dallo
schema delle altre cantate della seconda annata. Il testo prende lo spunto non dall'episodio della
guarigione del cieco di Gerico ma da quello che precede il miracolo (Luca, 18, 31-34). La poesia
è tratta dal Lied che Paul Eber aveva scritto nel 1562 per la morte del figlio, al quale era stata
adattata poi la melodia di Goudimel. Pur trattandosi in origine di uno Sterbenlied, acquista in
Bach lo spirito della passione: contribuisce a ciò la citazione dell'Agnus Dei germanico, mentre
si sono ravvisati, nel continuo del primo numero, da parte di Alberto Basso, i segni della melodia
che ritornerà in primo piano nella Passione secondo Matteo, "Herlich thut mich verlangen". In
seconda posizione troviamo un recitativo semplice e quindi un'aria per soprano di straordinaria
espressività, con un ruolo di primo piano dell'oboe; gli archi pizzicati, nella zona centrale,
starebbero a suggerire la campanella dei morti che viene citata nel testo. In quarta posizione la
situazione diventa molto complessa: dapprima un recitativo accompagnato, quindi tre recitativi
semplici che si rifanno al Lied originale, alternati a tre ritornelli di carattere molto drammatico,
con un senso fortissimo di contrasto che simboleggia il fuoco distruttore da un lato e la fede
solida del credente dall'altro. La cantata si chiude con un corale semplice.
Roberto Chiesa

BWV 128 - Auf Christi Himmelfahrt allein


https://www.youtube.com/watchv=hfK4VyIQnyA
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV128-Ita5.htm

BWV 129 - Gelobet sei der Herr, mein Gott


https://www.youtube.com/watchv=lgexOM0RrN4
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV129-Ita3.htm

BWV 130 - Herr Gott, dich loben alle wir


https://www.youtube.com/watchv=CYW8DW4vTV8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV130-Ita2.htm

BWV 131 - Aus der Tiefen rufe ich, Herr, zu dir


https://www.youtube.com/watchv=6zRcc0G_fu8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV131-Ita4.htm

BWV 131a - Aus der Tiefen rufe ich, Herr, zu dir


https://www.youtube.com/watchv=kB9fw4z7A-g

BWV 132 - Bereitet die Wege, bereitet die Bahn


https://www.youtube.com/watchv=4DzowOUZtB0
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV132-Ita2.htm

BWV 133 - Ich freue mich in dir


https://www.youtube.com/watchv=JTDFZQ1Y_BA
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV133-Ita2.htm

BWV 134 - Ein Herz, das seinem Jesum lebend weiß


https://www.youtube.com/watchv=HW63EPFPKZs
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV134-Ita2.htm

BWV 134a - Die Zeit, die Tag und Jahre macht


https://www.youtube.com/watchv=4CjpKfpkVns

BWV 135 - Ach Herr, mich armen Sünder


https://www.youtube.com/watchv=wPbEbXinYXg
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV135-Ita2.htm

BWV 136 - Erforsche mich, Gott, und erfahre mein Herz


https://www.youtube.com/watchv=aGbPXyu5F28
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV136-Ita2.htm

BWV 137 - Lobe den Herren, den mächtigen Koenig der Ehren
https://www.youtube.com/watchv=rNAxuzyDLzs
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV137-Ita4.htm

BWV 138 - Warum betrübst du dich, mein Herz


https://www.youtube.com/watchv=8RFr3yya6WY
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV138-Ita2.htm

BWV 139 - Wohl dem, der sich auf seinen Gott


https://www.youtube.com/watchv=sLsn3_Glkjg
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV139-Ita2.htm

BWV 140 - Wachet auf, ruft uns die Stimme


https://www.youtube.com/watchv=DqZE54i-muE
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata140-testo.html

Wachet auf, ruft und die Stimme (Svegliatevi, ci chiama la voce), BWV 140
Cantata in mi bemolle maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Picander da Philipp Nicolai
Occasione: 27a domenica dopo la festa della Trinità

Wachet auf, ruft uns die Stimme


Coro in mi bemolle maggiore per coro e tutti gli strumenti
Er kommt, er kommt, der Bräut'gam kommt!
Recitativo in do minore per tenore e continuo
Wann kommst du, mein Heil
Aria (Duetto) in do minore per soprano, basso, violoncello piccolo e continuo
Zion hört die Wächter singen
Corale in mi bemolle maggiore per tenore, archi e continuo
Arrangiato come Schubler-Chorale n. 1, BWV 645
So geh' herein zu mir, du mir erwahlte Braut
Recitativo in mi bemolle maggiore/si bemolle maggiore per basso, archi e continuo
Mein Freund ist mein! Und ich bin dein!
Duetto in si bemolle maggiore per soprano, basso, oboe e continuo
Gloria sei dir gesungen
Corale in mi bemolle maggiore per coro e tutti gli strumenti

Organico: soprano, tenore, basso, coro misto, 2 oboi, corno inglese, corno, 2 violini, viola,
violoncello piccolo, continuo
Composizione: Lipsia, 1731
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 25 novembre 1731
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1847

Guida all'ascolto (nota 1)

Nella produzione di Johann Sebastian Bach la cantata sacra occupa un posto di fondamentale
importanza. Essa rappresentava per Bach una forma liturgica aperta alle più intime confessioni,
alla più fervida espressione religiosa, all'immedesimazione degli eventi biblici. Bach ha scritto
cinque annate complete di cantate, e dal periodo di Arnstadt in poi non doveva più abbandonare
questa forma.

La cantata «Wachet auf, ruft uns die Stimme» è stata composta a Lipsia per festeggiare la 27a
domenica dopo quella della Trinità, una ricorrenza assai rara dell'anno ecclesiastico luterano che
nel 1731 cadeva il 25 novembre. Il Vangelo stabilito per quella domenica era la parabola delle
dieci vergini tratta da San Matteo XXV, 1-13. Bach scelse come corale su cui basare la cantata,
quello molto noto di tre strofe scritto nel 1599 da Philipp Nicolai che si ispira appunto alla storia
delle vergini avvedute e delle vergini pazze. Nicolai aveva accostato il testo di San Matteo al
clima poetico del Cantico dei Cantici e alla visione della nuova Gerusalemme come descritta
nell'Apocalisse di San Giovanni (cap. XXI). Il verso della terza strofa «Dodici perle sono le
porte della tua città», ad esempio, è una citazione del testo biblico: le dodici porte raffigurano le
dodici tribù dei figli d'Israele (Apocalisse XXI, 12 - 21).

Le tre strofe del corale formano l'inizio, il centro e la fine dell'opera. Alla prima e alla seconda
strofa del corale fanno seguito un recitativo e un'aria (duetto), cosicché la cantata risulta
suddivisa in sette parti. Il testo dei recitativi e dei duetti, il cui autore è ignoto, sviluppa
liberamente il concetto della mistica unione fra l'Agnello e la sua Sposa, la nuova Gerusalemme,
con aperti riferimenti al Canto dei Cantici. Le immagini poetiche dello sposo che salta sulle
colline come un cerbiatto, dell'ingresso della sposa nella sala del convito, della sposa come
sigillo impresso sul cuore e sul braccio dello sposo, dell'amico che cammina con la sposa sulle
rose del cielo sono tutte tratte alla lettera dal Canto dei Cantici.

Il massimo biografo di Bach, Philipp Spitta, considera giustamente la cantata n. 140 uno dei
primi saggi di quel modello ideale della cantata sacra che Bach doveva realizzare nell'ultimo
periodo della vita: né il testo sacro del corale né la sua melodia vengono esposti al giuoco della
fantasia. All'espressione del sentimento personale, stimolato dai testi sacri, servono particolari
testi poetici e libere composizioni. Il carattere superiore ed invariabile del corale rimane intatto
pur permeando il tutto come una forza unificatrice.

Questa struttura della cantata n. 140 viene esaltata dal fatto che il corale «Wachet auf, ruft uns
die Stimme» è un cantus firmus affidato alle voci dei soprani, sostenuto nella prima strofa anche
dal corno. Il cantus firmus emerge così con una linea chiara e squillante sulle altre parti in
perfetta concomitanza con il messaggio che reca.

Dopo una breve introduzione segue il corale a quattro voci accompagnato da tre oboi, un corno,
un violino piccolo, archi e basso continuo. Con straordinaria plasticità Bach ricrea l'atmosfera
notturna descritta dal testo: il richiamo delle sentinelle, il risveglio, l'inquietudine e la gioia
dell'attesa. Solo nel piccolo frammento alla parola «Alleluja» il flusso dei sentimenti contrastanti
si acquieta. In un breve recitativo in stile secco il tenore, accompagnato dai bassi, annuncia
l'arrivo dello sposo. Segue il primo duetto fra Gesù (basso) e la Sposa (soprano) animata da una
casta intimità e da un aereo senso poetico, sottolineato dalle cristalline figurazioni del violino
piccolo. Nella seconda strofa del corale, un trio ove il cantus firmus è affidato al tenore solista, il
clima mistico si esprime con suprema purezza. Il cullante ritmo degli archi, definito da Spitta
«una danza di spiriti felici», rivela la gioia di Sion guidata da Cristo al celeste convito. Il solenne
recitativo del basso precede il duetto dell'unione mistica divenuta realtà: un brano colmo di una
sublime beatitudine, delicatamente fiorita dal timbro dell'oboe. L'ultima strofa, un «Gloria»
intonato dalle «voci umane ed angeliche» si presenta con disadorna semplicità, tutto concentrato
sulla bellissima melodia del cantus firmus.

Antonio Mazzoni

BWV 141 - Das ist je gewisslich wahr (spuria, di Georg Philipp Telemann)
https://www.youtube.com/watchv=18tpWsLq2Ig

BWV 142 - Uns ist ein Kind geboren (spuria, probabilmente di Johann Kuhnau)
https://www.youtube.com/watchv=l2eML6LRess

BWV 143 - Lobe den Herrn, meine Seele (attribuzione dubbia)


https://www.youtube.com/watchv=u73--Z4UDXs
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV143-Ita2.htm

BWV 144 - Nimm was dein ist, und gehe hin


https://www.youtube.com/watchv=MdMr7mCEn48
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV144-Ita2.htm

BWV 145 - Ich lebe, mein Herze, zu deinem Ergötzen


https://www.youtube.com/watchv=RDBMe23yZb0
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV145-Ita2.htm

BWV 146 - Wir müssen durch viel Trübsal


https://www.youtube.com/watchv=RDBMe23yZb0
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV146-Ita2.htm

BWV 147 - Herz und Mund und Tat und Leben


https://www.youtube.com/watchv=38TS7EOGo9A
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV147-Ita2.htm

BWV 147a - Herz und Mund und Tat und Leben (versione di Weimar, perduta)
https://www.youtube.com/watchv=evnzhg_9frs

BWV 148 - Bringet dem Herrn Ehre seines Namens


https://www.youtube.com/watchv=p1Cg6e6B_QY
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV148-Ita2.htm

BWV 149 - Man singet mit Freuden vom Sieg


https://www.youtube.com/watchv=2OEyzIYnGZ8
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata149-testo.html

Man singet mir Freuden vom Sieg (Con gioia si canta della vittoria), BWV 149
Cantata in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: festa di san Michele

Man singet mit Freuden vom Sieg


Coro in re maggiore per coro e tutti gli strumenti
Riutilizza il Coro n. 15 della Cantata BWV 208
Kraft und Stärke sei gesungen
Aria in si minore per basso violin solo e continuo
Ich fürchte mich vor tausend Feinden nicht
Recitativo in mi minore/re maggiore per contralto e continuo
Gottes Engel weichen nie, sie sind bei mir
Aria in la maggiore per soprano, archi e continuo
Ich danke dir, mein lieber Gott, dafür
Recitativo in do maggiore/sol maggiore per tenore e continuo
Seid wachsam, ihr heiligen Wächter
Aria (duetto) in sol maggiore per contralto, tenore, fagotto e continuo
Ach Herr, lass dein lieb Engelein
Corale in do maggiore per coro e tutti gli strumenti

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 oboi, fagotto, 3 trombe, timpani, 2
violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1728
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 29 settembre 1728
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1884
Guida all'ascolto (nota 1)

La Cantata Man singet mit Freuden von Sieg ("Con gioia si canta della vittoria") BWV 149, ha
un carattere festoso. Si tratta di una Cantata scritta per la festa di San Michele e trattata da Bach
con i tratti tipici della musica militare, nella quale l'elaborazione contrappuntistica è
praticamente assente e il coro ha un andamento essenzialmente omofono. Non bastano pochi
passaggi di imitazione in forma di canone per modificare questo aspetto della musica, e del resto
già la scelta di utilizzare, per la pagina di apertura, il finale di una delle sue composizioni più
esuberanti, la cosiddetta Jagdkantate ("Cantata della caccia") BWV 208, mostra come Bach
avesse in mente il modello di un andamento vocale e strumentale basato su criteri di
semplificazione e di spettacolarità. Naturalmente, i corni da caccia della Jagdkantate vengono
sostituiti, qui, da trombe e timpani, strumenti che costringono a trasportare la tonalità dal fa al re
maggiore, dettaglio che incrementa ulteriormente la luminosità dell'effetto d'insieme.

Tre sono le arie, ciascuna molto diversa dall'altra. La prima (n. 2), affidata alla voce di basso, ha
uno stile vocale declamato che si erge sopra una parte molto elaborata del fagotto in funzione
concertante: un ruolo che lo stesso strumento ricoprirà anche nell'aria "Seid wachsam, ihr
heiligen Wächter", che ha la forma di un duetto vocale in canone su un ritmo danzante (n. 6).
Questo rinvio ai ritmi della danza è più accentuato, però, nella seconda aria (n. 4), la cui
vicinanza con lo stile vocale tipico del teatro d'opera è segnalata anche dalla presenza della
ripetizione "da capo".

Stefano Catucci

BWV 150 - Nach dir, Herr, verlanget mich


https://www.youtube.com/watchv=1OLrYuALWl4
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV150-Ita2.htm

BWV 151 - Süßer Trost, mein Jesus kömmt


https://www.youtube.com/watchv=1fUqz8NNmcA
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata151-testo.html

Süsser Trost, mein Jesus kömmt (Dolce conforto, viene il mio Gesù), BWV 151
Cantata in sol maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Georg Christian Lehms
Occasione: 3° giorno della festa di Natale

Süsser Trost, mein Jesus kömmt


Aria in sol maggiore per soprano e tutti gli strumenti
Erfreue dich, mein Herz, denn itzo weicht der Schmerz
Recitativo in remaggiore/mi minore per basso e continuo
In Jesu Demut kann ich Trost
Aria in mi minore per contralto, oboe d'amore, archi e continuo
Du teurer Gottessohn, nun hast du mir den Himmel aufgemacht
Recitativo in si minore/sol maggiore per tenore e continuo
Heut schleusst er wieder auf die Tür
Corale in sol maggiore per coro e tutti gli strumenti

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, flauto traverso, oboe d'amore, 2 violini,
viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1725
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 27 dicembre 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1886

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Due anni separano la Cantata BWV 40 da Süßer Trost, mein Jesu kömmt BWV 151, ("Dolce
conforto, viene il mio Gesù") composta dunque nel 1725 ed eseguita al servizio del Vespro (si
teneva alle ore 13) di domenica 27 dicembre. Il carattere di quest'opera si rivela molto diverso
dalla precedente già per la scelta del testo, senza diretti riferimenti al Vangelo e concepito,
invece, come una libera meditazione sull'Epistola che si leggeva in quel giorno (Ebrei 1, 1-14).
Con l'eccezione del corale conclusivo, per il quale Bach ricorre a un autore dell'epoca di Lutero,
il testo è di Georg Christian Lehms, poeta che si dedicò anche al romanzo con lo pseudonimo
Palidor. Era morto a Darmstadt, dov'era poeta di corte, nel 1717, a 32 anni, e aveva lasciato un
ingente corpus di testi per Cantate che Bach usò in più di un'occasione, particolarmente nell'anno
in questione. Coerentemente con il tono del testo, Bach sceglie un'impostazione cameristica, più
raccolta, concentrando tutta l'efficacia della sua invenzione proprio nelle pagine di carattere
esplicitamente soggettivo: le arie nelle quali il fedele svolge una meditazione in prima persona.
Quella per soprano, la prima, è uno dei capolavori di Bach ed è anche un esempio tipico della
sua capacità di far dialogare una voce e un singolo strumento.

Fedele al precetto mulier tacet in ecclesia, l'epoca di Bach assegnava le parti vocali oggi
considerate femminili alle voci bianche o di castrato (è noto che Bach abbandonò l'attività di
cantante proprio all'epoca della muta della voce nonostante numerose insistenze a proseguire). È
così anche per la seconda aria, per contralto, nella quale Bach lascia emergere dall'orchestra e
colloca accanto alla voce un altro strumento a fiato, l'oboe.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Bach, questo poderoso e roccioso artigiano della musica, lavorò metodicamente e assiduamente
ogni giorno per costruire la sua opera che oggi più di ieri suscita ammirazione e sbigottimento
per la mole e la qualità dell'invenzione artistica. Egli lasciò il segno della sua prodigiosa attività
in tutte le città dove svolse le funzioni di organista e di maestro di musica: Weimar (1703),
Arnstadt (1703-1707), Mülhausen (1707-1708), ancora Weimar (1708-1717), Koethen (1717-
1723) e infine Lipsia, in cui trascorse i suoi ultimi ventisette anni come Kantor, cioè direttore e
maestro di coro della scuola di San Tommaso. In questa sede egli si impegnò a scrivere ogni
settimana una cantata sacra, vale a dire un componimento musicale su testo luterano per solisti,
coro e strumenti, costituito in media di sette o sei pezzi per quattro, tre solisti, anche due o uno,
di diversa caratteristica (recitativi, ariosi, arie e cori concertati), per lo più concluso da un corale
a quattro parti. Nacquero così non meno di 265 cantate sacre, delle quali ce ne rimangono
appena 200 (le cantate profane ammontano ad una trentina) basate sul corale luterano, secondo
una scelta non solo musicale, ma culturale e storica determinata dalla riforma protestante. Va
aggiunto che Bach seguace del pietismo, cioè di un credo religioso più incline all'interiorità del
sentimento, ricorre alla melodia del Lied, affidata in prevalenza ad una voce, come espressione
di riflessione e di meditazione su uno stato d'animo dettato da un avvenimento biblico.

Un esempio del procedimento usato da Bach nel costruire questo tipo di componimento è
racchiuso nella Cantata per soli, coro e orchestra BWV 151, scritta nel 1724 per il terzo giorno
della festività natalizia. Si apre con un tema sereno e tranquillo affidato al flauto, all'oboe
d'amore, all'orchestra d'archi e al cembalo; quindi il soprano canta un'aria («Süsser Trost, mein
Jesus») di estrema dolcezza lirica. Al recitativo del basso segue in tempo andante e con varietà di
sfaccettature psicologiche l'aria del contralto («In Jesu Demut kann ich Trost») accompagnata
dall'oboe d'amore, dall'orchestra d'archi e dal cembalo. Il recitativo del tenore sfocia nel corale
conclusivo («Heut'schleusst er wie der auf die Tür zum schoenen Paradeis») di misurata
solennità musicale.

BWV 152 - Tritt auf die Glaubensbahn


https://www.youtube.com/watchv=tbMAGZs8vzo
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV152-Ita2.htm

BWV 153 - Schau, lieber Gott, wie meine Feind


https://www.youtube.com/watchv=zcZMRhLXMvk
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV153-Ita2.htm

BWV 154 - Mein liebster Jesus ist verloren


https://www.youtube.com/watchv=PYsHrCdIW80
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV154-Ita2.htm

BWV 155 - Mein Gott, wie lang, ach lange


https://www.youtube.com/watchv=5uKjvD6FZNo
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata155-testo.html

Mein Gott, wie lang', ach lange (Signore fino a quando), BWV 155
Cantata in re minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Salomon Franck
Occasione: 2a domenica dopo l'Epifania

Mein Gott, wie lang', ach lange


Recitativo in re minore/la minore per soprano, archi e continuo
Du musst glauben, du musst hoffen
Duetto in la minore per contralto, tenore, fagotto e continuo
So sei, o Seele, sei zufrieden!
Recitativo in do maggiore/fa maggiore per basso e continuo
Wirf, mein Herze, wirf dich noch in des Höchsten Liebesarme
Aria in fa maggiore per soprano, archi e continuo
Ob sich's anliess', als wollt' er nicht
Corale in fa maggiore per coro e tutti gli strumenti

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, fagotto, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1716
Prima esecuzione: Weimar, Hofkapelle,19 gennaio 1716
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1886

Guida all'ascolto (nota 1)

Questa cantata, il cui testo poetico è di Salomo Franck, è riservata a commentare la lettura del
Vangelo nella seconda domenica dopo l'Epifania. Essa è stata scritta nel 1716, cioè durante la
permanenza di Bach a Weimar e quando era più viva l'influenza su di lui delle cantate dello stile
di Neumeister. Sono presenti le quattro voci soliste (ma soltanto il contralto e il tenore
sostengono un accorato duetto appoggiato dalle modulazioni del fagotto) insieme al coro, due
violini, viola, il già citato fagotto e il basso continuo. Dopo una dolcissima aria del soprano il
pezzo si chiude con un breve e succoso corale, in cui si invita l'uomo a non disperare nell'aiuto
divino («sein Wort lass dir gewisser sein, und ob dein Herz spräch' lauter Nein, so lass doch dir
nicht grauen»).

BWV 156 - Ich steh' mit einem Fuß im Grabe


https://www.youtube.com/watchv=uolOHWfESdc
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata156-testo.html

Ich steh' mit einem Fuss im Grabe (Sono già con un piede nella fossa), BWV 156
Cantata in fa maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: 3a domenica dopo l'Epifania

Sinfonia - Adagio (fa maggiore/do maggiore)


per oboe, archi e continuo
Tratta dal secondo movimento del Concerto per clavicembalo, BWV 1056
a. Ich steh' mit einem Fuss im Grabe
Aria in fa maggiore per tenore, archi e continuo
b. Mach's mit mir, Gott, nach deiner Güt'
Corale in fa maggiore per soprano, archi e continuo
Mein' Angst und Not
Recitativo in re minore per basso e continuo
Herr, was du willst, soll mir gefallen
Aria in si bemolle maggiore per contralto, oboe, violino solo e continuo
Und willst du, dass ich nicht soll kranken
Recitativo in sol minore/la minore per basso e continuo
Herr, wie du will't, so schick's mit mir
Corale in do maggiore per coro e tutti gli strumenti

Organico: contralto, tenore, basso, coro misto, oboe, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1729
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 23 gennaio 1729
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1886

Guida all'ascolto (nota 1)

Raccolto e meditativo è il carattere della Cantata, Ich stehe mit einem Fuss im Grabe ("Io sto con
un piede nella tomba") BWV 156, aperta da una breve sinfonia introduttiva nella quale non è
difficile riconoscere uno dei brani più celebri di Bach: il Largo dal Concerto in fa minore per
clavicembalo, archi e basso continuo BWV 1056. È probabile che anche questa versione non
fosse l'originale e che Bach, ancora in un periodo giovanile, avesse affidato al violino la parte
solista trasferita, più tardi, al clavicembalo. Qui, la melodia viene eseguita da un altro strumento
ancora, l'oboe, il cui suono malinconico e distante evoca il carattere patetico della scena
evangelica alla quale la Cantata si ispira (Matteo, 8, 13). Si tratta della miracolosa guarigione di
un lebbroso e da parte di Gesù e, più ancora, della meditazione sull'incombenza della morte che
l'episodio ispira all'autore del testo, Christian Friedrich Henrici, meglio noto con lo pseudonimo
Picander. Giunto alla fine della propria esistenza, il fedele si rimette alla volontà di Dio, gli si
affida con la preghiera chiedendogli protezione e conforto: questo è il contenuto intorno al quale
ruota la bellissima aria del tenore (n. 2), contrappuntata dagli interventi del soprano che intona i
motivi di due diversi corali, in un'alternanza di stile ornato (tenore) e asciutto (soprano) che
produce l'effetto di un pathos molto intenso. L'altra aria (n. 4) si basa sul contrappunto, in forma
di canone, fra la voce di contralto e due parti orchestrali affidate, rispettivamente, all'oboe e al
violino.

La Cantata risale, con ogni probabilità, al 1728 ed è una delle più note, oltre che espressive,
dell'intero corpus bachiano.

Stefano Catucci

BWV 157 - Ich lasse dich nicht, du segnest mich denn


https://www.youtube.com/watchv=p5H1GZdXuh0
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV157-Ita5.htm

BWV 158 - Der Friede sei mit dir


https://www.youtube.com/watchv=UeDD5Lpa_DM
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV158-Ita2.htm
BWV 159 - Sehet, wir gehn hinauf gen Jerusalem
https://www.youtube.com/watchv=OCJidUl_UXM
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV159-Ita2.htm

BWV 160 - Ich weiss, dass mein Erloeser lebt (spuria, di Georg Philipp Telemann)
https://www.youtube.com/watchv=N8B7SgK8Flk

BWV 161 - Komm, du süße Todesstunde


https://www.youtube.com/watchv=0MWrMBkKm_Q
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV161-Ita2.htm

BWV 162 - Ach! ich sehe, itzt, da ich zur Hochzeit gehe
https://www.youtube.com/watchv=ITb8j7MbJBs
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata162-testo.html

Ach!, ich sehe, itzt da ich zur Hochzeit gehe (Ah io vedo, ora che vado alle nozze), BWV 162
Cantata in la minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Solomo Franck
Occasione: 20a domenica dopo la festa della Trinità

Ach! ich sehe, itzt da ich zur Hochzeit gehe


Aria in la minore per basso e tutti gli strumenti
O grosses Hochzeitsfest, dazu der Himmelskönig
Recitativo in do maggiore/re minore per tenore e continuo
Jesu, Brunnquell aller Gnaden
Aria in re minore per soprano e continuo
Mein Jesu, lass mich nicht
Recitativo in la minore/do maggiore per contralto e continuo
In meinem Gott bin ich erfreut
Duetto in do maggiore per contralto, tenore e continuo
Ach, ich habe schon erblicket
Corale in la minore per coro e tutti gli strumenti

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, tromba fagotto, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Weimar 1715
Prima esecuzione: Weimar, Hofkapelle, 3 novembre 1715
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1887

Guida all'ascolto (nota 1)


L'esecuzione delle Cantate Sacre, una delle principali forme espressive della musica luterana,
aveva luogo nel corso della funzione religiosa, fra la lettura del Vangelo e il sermone: si trattava
di un brano musicale di non piccola portata, suddiviso in arie, duetti, cori, recitativi e parti
strumentali, il cui testo era tratto dalle Sacre Scritture o costituito da poesie originali. Questa
forma d'arte occupa gran parte della produzione bachiana e ha costituito un notevole motivo di
interesse per la critica. Poche Cantate, infatti, ci sono giunte con una data apposta dall'autore e la
ricostruzione cronologica (che non corrisponde al numero d'opera) si è basata sui cambiamenti di
scrittura e sullo studio delle filigrane e dei rastri (le penne a cinque punte con cui venivano
tracciati i pentagrammi che cambiavano a seconda dell'epoca e della località).

Nella prima fase Bach si rifà anzitutto alla tradizione familiare e poi ai modelli della Germania
del Nord e del Centro, come Pachelbel e Buxtehude: la musica in questo caso è divisa in sezioni
piuttosto brevi e contrastanti tra loro per tempo e numero di voci impiegate. Inoltre come
accompagnamento per le arie viene spesso impiegato un ostinato che insiste su una stessa frase
mentre la linea melodica cambia.

Negli anni di Weimar (1708-1717), ai quale appartiene la BWV162, e poi in quelli di Köthen
(1717-1723), Bach conferisce alle sue Cantate un carattere di omogeneità che prelude ai grandi
cicli del periodo di Lipsia. È in questo momento, inoltre, che il musicista inizia a liberarsi dei
modelli più arcaici e ad attingere dall'opera elementi profani, incorrendo così nella tanto
unanimemente temuta "teatralità". L'influenza del concerto italiano e delle Ouvertures di stile
francese è presente anche in questo settore della produzione bachiana, e si esplicita nell'impiego
dell'introduzione strumentale, qui ancora di proporzioni ristrette rispetto alle vere e proprie
sinfonie che apriranno le Cantate di Lipsia. L'influenza del melodramma italiano, napoletano
nella fattispecie, è riscontrabile invece nella struttura dell'aria, che assume forma di agilità
virtuoslstica di stampo prettamente operistico. Bach inoltre sviluppa il recitativo dandogli un
contorno melodico che lo avvicina all'aria, pur non assumendone del tutto le caratteristiche. Il
numero dei cori va riducendosi sino a collocarsi solo all'inizio e alla fine della Cantata o a
scomparire del tutto.

Ancora una volta, quindi, Bach effettua una progressiva azione di rivoluzione all'interno di una
forma musicale, giungendo ad introdurre in un rigidissimo genere religioso elementi puramente
profani.

Nel periodo di Lipsia, come direttore della musica eseguita nelle chiese di Lipsia, Bach doveva
provvedere alla preparazione di una cantata alla settimana, e spesso di due o più: se ne dovrebbe
dedurre che in ventisette anni di cantorato la sua produzione in questo senso sia stata sterminata.
Non è così: a tutt'oggi ci sono pervenute 163 cantate con destinazione liturgica, comprese le otto
che formano i tre oratori. La semplice dispersione del materiale non spiega la questione, che per
lungo tempo risultò assai controversa, soprattutto in seguito alle affermazioni dello Spitta, che
voleva l'attività bachiana nel settore continua fino alla morte. Il Necrolog parla esplicitamente di
cinque annate di cantate per tutte le domeniche e i giorni di festa, di cui, dopo la morte di Bach,
due passarono in eredità a Carl Philipp Emanuel, e tre a Wilhelm Friedemann, che smarrì la
quarta e la quinta.

Una ricostruzione è dunque possibile in relazione alle prime tre annate, che prendono l'avvio
dalla prima domenica dopo la Trinità, il 30 maggio 1723. Il problema critico più dibattuto si è
posto sulla data finale della produzione, che, come è facile intuire, esula da una mera questione
di cronologia per investire l'intero percorso musicale bachiano. Solo nel 1957 gli studi compiuti
da Alfred Dürr e Georg von Dadelsen hanno dimostrato che dopo il 1729 Bach sospese la
produzione regolare di cantate, con una «coda» di quattordici brani non collegati, composti
presumibilmente tra il 1729 e il 1735. Le ripercussioni della scoperta sono importantissime, e
dimostrano che a partire da una certa data Bach si disinteressò della produzione religiosa nella
forma tradizionale della cantata per dedicarsi all'attività profana del «Collegium Musicum» e
alla ricerca speculativa delle opere teoriche. Abbiamo così un nuovo anno con funzioni di
spartiacque, il 1730, in cui il musicista, deluso dalle difficoltà oppostegli continuamente dalle
autorità di Lipsia e «saziato» da una forma musicale che aveva utilizzato al massimo delle
risorse, si rivolse verso altre strade, sia con la ricerca materiale di un nuovo impiego, sia con il
ritiro nella «Köthen» intima che prelude alla sua più alta produzione.

Ma neanche nei primi cinque anni di attività Sebastian mostra una condotta continua: contro la
produzione piuttosto regolare dei primi due, con trentasette e cinquantadue cantate, si registra un
calo di attività nel terzo e quarto anno, con ventisette e nove cantate.

La quinta annata comprende le quattordici Cantate composte saltuariamente dopo il 1729. A


questo schema vanno aggiunte cinque composizioni che risultano una parodia di precedenti brani
composti da Bach, quattro cantate sacre al di fuori del calendario liturgico e le cantate composte
per nozze, funerali e simili occasioni.

Principale collaboratore di Bach nella stesura dei testi fu Christian Friedrich Henrici, detto
Picander (nomignolo che significa uomo-gazza e che allude a una spiacevole disavventura del
poeta, finito in carcere per aver sparato ad un contadino invece che a una gazza), ma il suo
intervento non fu continuo.

È soprattutto alla produzione di cantate di questi anni che i fautori del simbolismo bachiano e
della «musica poetica» si sono rifatti per dimostrare l'intima connessione fra linguaggio musicale
e linguaggio poetico esplicato nel simbolo numerico.

In questa ricerca di codificazione, Bach utilizza un preciso schema di cantata, al cui interno sono
presenti il mottetto corale, il recitativo, l'aria, la strofa di corale conclusivo. Commenta Basso:
«Caricata di simboli, ispirata alle sacre letture e alle interpretazioni suggerite dalla teologia, la
Kirchenmusik si presentava dunque come una similitudine del cosmo, come un mondo in sé
compiuto e dotato di tutti gli attributi, degli elementi fondamentali che regolano la natura. E in
questa sua compostezza raggiungeva il massimo rendimento possibile, consentendo al fedele di
sentirsi totalmente calato nella vita contemplativa e al musicista di conquistare, con l'esercizio e
l'applicazione, smisurati spazi».

Potrebbe sorprendere in quest'ambito sacrale ancor più che sacro l'operazione di «parodia»
effettuata in moltissimi casi da Bach. Effettivamente molti studiosi si stupirono quando le
ricerche rivelarono la gran parte delle Cantate dì Lipsia, gli oratori, le Messe brevi, parte della
Messa in si minore, e persino gran parte della Matthäus-Passion erano frutto di rielaborazioni di
opere precedenti, spesso profane. Ma alla luce della nuova immagine di Bach questa prassi va
inquadrata nel gigantesco tentativo perseguito dal musicista di unificare e integrare i più diversi
stili musicali, compresi il sacro e il profano.
I movimenti che aprono e chiudono la Cantata BWV162 sono considerati dagli esperti quelli di
maggiore interesse all'interno della partitura. Il lavoro inizia con un Aria del basso solo che
descrive, con austera sobrietà, i momenti che precedono la festa. Una tromba sorregge la voce
con un ostinato che regala a questo momento un carattere fortemente contemplativo. All'altro
estremo della Cantata, il Corale conclusivo, pur poggiando su di una struttura estremamente
semplice, conferisce al finale un forte impatto emotivo.

BWV 163 - Nur jedem das Seine


https://www.youtube.com/watchv=spLpswcS7rU
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV163-Ita2.htm

BWV 164 - Ihr, die ihr euch von Christo nennet


https://www.youtube.com/watchv=rYebpMjPlo8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV164-Ita2.htm

BWV 165 - O heilges Geist - und Wasserbad


https://www.youtube.com/watchv=D08uGtMPYYI
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV165-Ita2.htm

BWV 166 - Wo gehest du hin


https://www.youtube.com/watchv=0JSD3ef-nwo
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV166-Ita2.htm

BWV 167 - Ihr Menschen, ruehmet Gottes Liebe


https://www.youtube.com/watchv=DkV31HKNtrM
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV167-Ita2.htm

BWV 168 - Tue Rechnung! Donnerwort


https://www.youtube.com/watchv=2hjYcVpCZjc
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV168-Ita2.htm

BWV 169 - Gott soll allein mein Herze haben


https://www.youtube.com/watchv=urh1YM1LSmk
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV169-Ita5.htm

BWV 170 - Vergnügte Ruh', beliebte Seelenlust


https://www.youtube.com/watchv=zQgOMClbGfc
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata170-testo.html
Vergnügte Ruh', beliebte Seelenlust, BWV 170
Cantata in re maggiore per contralto e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Georg Christian Lehms
Occasione: 6a domenica dopo la festa della Trinità

Vergnügte Ruh', beliebte Seelenlust


Aria in re maggiore per contralto, oboe d'amore, archi e continuo
Die Welt, das Sündenhaus, bricht nur im Höllenlieder aus
Recitativo in si minore/fa diesis minore per contralto e continuo
Wie jammern nich doch die verkehrten Herzen
Aria in fa diesis minore per contralto, archi e organo obbligato
Wer sollte sich demnach wohl hier zu leben wünschen
Recitativo in re maggiore per contralto, archi e continuo
Mir ekelt, mehr zu leben
Aria in re maggiore per contralto e tutti gli strumenti
L'organo può essere sostituito da un flauto traverso

Organico: contralto, oboe d'amore, organo obbligato, 2 violini, viola, continuo


Composizione: Lipsia, 1726
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 28 luglio 1726
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1887

Guida all'ascolto (nota 1)

Fin dalla seconda metà del Seicento il termine di "cantata" servì a definire un brano cantato
diviso in più parti e con accompagnamento strumentale. Ma, mentre nell'opera e nell'oratorio, gli
altri due importanti generi della composizione vocale del tempo, predominavano gli elementi
drammatici ed epici, la cantata assunse un aspetto meno aulico e fastoso e seguì una linea
espressiva più spiccatamente lirica. Se, come sembra ormai accertato, il madrigale e la
canzonetta diedero origine alla cantata italiana profana, specialmente nelle due forme di cantata
solista e duetto da camera, bisogna ricordare che alla base della cantata da chiesa tedesca c'erano
i mottetti concertanti e le elaborazioni concertanti di canti chiesastici. I primi prendevano
comunemente lo spunto da un versetto del Vangelo o delle Epistole, e talvolta anche da un
Salmo, cioè da un testo in prosa; le altre invece si valevano di un intero canto chiesastico. In
origine però le cantate non erano molto articolate e non avevano quella precisa rifinitura formale
che assunsero in seguito con il contributo e l'esperienza bachiana. In esse si alternavano le parole
della Bibbia, che costituivano il testo in prosa, agli squarci corali in cui venivano rielaborate
intonazioni liturgiche e melodie di canti chiesastici. Fu il pastore protestante Erdmann
Neumeister ad ampliare nel 1700 il linguaggio della cantata, introducendovi le forme dell'opera,
in particolare il recitativo e le arie con il da capo. Lo stesso Neumeister nella prefazione alle sue
"Geistliche Cantaten statt einer Kirchenmusic" ammise esplicitamente di aver scritto le sue
cantate con il pensiero rivolto alla predica domenicale e che la loro forma non era altro che un
brano operistico, cioè una successione di recitativi e arie.
Nel periodo in cui svolse a Weimar le funzioni di Konzertmeister (1714-1717) Bach adottò
questa nuova forma di cantata e accettò la collaborazione del librettista Salomo Franck, che,
oltre ad essere il segretario del concistoro di quella città, era un fedele seguace delle innovazioni
apportate da Neumeister. Inizialmente la cantata bachiana, eseguita prima e a volte anche dopo la
predica nella messa, si articolava nel seguente modo: il brano di apertura era una fuga per coro o
un tempo concertante con coro, di solito su un passo della Bibbia; seguivano quindi i recitativi e
le arie, inframmezzati a volte da ariosi o da duetti, per terminare con la strofa di un canto
chiesastico costruita in modo semplice e lineare. Successivamente quando Bach si stabilì a
Lipsia dal 1723 in poi e ricoprì l'ufficio di "Cantor e director musices" nella celebre
Thomasschule, sviluppò e ampliò notevolmente la forma della cantata, introducendovi dialoghi
fra due personaggi allegorici (la cosiddetta cantata corale), arie, ariosi, melodie caratteristiche di
danza che servivano a rendere la composizione più varia e meno pesante e arricchendo
notevolmente la strumentazione con l'estensione dei ritornelli delle arie: un procedimento in cui
Bach riversa in modo prepotente la sua fantasia intentiva, superando di gran lunga tutti i
contemporanei.

A Lipsia Bach compose cinque Annate complete di cantate sacre, ma a noi ne sono rimaste
appena duecento che si aggiungono alla trentina di cantate profane, che non differiscono molto
strumentalmente dalle prime, anche se il loro scopo era diverso ed era rivolto a festeggiare
matrimoni e occasioni liete e tristi di principi e personaggi illustri della società tedesca del
tempo. Una produzione estesa e di notevole impegno in cui, pur se a volte diverse composizioni
erano dettate da motivi contingenti e occasionali e dalla necessità di non perdere lo stipendio
annuo di settecento talleri (esclusi gli incerti saltuari), Bach rivela la sua originalità e la sua
genialità, insieme a quella profondità e sincerità interiore che gli derivava dalla sua tenace e
incondizionata fede nel pietismo.

La Cantata BWV 170 non si apre, come di consueto, con un coro, ma con un'aria di tono disteso
affidata al contralto. I violini accompagnano con figurazioni morbide e variamente espressive, in
un clima di compostezza e di penetrante dolcezza. Segue un recitativo secco del contralto,
accompagnato dal solo cembalo, molto interessante sotto il profilo delle modulazioni, che
sottolineano il discorso parlato con una puntuale proprietà di accenti, rivolti ad evidenziare il
delicato gioco psicologico delle varie situazioni. Dopo il recitativo viene un'altra aria per il
contralto (Adagio), sviluppata in forma di fugato, che esprime una sensazione dolorosa, come un
pensiero della condizione umana di fronte alla divinità. L'aria è particolarmente impegnativa per
la varietà delle annotazioni così da creare un'atmosfera di elevata poesia (l'aria è con il da capo).
Ad un nuovo recitativo obbligato, cioè accompagnato dagli archi più il basso continuo, fa
seguito l'ultima aria, più elaborata delle precedenti e su un tema chiaramente bachiano, ma dal
piglio allegro e vivace, emergente da un elegante trapunto di arabeschi sonori.

BWV 171 - Gott, wie dein Name, so ist auch dein Ruhm
https://www.youtube.com/watchv=YO15GtwWXIs
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV171-Ita5.htm

BWV 172 - Erschallet, ihr Lieder, erklinget, ihr Saiten!


https://www.youtube.com/watchv=dIaLrdOm3G0
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata172-testo.html
Erschallet ihr Lieder (Risuonino i vostri canti), BWV 172
Cantata in do maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: forse Salomon Franck
Occasione: 1° giorno della festa di Pentecoste

Erschallet, ihr Lieder


Coro in do maggiore per coro, 3 trombe, timpani, fagotto, archi e continuo
Wer mich liebet, der wird mein Wort halten
Recitativo in la minore/do maggiore per basso e continuo
Heiligste Dreieinigkeit
Aria in do maggiore per basso, 3 trombe, timpani e contimuo
Seelen Paradies
Aria in la minore per tenore, archi e continuo
Komm, lass mich nicht länger warten
Duetto in fa maggiore per soprano, contralto, violino, violoncello obbligato e organo
obbligato
Von Gott kommt mir ein Freudenschein
Corale in fa maggiore per coro, archi e continuo
Erschallet, ihr Lieder
Coro in do maggiore per coro, 3 trombe, timpani, fagotto, archi e continuo
Ripetizione del Coro n. 1

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 trombe, timpani, oboe o organo
obbligato, fagotto, 2 violini, viola, violoncello, continuo
Composizione: Weimar, 1714
Prima esecuzione: Weimar, Hofkapelle, 20 maggio 1714
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1888

Guida all'ascolto (nota 1)

La Cantata "Erschallet ihr Lieder" risale al 1714: Bach ha 29 anni e si trova da sei anni al
servizio del duca Wilhelm Ernst di Sassonia Weimar. Gli splendori culturali di questa piccola
corte tedesca, destinata sul finire del secolo a divenire l'Atene della Germania, erano di là da
venire. Wilhelm Ernst si distingueva dagli altri principi sovrani del tempo per lo zelo religioso,
volto a definire nei minimi dettagli la partecipazione dei sudditi alle funzioni liturgiche. I
cittadini di Weimar (meno di 5.000 all'inizio del Settecento) furono nel corso del suo regno
costretti ad una vita specialmente austera, con i giorni di festa trasformati in occasioni di
penitenza e contrizione.

La cappella, in cui Bach ricopriva le mansioni di Hoforganist e Cammermusicus, era formata da


circa 20 fra vocalisti e strumentisti. I rapporti del musicista con Wilhelm Ernst non furono fra i
migliori, in particolare Bach non riuscì a esser nominato Kapellmeister e ciò condusse ad
ulteriori attriti che sfociarono nel trasferimento di Bach alla corte di Köthen, non senza che il
duca, adirato per le insistenti richieste di congedo del musicista, glielo accordasse soltanto dopo
avergli inflitto tre settimane di carcere.

Gli impegni di Bach quale compositore di chiesa furono ufficialmente sanciti dal suo contratto di
Konzertmeister, del 1714. In esso Bach si obbligava ad approntare mensilmente una nuova
cantata e a curarne l'esecuzione. Nell'arco di tre anni Bach compose 33 cantate: ce ne sono
pervenute 16.

La Cantata "Erschallet ihr Lieder" fu eseguita per la prima volta il 20 maggio 1714. Il testo si
suppone sia di Solomo Franck, direttore della Biblioteca e del Gabinetto di Numismatica ducale.
Esso è quasi integralmente originale ad eccezione del recitativo del basso tratto dal Vangelo di
San Giovanni e del Corale conclusivo, tratto da un corale di Philipp Nicolai "Wie schòn leuchtet
der Morgenstern".

La Cantata fu eseguita almeno altre tre volte vivente l'autore, il quale la riutilizzò con sicurezza a
Lipsia nella prima domenica di Pentecoste del 1724 e del 1731, senza apportarvi sostanziali
modifiche.

Il primo coro concertato a 4 voci Erschallet ihr Lieder è un festoso pezzo di circostanza,
rilucente nelle fanfare delle trombe, e con i vocalizzi corali punteggiati antifonalmente dagli
archi e dagli ottoni. La sezione b (Gott will sich die Seelen zu Tempel bereiten) si schiude su un
fugato con le entrate a caduta dal basso al soprano, altro effetto di pompa barocca, uno stile di
cui Bach si mostra pienamente padrone fin dagli anni giovanili. Segue un recitativo del Basso
(Wer mich liebet, der wird mein Wort halten) ove il consueto stile ieratico si avviva con una
stupenda fioritura alle parole del Cristo (und wir werden zu ihm kommen und Wohnung bei ihm
machen), una fioritura che appare quasi un topos dell'estasi prodotta dall'arrivo dello sposo,
secondo una immagine cara alla devozione pietista. L'aria del Basso Heiligste Dreieinigkìt
riprende i fasti barocchi del coro di apertura. La Trinità vi è celebrata a suon di trombe e timpani,
sempre sottolineando la discesa di Dio nel cuore dell'uomo, evento centrale della Pentecoste.

Anche la successiva aria del tenore (O Seele-Paradies) con violini e viole obbligati all'unisono
tratta il medesimo soggetto, ma il tono è qui raccolto anziché trionfalistico, indicando il lato
privato proposto dal Vangelo alla meditazione del credente. Il n. 5 è un duetto per soprano e
contralto, oboe d'amore e violoncello obbligato. E' questo un pezzo singolarmente pervaso da
spirito pietistico. Le voci sviluppano un dialogo fra l'anima ed il Redentore, secondo una
tradizione dell'attesa ed incontro amoroso che risale al Cantico dei Cantici. Le parti strumentali
sono anch'esse di derivazione simbolica, infatti l'oboe d'amore propone una variazione ornata del
corale Komm, lass mich nicht länger warten sostenuto dal solo violoncello. Il pezzo ha connotati
di raccoglimento e trepidazione, con la linea del soprano garrula e ornata, a cui risponde il
contralto con un'altra variante ornamentale del corale dell'attesa.

L'ultimo numero è costituito dal corale Von Gott kommt mir ein Freudenschein, semplicemente
armonizzato con i raddoppi delle parti vocali affidate ai soli archi. Sempre vigile la cura del
senso verbale, così la terza strofa Nimm mich freundlich in dein' Arme, si apre con valori lunghi
e fermate, quasi a sottolineare l'anelito del credente, per poi iterare l'implorazione cullandosi
nella prospettiva dell'abbraccio, e si conclude con una intera scala discendente di fa maggiore
per sottolineare la certezza ritrovata: Auf dein Wort komm' ich geladen. Il timbro della festa
barocca viene infine riproposto dalla ripresa integrale del coro di apertura.
Gioacchino Lanza Tomasi

BWV 173 - Erhoehtes Fleisch und Blut


https://www.youtube.com/watchv=hmwC4Na9MKI
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV173-Ita2.htm

BWV 173a - Durchlauchtster Leopold


https://www.youtube.com/watchv=BpbsXFSsoa4

BWV 174 - Ich liebe den Höchsten von ganzem Gemüte


https://www.youtube.com/watchv=AYF32KdCjRs
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV174-Ita2.htm

BWV 175 - Er rufet seinen Schafen mit Namen


https://www.youtube.com/watchv=dRShIu9Mc10
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV175-Ita5.htm

BWV 176 - Es ist ein trotzig und verzagt Ding


https://www.youtube.com/watchv=IEk3rFTUJYw
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV176-Ita5.htm

BWV 177 - Ich ruf' zu dir, Herr Jesu Christ


https://www.youtube.com/watchv=YJckbvyaQfk
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV177-Ita2.htm

BWV 178 - Wo Gott, der Herr, nicht bei uns hält


https://www.youtube.com/watchv=Jl8szypQnPM
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV178-Ita2.htm

BWV 179 - Siehe zu, dass deine Gottesfurcht nicht Heuchelei sei
https://www.youtube.com/watchv=GoLkKvaKafI
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV179-Ita2.htm

BWV 180 - Schmücke dich, o liebe Seele


https://www.youtube.com/watchv=1nZjYDfxvNQ
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata180-testo.html
Schmücke dich, o liebe Seele (Adornati o anima cara), BWV 180
Cantata in fa maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: da Johann Franck
Occasione: 20a domenica dopo la festa della Trinità

Schmücke dich, o liebe Seele


Corale in fa maggiore per coro, 2 flauti a becco, oboe, corno inglese, archi e continuo
Ermunt're dich, dein Heiland klopft
Aria in do maggiore per tenore, flauto traverso e continuo
a. Wie teuer sind des heil'gen Mahles Gaben
Recitativo in la minore per soprano, violoncello piccolo e continuo
b. Ach, wie hungert meine Gemüte
Corale (arioso) in fa maggiore per soprano, violoncello piccolo e continuo
Mein Herz fühlt in sich Furcht und Freude
Recitativo in si bemolle maggiore per contralto, 2 flauti a becco e continuo
Lebens Sonne, Licht der Sinnen
Aria in si bemolle maggiore per soprano, 2 flauti a becco, oboe, corno inglese, archi e
continuo
Herr, lass' an mir dein treues Lieben
Recitativo in fa maggiore per basso e continuo
Jesu, wahres Brod des Lebens
Corale in fa maggiore per coro e continuo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, flauto traverso, 2 flauti a becco, oboe,
corno inglese, 2 violini, viola, violoncello piccolo, continuo
Composizione: 1724
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 22 ottobre 1724
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1888

Guida all'ascolto (nota 1)

L'esecuzione delle Cantate Sacre, una delle principali forme espressive della musica luterana,
aveva luogo nel corso della funzione religiosa, fra la lettura del Vangelo e il sermone: si trattava
di un brano musicale di non piccola portata, suddiviso in arie, duetti, cori, recitativi e parti
strumentali, il cui testo era tratto dalle Sacre Scritture o costituito da poesie originali. Questa
forma d'arte occupa gran parte della produzione bachiana e ha costituito un notevole motivo di
interesse per la critica. Poche Cantate, infatti, ci sono giunte con una data apposta dall'autore e la
ricostruzione cronologica (che non corrisponde al numero d'opera) si è basata sui cambiamenti di
scrittura e sullo studio delle filigrane e dei rastri (le penne a cinque punte con cui venivano
tracciati i pentagrammi che cambiavano a seconda dell'epoca e della località).

Nella prima fase Bach si rifà anzitutto alla tradizione familiare e poi ai modelli della Germania
del Nord e del Centro, come Pachelbel e Buxtehude: la musica in questo caso è divisa in sezioni
piuttosto brevi e contrastanti tra loro per tempo e numero di voci impiegate. Inoltre come
accompagnamento per le arie viene spesso impiegato un ostinato che insiste su una stessa frase
mentre la linea melodica cambia.

Negli anni di Weimar (1708-1717) e poi in quelli di Köthen (1717-1723), Bach conferisce alle
sue Cantate un carattere di omogeneità che prelude ai grandi cicli del periodo di Lipsia. È in
questo momento, inoltre, che il musicista inizia a liberarsi dei modelli più arcaici e ad attingere
dall'opera elementi profani, incorrendo così nella tanto unanimemente temuta "teatralità".
L'influenza del concerto italiano e delle Ouvertures di stile francese è presente anche in questo
settore della produzione bachiana, e si esplicita nell'impiego dell'introduzione strumentale, qui
ancora di proporzioni ristrette rispetto alle vere e proprie sinfonie che apriranno le Cantate di
Lipsia. L'influenza del melodramma italiano, napoletano nella fattispecie, è riscontrabile invece
nella struttura dell'aria, che assume forma di agilità virtuoslstica di stampo prettamente
operistico. Bach inoltre sviluppa il recitativo dandogli un contorno melodico che lo avvicina
all'aria, pur non assumendone del tutto le caratteristiche. Il numero dei cori va riducendosi sino a
collocarsi solo all'inizio e alla fine della Cantata o a scomparire del tutto.

Ancora una volta, quindi, Bach effettua una progressiva azione di rivoluzione all'interno di una
forma musicale, giungendo ad introdurre in un rigidissimo genere religioso elementi puramente
profani.

Nel periodo di Lipsia, al quale appartiene la BWV 180, come direttore della musica eseguita
nelle chiese di Lipsia, Bach doveva provvedere alla preparazione di una cantata alla settimana, e
spesso di due o più: se ne dovrebbe dedurre che in ventisette anni di cantorato la sua produzione
in questo senso sia stata sterminata. Non è così: a tutt'oggi ci sono pervenute 163 cantate con
destinazione liturgica, comprese le otto che formano i tre oratori. La semplice dispersione del
materiale non spiega la questione, che per lungo tempo risultò assai controversa, soprattutto in
seguito alle affermazioni dello Spitta, che voleva l'attività bachiana nel settore continua fino alla
morte. Il Necrolog parla esplicitamente di cinque annate di cantate per tutte le domeniche e i
giorni di festa, di cui, dopo la morte di Bach, due passarono in eredità a Carl Philipp Emanuel, e
tre a Wilhelm Friedemann, che smarrì la quarta e la quinta.

Una ricostruzione è dunque possibile in relazione alle prime tre annate, che prendono l'avvio
dalla prima domenica dopo la Trinità, il 30 maggio 1723. Il problema critico più dibattuto si è
posto sulla data finale della produzione, che, come è facile intuire, esula da una mera questione
di cronologia per investire l'intero percorso musicale bachiano. Solo nel 1957 gli studi compiuti
da Alfred Dürr e Georg von Dadelsen hanno dimostrato che dopo il 1729 Bach sospese la
produzione regolare di cantate, con una «coda» di quattordici brani non collegati, composti
presumibilmente tra il 1729 e il 1735. Le ripercussioni della scoperta sono importantissime, e
dimostrano che a partire da una certa data Bach si disinteressò della produzione religiosa nella
forma tradizionale della cantata per dedicarsi all'attività profana del «Collegium Musicum» e
alla ricerca speculativa delle opere teoriche. Abbiamo così un nuovo anno con funzioni di
spartiacque, il 1730, in cui il musicista, deluso dalle difficoltà oppostegli continuamente dalle
autorità di Lipsia e «saziato» da una forma musicale che aveva utilizzato al massimo delle
risorse, si rivolse verso altre strade, sia con la ricerca materiale di un nuovo impiego, sia con il
ritiro nella «Köthen» intima che prelude alla sua più alta produzione.

Ma neanche nei primi cinque anni di attività Sebastian mostra una condotta continua: contro la
produzione piuttosto regolare dei primi due, con trentasette e cinquantadue cantate, si registra un
calo di attività nel terzo e quarto anno, con ventisette e nove cantate.

La quinta annata comprende le quattordici Cantate composte saltuariamente dopo il 1729. A


questo schema vanno aggiunte cinque composizioni che risultano una parodia di precedenti brani
composti da Bach, quattro cantate sacre al di fuori del calendario liturgico e le cantate composte
per nozze, funerali e simili occasioni.

Principale collaboratore di Bach nella stesura dei testi fu Christian Friedrich Henrici, detto
Picander (nomignolo che significa uomo-gazza e che allude a una spiacevole disavventura del
poeta, finito in carcere per aver sparato ad un contadino invece che a una gazza), ma il suo
intervento non fu continuo.

È soprattutto alla produzione di cantate di questi anni che i fautori del simbolismo bachiano e
della «musica poetica» si sono rifatti per dimostrare l'intima connessione fra linguaggio musicale
e linguaggio poetico esplicato nel simbolo numerico.

In questa ricerca di codificazione, Bach utilizza un preciso schema di cantata, al cui interno sono
presenti il mottetto corale, il recitativo, l'aria, la strofa di corale conclusivo. Commenta Basso:
«Caricata di simboli, ispirata alle sacre letture e alle interpretazioni suggerite dalla teologia, la
Kirchenmusik si presentava dunque come una similitudine del cosmo, come un mondo in sé
compiuto e dotato di tutti gli attributi, degli elementi fondamentali che regolano la natura. E in
questa sua compostezza raggiungeva il massimo rendimento possibile, consentendo al fedele di
sentirsi totalmente calato nella vita contemplativa e al musicista di conquistare, con l'esercizio e
l'applicazione, smisurati spazi».

Potrebbe sorprendere in quest'ambito sacrale ancor più che sacro l'operazione di «parodia»
effettuata in moltissimi casi da Bach. Effettivamente molti studiosi si stupirono quando le
ricerche rivelarono la gran parte delle Cantate dì Lipsia, gli oratori, le Messe brevi, parte della
Messa in si minore, e persino gran parte della Matthäus-Passion erano frutto di rielaborazioni di
opere precedenti, spesso profane. Ma alla luce della nuova immagine di Bach questa prassi va
inquadrata nel gigantesco tentativo perseguito dal musicista di unificare e integrare i più diversi
stili musicali, compresi il sacro e il profano.

La Cantata BWV 180 rappresenta un esempio evidente di come ci sia un'influenza diretta in
Bach tra produzione profana e sacra. Con un procedimento abbastanza inusuale, nell'Aria del
tenore che segue il coro iniziale Bach assegna al flauto traverso un ruolo di assoluto rilievo,
prevedendo anche notevoli difficoltà tecniche. Per rafforzare il registro acuto, inoltre, l'autore
utilizza in questo momento sia il flauto traverso che quello dolce, ottenendo un effetto molto
suggestivo. La Cantata prosegue con un'alternanza di recitativi ed arie che porta ad uno
splendido e delicatissimo Corale finale.

BWV 181 - Leichtgesinnte Flattergeister


https://www.youtube.com/watchv=PJipUQzgrqA
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV181-Ita2.htm

BWV 182 - Himmelskönig, sei willkommen


https://www.youtube.com/watchv=va0gzT2jyqM
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV182-Ita2.htm

BWV 183 - Sie werden euch in den Bann tun


https://www.youtube.com/watchv=2MqkELwZhxc
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV183-Ita5.htm

BWV 184 - Erwuenschtes Freudenlicht


https://www.youtube.com/watchv=soLoeSk5G84
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV184-Ita2.htm

BWV 185 - Barmherziges Herze der ewigen Liebe


https://www.youtube.com/watchv=YP3m_8nzOVc
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV185-Ita2.htm

BWV 186 - Ärgre dich, o Seele, nicht


https://www.youtube.com/watchv=HFty736iJUk
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV186-Ita2.htm

BWV 187 - Es wartet alles auf dich


https://www.youtube.com/watchv=dtlSBBfMfhI
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV187-Ita2.htm

BWV 188 - Ich habe meine Zuversicht


https://www.youtube.com/watchv=FVR61HBz-ng
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV188-Ita2.htm

BWV 189 - Meine Seele rühmt und preist


https://www.youtube.com/watchv=NcpBoidPjbw
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata189-testo.html

Meine Seele rühmt und preist (La mia anima glorifica ed esalta), BWV 189
Cantata in si bemolle maggiore per tenore e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: festa della Visitazione di Maria

Meine Seele rühmt und preist


Aria in si bemolle maggiore per tenore e tutti gli strumenti
Denn seh' ich mich und auch mein Leben an
Recitativo in si bemolle maggiore per tenore e continuo
Gott hat sich hoch gesetzet
Aria in sol minore per tenore e vcontinuo
O was vor grosse Dinge
Recitativo in sol minore per tenore e continuo
Deine Güte, dein Erbarmen
Aria in si bemolle maggiore per tenore e tutti gli strumenti

Organico: tenore, flauto a becco, oboe, 2 violini, viola, continuo


Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1891

Attribuzione incerta, forse composizione di Georg Melchior Hofmann

Guida all'ascolto (nota 1)

La Cantata Meine Seele rühmt und preist («La mia anima glorifica ed esalta») è lavoro giovanile
di Bach, scritto tra il 1707 e il 1710, probabilmente a Weimar. E' una Cantata solista (voce di
tenore) con strumenti (flauto diritto, oboe, violino) e basso continuo. L'autore del testo è ignoto.
La Cantata è articolata in tre arie, intramezzate da due recitativi: la prima aria, caratterizzata
dalla ricca ornamentazione strumentale del flauto diritto, dell'oboe e del violino, ha un carattere
tipicamente decorativo, con fiorite vocalizzazioni del tenore. Il primo recitativo, «Denn seh'ich
mich» («Quando mi guardo»), vede il tenore sorretto dal solo continuo e cosi avviene anche
nella seconda aria, «Gott hat sich hoch gesetzet» («Dio si è assiso in alto»), tipica per il
discendente motivo sincopato del continuo. Ancora voce e solo continuo nel terzo recitativo «O
was vor grosse Dinge treff'ich an alien Orten an» («Oh, quante grandi cose io trovo in ogni
luogo»). La terza ed ultima aria «Deine Güte, deine Erbarmen» («La tua bontà, la tua
misericordia»), è introdotta da una figura di due note dell'oboe e del violino: gli strumenti si
dipanano in delicate fioriture, mentre alla voce resta affidato il motivo fondamentale.

Carlo Marinelli

BWV 190 - Singet dem Herrn ein neues Lied


https://www.youtube.com/watchv=n_LagiRcpew
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV190-Ita2.htm

BWV 190a - Singet dem Herrn ein neues Lied (perduta)

BWV 191 - Gloria in excelsis Deo (Bach)


https://www.youtube.com/watchv=Zkx1vgl7RbU
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV191-Ita2.htm

BWV 192 - Nun danket alle Gott (incompleta)


https://www.youtube.com/watchv=FSPhecM65M4
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV192-Ita2.htm

BWV 193 - Ihr Tore zu Zion (incompleta)


https://www.youtube.com/watchv=PyqzO3gT_n8
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV193-Ita2.htm

BWV 193a - Ihr Häuser des Himmels, ihr scheinenden Lichter (perduta)

BWV 194 - Höchsterwunschtes Freudenfest


https://www.youtube.com/watchv=Xw5Jy0zt1Wwù
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV194-Ita2.htm

BWV 195 - Dem Gerechten muss das Licht


https://www.youtube.com/watchv=_ijChwHV3XA
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata195-testo.html

Dem Gerechten muss das Licht (Agli occhi dei giusti la luce), BWV 195
Cantata in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: nuziale

Dem Gerechten muss das Licht


Coro in re maggiore/la maggiore/re maggiore per soli, coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti
traversi, 2 oboi, archi e continuo
Dem Freuden-Licht gerechter Frommen
Recitativo in si minore/sol maggiore per basso e continuo
Rühmet Gottes Güt' und Treu'
Aria in sol maggiore per basso, 2 oboi d'amore, archi e continuo
Wohlan, so knüpfet denn ein Band
Recitativo in re minore/re maggiore per soprano, 2 flauti traverse, 2 oboi d'amore e continuo
Wir kommen, deine Heiligkeit
Coro in re maggiore per soli, coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e continuo
Nun danket all' und bringet Ehr'
Corale in sol maggiore per coro, 2 corni, timpani, 2 flauti traversi e continuo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 trombe, timpani, 2 corni, 2 flauti
traversi, 2 oboi, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1727 (revisioni 1742 e 1748 - 1749)
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 11 settembre 1741
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1864
Guida all'ascolto (nota 1)

La partitura e l'autografo della Cantata Dem Gerechnet muss das Licht BWV 195 contengono,
invece, un chiaro indizio del fatto che Bach utilizzò questa composizione in almeno due
circostanze: la prima, verosimilmente, in una data vicina al 1727, la seconda intorno al 1748,
ovvero in un anno molto vicino alla morte del compositore. L'indizio è dato dal testo, anonimo,
che prevede otto numeri musicali, mentre la musica a noi giunta ne contiene soltanto sei. La
diminuzione riguarda esclusivamente la seconda parte, Post Copulatìonem, che in origine
prevedeva la successione di recitativo, aria e coro, e che nella versione a noi giunta è composta
eselusivamente da un corale, oltretutto brevissimo. Viene da pensare che la cerimonia per cui fu
preparato quest'ultimo adattamento fosse, in realtà, una via di mezzo fra halbe e gantze
Brautmesse: una liturgia di ampie dimensioni, dunque, ma nella quale la musica era confinata
essenzialmente nella parte che precede la consacrazione del matrimonio, lasciando a quella
successiva nient'altro che l'appendice costituita da un corale di ringraziamento (n. 6). Poiché non
era insolito che i testi scelti per le Cantate nuziali contenessero impliciti riferimenti agli sposi, al
loro rango e al loro ufficio, il fatto che in questa ricorra di continuo la parola Gerechten, che
indica "il giusto", ha fatto pensare che, in origine, la musica doveva essere destinata al
matrimonio di un uomo di legge: probabilmente a quello tra Johanne Eleonore Schütz, il cui
padre era stato pastore alla Thomaskirche di Lipsia, cioè nella chiesa dove Bach prestava
servizio, e Heinrich Pepping, giurista e borgomastro della vicina Naumburg. Se così fosse, si può
ipotizzare che la prima versione della Cantata sia stata eseguita nel 1741, mentre le circostanze
che videro nascere il successivo adattamento non sono note e possono essere ricondotte agli
ultimi anni della vita di Bach solo a partire da indizi che riguardano la genesi degli autografi.

Malgrado la riduzione del materiale musicale, la Cantata mantiene un aspetto grandioso, essendo
costituita da due sezioni di coro molto elaborate, nelle quali intervengono anche le voci soliste
(n. 1 e n. 5), all'interno delle quali si colloca un'aria (n. 3) anticipata e seguita da due recitativi
estremamente singolari. Il primo (n. 2) è un recitativo "secco", dizione che di solito indica
l'accompagnamento del semplice basso continuo, ma che in questo caso si applica a una condotta
musicale tutt'altro che "semplice", dato che un irregolare tessuto ritmico di terzine sostiene un
declamato vocale ampio e ben scolpito. Il secondo (n. 4) prevede, invece, l'insolito intervento dei
flauti, che si inseguono su rapidissimi motivi ascendenti, mentre il sostegno armonico è
realizzato da oboi e basso continuo. L'affinità fra i due cori, più sonora che strutturale, garantisce
ad ogni modo l'unità stilistica della Cantata, così come la realizzazione del corale rimane
coerente con l'impianto complessivo grazie a un'orchestrazione piuttosto insolita per una pagina
di questo tipo e che comprende, anche in questo caso, l'uso di trombe e timpani.

Stefano Catucci

BWV 196 - Der Herr denket an uns


https://www.youtube.com/watchv=YNjAHgMMsFs
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV196-Ita5.htm

BWV 197 - Gott ist unsre Zuversicht


https://www.youtube.com/watchv=dsiLFczdkwA
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata197-testo.html

Gott ist uns're Zuversicht (Dio è la nostra certezza), BWV 197


Cantata in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: nuziale

Gott ist uns're Zuversicht


Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 oboi, archi e continuo
Gott ist und bleibt der beste Sorger
Recitativo in la maggiore per basso e continuo
Schläfert aller Sorgen Kummer in den Schlummer
Aria in la maggiore per contralto, oboe d'amore, archi e continuo
Drum folget Gott und seinem Triebe
Recitativo in fa diesis minore/la maggiore per basso, archi e continuo
Du süsse Lieb', schenk' uns deine Gunst
Corale in la maggiore per coro (strumentazione non specificata)
O du angenehmes Paar
Aria in sol maggiore per basso, oboe, fagotto, archi e continuo
Tratta dall'Aria n. 4 della Cantata BWV 197a
So wie es Gott mit dir getreu und vaterlich von Kindes beinen angemeit
Recitativo in do maggiore per soprano e continuo
Vergnügen und Lust, Gedeihen und Heil
Aria in sol maggiore per soprano, violino solo, 2 oboi d'amore e continuo
Tratta dall'Aria n. 5 della Cantata BWV 197a
Und dieser forhe Lebenslauf wind bis in späte Jahre währen
Recitativo in re maggiore/fa diesis minore per basso, 2 oboi, archi e continuo
So wandelt froh auf Gottes Wegen
Corale in si minore per coro (strumentazione non specificata)

Organico: soprano, contralto, basso, coro misto, 3 trombe, timpani, 2 oboi, 2 oboi d'amore,
fagotto, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1737 - 1738
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1864

Adattamento della Cantata BWV 197a

Guida all'ascolto (nota 1)

La Cantata Gott ist unsere Zuversicht BWV 197 si apre con una introduzione strumentale di
andamento solenne, con trombe e timpani che scandiscono il disegno degli archi in attesa
dell'intervento del coro. L'impressione è che Bach abbia concepito l'intera pagina basandosi
precisamente sulla possibilità di sfruttarne sino in fondo l'orchestrazione e che il taglio delle
figure tematiche, come pure il dialogo fra coro, archi e ottoni, segua una logica attenta prima di
tutto al timbro, alla resa sonora. Lo conferma anche la concezione della fuga che Bach costruisce
sui primi due versi della strofa, e che procede verso una progressiva chiarificazione e
semplificazione dei suoi elementi, andando da una polifonia molto elaborata fin quasi
all'omofonia tipica del corale, come se le diverse voci del contrappunto si avvicinassero via via
sino a coincidere fra loro. Il periodo di composizione di questa Cantata è stato collocato fra il
1737 e il 1738, anche se non è stato possibile identificare né la specifica cerimonia nella quale fu
eseguita, né l'autore del testo. L'intera Cantata, comunque, recupera brani già scritti per una
Cantata di Natale, Ehre sei Gott in der Höhe ("Lode a Dio nell'alto dei cieli") BWV 197a, dalla
quale provengono per intero le due arie della seconda parte: quella del basso (n. 6) e quella del
soprano (n. 8). Tutti i recitativi che introducono le arie hanno uno stile "arioso", cioè vocalmente
elaborato e sostenuto da una parte strumentale che non si limita alla semplice esecuzione del
basso continuo, ma è arricchita anche da passaggi musicali dotati di relativa autonomia.
Entrambe le sezioni, infine, si concludono con un corale: il primo (n. 5) di augurio agli sposi, il
secondo (n. 10) di invito alla preghiera.

Stefano Catucci

BWV 197a - Ehre sei Gott in der Höhe (incompleta)


https://www.youtube.com/watchv=Icfb4vMeedU

BWV 198 - Lass Fürstin, lass noch einen Strahl (secolare)


https://www.youtube.com/watchv=HOEbPrjuKXA
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata198-testo.html

Lass Fürstin, lass noch einen Strahl (O Altissimo, lascia che il raggio della speranza), BWV 198
Cantata in si minore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Johann Christoph Gottsched
Occasione: cerimonia funebre per Christiane Eberhardine di Polonia

Lass, Fürstin, lass noch einen Strahl


Coro in si minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, archi, 2 viole da gamba, 2 liuti e
continuo
Riutilizzato nel n. 1 della Passione secondo Marco, BWV 247, nella Trauermusik n. 1, BWV
244a e nel Kyrie della Messa, BWV 232
Dein Sachsen, dein bestürztes Meissen erstarb
Recitativo in fa diesis minore per soprano, archi e continuo
Verstummt, ihr holden Saiten
Aria in si minore per soprano, archi e continuo
Riutilizzata nel n. 49 della Passione secondo Marco, BWV 247
Der Glocken bebendes Getön
Recitativo in re maggiore/fa diesis minore per contralto 2 flauti traversi, 2 oboi, archi, 2 viole
da gamba, 2 liuti e continuo
Wie starb die Heldin so vergnügt
Aria in re maggiore per contralto, 2 viole da gamba e continuo
Riutilizzato nel n. 27 della Passione secondo Marco, BWV 247
Ihr Leben liess die Kunst zu Sterben in unverrückter Übung sehn
Recitativo in sol maggiore/fa diesis minore per tenore, 2 oboi d'amore e continuo
An dir, du Fürbild Vorbild grosser Frauen
Coro in si minore per coro, 2 flauti traversi, oboe d'amore, 2 violini, 2 viole da gamba e
continuo
Der Ewigkeit saphirnes Haus
Aria in mi minore per tenore, flauto traverso, oboe d'amore, 2 violini, 2 viole da gamba e
continuo
Riutilizzato nel n. 59 della Passione secondo Marco, BWV 247
a. Was Wunder ist's Du bist es Wert
Recitativo in sol maggiore/si minore per basso e continuo
b. So weit der volle Weichselstrand
Arioso in si minore per basso e continuo
Land, Dein Torgau gaugeht im TrauerKleide
Recitativo in si minore per basso, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore e continuo
Doch, Königin! du stirbest nicht
Coro in si minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, archi, 2 viole da gamba, 2 liuti e
continuo
Riutilizzato nel n. 132 della Passione secondo Marco, BWV 147 et nel n. 3 della Trauermusik,
BWV 244a

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 oboi d'amore,
2 violini, viola, 2 viole da gamba, 2 liuti, continuo
Composizione: Lipsia, 1727
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1865

Guida all'ascolto (nota 1)

Bach compose una quantità enorme di musica e spesso di rilevante valore estetico durante i
ventisette anni di permanenza a Lipsia, dal 1° giugno 1723 fino alla morte, in veste di Cantor e
Director musices nella scuola civica di San Tommaso (la celebre Thomasschule). Questa attività
gli comportò diverse e gravose responsabilità, a cominciare da quella di impartire l'insegnamento
del canto e degli strumenti agli alunni della scuola, di dirigere quindi le esecuzioni in San
Tommaso e in altre chiese di Lipsia e di comporre una cantata sacra per ciascuna domenica, fatta
eccezione per le settimane di quaresima. In più, nei primi anni, cinque ore settimanali
d'insegnamento del latino e del catechismo e un numero di pezzi musicali da comporre per
celebrare nozze, funerali, elezioni municipali e via dicendo, occupazioni per lui di routine
artigianale, ma che sommate insieme venivano ad aggravare l'obbligo già ponderoso della
sorveglianza dei ragazzi dall'alba alle otto di sera, dalla preparazione dei cicli natalizi e pasquali
e della organizzazione delle annuali feste universitarie, delle quali Bach era tenuto a fornire e a
concertare le musiche. Insomma, una mole di lavoro piuttosto pesante, compensato dallo
stipendio annuo di settecento talleri (una cifra ritenuta equa e dignitosa per quei tempi) e da altri
guadagni saltuari, questi però, secondo una eufemistica espressione bachiana, troppo «limitati
dall'aria salubre di Lipsia», cioè dalla scarsità dei funerali.
***

Fin dalla seconda metà del Seicento il termine di «cantata» servì a definire un brano cantato
diviso in più parti e con accompagnamento strumentale. Ma, mentre nell'opera e nell'oratorio, gli
altri due importanti generi della composizione vocale del tempo, predominavano gli elementi
drammatici ed epici, la cantata assunse un aspetto meno aulico e fastoso e seguì una linea
espressiva più spiccatamente lirica. Se, come sembra ormai accertato, il madrigale e la
canzonetta diedero origine alla cantata italiana profana, specialmente nelle due forme di cantata
solista e duetto da camera, bisogna ricordare che alla base della cantata da chiesa tedesca c'erano
i mottetti concertanti e le elaborazioni concertanti di canti chiesastici. I primi prendevano
comunemente lo spunto da un versetto del Vangelo o delle Epistole, e talvolta anche da un
Salmo, cioè da un testo in prosa; le altre invece si valevano di un intero canto chiesastico. In
origine però le cantate non erano molto articolate e non avevano quella precisa rifinitura formale
che assunsero in seguito con il contributo e l'esperienza bachiana. In esse si alternavano le parole
della Bibbia, che costituivano il testo in prosa, agli squarci corali in cui venivano rielaborate
intonazioni liturgiche e melodie di canti chiesastici. Fu il pastore protestante Erdmann
Neumeister ad ampliare nel 1700 il linguaggio della cantata, introducendovi le forme dell'opera,
in particolare il recitativo e le arie con il da capo. Lo stesso Neumeister nella prefazione alle sue
«Geistliche Cantaten statt einer Kirchenmusik» ammise esplicitamente di aver scritto le sue
cantate con il pensiero rivolto alla predica domenicale e che la loro forma non era altro che un
brano operistico, cioè una successione di recitativi e arie.

Nel periodo in cui svolse a Weimar le funzioni di Konzertmeister (1714-1717) Bach adottò
questa nuova forma di cantata e accettò la collaborazione del librettista Salomo Franck, che,
oltre ad essere il segretario del concistoro di quella città, era un fedele seguace delle innovazioni
apportate da Neumeister. Inizialmente la cantata bachiana, eseguita prima e a volte anche dopo la
predica nella messa, si articolava nel seguente modo: il brano di apertura era una fuga per coro o
un tempo concertante con coro, di solito su un passo della Bibbia; seguivano quindi i recitativi e
le arie, inframmezzati a volte da ariosi o da duetti, per terminare con la strofa di un canto
chiesastico costruita in modo semplice e lineare. Successivamente quando Bach si stabilì a
Lipsia dal 1723 in poi e ricoprì l'ufficio di «Cantor e director musices» nella celebre
Thomasschule, sviluppò e ampliò notevolmente la forma della cantata, introducendovi dialoghi
fra due personaggi allegorici (la cosiddetta cantata corale), arie, ariosi, melodie caratteristiche di
danza che servivano a rendere la composizione più varia e meno pesante e arricchendo
notevolmente la strumentazione con l'estensione dei ritornelli delle arie: un procedimento in cui
Bach riversa in modo prepotente la sua fantasia inventiva, superando di gran lunga tutti i
contemporanei.

A Lipsia Bach compose cinque Annate complete di cantate sacre, ma a noi ne sono rimaste
appena duecento che si aggiungono alla trentina di cantate profane, che non differiscono molto
strumentalmente dalle prime, anche se il loro scopo era diverso ed era rivolto a festeggiare
matrimoni e occasioni liete e tristi di principi e personaggi illustri della società tedesca del
tempo. Una produzione estesa e di notevole impegno in cui, pur se a volte diverse composizioni
erano dettate da motivi contingenti e occasionali e dalla necessità di non perdere lo stipendio
annuo di settecento talleri (esclusi gli incerti saltuari), Bach rivela la sua originalità e la sua
genialità, insieme a quella profondità e sincerità interiore che gli derivava dalla sua tenace e
incondizionata fede nel pietismo.

La Cantata Trauermusik (Musica funebre) BWV 198, fu composta da Bach in memoria della
principessa Christiane Eberhardine di Sassonia, morta nel 1727 dopo aver rinunciato al trono
cattolico di Polonia per restare fedele al protestantesimo. Si apre con un coro solenne, di
intonazione processionale e improntato a nobile tristezza. Segue un recitativo e poi un'aria del
soprano dalle ampie volute e di serena spiritualità, quindi la musica sfocia in un corale, in un
recitativo del contralto, di nuovo in un corale e in un'aria di intensa espressività e di linea
ascensionale del contralto. Al recitativo del tenore seguono un vivace coro di spigliato gioco
contrappuntistico e un corale che può essere anche a cappella, secondo le indicazioni della
partitura. Nella seconda parte il discorso musicale si svolge dopo l'orazione funebre (Nach
gehaltener Trauer-Rede) ed esprime i sentimenti di cordoglio per la persona scomparsa. Il tenore
intona un'aria dolce e velatamente malinconica, cui si aggiunge un corale e poi un recitativo e un
arioso in tempo 3/4 del basso. La Cantata si conclude con un coro e un corale di possente e
grandioso respiro, nella pienezza della fede nella divinità di Cristo, secondo i principii della
religione protestante.

BWV 199 - Mein Herze schwimmt im Blut


https://www.youtube.com/watchv=LXEZ25XIcGE
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV199-Ita2.htm
BWV 200 - Bekennen will ich seinen Namen
https://www.youtube.com/watchv=eN3ka3A5jPI
https://www.bach-cantatas.com/Texts/BWV200-Ita2.htm

Cantate profane
BWV 201 - Geschwinde, ihr wirbelnden Winde

https://www.youtube.com/watchv=ORxbBLry6dE
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata201-testo.html

Der Streit zwischen Phoebus und Pan, BWV 201


Dramma in musica in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: sconosciuta

Ruoli:

Momus (soprano)
Mercurius (contralto)
Tmolus (tenore)
Midas (tenore)
Phoebus (basso)
Pan (basso)

Geschwinde, ihr wirbelnden Winde


Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e continuo
Und du bist doch so unverschämt und frei
Recitativo in si minore/sol maggiore per soprano, 2 bassi e continuo
Patron, das macht der Wind
Aria in sol maggiore per soprano e continuo
Was braucht ihr euch zu zanken
Recitativo in mi minore/re maggiore per contralto, 2 bassi e continuo
Mit Verlangen druck' ich deine zarten Wangen
Aria in si minore per basso (Phoebus), flauto traverso, oboe d'amore, archi e continuo
Pan, rücke deine Kehle nun in wohlgestimme Fallen
Recitativo in re maggiore/la maggiore per soprano, basso (Pan) e continuo
Zu Tanze, zu Sprunge, so wackelt das Herz
Aria in la maggiore per basso (Pan), 2 violini e continuo
Riutilizzata nell'Aria n. 20 della Cantata BWV 212
Nunmehro Richter her!
Recitativo in re maggiore/fa diesis minore per contralto, tenore (Tmolus) e continuo
Phoebus, deine Melodei hat die Anmut selbst
Aria in fa diesis minore per tenore (Tmolus), oboe d'amore e continuo
Komm, Mydas, sage du nun an
Recitativo in la maggiore/sol maggiore per tenore (Midas), basso (Pan) e continuo
Pan ist Meister, lasst ihn gehn
Aria in re maggiore per tenore (Midas), 2 violini e continuo
Wie, Mydas, bis du toll
Recitativo in si minore/mi minore per soprano, contralto, 2 tenori, 2 bassi e continuo
Aufgeblas'ne Hitze, aber wenig Grütze
Aria in mi minore per contralto, 2 flauti traversi e continuo
Du guter Mydas, geh' nun hin
Recitativo in sol maggiore/re maggiore per soprano, archi e continuo
Labt das Herz, ihr holden Saiten
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e continuo

Organico: soprano, contralto, 2 tenori, 2 bassi, coro misto, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2
oboi, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1729 circa
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 29 settembre 1732
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1862

Guida all'ascolto (nota 1)

Lob des hohen Verstandes si intitola una poesia di ispirazione popolare che Achim von Arnim
elaborò nei primi anni dell'Ottocento e Gustav Mahler utilizzò per uno dei suoi Lieder della
raccolta Il como magico del fanciullo (Des Knaben Wunderhorn). È una breve fiaba che narra di
una sfida canora tra l'usignolo e il cuculo: gara apparentemente impari eppure risolta a favore del
cuculo dal giudizio dell'asino. In italiano il titolo viene di solito tradotto "Elogio dell'alto
intelletto", ma più corretto sarebbe rendere il termine tedesco "Verstand" con "intendimento",
capacità di comprensione. Alla sentenza dell'asino non c'è appello all'infuori di quello che viene
dalla musica stessa, la quale offre all'usignolo almeno un burlesco risarcimento mettendo in
risonanza, proprio in chiusura, il raglio sguaiato dell'asino con il verso del cuculo: fra simili ci si
capisce e ci si aiuta. Qualcosa di paragonabile avviene nella più dotta Contesa tra Febo e Pan che
Johann Sebastian Bach scrisse nel 1729 basandosi su un testo di Picander (al secolo Christian
Friedrich Henrici) che si riallacciava a un mito greco nella versione fornitane da Ovidio nel
Libro XI delle Metamorfosi: Febo, cioè il dio Apollo, ingaggia una sfida musicale con Pan e il re
di Frigia, Mida, assegna la vittoria a quest'ultimo, meritando così che le sue orecchie si
trasformino proprio in quelle di un asino.
Il tema è dunque ricorrente e percorre trasversalmente epoche e registri culturali diversi. Al suo
fondo c'è una misura di sarcasmo che favorisce una veste musicale allegra e scherzosa, ma
d'altra parte sarebbe difficile non riconoscere come attraverso la fiaba o il mito si lasci
intravedere un problema serio: il rapporto dell'arte con il giudizio del pubblico e, più ancora, con
quello di chi si erge a intenditore senza averne competenza alcuna. In età moderna un simile
problema si è intrecciato con quello della critica, cosi che non appare del tutto incongruente il
fatto che una composizione di Bach tutto sommato disimpegnata, divertita, la cui costruzione
musicale corrisponde punto per punto alla strategia di un gioco delle parti, sia stata interpretata
come una risposta del compositore ai suoi critici, quando non addirittura come un manifesto
cifrato di estetica musicale. Tutto ciò, è vero, è avvenuto nel corso dell'Ottocento, quando il
ruolo della critica si era ormai istituzionalizzato raggiungendo subito, quasi fosse la sua
vocazione naturale, forme acute di asprezza nel rapporto con gli artisti in generale e con i
musicisti in particolare. Si ricorderà come Richard Wagner, nei Maestri cantori di Norimberga,
non avesse più avuto bisogno di ricorrere al mito per fustigare in teatro i giudizi del suo più
deciso avversario, il critico Eduard Hanslick, facilmente riconoscibile dai contemporanei nei
panni di Beckmesser, il severo custode delle regole dell'arte messo alla berlina dal "ciabattino"
Hans Sachs. E non al mito, di nuovo, ma al topos popolare fece ricorso Johannes Brahms nella
sua brusca replica a un altro critico, il quale dopo l'esordio della sua Prima Sinfonia gli disse di
avere riconosciuto, nell'ultimo movimento, la citazione dell'Inno alla Gioia di Beethoven: «anche
un asino se ne accorgerebbe». Trasformati in bestie, i critici musicali attingono alle virtù dei
ciuchi l'incapacità di intendere ciò che ascoltano restituendo loro quel tanto - o poco - di cultura
che basta a spegnerne l'animalesca vitalità. Detto altrimenti: il critico musicale sembra essere
quel tipo umano - stando ai compositori - nel quale l'asino vivo e il dottore morto coincidono. La
prova Ce la fornisce Camille Saint-Saèns nel Carnevale degli animali, in quel movimento -
l'ottavo - intitolato Personnages à longues oreilles nel quale per i poveri di spirito non c'è
scampo, essendo il campo interamente occupato dalla supponente presunzione dei falsi dottori,
cioè dei veri asini.

Benché la critica stesse muovendo allora i suoi primi passi, le polemiche non mancavano
neppure all'epoca di Bach, anche se per lo più si inserivano in uno spazio meno formalizzato
rispetto a quello del secolo successivo. I primi critici furono musicisti, compositori, nelle parole
dei quali si poteva sospettare agissero anche ragioni di rivalità professionale, ma nell'agone
intervenivano spesso anche autorità accademiche o cittadine, i cui argomenti funzionavano come
un tentativo più o meno esplicito di censura. Durante l'intero arco della sua vita Bach entrò
spesso in conflitto con questo tipo di autorità, e verso la fine della sua vita anche con le parole
critiche di chi, ormai, preferiva opporre al suo ostinato culto delle antiche forme musicali uno
stile più semplice e "moderno", di derivazione francese oppure italiana, più attento comunque a
una matrice "bassa" e popolare. La Contesa tra Febo e Pan, la cui vicenda si estende lungo il
ventennio che passa dalla data di composizione (1729) a quella dell'ultima esecuzione vivente
l'autore (1749), è una presa di posizione che tende da un lato a saltare la mediazione
dell'intenditore - o presunto tale -, dall'altro a rinviare al mittente le pressioni dell'autorità, per
rimettersi in modo diretto al giudizio del pubblico. Sia pure in stato germinale, la questione della
critica si affaccia alla ribalta e riceve una risposta musicale.

Su quale dovesse risultare il giusto esito della contesa, Bach lascia adito a dubbi. L'Aria con la
quale Febo affronta la sua prova, «Mit verlangen» (n. 5), è un raffinatissimo largo a cui il
sostegno del flauto, dell'oboe, degli archi con sordina e del basso continuo aggiunge un colore
sonoro suggestivo e ben curato, ulteriormente arricchito da fioriture strumentali cui corrisponde
un virtuosismo vocale morbido ed espressivo. Di contro l'Aria di Pan «Zu Tanze, zu Sprunge»
(n. 7) ha una strumentazione molto più povera, gli archi le fanno eco all'unisono, il suo ritmo
danzante è vagamente goffo e conferisce alla pagina un gusto popolaresco: Bach riprese
quest'aria nel 1742, in occasione di una festa all'aperto, inserendola in una composizione da lui
definita Cantate burlesque e comunemente chiamata, più tardi, Bauemkantate, cioè Cantata dei
contadini (BWV 212, l'Aria inizia con le parole «Dein Wachstum sei feste»). La stessa linea
seguono gli interventi dei due giudici: elegante è l'Aria di Tmolo («Phoebus, deine Melodei», n.
9), il quale parteggia per Apollo e la cui voce è contrappuntata dagli interventi dell'oboe; più
semplice e piatta quella di Mida («Pan ist Meister», n. 11), accompagnata dagli archi in unisono
proprio come l'Aria del suo beniamino. Chiunque non abbia orecchie d'asino coglie la differenza
e assegna in modo corretto la vittoria. Orecchie d'asino crescono, invece, all'autorità: la figura di
Mida è più vicina a quest'ultima che non a quella del critico, la sua incapacità di giudizio non
conterebbe nulla se egli non avesse anche il potere dì decidere.

Al Café Zimmermann di Lipsia, dove sembra che Bach l'abbia fatta eseguire dal Collegium
Musicum da lui diretto nel 1729, ci si sarà senz'altro divertiti nel seguire questo "Dramma con
musica", come recita la definizione del libretto. Vent'anni dopo la situazione era molto diversa, e
quando La contesa tra Febo e Pan venne ripresentata, il pubblico si trovò di fronte a un brano
molto più legato a circostanze d'attualità che si potevano facilmente riconoscere e permettevano
una lettura più tagliente della Cantata. Tanto più che Bach era intervenuto sul testo cambiando i
due versi conclusivi dell'ultimo recitativo (n. 14) per inserirvi alcuni riferimenti sarcastici: a
intonare quel recitativo è Momo, divinità della beffa e dell'ironia.

Nel 1749 Bach aveva 64 anni, era in condizioni di salute precarie - oggi si ipotizza soffrisse di
diabete senile - ed era afflitto in particolare da una malattia agli occhi che lo avrebbe spinto a
sottoporsi a due azzardate operazioni le conseguenze delle quali lo portarono alla morte,
sopravvenuta il 28 luglio del 1750. Mentre però era ancora in vita e in piena attività, il primo
ministro di Sassonia, conte Heinrich von Brühl, raccomandò al Consiglio Municipale di Lipsia
di scegliere in anticipo il successore di Bach indicando il nome del compositore della sua
cappella privata, Johann Gottlob Harrer. Mercoledì 8 giugno 1749 si svolse un'audizione il cui
esito era già programmato, il conte Brühl aveva scritto di essere «certo che la musica di prova
eseguita incontrerà la vostra approvazione», ma che era stata organizzata in maniera del tutto
anomala. Nonostante il brano proposto fosse una Cantata sacra, infatti, l'esecuzione ebbe luogo
fuori dalla chiesa e in mezzo alla settimana, dato che Bach era ancora responsabile della
programmazione musicale ordinaria. Si scelse una sede profana, la sala da concerto dell'albergo
«Ai tre Cigni», spesso utilizzata per manifestazioni musicali di richiamo, commettendo così una
sorta di duplice sgarbo nei confronti dell'anziano Cantor, non solo si scommetteva sulla sua
morte imminente e lo si tagliava fuori da ogni possibile decisione sul successore, ma si veniva
meno alla sua idea strettamente funzionale della musica liturgica eseguendola in un luogo non
idoneo, come se si trattasse di musica da intrattenimento. Harrer tornò dal conte Brühl con una
lettera del Consiglio di Lipsia che garantiva lo si sarebbe tenuto in serissima considerazione
«qualora il Sig. Capellmeister e Cantor signor Sebast. Bach dovesse morire». La sua nomina si
sarebbe formalizzata effettivamente dieci giorni dopo il decesso dell'anziano maestro.

Un altro episodio che risale alle stesse settimane congiurò a che Bach decidesse di far eseguire,
nell'autunno del 1749, La Contesa tra Febo e Pan probabilmente nella stessa sala dove si era
mancato di rispetto a lui e alla musica con l'audizione di Harrer, quella dei «Tre Cigni». Nel
maggio del 1749 era apparso infatti un libro violentemente critico nei confronti dei musicisti,
della musica e del suo ruolo nell'educazione dei giovani firmato dal Rettore del liceo di Freiberg,
Johann Gottlob Biedermann, dove gli studenti avevano messo in scena un Singspiel per
celebrare il 100° anniversario della pace di Vestfalia. Il libro, intitolato De vita musica, era
concepito come una satira basata su una scena della Mostellaria di Plauto nella quale
l'espressione musice agere vitam viene considerata l'equivalente di un'esistenza futile, se non
addirittura - suggerisce Biedermann - moralmente corrotta. Memore forse delle difficoltà che
avevano segnato il suo rapporto con il Rettorato della Thomasschule, o più semplicemente
indignato, come fu tutto il mondo musicale, dalle parole di Biedermann, Bach chiese a un
membro dell'Accademia delle Scienze Musicali, Christoph Gottlob Schröter, di preparare una
recensione che poi apparve in una versione riveduta dallo stesso Bach. Schröter non mancò di
lagnarsi duramente degli interventi del Cantor, pretendendo che il compositore uscisse allo
scoperto e dichiarasse pubblicamente di essere lui stesso l'autore della recensione. Forse Bach
non avrebbe voluto arrivare a tanto: una sua lettera di scuse avrebbe dovuto chiudere la
questione. Chi doveva farsi latore di questa richiesta rispose che non era stato possibile
inoltrarla, giacché nel frattempo Bach era morto.

Sia l'audizione di Harrer, sia la volontà di replicare a Biedermann, mostrano come Bach fosse
stato sollecitato, nel 1749, a intervenire in prima persona sulle sorti della musica e come l'idea di
far rieseguire La Contesa di Febo e Pan possa aver preso corpo in un simile contesto. Il legame
fra quegli episodi e la ripresa della Cantata, d'altronde, è confermato dalle modifiche apportate
dal compositore ai versi finali dell'ultimo recitativo. Obliquamente, allusivamente, eppure in
modo esplicito come può esserlo la morale di una fiaba di Esopo, quelle modifiche rendevano
riconoscibili i suoi bersagli polemici, ti testo originale di Picander - normalmente utilizzato nelle
esecuzioni moderne - fa pronunciare a Momo queste parole: «Ora, Febo, prendi in mano la lira; /
Niente è più gradevole dei tuoi canti», dei tuoi Lieder. La versione modificata da Bach recita
invece: «Ora, Febo, raddoppia musica e canti / anche se Birolius e Hortens ti inveiscono contro».
I nomi di Hortens e Birolius rinviano a due personaggi del mondo antico familiari, all'epoca, a
un pubblico colto che avesse studiato il latino, ma celebri essenzialmente per la loro cattiva
fama. Hortens è Quintus Hortensius Hortalus, l'oratore che Cicerone sconfisse nel processo
contro Verre e il cui nome era proverbialmente legato a uno stile ridondante, pomposo e privo di
sostanza.

Il primo biografo di Bacii, Spitta, ipotizzò che Bach volesse fare allusione al Rettore della
Thomasschule con il quale era entrato in rotta di collisione, Henrici, curatore fra l'altro di
un'edizione completa delle opere di Cicerone. Birolius è invece l'anagramma di Orbilius, ovvero
di Lucius Orbilius Pupillus, maestro di Orazio che aveva fama di picchiare i suoi allievi. Il primo
dei due nomi convoca il senso stesso del discorso musicale, mettendo alla berlina l'uso di una
vuota magniloquenza. Il secondo tocca il problema dell'autorità e del potere. Tanto più che la
pronuncia tedesca rende il suono della parola anagrammata, "Birolius", simile a "Brühl", ovvero
al nome del primo ministro che aveva imposto la candidatura di Harrer, come ha osservato di
recente lo storico Christian Wolff. Sulla partitura e sul libretto le varianti sono state annotate dai
figli minori di Bach, a suggerire la possibilità che «l'intera esibizione [...] sia stata
deliberatamente pianificata fin nei minimi dettagli da un Bach profondamente ferito insieme alla
famiglia, agli allievi e agli amici», sono ancora parole di Wolff. Non c'è bisogno però delle
singole allusioni per riconoscere come nella Cantata BWV 201, pur sempre una Festmusik, il cui
scopo principale era quello di dilettare e divertire, venga comunque ribadita l'affermazione del
valore della musica colta, dunque legata alla tradizione erudita, rispetto alla musica più semplice
e popolare, "alla moda", e come in parallelo venga sottolineata la differenza tra un ascolto
attento e uno superficiale, un ascolto competente e uno viziato dalla soggettività del gusto o dalle
prerogative del potere.

La Contesa tra Febo e Pan («Der Streit zwischen Phöbus und Pan») è la più ampia delle Cantate
profane di Bach e prevede l'impiego di un'orchestra consistente, con tre trombe, due flauti
traversi, due oboi, timpani, archi e basso continuo. La formazione strumentale si presenta al
completo nei due cori di apertura e chiusura. Il primo, «Geschwinde, ihr wirbelnden Winde», si
apre con un motivo serpeggiante degli archi a cui fanno eco le note delle trombe, rinforzate dai
timpani, e poi il flauto, che ne riespone il disegno. La scrittura è imitativa, cioè basata sulla
configurazione del contrappunto più diretta e leggibile, e l'articolazione è in tre parti: la seconda
è poco più di una breve parentesi che inizia con le parole «Dass das Hin- und Wiederschallen» e
porta a una ripresa "da capo" della parte iniziale - una soluzione, questa, adottata in tutto il resto
della Cantata. Il testo evoca i «venti turbinanti» invitandoli a placarsi e a lasciarsi rinchiudere in
una grotta affinchè possa aver luogo la sfida musicale. Il coro finale ha lo stesso tono aperto e
festoso, solo più squadrato e trionfale, che loda le virtù della buona musica - non importa che si
venga «derisi» (höhnen) per questo -, giacché la sua «arte» e la sua «grazia» addolciscono la vita
e sono gradite anche agli dèi.

L'azione prende avvio con il recitativo nel quale Febo e Pan si lanciano una sfida (n. 2) in realtà
modificata rispetto sia al mito d'origine, sia alla versione di Ovidio: una gara condotta con gli
strumenti musicali caratteristici delle due divinità, la lira di Apollo contro il flauto di Pan, viene
inevitabilmente trasformata in un agone vocale. Durante tutta la composizione le Arie si
alternano con i recitativi secchi, cioè accompagnati solo dal basso continuo. L'unico recitativo
accompagnato dagli archi è l'ultimo, quello di Momo (n. 14). I personaggi sono sei: due voci
basso, Febo e Pan; due tenori, il giudice Tmolo, favorevole a Febo, e Mida, favorevole a Pan; un
soprano, Momo, personificazione divina del sarcasmo; infine un contralto, Mercurio, che invita i
due litiganti a sfidarsi e infine ribalta il giudizio infliggendo una punizione a Mida.

La scansione dei brani obbedisce a una semplice ma rigorosa simmetria. Inizia Momo con
un'Aria (n. 3} sostenuta solo dal basso continuo e dall'andamento andamento vivace, burlesco,
che torna sul tema del vento presentandolo, stavolta, come simbolo della volatilità
dell'apparenza. Seguono le due Arie della sfida, alle quali si è già accennato. Il primo a
cimentarsi è Febo (n. 5), la cui eleganza contrasta con la semplicità di Pan (n. 7), nel cui canto
Bach inserisce moduli tipici dello stile buffo, come la ripetizione della vocale "a" nella parola
«wackelt», più simile a una balbuzie che a un abbellimento. Dopo la sfida intervengono i
commenti dei giudici, ciascuno dei quali è un riflesso dello stile del concorrente per il quale
patteggiano. L'Aria di Tmolo («Phoebus, deine Melodei», n. 9), prevede l'intervento concertante
dell'oboe d'amore ed è un semplice, efficacissimo omaggio alla musica come arte elegante ed
erudita. Quella di Mida («Ach, Pan! Wie hast du mich verstäKt», n. 11) è accompagnata, come
quella di Pan, da un disegno di violini all'unisono ed è ancora più caricaturale della precedente:
la frase d'avvio si ripete con gli abbellimenti vocali di rito, ma in realtà sembra incepparsi di
continuo, come se Mida non sapesse più come sviluppare la sua melodia. In effetti anche la
piega presa dal canto sulle parole «Phoebus hat das Spiel verloren» rivela lo stesso impaccio e
sulla parola «Ohren», orecchie, i violini accennano l'intervallo caratteristico del raglio asinino.
La gara è chiusa, ma Momo reagisce e Mercurio prende la parola (recitativo, n. 12). Cosa deve
fare di Mida, chiede. Trasformarlo in un corvo Farlo a pezzettini Scorticarlo vivo Niente di cosi
feroce: visto che Mida sostiene di essersi fidato delle sue orecchie, è giusto che queste vengano
trasformate appunto in orecchie d'asino. Mercurio allora condanna l'alterigia di chi pretende di
giudicare senza averne le capacità in un'Aria («Aufgeblasne Hitze», n. 13) che vale come la
dimostrazione di ciò che lo spirito della danza può diventare quando è trattato secondo le regole
dell'arte: è una pagina, infatti, di grande eleganza, accompagnata dai due flauti, e delicata
malgrado il tono perentorio delle parole del dio.

A Momo spetta allora, nell'unico recitativo accompagnato, consolare ironicamente la vittima


dell'inattesa metamorfosi: Mida si consoli, non è l'unico a giudicare in questo modo, in sua
compagnia c'è una legione di «fratelli» a cui mancano capacità di intendimento e di raziocinio,
ma che credono di essere simili ai saggi. Giudicano così, alla cieca, e sono tutti dello stesso
genere. Quanto a te Febo, conclude Momo prima di restituire la parola al coro, «riprendi la lira»,
ovvero - secondo l'ultima versione del testo - «raddoppia» il tuo canto: non ci sarà mai critico,
Rettore o conte Brühl il cui giudizio avrà più forza della tua musica.

Stefano Catucci

BWV 202 - Weichet nur, betrübte Schatten


https://www.youtube.com/watchv=w75Ygnws66Q
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata202-testo.html

Weichet nur, betrübte Schatten, BWV 202


Cantata in sol maggiore per soprano e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: matrimonio

Weichet nur, betrübte Schatten


Aria in sol maggiore per soprano, oboe, archi e continuo
Die Welt wird wieder neu
Recitativo in do maggiore per soprano e continuo
Phoebus eilt mit schnellen Pferden
Aria in do maggiore per soprano e continuo
Ripresa nella Sonata per violino in do maggiore, BWV 1019
Drum sucht auch Amor sein Vergnügen
Recitativo in la minore/mi minore per soprano e continuo
Wenn die Frühlingslüfte streichen
Aria in mi minore per soprano, violino solo e continuo
Und dieses ist das Glücke
Recitativo in re maggiore per soprano e continuo
Sich üben im Lieben, in Scherzen sich herzen
Aria in re maggiore per soprano, oboe e continuo
So sei das Band der keuschen Liebe
Recitativo in sol maggiore per soprano e continuo
Sehet in Zufriedenheit tausend helle Wohlfahrstage
Gavotta in sol maggiore per soprano, oboe, archi e continuo

Organico: soprano, oboe, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1723 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1862

Guida all'ascolto (nota 1)

Bach compose un numero ragguardevole di Cantate sacre (almeno duecento delle trecento che
sono state conservate) e una trentina (in effetti sarebbero poco più di quaranta, se tutte fossero
giunte sino a noi) di Cantate profane, che sono al limite tra il sacro e il profano, in quanto alcune
sono cantate per commemorazioni funebri (Trauerkantaten) e per cerimonie riguardanti eventi
civili, riutilizzate dall'autore per feste liturgiche. Tra le Cantate profane acquistano particolare
rilevanza la Cantata per la cerimonia nuziale (Trauungskantate) eseguita in chiesa e divisa in due
parti, prima e dopo la celebrazione del matrimonio, e la Cantata nuziale (Hochzeitskantate)
eseguita durante il banchetto nuziale. Cinque sono le Trauungskantaten e tre le
Hochzeitskantaten, formalmente diverse fra di loro, perché le prime racchiudono corali e coro, al
contrario delle seconde, dove predominano in alternativa arie e recitativi.

Delle tre Cantate nuziali una risale al periodo di Köthen e le altre due al periodo di Lipsia. La
Cantata eseguita stasera è quella di Köthen, scritta tra il 1717 e il 1723 su un testo di autore
sconosciuto e indicata con le parole "Weichet nur, betrübte Schatten" (Dissolvetevi dunque,
ombre invernali) con il numero di catalogo BWV 202. Essa è per soprano, oboe, archi in tre parti
(due di violino e una di viola) e basso continuo ed è articolata in nove pezzi con cinque arie
inframezzate da quattro recitativi. L'aria di apertura e la gavotta finale prevedono l'intervento di
tutto l'organico strumentale; le tre arie intermedie affiancano alla voce di soprano uno strumento
solista, nell'ordine il continuo, il violino e l'oboe. Tre delle arie, la prima, la seconda e la quarta,
rispettano la forma con il "da capo", secondo lo schema A-B-A. Non si sa quali siano i nomi
degli sposi per cui Bach compose la Cantata, improntata ad una esaltazione della primavera
come stagione dell'amore.

Il brano iniziale "Weichet nur, betrübte Schatten" (Dissolvetevi dunque, ombre invernali) vede
gli archi disegnare una progressione di scale ascendenti, in cui spicca la voce dell'oboe che
«canta una melodia piena di sognante dolcezza», secondo l'annotazione di Albert Schweitzer. La
frase dell'oboe viene ripresa dal canto del soprano e l'insieme assume un tono delicatamente
tenero e affettuoso. La parte centrale dell'aria "Florens Lust" (Desiderio di Flora) è per contrasto
molto ritmica e ben scandita dalla voce del soprano, ornata nell'avvolgente motivo strumentale.
Un senso di equilibrio e di perfetta armonia si ristabilisce con il ritorno dell'aria con il da capo.
Un breve e semplice recitativo "Die Welt wird wieder neu" (Il mondo ridiventa nuovo) conduce
alla seconda aria, anch'essa con il da capo "Phoebus eilt mit schnellen Pferden" (Febo si affretta
con cavalli veloci), sviluppata in modo serrato e vivacemente visivo, tanto da far pensare allo
Schweitzer al galoppo dei cavalli di Apollo.

Il recitativo "Drum sucht auch Amor sein Vergnügen" (Anche Amore cerca il suo piacere) dalla
linea sinuosa introduce la terza aria "Wenn die Frühlingslüfte streichen" (Quando soffiano le
brezze di primavera), in cui il violino solista disegna un motivo ornamentale, arricchito da una
danzante linea vocale. Segue un altro recitativo "Und dieses ist das Glücke" (E questa è la
felicità), quasi un arioso, e l'oboe esprime un tema di esultante letizia "Sich üben im Lieben"
(Far pratica d'amore) che verrà ripreso da Bach nella Cantata "Liebster Gott, wann werd' ich
sterben" (Amatissimo Dio, quando morirò). Ancora un recitativo "So sei das Band der keuschen
Liebe" (Così sia il vincolo del casto amore) introduce l'aria finale "Sehet in Zufriedenheit"
(Possiate vivere in letizia), che è una spigliata gavotta ben ritmata, elegantemente cantata dal
soprano e sorretta con piacevole gusto dal complesso strumentale.

BWV 203 - Amore traditore


https://www.youtube.com/watchv=QcmPJXErRH8

BWV 204 - Ich bin in mir vergnügt


https://www.youtube.com/watchv=dUXnRkYHE1I

BWV 205 - Zerreißet, zersprenget, zertrümmert die Gruft (L'Eolo soddisfatto)


https://www.youtube.com/watchv=zKTe4au1ggk
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata205-testo.html

Zerreisset, zersprenget, zertrümmert die Gruft (Der zufriedengestellte Aolus), BWV 205
Dramma per musica in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: compleanno del Dr. August Friedrich Müller, professore dell'Università di Lipsia

Ruoli:

Pallas (soprano)
Pomona (contralto)
Zephyrus (tenore)
Äolus (basso)
Zerreisset, zersprenget, zertrümmert die Gruft
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 corni, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e
continuo
Riutilizzato nel Coro n. 1 della Cantata BWV 205a
Ja! ja! die Stunden sind nunmehro nah'
Recitativo in sol maggiore/fa diesis minore per basso, 3 trombe, timpani, 2 corni, 2 flauti
traversi, 2 oboi, archi e continuo
Riutilizzato nel Recitativo n. 2 della Cantata BWV 205a
Wie will ich lustig lachen
Aria in la maggiore per basso, archi e continuo
Riutilizzata nell'Aria n. 3 della Cantata BWV 205a
Gefürcht'ter Äeolus
Recitativo in do diesis minore/si minore per tenore e continuo
Riutilizzato nel Recitativo n. 4 della Cantata BWV 205a
Frische Schatten, meine Freude
Aria in si minore per tenore, viola d'amore, viola da gamba e continuo
Riutilizzatata nell'Aria n. 5 della Cantata BWV 205a
Beinahe wirst du mich bewegen
Recitativo in re maggiore per basso e continuo
Riutilizzato nel recitativo n. 6 della Cantata BWV 205a
Können nicht die roten Wangen
Aria in fa diesis minore per contralto, oboe d'amore e continuo
Riutilizzato nell'Aria n. 7 della Cantata BWV 205a
So willst du, grimm'ger Äeolus, gleich wie ein Fels
Recitativo in do diesis minore/mi maggiore per soprano, contralto e continuo
Angenehmer Zephyrus
Aria in mi maggiore per soprano, violino solo e continuo
Riutilizzata nell'Aria n. 4 della Cantata BWV 171 e nella n. 9 della Cantata BWV 205a
Mein Äeolus, ach! störe nicht die Fröhlichkeiten
Recitativo in si minore/re maggiore per soprano, basso, 2 flauti traversi e continuo
Riutilizzato nel Recitativo n. 10 della Cantata BWV 205a
Zurücke, zurücke, geflügelten Winde
Aria in re maggiore per basso, 3 trombe, timpani, 2 corni e continuo
Riutilizzata nell'Aria n. 11 della Cantata BWV 205a
Was Lust! Was Freude! Welch Vergnügen!
Recitativo in sol maggiore per soprano, contralto, tenore e continuo
Zweig' und Äeste zollen dir
Aria (Duetto) in sol maggiore per contralto, tenore, 2 flauti traversi e continuo
Riutilizzata nel Duetto n. 7 della Cantata BWV 216 e nel Duetto n. 13 della Cantata BWV
205a
Ja, ja! ich lad' euch selbst zu dieser Feier ein
Recitativo in re maggiore per soprano e continuo
Vivat! August, August vivat
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 corni, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e
continuo
Riutilizzato nel Coro n. 15 della Cantata BWV 205a
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 trombe, timpani, 2 corni, 2 flauti
traversi, 2 oboi, oboe d'amore, viola d'amore, viola da gamba, 2 violini, 2 viole, continuo
Composizione: Lipsia, 1725
Prima esecuzione: Lipsia, St.Paulikirche, 3 agosto 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1862

Guida all'ascolto (nota 1)

Non una delle più importanti feste liturgiche dell'anno, ma l'onomastico di un privato, il Dr.
August Friedrich Müller (1684-1 761 ), destinato a diventare rettore dell'Università di Lipsia, è
l'occasione per cui aveva visto la luce pochi mesi prima, in un'Abend-Music del 3 agosto 1725,
la profana Cantata BWV 205 «ZerreiBet, zersprenget, zertrümmert die Gruft», su testo di uno
dei principali collaboratori letterari di Bach, autore delle Passioni secondo Marco e secondo
Matteo, Christian Friedrich Henrici alias Picander, che intitolò la cantata, nell'edizione a stampa
delle sue poesie, Der zufriedenge stellte Aeolus («Eolo placato» o «soddisfatto»). Un lavoro
importante, che Bach avrebbe ripreso nove anni più tardi per l'incoronazione dell'elettore
Federico Augusto II, omonimo del professor Müller, a re di Polonia, realizzando la Cantata
BWV205a «Blast Lärmen, ihr Feinde! verstärcket die Macht», oggi perduta. Come per altri
«drammi per musica» di Bach, opere dalla scoperta vocazione teatrale, la celebrazione del
personaggio contemporaneo avviene tramite il filtro di un soggetto mitologico che attualizza un
immaginario classico dalla grande fortuna in terra tedesca. In questo caso la minuscola azione
mette idealmente in scena le minacce di dio Eolo di scatenare i venti a lui sottoposti; le suppliche
di Zefiro, patrono dei venti più benevoli, e di Pomona, dea dei frutti, perché non turbi i
festeggiamenti allestiti il onore del professor Müller sull'Elicona dalle Muse e da Pallade;
l'intervento risolutivo di quest'ultima, che riconduce a più miti consigli il dio dei venti. Con ben
quindici musicali (due cori, cinque arie, un duetto e sette recitativi), si tratta di una delle cantate
profane più estese del Thomaskantor. L'apertura è affidata a un coro grandioso a quattordici parti
strumentali per tacer delle voci, che mima con le bordate successive di semicrome dei legni
l'imperversare di venti gagliardi, mentre la seconda strofa del testo si mostra attenta alla pittura
sonora dello sprofondare del sole nelle tenebre («zur Finsternis werde»), e altrettanto
significativa è l'armonia inquieta prodotta dalle note tenute a «betrübt». Con un solenne,
imponente e del tutto irrituale recitativo accompagnato a pieno organico (chiuso da un altro
evidente tocco di pittura sonora a «erlöschend untergehen») Eolo libera i venti, esibendo così
apertamente tutto il suo potere. Si cimenta poi in un'aria di stile deliberatamente basso, che ha il
suo centro di forza nella grassa risata del dio. Con ben altra voce gli risponde il mite Zefiro,
offrendoci l'incanto di un lamento in si minore dalla strumentazione raffinata, che chiama in
causa la viola d'amore e quella da gamba. La suggestione di una malinconia estremamente
suasiva spira anche dalla successiva aria di Pomona in fa diesis minore, in cui il contralto è
coadiuvato dal colore vellutato dell'oboe d'amore, corrispondente nella famiglia dei legni al
timbro degli archi che ha caratterizzato l'aria di Zefiro. La quarta aria, appannaggio di Pallade
Atena, evade finalmente dalle piacevoli panie di questo persistente umor nero per esibire una
sicurezza preannunziata dallo svettare del violino obbligato (Bach realizzerà una parodia di
questo pezzo nella Cantata BWV 171 «Gott, wie dein Name, so ist auch dein Ruhm», destinata
al Capodanno 1729). Col fondamentale recitativo seguente Pallade ottiene il consenso di Eolo a
moderare i venti: una orazion picciola accompagnata dall'alone suggestivo dei due flauti vale a
convincere il dio, che a quel punto impartisce ordini perentori ai venti sottomessi attraverso
un'aria, l'ultima della cantata, dalla strumentazione del tutto eccezionale. Il potere di Eolo è
infatti espresso dalla compagine fragorosa di trombe, corni e timpani: una combinazione di soli
ottoni e percussioni che esclude del tutto i protagonisti dell'orchestra settecentesca, ovvero gli
archi. La gioia di poter festeggiare degnamente il professor Müller si esprime allora in una serie
di pezzi cordiali: un originale arioso a tre voci; un duetto pastorale accompagnato dai due flauti
all'unisono (si noti come la parte del basso di arioso e duetto mostrino tratti in comune);
l'animato ultimo recitativo semplice; il festoso coro conclusivo.

Raffaele Mellace

BWV 205a - Blast Lärmen, ihr Feinde!


https://www.youtube.com/watchv=hyClEuX9fP8

BWV 206 - Schleicht, spielende Wellen


https://www.youtube.com/watchv=DGb7gt8bxVI
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata206-testo.html

Schleicht, spielende Wellen (Scorrete lente, onde giocose), BWV 206


Dramma per musica in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: forse Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: compleanno di Augusto III

Ruoli:

Pleiße (soprano)
Donau (contralto)
Elbe (tenore)
Weichsel (basso)

Schleicht, spielende Wellen


Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e continuo
O glückliche Veränderung!
Recitativo in la maggiore per basso e continuo
Schleuss des Janustempels Türen
Aria in la maggiore per basso, archi e continuo
So recht! beglückter Weichselstrom!
Recitativo in fa diesis minore/si minore per tenore e continuo
Jede Woge meiner Wellen ruft
Aria in si minore per tenore, violino solo e continuo
Ich nehm' zugleich an deiner Freude teil
Recitativo in re maggiore/fa diesis minore per contralto e continuo
Reis, von Habsburgs hohem Stamme
Aria in fa diesis minore per contralto, 2 oboi d'amore e continuo
Verzeiht, bemooste Häupter starker Ströme
Recitativo in la maggiore/mi minore per soprano e continuo
Hört doch! der sanften Flöten Chor
Aria in sol maggiore per soprano, 3 flauti traversi e continuo
Ich muss, ich will gehorsam sein
Recitativo in mi minore/re maggiore per soprano, contralto, tenore, basso, archi e continuo
Die himmlische Vorsicht der ewigen Güte
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e continuo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 trombe, timpani, 3 flauti traversi, 2
oboi, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1736 (revisione 1740)
Prima esecuzione: Lipsia, Kafé Zimmermann, 7 ottobre 1736
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1873

Guida all'ascolto (nota 1)

Cantata di auguri è quella recante l'"incipit" Schleicht, spielende Wellen und murmelt gelinde
(BWV 206) composta per il genetliaco di Friedrich August II principe elettore e duca di Sassonia
(1696-1763) e re di Polonia col nome di Augusto III. La manifestazione ebbe luogo il 7 ottobre
1736, ma il testo era già stato predisposto due anni prima dall'ignoto autore di quei modesti versi
celebrativi. La composizione, che venne poi ripresa da Bach per l'onomastico del sovrano il 3
agosto 1740 (o 1742), è qualificata come "drama per musica", denominazione tradizionale per
l'opera seria di quel tempo e che però venne frequentemente utilizzata, se non da Bach, quanto
meno dagli autori dei testi (o dagli editori) delle cantate profane, anche a motivo del fatto che fra
il 1720 e il 1744 il teatro d'opera di Lipsia rimase chiuso e che quindi con questi "drami per
musica" s'intendeva sottolineare una certa qual continuità con le manifestazioni sceniche. Le
cantate bachiane che recano tale titolo sono quindici, ma di una parte di questo è noto il solo
testo. Composti tutti per circostanze particolari ed eseguiti senza apparati scenici, all'aperto o nei
saloni dei caffè all'uopo attrezzati, tali "drammi" impegnavano cantanti e musicisti per un breve
tempo (le opere bachiane del genere hanno durate da mezz'ora circa a non oltre un'ora).

La Cantata BWV 206 prevede, come generalmente succede nelle cantate qualificate come
"drami per musica", la presenza di personaggi, che nel caso in questione rappresentano quattro
fiumi: La Pleisse (soprano), il fiume che attraversa Lipsia; il Danubio (contralto), il principale
corso d'acqua dell'Austria, patria di origine di Maria Josepha, consorte di Augusto III; l'Elba
(tenore), il fiume più rappresentativo della Sassonia che ne attraversa la capitale Dresda; la
Vistola (basso), il grande fiume di Varsavia, capitale del regno di Polonia retto da Augusto III.

L'argomento del dramma è dei più futili e banali: una contesa fra Vistola, Elba e Danubio che,
nell'ordine espongono le ragioni secondo le quali ciascuno di essi può vantare maggiori meriti
nel tessere l'elogio del sovrano; la vertenza troverà poi soluzione pacificatrice ad opera della
Pleisse e tutti si riuniranno nel rendere omaggio ad Augusto III.

La successione degli undici numeri che costituiscono l'opera è la più semplice immaginabile: i
due consueti cori di esordio e di congedo, quattro coppie di recitativo-aria affidate ad ognuna
delle voci soliste, secondo l'ordine inverso a quello della disposizione in partitura (basso-tenore-
contralto-soprano). Lo stile dei recitativi, tutti d'una certa ampiezza, è sempre quello secco (con
un finale arioso nel secondo), ma alla personificazione dominante della Pleisse è riservato, nel
recitativo finale (n. 10), un accompagnamento degli archi. Le quattro arie sono tutte nel taglio
"col da capo"; variata è la partecipazione degli strumenti: archi nel n. 3, violino solo nel n. 5, una
coppia di oboi d'amore nel n. 7, un terzetto di flauti traversi nel n. 9. Caratterizzate da inflessioni
melodiche che simboleggiano lo scorrere delle acque, le singole arie ritraggono "situazioni"
tipiche. Così, l'aria della Vistola è in tempo di polacca, quella dell'Elba sfoggia un apparato
virtuosistico e di coloratura degno della sfarzosa Dresda; tenera e amorosa è l'aria del Danubio e
quella della Pleisse è rivestita di leggiadria e della galanterie, per la quale Lipsia andava famosa.

È ai cori, tuttavia, che Bach affida il messaggio artistico più rilevante. L'apparato strumentale di
festa si sposa nel primo brano con la forma "col da capo" e con il moto ondoso impresso al
discorso, quest'ultimo articolato in maniera tale da segnare continuamente il passaggio dalla
scrittura omofona a quella polifonico-imitativa; la sezione centrale (allegro) è priva degli
squillanti interventi delle trombe e del fragore dei timpani. In armonia con la "scorrevolezza" di
tutta la cantata, il finale, nella forma di un rondò, adotta il ritmo gioioso e trionfante della giga.

Alberto Basso

BWV 207 - Vereinigte Zwietracht der wechselnden Saiten (riadattamento dal terzo
movimento del concerto brandeburghese n. 1).
https://www.youtube.com/watchv=PRHEKKGffMw

BWV 207a - Auf, schmetternde Töne


https://www.youtube.com/watchv=YnhkPwFno0Y
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata207a-testo.html

Auf, schmetternde Töne der muntern Trompeten, BWV 207a


Dramma per musica in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: forse Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: onomastico di Augusto III

Auf, schmetternde Töne der muntern Trompeten


Coro in re maggiore per coro e tutti gli strumenti
Utilizza il Coro n.2 della Cantata BWV 207
Die stille Pleisse spielt
Recitativo in si minore/fa diesis minore per tenore e continuo
Augustus' Namenstages Schimmer
Aria in si minore per tenore, oboe d'amore, archi e continuo
Utilizza l'Aria n. 4 della Cantata BWV 207
Augustus' Wohl ist der treuen Sachsen Wohlergeh'n
Recitativo in sol maggiore/la maggiore per soprano, basso e continuo
Mich kann die susse Ruhe laben/Ich kann hier mein Vergnügen
Aria (Duetto) in re maggiore per soprano, basso e continuo
Utilizza l'Aria n. 6 della Cantata BWV 207
Ritornello (re maggiore)
per 2 trombe, 2 oboi d'amore, oboe da caccia, archi e continuo
Augustus schützt die frohen Felder
Recitativo in la maggiore/sol maggiore per contralto e continuo
Preiset, späte Folgezeiten
Aria in sol maggiore per contralto, 2 flauti traversi, archi e continuo - Utilizza l'Aria n. 9 della
Cantata BWV 207
Ihr Fröchlichen, herbei!
Recitativo in re maggiore per soprano, contralto, tenore, basso, 2 oboi d'amore, oboe da
caccia, archi e continuo
Utilizza il Recitativo n. 10 della Cantata BWV 207
August lebe! Lebe König!
Coro in re maggiore per coro e tutti gli strumenti
Utilizza il Coro n. 11 della Cantata BWV 207

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2
oboi d'amore, oboe da caccia, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1735
Prima esecuzione: Lipsia, Caffè Zimmermann, 3 agosto 1735
Edizione: Bärenreiter, Kassel, 1961

Parodia della Cantata BWV 207

Guida all'ascolto (nota 1)

La festa, espressione fra le più tipiche dell'età barocca, doveva essere una componente essenziale
della vita cittadina di Lipsia, dove Bach si era definitivamente trasferito nel maggio del 1723.
Regolata su ritmi di operosità che erano ciclicamente connessi alle scadenze annuali delle fiere,
quella di Pasqua e quella di San Michele (29 settembre), la città - piazza sulla quale
convergevano le attenzioni non solo dei mercanti ma anche quelle degli studiosi e del ceto
aristocratico o dell'alta borghesia - ospitava volentieri manifestazioni di pubblico tripudio, di
compiaciuta celebrazione collettiva di eventi che toccavano la sensibilità dei suoi abitanti. Il rito
liturgico, con le sue particolari articolazioni previste dai regolamenti concistoriali (per le
domeniche e feste comuni, per le feste solenni, per funerali e matrimoni), già offriva motivi
spettacolari di attenzione venendo a rompere, mediante l'immissione obbligata della
Kirchenmusik predisposta dal Kantor e dall'ars oratoria esercitata dai predicatori, lo schema
essenziale del servizio divino. Occasione di "spettacolo" erano ìe cerimonie religiose nella
Chiesa dell'Università, le esecuzioni delle Passioni nelle chiese principali, le Kurrenden
organizzate dagli alunni della Thomasschule durante le festività natalizie, le cerimonie per la
consacrazione di nuove chiese o inaugurazioni di organi, le regolari esecuzioni di corali dall'alto
delle torri comunali, le processioni e i cortei suggeriti da pratiche devozionali o da
manifestazioni di lutto cittadino, le solenni circostanze dei rinnovi del Consiglio Comunale.
Dentro e fuori della chiesa, insomma, si svolgevano riti dominati dalla presenza della musica,
fatti salvi i periodi di tempus clausum (Avvento, Quaresima, proclamato lutto nazionale).
Se occasioni di festa erano suggerite dall'intensa vita religiosa nella quale Lipsia pareva
compiacersi come se si trattasse di un evento mondano, non minori motivi di celebrazione
offriva la vita civile. Caffè e giardini erano luoghi deputati della musica, e comunque non v'era
manifestazione che non fosse accompagnata da un adeguato apparato musicale. Per l'esecuzione
di queste musiche, legate a circostanze particolari, la città di Lipsia poteva contare sull'apporto
di due Collegia musica formati da studenti universitari, ma anche naturalmente sul contributo
degli alunni della Thomasschule. I Collegia musica in questione erano stati fondati l'uno da
Telemann nel 1702, l'altro da Johann Friedrich Fasch nel 1708; il primo dei due fu attivo anche
sotto la direzione di Bach (dalla primavera del 1729 sino all'estate del 1737 e poi ancora
dall'ottobre 1739 sino, forse, al 1744). Occorre poi dire che non c'è ragione di credere che
l'organizzazione delle Festmusiken dovesse comportare apparati diversi da quelli che richiedeva
la Kirchenmusik e pertanto i ruoli vocali erano sostenuti nelle cantale profane da quelle
medesime persone (gli alunni della Thomasschule per le parti corali e gli studenti dell'Università
per quelle solistiche) che già provvedevano all'esecuzione delle cantate sacre.

Per quanto riguarda la produzione bachiana, nell'ambito della musica a destinazione profana si
deve distinguere fra la Stadtmusik, vale a dire il complesso delle musiche composte per
solennizzare eventi quali l'inaugurazione di edifici pubblici, gli omaggi a personalità della
borghesia o a nobili signori, feste comunali o scolastiche, cerimonie universitarie, celebrazioni di
nozze, e la Hofmusik, la musica dì corte predisposta, in veste di compositore ufficiale
(Hofcompositeur) per le corti - in ordine di tempo - di Köthen, di Weissenfels e di Dresda, anche
se nel caso delle composizioni in onore di esponenti della casa regnante (duchi di Sassonia e re
di Polonia al tempo stesso) si trattò il più delle volte di lavori commissionati nell'ambiente
universitario o municipale.

Tafelmusiken (musiche per i banchetti), Abendmusiken (serenate) sono qualifiche riconenti per
tale genere di musiche che, in ultima analisi, erano intese come azioni teatrali fittizie, prive di
apparato scenico; in molti casi, le cantate in questione venivano indicate come drammi per
musica, una locuzione che si ritrova in varie opere bachiane (fra cui anche BWV 207a e 214).
Con la sola eccezione di BWV 212 che porta nell'intestazione la qualìfica di Cantate en
burlesque (e, dunque, richiama modelli francesi), nessuna delle composizioni vocali profane di
Bach porta il titolo italiano di cantata, termine che Bach ha evitato di impiegare anche nella
musica sacra (qualificata come concerto, dialogus o semplicemente Kirchenmusik). Nell'uno e
nell'altro caso, l'adozione di quella parola è un prodotto della musicologia ottocentesca ancora
incerta sui propri passi e facile alla generalizzazione.

Sono una quarantina le composizioni vocali profane a noi note, fra quelle realizzate da Bach a
Lipsia, ma la musica in molti casi è perduta: il materiale musicale originale è disponibile, infatti,
solamente per diciannove cantate. Nella maggior parte dei casi autore dei testi, o presunto tale, è
Christian Friedrich Henrici (1700-1764), noto con lo pseudonimo di Picander (letteralmente
"uomo-gazza") che il poeta si era voluto dare a ricordo di un curioso incidente capitatogli nel
1723, quando durante una battuta di caccia aveva colpito un contadino invece di una gazza e, di
conseguenza, era stato arrestato.

Le cantate catalogate sotto i numeri BWV 207a e 214 appartengono al genere della Hofmusik e
sono state composte per la corte di Sassonia. La prima delle due - Auf schmetternde Töne der
muntern Trompeten - è stata realizzata per il giorno onomastico, il 3 agosto probabilmente del
1735, di Augusto III (1696-1763; dal 1733 re di Polonia con tale nome e duca di Sassonia col
nome di Friedrich August II). Si tratta, tuttavia, di un'opera non originale, che riprende numerose
pagine (i nn. 1, 3, 5, 7, 8, 9) da una composizione scritta nel 1726 (Vereinigte Zwietracht der
wechselnden Saiten, BWV 207) come cantata di auguri per l'ingresso nel corpo accademico del
professore di diritto Gottlieb Kortte (1698-1731). In questa circostanza l'anonimo autore del
testo (ma si crede che, sia per l'una che per l'altra cantata, esso possa essere identificato in
Picander) aveva chiamato in causa quattro personificazioni allegoriche: la Fortuna, la
Riconoscenza, la Diligenza, l'Onore, senza affidare loro lo svolgimento di una qualsivoglia
trama, ma semplicemente invitandole a tessere un discorso moraleggiante ed edificante. Nella
nuova versione per gli auguri al sovrano, i personaggi non sono stati indicati, ma i frequenti
accenni a soggetti mitologici, (sono citate, ad esempio, le Muse, Pallade, Marte, Mercurio, varie
deità silvane) farebbero ritenere che questo dramma per musica fosse dotato di interlocutori. Ma,
al di là delle osannanti lodi ad Augusto III, il cui nome è più volte citato, la cantata si presenta
anche come un omaggio alla città di Lipsia, di cui vengono esaltati i simboli più eminenti, la
Pleisse con le sue rive verdeggianti e i tigli apportatori di piacere, e alla Sassonia in genere il cui
fiume principale, l'Elba, non manca di essere richiamato nel testo.

Il procedimento compositivo seguito da Bach, e comunissimo nella sua produzione, è quello


della "parodia", vale a dire di una riutilizzazione in altro contesto di una musica concepita per
un'altra occasione, qui riscrivendo unicamente tre recitativi (nn. 2, 4, 6) e mantenendone
inalterato uno (n. 8). Anche la prima versione dell'opera (BWV 207), tuttavia, non era del tutto
originale, dal momento che due pagine, il coro di apertura ed un ritornello agganciato al duetto
di soprano e basso (n. 5) sono estratte dal Primo Concerto Brandeburghese (BWV 1046); si tratta
rispettivamente del n. 3 (allegro) e del secondo trio. Carattere eccezionale ha la presenza di una
marcia introduttiva (con coro), a mo' di fanfara, che bene si adatta al clima di festa di una
composizione eseguita, come un documento dell'epoca ci dice, dal Collegium musicum bachiano
nei giardini del Caffè Zimmermann di sera e con una fastosa illuminazione. Dei quattro recitativi
previsti dal testo, solo l'ultimo (n. 8), che impegna tutti i solisti a turno, prevede l'intervento di
strumenti (gli oboi e gli archi) oltre al continuo, ma si tratta di accordi brevi ed isolati, semplici
interpunzioni del discorso. Le tre arie (nn. 3, 5, 7) sono tutte "col da capo" e con strumentale
variato, secondo la consuetudine bachiana: archi nella prima, il solo continuo nella seconda,
flauti e archi nella terza (un'aria quest'ultima, caratterizzata da un delicatissimo giuoco in
imitazione dei due flauti entro il quale s'insinua periodicamente un disegno in ritmo puntato
degli archi all'unisono). Il finale è un inno solenne, squadrato, in tempo di danza, intonato
omofonicamente dal coro su parole convenzionali di auguri.

Alberto Basso

BWV 208 - Was mir behagt, ist nur die muntre Jagd! (cantata della caccia), di cui fa parte
Schafe können sicher weiden
https://www.youtube.com/watchv=yc_btdk-_d4

Was mir behagt, ist nur die muntre Jagd! (La caccia), BWV 208
Cantata in fa maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Salomon Franck
Occasione: genetliaco di Christian von Sachsen-Weissenfels

Ruoli:

Diana (soprano I)
Pales (soprano II)
Endymion (tenor)
Pan (basso)

Was mir behagt, ist nur die muntre Jagd!


Recitativo in fa maggiore/si bemolle maggiore per soprano I e continuo
Jagen ist die Lust der Götter
Aria in fa maggiore per soprano I, corni e continuo
Wie, schönste Göttin wie
Recitativo in re minore per tenore e continuo
Willst du dich nicht mehr ergetzen
Aria in re minore per tenore e continuo
Ich liebe dich zwar noch!
Recitativo in si bemolle maggiore/do maggiore per soprano I, tenore e continuo
Ich, der ich sonst ein Gott
Recitativo in la minore/sol maggiore per basso e continuo
Ein Fürst ist seines Landes Pan
Aria in do maggiore per basso, 2 oboi, oboe da caccia e continuo
Riutilizzata nell’Aria n. 4 della Cantata BWV 68
Soll dann der Pales Opfer hier das letzte sein
Recitativo in fa maggiore/sol minore per soprano II e continuo
Schafe können sicher weiden
Aria in si bemolle maggiore per soprano II, 2 flauti a becco e continuo
So stimmt mit ein und lasst des Tages Lust volkommen sein
Recitativo in fa maggiore per soprano I e continuo
Lebe, Sonne dieser Erden
Coro in fa maggiore per 2 soprani, tenore, basso, 2 corni, 2 oboi, oboe da caccia, fagotto,
violoncello, archi, violone e continuo
Entzücket uns beide, ihr Strahlen der Freude
Aria (Duetto) in fa maggiore per soprano I, tenore, violino solo e continuo
Weil die wollenreichen Heerden
Aria in fa maggiore per soprano II e continuo
Riutilizzata nell'Aria n. 2 della Cantata BWV 68
Ihr Felder und Auen, lass grünend euch schauen
Aria in fa maggiore per basso e continuo
Ihr lieblichste Blicke, ihr freudige Stunden
Coro in a maggiore per 2 soprani, tenore, basso, 2 corni, 2 oboi, oboe da caccia, fagotto, archi,
violoncello, violone e continuo
Riutilizzato nel Coro n. 1 della Cantata BWV 149
Organico: 2 soprani, tenore, basso, 2 corni, corno da caccia, 2 flauti a becco, 2 oboi, oboe da
caccia, fagotto, 2 violini, viola, violoncello, violone, continuo
Composizione: 1713
Prima esecuzione: Weißenfels, Jägerhof-Schloß, 23 febbraio 1713
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1881

Guida all'ascolto (nota 1)

La «Cantata di caccia» (1713) ci riporta al tempo in cui Bach, al servizio del duca Ernst August
di Sassonia-Weimar, era tenuto a comporre brani di circostanza per le ricorrenze festive della
famiglia regnante: appunto in occasione di un duplice compleanno, quello del duca e del cugino
Christian di Sassonia-Weissenfels, doveva nascere la Cantata, denominata «di caccia» (benché di
fatti venatori propriamente non vi si tratti) dalla caratterizzazione rettorica del suo primo
«numero» appunto un'Aria «di caccia» intonata da Diana sul tipico controcanto dei corni a
squillo. Diversamente da La gara tra Febo e Pan, in questa Cantata non sono identificabili le
linee di un vero intreccio drammatico, benché le varie voci solistiche portino i nomi di figure
mitologiche e siano contraddistinte da una precisa tipologia affettistica. Una specie di convegno
bucolico, cui partecipano Diana, Endimione, Pan e Pales, offre il pretesto per intessere le lodi e
porgere i debiti omaggi agli illustri festeggiati, nelle forme e nello spirito del più
tradizionalistico tra i generi di omaggio musicale cortigiano praticati nel primo Settecento,
quello della Serenata allegorica (istituzionalizzata da egregi modelli scarlattiani) e della Licenza,
quest'ultima collocata per lo più, come riverenza di congedo, in fine ad un più vasto
trattenimento mondano-musicale, teatrale o accademico.

La Cantata ha inizio, come si è detto sopra, con un breve recitativo seguito da un'Aria «di
caccia»: nei suoi entusiasmi venatori, Diana sembra avere obliato il povero Endimione, il quale,
sopravvenuto, se ne lagna in una stupenda Aria patetica, con oboi e fagotto concertanti. Diana
rassicura il pastorello di Creta del proprio amore; non desiderio di evasione, ma ardente zelo
nell'onorare il principe regnante nel suo giorno genetliaco, l'ha guidata in quelle amene contrade
della Sassonia, dove fra poco converranno in rendez-vous altri illustri immortali. Lieto d'essere
parte di cotanta comitiva, Endimione intreccia con Artemide un brillantissimo duetto di bravura,
accompagnato dal solo basso continuo. Ma arrivano Pan, che identifica se stesso col principe,
benefica deità apportatrice di pace e benessere, in un'Aria tra marziale e rustica; e Pales, che
effonde il suo messaggio di idillica serenità in una gemma melodica destinata più tardi a passare
pari pari, con i suoi, pastorali richiami di flauti e oboi da caccia (corni inglesi) nell'Oratorio di
Natale. Un coro, un duetto di Diana ed Endimione e una nuova aria di Pales, non meno fascinosa
della prima, ma di tipo più brillante, intensificano la temperie festiva dell'inventività bachiana,
che tocca il climax nella successiva Siciliana di Pan e nel radioso coro finale. La svaporata,
pretestuosa Arcadia cortigianesca del testo non traggano in inganno: la natura introspettiva e la
profonda serietà morale del genio bachiano, nel contesto di una qualità inventiva quasi sempre
altissima, tracciano anche qui un itinerario ideale che conduce ben lontano dalla sala del trono
della corte di Weimar, dominata dalle enormi parrucche di gala della nobile assemblea, in un
mondo di là del mondo, dove il lamento di Endimione e l'inno di pace di Pales risuonano in
accenti di verità quasi religiosa, e dove la gioia si fa preghiera cosmica.

Giovanni Carli Ballola


BWV 208a - Was mir behagt, ist nur die muntre Jagd!
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata208-testo.html

BWV 209 - Non sa che sia dolore


https://www.youtube.com/watchv=nw5b2hKnc08
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata209.html#Testo

Non sa che sia dolore, BWV 209


Cantata in si minore per soprano e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: non precisata

Sinfonia (si minore)


per tutti gli strumenti
Non sa che sia dolore
Recitativo in si minore/la maggiore per soprano, archi e continuo
Parti pur, e con dolore
Aria in mi minore per soprano e tutti gli strumenti
Tuo saver al tempo e l'eta contrasta
Recitativo in si minore/mi minore per soprano e continuo
Ricetti gramezza e pavento
Aria in sol maggiore per soprano e tutti gli strumenti

Organico: soprano, flauto traverso, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1729 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1862
Dedica: Johann Matthias Gesner

Attribuzione incerta

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel catalogo bachiano si contano due cantate profane su testo italiano, entrambe di dubbia
autenticità e pervenuteci in manoscritti piuttosto tardivi: Amor traditore, BWV 203, per basso e
clavicembalo e Non sa che sia dolore, BWV 209, per soprano, flauto, archi e continuo. Una terza
composizione, Andrò dal colle al prato, BWV Anh. 158, ritenuta in passato opera perduta di
Bach, è invece un'aria di un melodramma del figlio Johann Christian, Orione ossia Diana
vendicata, rappresentato a Londra nel 1763.

Non sa che sia dolore è stata interpretata come una cantata scritta nel 1729 in occasione del
ritorno in patria, ad Ansbach, di un dotto personaggio, solitamente identificato nel professor
Johann Matthias Gesner. Amico di Bach fin dagli anni di Weimar, egli fu uno dei più
appassionati ammiratori della sua musica, tanto che in una nota contenuta nella sua edizione
delle Institutiones oratoriae di Quintiliano, pubblicate nel 1738, immagina, a proposito di un
musicista dell'antichità, di rivolgersi direttamente al grande retore latino dicendogli: «Tutto ciò o
Fabio lo qualificheresti come poca cosa, se ti capitasse, resuscitato dall'Averno, di vedere Bach
[...] Io in altre occasioni sono un grandissimo partigiano dell'antichità, ma credo fermamente che
il mio amico Bach da solo (...) comprenda in sé molti Orfei e venti cantanti come Arione».
Gesner, già conrettore del ginnasio di Weimar dal 1715, nel 1729 fece ritorno nella natia
Ansbach - cittadina bavarese non lontana da Norimberga, capitale allora di un piccolo
margraviato - come direttore del ginnasio locale. Dopo pochi mesi, comunque, Gesner lasciò
quell'incarico per assumere la più prestigiosa guida della Thomasschule di Lipsia (dove ritrovò
come Kantor ìl vecchio amico di Weimar), accettando dopo altri quattro anni una cattedra
all'Università di Gottinga, città nella quale morì nel 1761.

La sincera amicizia tra il brillante erudito e Bach ha spinto qualche studioso ad attribuire a
quest'ultimo, oltre alla musica, anche la stesura del testo poetico della cantata, da Albert
Schweitzer giudicato "addirittura pietoso" e "scritto da un tedesco che non sapeva l'italiano".
Tuttavia la scelta da parte del compositore di adoperare per quell'occasione - o di scrivere di suo
pugno - dei versi in lingua italiana risulta quantomeno sorprendente. L'ipotesi sostenuta da
Ansbacher che "l'aulico o sacro latino" sarebbe stato inopportuno e che il tedesco era già molto
usato per le Kirchenmusiken è poco convincente, tanto più se si considera che le altre cantate
profane di Bach a noi pervenute sono in lingua tedesca. Maggiori perplessità ha suscitato lo
spiccato contrasto stilistico esistente tra i primi due brani della cantata, di impronta decisamente
bachiana, e l'aria conclusiva della composizione, orientata ad un linguaggio operistico di chiara
derivazione italiana, il che ha spinto non pochi commentatori a dubitare dell'autenticità stessa
della partitura. Ultimamente il Marshall, il quale si dimostra assai cauto nel depennare del tutto il
lavoro dal corpus delle opere bachiane, ha proposto un possibile collegamento con Dresda,
puntualizzando che l'estensione vocale della parte del soprano si adatterebbe con precisione a
quella della Faustina-Bordoni, che aveva debuttato nella capitale sassone (presente Bach) nel
settembre 1731 nella Cleofide del marito Johann Adolph Hasse, e ipotizzando che la scelta del
flauto come strumento obbligato sarebbe dovuta alla presenza nell'orchestra di corte di un
celebre virtuoso qual era Pierre Gabriel Buffardin. Sulla base di queste supposizioni e in
considerazione anche della grande apertura nei confronti della cultura italiana propria della
capitale sassone, Alberto Basso è propenso ad individuare l'autore di questa cantata nella cerchia
di quei compositori attivi allora a Dresda, tra cui anche «un musicista della tempra ... di un
Wilhelm Friedemann Bach», organista dal 1733 al 1746 nella chiesa di Santa Sofia, la più antica
della città.

Non sa che sia dolore presenta la struttura tipica della cantata da camera italiana nella doppia
successione di recitativo secco e aria con il da capo ed è introdotta da una pregevolissima
Sinfonia in si minore, collegata di volta in volta - per reminiscenze tematiche o per concezione
generale - al Concerto in re minore per due violini BWV 1043, o alla Seconda Suite per
orchestra BWV 1067 (all'Allegro iniziale o al Minuetto). Il brano costituisce un vero e proprio
tempo di concerto dal carattere tipicamente bachiano tanto nella tematica, essenziale ed incisiva
ma nello stesso tempo suscettibile di ampi sviluppi armonico-melodici, quanto nell'arte stessa
del concertare, costruita su un fitto scambio di spunti motivici (tra cui, bellissimo, quello
cromaticamente circolare, il cui sapore quasi inquietante acquista maggior risalto nelle sonorità
vitree del flauto) tra solista ed orchestra, i cui ruoli non sono mai rigidamente separati ma al
contrario tendono a sovrapporsi continuamente l'un l'altro. Dopo il primo recitativo, nel quale si
invita il destinatario della composizione a superare il dispiacere della partenza per adempiere "di
Minerva il zelo" (egli era dunque un dotto), la cantata continua con un'aria, Parti pur, e con
dolore, in cui i due temi offerti dal testo, le pene per il distacco e la gioia per il ritorno in patria,
corrispondono alle due sezioni iniziali di una struttura con il da capo, definita dalle modulazioni
mi minore - sol maggiore - mi minore. Il brano, armonicamente fluente, è percorso dal serrato
dialogo concertante tra la voce, che riprende il dolente motivo presentato dal flauto
sviluppandolo in una scrittura moderatamente melismatica, e lo strumento obbligato, che si
distende in avvolgenti e scorrevoli figurazioni di semicrome. Poche battute in recitativo, in cui
gli elogi al dotto personaggio si uniscono a quelli per la città di Ansbach, "piena di tanti
Augusti", ci separano dall'aria conclusiva, Ricetti gramezza e pavento (meglio sarebbe leggere
Rigetti), basata su un'estesa immagine dell'esito felice di una tormentata navigazione, da
intendersi non in senso stretto - come accenno cioè ad un concreto viaggio in mare fatto dal
dedicatario della cantata - bensì in quello figurato, ossia come allusione al successo della sua
brillante carriera. Il danzante ritmo ternario, il carattere triadico della melodia, la regolarità del
fraseggio e la chiarezza delle armonie allontanano stilisticamente il brano da quelli che lo hanno
preceduto, sollevando legittimi dubbi sulla sua autenticità, a meno di non interpretare quest'aria
come un'imitazione esplicitamente stretta da parte del Kantor di Lipsia del linguaggio musicale
della cantata da camera italiana.

Marco Carnevali

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Cantata BWV 209 "Non sa che sia dolore" è una delle due sole del catalogo bachiano che
utilizzi un testo non tedesco (l'altra, pure su testo italiano, è "Amore traditore" BWV 203 per
basso e continuo). Per la verità non è certo che questi due lavori siano frutto dell'arte di Bach; la
critica odierna è concorde nel sollevare seri dubbi circa la paternità bachiana di "Amore
traditore" e nell'esprimere quantomeno cautela a riguardo di "Non sa che sia dolore".
Quest'ultima si vuole sia stata scritta in omaggio ad un amico di Bach, Johann Matthias Gessner
rettore della Thomasschule di Lipsia dal 1730 al 1734, in occasione di una sua partenza (il testo
è un commiato), ma non è dato sapere perché Bach avrebbe dovuto utilizzare proprio per questa
occasione un testo italiano (oltretutto un pessimo testo, steso senza dubbio non da un italofono)
piuttosto che un più giustificabile testo tedesco; inoltre la società lipsiense non inclinava affatto
verso la cultura e la lingua italiane (molto apprezzate, invece, nella vicina Dresda) ma semmai
verso quelle francesi. In mancanza di certezze la questione resta sospesa anche se recentemente e
con fondatezza di argomentazioni è stata avanzata la candidatura di Johann Adolph Hasse
(Kapellmeister a Dresda e autore fecondo di opere e cantate italiane) quale possibile autore di
questa "Non sa che sia dolore". La squisita fattura del brano lo rende ben degno di essere conteso
fra diverse illustri paternità e certamente Bach, ove davvero non ne fosse egli stato il
compositore, non disdegnerebbe di vederselo attribuire. Il brano si apre con una sinfonia in un
unico movimento e prosegue con due arie per soprano e archi con flauto obbligato separate da
poche battute di recitativo secco; trasparenza di trame, vivacità e spirito del materiale tematico,
concisione ed immediatezza delle proposte melodiche e ritmiche lasciano intuire nell'autore della
cantata, J.S. Bach o chi per lui, un attento lettore ed un colto ammiratore della vocalità
cameristica italiana.

Franco Piperno
BWV 210 - O holder Tag, erwünschte Zeit
https://www.youtube.com/watchv=wKHEPpj0DQo

BWV 210a - O angenehme Melodei!


https://www.youtube.com/watchv=VSssmrUCoxM

BWV 211 - Schweigt stille, plaudert nicht (cantata del caffè)


https://www.youtube.com/watchv=H5Ocydot-vA

BWV 212 - Mer hahn en neue Oberkeet (cantata dei contadini)


https://www.youtube.com/watchv=c_OVXUR9abc

BWV 213 - Lasst uns sorgen, lasst uns wachen


https://www.youtube.com/watchv=Ua6s9N26NGg

BWV 214 - Tönet, ihr Pauken! Erschallet, Trompeten!


https://www.youtube.com/watchv=hASwusETOF8
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata214-testo.html

Tönet, ihr Pauken! Erschallet, Trompeten!, BWV 214


Dramma per musica in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: autore ignoto
Occasione: genetliaco di Maria Josepha, regina di Polonia

Ruoli:

Bellona (soprano)
Pallas (contralto)
Irene (tenore)
Fama (basso)

Tönet, ihr Pauken! Erschallet, Trompeten!


Coro in re maggiore per coro e tutti gli strumenti
Riutilizzato nel Coro n. 1 dell'Oratorio di Natale BWV 248
Heut' ist der Tag
Recitativo in si minore/fa diesis minore per tenore e continuo
Blast die wohlgegriff'nen Flöten
Aria in la maggiore per soprano, 2 flauti traversi e continuo
Mein knallendes Metall
Recitativo in fa diesis minore/re maggiore per soprano e continuo
Fromme Musen! Meine Glieder!
Aria in si minore per contralto, 2 oboi e continuo
Riutilizzata nell'Aria n. 5 dell'Oratorio di Natale BWV 248
Uns're Königin im Lande, die der Himmel zu uns Sandte
Recitativo in fa diesis minore/re maggiore per contralto, archi e continuo
Kron' und Preis gekrönter Damen, Königin
Aria in re maggiore per basso, tromba, archi e continuo
Riutilizzato nell'Aria n. 8 dell'Oratorio di Natale BWV 248
So dringe in das weite Erdenrund
Recitativo in sol maggiore/re maggiore per basso, 2 flauti traversi, 2 oboi 2 continuo
Blühet, ihr Linden in Sachsen, wie Cedern
Coro in re maggiore per coro e tutti gli strumenti
Riutilizzato nel Coro n. 24 dfell'Oratorio di Natale BWV 248

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2
oboi, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1733
Prima esecuzione: Lipsia, Caffé Zimmermann, 8 dicembre 1733
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1887

Guida all'ascolto (nota 1)

Il "dramma per musica" - Tönel, ihr Pauken! Erschallet, Trompeten! (BWV 214) - è soprattutto
noto per essere stato ampiamente utilizzato nel Weihnachts-Oratorium: quattro brani su nove
(nn. 1, 5, 7, 9) infatti troveranno collocazione in quel ciclo liturgico, presentato nelle festività
natalizie a cavaliere fra il 1734 e il 1735, a breve distanza dall'occasione per la quale la cantata
in questione venne eseguita, l'8 dicembre 1733, dal Collegium musicum, diretto da Bach, come
omaggio per il genetliaco della regina di Polonia, Maria Josepha granduchessa d'Austria (1699-
1757), consorte di Augusto III dal 1719. L'apparato mitologico qui chiamato in causa - Bellona
(soprano), Pallade (contralto), Irene (tenore), Fama (basso) - ha la semplice funzione di esaltare
e magnificare la sovrana in maniera smaccata e ridondante in un tripudio di suoni e di canti,
senza organizzarsi intorno ad una seppur minima vicenda eroica. Ma le saeculares cantilenae, le
musiche di cui è stata fornita la cantata sono di prima grandezza, affascinanti e di effetto
sorprendentemente vistoso.

Il coro iniziale, nella forma "col da capo", rappresenta uno dei pannelli polifonici più rilevanti e
più caratteristici della produzione bachiana. Invocati dal testo, trombe (tre) e timpani prima e
archi dopo (con interventi intermedi di due coppie di flauti e di oboi), sono impegnati in un
gioco sfolgorante di effetti sonori e soggetto a simmetriche corrispondenze regolate dal numero
8 e dai suoi multipli. Un'introduzione di 32 battute, due esposizioni della prima quartina del testo
di 48 misure ciascuna (con soluzione corale prima accordale e poi in imitazione), separate da 8
battute di ritornello strumentale, concorrono a formare la sezione A; la sezione B (ultimo dittico
del testo) risulta formata da 64 battute, fra le quali 32 sono dedicate alla prima esposizione (in
forma fugata), 16 sono di ritornello strumentale e altre 16 coprono la seconda esposizione (in
stile omofono). Analoga "periodizzazione" sulla base del numero 8 governa il più breve coro
finale, pure costruito su sei versi: le 96 battute di cui esso consta comprendono due fasi di 48
battute ciascuna, all'interno delle quali si possono individuare tre sottofasi di 16 battute ognuna
(16 strumentali, 16 in stile fugato a 3 voci e 16 in stile omofono).

Uno stretto rapporto simbolico con i ruoli rivestiti dalle quattro divinità informa le tre arie e i
quattro recitativi. A Irene, dea della Pace, è affidato un solo recitativo (n. 2) per dichiarare che la
presente è un'occasione di festa e di splendore. Alla dea della Guerra (Bellona) Bach affida un
recitativo drammatico (n. 4) preceduto da un'incantevole aria (n. 3) sostenuta da una coppia di
flauti, gli strumenti nominati nel testo portatori di pace. A Pallade, protettrice delle Muse,
compete un'aria bipartita (n. 5) con un oboe d'amore mirabilmente lanciato, con una condotta
fortemente melismatica, a competere con i vocalizzi del contralto; il recitativo che la segue (n. 6)
è accompagnato dagli archi, mentre quello del basso (n. 8): è sostenuto dai legni, al quale basso,
personificazione della Fama, spetta un'aria (n. 7) con tromba e archi per celebrare in gran pompa
il trionfo della sovrana.

Alberto Basso

BWV 215 - Preise dein Glücke, gesegnetes Sachsen


https://www.youtube.com/watchv=v-Ea5TxZvjg

BWV 216 - Vergnügte Pleissenstadt (incompleta)


https://www.youtube.com/watchv=R2EiJzomyrA

BWV 216a - Erwählte Pleissenstadt


https://www.youtube.com/watchv=3mIDSGKoTys

BWV 217 - Gedenke, Herr, wie es uns gehet


https://www.youtube.com/watchv=0GR3j_vnqRQ

BWV 218 - Gott der Hoffnung erfülle euch


https://www.youtube.com/watchv=AJF9Io0mfDo

BWV 219 - Siehe, es hat überwunden der Loewe


https://www.youtube.com/watchv=8v4ZGN2etjk

BWV 220 - Lobt ihn mit Herz und Munde


https://www.youtube.com/watchv=LptdVrrjcqE

BWV 221 - Wer sucht die Pracht, wer wünscht den Glanz
https://www.youtube.com/watchv=Ho6Eg-WPGVg

BWV 222 - Mein Odem ist schwach (spuria, di Johann Ernst Bach)
https://www.youtube.com/watchv=fTkeW7DiiW8

BWV 223 - Meine Seele soll Gott loben (perduta)

BWV 224 - Reißt euch los, bedrängte Sinnen (breve frammento)


https://www.youtube.com/watchv=uHjbHDODoUE

BWV 1127-Alles mit Gott und nichts ohn' ihn (Tutto con Dio e niente senza di lui)
https://www.youtube.com/watchv=pTL0kupIJgE
https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Cantata1127-testo.html

Altre cantate
Vi sono altre cantate di questo compositore che sono state catalogate con altri numeri BWV
perché arrangiamenti o perché scoperte più tardi. Vi sono:

BWV 249a, Entfliehet, verschwindet, entweichet, ihr Sorgen: arrangiamento dell'Oratorio di


Pasqua

https://www.youtube.com/watchv=ztuiHFB3NdI

BWV 249b, Verjaget, zerstreuet, zerruttet, ihr Sterne: cantata per il compleanno del conte
Joachim Friederich von Flemming

Mottetti e composizioni liturgiche in latino

Mottetti

https://it.wikipedia.org/wiki/Mottetti_di_Johann_Sebastian_Bach

BWV 225 - Singet dem Herrn ein neues Lied

https://www.youtube.com/watchv=6aaESm5ySWU

Singet dem Herrn ein neues Lied (Cantate al Signore un nuovo cantico!), BWV 225
Mottetto in si bemolle maggiore per doppio coro a cappella

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Johann Poliander
Occasione: forse per il genetliaco di Friedrich August di Sassonia
Singet dem Herrn ein neues Lied
Coro in si bemolle maggiore per 2 cori
Lobet den Herrn in seinen Taten
Coro in mi bemolle maggiore per 1 coro
Alles, was Odem hat, lobe den Herrn
Coro in si bemolle maggiore per 2 cori
Riutilizzato nel "Pleni sunt coeli" del Sanctus della Messa, BWV 232

Organico: 2 cori misti senza accompagnamento


Composizione: 1726 - 1727
Prima esecuzione: forse Lipsia, Thomaskirche, 12 maggio 1727
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1802

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questa composizione è un mottetto su testo tedesco a cappella, per doppio coro a 8 voci, e
appartiene al periodo 1726-27. Il testo è ricavato per il primo coro doppio ("Singet dem Herrn
ein neues Lied") dal Salmo 149, 1-3; il corale "Wie sich ein Vater erbarmet" è di Johann
Gramann (1530); l'aria "Gott, nimm dich ferner unser an!" di anonimo; l'ultimo coro proviene
dal Salmo 150, 2, 6. Per una notizia di carattere generale ricordiamo che ai tempi di Bach il
mottetto era in disuso anche perché la cantata, o la Kirchenmusik, aveva preso un ruolo preciso
nella liturgia protestante. Quando poi nella pratica liturgica servivano dei mottetti, si ricorreva
più spesso a modelli antichi, soprattutto al Florilegium Portense di Bodenschatz (1603 e segg.),
ma in alcune occasioni se ne componevano anche di nuovi, ad esempio per i funerali di persone
importanti. Per quanto la forma sia a cappella, esistono alcuni casi di accompagnamento
strumentale anche in Bach. In genere i pochi mottetti che ci sono rimasti di Bach si differenziano
dai modelli del primo barocco per un problema soprattutto di dimensioni, poiché la differenza
fra mottetto e cantata rimane, nell'epoca bachiana, più un problema di destinazione dell'opera
che di forma.

Quello in programma è il primo dei sette mottetti pubblicati nel 1965 da Ameln. Per il carattere
giubilante dell'opera si è pensato che il mottetto fosse stato preparato per il Capodanno del 1727;
si tratta però di una ipotesi che non ha fondamento, come quella della celebrazione del
genetliaco della principessa Charlotte Friederica Wilhelmine di Anhalt-Cöthen. Possibile invece
che il destinatario sia stato il duca Friedrich August I, di passaggio a Lipsia. E' il mottetto più
elaborato, fra quelli bachiani, in modo particolare nei due doppi cori ("Singet dem Herrn" e
"Lobet der Herrn", in terza posizione), di una densa scrittura contrappuntistica. Nella parte
centrale ci sono il corale (solo II coro) e l'aria (solo I coro). In conclusione i due cori ancora
insieme sono protagonisti di una fuga a quattro voci, fino al coronamento dell'Alleluia.

Roberto Chiesa

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il mottetto è la forma più antica della musica polifonica europea. La sua storia inizia nel XII
secolo e si sviluppa senza interruzione fino ai nostri giorni, pur con i mutamenti dovuti alle
diverse epoche e alle varie scuole, come ad esempio quella fiamminga di Guillaume Dufay e
quella rinascimentale di Orlando di Lasso, di Palestrina e di Andrea e Giovanni Gabrieli. Nel
mottetto il contrappunto delle voci gioca un ruolo fondamentale per consentire al compositore
una sempre più completa aderenza al testo poetico. Nel Settecento il mottetto era un elemento
fisso dei servizi religiosi e veniva eseguito dopo il preludio d'organo introduttivo, mentre la
cantata, che era il pezzo musicale più importante, veniva inserita tra la lettura del Vangelo e la
predica. In quel periodo le voci erano esclusivamente bianche maschili, sostenute da un basso
continuo formato dall'organo e dagli archi bassi, come la viola da gamba e il violone. Per questa
sua specifica caratterizzazione l'esecuzione dei mottetti era riservata a sopranisti, contraltisti,
tenori e bassi di particolare qualità e timbro vocale. Lo stesso Bach mostrò interesse verso il
genere "mottetto"e ne scrisse molti di notevole valore espressivo e non destinati necessariamente
alla funzione religiosa. Infatti i mottetti bachiani furono composti per eventi speciali, secondo
quanto risulta agli studiosi della produzione del musicista di Eisenach.

Dei sei pervenutici (gli altri sono andati smarriti), il mottetto "Singet dem Herrn ein neues Lied"
fu composto probabilmente per la Messa di Capodanno del 1746, che fu celebrata in modo
festoso per via del trattato di pace di Dresda, stipulato pochi giorni prima tra la Prussia e
l'Austria. Gli altri cinque mottetti furono scritti tra il 1723 e il 1729, nello stesso arco di tempo
nel quale furono elaborate molte Cantate sacre e le grandi Passioni. Nei mottetti bachiani non ci
sono arie, duetti e parti strumentali obbligate; d'altra parte è presente la forma dell'aria con il da
capo, che è la più italianizzante fra quelle entrate nei generi sacri e profani della musica tedesca
e di altri paesi. L'elemento fondamentale e coagulante del mottetto di Bach è la melodia di corale
in una struttura polifonica di ampia articolazione e arricchita da episodi fugati o da vere e proprie
fughe.

Questo mottetto risponde a questa ricchezza polifonica, unita ad una fresca ispirazione melodica
che a suo tempo fu ammirata dallo stesso Mozart durante una visita nel 1789 alla Thomasschule
di Lipsia, come ha lasciato scritto un testimone oculare, l'allora scolaro della Thomasschule
Friedrich Rochlitz. Mozart esaminò con cura le parti delle voci, si rese conto dell'invenzione
bachiana e poi chiese una copia dei mottetti.

Il mottetto "Singet dem Herrn ein neues Lied" è destinato a due cori distinti a quattro voci. La
vasta pagina si innerva intorno al nucleo centrale, costituito da un Corale a quattro voci affidato
al secondo Coro mentre il primo Coro inserisce, nelle lunghe pause fra un versetto e l'altro, delle
ricche variazioni contrappuntistiche. Il Corale è preceduto da un grande coro che sfrutta
abilmente e grandiosamente gli effetti di imitazione fra i due Cori, riunendo poi questi in una
fuga spettacolare.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Del Mottetto Singet dem Herrn ein neues Lied non si conoscono né la data né le circostanze in
cui fu composto. Recenti ricerche, in base anche all'esame della carta dell'autografo bachiano, lo
farebbero risalire al Capodanno 1727, o più probabilmente alle cerimonie solenni con cui
l'Università e il Consiglio cittadini festeggiarono il 12 maggio 1727 il compleanno del re
Augusto di Sassonia, giunto a Lipsia per presenziare a una Messa di ringraziamento dopo esser
stato gravemente ammalato. Il lavoro, per doppio coro a quattro parti, è articolato in tre sezioni.
La prima è un ampio e vigoroso inno di lode, sui primi tre versetti del Salmo 149. La seconda, di
tono più profondo e meditativo, è costruita in modo abbastanza inconsueto: al primo dei due cori
è affidata l'«Aria» Gott, nimm dichferner unser an, su testo di autore ignoto, mentre al secondo
tocca intonare una strofa (Wie sich ein Vater erbarmet) dal corale Nun lob, mein Seel, den Herrn
di Johann Gramann; due testi poetici e musicali diversi, che si intarsiano e sovrappongono con
solido magistero. La terza sezione è a sua volta suddivisa in due parti, basate rispettivamente sul
secondo e sul sesto versetto del Salmo 150: torna lo spirito giubilante dell'inizio, dapprima su
movenze quasi di danza, poi in una imponente fuga a quattro sulle stesse parole di lode (Alles
was odem hat, lobe den Herrn) che più di cent'anni dopo Mendelssohn avrebbe impiegato in
quella grandiosa celebrazione romantica della religiosità tedesca che è il Lobgesang: la
realizzazione musicale ricorda in qualche cosa la fuga al Sanctus nella assai più tarda Messa in si
minore.

Daniele Spini

BWV 226 - Der Geist hilft unser Schwachheit auf

https://www.youtube.com/watchv=tqubzmSF2Qg

Der Geist hilft unsrer Schwachheit auf, BWV 226


Mottetto in si bemolle maggiore per due cori e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Martin Lutero
Occasione: commemorazione funebre del professore e rettore Johann August Ernest I

Der Geist hilft unsrer Schwachheit auf


Coro in si bemolle maggiore per 2 cori
Der aber die Hersen forschet, der weiss
Coro in si bemolle maggiore per 2 cori
Du heilige Brunst, süsser Trost
Corale in si bemolle maggiore per 2 cori

Organico: 2 cori misti, 2 oboi, oboe da caccia, fagotto, 2 violini, viola, violoncello, violone,
basso continuo
Composizione: Lipsia, 1729
Prima esecuzione: Lipsia, Paulinerkirche, 24 ottobre 1729
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1803

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il mottetto è la forma più antica della musica polifonica europea. La sua storia inizia nel XII
secolo e si sviluppa senza interruzione fino ai nostri giorni, pur con i mutamenti dovuti alle
diverse epoche e alle varie scuole, come ad esempio quella fiamminga di Guillaume Dufay e
quella rinascimentale di Orlando di Lasso, di Palestrina e di Andrea e Giovanni Gabrieli. Nel
mottetto il contrappunto delle voci gioca un ruolo fondamentale per consentire al compositore
una sempre più completa aderenza al testo poetico. Nel Settecento il mottetto era un elemento
fisso dei servizi religiosi e veniva eseguito dopo il preludio d'organo introduttivo, mentre la
cantata, che era il pezzo musicale più importante, veniva inserita tra la lettura del Vangelo e la
predica. In quel periodo le voci erano esclusivamente bianche maschili, sostenute da un basso
continuo formato dall'organo e dagli archi bassi, come la viola da gamba e il violone. Per questa
sua specifica caratterizzazione l'esecuzione dei mottetti era riservata a sopranisti, contraltisti,
tenori e bassi di particolare qualità e timbro vocale. Lo stesso Bach mostrò interesse verso il
genere "mottetto"e ne scrisse molti di notevole valore espressivo e non destinati necessariamente
alla funzione religiosa. Infatti i mottetti bachiani furono composti per eventi speciali, secondo
quanto risulta agli studiosi della produzione del musicista di Eisenach.

Dei sei pervenutici (gli altri sono andati smarriti), il mottetto "Singet dem Herrn ein neues Lied"
fu composto probabilmente per la Messa di Capodanno del 1746, che fu celebrata in modo
festoso per via del trattato di pace di Dresda, stipulato pochi giorni prima tra la Prussia e
l'Austria. Gli altri cinque mottetti furono scritti tra il 1723 e il 1729, nello stesso arco di tempo
nel quale furono elaborate molte Cantate sacre e le grandi Passioni. Nei mottetti bachiani non ci
sono arie, duetti e parti strumentali obbligate; d'altra parte è presente la forma dell'aria con il da
capo, che è la più italianizzante fra quelle entrate nei generi sacri e profani della musica tedesca
e di altri paesi. L'elemento fondamentale e coagulante del mottetto di Bach è la melodia di corale
in una struttura polifonica di ampia articolazione e arricchita da episodi fugati o da vere e proprie
fughe.

Questo mottetto risponde a questa ricchezza polifonica, unita ad una fresca ispirazione melodica
che a suo tempo fu ammirata dallo stesso Mozart durante una visita nel 1789 alla Thomasschule
di Lipsia, come ha lasciato scritto un testimone oculare, l'allora scolaro della Thomasschule
Friedrich Rochlitz. Mozart esaminò con cura le parti delle voci, si rese conto dell'invenzione
bachiana e poi chiese una copia dei mottetti.

Del mottetto "Der Geist hilft unserer Schwachheit auf" si conosce la data precisa perché una
nota, sulla copertina che racchiude le parti autografe, informa che l'opera fu eseguita nella
Chiesa Universitaria di San Paolo il 24 ottobre del 1729 durante l'ufficio funebre del Rettore
Ernst I.

La formulazione strutturale di questo mottetto è analoga a quella già esaminata nel precedente
[vedi BWV 225, n.d.r.] con il Corale come ultimo brano.

Questo grande mottetto è storicamente molto importante perché la partitura autografa mostra -
oltre alle parti per canto - le parti per 9 strumenti, destinati a sostenere e raddoppiare le parti del
canto, e un basso numerato per organo, come una specie di compromesso tra i bassi dei due Cori.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo la morte di Johann Sebastian Bach (1685-1750), la maggior parte delle sue opere sacre fu
pressoché dimenticata e dovette attendere l'avvento del romanticismo per essere almeno in parte
riscoperta. Solo i Mottetti continuarono ad essere eseguiti e conosciuti, durante tutto il
Settecento, in forza di una tradizione che assegnava ancora un ruolo importante alla pratica dei
cosiddetti Sonnabend-Motetten, ovvero ai mottetti che si intonavano nei Vespri del sabato, ma
anche in virtù della particolare concezione stilistica che unisce in quelli composti da Bach la più
rigorosa disciplina contrappuntistica a una spiccata cura per la melodia, generando una
straordinaria fusione di stile antico e gusto "moderno". Nel Settecento, i Mottetti divennero così
uno dei pochi punti di riferimento per coloro che intendessero studiare l'opera vocale di Bach, e
non sorprende il fatto che all'inizio dell'Ottocento, in coincidenza con la sistematica rinascita
dell'interesse per Bach, i Mottetti figurassero come la prima serie di opere vocali ad essere
pubblicata in partitura, nel 1803, a cura di Johann Gottfried Schicht, per l'editore Breitkopf &
Härtel di Lipsia.

Durante la sua vita Bach non si era dedicato con particolare assiduità a questo genere musicale,
in quel tempo l'eredità più importante dell'antica tradizione sacra. Secondo una prassi ormai ben
consolidata, infatti, gli usi correnti della liturgia venivano soddisfatti facendo ricorso a una serie
di antichi repertori, dai quali si traevano i brani che dovevano essere eseguiti tutte le domeniche,
all'Introito e alla Comunione, nei Vespri e in alcune delle occasioni celebrative minori. A Bach,
che in qualità di Kantor della chiesa di San Tommaso era responsabile delle esecuzioni musicali
in ciascuna di queste occasioni, non restava di norma che scegliere fra gli antichi mottetti
riportati nel Florilegium Portense, un repertorio del 1618 compilato da Erhard Bodenschatz,
oppure nel Neu Leipziger Gesangbuch realizzato nel 1682 da Gottfried Vopelius, al quale Bach
avrebbe attinto anche per i temi di numerosi corali. Da queste raccolte venivano tratte opere di
antichi maestri italiani e tedeschi, con la tendenza a favorire sempre più nella scelta i mottetti
che questi ultimi avevano composto su testi in tedesco, ricavati a loro volta dai salmi, da passi
biblici in genere o dalla poesia sacra originale, quella dei cosiddetti Kirchenlieder. Il dovere di
comporre brani originali si limitava dunque per Bach a poche occasioni, nelle quali egli poteva
disporre oltretutto di un coro molto più ampio di quello corrente. E' dunque comprensibile che il
catalogo delle opere bachiahe si riveli piuttosto avaro nel caso dei Mottetti. Le prime
testimonianze storiche riferiscono di un corpus costituito complessivamente da undici lavori
soltanto, alcuni dei quali a doppio coro. Gli studi più aggiornati limitano invece ad otto il
numero complessivo dei mottetti giudicati autentici, sei dei quali fanno parte della serie
pubblicata da Schicht nel 1803.

Nonostante il numero relativamente esiguo dei mottetti effettivamente composti da Bach,


l'interesse del musicista per questo genere musicale si riflette in molte altre sue opere, nelle quali
o si trovano impiegati gli stessi principi di organizzazione del materiale musicale che sono tipici
del mottetto, o viceversa si rintracciano esempi di scrittura che Bach avrebbe poi riutilizzato nei
Mottetti. Si può dire anzi che l'intima unità e l'originalità della concezione di questi brani
dipendano in gran parte proprio dallo stretto legame con il resto della produzione vocale,
bachiana. Se si pensa infatti ai modelli del cosiddetto Stylus antiquus di ascendenza
palestriniana, ai florilegi del contrappunto fiammingo o al ricco interscambio delle masse corali
proveniente dall'antica scuola veneziana, l'influenza dello stile mottettistico si può riscontrare
nella grande Messa in si minore BWV 232 e in numerosi altri brani minori. Se però si considera
la struttura interna dei mottetti bachiani, la loro articolazione formale spesso simile a quella di
una successione di "movimenti", talvolta realizzati con opzioni linguistiche ed espressive
differenti, allora non si può disconoscere neppure l'influenza esercitata su queste opere dal
grande lavoro di ricerca compiuto da Bach nelle sue Cantate. Qui la fusione di una logica
compositiva arcaica e di uno spirito drammatico piuttosto accentuato aveva portato Bach alla
creazione di un organismo sonoro complesso, capace di accogliere in sé spinte e motivazioni
diverse, senza nulla perdere della propria coesione costruttiva. Ora lo stesso avviene nei Mottetti,
nei quali anzi la più chiara riconoscibilità di un'impostazione stilistica rivolta verso un modello
antico, consente all'autore un uso particolarmente intenso del contrappunto, coniugato con quella
«impressionante invenzione di figure» che - secondo il parere del musicologo Alberto Basso - ha
reso i Mottetti di Bach «le più stupefacenti creazioni nel campo della polifonia vocale» del suo
tempo. Il profondo rapporto con il genere della cantata, sottolineato già dai primi studiosi
dell'opera di Bach, ha impresso alla pratica del Mottetto una svolta dinamica: il corso di queste
composizioni è diventato infatti con Bach più vario e accidentato, trasformando anche la
semplice variazione dei movimenti e della struttura ritmica in un elemento portante dell'intero
edificio musicale.

Fino a poco tempo fa, sulla scorta di una visione fortemente idealizzata della musica vocale sei e
settecentesca, era comune l'esecuzione dei Mottetti di Bach con il solo coro a cappella, cioè
privo di accompagnamento strumentale. Oggi è invece attestata la più verosimile pratica di
accompagnare l'esecuzione con uno strumento che realizzi il basso continuo (organo o
clavicembalo, eventualmente sostenuti dal violone) e con strumenti ad arco che raddoppiano la
linea delle voci procedendo, come si suol dire, «colla parte». Le partiture autografe e le più
antiche testimonianze a riguardo attestano esplicitamente l'uso degli strumenti solo nel caso dei
Mottetti Ber Geist hilft BWV 226 e Fürchte dich nicht BWV 228, anche se in questo è possibile
che gli archi siano stati aggiunti da uno dei figli di Bach, Carl Philipp Emanuel. Anche negli altri
casi, tuttavia, è attendibile l'ipotesi che stabilisce comunque l'intervento di un accompagnamento
che all'epoca di Bach poteva anche non essere esplicitamente indicato, poiché dipendeva più
dalle circostanze dell'esecuzione e dagli organici che si avevano effettivamente a disposizione,
che non da una rigida regola di comportamento.

Der Geist Hilft unserer Schwachheit BWV 226 è un mottetto ad otto voci divise in due cori ed è
l'unico che preveda espressamente l'impiego di un gruppo di legni (2 oboi, taille e fagotto) in
raddoppio del primo coro. E' stato composto in occasione del servizio funebre per il rettore della
scuola di San Tommaso Johann Heinrich Ernesti ed eseguito pochi giorni dopo la sua morte,
nell'ottobre del 1729. Il testo è basato su due versetti della Lettera ai Romani (8, 26-27) e su un
corale di Lutero, Komm, Heilinger Geist, Herre Gott. L'inizio ha un carattere concertistico e
riproduce la tipica spezzatura delle frasi di un doppio coro, mentre la parte successiva -
corrispondente al secondo versetto - prevede la riunione dei cori in un passaggio di tipico gusto
tardo rinascimentale. Il finale è basato semplicemente sull'armonizzazione del corale.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Un'annotazione sulla coperta che racchiude le parti autografe, ci informa che il Mottetto Der
Geist hilft unsrer Schwachheit auf (Lo Spirito soccorre la nostra debolezza) fu composto «per il
servizio funebre del defunto Professore e Rettore Ernesti». Oltre che rettore della scuola di San
Tommaso (e in questa veste si era trovato a dare a Bach parecchie noie, per la verità), Johann
Heinrich Ernesti era stato professore di poesia all'Università di Lipsia, che volle commemorarlo
il 24 ottobre 1729 con solenni funerali accademici: come Kantor di San Tommaso Bach era
tenuto a provvedere anche alle funzioni religiose dell'Università, e fu dunque incaricato di
comporre un Mottetto adatto alla circostanza. Come abbiamo già detto, ci sono rimaste le parti
dell'accompagnamento strumentale di questo Mottetto, che ebbe un'esecuzione particolarmente
grandiosa: al coro dei «Thomaner» si unirono nella Paulinerkirche, annessa all'Università, i
musici del senato accademico. Le parti strumentali hanno lo scopo di rinforzare e arricchire
timbricamente quelle dei due cori: gli archi accompagnando il primo di essi, i legni (due oboi,
oboe da caccia e fagotto) il secondo, mentre un basso numerato affidato all'organo funge da
sostegno al tutto, realizzando un compromesso fra i bassi del primo e del secondo coro. I
successori di Bach peraltro lo eseguirono sempre con le sole voci. La prima parte del Mottetto è
un doppio coro, basato sul versetto 26 dell'ottavo capitolo dell'Epistola ai Romani; il versetto
successivo è viceversa realizzato in una rigorosa fuga a quattro voci. Il Mottetto, che Albert
Schweitzer considerò «l'espressione più pura e completa del misticismo del maestro» si conclude
con un corale: la melodia è quella Komm, heiliger Geist, Herre Gott, il testo è dato dalla terza
strofa dell'inno di Pentecoste scritto da Lutero nel 1524.

Daniele Spini
Testo

Der Geist hilft unsrer Schwachheit auf,


denn wir wissen nicht, was wir beten sollen,
wie sich's gebühret; sondern der Geist selbst
vertritt uns aufs beste mit unaussprechlichem
Seufzen.
Der aber die Herzen forschet, der weiss,
was des Geistes Sinn sei,
denn er vertritt die Heiligen nach dem,
das Gott gefället.

Du heilige Brunst, süsser Trost,


nun hilf uns frölich und getrost
in dein'm Dienst veständig bleiben,
Die Trübsal uns nicht abtreiben.
O Herr, durch dein Kraft uns bereit
und stärk des Fleisches Blödigkeit,
dass wir hier ritterlich ringen,
durch Tod und Leben zu dir dringen,
Halleluja, halleluja.

Lo spirito viene in aiuto alla nostra debolezza,


perché noi non sappiamo cosa dobbiamo chiedere
nelle nostre preghiere; ma lo Spirito stesso
intercede al meglio per noi con ineffabile
sospiro.
Ma colui che sa scrutare nei cuori, sa
qual'è il pensiero dello Spirito,
poiché intercede per i Santi, secondo
il volere di Dio.

O santo fervore, dolce conforto,


aiutaci ora a restare con gioia e fiducia
sempre, costantemente al tuo servizio,
per non deflettere per la tristezza.
0 Signore, con la forza tua preparaci
e rinvigorisci la debolezza della nostra carne,
affinché si possa su questa terra validamente lottare,
per raggiungere te attraverso la morte e la vita.
Alleluia, alleluia.

BWV 227 - Jesu, meine Freude

https://www.youtube.com/watchv=a4SKrGYMp7A

Jesu, meine Freude, BWV 227


Mottetto in mi minore per coro a cappella

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Johann Franck dalla Bibbia
Occasione: probabilmente per la cerimonia commemorativa in onore di Johanna Maria Kees

Jesu, meine Freude


Corale in mi minore per coro misto
Er ist nun nichts
Corale in mi minore per coro misto
Unter deinen Schirmen bin ich vor den Sturmen
Corale in mi minore per coro misto
Denn das Gesetz des Geistes, das da lebendig macht
Corale in mi minore per coro femminile
Trotz, trotz dem alten Drachen
Corale in mi minore per coro misto
Ihr aber seid nicht fleischlich
Coro in mi minore per coro misto
Weg mit allen Schätzen
Corale in mi minore per coro misto
So aber Christus in euch ist
Coro in do maggiore per coro misto
Gute Nacht, o Wesen
Coro in la minore per coro misto
So nun der Geist dess, der Jesum von den Toten auferweckt hat
Coro in mi minore per coro misto
Weicht, ihr Trauergeister
Corale in mi minore per coro misto

Organico: coro misto senza accompagnamento


Composizione: Lipsia, 1723
Prima esecuzione: Lipsia, Nikolaikirche, 18 luglio 1723
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1803

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Il mottetto è la forma più antica della musica polifonica europea. La sua storia inizia nel XII
secolo e si sviluppa senza interruzione fino ai nostri giorni, pur con i mutamenti dovuti alle
diverse epoche e alle varie scuole, come ad esempio quella fiamminga di Guillaume Dufay e
quella rinascimentale di Orlando di Lasso, di Palestrina e di Andrea e Giovanni Gabrieli. Nel
mottetto il contrappunto delle voci gioca un ruolo fondamentale per consentire al compositore
una sempre più completa aderenza al testo poetico. Nel Settecento il mottetto era un elemento
fisso dei servizi religiosi e veniva eseguito dopo il preludio d'organo introduttivo, mentre la
cantata, che era il pezzo musicale più importante, veniva inserita tra la lettura del Vangelo e la
predica. In quel periodo le voci erano esclusivamente bianche maschili, sostenute da un basso
continuo formato dall'organo e dagli archi bassi, come la viola da gamba e il violone. Per questa
sua specifica caratterizzazione l'esecuzione dei mottetti era riservata a sopranisti, contraltisti,
tenori e bassi di particolare qualità e timbro vocale. Lo stesso Bach mostrò interesse verso il
genere "mottetto"e ne scrisse molti di notevole valore espressivo e non destinati necessariamente
alla funzione religiosa. Infatti i mottetti bachiani furono composti per eventi speciali, secondo
quanto risulta agli studiosi della produzione del musicista di Eisenach.

Dei sei pervenutici (gli altri sono andati smarriti), il mottetto "Singet dem Herrn ein neues Lied"
fu composto probabilmente per la Messa di Capodanno del 1746, che fu celebrata in modo
festoso per via del trattato di pace di Dresda, stipulato pochi giorni prima tra la Prussia e
l'Austria. Gli altri cinque mottetti furono scritti tra il 1723 e il 1729, nello stesso arco di tempo
nel quale furono elaborate molte Cantate sacre e le grandi Passioni. Nei mottetti bachiani non ci
sono arie, duetti e parti strumentali obbligate; d'altra parte è presente la forma dell'aria con il da
capo, che è la più italianizzante fra quelle entrate nei generi sacri e profani della musica tedesca
e di altri paesi. L'elemento fondamentale e coagulante del mottetto di Bach è la melodia di corale
in una struttura polifonica di ampia articolazione e arricchita da episodi fugati o da vere e proprie
fughe.

Questo mottetto risponde a questa ricchezza polifonica, unita ad una fresca ispirazione melodica
che a suo tempo fu ammirata dallo stesso Mozart durante una visita nel 1789 alla Thomasschule
di Lipsia, come ha lasciato scritto un testimone oculare, l'allora scolaro della Thomasschule
Friedrich Rochlitz. Mozart esaminò con cura le parti delle voci, si rese conto dell'invenzione
bachiana e poi chiese una copia dei mottetti.

Il testo del mottetto "]esu, meine Freude" secondo Albert Schweitzer costituisce una vera opera
d'arte anche dal punto di vista letterario; esso è composto dalle diverse strofe dell'omonimo
Corale mistico di Johann Franck tra le quali Bach, con arte sapiente, ha intercalato alcuni versetti
dell'VIII capitolo dell'Epistola ai Romani di San Paolo, il primo grande frutto della nuova
letteratura mistica cristiana.

Un'analisi di Rescigno sottolinea che questo mottetto può essere considerato come una grande
variazione sul tema del Corale omonimo che, nella sua classica formulazione a 4 voci, è presente
all'inizio e alla fine del brano, e torna all'interno della composizione altre due volte, con lieve
arricchimento melodico.

Fra queste, che possono essere considerate le colonne portanti della composizione, si inseriscono
altri sette episodi che sviluppano in forma libera altri versetti del Corale.
Si succedono così il coro a 5 voci, che si svolge in forma accordale e ad imitazioni, l'episodio a 3
voci che si ispira alla tecnica della Sonata a due, un altro coro a 5 voci in stile accordale, una
grande fuga a 5 voci, un passo a 3 voci che sembra un duetto col basso continuo, un episodio a 4
voci costruito come un Corale strumentale con canto fermo all'alto, infine un altro coro
accordale a 5 voci.

Questa costruzione a episodi di carattere contrastante disposti intorno al nucleo portante del
corale, richiama chiaramente la forma della cantata, con le sue alternanze di corali, arie, duetti,
recitativi, grandi cori.

Anche se il mottetto ha subito profonde trasformazioni stilistiche, nel corso dei secoli, come del
resto la musica vocale e quella strumentale, non c'è dubbio che i mottetti di Bach costituiscano
un punto fermo nel cammino dell'arte polifonica occidentale.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo la morte di Johann Sebastian Bach (1685-1750), la maggior parte delle sue opere sacre fu
pressoché dimenticata e dovette attendere l'avvento del romanticismo per essere almeno in parte
riscoperta. Solo i Mottetti continuarono ad essere eseguiti e conosciuti, durante tutto il
Settecento, in forza di una tradizione che assegnava ancora un ruolo importante alla pratica dei
cosiddetti Sonnabend-Motetten, ovvero ai mottetti che si intonavano nei Vespri del sabato, ma
anche in virtù della particolare concezione stilistica che unisce in quelli composti da Bach la più
rigorosa disciplina contrappuntistica a una spiccata cura per la melodia, generando una
straordinaria fusione di stile antico e gusto "moderno". Nel Settecento, i Mottetti divennero così
uno dei pochi punti di riferimento per coloro che intendessero studiare l'opera vocale di Bach, e
non sorprende il fatto che all'inizio dell'Ottocento, in coincidenza con la sistematica rinascita
dell'interesse per Bach, i Mottetti figurassero come la prima serie di opere vocali ad essere
pubblicata in partitura, nel 1803, a cura di Johann Gottfried Schicht, per l'editore Breitkopf &
Härtel di Lipsia.

Durante la sua vita Bach non si era dedicato con particolare assiduità a questo genere musicale,
in quel tempo l'eredità più importante dell'antica tradizione sacra. Secondo una prassi ormai ben
consolidata, infatti, gli usi correnti della liturgia venivano soddisfatti facendo ricorso a una serie
di antichi repertori, dai quali si traevano i brani che dovevano essere eseguiti tutte le domeniche,
all'Introito e alla Comunione, nei Vespri e in alcune delle occasioni celebrative minori. A Bach,
che in qualità di Kantor della chiesa di San Tommaso era responsabile delle esecuzioni musicali
in ciascuna di queste occasioni, non restava di norma che scegliere fra gli antichi mottetti
riportati nel Florilegium Portense, un repertorio del 1618 compilato da Erhard Bodenschatz,
oppure nel Neu Leipziger Gesangbuch realizzato nel 1682 da Gottfried Vopelius, al quale Bach
avrebbe attinto anche per i temi di numerosi corali. Da queste raccolte venivano tratte opere di
antichi maestri italiani e tedeschi, con la tendenza a favorire sempre più nella scelta i mottetti
che questi ultimi avevano composto su testi in tedesco, ricavati a loro volta dai salmi, da passi
biblici in genere o dalla poesia sacra originale, quella dei cosiddetti Kirchenlieder. Il dovere di
comporre brani originali si limitava dunque per Bach a poche occasioni, nelle quali egli poteva
disporre oltretutto di un coro molto più ampio di quello corrente. E' dunque comprensibile che il
catalogo delle opere bachiahe si riveli piuttosto avaro nel caso dei Mottetti. Le prime
testimonianze storiche riferiscono di un corpus costituito complessivamente da undici lavori
soltanto, alcuni dei quali a doppio coro. Gli studi più aggiornati limitano invece ad otto il
numero complessivo dei mottetti giudicati autentici, sei dei quali fanno parte della serie
pubblicata da Schicht nel 1803.

Nonostante il numero relativamente esiguo dei mottetti effettivamente composti da Bach,


l'interesse del musicista per questo genere musicale si riflette in molte altre sue opere, nelle quali
o si trovano impiegati gli stessi principi di organizzazione del materiale musicale che sono tipici
del mottetto, o viceversa si rintracciano esempi di scrittura che Bach avrebbe poi riutilizzato nei
Mottetti. Si può dire anzi che l'intima unità e l'originalità della concezione di questi brani
dipendano in gran parte proprio dallo stretto legame con il resto della produzione vocale,
bachiana. Se si pensa infatti ai modelli del cosiddetto Stylus antiquus di ascendenza
palestriniana, ai florilegi del contrappunto fiammingo o al ricco interscambio delle masse corali
proveniente dall'antica scuola veneziana, l'influenza dello stile mottettistico si può riscontrare
nella grande Messa in si minore BWV 232 e in numerosi altri brani minori. Se però si considera
la struttura interna dei mottetti bachiani, la loro articolazione formale spesso simile a quella di
una successione di "movimenti", talvolta realizzati con opzioni linguistiche ed espressive
differenti, allora non si può disconoscere neppure l'influenza esercitata su queste opere dal
grande lavoro di ricerca compiuto da Bach nelle sue Cantate. Qui la fusione di una logica
compositiva arcaica e di uno spirito drammatico piuttosto accentuato aveva portato Bach alla
creazione di un organismo sonoro complesso, capace di accogliere in sé spinte e motivazioni
diverse, senza nulla perdere della propria coesione costruttiva. Ora lo stesso avviene nei Mottetti,
nei quali anzi la più chiara riconoscibilità di un'impostazione stilistica rivolta verso un modello
antico, consente all'autore un uso particolarmente intenso del contrappunto, coniugato con quella
«impressionante invenzione di figure» che - secondo il parere del musicologo Alberto Basso - ha
reso i Mottetti di Bach «le più stupefacenti creazioni nel campo della polifonia vocale» del suo
tempo. Il profondo rapporto con il genere della cantata, sottolineato già dai primi studiosi
dell'opera di Bach, ha impresso alla pratica del Mottetto una svolta dinamica: il corso di queste
composizioni è diventato infatti con Bach più vario e accidentato, trasformando anche la
semplice variazione dei movimenti e della struttura ritmica in un elemento portante dell'intero
edificio musicale.

Fino a poco tempo fa, sulla scorta di una visione fortemente idealizzata della musica vocale sei e
settecentesca, era comune l'esecuzione dei Mottetti di Bach con il solo coro a cappella, cioè
privo di accompagnamento strumentale. Oggi è invece attestata la più verosimile pratica di
accompagnare l'esecuzione con uno strumento che realizzi il basso continuo (organo o
clavicembalo, eventualmente sostenuti dal violone) e con strumenti ad arco che raddoppiano la
linea delle voci procedendo, come si suol dire, «colla parte». Le partiture autografe e le più
antiche testimonianze a riguardo attestano esplicitamente l'uso degli strumenti solo nel caso dei
Mottetti Ber Geist hilft BWV 226 e Fürchte dich nicht BWV 228, anche se in questo è possibile
che gli archi siano stati aggiunti da uno dei figli di Bach, Carl Philipp Emanuel. Anche negli altri
casi, tuttavia, è attendibile l'ipotesi che stabilisce comunque l'intervento di un accompagnamento
che all'epoca di Bach poteva anche non essere esplicitamente indicato, poiché dipendeva più
dalle circostanze dell'esecuzione e dagli organici che si avevano effettivamente a disposizione,
che non da una rigida regola di comportamento.

Jesu, meine Freude BWV 227 con la sua suddivisione in undici movimenti, è particolarmente
indicativo. Le singole parti del mottetto sono trattate secondo uno stile diverso e con un numero
variabile di voci (da tre a cinque), ma dominato da una simmetria che ricorda quella delle
Cantate più impegnative. La corrispondenza dei "movimenti" procede per coppie estreme:
l'apertura e la chiusura sono identiche; il secondo e il decimo "movimento" impiegano lo stesso
materiale melodico; il terzo e il nono hanno un andamento corrispondente... Il "movimento"
centrale, il sesto, è una fuga a cinque voci di chiara impostazione organistica. Si tratta dunque di
un Mottetto che riunisce diverse fonti di ispirazione musicale e che rinnova la struttura
tradizionale della composizione, senza dimenticare il rigore e la densità della sua fibra
contrappuntistica. Il testo è costituito da un brano di poesia madrigalistica, un Kirchenlied di
Johann Franck del 1650, combinati con cinque versi della Lettera di San Paolo ai Romani (cap.
8, 1-2 e 9-11). Bach accosta in questo mottetto una serie continua di invenzioni, riportate
all'unità sia dalla simmetria della struttura, sia dal ripetersi in quattro differenti fasi -
precisamente nei movimenti n. 1, 3, 7 e 11 - del tema del corale che gli altri "movimenti"
presenteranno in modo opportunamente variato. Fu eseguito per la prima volta il 18 luglio 1723
per la commemorazione di Johanna Maria Rappold, figlia del rettore della Nicolaischule di
Lipsia.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Jesu, Meine Freude fu composto con tutta probabilità per il servizio funebre in memoria di «Frau
Oberpostmeisterin Käsin», tenuto il 18 luglio 1723 nella chiesa di San Nicola: si tratterebbe
dunque del più antico Mottetto bachiano rimastoci. Testo del sermone funebre per la moglie del
direttore delle poste fu l'undicesimo versetto dell'ottavo capitolo dell'Epistola ai Romani. Da
quello stesso capitolo Bach trasse i versetti che alternò, con sagace e solido intuito formale, alle
sei strofe dell'antico corale di Johann Crüger che dà il nome al Mottetto, e i cui testi si debbono a
Johann Franck. Il versetto biblico che segue la terza strofa del corale, Ihr aber seid nicht
fleischlich, dà occasione a una grandiosa fuga a cinque voci, che costituisce l'asse intorno al
quale ruota la simmetrica struttura del Mottetto; gli altri quattro versetti incastonati fra le strofe,
abbellite di semplici figurazioni, del corale di Crüger, alternano l'impianto contrappuntistico
all'efficace dizione omofonica di una sorta di incisivo recitativo corale. «Una vera opera d'arte»,
nota Schweitzer, anche dal punto di vista letterario [...]. Sembra quasi che prima d'ora ogni strofa
e ogni versetto biblico abbiano tenuto nascosta in sé una meravigliosa vita potenziale e
inespressa, che solo attraverso le armonie di Bach si rivela finalmente in tutta la sua bellezza».

Daniele Spini

Testo

Jesu, meine Freude,


meines Herzens, Weide,
Jesu meine Zier.
Ach wie lang, ach lange
ist dem Herzen bange
und verlangt nach dir.
Gottes Lamm, mein Bräutigam,
ausser dir soll mir auf Erden
nichts sonst Liebers werden.

Es ist nun nichts Verdammliches an denen


die in Christo Jesu sind,
die nicht nach dem Fleische wandeln,
sondern nach dem Geist.

Unter deinen Schirmen


bin ich vor den Stürmen
aller Feinde frei.
Lass dein Satan wittern,
lass den Feind erbittern,
mir steht Jesus bei.
Ob es jetzt gleich kracht und blitzt,
ob gleich Sünd und Hölle schrecken;
Jesus will mich decken.

Denn das Gesetz des Geistes,


der da lebendig machet in Christo Jesu,
Hat mich frei gemacht von dem Gesetz
der Sünde und des Todes.

Trotz dem alten Drachen,


Trotz des Todes Rachen,
Trotz der Furcht dazu.
Tobe, Welt, und springe;
ich steh hier und singe
in gar sichrer Ruh.
Gottes Macht hält mich acht;
Erd und Abgrund muss verstummen
ob sie noch so brummen.

Ihr aber seid nicht fleischlich,


sondern geistlich, so anders Gottes Geist
in euch wohnet. Wer aber Christi Geist
nicht hat, der ist nicht sein.

Weg mit allen Schätzen,


du bist mein Ergötzen,
Jesu, meine Lust.
Weg, ihr eiden Ehren,
ich mag euch nicht hören,
bleibt mir unbewusst.
Elend, Not Kreuz, Schmach und Tod
soll mich, ob ich viel muss leiden,
nicht von Jesu scheiden.
So aber Christus in euch ist,
so ist der Leib zwar tot um der Sünde willen;
der Geist aber ist das Leben
um der Gerechtigkeit willen.

Gute Nacht, o Wesen,


das die Welt erlesen,
mir gefällst du nicht.
Gute Nacht, ihr Sünden,
bleibet weit dahinten,
kommt nicht mehr ans Licht.
Gute Nacht, du Stolz und Pracht.
Dir sei ganz, du Lasterleben,
gute Nacht gegeben.

So nun der Geist des, der Jesum


von den Toten auferwecket hat,
in euch wohnet, so wird auch derselbige,
der Christum von den Toten auferwecket
hat, eure sterblichen Leiber lebendig
machen, um des willen, dass sein Geist in
euch wohnet.

Weicht, ihr Trauergeister,


denn mein Freudenmeister,
Jesus, tritt herein.
Denen, die Gott lieben,
muss auch ihr Betrüben
lauter Freude sein.
Duld' ich schon hier Spott und Hohn,
dennoch bleibst du auch im Leide,
Jesu meine Freude.

Gesù mia gioia,


diletto del mio cuore,
Gesù mia gloria.
Ah da quanto tempo, quanto tempo
il mio cuore è inquieto
e aspira a te.
Agnello di Dio, mio promesso sposo,
al di fuori di te sulla terra
nulla potrà essermi più caro.

Al momento presente non vi è alcuna condanna


per quanti sono in Gesù Cristo,
per quanti procedono non seguendo la carne,
ma seguendo lo spirito.
Sotto il tuo scudo protettivo
son io indenne da tutte le tempeste
di tutti i nemici.
Lascia che Satana s'adiri
che il nemico s'esasperi,
dal momento che Gesù mi assiste.
Anche se or subito fulmina e tuona,
anche se il peccato e l'inferno mi terrorizzano,
Gesù vuole proteggermi.

Poiché la legge dello Spirito,


che dà vita in Gesù Cristo,
mi ha reso libero dalla legge
del peccato e della morte.

Nonostante l'antico drago


nonostante il ghigno della morte,
nonostante ogni timore
pur se il mondo s'annulli e vada in frantumi,
io resto qui e canto
nella tranquillità più assoluta.
ha potenza di Dio mi tiene in guardia;
la terra e l'abisso sotterraneo devono tacere
per quanto mai possano voler gridare.

Quanto a voi, che non vivete secondo la carne,


ma vivete secondo lo spirito, soltanto così lo spirito di Dio
abita in voi. Chi però lo spirito di Cristo
non possiede, non è una sua creatura.

Lungi da me tutti i tesori


prché sei tu, il mio desiderio,
o Gesù, il mio diletto.
Lungi da me, voi, vani onori,
possa io non ascoltar la vostra voce,
restate a me ignoti.
Qualunque sia la mia sofferenza, miseria, croce, umiliazione e morte
qualunque sia la mia pena,
non potrei mai separarmi da Gesù.

Ma se Cristo è in voi,
pur se il corpo a causa del peccato muore,
lo spirito è però la vita
per volere di giustizia.

Buona notte a te, creatura,


che hai scelto il mondo,
a me non piaci.
Buona notte a voi, peccati,
state lontani da me,
non venite più alla luce.
Buona notte a te, orgoglio e vanagloria,
a tutta una vita di depravazione
sia data la buona notte.

E se lo spirito di colui che Gesù


ha risuscitato dai morti,
abita in voi, possa anche lo stesso spirito
che ha risuscitato Cristo dai morti,
restituire la vita al vostro corpo mortale,
secondo il volere dello Spirito
che dimora in voi.

Sgombrata dai vostri spiriti la tristezza,


perché il mio maestro di gioia,
Gesù, qui giunge.
A quanti amano Dio
pur l'affanno
deve esser una pura gioia
Se io su questa terra patisco sarcasmo e derisione,
anche in qualsiasi mia pena,
tu rimani, o Gesù, la mia gioia.

BWV 228 - Fürchte dich nicht

https://www.youtube.com/watchv=1629dqvlP8s

Fürchte dich nicht, ich bin bei dir, BWV 228


Mottetto in la maggiore per due cori a cappella

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Paul Gerhardt da Bibbia, Isaia 41:10 e 43:1
Occasione: probabilmente per la commemorazione funebre di Susanna Sophia Winckler

Fürchte dich nicht, ich bin bei dir


Coro in la maggiore per 2 cori

Organico: 2 cori misti senza accompagnamento


Composizione: Lipsia, 1726
Prima esecuzione: Lipsia, Nikolaikirche, 4 febbraio 1726
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1802

Guida all'ascolto (nota 1)


Dopo la morte di Johann Sebastian Bach (1685-1750), la maggior parte delle sue opere sacre fu
pressoché dimenticata e dovette attendere l'avvento del romanticismo per essere almeno in parte
riscoperta. Solo i Mottetti continuarono ad essere eseguiti e conosciuti, durante tutto il
Settecento, in forza di una tradizione che assegnava ancora un ruolo importante alla pratica dei
cosiddetti Sonnabend-Motetten, ovvero ai mottetti che si intonavano nei Vespri del sabato, ma
anche in virtù della particolare concezione stilistica che unisce in quelli composti da Bach la più
rigorosa disciplina contrappuntistica a una spiccata cura per la melodia, generando una
straordinaria fusione di stile antico e gusto "moderno". Nel Settecento, i Mottetti divennero così
uno dei pochi punti di riferimento per coloro che intendessero studiare l'opera vocale di Bach, e
non sorprende il fatto che all'inizio dell'Ottocento, in coincidenza con la sistematica rinascita
dell'interesse per Bach, i Mottetti figurassero come la prima serie di opere vocali ad essere
pubblicata in partitura, nel 1803, a cura di Johann Gottfried Schicht, per l'editore Breitkopf &
Härtel di Lipsia.

Durante la sua vita Bach non si era dedicato con particolare assiduità a questo genere musicale,
in quel tempo l'eredità più importante dell'antica tradizione sacra. Secondo una prassi ormai ben
consolidata, infatti, gli usi correnti della liturgia venivano soddisfatti facendo ricorso a una serie
di antichi repertori, dai quali si traevano i brani che dovevano essere eseguiti tutte le domeniche,
all'Introito e alla Comunione, nei Vespri e in alcune delle occasioni celebrative minori. A Bach,
che in qualità di Kantor della chiesa di San Tommaso era responsabile delle esecuzioni musicali
in ciascuna di queste occasioni, non restava di norma che scegliere fra gli antichi mottetti
riportati nel Florilegium Portense, un repertorio del 1618 compilato da Erhard Bodenschatz,
oppure nel Neu Leipziger Gesangbuch realizzato nel 1682 da Gottfried Vopelius, al quale Bach
avrebbe attinto anche per i temi di numerosi corali. Da queste raccolte venivano tratte opere di
antichi maestri italiani e tedeschi, con la tendenza a favorire sempre più nella scelta i mottetti
che questi ultimi avevano composto su testi in tedesco, ricavati a loro volta dai salmi, da passi
biblici in genere o dalla poesia sacra originale, quella dei cosiddetti Kirchenlieder. Il dovere di
comporre brani originali si limitava dunque per Bach a poche occasioni, nelle quali egli poteva
disporre oltretutto di un coro molto più ampio di quello corrente. E' dunque comprensibile che il
catalogo delle opere bachiahe si riveli piuttosto avaro nel caso dei Mottetti. Le prime
testimonianze storiche riferiscono di un corpus costituito complessivamente da undici lavori
soltanto, alcuni dei quali a doppio coro. Gli studi più aggiornati limitano invece ad otto il
numero complessivo dei mottetti giudicati autentici, sei dei quali fanno parte della serie
pubblicata da Schicht nel 1803.

Nonostante il numero relativamente esiguo dei mottetti effettivamente composti da Bach,


l'interesse del musicista per questo genere musicale si riflette in molte altre sue opere, nelle quali
o si trovano impiegati gli stessi principi di organizzazione del materiale musicale che sono tipici
del mottetto, o viceversa si rintracciano esempi di scrittura che Bach avrebbe poi riutilizzato nei
Mottetti. Si può dire anzi che l'intima unità e l'originalità della concezione di questi brani
dipendano in gran parte proprio dallo stretto legame con il resto della produzione vocale,
bachiana. Se si pensa infatti ai modelli del cosiddetto Stylus antiquus di ascendenza
palestriniana, ai florilegi del contrappunto fiammingo o al ricco interscambio delle masse corali
proveniente dall'antica scuola veneziana, l'influenza dello stile mottettistico si può riscontrare
nella grande Messa in si minore BWV 232 e in numerosi altri brani minori. Se però si considera
la struttura interna dei mottetti bachiani, la loro articolazione formale spesso simile a quella di
una successione di "movimenti", talvolta realizzati con opzioni linguistiche ed espressive
differenti, allora non si può disconoscere neppure l'influenza esercitata su queste opere dal
grande lavoro di ricerca compiuto da Bach nelle sue Cantate. Qui la fusione di una logica
compositiva arcaica e di uno spirito drammatico piuttosto accentuato aveva portato Bach alla
creazione di un organismo sonoro complesso, capace di accogliere in sé spinte e motivazioni
diverse, senza nulla perdere della propria coesione costruttiva. Ora lo stesso avviene nei Mottetti,
nei quali anzi la più chiara riconoscibilità di un'impostazione stilistica rivolta verso un modello
antico, consente all'autore un uso particolarmente intenso del contrappunto, coniugato con quella
«impressionante invenzione di figure» che - secondo il parere del musicologo Alberto Basso - ha
reso i Mottetti di Bach «le più stupefacenti creazioni nel campo della polifonia vocale» del suo
tempo. Il profondo rapporto con il genere della cantata, sottolineato già dai primi studiosi
dell'opera di Bach, ha impresso alla pratica del Mottetto una svolta dinamica: il corso di queste
composizioni è diventato infatti con Bach più vario e accidentato, trasformando anche la
semplice variazione dei movimenti e della struttura ritmica in un elemento portante dell'intero
edificio musicale.

Fino a poco tempo fa, sulla scorta di una visione fortemente idealizzata della musica vocale sei e
settecentesca, era comune l'esecuzione dei Mottetti di Bach con il solo coro a cappella, cioè
privo di accompagnamento strumentale. Oggi è invece attestata la più verosimile pratica di
accompagnare l'esecuzione con uno strumento che realizzi il basso continuo (organo o
clavicembalo, eventualmente sostenuti dal violone) e con strumenti ad arco che raddoppiano la
linea delle voci procedendo, come si suol dire, «colla parte». Le partiture autografe e le più
antiche testimonianze a riguardo attestano esplicitamente l'uso degli strumenti solo nel caso dei
Mottetti Ber Geist hilft BWV 226 e Fürchte dich nicht BWV 228, anche se in questo è possibile
che gli archi siano stati aggiunti da uno dei figli di Bach, Carl Philipp Emanuel. Anche negli altri
casi, tuttavia, è attendibile l'ipotesi che stabilisce comunque l'intervento di un accompagnamento
che all'epoca di Bach poteva anche non essere esplicitamente indicato, poiché dipendeva più
dalle circostanze dell'esecuzione e dagli organici che si avevano effettivamente a disposizione,
che non da una rigida regola di comportamento.

Fürchte dich nicht, ich bin bei dir BWV 228 è un mottetto a otto voci, composto da Bach
probabilmente nel 1726, in occasione di una cerimonia commemorativa per Susanna Sonia
Pakbusch, vedova di Christoph Georg Winckler, allora «capitano della città» (Stadthauptmann)
di Lipsia. Il testo unisce due versetti dal decimo libro di Isaia (41, verso 10; 43, verso 1) ed è
trattato da Bach in base a un'articolazione formale piuttosto singolare: se infatti il primo versetto
viene eseguito in forma di doppio coro, con le risposte antifoniche e le spezzature tipiche di
questa soluzione di scrittura, il secondo vede la riunione dei due cori in uno stile imitativo libero,
sormontato però dalla voce più acuta che inserisce nella composizione un cantus firmus tratto
dalla tradizione luterana. Nel finale, il mottetto riprende l'andamento iniziale. L'uso della
melodia come elemento unificatore rivela la contaminazione operata da Bach con un tratto tipico
della scrittura strumentale.

Stefano Catucci

Testo

Fürchte dich nicht


Fürchte dich nicht, ich bin bei dir;
weiche nicht, denn ich bin dein Gott;
ich stärke dich, ich helfe dir auch,
ich erhalte dich durch die rechte Hand
meiner Gerechtigkeit.

Fürchte dich nicht, denn ich habe dich erlöset; ich habe
dich bei deinem Namen gerufen, du bist mein.

Herr, mein Hirt, Brunn aller Freuden!


Du bist mein,
ich bin dein,
niemand kann uns scheiden.
Ich bin dein, weil du dein Leben
und dein Blut,
mir zu gut,
in den Tod gegeben.
Du bist mein, weil ich dich fasse
und dich nicht
o mein Licht,
aus dem Herzen lasse!
Lass mich, lass mich hingelangen,
wo du mich
und ich dich
lieblich werd umfangen
Fürchte dich nicht, du bist mein,

Non temere, sono con te

Non temere, sono con te;


non esitare perché sono il tuo Dio;
io ti fortifico e ti aiuto,
ti sostengo con la mano destra
della mia giustizia. Non temere.

Non temere, poiché io ti ho salvato, ti ho chiamato


col tuo nome, tu sei mio.

Signore, mio pastore, fonte di tutte le gioie!


Tu sei mio,
io sono tuo,
nessuno ci può dividere.
Sono tuo perché, per amor mio,
hai dato la tua vita e il tuo sangue
incontrando la morte.
Sei mio perché io ti abbraccio
e non voglio,
o mia luce,
che tu lasci il mio cuore.
Fammi giungere là
dove ci abbracceremo eternamente.
Non temere, tu sei mio.

BWV 229 - Komm, Jesu, komm!

https://www.youtube.com/watchv=mJospfuv5po

Komm, Jesu komm!, BWV 229


Mottetto in sol minore per due cori a cappella

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Paul Thymick
Occasione: probabilmente per la commemorazione funebre di Maria Elisabeth Schelle

Komm, Jesu komm!


Coro in sol minore per 2 cori
Komm, ich will mich dir ergeben
Coro in sol minore per 2 cori
Du bist der rechte Weg, die Wahrheit und das Leben
Coro in sol minore per 2 cori
Drauf schliess ich mich in deine Hände
Aria in sol minore per 2 cori

Organico: 2 cori misti senza accompagnamento


Composizione: 1730
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 26 marzo 1730
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1803

Guida all'ascolto (nota 1)

Dopo la morte di Johann Sebastian Bach (1685-1750), la maggior parte delle sue opere sacre fu
pressoché dimenticata e dovette attendere l'avvento del romanticismo per essere almeno in parte
riscoperta. Solo i Mottetti continuarono ad essere eseguiti e conosciuti, durante tutto il
Settecento, in forza di una tradizione che assegnava ancora un ruolo importante alla pratica dei
cosiddetti Sonnabend-Motetten, ovvero ai mottetti che si intonavano nei Vespri del sabato, ma
anche in virtù della particolare concezione stilistica che unisce in quelli composti da Bach la più
rigorosa disciplina contrappuntistica a una spiccata cura per la melodia, generando una
straordinaria fusione di stile antico e gusto "moderno". Nel Settecento, i Mottetti divennero così
uno dei pochi punti di riferimento per coloro che intendessero studiare l'opera vocale di Bach, e
non sorprende il fatto che all'inizio dell'Ottocento, in coincidenza con la sistematica rinascita
dell'interesse per Bach, i Mottetti figurassero come la prima serie di opere vocali ad essere
pubblicata in partitura, nel 1803, a cura di Johann Gottfried Schicht, per l'editore Breitkopf &
Härtel di Lipsia.
Durante la sua vita Bach non si era dedicato con particolare assiduità a questo genere musicale,
in quel tempo l'eredità più importante dell'antica tradizione sacra. Secondo una prassi ormai ben
consolidata, infatti, gli usi correnti della liturgia venivano soddisfatti facendo ricorso a una serie
di antichi repertori, dai quali si traevano i brani che dovevano essere eseguiti tutte le domeniche,
all'Introito e alla Comunione, nei Vespri e in alcune delle occasioni celebrative minori. A Bach,
che in qualità di Kantor della chiesa di San Tommaso era responsabile delle esecuzioni musicali
in ciascuna di queste occasioni, non restava di norma che scegliere fra gli antichi mottetti
riportati nel Florilegium Portense, un repertorio del 1618 compilato da Erhard Bodenschatz,
oppure nel Neu Leipziger Gesangbuch realizzato nel 1682 da Gottfried Vopelius, al quale Bach
avrebbe attinto anche per i temi di numerosi corali. Da queste raccolte venivano tratte opere di
antichi maestri italiani e tedeschi, con la tendenza a favorire sempre più nella scelta i mottetti
che questi ultimi avevano composto su testi in tedesco, ricavati a loro volta dai salmi, da passi
biblici in genere o dalla poesia sacra originale, quella dei cosiddetti Kirchenlieder. Il dovere di
comporre brani originali si limitava dunque per Bach a poche occasioni, nelle quali egli poteva
disporre oltretutto di un coro molto più ampio di quello corrente. E' dunque comprensibile che il
catalogo delle opere bachiahe si riveli piuttosto avaro nel caso dei Mottetti. Le prime
testimonianze storiche riferiscono di un corpus costituito complessivamente da undici lavori
soltanto, alcuni dei quali a doppio coro. Gli studi più aggiornati limitano invece ad otto il
numero complessivo dei mottetti giudicati autentici, sei dei quali fanno parte della serie
pubblicata da Schicht nel 1803.

Nonostante il numero relativamente esiguo dei mottetti effettivamente composti da Bach,


l'interesse del musicista per questo genere musicale si riflette in molte altre sue opere, nelle quali
o si trovano impiegati gli stessi principi di organizzazione del materiale musicale che sono tipici
del mottetto, o viceversa si rintracciano esempi di scrittura che Bach avrebbe poi riutilizzato nei
Mottetti. Si può dire anzi che l'intima unità e l'originalità della concezione di questi brani
dipendano in gran parte proprio dallo stretto legame con il resto della produzione vocale,
bachiana. Se si pensa infatti ai modelli del cosiddetto Stylus antiquus di ascendenza
palestriniana, ai florilegi del contrappunto fiammingo o al ricco interscambio delle masse corali
proveniente dall'antica scuola veneziana, l'influenza dello stile mottettistico si può riscontrare
nella grande Messa in si minore BWV 232 e in numerosi altri brani minori. Se però si considera
la struttura interna dei mottetti bachiani, la loro articolazione formale spesso simile a quella di
una successione di "movimenti", talvolta realizzati con opzioni linguistiche ed espressive
differenti, allora non si può disconoscere neppure l'influenza esercitata su queste opere dal
grande lavoro di ricerca compiuto da Bach nelle sue Cantate. Qui la fusione di una logica
compositiva arcaica e di uno spirito drammatico piuttosto accentuato aveva portato Bach alla
creazione di un organismo sonoro complesso, capace di accogliere in sé spinte e motivazioni
diverse, senza nulla perdere della propria coesione costruttiva. Ora lo stesso avviene nei Mottetti,
nei quali anzi la più chiara riconoscibilità di un'impostazione stilistica rivolta verso un modello
antico, consente all'autore un uso particolarmente intenso del contrappunto, coniugato con quella
«impressionante invenzione di figure» che - secondo il parere del musicologo Alberto Basso - ha
reso i Mottetti di Bach «le più stupefacenti creazioni nel campo della polifonia vocale» del suo
tempo. Il profondo rapporto con il genere della cantata, sottolineato già dai primi studiosi
dell'opera di Bach, ha impresso alla pratica del Mottetto una svolta dinamica: il corso di queste
composizioni è diventato infatti con Bach più vario e accidentato, trasformando anche la
semplice variazione dei movimenti e della struttura ritmica in un elemento portante dell'intero
edificio musicale.

Fino a poco tempo fa, sulla scorta di una visione fortemente idealizzata della musica vocale sei e
settecentesca, era comune l'esecuzione dei Mottetti di Bach con il solo coro a cappella, cioè
privo di accompagnamento strumentale. Oggi è invece attestata la più verosimile pratica di
accompagnare l'esecuzione con uno strumento che realizzi il basso continuo (organo o
clavicembalo, eventualmente sostenuti dal violone) e con strumenti ad arco che raddoppiano la
linea delle voci procedendo, come si suol dire, «colla parte». Le partiture autografe e le più
antiche testimonianze a riguardo attestano esplicitamente l'uso degli strumenti solo nel caso dei
Mottetti Ber Geist hilft BWV 226 e Fürchte dich nicht BWV 228, anche se in questo è possibile
che gli archi siano stati aggiunti da uno dei figli di Bach, Carl Philipp Emanuel. Anche negli altri
casi, tuttavia, è attendibile l'ipotesi che stabilisce comunque l'intervento di un accompagnamento
che all'epoca di Bach poteva anche non essere esplicitamente indicato, poiché dipendeva più
dalle circostanze dell'esecuzione e dagli organici che si avevano effettivamente a disposizione,
che non da una rigida regola di comportamento.

Nonostante le fonti non consentano di precisarne né la datazione, né la precisa destinazione, è


chiaro che il mottetto Komm, Jesu komm BWV 229, ad otto voci, è stato composto in occasione
di una commemorazione funebre. Il testo è basato su due strofe di Paul Tymich, un maestro
attivo a Lipsia presso la scuola di San Tommaso alla fine del Settecento. La prima strofa è quella
musicalmente più elaborata, con la scrittura accordale dell'inizio, l'intervento di un episodio più
apertamente lirico e il breve fugato che riporta alla invocazione «Komm, komm», nuovamente
spezzata nei due cori. La seconda strofa è invece sviluppata al modo d'un corale, indicato da
Bach come aria a quattro voci.

Stefano Catucci

Testo

Komm, Jesu, komm!

Komm, Jesu, komm, mein Lieb ist müde,


die Kraft verschwindt je mehr und mehr,
ich sehne ich nach deinem Frieden;
der saure Weg wird mir zu schwer!
Komm, komm, ich will mich dir ergeben,
du bist der rechte Weg,
die Wahrheit und das Leben.

Drum schliess ich mich in deine Hände


und sage, Welt, zu guter Nacht!
Eilt gleich mein Lebenslauf zu Ende,
ist doch der Geist wohl angebracht.
Er soll bei seinem Schöpfer schweben,
weil Jesus ist und bleibt
der wahre Weg zum Leben.
Vieni, Gesù, vieni

Vieni, Gesù, vieni, il mio corpo è stanco,


sto perdendo le forze,
anelo alla tua pace,
la via da percorrere è troppo dura per me!
Vieni, vieni, mi voglio abbandonare a te,
Tu sei la retta via,
la verità e la vita.

Mi affido alle tue mani


e dico addio al mondo!
La mia vita sta terminando,
ma lo spirito è pronto.
Aleggia vicino al suo creatore
perché Dio è e resta
la vera via alla vita.

BWV 230 - Lobet den Herrn alle Heiden

https://www.youtube.com/watchv=44b-socZZNQ

Lobet den Herrn, alle Heiden, BWV 230


Mottetto in do maggiore per coro e continuo

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Salmo CXVII
Occasione: sconosciuta

Lobet den Herrn, alle Heiden


Coro in do maggiore per coro e continuo
Alleluja, Alleluja
Coro in do maggiore per coro e continuo

Organico: coro misto, basso continuo


Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1811

Attribuzione incerta

Guida all'ascolto (nota 1)

Dopo la morte di Johann Sebastian Bach (1685-1750), la maggior parte delle sue opere sacre fu
pressoché dimenticata e dovette attendere l'avvento del romanticismo per essere almeno in parte
riscoperta. Solo i Mottetti continuarono ad essere eseguiti e conosciuti, durante tutto il
Settecento, in forza di una tradizione che assegnava ancora un ruolo importante alla pratica dei
cosiddetti Sonnabend-Motetten, ovvero ai mottetti che si intonavano nei Vespri del sabato, ma
anche in virtù della particolare concezione stilistica che unisce in quelli composti da Bach la più
rigorosa disciplina contrappuntistica a una spiccata cura per la melodia, generando una
straordinaria fusione di stile antico e gusto "moderno". Nel Settecento, i Mottetti divennero così
uno dei pochi punti di riferimento per coloro che intendessero studiare l'opera vocale di Bach, e
non sorprende il fatto che all'inizio dell'Ottocento, in coincidenza con la sistematica rinascita
dell'interesse per Bach, i Mottetti figurassero come la prima serie di opere vocali ad essere
pubblicata in partitura, nel 1803, a cura di Johann Gottfried Schicht, per l'editore Breitkopf &
Härtel di Lipsia.

Durante la sua vita Bach non si era dedicato con particolare assiduità a questo genere musicale,
in quel tempo l'eredità più importante dell'antica tradizione sacra. Secondo una prassi ormai ben
consolidata, infatti, gli usi correnti della liturgia venivano soddisfatti facendo ricorso a una serie
di antichi repertori, dai quali si traevano i brani che dovevano essere eseguiti tutte le domeniche,
all'Introito e alla Comunione, nei Vespri e in alcune delle occasioni celebrative minori. A Bach,
che in qualità di Kantor della chiesa di San Tommaso era responsabile delle esecuzioni musicali
in ciascuna di queste occasioni, non restava di norma che scegliere fra gli antichi mottetti
riportati nel Florilegium Portense, un repertorio del 1618 compilato da Erhard Bodenschatz,
oppure nel Neu Leipziger Gesangbuch realizzato nel 1682 da Gottfried Vopelius, al quale Bach
avrebbe attinto anche per i temi di numerosi corali. Da queste raccolte venivano tratte opere di
antichi maestri italiani e tedeschi, con la tendenza a favorire sempre più nella scelta i mottetti
che questi ultimi avevano composto su testi in tedesco, ricavati a loro volta dai salmi, da passi
biblici in genere o dalla poesia sacra originale, quella dei cosiddetti Kirchenlieder. Il dovere di
comporre brani originali si limitava dunque per Bach a poche occasioni, nelle quali egli poteva
disporre oltretutto di un coro molto più ampio di quello corrente. E' dunque comprensibile che il
catalogo delle opere bachiahe si riveli piuttosto avaro nel caso dei Mottetti. Le prime
testimonianze storiche riferiscono di un corpus costituito complessivamente da undici lavori
soltanto, alcuni dei quali a doppio coro. Gli studi più aggiornati limitano invece ad otto il
numero complessivo dei mottetti giudicati autentici, sei dei quali fanno parte della serie
pubblicata da Schicht nel 1803.

Nonostante il numero relativamente esiguo dei mottetti effettivamente composti da Bach,


l'interesse del musicista per questo genere musicale si riflette in molte altre sue opere, nelle quali
o si trovano impiegati gli stessi principi di organizzazione del materiale musicale che sono tipici
del mottetto, o viceversa si rintracciano esempi di scrittura che Bach avrebbe poi riutilizzato nei
Mottetti. Si può dire anzi che l'intima unità e l'originalità della concezione di questi brani
dipendano in gran parte proprio dallo stretto legame con il resto della produzione vocale,
bachiana. Se si pensa infatti ai modelli del cosiddetto Stylus antiquus di ascendenza
palestriniana, ai florilegi del contrappunto fiammingo o al ricco interscambio delle masse corali
proveniente dall'antica scuola veneziana, l'influenza dello stile mottettistico si può riscontrare
nella grande Messa in si minore BWV 232 e in numerosi altri brani minori. Se però si considera
la struttura interna dei mottetti bachiani, la loro articolazione formale spesso simile a quella di
una successione di "movimenti", talvolta realizzati con opzioni linguistiche ed espressive
differenti, allora non si può disconoscere neppure l'influenza esercitata su queste opere dal
grande lavoro di ricerca compiuto da Bach nelle sue Cantate. Qui la fusione di una logica
compositiva arcaica e di uno spirito drammatico piuttosto accentuato aveva portato Bach alla
creazione di un organismo sonoro complesso, capace di accogliere in sé spinte e motivazioni
diverse, senza nulla perdere della propria coesione costruttiva. Ora lo stesso avviene nei Mottetti,
nei quali anzi la più chiara riconoscibilità di un'impostazione stilistica rivolta verso un modello
antico, consente all'autore un uso particolarmente intenso del contrappunto, coniugato con quella
«impressionante invenzione di figure» che - secondo il parere del musicologo Alberto Basso - ha
reso i Mottetti di Bach «le più stupefacenti creazioni nel campo della polifonia vocale» del suo
tempo. Il profondo rapporto con il genere della cantata, sottolineato già dai primi studiosi
dell'opera di Bach, ha impresso alla pratica del Mottetto una svolta dinamica: il corso di queste
composizioni è diventato infatti con Bach più vario e accidentato, trasformando anche la
semplice variazione dei movimenti e della struttura ritmica in un elemento portante dell'intero
edificio musicale.

Fino a poco tempo fa, sulla scorta di una visione fortemente idealizzata della musica vocale sei e
settecentesca, era comune l'esecuzione dei Mottetti di Bach con il solo coro a cappella, cioè
privo di accompagnamento strumentale. Oggi è invece attestata la più verosimile pratica di
accompagnare l'esecuzione con uno strumento che realizzi il basso continuo (organo o
clavicembalo, eventualmente sostenuti dal violone) e con strumenti ad arco che raddoppiano la
linea delle voci procedendo, come si suol dire, «colla parte». Le partiture autografe e le più
antiche testimonianze a riguardo attestano esplicitamente l'uso degli strumenti solo nel caso dei
Mottetti Ber Geist hilft BWV 226 e Fürchte dich nicht BWV 228, anche se in questo è possibile
che gli archi siano stati aggiunti da uno dei figli di Bach, Carl Philipp Emanuel. Anche negli altri
casi, tuttavia, è attendibile l'ipotesi che stabilisce comunque l'intervento di un accompagnamento
che all'epoca di Bach poteva anche non essere esplicitamente indicato, poiché dipendeva più
dalle circostanze dell'esecuzione e dagli organici che si avevano effettivamente a disposizione,
che non da una rigida regola di comportamento.

Il primo dei Mottetti è Lobet den Herrn BWV 230, a quattro voci, l'unico che - essendo
pervenuto unicamente in un'edizione a stampa del 1821 - suscita ancora qualche incertezza di
attribuzione. E' basato sul testo del Salmo 117 ed è articolato in tre parti, corrispondenti alla
struttura del testo. E uno dei Mottetti bachiani maggiormente improntati a uno stile arcaico e
prebarocco. Si apre con una doppia fuga su un tema molto scarno e si anima in una seconda
sezione più lirica, nella quale parti omofoniche e polifoniche si succedono sino all'elaboratissima
fuga che caratterizza l'Alleluja finale. L'edizione a stampa prescrive in questo caso apertamente
l'uso dell'organo per la realizzazione del basso continuo.

Stefano Catucci

Testo

Lobet den Herrn, alle Heiden

Lobet den Herrn, alle Heiden,


und preiset ihn, alle Völker!
Denn seine Gnade und Wahrheit
waltet über uns in Ewigkeit.
Alleluja!

Lodate il Signore, pagani tutti


Lodate il Signore, pagani tutti
e glorificatelo, popoli tutti.
Poiché la sua grazia
e la verità dominano
su di noi in eterno.
Alleluia.

BWV 231 - Sei Lob und Preis mit Ehren

https://www.youtube.com/watchv=LJNbyN6j63M

Per molto tempo questa musica è stata contrassegnata "non da Bach". Ora lo sappiamo meglio.

Questo pezzo è stato sepolto nel deposito di composizioni note come "dubbie" e "attribuite
erroneamente" - una raccolta di musica che porta il nome di Bach in alcune fonti, ma dove c'è
incertezza sul fatto che Bach l'abbia effettivamente composta. L'aggiunta del nome di un famoso
compositore a un brano musicale, specialmente in una fonte successiva, può rendere la musica
più attraente e vendibile.

Sii lodato e onorato di ciò che è doppiamente ben sepolto. Nella maggior parte delle fonti della
fine del XVIII e dell'inizio del XIX secolo, è inclusa come la sezione centrale di un brano in tre
parti intitolato Jauchzet dem Herr, alle Welt . Questo mottetto completo è stato attribuito a Bach
in molte fonti. Ma poiché l'ultima sezione è stata presa dalla cantata di Telemann Praise God, voi
cristiani fin troppo uguali , e la prima sezione è probabilmente anche di Telemann, il mottetto
completo è stato classificato come "probabilmente non di Bach".

Nel 1983, tuttavia, il musicologo Klaus Hoffman diede alla sezione centrale - Sei Praise und
Preis mit Ehren - un aggiornamento, poiché proviene dalla seconda sezione della cantata
Gottlob! Di Bach ! ora l'anno sta volgendo al termine . Quindi al brano è stato assegnato il
proprio numero BWV: 231, che è stato successivamente modificato di nuovo in 28 / 2a.

Composizioni liturgiche in latino

Messa in Si minore

BWV 232 - Messa in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=P58pebhAQLM

per soli, coro e orchestra

Kyrie
Kyrie eleison
Coro in si minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, fagotto, 2 violini, viola e
continuo
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 198
Christe eleison
Duetto in re maggiore per coro femminile, 2 violini e continuo
Kyrie eleison
Coro in fa diesis minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, fagotto, 2 violini, viola e
continuo
Gloria
Gloria in excelsis Deo
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 fagotti, 2 violini,
viola e continuo
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 191
Laudamus te
Aria in la maggiore per soprano, violino solo, 2 violini, viola e continuo
Gratias agimus tibi
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, fagotto, 2 violini,
viola e continuo
Utilizza il Coro n. 2 della Cantata BWV 29
Domine Deus, rex celesti
Duetto in sol maggiore per soprano, tenore, flauto traverso, 2 violini, viola e continuo
Qui tollis peccata mundi
Coro in si minore per coro, 2 flauti traversi, 2 violini, viola, violoncello e continuo
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 46
Qui sedes ad dexteram Patris
Aria in si minore per contralto, oboe d'amore, 2 violini, viola e continuo
Quoniam tu solus sanctus
Aria in re maggiore per basso, corno, 2 fagotti e continuo
Cum Sancto Spiritu
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 fagotti, 2 violini,
viola e continuo
Credo
Credo in unum Deum
Coro in re maggiore per coro, 2 violini e continuo
Patrem omnipotentem
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 oboi, 2 violini, viola e continuo
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 171
Et in unum Dominum
Duetto in sol maggiore per soprano, contralto, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola e continuo
Et incarnatus est
Coro in si minore per coro, 2 violini e continuo
Cruxifixus
Coro in mi minore per coro, 2 flauti traversi, 2 violini, viola e continuo
Utilizza il Coro n. 2 della cantata BWV 12 e il Coro n. 1 della Cantata BWV 78
Et resurrexit
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola e
continuo
Et in Spiritum Sanctum
Aria in la maggiore per basso, 2 oboi d'amore e continuo
Confiteor in unum baptisma
Coro in fa diesis minore per coro e continuo
Et expecto
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola e
continuo
Utilizza il Coro n. 2 della Cantata BWV 120
Sanctus
Sanctus Dominus Deus Sabaoth
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 3 oboi, 2 violini, viola e continuo
Pleni sunt coeli et terra
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 3 oboi, 2 violini, viola e continuo
Utilizza il Coro n. 3 della Cantata BWV 225
Osanna in excelsis
Doppio coro in re maggiore per doppio coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2
violini, viola e continuo
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 215
Benedictus qui venit
Aria in si minore per tenore, violino solo e continuo
Agnus Dei
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi
Aria in sol minore per contralto, 2 violini e continuo
Da nobis pacem
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola e
continuo
Utilizza il Coro n. 2 della cantata BWV 29

Organico: 2 soprani, contralto, tenore, basso, doppio coro misto, 2 flauti traversi, 3 oboi, 2 oboi
d'amore, 2 fagotti, corno, 3 trombe, timpani, 2 violini, viola, violoncello, basso continuo
Composizione: 1724 - 1749
Prima esecuzione: 23 luglio 1733
Edizione: Simrock, Bonn, 1845

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

È radicata in molti la convinzione che la Messa rappresenti un genere musicale specificamente


legato alla confessione cattolica e che pertanto anche le messe bachiane costituiscano un
"omaggio" alla tradizione romana e conseguentemente una deviazione dallo spirito e dalla
liturgia luterane. In realtà, la prassi musicale ammetteva l'intonazione di mottetti latini e la
realizzazione in stile concertante dei testi dell'Ordinarium Missae in particolari circostanze di
carattere solenne. Al tempo di Bach sappiamo che a Lipsia nelle prime due feriae delle tre feste
principali (Natale, Pasqua, Pentecoste), come pure nelle altre feste particolari dell'anno liturgico
(e non, dunque, nelle domeniche ordinarie nel corso delle quali i testi latini erano intonati
choraliter, cioè secondo lo stile del canto chiesastico), era consentito eseguire a più voci
(figuraliter) il Kyrie, il Gloria e il Sanctus; nel caso dei primi due testi c'è da tenere presente che
la terminologia corrente li designava globalmente con la parola Missa. Questo termine è appunto
quello che compare nella partitura bachiana della cosiddetta Messa in si minore (BWV 232) per
indicare le prime due parti della composizione, inviate dal Kantor nel 1733 al nuovo sovrano, il
duca Federico Augusto II, per sollecitare una nomina nella cappella di corte, nomina poi
avvenuta solo alla fine del 1736.

A Dresda, capitale del ducato di Sassonia nei cui confini è compresa anche Lipsia, vigeva una
situazione alquanto anomala, poiché a dispetto della generale fede luterana dei suoi abitanti il
sovrano era cattolico (il padre Federico Augusto I era stato politicamente costretto ad
abbracciare il credo romano essendo stato eletto re di Polonia). La duplice confessione aveva
portato alla creazione di due distinte cappelle di corte, una per i riti della chiesa luterana e l'altra
per quelli della chiesa cattolica. Che le Messe o le sezioni di Messa scritte da Bach siano state
proposte anche a Dresda non è documentato, ma se esse lo furono si può pensare che abbiano
potuto avere una doppia destinazione.

Documento e monumento quasi sconcertante di una prassi che sposa con radicale severità
l'arcaismo e la modernità è quello che da meno di un secolo e mezzo si è convenuto chiamare
con l'espressione Die hohe Messe in H-moll o Grande Messa in si minore, un titolo che non
compare nell'originale bachiano e nelle copie coeve, ma che venne attribuito all'opera da chi per
primo ne propose l'edizione a stampa, nel 1833 (a cent'anni di distanza dalla "formazione" delle
prime due partì) in quella circostanza era stata proposta solo la Missa in senso stretto (cioè Kyrie
e Gloria) con la riserva di fare uscire l'anno seguente le restanti parti, che videro la luce, invece,
nel 1845. È proprio in questo completamento del 1845 che compare la dizione di Hohe Messe,
una sorta di ripresa in chiave tedesca del concetto di Missa solemnis fatto grande dall'op. 123
beethoveniana. L'esegesi ha ormai spazzato via le ipotetiche datazioni un tempo accolte come
sacre insieme con l'idea che l'opus magnum potesse essere stato presentato per l'incoronazione di
Federico Augusto II a re di Polonia (col nome di Augusto III) nella lontana Cracovia il 17
gennaio 1734. Al tempo di Bach, la Messa nella sua totalità non conobbe esecuzione e
l'autografo che ha tramandato il capolavoro riunisce soltanto una serie di brani scritti in tempi
diversi e per destinazioni diverse. La nuova cronologia fissa al 1724 la composizione del Sanctus
(tradizionalmente eseguito nel giorno di Natale); il 1733 è la data in cui Bach inviò al nuovo
sovrano il Kyrie e il Gloria; le partì restanti - cioè il Credo (o Symbolum Nicenum come lo
chiama Bach), l'Osanna (che nella liturgia di Lipsia non faceva parte del Sanctus), il Benedictus,
l' Agnus Dei e il Dona nobis - risalirebbero agli ultimi anni (1747-'49), epoca alla quale deve
essere ricondotta anche la sistemazione di tutto il materiale in un unico manoscritto, ma
probabilmente senza pensare ad una Missa tota, bensì inseguendo il semplice intento di riunire in
un unico manoscritto le parti dell' Ordinarium.

Al di sopra del problema "confessionale", sta la particolare natura di quello che già Carl
Friedrich Zelter definiva nel 1811, «verosimilmente il più grande capolavoro musicale che il
mondo abbia visto». Non è eccessivamente imprudente sostenere che quasi tutti i ventisei numeri
di cui consta la partitura non sono pagine originali, ma parodie o adattamenti più o meno
rilevanti di opere precedenti. Il fatto è appurato (o ritenuto assai probabile) in tredici casi, ma
sussistono buone possibilità che quasi tutti i restanti brani siano elaborazioni di altre pagine
perdute. Tanto più mirabile, comunque, appare l'opera bachiana se si considera che essa è tutta o
in gran parte il frutto di un montaggio razionale e perfettamente equilibrato che sul piano dei
risultati musicali s'impone come creazione originale ed unica. L'ambivalenza che è propria della
tecnica della parodia e che la Messa in si minore porta in sé come un segno di grandezza
pareggia quell'altra ambivalenza che sposa due riti e due confessioni e fonda in un unico corpo le
due grandi espressioni del pensiero cristiano, la teologia della gloria di ascendenza cattolica e la
teologia della croce di ascendenza luterana. Realizzata, dunque, in almeno tre distìnti momenti
(1724,1733,1747-'49) e uscita dalle mani dell'artifex come una aggregazione naturale di sostanze
varie, come una concrezione o condensazione di elementi stilistici affini oppure contrapposti,
l'opera è di quelle che più apertamente manifestano, nella sua quasi esasperata monumentalità e
nella sue irripetibile polivalenza, la concordia delle idee, l'armonia dei gesti, il razionale patto di
alleanza che compone ogni interna contraddizione, ogni esterno dissidio.

È nella forma architettonica - sognata, ideata, realizzata infine, - che le virtù dell'invenzione
musicale, anche di quella sperimentata in altri campi e poi trasferita sotto l'impulso logico ed
implacabile della parodia in altre celesti sfere, offrono le migliori garanzie di riuscita.
Paradossalmente il materiale che è stato estratto da un gruppo non omogeneo di opere risalenti a
tempi diversi si ricompone, con stupefacente coordinazione, in un corpo organico nel quale testo
e musica procedono riconoscendosi l'uno nell'altro.

La tripartizione del Kyrie pare scontata (ma in due delle successive "Messe luterane", BWV 235
e 236, questa sezione non osserverà la distribuzione in trittico) e sembra ripetere in alcuni
particolari di stesura il corrispondente movimento di una Messa dovuta a Johann Hugo Wilderer.
L'osservazione è di quelle che fanno soltanto cronaca e che non scalfiscono la purezza del
monumento.

Un motto di quattro battute apre perentoriamente la pagina con un tutti significativamente


mancante delle solenni trombe; segue un lungo intervento strumentale, introduzione al grande
Kyrie, che sviluppa in forma fugata (poi ripreso dal coro) un tema dall'incedere solenne,
patriarcale, processionale, tortuoso e teso in una costante progressione verso l'alto e secondo
formule "ostinate".

Un sentimento funebre di cordoglio anima la pagina ed un tono epico si intravede nella possente
architettura a 5 voci. Di tutt'altra natura è, invece, il secondo Kyrie che fissa il testo su un'arcaica
struttura mottettistica, riducendo a 4 le voci. Il Christe centrale è, per contrasto con la pietas di
cui è circondato, un brano luminoso, elaborato sotto forma di duetto, in tonalità maggiore
(contro il minore delle altre due sezioni); da notare che in questo caso, come nei casi degli altri
due duetti (nn. 7 e 14), la struttura a due è richiamata in coincidenza di testi che riguardano la
seconda persona della Trinità.

Nella suddivisione del Gloria, in otto episodi (quattro affidati al coro e quattro ai solisti)
parrebbe difficile riconoscere a prima vista l'esecuzione di un piano organico prestabilito. E
tuttavia, il testo dell'hymnus angelicus sembra essere stato sottoposto ad analisi e risolto
musicalmente in maniera conseguente.

Il simbolismo e l'aderenza allo spirito e alla forma dell'inno sono ad ogni passo evidenti e di
grandissima qualità è sempre il discorso musicale, che forse solo nel caso dell'aria per basso con
corno da caccia (Quoniam) sembra conoscere un cedimento. Ma la temperatura è elevata nei
brani corali, tutti a 5 voci ad eccezione del Gratias, parodia di un brano a quattro: dal tripudiante
Gloria con l'eterea fuga sull'Et in terra pax (che chiama in causa la multitudo militiae coelestis di
cui parla Luca 2, 14) all'apoteosi del Cum Sancto Spiritu, dal Gratias agimus con la sua arcaica
gravitas mottettistica al patetico e insieme superbo Qui tollis. E splendidi fiori si raccolgono nel
giardino delle altre due arie, quasi concepite come pannelli corrispondenti (un violino solista nel
Laudamus, un oboe d'amore nel Qui sedes; ma in entrambi i casi l'accompagnamento è affidato
agli archi). Un caso particolare è il duetto: le due voci - acute - propongono dapprima
simultaneamente i due primi versetti (sul Padre e sul Figlio) ma alternandosi nelle proposte dei
due testi e conducendo il discorso in imitazione; sul terzo versetto, quello dell'Agnus Dei,
invece, le due voci procedono in perfetto parallelismo e su un unico testo. Fatto non trascurabile
è l'aggiunta della parola altissima all'espressione Domine Fili unigenite Jesu Christe; la parola
non trova riscontro nel Missale Romanum ma figura come tropo nel Graduale della
Thomaskirche (sec. XIV) relativamente a quattro Gloria.

La distribuzione della materia nel Symbolum Nicenum obbedisce, ovviamente, a criteri del tutto
diversi da strutture architettoniche rigorose e fra loro corrispondenti ed equidistanti.

Struttura della messa

Questa struttura così limpida, ed essenziale, è stata raggiunta mediante una operazione di
adeguamento, di calibratura, poiché inizialmente il Symbolum era suddiviso in otto (e non in
nove) numeri: l'Et incarnatus era inteso come il prolungamento del duetto costruito sul versetto
precedente (Et in unum Dominum) facendo corpo con esso. Solo in un secondo tempo Bach
realizzò l'Et incarnatus in stile di mottetto a cinque voci e ne riportò la partitura su un foglio
(dalla carta diversa rispetto a quella impiegata per il Symbolum) poi aggiunto, al luogo giusto, al
manoscritto della Missa tota; conseguentemente, distribuì in maniera diversa il testo dell'Et in
unum Dominum, espungendo dal duetto il testo dell'Et incarnatus, e relegò le due parti vocali
così rielaborate in appendice all'intera sezione del Symbolum.

Il Symbolum si apre con un brano che è un vero e proprio mottetto a 7 voci (5 vocali e 2
strumentali) con basso continuo. In senso tecnico, la pagina funge da "intonazione", sostituisce il
celebrante al quale la liturgia affida le prime parole del testo (Credo in unum Deum). La
realizzazione mottettistica bachiana s'ispira a modelli arcaici (si pensi al Monteverdi sacro o allo
Schütz dei Gestliche Konzerte) e utilizza un tema a valori larghi direttamente attinto dal Credo
autentico gregoriano (nel quarto modo, ipofrigio) che si ritrova anche nel Gesangbuch di
Gottfried Vopelius (1682).

Non è senza significato ricordare, e il fatto testimonia ancora una volta dell'attenzione che Bach
prestava alla conoscenza dei contemporanei, che lo stile di questa "intonazione" è parente
prossimo di quelle create da Giovanni Battista Bassani per cinque dei suoi sei Credo della
raccolta di Messe intitolata Acroama Missale (pubblicata ad Augsburg nel 1709); tale raccolta
venne interamente copiata sotto il controllo di Bach intorno al 1740 e il Kantor si fece premura
di aggiungervi, rispettando lo "stile antico", l'intonazione del Credo per la quinta Messa. La
poderosa costruzione mottettistica del brano in questione osserva rigorosamente lo stile
contrappuntistico, ma all'imitazione che governa le parti vocali si aggiunge una figurazione
ostinata affidata al basso continuo; alle cinque voci si sommano le parti dei violini I e II, sempre
proponenti lo scultoreo tema ecclesiastico. A questo brano introduttivo segue il Patrem,
dapprima cantato dai bassi in concomitanza con le parole Credo in unum Deum riaffermate dalle
altre tre voci (il coro è qui a quattro voci), e poi trasferito sulle altre voci.
Carattere arcaico ha ancora il "lamento" del Crucifixus che risulta da una trasformazione
(parodia) della prima parte del coro introduttivo alla cantata BWV 12, e più ancora il Confiteor
che utilizza come cantus firmus la corrispondente melodia del Credo gregoriano, presente nel
citato graduale della Thomaskirche.

Le restanti parti dell'Ordinarium Missae sono state suddivise da Bach in due sezioni che
rispettano la prassi liturgica propria di Lipsia: l'Osanna e il Benedictus, che nel Missale
Romanum sono parti integranti del Sanctus, sono concepiti come brani a sé stanti. Come già
sappiamo, per la prima sezione il Kantor ha ripreso senza modifiche un Sanctus composto nel
1724 e più volte eseguito nei giorni del Natale e della Pasqua di anni successivi.

La composizione si presenta a 6 voci e dotata di un organico strumentale superiore a quello


proprio delle altre sezioni della Messa. L'incedere solenne e grandioso della prima parte trova un
elemento di contrasto nella dinamica fuga sul Pieni sunt coeli (che ricorda quella del mottetto
Singet dem Herrn). In quest'ultimo passo è da notare l'adozione di un'espressione che si discosta
da quella del Missale Romanum: là dove è detto "pieni sunt coeli gloria tua" Bach usa la dizione
"gloria ejus" (come avverrà anche nei Sanctus BWV 237 e 238) che riporta quel passo alla veste
biblica originale (Isaia 6, 3).

L'Osanna comporta l'impiego di un doppio coro: siamo ancora in presenza, dunque, di un'altra
disparità nella distribuzione dei ruoli vocali a conferma dell'indipendenza con la quale le singole
sezioni sono state elaborate. Nella sua forma originale, l'Osanna (che è la parodia del brano
iniziale di una cantata profana perduta) doveva avere un'introduzione strumentale (quella stessa
che ora chiude l'episodio), poi soppressa da Bach al momento di trasformare la pagina in una
composizione sacra agganciata al Sanctus. Il Benedictus è una toccante aria per tenore, forse la
più significativa di tutta la Messa in si minore, con uno strumento melodico concertante non
indicato, ma individuabile in un flauto traverso. Bipartito è l'Agnus Dei che si presenta nella
tradizionale suddivisione con il Dona nobis pacem elaborato in maniera indipendente:
quest'ultima sezione è una parodia "di secondo grado" dal momento che si tratta di una
rielaborazione del Gratias agimus tibi (n. 6) il quale a sua volta ripeteva la propria origine da una
pagina della Cantata BWV 29.

La monumentale Messa, che Bach non concepì come opera unitaria e che egli sicuramente non
propose mai nella sua interezza, doveva costituire una delle colonne portanti della rinascita
bachiana. E tuttavia solamente il 20 febbraio 1834 la partitura fu proposta per la prima volta
nella sua totalità in pubblico, alla Singakademie di Berlino, nell'esecuzione curata da Karl
Friedrich Rungenhagen (1778 - 1851), che l'anno precedente aveva fatto conoscere la Johannes-
Passion. Si deve sottolineare, ad ogni modo, che il Symbolum Nicenum era stato eseguito ad
Amburgo il 9 aprile 1786 sotto la direzione di Carl Philipp Emanuel Bach nel corso di un
concerto di beneficenza e che per quella circostanza il secondogenito di Johann Sebastian aveva
composto un'introduzione strumentale. Annunciata sulla locandina del concerto come Credo,
oder niconisches Glaubensbekänntnis, quella grandiosa sezione di Messa sembra voler
sottolineare l'origine spiccatamente luterana dell'opera e, del resto, la dizione di "grande Messa
cattolica" con la quale l'opera verrà indicata nel catalogo del lascito di Carl Philipp Emanuel
potrebbe essere stata voluta dall'editore del catalogo steso in vista della vendita dei manoscritti e
per meglio chiarire il contenuto di quell'autografo rispetto a quelli delle quattro Messe
"luterane". Certo è che l'opera ha carattere atipico e non è proponibile sotto il profilo meramente
liturgico. Capolavoro sospeso nel vuoto, opera d'arte polivalente nella quale il ricorso a più stili
fra loro contrastanti e regolati da un'ideale e dialettica concordantia oppositorum è la ragione
prima del messaggio musicale, il polittico della Messa in si minore, pur scomposto nei suoi
diversi pannelli, si rivela creazione compatta, omogenea e conseguente, degna di rappresentare
l'epoca in cui fu creata, un'epoca di crisi - premeva alle porte lo "stile galante" affossatore della
poesia del "sublime" - che Bach tuttavia seppe superare con lo slancio proprio degli uomini
saggi e giusti.

Alberto Basso

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il capolavoro noto come (Grande) Messa in si minore, BWV 232 del catalogo bachiano, si offre
all'ascoltatore sotto il segno dell'eccezionalità. Se è corretta la retrodatazione all'inizio degli anni
Quaranta dell'Arte della fuga, a lungo ritenuta la «parola» definitiva del genio, ci troviamo di
fronte all'ultimo progetto di un compositore uso a meravigliarci con monumenti sonori
grandiosi: forse il testamento spirituale di Bach. Sicuramente un compendio di singolare
completezza della sua opera vocale. La musica che verrà a costituire la Messa in si minore
proviene infatti dall'intera carriera del compositore, soprattutto da quell'ultimo quarto di secolo
della sua vita in cui aveva ricoperto il ruolo di Thomaskantor a Lipsia, dando vita a un'ingente
produzione vocale sacra, che comprende la miniera delle cantate bachiane (ne possediamo circa
duecento, probabilmente tre quinti del totale originario). La Messa in si minore risulta dunque
l'opus ultimum, coronamento dell'attività di un uomo dagli interessi musicali enciclopedici (solo
il teatro musicale manca nel suo catalogo), che ha contribuito in modo cosi rilevante alla
tradizione della musica sacra europea.

Non sorge spontaneo il collegamento tra Bach e il genere della Messa. In realtà l'intonazione
dell'Ordinarium Missae, quel canone di cinque sezioni (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus / Osanna /
Benedictus, Agnus Dei) codificato nel Medioevo, non era estranea alla Chiesa luterana, che della
Messa contestava invece il Canone. La Formula Missae di Lutero (1523) prevedeva la
permanenza dell'Ordinarium nella liturgia, che nella sua origine medievale conservava tratti
comuni alle due confessioni cristiane, più lontane su altri temi teologici. Benché la Deutsche
Messe escludesse buona parte di questi canti, a Lipsia ancora al tempo di Bach Kyrie, Gloria,
Sanctus e Agnus Dei venivano intonati in polifonia (figuraliter) in occasione di feste solenni
dell'anno liturgico (ne è un esempio proprio il Sanctus della Messa in si minore). La peculiare
situazione della Germania, risalente ancora alla pace di Augusta (1555), comportava inoltre il
frazionamento religioso del territorio a seconda della religione dei regnanti («cuius regio, eius
religio»): uno dei casi paradossali che potevano verificarsi concerneva proprio Bach, cittadino
protestante della città di Lipsia ma suddito dell'Elettore cattolico di Sassonia, del cui ducato la
città faceva parte. Proprio al nuovo Elettore di Sassonia Federico Augusto II (e in seguito a una
guerra di successione su scala europea anche re di Polonia col nome di Augusto III) Bach dedicò
il 27 luglio 1733 il nucleo originario di questo progetto, la cosiddetta Missa, nella speranza di
una nomina a Hoflcomponist, titolo onorifico di compositore presso la corte di Dresda che
giungerà con tre anni di ritardo (probabilmente il nuovo duca era perfettamente a suo agio col
celebre operista Johann Adolph Hasse, da non molto stabilitosi a Dresda e nominatovi
Kapellmeister, così come la concomitante perdita di peso di un'altra eminente gloria musicale
locale, Jan Dismas Zelenka, lascerebbe supporre). Era del tutto normale che compositori
protestanti scrivessero musica sacra per committenti cattolici. Inoltre, se la Passione era una
forma devozionale legata a un contesto culturale ben preciso, la Messa per contro si imponeva
come genere dalla tradizione secolare, la cui fortuna non accennava a tramontare. Il problema
ideologico della Messa in si minore viene dibattuto dal secolo scorso con l'apporto di numerosi
argomenti teologico-musicali. Non potendo trattarli qui, è opportuno rilevare solamente come,
analogamente al Magnificat BWV 243 , la Messa BWV 232 manifesti quella «cattolicità
evangelica che sarebbe difficile inquadrare in un'autoritaria e anticattolica ortodossia
confessionale» (Jaroslaw Pelikan): uno spirito di tolleranza che concepisce il servizio divino -
verrebbe da dire in termini analoghi al moderno ecumenismo - non come contrapposizione
rispetto alla confessione religiosa altrui, ma come preghiera rivolta all'unico Dio cristiano.

L'opera scritta da Bach è una cosiddetta messa «in stile napoletano», costituita dal susseguirsi di
diverse sezioni (arie, duetti, cori, senza recitativi di collegamento) che suddividono il testo
liturgico in porzioni minime, trattate musicalmente quasi fossero un testo operistico (i numeri
solistici; per i cori si ricorre più spesso allo stile antico), composizioni d'altronde di casa nella
splendida Dresda, barocca, cattolica e italianizzante (le scelte compositive bachiane sono
conformi alle messe composte da Hasse, Zelenka, Heinichen e Lotti per quella Cappella di
corte). Alla Corte ducale di Dresda - città in cui, nel giugno 1733, il primogenito di Bach,
Wilhelm Friedemann, era stato nominato organista della Sophienkirche - venne destinata la
prima sezione della Messa in si minore, costituita dal complesso Kyrie-Gloria, la cosiddetta
Missa, una coppia spesso concepita autonomamente per tutto il Settecento e oltre (di queste sole
due sezioni si compone la Messa di gloria di Rossini). Bach stesso scrisse quattro Messe così
strutturate nel decennio 1735-45 (BWV 233-236, parodie di cantate). La genesi della Missa
giunge a una svolta nella decennale carriera artistica di Bach: dopo la fluviale produzione per la
luterana Thomaskirche di Lipsia (le passioni e centinaia di cantate scritte dal 1723, cioè dalla
nomina a Thomaskantor sino al termine degli anni Venti), il compositore si stava orientando
verso terreni sperimentali diversi, non eterogenei rispetto al consueto orizzonte espressivo della
musica sacra, ma dotati di un respiro più ampio, al di là dei termini ristretti del repertorio
liturgico. Sul finire del 1734 nascerà il grandioso progetto dell'Oratorio di Natale, formalmente
un complesso di sei cantate sacre, ma in verità un organismo caratterizzato da notevoli ambizioni
di organicità e studiate correlazioni interne, mentre sempre questi anni saranno segnati da celebri
cantate profane, come le BWV 213, 209 e 215, alcune delle quali dedicate proprio alla corte
sassone di Dresda.

Negli ultimi anni della propria vita - la morte l'avrebbe colto nel 1750 -, in un periodo da situarsi
tra l'agosto 1748 e l'ottobre 1749, Bach decise di completare l'Ordinarium Missae aggiungendo
alla Missa del 1733 i pezzi mancanti a formare la cosiddetta Missa tota. Rielaborò allora un
Sanctus scritto un quarto di secolo prima (per il giorno di Natale del 1724), mentre per
completare le parti restanti si avvalse di proprie composizioni preesistenti, talvolta radicalmente
ripensate. L'estrazione dei pezzi parodiati è varia: sono state individuate almeno nove fonti fra
cantate, serenate e drammi per musica. Il pezzo considerato più antico (Crucifixus) appartiene a
una cantata scritta a Weimar nel 1714, epoca ormai remota della carriera artistica del
compositore. Probabilmente solo tre numeri (Credo in unum Deum, Et incarnatus est, e
Confiteor) del Symbolum Nicenum - una delle strutture musicali più imponenti del Bach della
maturità -sono composti ex novo.
Il procedimento estetico/musicale fondamentale con cui occorre necessariamente confrontarsi
per apprezzare compiutamente la Messa in si minore è dunque la tecnica della «parodia», che
consiste nel rivestire di un nuovo testo un pezzo di musica vocale composto in precedenza. I
versi originari vengono sostituiti da altri di significato diverso, mentre la musica rimane
sostanzialmente identica. In uso dal Medioevo (i polifonisti rinascimentali scrivevano messe, «su
cantus firmus», «parafrasi» e «parodia», fondate sull'impiego di un canto profano come sostanza
tematica circolare del-l'intero Ordinarium), l'espediente godeva di enorme fortuna nel Settecento.
Nel genere chiave del melodramma, alcuni celebrati capolavori come il Rinaldo (1711) di
Händel o l'Olimpiade (1735) di Pergolesi facevano largo uso di arie o altri pezzi scritti per piazze
operistiche diverse, per cui la composizione sarebbe risultata nuova agli ascoltatori. In un'epoca
ignara del dogma dell'originalità imposto alla nostra cultura dal Romanticismo, la «parodia» si
proponeva come uno strumento corrente: sono numerosissimi gli esempi rintracciabili nel corpus
dell'opera bacluana.Al pari della Messa in si minore (che presenta persino il caso di una parodia
«interna», il Dona nobis pacem che imita il Gratias agimus tibi, l'Oratorio di Natale (1734) ne è
un esempio macroscopico e nemmeno le Passioni vanno esenti da questo fenomeno. Proprio
negli anni a ridosso della composizione della Missa (1730-33), Bach era occupato a confezionare
una serie di concerti per clavicembalo per il Collegium Musicum da lui diretto, operazione che
consistette nella rielaborazione/trascrizione di brani già composti per altra occasione. Dunque la
«parodia» si configura come strumento di lettura unitaria dell'intera realtà musicale: non puro
mezzo di arbitrario «risparmio» di tempo, ma ricerca sapiente, magistralmente condotta, di
relazioni e «affetti» assimilabili all'interno di opere nate per ragioni differenti e in epoche diverse
della propria vicenda artistica.

Paradossalmente, l'impiego massiccio della parodia non constrasta con lo svilupparsi di un


progetto articolato e razionale. Limitamoci a considerare la sapienza architettonica del
Symbolum Nicenum, chiave di volta dell'intera Messa. Bach con perfetta simmetria armonizza
due cori (uno in stile antico, uno nel moderno); un pezzo solistico moderno; tre cori (il nucleo
centrale: negli stili moderno, antico e moderno); nuovamente un pezzo solistico moderno;
nuovamente due cori (uno in stile antico, uno nel moderno). Non diversamente da quanto
avviene, su scala ridotta, nello Stabat Mater di Domenico Scarlatti, la convivenza di stylus
antiquus e moderno linguaggio galante realizza qui e nell'intera Messa la celebrazione più
gloriosa di quella vocazione cosmopolita, enciclopedica, universalistica, dell'arte di chi, senza
quasi mai lasciar la Sassonia, aveva sempre perseguito, tanto nella musica strumentale quanto
nel campo vocale, la via dell'armonizzazione dei diversi stili nazionali (italiano, francese e
tedesco), dell'antico come del moderno. Il severo contrappunto rinascimentale, mediato dallo
studio di Palestrina, convive nella Messa con la duttilità dei ritmi «alla lombarda» tipici del
moderno stile galante (preclassico), di cui Pergolesi, proprio nello stesso 1733 della Missa,
metteva in scena a Napoli un celeberrimo capolavoro: La serva padrona. All'altro capo
cronologico della composizione della Messa si pone la parodia del leggendario Stabat Mater
pergolesiano, che Bach rivestì col testo tedesco del Miserere (Salmo Tilge, Höchster, meine
Sünden, 1746), segno dell'instancabile interesse e della curiosità del maturo compositore per i
colleglli più giovani. In termini non dissimili dalla Commedia dantesca, la Messa in si minore si
impone dunque come «sintesi suprema» di un'epoca, opera di un «maestro dell'integrazione» (Y.
Kobayashi) che ha compendiato in se la civiltà del barocco musicale europeo, consegnandola ai
posteri in tutto il suo splendore. Quando il Symbolum Nicenum verrà diretto dal figlio
dell'autore, Carl Philipp Emanuel Bach, ad Amburgo, nel 1786, sarà accolto come «uno dei più
superbi pezzi di musica che mai sia stato ascoltato».
Il grandioso, severo portale su cui si apre la grande Messa in si minore (il magnifico Kyrie
Eleison) è la pagina più imponente non solo della Missa del 1733, ma dell'intera versione
definitiva del capolavoro. Epigrafe solenne, grave motto sul frontone di un tempio, l'Adagio
introduttivo propone subito una triplice enunciazione del conciso testo liturgico da parte
dell'intero coro a cinque voci sostenuto dall'orchestra, in blocchi sonori compatti ma già perforati
e connessi dallo sfasamento contrappuntistico delle voci, che disegnano gesti dolorosi. Il campo
viene allora lasciato agli strumenti: nel tempo Largo ed un poco piano che resterà costante per
tutto il movimento, i legni guidano un incedere inesorabile di sapore funebre (già le prime
misure presentano connessioni con l'Ode funebre BWV 198, composta nel 1727). Questo
vastissimo interludio orchestrale ha il compito di rappresentare simbolicamente, con un affresco
sonoro, la consapevolezza del peccato implicita nel rito penitenziale cui il testo fa riferimento:
analogamente a quanto, secondo la retorica affettiva barocca, aveva compiuto nel primo tempo
della Cantata BWV 55 (1720), Bach esprime la «schiavitù» del peccato con la combinazione di
tonalità minore, amalgama timbrica scura di flauto e oboe d'amore, intervalli dissonanti e
cromatici. Il significato dell'interludio viene esplicitato all'entrata del coro, che assume come
soggetto del suo fugato proprio il tema strumentale, mentre l'orchestra si incarica di tessere una
densa trama polifonica, trasferendo così in un contesto concertante moderno l'antica tradizione
polifonica vocale, confermando l'amore del compositore per il contrappunto tonale. Un breve
momento di gloria è riservato ai due oboi d'amore, che introducono il nuovo interludio
orchestrale sostenuti solo dal basso continuo (coi fagotti); ben presto però entra il resto
dell'orchestra, che ripropone la figura dell'appoggiatura cromatica, tanto importante
nell'invenzione tematica del movimento, e introduce l'ultimo intervento del coro, il cui nuovo
fugato propone le voci in ordine ascendente, con effetto di schiarita progressiva dell'ordito
contrappuntistico.

Secondo la consuetudine della messa «in stile napoletano», ai poderosi due Kyrie eleison corali
viene contrapposto l'intermezzo solistico e virtuosistico del Christe eleison. Così avviene nella
Messa di Wilderer che probabilmente servì da modello per l'attacco del Kyrie eleison e nella
Missa «Laetare» (1729) di Caldara. È probabile che questa affascinante composizione bachiana
si basi su un originale per soprano e contralto, tradizionale coppia di voci, ben rappresentata
anche nelle cantate (per esempio la BWV 62). In opposizione al Kyrie eleison, la scrittura è di
trasparente, operistica semplicità: alle due voci che procedono per terze si aggiunge l'unisono dei
violini e il basso. Elementare anche la struttura del brano (analoga all'Et in unum Deum del
Symbolum Nicenum): il micro-testo viene intonato in tonalità diverse ma mai imprevedibili, e
ogni intonazione è separata da un ritornello degli archi, che svolgono un suadente nastro in
legato, memori del Bach grande autore di concerti.

Secondo consuetudine, in stile fugato è il secondo Kyrie, che risponde col rigore del
contrappunto osservato al patetismo soggettivo del primo tempo, di cui ripristina la severità del
modo minore. Gli strumenti raddoppiano meramente le linee vocali di una scrittura a quattro
voci (ragione per sospettare che si tratti di una composizione già esistente, inserita immutata,
senza la seconda parte di soprano che contraddistingue il resto della Missa). Il coro propone un
tormentato soggetto in fa diesis minore, che si appoggia espressivamente sulla sensibile (la sua
terza nota); il campo viene però conteso da un secondo tema, presentato dapprima dal tenore e in
seguito gratificato da un'esposizione completa. L'alternarsi dei due soggetti si protrarrà sino alla
conclusione.
Un pannello festivo, di gioiosa solennità, accoglie il fedele nel Gloria in excelsis, glorificazione
del monarca celeste, altrettanto adatta alla regalità del dedicatario terreno, nello splendore della
tonalità di re maggiore. Pezzo sinfonico/corale dall'imponente spiegamento di forze (coro a
cinque voci, trombe, timpani, flauti, oboi, fagotti, archi e basso continuo), cui conferisce smalto
la parte concertante della prima tromba, venne riutilizzato da Bach nella Cantata BWV 191
(probabilmente del 1745), ma forse già in origine era stato concepito per un'altra destinazione, il
tempo veloce di un concerto o il coro d'apertura di una cantata profana.

Nella stessa BWV 191 confluì anche il contemplativo, ampio Et in terra pax, innestato senza
soluzione di continuità sul movimento precedente, cui prevedibilmente si oppone: coro e
orchestra (privata momentaneamente di trombe e timpani) distendono un disegno di sospirose
appoggiature trasformato in un fugato dal soprano I, che espone un soggetto dall'eloquio diretto
ed efficace e un fiorito controsoggetto di semicrome. Sezioni più trasparenti di contrappunto
imitativo si alterneranno ad altre tendenzialmente omofoniche, in grado di sopportare l'impatto
dell'orchestra piena.

Una moderna aria operistica per soprano, violino obbligato e archi costituisce il Laudamus te,
aperto da un vasto a solo concertante del violino, vetrina di virtuosismo strumentale che anticipa
l'analoga complessità della parte vocale (33 note e 5 trilli sul primo «Laudamus»). Le ardue
caratteristiche tecniche e tracce di un'ulteriore elaborazione della linea del soprano inducono a
vedervi un brano nato per i virtuosi dell'Elettore di Sassonia (Faustina Bordoni, celebre
primadonna moglie di Hasse).

La modernità «napoletana» della scrittura, di una souplesse ritmica straordinaria, è già evidente
dal preludio strumentale dall'andamento di allemanda. Segue una pagina mottettistica a quattro
voci (Gratias agimus tibi) in stile fugato, già coro iniziale della Cantata BWV 29, scritta per il
rinnovo del Consiglio municipale di Lipsia (1731) e più volte ripresa. Il suggerimento per il
riutilizzo del pezzo deve essere venuto dal testo originario («Wir danken dir, Gott»), perfetta
versione tedesca del «Gratias agimus tibi» della Messa. Alle due sezioni verbali corrispondono
altrettanti temi musicali, il primo dei quali sporadicamente ripreso dalla prima tromba, finché,
con la solennità di tutte le cantate dedicate da Bach al Consiglio municipale lipsiense, non entra
progressivamente in campo l'orchestra intera per concludere gloriosamente il movimento.

Un ampio duetto per soprano e tenore (Domine Deus) riporta il discorso musicale a un clima di
suggestiva intimità, esaltata dalla raffinatezza timbrica dell'accompagnamento: flauto traverso
obbligato (strumento di grande successo all'epoca: l'anno prima Locatelli aveva pubblicato le XII
Sonate a Flauto traversiere Solo e Basso), archi superiori con sordino, bassi in pizzicato. Il flauto
espone un tema semplice e diretto (aperto da una scaletta di quattro note) su cui le voci si
esibiscono ora in imitazione, ora omoritmicamente. Interessante è l'impiego simbolico di due
cantanti, a significare il Padre e il Figlio, cui il testo fa riferimento: ai due viene affidata
simultaneamente l'acclamazione a una delle persone della Trinità, creando cosi un intrigante
effetto di politestualità. Il duetto era probabilmente in origine col da capo (forma ABA): dopo la
sezione contrastante B è stata però soppressa la ripresa della sezione iniziale e il pezzo sfocia
direttamente nel Qui tollis peccata mundi, cui serve da introduzione. E a ragione, poiché -
emerge qui l'estrema ingegnosità combinatoria del compositore - il severo Qui tollis è il coro
introduttivo della Cantata BWV 46 (1723), privato della sinfonia strumentale che lo precedeva.
La musica composta allora per un dolente testo tratto dalle Lamentazioni serve ottimamente
questa sezione del Gloria, in si minore, vicina, nel clima cupo del denso e intenso intreccio
polifonico, al Kyrie iniziale. I flauti aggiungono un brivido sinistro al già inesorabile e patetico
contesto orchestrale.

Un'aria suggestiva per contralto, oboe d'amore obbligato e archi costituisce la perorazione del
Qui sedes ad dextram Patris, caratterizzata dall'inconfondibile sigla ritmica della terzina in levare
con cui il pezzo attacca: probabilmente parodia di un movimento preesistente, l'aria dipana
comodamente il doppio filo delle linee vocali dei due solisti, voce e strumento (a quest'ultimo
Bach dedica una parte nella sua più tipica scrittura per oboe).

Le fa da pendant un altro memorabile pezzo solistico, il Quoniam tu solus sanctus, ispirato,


nell'originale peculiarità del suo organico, a grave, regale solennità: la voce di basso è infatti
accompagnata da un corno da caccia concertante, due fagotti con parti autonome e basso
continuo. Nella scelta del corno - al quale è riservata una scrittura virtuosistica aperta da un tema
proprio (diverso da quello vocale) che procede per salti, frequentemente di ottava - Bach dovette
avere in mente lo straordinario strumentista di cui disponeva la Cappella ducale di Dresda, da lui
ascoltato nella prima della Cleofide di Hasse nel 1731 (in particolare nell'aria «Cervo al bosco»,
con corno e tiorba obbligati).

Meravigliosamente festivo è il pannello conclusivo del Gloria e dell'intera Missa: il coro Cum
Sancto Spiritu, privato dell'originaria sinfonia introduttiva e saldato all'ultimo ritornello del
corno da caccia, è un'esplosione di energia, esaltata dalle sonorità celebrative delle trombe (la
prima in grande evidenza) e di un'intera orchestra, che si insinua tra le risposte incalzanti delle
voci e sovrasta queste ultime nelle lunghe note tenute. A sezioni concertanti si alternano episodi
fugati, a costituire una sorta di forma rondò. Un'esplosione di luce non lontana da quella che
forse proprio negli anni 1731/32, un grande artista «meridionale», Tiepolo, aveva concepito per
una sfolgorante tela del Giudizio finale.

Il Symbolum Nicenum esordisce con un pezzo in stylus antiquus, il Credo in unum Deum a
cinque voci, cui si aggiungono, completata l'esposizione fugata, due violini, portando cosi a sette
il numero di linee contrappuntistiche che il dinamico basso continuo, perennemente occupato a
snocciolare semiminime, deve sostenere. Il soggetto è modellato sulla melodia gregoriana del
Credo, dimostrazione della genesi originale della musica per questo testo.

A tanta compostezza si oppone la vivacità della fuga concertante del Patrem omnipotentem,
ugualmente mottettistico, ma espressivamente contrastante, rifacimento del Coro iniziale della
Cantata BWV 171, destinata al Capodanno del 1729 (più probabilmente, in verità, entrambi i
lavori derivano da un'ignota fonte comune). Al tema della gloria cosmica di Dio espresso dalla
Cantata (si noti l'intervento della prima tromba) corrisponde qui perfettamente la confessione
della fede in Dio padre, attraverso un impiego ineccepibile della politestualità: all'attacco del
brano le voci superiori mantengono, a guisa di motto icastico, il testo «Credo in unum Deum»,
mentre il basso, contemporaneamente, propone, sul testo «Patrem omnipotentem», un soggetto
che si propagherà a tutto il coro, dando l'occasione al basso di inventare un contro-soggetto più
mosso («Factorem coeli»), ugualmente pervasivo dell'intero movimento.
Il successivo, ampio Et in unum Dominum, di cui esistono due versioni, esibisce la natura
simbolica della musica bachiana, operando quella lettura teologica del mistero dell'unità
dell'unico Dio in tre diverse persone che Albert Schweitzer così esprimeva: «[Bach] dispose che
i solisti cantassero le stesse note, ma in modo tale da non sovrapporsi né identificarsi; le voci si
inseguono in stretta imitazione canonica; l'una procede dall'altra proprio come Cristo procede da
Dio [esprimendo così il dogma] in modo molto più chiaro ed efficace attraverso la musica
piuttosto che con formule verbali». Tutto ciò attraverso l'affascinante, gioiosa naturalezza di un
duetto per soprano e contralto (coppia tipica della musica tardo-barocca): aperto dal comodo
distendersi di un orizzonte sonoro quieto e sereno, nella tonalità pastorale di sol maggiore e nel
timbro caldo di oboi d'amore e archi, il duetto si articola chiaramente in forma di rondò, in modo
che ogni breve porzione testuale riceva un'intonazione musicale simile eppure differente. Del
duetto esistono due versioni, che distribuiscono in modo diverso il testo.

Capolavoro di intima, sacrale intensità è l'Et incarnatus est, per coro a cinque voci, due parti di
violino e basso continuo. Nella tonalità d'impianto dell'intera Messa, si minore, Bach ha
composto un pezzo dall'ineludibile modernità espressiva. Come ha suggerito Christoph Wolff, le
appoggiature sospirose dei violini rinviano allo Stabat Mater di Pergolesi, di cui già abbiamo
detto, mentre la memoria viene inconsciamente condotta all'Ave verum cui un altro genio,
Mozart, avrebbe dedicato, sul medesimo tema teologico, parte delle sue ultime energie. Si noti
come la curva discendente del tema rimandi al mistero dell'incarnazione, appunto la discesa di
Dio nella finitezza della carne, non nell'aura felice di tante messe di compositori cattolici, ma
con una tragicità patetica che già prelude alla teologia della Croce.

Sconcertante è il contrasto con il Crucifixus, trascrizione della passacaglia corale della Cantata
BWV 12 «Weinen, Klagen, Sorgeri, Zagen» (Pianto, lamento, ansia, timore) (non lontana dalla
cantata vivaldiana Piango,gemo,sospiro e fremo), risalente al lontano 1714. Si tratta dunque del
movimento stilisticamente più antico della Messa, collocato deliberatamente subito dopo il più
moderno. La passacaglia (ciaccona), forma barocca per eccellenza, si basa sulla riproposta
ossessiva di un basso ostinato (il tetracordo discendente, talvolta chiamato, all'epoca, passus
duriusculus), che qui ritorna con tragico simbolismo esattamente 13 volte: in origine erano 12,
ma Bach ha deciso di far introdurre la lamentatio corale (come ha notato Alberto Basso) del coro
a quattro voci, con staffilate che esprimono la ferocia della crocefissione, da quattro battute
strumentali che espongono il basso ostinato. Simmetricamente le ultime quattro misure «a
cappella» sorprendono l'ascoltatore con l'eccezionale modulazione a sol maggiore, definitiva
rinuncia di Cristo alle prerogative divine con la deposizione nel sepolcro: analogamente nella
Passione secondo Matteo Gesù abbandonato dal Padre era stato lasciato dall'aureola strumentale.

Il festivo Et resarrexit celebra prevedibilmente la resurrezione di Cristo con uno splendore


sonoro che nessun collega cattolico barocco sconfesserebbe, vicino al Gloria in excelsis di cui
condivide l'ipertrofico organico. Forse derivato da un perduto lavoro profano, nella sua
perentorietà ritmica il coro si divide tra vocazione eminentemente omofonica e persistenti
tentazioni contrappuntistiche: proposto subito l'annuncio della resurrezione plena voce (tutti i 17
pentagrammi della partitura sono occupati simultaneamente), si innesca un fugato sul medesimo
testo, ricondotto spesso a gloriosa omofonia e interrotto da ritornelli strumentali; il basso fìnge
l'esposizione di un ulteriore fugato, mentre il tema principale viene impiegato per il movimento
analogo dell'ascensione. Un ritornello strumentale conclude il coro, come avverrà per l'Osanna.
Neanche in questo caso siamo lontani dalla luminosità di un Tiepolo (la cui Ascensione di
Richmond è probabilmente del 1750).

Tanto clamore si stempera nella comoda cantabilità dell'aria Et in Spiritum sanctum, in cui la
voce di basso (la voce tradizionale di Gesù, per esempio nelle Passioni, parla qui attraverso lo
Spirito santo) è accompagnata dal timbro caldo e pastoso di una coppia di oboi d'amore, che
procedono per terze nel ritmo cullante di 6/8. Alla sezione principale di quest'aria tripartita
(probabilmente derivante da un ignoto modello), in la maggiore, succede il contrastante «Qui
cum Patre et Filio», in tonalità minore, prima della Ripresa, sul testo «Et unam sanctam
catholicam».

Il Confiteor è invece un esempio illustre dell'ultimo stile vocale di Bach, unico pezzo composto
direttamente sul manoscritto: pezzo originale dunque, e non parodia da un modello, visto anche
l'impiego della melodia gregoriana del Credo (ben avvertibile alla voce di tenore). La polifonia a
cinque voci, in stylus antiquus «a cappella», si stende tranquilla sul passo stabilito dal basso
continuo, dissimulando la somma complessità del tessuto contrappuntistico, finché due misure di
Adagio, armonicamente espressive, non introducono il testo «Et expecto resurrectionem
mortuorum».

Anticipato dalla sezione successiva, irretito nella dolente trama polifonica, il medesimo testo
esplode nella sezione successiva (Et expecto), introdotta senza soluzione di continuità. L'ultima
parola di questo straordinario Symbolum Nicenum è un coro di magnifico fulgore sonoro, rigore
e compattezza tematica, esempio magistrale di adattamento della sezione principale del coro
«Jauchzet, ihr erfreuten Stimmen» (Esultate, voci di gioia) dalla Cantata BWV 120, scritta,
probabilmente vent'anni prima, per l'inaugurazione del Consiglio municipale di Lipsia
(medesima occasione della fonte dell'altrettanto festivo Gratias agimus tibi), ma forse già nata
per altro scopo. La cellula ritmica in levare che l'orchestra propone (memore del Secondo
concerto brandeburghese, opera ancora precedente, presentata nel 1721) lega l'attesa della
resurrezione del credente a quella di Cristo, espressa in tono non dissimile nell'Et resurrexit. La
pittura sonora a «Resurrectionem» (tema ascendente) riprende l'immagine dell'ascesa al cielo
delle voci di gioia nel testo Cantata BWV 120.

Capitolo a sé stante è il Sanctus, di cui si è detta la genesi (spia della sua origine luterana è la
conclusione del testo con l'aggettivo «ejus» in sostituzione del cattolico «tua»). Bach ha
rinnovato l'organico vocale: non più tre soprani e un contralto, bensì due coppie paritetiche di
soprani e contralti mantengono comunque l'eccezionale coro a sei parti, accompagnato da
un'orchestra adeguata (è l'unico luogo della Messa che impiega tre oboi). Chiaro il progetto
architettonico, corrispondente alla forma dell'ouverture alla francese: una sezione lenta, che
maestosamente distende la pervasiva figura di terzina, è seguita da un fugato che intona la
seconda parte del testo.

L'ultimo fascicolo del capolavoro si apre con la rivisitazione di un magnifico coro profano
risalente al tempo della Missa: l'Osanna in excelsis deriva infatti dalla Cantata BWV 215 (1734),
scritta in onore del dedicatario della stessa Missa, Federico Augusto II di Sassonia,
nell'anniversario della sua elezione a re di Polonia, o forse addirittura da una precedente cantata
perduta, la BWV Anh. 11 (1732), scritta in onore del re suo padre, Federico Augusto I. La lode
del sovrano terreno viene adattata per analogia al Re dei Cieli. Reciso il ritornello strumentale
introduttivo, attacca il motto del doppio coro, cui risponde clamorosa l'orchestra. Una volta
innescato, il movimento contrappuntistico si arresta solo per il ritornello conclusivo.

Il fascino quieto di un'aria per tenore materializza la tradìzionale dolcezza del Benedictus. La
voce è accompagnata dal controcanto di uno strumento obbligato: l'autografo non precisa quale,
ma è molto probabile che Bach intendesse un flauto, che, propone con calma, nel comodo metro
di 3/4, la sua articolata, elaborata linea melodica. Segue, secondo convenzione, la ripresa
dell'Osanna in excelsis.

Il numero conclusivo dell'Ordinarium viene suddiviso da Bach in due sezioni rigorosamente


separate: un'aria per contralto (Agnus Dei) e un coro che attacca in corrispondenza dell'ultimo
versetto del testo, «Dona nobis pacem». Benché non si tratti di una consuetudine, Antonio
Caldara non si era comportato molto differentemente nella sua Missa Laetare (1729), in cui
proprio al «Dona nobis pacem» attaccava un fugato corale conclusivo in tempo Allegro.
L'intensa perorazione del contralto, che procede senza fretta, appoggiandosi a lungo sulle parole-
chiave del testo («Dei», «tollis», «peccata», «mundi»), viene contrastata dal nastro sonoro di
violini primi e secondi all'unisono (già impiegato nel Christe Eleison): sul passo costante del
basso continuo gli «affetti» dolenti espressi dalla voce reagiscono di volta in volta a questa
suggestiva lumeggiatura di colore degli archi. L'aria deriva probabilmente dalla perduta cantata
nuziale Auf! süss entzückende Gewalt (1725), che Bach riutilizzò nell'Oratorio per l'Ascensione
BWV 11 (1735). La Messa in si minore si chiude con una sorpresa, a suprema conferma di quel
trionfo della parodia celebrato per due ore intere.

Il Dona nobis pacem consiste infatti nella ripresa di un pezzo preesistente, già impiegato nella
Missa del 1733 che questa sezione viene a completare: il Gratias agimus tibi, la cui vicenda
compositiva è stata esposta precedentemente. L'organico «grande» viene prevedibilmente
mobilitato per concludere il capolavoro con un fugato mottettistico il cui protagonista indiscusso
è il coro (che si è aggiudicato 17 sui 26 numeri complessivi della Messa, senza contare la replica
dell'Osanna), coadiuvato nella sfolgorante sezione conclusiva dal clamore di trombe e timpani.
Celebrazione della Gloria celeste che richiama irresistibilmente i trionfi dorati di tanti altari
maggiori delle chiese tardobarocche dall'Italia all'Austria, alla Baviera, e naturalmente gli
stucchi e i marmi della Cappella di corte di Dresda, la chiesa che proprio il dedicatario della
Missa bachiana, Federico Augusto II, andava erigendo nel decennio in cui Bach avrebbe
completato il suo capolavoro.

Raffaele Mellace

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

D. S. G. - Deo Soli Gloria. Ai tempi di Bach era un'iscrizione piuttosto comune. I compositori
usavano annotarla all'inizio o alla fine dei loro manoscritti, anche quando scrivevano opere non
destinate al genere sacro, per ricordare lo sfondo di infinito e di trascendenza da cui la musica
traeva il proprio senso e sembrava provenire come un dono, segno tangibile della grazia che
prometteva all'uomo l'emancipazione dai propri limiti. È naturale, dunque, che la sigla D. S. G.
si trovi anche nell'autografo della Messa in si minore, lavoro composito che Bach finì di
assemblare nel 1749, riunendo in un unico fascicolo parti musicali che aveva scritto nell'arco di
quasi trent'anni. Al 1724 risale infatti il Sanctus, il nucleo più antico dell'opera. Al 1733 le due
pagine che aprono la Messa, il Kyrie e il Gloria. Gli altri brani vennero invece completati fra il
1747 e il 1749, ma contengono per lo più musica già utilizzata in altri contesti e ora adattata
dall'autore al corpo della Messa con l'abilissima tecnica di montaggio che gli era consueta.
Qualche traccia di questa origine composita resta tuttavia avvertibile anche nella versione
definitiva e diventa anzi particolarmente significativa in vista di una corretta comprensione del
lavoro bachiano: la Messa in si minore non ha la compattezza tipica dell'opera concepita fin
dall'inizio come un tutto, ma la ricchezza un po' disomogenea del progetto, corrisponde a
un'ambizione universalistica che Bach coltivò con tenacia, ma a cui diede la forma ancora aperta
del programma, non quella chiusa del sistema. Il programma bachiano, oltretutto, è
profondamente coerente con le matrici culturali dell'illuminismo: al di là delle barriere
confessionali che in Germania dividono la comunità cristiana in due chiese, quella cattolica e
quella riformata, Bach nutre infatti l'ideale di una religione che parli la stessa lingua della
ragione, che sia basata su un principio comunitario di solidarietà e non solleciti invece i motivi
di conflitto contenuti nelle visioni che riconducono la fede a un'esperienza privata dei singoli
soggetti.

La destinazione originaria della Messa non si deduce con chiarezza dalle fonti e ha fatto
discutere molto a lungo, autorizzando persino l'ipotesi che Bach l'avesse eccezionalmente
concepita per la liturgia cattolica. Nella tradizione luterana, in effetti, anche se permaneva l'uso
di recitare in latino il testo fisso della messa, il cosiddetto ordinarium, non era previsto che
questo venisse accompagnato dalla musica, o per lo meno non che lo fosse tutto. Durante la
messa, la musica veniva impiegata di solito per i testi tedeschi, sia quelli dei semplici corali
intonati dai fedeli, sia quelli delle cantate e dei Kirchenlìeder che i musicisti eseguivano prima e
dopo il sermone con tanto di accompagnamento strumentale. In latino si cantavano
occasionalmente dei mottetti polifonici, mentre solo nelle tre domeniche principali del
calendario cristiano (Natale, Pasqua e Pentecoste) si ammetteva che venisse cantata una parte
delle cinque che costituiscono l'ordinarium: Kyrie, Gloria, Sanctus, Benedictus e Agnus Dei. Nel
catalogo bachiano ci sono ad esempio quattro Messe (BWV 233-236) che corrispondono a
questo uso liturgico e che sono perciò composte soltanto da Kyrie e Gloria. Ma anche il Sanctus
che oggi figura nella Messa in si minore era stato eseguito più volte a Lipsia come pagina
autonoma: nel Natale del 1724, in quello del 1726, nella Pasqua del 1727 e probabilmente anche
verso la fine degli anni Quaranta. Nella forma in cui Bach finì per concepirla, la partitura
completa della Messa non era dunque eseguibile nel contesto luterano. Si è pensato allora che
potesse esserlo in quello cattolico, estendendo alla Messa intera quello che forse fu il destino di
una sua parte, Kyrie e Gloria per l'appunto. Nel 1733, Bach aveva inviato queste due sezioni al
duca di Sassonia, Friedrich August, residente a Dresda ma appena salito al trono di Polonia con
il nome di Augusto III e convertito per questo al cattolicesimo. In seguito a questa conversione,
Dresda aveva conosciuto un momento di particolare fioritura sia dal punto di vista religioso, con
la nascita di nuove istituzioni cattoliche accanto a quelle della tradizione protestante, sia da
quello musicale, con la proliferazione di nuove cappelle che richiedevano l'impegno dei
compositori su entrambi i fronti del culto. È possibile che con l'invio del manoscritto Bach
intendesse sollecitare la sua nomina a una delle cappelle di corte, ma l'assenza di ulteriori
testimonianze sulla effettiva esecuzione di quei brani, come pure il valore solo onorifico
dell'incarico che ottenne a Dresda, fanno pensare che la destinazione cattolica potesse essere
stata tutt'al più dettata dall'occasione, ma non avesse per Bach alcuna consistenza dal punto di
vista programmatico.
La distinzione non è di poco conto se appunto alla monumentalità e al tono celebrativo della
Messa si antepone il suo carattere di "progetto" aperto. Il primo criterio fu quello adottato dagli
editori ottocenteschi della partitura, Hans-Georg Nägeli e Nikolaus Simrock, e in particolare da
quest'ultimo, che licenziò nel 1845 la prima pubblicazione completa del lavoro chiamandola
Hohe Messe, espressione che traduce in tedesco quel concetto di solemnitas che in epoca
romantica si riferiva proprio al carattere monumentale di un'opera, alla sua "sublimità", come
pure ai suoi lati spettacolari e rituali, ma certo non ai contenuti meditativi, tantomeno se questi
erano legati a una riflessione sulla natura della fede. Le interpretazioni di oggi tendono a ridurre
l'enfasi romantica dei primi commentatori: la Messa in si minore viene giudicata come un misto
di ispirazioni confessionali diverse, una visione cristiana divisa fra teologia della grazia e
teologia della croce, cattolica se considerata come un tutto, protestante se vista in funzione di un
uso solo parziale. È una soluzione di compromesso che inconsapevolmente assume gli stessi
presupposti della visione romantica, poiché immagina che la Messa sia stata comunque
concepita come un'opera compiuta, oppure come una somma di opere a sé stanti destinate
comunque ad essere concretamente usate nel quadro di una liturgia. La Messa in si minore è
invece un caso unico nella produzione bachiana anche perché è stata la sola composizione sacra
a non essere stata mai eseguita nella versione definitiva mentre l'autore era in vita. Bisogna
considerare che a quel tempo era del tutto inconsueto che un musicista preparasse una simile
partitura senza avere già in vista un'esecuzione, un uso immediato. I motivi che posssono avere
spinto Bach a un lavoro di questo genere diventano allora comprensibili solo se si tiene presente
il peso che ha l'elemento speculativo della musica nell'ultima fase della sua produzione. L'uso
liturgico, la possibilità concreta di eseguire la Messa rappresentano in altre parole per Bach una
preoccupazione del tutto marginale. Il materiale musicale non viene organizzato in vista del
concreto svolgimento di una messa, protestante o cattolica che sia, ma corrisponde a una visione
della fede che prima abbiamo definito illuministica e che dà a questa musica un carattere di
meditazione del tutto peculiare all'interno dell'opera bachiana.

Per comprendere meglio in cosa esso consista, può essere utile infatti un confronto con un'altra
composizione sacra di Bach, per esempio con la Passione secondo San Matteo, che può essere
letta come il rovescio della Messa in si minore: tanto è soggettiva la concezione della Passione,
quanto oggettiva è la costruzione della Messa; tanto drammatico e teatrale è lo svolgimento della
prima, quanto teologica è la solennità della seconda. E se la Messa corrisponde a una visione
unitaria della fede cristiana, considerata appunto come il terreno oggettivo su cui si fondano la
comunità e un principio di fratellanza, la Passione vuole invece risvegliare un'esperienza
individuale del sentimento religioso, ricostruendo in musica il cammino e la sofferenza del
Cristo.

Le tecniche con le quali Bach concretamente lavora sono le stesse che già altrove, per esempio
nelle Cantate, gli avevano consentito di sistematizzare il reimpiego di materiale musicale
preesistente: uso di simmetrie ricorrenti, dunque, rispetto di un rigoroso calcolo delle
proporzioni e un simbolismo elementare, ma sempre rispettato, che semplifica la corrispondenza
fra il testo e le situazioni musicali. In aggiunta, Bach alterna in questa partitura stili di scrittura
diversi, "antico" e "moderno", come dire polifonico e arioso, sottoponendoli a un'organizzazione
formale raffinatissima. Il testo dell'ordinarium viene ridotto da Bach a quattro grandi
suddivisioni, ciascuna dotata di una relativa autonomia:
Kyrie e Gloria, in tutto undici numeri musicali riuniti sotto la denominazione globale di
Missa;
Symbolum Nicenum, cioè il Credo, diviso in nove numeri musicali;
Sanctus, un solo elemento compatto, la parte più antica della Messa;
Hosanna, Benedictus, Agnus Dei e Dona nobis pacem, quattro numeri.

In tutto venticinque numeri musicali, con una netta prevalenza dei cori (sedici) rispetto alle arie
solistiche (sei) e ai duetti (tre).

I. Missa

Kyrie e Gloria, come si è detto, risalgono al 1733. Il Kyrie è diviso in tre parti: un introito
solenne - coro e orchestra piena, con la sola esclusione delle trombe - è seguito da un lungo
episodio fugato continuamente proiettato verso l'alto. Il tema è tortuoso, non privo di qualche
vaghezza formale, ma è reso più nitido sia dall'ostinazione con la quale viene ripetuto, sia dalla
solidità della struttura contrappuntistica in cui è inserito. La seconda parte è costituita dal
Christe, un duetto che modula in tonalità maggiore e che dunque, in un ideale gioco di
chiaroscuri, rappresenta il fascio luminoso che inquadra la figura del Figlio, la seconda persona
della Trinità. L'ultimo episodio è un secondo Kyrie che torna ai toni scuri della tonalità minore e
che ha uno stile di scrittura a quattro voci decisamente arcaico, ispirato direttamente alla
tradizione del mottetto latino.

Il Gloria ha una struttura interna più frammentata: è diviso in otto numeri musicali, ma è
ulteriormente scomponibile in suddivisioni interne che rivelano all'analisi come il profondo
gusto di Bach per la geometria, il suo rispetto anche pratico per la simmetria delle architetture,
siano perfettamente compatibili con un effetto di superficie quanto mai rapsodico e
improvvisativo. Quattro episodi sono affidati al coro e hanno uno svolgimento solenne, con
alternanza di moduli arcaici e fraseggi moderni; gli altri quattro sono invece riservati ai solisti, i
quali a volte dialogano con singoli strumenti dell'orchestra che svolgono funzione concertante,
come il violino nel Laudamus e l'oboe nel Qui sedes.

II. Symbolum Nicenum

Anche il Credo è organizzato secondo una puntigliosa ricerca di simmetrie e proporzioni.


L'inizio è in stile antico, un mottetto in cui due voci reali in orchestra, eseguite dai primi e dai
secondi violini, si aggiungono alle cinque voci in cui è suddiviso il contrappunto vocale. Il resto
dell'orchestra realizza un semplice accompagnamento, ma l'ostinazione delle sue figure rende
lentamente anche questa parte percepibile come una voce indipendente. Le prime parole
sostituiscono l'intonazione che nel canto gregoriano erano appannaggio dell'officiante e hanno
dunque un tono didascalico che viene mantenuto per tutto il brano, proprio perché qui è espressa
a tutte lettere la dottrina della fede, il nucleo dell'insegnamento cristiano. L'influenza del
gregoriano torna a farsi sentire in tutte le parti del Credo improntate allo stile polifonico arcaico.
Nell'impianto in nove movimenti c'è una cornice costituita da quattro parti corali divise in
coppie, rispettivamente Credo e Patrem da un lato, quindi Confiteor e Et expecto dall'altro. Le
componenti intermedie sono costituite da due episodi solistici a sei e a quattro voci, mentre il
corpo centrale è sorretto da tre episodi corali di carattere più esplicitamente teologico: Et
ìncarnatus est, Crucifixus, Et resurrexit.
III. Sanctus

È, come si ricordava, la parte più antica della Messa, anche se Bach lavora anche in questo caso
modificando la versione del 1724: l'orchestra ha comunque un organico più ampio rispetto alle
parti precedenti e la condotta musicale vive del forte contrasto tra il tono solenne dell'inizio, a sei
voci, e lo sviluppo della fuga sulle parole Pleni sunt coeli, anche questa realizzata secondo una
genuina prassi mottettistica.

IV. Hosanna, Benedictus, Agnus Dei e Dona nobis pacem

Le ultime parti della Messa in si minore sono state tutte elaborate con la tecnica della parodia. In
alcuni casi è stato possibile rintracciare la versione originale: per l'Hosanna ad esempio Bach ha
utilizzato una Cantata oggi pervenutaci solo in forma frammentaria (e inclusa nel catalogo con la
sigla Anh. 11), per l'Agnus Dei un passo dell'Oratorio Lobet Gott in seinen Reichen BWV 11,
per il Dona un brano tratto dalla Cantata BWV 29, mentre l'aria del tenore impiegata per il
Benedictus non è conosciuta in altra forma. La varietà di soluzioni mostra anche in questo caso
l'origine non uniforme della partitura (si noti il doppio coro introdotto nell'Hosanna) e la relativa
indipendenza che questa mantiene rispetto alle possibilità di una concreta esecuzione al tempo in
cui fu scritta.

Stefano Catucci

Messe brevi

https://it.wikipedia.org/wiki/Messe_brevi_di_Johann_Sebastian_Bach

BWV 233 - Messa in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=hyVLhEsH_q8

per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)

Kyrie eleison
Coro in fa maggiore per coro, 2 corni, 2 oboi, fagotto, 2 violini, viola e continuo
Utilizza il Kyrie BWV 233a
Gloria in excelsis Deo
Coro in fa maggiore per coro, 2 corni, 2 oboi, 2 violini, viola e continuo
Domine Deus, rex coelestis
Aria in do maggiore per basso, 2 violini, viola e continuo
Utilizza parte della Cantata perduta BWV Anh.18
Qui tollis peccata mundi
Aria in re minore per soprano, oboe e continuo
Utilizza l'Aria n. 3 della Cantata BWV 102
Quoniam to solus sanctus
Aria in re minore per contralto, violino solo e continuo
Utilizza l'Aria n. 5 della Cantata BWV 102
Cum Sancto Spiritu
Coro in fa maggiore per coro, 2 corni, 2 oboi, 2 violini, viola e continuo
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 40

Organico: soprano, contralto, basso, coro misto, 2 corni, 2 oboi, fagotto, 2 violini, viola, basso
continuo
Composizione: 1735 - 1744
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1857

Guida all'ascolto (nota 1)

Se si esclude la famosa Messa in si minore che per grandiosità, indipendenza liturgica, percorso
creativo, rappresenta un caso a sé stante, Bach scrisse, sotto questo titolo, altre 4 composizioni:
le Messe in fa maggiore, la maggiore, sol minore e sol maggiore BWV 233-236.

Tutti questi lavori risalgono al periodo fra il 1730 e il 1740 durante la permanenza di Bach a
Lipsia in qualità di Kantor; resta a tutt'oggi difficile dire se e in quali occasioni esse furono
effettivamente eseguite.

Nella Germania protestante l'Ordinarium della Messa continuava ad essere musicato, anche se
spesso ridotto ai soli Kyrie e Gloria: molte volte infatti la funzione si concludeva dopo il
Sermone e altre sezioni, come il Credo e il Sanctus venivano messe in musica solo in occasioni
di particolare solennità. L'introduzione della Cantata poi accelerò la trasformazione della
struttura tradizionale del servizio liturgico; la sostituzione della lingua latina con il tedesco e la
straordinaria valenza espressiva (non solo musicale ma anche letteraria e spirituale) delle nuove
composizioni, fece di questa forma il vero punto focale della celebrazione religiosa. La
tradizione dell'esecuzione di alcuni brani latini rimase confinata solo ad alcune festività
particolari: il Kyrie nella Prima Domenica d'Avvento e alla Festa della Riforma, il Gloria a
Natale e il Sanctus a Natale, Pasqua e Pentecoste.

Anche le Messe bachiane sono costituite solo dalle prime due intonazioni dell'Ordinarium e per
questo definite appunto Missae Breves (anche se tale definizione è comunque comprensiva di
una diversa varietà di situazioni); a ciascuna di esse è attribuita una articolazione in 6 numeri di
cui il primo è appunto il Kyrie e gli altri cinque comprendono le diverse parti del Gloria (Gloria
in excelsis Deo - Domine Deus - Qui tollis peccata mundi - Quoniam tu solus sanctus - Cum
Sancto Spiritu).

Delle Messe BWV 234 e 236 si sono conservati gli autografi, mentre delle Messe BWV 233 e
235 ci sono pervenute le copie realizzate, fra il 1744 e il 1748, da Johann Christoph Altnickol
(futuro genero di Bach e prezioso compilatore di molte sue opere).

La particolarità di questi lavori sta nella loro modalità costruttiva; la forma è quella della Cantata
(con alternanza di cori e arie solistiche) e gli elementi tematici sono presi da proprie
composizioni precedenti. Si tratta cioè di vere e proprie Messe "parodia" eredi di quella lunga
tradizione che aveva visto i suoi artefici in Palestrina e Orlando di Lasso.
L'utilizzo della tecnica della "parodia" in realtà, nel corso del Seicento, era progressivamente
diminuito, ma sarà proprio con l'opera di Bach che essa conoscerà una nuova stagione di
splendore artistico.

Il procedimento parodistico può essere sviluppato in due direzioni: la prima attraverso il


semplice rifacimento del testo sullo schema di quello preesistente, lasciando inalterata la
costruzione ritmica e possibilmente le stesse parti strumentali; la seconda con una elaborazione
più approfondita del modello originario, con una nuova collocazione del materiale all'interno di
mutazioni, anche importanti, della partitura. Quest'ultimo aspetto, anche perché più consono alle
esigenze di unicità dell'ispirazione artistica, è certamente quello più presente nei lavori bachiani,
dall'Oratorio di Natale alla Messa in si minore, dall'Oratorio di Pasqua alle Missae Breves.

In quest'ultimo caso l'elemento davvero sorprendente è l'adattamento della musica a due modelli
testuali completamente differenti: dalla libera poesia delle Cantate in lingua tedesca, alle
schematiche invocazioni della liturgia latina.

Sui 24 numeri complessivi delle Messe, nessuno sembra potersi ritenere originale e le fonti della
parodia sono state riconosciute in 21 casi.

In particolare per quanto riguarda la Messa in fa maggiore, le provenienze sarebbero:

per il Kyrie un Kyrie precedente a 5 voci (BWV 233a) che innesta sul testo liturgico il corale
Christe, du Lamm Gottes; nella versione della Messa la linea del corale viene affidata ai corni e
agli oboi all'unisono.
per la seconda sezione del Gloria, il "Domine Deus", il riscontro è in una pagina di una
Cantata profana scritta nel 1732 (Anh. 18) per l'inaugurazione del rinnovato edificio della
Thomasschule
sia per il "Qui tollis peccata mundi" che il "Quoniam tu solus sanctus" le fonti sono due arie
(la n. 3 "Weh der Seele, die den Schaden" e la n. 5 "Erschrecke doch") della Cantata BWV 102
"Herr, deine Augen sehen nach dem Glauben" scritta nel 1726;
la conclusione "Cum Sancto Spiritu" è invece basata sul primo Coro della Cantata di Natale
"Dazu ist erschienen der Sohn Gottes" BWV 40 del 1723

La forza visionaria di questa composizione sta proprio in questa capacità di Bach di fondere in
maniera mirabile elementi così divergenti in un risultato artistico di straordinaria omogeneità.

Al Coro è affidato il Kyrie e le due sezioni estreme del Gloria, mentre le altre parti sono
consegnate ai solisti: il "Domine Deus" al Basso, il "Qui tollis" al Soprano e il "Quoniam tu
solus sanctus" al Contralto. Sono pagine che evidenziano di volta in volta una incredibile
potenza corale, un considerevole virtuosismo vocale e una sicura tecnica strumentale. Se nei
momen¬ti d'insieme sono i dirompenti affreschi sonori dell'architettura polifonica a lasciare
stupefatti, nelle arie solistiche è l'appassionante invenzione melodica e la ricercata concertazione
(la voce malinconica dell'oboe nell'aria del soprano o i propositivi interventi del violino nell'aria
del contralto) a coinvolgere l'ascoltatore in una atmosfera di rara commozione.

Laura Pietrantoni
Testo

1. Kyrie (Coro)
Kyrie eleison,
Christe eleison,
Kyrie eleison.

2. Gloria in excelsis Deo (Coro)


Gloria in excelsis Deo,
et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
Laudamus te, benedicimus te,
adoramus te, glorificamus te.
Gratias agimustibi propter magnam gloriarti tuam

3. Domine Deus - Aria (Basso)


Domine Deus, Rex coelestis,
Deus Pater omnipotens,
Domine Fili unigenite Jesu Christe,
Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.

4. Qui tollis - Aria (Soprano)


Qui tollis peccata mundi,
miserere nobis,
suscipe deprecationem nostram.
Qui sedes ad dexteram patris,
miserere nobis.

5. Quoniam - Aria (Contralto)


Quoniam tu solus sanctus,
tu solus Dominus,
tu solus altissimus Jesu Christe.

6. Cum Sancto Spintu - Coro


Cum Sancto Spirita in gloria Dei Patris, Amen.

BWV 233a - Kyrie in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=CstKIb5sGzY

BWV 234 - Messa in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=cQRx-3kKDjo

BWV 235 - Messa in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=dwcNtfggXpE
BWV 236 - Messa in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=q2pB_8PW8LA

per soli, coro e orchestra

Kyrie/Christe/Kyrie
Coro in sol maggiore per coro e tutti gli strumenti
Gloria in excelsis Deo
Coro in sol maggiore per coro e tutti gli strumenti
Utilizza il Coro n. 3 della Cantata BWV 79
Gratias agimus tibi
Aria in re maggiore per basso, 2 violini, viola e continuo
Utilizza l'Aria n. 5 della Cantata BWV 138
Domine Deus, Agnus Dei
Duetto in la minore per soprano, contralto, 2 violini e continuo
Utilizza il Duetto, n. 5 della Cantata BWV 79
Quoniam tu solus sanctus
Aria in mi minore per tenore, oboe e continuo
Utilizza l'Aria n. 3 della Cantata BWV 179
Cum Sancto Spiritu
Coro in sol maggiore per coro e tutti gli strumenti
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 17

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 oboi, 2 violini, viola, basso contunuo
Composizione: 1738 - 1739
Edizione: Simrock, Bonn, 1828

Guida all'ascolto (nota 1)

A parte le Cantate sacre e le Passioni, Bach scrisse molta musica sacra vocale, a cominciare dai
sette Mottetti, composizioni riservate al solo coro su testo latino, secondo l'antica forma
rinascimentale dei cori a cappella. Altri pezzi sacri sono composti su testi latini, ma alcuni sono
destinati al culto cattolico e altri all'uso nella liturgia luterana, che lasciava facoltà alle singole
chiese di utilizzare saltuariamente anche i tradizionali testi latini. Per il culto cattolico, infatti, è
destinata la grande Messa in si minore BWV 232 composta in epoche diverse. Il nucleo iniziale,
cioè il "Kyrie" e il "Gloria", venne composto intorno al 1733 per essere eseguito il 21 aprile di
quell'anno nei festeggiamenti per l'elezione, dell'elettore di Sassonia Federico Augusto II al trono
di Polonia con il tìtolo di re Augusto III. Le altre parti, cioè il "Credo" e il "Sanctus", vennero
scritte in periodi diversi, entro il 1740, e utilizzando anche musiche risalenti al passato. A questa
produzione che è molto conosciuta e costituisce il patrimonio più ricco dell'opera bachiana
vanno aggiunte le quattro Missae breves o piccole Messe, così chiamate perché si limitano a
utilizzare soltanto il "Kyrie" e il "Gloria" della messsa latina. Esse sono la Messa in fa maggiore
BWV 233 del 1737, la Messa in la maggiore BWV 234 del 1738, la Messa in sol minore BWV
235 del 1737 e la Messa in sol maggiore BWV 236 del 1738.
Tali composizioni, ritenute in un certo senso opere minori di Bach, recuperano in parte brani di
precedenti Cantate. Ad esempio il "Kyrie" della Messa in sol maggiore BWV 236 riprende
l'introduzione della Cantata n. 179 "Siene zu, dass deine Gottesfurcht nicht Heuchelei sei". Così
il "Gloria" della stessa Messa riutilizza il brillante attacco della Cantata n. 79 "Gott der Herr is
Sonn'und Schild". Con poche modifiche l'aria del basso "Auf Gott steht meine Zuversicht" della
Cantata n. 138 "Warum betrübst du dich, mein Herz" è la traccia melodica del "Gratias agimus".
Il duetto tra soprano e basso "Gott, ach Gott, verlass die deinen nimmermehr" della Cantata n.
79. Per il "Quondam" con l'aria del tenore Bach si serve dell'analoga aria per tenore "Falscher
Heuchler Ebenbild" della Cantata n. 179. Nel coro finale "Cum Sancto Spiritu" viene riproposto
l'inizio della Cantata n. 17 "Wer Dank opfert", con una semplice trasposizione di tonalità, dal la
al sol maggiore.

Testo

Kyrie
Kyrie eleison, Christe eleison. Kyrie eleison.

Gloria
Gloria in excelsis Deo
Et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
Laudamus te. Benedicimus te. Glorificamus te. Adoramus te.
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam.
Domine Deus, Rex caelestis, Deus Pater omnipotens. Domine Jesu Christe, Fili unigenite.
Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris, qui tollis peccata mundi, miserere nobis, suscipe
deprecationem nostram, qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis.
Quoniam tu solus Sanctus, tu solus Altissimus, tu solus Dominus, Jesu Christe.
Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.

Altre composizioni

BWV 237 - Sanctus in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=cpt_EcFBpZU

BWV 238 - Sanctus in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=YG1j-DnPe7w

BWV 239 - Sanctus in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=b5OfKSCLGm8

BWV 240 - Sanctus in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=sYXOoDquwxY

BWV 241 - Sanctus in Re maggiore


https://www.youtube.com/watchv=zZFty4_u7Yc

BWV 242 - Christe Eleison

https://www.youtube.com/watchv=yn-nW1_y2Ho

BWV 243 - Magnificat in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=41blIyHQ0hs

https://www.youtube.com/watchv=QQAWqqaUTHE

https://www.youtube.com/watchv=x1uFnc45wAE

Magnificat anima mea Dominus


Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola,
organo e continuo
Et exultavit spiritus meus
Aria in re maggiore per soprano II, 2 violini, viola, organo e continuo
Quia respexit humilitatem
Aria in si minore per soprano I, oboe d'amore, organo e continuo
Omnes generationes
Coro in fa diesis minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola, organo e
continuo
Quia fecit mihi magna
Aria in la maggiore per basso, organo e continuo
Et misericordia
Duetto in mi minore per contralto, tenore, 2 flauti traversi, 2 violini, viola, organo e continuo
Fecit potentiam
Coro in sol maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola,
organo e continuo
Deposuit potentes de sede
Aria in fa diesis minore per tenore, 2 violini, organo e continuo
Esurientes implevit bonis
Aria in mi maggiore per contralto, 2 flauti traversi, organo e continuo
Suscepit Israel suum
Trio in si minore per 2 soprani, contralto, 2 oboi, organo e violoncelo
Sicut locus est ad patres nostros
Coro in re maggiore per coro, organo e continuo
Gloria Patri
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola,
organo e continuo

Organico: 2 soprani, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 oboi d'amore,
3 trombe, timpani, 2 violini, viola, continuo (violoncello, violone, fagotto, organo)
Composizione: 1733
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 2 luglio 1733
Edizione: Simrock, Bonn, 1811

Nuova versione del Magnificat BWV 243a. Bach ha rimosso i brani specifici per il Natale in
modo da rendere il Magnificat eseguibile durante tutto l'anno, e lo ha trasposto da mi bemolle
maggiore a re maggiore, tonalità più adatta per le trombe.

Guida all'ascolto (nota 1)

Negli ordinamenti liturgici delle chiese cristiane, un posto privilegiato occupano i cosiddetti
cantica, estratti dall'Antico e dal Nuovo Testamento, testi che hanno forma letteraria (e musicale)
simile a quella dei Salmi ma che del Salterio non fanno parte. I cantici estrapolati dall'Antico
Testamento, e utilizzati nell'Ufficio delle Ore o alla vigilia di feste particolari, sono in numero di
45; quelli ripresi dal Nuovo Testamento sono in numero di 12 e fra questi tre - tutti estratti dal
Vangelo di Luca - vengono indicati come cantica majora (gli altri, ovviamente, sono detti
minora): il Magnificat o Canticum Mariae (Lc. 1, 46-55) intonato nell'Ufficio dei Vespri, il
Benedictus o Canticum Zachariae (Lc. 1, 68-79) intonato nell'Ufficio delle Lodi, e il Nunc
dimittis o Canticum Simeonis (Lc. 2, 29-32) intonato a Compieta.

Il primo di tali cantici - comprendente dieci versetti più i due versetti conclusivi, a imitazione dei
Salmi, della "dossologia maggiore" (Gloria Patri) - consiste nella risposta data dalla Vergine
Maria a Elisabetta quando questa, accogliendola nella casa di Zaccaria, aveva salutato in lei la
madre del Signore. Intonato dal celebrante durante l'Ufficio dei Vespri, nel momento in cui il
sacerdote incensa l'altare e le reliquie e cantato a cori alterni (cantoria e comunità dei fedeli), il
testo - divenuto popolarissimo sin dai tempi di San Benedetto (VI secolo) - era ben noto anche
nelle comunità luterane nella versione tedesca (Meine Seel erhebt den Herrn) in uso sin dai primi
tempi della Riforma.

I regolamenti liturgici vigenti a Lipsia al tempo di Bach prevedevano che il canto del Magnificat
nella versione tedesca fosse regolarmente intonato, secondo il nono tono salmistico (il cosiddetto
tonus peregrinus) come già era avvenuto nella chiesa antica, ai Vespri del sabato e della
domenica nelle due chiese principali, la Nikolaikirche e la Thomaskirche. L'Ufficio vespertino
del sabato, che aveva inizio all'una e mezza del pomeriggio, prevedeva in San Nicola una
predica (sul tema della penitenza) e il canto di Lieder e del Magnificat tedesco da parte dei
Choralisten, cioè degli allievi della Scuola di San Nicola, e in San Tommaso la partecipazione
dei Thomaner impegnati alla medesima ora nell'intonare, oltre al Magnificat, una serie di
mottetti (e, dunque, qualcosa di più complesso dei semplici Lieder). L'Ufficio dei Vespri della
domenica (all'una e tre quarti) prevedeva, invece, in San Nicola la partecipazione della prima
cantoria della Thomasschule (gli allievi interni erano divisi in quattro cantorie, formate in base
alle conoscenze e alle attitudini musicali degli allievi, e la prima di queste era quella di maggiori
capacità), mentre nella Chiesa di San Tommaso agiva la seconda cantoria: in entrambi i casi
l'Ufficio prevedeva il canto di mottetti latini, di Lieder tedeschi, del Magnificat tedesco e
l'impiego dell'organo nell'esecuzione di preludi-corali e di brani di libera invenzione. È poi da
notare che alla domenica l'Ufficio dei Vespri veniva celebrato anche nella Chiesa Nuova (la
Neukirche) e che ad esso prendeva parte la terza cantoria della Thomasschule.
L'intonazione del Magnificat tedesco rientrava dunque nella comune prassi liturgica. Un posto
particolare veniva riservato, tuttavia, anche al Magnificat latino, quello ben noto a tutti nella
versione della Vulgata, questa volta intonato nello stile più elaborato, quello proprio della musica
figuralis, a più voci e con l'impiego di strumenti concertanti, come avveniva nelle usuali cantate
per le varie festività liturgiche. Il canto del Magnificat secondo il testo latino canonico e nello
stile concertante di una Kirchenmusik (o semplicemente Musik, come si chiamavano
normalmente le cantate liturgiche) era consentito, tuttavia, solamente in determinate e ben
precisate circostanze: nei due primi giorni delle tre principali festività dell'anno liturgico (Natale,
Pasqua e Pentecoste, tutte solennizzate per tre giorni) e nelle celebrazioni liturgiche delle altre
grandi festività contemplate dagli ordinamenti ecclesiastici: il Capodanno, l'Epifania,
l'Ascensione, la Domenica della Trinità (prima domenica dopo la Pentecoste), le feste di San
Giovanni Battista (24 giugno) e di San Michele (patrono di Lipsia, 29 settembre) e le tre grandi
feste mariane della Purificazione (2 febbraio), dell'Annunciazione (25 marzo) e della Visitazione
(2 luglio).

Sappiamo con sicurezza che Bach compose un certo, ma imprecisato, numero di Magnificat e
che in alcuni casi egli si servì anche di opere di altri autori (di Antonio Caldara, ad esempio,
utilizzò un Magnificat in do maggiore rielaborando il Suscepit Israel con l'aggiunta di due parti
strumentali superiori, BWV 1082); purtroppo, di quella produzione non rimane che un'unica
composizione, pervenuta in due versioni (BWV 243 e 243a); opera non bachiana, invece, è il
cosiddetto Piccolo Magnificat (BWV Anh. 21), rinvenuto nella Biblioteca Saltykov-Scedrin di
Leningrado (ora San Pietroburgo) e che nel 1958 Ermenegildo Paccagnella pubblicò (presso le
edizioni De Santis di Roma) come opera autografa del grande Thomaskantor; tale lavoro, datato
1708 e già riconosciuto come composizione di Telemann, è in realtà opera di Melchior Hoffman
(1679-1715), organista e direttore della musica alla Neukirche di Lipsia.

Le due versioni dell'unico Magnificat bachiano risalgono a tempi diversi: la prima, in mi


bemolle maggiore (BWV 243a), è del 1723 e dovrebbe essere stata presentata nel Natale di
quell'anno (e che si tratti di composizione natalizia è cosa avvalorata, come vedremo, dalla
presenza di quattro "tropi" legati a quella festività); la seconda, in re maggiore (BWV 243),
dovrebbe essere stata realizzata secondo le ultime conclusioni cui sono giunti gli studiosi -
intorno agli anni 1732-1735 (e non 1728-1731), ipotizzandone la prima esecuzione al 2 luglio
1733 (festa della Visitazione). Delle due versioni (entrambe pervenute autografe), si è imposta la
seconda, anche se alle stampe fu consegnata, seppure molto tardivamente come è successo per
quasi tutta l'opera bachiana, la prima, pubblicata a Bonn - a cura di Georg Pölchau - da Nicolaus
Simrock nel 1811 (ma con una sola interpolaziene, la terza, il Gloria in excelsis Deo), mentre la
partitura della seconda fu presentata nel 1862 nel quadro della Bach-Ausgabe, a cura di Wilhelm
Rust e con le quattro interpolazieni in appendice. La seconda versione non solo si presenta sotto
un diverso taglio tonale e modificata nello strumentale (con l'aggiunta di due flauti traversi e la
sostituzione della coppia di flauti diritti con una coppia di oboi d'amore), ma soprattutto elimina
dal proprio corpo (articolato in dodici "numeri") i quattro "tropi", due su testo tedesco e due su
testo latino, tutti estranei al Canticum Mariae, col risultato di confinare queste pagine fra quelle
più smaccatamente ignorate del grande Kantor. I quattro brani inseriti nella prima versione e poi
eliminati sono, nell'ordine:
A) Vom Himmel hoch, da komm ich her (fra i nn. 2 e 3), mottetto su cantus firmus a quattro voci
a cappella: prima strofa del Lied omonimo di Martin Lutero (pubblicato per la prima volta da
Valentin Schumann a Lipsia nel 1535).
B) Freut euch und jubiliert (fra i nn. 5 e 6), mottetto a quattro voci e basso continuo: da un testo
liederistico già utilizzato da Sethus Calvisius (Erhard Bodenschatz, Florilegium selectissimarum
cantionum, Leipzig 1603, n. 87) e poi ripreso da Johann Kuhnau in una sua cantata per il Natale.
C) Gloria in excelsis Deo (fra i nn. 7 e 8), mottetto a cinque voci con violino obbligato,
strumenti e basso continuo; testo da Luca 2, 14 ma non secondo la versione della Vulgata, bensì
con una traduzione dal testo greco (bona voluntas in luogo di bonae voluntatis).
D) Virga Jesse floruit (fra i nn. 9 e 10), duo per soprano, basso e continuo: testo dalla strofa
finale di un cantico natalizio di Paul Eber (1570) che Bach probabilmente ricavò dalla citata
cantata natalizia di Kuhnau.

Da notare che l'autografo bachiano per quanto concerne il Virga Jesse è mutilo; Alfred Dürr ne
ha pubblicato la ricostruzione nella serie Hortus Musicus (Bärenreiter, Kassel-Basel 1951, quad.
n. 80).

Non conosciamo le ragioni che indussero Bach a farcire il testo del Magnificat con quattro
"tropi" ricavati dal repertorio liturgico e che egli, fra l'altro, riportò in appendice alla partitura,
quasi per sottolinearne l'estraneità dal contesto "tradizionale" e, al tempo stesso, per indicarne
un'esecuzione autonoma: dai dati che il materiale originale ci fornisce si può arguire che
l'esecuzione di tali laudes dovesse spettare ad un gruppo particolare di cantori, distaccato da
quello principale e collocato nella Thomaskirche in una tribuna sottostante a quella in cui, nel
1639-1640, era stato sistemato il piccolo organo. La scelta dei testi, due tedeschi e due latini
nell'ordine e tutti legati (come si è detto) alla festività del Natale, fa intendere chiaramente quale
fosse la destinazione dell'opera, la quale tuttavia, privata di quei tropi, poteva essere felicemente
adattata alle altre festività solenni nelle quali era consentito intonare figuraliter il Magnificat
latino. Si aggiunga ancora che tre di quei testi sono connessi ad una cantata natalizia di Kuhnau -
il rapporto sussiste non solamente per il secondo e il quarto brano, ma anche per il primo - e che
questo legame può essere inteso anche come un diretto atto di omaggio alla figura del musicista
che aveva preceduto Bach nella carica di Thomaskantor (Kuhnau era morto il 5 giugno 1722 e
quello del 1723 era il primo Natale per il cui servizio liturgico Bach doveva provvedere alle
musiche). Le quattro interpolazioni, pur costituendo un momento unitario, sono strutturate in
maniera diversa l'una dall'altra, rivelano un'attenzione tutta specifica alle differenziazioni di tipo
stilistico e comportano una continua variazione nell'organico. Questi caratteri, tuttavia, non
fanno altro che riflettere il piano generale dell'opera inserendosi in quel contesto variato senza
ripeterne alcun particolare. Ancora una volta, in sostanza, si deve constatare che a Bach premeva
costruire un'opera dotata di grande varietà stilistica e che potesse essere intesa come una sorta di
piccola enciclopedia del sapere musicale.

Solamente tre pagine (i nn. 1, 7 e 12) adottano l'organico completo con il coro a cinque parti e un
complesso strumentale arricchito dalla presenza di tre, trombe e timpani. Altri cinque cori (A, 4,
B, C, 11) realizzano tre interpolazioni e due versetti: in tre casi (Vom Himmel koch, Freut euch e
Sicut locutus est) lo stile è quello "antico", tipicamente mottettistico. Le arie solistiche sono
cinque (nn. 2, 3, 5, 8, 9), una per ciascuna delle voci impegnate (le prime due arie sono affidate
rispettivamente ad un soprano II e a un soprano I), due sono i duetti (nn. 6 e D) mentre un
terzetto (n. 10) per due soprani e contralto conclude gli interventi dei soli con l'impiego di una
tromba (sostituita da una coppia di oboi all'unisono nella versione in re maggiore) che intona la
melodia "corale" (cantus firmus) del Magnificat sul nono tono salmistico, il tonus peregrinus
simbolicamente "coerente" col testo del Suscepit Israel.
Il brano di apertura ha carattere giubilante, con introduzione e conclusione strumentali, e si
richiama esplicitamente alla struttura del concerto italiano. Segue un'aria per soprano (il
secondo), accompagnato dai soli archi, subito incalzata - fatto raro in Bach - da una seconda aria
(per il soprano primo), con oboe obbligato (oboe d'amore nella seconda versione) e continuo:
uno splendido "adagio" (n. 3) troncato sull'ultima parola, dicent, per cedere il passo
all'esplosione dell'omnes generationes affidato al "tutti"; il concetto di omnes ha suggerito a
Bach la straordinaria intuizione d'isolare dal contesto quelle due sole parole e ricavarne, con
l'uso d'una ossessionante iterazione, un brano a sé stante (n. 4). Di fronte al clangore della pagina
risulta ben calcolata l'economia sonora del n. 5, un'aria (Quia fecit mihi magna) per voce di
basso e continuo (che realizza la parte arcaicamente con figure di "ostinato"). Il duetto Et
misericordia (n. 6, contralto e tenone) è sostenuto dai soli archi (ma nella seconda versione
compaiono due flauti traversi, violini e viole "col sordino"). Il contrasto barocco del Fecit
potentiam (n. 7), ad organico completo e a tinte sfolgoranti, non si fa attendere. Aria virtuosistica
e di grande penetrazione è il famoso Deposuit (n. 8) affidato al tenore, con una parte strumentale
obbligata dei violini I e II e viole all'unisono (ma le viole sono escluse nella seconda versione).
Come già era successo per i nn. 2 e 3, anche i nn. 8 e 9 formano una coppia di arie: la n. 9 è per
contralto con due flauti dolci (traversi nella seconda versione), formando in tal modo un vero e
proprio trio. Il Suscepit Israel è un terzetto (due soprani e contralto con tromba obbligata, ma la
seconda versione prevede una coppia di oboi all'unisono), chiamata ad intonare a mo' di cantus
firmus - come si è detto prima - la melodia chiesastica del Magnificat nel tonus peregrinus.
Chiudono la composizione due interventi del coro: uno sostenuto dal solo continuo (Sicut
locutus est) e trattato in stile di fuga; l'altro (Gloria Patrì) a piena orchestra, con un mirabile
disegno a terzine ascendenti e discendenti.

Alberto Basso

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel fitto programma musicale del Natale del 1723, il giorno della Natività era stato celebrato
eseguendo il Magnificat in mi bemolle maggiore BWV 243, ampia partitura che conosciamo
anche in una seconda versione, in re maggiore, realizzata da Bach verso la fine di quello stesso
decennio e oggi più spesso eseguita in concerto, come avverrà anche stasera. Poiché tuttavia la
prima versione contiene quattro brani, quattro "interpolazioni", che ne specificano la
destinazione natalizia, Sir John Eliot Gardiner ha deciso di eseguire queste pagine, molto meno
conosciute, inserendole anche nella versione in re maggiore: priva di interpolazioni, la
composizione sarebbe altrimenti adattabile anche a circostanze diverse. Il Magnificat infatti, uno
dei cantici più antichi della chiesa di Roma, era stato fatto proprio anche dalla Riforma luterana
con riferimento alle tre più importanti festività del calendario: Natale, Pasqua, Pentecoste. Ne era
diffusa una traduzione in tedesco ma alcune comunità, fra le quali quella di Lipsia, ammetteva
anche il testo originale in latino.

Bach, a quanto ne sappiamo, scrisse più di un Magnificat, ma a parte le due versioni di


quest'unica partitura altre non ce ne sono giunte. Le interpolazioni natalizie d'altra parte - due in
lingua tedesca e due in latino - si richiamano in molti casi a pagine di Johann Kuhnau, il Cantor
che fu predecessore di Bach a Lipsia: se si considera la cura con la quale egli amava ricostruire
le genealogie musicali e radicarsi in una tradizione, si può anche pensare a un omaggio che
molti, fra gli ascoltatori del tempo, dovevano essere in grado di riconoscere.

Il principio che domina il Magnificat è quello della varietà. In apertura, al centro e in chiusura
troviamo tre pagine a pieno organico, con coro a cinque parti e un'orchestra potenziata dalla
presenza di trombe e timpani. Ognuna delle cinque voci soliste esegue un'aria sostenuta da
organici strumentali più scarni ma che in un caso, Quia respexit, introducono un inatteso ed
efficacissimo intervento del coro. La stessa ricerca di varietà si rispecchia anche
nell'impostazione delle quattro interpolazioni: le prime tre sono in stile mottettistico, e la prima
con solo coro a quattro voci "a cappella", cioè senza strumenti, mentre la terza prevede anche la
presenza di un violino solista in rapporto con il coro; l'ultima è un duo per soprano, voce di
basso e basso continuo. L'elemento della varietà, tipico dell'estetica barocca, è anche quello che
Bach prediligeva ogni volta che attribuiva a una sua opera il compito di presentare ed esibire le
sue doti inventive e tecniche di elaborazione musicale. Dai Concerti Brandeburghesi in poi, è
possibile rintracciare questa preoccupazione in molte delle sue composizioni concepite, per così
dire, come "biglietti da visita" per nuovi committenti o nuovo pubblico. È probabile, perciò, che
presentandosi a Lipsia per il suo primo Natale egli abbia voluto dare, con il Magnificat, un
saggio delle sue qualità. Quel che è certo è che ancora oggi una partitura come questa ce le
restituisce intatte, con tutta la loro freschezza ed energia.

Stefano Catucci

BWV 243a - Magnificat in Mi♭ maggiore


https://www.youtube.com/watchv=3YHf3CtEi8E

Passioni e oratori

Passioni

BWV 244 - Passione secondo Matteo

https://www.youtube.com/watchv=h1mzBccy3a8

https://www.youtube.com/watchv=zMf9XDQBAaI

https://www.youtube.com/watchv=P21qlB0K-Bs

per soli, doppio coro e doppia orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: Venerdì Santo
Organico:

Interpreti: 2 soprani, contralto, tenore, 2 bassi, coro misto, 2 cori misti


Orchestra I: 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 oboi d'amore, 2 oboi da caccia, 2 violini, viola, viola da
gamba, continuo (violoncello, violone), organo
Orchestra II: 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 oboi d'amore, 2 oboi da caccia, continuo (violoncello,
violone), organo, clavicembalo

Composizione: 1727 (revisione 1736)


Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 11 aprile 1727
Edizione: Schlesinger, Berlino, 1830
Struttura musicale

Prima parte:

Kommt, ihr Töchter, helft mir klagen


Coro in mi minore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
Da Jesus diese Rede vollendet hatte
Recitativo in sol maggiore/si minore per tenore, basso, 2 violini, viola e continuo
Herzliebster Jesu, was hast du verbrochen
Corale in si minore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, oragano e continuo
a. Da versammelten sich die Hohenpriester
Recitativo in re maggiore/do maggiore per tenore e continuo
b. Ja nicht auf das Fest, auf dass nicht ein Aufruhr
Coro in do maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Da nun Jesus war zu Bethanien
Recitativo in do maggiore/mi maggiore per tenore e continuo
d. Wozu dienet dieser Unrat
Coro in la minore/re minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
e. Da das Jesus merkete, sprach er zu ihnen
Recitativo in fa maggiore/mi minore per tenore, basso, 2 violini, viola e continuo
Du lieber Heiland du
Recitativo in si minore/fa diesis minore, per contralto, 2 flauti traversi, organo e continuo
Buss' und Reu' knirscht das Sünderherz entzwei
Aria in fa diesis minore per contralto, 2 flauti traversi, organo e continuo
Da ging hin der Zwölfen einer, mit Namen Judas Ischarioth
Recitativo in mi maggiore/re maggiore per tenore, basso e continuo
Blute nur, du liebes Herz!
Aria in si minore per soprano, 2 flauti traversi, 2 violini, viola, organo e continuo
a. Aber am ersten Tage der süssen Brot'
Recitativo in sol maggiore per tenore e continuo
b. Wo willst du, dass wir dir bereiten
Coro in sol maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Er sprach: Gehet hin in die Stadt zu Einem
Recitativo in sol maggiore/mi minore per tenore, basso, 2 violini, viola e continuo
d. Und sie wurden sehr betrübt
Recitativo in fa minore per tenore e continuo
e. Herr, bin ich's
Coro in fa maggiore/do maggiore per coro, 2 violini, viola, organo e continuo
Ich bin's ich sollte büssen
Corale in la bemolle maggiore per coro, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
Er antwortete und sprach
Recitativo in do maggiore/sol maggiore per tenore, basso, 2 violini, viola e continuo
Wiewohl mein Herz in Tränen schwimmt
Recitativo in mi minore/do maggiore per soprano, 2 oboi d’amore, organo e continuo
Ich will dir mein Herze schenken
Aria in sol maggiore per soprano, 2 oboi d'amore, organo e continuo
Und da sie den Lobgesang gesprochen hatten
Recitativo in si minore/mi maggiore per tenore, basso, 2 violini, viola e continuo
Erkenne mich, mein Hüter
Corale in mi maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
Petrus aber antwortete und sprach zu ihn
Recitativo in la maggiore/sol minore per tenore, basso, 2 violini, viola e continuo
Ich will hier bei dir stehen
Corale in mi bemolle maggiore per coro, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
Da kam Jesus mit ihnen zu einem Hofe
Recitativo in si bemolle maggiore/la bemolle maggiore per tenore, basso, 2 violini, viola e
continuo
O Schmerz! hier zittert das gequälte Herz!
Recitativo e coro in fa minore/sol maggiore per tenore, coro, 2 flauti traversi, 2 oboi da caccia,
2 violini, viola, organo e continuo
Ich will bei meinem Jesu wachen
Aria con coro in do minore per tenore, coro, oboe, 2 flauti traversi, 2 violini, viola, organo e
continuo
Und ging hin ein wenig, fiel nieder auf sein Angesicht
Recitativo in si bemolle maggiore/sol minore per tenore, basso, 2 violini, viola e continuo
Der Heiland fällt vor seinem Vater nieder
Recitativo in re minore/si bemolle maggiore per basso, 2 violini, viola, organo e continuo
Gerne will ich mich bequemen
Aria in sol minore per basso, 2 violini, organo e continuo
Und er kam zu seinen Jüngern und fand sie Schlafend
Recitativo in fa maggiore/si minore per tenore, basso, 2 violini, viola e continuo
Was mein Gott will, das g'scheh' allzeit
Corale in si minore/si maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
Und er kam und fand sie aber schlafend
Recitativo in re maggiore/sol maggiore per tenore, basso, 2 violini, viola e continuo
a. So ist mein Jesus nun gefangen
Duetto in mi minore per soprano, contralto, 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola,
organo e continuo
b. Lasst ihn, haltet, bindet nicht / Sind Blitze, sind Donner in Wolken verschwunden
Coro in si minore/mi maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
Und siehe, einer aus denen, die mit Jesu waren
Recitativo in fa diesis minore/do diesis minore per tenore, basso, 2 violini, viola e continuo
O Mensch, bewein' dein' Sünde gross
Corale in mi maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola, organo e
continuo

Seconda parte:

Ach, nun ist mein Jesus hin!


Aria con coro in si minore/fa diesis minore per contralto, coro, flauto traverso, oboe d'amore,
2 violini, viola, organo e continuo
Die aber Jesum gegriffen hatten
Recitativo in si maggiore/re maggiore per tenore e continuo
Mir hat die Welt trüglich gericht't
Corale in si bemolle maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
a. Und wiewohl viel falsche Zeugen herzutraten
Recitativo in sol minore per tenore, basso e continuo
b. Er hat gesagt: Ich kann den Tempel Gottes abbrechen
Recitativo in sol minore per contralto, tenore e continuo
Mein Jesus schweigt zu falschen Lügen
Recitativo in la minore per tenore, 2 oboi, organo e continuo
Geduld, wenn mich falsche Zungen stecche
Aria in la minore per tenore, violoncello e organo
a. Und der Hohepriester antwortete und sprach
Recitativo in mi minore/sol maggiore per tenore, basso e continuo
b. Er ist des Todes schuldig
Coro in sol maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Da speieten sie aus in sein Angesicht
Recitativo in do maggiore/fa maggiore per tenore e continuo
d. Weissage uns
Coro in do maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
Wer hat dich so geschlagen
Corale in fa maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
a. Petrus aber sass draussen im Palast
Recitativo in re minore/re maggiore per 2 soprani, tenore, basso e continuo
b. Wahrlich, du bist auch einer von denen
Coro in re maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola, organo e
continuo
c. Da hub er an, sich zu verfluchen und zu schwören sich verpflicht'
Recitativo in fa diesis minore per tenore, basso e continuo
Erbarme dich, meine Gott
Aria in si minore per contralto, violino solo, 2 violini, viola, organo e continuo
Bin ich gleich von dir geniche
Corale in la maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
a. Des Morgens aber hielten alle Hohenpriester Rat
Recitativo in fa diesis minore/si maggiore per tenore, basso e continuo
b. Was gehet uns das an
Coro in si maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Und er warf die Silberlinge in den Tempel
Recitativo in mi minore/si maggiore per tenore, 2 bassi, organo e continuo
Gebt mir meinen Jesum wieder!
Aria in sol maggiore per basso, violino solo, 2 violini, viola, organo e continuo
Sie hielten aber einen Rat
Recitativo in sol maggiore/re maggiore per tenore, 2 bassi, 2 violini, viola e continuo
Befiehl du deine Wege
Corale in re maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
a. Auf das Fest aber hatte der Landpfleger
Recitativo in la maggiore/si maggiore per soprano, tenore, basso e continuo
b. Lass ihn kreuzigen / Sie sprachen: Barrabam!
Coro in la minore/si maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
Wie wunderbarlich ist doch diese Strafe!
Coro in si maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
Der Landpfleger sagte: Was hat er denn Übels getan
Recitativo in si maggiore per tenore, basso e continuo
Er hat uns Allen wohlgetan
Recitativo in mi minore/do maggiore per soprano, 2 oboi da caccia, organo e continuo
Aus Liebe will mein Heiland sterben
Aria in la minore per soprano, flauto traverso e 2 oboi da caccia
a. Sie schrieen aber noch mehr und sprachen
Recitativo in mi minore per tenore, basso e continuo
b. Lass ihn kreuzigen
Coro in si minore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Da aber Pilatus sahe, dass er nichts schaffete
Recitativo in fa minore per tenore, basso e continuo
d. Sein Blut komme über uns
Coro in si minore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
e. Da gab er ihnen Barrabbam los
Recitativo in si minore/mi maggiore per tenore e continuo
Erbarm' es Gott! Hier steht der Heiland angebunden
Recitativo in fa maggiore/sol minore per contralto, 2 violini, viola, organo e continuo
Können Tränen meiner Wangen nichts erlangen
Aria in sol minore per contralto, 2 violini, organo e continuo
a. Da nahmen die Kriegsknechte des Landpflegers Jesum zu sich
Recitativo in si bemolle maggiore per tenore e continuo
b. Gegrüsset seist du, Judenkönig
Coro in re minore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Und speieten hin an
Recitativo in re minore per tenore e continuo
Haupt voll Blut und Wunden
Corale in fa maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
Und da sie ihn verspottet hatten
Recitativo in la minore per tenore e continuo
Ja! freilich will in uns das Fleisch und Blut
Recitativo in fa maggiore/re minore per basso, 2 flauti traversi, viola da gamba, organo e
continuo
Komm, süsses Kreuz
Aria in re minore per basso, viola da gamba, organo e continuo
a. Und da sie an die Stätte kamen, mit Namen Golgatha
Recitativo in do maggiore/fa diesis maggiore per tenore e continuo
b. Der du den Tempel Gottes zerbrichst
Coro in fa diesis maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
c. Desgleichen auch die Hohenpriester spotteten sein
Recitativo in fa diesis maggiore/mi minore per tenore e continuo
d. Andern hat er geholfen
Coro in mi minore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
e. Desgleichen schmäheten ihn auch die Mörder
Recitativo in sol maggiore/do minore per tenore, organo e continuo
Ach, Golgatha, unsel'ges Golgatha
Recitativo in sol bemolle maggiore per contralto, 2 oboi da caccia, violoncello, organo e
continuo
Sehet, Jesus hat die Hand uns zu fassen ausgespannt
Aria con coro in mi bemolle maggiore per contralto, 2 cori, 2 oboi da caccia, 2 oboi, 2 violini,
viola, organo e continuo
a. Und von der sechsten Stunde an ward eine Finsternis
Recitativo in mi bemolle maggiore/si bemolle maggiore per tenore, basso e continuo
b. Der rufet den Elias
Coro in do minore/fa maggiore per coro, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Und bald lief einer unter ihnen
Recitativo in fa maggiore/sol minore per tenore e continuo
d. Halt, lass sehen, ob Elias kommt
Coro in sol minore/re minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
e. Aber Jesus schriee abermal laut
Recitativo in re minore/la minore per tenore e continuo
Wenn ich einmal soll scheiden
Corale in la minore/mi maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
a. Und siehe da, der Vorhang im Tempel zerriss
Recitativo in do maggiore/sol minore/do minore per tenore e continuo
b. Wahrlich, dieser ist Gottes Sohn gewesen
Coro in do minore per 2 cori, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Und es waren viel Weiber da
Recitativo in mi bemolle maggiore/si bemolle maggiore per tenore e continuo
Am Abend, da es kühle war
Recitativo in sol minore per basso, 2 violini, viola, organo e continuo
Mache dich, mein Herze, rein
Aria in si bemolle maggiore per basso, 2 oboi da caccia, 2 violini, viola, organo e continuo
a. Und Joseph nahm den Leib
Recitativo in sol minore/si bemolle maggiore per tenore e continuo
b. Herr, wir haben gedacht, dass dieser Verführer sprach
Coro in mi bemolle maggiore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
c. Pilatus sprach zu ihnen: Da habt ihr die Hüter
Recitativo in re maggiore/sol minore/mi bemolle maggiore per tenore, basso e continuo
Nun ist der Herr zur Ruh gebracht
Recitativo con coro in mi bemolle maggiore/do minore per masso, tenore, contralto, soprano,
coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola organo e continuo
Wir setzen uns mit Tränen nieder und rufen
Coro in do minore per 2 cori, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo

Guida all'ascolto (nota 1)

Non sono passati nemmeno duecent'anni dal momento in cui, grazie all'iniziativa di Zelter e del
suo allievo Felix Mendelssohn, la Passione secondo Matteo di Bach venne tratta fuori dall'oblio
in cui era caduta e riconsegnata al patrimonio della nostra cultura musicale. Dal giorno della sua
esecuzione a Berlino, 11 marzo 1829, essa è diventata l'opera forse più amata e celebrata fra
quelle di Bach che ci sono pervenute. Non è solo una questione di qualità musicale: vi sono
infatti Cantate nelle quali l'inventiva e il coraggio sperimentale dell'autore sono di gran lunga
superiore. E non è neppure un problema di aderenza fra l'espressione musicale e il contenuto
teologico del racconto cristiano: la Passione secondo Giovanni è da questo punto di vista più
rigorosa e sottile. Ciò che le ha conferito un innegabile primato è piuttosto la sua evidenza
espressiva, come pure la piena visibilità di quelle corrispondenze fra testo e musica che altrove
vengono sublimate sotto una superficie di simbolismi difficili da decifrare. Spesso il linguaggio
della Passione secondo Matteo è stato definito "teatrale". Si è sottolineato ad esempio come
nell'alternanza fra corali e arie, cori e recitativi, essa introduca nel racconto evangelico le pieghe
emotive di un dramma barocco, dando evidenza rappresentativa ai gesti che la musica
accompagna: la concitazione della folla, le lacrime dei fedeli nelle arie di preghiera sui versi
liberi del canto da chiesa (Kirchen-lied), il pentimento di Pietro, il lutto di Giuseppe di Arimatea.
In primo piano, come si vede, sarebbero quei sentimenti umani che il racconto sacro lascia
relativamente ai margini e che la musica richiama invece al centro della scena facendone
occasione di meditazione.

La forza espressiva della Passione secondo Matteo sta dunque in un rovesciamento di


prospettiva rispetto alla tradizionale narrazione della storia sacra. La voce dell'Evangelista
racconta gli eventi in modo apparentemente distaccato, ma le arie, i corali e i cori manifestano
meglio il coinvolgimento dei fedeli nel pieno di una vicenda nella quale compaiono sia come
vittime che come carnefici. Più che la dimensione teologica legata alla questione del "sacrificio",
a toccarci è piuttosto quella umana e troppo umana della "ingiuria", centro focale della
composizione bachiana. Il sacrificio, insegna la teologia, non contraddice l'onnipotenza divina,
ma è necessario al disegno della salvezza. D'altra parte, per un'epoca dalla coscienza religiosa
così radicata com'era quella di Bach, il racconto di un Dio ingiuriato, flagellato, crocifisso,
abbandonato persinO dal Padre, rappresentava un autentico rovello tragico. La vicenda che Bach
racconta nella Passione secondo Matteo si concentra su questa componente umana ed è perciò la
storia di un Dio indebolito e deriso, è la storia di un naufragio che ci comprende tutti, perché
l'intenzione divina viene messa a morte per colpa di quello stesso mondo che essa intende
salvare. All'altro capo dell'esperienza dell'ingiuria e della colpa sta la virtù redentrice della pietà,
sentimento che nella Passione secondo Matteo è ben più importante di quanto non sia nelle altre
Passioni bachiane: è una pietà vista come virtù reattiva, come un bisogno di preghiera che segue
alla meraviglia per questo Dio dei naufraghi che non salva se stesso dalla Croce, ma chiede di
essere salvato dal cuore stesso dei fedeli davanti ai quali si immola. Quando provò a interpretare
il contrasto tra l'onnipotenza divina e la sua sconfitta con la crocifissione, Dostoevskij disse che
il sacrificio di Cristo aveva restituito all'uomo il più pericoloso dei suoi beni, la libertà, e insieme
ad esso il più ampio dei suoi doveri, la responsabilità. Ora, se nel disegno divino vi fosse solo
necessità, come insegna la teologia della croce e come conferma la Passione secondo Giovanni,
non vi sarebbe alcuna responsabilità nell'ingiuria, nella libertà esercitata contro Dio. Ma se una
responsabilità c'è, come Bach indica evidentemente nella Passione secondo Matteo, vuol dire
che anche il disegno divino non è del tutto costrittivo, che l'uomo può evitare il peccato e fare
del suo cuore un luogo capace di accogliere Dio. La letteratura mistica tedesca avrebbe
protestato contro questa volontà, tacciandola ancora di ambizione. Più semplicemente, Bach si
rifà alla tradizione protestante che fa del cuore del fedele il luogo in cui Dio deve essere
salvaguardato e della musica fa l'esempio della comunicazione "da cuore a cuore", come appunto
vuole essere la Passione secondo Matteo.
Le Passioni di Bach

I mezzi musicali e letterari con i quali Bach procede in questo caso non sono a rigore molto
diversi da quelli con i quali aveva operato nelle sue varie Passionsmusiken. Cinque ce ne sono
state tramandate, sia pure in forme a volte frammentarie. La Passione secondo Matteo BWV 244
è l'unica di queste che prevede un doppio coro e venne più volte rielaborata a partire dalla prima
versione, realizzata verosimilmente per la Pasqua del 1727. La Passione secondo Giovanni BWV
245 è l'altra che conosciamo in forma integrale e della quale anzi sono pervenute anche
significative varianti. Le altre tre, la Passione secondo Marco BWV 247, quella Secondo Luca
BWV 246 e un'altra sul testo di Matteo, riutilizzano invece ampiamente musica già scritta da
Bach per altre Cantate o sono oggi ritenute apocrife. In tutti questi casi, il lavoro di Bach sembra
rispondere in primo luogo alla preoccupazione di semplificare i mezzi espressivi rispetto a
quanto avveniva nelle Cantate e di dare maggiore plasticità espressiva al tessuto musicale nel
suo insieme.

La figura dell'Evangelista è da questo punto di vista cruciale: egli non ha solo il compito di
narrare gli eventi e di introdurre i personaggi che parlano in prima persona, ma anche quello di
anticipare la meditazione e il commento delle arie. La sua guida consente di spostare la capacità
di immedesimazione della musica dal piano della ricostruzione operistica dei personaggi, come
avviene in Händel, a quello di una mediazione interpretativa che offre costantemente ai fedeli la
chiave giusta per cogliere il senso della Passione. Rispetto al racconto di Giovanni, quello di
Matteo è molto più ricco di circostanze e annuncia lentamente il martirio di Cristo attraverso il
susseguirsi di episodi che lo preparano in un crescendo di drammaticità. La sua traduzione in
musica richiede un potenziamento del carattere espressivo della musica e contemporaneamente
l'aumento degli interventi di meditazione intercalati nella vicenda attraverso arie e cori su testi
madrigalistici per la scelta dei quali Bach fu in questo caso particolarmente esigente.
Il testo e i personaggi

Il testo della Passione secondo Matteo venne preparato da Picander (pseudonimo del poeta
Christian Friedrich Henrici, 1700-1764) sulla base della trama evangelica e della rielaborazione
di altre fonti della poesia madrigalistica tradizionalmente in uso negli oratori di Passione. Da
questi, Picander aveva tratto per esempio la caratterizzazione di un personaggio, la Figlia di
Sion, rappresentata dal coro come allegoria dell'umanità sgomenta e pentita davanti al martirio
di Gesù. Grazie all'uso del doppio coro, per tradizione funzionale a una forma di scrittura
dialogica per blocchi contrapposti, Bach introduce un supporto drammatico anche in alcune delle
più efficaci pause di meditazione inserite nel racconto. La maggiore consistenza drammaturgica
del testo comporta infine la rappresentazione di un elevato numero di personaggi. Se nella
Passione secondo Giovanni troviamo l'Evangelista (tenore), Gesù, Pietro e Pilato (bassi),
l'ancella (soprano) e il servo (tenore), nella Passione secondo Matteo vengono aggiunti Giuda
(basso), un'altra ancella (soprano), tre sacerdoti (bassi), la moglie di Pilato (soprano), Giuseppe
di Arimatea (basso), due testimoni (contralto e tenore), oltre ai sacerdoti, alla Figlia di Sion, alla
folla e ai soldati, tutti impersonati dai cori.
L'Evangelista e Gesù

La presenza di questa molteplicità di voci ha un evidente riscontro nella forma e nella varietà del
recitativo. Il valore espressivo della declamazione dell'Evangelista è molto accentuato: la
scrittura procede in questo caso attraverso intervalli molto ampi o è portata ai limiti dell'arioso,
mentre l'accompagnamento del continuo non manca di proporre alcune efficaci associazioni
descrittive (come nel caso del terremoto sulle parole «Und siehe da» dell'Evangelista).

La voce di Gesù è sempre accompagnata da sequenze di accordi o da brevi figure degli archi. Il
modulo del recitativo accompagnato e la linea spesso ariosa del suo canto divengono in questo
caso il segno che distingue con immediata evidenza l'unicità della natura divina del Cristo. Alla
forma libera del recitativo sono consegnati alcuni dei momenti più interessanti dell'intera
Passione secondo Matteo, poiché attraverso la sua elaborazione musicale Bach trasferisce le
scene della vicenda narrata sul piano simbolico di un'atemporale universalità, di un più alto
livello di preghiera. Basterà segnalare la scena dell'ultima cena, quando Gesù pronuncia le parole
della consacrazione del pane e del vino in un arioso sorretto da quattro parti degli archi, oppure il
momento del primo interrogatorio, quando le risposte di Gesù assumono un tono marcatamente
profetico («Ihr werdet sehen») e l'accompagnamento accordale assume una configurazione quasi
tematica. Solo sulle ultime parole di Gesù crocifisso («Eli, Eli, lama sabacthani!») gli archi
tacciono. La scelta di servirsi in questo caso del recitativo secco potenzia un momento di intensa
concentrazione religiosa, ma al tempo stesso riveste una funzione drammatica, sottolineata dalla
linea arcaica della declamazione e dall'indicazione Adagio in partitura.
I cori

Le parti del coro sono distribuite in modo tale da sostenere l'impatto emotivo del racconto o da
sospenderne la tensione in un afflato meditativo a seconda dei casi. Gli interventi della turba
sono generalmente brevi, talvolta un semplice grido, come avviene per l'invocazione di Barabba
che i due cori pronunciano in un accordo di settima diminuita, oppure rendono il fanatismo della
folla attraverso un contrappunto che simbolicamente descrive un movimento convulso («Lasst
ihn kreuzigen»). Proprio l'essenziale incisività di questi passaggi è tuttavia ciò che si staglia di
fronte ai corali e ai testi madrigalistici di più ampio disegno. L'uso del doppio coro consente
spesso una complessa scrittura dialogica, come avviene nel canone «Ja nicht auf das Fest» o in
«Weissage uns». Questa idea del dialogo incide però su tutta la dinamica espressiva della
Passione secondo Matteo ed è a volte estesa da Bach anche ai brani scritti per un solo coro
(«Herr, bin ichs») o alle arie nelle quali il doppio coro interviene insieme alle voci soliste. Il
tema del corale «O Haupt voli Blut und Wunden» guida la scena della Crocifissione e fornisce il
disegno melodico di altri momenti della Passione, dalla scena del Getsemani all'interrogatorio di
Pilato, fino al corale «Wenn ich einmal soll scheiden».
Il prologo

Come si è detto, il momento di più alta concentrazione della scrittura bachiana è nel grande
prologo per doppio coro, «Kommt, ihr Töchter». L'atteggiamento religioso di tutto il lavoro, la
sua tensione verso i sentimenti di colpa e di pietà, viene alla luce proprio nella composizione di
questo prologo e determina un'impronta che si distingue dalla natura più schiettamente tragica
della Passione secondo Giovanni: proiettando le sue speranze sull'evento della resurrezione, la
Figlia di Sion trova rimedio alla stringente necessità del sacrificio e riafferma la potenza del
volere divino. Inoltre, proprio perché sposta il centro focale della vicenda dalla morte di Gesù
alla prospettiva della resurrezione, il carattere del coro fornisce ai successivi momenti di
meditazione un orientamento spirituale che li colloca a un livello diverso rispetto al decorso
drammatico degli episodi. La flessuosa cantabilità delle arie e la scrittura di molte pagine corali
della Passione secondo Matteo è largamente debitrice dell'impostazione data da Bach alla pagina
di apertura.

Nel prologo, dopo una lunga introduzione dell'orchestra piena, il coro che rappresenta la Figlia
di Sion chiama le sue compagne alla contemplazione del sacrificio e alla pietà davanti al
cammino della croce. Al suo tema, svolto secondo una densa condotta contrappuntistica, fa eco il
secondo coro con brevi domande, con lo sgomento di una folla che non ha più punti di
riferimento. In seguito, la Figlia di Sion comparirà sempre nei momenti nei quali sarà più intensa
la pietas per la Passione di Cristo. Ma sull'ampio disegno polifonico del coro iniziale si inserisce
in un nuovo intreccio la voce degli angeli (destinata a un coro di voci bianche) che intona il
corale «O Lamm Gottes unschuldig». La melodia del corale si alza luminosa come un solenne
cantus fìrmus sullo scompiglio cromatico delle voci sottostanti, come la guida offerta dalla fede
che conosce la via della verità e prefigura, con il sacrificio, la resurrezione di Gesù e la sua
ascesa alla destra del padre. Ma le voci bianche intervengono come un'interpolazione: sembrano
un'aggiunta che in qualche modo offre una guida "esterna", la voce del dettato sacro che
alimenta la speranza nel momento in cui i protagonisti della Passione si perdono nella dialettica
dell'umiliazione e della pietà.
Le arie

La maggior parte delle arie della Passione secondo Matteo è generata proprio dal riferimento
ideale ai tre sentimenti dominanti della colpa, della pietà e della speranza. L'evidenza della linea
del canto è posta in ulteriore risalto dal prosciugamento dell'orchestra oppure dal dialogo cui
essa è costretta con alcuni strumenti "obbligati", cioè quasi concertanti, come avviene in «Aus
Liebe will mein Heiland sterben» per soprano, flauto e due oboi da caccia, o ancora nella celebre
aria del pentimento di Pietro, «Erbame dich, mein Gott», per contralto, violino solo e archi.

Nei pezzi solistici della Passione secondo Matteo la vocalità conserva uno stile melodrammatico
e una sintassi distesa, non troppo carica di complicazione né dal punto di vista melodico, né da
quello armonico.

Come abbiamo visto, esso corrisponde bene alla lettura del testo sacro che Bach propone in
questo lavoro. In quanto elementi di supporto di un'interpretazione già stabilita, le arie e gli
ariosi si subordinano però nel loro senso espressivo alla guida offerta dai testi madrigalistici,
elementi portanti di questa grande partitura.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

A partire dalla riscoperta avvenuta in epoca romantica, quando Felix Mendelssohn-Bartholdy ne


diresse a Berlino una prima e in realtà piuttosto ridotta esecuzione "moderna" (1829), la
Passione secondo Matteo è stata di fatto innalzata a simbolo dell'intera produzione sacra di Bach,
generando una prospettiva che ha per molto tempo lasciato in ombra gli altri grandi capolavori
bachiani. Il consolidamento di questo prestigio deriva in primo luogo dalla forte carica di
originalità drammatica della Passione secondo Matteo, da una decisa teatralizzazione della
sequenza coro-recitativo-arioso, dalla chiara riconoscibilità degli intermezzi di commento
spirituale (corali, arie etc), ovvero da una più diretta evidenza comunicativa che questo lavoro
possiede rispetto alle altre opere sacre di Bach. Nella Passione secondo Matteo (e almeno in
parte anche nella Passione secondo Giovanni) Bach abbandona il duro linguaggio seicentesco
delle sue Cantate e adotta invece uno stile più disteso, dotato di un'espressività più popolare,
capace di suscitare in tutti i fedeli l'atteggiamento di dolorosa immedesimazione richiesto dalla
liturgia del Venerdì Santo. Bach si avvicina così al gusto "moderno" che ormai si era affermato a
Lipsia e nelle maggiori città tedesche: un gusto profondamente influenzato dalla sintassi del
melodramma italiano e da quello stile concertante a cui già Händel e Telemann avevano ispirato
le loro composizioni sacre. Nonostante la sua riconosciuta esemplarità, la Passione secondo
Matteo non è dunque da intendere come il monumento sommo dell'arte bachiana, ma come il più
riuscito adattamento fra il linguaggio arcaico cui Bach era più profondamente legato e le istanze
innovative dell'epoca nella quale viveva. Per questo, la Passione secondo Matteo non deve essere
neppure giudicata come il risultato di un progetto calcolato fin dall'inizio in ogni sua parte, come
forse siamo portati a credere sulla scorta di un'idea ottocentesca dell'opera d'arte. Essa nasce
piuttosto dalla necessità di aderire a una specifica pratica di culto, alla sua tradizione e al suo
effettivo percorso nella liturgia. La differenziazione espressiva e poetica tra implorazione (il coro
iniziale e quello finale), narrazione (i recitativi e le parti figurate del coro), meditazione e
preghiera (arie e corali) può essere correttamente intesa solo ove si tenga presente la sua
originaria destinazione, ovvero il suo legame con la partecipazione dei fedeli ai riti di
preparazione della Pasqua.

Fin dalla fine del Cinquecento la liturgia luterana della Settimana Santa prevedeva la possibilità
di eseguire una Passionsmusik nella forma per coro a cappella (cioè senza accompagnamento
strumentale), con parti polifoniche più o meno ampie. A partire dalla prima metà del secolo
successivo si era poi diffusa la pratica della passione oratoriale, ovvero una costruzione musicale
che integrava la narrazione canonica del Vangelo con testi poetici tratti dalle Sacre Scritture
oppure di varia elaborazione, secondo l'impianto della cosiddetta poesia madrigalistica. Già a
partire dalle prime Passioni di questo tipo si era affermata con chiarezza una ripartizione di ruoli
che sarebbe stata conservata nella sostanza anche da Bach e che imprime una forte connotazione
drammatica alla narrazione: il racconto vero e proprio viene esposto in forma di recitativo da un
personaggio specifico, l'Evangelista, mentre le arie solistiche intonano i testi poetici liberi, ai
quali è riservata di solito una parte di commento o di meditazione. Il coro svolge funzioni
differenti e può intervenire sia per dar voce alla turba, cioè al popolo ebraico che partecipa
direttamente alla vicenda, sia per ricoprire il ruolo tradizionale della comunità dei fedeli che
intona il corale o, più in generale, dell'umanità che esprime il suo sentimento attraverso i testi
madrigalistici. A Lipsia, l'uso della Passionsmusik si era affermato con una procedura sistematica
solo intorno al 1720, dopo che le maggiori chiese cittadine avevano disposto l'esecuzione al
Venerdì Santo, durante il Vespro, di una Passione in stile polifonico basata sul testo di uno dei
quattro Vangeli. In precedenza era invece consuetudine l'intonazione in stile monodico della
versione di Matteo la Domenica delle Palme, e di quella di Giovanni il Venerdì successivo.

Secondo quanto è riferito dal figlio Carl Philipp Emanuel e dal compositore Johann Friedrich
Agricola nel Necrologio compilato in morte di Johann Sebastian, Bach avrebbe composto cinque
diverse Passionsmusiken per la liturgia pasquale: la Passione secondo Matteo (BWV 244),
l'unica a doppio coro, rielaborata più volte a partire da una versione realizzata probabilmente nel
1727; la Passione secondo Giovanni (BWV 245), ugualmente conosciuta in differenti versioni;
quindi una Passione secondo Marco (BWV 247) che sarebbe stata composta riutilizzando brani
già realizzati da Bach per le sue Cantate, una secondo Luca (BWV 246) oggi ritenuta apocrifa;
infine un'altra composizione non meglio identificata sul testo di san Matteo, forse testimonianza
dell'impegno di Bach nel genere della Passionsmusik anche prima del suo trasferimento a Lipsia.
In ogni caso, in tutti i lavori che conosciamo, Bach tende a rendere coerente il disegno delle
Passioni, raccogliendo in un tessuto unitario tanto i caratteri drammatici, quanto quelli religiosi e
contemplativi richiesti dall'occasione liturgica. Per questo, pur rispettando da un punto di vista
formale la tradizionale divisione dei ruoli fra recitativo, aria e corale, Bach ne annulla il
significato stilistico, adottando nelle Passioni gli stessi criteri strutturali che avevano trasformato
i moduli delle sue Cantate in un organismo plastico, capace di adeguarsi ad esigenze espressive
diverse.

La coesione dell'organismo musicale è resa possibile anche dall'originale trattamento della figura
dell'Evangelista: questi non ha solo il compito di narrare gli eventi e di introdurre i personaggi
che parlano in prima persona (Gesù, Pilato etc), ma anticipa di volta in volta la meditazione e il
commento delle Arie. L'Evangelista non si limita a raccontare, ma partecipa, producendo una
sintesi tra obbiettività narrativa e immedesimazione che funge da guida nella recezione
dell'intero evento religioso. La forza di immedesimazione prodotta dalla resa drammatica del
testo non si deve così a una ricostruzione operistica dei personaggi, come avviene ad esempio
negli oratori di Händel, ma ad una presenza concreta che dispone l'ascolto fornendo ai
partecipanti alla liturgia la chiave per interpretare nel presente la ripetizione della Passione di
Cristo.

Le due grandi Passioni delle quali possediamo almeno una versione intera mostrano una struttura
sostanzialmente omogenea e sono caratterizzate dagli ampi cori che le introducono. A queste
pagine, nella loro indipendenza dal contesto narrativo, Bach affida infatti il rispecchiamento di
due diverse interpretazioni delle Sacre Scritture. Mentre la Passione secondo Giovanni ha un
tono più cupo, giansenista, ed è costruita attorno al legame concettuale fra il sacrificio di Cristo e
il suo significato di redenzione, la Passione secondo Matteo è costantemente guidata e illuminata
dal riferimento all'evento della resurrezione e al suo contenuto di speranza. Il racconto
evangelico di Matteo è assai più ricco di circostanze e, diversamente da quello di Giovanni,
annuncia lentamente il martirio di Cristo attraverso il susseguirsi di episodi che lo preparano in
un crescendo di drammaticità. La sua traduzione nel linguaggio della Passione consente di
potenziare il carattere espressivo della musica e richiede l'aumento degli interventi di
meditazione intercalati alla vicenda attraverso corali e testi madrigalistici scelti direttamente da
Bach.

Il testo della Passione secondo Matteo venne preparato da Picander (pseudonimo del poeta
Christian Friedrich Henrici, 1700-1764) sulla base della trama evangelica e della rielaborazione
di altre fonti della poesia madrigalistica tradizionalmente in uso negli oratori di Passione. Da
questi, Picander aveva tratto per esempio la caratterizzazione di un personaggio, la figlia di Sion,
rappresentata dal coro come allegoria dell'umanità pentita dinanzi al sacrificio che la redime.
Grazie all'uso del doppio coro, per tradizione funzionale a una forma di scrittura dialogica fra
blocchi contrapposti, Bach introduce un supporto drammatico anche in alcune delle più efficaci
pause di meditazione inserite nel racconto. La maggiore consistenza drammaturgica del testo
comporta infine la rappresentazione di un elevato numero di personaggi. Se nella Passione
secondo Giovanni trovavamo l'Evangelista (tenore), Gesù, Pietro e Pilato (bassi), l'ancella
(soprano) e il servo (tenore), nel corso della Passione secondo Matteo vengono aggiunti Giuda
(basso), un'altra ancella (soprano), tre sacerdoti (bassi), la moglie di Pilato (soprano) e due
testimoni (contralto e tenore), oltre alla figlia di Sion, ai sacerdoti, ai soldati e alla folla, tutti
impersonati dai cori.

La presenza di questa molteplicità di voci ha un evidente riscontro nella forma e nella varietà del
recitativo. Il valore espressivo della declamazione dell'Evangelista è molto accentuato: la
scrittura procede in questo caso attraverso intervalli molto ampi o è portata ai limiti dell'arioso,
mentre l'accompagnamento del continuo non manca di proporre alcune efficaci associazioni
descrittive (è il caso del terremoto, sulle parole « Und siehe da » dell'Evangelista). La voce di
Gesù è sempre accompagnata da sequenze di accordi o da brevi figure degli archi. Il modulo del
recitativo accompagnato e la linea spesso ariosa del suo canto divengono in questo caso il segno
che distingue con immediata evidenza l'unicità della natura divina del Cristo. Alla forma libera
del recitativo sono consegnati alcuni dei momenti più interessanti dell'intera Passione secondo
Matteo, poiché attraverso la sua elaborazione musicale Bach trasferisce le scene della vicenda
narrata sul piano simbolico di un'atemporale universalità, di un più alto livello di preghiera.
Basterà segnalare la scena dell'ultima cena, quando Gesù pronuncia le parole della consacrazione
del pane e del vino in un arioso sorretto da una rigorosa scrittura a quattro voci degli archi,
oppure il momento del primo interrogatorio, quando le risposte di Gesù assumono un tono più
chiaramente profetico (« Ihr verdet sehen ») e l'accompagnamento accordale assume una
configurazione quasi tematica. Solo sulle ultime parole di Gesù crocifisso (« Eli, Eli, lama
sabathani! ») gli archi tacciono. La scelta di servirsi in questo caso del recitativo secco potenzia
un momento di intensa concentrazione religiosa, ma al tempo stesso riveste una funzione
drammatica, sottolineata dalla linea arcaica della declamazione e dall'indicazione Adagio in
partitura.

Le parti del coro sono distribuite in modo tale da sostenere l'impatto emotivo del racconto o da
sospenderne la tensione in un afflato meditativo a seconda dei casi. Gli interventi della turba
sono generalmente brevi, talvolta un semplice grido, come avviene per l'invocazione di Barabba
che i due cori pronunciano in un accordo di settima diminuita, oppure rendono il fanatismo della
folla attraverso un contrappunto che simbolicamente descrive un movimento convulso (« Lass
ihn kreuzi-gen »). Proprio l'essenziale incisività di questi passaggi è tuttavia ciò che si staglia di
fronte ai corali e ai testi madrigalistici di più ampio disegno. L'uso del doppio coro consente
spesso una complessa scrittura dialogica, come avviene nel canone «Ja nicht auf das Fest» o in
«Weissage uns». Questa idea del dialogo incide però su tutta la dinamica espressiva della
Passione secondo Matteo ed è a volte estesa da Bach anche ai brani scritti per un solo coro
(«Herr, bin ichs») o alle arie nelle quali il doppio coro interviene insieme alle voci soliste. Il
tema del corale «O Haupt, voll Blut und Wunden» guida la scena della Crocifissione e fornisce il
disegno melodico di altri momenti della Passione, dalla scena del Getsemani all'interrogatorio di
Pilato, fino al corale «Wenn ich einmal soll scheiden».

Come si è detto, il momento di più alta concentrazione della scrittura bachiana è nel grande
prologo, il coro «Kommt, ihr Töchter». L'atteggiamento religioso di tutto il lavoro, la sua
tensione verso la redenzione portata dalla resurrezione di Cristo, viene alla luce proprio nella
composizione di questo coro e determina un'impronta che si distingue dalla visione più
schiettamente tragica della Passione secondo Giovanni. Inoltre, proprio in quanto sposta il centro
focale della vicenda verso la resurrezione, il carattere del coro fornisce ai successivi momenti di
meditazione un orientamento spirituale che li solleva dal decorso drammatico degli episodi: la
flessuosa cantabilità delle arie e la scrittura di molte pagine corali della Passione secondo Matteo
risente profondamente di questa prospettiva.

Nel prologo, dopo una lunga introduzione dell'orchestra piena, il coro che rappresenta la figlia di
Sion chiama le sue compagne alla contemplazione e alla pietà davanti al cammino della croce.
Al suo tema, svolto secondo una densa condotta contrappuntistica, fa eco il secondo coro con
brevi domande, con lo sgomento di una folla smarrita. Più avanti, la figlia di Sion comparirà
sempre nei momenti nei quali sarà più intensa la pietas davanti alle sofferenze di Cristo. Ma
sull'ampio disegno polifonico del coro iniziale si inserisce in un nuovo intreccio la voce degli
angeli (coro di voci bianche) che intona il corale «O Lamm Gottes unschuldig». La melodia del
corale si alza luminosa come un solenne cantus firmus sullo scompiglio cromatico delle voci
sottostanti, come la guida offerta dalla fede che conosce la necessità del sacrificio e prefigura
l'ascesa di Gesù alla destra del Padre.

La maggior parte della arie della Passione secondo Matteo, come si diceva, è generata dal
riferimento ideale alla resurrezione, ancor meglio inquadrato dagli ariosi che la precedono.
L'evidenza della linea del canto è posta in ulteriore risalto dal prosciugamento dell'orchestra, in
un caso ridotta al solo continuo dell'organo e della viola da gamba («Geduld», aria del tenore),
oppure impegnata in dialogo con uno o più strumenti obbligati, come avviene in «Aus Liebe will
mein Heiland sterben» per soprano, flauto e due oboi da caccia, o ancora nella celebre «Erbarme
dich, mein Gott» per contralto, violino solo e archi.

Nei pezzi solistici della Passione secondo Matteo la vocalità conserva uno stile melodrammatico
e una sintassi distesa, non troppo carica di complicazione nè dal punto di vista melodico, nè da
quello armonico. Come abbiamo visto, esso corrisponde bene alla lettura del testo sacro che
Bach propone in questo caso.

In quanto elementi di supporto di un'interpretazione già stabilita, le arie e gli ariosi si


subordinano però nel loro senso espressivo alla guida offerta dai corali e dai testi madrigalistici,
elementi portanti di questa grande partitura.

Stefano Catucci
BWV 244b - Passione secondo Matteo (seconda versione)

https://www.youtube.com/watchv=DskGhFFrSHo

https://www.youtube.com/watchv=ekVlBP4XrQU&list=PLdSq3qPpY-
BdvKWFAkFzBiBJe_xCJ1Tdn

BWV 245 - Passione secondo Giovanni

https://www.youtube.com/watchv=zMf9XDQBAaI

https://www.youtube.com/watchv=Fk3YFbA3770

per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: con brani di B. H. Brockes, C. H. Postel, Chr. Weise
Occasione: Venerdì Santo
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti traversi, 2 oboi, oboe d'amore, 2
oboi da caccia, 2 violini, 2 viole d'amore, viola, viola da gamba, luto, continuo (organo o
clavicembalo, violoncello, violone, fagotto
Composizione: Lipsia, 1724 (revisioni 1725, 1732 e 1749)
Prima esecuzione: Lipsia, Nicolaikirche, 7 aprile 1724
Edizione: Trautwein, Berlino, 1831
Struttura musicale

Parte prima:

a. Herr, unser Herrscher


Coro in sol minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
b. O Mensch, bewein dein Sunde
Corale - Sostituisce il Coro n. 1 nella seconda versione
a. Jesus ging mit seinen Jüngern über den Bach Kidron
Recitativo in do minore/sol minore per tenore, basso, organo e continuo
b. Jesum von Nazareth
Coro in sol minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Jesus spricht zu ihnen: Ich bin's
Recitativo in sol minore/do minore per tenore, basso, organo e continuo
d. Jesum von Nazareth
Coro in do minore per coro, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
e. Jesus antwortete
Recitativo in sol maggiore/si bemolle maggiore per tenore, basso, organo e continuo
O grosse Lieb', o Lieb' ohn' alle Masse
Corale in sol minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
Auf dass das Wort
Recitativo in si bemolle maggiore/sol minore per tenore, basso, organo e continuo
Dein Will' gescheh', Herr Gott, zugleich
Corale in re minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini e viola
Die Schar aber und der Oberhauptmann
Recitativo in fa maggiore/re minore per tenore, organo e continuo
Von den Stricken meiner Sünden
Aria in re minore per contralto, 2 oboi, organo e continuo
Simon Petrus aber folgete Jesu nach
Recitativo in re minore/si bemolle maggiore per tenore, organo e continuo
Ich folge dir gleichfalls mit freudigen Schritten
Aria in si bemolle maggiore per soprano, 2 flauti traversi, organo e continuo
Derselbige Jünger war dem Hohenpriester bekannt
Recitativo in sol minore/la minore/fa diesis minore per tenore, soprano, basso, organo e
continuo
Wer hat dich so geschlagen
Corale in fa diesis minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini e viola
a. Und Hannas sandte ihn gebunden zu dem Hohenpriester
Recitativo in do diesis minore per tenore, organo e continuo
b. Bist du nicht seiner Jünger einer
Coro in mi maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi, organo e continuo
c. Er leugnete aber und sprach: Ich bin's nicht
Recitativo in la maggiore/fa diesis minore per tenore, basso, soprano, organo e continuo
Ach, mein Sinn, wo willt du endlich hin
Aria in fra diesis minore per tenore, 2 violini, viola, organo e continuo
Petrus, der nicht denkt zurück, seinen Gott verneinet
Corale in fa diesis minore/la maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola,
organo e continuo

Parte seconda:

Christus, der uns selig macht


Corale in la minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
a. Da führeten sie Jesum von Caiphas vor das Richthaus
Recitativo in re minore per tenore, basso, organo e continuo
b. Wäre dieser nicht ein Übelthäter
Coro in re minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Da sprach Pilatus zu ihnen
Recitativo in re minore per tenore, basso, organo e continuo
d. Wir dürfen niemand töten
Coro in la minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
e. Auf dass erfüllet würde das Wort Jesu
Recitativo in la minore per tenore, basso, organo e continuo
Ach, grosser König, gross zu allen Zeiten
Corale in la minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
a. Da sprach Pilatus zu ihm: So bist du dennoch ein König
Recitativo in do maggiore/la minore per tenore, basso, organo e continuo
b. Nicht diesen, sondern Barrabam!
Coro in re minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
c. Barrabas aber war ein Mörder
Recitativo in re minore/sol minore per tenore, organo e continuo
Betrachte, meine Seel', mit ängstlichem Vergnügen
Aria in mi bemolle maggiore per basso, 2 viole d’amore, luto, organo e continuo
Erwäge, wein sein blutgefarbter Rucken
Aria in do minore per tenore, 2 viole d’amore, organo e continuo
a. Und die Kriegsknechte flochten ein Krone von Dornen
Recitativo in sol minore per tenore, organo e continuo
b. Sei gegrüsset, lieber Judenkonig!
Coro in si bemolle maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo
e continuo
c. Und gaben ihm Backenstreiche
Recitativo in sol minore per tenore, basso, organo e continuo
d. Kreuzige, Kreuzige!
Coro in sol minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violino, viola, organo e continuo
e. Pilatus sprach zu ihnen: Nehmet ihr ihn hin
Recitativo in sol minore/la minore per tenore, basso, organo e continuo
f. Wir haben ein Gesetz, und nach dem Gesetz soll er sterben
Coro in fa maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
g. Da Pilatus das Worte hörete, fürchtet'er sich roch mehr
Recitativo in la minore/mi maggiore per tenore, basso, organo e continuo
Durch dein Gefängniss, Gottes Sohn
Corale in mi maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi, organo e continuo
a. Die Juden aber, die weil es der Rusttag war
Recitativo in do diesis minore per tenore, organo e continuo
b. Lässest du diesen los, so bist du des Kaisers Freund nicht
Coro in mi maggiore per coro, 2 flauti traversi, oboe, oboe d’amore, 2 violini, viola, organo
e continuo
c. Da Pilatus das Worte hörete, führete er Jesum heraus
Recitativo in do diesis minore per tenore, basso, organo e continuo
d. Weg, weg mit dem
Coro in fa diesis minore per coro, 2 flauti traversi, oboe, oboe d’amore, 2 violini, viola,
organo e continuo
e. Spricht Pilatus zu ihnen
Recitativo in si minore per tenore, basso, organo e continuo
f. Wir haben keinen König
Coro in si minore per coro, 2 flauti traversi, oboe, oboe d’amore, 2 violini, viola, organo
e continuo
g. Da überant wortete er ihn
Recitativo in si minore/sol minore per tenore, organo e continuo
Eilt, ihr angefocht'nen Seelen
Aria e coro in sol minore per basso, coro, 2 violini, viola, organo e continuo
a. Allda kreuzigten sie ihn
Recitativo in si bemolle maggiore per tenore, organo e continuo
b. Schreibe nicht: Der Juden König
Coro in si bemolle maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo
e continuo
c. Pilatus antwortet: Was ich geschrieben habe
Recitativo in si bemolle maggiore per tenore, basso, organo e continuo
In meines Herzens Grunde
Corale in mi bemolle maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
a. Die Kriegsknechte aber, da sie Jesum gekreuzigt hatten
Recitativo in si bemolle maggiore/sol minore/do maggiore per tenore, organo e continuo
b. Lasset uns den nicht zerteilen
Coro in do maggiore per coro, 2 flauti traversi, oboe, oboe d’amore, 2 violini, viola, organo
e continuo
c. Auf das erfullet würde die Schrift
Recitativo in la minore per tenore, basso, organo e continuo
Er nahm alles wohl in Acht
Corale in la maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
Und von Stund' an nahm sie der Jünger zu sich
Recitativo in la maggiore/fa diesis minore per tenore, basso, organo e continuo
Es ist vollbracht, der Held von Juda siegt mit Macht
Aria in si minore per contralto, viola da gamba, 2 violini, viola, organo e continuo
Und neigte das Haupt und verschied
Recitativo in fa diesis minore per tenore, organo e continuo
Mein teurer Heiland, lass dich fragen
Aria e coro in re maggiore per basso, coro, organo e continuo
Und siehe da, der Vorhang im Tempel zerriss
Recitativo in fa diesis minore/mi minore per tenore, organo e continuo
Mein Herz! indem die ganze Welt
Arioso in sol maggiore per tenore, 2 flauti traversi, 2 oboi da caccia, 2 violini, viola, organo e
continuo
Zerfliesse, meine Herze, in Fluten der Zähren
Aria in do minore per soprano, 2 flauti traversi, 2 oboi da caccia, organo e continuo
Die Juden aber, schrien und sprachen
Recitativo in do minore/si bemolle maggiore per tenore, organo e continuo
O hilf, Christe, Gottes Sohn
Corale in fa minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e continuo
Darnach bat Pilatum Joseph von Arimathia
Recitativo in fa maggiore/sol minore/do minore per tenore, organo e continuo
Ruht wohl, ihr heiligen Gebeine
Coro in do minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola organo e continuo
a. Ach, Herr, lass dein' lieb' Engelein
Corale in mi bemolle maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola, organo e
continuo
b. Christe, du Lamm Gottes
Corale - Sostituisce il Corale b. 40a nella seconda versione

Guida all'ascolto (nota 1)

Sin dal 1666 gli ordinamenti liturgici di Lipsia avevano consenito di intonare il testo della
Passione secondo Matteo nella Domenica delle Palme e quello della Passione secondo Giovanni
al Venerdì Santo; la pratica era allora limitata alla Nikolaikirche (che era la chiesa principale
della città, sede del sovrintendente ecclesiastico) e si teneva nel corso del servizio liturgico del
mattino. In entrambi i casi la realizzazione musicale (che era condotta choraliter, vale a dire
secondo uno stile di canto derivato dal declamato "gregoriano") era quella tradizionale, proposta
nei primi tempi della riforma luterana da Johann Walter (1496-1570), il quale tuttavia aveva
previsto per gli interventi della turba dei brevi inserti in stile polifonico.

Il 26 marzo 1717 (Venerdì Santo) era poi stata inaugurata la consuetudine, presso la Neue Kirche
(terza per importanza delle chiese di Lipsia), di eseguire una Passione in stile polifonico o
concertante (figuraliter) nel corso del servizio liturgico pomeridiano (quello dei Vespri) e senza
la specifica prescrizione di attenersi al solo testo di Giovanni. Il successo incontrato dalla nuova
disposizione liturgica aveva infine indotto le autorità ad estendere il privilegio dapprima alla
Thomaskirche (11 aprile 1721) e poi anche alla Nikolaikirche (7 aprile 1724), con l'esplicita
clausola che le due chiese si sarebbero alternate, l'una in un anno e l'altra nell'anno successivo,
nella presentazione di una grande Passionsmusik e sempre al Venerdì Santo. La manifestazione
ebbe regolarmente luogo sino al 1766.

Poiché la cura della manifestazione era demandata al Thomaskantor, nel corso della sua lunga
permanenza a Lipsia Bach dovette sovrintendere all'esecuzione di ventisei Passionsmusiken,
proponendo o proprie opere o composizioni di altri autori (come Keiser, Telemann, Graun e
Händel). Almeno quattro furono le esecuzioni della Johannes-Passion (BWV 245) e altrettante
quelle della Matthäus-Passion (BWV 244), mentre una sola volta venne presentata la Markus-
Passion (BWV 247); quanto alla Lukas-Passion (BWV 246), tre volte proposta, ben si sa che,
per qualche tempo creduta opera bachiana, essa deve essere esclusa dal catalogo delle opere del
grande Thomaskantor, trattandosi di lavoro (copiato in parte da Johann Sebastian e in parte dal
figlio Carl Philipp Emanuel) d'un autore non identificato. La data di esecuzione di tali lavori è
nota solamente in alcuni casi.

Per quanto riguarda la Johannes-Passion, si conoscono le date delle due prime esecuzioni,
corrispondenti a due distinte versioni dell'opera: 7 aprile 1724 nella Nikolaikirche e 30 marzo
1725 nella Thomaskirche. Le restanti due esecuzioni potrebbero aver avuto luogo il 26 marzo
1728 in San Nicola, e l'8 aprile 1746 in San Tommaso.

Che l'opera abbia conosciuto almeno quattro distinte versioni è attestato dal materiale di
esecuzione superstite, ma la partitura è nota in un'unica copia e la sua redazione risale al 1739
circa (quindi tra la terza e la quarta stesura dell'opera).

Come per altre numerose opere bachiane, le varie versioni di una composizione non
costituiscono una progressione verso uno status definitivo, bensì una rosa di possibilità
nell'ambito delle quali il compositore provvedeva a scegliere la versione più conveniente - in
base a considerazioni più di un ordine pratico che strettamente artistico (un ruolo importante
poteva coprire, ad esempio, la disponibilità di determinati strumentisti o cantanti).

È una disdetta che non si conosca alcuna copia dell'edizione a stampa del testo che fu realizzata
all'atto della presentazione della Johannes-Passion al pubblico dei fedeli di Lipsia nel 1724; la
perdita di un simile documento non ci consente di risolvere in via definitiva il problema della
paternità del "libretto", che è frutto di un'operazione composita, forse portata a compimento
dallo stesso Bach accostando materiali di diversa provenienza per quanto riguarda i cosiddetti
testi madrigalistici. Dei tredici brani costruiti su tali testi, otto (i nn. 7, 19, 20, 24, 32, 34 e in
parte anche 35 e 39) si riallacciano ad una Passione di Barthold Heinrich Brockes (1680-1747)
che fu allora assai celebre: Der für die Sünde der Welt gemartete und sterbende Jesus, aus den IV
Evangelisten (Gesù martirizzato e morto per i peccati del mondo) pubblicato nel 1712 ad
Amburgo e più volte riedito e messo in musica. Una pagina (n. 13) ripete la propria origine dalla
prima strofa del carme Der Weinende Petrus (Pietro piangente) di Christian Weise (1642-1708),
pubblicato a Lipsia nel 1675. Insoluti restano i problemi relativi alle fonti letterarie per i nn. 1
(che contiene una citazione del Salmo 8, 2) e 9 che sbrigativamente sono stati direttamente
attribuiti alla penna di Bach, come gli adattamenti degli altri testi madrigalistici.

L'esegesi neo-testamentaria è concorde nel cogliere, all'interno del Vangelo giovanneo, una
struttura precisa, un piano organico di esposizione, che assume carattere dinamico e drammatico
secondo una progressione calcolata, quasi ad effetto, verso l'affermazione finale della fede e
della sua conoscenza. Non unanime, invece, è l'identificazione di quella struttura, la quale viene
variamente intesa.

Il momento della "passione e morte di Gesù" è contenuto, come avviene nei vangeli sinottici, in
due soli capitoli (cap. 18,1-40; cap. 19,1-42) per un totale di 82 versetti (ben più lunghe sono le
narrazioni presentate dagli altri evangelisti Marco 119 vv., Luca 127 vv., Matteo 141 vv.). Nei
commentari al Quarto Vangelo, l'episodio è generalmente suddiviso in tre fasi principali e in una
serie di momenti "interni" secondo il seguente schema:

Gesù nelle mani dell'autorità giudaica (18,1-27)


cattura di Gesù (18,1-11)
Gesù davanti ad Anna e Caifa; rinnegamento di Pietro (18, 12-27)
Gesù davanti a Pilato (18, 28 - 19, 17)
primo interrogatorio e liberazione di Barabba (18,28-40)
secondo interrogatorio e condanna (19, 1-17)
Crocifissione, morte e sepoltura (19, 18-42)
crocifissione (19, 18-27)
morte (19, 27-37)
sepoltura (19,38-42).

A questo schema si adatta perfettamente anche la partitura bachiana, la quale prevede una "parte
prima" e una "parte seconda" (la divisione è indicata in italiano nell'originale), fra l'una e l'altra
delle quali la liturgia dei Vespri poneva il sermone. Alla prima parte corrisponde la fase I, mentre
le fasi II e III concorrono a formare la seconda parte dell'opera. Ripercorrendo la struttura sopra
riferita, potremo riscontrare le seguenti corrispondenze:
Prologo n. 1

nn. 2-14: a) nn. 2-5; b) nn. 6-14


nn. 15-24: a) nn. 15-20; b) nn. 21-24
nn. 25-39: a) nn. 25-28; b) nn. 29-37; c) nn. 38-39

Epilogo n. 40
Dei quaranta numeri che costituiscono la partitura, il primo e l'ultimo sono indipendenti dalla
narrazione. Il brano di apertura è un vero e proprio prologo affidato idealmente alla massa dei
fedeli, ai peccatori che nel testo della Passione attendono di poter leggere come il vero Figlio di
Dio possa essere glorificato in ogni momento della storia, anche quando più grande è la bassezza
dell'uomo. La solennità dell'evento, la suggestione del momento dovevano necessariamente
tradursi in una pagina grandiosa, che utilizzasse la "coralità" in tutta la sua portata espressiva e
glorificante; pertanto, lo stile che la percorre è quello riservato alle grandi architetture
polifoniche create per le occasioni più importanti, ma privato del fasto di trombe e timpani.

Al contrario, l'epilogo avviene sull'esile trama, priva di monumentalità, di un semplice Corale in


cui il fedele, nell'attesa del Giudizio Universale, invoca la misericordia del Signore. Il congedo è
patetico, ma insieme trionfante e si esalta nel celebrare con un apparato dimesso la magnificenza
del Cristo.

I Corali, in numero di undici (nn. 3, 5, 11, 14, 15, 17, 26, 28, 32, 37, 40), sono distribuiti nel
tessuto della narrazione in connessione con momenti ricchi di pathos, risvegliando nel fedele la
pietas, il senso della meditazione e trasferendo dalla sfera del Cristo a quella sua propria affanni,
dolori, umiliazioni. In stile di Corale è pure il n. 22, che però utilizza non già un testo contenuto
nei consueti Gesangbücher, bensì i versi di un'Aria facente parte di una Johannes-Passion che
Christian Heinrich Postel (1658-1705) scrisse intorno al 1695 e che venne messa in musica ad
Amburgo nel 1704 e variamente attribuita a Händel, a Georg Böhm e a Mattheson.

Rilevanza considerevole ha la parte della turba, del popolo o - meglio - della canaglia che è
chiamata ad interventi (quattordici complessivamente) di grande drammaticità ma generalmente
poco sviluppati sotto il profilo musicale e semmai concepiti come "motti", come brevi inserti in
polifonia collocati all'interno di una struttura in stile recitativo in cui è protagonista il narratore
degli eventi (l'Evangelista). Gli interventi di quest'ultimo, sempre in stile secco, solo in qualche
momento (l'amaro pianto di Pietro e l'episodio del terremoto, entrambi ripresi dal Vangelo di
Matteo) cedono alla foga oratoria e allo spirito della musica imitativa.

Di fronte al marmoreo, lineare, angelicato recitativo dell'Evangelista stanno i vigorosi ma


sempre controllati interventi della vox Christi (un basso, ovviamente) qui spogli e scarni, mentre
nella Matthäus-Passion saranno sempre sostenuti da un rivestimento armonico degli archi, da
un'aureola di note tenute. I passi sono intonati in maniera non difforme da quella che caratterizza
la parte dell'Evangelista o delle altre dramatis personae (soliloquentes), ma è tradizione dare loro
maggiore risalto, nell'esecuzione, mediante un tipo di intonazione più stentoreo e solenne,
quando non sovvenga una scrittura più tornita, tendente all'Arioso.

A fianco del testo narrativo (affidato all'Evangelista, ai soliloquentes e alla turba) e degli inserti
liturgici (i Corali o Kirchenlieder), la Johannes-Passion prevede poi una serie di brani
madrigalistici, su testi di libera invenzione: due cori (nn. 1, 39), un Lied (n. 22) nello stile di un
Corale, sei Arie solistiche (nn. 7, 9, 13, 20, 30, 35), due Ariosi (nn. 19, 34), un'Aria con coro (n.
24) e un'Aria con Corale (n. 32). Pagine tutte di straordinaria bellezza e intrise di valori
strumentali supremi: si pensi, a questo proposito, alle coppie di strumenti concertanti che
intervengono in quattro Arie (2 oboi nel n. 7, 2 flauti traversi all'unisono nel n. 9, 2 viole d'amore
nel n. 20, flauto traverso e oboe da caccia nel n. 35) o all'impiego della viola da gamba nel n. 30
o ancora all'impiego del liuto, in unione a una coppia di viole d'amore (o di violini con sordina),
nell'Arioso n. 19.

Alberto Basso

BWV 245a - Aria (dalla Passione secondo Giovanni)

https://www.youtube.com/watchv=EzxKdQGbV-E

BWV 245b - Aria (dalla Passione secondo Giovanni)

https://www.youtube.com/watchv=MHTey6Wsxpw

BWV 245c - Aria (dalla Passione secondo Giovanni)

https://www.youtube.com/watchv=PRD86P_NHjU

BWV 246 - Passione secondo Luca (spuria)

https://www.youtube.com/watchv=mUELlzD6ezw

BWV 247 - Passione secondo Marco (perduta)

https://www.youtube.com/watchv=mUELlzD6ezw

Oratori

BWV 11 - Oratorio dell'Ascensione

https://www.youtube.com/watchv=mJeqUaqfkYk

BWV 248 - Oratorio di Natale

https://www.youtube.com/watchv=LJts7bpW2VE

https://www.youtube.com/watchv=vXNX6Ulzvn0

Oratorio in sei parti per il periodo natalizio

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)

Parte prima:
Jauchzet, frohlocket!
Cantata in re maggiore per soli coro e orchestra
Occasione: per il giorno di Natale
Jauchzet, frohlocket! auf, preiset die Tage
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola e
continuo
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 214.
Es begab sich aber zu der Zeit
Recitativo in si minore per tenore e continuo
Nun wird mein liebster Bräutigam
Recitativo in la maggiore per contralto, 2 oboi d'amore e continuo
Bereite dich Zion, mit zärtlichen Trieben
Aria in la minore per contralto, oboe d'amore, violino e continuo
Utilizza l'Aria n. 9 della Cantata BWV 213.
Wie soll ich dich empfangen
Corale in la minore per coro, flauto traverso, 2 oboi, 2 violini, viola, violoncello e continuo
Und sie gebar ihren ersten Sohn
Recitativo in mi minore per tenore e continuo
Er ist auf Erden kommen arm
Corale e recitativo in mi minore/sol maggiore per soprano, basso, oboe, oboe d'amore e
continuo
Grosser Herr und starker König
Aria in re maggiore per basso, tromba, flauto traverso, 2 violini, viola e continuo
Utilizza l'Aria n. 7 della Cantata de BWV 214.
Ach, mein herzliebes Jesulein!
Corale in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola e
continuo

Organico: soprano, contralto, tenore, coro misto, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 oboi d'amore, 3
trombe, timpani, 2 violini, viola, continuo (fagotto, violoncello, organo)
Composizione: Lipsia, 1734
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 25 dicembre 1734
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1856

Parte seconda:
Und es waren Hirten
Cantata in sol maggiore per soli, coro e orchestra
Occasione: 1° giorno dopo Natale

Sinfonia (sol maggiore)


per 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, 2 oboi da caccia, 2 violini, viola e organo
Und es waren Hirten in derselben Gegend auf dem Felde
Recitativo in mi minore per tenore e organo
Brich an, o schönes Morgenlicht
Corale in sol maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, 2 oboi da caccia, 2 violini,
viola e organo
Und der Engel sprach zu ihnen: Fürchtet euch nicht
Recitativo in re maggiore per tenore, soprano, 2 violini, viola e organo
Was Gott dem Abraham verheissen
Recitativo in sol maggiore per basso, 2 oboi d'amore, 2 oboi dea caccia e organo
Frohe Hirten, eilt, ach eilet
Aria in mi minore per tenore, flauto traverso e organo
Utilizza l'Aria n. 5 della Cantata BWV 214.
Und das habt zum Zeichen: ihr werdet finder das Kind
Recitativo in re maggiore per tenore e organo
Schaut hin! dort liegt im finstern Stall
Corale in do maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, 2 oboi da caccia, 2 violini,
viola e organo
So geht denn hin! ihr Hirten, geht
Recitativo in la minore per basso, 2 oboi d'amore, 2 oboi da caccia e organo
Schlafe, meine Liebster, geniesse der Ruh'
Aria in sol maggiore per contralto, flauto traverso, oboe d'amore, 2 oboi da caccia, 2 violini,
viola e organo
Utilizza l'Aria n. 3 della Cantata BWV 213.
Und alsobald war da bei dem Engel
Recitativo in re maggiore per tenore e organo
Ehre sei Gott in der Hohe
Coro in sol maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, 2 oboi da caccia, 2 violini,
viola e organo
So recht, ihr Engel, jauchzt und singet
Recitativo in mi minore per basso e organo
Wir singen dir in deinem Heer
Corale in sol maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, 2 oboi da caccia, 2 violini,
viola e organo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 oboi da caccia,
2 violini, viola, continuo (organo)
Composizione: Lipsia, 1734
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 26 dicembre 1734
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1856

Parte terza:
Herrscher des Himmels, erhöre das Lallen
Cantata in re maggiore per soli, coro e orchestra
Occasione: 2° giorno dopo Natale

Herrscher des Himmels, erhöre das Lallen


Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola,
organo
Utilizza il Coro n. 9 della Cantata de BWV 214.
Und da die Engel von ihnen gen Himmel fuhren
Recitativo in la maggiore per tenore e organo
Lasset uns nun gehen gen Bethlehem
Coro in la maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola e organo
Er hat sein Volk getröst't
Recitativo in do diesis minore per basso, 2 flauti traversi e organo
Dies hat er alles uns getan
Corale in re maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola e organo
Herr, dein Mitleid, dein Erbarmen
Duetto in la maggiore per soprano, basso, 2 oboi d'amore e organo
Utilizza il Duetto n. 11 della Cantata BWV 213.
Und sie kamen eilend, und fanden beide
Recitativo in fa diesis minore per tenore e organo
Schliesse, mein Herze, dies selige Wunder
Aria in si minore per contralto, violino solo e organo
Ja, ja! mein Herz soll es bewahren
Recitativo in re maggiore per contralto, 2 flauti traversi e organo
Ich will dich mit Fleiss bewahren
Corale in sol maggiore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola e organo
Und die Hirten kehrten wieder um
Recitativo in mi minore per tenore e organo
Seid froh, dieweil, dass euer Heil
Corale in fa diesis minore per coro, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 violini, viola e organo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 oboi da caccia,
3 trombe, timpani, 2 violini, viola, continuo (organo)
Composizione: Lipsia, 1734
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 27 dicembre 1734
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1856

Parte quarta:
Fallt mit Danken, fallt mit Loben
Cantata in fa maggiore per soli coro e orchestra
Occasione: festa della Circoncisione (Capodanno)

Fallt mit Danken, fallt mit Loben


Coro in fa maggiore per coro, 2 corni, 2 oboi, 2 violini, viola e organo
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 213.
Und da acht Tage um waren
Recitativo in do maggiore per tenore e organo
Immanuel, o süsses Wort!
Recitativo e arioso in re minore/fa maggiore per soprano, basso, 2 violini, viola e organo
Flösst, mein Heiland, flösst dein Name
Aria in do maggiore per soprano, oboe e organo
Utilizza l'Aria n. 5 della Cantata BWV 213.
Wohlan! dein Name soll allein in meinem Herzen sein / Jesu, meine Freude
Recitativo e Arioso in re minore per soprano, basso, 2 violini, viola e organo
Ich will nur dir zu Ehren leben
Aria in re minore per tenore, 2 violini e organo
Utilizza l'Aria n. 7 della Cantata BWV 213.
Jesus richte mein Beginnen
Corale in fa maggiore per coro, 2 corni, 2 oboi, 2 violini, viola e organo
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 oboi, 2 corni, 2 violini, viola, continuo
(organo)
Composizione: Lipsia, 1734
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 1 gennaio 1735
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1856

Parte quinta:
Ehre sei dir, Gott! gesiugen
Cantata in la maggiore per soli e ortchestra
Occasione: 1a domenica dopo Capodanno

Ehre sei dir, Gott! gesiugen


Coro in la maggiore per coro, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola e organo
Da Jesus geboren war zu Bethlehem
Recitativo in fa diesis minore per tenore e organo
Wo ist der neugeborne König der Jüden
Coro e recitativo in si minore per contralto, coro, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola e organo
Utilizza il Coro n. 114 della perduta Markuspassion BWV 247
Dein Glanz all' Finsternis verzehrt
Corale in la maggiore per coro, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola e organo
Erleucht' auch meine finstre Sinnen
Aria in fa diesis minore per basso, oboe d'amore e organo
Utilizza l'Aria n. 3 della Cantata BWV 215.
Da das der König Herodes hörte
Recitativo in la maggiore per tenore e organo
Warum wollt ihr erschrecken
Recitativo in do diesis minore per contralto, 2 violini, viola e organo
Und liess versammeln alle Hohenpriester
Recitativo in la maggiore per tenore e organo
Ach! wann wird die Zeit erscheinen
Trio in si minore per soprano, contralto, tenore, violino e organo
Mein Liebster herrschet schon
Recitativo in fa diesis minore per contralto, 2 oboi d'amore e organo
Zwar ist solche Herzensstube
Corale in la maggiore per coro, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola e organo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola, continuo
(organo)
Composizione: Lipsia, 1734
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 2 gennaio 1735
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1856

Parte sesta:
Herr, wenn die stolzen Feinde schnauben
Cantata in re maggiore per soli, coro e orchestra
Occasione: festa dell'Epifania
Herr, wenn die stolzen Feinde schnauben
Coro in re maggiore per coro, 2 oboi, 3 trombe, timpani, 2 violini, viola e organo
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata perduta Anh 10
Da berief Herodes die Weisen heimlich
Recitativo in la maggiore per tenore, basso e organo
Du Falscher, suche nur den Herrn zu fällen
Recitativo in si minore per soprano, 2 violini, viola e organo
Nur ein Wink von seinen Händen
Aria in la maggiore per soprano, oboe d'amore, 2 violini, viola e organo
Als sie nun den Konig gehöret hatten
Recitativo in fa diesis minore per tenore e organo
Ich steh' an diener Krippen hier
Corale in sol maggiore per coro, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola e organo
Und Gott befahl ihnen im Traum
Recitativo in fa diesis minore per tenore e organo
So geht! genug, mein Schatz geht nicht von hier
Recitativo in fa diesis minore per tenore, 2 oboi d'amore e organo
Nun mögt ihr stolzen Feinde schrecken
Aria in si minore per tenore, 2 oboi d'amore e organo
Was will der Holle Schrecken nun / Was will uns Welt und Sünde tun
Recitativo in si minore per coro e organo
Nun seid ihr wohl gerochen
Corale in re maggiore per coro, 2 oboi d'amore, 3 trombe, timpani, 2 violini, viola e organo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 oboi, corno, 2 violini, viola,
violoncello, continuo
Composizione: Lipsia, 1724
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 3 dicembre 1724
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1868

La Cantata BWV 61 ha lo stesso titolo

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Bach lavorò metodicamente e assiduamente ogni giorno per costruire la sua opera che oggi più
di ieri suscita ammirazione e sbigottimento per la mole e la qualità dell'invenzione artistica. Egli
lasciò il segno della sua prodigiosa attività in tutte le città dove svolse le funzioni di organista e
di maestro di musica: Weimar (1703), Arnstadt (1703-1707), Mülhausen (1707-1708), ancora
Weimar (1708-1717), Koethen (1717-1723) e infine Lipsia, in cui trascorse i suoi ultimi
ventisette anni come Kantor, cioè direttore e maestro del coro della scuola di San Tommaso. In
questa sede Bach scrisse alcuni capolavori, come la Passione secondo San Matteo (1729) e la
Messa in si minore (1733), senza contare il gioioso Magnificat e tante altre composizioni
prevalentemente religiose. Negli stessi anni si colloca la nascita dell'Oratorio di Natale,
composto a Lipsia nel 1734, che, insieme all'Oratorio dell'Ascensione e all'Oratorio di Pasqua,
apparsi due anni dopo, forma un trittico di carattere religioso destinato dall'autore non ad una
esecuzione da concerto, ma ai seguaci della comunità cristiana delle due maggiori chiese della
città, San Nicola e San Tommaso, a commento di avvenimenti biblici significativi in materia di
fede. Dei tre lavori l'Oratorio di Natale, il più ampio e di maggiore impegno, comprende sei
Cantate il cui testo è ricavato in parte dal Vangelo di San Luca (per le prime quattro) e in parte
dal Vangelo di San Matteo (per le due ultime Cantate). Così come nelle Passioni, le parole del
Nuovo Testamento sono cantate dall'Evangelista, mentre le reazioni e gli interventi dei singoli
personaggi partecipanti all'azione sono affidati ai solisti e il coro personifica il popolo, voce
importante per comprendere e seguire lo svolgimento dell'intero oratorio. I testi delle arie e dei
cori sono dovuti molto probabilmente a Christian Friedrich Henrici, uomo di cultura e poeta più
conosciuto sotto lo pseudonimo di Picander (elaborò alcune arie e cori della Passione secondo
San Matteo) o anche allo stesso Bach.

Ogni Cantata si riferisce ad una festività e tende ad una specifica celebrazione di un determinato
fatto religioso. Le prime tre sono destinate alla festa di Natale vera e propria; la quarta al
Capodanno; la quinta alla domenica successiva; la sesta all'Epifania. Nei tre giorni natalizi viene
quindi evocata la nascita del Messia; nel primo giorno dell'anno la sua circoncisione; nella
domenica seguente e nel giorno dell'Epifania sono ricordati rispettivamente la terribile
persecuzione di Erode e l'arrivo nella grotta di Betlemme dei tre Magi di Oriente. Questa
suddivisione dell'Oratorio di Natale in diversi pannelli a sé stanti ha provocato in passato
discussioni e pareri contrastanti sull'omogeneità e sull'unitarietà o meno di tale opera,
comprendente una successione di musiche che possono essere eseguite in modo staccato, le une
dalle altre. Tanto più che Bach ha utilizzato nei brani madrigalistici dell'oratorio trascrizioni di
musiche profane composte precedentemente da lui stesso. Infatti la Cantata profana n. 214
("Tönet, ihr Pauken!") che il musicista aveva fatto eseguire l'8 dicembre 1733 per il compleanno
della regina di Polonia e principessa di Sassonia è stata usata per i cori di apertura della prima e
della terza parte dell'Oratono di Natale, per l'ultima aria del basso della prima parte e per l'aria
del tenore della seconda parte. Un altro lavoro d'occasione, la Cantata profana n. 213, detta
"Ercole al bivio" ("Lasst uns sorgeri, lasst uns wachen"), scritta per festeggiare il 5 novembre
1733 il compleanno del principe Federico Cristiano di Sassonia, è servita di modello per le arie
del contralto nella prima e nella seconda parte, per il duetto tra soprano e basso e il successivo
recitativo nella terza parte, per l'aria del soprano e per quella del tenore nella quarta parte
dell'Oratorio. Il secondo recitativo dell'Evangelista nella quinta parte proviene invece dalla
Cantata profana n. 215 ("Preise dein Glücke") eseguita il 5 ottobre 1734 per l'anniversario della
elezione di Augusto III a re di Polonia.

Non c'è da gridare allo scandalo per questi spostamenti e travasamenti operati da Bach dalla
musica profana a quella religiosa, perché quello che conta non è l'etichetta esteriore del brano,
ma la qualità e lo stile del discorso sonoro del compositore di Eisenach che aveva il senso dello
scopo cui si rivolgeva e affondava le sue radici in una intensa spiritualità di formazione più
religiosa che laica. Del resto di questo avviso è lo stesso autorevole biografo bachiano Philipp
Spitta, secondo cui le occasionali musiche mondane del compositore in realtà non lo erano, tanto
che il musicista le restituì alla loro vera natura trasformandole in musiche da chiesa. Anche Karl
Geiringer ritiene che l'Oratorio di Natale, con i suoi 64 brani tra i quali 13 corali di possente
respiro, sia una partitura unitaria e non presenti diversità di stile tra una Cantata e l'altra,
realizzate con un gusto narrativo e lirico di penetrante effetto psicologico.

Va aggiunto che la sequenza delle tonalità e l'orchestrazione conferiscono a questa monumentale


e poderosa composizione (ha una durata di circa due ore e tre quarti di musica) un carattere di
rondò. Le Cantate I, III e VI sono nella tonalità principale di re maggiore e sono scritte per
grande orchestra con trombe, timpani, legni e archi. Le Cantate II, IV e V, che sono nelle tonalità
affini di sol maggiore, fa maggiore e la maggiore, non impiegano trombe.

***

La Cantata n. 1 (Feria I Nativitatis Christi) comprende nove pezzi e si apre con un festoso e
luminoso coro ("Jauchzet, frohlocket, auf, preiset die Tage") introdotto e sorretto da un'orchestra
squillante e ritmata. Un recitativo dell'Evangelista, accompagnato dal fagotto e dall'organo e
proseguito dal contralto, al quale si associano due oboi d'amore, conduce alla prima aria del
contralto, accompagnato dal primo oboe d'amore e dal violino solista ("Bereite dich, Zion, mit
zärtliche Trieben"): una melodia dalla linea morbida e flessuosa, d'inconfondibile sapore
bachiano. Segue il primo corale con il quale si concluderà l'oratorio ("Wie soll ich dich
empfangen"): è lo stesso tema usato da Bach nella Passione secondo San Matteo sulle parole "O
capo pieno di sangue e di ferite" e che sta a significare il valore della nascita di Cristo, inteso
come momento fondamentale per giungere alla redenzione della umanità. Un altro breve
recitativo dell'Evangelista ("Und sie gebar ihren ersten Sohn") porta al corale e al recitativo
cantati dal soprano e dal basso, con l'oboe e l'oboe d'amore come strumenti obbligati. Interviene
il basso solista che intona con vigorosi accenti l'aria "Grosser Herr und starker König",
accompagnato dalla tromba, dal primo flauto traverso e dagli archi. La prima parte della Cantata
si conclude con il tenerissimo corale "Ach mein herzliebes Jesulein", al quale risponde e fa eco
con risonanti armonie l'intera orchestra.

La Cantata n. 2 (Feria 2 Nativitatìs Christi) si articola in quattordici pezzi e inizia con una
delicata sinfonia pastorale sul ritmo di una siciliana, sviluppata da due flauti traversi, due oboi
d'amore, due oboi da caccia, archi e organo. Segue un breve recitativo dell'Evangelista ("Und es
waren Hirten") cui fa seguito il corale ("Brich an, o schönes Morgenlicht". Un altro recitativo
dell'Evangelista, del soprano e del basso conduce all'aria del tenore con il flauto traverso
obbligato ("Frohe Herten, eilt, ach eilet"). Ancora un recitativo dell'angelo di solo quattro battute
prima del corale "Schaut hin, dori liegt im finstern Stall". Dopo il recitativo del basso ("So geht
denn hin, ihr Hirten, geht") si ode l'aria del contralto "Schlafe, mein Liebster" con flauto
traverso, oboi d'amore e da caccia obbligati: una dolce melodia di ninnananna e di confortevole
tono distensivo. Ancora un recitativo dell'Evangelista e poi il vivace coro, accompagnato da
archi e legni, sulle parole in tedesco del "Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus",
impostate su un solido contrappunto. Il recitativo del basso ("So recht, Ihr Engel") sfocia nel
solenne corale conclusivo della Cantata ("Wir singen dir in deinem Heer") con l'organo e i fiati
rievocanti il tema della siciliana della sinfonia già ascoltata dall'inizio.

La Cantata n. 3 (Feria 3 Nativitatis Christi) comprende dodici brani, introdotti dal coro,
accompagnato con ritmo sostenuto e brillante dall'intera orchestra ("Herrscher des Himmels").
Quattro misure di recitativo dell'Evangelista dividono il primo dal secondo coro ("Lasset uns nun
gehen gen Bethlehem"). Un recitativo del basso fa da ponte tra il secondo coro e il corale ("Dies
hat er alles uns getan"). Quindi è la volta del duetto tra soprano e basso, su accompagnamento di
due oboi d'amore ("Herr, dein Mitlied, dein Erbarmen"); segue un lungo recitativo
dell'Evangelista ("Und sie kamen eilend und fanden beide") e successivamente il contralto canta
l'aria con violino obbligato "Schliesse, mein Herze" di pungente purezza espressiva. Ancora un
recitativo del contralto con due flauti obbligati; poi il corale "Ich will dich mit Fleiss bewahren";
un altro recitativo dell'Evangelista e a conclusione della terza Cantata si espande con serena
gioiosità il corale "Seidfroh, die weil", che è un inno di lode a Cristo, venuto sulla terra per
redimere l'umanità dai suoi peccati.

La Cantata n. 4 (Festo Circumcisionis Christi) è la più breve delle sei (sette pezzi) e si apre con
un coro molto delicato e intimistico ("Fallt mit Danken, fallt mit Loben"), sorretto dalle dolci
armonie dei corni da caccia. Segue un recitativo dell'Evangelista e poi il basso e il soprano
("Jesu, du mein liebstes Leben") intonano un breve arioso. Quindi si giunge alla famosa aria del
soprano con l'eco ("Flösst, mein Heiland, flösst dein Namen") di straordinaria purezza espressiva
nel suo elegante gioco dalle risonanze barocche. Ancora un recitativo a mò di corale tra il basso
e il soprano ("Wohlan, dein Namen soll allein") di plastica rilevanza melodica e successivamente
si ode l'aria del tenore in re minore ("Ich will nur dir zu Ehren leben"), una pagina di tono
vagamente haendeliano, affidata - come è stato giustamente notato - ad un tipo di voce che tende
più alla tessitura baritonale che tenorile. Un corale distensivo ("Jesus richte mein Beginnen") che
si richiama al tema dello stesso coro iniziale di questa Cantata chiude la quarta parte
dell'oratorio.

La Cantata n. 5 (Dominica post Festum Circumcisionis Christi) si articola in undici pezzi e inizia
con il coro in la maggiore dagli accenti taglienti e perentori ("Ehre sei dir, Gott, gesungen"), che
ricorda nella impostazione musicale il "Cum Sanctu Spiritu" e il "Resurrexit" della Messa in si
minore dello stesso Bach. Dopo il recitativo dell'Evangelista esplode compatto e ben ritmato il
dialogo fra il coro ("Wo ist der neugeborne König der Juden") e il contralto ("Sucht ihn in
meiner Brust") che sfocia nel luminoso corale in la maggiore ("Dein Glanz ali Finsternis
verzehrt"). Ecco l'aria del basso ("Erleucht auch meine finstre Sinnen") introdotta e
accompagnata dall'oboe, secondo un procedimento espositivo caro a Bach. Seguono i recitativi
dell'Evangelista e del contralto ("Warum wollt ihr erschreken") e ancora dell'Evangelista. Il
violino prepara e sorregge armonicamente il Trio fra il soprano, il contralto e il tenore ("Ach,
wenn wird die Zeit erscheinen") dal tono un po' interrogativo e inquieto nelle fratture
vocalistiche. Dopo il recitativo del contralto ("Mein Liebster herrschet schon") un corale sereno
e fiducioso ("Zwar ist solche Herzenstube") pone termine alla quinta Cantata.

Trombe e timpani punteggiano festosamente l'introduzione della Cantata n. 6 (Festo Epiphanias)


comprendente undici pezzi. Il coro ("Herr, wenn die stolzen Feinde schnauben") si articola in
quattro raggruppamenti tematici fra loro concomitanti e convergenti. Seguono i recitativi
dell'Evangelista, del basso (Erode) e del soprano ("Du Falscher, suche nur den Herrn su fällen")
e quest'ultima solista canta un'aria esaltante la potenza divina ("Nur ein Wink von seinen
Händen"). Dopo un recitativo dell'Evangelista (per due volte) e un bellissimo corale in sol ("Ich
steh an deiner Krippen hier") interviene il tenore ("So geht! Genug, mein Schatz geht nicht von
hier") accompagnato nel suo recitativo dall'oboe d'amore secondo l'indicazione in partitura di un
Adagio a tempo. Il tenore canta un'aria in si minore ("Nun mögt ihr stolzen Feinde schrecken")
in cui viene espressa soddisfazione perché Cristo salvatore vive nell'animo di ciascuno di noi.
Ancora un recitativo a quattro fra soprano, contralto, tenore e basso ("Wass will der Höllen
Scherken nun") e infine il corale conclusivo in si minore ("Nun seid ihr wohl gerochen") che si
espande con felicità sonora e giovialità ritmica in onore di Dio, principio e scopo ultimo del
genere umano.

Le sei Cantate si configurano come sei masse magnetiche che si calamitano a vicenda e tendono
a fare blocco in un crescendo di alta spiritualità, per cui dalle tonalità liriche, idilliche e pastorali
delle prime si sale a sempre più complesse e ricche affrescature polifoniche con una interessante
varietà armonica e contrappuntistica quale si può ritrovare solo nelle grandi e imponenti
costruzioni delle Passioni di Bach.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composto a Lipsia, dove Bach era Cantor da ormai più di dieci anni, per la liturgia natalizia del
1734-1735, l'Oratorio di Natale (Weihnachts-Oratorium, BWV 248) si presenta come un ciclo di
sei cantate, una per ciascuna delle sei festività comprese tra il giorno di Natale e l'Epifania. Per
la realizzazione musicale Bach fece ampio ricorso alla tecnica della parodia, consistente nel
riadattamento, con nuovo testo e modifiche acconce, di brani tratti da composizioni precedenti,
in questo caso cantate di argomento sia sacro sia profano. Nelle prime quattro parti dell'opera
furono utilizzate pagine di due "drammi per musica" encomiastici, cioè Lasst uns sorgen, lasst
uns wachen BWV 213 (la cosiddetta Hercules-Kantate), scritta per il compleanno del principe
ereditario Friedrich Christian di Sassonia (5 settembre 1733), e Tönet, ihr Pauken! Erschallet,
Trompeten! BWV 214, eseguito per il compleanno dell'arciduchessa Maria Josepha, principessa
elettorale di Sassonia e regina di Polonia, l'8 dicembre 1733. Il trasferimento del materiale dalle
due auliche cantate profane al nuovo contesto liturgico non deve stupire: la distinzione tra sacro
e profano non riguardava la sostanza stilistica e l'atteggiamento fondamentale della musica, ma
semmai la sua destinazione; senza contare che il carattere solenne e festivo di queste
composizioni si accordava magnificamente, su testo appositamente riconsiderato, con
l'occasione natalizia per eccellenza. Anche le parti quinta e sesta furono ricalcate su modelli
preesistenti, meno dichiaratamente riconoscibili o addirittura andati perduti. Riassumendo, sono
parodie i cori introduttivi delle parti I, III e IV, otto delle nove arie solistiche, con l'unica
eccezione costituita da quella per contralto con violino solo Schliesse, mein Herze, dies selige
Wunder della parte III (n. 31), e le tre a più voci: il duetto di soprano e basso Herr, dein Mitleid,
dein Erbarmen, (III, n. 29), l'aria per soprano con altro soprano in eco e oboe concertante Flösst,
mein Heiland, flösst dein Namen (IV, n. 39) e il terzetto per soprano, contralto e tenore Ach,
wann wird die Zeiterscheinen (V, n. 51). Si ritengono invece originali, dei 64 numeri
complessivi, la Sinfonia introduttiva della seconda parte, la citata aria n. 31, i corali, i recitativi
accompagnati su testi di libera invenzione (in tutto undici, di autore ignoto, probabilmente
Picander) e naturalmente tutti i passi in recitativo secco dell'Evangelista, al quale, come accade
nelle Passioni, è affidata la funzione del narratore, o historicus. Una stessa melodia infine,
ritorna nel primo (I, n. 5) e nell'ultimo corale (VI, n. 64): essa è identica a quella del celebre O
Haupt voll Blut und Wunden (O capo pieno di sangue e di ferite) della Passione secondo Matteo
(BWV 244, 1729), a configurare non soltanto una disposizione formale ciclica ma anche il senso
di un destino divino e umano che si compie tra la nascita e la morte di Gesù Salvatore.

Benché non fosse concepito per una esecuzione tutta di seguito (la prima a Lipsia fu distribuita
nelle feste indicate alternativamente tra le due chiese di S. Nicola e di S. Tommaso durante il
servizio liturgico solenne del mattino e del pomeriggio), l'Oratorio di Natale è una composizione
tanto vasta e grandiosa quanto concettualmente omogenea, come risulta non soltanto dalla
regolare successione della narrazione evangelica (che nelle prime quattro parti utilizza la lectio
di Luca 2, 1-21, mentre nelle due ultime sezioni ricorre a Matteo 2, 1-12), ma anche dal taglio
formale, dalla ricorrenza di determinati elementi figurativi, dalle relazioni tonali e dalla
strumentazione. Le differenze sono date semmai dall'adeguamento della musica al carattere delle
singole festività: così, se la prima (natività di Cristo), la terza (arrivo dei pastori a Betlemme) e
la sesta cantata (adorazione dei Magi) hanno in comune tonalità (re maggiore, tonalità di base
dell'opera) e strumentazione (sontuosa e brillante nel suo tono festivo, con tre trombe e timpani
in aggiunta a flauti, oboi, archi e continuo), le altre si differenziano in rapporto all'ambientazione
e al testo.

La seconda parte, in sol maggiore, ha il carattere più intimo di una cantata pastorale (l'annuncio
ai pastori: ed ecco allora predominare i legni dolci, flauti, oboi d'amore e da caccia) e si
rispecchia nella quinta in la maggiore (visita dei re Magi a Gerusalemme), di spirito e tono
corrispondenti ma virati verso contrasti più vivaci. Con i suoi soli sette numeri la quarta
"giornata" (circoncisione di Gesù o festività di Capodanno) è infine la più breve e concentrata,
ricca però di soluzioni originali, tra articolazioni spezzate e simmetrie centrate sulla stupenda
aria in eco con oboe solista concertante (n. 39), preceduta e seguita da due recitativi
inframmezzati da sezioni di corale: la tonalità qui è fa maggiore e la strumentazione ancora più
rarefatta (corni da caccia e oboi con archi e continuo).

Dottrina e immediatezza espressiva sono i due poli attraverso i quali si dispone l'arco dell'opera.
I cui elementi si sviluppano in modo lineare e continuativo sulla traccia del racconto evangelico,
ad esso alternando l'accentuazione spesso drammatica dei recitativi accompagnati, in genere
collegati alle arie ma capaci in qualche caso di conglobare nel proprio tessuto una o più strofe di
corale o di trasformarsi in ariosi, l'effusione patetica delle arie, tutte rigorosamente con da capo
quando non sfocianti liricamente in duetti e terzetti, la meditazione assorta dei fedeli nella
preghiera collettiva dei corali. Il modello delle Passioni si palesa nell'introduzione in prima
persona di personaggi come l'Angelo, i Magi ed Erode, e nell'intervento della turba, ossia del
popolo dei pastori che prende parte all'azione (e qui la scansione si fa eminentemente sillabica).
La compresenza di stili diversi diviene varietà ma non eterogeneità: e se non mancano passi
marcatamente descrittivi e allusivamente simbolici, episodi affettuosi e suadenti, le parti
strumentali di più vasto impianto, come le introduzioni e i fugati, e i cori slanciati elevano il
discorso musicale sul piano di una superba dimostrazione di magistero contrappuntistico e di
opulenza sonora.

La rievocazione della nascita di Gesù Cristo nei suoi diversi momenti, fastosi e trionfali, diviene
così celebrazione della fede nel senso più pieno del termine, senza offuscare quello spirito di
freschezza popolare, talvolta anche ingenua, il quale, fondato sulle immagini della tradizione, ne
è tratto rappresentativo altrettanto costitutivo.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

È sorprendente constatare come la stessa parte musicale che tra Sei e Settecento ha giustificato la
nascita dell'Oratorio, il suo costituirsi come genere musicale autonomo e il suo articolarsi lungo
un complesso sviluppo storico sia quella che l'orecchio moderno segue con maggiore fatica: il
recitativo. Ancora oggi sono in circolazione edizioni discografiche che propongono degli Oratori
antichi versioni per così dire "al netto" dei recitativi, con sole arie, cori e corali. E se quest'uso è
fortunatamente in declino, non sono pochi coloro che attribuiscono a una sorta di integralismo
filologico la pratica di servire l'Oratorio in sala di concerto in tutta la sua estensione originaria,
cioè con tutti i recitativi previsti.
Con la sua declamazione semimelodica, accompagnata per lo più dalla sola armonizzazione del
basso continuo variamente realizzato (organo o clavicembalo da soli, oppure insieme a
violoncello, fagotto, liuto o tiorba, di rado anche più strumenti a fiato), il recitativo è uno
sviluppo o una deformazione dell'antico "tono di lezione" con il quale l'officiante intonava il
testo della Messa nella tradizione gregoriana. La possibilità di introdurre un "lettore" che
riprendesse quest'uso all'interno di un meccanismo musicale più vasto, sostanzialmente quello
della cantata da chiesa, fu appunto il nucleo generatore del passaggio dal linguaggio sacro del
primo barocco a quello del periodo classico e preclassico. Il lettore interveniva infatti in forma di
osservatore esterno alle vicende narrate, era l'Evangelista che si limitava a intonare le frasi del
Nuovo Testamento e le incorniciava fra numeri musicali nei quali si esercitava non solo la libertà
creativa del compositore, ma anche quella dei poeti chiamati a completare i testi da rivestire di
suoni.

Prima di allora, esisteva un genere chiamato Historia nel quale un personaggio, l'historicus
appunto, ricopriva un ruolo di narratore simile a quello dell'Evangelista. La sua parte era però
scritta in stile mottettistico, anziché in recitativo. Meno vicino al "tono di lezione", che nella
musica sacra equivale al grado zero dell'elaborazione musicale, l'historicus era maggiormente
integrato nella concezione d'insieme della composizione, la quale risultava proprio perciò meno
libera di sperimentare e di inventare.

Lo splendido affresco con il quale Heinrich Schütz, nel 1664, nel glorificare il Natale, decide di
abbandonare la forma rigida del mottetto e di sfruttare maggiormente le possibilità timbriche
dell'orchestra si chiama ancora Historia der Geburt Christi: per far questo, però, egli ha come
unica strada da percorrere quella di dare più autonomia alla parte dell'invenzione musicale,
sganciandola il più possibile dal compito di seguire gli eventi e di produrre il racconto. La voce
dell'historicus perde qui allora la sua precisa individuazione musicale, non assume più la forma
plastica della scrittura mottettistica e si lascia invece concentrare nella semplice lezione del testo.
Egli diventa l'Evangelista che in quegli anni si ritrova a vario titolo in tutta la musica europea e
che, con la sua nascita, segna anche l'ingresso sulla scena musicale di una nuova forma: quella
dell'Oratorio.

In area protestante, naturalmente, lo sviluppo di questo genere è stato molto diverso da quello
che già nel Cinquecento era iniziato in Italia, e in particolare a Roma, con un'impronta più
fortemente teatrale basata piuttosto sulle vicende dell'Antico Testamento che non su quelle del
Nuovo. In entrambi i casi, in terra cattolica o in terra protestante, il recitativo sembra essere al
tempo stesso la scintilla e il residuo di un processo di autonomizzazione del discorso musicale
che investe in pieno il Sei e il Settecento e che gli farà perdere progressivamente intimità con la
parola, facendo addirittura del suo rapporto con questa un problema estetico a lungo lasciato
irrisolto.

Il recitativo, in ogni caso, è il perno intorno a cui ruotano le costellazioni musicali dell'aria, del
coro e del corale, a ciascuna delle quali è affidata una funzione molto precisa. In Bach, questa
funzione non differisce di molto da quella che egli avrebbe loro assegnato nell'insieme delle sue
Cantate sacre. Se il recitativo è il luogo del racconto neotestamentario, l'aria manifesta la
meditazione del credente sui liberi versi poetici dei cosiddetti "canti da chiesa" (Kirchenlieder), i
cori rappresentano l'espressione religiosa della collettività o gli stati d'animo della "turba" che
partecipa agli eventi narrati, mentre i corali riprendono la più radicata tradizione della musica
protestante e invitano chi ascolta alla partecipazione in prima persona, ripetendo fra sé o ad alta
voce le note della semplice melodia sillabica.

Bach aggiunge in realtà un altro elemento cruciale, particolarmente praticato proprio


nell'Oratorio di Natale, ma utilizzato anche negli altri Oratori da lui scritti (oltre alle varie
Passioni, si conoscono l'Oratorio di Pasqua BWV 249 e l'Oratorio dell'Ascensione, non
catalogato). Si tratta dell'arioso, una sorta di recitativo più flessibile dal punto di vista melodico e
accompagnato, in genere, da una strumentazione più ricca di quella consueta per il basso
continuo: archi dal timbro acuto, come il violino o la viola, flauti, oboi d'amore o da caccia
(strumenti spesso sostituiti in concerto dai corni naturali). L'arioso è una cerniera che collega due
episodi musicali con un testo tratto non direttamente dal Vangelo, ma liberamente adattato a
partire da corali o da altre strofe tradizionali.

Nell'Oratorio di Natale, a fronte di sedici interventi dell'Evangelista, ci sono altri undici recitativi
su testo libero che sono quasi tutti realizzati in forma di arioso, oltre a tre recitativi nei quali
sono interpolate strofe di corale. Dopo aver rotto con il tono neutro della lezione la catena che lo
legava alla forma del mottetto, il recitativo inizia così a risalire la parabola della melodia dalla
parte opposta a quella da cui era disceso: dalla parte della libertà espressiva dei suoni, non da
quella dell'obbedienza a un testo dottrinario.

Il fatto di assegnare funzioni tanto precise alle diverse parti delle sue Cantate, fossero o no
destinate a comporre un Oratorio, aveva una conseguenza molto importante sulla pratica di
lavoro di Bach: l'intercambiabilità dei singoli "numeri" musicali, ovvero la possibilità di
riutilizzarli in contesti diversi con il metodo che allora si definiva parodia e che scambiava
indifferentemente materiali sacri e profani, arie scritte per la cerimonia funebre di una
nobildonna e melodie concepite come atto di dolore davanti alla Croce, inni per l'elezione di un
nuovo principe e cori di giubilo per la nascita del Cristo.

L'Oratorio di Natale nacque proprio in questo modo. Nel 1734, in occasione delle festività
natalizie, Bach decise di approntare un ciclo di sei Cantate da eseguire lungo l'arco di quindici
giorni, nelle sei feste liturgiche che comprendevano appunto il giorno di Natale, quello di S.
Stefano e quello di S. Giovanni apostolo (indicati in partitura genericamente come
Weihnachtsfesttage), quindi la festa della Circoncisione (coincidente con il Capodanno), la prima
domenica dell'anno nuovo (nel 1734 il 2 gennaio) e l'Epifania. Uno dei motivi che spinsero Bach
a una simile impresa stava probabilmente nella volontà di far risalire le sue quotazioni musicali,
all'epoca piuttosto in ribasso a Lipsia, la città dove lavorava. Per organizzare la grande quantità
di musica che gli occorreva, tuttavia, egli decise di recuperare, ovvero di "parodiare" ampie parti
di precedenti Cantate sacre e profane anche di recente composizione, come nel caso della
Cantata Hercules auf dem Scheidewege BWV 213, composta nel 1733 per il compleanno del
Principe Elettore di Sassonia. Neil'Oratorio di Natale sono parodie tutte le arie, con l'unica
eccezione di «SchlieBe, mein Herze» (n. 31). Sono parodie i cori introduttivi delle Parti I, III e
IV, oltre agli interventi della turba che per molto tempo erano stati ritenuti originali e oggi sono
invece attribuiti al piano della ricostruita Passione secondo S. Marco. Sono invece di nuova
composizione i corali e la sinfonia della Parte IL Oltre, naturalmente, a tutti i recitativi, a
cominciare da quelli dell'Evangelista. È proprio a partire da questi passi che Bach riplasma i
materiali già pronti creando una unità nuova, dinamica, non paragonabile alle Cantate da cui
provengono arie e cori, ma nemmeno dispersiva come ci si potrebbe aspettare da una simile
manipolazione.

In realtà, lavorando su un sistema molto affinato di corrispondenze espressive, oltre che


tecniche, ma anche introducendo opportune modifiche laddove lo richiedeva il senso delle
proporzioni musicali, Bach costruisce con l'Oratorio di Natale una partitura coerente e
geometricamente ordinata. L'omogeneità formale e stilistica, paragonabile in questo alle
dimensioni e alla concezione della Messa in si minore, fa della composizione un corpo unitario,
nonostante la destinazione iniziale non prevedesse l'esecuzione in un'unica serata.

Va da sé peraltro che sfruttando l'occasione di ripescare dalle sue Cantate antiche o recenti, Bach
abbia riversato nell'Oratorio di Natale molti dei suoi pezzi migliori, come a suo tempo aveva
fatto in altro contesto per i Concerti Brandeburghesi. Come questi ultimi vengono considerati
una silloge del concertismo non solo bachiano, ma barocco in generale, così l'Oratorio di Natale
può esserlo non solo delle Cantate di Bach, ma dell'intero stile cantatistico e oratoriale di un
secolo di cui questa composizione non è tanto la sintesi, quanto piuttosto l'esempio più esteso e
rappresentativo.

Quanto alla sistemazione del testo, si ritiene che esso sia opera di Christian Friedrich Henrici,
noto con lo pseudonimo di "Picander", il poeta forse più abile e razionale fra quelli che si
applicarono alla versificazione delle Cantate sacre. La trama tocca gli episodi della nascita di
Gesù, dell'esposizione ai pastori, della circoncisione e dell'arrivo dei Re Magi. Sono quattro
episodi (tratti rispettivamente da Luca 2,1 e 3-21, e da Matteo 2, 1-12) che vengono però
distribuiti su sei parti musicali, dunque su sei domeniche, sostituendo con parti di racconto i testi
evangelici delle festività meno legate alla narrazione: il terzo giorno di Natale (in cui la chiesa
luterana legge il prologo del Vangelo di Giovanni) e la prima domenica dell'anno.

La Parte I dell'Oratorio di Natale inizia con il coro «Jauchzet, frohlocket! auf, preiset die Tage»,
parodia dell'esordio della Cantata BWV 214, basata su un testo simile tanto dal punto di vista
ritmico, quanto da quello della tonalità affettiva di festosa allegria: «Tonet, ihr Pauken!
Erschallet, Trompeten» (Risuonate, timpani! Risuonate, trombe!). Coerentemente con l'assunto
brillante, l'orchestra risulta molto assortita e luminosa: trombe, timpani, flauti, oboi, archi e
basso continuo. Il passaggio alla prima aria, «Bereite dich, Zion», si realizza attraverso un
intervento dell'Evangelista e un ulteriore recitativo accompagnato su testo libero che tende
all'arioso. La seconda aria, «Großer Herr, o starker König», proviene dalla stessa Cantata BWV
214 ed è incastonata fra due importanti corali luterani, di cui il primo è a sua volta contornato da
varie forme di recitativo.

La Parte II inizia con una "sinfonia", uno dei pochi pezzi scritti ex-novo da Bach, e ha un tono
pastorale che si stende su tutta la sezione, accantonando per un momento l'atmosfera della
musica da festa. L'organico è ridotto rispetto alla sezione precedente e dà particolare risalto a
strumenti dal suono morbido come gli oboi d'amore e da caccia o i flauti traversi. L'effetto
unitario della composizione è in questo caso garantito dalla ripresa, nel corale conclusivo, di
alcune brevi interpolazioni strumentali tratte dalla sinfonia d'apertura. È una tecnica "ciclica",
basata appunto sul richiamo di idee melodiche enunciate durante lo svolgimento della partitura,
non estranea neppure alla concezione delle Parti I e III. Da notare ancora nella Parte II il
trattamento dei recitativi su testi di libera invenzione, la maggior parte dei quali è in forma di
arioso, con una strumentazione piuttosto ricca e uno sviluppo melodico particolarmente
elaborato. Il recitativo del basso «So geht denn hin» (n. 18), con gli oboi d'amore e da caccia che
affiancano il continuo, è da questo punto di vista emblematico.

La Parte III, ultima sezione dei tre giorni del Natale propriamente detto, condivide con la I la
ricchezza strumentale e il tono festoso. In particolare l'elemento della ciclicità è ancora più
accentuato dal ritorno, all'ultimo movimento, del coro. Oltre alla già citata aria «Schließe, mein
Herze», è interessante il duetto «Herr, dein Mitleid, dein Erbarmen» (n. 29), esempio non
frequentissimo di come Bach, all'occorrenza, potesse sostituire le arie solistiche con brani a più
voci pur sempre sganciati dall'andamento della tradizione mottettistica e vicini piuttosto al
nuovo linguaggio melodico del melodramma.

Rispetto alle altre, la Parte IV è la più breve. La sua esecuzione era prevista per il giorno di
Capodanno, Festo Circumcisionis Christi. Gli elementi più caratteristici sono da un lato la
strumentazione delle pagine di apertura e di chiusura, entrambe concepite in forma concertistica
con un oboe solista che si staglia su una coppia di oboi da caccia o di corni, dall'altro l'aria
«Flößt, mein Heiland» (n. 39), inserita fra due bellissimi recitativi in arioso e basata
sull'imitazione musicale dell'effetto d'eco. L'oboe solista, protagonista della Parte IV, ha un ruolo
concertante anche in quest'aria.

La Cantata per la prima domenica dell'anno anticipa il Vangelo dell'Epifania raccontando la


prima parte della vicenda dei Re Magi. Come già nella serie delle prime tre Cantate che
compongono l'Oratorio di Natale, Bach inserisce fra due pannelli festosi una Cantata dai toni più
delicati. Molto significativo il terzetto «Ach! wann wird die Zeit erscheinen» (n. 51), e l'intreccio
con il quale Bach unisce qui la narrazione dell'Evangelista agli ariosi dei recitativi liberi, in
questo caso trattati come autentici inserti di drammatizzazione all'interno del racconto sacro.

L'ultima sezione della composizione bachiana riprende la brillante tonalità di re maggiore sulla
quale l'Oratorio si era aperto ed è in sostanza la parodia di una Cantata oggi perduta (BWV
248a), con l'aggiunta degli interventi dell'Evangelista e di un ampio corale in cui chi frequenta la
musica di Bach riconoscererà la melodia di «O Haupt voll Blut und Wunden», il più celebre
corale della Passione secondo S. Matteo. Bach sfrutta in modo paradigmatico la tecnica della
fuga nel coro «Herr, wenn die stolzen Feinde schnauben» (n. 54), i movimenti del¬la danza
nell'aria del soprano «Nur ein Wink von seinen Hànden» (n. 57), quindi i modi del concerto
nell'aria del tenore «Nun mogt ihr stolzen Feinde schrecken» (n. 62), con gli oboi in primo
piano. Notevole è però soprattutto la costruzione dei movimenti di apertura e di chiusura, il
primo con l'introduzione che unisce la tecnica della fuga e quella del concerto, l'ultimo con una
complessità di elaborazione nei confronti della quale il corale sembra essere acquisito come un
punto di riferimento, un attacco a terra ai margini del quale Bach dà libero corso al virtuosismo
della sua immaginazione musicale.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

In vista delle imminenti festività natalizie, nell'autunno del 1734 Johann Sebastian Bach - che in
qualità di Kantor di S. Tommaso a Lipsia doveva per contratto occuparsi di tutto l'apparato
musicale liturgico delle due chiese principali della città - decise di cogliere l'occasione per
tentare nuove vie espressive, sollecitato ancora una volta dal suo instancabile spirito
sperimentatore. Da qualche anno riteneva ormai conclusa l'esperienza delle Cantate sacre,
intrapresa con tenace determinazione fin dall'inizio del suo servizio a Lipsia (aprile 1723) e
concretatasi in circa 300 lavori, composti in sei anni di quasi ininterrotta produzione per tutte le
domeniche e le festività.

Nacque cosi il progetto di un grande Oratorio, la forma musicale che in ambito sacro costituiva
allora l'esatto corrispondente del melodramma: in esso infatti - pur mancando l'elemento
strettamente visivo-rappresentativo, proibito in chiesa - si alternavano introduzioni strumentali,
Cori, Recitativi accompagnati, numeri solistici e pezzi d'assieme, tra loro collegati dal Recitativo
del narratore, come in una vera e propria «rappresentazione musicale di una storia sacra»
(Johann Mattheson). Bach aveva già affrontato questa forma nelle tre grandi Passioni (una delle
quali perduta), composte tra il 1724 e il 1731, ma per l'Oratorium Tempore Nativitatis Christi
BWV 248 (Weihnachts-Oratorium) egli concepì la più ambiziosa, imponente e complessa
architettura musicale di tutta la sua produzione: con questa avrebbe voluto forse inaugurare una
nuova stagione creativa, ma rimase invece una sorta di miracoloso unicum nel suo catalogo.

L'Oratorio di Natale si compone di sei Partes (Bach chiama Pars ogni singola Cantata del
Weihnachts-Oratorium). Di fatto si tratta di sei Cantate destinate alle sei solennità del Tempo di
Natale di quell'anno: il Natale, Santo Stefano (26 dicembre), San Giovanni Evangelista (27
dicembre), Capodanno (o festa della circoncisione di Gesù, primo gennaio 1735), domenica
dopo il Capodanno (2 gennaio) ed Epifania (6 gennaio). Questo grandioso ciclo natalizio fu
pensato appositamente per un'esecuzione «a puntate» nell'arco di tredici giorni. Così ogni
Cantata, pur essendo in sé compiuta e autonoma, è anche parte organica di un unico, ampio
disegno: ed è proprio in questo aspetto che principalmente si rivela e si apprezza la grandezza
del genio bachiano. Il primo livello di omogeneità che contraddistingue le sei Partes è quello
testuale: l'autore (probabilmente Picander, ma l'intervento di Bach - specialmente nella scelta e
nella disposizione dei brani - fu senz'altro decisivo) prese dai Vangeli di Luca e di Matteo la
narrazione dei quattro episodi relativi al Natale (la nascita, la visita dei pastori, la circoncisione e
la venuta dei Magi) e ne ricavò sei scene cronologicamente conseguenti, presentate
dall'Evangelista. Esse costituiscono il nucleo «tematico» di ogni Pars, integrato e approfondito
da originali testi madrigalistici per i brillanti Cori introduttivi, dai Corali della tradizione
luterana, anch'essi affidati al coro ed espressione della pietas collettiva, e da altri brani poetici
originali, destinati invece ad Arie solistiche, Duetti e Terzetti, che danno voce al fedele raccolto
in preghiera.

Esiste poi un livello di coesione più strettamente musicale: non solo è simile l'articolazione
interna di ogni Pars (a eccezione della Pars II, tutte iniziano con un Coro in metro ternario; tutte
si concludono con un Corale; in ognuna ci sono due pezzi solistici - Arie, Duetti o Terzetti - e
almeno due Corali), ma soprattutto, grazie alla distribuzione dei piani tonali (re-sol-re-fa-la-re),
alla scelta degli organici strumentali e all'uso di procedimenti ciclici (ad esempio, l'impiego
ripetuto della stessa melodia di Corale nei numeri 5 e 64; 7 e 28; 9,17 e 23), le sei Partes si
dispongono come in un polittico, intessendo tra loro molteplici relazioni e scambiandosi continui
rimandi.
Occorre infine accennare alla vexata quaestio della tecnica parodistica, il cui largo impiego
nell'Oratorio di Natale è stato per più di un secolo motivo di imbarazzo estetico per gli esegeti
bachiani. In poche parole: sia stato per mancanza del tempo necessario alla composizione «tutta
nuova» di un lavoro di tali dimensioni, oppure per recuperare brani scritti per occasioni
particolari e altrimenti destinati a non essere mai più eseguiti (ma un motivo non esclude l'altro),
Bach riutilizzò diversa musica composta in precedenza. Sicuramente, 17 numeri - dei 64 di cui
consta l'Oratorio - provengono infatti dalle due Cantate profane BWV 213 e 214 scritte l'anno
prima rispettivamente per i compleanni del principe e della principessa elettori di Sassonia, ma è
anche assai probabile che altri numeri contengano materiale musicale di composizioni bachiane
perdute: pare certo, però, che tutti i passi dell'Evangelista, i Recitativi accompagnati, i Corali, la
Sinfonia e l'Aria siano composizioni originali, scritte cioè appositamente per l'Oratorio. Va
notato, comunque, che Bach non si limitò a trascrivere i pezzi non originali, ma ne modificò
l'impianto tonale, i registri vocali, l'organico strumentale: insomma, pur non avendoli «creati»
sotto la spinta di un'ispirazione legata a quel preciso evento (il Natale), il Kantor non agì certo in
modo acritico e superficiale. Ma per tutto l'Ottocento, e fino ai primi anni del nostro secolo,
nell'epoca in cui l'originalità era considerata l'attributo distintivo e imprescindibile dell'opera
d'arte, il fatto che Bach avesse ripreso della musica profana e l'avesse adattata a un soggetto
sacro fu ritenuto un peccato non veniale e, a dispetto della sua grande popolarità, l'Oratorio di
Natale fu considerato a lungo, ingiustamente, come opera di secondo piano, poco «ispirata».
Oggi, invece, il punto di vista si è rovesciato: è stato appurato che ai tempi di Bach non esisteva
una differenza sostanziale tra stile musicale sacro e stile profano, e che l'operazione di Bach era
anzi finalizzata all'ottenimento di un livello musicale il più alto possibile. L'Oratorio di Natale
conferma di essere, pertanto, un'opera di vertice, un capolavoro assoluto.

La Pars I possiede, in aggiunta ad archi e basso continuo, comuni a tutte le sei Cantate,
l'organico strumentale più ricco e brillante di tutto l'Oratorio (2 flauti, 2 oboi, 3 trombe e
timpani, esattamente come le Partes III e VI, tutte nel tono d'impianto di re maggiore: sono
queste tre, infatti, le Cantate che fungono da pilastri dell'imponente architettura oratoriale). Il
tema in essa affrontato è quello dell'attesa della venuta di Cristo - raffigurato con la metafora
poetica dello Sposo, particolarmente cara alla tradizione pietista luterana - e della sua nascita in
povertà fra gli uomini. Il grandioso Coro introduttivo, annunciato solennemente dai timpani,
riutilizza musica proveniente dal primo numero della Cantata «Tönet, ihr Pauken! Erschallet,
Trompeten» [«Risuonate, timpani! Squillate, trombe»] BWV 214, che rende mirabilmente
l'atmosfera di Festmusik richiesta dal testo e dall'importanza della solennità natalizia. Dopo il
racconto dell'Evangelista (tenore), entra in scena il contralto, la voce che soprattutto nella prima
metà dell'Oratorio assume un ruolo di grande rilievo espressivo e con la quale Bach, pur senza
dichiararlo esplicitamente, intese far cantare la madre di Gesù, altrimenti muta nella narrazione
evangelica: il suo Recitativo accompagnato da due oboi d'amore, e l'Aria (tratta dalla Cantata
«Hercules auf dem Scheidewege» [«Ercole al bivio»] BWV213, ma straordinariamente adatta
alla Vergine!) possiedono una grazia e un'in¬tensità davvero particolari; l'invito di Maria a
prepararsi alla venuta di Gesù-Sposo provoca infine l'accorata domanda espressa dal popolo dei
fedeli nel Corale («Come accoglierti degnamente»), basato sulla celebre melodia di Hassler già
impiegata da Bach nella Passione secondo Matteo. La seconda parte della Cantata si apre con la
voce dell'Evangelista che annuncia, senza alcuna enfasi, la nascita di Gesù: subito il soprano,
accompagnato dagli oboi, risponde con un Corale dì commento che viene periodicamente
interrotto da un Recitativo del basso col quale quest'ultimo introduce la sua successiva, brillante
Aria, anch'essa proveniente dalla Cantata BWV214.
Conclude la cantata un nuovo Corale illuminato dagli interventi delle trombe e dei timpani.

Sono gli umili pastori - coloro che per primi ricevettero l'annuncio della nascita del Salvatore e
che per primi ne furono testimoni - i protagonisti della Pars II. La nuova ambientazione è
immediatamente suggerita dalla Sinfonia, che reca il sottotitolo di Hirtenmusik [musica
pastorale]: non ci sono più né trombe né timpani, ma solo due flauti che, alternandosi poco dopo
con due coppie di oboi d'amore e di oboi da caccia, costituiscono l'ideale contesto timbrico per
una tipica melodia pastorale, elaborata senza eccessive complicazioni contrappuntistiche. Dopo
la consueta narrazione evangelica (con l'intervento diretto dell'Angelo), intramezzata dal Corale
di incoraggiamento agli impauriti pastori, un Recitativo del basso introduce l'Aria, proveniente
dalla Cantata BWV 214, che il tenore, in un significativo crescendo di intensità espressiva,
intona insieme al flauto (il tipico strumento pastorale) per spronare ì pastori ad andare a fare
visita al Bambino. Un Recitativo dell'Evangelista annuncia infine il Corale che, come nella
Cantata precedente, conelude la prima parte: esso è basato sulla tradizionale melodìa natalizia
Vom Himmel koch, da komm ich her, utilizzata già nel precedente Corale e che tornerà in
conclusione dì questa Pars II. Dopo un nuovo, vibrante Recitativo accompagnato dal basso, entra
in scena Maria con la celeberrima, dolcissima «ninna-nanna», il commovente fulcro, espressivo
delle prime tre Cantate del''Oratorio, ripreso dalla Cantata BWV 213; in conclusione, due
Recitativi semplici introducono rispettivamente il grandioso Coro della schiera celeste e il
Corale che, come detto sopra, ripresenta il motivo del precedente aggiungendovi frammenti
isolati della melodìa pastorale della Sinfonìa.

La liturgia prescrive, per il 27 dicembre, i mirabili primi versetti del Vangelo di Giovanni. Ma
per la Cantata da eseguirsi in quel giorno - la Pars III dell'Oratorio - Bach, per evidenti ragioni di
omogeneità, utilizzò invece la seconda parte della narrazione di Luca inerente l'annuncio ai
pastori, che diventa occasione per una meditazione sul mistero della nascita di Gesù, apportatrice
di salvezza e di consolazione per tutti gli uomini. Questo carattere di «meditazione» è evidente
fin dal Recitativo, che segue la festosa apertura della Cantata affidata prima a un grande Coro
quindi - dopo il Recitativo dell'Evangelista - a un incalzante Coro «della turba» in stile
mottettistico; esso riceve però una significativa conferma sia con l'intenso Corale - la famosa
melodia tradizionale Gelobet seist du, Jesu Christ, su parole di Martin Lutero, già utilizzata nella
Pars I - sia soprattutto con il Duetto successivo, proveniente dalla Cantata BWV 213, che
conclude la prima parte: in esso basso e soprano, teneramente contrappuntati da due oboi
d'amore, intonano una delle pagine più toccanti dell'Oratorio, avente per tema proprio la
consolazione originata dalla pietà e dalla misericordia di Dio. Nella seconda parte, annunciata
dal racconto dell'Evangelista («Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel
suo cuore»), tocca ancora alla calda voce contrarile della Vergine intonare prima l'accorata
preghiera contenuta nella commovente Aria - l'unico pezzo solististico composto appositamente
per l'Oratorio - quindi ribadirne il concetto con un breve Recitativo di introduzione al semplice
Corale che conclude la preghiera. Infine, dopo l'ultimo Recitativo evangelico narrante il festoso
ritorno a casa dei pastori, e dopo il commento affidato a un altro semplice Corale, per concludere
trionfalmente il triduo natalizio rappresentato musicalmente dalle prime tre Partes dell'Oratorio,
Bach ripropone il grandioso Coro d'apertura.

La Cantata della Pars IV è quella che più si distacca dalle altre: per le dimensioni ridotte, per la
tonalità d'impianto (fa maggiore), per una particolare ricerca timbrica nella scelta dell'organico
orchestrale (una coppia di corni da caccia, un oboe solista che concerta in eco con due soprani,
due violini solisti che animano un fugato col tenore). Dovendo celebrare la festa della
circoncisione di Gesù - il rito con il quale, secondo la tradizione ebraica, veniva dato il nome al
neonato - la Cantata è ovviamente incentrata sul tema del «nome di Gesù»: dopo il consueto e
imponente Coro d'apertura proveniente dalla Cantata BWV 213, di generico invito al
ringraziamento, seguito dal racconto dell'Evangelista, è il basso che per primo invoca più volte il
nome di Gesù con un Recitativo all'interno del quale Bach ha inserito una strofa di Corale
affidata al soprano. Il tema del «nome di Gesù» che vince la paura della morte, affrontato dal
basso nell'ultima parte del precedente Recitativo, viene quindi sviluppato nella deliziosa Aria,
anch'essa composta originariamente per la Cantata BWV 213, dove il soprano intesse un
suggestivo dialogo in eco con l'oboe solista e con un altro soprano nascosto; ancora il basso,
affiancato dagli interventi del soprano, conclude la meditazione con un nuovo Recitativo con
Corale, speculare al precedente ma più articolato e complesso. La Cantata termina con due
numeri che non si occupano più specificamente del tema: un'ardente Aria in re minore in stile
fugato per tenore e due violini solisti e il luminoso Corale finale, caratterizzato dal timbro
festoso dei due corni da caccia.

Come per la precedente Pars III, anche nel caso della Cantata della Pars V Bach si è discostato
dal testo evangelico previsto dalla liturgia per la domenica dopo Capodanno (Matteo 2, 13-23),
narrante l'episodio della fuga in Egitto, per concentrarsi invece sull'imminente festività
dell'Epifania anticipandone i primi sei versetti, che offrono così alla meditazione il tema di
Cristo-Luce (simboleggiato dalla stella apparsa ai Magi) e della profezia della sua venuta. Il
carattere della Cantata ripresenta i tratti più intimi e raccolti che avevano già contraddistinto la
Pars II, anche e soprattutto per creare un necessario stacco prima della trionfale conclusione
dell'Oratorio (l'organico orchestrale è infatti limitato a una sola coppia di oboi d'amore in
aggiunta ad archi e continuo). Il Coro introduttivo si presenta con un tono di freschezza gioiosa,
pur velata dalla sezione centrale in modo minore che anticipa il clima corrusco del successivo
Coro e Recitativo, dove le voci impazienti dei Magi si alternano a quella orante e benedicente
del contralto; il composto Corale e la successiva, supplicante Aria del basso concludono per il
momento la meditazione sulla «Luce di Gesù» che guida l'umanità nel suo cammino.

Dopo il racconto dell'Evangelista seguito da un Recitativo accompagnato del contralto incentrato


sul turbamento del re Erode, il tema della profezia messianica viene introdotto da un suggestivo
Andante che interrompe l'asciutta linea del Recitativo semplice: esso viene meditato prima da un
vibrante Terzetto di soprano, tenore e contralto, quindi da un nuovo Recitativo accompagnato del
contralto che funge da collegamento - musicale ma soprattutto testuale/concettuale - con il
Corale conclusivo \v], dedicato nuovamente al tema della Luce.

Lo squillo della tromba annuncia il grandioso Coro introduttivo della Pars VI (Bach aveva
riservato nell'Oratorio un ruolo di particolare rilievo alla tromba perché sapeva di potersi
avvalere del talento di Gottfried Reiche, il quale però morì inaspettatamente due mesi prima di
Natale): in essa, con l'Epifania del Signore, il sommo Kantor, attingendo probabilmente alla
musica di una Cantata perduta (BWV 248a), intese celebrare la vittoria di Cristo sui suoi nemici,
e lo fece dispiegando tutti i più dotti e geniali artifici della sua arte prodigiosa. Lo dimostra
immediatamente la pagina d'apertura, in stile fugato, con la sua imponente introduzione a piena
orchestra (3 trombe, 2 oboi, timpani, archi e continuo), e lo ribadisce la straordinaria varietà dei
generi musicali che Bach fa convivere in questo possente affresco. Oltre alla sopra menzionata
fuga spiccano: la danza, al cui spirito è debitrice la deliziosa Aria con la quale il soprano, dopo
un pungente Recitativo accompagnato dedicato alla vana perfidia di Erode, inneggia alla potenza
di Dio, infinitamente superiore a quella dei suoi nemici; il concerto, ben rappresentato dall'Aria,
preparata da un intenso Recitativo accompagnato, nella quale il tenore «concerta» con una
coppia di oboi d'amore sfidando con baldanza i «fieri nemici» a provare a fargli paura, ora che la
nascita del Salvatore lo ha reso forte; l'elaborazione su Corale, evidente nell'imponente Corale
che, dopo l'ultimo Recitativo semplice (significativamente a quattro voci, quasi a volerne
sottolineare il carattere riassuntivo e conclusivo), suggella l'intero Oratorio. In quest'ultimo Bach
ripropone la celeberrima melodia di Hassler, Herzlich tut mich verlangen, già impiegata - ma in
modo minore - nel Corale n. 5 della Pars I, che così assume ora, nel radioso contesto finale, un
nuovo significato ed emerge suggestivamente a ribadire la miracolosa unitarietà di quest'opera
davvero unica nel suo genere.

Bruno Gandolfi

BWV 249 - Oratorio di Pasqua

https://www.youtube.com/watchv=62fawgUUpg8

Oratorio per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)


Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: domenica di Pasqua

Sinfonia (re maggiore)


per 3 trombe, timpani, 2 oboi, 2 violini, viola, fagotto e continuo
Adagio (si minore)
per oboe, 2 violini, viola e continuo
Kommt, eilet und laufet
Duetto e coro in re maggiore per tenore, basso, coro, 3 trombe, timpani, 2 oboi, 2 violini, viola
e continuo
O kalter Männer Sinn!
Recitativo in si minore per soprano, contralto, tenore, basso e continuo
Seele, deine Specereien sollen nicht mehr Myrrhen sein
Aria in si minore per soprano, flauto traverso o violino solo e continuo
Hier ist die Gruft, und hier der Stein
Recitativo in si minore per contralto, tenore, basso e continuo
Sanfte soll mein Todeskummer nur ein schlummer
Aria in sol maggiore per tenore, 2 flauti a becco, 2 violini e continuo
Indessen seufzen wir mit brennender Begier
Recitativo in si minore, per soprano, contralto, fagotto e continuo
Saget mir geschwinde, wo ich Jesum finde
Aria in la maggiore per contralto, oboe d'amore, 2 violini, viola e continuo
Wir sind erfreut
Recitativo in re maggiore per basso e continuo
Preis und Dank bleibe
Coro in re maggiore per coro, 3 trombe, timpani, 2 oboi, 2 violini, viola e continuo

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 trombe, timpani, 2 flauti a becco,
flauto traverso, 2 oboi, oboe d'amore, fagotto, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1725 (revisione 1738)
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 1 aprile 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1874

Guida all'ascolto (nota 1)

Alle tre ricorrenze solenni della cristianità Bach ha destinato gli Oratori di Natale, di Pasqua e
dell'Ascensione: il secondo risale al 1735. Sebbene un po' affine alla forma della Cantata sacra,
se ne distingue però per la natura del testo di tipo narrativo e dialogico, com'è appunto il caso del
nostro Oratorio nel quale intervengono quattro personaggi: Maria, la madre di Gesù (soprano),
Maria Magdalena (contralto), Pietro (tenore) e Giovanni (basso); a questi si aggiungono il coro
misto e l'orchestra (tre flauti, due oboi, un oboe d'amore, archi, continuo anche con fagotto). In
realtà la redazione di questo Oratorio è alquanto, per dir così, accidentata, prendendo origine da
attigue (nel tempo) Cantate profane su testo del famoso Picander, forse responsabile anche della
versione pasquale. Si producono dunque processi di adattamento, anche in sede musicale, che
riguardano tra l'altro anche una Cantata dell'aprile del '25, per approdare infine alla versione
presente dell'Oratorio in programma, elaborata tra il 1732 e il '35.

D'altronde le accennate cantate profane sono andate completamente perdute mentre è conservata
quella sacra del 1725, almeno per una buona parte del materiale esecutivo. È pervenuto
integralmente invece il nostro Oratorio, costituito di undici numeri che iniziano con due brani
orchestrali: una Sinfonia a piena orchestra, fastosamente luminosa, e un Adagio che è un lungo
canto dell'oboe, un canto di perfetta bellezza bachiana. La "ripresa" delle gioiose figurazioni
della Sinfonia s'innesta sul terzo numero in cui s'intreccia un duetto tra Pietro e Giovanni,
incorniciato tra due ali corali. I numeri seguenti sono un'alternanza di recitativi di carattere
dialogico: n. 4 ensemble dei quattro personaggi, n. 6 con Pietro, Giovanni e Maria Magdalena, n.
8 a due tra Maria Magdalena e Maria, la Madre di Gesù e il penultimo numero (il 10) affidato al
solo Giovanni; in alternanza quindi con tre arie (col "da capo"): n. 5 di Maria, la Madre di Gesù
(archi e violino obbligato), n. 7 di Pietro (due flauti e archi), una pagina di sovrana soavità
"tenestre", paesaggistica; quindi il n. 9 di Maria Magdalena. Nel finale, secondo intervento del
coro tracciato con il ben noto, olimpico, potere del Kantor di conferire all'ordito
contrappuntistico la perfetta naturalezza di una scienza esatta.

Guido Turchi

Altre cantate profane

BWV 249a - Entfliehet, verschwindet, entweichet, ihr Sorgen (arrangiamento


dell'oratorio di Pasqua)

https://www.youtube.com/watchv=ztuiHFB3NdI
BWV 249b - Verjaget, zerstreuet, zerruttet, ihr Sterne

Corali

https://it.wikipedia.org/wiki/Corali_armonizzati_di_Johann_Sebastian_Bach

https://www.youtube.com/watchv=BZ2QYa7rKMg

Johann Sebastian Bach compose oltre 189 corali, catalogati nei numeri BWV 250-438 del
catalogo Bach-Werke-Verzeichnis. Di alcuni di questi, Bach compose anche dei preludi corali
(BWV 690-713).

Lieder spirituali e arie

https://it.wikipedia.org/wiki/Lieder_spirituali_e_arie_di_Johann_Sebastian_Bach

BWV 439 - Ach, dass nicht die letzte Stunde


https://www.youtube.com/watchv=ktvA-kZdPeY

BWV 440 - Auf, auf! die rechte Zeit ist hier


https://www.youtube.com/watchv=GARX4jDnvww

BWV 441 - Auf! auf! mein Herz, mit Freuden


https://www.youtube.com/watchv=TDY51piPqX0

BWV 442 - Beglückter Stand getreuer Seelen


https://www.youtube.com/watchv=y3IVg_8jmwA

BWV 443 - Beschränkt, ihr Weisen dieser Welt


https://www.youtube.com/watchv=uUX4gen7s94

BWV 444 - Brich entzwei, mein armes Herze


https://www.youtube.com/watchv=r-ikpM3cc8o

BWV 445 - Brunnquell aller Güter


https://www.youtube.com/watchv=gMDl7KLS8Ds

BWV 446 - Der lieben Sonnen Licht und Pracht


https://www.youtube.com/watchv=qwNQvcHowNM
BWV 447 - Der Tag ist hin, die Sonne gehet nieder
https://www.youtube.com/watchv=yL2EX6-h520

BWV 448 - Der Tag mit seinem Lichte


https://www.youtube.com/watchv=OhximxU59b8

BWV 449 - Dich bet' ich an, mein höchster Gott


https://www.youtube.com/watchv=IqrE0-UdZ3c

BWV 450 - Die bitt're Leidenszeit beginnet abermal


https://www.youtube.com/watchv=u9jtTPXhFJU

BWV 451 - Die goldne Sonne, voll Freud' und Wonne


https://www.youtube.com/watchv=fQHRgjE2HRE

BWV 452 - Dir, dir Jehovah, will ich singen


https://www.youtube.com/watchv=en4TNrx6XM8

BWV 453 - Eins ist Not! ach Herr, dies Eine


https://www.youtube.com/watchv=-4FUKv-_7qU

BWV 454 - Ermuntre dich, mein schwacher Geist


https://www.youtube.com/watchv=AALfUGytrLc

BWV 455 - Erwürgtes Lamm, das die verwahrten Siegel


https://www.youtube.com/watchv=flqMF2yy9og

BWV 456 - Es glänzet der Christen


https://www.youtube.com/watchv=UDE87O-3Rio

BWV 457 - Es ist nun aus mit meinem Leben


https://www.youtube.com/watchv=G_uONEWj7Io

BWV 458 - Es ist vollbracht! vergiss ja nicht


https://www.youtube.com/watchv=ilXFM2dEvQs

BWV 459 - Es kostet viel, ein Christ zu sein


https://www.youtube.com/watchv=aWxR9EZt1sw

BWV 460 - Gib dich zufrieden und sei stille


https://www.youtube.com/watchv=9XZ1IHgp46g

BWV 461 - Gott lebet noch; Seele, was verzagst du doch


https://www.youtube.com/watchv=deMK1aP5tzw

BWV 462 - Gott, wie groß ist deine Güte


https://www.youtube.com/watchv=JrOu9pRZUIo

BWV 463 - Herr, nicht schicke deine Rache


https://www.youtube.com/watchv=j6egKVvD5dI

BWV 464 - Ich bin ja, Herr, in deiner Macht


https://www.youtube.com/watchv=usFfHfQnQtw

BWV 465 - Ich freue mich in dir


https://www.youtube.com/watchv=DtMCAemiM70

BWV 466 - Ich halte treulich still und liebe


https://www.youtube.com/watchv=VxwW52IBnRs

BWV 467 - Ich lass' dich nicht


https://www.youtube.com/watchv=GK-byoMJrH0

BWV 468 - Ich liebe Jesum alle Stund'


https://www.youtube.com/watchv=IEZt63MCAJE

BWV 469 - Ich steh' an deiner Krippen hier


https://www.youtube.com/watchv=ZT4SDTSofGo

BWV 470 - Jesu, Jesu, du bist mein


https://www.youtube.com/watchv=XUbovCYtWLE

BWV 471 - Jesu, deine Liebeswunden


https://www.youtube.com/watchv=4aguEhxeaMg
BWV 472 - Jesu, meines Glaubens Zier
https://www.youtube.com/watchv=Tsf6FVdaJIA

BWV 473 - Jesu, meines Herzens Freud


https://www.youtube.com/watchv=Kon8EYgKb_k

BWV 474 - Jesus ist das schönste Licht


https://www.youtube.com/watchv=nB4zkhRtgVE

BWV 475 - Jesus, unser Trost und Leben


https://www.youtube.com/watchv=8GOZh4P24pw

BWV 476 - Ich Gestirn', ihr hohen Lüfte


https://www.youtube.com/watchv=dhLLM_pu9NM

BWV 477 - Kein Stuendlein geht dahin


https://www.youtube.com/watchv=Z51Pv8wuRgU

BWV 478 - Komm, süßer Tod, komm, sel'ge Ruh!


https://www.youtube.com/watchv=U-I7wbMY-A4

BWV 479 - Kommt, Seelen, dieser Tag


https://www.youtube.com/watchv=1fr62y1_Cfw

BWV 480 - Kommt wieder aus der finstern Gruft


https://www.youtube.com/watchv=O8VrvUlWpk4

BWV 481 - Lasset uns mit Jesu ziehen


https://www.youtube.com/watchv=51H5GDi9ezo

BWV 482 - Liebes Herz, bedenke doch


https://www.youtube.com/watchv=o-gqEteFQQw

BWV 483 - Liebster Gott, wann werd' ich sterben


https://www.youtube.com/watchv=x5fvP5qvA90
BWV 484 - Liebster Herr Jesu! wo bleibest du so lange
https://www.youtube.com/watchv=Q_f_c8CUIfU

BWV 485 - Liebster Immanuel, Herzog der Frommen


https://www.youtube.com/watchv=DwH-_laIvhg

BWV 486 - Mein Jesu, dem die Seraphinen


https://www.youtube.com/watchv=W25Qm5AcwNU

BWV 487 - Mein Jesu! was für Seelenweh


https://www.youtube.com/watchv=7zZ4xnxvSWg

BWV 488 - Meines Lebens letzte Zeit


https://www.youtube.com/watchv=UV4pVkiX2Kc

BWV 489 - Nicht so traurig, nicht so sehr


https://www.youtube.com/watchv=PuH6HjGG9cU

BWV 490 - Nur mein Jesus ist mein Leben


https://www.youtube.com/watchv=sc3jkPsD9Ys

BWV 491 - O du Liebe meiner Liebe


https://www.youtube.com/watchv=7Tkq1ARTuNo

BWV 492 - O finstre Nacht


https://www.youtube.com/watchv=fujuNZzmRGQ

BWV 493 - O Jesulein süß, o Jesulein mild


https://www.youtube.com/watchv=y6Svu30Nogs

BWV 494 - O liebe Seele, zieh' die Sinnen


https://www.youtube.com/watchv=1JpZh5Qln98

BWV 495 - O wie selig seid ihr doch, ihr Frommen


https://www.youtube.com/watchv=sj1Ml5_1b_A

BWV 496 - Seelen-Bräutigam, Jesu, Gottes Lamm!


https://www.youtube.com/watchv=ELHIyjTdBpQ

BWV 497 - Seelenweide, meine Freude


https://www.youtube.com/watchv=sD_6AjdSZtM

BWV 498 - Selig, wer an Jesum denkt


https://www.youtube.com/watchv=uULGYWLfVfE

BWV 499 - Sei gegrüßet, Jesu gütig


https://www.youtube.com/watchv=nQyqra65I9s

BWV 500 - So gehst du nun, mein Jesu, hin


https://www.youtube.com/watchv=OKG2Hho1HIc

BWV 501 - So gibst du nun, mein Jesu, gute Nacht


https://www.youtube.com/watchv=u0vE0I6C9ac

BWV 502 - So wünsch' ich mir zu guter Letzt


https://www.youtube.com/watchv=uOsY9UfZ9nI

BWV 503 - Steh' ich bei meinem Gott


https://www.youtube.com/watchv=kYaS5La17_o

BWV 504 - Vergiss mein nicht, dass ich dein nicht


https://www.youtube.com/watchv=ZAjBdmse_0c

BWV 505 - Vergiss mein nicht, vergiss mein nicht


https://www.youtube.com/watchv=RQfAupYkdUc

BWV 506 - Was bist du doch, o Seele, so betrübet


https://www.youtube.com/watchv=3KNOYY40Z4Q

BWV 507 - Wo ist mein Schäflein, das ich liebe


https://www.youtube.com/watchv=rM7mP4-fe54

BWV 508 - Bist du bei mir (di Gottfried Heinrich Stölzel)


https://www.youtube.com/watchv=i6dTpDTozmc
BWV 509 - Gedenke doch, mein Geist
https://www.youtube.com/watchv=1TzJKET-LRI

BWV 510 - Gib dich zufrieden


https://www.youtube.com/watchv=F1cBVdWWFSY

BWV 511 - Gib dich zufrieden


https://www.youtube.com/watchv=8QYoP5YvTNY

BWV 512 - Gib dich zufrieden


https://www.youtube.com/watchv=MPy0W0TF3k8

BWV 513 - O Ewigkeit, du Donnerwortt


https://www.youtube.com/watchv=L1YKwMxvVXc

BWV 514 - Schaff's mit mir, Gott


https://www.youtube.com/watchv=csnykjqIuj8

BWV 515 - So oft ich meine Tobackspfeife


https://www.youtube.com/watchv=fkgKdVzexsI

BWV 515a - So oft ich meine Tobackspfeife


https://www.youtube.com/watchv=fkgKdVzexsI

BWV 516 - Warum betrübst du dich


https://www.youtube.com/watchv=Zlc5NSsAY7c

BWV 517 - Wie wohl ist mir, o Freund der Seelen


https://www.youtube.com/watchv=ybH7zm3ieE0

BWV 518 - Willst du dein Herz mir schenken


https://www.youtube.com/watchv=G5ZUOfz7FDg

Altri lieder

BWV 519 - Hier lieg' ich nun


https://www.youtube.com/watchv=265erEZjCOs

BWV 520 - Das walt' mein Gott


https://www.youtube.com/watchv=pEnqLLuOYx4

BWV 521 - Gott, mein Herz dir Dank zusendet


https://www.youtube.com/watchv=jlThJvXIfQA

BWV 522 - Meine Seele, lass es gehen


https://www.youtube.com/watchv=hSx5G61WXz4

BWV 523 - Ich g'nüge mich an meinem Stande


https://www.youtube.com/watchv=N8oRfeSpaFc

Quodlibet

BWV 524 - Quodlibet


https://www.youtube.com/watchv=eLkmOreTkGk

Composizioni per organo

Sonate in trio

https://it.wikipedia.org/wiki/Sonate_in_trio_per_organo

BWV 525 - Sonata n. 1 in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=3YGPe0OrNzo

Allegro moderato
Adagio (do minore)
Allegro

Organico: organo
Composizione: 1730 circa
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1827

Forse da una versione precedente in si bemolle maggiore

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

A Lipsia, dove riprese a dedicarsi intensamente alla produzione organistica dopo la parentesi
degli anni di Köthen, Bach confezionò una raccolta di sei brani che intitolò Orgeltrios,
destinandoli con ogni probabilità all'educazione musicale del figlio Wilhelm Friedemann. Si
tratta in gran parte di opere già scritte in precedenza e rielaborate, ma non mancano pagine
interamente nuove e, soprattutto, non manca quell'intenzione sistematica che per Bach
coincideva con l'idea stessa del ciclo, a ogni tassello del quale, in questo caso, egli diede come
titolo Sonata. La dicitura in trio allude al fatto che tutte le sei Sonate presentano una scrittura a
tre voci, due melodiche e una di basso. Rispetto a quel che ci si potrebbe attendere da una sonata
settecentesca, però, dove il basso ha funzione di accompagnamento, esegue spesso accordi
oppure raddoppia la linea della melodia, Bach si attiene a un contrappunto rigoroso, per lo più di
stile imitativo, ma in alcuni casi anche sviluppato in più complesse figurazioni di fuga.
L'indicazione originale che vuole le Sonate in trio eseguite «a due tastiere e pedale» non lascia
dubbi sulla destinazione organistica, anche se c'è chi ha sostenuto che una simile prescrizione
può valere anche per le varianti del clavicembalo o del clavicordo dotate di pedaliera.

La Sonata in trio n. 1 in mi bemolle maggiore BWV 525 consta, come tutte le altre di questa
raccolta, di tre movimenti, con la caratteristica successione di Allegro-Adagio-Allegro.
L'impostazione è chiaramente di tipo concertistico, ma è dominata da un principio di dialogo fra
le due voci melodiche, le quali sfruttano la tecnica dell'imitazione per scambiarsi di continuo i
materiali, come avviene in modo esemplare nel cantabile Adagio centrale.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le sei sonate furono composte per Wilhelm Friedmann Bach con lo scopo di prepararlo
tecnicamente e musicalmente a quella maturità necessaria per iniziarlo alla carriera virtuosistica.

II loro titolo originale è quello di «Sonate in trio per clavicembalo con pedali». L'eleganza della
forma e la finezza della condotta melodica e tecnica delle parti che ne compongono i tempi non
possono non ricordare la grazia mozartiana.

Se il fine che si era imposto Bach era semplicemente quello pedagogico non si può ad ogni
modo negare che il loro contenuto artistico è tale che la questione pedagogica (come pure
nell'Orgelbüchlein) va considerata nel senso di un insegnamento superiore, sia dal lato tecnico
che da quello artistico.

Schweitzer asserisce che «è dunque a torto che si parli di Sonate per organo»; altri pretende,
come Pirro, che «jouer ces trios à l'orgue est les detourner de leur dèstination première».

Comunque non risulta, attraverso la colossale produzione clavicembalistica, che il clavicembalo


con pedaliera sia stato uno strumento da concerto o in ogni caso diffuso per esecuzioni
concertistiche d'assolo o di insieme. Esso era invece considerato come uno strumento da studio e
di preparazione allo studio dell'organo. La pedaliera del clavicembalo dava la possibilità di poter
superare le prime difficoltà della complicata tecnica organistica.

Anche oggi abbiamo degli esempi di strumenti che servono agli organisti per le loro
esercitazioni giornaliere (pianoforti con pedaliera) e sono adoperati principalmente da coloro che
non possono avere a loro disposizione un organo in casa. Questi strumenti, rari in Italia, sono
comunissimi in Germania, in Inghilterra e in molti altri paesi nordici.

Perciò, sia il gruppo delle Sei sonate, come l'Orgelbüchlein ed altri Preludi in Trio non possono
essere considerati dei semplici studi, ma essi hanno invece l'importanza di vere composizioni
scritte non soltanto per l'esercizio tecnico, ma anche per essere eseguite in pubblico.

Il loro valore artistico ne è la prova evidente che potrà essere discutibile per i teorici, non per gli
artisti.

La Sonata in mi bemolle maggiore (n. 1) si compone di tre tempi:

Allegro (I tempo): Il tema è presentato dalla mano sinistra (al contralto), subentra quindi la
risposta alla mano destra (soprano). Compiuta l'esposizione della prima parte che termina alla
tonalità iniziale (tonica), ha luogo lo sviluppo, nel corso del quale il tema, apparendo più volte
anche rovesciato (per moto contrario), conduce al tono della dominante.

Ha inizio qui una controesposizione con l'ordine delle parti invertito. Viene ripreso il tema in si
bemolle maggiore seguito dalla risposta in mi bemolle. Ad essi segue un secondo sviluppo ohe
gradatamente conduce ad una breve ripresa del tema al pedale e quindi alla conclusione del
primo tempo.

E' la forma della sonata bipartita.

Adagio (II tempo): E' composto nel tono relativo minore. Il tema in "contrappunto doppio, è
presentato prima al soprano (mano destra) e poi al contralto (mano sinistra); viene sviluppato
attraverso dialoghi ed intrecci di parti, nel corso dei quali viene raggiunto il tono del quinto
grado dove ha termine la, prima, parte.

Il tema, nella seconda parte dell'Adagio, viene rovesciato (moto contrario) e sviluppato in modi
differenti fino alia ripresa del tema originale al quarto grado (fa minore); segue un nuovo
sviluppo che conduce poi rapidamente alla conclusione.

Allegro (III tempo): ha un tema brillante sviluppato con molte imitazioni riprese anche dal
pedale. Delle due parti che compongono quest'ultimo tempo, la prima è basata sull'esposizione e
svolgimento del tema per moto retto ed ha termine alla tonalità della dominante; la seconda,
invece, presenta ed elabora lo stesso tema per moto contrario. La riesposizione è - all'incirca -
simmetrica alla precedente. Dalla tonalità del quinto grado passa per il quarto e quindi torna al
tono principale.

In queste sonate sono messi in pratica tutti i mezzi adatti a rendere tecnicamente indipendenti le
mani dai piedi: movimenti di parti che procedono per moto contrario, parti che s'incrociano in
vario modo, fraseggi contrapposti, ecc.

Esse sarebbero state composte nel 1723 (periodo di Leipzig) quando cioè Wilhelm Friedmann
Bach era appena tredicenne.
Fernando Germani

BWV 526 - Sonata n. 2 in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=tPZkWw1h8BQ

Vivace
Largo (mi bemolle maggiore)
Allegro

Organico: organo
Composizione: 1730 circa
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1827

Guida all'ascolto (nota 1)

In questa Sonata la presentazione del tema non avviene - come in quella in mi bemolle maggiore
(n. 1) - in stile fugato; nè è più la forma della Sonata mono tematica bipartita. Ora i temi sono
due, sia nel primo che nell'ultimo tempo.

Nel Vivace (I tempo), il tema n. 1 viene esposto con un raddoppio alla terza inferiore (per due
battute) ma non appena l'idea iniziale entra nella fase elaborativa, le parti si dividono e
procedono indipendentemente.

Alla conclusione della breve esposizione, che avviene nella medesima tonalità del principio,
s'inizia un'altra parte con il tema n. 2; esso viene presentato prima al soprano (in do minore), a
cui risponde il tenore alla dominante. Con una successione d'imitazioni, si giunge al tono
relativo maggiore (mi bemolle), dove viene ripreso il tema iniziale con l'ordine delle parti
invertito.

L'idea musicale si sviluppa sempre più; i due temi vengono presentati ancora nella tonalità della
dominante, sino a che si giunge gradatamente ad un pedale di sol minore e successivamente ad
uri altro in do minore. Su entrambi i pedali si intrecciano imitazioni e temi; l'elaborazione
acquista un'importanza sempre maggiore e conduce alla ripresa del primo tema. Esso viene
esposto esattamente come la prima volta determinando la conclusione del tempo.

Il secondo tempo - Largo in mi bemolle - è di forma molto libera L'idea musicale viene
continuata come un recitativo dialogato a due parti. Il tema, una volta esposto allo inizio, non
viene più ripreso durante il corso del movimento; soltanto un elemento imitato riappare verso la
fine con il consueto scambio delle parti. Il Largo termina in cadenza sospesa per attaccare, subito
dopo, l'Allegro finale.

L'ultimo tempo è composto su due temi ben distinti e di carattere diverso; essi sono presentati in
stile fugato.

Conclusa, in do minore, l'esposizione del primo tema, subentra il secondo nella medesima
tonalità. Durante il corso degli sviluppi i due temi riappaiono più volte; anzi, il primo è
presentato anche sotto forma di canone all'unisono. Il giro tonale si sofferma in fa minore, dove
viene ripreso il secondo tema al tenore e quindi la sua risposta al soprano, in do minore. Seguono
ulteriori sviluppi con l'alternarsi dei due temi sino a che, con la ripresa, si giunge alla chiusa.

Fernando Germani

BWV 527 - Sonata n. 3 in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=J6jl0_QVX5c&t=58s

Andante
Adagio e dolce (fa maggiore)
Riutilizzato nel secondo movimento del Triplo concerto BWV 1044
Vivace

Organico: organo
Composizione: 1730 circa
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1827

Guida all'ascolto (nota 1)

La Sonata inizia con un Andante composto su due temi ed in forma bipartita e col «da capo».
L'Esposizione è basata sul primo tema. Esso viene presentato al soprano nel tono principale ed al
tenore con la risposta alla dominante (la minore). Poi viene successivamente sviluppato
ampiamente sino a concludere nella tonalità di re minore.

S'inizia quindi la seconda parte; viene esposto il secondo tema che provoca un altro notevole
sviluppo, ma in esso non figurano mai richiami al tema principale. Soltanto un elemento ritmico
di secondaria importanza ed appartenente alla prima esposizione viene ricordato brevemente.

Questa seconda parte conclude su una cadenza alla dominante che nel contempo serve da
congiunzione per la ripresa del «da capo». Giunti alla conclusione della riesposizione, il primo
tempo ha termine.

L'Adagio e Dolce (secondo tempo) è tratto dal Concerto in la minore per clavicembalo, flauto e
violino concertanti. Il tema viene presentato «a due», cioè viene esposto dal soprano e
raddoppiato alla terza inferiore dal contralto. Non è in stile fugato.

La bellissima melodia - tipicamente classica - precorre nello stile il genere mozartiano. Il tempo
è monotematico ed in forma bipartita.

Il terzo tempo (Finale) è in forma di rondò. Ha due temi principali in re minore ed uno
secondario (derivato dal secondo tema) in la minore.

L'esposizione del primo tema avviene come per quello dell'Andante (I tempo) e cioè:
presentazione del tema in stile fugato, risposta, sviluppo e conclusione. S'inizia il secondo tema -
non fugato - ma con le parti che si scambiano il soggetto invertendone l'ordine.
Segue un elaborato sviluppo che alla sua conclusione alla dominante introduce un nuovo
elemento tematico che viene elaborato in forma imitativa.

E' un interessantissimo e piacevole intreccio di parti, pieno di vitalità e di brio. Alla conclusione
di questo sviluppo viene ripresa l'esposizione, come all'inizio, e quindi il pezzo ha termine.

La notevole difficoltà tecnica delle sei sonate non è mai in contrasto con il pregio musicale, nel
senso che lo sviluppo della parte virtuosistica è sempre in relazione con l'opera d'arte e mai usata
come fine a se stessa.

Fernando Germani

BWV 528 - Sonata n. 4 in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=ym06WtltxdA

Adagio
Ripreso dalla Sinfonia n. 8 della Cantata BWV 76
Vivace (si minore)
Ripreso dalla Sinfonia n. 8 della Cantata BWV 76
Andante (si minore)
Un poco Allegro

Organico: organo
Composizione: 1730 circa
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1827

Guida all'ascolto (nota 1)

Un breve Adagio fugato apre questa bellissima composizione. Esso proviene dalla Cantata n. 76
Die Himmel erzählen die Ehre Gottes (II Domenica dopo la Trinità) di cui fa parte come
interludio per Oboe d'amore e Viola da Gamba (inizio della II parte). Improvvisamente irrompe
il Vivace con un tema che partendo dalla tonalità della dominante afferma la sua identità tonale
nella battuta seguente, come una grandiosa anacrusi.

Il primo tempo si svolge su di un unico tema presentato ripetutamente in un ricco intreccio di


parti. Esso viene alternato con la risposta sui due gradi principali della scala, Tonica e
Dominante, senza mai modulare in altri toni. Dopo una breve imitazione tra le due voci, derivata
dall'inizio del tema stesso, il Vivace ha termine.

Interessantissimo, quanto inusitato, è il tema dell'Andante. Il canto procede con salti di due
quarte ascendenti alternate ad una terza discendente. Ad esso viene contrapposta un'altra melodia
dal ritmo assolutamente diverso e che viene poi ulteriormente sviluppato nel corso del pezzo.
Completata l'esposizione del tema ha immediatamente inizio l'elaborazione del controcanto; essa
acquista una tale importanza da dare l'impressione che lo sviluppo riguardi un tema principale.
Questo controcanto viene svolto per moto retto e per moto contrario; a volte viene anche
alternato ad alcune riprese del soggetto nella tonalità di mi minore.

Gradatamente si giunge alla ripresa, presentata questa volta come un breve stretto di Fuga, e
quindi il pezzo conclude.

Il caratteristico procedimento melodico del tema dell'Andante (accordi sciolti in arpeggi ed in


posizioni late) ed in parte anche quello dello sviluppo, fa pensare ohe il pensiero di Bach fosse
rivolto più al violino che al clavicembalo. Un'altra nota interessante è quella data dalla tonalità
della composizione, poiché dopo un primo, tempo in mi minore, l'ascoltatore si aspetterebbe un
Andante in maggiore, mentre Bach lo ha composto pure in minore (si minore).

Il terzo ed ultimo tempo della Sonata in mi (un Poco Allegro) ha una grande affinità con il
«Minuetto». Il carattere del tema, non tanto per il ritmo ternario quanto per lo spirito, è infatti
analogo a quello di questa tipica forma di danza.

Viene esposto in forma fugata a tre parti alternando il soggetto con elementi ritmici a terzine,
contenuti nella «coda» del tema stesso, e che vengono poi usati per tutto lo sviluppo dell'Allegro.
Il discorso musicale modula quindi al relativo maggiore presentando il soggetto e la risposta in
questa tonalità; prosegue in la minore (tema) per poi tornare in mi per la ripresa finale.

Fernando Germani

BWV 528a - Andante (secondo movimento alternativo)

https://www.youtube.com/watchv=W61ZSdYP1Os

BWV 529 - Sonata n. 5 in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=vmmQfCWrBQA

Allegro
Largo (la minore)
Allegro

Organico: organo
Composizione: 1730 circa
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1827

Guida all'ascolto (nota 1)

L'evoluzione della forma e della concezione bachiana della sonata è evidente in questa
composizione. L'idea, presentata con grande e logica continuità, dà luogo ad una esposizione di
vastissime proporzioni. Il pensiero si sviluppa con elementi derivati dal tema stesso; questi
elementi si imitano, vengono invertiti nell'ordine delle parti, s'incrociano tra le voci e, nel corso
della meravigliosa elaborazione, raggiungono la dominante; è su questa tonalità che avviene una
grandiosa risposta all'Esposizione.
Non appena la risposta viene esaurita è introdotto un secondo tema (tema di movimento). Esso
con procedimenti dialogati, si prolunga notevolmente alternandosi con il primo tema in altre
tonalità (fa maggiore e la minore), sino a ricondurre il pensiero musicale alla ripresa e quindi alla
conclusione.

Questo primo tempo si distacca, nell'ampiezza delle idee e della linea, dalle precedenti sonate e -
si può dire - precorre la Sonata moderna.

L'Adagio è in stile fugato e si compone di due temi: uno principale e uno secondario. Il primo
(quello iniziale) è preminentemente cantabile; il secondo, invece, è un tema movimentato.

Esposto il tema principale, che è un pensiero completo per se stesso, ha luogo il secondo tema
svolto con imitazioni alternate fra le due parti sostenute da qualche nota di pedale. L'idea
musicale passa con fluidità al tono maggiore relativo, dove rientrano ambedue i temi che,
sviluppati fino alla ripresa, (simile all'inizio) concludono con una brevissima «coda», in cadenza
sospesa.

Segue immediatamente il terzo ed ultimo tempo (Allegro) che analogamente al primo è di stile
fugato ed è composto su due temi.

Il tema d'inizio attacca in modo deciso e la sua incisiva figurazione gli conferisce un carattere di
grande energia.

L'idea musicale viene espressa con grande chiarezza in tutta la sua intera esposizione. Segue un
altro periodo con il secondo tema di carattere scherzoso che aggiunge al tempo brio e vivacità.
Fra imitazioni, inversioni di parti, salti d'intervalli, appare anche il primo tema. Lo sviluppo
procede con interesse e spigliatezza fino alla ripresa finale ohe avviene con entrate imitate a
breve distanza come uno «stretto» e che porta la sonata alla conclusione.

Fernando Germani

BWV 530 - Sonata n. 6 in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=xPUaNeC6XB4

Vivace
Lento (mi minore)
Allegro

Organico: organo
Composizione: 1723 circa
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1827

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Come tutte le altre di questo ciclo, anche la Sonata in trio n. 6 in sol maggiore BWV 530 si
articola in tre movimenti, Allegro-Adagio-Allegro, con i due tempi estremi in forma di allegro da
concerto, e con il tempo centrale diviso in due sezioni complementari, cioè non contrastanti. La
scrittura gioca sugli effetti di dialogo fra i due manuali e la pedaliera, con uno scambio di
materiali che accentua la limpidezza della trama sonora. Se davvero fu scritta per Wilhelm
Friedemann, che nel 1723 aveva tredici anni, questa Sonata, e più in generale la raccolta a cui
appartiene, mostra come l'intento didattico di Bach non si preoccupasse solo delle difficoltà di
esecuzione, ma mirasse a educare il gusto musicale senza escludere la frequentazione degli stili
"moderni", com'è appunto quello del concerto all'italiana, qui tradotto in una forma
particolarmente chiara ed eloquente.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il carattere incisivo del tema del «Vivace» (1 tempo) di questa «Sonata» è messo, ancor più in
evidenza dal deciso attacco delle due mani all'unisono.

Questa particolarità denota chiaramente l'intenzione dell'autore di sottolineare il tono energico


iniziale della Sonata.

Alla prima frase - nella tonalità di tonica fa seguito un'altra che - completando il periodo -
conduce al quinto grado; è qui che ha inizio il periodo di risposta e di ritorno al tono principale.
Frammenti ritmici derivati dal tema danno luogo ad un considerevole sviluppo dell'idea che,
alternata tra le due tastiere ed invertita nell'ordine delle parti, procede nel giro tonale
raggiungendo la tonalità di «la maggiore».

Segue un delizioso episodio, tipicamente strumentale, derivato da figurazioni tematiche con


sviluppo proprio, il quale dopo alcune riprese del soggetto, viene invertito nell'ordine delle parti
e rovesciato (moto contrario); si alterna, con entrate sempre più frequenti, ad imitazioni ritmiche
e ad episodi svolti dalle due mani contemporaneamente per moto retto e contrario. Dopo una
densa elaborazione sul pedale di dominante ha luogo la ripresa finale. Questo primo tempo di
sonata si compone di un solo tema sviluppato in modo mirabile.

Il secondo movimento (Lento) in «mi minore» è in forma bipartita. Le numerose fioriture


melodiche che rivestono il tema fanno ricordare un altro lavoro del genere non meno bello e non
meno interessante: l'Adagio del Concerto italiano. A differenza di quello però, il canto qui è
affidato a due parti che dialogano, s'imitano, si incrociano tra di loro. L'insieme è una vera opera
d'arte. Questa melodia però, non esorbita mai dallo stile classico: essa canta, è ornata e non le si
può certo negare l'espressività emotiva; è altrettanto certo che essa è ben lontana dal
sentimentalismo. E' il puro classicismo, è quella linea melodica nobile ed austera, caratteristica
della personalità di Bach, rimasta immune dall'influenza dell'esteriorità del secolo, e che rende
questa musica sempre viva, interessante e profonda.

L'Allegro finale (III tempo) per il tono energico del suo tema, si riallaccia al I tempo, con la
differenza del carattere più vivo e conclusivo che definisce l'ultimo tempo delle Sonate.
La figurazione ritmica del tema è molto ricca di elementi che vengono ripresi e sviluppati non
appena compiuta l'esposizione. Infatti, eliminando la testa del tema, rimane un elemento ritmico
che Bach largamente adopera a modo di secondo tema e gli dà mezzo di costruire un'ingegnosa
architettura sonora che distoglie l'attenzione dal tema principale. Il discorso però continua fluido,
sempre unito e compatto; solo occasionalmente rientra il tema, ma è presentato in modo che si
ha l'impressione più di una conseguenza di un pensiero che di un tema propriamente detto.

Quando allo sviluppo succede la ripresa, il tema ritorna in tutta la sua freschezza e brio, con i
suoi intrecci di parti, salti d'intervalli ecc. e conduce rapidamente alla conclusione questa
brillantissima sonata.

Fernando Germani

Preludi, fughe, toccate e fantasie

https://www.youtube.com/watchv=YqpkLWATbbA

BWV 531 - Preludio e fuga in Do maggiore "Luneburghese"


https://www.youtube.com/watchv=zNhdTRyizBA

BWV 532 - Preludio e fuga in Re maggiore


https://www.youtube.com/watchv=u4ERO71XHX8

Organico: organo
Composizione: 1710 circa
Edizione: Breitkopf & Hartel, Lipsia, 1833 circa

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Non si sa con precisione a quale periodo creativo bachiano appartenga il Preludio e fuga in re
maggiore BWV 532. Probabilmente si tratta di una composizione giovanile, risalente al periodo
in cui Bach si trovava ad Armstadt ed era attratto dalle ricerche virtuosistiche dell'organo. Il
Preludio, dalla forma tripartita, inizia in modo pomposo che si richiama alla ouverture francese.
Di effetto le figurazioni ascendenti e discendenti su scale e arpeggi e il gioco ornamentale degli
arpeggi, prima di giungere alla annotazione "Alla breve" concertante nello stile italiano, che
comprende lo sviluppo contrappuntistico vero e proprio. Il tema ha un tono energico e vigoroso e
passa attraverso fasi diverse, da quella acuta alla brillante progressione ritmica, secondo una
discorsività musicale libera e spensierata. La terza parte del Preludio è una coda in tempo Adagio
che si svolge come un recitativo. Il disegno melodico si concentra e sfocia in modo grandioso
nel finale.

La Fuga è uno dei pezzi virtuosisticamente più brillanti di questa fase creativa giovanile di Bach.
Una prima versione della Fuga era più concentrata e breve, ma nella versione definitiva tutto è
disposto meglio e in funzione del risultato virtuosistico, che poggia su veloci figurazioni
ritmiche e marcata varietà armonica con modulazioni sempre diverse. È evidente che la vivacità
armonica e l'animazione armonica, oltre la cantabilità dei temi fugati, lasciano intravedere un
approfondito studio della musica italiana di quel periodo, i cui caratteri e stilemi costituiscono il
patrimonio della tecnica bachiana.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I rapporti che intercorrono fra i due pannelli del preludio e della fuga non rispondono a un
criterio unitario, ma rispondono a una pluralità di soluzioni che vanno dagli estremi della più
forte compenetrazione a quelli della più netta indipendenza. La composizione detta Praeludium
et fuga in re maggiore BWV 532, che risale agli stessi anni del Preludio e fuga in do minore
BWV 549, rientra in quest'ultima casistica. Il preludio, infatti, è diviso in tre sezioni, con due
brevi volate in stile di ouverture che incorniciano una toccata "alla breve", nella quale non è
difficile riconoscere dalla durezza degli accostamenti armonici la predilezione bachiana per un
linguaggio arcaico, rivolto verso le atmosfere della musica seicentesca. La fuga, piuttosto ampia,
abbonda in virtuosismi sia ai manuali che sulla pedaliera, ed è costruita in modo non tematico,
ma basandosi sullo sviluppo di una cellula contraddistinta da una vivace pulsazione ritmica.

Stefano Catucci

BWV 532a - Fuga


https://www.youtube.com/watchv=TSIx-WWoiPY

BWV 533 - Preludio e fuga in Mi minore


https://www.youtube.com/watchv=QLS_VaTpbvA

Organico: organo
Composizione: 1705 circa
Edizione: Breitkopf & Hartel, Lipsia, 1833 circa

Guida all'ascolto (nota 1)

Ancora precedente, in ordine cronologico, [fa riferimento alle Partite diverse sopra "Christ, der
du bist der helle Tag", BWV 766 eseguite nello stesso concerto, n. d. r.] sembra essere la
composizione del Preludio e fuga in mi minore BWV 533, che alcuni studiosi collocano al
tempo del primo servizio di Bach a Weimar, dunque al 1703, se non addirittura ai suoi anni di
studio nella cantoria di Lüneburg. Altri interpreti preferiscono una datazione di poco posteriore,
arrivando fino al 1708, ma è certo che le indecisioni, in questo caso, dipendono dalla scarsa
personalità stilistica, o per meglio dire dalla condotta tutto sommato scolastica con la quale Bach
svolge alcuni spunti tematici piuttosto originali. Nella prima parte del Preludio, per esempio, è
da notare come l'autore inserisca nella condotta regolare della composizione alcune interruzioni
che, nonostante il loro carattere decorativo, producono un effetto di instabilità strutturale. Ed è
significativo che la stessa tendenza a dare maggior rilievo architettonico agli elementi
ornamentali si riscontri anche nella Fuga, dove la presenza insolita di un "mordente" arricchisce
il soggetto conferendogli immediatamente un motivo di interesse. Gli organisti chiamano
"piccolo" questo Preludio e fuga in mi minore per distinguerlo da quello "grande" nella stessa
tonalità, BWV 548.

Stefano Catucci

BWV 534 - Preludio e fuga in Fa minore


https://www.youtube.com/watchv=yMC8HEeyWXA

BWV 535 - Preludio e fuga in Sol minore


https://www.youtube.com/watchv=-XmRy-iS4xQ

BWV 535a - Preludio e fuga


https://www.youtube.com/watchv=3ShQSm8gfBg

BWV 536 - Preludio e fuga in La maggiore


https://www.youtube.com/watchv=kM9Je5707lU

Organico: organo
Composizione: 1716 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1844
Guida all'ascolto (nota 1)

Di carattere molto ornato e armonicamente semplice il «Preludio».

Originalissimo il tema della Fuga che, per il suo carattere e ritmo, è stato da taluni definito come
«tema di carattere danzante»; ma a dire il vero, analizzandolo a fondo, si ha l'impressione che il
suo spirito sia più rivolto verso il «pastorale» che non verso il «danzante».

Penso, però, che Bach non abbia avuto l'intenzione di fare né una fuga «danzante», né
«pastorale», ma semplicemente una «Fuga».

L'esposizione si svolge in modo interessante perché all'entrata regolare delle prime tre parti
segue quella del pedale con la nota iniziale della risposta cambiata, tanto che dà l'impressione
che il pensiero musicale sia stato improvvisamente condotto alla tonalità di «mi maggiore»
invece che a quella della dominante di «la maggiore».

Apparentemente la tonalità è la stessa, ma rispetto al tono iniziale la risposta del soggetto non
corrisponde perché invece d'iniziarsi con un «la» (risposta al soggetto) la nota è cambiata in
«si».

La concezione delle fughe bachiane - del resto - si sa che non è rigorosa e quindi non possono
stupire i cambiamenti che alle volte si trovano in esse.
Alla esposizione e contro-esposizione segue un'entrata del tema e della risposta al relativo
minore («fa diesis»), quindi il giro tonale prosegue in «re maggiore». Verso la fine vi è una bella
presentazione del tema in canone nella tonalità della dominante. S'iniziano, ora, alcune entrate al
modo di «stretto» che, conducendo rapidamente il pezzo verso la conclusione, risolvono su di un
pedale di dominante; e quindi, in una concisa perorazione, il pezzo ha termine.

Fernando Germani

BWV 536a - Preludio in La maggiore


https://www.youtube.com/watchv=SuU3uOJUfyk

BWV 537 - Fantasia e fuga in Do minore


https://www.youtube.com/watchv=w1bza_bRFLo

Organico: organo
Composizione: 1716 circa
Edizione: Körner, Erfurt, 1840 - 1845 circa
Guida all'ascolto (nota 1)

Il termine Fantasia è uno fra i più imprecisi delle forme musicali. Nessun termine più di questo è
stato interpretato con una libertà quasi assoluta. All'epoca di Bach, si indicava così una
composizione in stile fugato, ma che nessun rapporto aveva con la fuga rigorosa. Più tardi, al
tempo di Mozart, il termine indica abbastanza spesso una Sonata di stile molto libero. Forse è
dalla Fantasia che è sbocciato il Poema sinfonico.

La Fantasia in do minore non è datata; André Pirro crede di poterla assegnare alla fine del
soggiorno di Bach a Weimar (verso il 1718). Marcel Dupré, per conto suo, osserva che questa
Fantasia, come i grandi Preludi, utilizza due temi. «E' una prova - aggiunge il grande organista
francese - che non è a Filippo Emanuele, ma a Giovanni Sebastiano che dobbiamo la struttura
bitematica della moderna Sonata e Sinfonia ». E' uno tra i lavori meno conosciuti di Bach, ma di
superba fattura e, soprattutto, di grande espressività. Il tema è proposto dalla voce superiore e le
altre parti si succedono in ordine discendente sino all'entrata tematica del basso, in una
espressione di serenità un po' malinconica. La seconda idea - di carattere più doloroso - è esposta
dapprima dal pedale poi s'incatena al secondo inciso del primo tema e a una specie di vocalizzo
che riapparirà alla perorazione. Più tardi riprenderà l'idea iniziale con l'ordine delle parti
invertito: il secondo tema riappare, poi segue un lungo sviluppo dei due temi, che conclude su
una cadenza sospesa per attaccare poi la Fuga, il cui tema incisivo costituisce un indovinato
contrasto col carattere generale della Fantasia. Dopo l'esposizione, appare un lungo sviluppo su
un nuovo tema (cromatico questo); è uno sviluppo d'un cromatismo singolarmente in anticipo sul
suo tempo. Dopo una breve, apparente conclusione alla dominante, attaccano gli Stretti sul tema
iniziale della Fuga, e il lavoro si conclude con una breve elaborazione.

Domenico De' Paoli

BWV 538 - Toccata e fuga "Dorica" in Re minore


https://www.youtube.com/watchv=gQMUTuNfBww

Organico: organo
Composizione: 1708 - 1717
Prima esecuzione: Kassel, Martinskirche, 28 settembre 1732
Edizione: Bureau de Musique, Lipsia, 1832 circa
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Per l'intero arco della sua vita, Bach scrisse composizioni per organo, uno strumento di cui fu un
profondo conoscitore per aver ricoperto il posto di organista in diverse sedi fino al 1717, cioè
sino al periodo cosiddetto di Weimar. Per ben quattordici anni egli svolse attività di organista,
meravigliando tutti per il suo talento e il suo virtuosismo, e di collaudatore di organi, chiamato
per svolgere questo lavoro in più corti e chiese della Germania. Ad Arnstadt, a Mühlhausen, a
Weimar, a Köten e a Lipsia acquistò grande nome come organista e le sue improvvisazioni
destarono ammirazione generale presso musicisti, prìncipi e pubblico di varia estrazione sociale.
Effettivamente il contributo dato da Bach per lo sviluppo della tecnica organistica fu enorme e i
numerosi studiosi che si sono occupati della vasta opera di questo musicista, a cominciare da
Philipp Spitta con la sua monumentale biografia (1873 e 1880), hanno tenuto a sottolineare la
grande importanza sia formale (armonica e contrappuntistica) che espressiva della produzione
per organo del maestro di Eisenach, esempio luminoso di artigiano e di artista costantemente
proteso verso traguardi di severo spiritualismo religioso.

Una prova eloquente della forte personalità organistica bachiana è racchiusa nella Toccata e fuga
in re minore BWV 538, contrassegnata dall'aggettivo «dorica» dato probabilmente non
dall'autore, ma dai successivi editori, perché rievocante in alcuni passi il modo dorico,
considerato il primo dei modi fondamentali dell'antica teoria musicale greca e del gregoriano. La
pagina ricorda sotto alcuni aspetti certi poderosi lavori organistici del periodo di Weimar, come
la famosa Toccata e fuga in re minore BWV 565, che ha sempre goduto di enorme popolarità,
alla quale concorse nei nostri giorni anche l'uso che ne fece Walt Disney nel suo film «Fantasia».
Nel Preludio si respira la stessa orgogliosa bravura virtuosistica, pur con qualche richiamo
all'antica modalità della Toccata: tanto è vero che il Preludio si chiama esplicitamente Toccata.
Inoltre si avverte una chiara tendenza agli effetti contrastanti fra il piano e il forte, cioè fra il
Tutti e il Solo, così da far pensare al Vivaldi dell'Estro armonico, per esempio al Concerto grosso
in re minore n. 11, trascritto per organo dallo stesso Bach (BWV 596) negli anni di Weimar. La
Fuga è in evidente contrapposizione con il Preludio: quest'ultimo presenta colori vivaci e
brillanti, mentre la Fuga ha una linea severa, rigorosa e di carattere speculativo. Chi ha
analizzato profondamente questo lavoro ritiene che appartenga al periodo del soggiorno di
Lipsia, quando l'artista, dopo aver scritto la maggior parte delle sue Cantate e altre composizioni
vocali sacre, tornò ad occuparsi della musica per organo: e più precisamente, all'inizio di questo
periodo, allorché il ricordo del suo passato di formidabile organista e improvvisatore era ancora
molto vivo. In sostanza, la «Dorica» viene situata negli anni compresi fra il 1730 e il 1735.

Secondo un criterio già sperimentato in altri lavori del genere, il Preludio è contrassegnato da
virtuosismo, mentre nella Fuga si sente il piacere della ricerca timbrica e coloristica. Nella
Toccata rivive lo spirito della costruzione a blocchi del Concerto grosso, con il fitto gioco di
domande e risposte fra i vari strumenti; nella Fuga il musicista torna alla scrittura
contrappuntistica, equilibrata e perfetta nei suoi ingranaggi melodici e armonici.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Quando Bach impiega il termine Toccata, si puo star certi che la composizione sarà improntata a
uno stile arcaico, non ben definito dal punto di vista formale, dunque sostanzialmente libero, e
soprattutto di robusta inclinazione virtuosistica. Le opere della maturita recheranno nel titolo la
parola Preludio, avranno un'architettura piu sistematica e rispetteranno perciò regole di
organizzazione formale di diverso rigore. Anche per questo, oltre che per constatazioni derivate
dall'analisi delle copie realizzate dagli allievi di Bach, la data di composizione della Toccata e
fuga in re minore BWV 538, detta «dorica», è stata retrocessa dagli storiografi agli anni di
Weimar, mentre in un primo tempo si riteneva che solo la Fuga appartenesse a questo periodo, e
che la Toccata risalisse invece al periodo di Lipsia. In effetti, il gioco del pedale e il suo fitto
dialogo con le tastiere manuali, come pure la presenza di un solo tema principale che la Toccata
sviluppa in un ritmo serrato, fanno pensare allo stile del primo Bach e mostrano con piena
evidenza, sul piano compositivo, quell'energia che lo aveva reso celebre come esecutore e
improvvisatore. La definizione «dorica», tradizionale, allude a un'impostazione armonica
arcaica, ma non è adeguata alla scrittura bachiana. Di fatto, serve solo a distinguerla dalla piu
conosciuta Toccata e fuga in re minore BWV 565. Cio non toglie che la BWV 538 sia stata, nel
Settecento, uno dei pezzi organistici piu apprezzati ed eseguiti dell'intera produzione di Bach,
come attesta il numero elevato di copie pervenute.

Stefano Catucci

BWV 539 - Preludio e fuga in Re minore


https://www.youtube.com/watchv=VHEilVQ6WYE

Organico: organo
Composizione: 1720 circa
Edizione: Breitkopf & Hartel, Lipsia, 1833 circa

Guida all'ascolto (nota 1)

Questo è il lavoro che conclude la prima metà dell'evoluzione organistica bachiana. Il «Preludio»
per carattere e forma, si distanzia molto dagli altri del genere bachiano. Si direbbe più un
preludio di sonata o di suite per la sua prevalenza melodica. In esso sono, inoltre, contenute
numerose «durezze» (dissonanze) che si succedono nelle varie sequenze.

La «Fuga» è una interpretazione organistica di quella contenuta nella «Sonata» in «sol minore»
per violino solo, BWV 1001. Con essa presenta numerosissime analogie e, benché di eccellente
effetto organistico, pure nel suo spirito non fa sentire la tipica polifonia del re degli strumenti.

Fernando Germani

BWV 539a - Fuga


https://www.youtube.com/watchv=xMxy7eRWTJ4

BWV 540 - Toccata e fuga in Fa maggiore


https://www.youtube.com/watchv=I-ummko047I

Organico: organo
Composizione: 1708 - 1717
Edizione: Bureau de Musique, Lipsia, 1832 circa
Guida all'ascolto (nota 1)

La tonalità d'impianto della Toccata è perentoriamente affermata, fin dall'esordio, dal lungo
pedale nella parte grave; dalla fluida figura melodica del contrappunto superiore (intessuta
intorno alle triadi sul primo e sul quinto grado che costituiscono il fondamento della grammatica
tonale); dalla riconferma che, di questa proposizione melodica, offre, alla terza battuta, il
contrappunto mediano impegnato a riesporre, secondo la procedura dell'imitazione canonica,
l'inciso precedente.

Questo svolgimento rappresenta una tipica convenzione formale dello stile barocco, e in
particolare di quello di Bach. Secondo una disamina fraseologica di Anton Webern (contenuta in
una conferenza che il musicista viennese tenne nel 20 marzo 1933) al tempo di Bach «non si
costruiva una frase di quattro battute (questa è la forma normale, particolarmente in Beethoven),
ma una sola frase di due battute, subito ripetuta... Proprio per questa ripetizione si rendeva
possibile e necessario che venisse subito dopo qualcosa di nuovo. E difatti succedeva che i
motivi venissero sviluppati» (o meglio, come Webern altrove meglio precisa, «svolti»). Sviluppo
e svolgimento che, come Webern giustamente osserva, rivelano che, alla base di tutto ciò, «c'è lo
sforzo, la tendenza ad esprimersi il più chiaramente possibile».

La seconda parte del componimento bachiano è costituita da una fuga a due soggetti. Il primo
soggetto afferma un austero procedimento melodico, nell'ambito del quale gli stessi abbellimenti
(mordenti, trilli, ecc.) assecondano l'incisivo carattere dell'esposizione (secondo una procedura,
del resto, tipica alla quasi totalità dei lavori bachiani: nei quali la componente ornamentale,
estranea al settecentesco «stile galante», asseconda piuttosto la vigorosa accentuazione del
discorso contrappuntistico).

Il resto della fuga segue — almeno dal punto di vista strettamente formale — lo svolgimento
proprio alla struttura fugata: esposizione del primo soggetto; esposizione del secondo soggetto,
concepito, attraverso la scorrevole animazione che lo caratterizza, nei termini di una netta
differenziazione rispetto al primo soggetto; «divertimenti» vari, come al solito impegnati a
rielaborare incisi ricavati dalle parti «obbligate»; modulazioni ai toni vicini con relativa
«ripercussione» del soggetto; serrata ricapitolazione degli «stretti» (nei quali, secondo una prassi
usuale, le entrate tematiche si seguono sempre più da presso); conclusione: condotta, in questo
caso, al livello di una grandiosa amplificazione sonora e polifonica.

Giovanni Ugolini

BWV 541 - Preludio e fuga in Sol maggiore


https://www.youtube.com/watchv=R4rjJYOBQic

Preludio - Vivace
Fuga

Organico: organo
Composizione: 1712 circa (revisione 1724 - 1725)
Edizione: Bureau de Musique, Lipsia, 1832
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Preludio e fuga in sol maggiore BWV 541 mostra con tutta evidenza quanto la scrittura di
Bach sia appropriata allo strumento e quanto sia difficile, di conseguenza, trasporre su altri tipi
di tastiera, per esempio sul clavicembalo o sul pianoforte, i brani da lui concepiti per esaltare le
possibilità dell'organo. Nella fuga, in particolare, l'energia del soggetto corrisponde all'intenzione
di impostare un gioco concertante fra i registri e fare circolare le diverse voci del contrappunto
fra le tastiere (i manuali) e la pedaliera, in modo da ottenere potenti effetti di prospettiva che su
altri strumenti risulterebbero inevitabilmente impoveriti e contraffatti. La composizione risale
probabilmente all'ultimo periodo di Weimar, al 1716, ma Bach vi è tornato più volte,
aggiungendo e togliendo elementi di raccordo tra il preludio e la fuga, come si ricava da una
copia realizzata da Johann Peter Kellner, nella quale si trova interpolato il secondo movimento
della Sonata in trio n. 4 BWV 528. Nella forma attuale, questa aggiunta non è compresa e ci si
attiene al testo originale, del quale spesso sono state segnalate le somiglianze con il tema del
coro che apre la Cantata BWV 21, Ich hatte viel Bekümmernis, e con il finale del Concerto op. 3
n. 11 di Vivaldi, sempre per quel che riguarda il soggetto della fuga.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Questi due pezzi (che nella copia del figlio W. F. Bach portano la scritta « per manum Auctoris
») mostrano che la tecnica de! pedale era già stata sviluppata considerevolmente, e ciò fa pensare
che essi appartengano al perìodo di Cöthen.

Il «Preludio» è un pezzo brillante che richiede, da parte dell'esecutore, una tecnica matura. La
forma è quella consueta usata da Bach: esposizione alla tonica, sviluppi alla dominante e ripresa
alla tonica.

La «Fuga» con il suo tema di note ribattute, è sviluppata più scolasticamente delle altre. Essa
presenta, infatti, una nitida esposizione a cui fanno seguito le varie entrate del tema prima al
relativo minore e poi nelle altre tonalità. Dopo una breve sospensione s'iniziano gli «stretti» che
vengono conclusi sotto un pedale di tonica in parte acuta.

Fernando Germani

BWV 542 - Fantasia e fuga "Grande" in Sol minore


https://www.youtube.com/watchv=tgDE3klkmtQ&t=63s

Organico: organo
Composizione: 1708 - 1717 circa (fuga) 1717 - 1723 circa (fantasia)
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1833 circa
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ad Amburgo, in una data che non corrispondeva a quella ufficiale del concorso, si ritiene che
Bach avesse eseguito una Fuga basata sul tema di una danza olandese, divenuta poi la seconda
parte della Fantasia e fuga in sol minore BWV 542. L'ipotesi, variamente accreditata, non attesta
nulla invece della Fantasia in stile di toccata che solo alcune fonti accostano alla Fuga e che, ad
ogni modo, è probabile appartenga al periodo di Weimar. Certo è invece che la prima parte di
questa composizione è fra le più ardite del Bach organista, che esplora accostamenti molto
audaci di ritmo e di armonia padroneggiando l'insieme con straordinaria facilità, così come nella
Fuga ottiene effetti di alto virtuosismo barocco. Anche l'estensione sonora è impressionante: nel
corso della Fantasia, il manuale giunge fino al re sovracuto, caso che si ripete in sole due altre
occasioni in tutto il repertorio organistico di Bach, nella Toccata in do maggiore BWV 564 e nel
Trio in sol minore BWV 584.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nella Fantasia e Fuga in «sol minore» è concentrata larghissima parte dell'inventiva bachiana.
Dalla parte fantasiosa - con le sue cadenze e recitativi - Bach passa a quella polifonica, con i suoi
passaggi ricchi d'imitazioni e d'intrecci di parti, che, nel loro complesso, danno luogo ad una
grandiosa creazione architettonica.

Molti teorici (e non soltanto i teorici), forse suggestionati dalla tonalità minore del pezzo, hanno
lavorato molto d'immaginazione nel commentarlo, sorpassando in fantasia forse lo stesso Bach.
E' stato definito espressivo, drammatico; altri in esso hanno interpretato la preghiera dei fedeli...,
ecc. ecc., ma in realtà, come giustamente osserva Fernando Germani, «la Fantasia in sol minore
non è altro che una conseguenza logica, uno sviluppo dell'idea di Buxtehude; perfezionata,
plasmata ed inquadrata in una forma ancor più severa e grandiosa. Essa è sempre improntata ad
una grande maestosità gotica: severa nella concezione, semplice nella linea; quindi ogni
accostamento a presunte interpretazioni drammatiche od altro sarebbe fuor di luogo poiché
verrebbe falsato il carattere della composizione».

La Fantasia apre con un'ariosa fioritura melodica per la quale Tiersot è arrivato a parlare di estro
«tzigano» mentre la Fuga è caratterizzata, fin dall'inizio, da un intreccio contrappuntistico
estremamente mobile; suggerito, del resto, dalla configurazione del soggetto.

BWV 542a - Fuga


https://www.youtube.com/watchv=ZfLjVzsYQ-c

BWV 543 - Preludio e fuga in La minore


https://www.youtube.com/watchv=Z6CN0Pp2_nA

Organico: organo
Composizione: 1708 - 1717 circa
Edizione: Kunst- und Industrie Comptoir, Vienna, 1812 circa

Guida all'ascolto (nota 1)

Come nel caso di Preludio e fuga in do minore BWV 546, anche in quello di Preludio e fuga in
la minore BWV 543 i tempi di composizione sono separati da qualche anno, senza che questo
comprometta l'unità formale e stilistica del prodotto finito. In questo caso, la coerenza della
stesura definitiva si deve anche al fatto che Bach ha ritoccato più volte lo stato dell'opera fra il
1709 e il 1725. In un simile lavoro di cesello sta la prova del valore estetico che Bach stesso
attribuiva a questa composizione, oggi senz'altro fra le più celebri di tutto il suo repertorio
organistico.

Nonostante il Preludio sia stato composto per primo, a Weimar, e la Fuga abbia visto la luce
qualche anno dopo, oltretutto come rielaborazione di un analogo brano per clavicembalo scritto a
Köthen (BWV 944), il baricentro del dittico è spostato verso quest'ultima, secondo un tratto
stilistico che in Bach non è infrequente, ma non rappresenta neppure la regola. Era stato proprio
durante il soggiorno a Weimar che Bach, dopo essersi dedicato allo studio dei maestri
rinascimentali e, in particolare, a quello dei Fiori musicali di Frescobaldi, aveva elaborato una
tecnica di realizzazione dei Preludi tendente al Phantasieren, cioè a una libera divagazione che
ha alle sue spalle la pratica dell'antico Ricercare e che di fatto trasforma il Preludio in un
semplice esercizio preparatorio della Fuga. Lo stile improvvisativo della prima parte produce
quindi un forte effetto di contrasto con il rigore canonico della seconda, ben più ampia. Comune
a entrambe è un'accentuata varietà delle soluzioni tecniche, con continui mutamenti di ritmo e
con una scrittura improntata al gusto della sorpresa, irregolare e costellata di soluzioni
appariscenti.

La pratica del corale rischia talvolta di apparire monotona, per chi non abbia familiarità con le
sue melodie, proprio a causa delle stesse ragioni che ne hanno fatto la base di tutta la musica
sacra di ambiente luterano: temi molto semplici, con note che corrispondono ciascuna a una
sillaba del testo, ritmo squadrato e testi che esprimono una fede elementare. Oltre al valore
schiettamente musicale delle singole melodie il corale è una sorta di esercizio spirituale il cui
obiettivo è il rinsaldamento dei vincoli della comunità dei fedeli, non la preghiera isolata
dell'individuo. La rielaborazione all'organo di queste semplici frasi, come pure il loro
inserimento all'interno delle cantate sacre, produce perciò un duplice effetto di rammemorazione
nei confronti di un "repertorio" e di intensificazione del suo impatto attraverso l'accentuazione
dei suoi connotati estetici.

Stefano Catucci

BWV 544 - Preludio e fuga in Si minore


https://www.youtube.com/watchv=ES7fN2lXWHU

Organico: organo
Composizione: 1727 - 1731
Edizione: Kunst- und Industrie Comptoir, Vienna, 1812 circa

Guida all'ascolto (nota 1)


Il Preludio e fuga in si minore BWV 544 è una delle poche opere organistiche di Bach che non
appartengono a un ciclo e di cui sia sopravvissuto l'autografo, con la parte del pedale annotata in
inchiostro rosso sotto i righi musicali. Poiché la carta reca la data di fabbricazione del 1727, si
ritiene che a partire da quella data, ma in un periodo che non oltrepassa il 1735, Bach abbia
lavorato a intervalli regolari su composizioni per organo già scritte in precedenza, di volta in
volta rielaborate, integrate o ripensate quasi per intero. Proprio per questo, le otto composizioni
nate in quest'epoca sintetizzano in maniera efficacissima l'esuberanza dei suoi anni giovanili con
la tecnica e la duttilità espressiva acquistate con le esperienze successive. Il Preludio e fuga in si
minore BWV 544 è un esempio perfetto di una simile operazione di sintesi: in esso, infatti, si
trovano compendiati il gusto per una sonorità monumentale, l'intensità drammatica
dell'espressione e l'evoluzione del linguaggio contrappuntistico in uno stile quasi di dialogo fra
le voci coinvolte nel gioco. L'assenza del pedale, nella parte centrale della Fuga, consente
all'organismo sonoro di acquistare anche un senso di leggerezza che, combinato al rigore della
scrittura, conferisce un particolare effetto di spazialità al contrappunto. Altrove, per esempio
nella Cantata BWV 198, la cosiddetta Trauer Ode, Bach aveva associato la tonalità di si minore
con un sentimento di sofferenza molto accentuato. Qui, nonostante le letture che hanno voluto
vedervi la rappresentazione simbolica di un cammino che va dal dolore alla grazia, l'impressione
è quella di uno svolgimento problematico e privo di zone di riposo, specialmente nello stile da
toccata del Preludio, e di un'impostazione non meno interrogativa ed enigmatica anche nella
Fuga, nella quale i rapporti sonori appaiono più risolti.

Stefano Catucci

BWV 545 - Preludio e fuga in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=VVbPYn8tGg0

Organico: organo
Composizione: 1708 - 1717
Edizione: Kunst- und Industrie Comptoir, Vienna, 1812 circa
Guida all'ascolto (nota 1)

La forma del «Preludio» è simmetrica, il tema dall'esposizione nella tonalità iniziale passa alla
dominante e qui viene sviluppato ulteriormente con imitazioni varie che poi, gradatamente,
conducono alla ripresa e quindi alla conclusione.

Il ritmo segue il movimento di sedicesimi, senza interruzione, dall'inizio alla fine. Praticamente
il Preludio si sviluppa soltanto intorno alle tonalità di tonica e dominante.

La «Fuga» si svolge senza contrasti degni di nota. Solenne di carattere, scolastica e scorrevole
nelle elaborazioni; la prevalenza dell'elemento melodico la rende assai piacevole all'ascoltatore.
E' interessante notare, alla fine del pezzo, la ripresa del tema armonizzato quasi a corale; questo
nuovo procedimento dà un'impronta di maggiore solennità alla chiusa.

Fernando Germani
BWV 545a - Preludio e fuga

bbbb https://www.youtube.com/watchv=IcimDWxqL0w

BWV 545b - Preludio, trio e fuga

https://www.youtube.com/watchv=TF8CxlJ8Fxg

BWV 546 - Preludio e fuga in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=SopaCsjEKPM

Organico: organo
Composizione: 1708 - 1717 (fuga), 1730 circa (preludio)
Edizione: Kunst- und Industrie Comptoir, Vienna, 1812 circa

Guida all'ascolto (nota 1)

Per quanto il binomio "preludio e fuga" faccia pensare a composizioni concepite in un rapporto
di stretta continuità, vi sono molti casi nei quali la scrittura di Bach, e più ancora il suo metodo
di concatenazione degli elementi, procedono secondo un'associazione più libera. È sufficiente
infatti che la logica e la struttura interna di due lavori di stesura anche lontana offrano un grado
significativo di affinità, di "parentela", perché Bach possa comporre un insieme fatto di unità
disparate. Il loro legame, in questi casi, si percepisce a partire da quel criterio quasi
enciclopedico di "varietà" che egli continuava a tener presente anche nei cicli più coerenti, ma
che a maggior ragione si riflette in quelli che a un primo colpo d'occhio si potrebbero definire
quasi dei collages. Con ogni probabilità, il dittico del Preludio e fuga in do minore BWV 546
appartiene a questo genere di composizioni, dato che la prima parte è stata scritta a Lipsia
intorno al 1730, mentre la Fuga risale agli anni di Weimar, verosimilmente al 1716. Una
datazione diversa, che voleva l'insieme composto in modo unitario nel 1744, è stata infatti
contraddetta dalle analisi delle fonti manoscritte.

A differenza di quanto avviene in altre pagine dello stesso tipo, il Preludio presenta un
andamento regolare e per nulla divagante. Il tema ha un profilo ascendente, lineare, ma ripiega
su se stesso una volta giunto al culmine, frantumandosi in un arabesco di scale eseguite
alternativamente sui due manuali. La linea melodica deve essere stata costruita in analogia con il
soggetto della Fuga, che infatti presenta sensibili somiglianze con l'idea portante del Preludio.
Lo sviluppo contrappuntistico della seconda parte è comunque leggero, con un uso del pedale
che per una volta non ha alcuna ambizione di autonomia, ma serve per lo più a rafforzare la
massa sonora prodotta dallo strumento.

Stefano Catucci

BWV 547 - Preludio e fuga in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=P97d0Y8Hx_g
Organico: organo
Composizione: 1725 circa
Edizione: Kunst- und Industrie Comptoir, Vienna, 1812 circa

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel caso di un autore metodico come Bach non è facile identificare in modo schematico i tratti
di un'evoluzione stilistica che distinguerebbero la sua prima fase di lavoro dagli ultimi approdi
dell'estrema maturità. Malgrado ciò, e al di là del fatto che egli abbia spesso riutilizzato musica
composta in precedenza, si possono mettere a fuoco alcuni elementi che aiutano a individuare il
tipo di problemi che Bach si è posto via via, se non proprio a riconoscere una progressiva
stratificazione degli stili di scrittura.

Degli ultimi anni di Bach, per esempio, sappiamo che fra le preoccupazioni dominanti del suo
lavoro vi fu quella di esplicitare il fondamento sistematico della sua musica e, parallelamente, di
ridurne l'aspetto virtuosistico, ove questo non fosse richiesto dalle circostanze. Il vero
virtuosismo dell'ultimo Bach (lo dimostra con tutta evidenza L'offerta musicale) sta più nella
raffinatezza intellettuale del procedimento che non nell'esibizione tecnica sullo strumento.
Proprio per queste caratteristiche, il Preludio e fuga in do maggiore BWV 547 può essere
collocato negli anni intorno al 1744, anche se i documenti sui quali in passato si era basata
questa datazione non vengono più considerati attendibili. Bach rinuncia nel preludio a ogni
manifestazione di bravura, evita quegli incroci di mani e le velocità che rappresentano la
disciplina atletica dell'organista. Sceglie invece un movimento continuato, senza pause, e un
andamento di giga nel quale trovano il luogo di una perfetta sintesi le architetture del concerto e
del contrappunto. Il ritmo, dunque, è costante, e il movimento della melodia cresce fino al
momento in cui torna su se stesso, ma in un disegno che perde la compattezza dell'inizio,
spezzato com'è da improvvisi accordi dissonanti e da scale che procedono in modo discontinuo.
Il soggetto della fuga è strettamente imparentato a quello del preludio: anche in questo caso lo
sviluppo è raffinato, curatissimo nei dettagli ma poco appariscente. Un tocco di solennità viene
introdotto nel finale, quando con l'entrata del pedale il tessuto musicale si rinforza e carica la
chiusura di una lunga attesa.

La tradizione ha visto in questo Preludio e fuga in do maggiore una composizione per il Natale.
Di sicuro, vi sono affinità tematiche con la Cantata Christen, atzet diesen Tag BWV 63, destinata
appunto al Natale, anche se alcuni commentatori hanno indicato fra le possibili fonti delle idee
bachiana un'altra Cantata, la BWV 65, Sie werden aus Saba alle kommen, che invece celebra
l'Epifania. Più che a un chiaro riferimento liturgico, bisogna pensare in questo caso che Bach
riutilizzasse alcuni temi o spunti di opere precedenti per le loro caratteristiche squisitamente
strutturali.

Stefano Catucci

BWV 548 - Preludio e fuga "Grande" in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=HcKh9WEBLg4
La storia artistica di quella forma di libera composizione organistica che il nome stesso di
Preludio e fuga chiaramente definisce nelle sue caratteristiche fondamentali, ha il suo culmine, il
suo trionfo e la sua conclusione in Johann Sebastian Bach. Già negli anni di Weimar si definisce
quella che il Dürr chiama «la forma "a contrasto" del preludio e fuga»: la prima parte è una
introduzione «improvvisante», sciolta da ogni obbligo formale e obbediente solo alla libera
intuizione creatrice, una vera e propria «apertura» lirica esclusivamente modellata dall'estro della
fantasia. Nella fuga l'architettura si erge in sorgente creatrice: ed è un continuo aggettare su sè
stessa, in un inesauribile espandersi e fiorire, in una dimensione di così vasto respiro da dare
significato di rinnovamento inventivo anche alle stesse riprese e ripetizioni, che appaiono punti
d'appoggio sempre diversi e sempre diversamente collocati per ulteriori grandeggianti
espansioni. Negli ultimi anni (si veda soprattutto il Preludio e fuga in mi bemolle maggiore che
apre e chiude la terza parte del «Clavierübung») la saldissima unità architettonica che rinserra la
fuga investirà anche il preludio, sì che l'intera composizione da binaria «a contrasto» si farà
totalmente unitaria, corrispondendo a questo ulteriore rinsaldarsi una ancor maggiore vastità di
dimensioni e ampiezza di respiro.

Ancora concepito nella forma «a contrasto» è comunque il Preludio e fuga in mi minore (BWV
548), che Bach scrisse a Lipsia tra il 1727 e il 1736 e che è caratterizzato dalle modulazioni
armoniche della prima parte e dal deciso cromatismo del soggetto della fuga (la quale è interrotta
due volte da sezioni in stile di toccata).

Carlo Marinelli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il "grande" Preludio e fuga in mi minore BWV 548 è uno dei capolavori dei primi anni del
soggiorno di Bach a Lipsia e, più in generale, una delle composizioni che segnano nel modo più
nitido la direzione del suo sviluppo musicale verso un'idea di essenzialità espressiva e di rigore
concettuale. A prima vista, questi due aspetti possono sembrare in contrasto con l'effetto
grandioso di monumentalità che proviene specialmente dal preludio. È sufficiente però
constatare quanto Bach si allontani, in questo caso, dalla tradizione, che assegna al preludio un
andamento quasi improvvisativo, e quanto invece egli calcoli nei minimi dettagli la distribuzione
dei pesi musicali, per comprendere come l'architettura di questo lavoro sia debitrice di
quell'esigenza di razionalizzazione che per il musicista rappresentò sempre il sostegno della
ricerca espressiva, mai la sua negazione.

II tono tragico dell'inizio ha spesso fatto pensare all'apertura della Passione secondo san Matteo,
mentre le interpretazioni più inclini al simbolismo hanno visto nel movimento discendente della
condotta tematica l'immagine della caduta dell'uomo nel mondo del peccato e della morte.
Certamente la solennità del Preludio dipende dalla densità del contrappunto, come pure dalla
varietà di figurazioni e di soluzioni armoniche dissonanti che si riuniscono in tessuto compatto,
nonostante la molteplicità di episodi in cui questo si articola. La Fuga si basa su un tema più
semplice, ma non è per questo meno ambiziosa, aggiungendo all'impegno virtuosistico una
raffinatezza di concezione che unisce lo stile arcaico della toccata a quello più moderno del
concerto. Con un'immagine che ha condizionato a lungo la ricezione di questa composizione,
accentuandone il carattere monumentale, Friedrich Spitta la definì «una sinfonia in due
movimenti». Basterà dire però che non c'è aspetto dell'arte organistica di Bach che non vi sia
rappresentato, dal virtuosismo estremo alla più radicale ricerca espressiva, per fare del Preludio e
fuga in mi minore BWV 548 una delle opere più rappresentative del suo catalogo.

Stefano Catucci

BWV 549 - Preludio e fuga in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=W8d46egwUF0

Organico: organo
Composizione: 1723 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1845

Versione riveduta della Fantasia e fuga BWV 549a

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

E' un lavoro molto giovanile, forse appartenente al periodo Arnstadt-Mühlhausen (1703-1708),


ma non è escluso che sia stato composto in un periodo anche anteriore a quello (Lüneburg).

Il «Preludio»: s'inizia con un lungo passaggio di pedale solo, cui segue l'entrata delle altre parti
alle tastiere. Breve composizione che non esce dal tono iniziale.

Anche la «Fuga»: non mostra alcun interesse particolare; è scolastica e uniforme. All'infuori di
qualche breve cadenza su altri gradi della scala essa non modula. Conclude con la ripresa del
tema al pedale.

Fernando Germani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

A una fase ancora precedente del lavoro di Bach, in un periodo compreso fra il 1700 e il 1703,
appartiene il Preludio e fuga in do minore BWV 549, composizione di grande effetto, nonostante
venga considerata relativamente semplice e discontinua rispetto ad altri lavori dello stesso
periodo. Bach è alla ricerca di una cifra linguistica propria, è attratto evidentemente
dall'asciuttezza quasi ascetica della letteratura organistica del Seicento tedesco, ma non lesina in
soluzioni virtuosistiche che in questo caso prendono un accento oscuro, come se la
preoccupazione prevalente fosse quella di sottolineare il clima espressivo determinato dalla
tonalità, la stessa che l'età romantica avrebbe volentieri associato al registro del patetico.

Stefano Catucci

BWV 550 - Preludio e fuga in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=RzswHY9mNoI

BWV 551 - Preludio e fuga in La minore


https://www.youtube.com/watchv=94cRh6uIGzk

BWV 552 - Preludio e fuga "di Sant'Anna" in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=7vTNpWBuHqY

Organico: organo
Composizione: 1739 circa
Edizione: Hoffmeister, Vienna, 1804

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel 1739, quando progetta una nuova raccolta di brani per organo, Clavìer-Übung Dritter Theil,
che consta in tutto di 26 fra corali e altri pezzi sparsi, Bach pensa probabilmente al modello del
Premier Livre d'Orgue di Nicolas de Grigny, che aveva copiato di suo pugno negli anni di
Weimar, e aggiunge un Preludio e fuga in mi bemolle maggiore BWV 552 le cui due parti,
divise, aprono e chiudono il nuovo ciclo. Riportato alla sua unità originaria, il brano si rivela
compatto e grandioso, incline a quel gusto della spettacolarità che Bach a volte impiega per
contrasto con l'andamento ascetico dei corali. Il Preludio è in forma di ouverture, alla francese,
dunque con una struttura ciclica che prevede, al suo interno, la presenza di episodi divaganti. La
Fuga è in tre parti, ciascuna delle quali costruita su un soggetto diverso non solo nella melodia,
ma anche nel ritmo. Vi è chi ha interpretato questa tripartizione come un omaggio alla Trinità, la
cui simbolizzazione sarebbe ancora più precisa nel Preludio e si rifletterebbe nella scelta della
tonalità, che ha in chiave tre bemolli. L'idea iniziale del Preludio, in questa prospettiva, sarebbe
una figura del Padre, con la maestà che gli deriva dal ritmo puntato dell'ouverture francese,
mentre gli episodi divaganti sarebbero la rappresentazione del Figlio, colto nel momento
doloroso della Passione, e la chiusura, più fluida, un modo di dare forma musicale allo Spirito
Santo. È uno dei molti esempi di come la musica di Bach sia stata continuamente forzata dalla
fantasia dei suoi esegeti, ma anche di come essa resista a ogni tentativo di sovrainterpretazione.

Stefano Catucci

BWV 553 - Breve preludio e fuga in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=fB_b9O8TxWg

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Peters, Lipsia, 1852

Attribuzione incerta, composizione forse Johann Tobias Krebs


Guida all'ascolto (nota 1)

La raccolta degli otto «Preludi» e «Fughette» fa parte di quelle opere che Bach ha scritto per uso
didattico.
Il presente è il primo della serie.

Come stile si direbbe che l'autore abbia voluto seguire il gusto italiano della musica da camera o
delle sonate da Chiesa.

Il tema del «Preludio» ricorda, tra l'altro, anche il primo tempo della «Sonata» n. 5. Esso si
presenta in forma imitativa e, per il suo carattere ed in parte anche per l'elaborazione, ricorda il
Concerto Grosso.

La «Fughetta» nella sua semplicità, non presenta elementi degni di particolare nota. Essa fa
pensare che l'autore abbia voluto mettere gli allievi in condizione di prendere i primi contatti con
questa forma musicale, presentandola loro nella veste più semplice.

Fernando Germani

BWV 554 - Breve preludio e fuga in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=1z01NvQB2YE

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Peters, Lipsia, 1852

Attribuzione incerta, composizione forse Johann Tobias Krebs


Guida all'ascolto (nota 1)

E' il secondo della serie degli otto piccoli preludi e fughe.

Giudicando dallo stile parrebbe che Bach avesse scritto queste composizioni dopo aver studiato
a fondo le opere di Vivaldi. Vi è infatti molta analogia con i lavori del «Prete rosso»: lo stile
della musica da camera, la forma, il procedimento dialogato e l'armonizzazione.

Fernando Germani

BWV 555 - Breve preludio e fuga in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=JV7_pHmisXY

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Peters, Lipsia, 1852

Attribuzione incerta, composizione forse Johann Tobias Krebs


Guida all'ascolto (nota 1)

Il «Preludio» è nettamente in contrasto per forma e spirito con i precedenti della raccolto degli
otto Preludi e Fughette, di cui anch'esso fa parte.
Di movimento grave e solenne, prettamente polifonico ed in cui abbondano le «durezze», esso
precede una piccola fuga dal tema cromatico

Nonostante la brevità della composizione il soggetto viene sfruttato in vari modi tanto da rendere
molto interessante questa pagina.

Fernando Germani

BWV 556 - Breve preludio e fuga in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=6aIR05i222g

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Peters, Lipsia, 1852

Attribuzione incerta, composizione forse Johann Tobias Krebs

Guida all'ascolto (nota 1)

E' questa una delle composizioni tra le più rappresentative di Bach.

La difficoltà della toccata richiede due elementi essenziali: uno strumento rispondente dal lato
tecnico (la potenza sonora e la prontezza meccanica) ed un virtuosismo non comune da parte
dell'esecutore.

Una lunga esposizione del tema in forma di canone poggia su un interminabile pedale di tonica.
Quindi il pedale solo svolge il pensiero iniziale. Una secca conclusione sulla dominante chiude
questa esposizione che subito viene ripresa per intero alla dominante stessa in una precisa e
perfetta trasposizione tonale della primo parte, ma con l'ordine delle parti invertito.

Un'altro «solo» di pedale conduce agli sviluppi che - ad eccezione di tre trii - si basano
esclusivamente su movimenti in arpeggio alternati fra il pedale e le tastiere. Questa lunga
elaborazione condotta attraverso varie tonalità irrompe su un potente pedale di dominante dove
si riassume lo sviluppo tematico del soggetto; indi il discorso musicale volge al termine.

Questa Toccata, per la sua arditezza deve aver prodotto, ai tempi di Bach un effetto sensazionale;
ciò sia per il valore puramente musicale della composizione che per le straordinarie possibilità di
virtuoso che Bach stesso poteva mettere bene in luce nell'esecuzione di questo difficile pezzo.

La Fuga è a due soggetti; il primo è statico mentre il secondo è di movimento.

Tutta la prima parte è la conseguenza del primo tema e la seconda sviluppa esclusivamente
l'altro.

Finita la seconda esposizione i due soggetti si riuniscono in una smagliante e grandiosa chiusa.
La composizione è attribuita al periodo di Còthen.

Fernando Germani

BWV 557 - Breve preludio e fuga in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=vB2V-BtHnuk

BWV 558 - Breve preludio e fuga in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=_m-ODR6Lm9c

BWV 559 - Breve preludio e fuga in La minore

https://www.youtube.com/watchv=MZEMVtC5ozA

BWV 560 - Breve preludio e fuga in Si maggiore

https://www.youtube.com/watchv=KTcZfOlOuHk

BWV 561 - Fantasia e fuga in La minore

https://www.youtube.com/watchv=2aG3E4NjvzA

BWV 562 - Fantasia e fuga in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=cD_j0k-I4Lk

Organico: organo
Composizione: 1730 circa (fantasia); 1745 circa (fuga)
Edizione: 1840 circa

La fuga è incompleta

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

E' una bella composizione a cinque voci, dal carattere nobile e di elegante fattura. Essa si
sviluppa su di un tema prevalentemente melodico presentato dalla parte più acuta ed a cui
succedono poi, per ordine discendente, le altre parti.

L'esposizione avviene su di un lungo pedale di tonica che, dopo alcune battute, va a risolversi in
cadenza sospesa. A guisa di risposta, immediatamente dopo, riprende il tema con un ordine di
parti diverso al quinto grado discendente, e attraverso un elaborato movimento di parti, passa
alla tonalità del relativo maggiore. Vengono, quindi, introdotti vari elementi secondari che,
alternandosi con il tema originale, divagano lungamente sino a raggiungere la ripresa che
avviene su di un potente pedale di tonica. Dopo un rapido Recitativo Cadenza il pezzo conclude
in «maggiore».

Fernando Germani

BWV 563 - Fantasia in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=RW2C0EBSaS8

BWV 564 - Toccata, adagio e fuga in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=Klh9GiWMc9U

Organico: organo
Composizione: 1712 circa
Edizione: Körner, Erfurt, 1848

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Toccata, adagio e fuga in do maggiore appartiene al periodo in cui Bach fu organista alla
corte di Weimar (1708-1717), il periodo più ricco della sua produzione organistica. Fu a Weimar
che Bach ebbe modo di accostarsi alla musica italiana: se la conoscenza di Albinoni, di Legrenzi,
di Corelli e soprattutto di Vivaldi ebbe importanza per la musica strumentale, quella di
Frescobaldi - che Bach aveva già avvicinato attraverso Froberger - non mancò di influenzare le
sue composizioni organistiche. L'esperienza diretta degli autori italiani giungeva in Bach dopo
uno studio approfondito e appassionato dei suoi predecessori tedeschi: e non soltanto di
Buxtehude, di Froberger, di Pachelbel, ma anche di Scheidt e di Scheidemann (e, quindi, per loro
mediazione, dello stile di Sweelinck), di Boehm e di Muffat (e, attraverso quest'ultimo, della
ricca organista francese). Ricchezza di idee e ordine costruttivo si assommano così
nell'esperienza bachiana, irrobustita da una fede profonda in Dio e nell'uomo: ed è questa fede
che alimenta incessantemente della sua operante vitalità l'attività creativa del musicista di
Eisenach.

Si ritiene che la Toccata, adagio e fuga in do maggiore (che lo Schmieder colloca al numero 564
del suo catalogo tematico) appartenga ad uno dei primi anni del periodo di Weimar, più o meno
il 1709. Il Dürr vede in questo lavoro per organo un diretto influsso del concerto strumentale
italiano, in parallela testimonianza alle numerose trascrizioni per organo di questo stesso
periodo. E' un influsso che investe anzitutto la forma, che è tripartita, contrariamente all'uso,
seguito quasi sempre anche da Bach, che vuole i pezzi liberi fugati in forma bipartita (la prima
parte come introduzione «improvvisante» alla fuga, un vero e proprio «preludio» sciolto da ogni
obbligo formale e obbediente solo alla libera intuizione creatrice, una vera e propria «apertura»
lirica esclusivamente modellata dall'estro della fantasia). E la tripartizione segue dappresso lo
schema del concerto strumentale italiano: una prima parte in tempo veloce (la toccata), una
seconda in tempo lento (l'adagio) e una terza nuovamente in tempo veloce (la fuga).

Carlo Marinelli
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Toccata in do maggiore BWV 564 è stata scritta a Weimar intorno al 1710 ed è costruita sul
modello tripartito del concerto all'italiana. Si tratta di una soluzione decisamente rara nell'opera
organistica di Bach, avendo come unico riscontro ulteriore le Sei Sonate in trio BWV 525-530,
ma che corrisponde d'altra parte ad analoghe soluzioni adottate in alcune opere per clavicembalo
dello stesso periodo. Le tre sezioni, Toccata, Adagio e Fuga, potrebbero essere state composte in
momenti diversi, ma sono concatenate fra loro da un'unità espressiva di forte evidenza. L'inizio è
una sorta di ampio preludio monodico, in stile di recitativo, esposto alternativamente sui due
manuali con scale e spezzature che danno all'insieme un andamento piuttosto vivace.
L'attenzione di Bach si sposta quindi ai pedali, con diciannove battute di virtuosismo ispirato
agli esempi di Böhm, Buxtehude e Bruhns, ma esasperato in una serie di trilli, di gruppetti e di
terzine che rendono particolarmente movimentato il passaggio. Un contrappunto in stile di
fantasia che rinnova il gioco fra i due manuali chiude questa prima parte e conduce al bellissimo
Adagio, costruito su una di quelle tipiche melodie ampie che Bach usava spesso nei concerti per
strumento solista. La Fuga conclusiva basa il suo effetto sul ritmo incalzante, mentre il tema di
partenza è piuttosto semplice e il trattamento contrappuntistico sostanzialmente libero, quasi a
riprendere il tono espressivo del preludio iniziale.

Stefano Catucci

BWV 565 - Toccata e fuga in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=Nnuq9PXbywA

Organico: organo
Composizione: 1708 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1833 circa
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ci riporta alla prima giovinezza di Bach la celeberrima Toccata con fuga in re minore BWV565,
pagina scritta (quando era organista ad Arnstadt) da un compositore forse non ancora
diciottenne, impegnato a conquistarsi una collocazione professionale stabile nella natia Turingia,
e intento al contempo a maturare una cifra stilistica propria. Sul modello dello stylus
phantasticus degli autori della Germania settentrionale (Buxtehude, Böhm, Bruhns), la Toccata,
esuberante per rapsodica varietà ma anche intimamente coesa sul piano motivico, si articola nel
succedersi imprevedibile e vorticoso di sezioni successive che rappresentano una vera e propria
vetrina delle potenzialità della scrittura virtuosistica all'alba del Settecento, dalla pseudo-
improvvisazione che apre e chiude la composizione, tra scalette rapidissime di biscrome,
impressionanti raddoppi all'ottava, esposte settime diminuite, declamatori recitativi strumentali e
meccanici passaggi in semicrome, fino alla distensione della fuga centrale (vasta sezione
all'interno della toccata, ad essa tematicamente collegata, più che seconda parte d'un dittico
"toccata e fuga") costruita sul medesimo motivo discendente, dissimulato in un reticolo di
semicrome, che aveva aperto la toccata.

Raffaele Mellace
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Per molto tempo, sulla natura della Toccata e fuga in re minore BWV 565 si sono formulate le
ipotesi più bizzarre: c'è chi vi ha visto la rappresentazione di un temporale, come se si trattasse
di una piccola musica a programma, chi l'illustrazione di un salmo (il n. 35, la Preghiera di un
giusto perseguitato) che la trascrizione di una perduta composizione bachiana per violino solo.
Quest'ultima ipotesi, l'unica che trova ancora oggi qualche sostenitore, si può associare d'altra
parte al lavoro di chi l'ha trascritta per pianoforte (Franz Tausig, Ferine ciò Busoni) o per
orchestra (Leopold Stokowski), per sottolineare la forza di attrazione che quest'opera ha
esercitato nel corso della storia, di fatto a scapito di altre composizioni bachiane rimaste
inevitabilmente in ombra.

Lungi dall'essere una "sintesi" dell'arte organistica di Bach, la Toccata e fuga in re minore è un
lavoro giovanile, scritto probabilmente all'epoca del suo soggiorno a Weimar, se non addirittura
prima. Dal punto di vista formale, essa manifesta la piena adesione ai modelli della scuola
tedesca del Nord, e in particolare a quello di Buxtehude, il quale aveva praticamente codificato
un tipo di Toccata nella quale dominano la giustapposizione di episodi privi di concatenamento,
l'inserzione di una serie di fugati e di passaggi virtuosistici relativamente isolati, o comunque
ben distinti dal resto della composizione. Bach, in fondo, segue lo schema, ma lo fa con
un'economia di mezzi che contrasta, paradossalmente, con l'effetto monumentale di quest'opera.
L'articolazione è in tre parti: la prima è la Toccata vera e propria, nella quale Bach alterna lenti
recitativi, arpeggi e progressioni improvvisamente più rapide, testimoniando l'impostazione
inventiva e rapsodica della composizione; la seconda è una Fuga priva di complicazioni
polifoniche, ma proiettata invece verso una semplificazione "concertante", cioè verso una
scrittura più moderna, che tuttavia l'autore si limita ad abbozzare, per incamminarsi di nuovo
verso le spigolosità della Toccata; l'ultima sezione, meno di venti battute in tutto, è quasi una
silloge di frammenti musicali che si alternano a velocità e registri espressivi differenti,
confermando l'esuberanza di una pagina indubbiamente destinata ad accendere l'immaginazione.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Toccata e Fuga in re minore costituisce, senza dubbio, il lavoro più conosciuto di Bach (al
punto che se ne sono fatte versioni per i più diversi complessi strumentali, e non sempre con il
debito rispetto per i caratteri stilistici della matrice originale). I motivi di questa popolarità sono
probabimente due: da una parte la chiarezza dell'impianto strutturale («le plus développé et le
plus precis qui existe», ha scritto Schweitzer); dall'altra la prepotente forza espressiva che in
questo lavoro sfrutta moduli linguistici nuovi e originali.

La Toccata prende le mosse da «toccatistici» virtuosismi per imporre una dialettica drammatica
tra le più intense e grandiose dell'intera produzione bachiana.

La Fuga apre con un soggetto «a moto perpetuo» dominato dalla costante ripercussione della
dominante del tono. Dopo di che il discorso musicale si amplifica fino a raggiungere il vertice
dello splendore timbrico e della potenza espressiva.
BWV 566 - Toccata e fuga in Mi maggiore

https://www.youtube.com/watchv=yiNcN78pKU4

BWV 566a - Toccata in Do maggiore (trasposizione in Do maggiore del precedente)

https://www.youtube.com/watchv=ZtlOYe6Bl6Y

BWV 567 - Preludio in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=lgpaJ2TF6qM

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Peters, Lipsia, 1852

Attribuzione errata, composizione di Johann Ludwig Krebs

Guida all'ascolto (nota 1)

Breve pagina non presenta alcun interesse particolare trattandosi, evidentemente, di un lavoro
giovanile.

Fernando Germani

BWV 568 - Preludio in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=IhqSS1OUSWk

BWV 569 - Preludio in La minore

https://www.youtube.com/watchv=YwAW5q6MJMM

BWV 570 - Fantasia in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=vKyQOt8QwTo

BWV 571 - Fantasia concerto in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=IdBUm0nYYsA

Organico: organo
Composizione: 1720 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1881

Attribuzione errata, composizione di autore sconosciuto


Guida all'ascolto (nota 1)

Lo svolgimento di questo concerto, le armonie, lo stile, mi lasciano dubbioso sull'attribuzione


che se ne fa a Bach.

Questo pezzo è stato trovato in un antico manoscritto di proprietà di Griepenkerl.

Si sa che Bach copiando la musica di autori connazionali e stranieri a scopo di studio, aveva
l'abitudine di firmarne le copie; non è escluso quindi che da ciò sia nato l'equivoco di
attribuirgliene la composizione. Comunque il carattere della composizione ricorda molto il
Concerto Grosso.

Il primo tempo è di carattere vivo e spigliato. Termina con una cadenza virtuosistica sulla
dominante. Il secondo tempo è un breve e bellissimo Adagio: segue un Allegro finale costruito
su di un basso ostinato.

Nella grande edizione delle opere di Bach (Bachgesellschaft) esso porta il titolo di «Fantasia».

Fernando Germani

BWV 572 - Fantasia in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=Qmydw0m8bsI

Guida all'ascolto (nota 1)

Crediamo che nessuna illustrazione di questa famosa pagina bachiana possa essere preferita a
quella che l'organista Fernando Germani riporta a pagina 55 del suo volume «Guida illustrativa
alla composizione per organo di J. S. Bach» (ed. De Santis, Roma). Afferma il Germani che
questa grandiosa «Fantasia» a cinque voci, s'inizia con una brillantissima cadenza introduttiva
per sole tastiere, preludiante la parte più elaborata. Si tratta di un tema in sol maggiore e in 12/8,
inizialmente presentato quattro volte. «L'entrata di una sola nota di pedale — scrive lo stesso
concertista — dopo due pagine di passaggi di bravura, è di effetto grandioso che aumenta ancora
quando ad essa si aggiungono, in accordi, le altre quattro parti».

Per la parte centrale della composizione, il Germani dice che essa è costituita da imitazioni che
muovono da ritardi semplici e doppi e che si svolgono, prevalentemente, su note lunghe del
pedale. Infatti, aggiungiamo, mentre queste occupano tutta la battuta, il canto procede con
un'accorta armonia su passi discendenti e ascendenti che caratterizzano lo sviluppo del passo.

Le lunghe note del pedale «si succedono in maniera di scala ascendente, mentre alle tastiere
s'intrecciano imitazioni e pensieri a largo respiro». Il Germani avverte, inoltre, che «per due sole
volte le scale in semibrevi passano in parte acuta, dando così occasione anche al pedale di
partecipare al giuoco delle imitazioni». Siamo così avviati alla conclusione che, presentandosi
con «una scelta di semibrevi dell'estensione di due ottave e posta al pedale, dà motivo alla
realizzazione di una grande costruzione sonora che concludendo sul pedale di dominante
sintetizza su di esso una magnifica elaborazione contrappuntistica».

La «Fantasia», con il suo passo di bravura affidato alle tastiere e sostenuto dal pedale — che
ricorda la valorizzazione tecnica affidata alle prime battute della composizione, di cui già si è
detto — porta a compimento la pagina con delle sestine ascendenti e insistenti. Il Germani pensa
che la «Fantasia» risalga all'epoca di Cothen-Leipzig, e dunque tra il 1718 e il 1744.

In quanto alla forma-fantasia, diremo che essa è una composizione strumentale libera, che via
via assunse caratteristiche varie, ma che con Bach si abbandona al libero giuoco
dell'immaginazione. Bach ne compose sette, una delle quali con imitazioni e tre con «fughe».
Altre quattro fantasie figurano composte su corali.

Mario Rinaldi

BWV 573 - Fantasia in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=iSBOn-AnfkQ

BWV 574 - Fuga in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=cgL7eri-Bh8

Organico: organo
Composizione: 1708 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1845

Guida all'ascolto (nota 1)

Su taluni manoscritti questa fuga porta aggiunto al titolo: «Thema Legrenzianum elaboratum
cum subjecto pedaliter J. S. Bach». Non è improbabile che il tema provenga da Giovanni
Legrenzi (m. 1690), maestro di Lotti e Gasparini.

A ragione o a torto, questa fuga è generalmente conosciuta come «Fuga su tema di Legrenzi».
Per quanti lavori di questo compositore siano stati esaminati, in nessuno di essi è stato possibile
poter trovare questo tema.

La «Fuga» si sviluppa in tre parti, con due soggetti. La prima parte è composta da una fuga.

Alla sua conclusione essa dà inizio ad una seconda fuga composta sul secondo soggetto.

Conclusasi anche questa, i due temi vengono ripresi contemporaneamente dando così inizio agli
stretti (terza parte). La chiusa è molto diversa da tutte le altre fughe di Bach, poiché terminata la
parte — diremo così — scientifica, ha inizio una grandiosa cadenza nello stile di Buxtehude.

E' un lungo passo virtuosistico che non contiene alcun elemento tematico che possa riallacciarsi,
sia pure lontanamente, ai tempi principali.
Fernando Germani

BWV 574a - Fuga

https://www.youtube.com/watchv=wQQ0kyfJ-jc

BWV 575 - Fuga in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=f06Tto0wc2w

Organico: organo
Composizione: 1708 - 1717
Edizione: Clementi, Londra, 1811

Guida all'ascolto (nota 1)

E' un pezzo a sè che non ha nulla a che vedere con la precedente fantasia. Non è bene accertato
se questa «fuga» sia stata composta per cembalo con pedali oppure per organo. L'unica
indicazione che specifica l'uso della pedaliera appare verso la conclusione, dove sono poste al
basso alcune note ripetute e quindi una breve cadenza virtuosistica.

Come stile si direbbe che essa appartenga più alla letteratura clavicembalistica, ma, comunque,
anche all'organo è di ottimo effetto.

Il soggetto è movimentato e si presta benissimo per lo sviluppo di una composizione dinamica e


spigliata.

Un'altra copia manoscritta fa risalire questa « Fuga » al periodo di Weimar.

Fernando Germani

BWV 576 - Fuga in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=RzCs7QZEv2I

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Peters, Lipsia, 1881

Attribuzione errata, composizione di autore sconosciuto

Guida all'ascolto (nota 1)

L'autenticità di questa fuga è fortemente contestata dal musicologo Friedrich Blume.


Nell'edizione Peters appare con la nota «nach einer Abschrift aus der F. Hauser'schen Sammlung
unter Fuga con Pedale» («secondo fonti originali dalla collezione Hauser, Fuga con Pedale»).
Fernando Germani

BWV 577 - Fuga in Sol maggiore "alla giga"

https://www.youtube.com/watchv=WuoxijdFKA0

BWV 578 - "Piccola" Fuga in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=PhRa3REdozw

Organico: organo
Composizione: 1707 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1821

Guida all'ascolto (nota 1)

Di questa Fuga Fernando Germani scrive: «Fluidità contrappuntistica, scorrevolezza melodica,


interessante dal punto di vista analitico, piacevole ad ascoltarsi: queste sono alcune delle qualità
particolari di questa Fuga... L'esposizione è fatta nel modo classico ed è seguita dalla
controesposizione. Il soggetto riprende poi al relativo maggiore e prosegue alla tonalità del
quarto grado (do minore). Brevi dialoghi riconducono il discorso musicale al tono principale
dove - a guisa di stretto - un elemento ritmico viene imitato con entrate successive all'ottava,
preludendo cosi all'ultima ripresa del tema al pedale. Dopo una brevissima cadenza il pezzo
conclude in maggiore».

BWV 579 - Fuga su un tema di Corelli in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=pfACAC4J4y4

BWV 580 - Fuga in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=fml25K3S9qY

BWV 581 - Fuga in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=reE4QyFAuZk

BWV 581a - Fuga

BWV 582 - Passacaglia e tema fugato in do minore

https://www.youtube.com/watchv=_W4PJUOeVYw

Organico: organo
Composizione: 1708 - 1717
Edizione: Dunst, Francoforte s. M., 1834
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'origine di questa monumentale composizione è clavicembalistica. Bach l'avrebbe composta a


Weimar e sarebbe quindi anteriore alle sei sonate.

Le didascalie che sono dedicate a questo pezzo, come pure non poche edizioni musicali, gli
attribuiscono i caratteri più disparati. Taluni nelle venti variazioni, vedono inesistenti colori
orchestrali, altri un... «potente poema sinfonico, dagli accenti del dolore (sic) espresso tra i
singhiozzi»...

Comunque, la Passacaglia è una forma di danza lenta - d'origine probabilmente spagnola - e


l'idea di Bach di averla composta per clavicembalo con pedaliera (taluni l'attribuiscono, anzi, al
Clavicordo), la fa esulare dal campo liturgico e la pone in quello della musica da camera.

Quindi, per la sua concezione clavicembalistica, esclude i colori orchestrali per limitarsi ad
effetti propri facendo così cadere le «note fantastiche»... degli accenti del dolore e degli
inesistenti singhiozzi.

Il carattere monumentale le viene conferito dal complesso e dalla qualità dei registri dell'organo:
del cui repertorio oggi fa esclusivamente parte.

Il tema, con il tipico ritmico ternario «anacrusico» è introdotto, dal pedale solo, con chiarezza e
nobiltà.

Ha inizio la prima variazione con accordi contenenti ritardi semplici e doppi; questi poi vengono
anche continuati nella seconda variazione formando così un periodo di risposta. Continuando
nello svolgimento variato del tema subentrano ora (terza variazione) elementi ritmici nuovi: sono
incisi di crome mancanti del movimento tetico (ritmi acefali) che passano successivamente tra le
varie parti. S'inizia così un animato discorso tra le varie voci che va accalorandosi nelle
variazioni seguenti.

La figurazione stringe sempre più: ora è il ritmo preferito da Bach nei momenti di gioia che
s'impone in questa variazione (siamo alla quarta variazione della «Passacaglia»), e ne forma
l'elemento base dello sviluppo; esso continua ancora (variazione n. 5) abbinato a salti d'intervalli
d'ottava che conferiscono al pensiero musicale una grande vivacità.

Ma l'arte contrappuntistica, anche nella Passacaglia, non viene dissociata dalla forma e dallo
spirito del pezzo perchè l'intreccio delle imitazioni comincia a subire (sesta variazione) una
prima stretta che fa apparire l'elaborazione più intensa. Gl'incisi ritmici appaiono ora in
semicrome.

E' il discorso musicale che diventa più affascinante. Questi incisi (settima variazione) continuano
e si sviluppano fino a formare degli episodi più ampi creando così delle animate melodie che si
lanciano arditamente in tessiture sempre più acute.
Ora sono imitazioni combinate per moto retto e moto contrario (ottava variazione in disegni di
semicrome). A questa variazione adesso si aggiunge un nuovo ed energico elemento ritmico
(nona variazione) che rende sempre più vitale il discorso. Esso va accalorandosi sempre più con
l'introduzione di scale discendenti ed ascendenti sostenute da corti accordi (decima variazione)
che lasciano le scale semi isolate, come elemento dominante, e accentrando su di esse tutto il
lavoro ornamentale.

Dall'undicesima variazione il tema che sinora era stato sempre eseguito dal pedale, passa in parte
acuta per due sole variazioni, mentre il disegno di scale udito in precedenza in acuto, passa ora
ad una parte inferiore e poi, nella variazione successiva (dodicesima) le scale ornate discendenti
vengono imitate tra il pedale e la mano sinistra.

Analizzando attentamente queste prime dodici variazioni, sia nel contenuto ritmico in sé, e sia
(anzi specialmente) dal lato contrappuntistico, ci si accorge - in modo inequivocabile - di un
accrescersi d'interesse musicale sia nell'elaborazione che nel costante dinamismo. Tutti elementi,
questi, che non possono essere disgiunti dal puro elemento sonoro il quale concorre, a sua volta,
a dare maggior rilievo alla grandiosità del lavoro.

Di fronte ad una tale unità di pensiero che lega così bene le variazioni luna all'altra, come si
potrebbe concepire un'interpretazione frammentaria

Dalla dodicesima variazione il numero delle parti comincia a diminuire ed anche la stessa
elaborazione - pur mantenendosi elegantissima ed interessante - diminuisce d'intensità. La
tredicesima, ad esempio comporta brevi incisi imitati di semicrome; la quattordicesima, è
composta da brevi accordi arpeggiati per moto retto e contrario e la quindicesima, invece, si
compone di lunghi arpeggi costruiti su accordi del tema il quale è accennato dalla nota iniziale di
ciascun arpeggio che coincide con il primo ed il terzo quarto di ciascuna battuta.

Il tema, attraverso il movimento delle parti, scende gradatamente; e dalla parte più acuta (nella
XII variazione) esso passa al contralto (XIII), quindi al tenore (XIV e XV variazione) per poi
riprendere il suo posto, in modo imperioso e solenne al pedale (XVI).

La poderosa ripresa del tema al basso è sostenuta armonicamente alle tastiere da arpeggi
discendenti (arpeggi tenuti) che ne accrescono la sonorità. A questa variazione segue la XVII con
uno smagliante succedersi di festosi, rapidi ritmi di terzine di sedicesimi che conferiscono al
pezzo un tono brillantissimo. Segue un gioioso disegno ritmico misto, con raddoppi in seste e
decime (XVIII) mentre il pedale continua il suo insistente movimento appena variato, a volte, da
piccoli ritardi ritmici. Si giunge così alla penultima variazione (XIX) legata armonicamente a
due pedali ornati che si imitano alternativamente: uno medio ed uno acuto. Essi prolungano per
metà della variazione l'interessante catena armonica la quale risolve soltanto nella seconda parte
di essa. La successiva (XX) è come la precedente, ma con il numero delle parti raddoppiate e il
loro ordine invertito. Questa sinfonia di armonie e di ritmi conclude in modo grazioso dando
origine - proprio sull'accordo finale - all'inizio della fuga composta sul medesimo tema
anacrusico.

Il «Thema fugatum» (come lo ha definito Bach stesso) fa pensare che l'autore abbia voluto
svolgerlo liberamente, senza essere legato alla forma della fuga propriamente detta; però, dal
modo come è presentato nell'esposizione e sviluppato nel giro tonale, ecc. non si può non dire
che la forma è classica e rigorosa.

Infatti vi è una regolare esposizione del tema a cui vengono contrapposti due controsoggetti, poi
modula al relativo maggiore (tema e risposta, reale); seguono interessanti divertimenti, un
ritorno al tono iniziale con presentazione del soggetto e della risposta, ulteriori sviluppi in «fa
minore», una ripresa del tema in «do minore» che dopo una breve cadenza sospesa su una
risoluzione d'inganno porta alla chiusa seguita da pochi accordi di «coda» in modo maggiore.

Questa meravigliosa composizione, l'unica del genere-che sia stata composta da J. S. Bach, è
resa nella sua massima monumentalità dallo strumento alla cui letteratura è ormai legata, in
modo indissolubile. In essa non vi si trova il frammentarismo di alcuni contemporanei di Bach
(Haendel), né la superficialità e la frivolezza francese, ma è l'opera d'arte nel più elevato senso
della parola e che comprende la scienza e l'ispirazione; l'una a completaménto dell'altra. La
continuità del pensiero, nell'intero lavoro, è tale da suggerire il paragone che le Variazioni siano
dei blocchi di granito che uniti formano il grande monumento della Passacaglia.

Fernando Germani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Se, analogamente a quanto avviene in altri ambiti della storiografia, si volesse scrivere una
biografia critica del giovane Bach, la Passacaglia BWV 582 vi occuperebbe da sola un capitolo
intero, essendo senza ombra di dubbio uno dei massimi capolavori della sua prima produzione.
Risale al 1709, dunque al ventiquattrenne Bach di Weimar, ma alcuni interpreti avanzano il
dubbio che sia stata scritta ancor prima, nel periodo di Arnstadt. L'ispirazione che ne hanno tratto
Franz Liszt per l'elaborazione di Weinen, Klagen, Sorgeri, Zagen, Johannes Brahms per il finale
della Sinfonia n. 4, Cesar Franck per il Corale n. 2, Maurice Ravel per il terzo movimento del
Trio e Alban Berg per una scena del primo atto del Wozzeck, basta già a testimoniare la fortuna
che l'esempio bachiano ha esercitato su una varietà di tendenze e di linguaggi spesso molto
distanti fra loro. Anche in questo caso si tratta però di una fortuna tardiva, se si pensa che la
prima edizione a stampa della Passacaglia risale al 1834 (presso Dunst, a Francoforte), dunque al
periodo di quella Bach-Renaissance la cui data d'inizio viene di solito identificata con
l'esecuzione della Matthäus Passion ad opera di Felix Mendelssohn, avvenuta nel 1829.

Numerose, in compenso, sono le fonti manoscritte di questo lavoro, a conferma del fatto che
esso aveva goduto di un'alta stima fra i discepoli e gli ammiratori del Thomaskantor. Il tema non
è originale, ma si basa su un motivo di origine gregoriana rintracciabile nel Trio en forme de
Passacaille - Christe dalla Messe du Deuziesme ton per organo del francese André Raison (I
Livre d'orgue, Paris 1688). Le quattro battute originarie vengono però estese fino a otto, in una
successione che incatena un elemento armonico, uno melodico, un breve arpeggio e una
risoluzione, il tutto in uno spazio occupato da quindici note. Essendo la passacaglia una danza
che sviluppa come una serie di variazioni su un tema ostinato, Bach costruisce la composizione
articolandola in due parti che contengono, rispettivamente, venti variazioni e un lungo «tema
fugato», come indica l'autore. Le variazioni si susseguono in una sorta di continua alterazione
dei rapporti fra la melodia e il ritmo, che passa dai pedali ai manuali, in una serie di
configurazioni estremamente differenziate. Nelle prime dieci variazioni, per esempio, il tema
viene affidato ai pedali, dove torna anche nelle ultime cinque, dopo essere passato per cinque
variazioni solo sui manuali. I mutamenti principali riguardano la costruzione ritmica, che resta
identica solo nelle variazioni centrali, dalla n. 7 alla n. 16.

Il tema fugato ha qualcosa di violento nell'espressione, come attestano, oltre alla tonalità di do
minore su cui è basata l'intera composizione, il carattere febbrile dell'organizzazione
contrappuntistica, la sospensione armonica sulla cosiddetta "sesta napoletana", il virtuosismo
agile e rabbioso dei trilli a due mani, nonché la cascata di suono affidata ai pedali. Bach non usa
qui che la prima sezione, le prime quattro battute del tema, sottoponendolo a un'elaborazione
piuttosto insolita, dove il tema si sposta da una voce all'altra, viene trasformato in figurazioni
rovesciate e simmetriche, ma conserva un'identità che non lo scioglie mai nei meccanismi della
fuga vera propria.

Innumerevoli le interpretazioni simboliche di questo brano. Quelle "numerologiche" si basano


sulla ricorrenza del 3 (tempo in 3/4, 3 bemolli in chiave, variazioni ripartite in gruppi di 3), del 7
(7 gruppi di 3 variazioni = 21, cioè 2+1 = 3) e del 12 (il tema fugato compare 12 volte, 21 sono
le parti della composizione, finale compreso, e 12+21 = 33, l'età di Gesù Cristo). Quelle
"simboliche" riguardano invece la presenza dell'immagine della Trinità: il tema fugato è infatti
sempre accompagnato in contrappunto da due controsoggetti. Altri hanno aggiunto una lettura di
tipo retorico, basata sullo schema classico che allinea Expositio, Confutatici, Confirmatio e
Peroratio. Altri ancora, come l'organista Marie-Claire Alain, vi hanno visto una sintesi figurata
dell'Antico e del Nuovo Testamento, riassunta in "stazioni" che vanno dalla caduta nel peccato
alla resurrezione. Di certo, come ha notato Alberto Basso, si tratta di una delle poche concessioni
stilistiche di Bach alla poetica barocca, con la grandiosità della sua eloquenza, lontana dal tipico
interesse che il musicista rivolge di solito verso la musica del Rinascimento in vista di
un'operazione che tende a rinnovare, conservandole, le fonti più antiche della polifonia
strumentale.

Stefano Catucci

BWV 583 - Trio in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=pzIr9dWG1_0
BWV 584 - Trio in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=0Dmlw6lxub8

BWV 585 - Trio in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=KwrtoMwOBHc

BWV 586 - Trio in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=QCMu3RPV7KQ

BWV 587 - Aria in Fa maggiore


https://www.youtube.com/watchv=uz2TxTvuHy0

Organico: organo
Composizione: dopo il 1726
Edizione: Peters, Lispia, 1881

Attribuzione incerta

Guida all'ascolto (nota 1)

Delizioso pezzo a Trio nella forma tipica (con ripresa), pervenutoci da copie manoscritte di
proprietà di Griepenkerl.

Fernando Germani

BWV 588 - Canzona in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=wn8Jrj_ch0k+

Fra le composizioni di altri autori che Bach copiò per interesse personale, si trovano i Fiori
musicali di Frescobaldi, ai quali il musicista tedesco si dedicò intensamente negli ultimi anni del
suo soggiorno a Weimar. È verosimile perciò ipotizzare che la Canzona in re minore BWV 588,
che risente in modo evidente dell'esempio di Frescobaldi, sia stata scritta in quel periodo. Il tema
di Bach è molto simile a quello della Canzona dopo l'Epistola (il n. 43 dei Fiori), mentre il
controsoggetto cromatico della prima sezione rivela ancora, dietro di sé, un modello italiano di
ascendenza madrigalistica. La Canzona di Bach è in due sezioni, la scansione fra le quali è
segnata da un passaggio ritmico che ancora si può ricondurre a Frescobaldi. Il trattamento del
materiale, tuttavia, denota quell'uso della tecnica della variazione che è tipico di Bach e che
mostra come egli tendesse a metabolizzare lo studio degli antichi maestri, senza limitarsi ad
apprenderne l'esempio o a imitarlo, ma trasformandolo per integrarlo nel mondo musicale che gli
era proprio.

Al suo arrivo a Lipsia, intorno al 1723, Bach confezionò una raccolta di sei brani intitolati
Orgeltrios, destinati forse all'educazione musicale del figlio Wilhelm Friedemann. Si tratta in
gran parte di opere già scritte in precedenza e rielaborate, ma non mancano pagine interamente
nuove e, soprattutto, non manca quell'intenzione sistematica che per Bach coincideva con l'idea
stessa del "ciclo", a ogni tassello del quale, in questo caso, egli diede come titolo Sonata. La
dicitura in trio allude al fatto che tutte le sei Sonate presentano una scrittura a tre voci, due
melodiche e una di basso.

Stefano Catucci

BWV 589 - Alla breve in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=OnuQUpkzgUI

BWV 590 - Pastorale in Fa maggiore


https://www.youtube.com/watchv=e65ZWrncoCI

Organico: organo
Composizione: 1710 circa
Edizione: Schlesinger, Berlino, 1826

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Con la Pastorale in fa maggiore BWV 590 torniamo alla produzione del Bach giovane e, come
mostra già il titolo, a una di quelle evocazioni del clima del presepe che ebbero un'ampia
diffusione nella musica colta del Sei e del Settecento, dopo aver dominato la produzione
popolare in chiave religiosa. Il richiamo al tono pastorale è presente essenzialmente nel primo
dei quattro episodi in cui è diviso il brano, una sorta di Preludio imitativo nel quale Bach,
giocando con i registri dell'organo, inserisce un effetto di bordone che richiama il suono della
cornamusa. Il secondo "movimento" passa dalla tonalità di fa a quella di do maggiore ed è
un'Allemanda in due parti, melodicamente e ritmicamente molto delicata. In do minore è il terzo
episodio, un'aria di ambiente quasi concertistico, con il registro dell'oboe che espone la melodia
e quello degli archi che l'accompagna. Il finale, che torna al fa maggiore iniziale, è una Giga in
stile fugato, molto vivace, con il soggetto rovesciato dopo la ripresa.

Rispetto ad altri lavori di Bach, la cifra virtuosistica della Pastorale si condensa essenzialmente
in un'ornamentazione molto ricca, mentre non impegna a fondo né il carattere polifonico della
scrittura, né l'uso dei pedali, sostegno armonico e timbrico solo nel Preludio iniziale.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Questo è l'unico pezzo del genere scritto da Bach per l'organo. Si divide in quattro parti (quattro
tempi) ed il loro svolgimento fa pensare che si debba trattare più di una Suite pastorale che di
una Pastorale propriamente detta.

Bach ha definito il primo tempo «Pastorella», titolo che si ritrova in alcune copie manoscritte. Si
direbbe che egli avesse voluto prendere come tema il primo versetto del Corale «In duici jubilo»,
dato che il procedimento melodico ed armonico è il medesimo. La melodia si svolge lenta e
tranquilla attraverso vari gradi della scala di «fa maggiore» (tonalità prediletta, in pezzi del
genere, da vari compositori: Beethoven per la Sesta sinfonia, Roger Ducasse nella sua Pastorale,
ecc.); passa dalla tonica alla dominante per poi modulare alla quarta («si bemolle maggiore») ed
Infine a! relativo minore. Essa però non conclude nel tono iniziale, ma si ferma - in cadenza
sospesa - sul quinto grado discendente di «re minore».

Segue, quale secondo tempo, un Adagio in «do maggiore».

F. K. Griepenkerl, nella prefazione al primo volume Ed. Peters delle opere per organo di J. S.
Bach, suppone debba considerarsi come un'Alemanna; inoltre egli considera il terzo tempo
un'Aria ed il quarto una Giga.
Mi sembra che le supposizioni di Griepenkerl abbiano poco fondamento in quanto gli ultimi tre
tempi di questa composizione non corrispondono nella forma e nello spirito ai modelli classici
della Suite; l'esempio ce lo fornisce lo stesso Bach nelle «Suites» per clavicembalo.

Il secondo tempo viene svolto in forma bipartita: è un insieme armonico che sostiene il canto
affidato alla parte superiore.

La parte seguente, in «do minore», è composta su una variazione del tema dell'Adagio. Il canto
viene trattato questa volta, a guisa di «Solo» accompagnato: esso si svolge a frasi ampie e
ricorda gli Adagi per flauto e cembalo per la particolarità della melodia ornata e per lo stile
dell'accompagnamento.

L'Allegro finale è un brillantissimo fugato diviso in due parti: nella prima, attraverso
un'elaborazione complessa, conclude alla dominante, nella seconda, lo stesso tema rovesciato è
l'elemento che conduce alla breve ripresa e quindi alla conclusione.

Fernando Germani

BWV 591 - Piccolo labirinto armonico in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=BXNMpaAxlr0

Concerti per organo

https://it.wikipedia.org/wiki/
Concerti_trascritti_per_tastiera_da_Johann_Sebastian_Bach

BWV 592 - Concerto in Sol maggiore (trascrizione di un concerto per violino, archi e basso
continuo del duca Giovanni Ernesto di Sassonia-Weimar)

https://www.youtube.com/watchv=bkCfCttf79k

BWV 592a - Concerto in Sol maggiore (versione manualiter)

https://www.youtube.com/watchv=rzwDK5aDxG0

BWV 593 - Concerto in La minore (trascrizione dal concerto op. 3 n. 8 RV 522 di Antonio
Vivaldi)

https://www.youtube.com/watchv=P3vs3d1jSDo

BWV 594 - Concerto in Do maggiore (trascrizione dal concerto op. 7 n. 5 RV 208 di


Antonio Vivaldi)

https://www.youtube.com/watchv=Ho8ZSzKbiMc
BWV 595 - Concerto in Do maggiore (trascrizione di un concerto per violino e basso
continuo del duca Giovanni Ernesto di Sassonia-Weimar)

https://www.youtube.com/watchv=Pv4FNtJ5SyM

BWV 596 - Concerto in Re minore (trascrizione dal concerto op. 3 n. 11 RV 565 di Antonio
Vivaldi)

https://www.youtube.com/watchv=w2upDLfG2Os

...
Fuga
Largo
Finale

Organico: organo
Composizione: 1713 - 1714
Edizione: Peters, Lispia, 1844

Guida all'ascolto (nota 1)

La trascrizione del Concerto n. 11 de L'Estro Armonico, quella segnata nel catalogo bachiano
con la sigla BWV 596, senza dubbio la più bella e la più famosa tra queste riletture, fu
ampiamente utilizzata in concerto dai pianisti a partire dagli anni Sessanta dell'Ottocento, ma
venne arricchita da cadenze, digressioni virtuosistiche e altre aggiunte che erano di volta in volta
debitrici di Beethoven, di Schumann, di Liszt o di Wagner, al punto da rendere pressoché
impossibile l'identificazione dell'originale. Anche per questo, a lungo il lavoro di Bach non è
stato messo in relazione con il Concerto di Vivaldi e anzi, fino agli inizi di questo secolo, è stato
erroneamente attribuito a Wilhelm Friedemann, il primo figlio maschio di Johann Sebastian.
L'equivoco è stato sciolto solo nel 1910 per opera del musicologo Max Schneider, autore di
numerosi studi sugli autografi della famiglia Bach.

Mettere a confronto l'uno accanto all'altra l'originale e la trascrizione, in ogni caso, non è
operazione semplice, soprattutto perché la scrittura caratteristica dell'organo richiede un respiro
del fraseggio e un'articolazione ritmica molto più lenta. All'esecutore spetta dunque la scelta di
porre a contrasto le due versioni facendo risaltare quella che potremmo definire la forza inerziale
dell'organo, o se imporre a quest'ultimo un'impervia accelerazione virtuosistica per "tenere il
passo" dell'andamento orchestrale.

Stefano Catucci

BWV 597 - Concerto in Mi♭ maggiore (trascrizione da concerto di autore sconosciuto),


spurio

https://www.youtube.com/watchv=SJu2h4Hl290

Esercizi
BWV 598 - Pedal-Exercitium in Sol minore (attribuzione dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=Mlckvcf69wo

Orgelbüchlein

https://it.wikipedia.org/wiki/Orgelbüchlein

https://www.youtube.com/watchv=EM1ql_YUngc

https://www.youtube.com/watchv=AK8BwhAvjEY

https://www.youtube.com/watchv=0UGsVlSL1uM

https://www.youtube.com/watchv=yNkRZ3LxOMM

BWV 599 - Nun komm, der Heiden Heiland, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=ZQXxYL4WEbY

Melodia: da Veni redemptor gentium (versione tedesca Erfurter Enchiridion)


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1715
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Inserito al n. 1 di Das Orgel-Büchlein

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Se Albert Schweitzer considerava enfaticamente l'Orgelbüchlein come il dizionario della lingua


musicale, Alberto Basso l'ha definito più precisamente «la prima e veritiera manifestazione del
pensiero didattico bachiano». Si tratta di una raccolta enciclopedica concepita secondo un
principio sistematico che unisce preoccupazioni apparentemente diverse: l'educazione
dell'organista principiante, l'adesione agli articoli di fede e il rispetto dei compiti liturgici. In
questo grandioso progetto, intrapreso a Weimar nel 1714 e interrotto due anni dopo, si
compendia in effetti lo stile dei primi corali bachiani, con una ricerca di semplicità che investe
contemporaneamente la forma della composizione, l'intelligibilità del contrappunto e la
possibilità concreta d'uso nelle occasioni richieste dalla chiesa.

Anche nella forma incompiuta in cui Bach l'ha lasciato, l'Orgelbüchlein rimane un lavoro
imponente, con 45 corali elaborati (sui 164 previsti). Il piano di Bach segue i testi pubblicati nel
1713 da Johann Leonhard Mumbach per regolamentare la liturgia a Weimar, ma adotta un
diverso criterio organizzativo, partendo dai canti delle festività anziché da quelli del servizio
regolare. L'intenzione didattica di Bach, d'altra parte, è trasparente non solo nello sviluppo della
tecnica organistica, ma anche nell'elaborazione dei corali, una vera scuola di contrappunto per
gradi crescenti di varietà e di complessità. Al rapporto con i testi si deve infine lo sforzo
espressivo e simbolico che Bach riversò in ciascuna delle composizioni. Sono i corali
dell'Orgelbüchlein, infatti, ad aver acceso per primi il gusto cabalistico delle analisi
numerologiche, spinte per un verso a rintracciare i rapporti interni di ciascun brano, per un altro
a dare un valore quasi superstizioso alle relazioni più esteriori. Contando per esempio che fra i
tredici corali della Passione e della Pasqua, che insieme assommano 285 battute di musica, si
trovano due battute dell'incompiuto corale O Traurigkeit, Georges Guillard ha voluto leggere fra
le righe un annuncio della morte di Bach prefigurato, fra l'altro, proprio dall'interruzione del
lavoro: i corali della morte e resurrezione di Cristo sarebbero infatti 14, numero che corrisponde
alla somma delle lettere BACH, mentre le 287 battute di musica che ne risultano si possono
leggere come 28.7, cioè come la data del 28 luglio alla quale il compositore morì nel 1750.

Una simile conclusione basterebbe da sola a fare giustizia di tutta la falsa abilità con la quale
l'opera di Bach viene trasformata in una sorta di rebus. L'adozione di sistemi di riferimento
numerici, infatti, serve a Bach non tanto per disseminare di enigmi la sua produzione, quanto
piuttosto come un canovaccio per il lavoro di composizione e di improvvisazione dietro il quale
si può rintracciare tutt'al più un sistema arbitrario per l'organizzazione della materia musicale,
ma non una tecnica altrettanto sistematica per la traduzione dei suoni in simboli.

I primi tre corali dell'Orgelbüchlein (BWV 599-601) sono destinati al periodo dell'Avvento:
ritroviamo perciò Nun komm, der Heiden Heiland, ma già dal suo modo di presentarsi si può
dedurre la profondissima distanza che separa l'impostazione dell'Orgelbüchlein da tutte le altre
forme di elaborazione del corale: il tema del corale, infatti, il cantus firmus, lungi dall'essere
semplicemente armonizzato, è quasi nascosto fra le righe, e questo nonostante sia affidato alla
parte più acuta della tastiera manuale, dunque a quella che maggiormente si impone all'ascolto.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La melodia del Corale è tratta dall'antico inno latino: «Veni Redemptor gentium», e viene da
Bach usata non soltanto nei corali per organo che portano questo titolo, ma anche nelle due
«Cantate» nn. 61 e 62. Il testo, composto da Lutero, é in gran parte frutto della traduzione
dell'inno di S. Ambrogio.

Fernando Germani

BWV 600 - Gott, durch deine Güte, in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=Lecc3wIMkOU

Melodia: Michael Weisse da Ave Hierarchia, secolo XV


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1715
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Inserito al n. 2 di Das Orgel-Büchlein


Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Se Albert Schweitzer considerava enfaticamente l'Orgelbüchlein come il dizionario della lingua


musicale, Alberto Basso l'ha definito più precisamente «la prima e veritiera manifestazione del
pensiero didattico bachiano». Si tratta di una raccolta enciclopedica concepita secondo un
principio sistematico che unisce preoccupazioni apparentemente diverse: l'educazione
dell'organista principiante, l'adesione agli articoli di fede e il rispetto dei compiti liturgici. In
questo grandioso progetto, intrapreso a Weimar nel 1714 e interrotto due anni dopo, si
compendia in effetti lo stile dei primi corali bachiani, con una ricerca di semplicità che investe
contemporaneamente la forma della composizione, l'intelligibilità del contrappunto e la
possibilità concreta d'uso nelle occasioni richieste dalla chiesa.

Anche nella forma incompiuta in cui Bach l'ha lasciato, l'Orgelbüchlein rimane un lavoro
imponente, con 45 corali elaborati (sui 164 previsti). Il piano di Bach segue i testi pubblicati nel
1713 da Johann Leonhard Mumbach per regolamentare la liturgia a Weimar, ma adotta un
diverso criterio organizzativo, partendo dai canti delle festività anziché da quelli del servizio
regolare. L'intenzione didattica di Bach, d'altra parte, è trasparente non solo nello sviluppo della
tecnica organistica, ma anche nell'elaborazione dei corali, una vera scuola di contrappunto per
gradi crescenti di varietà e di complessità. Al rapporto con i testi si deve infine lo sforzo
espressivo e simbolico che Bach riversò in ciascuna delle composizioni. Sono i corali
dell'Orgelbüchlein, infatti, ad aver acceso per primi il gusto cabalistico delle analisi
numerologiche, spinte per un verso a rintracciare i rapporti interni di ciascun brano, per un altro
a dare un valore quasi superstizioso alle relazioni più esteriori. Contando per esempio che fra i
tredici corali della Passione e della Pasqua, che insieme assommano 285 battute di musica, si
trovano due battute dell'incompiuto corale O Traurigkeit, Georges Guillard ha voluto leggere fra
le righe un annuncio della morte di Bach prefigurato, fra l'altro, proprio dall'interruzione del
lavoro: i corali della morte e resurrezione di Cristo sarebbero infatti 14, numero che corrisponde
alla somma delle lettere BACH, mentre le 287 battute di musica che ne risultano si possono
leggere come 28.7, cioè come la data del 28 luglio alla quale il compositore morì nel 1750.

Una simile conclusione basterebbe da sola a fare giustizia di tutta la falsa abilità con la quale
l'opera di Bach viene trasformata in una sorta di rebus. L'adozione di sistemi di riferimento
numerici, infatti, serve a Bach non tanto per disseminare di enigmi la sua produzione, quanto
piuttosto come un canovaccio per il lavoro di composizione e di improvvisazione dietro il quale
si può rintracciare tutt'al più un sistema arbitrario per l'organizzazione della materia musicale,
ma non una tecnica altrettanto sistematica per la traduzione dei suoni in simboli.

Il Corale Gott, durch deine Güte, è costruito nella forma del canone all'ottava fra voci di soprano
e di tenore. Una lettura simbolica applicata alla registrazione dell'organo prevista da Bach ha
riconosciuto l'immagine dell'uomo (rappresentato dalla tromba) che viene chiamato da Dio
(registro principale).

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)


L'inno latino: «Ave hierarchia» è il tema originale di questo corale. Un bel canone in ottava tra il
basso e la parte acuta è l'elemento più importante del pezzo che è poi rivestito da un elegante
contrappunto che scorre fluido per l'intera composizione.

Fernando Germani

BWV 601 - Herr Christ, der ein'ge Gottes Sohn, in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=HtDkbtkVFxY

Melodia: Erfurter Enchiridion


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1715
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Inserito al n. 3 di Das Orgel-Büchlein


Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Se Albert Schweitzer considerava enfaticamente l'Orgelbüchlein come il dizionario della lingua


musicale, Alberto Basso l'ha definito più precisamente «la prima e veritiera manifestazione del
pensiero didattico bachiano». Si tratta di una raccolta enciclopedica concepita secondo un
principio sistematico che unisce preoccupazioni apparentemente diverse: l'educazione
dell'organista principiante, l'adesione agli articoli di fede e il rispetto dei compiti liturgici. In
questo grandioso progetto, intrapreso a Weimar nel 1714 e interrotto due anni dopo, si
compendia in effetti lo stile dei primi corali bachiani, con una ricerca di semplicità che investe
contemporaneamente la forma della composizione, l'intelligibilità del contrappunto e la
possibilità concreta d'uso nelle occasioni richieste dalla chiesa.

Anche nella forma incompiuta in cui Bach l'ha lasciato, l'Orgelbüchlein rimane un lavoro
imponente, con 45 corali elaborati (sui 164 previsti). Il piano di Bach segue i testi pubblicati nel
1713 da Johann Leonhard Mumbach per regolamentare la liturgia a Weimar, ma adotta un
diverso criterio organizzativo, partendo dai canti delle festività anziché da quelli del servizio
regolare. L'intenzione didattica di Bach, d'altra parte, è trasparente non solo nello sviluppo della
tecnica organistica, ma anche nell'elaborazione dei corali, una vera scuola di contrappunto per
gradi crescenti di varietà e di complessità. Al rapporto con i testi si deve infine lo sforzo
espressivo e simbolico che Bach riversò in ciascuna delle composizioni. Sono i corali
dell'Orgelbüchlein, infatti, ad aver acceso per primi il gusto cabalistico delle analisi
numerologiche, spinte per un verso a rintracciare i rapporti interni di ciascun brano, per un altro
a dare un valore quasi superstizioso alle relazioni più esteriori. Contando per esempio che fra i
tredici corali della Passione e della Pasqua, che insieme assommano 285 battute di musica, si
trovano due battute dell'incompiuto corale O Traurigkeit, Georges Guillard ha voluto leggere fra
le righe un annuncio della morte di Bach prefigurato, fra l'altro, proprio dall'interruzione del
lavoro: i corali della morte e resurrezione di Cristo sarebbero infatti 14, numero che corrisponde
alla somma delle lettere BACH, mentre le 287 battute di musica che ne risultano si possono
leggere come 28.7, cioè come la data del 28 luglio alla quale il compositore morì nel 1750.
Una simile conclusione basterebbe da sola a fare giustizia di tutta la falsa abilità con la quale
l'opera di Bach viene trasformata in una sorta di rebus. L'adozione di sistemi di riferimento
numerici, infatti, serve a Bach non tanto per disseminare di enigmi la sua produzione, quanto
piuttosto come un canovaccio per il lavoro di composizione e di improvvisazione dietro il quale
si può rintracciare tutt'al più un sistema arbitrario per l'organizzazione della materia musicale,
ma non una tecnica altrettanto sistematica per la traduzione dei suoni in simboli.

Il Corale Herr Christ, der ein'ge Gottes Sohn, pronuncia il tema del corale in maniera più diretta,
ma sempre inserendolo in una varietà di figurazioni contrappuntistiche che allontanano
l'elaborazione dal semplice sostegno della linea melodica.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il canto proviene dall'antica raccolta dell'«Erfurter Enchiridion» (1524). Il carattere lieto del
testo è espresso musicalmente da Bach attraverso un vivace movimento ritmico che si alterna tra
le parti per tutta la durata de! pezzo.

Fernando Germani

BWV 602 - Lob sei dem allmächtigen Gott, in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=jGUIB2YZb1Y

Melodia: da Conditor alme siderum


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Sia il «Corale» che il «Preludio» sono stati composti sul «Creator alme siderum» gregoriano. E'
una breve composizione armonizzata con gusto squisito. A! pedale tre lunghe scale discendenti,
ornate da una specie di trillo lento, sono in contrasto con il complesso melodico delle parti
superiori di cui sostengono la base armonica, dando un'impronta caratteristica alla composizione.

Fernando Germani

BWV 603 - Puer natus in Bethlehem, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=TzYYHWN4cpw

Melodia: Lucas Lossius da una melodia del secolo XV


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846
Guida all'ascolto (nota 1)

Sia il testo che la melodia del Corale sono originali del medioevo.

Il preludio omonimo con i suoi ritmi concitati pare voglia riprodurre in note il mormorio del
popolo che diffonde la lieta novella.

Fernando Germani

BWV 604 - Gelobet seist du, Jesu Christ, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=dWVjavkiw2I

Melodia: Johann Walter


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

La prima strofa di questa Laude di Martin Lutero era una quartina tedesca in forma di «Leise»,
tratta da un'antica sequenza latina di Notker (secolo IX) e veniva cantata dal popolo nella
ricorrenza natalizia, da oltre un secolo prima di Lutero. (Cantico di Natale: Grates nunc omnes
reddamus).

L'interpretazione in musica di Bach è soffusa di profondo misticismo, dì raccoglimento; la


melodia del Corale, ornata di melismi, canta la lode al Signore...

Fernando Germani

BWV 605 - Der Tag, der ist so freudenreich, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=NeKMXe4FAQA

Melodia: da Dies est laetitiae (versione tedesca)


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Le parole tedesche non sono altro che la traduzione dell'inno latino «Dies est laetitiae»; la
melodia appartiene allo stesso inno, ma adattata a corale.
E' interessante vedere come Bach sviluppi sempre più, in questi «Preludi», quel simbolismo
musicale e quella ricerca a lui tanto cari, per poter riprodurre in note l'intimo significato de!
testo.

L'elemento ritmico che egli preferisce per esprimere la gioia e che qui troviamo in continuità, è il
seguente:

Bach

Fernando Germani

BWV 606 - Vom Himmel hoch, da komm' ich her, in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=ItkgRf__1YE

Melodia: Martin Lutero dalla melodia popolare Aus fremden Landen komm' ich her
Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

La melodia del Corale è antica; essa data da prima della riforma (è compresa nella raccolta
Magdeburger G. B. v. del 1540) e la poesìa è libera invenzione di Martin Lutero.

Questo corale fa parte dell'Oratorio di Natale di Bach, dal quale evidentemente è stato tratto per
comporre il presente Preludio.

Il ritmo movimentato, gaio, vuol significare l'apparizione dell'Angelo ai pastori.

Fernando Germani

BWV 607 - Vom Himmel kam der Engel Schar, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=Lkjs0sqI34A

Melodia: Michael Praetorius


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)


La bellissima melodia del Corale è di Michel Praetorius (1607).

Il movimento dei sedicesimi contenuti in successioni di scale ascendenti e discendenti vuol


simbolizzare il movimento della schiera degli Angeli nell'immensità dei Cielo. E' interessante
notare che anche al pedale Bach ha introdotto queste scale, benché con ritmi più lenti.

Fernando Germani

BWV 608 - In dulci jubilo, in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=HB92LhDThSM

Melodia: secolo XIV


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Il testo dell'inno appartiene ad uno di quei tanti Cantici di Natale composti in forma di
«Berceuse » (ninna-nanna), che venivano poi rappresentati in chiesa in occasione della Natività.
E' interessante notare l'alternarsi, sia pure in maniera irregolare, delie frasi latine con quelle
tedesche che danno un carattere ingenuo e curioso all'inno stesso rendendone difficile la
comprensione del significato.

La melodia del Corale appartiene al XVI secolo (le si attribuisce la data del 1535). E' ignota la
sua origine.

La realizzazione di Bach nel preludio per l'Orgelbüchlein, mantiene il carattere tipico pastorale
con un continuo movimento di terzine. Il basso, inoltre, risponde in canone all'ottava al canto del
Corale svolto in parte acuta.

Fernando Germani

BWV 609 - Lobt Gott, ihr Christen, allzugleich, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=gFoeZpYxRFg

Melodia: Nikolaus Herman dal "Puer natus"


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Sia le parole dell'inno che la melodia del Corale furono composte da Nikolaus Herman.
Festosa è l'interpretazione bachiana del «Preludio».

E' un succedersi di movimenti ritmici vivaci, sui quali emerge il canto del Corale.

Fernando Germani

BWV 610 - Jesu, meine Freude, in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=NslxQACK66I

Melodia: Johannes Crüger


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Il carattere contemplativo sia dei le parole che della melodia esprimono il significato della
mistica contemplazione del piccolo Gesù.

La stessa atmosfera si ritrova nel Preludio dell'Orgelbüchlein; armonie lente ed espressive.

E' l'intima gioia spirituale per la venuta di Gesù, dell'Agnello senza macchia, lungamente atteso.

Fernando Germani

BWV 611 - Christum wir sollen loben schon, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=IyFXSrQ1yKs

Melodia: da "A solis ortus cardine"

Adagio

Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

L'inno scritto in tedesco da Martin Lutero non è altro, in realtà, che la traduzione dell'inno latino
«A solis ortus cardine» (In navitate Domini) ed il Corale è l'adattamento dello stesso inno
gregoriano (terzo modo) a corale.

Bach, per la realizzazione del «Preludio» ha posto la melodia a «Canto Fermo» nella parte media
(Contralto), mentre un intreccio di figurazioni che si limitano tra le varie parti forma una
espressiva cornice sonora alla bella melodia gregoriana.
Fernando Germani

BWV 612 - Wir Christenleut', in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=Gcmy-c1jqQg

Melodia: Gaspar Fuger


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

La melodia ed il testo sono di Gaspar Fuger (il giovane).

E' un inno che esorta i Cristiani ad esprimere la loro gioia esultante, il loro gaudio per la nascita
del Redentore.

Anche nel «Preludio», composto su questa «melodia», Bach esprime la gioia per mezzo di ritmi
variati, rapidi e vivaci. Si chiude così il ciclo di Natale.

Fernando Germani

BWV 613 - Helft mir, Gottes Güte preisen, in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=ooXJhV9UnSg

Melodia: Joachim Magdeburg

Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Il presente inno celebra la chiusa dell'anno. E' una preghiera di ringraziamento:

Il « Preludio» sul Corale omonimo: non presenta nulla di particolare. Si vede in modo palese che
lo scopo per cui esso è stato scritto è quello di sviluppare la tecnica. Vi sono, infatti, vari
passaggi al pedale di natura virtuosistica.

Fernando Germani

BWV 614 - Das alte Jahre vergangen ist, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=eRpFScfi_wc
Melodia: Johann Steuerlein
Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Di straordinaria fattura è il corale Das alte Jahr vergangen ist, n. 16, dove l'accento malinconico
posto sul tempo trascorso, sull'"anno vecchio" che "è passato", si traduce musicalmente in una
condotta apparentemente più semplice, ma in realtà molto più rara dal punto di vista del
trattamento del corale. Questo infatti, anziché essere lasciato intatto, magari in secondo piano,
viene collocato alla ribalta, ma ornato di abbellimenti e note di passaggio che gli conferiscono un
tono eccezionalmente espressivo, anche per l'intensità di un cromatismo che rinvia direttamente
al modello di Pachelbel. Se una prova si vuole avere del modo in cui Bach, anche affrontando la
semplice struttura del corale, tendesse a renderlo plastico e ad adattarlo a una nuova funzione
espressiva, Das alte Jahr vergangen ist fornisce l'esempio più lineare ed eloquente.

Stefano Catucci

BWV 615 - In dir ist Freude, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=wcEBISHBdRw

BWV 616 - Mit Fried' und Freud' ich fahr' dahin, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=EadXFkWQH10

BWV 617 - Herr Gott, nun schleuß den Himmel auf, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=o4hDp4n3-x4

BWV 618 - O Lamm Gottes, unschuldig, in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=opXUluXSdYM

BWV 619 - Christe, du Lamm Gottes, in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=79KS1GETWsk

BWV 620 - Christus, der uns selig macht, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=IM7HpABAUac

BWV 620a - Christus, der uns selig macht, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=puYWeDDIobQ
BWV 621 - Da Jesus an dem Kreuze stund, in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=omMr8czqN_o

Melodia: Leo Hassler


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Inserito al n. 23 di Das Orgel-Büchlein

Guida all'ascolto (nota 1)

... « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato Sei lungi dal soccorrermi, lungi dalle mie
flebili parole. Mio Dio, grido di giorno e non rispondi, dì notte e non trovo ascolto. Eppure Tu
sei i! Santo, l'oggetto degli Inni d'Israele! In te confidarono i padri nostri e li salvasti. A te
gridarono e furono salvi, in Te fidarono e non rimasero delusi, lo invece sono un verme e non un
uomo, vilipendio di ognuno o spregio di popolo. Quanti mi vedono mi fanno scherni,
sogghignano col labbro, scuotono la testa: «Si è rivolto a Dio; lo liberi Lui; lo salvi perché gli
vuoi bene». Si, Tu sei il mio sostegno fin dalla mia concezione, mia fiducia dal seno materno. A
Te fui raccomandato ancor prima di nascere fin dal seno di mia madre. Tu sei mio Dio. Non ti
allontanare da me, perché sono alle strette; tienti vicino, perché non ho chi mi aiuti»... (dal
Salmo XXI).

...«Ed Egli, portando la sua Croce, sì incamminò verso il luogo detto Calvario (in ebraico
Golgotha): dove crocifissero Lui, e con Lui due altri, uno di qua ed uno di là, e Gesù nel
mezzo»... (Vangelo secondo S. Giovanni, Capo 19, 17).

...«E Gesù diceva: "Padre, perdona loro perché non sanno quel che si fanno"»... (Vangelo
secondo S. Luca, Capo 23, 24).

«E uno dei ladroni pendenti lo bestemmiava, dicendo: Se tu sei il Cristo, salva te stesso e noi. E
l'altro rispondeva sgridandolo, e dicendo: Nemmeno tu temi Iddio, trovandoti nello stesso
supplizio E noi certo con giustizia, perché riceviamo quel che era dovuto alle nostre azioni: Ma
questi non ha fatto nulla di male. E diceva a Gesù; Signore, ricordati di me, giunto che sarai nel
tuo Regno. E Gesù gli disse: «In verità ti dico; oggi sarai con me nel Paradiso»... (Vangelo
secondo S. Luca, Capo 23, 39).

...«Ma vicino alla Croce di Gesù stavano sua Madre e la sorella di sua madre Maria di Cleofa, e
Maria Maddalena. Gesù adunque avendo veduto la Madre e il discepolo da lui amato che era
dappresso, disse alla Madre sua: «Donna, ecco il tuo figliuolo». Di poi disse al discepolo: «Ecco
la tua Madre»... (Vangelo secondo S. Giovanni, Capo 19, 25).

...«E all'ora sesta si oscurò tutta la terra sino all'ora nona. E all'ora nona Gesù con voce grande
esclamò, dicendo: Eloi, Eloi, lamma sabacthani Che s'interpreta: «Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato»... (Vangelo secondo S. Marco, Capo 15, 33).
...«Dopo dì ciò, conoscendo Gesù che tutto era adempiuto, affinchè si adempisse la Scrittura,
disse: «Ho sete»... (Vangelo secondo S. Giovanni, Capo 19, 28).

...«Gesù adunque preso che ebbe l'aceto, disse: «L'opra è compiuta»... (Vangelo secondo S.
Giovanni, Capo 19, 30).

...«E Gesù gridando ad alta voce disse: «Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito», e ciò
dicendo spirò... (Vangelo secondo S. Luca, Capo 23, 46).
CORALE «Da Jesus an dem Kreuze stund».

La bellissima melodia di Leo Hassler esprime a meraviglia la drammaticità degli ultimi momenti
della vita terrena del Redentore, in essa è concentrato il senso di un immenso dolore.

Il Preludio sottolinea con le sue meste armonie le frasi più salienti del Vangelo che riguardano la
Crocifissione. Molto significativo il lento sincopato del pedale e le armonie sospese poste alla
fine di ciascun versetto per esprimere il dolore, l'angoscia e l'agonia di Gesù.

Fernando Germani

BWV 622 - O Mensch, bewein' dein' Sünde groß, in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=JrxvukGJ46Q

Melodia: Matthias Greiter


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Inserito al n. 24 di Das Orgel-Büchlein


Guida all'ascolto (nota 1)

Il testo è attinto dalla Passione secondo i quattro Evangelisti: Matteo (26), Marco (14], Luca
(22), Giovanni (18). Heyden, dal Vangelo, ha composto il bellissimo Cantico della Passione.
L'autore della melodia è Matthäus Graitter (m. nel 1550 circa).

La sublime interpretazione musicale di Bach è troppo elevata per descriversi con parole. Le sue
note toccano il più profondo dell'animo sensibile.

Soltanto il misticismo, la fede e la semplicità di Bach potevano raggiungere quella profondità di


sentimento necessaria ad esprimere il sacrificio di Cristo. Il significato di questa pagina è
espresso chiaramente dal titolo del «Preludio» e dalle parole dsl testo. In esso viene ricordato il
sacrificio dell'Angelo senza macchia crocifisso per superiore volere per la redenzione
dell'umanità. E' una «visione», che viene offerta al nostro spirito, della via della salvezza ormai
aperta attraverso il martirio della Croce.
L'ispirazione musicale di Bach, nell'elaborazione di questo «Preludio», ha raggiunto l'apice
dell'intima commozione. L'«Adagiosissimo» finale vuole significare, o meglio interpretare
musicalmente l'ultimo verso della prima strofa del Cantico della Passione di Heyden, ossia:
«Lungamente sospeso alla Croce».

Fernando Germani

BWV 623 - Wir danken dir, Herr Jesu Christ, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=qtW-g67ra-k

Melodia: autore ignoto


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Ignoto è l'autore della melodia, che, dato lo stile, deve appartenere alla fine del 1500
(presumibilmente 1597).

Il corale, a cui sono applicati i presenti versi:

«Wir danken dir, Herr Jesu Christ, dass du für uns gestorben bist, und hast uns durch dein teures
Blut gemacht brott gerecht und gut.»
è stato però composto per un altro cantico, e precisamente questo: «Herr Jesu Christ, wahr
Mensch un Gott» (dedicato ai cantici della Malattia e Morte): appartenente cioè alla serie dei
Corali del Tempo e dei Sacramenti.

Il significato del Corale «Wir danken dir, Herr Jesu Christ» è quello della ricorrenza del mondo
cristiano verso il Redentore per il Suo sacrificio.

Il «Preludio» omonimo è improntato a quel senso di intima, contenuta gioia che viene espressa
da Bach con un elemento ritmico a lui tanto caro.

Fernando Germani

BWV 624 - Hilf Gott, dass mir's gelinge, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=g2u50H1ZMMg

Melodia: autore ignoto


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Inserito al n. 26 di Das Orgel-Büchlein


Guida all'ascolto (nota 1)

La melodia deve, molto probabilmente, avere una origine secolare. Ne è ignoto l'autore e le
viene attribuita la data del 1545.

Il presente Corale ha il significato di una meditazione sulla morte di Gesù, sulla divulgazione
della sua parola per mezzo dei 12 Apostoli e sul confronto divino per mezzo della preghiera. La
dodicesima strofa di questo inno accenna alla discesa dello Spirito Santo che porta la parola di
conforto e di verità di Dio. (Vangelo secondo S. Giovanni, Capo 14, 13).

Da ciò si spiega tutto il movimento di scale a terzine (Trinità) ascendenti e discendenti che Bach
ha posto alla mano sinistra, nel «Preludio», e che accompagnano un bellissimo canone alla
quinta inferiore. E' tutto un simbolismo che celebra la Trinità di Dio. Questi ritmi ternari, ed
anche composizioni divise in tre parti, si trovano sempre in Bach ogni qual volta egli voglia
riferirsi alla SS. Trinità.

Fernando Germani

BWV Anh. 200 - O Traurigkeit, o Herzeleid, in Fa minore (frammento di due battute)

https://www.youtube.com/watchv=YcePnlcVZrg

BWV 625 - Christ lag in Todesbanden, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=rqwgeKOgezg

BWV 626 - Jesus Christus, unser Heiland, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=MWkuSDFdajc

BWV 627 - Christ ist erstanden, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=Ip2DPIjSj5Q

BWV 628 - Erstanden ist der heil'ge Christ, in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=eN1TMuRNAtE

BWV 629 - Erschienen ist der herrliche Tag, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=Bt7GFNg-V2w

BWV 630 - Heut' triumphieret Gottes Sohn, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=osaiWui7kz0
BWV 631 - Komm, Gott Schöpfer, heiliger Geist, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=sk2uPSaGDp8

BWV 632 - Herr Jesu Christ, dich zu uns wend', in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=PYWIp9YzMsc

BWV 633 - Liebster Jesu, wir sind hier, in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=Or1VEuwSgxU

BWV 634 - Liebster Jesu, wir sind hier, distinctius, in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=-bW5C2abOrA

BWV 635 - Dies sind die heil'gen zehn Gebot', in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=aMrc4pFUV3Q

BWV 636 - Vater unser im Himmelreich, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=1RMxF27KaZg

BWV 637 - Durch Adams Fall ist ganz verderbt, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=k3Ck0ij_I84

BWV 638 - Es ist das Heil uns kommen her, in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=znjQTJoZYEA

BWV 639 - Ich ruf' zu dir, Herr Jesu Christ, in Fa minore

https://www.youtube.com/watchv=X9Dh43kVL1Q

Melodia: autore ignoto


Organico: organo
Composizione: 1713 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Inserito al n. 41 di Das Orgel-Büchlein

Guida all'ascolto (nota 1)


Il Preludio sul Corale «Ich ruf zu dir» appartiene al gruppo dei «56 kürzere Choralvorspiele».
Indipendentemente dalla fonte liturgica questo Preludio-Corale ha come corrispondenti
analogici, nell'ambito della produzione vocale di Bach, due diversi componimenti; il primo
appartiene al gruppo delle 189 «Kirchencantaten» (e precisamente alla Cantata n. 16,
«Barmherziges Herze der ewigen Liebe», della quale costituisce l'episodio conclusivo); il
secondo figura nella Cantata da chiesa n. 97, «Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ » come coro
introduttivo.

Nonostante la specifica analogia del verso iniziale, la matrice originaria del Preludio-Corale per
organo non è reperibile nella Cantata n. 97, ma piuttosto nella Cantata n. 16, con il Corale finale
della quale condivide la configurazione melodica. Non ne condivide ovviamente (data la
diversità della destinazione) la egualitaria distribuzione quantitativa dei singoli valori che
costituiscono la linea melodica, e che trascinano, in concorde simultaneità, le voci sottostanti a
quella superiore. Nel Preludio-Corale destinato all'organo, infatti, la melodia è condotta
attraverso ad un'articolazione molto libera e varia, nella quale si inserisce spesso l'ornamento
degli abbellimenti; allo svolgimento debitamente «variato» della melodia ricavata dal Corale si
associa, inoltre, un accompagnamento spartito in due diversi atteggiamenti, uno «mobile» e
l'altro impegnato a far da base alla struttura armonica.

Giovanni Ugolini

BWV 640 - In dich hab' ich gehoffet, Herr, in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=B4KH9VJPg98

BWV 641 - Wenn wir in höchsten Noten sein, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=GPMeBNU9fes

BWV 642 - Wer nur den lieben Gott lässt walten, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=Ygitc1xO-yA

BWV 643 - Alle Menschen müssen sterben, alio modo, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=xjsHp4IO-tQ

BWV 644 - Ach wie nichtig, ach wie flüchtig, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=S7vkHtwWMAU

Preludi corali, partite e variazioni sui corali

https://www.youtube.com/watchv=_W4PJUOeVYw

Corali Schübler
https://it.wikipedia.org/wiki/Corali_Schübler

BWV 645 - Wachet auf, ruft uns die Stimme, in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=NZvQEOOpOnw

Melodia: Philipp Nicolai


Organico: organo
Composizione: 1747 circa
Edizione: Schübler, Zella, 1748 circa

Utilizza il Corale n. 4 della Cantata BWV 140

Guida all'ascolto (nota 1)

Sechs Chorale von verschiedener Art (Sei corali di diversa maniera) è l'intestazione del fascicolo
che l'editore Schübler pubblicò a Zella, in Turingia, intorno al 1746. Comunemente, la raccolta è
nota appunto come Schübler-Chorale (I corali di Schübler) e si basa non su elaborazioni
originali, ma sulla trascrizione di arie o duetti di cantate bachiane che risalgono per lo più alla
seconda metà degli anni Venti del Settecento. L'editore è lo stesso che, nel 1747, avrebbe dato
alle stampe L'offerta musicale, ed è probabile che a lui si debba un'iniziativa che per un autore
come Bach, pochissimo pubblicato mentre era in vita, doveva comunque rivestire un interesse
soltanto sporadico. Il frontespizio dell'edizione conferma, d'altra parte, che questa stessa
edizione non avrebbe avuto una larghissima diffusione, laddove precisa: «la si può trovare a
Lipsia dal signor Maestro di cappella Bach, presso i suoi signori figli a Berlino e a Halle, e
presso l'editore, a Zella».

Gli arrangiamenti per organo, in questo caso, non introducono variazioni di rilievo al testo
musicale delle cantate, limitandosi a elaborare i temi di corale in una forma che ne conserva
integra la melodia portante. Solo l'ornamentazione è leggermente ritoccata, anche grazie a un uso
accorto della pedaliera.

Il corale organistico Wachet auf, ruft uns die Stimme BWV 645 trae dall'omonima cantata (BWV
140) in realtà il secondo corale, o per meglio dire la seconda strofa del corale principale, sulle
parole «Zion hört die Wächter singen». Bach rispetta alle lettera il dettato dei «sei corali di
diversa maniera», dando a ciascuno una condotta formale differente. In questo prevale il
principio dell'aria con accompagnamento obbligato, con il cantus firmus del corale
contrappuntato da una seconda melodia.

Stefano Catucci

BWV 646 - Wo soll ich fliehen hin, in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=--Fq5d20wqo

Melodia: Jakob Regnart


Organico: organo
Composizione: 1747 circa
Edizione: Schübler, Zella, 1748 circa

Guida all'ascolto (nota 1)

Sechs Chorale von verschiedener Art (Sei corali di diversa maniera) è l'intestazione del fascicolo
che l'editore Schübler pubblicò a Zella, in Turingia, intorno al 1746. Comunemente, la raccolta è
nota appunto come Schübler-Chorale (I corali di Schübler) e si basa non su elaborazioni
originali, ma sulla trascrizione di arie o duetti di cantate bachiane che risalgono per lo più alla
seconda metà degli anni Venti del Settecento. L'editore è lo stesso che, nel 1747, avrebbe dato
alle stampe L'offerta musicale, ed è probabile che a lui si debba un'iniziativa che per un autore
come Bach, pochissimo pubblicato mentre era in vita, doveva comunque rivestire un interesse
soltanto sporadico. Il frontespizio dell'edizione conferma, d'altra parte, che questa stessa
edizione non avrebbe avuto una larghissima diffusione, laddove precisa: «la si può trovare a
Lipsia dal signor Maestro di cappella Bach, presso i suoi signori figli a Berlino e a Halle, e
presso l'editore, a Zella».

Gli arrangiamenti per organo, in questo caso, non introducono variazioni di rilievo al testo
musicale delle cantate, limitandosi a elaborare i temi di corale in una forma che ne conserva
integra la melodia portante. Solo l'ornamentazione è leggermente ritoccata, anche grazie a un uso
accorto della pedaliera.

Il secondo corale, Wo soll ich fliehen hin BWV 646, deriva da una cantata perduta, o forse da
una versione perduta della Cantata BWV 188, Ich habe meine Zuversicht, del 1728, e ha invece
la forma già più "orchestrale" del duetto concertante.

Stefano Catucci

BWV 647 - Wer nur den lieben Gott lässt walten, in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=vhn5Aa_rr9Y

Melodia: Georg Neumark


Organico: organo
Composizione: 1747 circa
Edizione: Schübler, Zella, 1748 circa

Guida all'ascolto (nota 1)

Sechs Chorale von verschiedener Art (Sei corali di diversa maniera) è l'intestazione del fascicolo
che l'editore Schübler pubblicò a Zella, in Turingia, intorno al 1746. Comunemente, la raccolta è
nota appunto come Schübler-Chorale (I corali di Schübler) e si basa non su elaborazioni
originali, ma sulla trascrizione di arie o duetti di cantate bachiane che risalgono per lo più alla
seconda metà degli anni Venti del Settecento. L'editore è lo stesso che, nel 1747, avrebbe dato
alle stampe L'offerta musicale, ed è probabile che a lui si debba un'iniziativa che per un autore
come Bach, pochissimo pubblicato mentre era in vita, doveva comunque rivestire un interesse
soltanto sporadico. Il frontespizio dell'edizione conferma, d'altra parte, che questa stessa
edizione non avrebbe avuto una larghissima diffusione, laddove precisa: «la si può trovare a
Lipsia dal signor Maestro di cappella Bach, presso i suoi signori figli a Berlino e a Halle, e
presso l'editore, a Zella».

Gli arrangiamenti per organo, in questo caso, non introducono variazioni di rilievo al testo
musicale delle cantate, limitandosi a elaborare i temi di corale in una forma che ne conserva
integra la melodia portante. Solo l'ornamentazione è leggermente ritoccata, anche grazie a un uso
accorto della pedaliera.

Il principio del movimento di partita domina il terzo corale, Wer nur den lieben Gott lässt walten
BWV 647, dalla Cantata BWV 93 che porta lo stesso titolo, del 1724.

Stefano Catucci

BWV 648 - Meine Seele erhebt den Herren, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=BcSJaQ3GUvg

Melodia: dal Magnificat


Organico: organo
Composizione: 1747 circa
Edizione: Schübler, Zella, 1748 circa

Utilizza il Corale n. 5 della Cantata BWV 10

Guida all'ascolto (nota 1)

Sechs Chorale von verschiedener Art (Sei corali di diversa maniera) è l'intestazione del fascicolo
che l'editore Schübler pubblicò a Zella, in Turingia, intorno al 1746. Comunemente, la raccolta è
nota appunto come Schübler-Chorale (I corali di Schübler) e si basa non su elaborazioni
originali, ma sulla trascrizione di arie o duetti di cantate bachiane che risalgono per lo più alla
seconda metà degli anni Venti del Settecento. L'editore è lo stesso che, nel 1747, avrebbe dato
alle stampe L'offerta musicale, ed è probabile che a lui si debba un'iniziativa che per un autore
come Bach, pochissimo pubblicato mentre era in vita, doveva comunque rivestire un interesse
soltanto sporadico. Il frontespizio dell'edizione conferma, d'altra parte, che questa stessa
edizione non avrebbe avuto una larghissima diffusione, laddove precisa: «la si può trovare a
Lipsia dal signor Maestro di cappella Bach, presso i suoi signori figli a Berlino e a Halle, e
presso l'editore, a Zella».

Gli arrangiamenti per organo, in questo caso, non introducono variazioni di rilievo al testo
musicale delle cantate, limitandosi a elaborare i temi di corale in una forma che ne conserva
integra la melodia portante. Solo l'ornamentazione è leggermente ritoccata, anche grazie a un uso
accorto della pedaliera.

Facilmente riconoscibile è l'impostazione del basso ostinato che caratterizza il quarto corale,
Meine Seele erhebet den Herren BWV 648, derivato dall'omonima Cantata BWV 10, sempre del
1724
Stefano Catucci

BWV 649 - Ach bleib bei uns, Herr Jesu Christ, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=icvPfYwx7uc

Melodia: Sethus Calvisius


Organico: organo
Composizione: 1747 circa
Edizione: Schübler, Zella, 1748 circa

Utilizza il Corale n. 3 della Cantata BWV 6

Guida all'ascolto (nota 1)

Sechs Chorale von verschiedener Art (Sei corali di diversa maniera) è l'intestazione del fascicolo
che l'editore Schübler pubblicò a Zella, in Turingia, intorno al 1746. Comunemente, la raccolta è
nota appunto come Schübler-Chorale (I corali di Schübler) e si basa non su elaborazioni
originali, ma sulla trascrizione di arie o duetti di cantate bachiane che risalgono per lo più alla
seconda metà degli anni Venti del Settecento. L'editore è lo stesso che, nel 1747, avrebbe dato
alle stampe L'offerta musicale, ed è probabile che a lui si debba un'iniziativa che per un autore
come Bach, pochissimo pubblicato mentre era in vita, doveva comunque rivestire un interesse
soltanto sporadico. Il frontespizio dell'edizione conferma, d'altra parte, che questa stessa
edizione non avrebbe avuto una larghissima diffusione, laddove precisa: «la si può trovare a
Lipsia dal signor Maestro di cappella Bach, presso i suoi signori figli a Berlino e a Halle, e
presso l'editore, a Zella».

Gli arrangiamenti per organo, in questo caso, non introducono variazioni di rilievo al testo
musicale delle cantate, limitandosi a elaborare i temi di corale in una forma che ne conserva
integra la melodia portante. Solo l'ornamentazione è leggermente ritoccata, anche grazie a un uso
accorto della pedaliera.

La forma della monodia accompagnata, cioè di una melodia dall'andamento lineare e priva di
effetti polifonici, dà la struttura al corale Ach bleib bei uns, Herr Jesu Christ BWV 649, derivato
da un'aria per soprano con sostegno di violoncello piccolo della Cantata Bleib bei uns, denn es
will Abend werden BWV 6, del 1725. La parte del violoncello piccolo, sulla tastiera dell'organo,
è affidata alla mano sinistra.

Stefano Catucci

BWV 650 - Kommst du nun, Jesu, von Himmel herunter, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=zr9srjYQrLw

Melodia: autore ignoto


Organico: organo
Composizione: 1747 circa
Edizione: Schübler, Zella, 1748 circa

Utilizza il Corale n. 2 della Cantata BWV 137

Guida all'ascolto (nota 1)

Sechs Chorale von verschiedener Art (Sei corali di diversa maniera) è l'intestazione del fascicolo
che l'editore Schübler pubblicò a Zella, in Turingia, intorno al 1746. Comunemente, la raccolta è
nota appunto come Schübler-Chorale (I corali di Schübler) e si basa non su elaborazioni
originali, ma sulla trascrizione di arie o duetti di cantate bachiane che risalgono per lo più alla
seconda metà degli anni Venti del Settecento. L'editore è lo stesso che, nel 1747, avrebbe dato
alle stampe L'offerta musicale, ed è probabile che a lui si debba un'iniziativa che per un autore
come Bach, pochissimo pubblicato mentre era in vita, doveva comunque rivestire un interesse
soltanto sporadico. Il frontespizio dell'edizione conferma, d'altra parte, che questa stessa
edizione non avrebbe avuto una larghissima diffusione, laddove precisa: «la si può trovare a
Lipsia dal signor Maestro di cappella Bach, presso i suoi signori figli a Berlino e a Halle, e
presso l'editore, a Zella».

Gli arrangiamenti per organo, in questo caso, non introducono variazioni di rilievo al testo
musicale delle cantate, limitandosi a elaborare i temi di corale in una forma che ne conserva
integra la melodia portante. Solo l'ornamentazione è leggermente ritoccata, anche grazie a un uso
accorto della pedaliera.

L'ultimo dei sei Schübler-Chorale, intitolato Kommst du nun, vom Himmel herunter BWV 650,
proviene dalla Cantata BWV 137, Olbe den Herren, den Mächtigen König der Ehren, del 1725, e
ha la forma della sonata in trio, che corrisponde alla suddivisione dell'originale nelle parti del
soprano, del violino - realizzato sull'organo dalla mano destra - e del basso continuo.

Stefano Catucci

Preludi corali di Lipsia

https://it.wikipedia.org/wiki/Preludi_corali_di_Lipsia

https://www.youtube.com/watchv=HjvL1olE5Vk

https://www.youtube.com/watchv=bks3zDjDcKY

BWV 651 - Komm, Heiliger Geist, Herre Gott, in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=O5isYiTEUE4

BWV 651a - Komm, Heiliger Geist, Herre Gott, in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=CmgJshNI-xY
BWV 652 - Komm, Heiliger Geist, in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=mO4daBMAnZw

BWV 653 - An Wasserflüssen Babylon, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=gXoxDwcSmbo

BWV 653a - An Wasserflüssen Babylon, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=gbzxhAcvz0g

Melodia: Johannes Krüger


Organico: organo
Composizione: 1723 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Schmücke dich o liebe Seele


lass die dunkle Sündenhöhle,
komm aus helle Licht gegangen,
fange herrlich an zu prangen;
denn der Herr voli Heil und Gnaden
will dich jetzt zu Gaste Jaden;
der den Himmel kann verwalten,
will jetzt Herberg in dir halten.

Adornati, o amata anima


lascia l'oscuro abisso della colpa,
vieni incontro alla bella luce,
incomincia a fare pompa di te stessa;
poiché il Signore misericordioso e gentile
vuole ora invitarti come ospite;
egli ha il governo del Cielo
e io voglio ora albergare in te.

Questo bellissimo Corale composto su testo di Johann Franck da Johann Krüger (1649) è
dedicato alla S. Cena (das heiligen Abendmahl).

Il Cantico è tratto dal Vangelo secondo S. Matteo: ...

«E mentre quelli cenavano, Gesù prese il pane, e lo benedisse, e lo spezzò e lo diede ai suoi
discepoli, e disse: Prendete, e mangiate: questo è il mio Corpo. E preso il calice, rese grazie, e lo
diede a loro, dicendo: Bevete di questo tutti. Imperocché questo è il Sangue mio del nuovo
testamento, il quale sarà sparso per molti per la remissione dei peccati. Or io dico che non berrò
d'ora in poi di questo frutto della vite sino a quel giorno che io lo berrò di nuovo con voi nel
Regno del Padre mio »... (Vangelo secondo S. Matteo, Capo 26, 26-29).

La sublime elaborazione bachiana non poteva esprimere con maggior profondità e sentimento
religioso l'atmosfera solenne della istituzione della S. Eucarestia.

La melodia di Krüger — nell'interpretazione di Bach — si presenta ora sotto un aspetto diverso.


Canta, canta veramente con quella intensità di espressione che colpisce e va direttamente alla
parte più sensibile ed elevata del sentimento umano: lo spirito.

E' un canto accompagnato e sostenuto da nobili armonie che accentuano ancor più il misticismo
del meraviglioso Preludio.

Fernando Germani

BWV 653b - An Wasserflüssen Babylon, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=4tF4hzk-Fqo

BWV 654 - Schmücke dich, o liebe Seele, in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=NqSEPo6twLI

Melodia: Johannes Krüger


Organico: organo
Composizione: 1723 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Schmücke dich o liebe Seele


lass die dunkle Sündenhöhle,
komm aus helle Licht gegangen,
fange herrlich an zu prangen;
denn der Herr voli Heil und Gnaden
will dich jetzt zu Gaste Jaden;
der den Himmel kann verwalten,
will jetzt Herberg in dir halten.

Adornati, o amata anima


lascia l'oscuro abisso della colpa,
vieni incontro alla bella luce,
incomincia a fare pompa di te stessa;
poiché il Signore misericordioso e gentile
vuole ora invitarti come ospite;
egli ha il governo del Cielo
e io voglio ora albergare in te.
Questo bellissimo Corale composto su testo di Johann Franck da Johann Krüger (1649) è
dedicato alla S. Cena (das heiligen Abendmahl).

Il Cantico è tratto dal Vangelo secondo S. Matteo: ...

«E mentre quelli cenavano, Gesù prese il pane, e lo benedisse, e lo spezzò e lo diede ai suoi
discepoli, e disse: Prendete, e mangiate: questo è il mio Corpo. E preso il calice, rese grazie, e lo
diede a loro, dicendo: Bevete di questo tutti. Imperocché questo è il Sangue mio del nuovo
testamento, il quale sarà sparso per molti per la remissione dei peccati. Or io dico che non berrò
d'ora in poi di questo frutto della vite sino a quel giorno che io lo berrò di nuovo con voi nel
Regno del Padre mio »... (Vangelo secondo S. Matteo, Capo 26, 26-29).

La sublime elaborazione bachiana non poteva esprimere con maggior profondità e sentimento
religioso l'atmosfera solenne della istituzione della S. Eucarestia.

La melodia di Krüger — nell'interpretazione di Bach — si presenta ora sotto un aspetto diverso.


Canta, canta veramente con quella intensità di espressione che colpisce e va direttamente alla
parte più sensibile ed elevata del sentimento umano: lo spirito.

E' un canto accompagnato e sostenuto da nobili armonie che accentuano ancor più il misticismo
del meraviglioso Preludio.

Fernando Germani

BWV 655 - Herr Jesu Christ, dich zu uns wend', in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=nteAdZE_DhA

BWV 655a - Herr Jesu Christ, dich zu uns wend', in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=nWFVZFWSPOM

BWV 655b - Herr Jesu Christ, dich zu uns wend', in Sol maggiore

BWV 655c - Herr Jesu Christ, dich zu uns wend', in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=DFuWwkhElig

BWV 656 - O Lamm Gottes, unschuldig, in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=fbztWcKtw1k

BWV 656a - O Lamm Gottes, unschuldig, in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=bl8ldA_yQkQ
BWV 657 - Nun danket alle Gott, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=dpAPD9w20-c

BWV 658 - Von Gott will ich nicht lassen, in Fa minore

https://www.youtube.com/watchv=aieXS06QiKk

BWV 658a - Von Gott will ich nicht lassen, in Fa minore

https://www.youtube.com/watchv=1Bu66yHET8I

BWV 659 - Nun komm, der Heiden Heiland, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=oHFPJkxn-g4

Melodia: Veni redemptor gentium


Organico: organo
Composizione: 1723 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1846

Versione definitiva

Guida all'ascolto (nota 1)

Nun komm, der Heiden Heiland BWV 659 è il nono dei diciassette corali compresi nel
cosiddetto Autografo di Lipsia, un fascicolo che Bach allestì negli ultimi anni della sua vita,
probabilmente in vista di una pubblicazione. In esso sono raccolte, selezionate e rielabolate,
diverse pagine da lui composte lungo gli anni, in una sorta di panoramica retrospettiva del suo
lavoro di organista che risale fino alle composizioni degli anni di Weimar. Del corale Nun
komm, der Heiden Heiland, destinato alla prima domenica dell'Avvento, vengono proposte in
particolare tre elaborazioni: la BWV 659, «per due manuali e pedaliera», è la prima.

La confezione del fascicolo non fu portata a termine, ma richiese comunque all'autore un lavoro
piuttosto faticoso, se si pensa che Bach, che soffriva di una malattia agli occhi, dovette più volte
delegare ad alcuni copisti la messa in pagina degli spartiti. L'impressione è che egli avesse dato
all'insieme del progetto l'ordine di un ciclo, con quella sistematicità al tempo stesso logica e
storica, basata cioè tanto sulla struttura interna delle composizioni, quanto sui loro valori
simbolici e sul senso di un cammino tecnico ed espressivo che Bach ricostruiva a posteriori. Si
trovano perciò in questa raccolta le acquisizioni più mature dell'arte organistica di Bach, con
elaborazioni contrappuntistiche e una cura minuziosa dell'ornamentazione, ma insieme ad esse
anche l'omaggio tributato ai suoi ideali maestri, la lezione dei quali viene amplificata in uno stile
nuovo, spesso lontanissimo dai modelli di partenza.

La prima versione di Nun komm, der Heiden Heiland è la più vicina alla semplice esposizione
del corale. Bach segue da vicino la forma della melodia, divisa in quattro sezioni, e solo
nell'ultima parte, che ripete il tema iniziale, si concede un'ornamentazione fiorita che ha di fatto
lo scopo di chiudere la cadenza. Se lo stile adottato in questa versione è però quello della
Fantasia, si comprende come il baricentro dell'elaborazione sia spostato da un lato verso
l'accompagamento, dall'altro verso la pedaliera, usata non solo come basso continuo, ma con una
funzione espressiva innegabile. La regolarità dell'andamento, del tutto in linea con il carattere
solenne del corale, viene dunque arricchita da gesti piccoli, ma di fondamentale importanza, i
quali permettono di riconoscere la straordinaria capacità bachiana di agire in profondità con
minimi spostamenti dell'asse strutturale.

Stefano Catucci

BWV 659a - Nun komm, der Heiden Heiland, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=ELk1bWLOZrs

BWV 660 - Nun komm, der Heiden Heiland, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=v09UQ7NFtUk

Melodia: dal Veni redemptor gentium


Organico: organo
Composizione: 1723 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1846

Versione definitiva

Guida all'ascolto (nota 1)

In questo «Corale» l'arte contrappuntistica di Bach è abbinata alle astuzie del didatta. Il doppio
basso distribuito tra la mano sinistra ed il pedale, con un procedimento delle parti che si
incrociano frequentemente e si alternano con salti d'intervallo, denota che il fine da raggiungere
è quello di sviluppare la tecnica per l'indipendenza delle tastiere dal pedale.

Fernando Germani

BWV 660a - Nun komm, der Heiden Heiland, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=YBQxRL2RBqc

BWV 660b - Nun komm, der Heiden Heiland, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=nDb-ZGH4DnY

BWV 661 - Nun komm, der Heiden Heiland, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=H0tmiWIfgts

Guida all'ascolto (nota 1)


Chiude la breve serie il «Preludio» «pro Organo Pleno».

Il «Cantus firmus» è posto al pedale.

Alle tastiere l'elemento decorativo è formato dallo stesso tema del corale, ma variato e diminuito
nella figurazione ritmica, tanto da produrre un festoso contrasto con la grandiosità del basso.

Il termine «pro Organo Pleno» non si riferisce, come taluni asseriscono, ad uno strumento
completo, nell'estensione e numero delle tastiere, ma al complesso sonoro, cioè al forte massimo
che gli strumenti dell'epoca di Bach potevano produrre. Lo stesso termine è usato a tutt'oggi
nella scuola tedesca per definire il «fortissimo» (vedi Mendelssohn, Liszt, Reger ed altri).

Fernando Germani

BWV 661a - Nun komm, der Heiden Heiland, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=rQc2gNfdMrc

BWV 662 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr', in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=-4Q0LwL4dDk

BWV 663 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr', in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=XUeCegJfZkk

BWV 664 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr', in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=1--G1KTzBHw

BWV 664a - Allein Gott in der Höh' sei Ehr', in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=WSy_EMN2wvQ

BWV 665 - Jesu Christus unser Heiland, in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=HFd8VBV5eCg

BWV 665a - Jesu Christus unser Heiland, in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=50jv7EgobNk

BWV 666 - Jesu Christus unser Heiland, in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=cQP-necHTK4
BWV 667 - Komm, Gott Schöpfer, heiliger Geist, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=D60-ObGd8Ag

BWV 668 - Vor deinen Thron tret' ich, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=52RdshARXdg

BWV 668a - Vor deinen Thron tret' ich, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=mqC9VNUhDCM

Terza parte del Clavier-Übung

https://it.wikipedia.org/wiki/Terza_parte_della_Clavier-Übung

https://www.youtube.com/watchv=kNs9lr9dFY0

https://www.youtube.com/watchv=bRl-q-gV7xc

BWV 669 - Kyrie, Gott Vater in Ewigkeit, in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=H8qAfXwyzqw

BWV 670 - Christe, aller Welt Trost, in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=0qJZ7jOm6ug

BWV 671 - Kyrie, Gott heiliger Geist, in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=i7sNw5wrSEo

BWV 672 - Kyrie, Gott Vater in Ewigkeit, in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=PAC5pOPsGSw

BWV 673 - Christe, aller Welt Trost, in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=nrpOP-zEULw

BWV 674 - Kyrie, Gott heiliger Geist, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=V42L9v2Qr3A

BWV 675 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr', in Fa maggiore


https://www.youtube.com/watchv=m9UQV-vJTmQ

BWV 676 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr', in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=HH2-unrCqYg

BWV 677 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr', in Fa♯ minore

https://www.youtube.com/watchv=EXbYeNxgJVs

BWV 678 - Dies sind die heil'gen zehn Gebot', in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=VfYSGZRap9E

BWV 679 - Dies sind die heil'gen zehn Gebot', in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=lKjlMCCLv9Q

BWV 680 - Wir glauben all'an einen Gott, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=aiVA5wuRalY

BWV 681 - Wir glauben all'an einen Gott, in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=CE-g8mZlsFU

BWV 682 - Vater unser im Himmelreich, in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=J3xCsRLJ7Wo

BWV 683 - Vater unser im Himmelreich, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=Vxyk2wgoKEE

BWV 684 - Christ, unser Herr, zum Jordan kam, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=xkV7Wc7Ck0g

BWV 685 - Christ, unser Herr, zum Jordan kam, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=h6vW2_ojZlE

BWV 686 - Aus tiefer Not schrei' ich zu dir, in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=LDN4uznAtv0

BWV 687 - Aus tiefer Not schrei' ich zu dir, in Fa♯ minore
https://www.youtube.com/watchv=EyMtEgtwkEo

BWV 688 - Jesus Christus unser Heiland, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=0vRfRuNZdHs

BWV 689 - Jesus Christus unser Heiland, in Fa minore

https://www.youtube.com/watchv=VgXFpa_eQZU

Preludi corali di Kirnberger

https://it.wikipedia.org/wiki/Preludi_corali_di_Kirnberger

https://youtu.be/sSwTB4dLBIc

BWV 690 - Wer nur den lieben Gott lässt walten, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=iMpP4ykqbxI

BWV 691 - Wer nur den lieben Gott lässt walten, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=MepT-71vPTQ

BWV 691a - Wer nur den lieben Gott lässt walten, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=l8faXj-G08Q

BWV 692 - Ach Gott und Herr, in Do maggiore (spuria, di Johann Gottfried Walther)

https://www.youtube.com/watchv=6WpFuGyRjMI

BWV 692a - Ach Gott und Herr, in Do maggiore (spuria, di Johann Gottfried Walther)

BWV 693 - Ach Gott und Herr (spuria, di Johann Gottfried Walther)

https://www.youtube.com/watchv=VYObM3snTZE

BWV 694 - Wo soll ich fliehen hin, in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=KEMbatiM1Ew

BWV 695 - Christ lag in Todesbanden, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=Yq6q8Uaxq2c
BWV 695a - Christ lag in Todesbanden, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=pogMmWwRVJI

BWV 696 - Christum wir sollen loben schon, in Re minore (fughetta)

https://www.youtube.com/watchv=3XYDOrvVzFA

Melodia: da A solis ortus cardine


Organico: organo
Composizione: 1739 - 1742
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Il tema di questo corale proviene dall'inno latino «A solis ortus cardine» (tradotto in tedesco nel
Medio Evo ed adattato poi a corale). E' incluso nella raccolta «Erfurter Enchiridion» (1524); il
testo è di Martin Lutero.

La «Fughetta» composta sul tema del corale, è dello stile di Pachelbel, e appartiene anch'essa al
periodo giovanile.

Fernando Germani

BWV 697 - Gelobet seist du, Jesu Christ, in Do maggiore (fughetta)

https://www.youtube.com/watchv=Q7X_wBbeeQo

Melodia: secolo XV elaborata da Johann Walter


Organico: organo
Composizione: 1739 - 1742
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1805

Guida all'ascolto (nota 1)

Lo stile e l'assenza del pedale fanno supporre che questa «Fughetta» appartenga al periodo
giovanile della produzione bachiana.

Fernando Germani

BWV 698 - Herr Christ, der ein'ge Gottes Sohn, in Sol maggiore (fughetta)

https://www.youtube.com/watchv=wjoIUaDfbSM

BWV 699 - Nun komm, der Heiden Heiland, in Sol minore (fughetta)

https://www.youtube.com/watchv=bhUA-9TPFDU
Melodia: Veni redemptor gentium
Organico: organo
Composizione: 1739 - 1742
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1806

Guida all'ascolto (nota 1)

E' vero che si attribuisce a Mendelssohn la risurrezione della musica bachiana (1828) caduta
incredibilmente in letargo dopo la morte del compositore (1750), ma è a Schumann che si deve
l'opera omnia dello stesso. Questa opera è centrata sulla produzione organistica di detto autore
che, come si sa, comprende preludi, toccate e fughe, fantasie, pastorali, arie, variazioni a canone
e circa centosettanta corali per organo nei quali lo Schweitzer e il Kurth hanno individuato come
in altre composizioni dello stesso autore, valori melodici di particolare importanza, senza
trascurare, naturalmente, ì valori polifonici. Ma riguardo ai corali organistici - forme che spesso
risolvono in preludi e fantasie su melodie da corale - va notato che la linea del canto è guidata da
una articolazione molto libera e mutevole, nella quale non manca di inserirsi l'abbellimento.
Mentre dunque la linea melodica procede, essa risulta sorretta da un basso che regge tutta la
struttura armonica. Si disse giustamente che in Bach gli esegeti vi trovarono «molto più di quello
che vi cercavano». I corali per organo, di ciò, rappresentano davvero una evidente prova.

In particolare il corale «Nun komm der Heilden Heiland» (Ora viene il salvatore dei gentili)
venne musicato su testo di Martin Lutero, tradotto dall'inno «Veni Redemptor gentium» di S.
Ambrogio (1524) e su melodia ambrosiana dello stesso anno. Nel Catalogo bachiano è segnato
con i numeri 599, 659, 660, 661 e 699, poiché via via riveduto con numerose varianti.

Mario Rinaldi

BWV 700 - Vom Himmel hoch, da komm' ich her, in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=aloYLXHUiKw

BWV 701 - Vom Himmel hoch, da komm' ich her, in Do maggiore (fughetta)

https://www.youtube.com/watchv=KqOS-FRvbLY

Melodia: Martin Lutero dalla melodia popolare Aus fremden Landen komm ich her
Organico: organo
Composizione: 1708 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1806

Guida all'ascolto (nota 1)

Questa «Fughetta» è costruita sul tema del primo versetto del Corale: Vom Himmel hoch da
komm' ich her.
L'elaborazione contrappuntistica, derivante dalla diminuzione del tema medesimo, dà vitalità e
movimento al pezzo. Il «Cantus Firmus» al pedale svolge per intero il caratteristico canto di
Natale.

Fernando Germani

BWV 702 - Das Jesulein soll doch mein Trost, in Sol maggiore (fughetta spuria, forse di
Johann Ludwig Krebs)

https://www.youtube.com/watchv=QV7Bn-NxxQA

BWV 703 - Gottes Sohn ist kommen, in Fa maggiore (fughetta)

https://www.youtube.com/watchv=bS13hc3IVq4

BWV 704 - Lob sei dem allmächtigen Gott, in Fa maggiore (fughetta)

https://www.youtube.com/watchv=8kwWP3t-I7M

BWV 705 - Durch Adams Fall ist ganz verderbt, in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=ogX6v0fKaO0

BWV 706 - Liebster Jesu, wir sind hier, in La minore

https://www.youtube.com/watchv=GaueC5CuBm4

BWV 707 - Ich hab' mein' Sach' Gott heimgestellt, in La minore (attribuzione dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=gCJ1LgBLJCA+

BWV 708 - Ich hab' mein' Sach' Gott heimgestellt, in La minore (attribuzione dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=ilwczIbkxes

BWV 708a - Ich hab' mein' Sach' Gott heimgestellt, in La minore (attribuzione dubbia)

BWV 709 - Herr Jesu Christ, dich zu uns wend', in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=lReQrnXydtM

BWV 710 - Wir Christenleut', in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=lDr3qihqGaU

Melodia: autore ignoto


Organico: organo
Composizione: 1708 - 1717
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1805

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Preludio n. 10 del IX volume è, secondo un'antica stampa, attribuito a Bach, mentre una più
recente l'attribuisce a J. L. Krebs. E' difficile poter dire chi dei due ne sia veramente l'autore; il
suo stile però non è lontano da quello bachiano.

Il Canto Fermo è posto al pedale, mentre le due mani su due diverse tastiere — si imitano con
ritmi vivaci.

Fernando Germani

BWV 711 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr', in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=CMA9mXI1iLs

BWV 712 - In dich hab' ich gehoffet, Herr, in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=t-PEytsW-kQ

BWV 713 - Jesu meine Freude, in Re minore (fantasia)

https://www.youtube.com/watchv=WAml0dTMWkI

BWV 713a - Jesu meine Freude, in Mi minore (fantasia)

https://www.youtube.com/watchv=fjunqCDVHcU

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Peters, Lipsia, 1847

Variante del Corale BWV 713


Attribuzione incerta

Guida all'ascolto (nota 1)

Questa composizione è pervenuta da copie di Hauser e di Oley.

In una copia del primo manca l'appendice in 3/8 ed in quella del secondo si trova il Corale con
basso numerato.

La presente «Fantasia» porta la scritta «Manualiter» cioè per sole tastiere, ma di fatto, per
meglio far risalire il «Cantus Firmus», questo viene affidato al pedale e lo si esegue con registri
acuti (a seconda della tessitura richiesta) intercalandolo alle parti contrappuntate.
Fernando Germani

Altri preludi corali


https://it.wikipedia.org/wiki/Arnstädter_Gemeindechoräle

https://www.youtube.com/watchv=-5X89jiql_w

BWV 714 - Ach Gott und Herr

https://www.youtube.com/watchv=mD0S9wcrNGA&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=1

BWV 715 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr'

https://www.youtube.com/watchv=3Eu4GdfJ9cA&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=2

BWV 716 - Fuga super Allein Gott in der Höh' sei Ehr'

https://www.youtube.com/watchv=fVJOXyAQtuY&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=3

BWV 717 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr'

https://www.youtube.com/watchv=d3Fkr_P34k8&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=4

BWV 718 - Christ lag in Todesbanden

https://www.youtube.com/watchv=l1WxmO89lps&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=5

BWV 719 - Der Tag, der ist so freudenreich

https://www.youtube.com/watchv=vZ5a8qr7puk&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=6

BWV 720 - Ein feste Burg ist unser Gott

https://www.youtube.com/watchv=6phVvCNSk6g&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=7

BWV 721 - Erbarm dich mein, o Herre Gott

https://www.youtube.com/watchv=YpEX4YF_NFU&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=8

BWV 722 - Gelobet seist du, Jesu Christ

https://www.youtube.com/watchv=QPqevDRxF98&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=9

Melodia: da "Grates nun omnes" elaborato da Johann Walter


Organico: organo
Composizione: 1708 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Versione definitiva
Guida all'ascolto (nota 1)

Questo breve «Preludio» vivace e fantasioso, ci è pervenuto da copie manoscritte di J. Chr.


Kittel, Walther, e bozze di proprietà di Krebs.

Fernando Germani

BWV 723 - Gelobet seist du, Jesu Christ

hael Bach
Guida all'ascolto (nota 1)

Anche questo Preludio come il precedente BWV 604 dell'Orgelbüchlein, è composto sullo stesso
tema tratto dal Cantico di Natale «Grates, nunc omnes reddamus».

L'elaborazione del presente differisce dall'altro poiché, mentre quello è un «solo» accompagnato,
questo, invece, è di stile polifonico ed imitato.

Fernando Germani

BWV 724 - Gott, durch deine Güte

https://www.youtube.com/watchv=c5KwjkIOqnE&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=10

BWV 725 - Herr Gott, dich loben wir

https://www.youtube.com/watchv=ywK9KXZinfI&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=11

Melodia: da "Te Deum laudamus"

Organico: organo
Composizione: prima del 1708
Edizione: Peters, Lipsia, 1847

Guida all'ascolto (nota 1)

Il testo di questo Corale non è altro che il famoso inno latino «Te Deum» dei SS. Ambrogio ed
Agostino, tradotto liberamente in tedesco da Martin Lutero. Il Corale, a sua volta, è
l'adattamento a più voci del «Te Deum» gregoriano.

La versione di Bach, pervenutaci attraverso una parte copiata di proprio pugno dal Forkel (dalla
raccolta di F. K. Griepenkerl sen.), ha dato adito a discussioni perchè taluni hanno considerato
questo grandioso pezzo come un Preludio. Di fatto, però, è una magistrale armonizzazione per il
canto antifonale (per «omnes versus», come lo stesso Bach lo definisce) dell'inno stesso.

Dall'inizio «Her Gott, dich loben wir» (A te, come nostro Dio, diamo lode: te celebriamo come
Signore) trattato con quelita grandiosità solenne che è appunto richiesta dal testo egli passa ad
interpretazioni diverse «All'Engel...» (A Te tutti gli Angeli).

Qui le scale ascendenti e discendenti, come in corali precedentemente descritti, simboleggiano


l'ascesa e la discesa degli Angeli.

«Auch Cherubini» (A Te i Cherubini e i Serafini con incessante voce inneggiano): in cui i grandi
accordi che sostengono il canto del Corale.

Qui il movimento delle scale viene ridotto a semplice movimento ritmico, uguale, sì, a quello
precedente (per significare la schiera celeste), ma il «volteggio» viene limitato a semplici note di
volta.

«Heilig ist» (Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti). Ecco che il ritmo cessa di essere
movimentato per acquistare invece un carattere esaltante che viene imitato dalle varie voci
(Heilig ist unser Gott, Heilig ist unser Gott, Heilig).

E' interessantissimo vedere l'interpretazione bachiana del versetto «Du, König der Ehren» (Tu
sei, o Cristo, il Re della gloria) in cui i grandi accordi che sostengono il canto del Corale
vengono arricchiti di scale lente ed imitate che ascendono e discendono; così pure il carattere
nettamente opposto dell'armonizzazione (cromaticissima) del versetto: «Der Jungfrau Leib»...
(Tu, per liberare l'uomo dal peccato, non avesti orrore del seno d'una Vergine).

La figurazione ritmica nuovamente al versetto «Ein Richter du zukünftig bist Alles» (Te
crediamo giudice che hai da venire).

Nel primo esempio si nota il ritmo e gli intervalli comuni nel grande Credo del Klavierübung (al
pedale); è forse un elemento tipico familiare a Bach per esprimere musicalmente il Supremo
Giudice. Nel secondo, il movimento di crome vorrebbe simbolicamente esprimere la venuta di
Dio per il Giudizio Universale.

Segue l'invocazione «Nun hilf uns Herr» (Tu dunque, te ne preghiamo, soccorri i tuoi servi che
hai redento col Tuo sangue prezioso) ed anche qui ritorna il cromatismo precedente.

La genuflessione viene espressa da Bach con un lungo pedale d'organo su cui s'intrecciano delle
scale cromatiche discendenti.

L'effetto raggìunge in questo punto il massimo del misticismo. Il tema del dolore, la scala
cromatica, passa di parte in parte ascendendo prima e discendendo poi; e vuol significare il
riscatto dei fedeli attraverso il Sangue di Gesù.
Un nuovo esempio dell'originalità della concezione bachiana è dato dai due versetti: «Hilf
deinem Volk» (Salva, o Signore, il tuo popolo) e «Wart' und pfleg'» (E governali ed esaltali in
eterno).

In essi il ritmo viene reso via via più movimentato per cambiare improvvisamente a: «Täglich,
Herr Gott» (Ti benediciamo tutti i giorni) dove esso ritorna con carattere maestoso all'inizio, per
poi gradatamente esaltarsi sempre più.

Riprende nuovamente il medesimo elemento tematico del «Ein Richter» (Te crediamo giudice)
per il versetto: «Behüt uns heut, o treur» (Degnati, o Signore, dì preservarci in questo giorno dal
peccato).

Al «Zeig' uns deine» (Miserere nostri) viene ripetuta integralmente la musica dell'invocazione
«Nun hilf uns, Herr» ed essa si prolunga per tutto il «Auf dich hoffen wir, lieber Herr» (Venga, o
Signore, la tua misericordia sopra di noi, poiché noi abbiamo speranza in te). Chiude l'Amen.

Per quanto lo Schweitzer definisca questo lavoro come una semplice armonizzazione destinata
ad accompagnare il canto e non un preludio composto su una melodia di corale, e non pochi
prendano alla lettera le sue parole di teorico, pure, musicalmente parlando, non si può negare che
ci troviamo di fronte ad un lavoro il cui fine non può essere soltanto quello del semplice
accompagnamento. La sua elaborazione ed il suo contenuto musicale sono tali da porlo al
disopra persino di numerosissimi preludi, anche importantissimi. Non potrebbe, per esempio,
darsi il caso che Bach avesse voluto interpretare musicalmente il testo del «Te Deum»
conservandogli il carattere antifonale seguendo fedelmente il testo nei suoi minimi particolari e
conservando alcune particolarità della scrittura dell'inno stesso, sia sotto il punto di vista
letterario che musicale

Rimane un'incognita ed è questa. Dopo il «Sanctus» l'inno gregoriano ripete esattamente per 6
volte consecutive un periodo sul quale vengono cantati vari versi. Nello stesso inno, trasformato
da Lutero, la ripetizione avviene egualmente e Bach l'ha riprodotta senza alcun cambiamento nel
presente corale. Perché egli non avrebbe armonizzato differentemente quei passaggi Lo stesso
inno, nella versione luterana, nel periodo successivo che si inizia con il versetto: «Du König der
Ehren» (Tu sei, o Cristo, il Re della Gloria) comporta, come nel gregoriano un'altra ripetizione di
6 volte della stessa melodia e qui, invece, perché Bach ne ha fatto ogni volta un'interpretazione
diversa

Può allora questo Corale essere considerato un semplice accompagnamento Deve essere
annoverato tra i preludi su Corali, oppure va considerato come una composizione a sé, e cioè
un'interpretazione organistica del «Te Deum» con «Cantus Firmus» al soprano (in parte acuta)

Qualunque risposta si voglia dare è innegabile che l'effetto di questa composizione è


semplicemente colossale; degna di appartenere alla serie delle composizioni per organo di J. S.
Bach.

Fernando Germani

BWV 726 - Herr Jesu Christ, dich zu uns wend


https://www.youtube.com/watchv=3LVm8Fl33jY&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=12

BWV 727 - Herzlich tut mich verlangen

https://www.youtube.com/watchv=1l9yY8cX0_c&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=13

Melodia: Hans Leo Hassler


Organico: organo
Composizione: 1708 - 1717
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel caso del Corale Herzlich tut mir verlangen BWV 727 il tema, tratto da una melodia profana,
e anzi di tono persino amoroso dell'organista Hans Leo Hassler (1564-1612), è stata resa celebre
dall'uso che Bach ne ha fatto in uno dei suoi capolavori più noti, la Matthäus Passion. Il
trattamento organistico è in questo caso miniaturistico, intimista, con una polifonia intensa ed
espressiva.

Nel 1720, in cerca di una collocazione musicale prestigiosa, Bach si era recato ad Amburgo per
concorrere all'assegnazione del posto di organista nella Jakobikirche. L'uso corrente, in quel
luogo, era di nominare, presumibilmente fra candidati di uguale abilità, colui che avesse versato
nella cassa della chiesa l'offerta più alta. Chi aveva invitato Bach voleva evidentemente rompere
questa consuetudine, poiché era noto sia che non avesse rivali all'organo, sia che avesse un
carattere assai poco disposto agli intrighi, oltre a insufficienti disponibilità economiche. La
strada seguita dalle autorità locali fu quella di cercare un compromesso, ma l'inflessibilità di
entrambe le parti nella difesa dei rispettivi principi fu tale da non approdare a nulla: Bach rimase
a Köthen, malgrado la posizione marginale di quella corte, e ad Amburgo andò Johann Joachim
Heitmann, previo un versamento di una generosissima offerta di 4.000 marchi. Fra i membri
della commissione giudicatrice c'era il pastore Erdmann Neumeister, autore di molti testi per
cantate sacre ai quali Bach attinse regolarmente per le sue composizioni. Johann Mattheson
riportò anni dopo il suo commento alla vicenda: «Se un angelo scendesse dal cielo per diventare
organista di questa chiesa e suonasse divinamente, ma si presentasse senza soldi, non avrebbe
che da riprendere il volo, perché ad Amburgo non verrebbe accettato».

Stefano Catucci

BWV 728 - Jesus, meine Zuversicht

https://www.youtube.com/watchv=lQWQ2jI-YKU&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=14

BWV 729 - In dulci jubilo

https://www.youtube.com/watchv=t0WQzTqNE4k&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=15

BWV 730 - Liebster Jesu, wir sind hier


https://www.youtube.com/watchv=YFRfZFHgPik&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=16

BWV 731 - Liebster Jesu, wir sind hier

https://www.youtube.com/watchv=XmWQGPa3zfI&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=17

BWV 732 - Lobt Gott, ihr Christen, allzugleich

https://www.youtube.com/watchv=mPYLCJhH5TI&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=18

Melodia: da "Puer natus" elaborato da Nikolaus Herman


Organico: organo
Composizione: 1708 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

La melodia ed il testo di questo Corale furono composti da Nikolaus Herman. Il presente


«Preludio» è tratto dal gruppo dei sette aggiunti come appendice al quinto volume (Ed. Peters).
Il carattere festoso del pezzo è riprodotto da Bach con figurazioni agili alternate a cadenze
virtuosistiche le quali conferiscono al pezzo l'importanza di una Fantasia su corale.

Esso ci è pervenuto di recente attraverso manoscritti conservati da J. Chr. Kittel e da bozze di


proprietà di J. L. Krebs.

Fernando Germani

BWV 733 - Magnificat

https://www.youtube.com/watchv=hAdX4-EyahM&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=19

BWV 734 - Nun freut euch, lieben Christen/Es ist gewisslich an der Zeit

https://www.youtube.com/watchv=LgEwfPhVwI4&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=20

BWV 735 - Valet will ich dir geben

https://www.youtube.com/watchv=FFvq8t2PfG4&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=21

BWV 736 - Valet will ich dir geben

https://www.youtube.com/watchv=FJiNVAnd_wY&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=22

BWV 737 - Vater unser im Himmelreich


https://www.youtube.com/watchv=BYd7bLum4GM&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=23

BWV 738 - Von Himmel hoch, da komm' ich her

https://www.youtube.com/watchv=GSgHme7dNVo&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=24

Melodia: Martin Lutero dalla melodia popolare Aus fremden Landen komm ich her
Organico: organo
Composizione: 1718 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Il «Preludio» è una pagina musicale di carattere festoso in cui prevalgono contrasti di ritmi. Il
corale è posto nella parte più acuta.

Fernando Germani

BWV 738a - Von Himmel hoch, da komm' ich her

BWV 739 - Wie schön leuchter der Morgenstern

https://www.youtube.com/watchv=divNHO2L5v0&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=25

BWV 740 - Wir glauben all'an einen Gott, Vater

https://www.youtube.com/watchv=8inRiNgxm6Q

BWV 741 - Ach Gott, von Himmel sieh' darein

https://www.youtube.com/watchv=Knn0ReNOZWE&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=26

BWV 742 - Ach Herr, mich armen Sünder

https://www.youtube.com/watchv=hY6x84xcWpA

BWV 743 - Ach, was ist doch unser Leben

https://www.youtube.com/watchv=yDm8S0gxh9I

BWV 744 - Auf meinen lieben Gott (spuria, forse di Johann Tobias Krebs)

https://www.youtube.com/watchv=7aTrcBWFyxg&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=27
BWV 745 - Aus der Tiefe rufe ich (spuria, di Carl Philipp Emanuel Bach)

https://www.youtube.com/watchv=9vkW--Eentg

BWV 746 - Christ ist erstanden (spuria, di Johann Caspar Ferdinand Fischer)

https://www.youtube.com/watchv=OVhQO3OZdRk

BWV 747 - Christus, der uns selig macht

https://www.youtube.com/watchv=o85n2eBV5ks

BWV 748 - Gott der Vater wohn' uns bei (spuria, forse di Johann Gottfried Walther)

https://www.youtube.com/watchv=4yrSHSIKyNw

BWV 748a - Gott der Vater wohn' uns bei

https://www.youtube.com/watchv=8mQ92RKqlp0

BWV 749 - Herr Jesu Christ, dich zu uns wend'

https://www.youtube.com/watchv=sGsoEZknj6s

BWV 750 - Herr Jesu Christ, mein's Lebens Licht

https://www.youtube.com/watchv=5pCfs3Jhe9Q

BWV 751 - In dulci jubilo

https://www.youtube.com/watchv=1xNvxuYSGEw

BWV 752 - Jesu, der du meine Seele

https://www.youtube.com/watchv=lqldsRfpC2c

BWV 753 - Jesu, meine Freude

https://www.youtube.com/watchv=9YQ_bzRZA7c&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=28

BWV 754 - Liebster Jesu, wir sind hier

https://www.youtube.com/watchv=BGB9FRuC01o

BWV 755 - Nun freut euch, lieben Christen

https://www.youtube.com/watchv=tNfc27ED-Rg
BWV 756 - Nun ruhen alle Wälder

https://www.youtube.com/watchv=o9M1mM2WAh8

BWV 757 - O Herre Gott, dein göttlich's Wort

https://www.youtube.com/watchv=loHNSvtbPvo

BWV 758 - O Vater, allmächtiger Gott

https://www.youtube.com/watchv=qJsLfdvJkTk&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=29

BWV 759 - Schmücke dich, o liebe Seele (spuria, di Gottfried August Homilius)

https://www.youtube.com/watchv=NGeYQxO969c

BWV 760 - Vater unser im Himmelreich (spuria, di Georg Böhm)

https://www.youtube.com/watchv=VzZGUCmz6sE

BWV 761 - Vater unser im Himmelreich (spuria, di Georg Böhm)

https://www.youtube.com/watchv=AeSa3D-Kasc

BWV 762 - Vater unser im Himmelreich

https://www.youtube.com/watchv=JP4kf_wDTFs

BWV 763 - Wie schön leuchtet der Morgenstern

https://www.youtube.com/watchv=ssl3tFAMdOA

BWV 764 - Wie schön leuchtet der Morgenstern

https://www.youtube.com/watchv=U67kLRMOh6I&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=30

Partite e variazioni sui corali

https://www.youtube.com/watchv=XiG8AGn5Qz8

BWV 765 - Wur glauben all'an einen Gott (spuria)

https://www.youtube.com/watchv=LT4V6fp1wO0&list=PLD20EA45A2B7879FE&index=31

BWV 766 - Christ, der du bist der helle Tag


https://www.youtube.com/watchv=7rG0qcAwU9g

Melodia: Erasmus Alberus


Organico: organo
Composizione: prima del 1708
Edizione: Peters, Lipsia, 1846

Guida all'ascolto (nota 1)

Ai primi anni dell'attività di Bach, al suo periodo di lavoro ad Arnstadt (1703-1707) risalgono tre
serie di Partite su corali (BWV 766-768) che mostrano molto bene come, fin dall'inizio, pur
rispettando gli obblighi liturgici, tendesse a privilegiare i problemi della tecnica e del linguaggio
musicale e puntasse perciò a ricavare il più ampio spazio di autonomia per il suo lavoro di
compositore. Più Bach acquistava esperienza, e più il dettato dei corali o le esigenze di una
singola festività diventavano per lui il pretesto per scrivere musica liberamente, non il binano
fisso di una condotta predeterminata.

La concezione delle Partite, da questo punto di vista, è emblematica, perché ciascuna parte da un
testo religioso in versi e quasi lo commenta, seguendolo strofa per strofa, ma poi ciascuna mette
in rilievo uno specifico problema musicale e, attraverso il metodo della variazione su tema, dopo
avere iniziato dal corale se ne allontana, seguendo il corso di una parabola che trova il suo punto
di massima autonomia più o meno al centro del percorso d'insieme.

La prima serie, Christ, der du bist der nelle Tag (BWV 766), comprende per esempio sette
Partite, in corrispondenza alle sette strofe di un cantico di Erasmus Alberus del 1556. L'inizio si
limita ad armonizzare il corale, mentre con la seconda partita Bach già si allontana dallo spunto,
dando maggiore autonomia alla condotta del basso. Fra la terza e la quarta partita si tocca il
punto di maggiore allontanamento dal tema iniziale, che viene reso e interpretato in senso
espressivo (n. 3), quindi trasformato in un semplice spunto di tecnica tastieristica (n. 4). Ai
manuali dell'organo si limitano anche le due partite successive, la n. 5 e la n. 6, l'una più distesa
e "preludiante", l'altra più energica e danzante. Nell'ultima partita l'intervento del pedale assume
quasi una funzione citazionistica dato che, nel contesto di una composizione più "leggera", esso
consente non solo di irrobustire la trama musicale, ma di richiamare un'antica tecnica del
contrappunto, quella dell'hochetus, cioè delle voci che si alternano interrompendosi a vicenda. Il
suo impiego si inserisce qui come un voluto arcaismo e come un tocco di pretenziosa eleganza
che corregge, per così dire, l'understatement della composizione, rendendo omaggio alla vetustà
del testo liturgico di riferimento.

Stefano Catucci

BWV 767 - O Gott, du frommer Gott

https://www.youtube.com/watchv=l1e0Oy00h2M

Organico: organo
Composizione: prima del 1708
Edizione: Peters, Lipsia, 1846
Guida all'ascolto (nota 1)

Agli anni giovanili di Bach risalgono tre serie di partite su corali, esperienze centrali per uno
stile che si evolveva e andava acquistando personalità a mano a mano che si sviluppava il
confronto con i modelli antichi e recenti dell'arte organistica tedesca.

La pratica di realizzare composizioni di questo genere per strumento a tastiera su temi di corale
era stata molto sviluppata da autori come Georg Böhm e come Johann Pachelbel: Bach aveva
studiato le opere di quest'ultimo fin dai primi anni della sua formazione, mentre con Böhm era
entrato in contatto diretto a Lüneburg, divenendone probabilmente allievo fra il 1700 e il 1703.
Se però a questa pratica i suoi predecessori avevano impresso il carattere di un esercizio
domestico, tanto che le loro composizioni di questo tipo erano destinate al clavicembalo, Bach
integrò la loro lezione con quella di altri modelli, non solo tedeschi, e soprattutto trasferì
l'elaborazione delle partite all'organo, cioè in un contesto maggiormente legato all'esecuzione
pubblica e all'uso liturgico, ovvero trasportandole in quell'orizzonte religioso che per lui
rappresentava l'unico appiglio della ricerca di perfezione formale. L'origine clavicembalistica
delle partite si avverte ancora nel carattere scarno della scrittura, con un uso del pedale molto
moderato e riservato, per lo più, solo agli ultimi brani di ogni serie.

Quella delle Nove partite sul corale O Gott, du frommer Gott BWV 767 è l'ultima e la più
elaborata delle tre. Il numero nove corrisponde in questo caso alle strofe dell'inno religioso di
Johann Heermann da cui il ciclo prende il nome, e di cui Bach tenta di dare una sorta di
interpretazione musicale, come comunemente si ritiene a partire dall'adesione della Partita n. 8,
con il suo accentuato cromatismo, al tono di lamento che è evocato nel testo. Il corale
armonizzato serve così da base a una serie di variazioni contrappuntistiche nelle quali il soggetto
viene di volta in volta ampliato, diminuito, integrato da figurazioni e controsoggetti che ne
modificano di continuo la fisionomia. Bach dà anche prova di intendere il lavoro stesso della
variazione in modo nuovo, prendendo come riferimento non solo il tema del corale, ma anche le
metamorfosi cui egli stesso l'aveva sottoposto. Così è per esempio nel corpo centrale della
composizione, cioè nelle Partite che vanno dal n. 3 al n. 7, che sembrano derivare l'una dall'altra.
Le ultime due, le più complesse, obbediscono a criteri formali differenti: la n. 8, più espressiva, è
costruita infatti per lo più sulla ricerca dei rapporti armonici; la n. 9, più ampia, presenta invece
una molteplicità di effetti coloristici e un accostamento tanto vario di andamenti da aver
giustificato l'ipotesi che Bach volesse intenderla come una sorta di ricapitolazione conclusiva del
testo di Heermann.

Stefano Catucci

BWV 768 - Sei gegrüßet, Jesu gütig

https://www.youtube.com/watchv=seFBz-Cxkxw

Melodia: Gottfried Vopelius


Organico: organo
Composizione: 1710 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1846
Guida all'ascolto (nota 1)

Questa composizione appartiene al gruppo delle «Choralvariatibnen». Contrariamente ai primi


due gruppi (che portano come denominazione quella di «Partite diverse sopra: Christ, der du bist
der helle Tag» e «Partite diverse sopra: O Gott, du frommer Gott»), il terzo gruppo è qualificato
con il seguente titolo: «Sei gegrüsset, Jesu gütig (a diverse Partite)». In quest'ultimo caso, il
termine «partita» figura, oltre a tutto, soltanto nel titolo, dal momento che la composizione
prevede la successione del Corale e di undici Variazioni.

La prima Variazione è caratterizzata dalla mobile enunciazione tematica esposta dalla mano
sinistra.

La seconda Variazione ripropone la linea melodica del Corale, intorno alla quale si muove con
fluida scorrevolezza il gioco contrappuntistico (secondo un procedimento che avrà larga
influenza sulle convenzioni formali praticate dai compositori, posteriori a Bach).

La terza Variazione impone una diversione brillante e decorativa.

La quarta Variazione riprende l'associazione fra la lenta scansione del Corale e la mobile
scorrevolezza delle fioriture contrappuntistiche.

La quinta Variazione (a due tastiere, secondo quanto raccomanda il testo originale) presenta,
nella parte grave, una fioritura contrappuntistica ancor più elaborata.

La sesta Variazione (anche questa a due tastiere, secondo il testo originale) rappresenta una delle
più significative invenzioni contrappuntistiche realizzate da Bach. La multidifferenziata struttura
oppone al tema del Corale, potentemente enunciato dal «pedale», due dialoganti intrecci fra le
due tastiere.

La settima Variazione riporta il tema alla parte superiore, in un episodio condizionato dal fluido
movimento dei contrappunti.

L'ottava Variazione impone l'uso del «pedale» obbligato, intorno al quale si dispone l'agile
scrittura delle parti superiori.

La nona Variazione (a due tastiere e pedale, secondo quanto dispone il testo originale) è
caratterizzata da una contrapposizione imitata delle parti estreme, al centro delle quali si dispone
l'austera cantabilità del tema.

La decima Variazione (ancora a due tastiere e pedale, secondo la lezione originale) contrappone,
all'usuale mobilità deicontrappunti, una struttura sostanzialmente «armonica», entro la quale si
produce una doppia variazione del Corale.

L'undicesima ed ultima Variazione («a 5 voci, in Organo Pieno») è sostanziata da una densa
sovrapposizione delle cinque linee contrappuntistiche dominate dalla riproposta del tema
BWV 769 - Variazioni canoniche

https://www.youtube.com/watchv=u4saAbmVSjI

Melodia: Martin Lutero dal canto popolate "Aus fremden Landen komm ich her"
Organico: organo
Composizione: 1747
Edizione: B. Schmidt, Norimberga, 1748 circa

Guida all'ascolto (nota 1)

Le Variazioni canoniche BWV 769 sono una delle ultime isole di culto per gli adepti della setta
bachiana, uno dei suoi ultimi capolavori incontaminati. Come più tardi L'arte della fuga, anche le
Variazioni canoniche nascono come una sorta di dissertazione teorica destinata alla Società di
Scienze Musicali fondata a Lipsia da un suo allievo, Lorenz Mizler, sul modello delle
Accademie delle Scienze che stavano proliferando nel clima dell'illuminismo tedesco di quel
periodo. Si tratta dunque di una composizione dal forte intento speculativo e che risponde a un
compito specifico: elaborare una costruzione di rigorosissima concezione contrappuntistica a
partire da una semplice melodia di chiesa. Inoltre, come nel caso dell'Offerta musicale,
praticamente contemporanea alle Variazioni canoniche, anche in questo caso la riflessione di
Bach non si limita all'applicazione di una tecnica a un materiale, dunque del contrappunto alla
melodia di chiesa, ma si spinge fino al punto di fusione nel quale quei due aspetti, pur restando
analiticamente distinti, danno vita a un organismo nuovo, a un'opera compatta che aspira a
presentarsi come un fenomeno musicale puro, privo di motivazioni esterne e di limiti
convenzionali, come potevano essere le circostanze concrete dell'esecuzione e dell'ascolto in
pubblico.

Scritte nel 1747, le Variazioni canoniche vennero pubblicate a ridosso della composizione
dall'editore Balthasar Schmid di Norimberga. Oltre alla versione a stampa, tuttavia, se ne
conoscono altre tre versioni, l'ultima delle quali differisce dall'edizione pubblicata
sostanzialmente per l'ordine in cui le variazioni sono collocate.

Il tema chiesastico che fornisce lo spunto al lavoro è un canto di Natale, Vom Himmel hoch da
komm ich her, già trattato da Bach nel corale n. 8 dell'Orgelbüchlein (BWV 606), nell'Oratorio
di Natale e in altre due elaborazioni (BWV 700-701) che molti considerano quasi una prova
generale in vista del lavoro alle Variazioni canoniche. Il tema, iscritto nel Gesangbuch della
liturgia protestante da Lutero, deriva da una canzone popolare (Aus fremden Landen komm ich
her) che accentua non solo la semplicità, ma anche il carattere orecchiabile della melodia. Le
cinque variazioni, al contrario, sono disposte in ordine di difficoltà crescente:
Variazione 1 - canone all'ottava, a tre voci, con il cantus firmus (la melodia) al pedale
Variazione 2 - canone alla quinta, a tre voci, sempre con la melodia al pedale
Variazione 3 - canone alla settima, a quattro voci, con il cantus firmus nella parte superiore (al
soprano), e con la parte intermedia (contralto) che svolge una libera fantasia
Variazione 4 - canone all'ottava, a quattro voci, per augmentationem, con una straordinaria
complessità di elaborazione che assegna al contralto, come nella Variazione precedente, un
disegno autonomo, qui ancora più serrato nella sua fantasia contrappuntistica
Variazione 5 - canone a tre e quattro voci per moto contrario, con quattro diverse forme di
realizzazione e con molteplici figure di condensazione, allargamento e ornamentazione del tema
in canoni di grado differente.

Come nelle altre opere speculative di Bach, non si deve credere però che lo spirito matematico e
l'attento calcolo delle proporzioni assorbano completamente l'attenzione del musicista, facendo
sfilare in secondo piano la ricerca della bellezza. Nell'opera di Bach, infatti, questi due aspetti
non possono essere separati e vengono anzi ricondotti a un unico presupposto, quello
dell'armonia che regge sia le tavole delle leggi musicali, sia il mondo degli affetti e
dell'espressione. Tutti questi elementi sono legati in un ordine universale riconducibile per un
verso alla sfera della fede, per un altro a quel mondo della vita quotidiana che dalla fede riceve
luce, ma che continua dal canto suo ad animarla per mezzo della realtà dei sentimenti che vi
prendono corpo.

Stefano Catucci

BWV 770 - Ach, was soll ich Sünder machen (spuria)

https://www.youtube.com/watchv=D39fHlLyffo

BWV 771 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr' (spuria, forse di Andreas Nicolaus Vetter)

https://www.youtube.com/watchv=ZRPl8kPms_4

Melodia: Martin Lutero dal canto popolate "Aus fremden Landen komm ich her"
Organico: organo
Composizione: 1747
Edizione: B. Schmidt, Norimberga, 1748 circa

Guida all'ascolto (nota 1)

Le Variazioni canoniche BWV 769 sono una delle ultime isole di culto per gli adepti della setta
bachiana, uno dei suoi ultimi capolavori incontaminati. Come più tardi L'arte della fuga, anche le
Variazioni canoniche nascono come una sorta di dissertazione teorica destinata alla Società di
Scienze Musicali fondata a Lipsia da un suo allievo, Lorenz Mizler, sul modello delle
Accademie delle Scienze che stavano proliferando nel clima dell'illuminismo tedesco di quel
periodo. Si tratta dunque di una composizione dal forte intento speculativo e che risponde a un
compito specifico: elaborare una costruzione di rigorosissima concezione contrappuntistica a
partire da una semplice melodia di chiesa. Inoltre, come nel caso dell'Offerta musicale,
praticamente contemporanea alle Variazioni canoniche, anche in questo caso la riflessione di
Bach non si limita all'applicazione di una tecnica a un materiale, dunque del contrappunto alla
melodia di chiesa, ma si spinge fino al punto di fusione nel quale quei due aspetti, pur restando
analiticamente distinti, danno vita a un organismo nuovo, a un'opera compatta che aspira a
presentarsi come un fenomeno musicale puro, privo di motivazioni esterne e di limiti
convenzionali, come potevano essere le circostanze concrete dell'esecuzione e dell'ascolto in
pubblico.
Scritte nel 1747, le Variazioni canoniche vennero pubblicate a ridosso della composizione
dall'editore Balthasar Schmid di Norimberga. Oltre alla versione a stampa, tuttavia, se ne
conoscono altre tre versioni, l'ultima delle quali differisce dall'edizione pubblicata
sostanzialmente per l'ordine in cui le variazioni sono collocate.

Il tema chiesastico che fornisce lo spunto al lavoro è un canto di Natale, Vom Himmel hoch da
komm ich her, già trattato da Bach nel corale n. 8 dell'Orgelbüchlein (BWV 606), nell'Oratorio
di Natale e in altre due elaborazioni (BWV 700-701) che molti considerano quasi una prova
generale in vista del lavoro alle Variazioni canoniche. Il tema, iscritto nel Gesangbuch della
liturgia protestante da Lutero, deriva da una canzone popolare (Aus fremden Landen komm ich
her) che accentua non solo la semplicità, ma anche il carattere orecchiabile della melodia. Le
cinque variazioni, al contrario, sono disposte in ordine di difficoltà crescente:
Variazione 1 - canone all'ottava, a tre voci, con il cantus firmus (la melodia) al pedale
Variazione 2 - canone alla quinta, a tre voci, sempre con la melodia al pedale
Variazione 3 - canone alla settima, a quattro voci, con il cantus firmus nella parte superiore (al
soprano), e con la parte intermedia (contralto) che svolge una libera fantasia
Variazione 4 - canone all'ottava, a quattro voci, per augmentationem, con una straordinaria
complessità di elaborazione che assegna al contralto, come nella Variazione precedente, un
disegno autonomo, qui ancora più serrato nella sua fantasia contrappuntistica
Variazione 5 - canone a tre e quattro voci per moto contrario, con quattro diverse forme di
realizzazione e con molteplici figure di condensazione, allargamento e ornamentazione del tema
in canoni di grado differente.

Come nelle altre opere speculative di Bach, non si deve credere però che lo spirito matematico e
l'attento calcolo delle proporzioni assorbano completamente l'attenzione del musicista, facendo
sfilare in secondo piano la ricerca della bellezza. Nell'opera di Bach, infatti, questi due aspetti
non possono essere separati e vengono anzi ricondotti a un unico presupposto, quello
dell'armonia che regge sia le tavole delle leggi musicali, sia il mondo degli affetti e
dell'espressione. Tutti questi elementi sono legati in un ordine universale riconducibile per un
verso alla sfera della fede, per un altro a quel mondo della vita quotidiana che dalla fede riceve
luce, ma che continua dal canto suo ad animarla per mezzo della realtà dei sentimenti che vi
prendono corpo.

Stefano Catucci

Composizioni per clavicembalo

Invenzioni a due e tre voci

https://it.wikipedia.org/wiki/Invenzioni_e_Sinfonie_di_Johann_Sebastian_Bach

https://www.youtube.com/watchv=cTU5UPhOVtI

https://www.youtube.com/watchv=31r5ZgWeC0o

https://www.youtube.com/watchv=Er0jHX6qJl0
https://www.youtube.com/watchv=_bL7oyuqEwA

https://www.youtube.com/watchv=cYSuldtdpLA

Organico: clavicembalo
Composizione: 1720 - 1723
Edizione: Hoffmeister & Kühnel, Lipsia, 1801

Guida all'ascolto (nota 1)

La maggior parte delle opere strumentali di Johann Sebastian Bach fu composta dall'autore nel
corso della sua permanenza a Köthen, fra il 1717 e il 1723. Bach rivestiva la carica di maestro di
cappella presso la corte del principe Leopold di Anhalt-Köthen, ed era esonerato dalla
produzione religiosa a causa della fede calvinista del principe (la liturgia calvinista concedeva
alla musica un ruolo estremamente limitato). La sua attività professionale era dunque rivolta
esclusivamente all'ambiente di corte, all'orchestra (il Collegium musicum) ed a singoli solisti,
strumentisti di eccellente qualità, quali del resto si convenivano ad un mecenate, squisito
intenditore e musicista egli stesso, come il principe Leopold.

Tuttavia, non tutta la musica strumentale del periodo di Köthen venne destinata alla corte.
Accanto alla produzione "ufficiale" - e probabilmente proprio perché sollevato da incarichi
liturgici - Bach trovò il tempo di dedicare un vasto numero di composizioni al circolo familiare,
coltivando e sviluppando quella vocazione precettistica che si sarebbe poi ancora manifestata in
maniera sistematica dopo il trasferimento a Lipsia del 1723.1 primi figli, avuti dal matrimonio
con Maria Barbara - e fra questi converrà ricordare almeno il primogenito Wilhelm Friedemann,
il figlio "scapestrato", responsabile della dispersione di buona parte del lascito paterno; e il
secondogenito Carl Philipp Emanuel, destinato ad imporsi come uno degli artisti sommi della
sua epoca - nonché anche la stessa seconda moglie Anna Magdalena, musicista sensibile,
poterono così avvantaggiarsi nel loro studio e nel loro perfezionamento musicale di una vasta
messe di brani cembalistici, pensati espressamente per la loro maturazione professionale e
amatoriale.

A questo gruppo di opere appartengono anche le quindici Invenzioni a due voci BWV 772-786 e
le quindici Sinfonie a tre voci BWV 787-801 (spesso impropriamente dette anch'esse
Invenzioni). Sia le Invenzioni che le "Sinfonie" sono state tramandate in due differenti
manoscritti autografi, il Klavier-Büchlein vor Wilhelm Friedemann Bach (contenente molti altri
brani destinati al primogenito) e il cosiddetto autografo "BB P 610" (riservato esclusivamente
alle Invenzioni e Sinfonie). Le principali differenze fra le due fonti risiedono nella diversa
denominazione delle raccolte (nel Klavier-Büchlein le Invenzioni sono definite Praeambula e le
Sinfonie invece Fantasie) e nel diverso ordine dei singoli brani.

Fonte principale è comunque considerata l'autografo "BB P 610", la cui intestazione, di mano di
Bach, è illuminante sul contenuto e sulle intenzioni delle due raccolte:
Guida veridica,
mediante la quale si indica ai dilettanti della tastiera, ma specialmente a coloro i quali sono
desiderosi di apprendere, un metodo chiaro, non soltanto per imparare a suonare correttamente a
2 voci, ma anche con ulteriori progressi a procedere giustamente e bene a 3 "parti obbligate", e
inoltre a ottenere al tempo stesso non solo delle buone inventiones, ma anche a ben eseguirle, e
soprattutto ad acquisire nell'esecuzione una maniera cantabile e inoltre ad impadronirsi sin
dall'inizio di un solido gusto nei confronti della composizione.

In sostanza ci troviamo di fronte a brani che guidano i principianti figli di Bach nella progressiva
maturazione della tecnica tastieristica; ed in questo senso le due raccolte, pensate non per un
astratto discente, ma per la crescita della dotatissima prole del compositore, hanno acquisito col
tempo un valore universale, diventando passaggio obbligato praticamente per ogni pianista in
erba che si sia accostato alla tastiera, in un arco temporale che va dalla metà circa del secolo
scorso ai nostri giorni, e, verosimilmente, per i secoli venturi.

Ma c'è anche un secondo fine delle composizioni (ben emergente dalla intestazione sopra
riportata), quello di educare alla composizione, alla costruzione del discorso musicale. Per
questo il contenuto musicale delle due raccolte è solo apparentemente omogeneo, come d'altra
parte suggerisce anche l'ambiguità terminologica sopra ricordata. La forma è sempre nitida ed
essenziale (predomina quella bipartita A-A', o quella tripartita A-A-B), la scrittura prevalente è
quella ad imitazioni. Nel caso delle Invenzioni - che ovviamente sviluppano una polifonia a due
voci - si trovano fughette a due voci (nn.10, 15), canoni all'ottava (nn. 2, 8), contrappunto doppio
(nn. 6, 7,13) e via dicendo.

L'ordinamento dei quindici brani segue una logica tonale ascendente e secondo la coppia
maggiore-minore (ossia: do maggiore, do minore, re maggiore, re minore, mi bemolle maggiore,
mi maggiore, mi minore, fa maggiore, fa minore, sol maggiore, sol minore, la maggiore, la
minore, si bemolle maggiore, si minore). E, soprattutto, per l'ascoltatore di oggi, vale la realtà
che queste miniature didattiche, nella loro studiatissima costruzione e definizione tecnica,
assumono poi di volta in volta le differenti forme di una fantasia creativa continuamente
mutevole, dove ars e scientia si congiungono con esiti di superiore consapevolezza.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

L'intento didascalico, nel senso più elevato del termine, non può mai essere disgiunto dalla
pratica musicale di Bach. Nella sua immensa umiltà di fronte alla propria professione, questo
sommo artigiano della musica, concepì sempre la composizione come forma altissima di
apprendistato, proprio e del fruitore, e, in altri termini, di esplorazione e di scoperta della
perfezione divina nel cosmo sonoro. Esistono tuttavia, nel Catalogo bachiano, opere
spiccatamente didattiche, scritte cioè per facilitare l'apprendimento della musica e da lui
destinate, per lo più, ai propri figli. Ma basterà citare il "Clavicembalo ben temperato" per
dimostrare che anche queste appartengono al vertice della produzione bachiana. Si può anzi
affermare che con esse Bach abbia creato il moderno genere della musica didattica creativa alla
quale daranno altissimi contributi Chopin, Debussy, Bartók, per limitarsi ad alcuni nomi. Nella
produzione clavicembalistica bachiana occorre distinguere tra le opere scritte a Weimar e a
Köthen e quelle scritte dopo il trasferimento a Lipsia. Sono quelle del primo periodo che sono
legate allo studio del clavicembalo in casa Bach. Oltre al "Clavicembalo ben temperato"
appartengono a questo gruppo le Suites, i Piccoli Preludi per principianti, le Invenzioni e le
Sinfonie. Buona parte di esse furono scritte in epoche diverse e poi riunite organicamente
dall'autore. Invenzioni e Sinfonie, ad esempio (di alcune conosciamo fino a tre versioni
autografe e autografate) ebbero titoli diversi (preludi, preamboli, fantasie). La ragione è
semplice: se per la suite Bach si rifaceva a modelli codificati, non altrettanto può dirsi per queste
pagine di genere affatto nuovo.

Il termine "invenzione" era stato usato da alcuni autori italiani proprio per indicare opere di
libera creazione, simili al capriccio. Bach lo adottò soltanto per le composizioni a due voci,
mentre per quelle a tre preferì usare "sinfonie". Ambedue le serie ebbero definitivo
riordinamento nel 1723 (l'ultimo anno di Köthen) in un manoscritto che reca la seguente
premessa autografa:

"Guida veridica, mediante la quale si indica ai dilettanti della tastiera... un metodo chiaro, non
soltanto per imparare a suonare correttamente a due voci, ma anche, con ulteriori progressi, a
procedere giustamente e bene a 3 parti obbligate, e inoltre ad ottenere non solo delle buone
ìnventiones, ma anche a ben eseguirle, e soprattutto ad acquistare nell'esecuzione una maniera
cantabile e ad impadronirsi di un solido gusto nei confronti della composizione".

E' evidente da queste parole l'intenzione di Bach di non limitarsi all'insegnamento della pratica
strumentale, ma di estenderlo a quello della pratica compositiva. Le quindici composizioni a due
voci sono ordinate per tonalità (do, maggiore e minore, re, maggiore e minore, mi bem.
maggiore, mi, maggiore e minore, fa, maggiore e minore, sol, maggiore e minore, la, maggiore e
minore, si bemolle maggiore, si minore). Quanto alle forme sono, come si è detto libere. Vi sono
canoni all'ottava (2 e 8), piccole fughe (10 e 15), contrappunti doppi (6, 7, 13). Ma il tutto si
articola in un ideale itinerario esplorativo del mondo sonoro che fa di queste trenta pagine
(comprensive delle quindici sinfonie, che rispecchiano come tonalità l'ordinamento delle
invenzioni) un unicum creativo che va molto al di là della normale utilizzazione scolastica a cui
sono state per tanti anni condannate.

Bruno Cagli

BWV 772 - Invenzione n. 1 in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=R4IzqJtD4dM

BWV 773 - Invenzione n. 2 in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=XCh0k-jsCiY

BWV 774 - Invenzione n. 3 in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=whfkzyoRau8

BWV 775 - Invenzione n. 4 in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=htdLd0B1WsU

BWV 776 - Invenzione n. 5 in Mi♭ maggiore


https://www.youtube.com/watchv=1Eya7xi4GoU

BWV 777 - Invenzione n. 6 in Mi maggiore

https://www.youtube.com/watchv=t8b7InFj-YI

BWV 778 - Invenzione n. 7 in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=iI5lzwX785Y

BWV 779 - Invenzione n. 8 in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=OqONVKHqYck

BWV 780 - Invenzione n. 9 in Fa minore

https://www.youtube.com/watchv=1ytvth9cXeo

BWV 781 - Invenzione n. 10 in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=jVHqIK13-nk

BWV 782 - Invenzione n. 11 in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=leoAVHV5Hdo

BWV 783 - Invenzione n. 12 in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=yiBVYoHNYKs

BWV 784 - Invenzione n. 13 in La minore

https://www.youtube.com/watchv=yUojj0YIN14

BWV 785 - Invenzione n. 14 in Si♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=swFHaYjsXq8

BWV 786 - Invenzione n. 15 in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=tSfoY7R9Tcg

BWV 787 - Sinfonia n. 1 in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=0YsHo4-HLlM
BWV 788 - Sinfonia n. 2 in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=4nOY7cvHFcI

BWV 789 - Sinfonia n. 3 in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=NTcEQNgJ7QE

BWV 790 - Sinfonia n. 4 in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=yB53rd_nFBQ

BWV 791 - Sinfonia n. 5 in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=aP9Frwfjp9s

BWV 792 - Sinfonia n. 6 in Mi maggiore

https://www.youtube.com/watchv=QfxkgSF7gxE

BWV 793 - Sinfonia n. 7 in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=0UUnmbJ10pQ

BWV 794 - Sinfonia n. 8 in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=nAr8Tan9Hck

BWV 795 - Sinfonia n. 9 in Fa minore

https://www.youtube.com/watchv=zpoESQ2TcXU

BWV 796 - Sinfonia n. 10 in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=AuMfDJKkvM4

BWV 797 - Sinfonia n. 11 in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=ZTSThtTC454

BWV 798 - Sinfonia n. 12 in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=8w9Z8hM-WLY

BWV 799 - Sinfonia n. 13 in La minore

https://www.youtube.com/watchv=jNCS8fxZCeU
BWV 800 - Sinfonia n. 14 in Si♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=oj8FLQdnIuk

BWV 801 - Sinfonia n. 15 in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=tcMXIc3Jtno

Duetti

https://it.wikipedia.org/wiki/Quattro_duetti

https://www.youtube.com/watchv=OTHkGHoWBj4

https://www.youtube.com/watchv=Q_bhk6DfLlo

BWV 802 - Duetto in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=XJDb00Go7vE

BWV 803 - Duetto in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=Dy_7dXtdPzc

BWV 804 - Duetto in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=7Dc3en1ntpM

BWV 805 - Duetto in La minore

https://www.youtube.com/watchv=UeXbygrzXrQ

Partite, suite ed altre danze

Suite inglesi

https://it.wikipedia.org/wiki/Suite_inglesi

https://www.youtube.com/watchv=WfdjHyciN3E

https://www.youtube.com/watchv=cOr74wVsTJw

https://www.youtube.com/watchv=jr3njXmoI3A&list=PLfdMKJMGPPtzu2S217IakS8fu2lMQF
Ne8
BWV 806 - Suite inglese n. 1 in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=VcQ_Qyat7Ko

Prélude
Allemande
Courante I
Courante II
Double I
Double II
Sarabande
Bourrée I
Bourrée II (la minore)
Gigue

Organico: clavicembalo
Composizione: 1720 - 1722
Edizione: Hoffmeister & Kühnel, Lipsia, 1805
Guida all'ascolto (nota 1)

La maggior parte della produzione di Francois Couperin, il grande contemporaneo francese di


Bach, consiste in oltre duecento danze per clavicembalo, raggruppate in ventisette Ordres,
ognuno diverso dall'altro per il tipo, la disposizione e la quantità dei pezzi inclusi. Le danze per
clavicembalo di Bach, che costituiscono una parte cospicua ma non preponderante della sua
musica, sono ordinatamente raccolte in tre serie costituite ciascuna da sei Suites, ognuna delle
quali a sua volta si basa sulle stesse quattro danze fondamentali, sempre disposte nella stessa
successione di Allemande, Courante, Sarabande e Gigue, eventualmente con uno o due altri
movimenti, mai aggiunti però in modo casuale ma sempre secondo un progetto ben preciso.

Questo differente ordinamento rivela una differenza più profonda. In Couperin all'assenza d'una
rigida normativa per l'ordinamento delle pièces de clavecin corrispondono la libertà formale, la
varietà degli stimoli, l'estro delle invenzioni e l'eleganza dell'ornamentazione. Bach invece porta
anche nelle musiche di danza la sua mistica del numero, la sua razionalità, la sua sistematicità e
la sua concezione della musica come scientia, ovvero l'esatto contrario della musica come diletto
dei sensi, quale l'intendeva il Settecento. Di questa trasposizione della danza su un piano
spirituale e quasi mistico sarebbe testimonianza anche l'adozione d'un disegno preordinato
individuato dagli studiosi nella distribuzione delle tonalità delle sei Suites inglesi, che sono
(nell'ordine) in la maggiore, la minore, sol minore, fa maggiore, mi minore e re minore: questa
successione corrisponde esattamente alle note iniziali del corale Jesu, meine Freude.

Trovare tale simbolismo religioso in una musica di danza può sorprendere e disorientare, ma
Bach non faceva alcuna differenza teorica tra musica sacra e musica profana. Questo non esclude
affatto la sua perfetta consapevolezza delle differenze stilistiche tra l'una e l'altra, anzi gran parte
della sua produzione può essere considerata proprio un'esemplificazione sistematica ed
esauriente di tutti i diversi stili, delle loro caratteristiche, delle loro applicazioni e delle loro
destinazioni. Si può quindi affermare che Bach inquadrava anche la musica profana nella sua
concezione profondamente religiosa della vita e dell'operare artistico, ma d'altra parte ne
riconosceva le autonome caratteristiche e non la considerava in nessun modo subordinata alla
musica sacra, altrimenti non avrebbe affermato che i sei anni (dal 1717 al 1723) trascorsi a
Köthen come Kapellmeister del principe Leopold di Anhalt furono i più felici della sua vita, sia
sul piano personale che artistico, pur non avendo potuto comporre una sola nota di musica sacra,
in quanto il principe seguiva la confessione calvinista, dalle cui funzioni religiose la musica era
quasi totalmente bandita. Invece in quegli anni compose buona parte della sua musica da camera
e da concerto, prediligendo in modo particolare la musica "di danza" (le virgolette sono
d'obbligo): anche le sei Suites inglesi furono composte per l'uso della corte di Köthen (non è
nota la data esatta, ma probabilmente tra il 1720 e il 1722).

L'origine e il senso del titolo di questa raccolta sono misteriosi. L'autografo di Bach è
scomparso, ma sul frontespizio d'una copia della prima Suite qualcuno ha aggiunto la scritta
«fait pour les Anglois», e tanto è bastato al primo biografo di Bach, Johann Nikolaus Forkel, per
sostenere troppo sbrigativamente che fossero tutte destinate a un gentiluomo inglese. È
comunque certo che non bisogna vedere in questo titolo nessun riferimento a inesistenti caratteri
stilistici inglesi: le differenze tra questa raccolta e le sei quasi contemporanee Suites francesi
consistono soltanto nel loro impianto costruttivo più omogeneo e unitario, nelle loro più ampie
dimensioni (evidenziate anche dalla presenza dei Préludes, aggiunti probabilmente in un secondo
momento) e nelle loro maggiori richieste tecniche (sono chiaramente pensate per un
clavicembalo a due tastiere, mentre le Suites francesi si adattano perfettamente al più intimo
clavicordo).

La Suite inglese n. 1 in la maggiore, BWV 806, è la più grandiosa e complessa, non però per
quel che riguarda il Prélude, il più breve di tutta la raccolta: riprende il tema d'una giga del
francese Charles Dieupart e si sviluppa in modo disteso e costante, senza sbalzi né interruzioni. I
movimenti che seguono sono musica di danza altamente stilizzata: delle antiche danze d'origine
popolare, già da tempo sgrossate ed elevate all'uso delle corti, non resta quasi altro che il tempo
caratteristico d'ognuna, oltretutto spesso obnubilato dal fitto tessuto contrappuntistico che
l'avvolge.

Nell'Allemande, con andamento moderato ma scorrevole, i quattro tempi della battuta formano
la base d'un movimento ampio e continuo, mentre la Courante si svolge con un ritmo più
complesso, perché i suoi sei tempi possono essere raggruppati in tre gruppi di due o in due
gruppi di tre, introducendo un'instabilità ritmica sorprendente. In più questa Courante ha una
struttura particolarmente complessa e quasi unica. Si tratta in realtà di due Courantes successive,
ognuna delle quali (come tutte le danze di tutte le suites) era divisa a sua volta in due parti che
dovevano essere ripetute, naturalmente con le variazioni e gli abbellimenti improvvisati
dall'esecutore per evitare la monotonia d'una ripetizione identica: la singolarità è che in questo
caso Bach stesso ha voluto scrivere di proprio pugno non uno ma due Doubles (cioè ripetizioni
variate) per la seconda Courante, così incrementando fino al limite massimo le ricche fioriture
d'ascendenza francese tipiche della musica di danza.

La Sarabande ha l'andamento maestoso e severo proprio di questa danza, ma adotta uno stile
recitativo che la libera dalle costrizioni del ritmo prestabilito, quasi agganciandola a certe ardite
Fantasie di Bach per l'alternanza di passaggi melismatici e di durezze armoniche, sempre però
sotto il segno d'una rigorosa condotta contrappuntistica.
La Bourrée è una di quelle danze, definite galanteries, che venivano talvolta aggiunte alle quattro
da cui era formato lo schema di base della suite: qui le Bourrées sono in realtà due, di cui la
seconda costituisce l'alternative, deve cioè essere eseguita tra due ripetizioni della prima,
evitando ogni rischio di schematicità e di ripetitività con la diversa tonalità (la prima è in
maggiore, la seconda in minore) e con la saporita idea d'un accompagnamento ossessivo che
oscilla tra registro grave e acuto.

Il ritmo dinamico della Gigue trova ulteriormente slancio negli svolgimenti fugati, concludendo
degnamente questa suite dalla struttura ampia ma sottile, elegante ma solida.

Mauro Mariani

BWV 807 - Suite inglese n. 2 in La minore

https://www.youtube.com/watchv=0Xjkx5i6XV0

Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Bourrée I
Bourrée II (la maggiore)
Gigue

Organico: clavicembalo
Composizione: 1720 - 1722
Edizione: Hoffmeister & Kühnel, Lipsia, 1805
Guida all'ascolto (nota 1)

L'appellativo di «Inglesi» attribuito a un gruppo di sei Suites per clavicembalo (come per il
gruppo parallelo di Suites «Francesi») ha origine controversa e con ogni probabilità non è
dovuto a Bach. In particolare la denominazione di Suites Inglesi risale a Johann Nikolaus Forkel
che nella sua monografia bachiana (1802) le affermò composte dietro invito di un ricco dilettante
inglese. Studiosi più moderni (Sanford Terry e Parry) vedono invece la spiegazione nel Preludio
della prima Suite che è basato su una Giga di Charles Dieupart assai stimato in Inghilterra come
insegnante e compositore; l'espressione «fait pour les Anglois» che compare in testa alla prima
Suite in uno dei primi manoscritti è stata probabilmente estesa erroneamente a tutto il complesso
delle sei Suites.

Non ne conosciamo con esattezza l'anno di composizione, anche se bisogna pensare ad un


periodo intorno al 1722-23, cioè proprio alla fine della permanenza a Cöthen dove nacque la più
gran parte della produzione strumentale bachiana, dai Concerti di ogni tipo alle Sonate e Suites
per orchestra e strumenti ad arco solisti o con clavicembalo concertante. Sul tronco della Suite,
come lo aveva delineato Johann Jacob Froberger, nella successione cioè di Allemanda-Corrente-
Sarabanda-Giga, Bach innesta con grande libertà di scelta un buon numero di danze minori
dando prova di una cultura «mondana» che avrebbe potuto essergli invidiata da artisti più
naturalmente estroversi come un Haendel o un Telemann. Pur nella forte stilizzazione che eleva
di colpo il genere della Suite al livello delle più profonde forme musicali, la radice coreutica
generale e la caratteristica di ciascuna danza (come indicò Rudolf Steglich nel Tanzrhythmen in
der MusiK Johann Sebastian Bachs) sono ancora chiaramente presenti. Ma dove Bach non
rinuncia a dare una impronta più personale (ed è questa una caratteristica particolare delle
«Suites Inglesi») è nella composizione di poderosi Preludi posti in apertura, grandiosi affreschi il
cui respiro basta da solo a bilanciare l'intera Suite delle danze che seguiranno.

Il Preludio che apre la Suite in programma è scritto in una netta forma ternaria (un po' come il
primo movimento del Concerto Italiano) e si basa su un tema che ha qualcosa dello stile ritmico
e melodico del Concerto e della articolazione dello strumento ad arco; in più punti all'interno
della composizione e in un grandioso pedale su un'armonia di dominante che prepara la
conclusione, lo specifico clavicembalistico assume invece l'aspetto di virtuosistiche cadenze.
Dopo l'impeto di questo inizio, l'Allemanda si introduce con l'eleganza di sobrie linee imitative;
imitazioni che, appena accennate, ricorrono anche nella scorrevole Corrente. La Sarabanda,
quasi cuore del lavoro, ha per tema principale un disegno discendente che in Bach ha celebri
congiunti (ad esempio, l'Aria Es ist vollbracht della Passione secondo Giovanni; la Sarabanda
viene subito ripetuta «variata», cioè arricchita di ornamentazioni che, secondo una via nota nel
Settecento solo a Bach, non disturbano ma accrescono le facoltà espressive della pagina. La
Bourrée I è un celebre brano di vitalistico slancio, mobile come l'argento vivo, nel cui inciso
d'apertura si riflette la proterva allegria di un passo del II Concerto Brandemburghese. Come
spesso in queste danze «alternate» la Bourrée II è vicina al carattere della Musette per la
presenza di note a lungo tenute; ai termine di essa si ripete la Bourrée I. La Giga, a una rilettura
attenta rivela una natura inventiva certo meno ricca dei pezzi precedenti; ma all'ascolto la sua
continuità ritmica assicura tuttavia la degna conclusione dell'opera.

Giorgio Pestelli

BWV 808 - Suite inglese n. 3 in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=H9gzsY9jIx4

Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Gavotte I
Gavotte II "La Musette" (sol maggiore)
Gigue

Organico: clavicembalo
Composizione: 1720 - 1722
Edizione: Hoffmeister & Kühnel, Lipsia, 1805
Guida all'ascolto (nota 1)
L'appellativo' di «inglesi» attribuito a un gruppo di sei Suites (come per il gruppo parallelo di
Suites «francesi») ha origine controversa e con ogni probabilità non è dovuto a Bach; fu J.
Nikolaus Forkel nella sua monografia bachiana a introdurlo, affermando che esse furono
composte dietro invito di un ricco dilettante inglese. Non se ne conosce con esattezza l'anno di
composizione anche se bisogna pensare a un periodo intorno al 1722-23, cioè agli ultimi anni
della permanenza a Cöthen, periodo che vede nascere la più gran parte della produzione
strumentale bachiana, dai Concerti di ogni tipo, alle Sonate e Suites per orchestra e strumenti ad
arco soli.

Sul tronco della Suite stabilito da Johann Jacob Froberger, con la succesione basilare di
Allemanda-Corrente-Sarabanda-Giga, Bach innesta, secondo i casi, un buon numero di danze
minori scelte fra quelle che riscuotevano maggior successo, dando prova di una cultura
«mondana» che avrebbe potuto essergli invidiata da artisti più naturalmente estroversi, come un
Haendel o un Telermnn; infatti, pur nella forte stilizzazione che eleva di colpo la Suite al livello
di qualunque più profonda forma musicale, la radice coreutica generale e le caratteristiche di
ciascuna danza sono ancora chiaramente presenti. Ma dove Bach non rinuncia a dare una
impronta più personale (ed è una caratteristica particolare delle Suites inglesi) è nella
composizione dei Preludi, giganteschi affreschi il cui respiro basta da solo a contrappesare
l'intera Suite di danze.

Il Preludio che apre la Suite in programma, concepito in un'unica possente campata, ha qualcosa
dello stile ritmico e melodico del Concerto grosso e, anche per l'esaltante vitalità ritmica, può
essere avvicinato all'ultimo movimento del III Concerto brandeburghese. E' tutto svolto su un
unico tema, anche se le ininterrotte catene di sestine sembrano talvolta imporsi con idee
personali; in vista della conclusione non rinuncia a una scenografica «cadenza», pur essa però
inquadrata dentro l'unico irrestabile flusso. Tenera giunge la voce dell'Allemanda dopo il
vorticoso inizio, elegante e ammorbidita nella sobria ornamentazione (si noti la delicatezza delle
frangie poste nella cadenza a concludere il pezzo). Dopo la scorrevole Corrente, ricca di accenti
impazienti, segue la stupenda Sarabanda, veramente parlante nella sua mimesi del recitativo
vocale; la Sarabanda viene subito ripetuta variata, cioè arricchita di ornamentazioni che non
disturbano ma anzi accrescono la carica drammatica della pagina. Le Gavotte I e II devono
essere suonate «alternativamente», cioè con la ripetizione della prima dopo la seconda; al netto
senso ritmico della Gavotta I segue nella II un delizioso omaggio al gusto francese della
Musette. La Giga conclusiva è uno degli esempi migliori per vedere come Bach abbia reso i
moduli della danza capaci di sopportare qualunque messaggio artistico, anche il più impetuoso e
meno galante.

Giorgio Pestelli

BWV 809 - Suite inglese n. 4 in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=pc_d5jnk-Yw

Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Menuet I
Menuet II (re minore)
Gigue

Organico: clavicembalo
Composizione: 1720 - 1722
Edizione: Hoffmeister & Kühnel, Lipsia, 1805

Guida all'ascolto (nota 1)

Anche per la storia della musica, come per i vini, sembrano esistere delle annate particolarmente
buone: di tanto in tanto, per una imperscrutabile serie di circostanze fortunate e felici cui
possiamo tranquillamente dare il nome di "caso", in un particolare anno si verifica la nascita non
di un grande compositore, ma addirittura di due. A seconda delle nostre preferenze e delle nostre
conoscenze di carattere enciclopedico, possono venire subito alla mente come esempio le annate
1797 (Schubert e Donizetti), 1810 (Chopin e Schumann), 1813 (Verdi e Wagner), 1874
(Schönberg e Ives), 1904 (Petrassi e Dallapiccola), 1925 (Berio e Boulez). Annate assolutamente
eccellenti, non c'è dubbio, ma che devono tutte chinare il capo con devozione al 1685, vero e
proprio anno monstre per aver dato i natali ad addirittura tre giganti della musica: Johann
Sebastian Bach, Georg Friedrich Händel e Domenico Scarlatti.

Pur se accomunati dal fatto di essere coetanei, Bach, Händel e Scarlatti si sono formati e hanno
operato in ambiti profondamente diversi dal punto di vista del contesto geografico e sociale, e si
sono dedicati a generi e forme differenti con esiti diversissimi. Nell'ambito della sua produzione
strumentale, Bach ha utilizzato in più occasioni, ma non sempre nello stesso modo, la forma
della suite, praticamente ignorata, invece, da Scarlatti. Le sei Suites francesi (BWV 812-817), ad
esempio, prevedono tutte - all'interno della canonica successione di quattro danze codificate:
Allemande, Courante, Sarabande e Gigue - l'inserimento, fra la Sarabande e la Gigue, di due, tre
e perfino quattro altre danze, le cosiddette "Galanterien": Menuet, Air, Anglaise, Gavotte,
Bourrée, Laure, Polonaise.

Le sei Suites inglesi (BWV 806-811), invece, sono tutte aperte da un Prélude (forse aggiunto in
un secondo momento) - che, con l'eccezione di quello della Suite n. 1, è notevolmente ampio - e
prevedono prima della Gigue l'inserimento di una coppia di danze omologhe: Bourrée I e II,
Gavotte I e II, Menuet I e II, Passepied I e II. Non sono certo queste differenze, tuttavia, ad aver
dato vita e a giustificare il tìtolo di "francesi" e "inglesi" assegnato dalla tradizione, e non
dall'autore, a queste composizioni. E se la qualifica di "francesi" può essere facilmente spiegata
con l'origine stessa della forma della suite e con i titoli delle singole danze, quella di "inglesi"
rimane più oscura: Forkel, alla luce della scritta che appare sull'intestazione della Suite n. 1
(«fait pour les Anglois»), ipotizzava che Bach le avesse scritte per un nobile inglese, mentre altri
hanno fatto risalire l'appellativo a una raccolta di Suites del francese Charles Dieupart pubblicata
a Londra, che Bach conosceva assai bene, avendola copiata nota per nota secondo il suo abituale
metodo di studio.
L'incertezza accompagna anche l'esatta datazione delle Suites inglesi che tuttavia possono essere
fatte risalire con molta probabilità al periodo trascorso da Bach a Köthen e in particolare agli
anni 1720-22. Sembra certo, comunque, che siano nate prima delle Suites francesi e che - a
differenza di quest'ultime, destinate probabilmente al clavicordo - siano state scritte pensando
alle risorse espressive e alle capacità tecniche di un clavicembalo.

La Suite inglese n. 4 in fa maggiore BWV 809 si apre con un Prélude dal tono sereno e
scorrevole, caratterizzato da un ininterrotto fluire di semicrome, cui segue una pensosa
Allemande, costruita sul gioco di alternanza fra una figurazione in duine e una in terzine; una
breve Courante non basta a riportare verso le atmosfere del Prélude il tono generale del brano,
che anzi nella lenta e intensa Sarabande che segue si fa ancora più assorto. Le cose non
cambiano molto nemmeno nel successivo doppio Minuetto (Menuet I, Menuet II, Menuet I da
capo) ed è solo nella Gigue conclusiva che la Suite ritrova lo slancio e la serena scorrevolezza
del Prélude di apertura.

Carlo Cavalletti

BWV 810 - Suite inglese n. 5 in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=_HKagOA4SFM

BWV 811 - Suite inglese n. 6 in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=IY0KTBQD3bQ

Prélude. Allegro
Allemande
Courante
Sarabande
Double
Gavotte I
Gavotte II (re maggiore)
Gigue

Organico: clavicembalo
Composizione: 1720 - 1722
Edizione: Hoffmeister & Kühnel, Lipsia, 1805

Guida all'ascolto (nota 1)

Meno di trecento anni ci separano da Johann Sebastian Bach, ma le notizie che di lui ci restano
sono più scheletriche di quelle che riguardano Giulio Cesare. Bach scrisse due raccolte di Suites
per clavicembalo, sei per ciascuna raccolta, che vanno rispettivamente sotto i nomi di "francesi"
e di "inglesi": non sappiamo quando esattamente furono composte e non sappiamo perché cosi si
chiamino. Oddio, le "francesi" sono parodie (parodie stilistiche, non contraffazioni ironiche) dì
ciò che facevano in Francia i grandi clavicembalisti conosciuti oltre frontiera, e quindi il termine
può avere una spiegazione logica (e sia pure ipotetica). L'Inglese" delle altre sei Suites è stato
spiegato più volte ma sempre in modo cosi fantasioso che non vale la pena di citare le varie
supposizioni. Quanto alla datazione, certe considerazioni di natura stilistica inducono a supporre
che le Sei Suites inglesi venissero composte a Köthen, e cioè fra il 1715 e il 1721. Ma siccome il
manoscritto autografo non ci è pervenuto non siamo in grado, attraverso l'esame della carta e
dell'inchiostro, di essere più precisi. Detto tutto ciò, per scrupolo aggiungo però che l'origine
della denominazione e l'anno di composizione hanno un preciso significato per le deduzioni dei
musicologi ma che non ne hanno alcuno per il pubblico: anche se fossero state composte dieci
anni prima o dieci anni dopo, anche se fossero state chiamate "svedesi" l'unico punto veramente
rilevante è che siano dei capolavori. E lo sono.

Lo è specialmente la Sesta Suite in re minore BWV 811. La Suite, seguito, è un ciclo di danze
stilizzate che un predecessore di Bach, Johann Jakob Froberger, aveva nel 1693 fissato in una
tipologia-standard: Allemanda, Corrente, Sarabanda, Giga. Tedesca l'Allemanda, francese la
Corrente, spagnola la Sarabanda, inglese la Giga. Quattro danze - tutti conoscono la valenza
simbolica del numero quattro - e quattro nazioni. Quali che fossero le intenzioni del Froberger
(di lui sappiamo meno di quello che ci è noto di Siila), è chiaro che, sebbene fosse stato allievo
di Frescobaldi, bandì dalla Suite-tipo le danze italiane che ne avevano fatto parte in precedenza,
dalla Bergamasca alla Pavana alla Gagliarda al Passamezzo, che non rientrarono neppure nelle
scelte opzionali. Oltre alle quattro danze canoniche restava infatti aperta per il compositore la
possibilità di aggiungerne una o più altre. La scelta si orientava il più delle volte sul Minuetto o
sulla Gavotta o sulla Bourrée, più raramente sul Passepied o sulla Polonaise. Insomma, chi la
faceva da padrone era in questo caso la Francia.

Nella Suite inglese n. 6 l'opzione esercitata è quella della Gavotta con il suo "alternativo":
Gavotta I, Gavotta II, Gavotta I. Graziosissima la Gavotta I (qualcuno sostiene che il nucleo
tematico di base è simile a quello di "Bandiera rossa"), più che graziosissima la Gavotta II,
costruita al modo della Musetta, cioè del pezzo per cornamusa (della Gavotta II si ricordò
Schönberg nella Musetta della Suite op. 25).

Nell'Ottocento, quando di norma non si eseguivano per intero in concerto le Suites di Bach, le
due Gavotte, come pezzi staccati, ottennero molto favore: ne abbiamo un'esecuzione in disco, ed
è una delle prime testimonianze sonore di come venisse allora pensata la musica di Bach, del
pianista boemo Alfred Grünfeld (1852-1924).

La grazia delle Gavotte controbilancia da una parte, nell'equilibrio generale della Suite, la
profonda e grave emotività della Sarabanda e del Double, variazione della Sarabanda, e dall'altra
parte la rudezza e direi la violenza della Giga. Il Preludio, di proporzioni monumentali, è
stilisticamente un primo movimento di Concerto grosso, con introduzione in movimento lento e
Allegro fugato. L' Allemanda e la Corrente, che non presentano aspetti atipici, alleggeriscono la
tensione formale del Preludio e il turgore emotivo della Sarabanda. La forma complessiva della
Suite ricorda dunque cosi quella di una grande orazione condotta secondo le regole auree della
retorica classica.

Piero Rattalino
Suite francesi

https://it.wikipedia.org/wiki/Suite_francesi

https://www.youtube.com/watchv=0sDleZkIK-w

https://www.youtube.com/watchv=zmEa7KX6D00

https://www.youtube.com/watchv=j6BvUbVFMxU

BWV 812 - Suite francese n. 1 in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=LcOPbkXRniI

BWV 813 - Suite francese n. 2 in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=IM_zQt4E1QM

BWV 814 - Suite francese n. 3 in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=aYsPELS3CDE

BWV 815 - Suite francese n. 4 in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=oyGvhrCI5Nw

BWV 816 - Suite francese n. 5 in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=lG8v_BA0Hhs

BWV 817 - Suite francese n. 6 in Mi maggiore

https://www.youtube.com/watchv=vfGWc7V9V-c

Altre suite

https://www.youtube.com/watchv=J2r3BrHgau8&list=PLn7ibMrNTg_S7bVfrTK
K-gBDJvynPKSN6

BWV 818 - Suite in La minore

https://www.youtube.com/watchv=QyAHPiq5QRk
BWV 818a - Suite in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=teMTK1_FcXo

BWV 819 - Suite in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=CldTGmdTH8U

BWV 819a - Duetto in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=obGmcYCFAHs

BWV 820 - Ouverture (suite) in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=C3Xk6WzbUAw

BWV 821 - Suite in Si♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=x5E5I5cMSX0

BWV 822 - Suite in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=M3al061LfiI

BWV 823 - Suite in Fa minore

https://www.youtube.com/watchv=merdbEC9wbA

BWV 824 - Suite in La minore

https://www.youtube.com/watchv=dUyg2vd2qYs

Partite

https://it.wikipedia.org/wiki/Partite_per_clavicembalo

https://www.youtube.com/watchv=lZuUiNdqt6Y

https://www.youtube.com/watchv=6J77ikeKCnc

BWV 825 - Partita n. 1 in Si♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=feikrhaRFTk

Praeludium
Allemande
Courante
Sarabande
Menuet I
Menuet II
Gigue

Organico: clavicembalo
Composizione: 1726
Edizione: presso l'Autore, Lipsia, 1731

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel 1723, probabilmente per incompatibilità di carattere con la moglie del principe, Bach decide
di lasciare Köthen e trasferirsi a Lipsia dove viene nominato Cantor alla chiesa di San Tommaso,
posizione che manterrà per il resto della vita. Sono gli anni dei grandi capolavori, dalle
Variazioni Coldberg all'Arte della Fuga, dagli Oratori di Natale e di Pasqua alle Passioni secondo
Matteo e Giovanni.

Le Sei Partite per clavicembalo BWV 825-830 si inquadrano nella prima fase di questo fecondo
periodo della storia artistica del compositore e precisamente dal novembre 1726 (data
dell'incisione della prima in si bemolle BWV 825 dedicata fra l'altro al neonato Emanuel Ludwig
di Anhalt-Köthen - che morirà solo due anni più tardi - segno del mantenimento di un affettuoso
legame con quella corte), fino al 1731, anno in cui esce la raccolta completa sotto il titolo di
Opus I, la Clavier-Übung, parte prima ossia gli "esercizi per il diletto spirituale di chi ama la
buona musica", come li chiamava lo stesso Bach.

Il termine Partita (dall'italiano "partire" nel senso di "dividere in parti"), che verso la fine del
XVI sec. indicava delle variazioni strumentali, nel Settecento venne invece utilizzato
sostanzialmente come sinonimo di Suite, cioè la successione di una serie di danze le cui
caratteristiche erano generalmente codificate in schemi ed in estetiche stereotipate (Johann
Mattheson, erudito contemporaneo di Bach, spiegava che all'Allemanda era richiesto di
rappresentare "uno spirito soddisfatto che si compiace nell'ordine e nella tranquillità", che la
Corrente doveva invece, come vuole il nome, "correre senza sosta, pur muovendosi con fascino e
dolcezza", che la Sarabanda possedeva un'idea di "grandezza" mentre la Ciga era la danza
dell'"agilità", "di un entusiasmo febbrile ed effimero").

Ma, pur rispettando lo stile proprio di ciascuna danza, nelle sue Partite Bach tratta la forma
tradizionale con grande libertà accentuando di volta in volta il virtuosismo, l'invenzione
melodica, la ritmica, l'elaborazione contrappuntistica; non più quindi una semplice raccolta
d'intrattenimento, ma piuttosto un "compendio", una sorta di massima e mirabile sintesi di un
genere che sarebbe stato di lì a poco soppiantato completamente dalla Sonata.

Come già aveva fatto con le Suites Inglesi inoltre, egli decide di introdurre ogni Suite con un
movimento non di danza: la Partita n. 1 si apre con un sereno Preludio che annuncia una non
consueta spigliatissima Allemanda; aderente ai dettami di Mattheson appare invece l'allegra e
incessante ritmica della Corrente a cui segue una dolcissima Sarabanda che riporta l'atmosfera ad
un'aura di soffusa intimità; e infine, dopo i graziosissimi Menuet I et II, il lavoro si conclude con
la dinamica Cigue che - come afferma Piero Rattalino - "dava anche modo al dilettante di
divertirsi e di far bella figura in famiglia con il gioco, non difficile, delle mani incrociate".

Laura Pietrantoni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il trasferimento a Lipsia nel 1723 segnò una svolta nella produzione clavicembalistica di Bach.
Se si eccettua la Cantata n. 71, scritta per solennizzare l'insediamento di nuovi amministratori
comunali e che solo per questo era stata pubblicata, Bach non aveva ancora avuto la
soddisfazione di vedere stampata nessuna delle sue opere. Aveva quarantun'anni quando, nel
1726, potè pubblicare la prima Partita. A questa ne seguirono altre cinque che uscirono, una
l'anno, in occasione della Fiera degli Editori. Le sei Partite costituirono la prima parte di quella
raccolta di musiche per tastiera che egli, sulla scia del suo predecessore Kuhnau, chiamò
"Klavierübung". La seconda parte del Klavierübung uscì nel 1735 con una nuova Partita e il
Concerto Italiano. Seguirono una terza parte con i grandi corali per organo e alcuni duetti per
clavicembalo e una quarta con le Variazioni-Goldberg. Insieme con l'Offerta Musicale e le
Variazioni a canone sul corale di Natale, furono queste le uniche opere di Bach stampate nel
corso della sua vita. Una parte minima, rispetto alla sua immensa produzione, ma non a caso
quasi esclusivamente riservata alla musica per tastiera che era evidentemente di più facile
smercio. Le Partite si apparentano alle Suites dell'epoca di Köthen. Solo l'impianto è allargato.
Resta la suddivisione in successivi movimenti di danza, preceduti tuttavia da un pezzo
introduttivo di vario tipo (fantasia, sinfonia, preambolo, etc.). La prima Partita comprende un
preludio e due danze vivaci, una allemanda e una corrente. Segue, come danza lenta, la
sarabanda. Dopo due minuetti, la composizione si conclude con una leggera e brillante giga.

Bruno Cagli

BWV 826 - Partita n. 2 in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=HdMPK2nHF_0

Sinfonia. Grave Adagio ... Andante


Allemande
Courante
Sarabande
Rondeau
Capriccio

Organico: clavicembalo
Composizione: 1727
Edizione: presso l'Autore, Lipsia, 1731

N. 2 della raccolta Clavierübung n. 1


Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Partita per cembalo in do minore BWV 826 è la seconda di un gruppo di sei Partite (ossìa
"Suites di danze", secondo la tarda accezione del termine) che occupano una posizione di
assoluto rilievo nel catalogo di Johann Sebastian Bach; si tratta infatti delle prime opere
destinate espressamente dall'autore alla pubblicazione, sotto il titolo di Clavierübung. Appartiene
all'ultima fase creativa della vita di Bach - la fase che vede il compositore impegnato a Lipsia nel
ruolo di Cantor presso la Chiesa di San Tommaso, fra il 1723 e la morte - la messa a punto di
quattro raccolte con questo medesimo titolo, tutte dedicate alla tastiera e pensate per la
pubblicazione. Negli anni giovanili Bach aveva riservato un ruolo privilegiato agli strumenti a
tastiera, destinando loro la parte più corposa e più qualificata della produzione strumentale di
consumo; le varie Toccate, Suites inglesi e francesi, Sonate, Invenzioni a due o tre voci ecc.,
erano nate - non sempre con ordine e sistematicità - in vista dell'intrattenimento di corte, o come
lavori didattici per educare alla musica la numerosa prole del compositore.

Diversa invece la prospettiva in cui nascono le raccolte dette Clavierübung, che è quella di una
meditazione a posteriori, svincolata dal consumo immediato, su alcuni aspetti paradigmatici
dell'arte strumentale del tempo. Un compito quindi più ambizioso, che rientra compiutamente
nella tendenza speculativa propria dell'ultimo periodo creativo bachiano. Lo stesso titolo di
Clavierübung (letteralmente: "Esercizio per tastiera") si presta a discussioni e riflessioni. Clavier
è termine che indica un generico strumento a tastiera, dunque non solo il clavicembalo
(strumento con corde pizzicate, quindi inibito a grandi sfumature dinamiche e di tocco) ma
anche il clavicordo (strumento a corde percosse e quindi abile a quelle sfumature, ma privo di
grande volume), o anche l'organo, a cui si intende espressamente dedicata la terza Clavierübung.
D'altra parte il termine Übung, esercizio, non vuole indicare una funzione didattica ma piuttosto
il rigore nella concezione di un ciclo ordinato e compiuto di composizioni, all'interno del quale
poi ogni spartito trova un esito specifico, sotto il profilo stilistico ed inventivo.

A tale concezione risponde ovviamente anche la prima Clavierübung, dedicata, come si è detto, a
sei Partite; queste avevano già visto singolarmente la pubblicazione a partire dal 1726, e vennero
poi raccolte per la pubblicazione unitaria nel 1731. Identico è il lungo titolo apposto sia sulle
edizioni singole che su quella della raccolta completa: "Clavir Ubung/bestehend in/Proeludien,
Allemanden, Couranten, Sarabanden, Giguen./Menuetten, und andern Galanterien;/Denen
Liebhabern zur Gemuths Ergoetzung verfertiget [...]" ("Esercizi per tastiera consistenti in
Preludi, Allemande, Correnti, Sarabande, Gighe, Minuetti ed altre Galanterie; scritte per il diletto
degli amatori [...]").

Le sei composizioni sono ordinate secondo un preciso percorso tonale (si bemolle, do minore, la
minore, re maggiore, sol maggiore, mi minore), e presentano quasi tutte la medesima
impostazione: sette brani, quattro dei quali - le danze canoniche della Suite: Allemanda,
Corrente, Sarabanda, Giga - si ripresentano in tutte le Partite; variabili sono invece le altre tre
pagine - un brano introduttivo, e due Galanterien inserite fra la Sarabanda e la Giga - il che
attribuisce ad ogni composizione una propria specificità e coerenza.

Proprio la Seconda Partita in do minore costituisce però una eccezione rispetto a questo schema.
Essa si articola infatti in soli sei movimenti, rinunciando alla Giga e accostando alla triade
Allemanda-Corrente-Sarabanda altri tre differenti movimenti: una Sinfonia iniziale e, in
conclusione, un Rondeau e un Caprìccio. Già dai titoli emerge chiaramente quella che è una
caratteristica di questa come delle altre Partite di Bach, il polistilismo, che avvicina fra loro
danze di tradizioni diverse e anche pagine che non hanno la matrice di danza, per rinnovare
profondamente e offrire una nuova fisionomia alla tradizione della Suite.

Lo si osserva subito nella Sinfonia che apre la composizione. Si tratta di una pagina di vasto
impianto, divisa in tre differenti sezioni. In apertura si colloca un "Grave. Adagio" che è nello
stile della Ouverture francese, con gli scattanti ritmi puntati, i possenti accordi, alternati a silenzi,
i giochi di domanda e risposta fra le varie voci. Senza soluzione di continuità succede un
Andante, dominato da una limpida cantabilità di matrice italiana, e di tipo violinistico, sul
sostegno della linea del basso. Una cadenza conduce alla terza sezione, una fuga a due voci in
3/4.

Si inseriscono a questo punto le tre danze di prammatica. L'Allemande si avvia su un canone a


due voci e mantiene questo dialogo a due, moderato e grave, per quasi tutta la sua durata, salvo
la presenza occasionale di una terza voce poco dopo l'inizio.

La Courante è nel gusto francese, con una densa scrittura a quattro parti e dominata da un tema
scattante che appare anche invertito. La Sarabande, a due voci, vede lo sviluppo di una limpida
polifonia nella sua prima parte e nelle prime battute della seconda, e segue poi il principio
dell'Aria accompagnata nello stile italiano.

Gli ultimi due brani della Partita sono estranei alla tradizione della Suite. Troviamo dapprima un
Rondeau, in 3/8 e a due voci, che ricorda per forma e stile i modelli dei clavicembalisti francesi;
presenta infatti un refrain che appare per quattro volte alternandosi con sezioni contrastanti (lo
schema è dunque ABACADA).

Al posto della Giga troviamo poi un Capriccio diviso in due parti ed a tre voci, con una densa
polifonia impreziosita dalla estrosità della scrittura. Non c'è traccia di danza in questa pagina,
che, con il suo titolo italiano, è l'ultimo episodio di una serie di movimenti stilìsticamente di
diversa provenienza. Il magistero strumentale e l'assortimento stilistico appaiono così svincolati
da un preciso riferimento culturale, sia sotto il profilo delle soluzioni della scrittura che nella
scelta delle danze, e la mirabile Partita riceve la sua coerenza dall'impronta della dominante
personalità dell'autore.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

All'epoca di Bach il termine «partita», che originariamente si usava per una serie di variazioni
sopra un basso, era ormai del tutto analogo a quello di «suite» ed indicava una serie di danze
introdotte da un pezzo di carattere ìmprovvisativo che, nelle sei per clavicembalo, viene di volta
in volta chiamato preludio, sinfonia, ouverture, fantasia, praeambulum, toccata. La prima partita
per clavicembalo è dal 1726. Da allora Bach ne scrisse una ogni anno, in occasione della fiera
degli editori che si svolgeva ogni anno a Lipsia.
Nel 1731 egli riunì le sei partite fino ad allora composte e le pubblicò come prima parte del
«Klavierübung», titolo questo già adottato da Kuhnau per due raccolte di suites. L'ouverture che
apre la seconda partita consta, dopo l'accordo introduttivo, sul quale vi è l'indicazione «grave»,
di alcune battute di adagio che, in certo senso, condensano verticalmente il materiale che verrà
sviluppato contrappuntisticamente nel successivo andante. Seguono una allemanda, una corrente
e un rondeau in 3/8. Insolito l'ultimo movimento, definito capriccio, termine che Bach adottò
anche in un'altra composizione (il «capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo»). Esso
è anche qui introdotto per indicare un pezzo libero dalle usuali costrizioni formali. Il capriccio
consta di due parti, ambedue ripetute due volte. Il fantasioso tema della prima ricompare
rovesciato all'inizio della seconda. Ed è possibile che anche questa trovata abbia determinato la
scelta del titolo.

Bruno Cagli

BWV 827 - Partita n. 3 in La minore

https://www.youtube.com/watchv=kPQ42cP09pM

Fantasia
Allemande
Courante
Sarabande
Burlesca
Scherzo
Gigue

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725 - 1727
Edizione: presso l'Autore, Lipsia, 1731

Guida all'ascolto (nota 1)

La prima biografia di Bach, pubblicata nel 1802 dall'organista e docente di teoria musicale
all'Università di Göttingen Johann Nikolaus Forkel, dedica un intero capitolo, il settimo, al
rapporto di Johann Sebastian con l'insegnamento. In tutto il libro, costruito sulla scorta delle
memorie di Carl Philipp Emanuel, secondo figlio maschio di Bach, l'autore tende ad accreditare
l'immagine del genio autodidatta che è riuscito ad andare oltre i limiti del suo tempo solo grazie
alle proprie forze e disposizioni naturali. Quando descrive la sua passione per la didattica, Forkel
estremizza questo punto di vista sostenendo addirittura che, per diventare buoni maestri, la cosa
migliore è non averne avuto nessuno. "Ci sono molti bravissimi compositori", scriveva Forkel,
"che pur essendo virtuosi esecutori di ogni genere di strumenti sono incapaci di trasmettere agli
altri quello che sanno". Il più delle volte, proseguiva, questo dipende dal fatto che durante
l'apprendistato si sono troppo appoggiati agli altri, delegando agli insegnanti il compito di
correggerli, guidarli, insomma di pensare al posto loro. Bach ha scelto invece un'altra via, meno
facile, più accidentata, nel percorrere la quale l'apprendista rischia di smarrirsi, ma che attraverso
tentativi ed errori conduce infine a una conoscenza completa dell'arte e al bisogno, non solo alla
capacità, di trasmettere l'esperienza acquisita.

La maggior parte delle composizioni di Bach per strumento a tastiera è nata proprio nell'ambito
di un'attività didattica non limitata ai suoi incarichi ufficiali. In alcune delle sedi in cui lavorò,
Bach ebbe compiti di insegnante: alla Corte di Weimar, quando aveva appena compiuto
trent'anni, e poi a Lipsia, dove visse per gli ultimi 27 anni della sua vita. Anche in altri periodi,
però, l'insegnamento era stato per lui una forma di disciplina quotidiana e un mezzo per
rifugiarsi nel mondo degli affetti familiari. Per il figlio maggiore, Wilhelm Friedemann, aveva
preparato intorno al 1720 un libriccino didattico, un Clavier-Büchlein, che conteneva, fra l'altro,
le Invenzioni a due e a tre voci e molti dei materiali da cui sarebbe nato Il clavicembalo ben
temperato.

Per la seconda moglie, Anna Magdalena, cantante alla Corte del Principe di Anhalt-Köthen e
dunque già musicista provetta, Bach realizzò in seguito altri due quaderni per migliorare la sua
pratica dello strumento a tastiera e comporre anche una sorta di piccolo ritratto di famiglia. In
quei due quaderni, che risalgono rispettivamente al 1722 e al 1725, vennero incluse piccole
composizioni dei figli, opere di compositori contemporanei e del recente passato, tedeschi e non,
il tutto accanto a una serie di opere originali che a stento, oggi, potremmo ricondurre a un'attività
di scrittura rivolta alla sfera privata. Solo nel primo quaderno si trovano tre delle cinque Suites
Francesi, un'ampia serie di Minuetti e pezzi brevi, Corali e Arie, compresa quella intorno a cui
avrebbe costruito in seguito le Variazioni Coldberg. Nel secondo si trovano invece altre due
Suites Francesi, due Partite e altri pezzi minori. Con la denominazione Clavier-Übung, cioè
"esercizio" o "esercitazione" per la tastiera, Bach compose e pubblicò successivamente tre
raccolte di pezzi scelti che comprendono le Sei Partite BWV 825-830 (Clavier-Übung I), il
Concerto in stile italiano e l'Ouverture alla maniera francese (Clavier-Übung II), quattro
Invenzioni a due voci, il Preludio e Fuga in mi bemolle per organo BWV 522 e i Ventuno Preludi
su Corale BWV 669-689 (Clavier-Übung III), infine proprio le Variazioni Goldberg (Clavier-
Übung IV).

Per quanto il grande pianismo ottocentesco ci abbia abituato a una tipologia di Studi concepiti
come letteratura da concerto, non risulta per noi immediatamente comprensibile il fatto che quasi
tutta la maggiore produzione di Bach per strumento a tastiera non destinata alla chiesa abbia
avuto, in origine, anche uno scopo pratico, didattico. Può essere utile, allora, rivolgerci ancora
alla biografia di Forkel per seguire il racconto vivo dell'insegnamento bachiano e tentare di
avvicinare meglio il senso di questa connessione.

Volendo "parlare anzitutto delle sue lezioni alla tastiera", Forkel ricordava come Bach insegnasse
anzitutto il modo di mettere le mani sulla tastiera: "per mesi faceva studiare ai suoi allievi
esercizi differenziati per ogni singolo dito delle due mani" e cercava di far ottenere loro un suono
omogeneo, con un volume costante, nitido e pulito. "Nessun allievo poteva evitare questo tipo di
esercizio" che Forkel definiva "muscolare", più che musicale, ma che secondo Bach doveva
durare almeno sei mesi o un anno, prima di passare ad altro. Quando però vedeva segni di
scoraggiamento negli allievi, Bach scriveva di getto qualche piccolo pezzo da associare agli
esercizi per dare spazio anche alla linfa dell'invenzione musicale. Spesso li scriveva di getto,
"anche durante le lezioni, tenendo conto delle esigenze momentanee degli allievi", ma più tardi
poi vi tornava "per perfezionare la composizione e trasformare questi piccoli pezzi in opere
compiute, belle ed espressive". La dimensione artistica di quelle opere, stando a Forkel, si
collocherebbe dunque su un livello centrale dì elaborazione, a monte e a valle del quale, come
origine e come destinazione ultima, si troverebbe però la natura dell'esercizio, con tutta la sua
vocazione pedagogica.

L'elemento che tiene unite queste diverse dimensioni può essere rintracciato in un concetto
chiave della religione luterana, il "perfezionamento", la cui diffusione nelle pratiche quotidiane
della fede è testimoniata, fra l'altro, anche dalla sua frequente comparsa nei testi delle Cantate di
Bach. Per Lutero il "perfezionamento" è un esercizio insieme pratico ed etico, che consiste
nell'affinare una certa capacità e di sviluppare, su questa base, una forma di vita. Lutero aveva
ereditato questo tema da una teologia medievale che risaliva ad Aristotele, ma l'aveva sviluppato
in rapporto all'importanza da lui assegnata all'etica del lavoro. Perfezionando i propri prodotti,
per esempio una composizione musicale, si perfezionava anche la propria capacità di fare musica
e si consolidava la costruzione della propria forma di vita in qualità di musicista. Il
"perfezionamento", d'altra parte, era per Lutero il mezzo eminente attraverso cui gli uomini
possono mantenere o riottenere un contatto con la grazia. Perciò ogni opera e ogni facoltà
perfezionata è, come tale, un inno alla gloria di Dio, un tentativo di accedere alla grazia e una
preghiera per ottenere la salvezza.

Bach aveva l'abitudine di apporre sui suoi manoscritti musicali la sigla S.D.C., cioè Soli Deo
Gloria, intendendo con questo non tanto che le singole opere da lui composte fossero dedicate
specificamente a Dio, ma che ogni opera da lui prodotta aveva il senso di un esercizio di
perfezionamento il cui scopo ultimo era, appunto, la sola gloria di Dio. I piccoli pezzi
improvvisati per i suoi familiari o per gli allievi venivano lavorati e cesellati dal compositore
non perché diventassero opere d'arte slegate, ormai, dall'ambito didattico, ma perché fossero
esercizi di perfezionamento tramite i quali egli costruiva o completava la sua figura di Musicus,
di Pater e di Magìster.

Come esercizi in questo duplice senso, pratico e spirituale, furono concepite anche le Sei Partite
che Bach fece uscire singolarmente fra il 1726 e il 1730 e poi raccolse in un'unica raccolta, la
prima Clavier-Übung, nel 1731. Bach le aveva definite opere per "dilettanti", adatte alla
"ricreazione dello spirito" e piene di "Galanterie". Di fatto, i pochi commenti dei contemporanei
di cui siamo a conoscenza insistono, e non a torto, sulla difficoltà di quelle composizioni, dalle
quali né un dilettante né un musicista esperto potevano cavare subito buoni risultati.

La parola "esercizio", oltretutto, non va intesa nelle Sei Partite soltanto nel modo che abbiamo
descritto, ma anche come una forma di ricerca sulle modalità della composizione. Parlare di
"galanterie" era stato un atto di modestia eccessiva, giacché la sostanza musicale delle Partite ha
tutto fuorché il carattere della musica da salotto o di costume. Queste composizioni sono, come
spesso accade nelle opere della maturità bachiana, esercizi speculativi e pratici con i quali
l'autore cerca di fondere linguaggi e forme differenti facendo leva su un fattore in grado di
assicurare la sintesi: in questo caso semplicemente la presenza dello strumento a tastiera.
Sarebbe sufficiente isolare i movimenti iniziali delle Sei Partite, che portano tutti titoli differenti,
per avere l'immagine dell'esplorazione di un territorio musicale che Bach intendeva percorrere
trovando un legame con la tradizione, cioè con la stilizzazione delle danze propria della Suite,
ma sviluppando molto liberamente i suoi esperimenti di scrittura.
La Partita III, in la minore, è quella che apriva il secondo Clavier-Bücnlein per Anna Magdalena
e risale perciò al 1725 o a un periodo immediatamente precedente. Il carattere privato, domestico
di questa musica si riflette, paradossalmente, nell'estrema audacia intellettuale che caratterizza
non solo la Fantasia d'apertura, ma tutti gli altri movimenti, molto brevi ma altrettanto incisivi e
originali. Nel primo manoscritto due danze riportavano intitolazioni diverse: Fantasia è infatti
un'esplicitazione del senso compositivo di ciò che, nel quaderno, era indicato semplicemente
Prélude mentre la Burlesca, in stile francese, era chiamata Menuet. Lo Scherzo, con il suo
andamento teatrale e vagamente pomposo di marcia, rinvia ancora allo stile italiano.

Stefano Catucci

BWV 828 - Partita n. 4 in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=61Hn85VU7d0

Ouverture
Allemande
Courante
Aria
Sarabande
Menuet
Gigue

Organico: clavicembalo
Composizione: 1728
Edizione: presso l'Autore, Lipsia, 1731

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le Sei Partite (BWV 825-30), pubblicate a partire dal 1726, a distanza di circa un anno l'una
dall'altra, risalgono al periodo di Lipsia. Ripubblicate in un'edizione complessiva nel 1731, sotto
il titolo di Clavir Ubung (sic), questi "esercizi per tastiera" costituivano una sorta di campionario
di modi di far musica, presi in prestito da diversi generi musicali ed inseriti, poi, in una "forma"
strutturalmente omogenea, ovvero la suite. Nelle Partite infatti, accanto alle quattro danze tipiche
della suite (allemande, courante, sarabande, gigue), così come si era venuta articolando a cavallo
tra il Sei ed il Settecento, ad opera anche dello stesso Bach, si vengono a collocare altri pezzi di
diversa natura al fine di renderne lo stile più vario ed articolato: ciascuna di esse presenta un
brano introduttivo ogni volta differente (Praeludium, Sinfonia, Ouverture, Preambulum,
Fantasia, Toccata) ed inoltre uno o più brani "extravaganti" all'interno o a chiusura (Aria,
Burlesca, Passepied, Scherzo). Con esse, dunque, il modello delle Suites inglesi (BWV 806-811)
e delle Suites francesi (BWV 812-817) degli anni di Köthen viene decisamente superato, grazie
anche alla maggiore organicità del ciclo stesso che pure si concilia ad un forte desiderio di
sperimentare tutte le possibilità formali e strumentali offerte dalla tastiera (il termine Klavier
infatti poteva designare sia il clavicembalo, sia l'organo, sia il clavicordo).
La Partita IV in re maggiore (BWV 828), in particolare, si apre con una ouverture francese
bipartita la cui seconda parte è costituita da un'ampia fuga con tre sviluppi ed una breve coda; ad
essa fa seguito una allemande di ampia cantabilità. Dopo la courante compare un'aria italiana,
che costituisce in certo senso quasi un preludio alla sarabande. Dopo un breve menuet, a
chiudere la suite è una gigue, che presenta nella seconda parte, anziché la consueta inversione
del tema, un nuovo motivo melodico, mentre il primo tema viene a svolgere la funzione di
controsoggetto.

Giancarlo Brioschi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La domanda se Bach sia eseguibile con il pianoforte moderno - e se sì, come debba essere
eseguito - è un problema non secondario che già un "esperto" in materia, Glenn Gould, si era
posto: "In effetti la tentazione di registrare Bach al clavicembalo era molto grande; sarebbe
molto più facile e mi basterebbe un terzo del tempo per ciascuna sessione di registrazione. Col
pianoforte possono riuscire male tante cose; perché riesca l'equilibrio delle voci intermedie sono
indispensabili una grandissima cura e raffinatezza, che per il clavicembalo semplicemente non
sono necessarie". Oggi, superate le smanie filologiche e le esecuzioni romanticheggianti, siamo
più concentrati sul dato oggettivo di questa musica per tastiera, sul suo carattere composito,
indefinito ed irregolare. Destinata all'uso domestico di abili "dilettanti", i brani erano pensati e
predisposti per la "ricreazione dello spirito", e il termine generico di Klavierübung (ovvero
esercizio per tastiera) sta solo ad indicare un tipo di composizione, libera o costretta in forme
obbligate, che persegue un progetto unitario. Le sei Suites o Partite che, insieme ad altre
composizioni, costituiscono il Klavierübung, furono pubblicate tra il 1726 e il 1730 e a
differenza di simili pagine coeve dal sapore esplicitamente didattico (come ad esempio gli
Essercizi di Domenico Scarlatti), la raccolta bachiana sembra più un campionario di stili e
maniere propri di altri generi musicali trasferiti sulla tastiera. Denominatore comune è la Suite,
intesa non come semplice successione di danze stilizzate ma come palestra di tecniche
compositive nella quale il corso normale delle danze viene "alterato" da pagine in altro stile. Le
Sei Partite costituiscono un ciclo organico e andrebbero ascoltate nella loro completezza, ma
anche all'interno di ognuna di esse è possibile riscontrare la ricercata varietà delle forme e degli
stili che è la ragion d'essere di queste composizioni.

Il godimento, non solo intellettuale, di questa musica passa necessariamente per la comprensione
e l'assimilazione dei principi del contrappunto, fondamentali in genere per la musica colta ma
soprattutto in quella che consideriamo didattica per definizione. In questo modo le imitazioni dei
temi, la variazione delle cellule ritmico-melodiche, la risoluzione degli abbellimenti e tanti altri
elementi riscontrabili in ogni pagina, avranno il loro giusto risalto e andranno ad arricchire la
nostra "intelligenza" musicale.

Per aprire la Partita IV in re maggiore Bach sceglie la forma dell'Ouverture francese bipartita,
costituita da una breve introduzione, dal carattere libero e improvvisativo, seguito da un'ampia
Fuga estremamente rigorosa nell'impianto formale. L'Allemande ha una cantabilità piuttosto
intensa con ampi melismi alla mano destra ed un raffinato gioco polifonico nella sinistra. La
successione delle danze (Courante e Sarabande) è interrotta da un'Aria di gusto galante, una
pagina più semplice nelle linee melodiche e nell'armonia, certamente un omaggio del
compositore al gusto predominante dell'epoca. Dopo il breve Menuet, la Gigue chiude la Partita
con un bell'esempio di stile fugato: in questo caso è il contrappunto rigoroso a subire la
variazione e al posto della consueta inversione del tema nella seconda parte, Bach inserisce un
nuovo motivo melodico, mentre il primo tema compare in questa seconda sezione in funzione di
controsoggetto. Come sempre accade nelle composizioni più interessanti del compositore, il
risultato finale è la grande varietà ottenuta con l'elaborazione sempre nuova dei medesimi
elementi.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Partita n. 4 fu la penultima a essere pubblicata separatamente, nel 1728; rispetto alla Sesta,
presenta caratteri più lieti e distesi. Per il brano introduttivo Bach adottò la forma dell'Ouverture
bipartita alla francese, con una prima parte lenta seguita da una sezione più mossa.
Particolarmente maestoso l'avvio, con blocchi accordali scanditi su un solenne ritmo puntato e
alternati a rapide volate virtuosistiche. Dopo la ripetizione della prima parte, la sezione più
veloce si dipana su un movimento quasi di Giga, dando vita a un brano di fluida elaborazione
contrappuntistica, dove il serrato susseguirsi delle imitazioni non compromette mai la fantasia
dell'invenzione strumentale. All'Ouverture succedono le prime due danze «d'obbligo»:
l'Allemande sviluppa un motivo di tranquilla effusione cantabile in progressive modificazioni
ritmiche, compiacendosi di imprevedibili deviazioni armoniche; la Courante si slancia in
figurazioni più bizzarre, dalle quali scaturiscono frequenti articolazioni contrappuntistiche, che
sottopongono gli spunti ritmici e melodici a sviluppi estrosi e di brillante rilievo virtuosistico. È
quindi il momento della prima «galanteria» introdotta nella struttura tradizionale della Suite, con
un'Aria che nella sua aggraziata linearità melodica, sottolineata dalla regolarità delle sincopi e
dalle distese fioriture, prepara la pacata ma intensa espressività della Sarabande, dove Bach in
parte rinuncia alla profonda drammaticità che gli è consueta in questa forma di danza per
spostarsi su un piano più metafisico e speculativo, affidando alla mano destra, contro il regolare
moto dei bassi, escursioni melodiche dilatate spesso in ampi intervalli ascendenti. Ancora un
intermezzo con il Menuet, di ricercata varietà ritmica, quindi un nuovo slancio virtuosistico e
contrappuntistico con la Gigue conclusiva, avviata dal motivo principale privo
d'accompagnamento a mo' di un soggetto di Fuga e condotta con straordinaria vivacità
d'invenzione di un inarrestabile fluire e accavallarsi di figurazioni.

Daniele Spini

BWV 829 - Partita n. 5 in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=aecenXn3obw

Praeambulum
Allemande
Courante
Sarabande
Tempo di Minuetto
Passepied
Gigue

Organico: clavicembalo
Composizione: 1730
Edizione: presso l'Autore, Lipsia, 1731

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Allo scopo di chiarire e maturare il suo linguaggio musicale, Bach si occupò con indefessa
passione della tecnica degli strumenti a tastiera (clavicembalo, organo, clavicordo), indicati tutti
con il termine Klavier. Documenti importanti di questa sua ricerca sono le quattro parti della
Klavierübung (Esercizio per tastiera) apparse nel 1731, 1735, 1739 e 1742. La prima comprende
le sei Partite tedesche, pubblicate separatamente negli anni 1726-'30, nelle quali il modello
seguito nelle Suites francesi e inglesi del periodo di Cöthen viene modificato con l'introduzione
di un brano d'apertura ogni volta diverso (praeludium, sinfonia, fantasia, ouverture,
praeambulum, toccata) e con l'inserimento di movimenti insoliti all'interno e a chiusura
(capriccio, burlesca, scherzo). La seconda contiene il Concerto nello stile italiano e la Ouverture
nel gusto francese, contrapposti in modo dialettico per mettere in evidenza due possibilità
stilistiche. La terza è formata da un preludio, due serie di corali, tra i quali sono inseriti quattro
duetti per clavicembalo, e da una vigorosa tripla fuga finale. La quarta parte si compone delle
Variazioni Goldberg, un'aria con trenta variazioni, considerate tecnicamente tra le più difficili di
quanto sia stato scritto per clavicembalo.

Oltre alla Klavierübung «dedicata ai dilettanti e particolarmente agli intenditori della stessa arte,
per l'elevazione dello spirito» (sono parole di Bach) vanno ricordate per la loro funzione
didattica le 15 Invenzioni a 2 voci, le 15 Sinfonie a tre voci e sopra ogni cosa la massiccia
raccolta in due libri del Clavicembalo ben temperato (Das Wohltemperierte Klavier) pubblicati
nel 1722 e nel 1744 e contenenti ognuno 24 preludi e fughe in tutte le tonalità maggiori e minori
e con le più svariate soluzioni e le molteplici combinazioni dei numerosi temi.

La Partita n. 5 in sol maggiore è articolata in sette movimenti, che prendono avvio da un


Praeambulum dal ritmo ben marcato e incisivo, specie nelle note gravi; elegante e scorrevole la
successiva Allemande, mentre la Courante presenta un tono più spigliato e la Sarabande si
adagia in un andamento di danza più tranquillo e riflessivo; di gusto graziosamente francese il
Minuetto che sfocia nel cadenzato Passepied e nell'impetuosa e solenne Gigue conclusiva, una
costruzione sonora di solido impianto che sembra far dimenticare qualsiasi richiamo allo stile
galante.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1726, quando aveva ormai passato i quarantanni, Bach ebbe la soddisfazione di veder
pubblicato per la prima volta un suo lavoro: fu questo la Partita in si bemolle maggiore per
clavicembalo. Da allora egli potè pubblicare una partita all'anno in occasione della fiera degli
editori che si svolgeva a Lipsia. Nei 1731 le sei partite furono riunite e ripubblicate tutte insieme
e costituirono la prima parte del «Klavierübung», titolo ripreso da Kuhnau, che così aveva
chiamato due sue raccolte di suites. L'opera prima (così è definita nel frontespizio) bachiana
suscitò grande interesse, soprattutto per la grandiosità e le difficoltà tecniche che vi erano
contenute. Bach usava il termine «partita» non già nell'antica accezione di «serie di variazioni
sopra un basso dato», ma in quella più generica di suite di danze. Tanto è vero che le stesse sei
partite furono anche chiamate suites tedesche in contrapposizione a quelle francesi ed inglesi.
Ovviamente l'intercambiabilità dei titoli rispondeva più che altro ad esigenze editoriali. Le stesse
che certamente indussero Bach a mutare di volta in volta il titolo del primo pezzo di ogni singola
partita (preludio, ouverture, sinfonia, toccata, fantasia). Quello della quinta Partita in sol
maggiore, è chiamato preambolo ed è comunque un pezzo di carattere improvvisativo. Ad esso
seguono due danze contrapposte, una allemanda in ritmo pari e di intonazione galante e una
brillante corrente in 3/8. La partita annovera poi una sarabanda, un minuetto, un passepied, pure
in 3/8 e di andamento moderato, e si conclude, secondo un uso quasi costante, con una
virtuosistica giga.

Bruno Cagli

BWV 830 - Partita n. 6 in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=R04aT710ZBM

Toccata
Allemande
Courante
Air
Sarabande
Tempo di Gavotta
Gigue

Organico: clavicembalo
Composizione: 1730
Edizione: presso l'Autore, Lipsia, 1731

Tratto dal n. 5 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Qualche volta si usa scherzosamente la sigla BHS per indicare Johann Sebastian Bach, Georg
Friedrich Händel e Domenico Scarlatti, nati tutt'e tre nel 1685. Al tempo in cui questi semidei
respiravano l'aria più pulita e si cibavano dei cibi più ecologici che il pianeta Terra forniva loro
generosamente, a nessuno che avesse in zucca una briciola di sale sarebbe mai venuta la fantasia
di indicare i tre come BHS. Händel, sassone trapiantato a Londra, era una celebrità europea,
Scarlatti, napoletano rifugiatosi nella penisola iberica, era un uomo di corte noto negli ambienti
diplomatici, e il turingio Bach, germanico di nascita e di stanza, godeva di una notorietà che
oltrepassava di poco i confini della Sassonia. La fama dei compositori di un'epoca, quella
barocca, in cui si consumava al 99% musica contemporanea, si misurava sulle pubblicazioni
delle loro musiche. La quantità delle opere di Händel uscite in edizione a stampa vivente
l'Autore è talmente alta da scoraggiare chi si mette a contarle. Scarlatti aveva cinquantatré anni
quando vennero pubblicate a Londra trenta delle sue Sonate per clavicembalo, e poche altre sue
raccolte uscirono ancora a Londra, a Parigi e a Norimberga prima della sua morte. Bach ebbe
invece una... partenza a razzo: a ventitré anni gli toccò per la prima volta l'onore di far gemere i
torchi con una sua Cantata, e l'onore si rinnovò quando aveva ventiquattr'anni. Solo che le spese
della stamperia non le pagava un editore: le pagava il Consiglio della Chiesa di San Biagio di
Mülhausen, che aveva Bach alle sue dipendenze. Poi Bach passò a Weimar, poi a Cöthen, poi a
Lipsia, componendo una montagna di musica senza pubblicarne più una riga per quasi vent'anni.

A Lipsia si svolgeva - si svolge ancora - una famosa fiera, in cui si vendeva di tutto, e quindi
anche la musica stampata. Noi siamo generalmente abituati a pensare a Bach come ad un mistico
tutto preso dal servizio divino a cui doveva provvedere, e dimentichiamo che il Nostro fu capace
di collezionare una ventina di figlioli, da nutrire e da educare con i proventi di un modesto
salario fisso e di poche entrate straordinarie. Bisognava cercarli, gli incerti. Fatti i suoi calcoli,
nel 1726 Bach decise di far stampare a sue spese una Partita da vendere, appunto, alla fiera di
Lipsia.

Non sappiamo quante copie della neonata Partita finirono nelle mani di compratori. Ma
una,copia, ora conservata a Bologna, faceva parte della biblioteca del Padre Martini, il famoso
erudito. Ignoriamo del tutto come ci arrivasse, a Bologna, la Partita di un oscuro compositore
tedesco. Possiamo però immaginare che Giovanni Battista Martini, frate appartenente all'ordine
dei Minori Conventuali, chiedesse ad un confratello di Lipsia di spedirgli le novità musicali
esibite nella fiera. Come che sia, una copia arrivò a Bologna, probabilmente altre copie andarono
un po' di qua e un po' di là, e Bach potè ritenersi soddisfatto delle vendite al punto da decidere,
l'anno dopo, di dare alla prima Partita una sorellina, e poi.... Insomma, nel 1731 veniva stampata
la Partita n. 6 e alla raccolta completa veniva dato un titolo allettante: Esercìzio per tastiera
consistente in Preludi, Allemande, Correnti, Sarabande, Gighe, Minuetti ed altre Galanterie,
preparati per il piacere degli amatori da Johann Sebastian Bach. Nel 1735 la seconda parte
dell'Esercizio per tastiera (contenente il Concerto nel gusto italiano e l'Ouverture alla maniera
francese) venne stampata a spese di un editore di Norimberga. Successivamente qualche altro
lavoro di Bach uscì a stampa, talvolta ad opera di editori, talvolta a spese dell'Autore. Händel
sedeva dunque su un picco talmente elevato da sovrastare senza scampo le modeste collinette
elevate da Bach e Scarlatti. La posterità provvide poi a modificare l'altimetria.

Le sei Partite pubblicate una all'anno dal 1726 al 1731 (i termini Partita e Suite, nella Germania
del sec. XVIII, erano in pratica equivalenti) non risultavano affatto prive di una loro
organizzazione complessiva: la Prima è in modo maggiore, la Seconda e la Terza in modo
minore, la Quarta e la Quinta in modo maggiore, la Sesta in modo minore, nessuna tonalità di
impianto viene ripetuta (si bemolle maggiore, do minore, la minore, re maggiore, sol maggiore,
mi minore), e l'ampiezza delle prime tre Partite è inferiore a quella delle altre tre. In questa
grande architettura la Partita n. 6 rappresenta il culmine della raccolta sia per vastità di
proporzioni, sia per densità di contenuti, sia per impegno compositivo, sia per difficoltà tecnica.

La Partita si apre con una Toccata formata da una parte iniziale in stile improvvsatorio, un fugato
a tre voci, una riesposizione della parte iniziale con un diverso andamento tonale. Si tratta, in un
certo senso, di una sintesi della Toccata clavicembalistica, che nei modelli bachiani più
sviluppati si articola in sei sezioni con Introduzione, Arioso, Fuga, Interludio, ripresa della Fuga
e Coda. Nella Toccata della Partita n. 6, più schematica, restano comunque i due momenti
contrapposti per non dire contradditori - della assoluta libertà formale dell'improvvisazione e
della rigorosa condotta contrappuntistica della Fuga. La fantasia creatrice si sofferma a giocare
con un "motto" di pochi suoni, poi da quel "motto" ricava un "soggetto" con cui costruisce il
fugato, e ritorna infine al gioco sul "motto". Questa condotta formale è in realtà rara nella musica
barocca, che si compiace in genere di simmetrie più sofisticate. Ma Bach non dimentica
evidentemente di scrivere per e di dover vendere ad Amatori (Liebhaber), non a Conoscitori
(Kenner). Toccherà a suo figlio Carl Philipp Emanuel, quasi quarantanni più tardi e in un
contesto sociale cambiato, di livellare e unificare le due categorie di fruitori nei pezzi fürs
Kenner und Liebhaber.

Nella Partita, come nella Suite, troviamo quasi sempre i quattro piloni portanti della Allemanda
(danza di origine tedesca), della Corrente (francese), della Sarabanda (spagnola), della Giga
(inglese). In cinque delle sei Partite, Bach si attiene strettamente a questo modello canonico
fissato da Johann Jakob Froberger (1616-1667), le cui opere per tastiera, pubblicate postume alla
fine del Settecento, avevano lasciato una traccia profonda nella cultura tedesca. Dopo Froberger
era però invalso l'uso di inserire fra i quattro piloni qualche più snella colonna. Se il lettore
osserverà con attenzione il titolo si accorgerà del fatto che Minuetti ed altre Galanterie formano
un concetto solo. Nella Partita n. 6 le galanterie sono la semplicissima Aria che allenta la
tensione dopo la malinconica Allemanda e la nervosissima Corrente, e il grazioso Tempo di
Gavotta che separa la ipocondriaca Sarabanda dalla Giga furiosa. La progressione emotiva, dopo
la Toccata che prepara il clima espressivo di ciò che poi verrà, è condotta da Bach con una
sottigliezza e una conoscenza dell'animo umano portentose, e le due galanterie, con le loro
graziette da paggi, rendono ancor più cupo lo sviluppo dalla malinconia alla pazzia. Anche
quando componeva per il diletto degli Amatori, insomma, Bach non poteva non essere il
drammaturgo shakespeariano delle Cantate e delle Passioni.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composta nel 1730, poco prima della pubblicazione unitaria della prima Klavierübung, la Partita
n. 6 spicca nel complesso della raccolta con i caratteri di una particolare imponenza costruttiva e
di un'espressività intensa e severa. Tutti e sette i brani che la compongono si mantengono
ancorati al modo minore (la prassi prevedeva che tutte le parti della Suite fossero impiante nella
stessa tonalità, consentendo però in uno o più casi un mutamento di modo), rispecchiando una
scelta evidente nella stessa condotta di ciascun pezzo. Il brano introduttivo avvolge i suoi liberi
arabeschi toccatistici in armonie dense e cariche di significato, con scorci a volte drammatici; gli
stessi caratteri informano la sezione centrale della Toccata, che sviluppa in un complesso
episodio fugato il materiale tematico della prima parte, sfociando dopo serrate concatenazioni
contrappuntistiche nella ripresa del disegno iniziale. La linea melodica dell'Allemande si spezza
in figurazioni ritmiche estremamente variate, trascendendo l'ossatura della danza in uno
svolgimento ricco di fioriture. L'energico scatto della Corrente, con le lunghe catene di sincopi e
il virtuosistico sgranarsi delle quartine, determina un aumento di vivacità senza ribaltare la tinta
complessiva della Partita; nella quale inserisce un momento di meditativa distensione l'Air, che
si muove pacatamente indugiando a lungo nel tono di sol maggiore, relativo al mi minore
d'impianto, concludendosi, insolitamente, con una breve Coda. Centro psicologico della
composizione è l'intensa e drammatica Sarabande, particolarmente elaborata nell'ampia seconda
parte, dove gli spunti ritmici e melodici vengono sviluppati in eccezionali proiezioni fantastiche.
La Gavotta successiva ha una funzione in certo senso riequilibratrice, quasi a proporre una sorta
di ricreazione; nella sua semplicità essa è tuttavia brano di fattura estremamente raffinata, e si
compiace di ricercate sovrapposizioni di ritmi diversi nell'intreccio delle due voci cui si affida il
suo svolgimento. La Giga conclusiva abbandona i connotati di brillante e virtuosistico Finale che
la forma della Suite assegna di consueto a questa danza per dar vita a un frastagliato e scalpitante
edificio contrappuntistico, degno coronamento alla più elaborata e impegnativa fra le sei Partite
della prima Klavierübung.

Daniele Spini

Altre composizioni

https://www.youtube.com/watchv=XHttpKMQLA0&list=PLw-
O3c3TnprI96xeqHmtJSY9rZvOGwumx

BWV 831 - Ouverture francese in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=hFD-weffFpo

Ouverture
Courante
Gavotte I
Gavotte II (re maggiore)
Passepied I
Passepied II
Sarabande
Bourrée I
Bourrée II
Gigue
Echo

Organico: clavicembalo a due manuali


Composizione: 1735
Edizione: Chr. Weigel jr., Norimberga, 1735 (insieme al Concerto in stile italiano BWV 971)

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mentre tanti compositori italiani del periodo barocco, o Händel, che viveva in Inghilterra, o
Telemann, che viveva in Germania, pubblicavano a ripetizione musiche che si diffondevano in
tutta Europa, Johann Sebastian Bach, rispettato ma non celebre Cantor, non fruì della fama che
avrebbe potuto venirgli se avesse fin da giovane fatto gemere i torchi stampanti. Nel 1726 egli
fece però incidere a sue spese la Partita n. 1, continuò con aftre cinque Partite negli anni seguenti
e riunì nel 1731 il tutto sotto il titolo Esercizio per tastiera op. 1. Bach organizzò la diffusione
del suo lavoro accordandosi con diversi colleghi residenti in varie città e assicurando loro una
percentuale sulle vendite. E così il suo nome circolò un po', tanto che una copia della Partita n. 1
finì - a Bologna! - nella biblioteca del Padre Martini, minore conventuale che presumibilmente si
era rivolto a un confratello sassone chiedendo di mandargli le novità che venivano esibite nella
celebre Fiera di Lipsia.

Ormai svezzato dall'op. 1 Bach trovò nel 1735 - a cinquant'anni - un editore di Norimberga che
accettò il seguito dell'Esercizio senza fare sborsare un soldo all'Autore. La seconda parte
dell'opera comprende il Concerto nel gusto italiano e la Ouverture nello stile francese. Le civiltà
dominanti in Europa erano allora l'italiana, la francese e la tedesca. Ma le corti tedesche
influenzate dagli splendori del Re Sole erano generalmente filofrancesi, e Bach, a Luneburg,
aveva eseguito e aveva fatto copie di Couperin, Dieupart e de Grigny, oltre ad aver conosciuto
personalmente, molto più tardi, il francese Louis Marchand che, come tutti sanno, si sottrasse
con una fuga notturna al... duello all'organo che avrebbe dovuto essere ingaggiato fra lui e Bach.
Alla corte di Weimar Bach aveva però trovato un orientamento culturale del tutto diverso e
aveva studiato e trascritto per clavicembalo solo alcuni concerti di Vivaldi e di Alessandro
Marcello. Egli era dunque bene armato per poter metamorfosare alla tedesca il gusto italiano e lo
stile francese.

I concerti e le ouverture erano pezzi per formazioni orchestrali, e negli anni Trenta le orchestre
erano ormai in grado di produrre abitualmente gli effetti di sbalzi della dinamica che all'inizio
del secolo, con Corelli, avevano fatto sensazione a Roma. Il normale clavicembalo era capace di
variare la dinamica solo di poco e solo con una manovra macchinosa. Bach scelse allora il più
raro clavicembalo con due manuali, cioè tastiere, nel quale si poteva predisporre il forte a una
tastiera e il piano all'altra. Non erano possibili il gonfiamento e lo sgonfiamento della dinamica
(crescendo e diminuendo), ma era possibile realizzare un facsimile della alternanza di due
masse, quella del "concerto grosso" e quella del "concertino", oppure mettere in maggiore
evidenza uno tra due eventi concomitanti.

Nella Ouverture francese, tutta in si minore, le possibilità dei due manuali sono molto evidenti
nel pezzo conclusivo, che non a caso è intitolato Echo, e nel pezzo introduttivo, la Ouverture che
da il titolo al tutto, con un rapido fugato centrale incorniciato da due movimenti lenti nello stile
di Lully. Le danze sono quelle tradizionali della Suite - Corrente, Sarabanda, Ciga -, ma con
l'ovvia esclusione della tedesca Allemanda e con l'aggiunta delle francesi Gavotta, Passepied e
Bourrée.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Se nel Concerto italiano il «riferimento» stilistico-strutturale di Bach era stato il concerto


solistico vivaldiano, nell'Ouverture secondo la maniera francese il modello compositivo va
ricercato nella suite per orchestra, che ai tempi di Bach comprendeva un'ampia pagina
introduttiva, spesso caratterizzata da una scrittura polifonico-imitativa, cui faceva seguito una
serie di musiche d'intrattenimento, ovvero danze e piccoli brani di fantasia. Nell'Ouverture
francese il discorso musicale si fa estremamente complesso e la tecnica cembalistica si
arricchisce di straordinari contributi: lo stile generale dell'opera, dominato da grandi contrasti, è
al contempo orchestrale e solistico; lo spirito tipicamente francese della composizione è poi
riscontrabile nell'abbondante ornamentazione, nei frequenti ritmi puntati, nella stilizzazione del
carattere coreografico della musica. La normale successione di danze nelle suite bachiane
prevede un'allemanda, cui segue una corrente, una sarabanda e una giga, a volte con inserimenti
di altre danze fra sarabanda e giga (minuetto, bourrée, gavotta, etc.). Nell'Ouverture francese
manca l'allemanda e alla corrente fanno seguito due gavotte e due passepied, mentre dopo la
sarabanda troviamo due bourrée. La suite viene conclusa poi da un echo.

L'Ouverture introduttiva è, come voleva la tradizione, tripartita: due sezioni in tempo lento
inquadrano un'ampia fuga centrale a quattro voci. Il contrasto è molto netto: l'incedere solenne e
pomposo della sezione lenta, al quale contribuiscono il caratteristico ritmo puntato, i numerosi
abbellimenti e gli ampi accordi spezzati, agisce da detonatore per la straordinaria energia ritmica
della fuga, il cui impulso vitale, garantito dal continuum di semicrome, non cessa che alla ripresa
della sezione lenta. Le danze che seguono l'Ouverture osservano tutte un identico schema
formale bipartito, con percorsi armonico-tonali sempre uguali (tonica dominante e ritorno o
minore-maggiore e ritorno); basterà qui sottolineare allora il diverso carattere delle varie danze
che compongono la suite.

La Courante è una danza in ritmo ternario, elegante e leggera, dal movimento non rapido (si
danza scivolando sui piedi); la Gavotte successiva è invece in ritmo binario, dal carattere gaio
ma dall'andamento moderato e ha la caratteristica di cominciare in levare, ossia sul tempo debole
della battuta.

Il Passepied è una danza svelta e leggera, dal movimento molto vivace e dal ritmo ternario
composto (3/8 o 6/8); danza grave e solenne per eccellenza, la Sarabande è invece il
corrispettivo del movimento lento della sonata, essendo costituita in sostanza da un adagio in
tempo ternario con leggero accento sul secondo tempo di ogni battuta.

La Bourrée, originaria della regione francese dell'Auvergne, è una danza rustica che si distingue
dalla gavotta per il suo carattere aspro e quasi brutale e per il suo movimento più rapido. Il ritmo
è binario e l'inizio sempre in battere, ossia sul tempo forte della battuta.

La Gigue era anticamente una sorta di valzer, del quale ha conservato il ritmo ternario senza
mutuarne però il caratteristico accompagnamento. In Bach assume un movimento molto vivace e
spigliato, col caratteristico tempo composto (6/8 o 12/8).

L'Echo finale non è una danza, ma era già stato utilizzato da Bach all'interno di un'opera
giovanile, una suite in si bemolle maggiore per clavicembalo, con effetti realmente mutuati
dall'eco della natura (ripetizione piano e con effetto di lontananza di un inciso musicale
presentato in forte). Qui però l'eco viene idealizzato: le «risposte» agli incisi musicali non sono
più letterali, ma libere (ad accordi ascendenti piano «risponde», ad esempio, una scala
ascendente forte, etc.).

Carlo Franceschi De Marchi

BWV 832 - Partita

https://www.youtube.com/watchv=XHttpKMQLA0

BWV 833 - Preludio e partita


https://www.youtube.com/watchv=_z2Mxshn5ZE

BWV 834 - Allemanda

https://www.youtube.com/watchv=SaIosYka6gs

BWV 835 - Allemanda

https://www.youtube.com/watchv=pMADjjnXCf8

BWV 836 - Allemanda

https://www.youtube.com/watchv=mCCux8jvhkA

BWV 837 - Allemanda

https://www.youtube.com/watchv=p3vcYs7ucAs

BWV 838 - Allemanda e corrente

https://www.youtube.com/watchv=YDMCci-SPNI

BWV 839 - Sarabanda

https://www.youtube.com/watchv=SeutGq79VEg

BWV 840 - Corrente

https://www.youtube.com/watchv=7rzuNthyzYw

BWV 841 - Minuetto

https://www.youtube.com/watchv=D_TOHrvsDcc

BWV 842 - Minuetto

https://www.youtube.com/watchv=kTGqvvC_Vt4

BWV 843 - Minuetto

https://www.youtube.com/watchv=hK8Q4oUSNrI

BWV 844 - Scherzo

https://www.youtube.com/watchv=2B86s0KRCBU
BWV 844a - Scherzo

BWV 845 - Giga

https://www.youtube.com/watchv=r9rjq7Dy6QE

Il clavicembalo ben temperato

https://it.wikipedia.org/wiki/Il_clavicembalo_ben_temperato

https://www.flaminioonline.it/Guide/Bach/Bach-Clavicembalo846.html

https://www.youtube.com/watchv=pjnKuhcfB6U

https://www.youtube.com/watchv=1osi_pQcUdM

Libro I

BWV 846 - Preludio e fuga n. 1 in Do maggiore

https://youtu.be/Dkt75juxvxw

BWV 847 - Preludio e fuga n. 2 in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=1GXHjxvSi24

BWV 848 - Preludio e fuga n. 3 in Do♯ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=Z-c8WG2GTaI

BWV 849 - Preludio e fuga n. 4 in Do♯ minore

https://www.youtube.com/watchv=zdD_QygwRuY

BWV 850 - Preludio e fuga n. 5 in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=K_85VWhfSRA

BWV 851 - Preludio e fuga n. 6 in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=QNMYHy8B7KU

BWV 852 - Preludio e fuga n. 7 in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=qzrdiaX9eBs
BWV 853 - Preludio e fuga n. 8 in Re♯ minore

https://www.youtube.com/watchv=w6x_0Csbdyw

BWV 854 - Preludio e fuga n. 9 in Mi maggiore

https://www.youtube.com/watchv=EMEITKQI7ao

BWV 855 - Preludio e fuga n. 10 in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=wp5mPL7IPMc

BWV 856 - Preludio e fuga n. 11 in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=njXeHu5znZ0

BWV 857 - Preludio e fuga n. 12 in Fa minore

https://www.youtube.com/watchv=X9Z_FVjMSWc

BWV 858 - Preludio e fuga n. 13 in Fa♯ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=lJCpUW1Q1yc

BWV 859 - Preludio e fuga n. 14 in Fa♯ minore

https://www.youtube.com/watchv=RjAQLU23keI

BWV 860 - Preludio e fuga n. 15 in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=gNlXYLsC_Vs

BWV 861 - Preludio e fuga n. 16 in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=AZKif28jMUg

BWV 862 - Preludio e fuga n. 17 in La♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=gCL5Zvnt0TU

BWV 863 - Preludio e fuga n. 18 in Sol♯ minoree

https://www.youtube.com/watchv=gfrI046SU3E

BWV 864 - Preludio e fuga n. 19 in La maggiore


https://www.youtube.com/watchv=TRZfA5gv-dE

BWV 865 - Preludio e fuga n. 20 in La minore

https://www.youtube.com/watchv=Qj4lPhfG98o

BWV 866 - Preludio e fuga n. 21 in Si♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=FzwlNtcWV34

BWV 867 - Preludio e fuga n. 22 in Si♭ minore

https://www.youtube.com/watchv=CL00B8TQMBQ

BWV 868 - Preludio e fuga n. 23 in Si maggiore

https://www.youtube.com/watchv=S9fXYDMnviw

BWV 869 - Preludio e fuga n. 24 in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=R1wC2XgG2Xc

Libro II

BWV 870 - Preludio e fuga n. 1 in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=e-d4nuf7-mI

BWV 871 - Preludio e fuga n. 2 in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=pfJWBcAbKUQ

BWV 872 - Preludio e fuga n. 3 in Do♯ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=4xj9PRsW4D0

BWV 873 - Preludio e fuga n. 4 in Do♯ minore

https://www.youtube.com/watchv=pT2pyjqHkLU

BWV 874 - Preludio e fuga n. 5 in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=BVVCnTkKDkw

BWV 875 - Preludio e fuga n. 6 in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=FhpN_KAI5sQ
BWV 876 - Preludio e fuga n. 7 in Mi♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=1-DynGWKTB4

BWV 877 - Preludio e fuga n. 8 in Re♯ minore

https://www.youtube.com/watchv=No0A0juWk1I

BWV 878 - Preludio e fuga n. 9 in Mi maggiore

https://www.youtube.com/watchv=LCtBEwz_K4A

BWV 879 - Preludio e fuga n. 10 in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=ldNuMYFVcvE

BWV 880 - Preludio e fuga n. 11 in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=r0TJ0U0R1FU

BWV 881 - Preludio e fuga n. 12 in Fa minore

https://www.youtube.com/watchv=HSUmYPny3qI

BWV 882 - Preludio e fuga n. 13 in Fa♯ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=MDRXeGBgHlU

BWV 883 - Preludio e fuga n. 14 in Fa♯ minore

https://www.youtube.com/watchv=1lvTBkXf468

BWV 884 - Preludio e fuga n. 15 in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=7inieEUoM-s

BWV 885 - Preludio e fuga n. 16 in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=bm08EY0FRm4

BWV 886 - Preludio e fuga n. 17 in La♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=Cp955FVKeHE

BWV 887 - Preludio e fuga n. 18 in Sol♯ minore


https://www.youtube.com/watchv=Z8pFmhoje1M

BWV 888 - Preludio e fuga n. 19 in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=Gg8gIrERnpA

BWV 889 - Preludio e fuga n. 20 in La minore

https://www.youtube.com/watchv=K47T6j-WyQU

BWV 890 - Preludio e fuga n. 21 in Si♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=30HpauKqshw

BWV 891 - Preludio e fuga n. 22 in Si♭ minore

https://www.youtube.com/watchv=CEJ3PL2ovuU

BWV 892 - Preludio e fuga n. 23 in Si maggiore

https://www.youtube.com/watchv=ehzRQFCn3Fs

BWV 893 - Preludio e fuga n. 24 in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=IXfynSlvJh4

Organico: clavicembalo
Composizione: Lipsia, 1738 - 1742
Edizione: Simrock, Bonn, 1801

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

I due libri di Preludi e Fughe che portano il titolo di Clavicembalo ben temperato risalgono a due
diversi periodi della vita e dell'attività di Bach: il I libro fu completato nel 1722 durante il
periodo di Köthen, come precisa l'autografo conservato nella Deutsche Staatsbibliothek di
Berlino, mentre il II libro venne compilato tra il 1740 e il 1744 quando il sommo musicista
risiedeva ormai stabilmente a Lipsia. Questo secondo autografo, per lungo tempo considerato
perduto, fu acquistato nel 1896 dal British Museum di Londra, ove si trova. Della raccolta
completa esistono varie copie, alcune delle quali videro la luce già negli anni immediatamente
successivi alla realizzazione dell'opera.

Soltanto il I libro apparve con il titolo di Clavicembalo ben temperato, laddove il II libro recava
il titolo di Ventiquattro nuovi preludi e fughe. L'impianto dei due libri risulta peraltro
all'apparenza perfettamente analogo, cosicché sono stati normalmente considerati come le due
parti di una medesima opera. Ciascun libro comprende ventiquattro Preludi e ventiquattro
Fughe: un Preludio ed una Fuga per ognuna delle diverse tonalità che si susseguono in ordine
cromatico ascendente.
Il titolo di Clavicembalo ben temperato deriva dal proposito che Bach si prefiggeva di mostrare i
vantaggi del "temperamento equabile", cioè dell'accorgimento che sostituisce al sistema
musicale pitagorico per quinte naturali, un sistema in cui l'ottava risulta divisa in dodici semitoni
uguali. Tale criterio di temperamento, teorizzato nel 1691 dall'organista tedesco Andreas
Werckmeister, aveva già conosciuto un'applicazione saltuaria da parte di alcuni musicisti, ma
spettò a Bach il compito di sanzionarne la validità ai fini di una più estesa e ricca pratica
armonica.

Nel Clavicembalo ben temperato sono ripresi ed ampliati anche lavori scritti in epoca anteriore.
Undici Preludi del I libro (cioè i nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11 e 12) già erano comparsi, seppure
in forma meno elaborata, nel Klavierbüchlein scritto da Bach per il figlio Wilhelm Friedemann
ed alcune pagine del II libro sono precedenti persino al I libro. Comunque, la globalità dell'opera
risulta di una stupefacente organicità e di una meravigliosa varietà, unendo all'eccezionale
significato didattico quell'altissimo valore poetico che ne fa uno dei più elevati capolavori
dell'intera letteratura musicale.

Ognuno dei pezzi ha un suo carattere preciso che lo differenzia da tutti gli altri. I Preludi sono
svolti in molteplici forme e costituiscono il momento, per così dire statico, della struttura
compositiva: inoltre i Preludi mostrano maggiore varietà di atteggiamenti, si rifanno allo stile
arcaico della Toccata oppure anticipano lo stile galante, risentono di certe composizioni
organistiche oppure si rifanno alle danze dell'antica Suite. Le Fughe, per contro, rappresentano
l'elemento dinamico della struttura compositiva e stanno a significare l'esito della strabiliante
inventiva di Bach su uno stesso soggetto, passando dalle figure più semplici a quelle più
complesse. In particolare, le Fughe non rispettano lo schema scolastico, secondo il quale il
soggetto e la risposta (che è la riproduzione alla dominante del soggetto, identica nel caso della
fuga reale, diversa in alcuni intervalli nel caso della fuga tonale) danno luogo, accompagnati da
uno o più controsoggetti, ad uno sviluppo in cui si susseguono la esposizione e l'eventuale
controesposizione nella tonalità fondamentale, un primo divertimento, una riesposizione nella
tonalità relativa alla fondamentale, un secondo divertimento, una seconda riesposizione nella
tonalità, sottodominante, un terzo divertimento, una terza riesposizione nella tonalità relativa alla
sottodominante, un quarto divertimento con pedale e corona sulla dominante, gli stretti e la
chiusa nella tonalità fondamentale.

Le Fughe sono trattate invece da Bach con aspetti ogni volta nuovi e aderentissimi alla natura del
materiale tematico utilizzato. Figurano nel I libro una fuga a due voci, undici fughe a tre voci,
dieci fughe a quattro voci, due fughe a cinque voci; nel II libro vi sono quindici fughe a tre voci
e nove fughe a quattro voci. Come osserva con perspicacia Alberto Basso, Bach «espertissimo
nell'arte della fuga, che in gioventù aveva coltivato soprattutto nelle Cantate e nelle opere per
organo, con le fughe del Clavicembalo ben temperato si accinse a dare una metodica e scientifica
sistemazione ad una materia in ebollizione, confermando quanto provocatoria potesse essere la
manifestazione delle leggi di attrazione esercitata dalla progressiva affermazione del tonalismo.
Lo stylus antiquus, il contrappunto inteso nella più rigorosa delle sue espressioni, quello
dell'imitazione canonica, trovava ora una nuova ambientazione: con il consolidamento della
scala temperata la fuga si erigeva a sistema architettonico rigido, ma non immobile, vincolato ad
un certo formalismo che poteva interessare ogni aspetto della composizione, non ultima la natura
del tematismo. Fu anzi dalla particolare necessità di rendere chiaramente percepibile il tema che
si sviluppò la coscienza tematica: di cui l'istanza di fare del tema stesso non un mezzo per
avviare la composizione, ma un elemento per renderla inconfondibile e originale» (cfr. Frau
Musika, voi. I, Torino 1979).

Rispetto alle caratteristiche essenziali del I libro i Preludi e le Fughe del II libro, perfettamente
analoghi nell'impianto, presentano in sede sostanziale, nei confronti della precedente raccolta,
alcune differenze, la principale delle quali risiede nella maggiore ampiezza dei Preludi del II
libro, evidenziata inoltre dal frequente impiego della forma bipartita (nn. 2, 5, 8, 9, 10, 12, 15,
18, 20 e 21), per lo più con una seconda parte più ampia. Tale attenzione prestata alla struttura
bipartita verosimilmente discende dalla consuetudine con le forme di danza. Anche nelle Fughe
dei II libro, oltre all'adozione dello stile arcaico (nn. 7 e 9) e all'assenza di schemi a cinque voci,
si verifica l'evidente influsso di ritmi di danza (nn. 1, 4, 11, 13, 15, 17, 21 e 24). Meno marcato è
infine il rapporto di unità metrica fra Preludio e Fuga, che nel I libro si verifica in nove casi
mentre nel II soltanto in cinque (nn. 2, 3, 8, 12, 20). Da queste e da altre osservazioni discende la
considerazione che il II libro di Preludi e Fughe è stato realizzato in un contesto artistico e
pratico ben diverso da quello esistente a Köthen, ove era preminente per l'autore la necessità
dell'impegno etico di curare la graduale preparazione professionale dei primi figli di Bach. A
Lipsia, come ancora ha scritto Alberto Basso, «nella borghese ed accademica civitas lipsiense, il
Clavicembalo ben temperato si colloca al centro di un processo compositivo in cui emergono
come protagonisti gli strumenti a tastiera, cembalo ed organo, con una progressione stupefacente
di invenzioni e deduzioni che, risalendo dalle collaudate esperienze della suite e del concerto,
conquistano gli spazi profondi della speculazione, della musica artificialis, dell'ars combinatoria,
senza perdere di vista le occasioni e le motivazioni iniziali che sono quelle dell'exercitium,
dell'experimentum, della ratio ordinis» (cfr. Frau Musika, voi. II, Torino 1983).

Per facilitare l'ascolto dei quarantotto Preludi e Fughe del I e del II libro del Clavicembalo ben
temperato sembra opportuno fornire qualche indicazione musicale, pezzo per pezzo.
Naturalmente ci siamo premurati di omettere le indicazioni dinamiche ed espressive d'esplicito
carattere soggettivistico apposte da un interprete come Ferruccio Busoni nella sua edizione
critica del Clavicembalo ben temperato. Il testo autentico è contenuto nel XIV volume
dell'edizione della Bachgesellschaft, pubblicato nel 1866 a cura di Franz Kroll.

LIBRO I

I. Preludio e Fuga in do maggiore


Il Preludio è formato da 36 battute caratterizzate da un disegno unico: un breve arpeggio con la
ripetizione delle ultime tre note. Il giro armonico, assai semplice, è arricchito da ritardi. Più che
di una vera e propria linea melodica, si può parlare di una melodia di accordi, cui si addice una
sonorità molto dolce.
La Fuga di 26 battute è una fuga reale a quattro voci. La forma non corrisponde affatto a quella
della fuga scolastica ma presenta un susseguirsi di stretti, senza riesposizioni nelle varie tonalità
e senza divertimenti. Le entrate in stretto sono trattate in maniera variatissima. Il carattere del
pezzo è di una severa grandiosità.
II. Preludio e Fuga in do minore
Il Preludio è di 38 battute. Sul finire del pezzo intervengono, con carattere di cadenza e di
recitativo, passaggi in Presto, in Adagio e in Allegro, didascalie segnate da Bach stesso. Prima di
questi passaggi, il Preludio si svolge attraverso un disegno a moto perpetuo dall'incedere caldo
ed irruento.
La Fuga, di 31 battute, è una fuga tonale a tre voci. Il movimento è indicato in genere dai
revisori come Allegretto, con l'aggiunta a volte di aggettivi quale giocoso e vivace. La forma
presenta quasi esclusivamente entrate di soggetti e riesposta nella tonalità fondamentale,
intervallate da divertimenti; mancano gli stretti; il controsoggetto accompagna sempre, in
maniera più o meno rigorosa, le entrate del soggetto e della risposta successiva a quella iniziale;
la fuga si chiude con l'intero soggetto. Il discorso musicale è condotto con limpida grazia e
gaiezza su un ritmo di danza.
III. Preludio e Fuga in do diesis maggiore
Il Preludio è di 104 battute. Velocità e leggerezza son in effetti i due caratteri peculiari del pezzo,
svolto a due voci che si rimandano l'una con l'altra due elementi tematici.
La Fuga, di 55 battute, è una fuga tonale a tre voci. Circa la forma, è da notare che, dopo
l'esposizione, le entrate dei soggetti e delle risposte si diradano sino a scomparire in un lungo
divertimento centrale, per poi ritornare leggere e trasparenti; i divertimenti sono trattati in forma
di progressione discendente; il controsoggetto presenta a volte delle varianti. Brano di gioviale e
delicata freschezza, la Fuga è ricca di sfumature e di finezze armoniche.
IV. Preludio e Fuga in do diesis minore
Il Preludio è di 39 battute. La forma è bipartita e tutto il brano, di intima e dolente dolcezza, ha
una condotta ampiamente polifonica che si sviluppa dal nucleo della prima battuta.
La Fuga, di 115 battute, è una fuga reale a cinque voci. Composizione vasta e densa, ha alla base
dalla sua imponente costruzione un tema di sole quattro note, che riesce a creare di colpo, come
osserva Casella, un'atmosfera intensa e ricca di "premesse". È divisa in tre sezioni: prima
sezione, con esposizione e contrapposizione incompleta, sezione di sviluppo, sezione di
riepilogo e conclusione, con coda e chiusa in maggiore. Gli elementi tematici sono il soggetto e
tre controsoggetti, l'ultimo dei quali acquista l'importanza di un secondo soggetto.
V. Preludio e Fuga in re maggiore
Il Preludio è di 35 battute. L'apparente scrittura a due voci, in cui un'agile linea melodica si
snoda su un basso quasi pizzicato, cela in realtà tre o, secondo Riemann, quattro voci. Il pezzo
richiede una esecuzione leggerissima, sfociando in sonorità piene nelle due battute finali.
La Fuga, di 27 battute, è una fuga reale a quattro voci. La forma è assai semplice; sui due
elementi melodici costituenti il soggetto, dei quali è particolarmente caratteristico il primo
formato da due quartine di biscrome, si basano l'esposizione, un primo divertimento, uno
sviluppo, un secondo divertimento e la conclusione; non ci sono né controsoggetti, né
controesposizione, né stretti, né pedali. La Fuga risulta peraltro di una barocca maestosità.
VI. Preludio e Fuga in re minore
Il Preludio è di 26 battute. Il pezzo presenta, sostenuto dai bassi, un disegno continuo in staccato,
di intonazione fantastica.
La Fuga, di 44 battute, è una fuga reale a tre voci. La forma è tripartita, con esposizione,
sviluppo e coda; frequente è l'impiego del soggetto rivoltato e del controsoggetto. Il carattere è
austero e meditativo.
VII. Preludio e Fuga in mi bemolle maggiore
Il Preludio, di 70 battute, è uno dei più elaborati. È in forma tripartita. Le due prime sezioni
fanno da introduzione alla terza, che è una fuga a quattro voci avente per soggetto il tema del
Poco andante e per controsoggetto il tema dell'Allegro deciso. La forma ed il carattere del pezzo
lo avvicinano alla grandiosità delle maggiori toccate organistiche bachiane.
La Fuga, di 37 battute, è una fuga tonale a tre voci di modeste proporzioni. Il movimento ha una
coda che è sviluppata in tutti i divertimenti; il controsoggetto è presente in otto su nove entrate
del soggetto e della risposta. La Fuga ha un carattere garbato e scherzoso.
VIII. Preludio e Fuga in mi bemolle minore
Il Preludio è di 40 battute. «A questo Preludio» scrive Casella «ben si addice - e si adopera qui
l'aggettivo con la piena consapevolezza del suo valore - la parola sublime. Sembra che Bach
abbia una volta ancora scoperto tutta la tragicità di una inconsueta, cupa tonalità, che così
meravigliosamente si prestava in questo caso per l'atmosfera mistica e religiosa di questo
capolavoro, di una purezza lineare veramente ellenica».
La Fuga, di 87 battute, è una fuga tonale a tre voci. Nell'autografo è scritta in re diesis minore. In
questa pagina profondamente espressiva e nello stesso tempo assai complessa per i molteplici
artifici contrappuntistici usati, la forma presenta tre sezioni: esposizione con controesposizione,
sviluppo, coda. Lo sviluppo comprende uno stretto per moto retto, l'inversione del tema esposta
successivamente nelle tre voci, uno stretto del tema invertito, uno strettissimo del tema in moto
retto e poi del tema invertito. La coda comprende una esposizione del tema aggravato posto
successivamente nelle tre voci e contemporaneamente al tema per moto retto e al tema invertito.
IX. Preludio e Fuga in mi maggiore
Il Preludio è di 24 battute. Brano sereno e idillico, dolce nella sonorità e lineare nel fraseggio, si
apparenta per la sua forma alle Invenzioni a tre voci.
La Fuga, di 29 battute, è una fuga reale a tre voci. La forma è in tre sezioni: esposizione con
controesposizione, sviluppo, coda. Il controsoggetto accompagna tutte le entrate della prima
sezione, è assente nelle entrate della sezione centrale, riappare con le entrate della terza sezione.
X. Preludio e Fuga in mi minore
Il Preludio è di 41 battute. La forma del Preludio è caratterizzata dal passaggio da un movimento
grave e patetico ad uno rapido a gaio. Il disegno che nella prima parte serve da
accompagnamento alla melodia, recitante ed espressiva, diventa l'elemento essenziale della
seconda parte.
La Fuga, di 42 battute, è una fuga reale, l'unica a due yoci di tutta l'opera. La forma è in tre parti,
di cui la seconda è esattamente l'inversione, in un perfetto esempio di contrappunto doppio, della
prima. Il carattere, secondo Casella, è quello di un vero e proprio studio di bravura.
XI. Preludio e Fuga in fa maggiore
Il Preludio è di 18 battute in tempo 12/8. Tutto il brano, tranne due battute, è a due voci e
ricorda, nel gioco imitativo, il tipo delle Invenzioni. Frequente è l'uso dei trilli. Il carattere è
fresco e spigliato.
La Fuga, di 72 battute, è una fuga tonale a tre voci. Il controsoggetto nasce del soggetto e ne è
una logica continuazione. La forma è tripartita: nella prima sezione figurano esposizione,
controesposizione e uno stretto; la seconda sezione comprende due periodi ugualmente lunghi
con stretti che vanno prima dalla voce superiore all'inferiore, poi in senso inverso; un elemento
essenziale della terza sezione è dato dall'inversione della seconda battuta del soggetto.
XII. Preludio e Fuga in fa minore
Il Preludio è di 22 battute. Su un tessuto armonico grave ed austero si svolge una intensa melodia
formata dal collegamento di due voci. Ricco è l'intreccio polifonico.
La Fuga di 58 battute, è una fuga tonale a quattro voci. Gli elementi tematici sono il soggetto,
dolorosamente cromatico, e due controsoggetti. Nell'esposizione compaiono tre volte il soggetto
e una volta la risposta: successivamente si hanno sei entrate di soggetti e risposte e sei
divertimenti, tutti basati su figurazioni del primo controsoggetto.
XIII. Preludio e Fuga in fa diesis maggiore
Il Preludio è di 30 battute. Un delicato ed affettuoso dialogo fra due voci si svolge in tre sezioni:
nella prima sezione la voce superiore propone i disegni ed il basso li limita, nella seconda
avviene il contrario, la terza sezione conclude il dialogo.
La Fuga, di 35 battute, è una fuga tonale a tre voci. La forma presenta una singolare caratteristica
nell'introduzione alla settima battuta di un elemento estraneo, sia pure affine al controsoggetto,
che acquista importanza nello sviluppo, dando vita ai divertimenti. Il carattere è sereno come nel
Preludio, tanto che Busoni paragona questi Preludio e Fuga ad una pittura di Watteau posta fra
due stampe di Dürer.
XIV. Preludio e Fuga in fa diesis minore
Il Preludio è di 24 battute. Un discorso deciso e vigoroso è affidato a due voci in fugato.
La Fuga, di 40 battute, è una fuga reale a quattro voci. All'intimo raccoglimento del pezzo
corrisponde una forma in cui tutto procede strettamente dal soggetto ed in particolare dalle sue
tre note iniziali. Queste creano, per diminuzione ed inversione, il resto del soggetto e, per
inversione con ritmo diverso e note ripetute, il controsoggetto. Nell'esposizione compaiono tre
volte il soggetto ed una volta la risposta.
XV. Preludio e Fuga in sol maggiore
Il Preludio è di 19 battute in 24/16. Si tratta in sostanza di uno studio, con aspetto quasi di giga e
di saltarello, basato su accordi di tre suoni arpeggiati in modo da formare un continuo disegno di
terzine.
La Fuga, di 86 battute, è una fuga reale a tre voci. La forma presenta esposizione e
controesposizione, sei divertimenti, tre stretti, una coda.
XVI. Preludio e Fuga in sol minore
Il Preludio è di 19 battute. Il pezzo è ricco di disegni nascenti da un comune nucleo originario e
presenta trilli e fioriture.
La Fuga, di 34 battute, è una fuga tonale a quattro voci. La forma è vicina al modello scolastico.
Soggetto e controsoggetto sono fatti degli stessi elementi, ma il discorso è tuttavia assai vario,
soprattutto per la geniale maniera in cui sono svolti i divertimenti.
XVII. Preludio e Fuga in la bemolle maggiore
Il Preludio è di 44 battute. La forma comprende due parti simmetriche fra loro, di cui la seconda
è l'inversione contrappuntistica con qualche variante della prima, ed una coda che riassume gli
elementi tematici. Di andamento energico e pomposo, ha il carattere di un primo tempo di
concerto grosso e presenta qualche somiglianza con lo stile händeliano.
La Fuga, di 35 battute, è una fuga tonale a quattro voci. Da un soggetto di una battuta, largo ed
amabile, si sviluppa armoniosamente tutto il discorso.
XVIII. Preludio e Fuga in sol diesis minore
Il Preludio è di 29 battute. Busoni fa notare che il trattamento a tre voci, con l'elaborazione del
soggetto anche invertito in ogni voce, assimila questo pezzo al genere delle Invenzioni. Il
carattere è semplice ed affettuoso.
La Fuga, di 41 battute, è una fuga tonale a quattro voci. Al soggetto modulante alla dominante
segue eccezionalmente una risposta modulante dalla tonalità di sottodominante a quella di
tonica. Metà della fuga è occupata dall'esposizione e dalla controesposizione; compaiono cinque
divertimenti e nessuno stretto.
XIX. Preludio e Fuga in la maggiore
Il Preludio è di 24 battute. Busoni, analizzando il pezzo, vi ha riconosciuto la forma di una
fughetta a tre voci e tre soggetti. I tre temi, che si sviluppano in contrappunto triplo, sono uno
flessuoso, uno a ritmo rigido, uno sincopato. Il carattere è di serena freschezza, l'andamento
scorrevole.
La Fuga, di 54 battute, è una fuga tonale a tre voci. La forma è tutta imperniata sul tema, che
appare ininterrottamente, intero o frazionato; un primo controsoggetto si unifica con il tema; un
secondo controsoggetto, di linea arabescata, interviene alla 23a battuta.
XX. Preludio e Fuga in la minore
Il Preludio è di 28 battute. La costruzione del pezzo si basa su due temi, con imitazioni e
trasposizioni di parti.
La Fuga, di 87 battute, è una fuga reale a quattro voci assai sviluppata formalmente ed elaborata
contrappuntisticamente. La forma può essere sommariamente divisa nelle seguenti parti:
esposizione, inversione del tema, stretto a canone del tema, stretto a canone del tema invertito,
strettissimo del tema in modo retto ed invertito, cadenza e coda con stretto fra basso e tenore in
moto contrario e poi fra soprano e contralto in moto retto.
XXI. Preludio e Fuga in si bemolle maggiore
Il Preludio è di 20 battute. La composizione, splendente e virtuosistica, ha un andamento
improvvisatorio. La forma è divisa in due sezioni che si susseguono con assoluta naturalezza:
una prima sezione rapida e scorrevole, una seconda caratterizzata dall'alternarsi di passaggi
veloci e di passaggi gravi, quasi declamati. La tecnica richiama alla mente quella degli strumenti
ad arco, con qualche ripieno d'organo nella seconda parte.
La Fuga, di 48 battute, è una fuga tonale a tre voci. La forma è piuttosto semplice, quasi di
fughetta: due controsoggetti compaiono costantemente con le entrate del soggetto e della
risposta: i divertimenti sono due, simili tra loro, in progressione. Il carattere è arguto e brioso.
XXII. Preludio e Fuga in si bemolle minore
Il Preludio è di 24 battute. La linea melodica è data dalla ripetizione in progressione ascendente
di un breve motivo, formato da due frammenti. Dal primo di questi frammenti si sviluppano
alcuni episodi, mentre il secondo non appare se non con il primo. Pagina profondamente
dolorosa nel carattere e limpidamente pura nella forma, ha un ritmo quasi di marcia funebre;
l'uso di due voci in terze parallele nella melodia e le accentuazioni dissonanti dell'armonia
aumentano la potenza espressiva del discorso musicale.
La Fuga, di 75 battute, è una fuga tonale a cinque voci. Tutta la fuga, in cui il controsoggetto è
strettamente unito al soggetto, si svolge in un crescendo che culmina nella grandiosità dello
stretto finale. Per Casella, il pezzo ha il carattere di «una fuga mistica, attraversata però in vari
punti da accenti puramente umani».
XXIII. Preludio e Fuga in si maggiore
Il Preludio è di 19 battute. Il pezzo, diviso in tre sezioni ben proporzionate con modulazioni alle
tonalità di fa diesis maggiore e di sol diesis minore, è considerato da Busoni uno studio di tocco
e di Stimmung. Il carattere è dolce, sereno e delicato.
La Fuga, da 34 battute, è una fuga tonale a quattro voci. Il soggetto è affine a quello del
Preludio, il controsoggetto accompagna le entrate dell'esposizione, ma non quello dello sviluppo,
riapparendo solo con l'ultima entrata; frammenti del controsoggetto si riscontrano però nel
divertimento. La composizione ha un andamento ampio e misurato.
XXIV. Preludio e Fuga in si minore
Il Preludio è di 47 battute. Il movimento è indicato come Andante da Bach stesso. La forma
presenta due sezioni, ciascuna con ritornello. Due voci in contrappunto doppio svolgono il loro
discorso su un basso continuo nel quale ogni tanto è accennato il tema principale diminuito. Una
intonazione religiosa caratterizza il pezzo.
La Fuga, di 76 battute, è una fuga tonale a quattro voci. Il movimento è indicato come Largo da
Bach stesso. Ad un tema cromatico assai espressivo corrisponde un controsoggetto di pari
intensità, mentre nuovi motivi compaiono nei divertimenti. Il discorso contrappuntistico si
sviluppa ricco e vario, dando luogo ad una singolare magnificenza di combinazioni armoniche. Il
carattere è anche qui profondamente mistico.
LIBRO SECONDO
I. Preludio e Fuga in do maggiore
Il Preludio, di 34 battute, fu rifatto dall'autore tre volte: la prima versione è riportata nel volume
XXXVI edito dalla Bachgesellschaft. La forma ha nella prima parte un aspetto improvvisatorio,
nella seconda parte un aspetto più definito. La melodia è quasi sempre una "melodia polifonica",
affidata alle due voci della mano destra. Una larga melodicità ed una sonorità piena
caratterizzano il pezzo.
La Fuga, di 83 battute, è una fuga tonale a tre voci. La forma è semplice: il controsoggetto, che
non è stabile, continua nelle due prime battute il tema in progressione discendente; mancano
controesposizione e stretti; compaiono quattro divertimenti e tre pedali. Casella rileva nel pezzo
«una robusta gaiezza, tutta germanica, la quale, in alcuni punti, lascia già presagire l'atmosfera
dei Meistersingen.
II. Preludio e Fuga in do minore
Il Preludio è di 28 battute. La forma presenta due sezioni, di cui la prima resta prevalentemente
nell'ambito del tema iniziale, la seconda si sviluppa più liberamente. Di carattere sereno e
lievemente scherzoso, il brano ha un andamento che, come osserva Casella, sta a metà fra
l'Invenzione e l'Allemande.
La Fuga, di 28 battute, è una fuga tonale a quattro voci. Un bellissimo tema cantabile, con
controsoggetto non obbligato, dà vita ad una prima parte essenzialmente melodica e ad una
seconda parte in cui elaborate combinazioni contrappuntistiche appaiono in forma di stretti fra il
tema, quello aggravato e quello invertito, proseguendo con diverse alternative. Sino alla 19a
battuta la Fuga è a tre voci, poi interviene anche la quarta voce. Il tono è nobile ed espressivo, le
sonorità hanno un sapore quasi organistico.
III. Preludio e Fuga in do diesis maggiore
Il Preludio è di 50 battute. La prima parte è ad accordi arpeggiati e ricorda il primo Preludio del
primo libro; la seconda parte, diversa nel tema e nel tempo, ha l'aspetto di una fughetta a tre
voci. Al carattere morbido e soave della prima parte si contrappone il piglio risoluto della
seconda.
La Fuga, di 35 battute, è una fuga tonale a tre voci; una prima versione più semplice di essa in do
maggiore, è riportata con il titolo di Fughetta nel volume XXXVI edito dalla Bachgesellschaft. Il
soggetto della Fuga, ed in particolare il suo disegno iniziale che secondo Schweitzer si collega
sempre in Bach con una espressione di tranquillità giocosa, dà origine a tutto lo sviluppo. Manca
il controsoggetto. L'esposizione ha luogo in stretto, con il tema rovesciato nella terza entrata. In
seguito, il tema è impiegato intero, a frammenti, con intervalli giusti, con intervalli alterati, retto,
rivoltato, aumentato, diminuito. La forma comprende esposizione, controesposizione, tre
divertimenti, due pedali ed una quantità di stretti. La "tranquillità giocosa" si espande quindi in
una massiccia costruzione.
IV. Preludio e Fuga in do diesis minore
Il Preludio è di 62 battute. La costruzione è a tre voci, che elaborano successivamente tre temi
facendo largo uso di abbellimenti. Il carattere è di profonda mestizia.
La Fuga, di 11 battute, è una fuga reale a tre voci. Una interessante figurazione ritmica a terzine
dà al pezzo l'aspetto di una giga vigorosa e drammatica. Un inizio di controsoggetto, non stabile,
è annesso al tema ed è sostituito nella seconda parte della Fuga da un motivo cromatico
discendente. La forma comprende l'esposizione con una controesposizione incompleta, quattro
inversioni del soggetto e della risposta, cinque divertimenti, due pedali ed una coda.
V. Preludio e Fuga in re maggiore
Il Preludio è di 56 battute. La forma si avvicina a quella della sonata monotematica, con
esposizione, sviluppo, ripresa e coda. L'andamento franco e robusto del pezzo, introdotto e
attraversato dal motivo di fanfare iniziale, ricorda, secondo Casella, talune pitture di Bruegel.
La Fuga, di 50 battute, è una fuga reale a quattro voci. A Busoni il pezzo sembra «una fuga nello
stile convenzionale della musica chiesastica cattolica», piuttosto arida e scolastica. La forma
comprende l'esposizione, quattro divertimenti, sei stretti ed una coda.
VI. Preludio e Fuga in re minore
Il Preludio, di 61 battute, fu modificato dall'autore quattro volte; la prima versione, che risale al
periodo di Weimar (1708-1717), è riportata nel volume XXXVI edito dalla Bachgesellschaft. La
forma comprende due sezioni ed una coda. La freschezza del pezzo ed il suo irruente piglio
violinistico rivelano l'influenza vivaldiana.
La Fuga, 27 battute, è una fuga reale a tre voci. Il soggetto inizia con un impetuoso disegno di
terzine che cede poi al subentrare di un espressivo cromatismo. Un controsoggetto altrettanto
espressivo contribuisce con il tema a dare alla Fuga, prima di elaborate combinazioni
contrappuntistiche, un carattere che Casella definisce "quasi romantico". Dopo l'esposizione, il
soggetto appare per lo più incompleto e senza controsoggetto. La Fuga ha tre divertimenti e
quattro stretti.
VII. Preludio e Fuga in mi bemolle maggiore
Il Preludio è di 71 battute. Il tema principale, che si estende per quattro battute, è ripreso soltanto
nell'ultima parte; per il resto lo sviluppo, sebbene non manchino dei periodi simmetrici, ha un
tono di improvvisazione su un breve tema dato.
La Fuga, di 70 battute, è una fuga tonale a quattro voci. La forma è divisa in tre sezioni:
esposizione, sviluppo con controesposizione in stretto, divertimento e risposta alterata chiusa. Il
carattere è di liturgica pomposità.
VIII. Preludio e Fuga in re diesis minore
Il Preludio è di 36 battute. La forma, affine a quella delle Invenzioni, presenta due sezioni ed è
costruita su tre elementi tematici. Il carattere è serio e lievemente malinconico.
La Fuga, di 46 battute, è una fuga reale a quattro voci. La forma comprende l'esposizione, in cui
è presentato il patetico tema accompagnato da un controsoggetto con elementi cromatici, una
sezione centrale modulante ed un solenne epilogo, nel quale il soggetto e l'inversione della
risposta appaiono simultaneamente; i divertimenti sono due, lo stretto uno, posto al centro della
Fuga. Nell'insieme, il pezzo è contrassegnato da una austera ed intensa mestizia.
IX. Preludio e Fuga in mi maggiore
Il Preludio è di 54 battute. Il pezzo, elaborato quasi interamente a tre voci e con l'uso di
procedimenti a canone, ha la forma di sonata. Il tema principale è arricchito da un secondo
elemento tematico assai plastico che interviene nel corso dello sviluppo. Il carattere è
dolcemente contemplativo.
La Fuga, di 43 battute, è una fuga reale a tre voci. Sia il soggetto, sia il controsoggetto hanno un
sapore liturgico. La costruzione è divisa in tre sezioni: esposizione con controesposizione in
stretto, sezione modulante, sezione di chiusa. Il tema appare in varie combinazioni
contrappuntistiche ed anche in forma variata. Si hanno quattro divertimenti e sette stretti. La
composizione è contrassegnata da una religiosità che si esprime solennemente in un linguaggio
di tipo vocalistico.
X. Preludio e Fuga in mi minore
Il Preludio è di 108 battute. Ricompare qui il tipo dell'invenzione a due voci, in una
composizione divisa in due sezioni, ciascuna con ritornello. L'elaborazione è strettamente
tematica.
La Fuga, di 86 battute, è una fuga reale a tre voci. Un soggetto alla marcia presenta una struttura
a tre parti ed è congiunto con una codetta al controsoggetto. La forma è semplice, presentando
un alternarsi quasi continuo di esposizioni e divertimenti, senza stretti ed altre combinazioni
contrappuntistiche. Dagli elementi tematici si sviluppa però una architettura di vasto respiro, in
cui si dispiegano sonorità forti ed accese.
XI. Preludio e Fuga in fa maggiore
Il Preludio è di 77 battute. La forma comprende quattro periodi, dei quali il primo, il secondo e il
quarto sono simmetrici, la scrittura presenta un nuovo esempio di "melodia polifonica", con la
distribuzione in cinque voci di due effettive linee melodiche. Il carattere è solenne, la sonorità è
di sapore organistico.
La Fuga, di 99 battute, è una fuga tonale a tre voci. La forma, divisa in tre sezioni, riserva ampio
spazio ai divertimenti, svolti con grande ricchezza di fantasia. Il pezzo ha un andamento di danza
rustica e scherzosa.
XII. Preludio e Fuga in fa minore
Il Preludio è di 70 battute. La forma è divisa in due sezioni che sviluppano, variandolo, un germe
iniziale. Il tono è intimo e dolente, caratterizzato in particolar modo dai passaggi che due voci
"singhiozzano", per usare una efficace espressione di Casella, in terze e seste.
La Fuga, di 85 battute, è una fuga tonale a tre voci. Il tema non è accompagnato da
controsoggetto; esso dà origine alle varie esposizioni ed a quattro divertimenti fra loro
simmetrici. Secondo Casella, è questo «un tipo unico di fuga per il suo duplice volto di lieve
mestizia e di scherzosità maliziosa».
XIII. Preludio e Fuga in fa diesis maggiore
Il Preludio è di 75 battute. Nel tema si succedono due disegni diversi, uno vigoroso ed uno
delicato, sostenuti da un unico disegno complementare. Allo sviluppo del pezzo contribuisce
soprattutto il secondo disegno. Il carattere generale è, come nota Casella "di una nobile e robusta
cordialità".
La Fuga, di 84 battute, è una fuga reale a tre voci. La composizione è in contrappunto triplo: due
controsoggetti accompagnano di regola il tema, dal quale d'altra parte derivano; anche i
divertimenti sono costruiti con elementi ricavati dal tema. Il pezzo è contrassegnato da
un'impronta di solida gaiezza popolare.
XIV. Preludio e Fuga in fa diesis minore
Il Preludio è di 43 battute. La forma è tripartita ed il discorso si svolge a tre voci su un elemento
tematico unico, assai cantabile e sviluppato soprattutto dalla voce superiore. L'intonazione è di
umana e dolente comunicativa.
La Fuga, di 70 battute, è una fuga tonale a tre voci. C'è chi considera questo pezzo una fuga a tre
soggetti oppure a due soggetti. In realtà, la costruzione presenta tre sezioni, nelle quali sono
successivamente sviluppati in maniera fughistica tre temi; poi questi temi appaiono combinati ed
il secondo ed il terzo finiscono per rivelarsi sostanzialmente come controsoggetti del primo.
XV. Preludio e Fuga in sol maggiore
Il Preludio è di 48 battute; una prima ed una seconda versione di esso sono riportate nel volume
XXXVI edito dalla Bachgesellschaft. Lavoro evidentemente giovanile, il Preludio è diviso in
due sezioni, ciascuna, con ritornello, e si svolge agile e fresco in un discorso a due voci apparenti
che in realtà ne celano quattro.
La Fuga, di 72 battute, è una fuga tonale a tre voci; anche di essa il volume XXXVI della
Bachgesellschaft riporta una prima versione, che corrisponde all'esposizione della versione
definitiva. La forma presenta il tema nell'esposizione e poi in altre tre entrate, riservando tutto il
rimanente spazio ai divertimenti. Il pezzo ha un andamento danzante e giocoso.
XVI. Preludio e Fuga in sol minore
Il Preludio è di 21 battute. Il movimento è indicato come Largo da Bach stesso e si svolge su un
ritmo che, secondo Schweitzer, si associa sempre all'idea del solenne e del maestoso. La forma è
divisa in due parti, di cui la prima consta di due periodi simmetrici e la seconda è trattata più
liberamente. L'espressione è di un'austera e grandiosa bellezza, le sonorità hanno sapore
organistico.
La Fuga, di 84 battute, è una fuga tonale a quattro voci. Ad un tema duro e severo si accompagna
un controsoggetto obbligato di intonazione contrastante, fluido e patetico; quest'ultimo ha grande
importanza nello svolgimento di parecchi divertimenti. La forma, caratterizzata da una barocca
imponenza, comprende tre sezioni: una prima sezione, nella quale si ha l'esposizione seguita da
un'ulteriore entrata del soggetto; una sezione modulante, che presenta numerose e varie
combinazioni; una sezione di riepilogo.
XVII. Preludio e Fuga in la bemolle maggiore
Il Preludio è di 77 battute. La forma comprende tre sezioni, di cui la seconda è divisa in tre
periodi modulanti. L'intonazione è caratterizzata, come osserva Casella, da quel senso di
"nostalgia della morte" che spesso si riscontra nell'opera di Bach. Dal punto di vista armonico,
va segnalata l'apparizione di un accordo di nona dominante maggiore, accordo tipico della
musica romantica.
La Fuga, di 50 battute, è una fuga tonale a quattro voci: un primo abbozzo di essa è riportato nel
volume XXXVI della Bachgesellschaft. Il tema è accompagnato quasi sempre da due
controsoggetti, dei quali il primo ha un andamento cromatico. Quasi metà della Fuga è dedicata
all'esposizione ed alla controesposizione, il resto allo sviluppo ed all'epilogo. Il carattere del
pezzo è definito da Casella "amabile".
XVIII. Preludio e Fuga in sol diesis minore
Il Preludio è di 50 battute. La costruzione, divisa in due sezioni, ciascuna con ritornello, è basata
su due elementi tematici, introdotti rispettivamente nella prima e nella seconda battuta: un
motivo di allemande ed un motivo che ha quasi l'aspetto di un duetto vocale. L'insieme risulta
animato e lievemente malinconico.
La Fuga, di 143 battute, è una doppia fuga reale a tre voci. La forma è divisa in tre sezioni:
esposizione e sviluppo del primo soggetto; esposizione e sviluppo del secondo soggetto;
combinazione dei due soggetti e chiusa. La Fuga si avvicina nel carattere al mondo dell'Arte
della fuga e dell'Offerta musicale.
XIX. Preludio e Fuga in la maggiore
Il Preludio, probabilmente opera giovanile, è di 33 battute. La condotta del pezzo è a tre voci e la
forma è tripartita; nella seconda parte appare il tema invertito alternato con il tema per moto
retto, nella terza parte le voci superiori ripetono in inversione contrappuntistica la prima parte e
poi segue una coda. L'intonazione è calma e dolce.
La Fuga, di 29 battute, è una fuga reale a tre voci; anche essa è probabilmente un lavoro
giovanile. La forma è assai semplice, presentando dopo l'esposizione sette entrate di soggetti e
risposte alternate con divertimenti. Il discorso si svolge con trasparente freschezza.
XX. Preludio e Fuga in la minore
Il Preludio è di 32 battute. Il genere è quello delle Invenzioni, con due voci apparenti che ne
celano tre. La forma comprende due sezioni, ciascuna con ritornello, la seconda delle quali
presenta l'inversione del tema e del controtema esposti nella prima. Tutto il brano è pervaso da
un continuo cromatismo.
La Fuga, di 28 battute, è una fuga tonale a tre voci. Il tema ha due controsoggetti che derivano
organicamente da esso. La forma presenta soltanto esposizioni e divertimenti, svolti però con
ampiezza barocca e con accenti incisivi e vigorosi.
XXI. Preludio e Fuga in si bemolle maggiore
Il Preludio è di 87 battute. Un tema unico con tre varianti è sviluppato in una prima sezione, una
seconda sezione di elaborazione, una terza sezione che riprende la prima e si conclude con una
cadenza. Il tono è sereno e idillico.
La Fuga, di 93 battute, è una fuga tonale a tre voci. Gli elementi tematici sono il soggetto e due
controsoggetti. La forma comprende l'esposizione con controesposizione incompleta, una
sezione di sviluppo ed una lunga coda; i divertimenti sono sette. Come carattere, la Fuga si
collega al Preludio.
XXII. Preludio e Fuga in si bemolle minore
Il Preludio è di 83 battute. Il pezzo è imperniato su due temi e ha una impostazione affine a
quella di una invenzione e di un fugato. L'intensa espressività che lo anima è definita da Casella
"quasi appassionata".
La Fuga, di 101 battute, è una fuga reale a quattro voci, la più elaborata di tutto il Clavicembalo
ben temperato. Un tema e due controsoggetti sono alla base di una costruzione in cui sono
utilizzati i più vari procedimenti contrappuntistici. La forma comprende una prima sezione, con
esposizione per moto retto e stretti; una seconda sezione, con inversioni del tema e stretti; una
terza sezione, che è la sintesi delle precedenti, con combinazioni del tema in moto retto ed
invertito. «È invece stupefacente» scrive Casella «il vedere come tutti questi artifici - che
potrebbero essere nulla più che arida tecnica scolastica - divengano, per virtù del genio, pura
espressione di bellezza».
XXIII. Preludio e Fuga in si maggiore
Il Preludio è di 46 battute. La forma è tripartita, Il tono improvvisatorio. Il pezzo ha l'aspetto di
uno studio di agilità, spigliato, leggero e luminoso.
La Fuga, di 104 battute, è una fuga reale a quattro voci. Gli elementi tematici sono un soggetto e
due controsoggetti. La forma comprende le tre sezioni di esposizione, di sviluppo e di epilogo. Il
carattere è di una liturgica maestosità, resa più dolce e flessibile dalla ricchezza del gioco
armonico.
XXIV. Preludio e Fuga in si minore
Il Preludio è di 66 battute. Il movimento è indicato come Allegro da Bach stesso. L'edizione
curata da Franz Kroll per Peters segna le note in valori dimezzati rispetto a quelli che lo stesso
Kroll usa nell'edizione della Bachgesellschaft; la prima versione si basa su un manoscritto del
genero di Bach, Alnikol. Il pezzo è a due voci ed in forma tripartita, nel genere delle Invenzioni.
La Fuga, di 100 battute, è una fuga tonale a tre voci. Anche qui, gli elementi tematici sono il
soggetto e due controsoggetti, la forma è tripartita. A quanto osserva Casella, «il tema ricorda
imperiosamente per ritmo e tonalità il formidabile doppio coro Sind Blitze, sind Donner in
Wolken Verschwunden della Matthäus-Passion e presenta anche evidenti affinità vivaldiane, tali
da far pensare persino che questa fuga sia un magistrale rifacimento di qualche lavoro
giovanile». L'andamento del pezzo è di danza tedesca dal ritmo ben quadrato e massiccio.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)


Ai nostri occhi Il clavicembalo ben temperato appare come l'atto fondatore delia civiltà musicale
moderna. Altre opere rispecchiano forse meglio il gusto e i costumi di un'epoca, altri musicisti si
sono sforzati di rispondere con maggiore aderenza alle esigenze del loro pubblico o sono stati in
grado di anticipare sentimenti avvertiti in modo ancora oscuro e indeterminato dai
contemporanei. Il clavicembalo ben temperato sembra oltrepassare i suoi legami con l'età in cui
fu scritto e segnare uno spartiacque molto più profondo, inaugurando una fase della storia
musicale alla quale ancora apparteniamo.

Il passaggio dall'armonia "naturale", arcaica, al sistema del "temperamento equabile" venne


codificato alla fine del Seicento dall'organista Andreas Werckmeister, il quale suddivise l'ottava
in dodici semitoni uguali, "temperando" artificialmente gli intervalli più piccoli, allo scopo di
creare su base matematica un sistema di riferimento universale per l'accordatura dei diversi
strumenti, l'intonazione e le strutture del discorso armonico. Fu Bach, però, a conferire per primo
dignità normativa a questa invenzione, che incontrava non poche resistenze fra i musicisti, grazie
alla forza dimostrativa di questo suo lavoro. L'architettura dei 24 Preludi e Fughe che
attraversano in coppia tutte le tonalità maggiori e minori, e che Bach dedicò espressamente sia
all'educazione "della gioventù desiderosa di imparare", sia "al diletto di coloro che sono già
provetti in questo studio", è diventata un canone del linguaggio musicale moderno e un'icona
della letteratura musicale, come tale ripresa in seguito da una lunga serie di autori, da Chopin a
Sostakovic.

Gli emuli otto e novecenteschi di Bach hanno preferito per lo più adottare un criterio diverso per
organizzare la successione logica delle singole tonalità: Bach segue con spirito nominalistico la
sequenza delle note della scala mentre successivamente si sarebbe preferito cercare un legame
armonico interno fra una tonalità e l'altra, prendendo come traccia il cosiddetto "circolo delle
quinte". Malgrado questa difformità di impianto, in ogni opera che abbia avuto l'ambizione di
ripercorrere l'intera tavolozza dell'armonia tonale riconosciamo facilmente un omaggio implicito
al Clavicembalo ben temperato e una dichiarazione esplicita di appartenenza a una tradizione, a
una provenienza e a una genealogia di cui l'opera di Bach costituisce indubbiamente uno dei
gesti fondativi più importanti.

A metà dell'Ottocento Hans von Bülow definiva Il clavicembalo ben temperato "l'Antico
Testamento" della musica per strumento a tastiera. Il "Nuovo Testamento", rappresentato per lui
dal corpus delle 32 Sonate per pianoforte di Beethoven, ne sarebbe stato la prosecuzione
naturale, l'esito storico, il passo in avanti compiuto dalla musica lungo il cammino della sua
evoluzione. In realtà le differenze che intercorrono fra questi due monumenti musicali possono
essere utili per restituire all'opera di Bach almeno una parte del suo autentico valore storico e per
ridimensionare l'immagine consolidata per cui la vicenda della musica sarebbe animata dal
motore unitario di un progresso, di un'evoluzione continua che avrebbe attraversato, dopo Bach,
la crisi della tonalità in epoca tardoromantica e il trionfo della musica atonale con le avanguardie
del primo Novecento.

Il clavicembalo ben temperato non è l'opera di una vita, come il lascito delle Sonate
beethoveniane, ma è il prodotto sistematico di un singolo progetto che aveva l'ambizione di
presentarsi come il prodotto di una conoscenza, di un sapere universale non privo di una
dimensione pratica. Una volta assodate sul piano teorico l'efficacia e la potenzialità del metodo
di Werckmeister, una volta che si era sperimentata l'utilità didattica e musicale
dell'organizzazione cosi razionalizzata del lavoro, Bach aveva oltretutto anche ripetuto
l'esperimento: intorno al 1744 scrisse infatti una seconda raccolta di 24 Preludi e Fughe del tutto
indipendente dalla prima, composta con tutta probabilità fra il 1722 e il 1723.

In mancanza di un frontespizio autografo, questa seconda raccolta viene chiamata con lo stesso
titolo della precedente ed è nota, perciò, come Libro II del Clavicembalo ben temperato. Nulla,
però, consente di rintracciare i motivi di uno sviluppo dello stile passando da un Libro all'altro di
questa composizione. Certo, vi è una maggiore complessità di elaborazione musicale e un
virtuosismo strumentale più accentuato. Ma si tratta solo dell'affinamento di un metodo, della
crescita e del perfezionamento di un sistema, non della sua traduzione in una nuova "fase" della
ricerca estetica di Bach.

Il confronto con le Sonate di Beethoven è molto chiaro: accanto alla maturazione di un


linguaggio via via più raffinato, nel suo cammino si possono infatti individuare momenti di vera
e propria svolta artistica, spesso riconducibili - o comunque collegabili - a un insieme di
condizioni in cui rientrano anche la psicologia e la biografia dell'autore, il suo carattere, le sue
malinconie, le sue malattie, il senso delle sue meditazioni. Da questo punto di vista il lavoro
tecnico del compositore sulla forma musicale sembra, in Beethoven, costantemente rivolto alla
ricerca di soluzioni più aderenti a un cammino di pensiero e alla necessità di andare "oltre" la
musica, per giungere all'espressione di un'idea. Nel caso di Bach, la maggiore duttilità della
scrittura del Libro II del Clavicembalo ben temperato non tocca in nessun modo il mondo
interiore di una coscienza d'artista, non corrisponde allo sforzo di dar voce agli strati profondi
della sua intimità o ai passaggi di una meditazione. Se c'è espressione, in quest'opera, non c'è
psicologia. E se una dimensione di "affetti" è rintracciabile, questa riguarda la possibilità di
mettere quasi scientificamente in relazione un determinato contesto musicale, per esempio la
scelta di una tonalità, e un corrispondente moto dell'animo, messo in movimento da quelle leggi
universali dei suoni che riguardano tutti, valgono per tutti e non dipendono, perciò, dalla sfera
dei sentimenti individuali.

La presenza dì valori espressivi che non presuppongono alcuna psicologia è una delle difficoltà
principali che ci vengono poste dall'opera di Bach. Della sua biografia sappiamo abbastanza, ma
niente che ci permetta di stabilire con sicurezza al semplice ascolto se una certa composizione
risalga agli anni giovanili, vissuti magari in una piccola corte tedesca, o ai lunghi ultimi anni
della sua vita trascorsi a Lipsia, durante i quali del resto era solito ritoccare e riutilizzare molto di
ciò che aveva scritto in precedenza. La sua routine non assume mai, per noi, quell'esemplarità
che hanno invece le lotte, i conflitti, i tormenti di Beethoven. Allo stesso modo è quasi
impossibile dare nomi appropriati ai sentimenti che provengono dalla musica di Bach, tanto che
il rinvio alla dimensione della fede, al suo luteranesimo senza riserve, è più un modo di voltare
le spalle al problema per archiviarlo che non un tentativo di comprenderlo in termini più corretti.

Paradossalmente, lo stesso gesto che fonda il linguaggio armonico della modernità è quello che
più radicalmente separa Bach dalla sensibilità musicale dell'Otto e del Novecento. Il
Clavicembalo ben temperato è l'opera idiomatica di questa separazione, come dimostra il fatto
che anche i suoi interpreti più raffinati e dediti - a cominciare da Carl Czerny, Carl Tausig e
Ferruccio Busoni - hanno sentito il bisogno di aggiungervi indicazioni espressive di ogni genere
e di introdurre cosi nella musica di Bach una dimensione espressiva più comprensibile, legata a
una sfera sentimentale moderna, psicologica, laddove questa evidentemente mancava.

Oggi che le forme del sapere moderno stanno andando incontro a nuove trasformazioni, e che
sempre più attuali risuonano le diagnosi sull'oltrepassamento di una modernità ormai classica,
nel Clavicembalo ben temperato scorgiamo una sorprendente attualità, come se quella musica ci
restituisse un'esperienza che parla, oggi, con evidenza nuova.

L'epoca dì Bach non aveva al centro delle sue preoccupazioni né la "storia" né i "sentimenti",
individuali o collettivi che fossero, ma il linguaggio, la sua capacità di dirigere il pensiero e di
dare ordine alla sequenza delle percezioni, dunque di comporre un "quadro" sistematico
dell'esperienza a partire dal modo in cui il linguaggio distribuisce i suoi oggetti sullo sfondo
unitario di una grammatica. La simbologia che invade ogni angolo dell'opera di Bach, e che a
volte appare come il prodotto di un atteggiamento intellettualistico del compositore, se non
proprio di una superstizione numerologica, fa parte della stessa esperienza ed è semmai il
retaggio che unisce la sua musica a un mondo ancora più arcaico: al tempo in cui conoscere
significava, com'era stato per il Rinascimento, portare alla luce le proporzioni e le somiglianze
tra i fenomeni.

Suonare oggi Il clavicembalo ben temperato sugli strumenti d'epoca o sul pianoforte implica in
ogni caso una riduzione dell'impatto che il romanticismo e la sensibilità moderna hanno avuto
sulla sua interpretazione. Vuol dire riportare l'attenzione sul lavoro di sistemazione che Bach ha
compiuto lavorando da scienziato su un linguaggio che era identificabile con una diretta
manifestazione dell'ordine del mondo, e che per noi può valere nel presente come un
orientamento provvisorio nel suo attuale disordine.

Nella composizione del Libro I Bach fece riferimento a una serie di brani scritti originariamente
per l'educazione musicale del figlio primogenito, Wilhelm Friedemann. Nell'ampliare e dare
sistematicità a questi materiali egli fece tesoro di un procedimento che associa Preludi e Fughe
senza alcuna relazione tematica, come se si trattasse di due elementi fra loro indipendenti, o
meglio di due metodi diversi per esplorare uno stesso campo armonico. È la tonalità, infatti, a
dare di volta in volta carattere unitario alla successione dei due pannelli del dittico, senza che sia
possibile rintracciare altri legami fra le rispettive enunciazioni musicali.

Il Preludio serve per lo più a Bach per rendere stabile un unico principio, cioè per affermare una
singola figura musicale che viene o ripetuta con ostinazione, o elaborata in una serie di varianti
che adottano un rigoroso stile contrappuntistico. I moduli impiegati nella scrittura sono diversi.
Vanno da forme più arcaiche, presenti in realtà nella maggior parte dei Preludi, ad altre che sono
assimilabili ad altre formule già sperimentate da Bach, per esempio alle Invenzioni a due e a tre
voci, a una serie di ariosi e, in due casi, a soluzioni più "moderne", come l'Allegro di Concerto e
la Sonata bipartita, disposte lungo il ciclo secondo un criterio architettonico che le colloca alla
metà e alla conclusione: si tratta, infatti, del Preludio n. 17 e del n. 24.

Le Fughe, d'altra parte, sono il risultato di un adattamento dello stile arcaico al linguaggio della
tonalità che produce, come risultato, una vera e propria rifondazione dell'arte del contrappunto.
Se infatti i nuovi princìpi della tonalità permettevano di costruire intorno al tema una grande
escursione di possibilità armoniche, la preoccupazione principale di Bach diventa quella di
rendere chiaramente percepibile il tema all'interno di ogni permutazione della Fuga, facendone
non più "un mezzo per avviare la composizione", come ha scritto Alberto Basso, ma "un
elemento per renderla inconfondibile". La tradizione polifonica non si preoccupava molto degli
spunti melodici della Fuga, della loro riconoscibilità, e metteva piuttosto in primo piano la
tipologia dell'elaborazione, giungendo a una sistemazione teorica che comprendeva una ventina
di modelli. Bach, al contrario, limita la scelta circoscrivendola al numero di voci coinvolte nel
contrappunto - per lo più 3 o 4, in un caso 2 (Fuga n. 10) e in due casi 5 (Fughe n. 4 e 22) - e
privilegia decisamente l'unità tematica. Questa diventa il fulcro della composizione e viene eletta
a principio d'ordine del lavoro di elaborazione, senza nulla concedere alla superfìcie della
"sensibilità" moderna, ma guardando ancora una volta alla vocazione sistematica del linguaggio
barocco.

Tutti gli elementi subordinati del tema, come il ritmo e lo stile, discendono rigorosamente da un
gusto musicale che moltiplica i riferimenti interni, le citazioni, le metafore, ma che riafferma a
ogni passo il valore della libertà inventiva e di un'autonomia di sviluppo che oggi potremmo a
buon diritto definire "etica". Bach non sottopone la ragione musicale a schemi fissi, come
avveniva prima di lui, né va alla ricerca di un'interiorità da esprimere o da rappresentare restando
fedele alla trama del vìssuto, come sarebbe avvenuto dopo di lui. La ragione che emerge dal
Clavicembalo ben temperato non è una natura riposta nel fondo della psiche umana, ma è invece
uno stile di vita che il musicista costruisce via via, nel rispetto di un metodo e di un sistema che
definiscono la consapevolezza di appartenere a un mondo più vasto di quello contenuto nella
piccola dimensione dell'animo umano.

Stefano Catucci

Preludi e fughe, toccate, fantasie e sonate per clavicembalo

BWV 894 - Preludio e Fuga in La minore

https://www.youtube.com/watchv=cSbOcpcQWio

BWV 895 - Preludio e Fuga in La minore

https://www.youtube.com/watchv=xM5Rft4Y04Q

BWV 896 - Preludio e Fuga in La maggiorre

https://www.youtube.com/watchv=aSRG2ciqDzw

BWV 897 - Preludio e Fuga in La minore

https://www.youtube.com/watchv=-HKf3V4_rYI

BWV 898 - Preludio e Fuga in Si♭ maggiore sul tema BACH (dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=6GY5J8iiGUc
BWV 899 - Preludio e Fughetta in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=sJMmTQb-Q_U

BWV 900 - Preludio e Fughetta in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=6MbTD6jcwrs

BWV 901 - Preludio e Fughetta in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=Pp-fySGjZxI

BWV 902 - Preludio e Fughetta in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=Dgwamuvbe4w

BWV 902a - Preludio in Sol maggiore (variante di BWV 902)

https://www.youtube.com/watchv=CaSCBmiwLIU

BWV 903 - Fantasia cromatica e Fuga in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=lHTMq-5B9Co

Organico: clavicembalo
Composizione: 1720 circa
Edizione: Preston, Londra, 1806

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Fantasia cromatica, e Fuga di Giovanni Sebastiano Bach è uno dei monumenti maggiori
dell'arte di quest'ultimo. Rispetto all'ordine oggettivo, alla volontà costruttiva che si manifesta
nella Fuga, la Fantasia - uno sviluppato preludio di grandi dimensioni - rappresenta il momento
soggettivo caratterizzato dalla più grande libertà fantastica e da una assoluta immediatezza
espressiva. Slanci, cesure, accenti patetici e frasi liriche, improvvise deviazioni e riprese: tutto
ciò la definisce come un recitativo altamente drammatico. Scritta negli anni in cui nasceva la
prima parte del Clavicembalo ben temperato (1720-1723), la Fantasia cromatica serve anch'essa
a Bach, per dimostrare tutte le risorse tonali diventate disponibili con l'adozione del
temperamento equabile. Pur senza discostarsi definitivamente dai cardini tonali, Bach vi
percorre di continuo tutta l'estensione della scala di dodici toni ed è significativo che Busoni
l'abbia scelta per esemplificare praticamente un suo sistema di notazione senza segni di
alterazione, reso desiderabile dall'uso su vasta scala che si va facendo oggi di tutti i suoni dello
spazio pancromatico.

Roman Vlad
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Della Fantasia cromatica e fuga in re minore BWV 903 per clavicembalo, ma stasera eseguita
nella versione pianistica, esistono due edizioni. La prima, di estensione più concentrata e dalla
scrittura più semplice, risale al periodo di Köthen e si colloca intorno al 1720; la seconda, più
comunemente eseguita e conosciuta, è molto ampia e imponente come struttura e presenta
maggiore originalità. Quest'ultima edizione venne composta negli anni di Lipsia, e precisamente
nel 1730, come indica un'annotazione sul manoscritto che parla di 6 dicembre 1730. Come
scrive Alberto Basso, si tratta di un dittico fra i più straordinari del repertorio cembalistico e
divenuto famoso negli adattamenti pianistici fatti da Hans von Bülow, Karl Reinecke e Ferruccio
Busoni. «La Fantasia - annota Basso - si muove su una rapida improvvisazione in stile di
toccata: è un preludiare dal ritmo preciso, ricco di canto, un'invenzione libera e agilissima,
interrotta qua e là da maestosi accordi e da recitativi, in un'atmosfera armonica stupefacente per
la sua singolarità ed arditezza di concezione. La Fuga a tre voci, su un soggetto cromatico,
procede attraverso uno sviluppo laborioso e complesso (lo indica la stessa lunghezza della
pagina, 161 battute) che contrasta con il libero gioco della fantasia, esaltando quel sentimento, o
meglio, quella tecnica del contrasto, della forza dialettica che è tipica del barocco tedesco».

È una composizione il cui scopo principale è di meravigliare l'ascoltatore: potenti contrasti,


accenti drammatici e figurazioni ad effetto richiedono nell'esecutore grandi doti virtuosistiche.
Lo spartito reca di frequente le indicazioni di piano e forte, in quanto prevede contrasti dinamici
da realizzarsi su due tastiere. Una tastiera è predisposta per ottenere suoni piani, mentre l'altra è
riservata ai passaggi forti. Tanto per fare qualche esempio, l'inizio della Fantasia è forte con
quella rapida successione di scale in re minore, ma subito dopo viene ripresa la scala con toni più
sfumati, come una eco. Lo stesso effetto contrastante di sonorità si avverte poco dopo, quando la
toccata della Fantasia sfocia in un ampio recitativo, costruito tra robusti accordi sul forte e frasi
cantabili della mano destra sul piano. Per questa sua mutevolezza di giochi sonori, in una
continua esplosione di virtuosismi, la composizione ha una precisa baldanza improvvisativa e si
affianca in un certo senso alla celeberrima Toccata e fuga in re minore per organo. In entrambe le
pagine si respira la stessa aria di festosa sicurezza di fronte alle diverse difficoltà tecniche, risolte
con geniale intuito e magistrale abilità. Forse nella Fantasia la scrittura armonica e
contrappuntistica risulta più elaborata e sviluppata, ma lo stile della costruzione architettonica
bachiana è evidente in ambedue i componimenti con quella varietà di idee e di immagini, sempre
nuove e inattese e soprattutto stupefacenti nei risultati espressivi. Va detto infine che uno dei
problemi che ha sollevato nel corso delle innumerevoli esecuzioni, sia clavicembalistiche che
pianistiche, la Fantasia cromatica e fuga in re minore riguarda l'attendibilità delle variazioni
apportate al manoscritto, passato per diverse mani da J. S. Bach a W. Friedemann Bach, da
Johann Nikolaus Forkel, organista e musicologo tedesco vissuto tra il 1749 e il 1818
(considerato tra l'altro una preziosa fonte in campo bachiano) agli allievi di Forkel. È evidente
che tali variazioni investono anche la maniera di suonare e di interpretare questo lavoro, ma si
può affermare comunque che la sostanza musicale della composizione non viene alterata e
deformata e conserva la sua precisa e ben delineata identità creativa, appartenente di diritto
all'autore della mirabile Arte della fuga.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)


Della Fantasia cromatica e fuga in re minore BWV 903 esistono due versioni: una prima, dalla
scrittura più semplice e dalla concezione meno grandiosa, fu scritta intorno al 1720; la seconda
versione, quella «definitiva» qui proposta, è frutto di una revisione che Bach apportò alla pagina
probabilmente intorno al 1730. Questa monumentale composizione fu certamente concepita da
Bach per essere eseguita in pubblico: ce lo rivelano la scrittura virtuosistica, la continua ricerca
di spettacolari effetti strumentali, i possenti contrasti di masse sonore.

La Fantasia che apre la composizione è una pagina sconvolgente; la temperie emotiva è resa alta
da ondate di arpeggi e di accordi dissonanti, da improvvisi ripiegamenti, da turbinose scale
cromatiche, da drammatici recitativi strumentali. Il tutto inscritto in un quadro tonale reso
incerto da cromatismi e successioni armoniche che privilegiano l'attrito sonoro, la dissonanza.
Da sottolineare la grande efficacia espressiva del Recitativo centrale, cuore drammatico della
Fantasia, costituito da un'implorante linea in continuo divenire tonale, spezzata inesorabilmente
da perentori accordi delle due mani, «ingentiliti» talora da morbide appoggiature.

La Fuga a tre voci trova nel cromatismo il punto di contatto con la Fantasia precedente: il
soggetto, solenne e austero, è infatti interamente basato su striscianti cromatismi ascendenti che
contrastano col carattere più disinvolto e giocoso dei divertimenti, ovvero di quegli episodi di
collegamento fra due esposizioni del soggetto (gli svolgimenti) che servono ad allentare la
tensione della forma e a preparare la successiva entrata del soggetto. Nel corso della Fuga, il
graduale processo di intensificazione sonora parte dalla sovrapposizione di soggetto e
divertimenti in leggeri arpeggi per giungere, attraverso le sempre più solenni e grandiose
apparizioni del soggetto, ai pedali (note tenute a lungo, normalmente al basso, sopra le quali si
svolge la libera elaborazione contrappuntistica) di sottodominante, tonica e dominante, che
conclude maestosamente la pagina.

Carlo Franceschi De Marchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Nella sua monumentale biografìa bachiana, apparsa nel 1873 e 1880, Philip Spitta fissa la data di
composizione della Fantasia cromatica e fuga al 1720, giusto a metà del «periodo di Köthen». Di
fatto, essa è presente, nella sua forma definitiva, in numerosi manoscritti non autografi, il più
antico dei quali reca, apposta dall'ignoto copista, la data del 6 dicembre 1730: sicché sembra
inevitabile ricondurre l'ultima «sistemazione» di quest'opera fra le più affascinanti e celebrate di
Bach ai primi anni trascorsi a Lipsia; e rimanendo comunque impossibile una più precisa
ricostruzione della genesi, evidentemente protratta abbastanza a lungo nel tempo, della Fantasia
cromatica e fuga, si può supporre che essa abbia preso forma in successive versioni appunto nel
decennio 1720-30, quello che vide il compositore conseguire la superba maturità tecnica e
artistica che gli avrebbe consentito di toccare le vette massime della sua creatività appunto con i
capolavori del periodo lipsiense. In essa lo schema Preludio-Fuga, carissimo a Bach e da lui
illustrato innumerevoli volte tanto nella composizione organistica che in quella per
clavicembalo, tocca proporzioni e sviluppi eccezionalmente ampi e complessi, fondendo una
spericolata ambizione virtuosistica con un magistero contrappuntistico straordinariamente
poderoso e con una fantasia inventiva quanto mai sfrenata.
Proprio quest'ultima caratteristica, evidente con impressionante rilievo nella lunga Fantasia che
apre la composizione, basata sull'alternanza di libere e bizzarre figurazioni nello stile della
Toccata e di squarci di recitativo sottolineati da arpeggi (notati come semplici accordi, secondo
la prassi della scrittura clavicembalistica del tempo, e dunque lasciando all'esecutore il compito
di proporne la più adeguata realizzazione), ha garantito all'opera una fortuna senza termini di
paragone con quella toccata ad altre musiche di Bach anche nel lungo periodo in cui l'immensa
produzione bachiana sembrò salvarsi dall'oblio soltanto come prodotto di una scienza tecnica
meritevole d'interesse unicamente per addetti ai lavori, e in senso eminentemente scolastico. Le
ardite «stravaganze» armoniche della Fantasia, le suggestioni drammatiche ed emotive del suo
insolito svolgimento si prestarono fin troppo a fraintendimenti di senso - e di dettato formale - di
chiara ispirazione preromantica e romantica. Avvenne così che la Fantasia cromatica e fuga fosse
una delle prime composizioni di Bach a esser pubblicata dopo la morte del suo autore,
precorrendo di gran lunga la «Bach-Renaissance», in edizioni incredibilmente alterate da
sovrapposizioni d'ogni genere, come quella apparsa nel 1809 e basata su una «revisione» dello
stesso figlio di Bach, Wilhelm Friedemann. E perfino Felix Mendelssohn, che con l'esecuzione
della Passione secondo Matteo da lui diretta nel 1829 avviò il recupero dell'arte di Bach nella
cultura moderna, non si peritava di eseguire la Fantasia cromatica suonando gli arpeggi «con
ogni possibile crescendo e diminuendo», come egli stesso tranquillamente confessava,
«naturalmente usando il pedale e raddoppiando i bassi»: tant'è che con gran soddisfazione di
Mendelssohn tutti ebbero a dire che la Fantasia era «bella come Thalberg e anche di più». Per
Hans von Bülow, autore di un'edizione largamente impiegata nella prassi consertistica del
secondo Ottocento, la Fantasia era «un'opera notevole, con la quale il Romanticismo entra per la
prima volta nel regno della musica pianistica»: sul che, il grande pianista e direttore d'orchestra
sovrappose coloriti e note aggiunte (a volte intere battute) al testo dell'opera, «certo di non
compiere alcun soggettivo arbitrio».

Siffatte forzature storico-stilistiche si legavano, oltre che a una precisa situazione del gusto e
della poetica, anche all'incapacità di pensare in termini che non fossero squisitamente pianistici,
ossia a un concetto dell'interpretazione che non sapeva prescindere dalle possibilità timbriche e
dinamiche offerte dal pianoforte ottocentesco: vizio concettuale tuttora non del tutto sradicato
dal costume concertistico, sì da giustificare almeno in parte le perplessità da molti avanzate circa
la liceità dell'esecuzione pianistica di pagine scritte per il clavicembalo. L'insorgere nei primi
decenni del nostro secolo, se non di una mentalità filologica in senso stretto, per lo meno di
maggiori cognizioni stilistiche, grazie anche alla rinascita del clavicembalo, ha indotto a
considerare le cose con un po' più di buon senso. Senza nulla togliere alla straordinaria potenza
emotiva della Fantasia, è infatti evidente che il suo carattere autentico è quello di una
stilizzatissima anche se eccezionalmente intensa introduzione, appunto «fantastica», alle
maestose e ferree costruzioni contrappuntistiche della grande Fuga che costituisce la seconda e
certo non secondaria parte dell'opera; e che insieme i due pilastri della grandiosa composizione
conseguono quel perfetto equilibrio di «invenzione» e di scienza dal quale scaturisce l'altissima
spiritualità dei capolavori di Bach, non disdegnando anche in questo caso, nel nome di una
superiore ricomposizione di categorie apparentemente contrastanti, risvolti dichiaratamente
«mondani», come testimonia l'arduo virtuosismo esecutivo imposto dalle stesse rigorose
costruzioni contrappuntistiche della Fuga, pagina monumentale anche da un punto di vista
aridamente tecnico.

BWV 903a - Fantasia cromatica in Re minore (variante di BWV 903)


https://www.youtube.com/watchv=-GLrRLJu2BE

BWV 904 - Fantasia e Fuga in la minore

https://www.youtube.com/watchv=jkpyV1P-BEs

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725 circa
Edizione: Peters, Lipsia, s. a.

Guida all'ascolto (nota 1)

La Fantasia e fuga in la minore non fu pubblicata da Bach e giacque fra le sue carte fino agli
anni Trenta dell'Ottocento, mentre le Partite venivano ripubblicate già nel 1801. Il nascente
concertismo solistico non adottò però le Partite, di cui entrarono in repertorio solo alcune delle
"galanterie", e puntò invece sul Concerto italiano, sulla Fantasia cromatica e fuga e sui Preludi e
fuga del Clavicembalo ben temperato. Cominciava a prevalere l'immagine di Bach come sommo
contrappuntista e come mistico, ed è ovvio che in quest'ottica non potesse entrare la Partita n. 6,
così "malata", così poco ascetica (il suo "riscatto" sarebbe arrivato negli anni Venti del
Novecento, con Walter Gieseking). La Fantasia e fuga in la minore, severa, dura, tagliata nella
roccia, destò invece l'entusiasmo incontenibile di Hans von Bülow, che la pubblicò in una sua
revisione e che la eseguì spesso, facendola apprezzare altamente dal pubblico. Non divenne mai
veramente popolare, la Fantasia e fuga, non potè mai competere con la Fantasia cromatica e fuga
che lo scaltro Bülow aveva definito "la musica dell'avvenire del sec. XVIII" e che andava a ruba,
ma rimase in repertorio fino alle soglie degli anni Venti, cioè fino a Ferruccio Busoni, che a sua
volta la ripubblicò in una sua revisione, con un'approfondita analisi.

L'accostamento della Partita n. 6 e della Fantasia e fuga in la minore, al di là forse delle stesse
intenzioni di Grigory Sokolov, assume il significato di un confronto tra due Bach o, meglio, tra
due immagini di Bach, il Bach che regola il servizio divino nella chiesa di San. Tommaso e il
Bach che dirige il Collegium Musicum nel Caffè Zimmermann, il Bach teoretico e il Bach
mondano. Il titolo Fantasia non è indicativo del contenuto quale lo intendiamo di solito, ma
dev'essere pensato in senso arcaico, come composizione strumentale derivata dal Mottetto
vocale. La scrittura a quattro parti reali predomina da un capo all'altro, alternandosi - per un
gioco di rarefazioni e condensazioni -con la scrittura a tre parti e con qualche riempimento
armonico (cinque, sei parti), la scala e l'arpeggio sono alla base del movimento ritmico
continuato, la forma tende verso la circolarità, con la ricomparsa dell'inizio poco prima della
fine: il pezzo potrebbe ricominciare tranquillamente da capo, e solo un atto di imperio del suo
creatore lo arresta con una rapida conclusione in modo maggiore. L'immagine che la Fantasia
suscita nell'ascoltatore è quella del fluire del tempo in un mondo arcano e inanimato.

La Fuga, contrappuntisticamente non molto elaborata, è costruita su un lungo soggetto diatonico


e su un breve soggetto cromatico che ad esso subentra a un terzo circa della composizione. Ai
due terzi circa ritorna il primo soggetto. E qui Bach sfodera una sorpresa: il secondo soggetto
viene attaccato al primo, prima di essergli, come tutti si aspettano, sovrapposto. È difficile oggi
sentire, più che capire, che cosa significasse emotivamente al tempo di Bach la compresenza di
diatonismo e cromatismo, che rappresentavano mondi espressivi contrapposti. Sembra chiaro
che nella giustapposizione e nella sovrapposizione dei due soggetti sia da ravvisare un preciso
simbolismo. Ma sarebbe rischioso volerne determinare l'esatta natura.

Piero Rattalino

BWV 905 - Fantasia e Fuga in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=wdd10j7RIao

BWV 906 - Fantasia e Fuga in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=IBuLueQq0eM

Organico: clavicembalo
Composizione: 1738 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1807

Incompiuta

Guida all'ascolto (nota 1)

Sebbene la maggior parte della produzione strumentale di Bach risalga al periodo di Cöthen
(1717-1723), anche nel periodo di Lipsia (1723-1750) il compositore dedicò ampio spazio allo
strumento a tastiera, soprattutto con i quattro libri delle "Clavierùbungen", che trattano, con
intenzione e valore paradigmatici, altrettanti aspetti della scienza e della prassi musicale del
tempo; lo strumento a tastiera, insomma, già destinatario privilegiato della produzione di
consumo, si fa tramite delle meditazioni dell'autore su questioni stilistiche, tecniche e
concettuali. Accanto alle "Clavierübungen" trovano posto alcune pagine sparse, fra cui quattro
fantasie che sviluppano in direzioni plurime quello "Stylus phantasticus" che informa pressoché
tutta la selezione di brani proposta.

In particolare la Fantasia in do minore BWV 906, datata intorno al 1737-1738, ci è pervenuta in


una fonte autografa; purtroppo la seguente fuga a tre voci è interrotta alla battuta 30 e completata
da altra mano, così da rendere inattendibile l'esecuzione consecutiva dei due brani. La Fantasia è
di per sé assai breve: appena 40 battute, 16 la prima parte, 24 la seconda, ciascuna delle quali
viene però replicata. La prima parte espone il materiale tematico - un tema energico e ritmico,
seguito da una intensa cantabilità - la seconda lo sviluppa e poi lo riprende in forma abbreviata.
Ma più che il perfetto impianto costruttivo della pagina, converrà rilevare la fantasia coloristica,
con i frequenti passaggi cromatici, l'intensa complessità della scrittura e l'equilibrio fra le due
mani; qualità di invenzione che garantiscono al brano la statura del capolavoro miniaturistico.

Arrigo Quattrocchi

BWV 907 - Fantasia e Fughetta in Si♭ maggiore

https://www.youtube.com/watchv=yZAXc6lGFuA
BWV 908 - Fantasia e Fughetta in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=VfZw0QBTwt0

BWV 909 - Concerto e Fuga in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=FbCc_XfCrIY

BWV 910 - Toccata in Fa♯ minore

https://www.youtube.com/watchv=p9ZvLTzMpZ4

BWV 911 - Toccata in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=Q71afaDRGiA

Organico: clavicembalo
Composizione: 1714 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1839

Guida all'ascolto (nota 1)

Le sette Toccate BWV 910-916 appartengono al periodo precedente Lipsia e forse agli anni di
Weimar. Restano tuttavia, tra le opere della prima fase, tra le più ricche ed articolate. Il modello
ideale sembra essere il concerto, con la sua contrapposizione tra soli e tutti, e in effetti le toccate
alternano passi solistici con altri più complessi, episodi di libera invenzione a passaggi di
rigoroso contrappunto. La Toccata in do minore è tripartita. Dopo un fantasioso preludio e un
adagio è tuttavia occupata in gran parte da un fuga a tre voci con una doppia esposizione, ognuna
delle quali si conclude con una improvvisazione in omaggio a quello che era allora considerato il
meno asservito tra i generi musicali e il più aperto al puro gioco virtuosistico.

Bruno Cagli

BWV 912 - Toccata in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=WOfX8h-RBk8

Presto
Adagio
Fuga

Organico: clavicembalo
Composizione: 1710 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1839
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'importanza di Bach nei confronti dell'evoluzione del clavicembalo è troppo nota e,


probabilmente, scontata per doverla sostenere in questa sede. Si pensi solamente ai due volumi
del Clavicembalo ben temperato, veri capisaldi dello sviluppo sonatistico per tastiera
(clavicembalo in primis) e spartiacque definitivi per l'affermazione delle tonalità nel trapasso
degli strumenti a tasto barocchi verso il pianoforte. La toccata è la composizione tipica per
strumento a tastiera, oltre a rappresentare una delle prime forme specificamente strumentali; lo
stesso nome ne suggerisce il carattere improvvisativo. Per questo motivo, la scelta dell'esecutore
d'inserirla in questo programma pur appartenendo al Bach maturo risulta pertinente sia perchè il
brano appartiene a un autore legatissimo al clavicembalo, sia appunto per il suo spirito
d'improvvisazione tipico dello stile cembalistico. Toccata significa "toccare la tastiera" e in
ambito nordeuropeo se ne svilupparono due modalità: da una parte una composizione ampia in
cui si articolano episodi contrappuntistici accanto ad altri virtuosistici, dall'altra una
composizione in stile libero posta davanti a una fuga.

Antonio Brena

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le Toccate per clavicembalo comprese tra i numeri d'opus 910-916 BWV videro la luce durante
gli anni che Bach trascorse ad Arnstadt come organista della chiesa di San Bonifacio (1703-
1707) e nel periodo in cui ricoprì lo stesso incarico alla corte di Weimar (1708-1717). E'
significativo che proprio a Weimar Bach imparasse ad apprezzare i nostri musicisti Legrenzi,
Albinoni e Bonporti, prendendo dei frammenti delle loro opere violinistiche per elaborarle come
fughe per il clavicembalo. Si sa che egli approfondì lo stile dei compositori italiani soprattutto
quando nel 1714 potè procurarsi e copiarsi l'ultima opera di Frescobaldi apparsa per le stampe, i
Fiorì musicali. Da allora l'influenza del gusto degli autori italiani si fece sentire nelle forme della
composizione bachiana, ubbidendo a certi schemi che volevano un primo tempo vivace, un
secondo tempo in movimento adagio e una conclusione impiantata sulla fuga, arricchita dall'arte
della variazione, che resta una delle caratteristiche inconfondibili dell'invenzione del musicista di
Eisenach.

Proprio nella terza delle sette Toccate, quella in re maggiore scritta intorno al 1710, Bach
organizza il materiale sonoro con diverse mutazioni di figure ritmiche, imprimendo al brano un
carattere estremamente vario e rapsodico. Ciò si verifica essenzialmente nell'Allegro, in cui si
irrobustisce e si amplia per cerchi concentrici il tema iniziale espresso in modo vigoroso e
sostenuto. L'Andante costituisce un momento di riflessione con i suoi accordi delicati e le sue
armonie sospese.

BWV 913 - Toccata in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=2I43qGbYSc4

Presto
Adagio
Fuga

Organico: clavicembalo
Composizione: 1708 circa
Edizione: Hoffmeister & Kühnel, Lipsia, 1801

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le sette toccate per cembalo scritte da Bach furono composte in gran parte nel periodo in cui
prestò servizio presso la corte di Weimar (1708-17), anche se qualcuna va forse retrodatata agli
anni di Arnstadt o di Mühlhausen.

Toccata intesa come toccare, lasciar correre sopra i tasti le dita con tono preludiante, nell'atto
dell'improvvisare su uno strumento, era nata come forma molto libera e senza costrizioni. Man
mano si era poi andata sedimentando attorno a due nuclei generatori: un preludio introduttivo dal
carattere virtuosistico e una zona di imitazione fugata, via via sempre più ampia ed estesa. Nelle
toccate bachiane questa base formale diviene la colonna portante dell'intero edificio
compositivo, però ulteriormente riorganizzata con una struttura pluriarticolata e stratificata:
introduzione preludiante, sezione secondaria in stile di arioso seguita da un primo fugato, poi
nuovo interludio a carattere di recitativo e seconda fuga conclusa da un movimento toccatistico a
coronamento dell'intera opera. L'idea di inserire un arioso tra introduzione e prima fuga Bach la
trasse probabilmente da Buxtehude e da George Muffat; un'altra caratteristica è data dalla doppia
fuga (con due soggetti uniti), una forma che successivamente il compositore non utilizzerà più
nelle sue opere per tastiera.

Le toccate bachiane testimoniano anche della compresenza di più stili: alcuni passi richiamano il
principio di opposizione solo-tutti mutuato dal concerto (hanno anzi l'aspetto di veri e propri
concerti per cembalo), altri ricalcano la fantasia e la libertà proprie del passeggiato toccatistico,
altri ancora sono rigorosamente osservanti dei principi severi del contrappunto e della fuga.

La Toccata in re minore BWV 913 risale agli anni tra il 1705 e il 1708. Godette sicuramente di
notevole prestigio all'interno della cerchia degli allievi di Bach poiché ci è stata tramandata in un
certo numero di copie, una delle quali riportata: «Toccata prima ex clave D, manualiter per J. S.
Bach». Ebbe l'onore di essere la prima delle edizioni per cembalo-tastiera di Bach (Hoffmeister
und Kühnel, Lipsia 1801).

Dopo alcune battute introduttive di carattere squisitamente improvvisativo e preludiante, si apre


una pacata frase in arioso, sezione che prepara l'avvento del primo fugato, una costruzione
contrappuntistica solida, ordinata e lineare, solo verso il finale sciolta in uno stile meno
osservato.

Poi la Toccata cambia orientamento e per un attimo assume i toni di un partecipato recitativo
strumentale. Una figurazione ripetitiva, derivata da elementi della sezione in arioso, interviene a
proseguirlo ed è infine conclusa dal largo arpeggiato del Presto che lascia il discorso come
sospeso. L'attesa creatasi è preparatoria alla seconda fuga, l'Allegro, estesa e polifonicamente più
rilevante della precedente, il cui doppio soggetto è ricavato dalla traccia melodica del primo
fugato. In altre parole, come era frequente nei brani cembalistici e organistici del diciassettesimo
secolo (soprattutto in Froberger), Bach mantiene la consuetudine di presentare la seconda fuga
come una variazione della prima.

Il soggetto torna a ripresentarsi più volte, in zone timbriche diverse (percorre indifferentemente
la zona bassa, mediana e acuta della tastiera) e anche sotto prospettive tonali diverse, elementi
che lo mettono in rilievo esaltandone la linea secca e marcata.

Un trascinante e toccatistico flusso di semicrome dà nuova ulteriore spinta e conduce infine alle
ultime repliche tematiche animandole di risoluto brio e vitalità.

Marino Mora

BWV 914 - Toccata in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=jzS67dMQupM

Organico: clavicembalo
Composizione: 1708 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1839

Guida all'ascolto (nota 1)

La Toccata in mi minore BWV 914 è una tra le prime composizioni di Bach giunte fino a noi: fu
scritta verso il 1708 - Bach aveva ventitre anni - ed è la più semplice di tutte. Il genere della
Toccata derivava dalla improvvisazione che durante l'epoca barocca il musicista professionista
era tenuto a saper fare, e consisteva in una parte libera, una specie di "scioglidita" o di messa in
moto della fantasia, e in una parte obbligata, una Fuga o un Fugato. La Toccata BWV 914
comprende quattro episodi: un breve Preludio su un nucleo tematico di quattro suoni, un Fugato
in movimento lento, meditativo, un recitativo molto espressivo, "parlante", una brillantissima
Fuga in movimento rapido. La struttura, in senso lato, è teatrale, e la composizione trasferisce
sulla tastiera del clavicembalo le esperienze che il giovane Bach aveva fatto a Mühlhausen, dove
aveva composto le prime Cantate sacre.

Piero Rattalino

BWV 915 - Toccata in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=BQ30EzSDqZA

BWV 916 - Toccata in Sol maggiore

https://www.youtube.com/watchv=QJWnvHjwNkg

BWV 917 - Fantasia in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=qRFRDeqbPGs
BWV 918 - Fantasia in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=ASFdW5VPnJY

BWV 919 - Fantasia in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=2-eh1_yu6Vg

BWV 920 - Fantasia in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=u9kwZJRUAYM

BWV 921 - Preludio in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=Lc1q817YmoQ

Organico: clavicembalo
Composizione: 1713
Edizione: Peters, Lipsia, 1807

Incompiuta

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Preludio (Fantasia) in do minore BWV 921 ci è stato tramandato in un quaderno (detto


«Andreas-Bach-Buch» dal nome del suo proprietario) contenente composizioni per cembalo e
organo copiate da Johann Bernhard, nipote e allievo di Bach negli anni trascorsi dal compositore
a Weimar (1708-1717). Si tratta di una antologia di 56 pezzi di vari autori che include anche 15
composizioni di Bach o a lui attribuite nello storico catalogo di Wolfgang Schmieder (1950). In
seguito la ricerca musicologica ha corretto in parte queste attribuzioni, identificando precisi
autori per alcuni brani, limitandosi a porre in dubbio l'autenticità bachiana per altri; ed è appunto
quest'ultimo il caso del Preludio BWV 921.

La pagina non mostra infatti una impronta personale ben definita, anche se segue la tendenza -
propria della produzione cembalistica di Bach a Weimar, condizionata dallo stile organistico - di
una molteplice varietà di soluzioni di scrittura, secondo un taglio improvvisatorio, libero,
fantasioso. Il Preludio si articola in tre parti, una breve sezione introduttiva arpeggiata, una
seconda sezione in ritmo di 6/8 e una più vasta sezione conclusiva in 4/8.

Arrigo Quattrocchi

BWV 922 - Preludio in La minore

https://www.youtube.com/watchv=4cQhPWuIAR4

Organico: clavicembalo
Composizione: 1710 - 1714
Edizione: Peters, Lipsia, 1843

Incompiuta

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Praeludium-Fantasie in la minore BWV 922 è opera spuria nella produzione di Johann


Sebastian Bach e le insolite soluzioni compositive sembrano confermarlo. Sorprende l'arditezza
tonale, la congerie di episodi contrastanti, l'ossessività ripetitiva, non inconsueta in Bach, ma qui
esasperata oltremodo. Una sezione aerea e volante introduce, cadenzando, l'inciso principale
della seconda parte del brano, insistito nelle 3 scale successive. Da qui, tale elemento procede
discendendo in progressione modulante nel registro medio basso fino alla toccatistica cadenza
che chiude il preludio. Inizia dunque un fugato di proporzioni abnormi dato l'uso, per tutta la
sezione, di un unico breve soggetto trattato cromaticamente. Le continue modulazioni,
all'apparenza incoerenti, la sapiente distribuzione delle voci nello spazio diastematico, la varietà
di spessori accordali rendono difforme l'uniformità. L'articolata sezione conclusiva procede
attraverso passaggi di carattere improvvisativo fino alla fine.

Ruggero Laganà

BWV 923 - Preludio in Si minore (spuria, forse di Wilhelm Hieronymus Pachelbel)

https://www.youtube.com/watchv=6QHYPh0h1Bs

Piccoli preludi dal Clavier-Büchlein di Wilhelm Friedemann Bach

https://www.youtube.com/watchv=ild-QmTGLuc

BWV 924 - Preludio in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=OOiGym2Rt5k

BWV 924a - Preludio in Do maggiore (versione alternativa)

https://www.youtube.com/watchv=V6q7YP0PuKw

BWV 925 - Preludio in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=VYKXA8fZyE8

BWV 926 - Preludio in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=HdrP30lLPjY

BWV 927 - Praeambulum in Fa maggiore


https://www.youtube.com/watchv=QsWGLGFvH1c

BWV 928 - Preludio in Fa maggiore

https://www.youtube.com/watchv=RkLwNNkuRNk

BWV 929 - Preludio in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=g_ujJxRFtvA

BWV 930 - Preludio in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=99th6Zu7M5A

BWV 931 - Preludio in La minore

https://www.youtube.com/watchv=F8oE7HEX2w0

BWV 932 - Preludio in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=elBeSozxNiA

Sei piccoli preludi per clavicembalo

https://it.wikipedia.org/wiki/Sei_piccoli_preludi_per_clavicembalo

https://www.youtube.com/watchv=TZ4v4nMersU

https://www.youtube.com/watchv=xInP7Jcq9r0

BWV 933 - Preludio in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=nf9Sf6yO1Kg

BWV 934 - Preludio in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=p_uN9e9e2PQ

BWV 935 - Preludio in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=pBCRJPb6VI0

BWV 936 - Preludio in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=elzBJND5xpA
BWV 937 - Preludio in Mi maggiore

https://www.youtube.com/watchv=0NMmv1A1nZE

BWV 938 - Preludio in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=sequeXpoMiA

Preludi dalla collezione di Johann Peter Kellner

https://it.wikipedia.org/wiki/Preludi_dalla_collezione_di_Johann_Peter_Kellner

https://www.youtube.com/watchv=sfTp-q2jw6Y

BWV 939 - Preludio in Do maggiore (attribuzione dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=EWQwDaDEM7I

BWV 940 - Preludio in Re minore (attribuzione dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=aZkmHqtjkgY

BWV 941 - Preludio in Mi minore (attribuzione dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=_xfwNw1O1ZY

BWV 942 - Preludio in La minore (attribuzione dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=7a2OBrwl980

BWV 943 - Preludio in Do maggiore (attribuzione dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=2KaK0AbwMsk

Fughe e fughette

BWV 944 - Fuga in La minore

https://www.youtube.com/watchv=zTsP5fwhe2Q

BWV 945 - Fuga in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=Z4a1S0ls6zs

BWV 946 - Fuga in Do maggiore


https://www.youtube.com/watchv=Y1gzxEixUmA

BWV 947 - Fuga in La minore

https://www.youtube.com/watchv=5EXOCCDrtco

BWV 948 - Fuga in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=NdbABjTs4v8

BWV 949 - Fuga in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=KrzJ27lubkE

BWV 950 - Fuga in La maggiore (su un tema di Tomaso Albinoni)

https://www.youtube.com/watchv=r53fCKcba20

BWV 951 - Fuga in Si minore (su un tema di Tomaso Albinoni)

https://www.youtube.com/watchv=Lh_MOqcqXZ0

BWV 951a - Fuga in Si minore (versione alternativa)

https://www.youtube.com/watchv=skExboekdyM

BWV 952 - Fuga in Do maggiore (dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=cGWooiUUAM8

BWV 953 - Fuga in Do maggiore (dal Clavier-Büchlein per Wilhelm Friedemann Bach)

https://www.youtube.com/watchv=Lb3tUPg7p_s

BWV 954 - Fuga in Si bem maggiore (su un tema di Johann Adam Reincken)

https://www.youtube.com/watchv=Lb3tUPg7p_s

BWV 955 - Fuga in Si bem maggiore

https://www.youtube.com/watchv=_22MV5BK_xM

BWV 956 - Fuga in Mi minore (dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=onrQFxmigfI
BWV 957 - Fuga in Sol maggiore (dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=d1JPhErzQi8

BWV 958 - Fuga in La minore

https://www.youtube.com/watchv=QjaiChq0LoE

BWV 959 - Fuga in La minore

https://www.youtube.com/watchv=NMz5E2tVg6A

BWV 960 - Fuga in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=ZltFnDMfusw

BWV 961 - Fughetta in Do minore (dubbia)

https://www.youtube.com/watchv=kNqvIUCN2ns

BWV 962 - Fughetta in Mi minore

https://www.youtube.com/watchv=PFzpHYQ-bzM

Sonate e movimenti di sonata

BWV 963 - Sonata in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=e6fIdNOe_YA

Allegro maestoso
Largamente (si minore)
Allegro moderato e energico
Adagio (si minore)
Thema all'Imitatio Gallina Cuccu

Organico: clavicembalo con pedaliera


Composizione: 1704 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1806

Guida all'ascolto (nota 1)

Giunto nei primi anni del XVIII secolo a un livello di perfetta definizione tecnica, il
clavicembalo è lo strumento che più compiutamente incarna le istanze espressive di un'intera
epoca: il delicato periodo di transizione da una concezione polifonica e contrappuntistica del
discorso musicale a una monodica e armonica. Non a caso la figura di Johann Sebastian Bach è
stata diversamente interpretata come difensore della prima e precursore della seconda; sullo
strumento a tastiera Bach propose in effetti una sintesi fra il vecchio e il nuovo, intendendo la
tastiera come veicolo privilegiato sia per la produzione di intrattenimento che per le ricerche più
speculative sulla materia musicale.

La "tastiera", si è detto. Il concetto di produzione "cembalistica" è infatti soggetto a discussioni,


poiché in realtà gran parte della letteratura per cembalo di Bach era pensata in astratto, secondo
la prassi dell'epoca, per un generico strumento a tastiera; dunque clavicembalo, ma anche
clavicordo o organo; situazione che, sottolineando l'autonomia del brano tastieristico da una
unica e precisa fonte di produzione del suono, rende plausibile e legittima l'esecuzione di pagine
bachiane anche sul moderno pianoforte.

La Sonata in re maggiore BWV 963, viene attribuita generalmente al periodo trascorso ad


Arnstadt (1703-1707), e datata intorno al 1704 (l'autore era dunque diciannovenne). Si tratta
dell'unica composizione autentica del catalogo cembalistico bachiano che rechi il nome di
Sonata; termine che solo relativamente da poco tempo - un quindicennio - veniva riferito a
composizioni per cembalo, senza corrispondere però a un modello univocamente definito. La
Sonata BWV 963 aderisce al modello più diffuso, quello in cinque movimenti, del tutto distinto
da quello delle sonate polistrumentali. Il brano - che mostra già la mano dell'autore, nella
sicurezza della scrittura come nella capacità di rielaborare stili di diversa provenienza - si apre
con un vasto Allegro maestoso introduttivo, seguito da una sezione in ritmo puntato alla francese
e da un fugato. Poi un brevissimo Adagio, chiuso da una cadenza toccatistica, sfocia in una Fuga
che reca l'intestazione "Thema all'Imitatio Gallina Cuccù"; è quest'ultima pagina la più famosa
dell'eclettica sonata, con il tema ribattuto e gli intervalli ricorrenti di terza minore discendente,
che, secondo una ben consolidata tradizione di matrice italiana, ricordano il verso del cuculo.

Arrigo Quattrocchi

BWV 964 - Sonata in Re minore (arrangiamento della sonata n. 2 per solo violino BWV
1003)

https://www.youtube.com/watchv=EzvwZj50lmM

BWV 965 - Sonata in La minore (dall'Hortus Musicus di Johann Adam Reincken, nn. 1, 2, 3,
4, 5)

https://www.youtube.com/watchv=jj95KvQHFqo

BWV 966 - Sonata in Do maggiore (dall'Hortus Musicus di Johann Adam Reincken nn. 11,
12, 3, 4, 5)

https://www.youtube.com/watchv=G-0aOomtS3A

Praeludium
Fugue
Adagio
Allemande

Organico: clavicembalo
Composizione: 1718 - 1723 circa
Edizione: Peters, Lipsia, s. a

Guida all'ascolto (nota 1)

Al periodo di Köthen appartiene anche la Sonata in do maggiore BWV 966. Il lavoro è una
rielaborazione della Sonata II dell'Hortus musicus (una raccolta di Sei Sonate a tre per due
violini, viola e basso continuo pubblicata nel 1687) di Johann Adam Reinken, il grande organista
della Chiesa di Santa Caterina di Amburgo al quale Bach aveva fatto vista nel novembre del
1720. Un dovuto rispettoso omaggio all'anziano maestro (che morirà nel 1722 a 99 anni) che si
traduce anche in altri due brani tratti appunto dalla raccolta: la Fuga in si bemolle maggiore
BWV 954 (dalla Sonata II) e la Sonata in la minore BWV 965 (dalla Sonata I).

Ciascuna delle Sonate di Reinken è strutturata in 4 tempi (Adagio - Allegro, sempre pensato
come una foga - Adagio, come breve introduzione al finale - Allegro) e precede una Suite con le
quattro danze canoniche (Allemanda, Corrente, Sarabanda, Giga).

Nella Sonata BWV 966 Bach mantiene sostanzialmente intatto l'impianto della prima parte
affidando invece alla sola Allemanda la chiusura della composizione e la sua versione (dal
mantenimento del carattere estroverso del Preludio d'apertura alla lunga e "scolastica" Fuga; dai
successivi didascalici Adagio-Allegro fino alla manieristica danza finale) appare tutto sommato
più attenta all'osservanza dei canonici criteri compositivi che non ad una personale reinvenzione.

Laura Pietrantoni

BWV 967 - Sonata in La minore (solo un movimento, arrangiamento di una sonata di


compositore sconosciuto)

https://www.youtube.com/watchv=vyt_E77TM9s

BWV 968 - Adagio in Sol maggiore (dal primo movimento della sonata n. 3 per violino solo
BWV 1005)

https://www.youtube.com/watchv=oqxMMxY0hEY

Organico: clavicembalo
Composizione: 1720 circa
Edizione: Peters, Lispia, s. a.

Arrangiamento per clavicembalo del primo movimento della Sonata n. 3 per violino solo BWV
1005
Guida all'ascolto (nota 1)

Non si conoscono esattamente i motivi per cui nel 1717 Bach decise di lasciare Weimar per un
incarico alla corte del principe Leopold a Köthen, ma si sa che non fu un divorzio "consensuale":
quando presentò le dimissioni fu arrestato, chiuso in carcere e quindi licenziato in malo modo.

Il nuovo ruolo come Maestro di cappella prevedeva la "fornitura" di tutta la musica necessaria ai
bisogni di palazzo: brani d'intrattenimento, cantate d'omaggio e composizioni celebrative per le
ricorrenze.

La sua attività si manifestò quindi soprattutto nel campo della musica strumentale anche con
aspetti di intento pedagogico (rivolto anche ai giovanissimi figli Wilhelm Friedemann e Carl
Philipp Emanuel e alla seconda moglie Anna Magdalena): risalgono a questi anni infatti le
Sonate cameristiche, i Concerti (compresi i Brandeburghesi), le Ouvertures e i grandi lavori
"didattici" quali le Invenzioni a 2 e 3 voci, le Suites "inglesi" e "francesi", la prima parte del
Clavicembalo ben temperato, le Suites per violoncello solo e le sei Sonate e Partite per violino
solo BWV 1001-1006.

Fu lo stesso Bach a utilizzare il materiale di questa raccolta per altre versioni strumentali, dalla
Suite in mi maggiore per liuto BWV 1006a (da BWV 1006) alla Fuga in re minore per organo
BWV 539 (tratta dalla Sonata BWV 1001). Di non certa attribuzione sono invece la Sonata in re
minore per cembalo BWV 964 (dalla Sonata BWV 1003) e l'Adagio in sol maggiore BWV 968
tratto dal primo tempo della Sonata BWV 1005 in do maggiore. Quest'ultimo infatti ci è stato
tramandato in un unico manoscritto copiato da Johann Christoph Altnikol, allievo e genero di
Bach (era il marito della figlia Elisabeth Juliana Friderica): non ci è dato sapere quindi se il
compositore abbia davvero completato la trascrizione, se la versione pervenutaci sia veramente
sua oppure sia attribuibile ad uno dei figli (Wilhelm Friedemann o Carl Philipp Emanuel) o
addirittura anche ad un altro suo allievo, Johann Gottfried Müthel. Resta in ogni caso una pagina
molto suggestiva resa ancor più "audace" dalla trasposizione del brano in un una tessitura più
bassa rispetto all'originale: le note più gravi del clavicembalo sono quindi utilizzate secondo un
modello di "basso obbligato" e alla mano destra è affidato il compito di fiorire con raffinata
intensità il discorso.

Laura Pietrantoni

BWV 969 - Andante in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=IN5Ma07uT5M

BWV 970 - Presto in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=QVnBheWt8Jo

Concerto italiano

BWV 971 - Concerto italiano in Fa maggiore


https://www.youtube.com/watchv=ghTitIMtTCM

https://www.youtube.com/watchv=mQi-QODoxUk

https://www.youtube.com/watchv=8K5-_f_KT5M

...
Andante (re minore)
Presto

Organico: clavicembalo
Composizione: 1735
Edizione: Chr. Weigel jr., Norimberga, 1735 (insieme all'Ouverture in stile francese BWV 831)

Guida all'ascolto (nota 1)

La composizione del Concerto secondo lo stile italiano BWV 971 si riallaccia al periodo
trascorso a Köthen, quando l'interesse di Bach era volto quasi esclusivamente alla musica
strumentale. La scrittura di questa pagina, come anche quella dell'Ouverture francese, indica
chiaramente che le due opere furono concepite per un clavicembalo a due manuali,
indispensabile per ottenere gli effetti di piano e forte che imitano sapientemente le
contrapposizioni tutti-solo proprie del concerto grosso italiano. Il contrasto è straordinario: da un
lato l'agilità, la snellezza, la brillantezza degli «episodi solistici» nel piano (II manuale), dall'altra
la forza, la robustezza e la potente sonorità del tutti nel forte (I manuale). Anche dal punto di
vista strutturale, naturalmente, il Concerto italiano è concepito secondo la forma-ritornello tipica
del concerto vivaldiano: un motivo principale esposto dal tutti, detto appunto ritornello, si
alterna a episodi contrastanti affidati al solista.

Il tema del ritornello dell'Allegro iniziale è regolare e simmetrico: quattro battute di proposta alla
tonica cui rispondono quattro battute di controproposta alla dominante. Le successive sezioni
sono ben delineate e separate fra loro da perentorie cadenze: il ritorno ciclico del ritornello in
diverse tonalità, è intercalato da tre episodi in cui spicca la linea melodica della mano destra
sostenuta dalle scivolanti armonie della sinistra.

L'attacco dell'Andante, scritto in forma bipartita, è decisamente di sapore vivaldiano, a ulteriore


conferma del modello assunto da Bach per questa composizione: un'unica, lunghissima, linea di
canto (l'analogia col concerto barocco farebbe qui pensare a un violino solista) si snoda sinuosa
dall'inizio alla fine sopra un basso ritmicamente regolare ma in continua e inquieta evoluzione
armonica, quasi una specie di orchestra con sordina.

Anche il travolgente Presto conclusivo è scritto in forma di ritornello, con un motivo principale
ascendente pieno di vita e di verve ritmica riproposto su diversi piani tonali e alternato a
vivacissimi episodi «solistici»; il tutto senza soluzione di continuità, in un discorso musicale
fluido e ritmicamente serrato.

Carlo Franceschi De Marchi


Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1734 esce la seconda parte della Clavier-Übung che contiene l'Ouverture in stile francese
BWV 831 e il Concerto nach Italienischen Gusto (Concerto alla maniera italiana) BWV 971 il
quale, nonostante la definizione (il termine "concerto" indicava infatti un brano strutturato su un
organico orchestrale con la contrapposizione di soli e tutti) è ideato da Bach esclusivamente per
lo strumento solista senza accompagnamento. E la cosa straordinaria è che in questo lavoro il
compositore ottiene l'effetto dell'insieme strumentale (nei diversi ruoli concertanti) con un
energico contrasto sonoro delle tastiere del clavicembalo (in Germania infatti, al contrario
dell'Italia, veniva utilizzato appunto uno strumento a due "manuali").

Il riferimento allo stile "italiano" appare sicuramente comprensibile per chi, come Bach, aveva
familiarizzato fin dagli anni della giovinezza con i lavori di Vivaldi, Albinoni, Marcello. E il
Concerto BWV 971 è una sorta di epitome delle maniere e degli stilemi italianizzanti, ripensati
naturalmente dal maestro di Lipsia in maniera del tutto personale. A partire dal primo Allegro in
cui, con incredibile chiarezza e sorprendente efficacia, il compositore riesce a far emergere - da
quell'"unica" tastiera - il dialettico gioco dei soli e dei tutti; esemplarmente modellato sui grandi
tempi lenti cantabili dei Concerti di Vivaldi e Albinoni è poi l'incantevole e assorta melodia
dell'Andante centrale dalla quale si ritorna - senza nessun invidia per la sonorità di una piena
compagine orchestrale - all'esplosione vitale del trascinante Presto conclusivo.

Laura Pietrantoni

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Seguendo la formula di un'opposizione faccia a faccia che in quegli anni stava diventando
abituale, nella raccolta Zweiter Theil der Clavier Ubung pubblicata a Norimberga dall'editore
Christoph Weigel nel 1735, sono posti uno dopo l'altro due brani concepiti rispettivamente in
stile francese e in stile italiano: il primo è il Concerto nel gusto italiano BWV 971, il secondo
l'Ouverture nella maniera francese BWV 831. La differenza fra i due, molto marcata, mostra
chiaramente cosa Bach cercasse nella musica italiana e quali elementi, in essa, lo attraessero al
punto da fargli ignorare eventuali diversità di ispirazione.

In effetti un autore per antonomasia severo, come Bach, animato da una religiosità protestante e
del tutto estraneo al mondo del teatro lirico, sembra quanto di più lontano possa esservi dal gusto
italiano, che si suppone dominato dall'inclinazione per il canto e per la galanteria. Il Concerto
italiano, invece, corona un confronto ventennale con la musica dei grandi maestri che Bach
aveva iniziato a studiare e a trascrivere quando abitava a Weimar, dunque nei primi anni della
carriera, e che lo avevano sempre affascinato per la qualità geometrica dell'organizzazione sia
dei materiali compositivi, sia dell'orchestrazione: dunque per due motivi molto lontani
dall'immagine stereotipata dello stile italiano. In luogo del continuo riferimento alla danza tipico
della musica francese, nella quale la forma strumentale per eccellenza è quella della suite, lo stile
italiano divide i tempi secondo gli andamenti: dunque indicazioni come "allegro", "adagio",
"andante", "largo", "grave" o "moderato", con tutta la loro polivalente astrattezza, sostituiscono i
concreti vincoli della "corrente", della "allemanda", del "minuetto" o della "giga". Inoltre, come
la successione di queste forme di danza creava sequenze prive di schemi ordinati e
tendenzialmente asimmetriche, così il gusto italiano privilegiava la simmetria, adottando come
riferimento il sistema tripartito della successione allegro-adagio-allegro. Infine, se nello stile
francese la contrapposizione fra il ripieno orchestrale e i solisti, o anche fra gruppi limitati di
strumenti e il "tutti" diventava l'occasione per differenziare timbro e dinamica del suono,
facendo di questi due elementi altrettanti aspetti della decorazione barocca, nel concerto di stile
italiano si assisteva a una precisa ripartizione di compiti, con un'equa divisione fra ciò che spetta
all'insieme e ciò che spetta al "solo" o al cosiddetto "concertino".

Trasportare la formula del concerto su un solo strumento, il clavicembalo, non era cosa nuova,
anzi aveva già più di un parallelo nella letteratura musicale contemporanea, con autori oggi quasi
dimenticati come Petzold o Tischer. In Bach, tuttavia, anche questa forma di adattamento diviene
il pretesto per una sperimentazione di linguaggi, poiché la rinuncia a tutto quel che riguarda il
colore strumentale e l'orchestrazione comporta per lui una piena concentrazione sull'aspetto
stilistico del trattamento musicale. Con il Concerto italiano, infatti, Bach porta a termine un
percorso di assimilazione della lezione dei maestri italiani che soddisfa il suo gusto per la
geometria, ma che stimola anche l'invenzione facendo della regolarità una sua risorsa, e non un
suo limite. Per lui il Concerto italiano rappresentava la chiusura di una fase di maturazione e
l'inizio di un periodo nuovo, nel quale non avrebbe più avuto bisogno di confrontarsi con gli stili
alla moda, italiano o francese che fossero. Forse per questo duplice ruolo di coronamento e di
cerniera, Bach poteva dire all'allievo e biografo Johann Adolph Scheibe di cosiderare il Concerto
italiano come la più amata fra le opere che aveva dato alle stampe.

Trascrizioni per clavicembalo

https://it.wikipedia.org/wiki/Concerti_trascritti_per_tastiera_da_Johann_Sebastian_Bach

https://www.youtube.com/watchv=1adiVkh3mLQ&list=PLD90HXjWAEBj0Zp0vRXlKtxZEeUt
8Nbx_

BWV 972 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto op. 3 n. 7 RV 567 di
Antonio Vivaldi

https://www.youtube.com/watchv=KFVLv0JNp4M

BWV 973 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto op. 7 n. 2 RV 188 di
Antonio Vivaldi

https://www.youtube.com/watchv=WL2wetq9_ak

BWV 974 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto per oboe in Re minore di
Alessandro Marcello

https://www.youtube.com/watchv=B7XRR7tos_Q

BWV 975 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto per violino op. 4 n. 6 RV
316a di Antonio Vivaldi
https://www.youtube.com/watchv=fxnr1UzhKdM

BWV 976 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto op. 3 n. 12 RV 265 di
Antonio Vivaldi

https://www.youtube.com/watchv=TEXKirl3sMw

BWV 977 - Arrangiamento per clavicembalo solo di un concerto sconosciuto, forse di


Antonio Vivaldi

https://www.youtube.com/watchv=GEsIP_Ya6Bw

BWV 978 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto op. 3 n. 3 RV 310 di
Antonio Vivaldi

https://www.youtube.com/watchv=o7Qekduv3vs

BWV 979 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto per violino in Re minore
di Giuseppe Torelli

https://www.youtube.com/watchv=EMR8WTsEXGQ

BWV 980 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto per violino op. 4 n. 1 RV
383a di Antonio Vivaldi

https://www.youtube.com/watchv=LHKoHKagdTk

BWV 981 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto per violino di Benedetto
Marcello

https://www.youtube.com/watchv=vPkzGkta_8w

BWV 982 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto del duca Giovanni
Ernesto di Sassonia-Weimar, op. 1 n. 1

https://www.youtube.com/watchv=mX4nk6wJnB8

BWV 983 - Arrangiamento per clavicembalo solo di un concerto sconosciuto

https://www.youtube.com/watchv=oD58Ht7gM5U

BWV 984 - Arrangiamento per clavicembalo solo di un concerto del duca Giovanni
Ernesto di Sassonia-Weimar (arrangiato anche per organo come BWV 595)

https://www.youtube.com/watchv=aNgwKF1L6X4
BWV 985 - Arrangiamento per clavicembalo solo di un concerto per violino di Georg
Philipp Telemann

https://www.youtube.com/watchv=PeiFgpjrQP8

BWV 986 - Arrangiamento per clavicembalo solo di un concerto sconosciuto, forse di


Georg Philipp Telemann

https://www.youtube.com/watchv=espFZrkWbJA

BWV 987 - Arrangiamento per clavicembalo solo del concerto op. 1 n. 4 del duca
Giovanni Ernesto di Sassonia-Weimar

https://www.youtube.com/watchv=NHfCZydzLRU

Altre opere per clavicembalo

BWV 988 - Variazioni Goldberg

https://www.youtube.com/watchv=-X3NjXpXaoo

https://www.youtube.com/watchv=sbOwhF1hFcg

https://www.youtube.com/watchv=XVAl47CpwOQ

https://www.youtube.com/watchv=BYfKWyeichE

https://www.youtube.com/watchv=Z50Ihfp_lMw

Aria
Variazione 1 - a 1 manuale
Variazione 2 - a 1 manuale
Variazione 3 - canone all'unisono a 1 manuale
Variazione 4 - a 1 manuale
Variazione 5 - a 1 ovvero 2 manuali
Variazione 6 - canone alla seconda a 1 manuale
Variazione 7 - a 1 ovvero 2 manuali
Variazione 8 - a 2 manuali
Variazione 9 - canone alla terza a 1 manuale
Variazione 10 - fughetta a 1 manuale
Variazione 11 - a 2 manuali
Variazione 12 - canone alla quarta
Variazione 13 - a 2 manuali
Variazione 14 - a 2 manuali
Variazione 15 - canone alla quinta in moto contrario a 1 manuale. Andante (sol minore)
Variazione 16 - ouverture a 1 manuale
Variazione 17 - a 2 manuali
Variazione 18 - canone alla sesta a 1 manuale
Variazione 19 - a 1 manuale
Variazione 20 - a 2 manuali
Variazione 21 - canone alla settima (sol minore)
Variazione 22 - alla breve a 1 manuale
Variazione 23 - a 2 manuali
Variazione 24 - canone all'ottava a 1 manuale
Variazione 25 - a 2 manuali (sol minore)
Variazione 26 - a 2 manuali
Variazione 27 - canone alla nona
Variazione 28 - a 2 manuali
Variazione 29 - a 1 ovvero 2 manuali
Variazione 30 - quodlibet a 1 manuale

Organico: clavicembalo
Composizione: 1741
Edizione: B. Schmid, Norimberga, 1741 - 1742

Compresa nel Clavier-Übung IV, vedi anche i Canoni BWV 1087

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel 1726 si svolse a Lipsia, come avveniva sotto Pasqua da tempo quasi immemorabile, la Fiera,
famosa in tutta Europa. Un musicista di quarantun'anni carico di figli che ricopriva la carica di
Cantor nella Chiesa di San Tommaso con un salario appena sufficiente ad equilibrare alla meglio
il bilancio familiare, si recò in Fiera per spacciarvi una graziosa Partita per clavicembalo che
aveva pubblicato a sue spese. La sua iniziativa non dovette ottenere un esito economicamente
insoddisfacente perché l'anno dopo il bravo Cantor si ripresentò in Fiera con una seconda Partita,
e con una terza nel 1728, una quarta nel 1729, una quinta nel 1730. La sesta Partita completava
nel 1731 il ciclo, e il Cantor aveva così messo al suo attivo, a quarantasei anni, la sua "opera
prima" pubblicata a sue spese, mentre altri compositori del suo tempo, più famosi di lui,
vendevano i loro lavori ad editori che ne garantivano la diffusione internazionale.

Il titolo dell'op. 1 di Johann Sebastian Bach - perché di lui si tratta, come il lettore ha già capito -
era Clavier-Übung, cioè Esercìzio per Tastiera. Nel 1735 Bach pubblicò, questa volta presso un
editore di Norimberga, la seconda parte dell'Esercizio, nel 1739 la terza e nel 1741 la quarta,
contenente l'Arìa con diverse variazioni per clavicembalo con due tastiere che più tardi ebbe il
titolo, apocrifo, di Variazioni Goldberg.

Non sappiamo quante copie venissero approntate per ogni tiratura dell'Esercizio per Tastiera, ma
sappiamo che cento copie vendute coprivano tutti i costi e che dalla centounesima si cominciava
a guadagnarci sopra. Siccome l'incisione della musica richiedeva allora un complicato processo
tecnico ed era quindi assai dispendiosa, il prezzo delle pubblicazioni a piccola tiratura si
manteneva piuttosto alto. Christoff Wolff ci dice che "la parte I veniva venduta a 2 talleri (lo
stesso prezzo del trattato di Heinichen sul basso continuo, di 994 pagine di caratteri a stampa) e
la parte III per 3 talleri, cifre che ne impedivano la diffusione al di fuori della cerchia delie
persone seriamente interessate". Fra queste ultime c'era il dottissimo Padre Giovanni Battista
Martini, frate minore conventuale che a Bologna riuscì ad avere, probabilmente inviategli da un
confratello sassone, una copia della prima ed una della terza parte. Della diffusione della quarta
parte non abbiamo notizie.

Il titolo Variazioni Goldberg è dovuto ad un aneddoto raccontato nel 1802 da Nikolaus Forkel,
primo biografo di Bach. Secondo il Forkel, l'Aria con divene variazioni era stata commissionata
a Bach da un nobiluomo di Dresda, Hermann Carl von Keyserlingk, che soffriva di insonnia e
che allievava la noia delle notti in bianco ascoltando pezzi per clavicembalo suonati da Johann
Cottlieb Goldberg, ex allievo del figlio maggiore di Bach, Wilhelm Friedemann, ed allievo di
Bach nel 1742 e nel 1743. La cronologia non quadra, perché Bach compose le Variazioni nel
1741. Ma non quadra anche per altre ragioni, delucidate per noi ancora da Christoff Wolff: "[...]
secondo tutti gli indizi estrinseci ed esteriori (la mancanza della dedica formale a Keyserlingk,
richiesta dal protocollo settecentesco, e la tenera età di Goldberg, allora [1741] quattordicenne),
indicano che le cosiddette Variazioni Goldberg non nacquero come lavoro su commissione
indipendente, ma fecero parte fin dall'inizio del progetto della Clavier-Übung, di cui
costituiscono un grandioso finale". Ciò non esclude, naturalmente, che Goldberg, entrato al
servizio del Keyserlingk, non utilizzasse le Variazioni per distrarre il suo padrone insonne (non
per farlo scivolare dolcemente nelle braccia di Morfeo). In ogni caso, una volta escluso per
sgravio di coscienza il fondamento storico dell'aneddoto continueremo a chiamare con il nome
tradizionale l'Arìa con diverse variazioni. Per i tedeschi, per i quali Gold-Berg significa
Montagna d'oro, il titolo apocrifo diventa persino simbolico: Variazioni della Montagna d'Oro.
Per noi è semplicemente più comodo del titolo originale... e ci fa anche ricordare il povero
allievo di Bach, brillante clavicembalista e compositore di un certo vivace ingegno, che morì a
soli ventinove anni. L'Aria che dà lo spunto alle variazioni è di trentadue battute, suddivise in
due parti simmetriche e con ripetizione dì ciascuna parte. Il basso delle prime diciotto battute è
identico a quello del tema nella Chaconne avec 62 variations di Händel, pubblicata ad
Amsterdam nel 1732 e a Londra nel 1733. Bach conobbe sicuramente il lavoro di Händel, e
probabilmente restò interessato in particolare, oltre che dal basso, dall'ultima variazione, un
canone a due voci (nel canone la seconda voce ripete esattamente, a una certa distanza, ciò che è
stato cantato o suonato dalla prima voce). Sul basso händeliano Bach lavorò in due modi diversi:
aggiungendogli quattordici battute ne fece la base dell'Aria, e sulle prime otto note annotò sulla
sua copia personale della quarta parte del Clavier-Übung quattordici canoni, scoperti soltanto nel
1975. Comporre canoni su un testo dato e creare melodie su un basso dato era, com'ancora
avviene oggi nella didattica della composizione, un normalissimo esercizio di abilità.
Ricorderemo per curiosità che Schumann propose alla giovanissima Clara Wieck, non ancora
sua moglie, un basso, su cui la ragazzina creò una bella melodia e, partendo dalla melodia, delle
variazioni assai virtuosistiche. Schumann riprese la melodia di Clara e la variò anche lui ma in
modo "sapiente", introducendovi persino una fuga, nei suoi Impromptus op. 5.

Se i canoni di Bach fossero dodici saremmo nella consolidata tradizione del Settecento. Invece
sono quattordici. Perché O, meglio, c'è un perché C'è. Per Bach il numero quattordici aveva un
chiaro significato simbolico. La denominazione tedesca dei suoni inizia dal la, indicato con A.
Andando di seguito, B è il si bemolle, C il do, D il re, ecc., fino alla H che corrisponde al si
naturale. Attribuendo il numero 1 al la, il si bemolle avrà il 2, il do il 3, il si naturale l'8: la
somma di questi quattro numeri, corrispondenti al nome BACH, dà 14. E in Bach troviamo vari
impieghi simbolici di questo numero: ad esempio, egli attese per parecchi anni, prima di entrare
nella prestigiosa "Società dei corrispondenti per le scienze musicali", attese cioè fino a quando
potè entrarvi come quattordicesimo socio. In quella solenne occasione dovette donare alla
Società il suo ritratto: posò per il pittore Elias Gottlob Haussmann, tenendo in mano un foglietto
con scritto sopra uno dei quattordici canoni sul basso delle Goldberg: non il quattordicesimo,
tuttavia, ma il tredicesimo (il 13 è di solito ritenuto un numero sfortunato, quello della "dozzina
del diavolo": Bach se ne faceva forse un baffo).

La variazione non è una forma ma un genere, e sebbene siano esistite alcune tipologie
tradizionali di cui i compositori si servivano per dare forma all'insieme, si può affermare che
ogni grande serie di variazioni è strutturata in un modo unico, irripetibile. Le trenta variazioni
delle Goldberg (detto per inciso, il 30 - 10 x 3 - è il numero della pienezza e della perfezione)
sono suddivise in dieci gruppi di tre (10 è il numero dei Comandamenti, 3 è il simbolo della
Trinità). Nei primi nove gruppi l'ultima variazione è un canone a due voci con un basso
accompagnante (che manca solo nel nono ed ultimo canone). L'accompagnamento, per così dire,
addolcisce l'impatto sull'ascoltatore della rigorosa scrittura contrappuntistica, lo addolcisce e lo
rende più colloquiale rispetto a quello dei quattordici canoni sul basso delle Goldberg o a quello
dei canoni dell'Arte della fuga. Nelle Goldberg il primo canone (terza variazione) è all'unisono:
la seconda voce ripete esattamente quello che ha appena fatto la prima, come se ne ripercorresse
subito le orme, camminando ad un metro di distanza. Il secondo canone (sesta variazione) è alla
seconda, come se la seconda voce rifacesse il percorso della prima ma, oltre che un metro
indietro, anche spostata di un metro a lato. I successivi canoni sono alla terza, alla quarta, ecc.,
fino alla nona (ventisettesima variazione); ma il canone alla quinta (quindicesima variazione) è
per moto contrario: come se la seconda voce, oltre che spostata a lato di cinque metri, andasse in
direzione opposta a quella della prima.

Il decimo gruppo di tre variazioni ciascuno si conclude con un Quodlibet (a piacere,


letteralmente; nell'Italia del Settecento il termine usato comunemente, invece di Quodlibet, era
Misticanza). Nel Quodlibet Bach sovrappone al basso dell'Aria le melodie di due canzoni
popolari. Che si tratti di canzoni popolari non ce lo dice lui, Bach: ce lo fa sapere il suo allievo
Johann Christian Kittel, che ne cita gli incipit, rispettivamente - in tedesco, ovviamente - "Sono
così a lungo restato lontano da te, ritorna, ritorna, ritorna" e "Cavoli e rape mi hanno fatto
fuggire. Se mia madre avesse cucinato della carne sarei restato più a lungo". Canzoni popolari,
dice il Kittel. Ma ci volle molto e molto tempo per scoprire le musiche originali, sfruttate da
Bach solo parzialmente. "Cavoli e rape" è una Bergamasca - anzi, Pergamasca - emigrata dalla
Lombardia nella Germania centrale e contenuta in un codice della fine del Seicento; l'altra
canzone è stata alla fine ritrovata in una pubblicazione uscita a Lipsia nel 1696.

La divisione in dieci gruppi, con un ordinamento progressivo dei canoni e con il culmine del
Quodlibet, scandisce l'articolazione rigorosamente geometrica della struttura. Alla divisione per
gruppi di tre variazioni s'affianca però nelle Goldberg un altro tipo di divisione, una divisione in
due grandi parti simmetriche. La sedicesima variazione è una vera e propria Ouverture alla
francese (introduzione in movimento lento, seguita da un fugato), nettamente differenziata
rispetto a tutte le altre variazioni. Siccome Bach prescrive che l'Aria venga ripetuta dopo la
trentesima variazione, nella forma dell'opera si crea questa divisione dei trentadue pezzi in sedici
e sedici (trentadue, lo ricordo al lettore, sono anche le battute dell'Aria):
Aria e 15 variazioni (I-XV)
15 variazioni (XVI-XXX) e Aria.
La divisione in due parti è talmente netta da consigliare a Jörg Demus, tenuto conto della durata
di circa ottanta minuti delle Goldberg, di fare un intervallo dopo la quindicesima variazione,
emotivamente intensissima, e di riprendere con la festosa sedicesima variazione dopo una sosta
di una ventina di minuti. Si tratta di un'idea eminentemente pragmatica, che contrasta con il
costume odierno e che viene quindi accettata con difficoltà (per non dire con scandalo), ma che
non turba affatto, secondo me, la ricezione dell'opera e che, anzi, la favorisce.

Un'altra iniziativa pragmatica, anch'essa, oggi, dura da... digerire, fu quella di Jörg Ewald
Dahler, allievo di un antesignano della "prassi autentica" come Fritz Neumeyer, che ad ogni
variazione diede un titolo caratteristico, di gusto francese settecentesco. Questi i titoli delle
prime tre variazioni: Les Polonaises (La Polacche), La conversation galante (La conversazione
galante), Les Deux Bergers (I due pastori). Non vado oltre perché non sono autorizzato a
pubblicare l'intero set di titoli, ed anche perché non vorrei sconcertare chi ritiene che il pregio
maggiore del testo artistico risieda nella sua incontaminata autenticità. Mi permetto tuttavia di
far osservare che, se è pur vero che nei titoli apocrifi c'è molto di Bach alla Couperin e anche un
po' di Bach alla Grieg, è vero altresì che il Dahler non è un dilettante ma un filologo, uno
studioso tutt'altro che incline a mercificare l'arte. I suoi titoli sono da intendere come segnali
verso chi reagisce alla musica, invece che per dottrina, per sensibilità e per gusto, e mirano a
facilitare e favorire la comprensione delle Goldberg indirizzando concretamente
l'immaginazione dell'ascoltatore.

In realtà, sia l'iniziativa di Demus che l'iniziativa di Dahler che, per altro verso, l'iniziativa di un
interprete rigoroso come Alfred Brendel, che intitola una per una le 33 Variazioni su un valzer di
Diabelli di Beethoven, colgono un problema fondamentale dell'odierno concertismo: come si
possono presentare al pubblico, in concreto, lavori che erano stati pensati per l'esecuzione da
camera Come si possono unire le mille o le millecinquecento persone nell'ascolto di opere
pensate per un pubblico di due, tre, o al massimo dieci ascoltatori Si tratta di un problema che sta
alla base del concertismo solistico, che durante il secolo passato era stato progressivamente
messo in ombra e che sta oggi riemergendo. Liszt aveva scritto nel 1855 che se Schumann
avesse dato alla sua opera 15 il titolo Bagatelle, invece di Scene infantili, avrebbe reso più ardua
la comprensione del suo lavoro. E, Liszt, il concertismo non solo l'aveva praticato: lo aveva
anche inventato.

L'aneddoto che diede origine al titolo apocrifo Variazioni di Goldberg si trova, come ho già
detto, nella biografìa di Bach che Nikolaus Forkel pubblicò nel 1802. Nello stesso anno usciva
una nuova edizione delle Goldberg che andava a sostituire la prima, ormai introvabile. Questa
edizione era nota a Hoffmann che, o parafrasando una sua esperienza o facendo ricorso alla sua
lussureggiante bizzarra fantasia, introdusse l'Aria con diverse variazioni nel racconto Sofferenze
musicali del maestro di cappella johannes Kreisler. In una brillante serata mondana con molti
invitati viene chiesto a Kreisler di far sentire le Goldberg (non ancora denominate così). Egli, sa
bene a che cosa si andrà incontro e vorrebbe dunque evitare lo scandalo, ma alla fine si lascia
consigliare dai molti bicchieri di punch che ha bevuto ed accetta l'invito, sibilando fra i denti
"ascoltate, e crepate di noia". Infatti, a poco a poco il pubblico se la squaglia, e alla trentesima
variazione Kreisler si ritrova da solo, davanti al bicchiere del punch e ad una musica che provoca
in lui un'ubriacatura maggiore di quella dell'alcol: "Le note prendevano vita, scintillavano,
saltellavano attorno a me, un fuoco elettrico passava dall'estremità delle mie dita ai tasti".
A parte questa, forse fantastica e forse no, per tutto l'Ottocento non abbiamo notizie certe di altre
esecuzioni complete. Sembra che Liszt eseguisse una parte delle variazioni. Nel 1883 Joseph
Rheinberger trascrisse le Goldberg per due pianoforti, distribuendo il tessuto originale fra i due
strumenti ed aggiungendo raddoppi e contrappunti. L'effetto era curioso: stereofonico, accordale,
molto - come dire - avvolgente. Non abbiamo notizia di esecuzioni pubbliche della versione
Rheinberger, che solo trent'anni più tardi fu ripresa e ritoccata da Reger, ma che anche in questa
forma non ebbe fortuna. Un'esecuzione parziale, su un clavicembalo con due tastiere, venne
proposta a Londra nel 1897 da Alfred Hipkins. Agli inizi dei Novecento le Goldberg entrarono
nel repertorio concertistico del pianoforte con José Vianna da Motta e con Ferruccio Busoni, che
le ristrutturarono sia abolendo i ritornelli che alcune variazioni (la versione di Busoni,
pubblicata, è del massimo interesse documentario). Vari altri pianisti ripresero le Goldberg, ma
le prime esecuzioni integrali di cui si abbia notizia sono, negli anni Venti e Trenta, quelle di
Harold Samuel, di Rosalyn Tureck e di Claudio Arrau al pianoforte e di Wanda Landowska al
clavicembalo moderno.

Nel 1950, bicentenario della morte di Bach, veniva però posto con forza il problema dello
strumento originale, il clavicembalo con due tastiere, di cui il clavicembalo della Landowska era
una modernizzazione filologicamente inattendibile. Bach indica, in ciascuna delle variazioni, se
debba essere impiegata una sola tastiera o se ne debbano essere impiegate due. Il trasferimento
delle Goìdberg al pianoforte comportava non lievi problemi di tecnica, tuttavia risolvibili, ed
insolubili problemi di timbrica. L'esecuzione al pianoforte, che era sicuramente non-autentica,
venne però "salvata" dalla genialità di Glenn Gould, autore nel 1955 di una celeberrima
registrazione discografica, e dalla tetragona resistenza di Alexis Weissenberg, che negli anni
sessanta accettò il rischio di non essere à la page e di subire i rabbuffi dei critici più severi.

Dopo una ventina d'anni si fece tuttavia strada la convinzione che l'impiego del clavicembalo
con due manuali garantiva sì l'autenticità filologica, ma non l'autenticità sociologica, perché
l'esecuzione per un numeroso pubblico era del tutto al di fuori delle prospettive e delle intenzioni
di Bach. Inautentico per inautentico, il pianoforte, con la sua massa di suono molto maggiore e
con la sua tradizione concertistica, era dunque più efficace in una grande sala. E da circa
trent'anni le esecuzioni pubbliche al pianoforte sono ridiventate usuali, mentre le esecuzioni al
clavicembalo avvengono quasi esclusivamente in sede discografica.

In qualche disco si trovano, oltre alle Goldberg, anche i quattordici canoni. Yurji Takahashi
registrò le Goldberg al pianoforte e i canoni con il sintetizzatore. In disco si trovano le Goldberg
eseguite al clavicembalo da Celine Frisch, i canoni eseguiti da un Sestetto d'archi e le due
canzoni popolari della trentesima variazione eseguite da una cantante, accompagnata da un
piccolo complesso strumentale. Delle Goldberg esistono infine in disco, a ulteriore
dimostrazione della diffusione che hanno raggiunto, esecuzioni all'organo, esecuzioni in
trascrizione per Trio d'archi ed esecuzioni della versione Rheinberger-Reger per due pianoforti.
Nelle esecuzioni pubbliche sta tuttavia emergendo il problema a cui prima accennavo: quanti
ascoltatori riescono a distinguere auditivamente le variazioni ordinarie e le variazioni a canone
E, di conseguenza, quanti riescono a capire l'articolazione della forma oggetto di evidente e
gelosa cura da parte di Bach

Piero Rattalino
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le Variazioni Goldberg, uno dei massimi monumenti della letteratura tastieristica, furono
pubblicate nel 1742, quando Bach aveva il titolo di compositore della corte reale di Polonia ed
elettorale di Sassonia. Fino ad allora Bach aveva dimostrato poco interesse per questa forma
(aveva scritto soltanto un'altra raccolta del genere, una serie di pezzi poco impegnativi "alla
maniera italiana"), e il fatto che nonostante ciò egli si sia impegnato nella costruzione di un
edificio di grandiosità senza precedenti non può che suscitare molta curiosità intorno alle origini
dell'opera. Questa curiosità dovrà però rimanere insoddisfatta poiché tutti i dati ancora esistenti
ai tempi di Bach sono stati poi occultati dai suoi biografi romantici, affascinati da una leggenda
che, malgrado la sua pittoresca inverosimiglianza, è difficile confutare.

A chi non la conoscesse diremo in breve che secondo la tradizione l'opera sarebbe stata
commissionata da un tal conte Keyserling, ambasciatore di Russia presso la corte di Sassonia, il
quale aveva alle proprie dipendenze come musicista di palazzo uno dei migliori allievi di Bach,
Johann Gottlieb Goldberg. Keyserling, che pare soffrisse spesso di insonnia, chiese al maestro di
scrivere qualche riposante brano per tastiera che Goldberg potesse suonargli per conciliargli il
sonno. Se la cura ebbe buon effetto, è lecito nutrire qualche dubbio sulla qualità
dell'interpretazione che il giovane Goldberg doveva dare a questa partitura incisiva e stuzzicante.
E anche se non ci facciamo la minima illusione sull'indifferenza da vero professionista con cui
Bach considerava le restrizioni imposte alla sua libertà artistica, è difficile credere che i quaranta
luigi d'oro offertigli da Keyserling siano stati l'unico motivo del suo interesse per una forma
altrimenti sgradita.

Anche da una conoscenza appena superficiale - un primo ascolto o una rapida scorsa al testo
musicale - salterà subito all'occhio la sconcertante incongruenza fra la grandiosità delle
variazioni e la modestia della sarabanda che ne forma lo spunto. E anzi, si parla tanto spesso
dello sgomento suscitato dall'impianto formale della composizione nei non iniziati, smarriti fra i
rami lussureggianti dell'albero genealogico dell'aria, che sarà forse utile esaminare più da vicino
la radice per determinarne (con la debita delicatezza, naturalmente) le facoltà generative.

Da un'aria per variazioni siamo usi esigere almeno uno dei seguenti due requisiti: un tema con
una curva melodica che invochi letteralmente l'abbellimento, oppure una base armonica che,
ridotta allo stato fondamentale, appaia gravida di promesse e atta ad uno sfruttamento intensivo.
Del primo procedimento si conoscono numerosi esempi dal Rinascimento ai nostri giorni, ma la
sua massima fioritura nasce dall'idea rococò del tema con variazioni; del secondo metodo, che,
stimolando l'elaborazione lineare, suggerisce una certa analogia con il basso ostinato della
passacaglia, sono un memorabile esempio le Trentadue Variazioni in do minore di Beethoven. La
stragrande maggioranza dei contributi di rilievo a questa forma non ammette tuttavia una
collocazione precisa nell'una o nell'altra di queste due grandi categorie, le quali del resto
descrivono piuttosto i poli estremi della premessa operativa dell'idea di variazione, al cui interno
è la fusione di tali qualità che costituisce il vero banco di prova per le facoltà inventive del
musicista. Un esempio classico, da manuale, sono le Variazioni sull'"Eroica" di Beethoven, in cui
le due formule, prima usate separatamente, confluiscono infine in una fuga dove il motivo
melodico funge da controsoggetto al tema del basso delle variazioni.
Nelle Variazioni Goldberg viene usata come passacaglia la sarabanda del Quaderno di Anna
Magdalena Bach. O meglio, soltanto la linea del basso è riprodotta nelle variazioni, dove viene
peraltro elaborata con una flessibilità ritmica sufficiente a soddisfare le contingenze armoniche
di strutture contrappuntistiche tanto diverse quanto possono esserlo un canone su ogni grado
della scala diatonica, due fughette e perfino un quodlibet (forma ottenuta dalla sovrapposizione
di melodie popolari dell'epoca). Le necessarie alterazioni non attenuano in alcun modo
l'attrazione gravitazionale esercitata da questo basso magistralmente proporzionato sulla
moltitudine di figurazioni melodiche che di volta in volta lo abbelliscono: anzi, nella sua
maestosità, esso lega fra di loro le variazioni con la sicurezza sovrana della propria inevitabilità.
La sua struttura è in sé talmente salda e completa da apparire poco adatta alla funzione di basso
di ciaccona, soprattutto per la ripetitività del suo motivo cadenzante. Esso non evoca
minimamente quell'anelito a un completamento che è implicito nella prima esposizione,
tradizionalmente concisa, di un motivo di ciaccona; anzi, si estende spensieratamente su un
territorio armonico così ampio che, ad eccezione delle tre variazioni in minore (la quindicesima,
la ventunesima e la venticinquesima), in cui viene subordinato alle esigenze cromatiche di quella
tonalità, i suoi rampolli non hanno alcuna necessità di esplorarne, di realizzarne e accentuarne gli
elementi costruttivi.

Data la costanza della base armonica, sarebbe logico pensare che lo scopo principale delle
variazioni fosse quello di illuminare le sfaccettature tematiche nell'ambito melodico del tema
dell'aria. Ma ciò non avviene, perché la sostanza tematica, un soprano docile ma ricco di
abbellimenti, possiede un'omogeneità intrinseca che non lascia nulla in eredità alla sua
discendenza e che, per quanto riguarda la ripresentazione tematica, viene completamente
dimenticata nel corso delle trenta variazioni. Si tratta insomma di una piccola aria curiosamente
autonoma, che si direbbe cerchi di evitare qualsiasi atteggiamento genitoriale, di ostentare una
placida indifferenza per la sua progenie, di non manifestare alcuna curiosità per la propria ragion
d'essere. La prova migliore di questa noncuranza è il precipitoso esplodere della prima
variazione; che interrompe di colpo la calma precedente. Una simile aggressività non è certo il
comportamento che ci si aspetta dalle variazioni introduttive, le quali manifestano di solito una
fanciullesca docilità verso il tema che le precede imitandone l'andamento e conducendosi con la
modesta consapevolezza della propria funzione attuale ma con un deciso ottimismo quanto alle
prospettive future. Nella seconda variazione troviamo il primo esempio della confluenza di
queste qualità parallele: ecco lo strano miscuglio di mite compostezza e piglio autorevole che
contraddistingue l'io virile delle Variazioni Goldberg.

Forse, con l'attribuire alla composizione musicale caratteristiche che rispecchiano soltanto
l'approccio analitico dell'esecutore, mi sono involontariamente avventurato in un gioco
pericoloso. Si tratta di una pratica cui è particolarmente facile indulgere nella musica di Bach,
che non contiene indicazioni né di tempo né dinamiche; dovrò quindi evitare con cura che
l'entusiasmo di una convinzione interpretativa si presenti come l'inalterabile assolutezza della
volontà dell'autore. Inoltre, come ha saggiamente osservato Bernard Shaw, fra i compiti del
critico non rientra l'analisi grammaticale.

Con la terza variazione hanno inizio i canoni, che da ora in poi ricorreranno una volta ogni tre
brani dell'opera. Ralph Kirkpatrick ha efficacemente raffigurato le variazioni con una
similitudine architettonica: «Delimitate alle estremità da due pilastri, uno dei quali è formato
dall'aria e dalle prime due variazioni, l'altro dalle due penultime variazioni e dal quodlibet, le
variazioni sono raggruppate come elementi di un complesso colonnato; ogni gruppo è composto
di un canone e di un elaborato arabesco a due manuali, racchiudenti a loro volta un'altra
variazione a carattere indipendente».

Nei canoni l'imitazione letterale compare soltanto nelle due voci superiori, mentre la parte di
accompagnamento, presente ovunque tranne che nell'ultimo canone alla nona, ha quasi sempre
piena libertà di trasformare il tema del basso in un complemento opportunamente acquiescente.

A volte ciò si traduce in un dualismo voluto di preminenza tematica: il caso estremo è quello
della diciottesima variazione, dove le voci del canone si trovano a dover sostenere la parte della
passacaglia, capricciosamente abbandonata dal basso.

Un contrappunto meno anomalo si nota nella risoluzione dei due canoni in sol minore (il
quindicesimo e il ventunesimo), in cui la terza voce entra nel complesso tematico del canone,
riproponendo il suo segmento in una versione ricca di figurazioni e dando luogo a un dialogo di
bellezza incomparabile.

Ma questa ricercatezza contrappuntistica non s'incontra soltanto nelle variazioni canoniche: in


parecchie variazioni "a carattere indipendente" minuscole cellule tematiche vengono sviluppate
sino a creare complesse trame lineari. Esempi tipici sono la conclusione fugale dell'ouverture
alla francese (sedicesima), la variazione alla breve (ventiduesima) e la quarta variazione, in cui
sotto una brusca rusticità si cela un elegante labirinto di stretti. In realtà questo oculato
sfruttamento di mezzi volutamente limitati supplisce in Bach all'identificazione tematica fra le
variazioni. Poiché la melodia dell'aria, come già detto, si sottrae a qualunque rapporto col resto
dell'opera, ogni singola variazione consuma voracemente il potenziale della propria cellula
tematica, presentando così un aspetto assolutamente soggettivo dell'idea di variazione.
Quest'integrazione fa sì che, con la dubbia eccezione della ventottesima e della ventinovesima
variazione, non vi sia nemmeno un esempio di collaborazione o di estensione tematica fra due
variazioni consecutive.

Nel tessuto a due voci degli "arabeschi" l'importanza data all'esibizione virtuosistica limita
l'impegno contrappuntistico a pratiche non troppo elaborate, come l'inversione della risposta
conseguente.

La terza variazione in sol minore (venticinquesima ndr) occupa una posizione chiave. Dopo un
generoso e caleidoscopico tableau formato da ventiquattro quadretti che illustrano, con
sfumature meticolosamente calibrate, l'indomabile elasticità di quello che è stato definito «l'io
delle Goldberg», ci viene concesso di raccogliere e cristallizzare tutte quelle impressioni di
profondità, delicatezza e virtuosismo, indugiando al tempo stesso pensosi nella languida
atmosfera di una pagina di umore quasi chopiniano. L'apparizione di questa stanca e malinconica
cantilena è un capolavoro di intuito psicologico.

Con rinnovato vigore irrompono, a questo punto, le variazioni dalla ventiseiesima alla
ventinovesima, seguite da quell'esuberante dimostrazione di deutsche Freundlichkeit [gentilezza
tedesca] che è il quodlibet. Quindi, quasi fosse incapace di trattenere un sorriso compiaciuto
davanti ai progressi della sua progenie, ecco la sarabanda originale che, da bravo genitore, torna
per bearsi nella luce riflessa di un'aria col da capo.
Una siffatta conclusione del grande ciclo non ha nulla di casuale, e il ritorno dell'aria non è un
semplice gesto di benevolo commiato, ma adombra un'idea di perpetuità che rivela la natura
essenzialmente incorporea delle Variazioni Goldberg e simboleggia il loro rifiuto di
quell'impulso generativo.

Ed è proprio il riconoscere la loro sdegnosa indifferenza per il rapporto organico fra la parte e il
tutto a farci sospettare per la prima volta la vera natura del particolarissimo vincolo che le
unisce.

La nostra analisi tecnica ci ha rivelato che non c'è compatibilità fra l'aria e la sua progenie, e che
il basso vitale, per la sua stessa perfezione lineare e le sue implicazioni armoniche, blocca la
propria crescita e impedisce il consueto sviluppo in forma di passacaglia verso un punto
culminante. Sempre per via analitica abbiamo osservato che il contenuto tematico dell'aria rivela
inclinazioni altrettanto esclusive, che in ogni variazione l'elaborazione della melodia obbedisce a
regole proprie e che non vi sono quindi piattaforme di variazioni successive basate su princìpi
strutturali simili, quali sono quelli che danno una coerenza architettonica alle variazioni di
Beethoven e di Brahms. E tuttavia, senza ricorrere all'analisi, abbiamo sentito la presenza, alla
base di tutto, di un'intelligenza coordinatrice, che abbiamo definita «io». Siamo quindi costretti a
rivedere i nostri criteri di giudizio, tutt'altro che idonei a sindacare su quell'unione di musica e
metafisica che è il campo della trascendenza tecnica.

Non ritengo arbitrario soffermarmi su considerazioni che vanno oltre il fatto musicale, anche se
ci troviamo davanti a quella che è forse la più splendida elaborazione mai realizzata su un tema
di basso: penso infatti che la fondamentale ambizione di quest'opera per ciò che riguarda la
variazione non vada cercata in una costruzione organica ma in una comunità di sentimento. In
essa il tema non è terminale ma radiale, le variazioni percorrono non una retta ma una
circonferenza, un'orbita di cui la passacaglia ricorrente costituisce il punto focale.

È una musica, in breve, che non conosce né inizio né fine, una musica senza un vero punto
culminante e senza una vera risoluzione: una musica che è come gli amanti di Baudelaire,
«mollement balancés sur l'aile / du tourbillon intelligent». Essa ha quindi un'unità che le viene
dalla percezione intuitiva, un'unità che nasce dal mestiere e dalla rigorosità, che è ammorbidita
dalla sicurezza di una maestria consumata e che qui si rivela a noi, come avviene tanto raramente
in arte, nella visione di un disegno inconscio che esulta su una vetta di potenza creatrice.

Gleen Gould

BWV 989 - Aria variata alla maniera italiana

https://www.youtube.com/watchv=GdINJYUE39Y

https://www.youtube.com/watchv=_HSMd-6pnIk

Aria
Variazione 1 - Largo
Variazione 2
Variazione 3
Variazione 4 - Allegro
Variazione 5 - Un poco Allegro
Variazione 6 - Andante
Variazione 7 - Allegro
Variazione 8 - Allegro
Variazione 9
Variazione 10

Organico: clavicembalo
Composizione: 1709 circa
Edizione: Bureau de Musique, Lipsia, 1806

Guida all'ascolto (nota 1)

Nell'ottobre del 1705 Bach ottiene un mese di licenza per recarsi presso il celebre organista
Dietrich Buxtehude a Lubecca. Il contatto si rivelò cosi proficuo che il compositore decise di
prolungare il suo soggiorno nonostante il disappunto delle autorità ecclesiastiche di Arnstadt le
quali, al suo ritorno, lo convocarono davanti al Concistoro.

L'occasione di lasciare definitivamente quella città arrivò pochi mesi dopo quando, a seguito
della morte di Johann Georg Ahle, si era reso vacante il posto di organista nella chiesa di San
Biagio a Mühlausen: Bach vi fu nominato a partire dal giugno 1707. Ma appena un anno dopo
eccolo accettare un incarico più remunerativo come organista e musicista di camera alla corte
ducale di Sassonia-Weimar (dove nel 1714 assumerà poi l'incarico di direttore dell'orchestra di
corte). L'amicizia con il compositore Johann Cottfried Walther e con il suo allievo, il principe
Johann Ernst, molto dotato per la musica, suscitarono in Bach nuovi interessi soprattutto nel
campo dell'approfondimento della musica italiana, genere a cui si dedicavano con passione tutti
e tre.

È infatti in questo periodo che vede la luce l'Aria variata (alla maniera italiana) in la minore per
clavicembalo BWV 989. Si tratta di una pagina articolata su un tema - semplice e concepito a
modo di severo corale - a cui seguono 10 estrose variazioni che, come le successive più famose
Variazioni Goldberg, utilizzano come base non solo il tema stesso ma anche e soprattutto la sua
struttura armonica.

Rivisitazioni ritmiche sincopate e spezzate (variazione n. 4 e n. 8), ricche "passeggiate"


melodiche (variazioni n. 3 e 5), trasformazioni di tempo (il 12/8 della variazione n. 7) e
inserimento di virtuosistici abbellimenti (da cui la qualifica alla maniera italiana) fanno di questo
lavoro una delle prove di bravura più pregevoli del giovane Bach.

BWV 990 - Sarabanda con partite

https://www.youtube.com/watchv=rcPLVU9pyzg

https://www.youtube.com/watchv=hx0xED7cb9A
BWV 991 - Aria con variazioni

https://www.youtube.com/watchv=FpzuuLfUuAY

BWV 992 - Capriccio sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo

https://www.youtube.com/watchv=tqdevfkh0vQ

Arioso. Adagio
Andante
Adagissimo
...
Aria di Postiglione. Adagio poco
Fuga all'imitazione della cornetta di Postiglione

Organico: clavicembalo
Composizione: 1704 circa
Edizione: Peters, Lispia, 1839

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel 1695 la morte del padre (la madre era mancata l'anno precedente) costrinse Johann Sebastian
Bach a trasferirsi da Eisenach a Ohrdruf, dove viveva suo fratello maggiore Johann Christoph.
Qui frequentò la scuola di latino fino all'ultima classe ginnasiale e ricevette lezioni di musica,
soprattutto di clavicembalo e organo, proprio dal fratello. Ma appariva chiaro che, nonostante
l'ottimo rapporto fra i due, l'indipendenza, anche economica, era un obiettivo primario per il
giovane compositore.

Fu così che nella Pasqua del 1700 Bach decide di recarsi, insieme all'amico Georg Erdmann, a
Lüneburg, dove viene accolto nel Mettenchor della chiesa di San Michele. Dopo alcuni tentativi
di ricerca di una occupazione più stabile (si era candidato nel 1702 quale organista nella
Jakobikirche a Sangerhausen ma era stato respinto per la sua giovane età, e aveva lavorato per
un certo tempo come violinista dell'orchestra da camera del principe Johann Ernst di Sassonia-
Weimar), finalmente gli si presentò la prima buona occasione. Ad Arnstadt infatti era stata
appena ricostruita dopo un incendio la Chiesa di San Bonifazio e Bach fu incaricato di
collaudare il nuovo organo; il 9 agosto 1703 ottiene il posto di organista ufficiale. Qualche
giorno dopo gli giunge la notizia che l'amato fratello Johann Jakob, che era stato anche lui ad
Ohrdruf per un certo periodo, aveva deciso di lasciare la nativa Eisenach per seguire, in qualità
di oboista, il re Carlo XII di Svezia. Ed è da questo intimo avvenimento familiare che nasce il
delizioso Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo.

La composizione (edita per la prima volta da Carl Czerny nel 1839 all'interno delle
Compositions pour le piano-forte sans et avec accompagnement/par Jean Sebastien Bach;
Ouevres complets Liv. 4, Leipzig-Peters) obbedisce quindi ad una idea "programmatica" e
prevede la narrazione di una vicenda che opportune didascalie contribuiscono a rendere più
evidente.

Il primo Arioso. Adagio ("Ist eine Schmeichelung der Freunde, um denselben von seiner Reise
abzuhalten") è una suadente e cantabilissima "lusinga degli amici per trattenerlo dal partire" (e
gli incisi melodici ripetuti in eco disegnano con straordinaria efficacia il rimbalzarsi delle loro
voci) a cui segue un Andante fugato che nel suo intrecciato contrappunto allude alla
"rappresentazione delle diverse vicende cui potrebbe andare incontro in un paese straniero" ("Ist
eine Vorstellung unterschiedlicher Casuum, die ihm in der Fremde könnten vorfallen"); la
caparbietà del fratello, fermo nella sua decisione, provoca "un generale lamento degli amici"
(Adagiosissimo. "Ist ein allgemeines Lamento der Freunde") reso da una delicata e malinconica
Passacaglia. Infine, rassegnati, prendono congedo da lui ("Allhier kommen die Freunde, weil sie
doch sehen, dass es anders nicht sein kann, und nehmen Abschied") ritrovando comunque
l'allegria che accompagna sempre un viaggio pieno di novità e prospettive: una simpatica Aria di
saluto introduce la partenza vera e propria annunciata dai due movimenti (Aria e Fuga) in
imitazione - con squillanti salti d'ottava ribattuti - della cornetta di postiglione.

Laura Pietrantoni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1704 (secondo anno del soggiorno di Giovanni Sebastiano Bach ad Arnstadt in qualità di
organista) Johann Jakob Bach, fratello del futuro cantore di San Tommaso, partiva per
raggiungere in Polonia l'esercito di Carlo XII di Svezia nella cui guardia egli s'era fatto
ingaggiare come suonatore di Oboe. Giovanni Giacomo Bach avrebbe partecipato a tutte le
campagne di Carlo XII, non esclusa la battaglia di Poltava, raggiungendo col suo sovrano la città
romena di Cetatea Alba (in turco Bender). In quest'ultima città Giovanni Giacomo restò fino al
1713 stabilendosi poi a Stoccolma come «musico di corte» e morendo nel 1722 nell'età di soli 40
anni per colpa delle conseguenze di quelle faticose campagne. Questa vicenda non sarebbe di
certo da rammentare nella storia musicale se il suo avvio non si connettesse a quello che può
considerarsi forse come uno dei primi capolavori di Giovanni Sebastiano Bach. La partenza del
fratello «ispirò» infatti a quest'ultimo quel «Capriccio sopra la lontananza del fratello
dilettissimo».

Si tratta di un lavoro che sotto taluni riguardi potrebbe definirsi «giovanile» (Giovanni
Sebastiano lo scrisse infatti non avendo compiuto ancora i vent'anni) se un tale aggettivo non
contrastasse con la piena maestria che già vi si rivela, e che non appare inficiata dall'avvertibile
presenza di vari influssi che Bach non tarderà a superare. Il modello di questa «Sonata
descrittiva» è da ricercarsi non tanto nei clavicembalisti francesi, quanto nelle Musikalische
Vorstellungen einiger biblischen Historien in sechs Sonateti auf dem Claviere zu spielen che
Giovanni Kuhnau aveva scritto nel 1700.

L'esperienza dell'arte di Vivaldi che permetterà a Bach di erigere i suoi maggiori edifici sonori
non è stata messa ancora a frutto: ma la formulazione italiana del titolo di questo Capriccio
potrebbe non essere priva di significato sull'orientamento di Bach verso l'arte italiana.
Comunque sia si tratta ancora di un lavoro che rispetto alle grandi Toccate e Fughe può assumere
dimensioni miniaturistiche: ma se di « miniature» si vuole parlare, bisogna precisare che si tratta
di miniature d'una qualità che solo un Giovanni Sebastiano Bach poteva realizzare. Il Capriccio
consta di una serie di brani dal diverso assunto immaginifico. Nell'iniziale Arioso «gli amici
cercano di trattenere il viaggiatore». Il secondo movimento allude alle avventure che lo possono
attendere all'estero. Seguono le lamentazioni proferite dagli amici e parenti. Sopra un basso
ostinato da Ciaccona Bach dispone una serie di motivi dolorosi, ricchi di alterazioni cromatiche
che preannunciano non pochi tratti dei suoi futuri capolavori. Finalmente, avendo compreso che
il viaggiatore non vuole abbandonare il suo progetto, gli amici e parenti si rassegnano e, con un
po' di disappunto, decidono di congedarsi da Giovanni Giacomo, allorché risuona la cornetta del
Postiglione. L'ultimo movimento del Capriccio sviluppa una doppia fuga «all'imitazione della
cornetta del Postiglione» dove scienza e spiritosa malizia danno vita a delle pagine in tutto
degne, se non del futuro autore delle Passioni, del divertito, geniale, compositore della Cantata
del Caffé.

Roman Vlad

BWV 993 - Capriccio

https://www.youtube.com/watchv=tsQe6JfDznM

https://www.youtube.com/watchv=-300qEUlSMQ

BWV 994 - Applicatio

https://www.youtube.com/watchv=eT0Qcf4C0fI

Composizioni per strumenti vari

Composizioni per liuto solo

https://it.wikipedia.org/wiki/Composizioni_per_liuto_di_Johann_Sebastian_Bach

https://www.youtube.com/watchv=c1XB2IorNTM

BWV 995 - Suite

https://www.youtube.com/watchv=eP4fnTLyXgQ

https://www.youtube.com/watchv=iSZXrFLmb7U

Praludium
Presto
Allemande
Courante
Sarabande
Gavotte I
Gavotte II
Gigue

Organico: liuto (o clavicembalo)


Composizione: 1727 - 1731 circa
Edizione: in Denkmäler alter Lautenkunst, J. Zwissler, Wolfenbüttel, 1921

Arrangiamento della Suite per violoncello BWV 1011

Guida all'ascolto (nota 1)

La grande fioritura cameristica che aveva segnato il periodo di Köthen e che era divenuta in
certo senso quasi una cifra specifica di quella fase creativa, non ebbe seguito a Lipsia, città nella
quale Bach si trasferì nel 1723 e che non offriva quasi occasioni alla pratica della musica
d'insieme. Esperite, dunque, durante gli anni di Köthen, tutte le possibilità offerte dalla forma
della sonata (a tre, a due e solistica), non rimaneva spazio che per qualche adattamento a diverso
organico di opere precedenti e per qualche sporadico esemplare.

In siffatto contesto, il liuto, strumento tornato quasi improvvisamente di moda presso la


borghesia intellettuale e galante di Lipsia, riuscì protagonista della nuova fase creativa di Bach;
accanto ad esso il cembalo, con il quale il liuto condivideva gran parte del suo repertorio, anche
indipendentemente dall'intenzionale polivalenza del discorso musicale bachiano; non erano
infrequenti infatti i casi di trascrizione dall'uno all'altro strumento ed una delle composizioni
bachiane, BWV 998, reca esplicitamente l'intestazione "pour la Luth ò Cembal".

La prassi della trascrizione, d'altro canto, è fenomeno inerente la totalità della storia della
musica, tanto dal punto di vista della creazione, quanto della sua stessa ricezione. Si pensi, a
titolo esemplificativo, da un lato, rimanendo nella stessa area cronologica bachiana, al riuso
intensivo da parte di Händel degli stessi brani in vesti musicali differenti, o, dall'altro lato, ai
tentativi moderni di trascrizione, per così dire filologica, cioè tendenti a ripristinare tecniche e
modalità consuete in una determinata epoca o presso un determinato contesto culturale. La Suite
in do minore per cembalo esemplifica tanto la prassi barocca della "trascrizione-riuso", quanto
quella moderna della "trascrizione filologica". Essa infatti è il risultato di un lavoro di
trascrizione per cembalo dalla Suite in sol minore per liuto (BWV 995), a sua volta adattamento,
ad opera di Bach stesso, della Suite V per violoncello solo (BWV 1011). La Suite si apre con un
ampio prélude, concepito in stile di ouverture alla francese, con un'ampio fugato, e presenta poi
la consueta successione di danze - allemande, courante, sarabande, gigue - con l'inserzione fra la
terza e la quarta danza di una gavotte I e II, inserzione che conferisce all'intera Suite
un'articolazione interna a coppie. La simmetria, d'altro canto, è principio organizzativo su cui
risiede la struttura dell'intera composizione, ed in primo luogo della sarabande, suo vero centro
espressivo: contenuta in poche battute (8+12), presenta, al suo interno, un'articolazione di alcune
figure ritmiche variamente combinate tra loro (sono uguali le batt. 1, 2, 4; le batt. 3, 5, 6, 7).

Carlo Brioschi

BWV 996 - Suite


https://www.youtube.com/watchv=jtdZSYXR-00

https://www.youtube.com/watchv=m-BW0Jk2H4o

BWV 997 - Suite

https://www.youtube.com/watchv=BZvP0_OPMeE

https://www.youtube.com/watchv=mQxCrdsmSTU

BWV 998 - Preludio, fuga e allegro

https://www.youtube.com/watchv=2RVtebX9P64

Praludium
Fuga
Allegro

Organico: liuto o clavicembalo


Composizione: 1740 - 1745
Edizione: Peters, Lipsia, 1837

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Preludio, Fuga e Allegro in mi bemolle maggiore BWV 998 ci è pervenuto in un manoscritto


autografo risalente al 1740-45, e recante come intestazione la scritta «Prelude pour la Luth ò
Cembal». Si tratta insomma di brano destinato parallelamente a due diversi strumenti, liuto o
cembalo, secondo una prassi assai diffusa, per cui la pagina musicale ha una sostanziale
autonomia da una unica e precisa fonte di produzione del suono. Tuttavia è opportuno
sottolineare come proprio negli anni di Lipsia (1723-1750) Bach mostri una particolare
attenzione al liuto, strumento privilegiato della borghesia intellettuale cittadina. È la limitata
diffusione del liuto che possiamo immaginare all'origine della destinazione polistrumentale. Le
tre sezioni che compongono il brano devono essere considerate probabilmente come una suite
mutila, nel gusto francese; dopo la canonica coppia preludio e fuga (il preludio di tipo
improvvisatorio, la fuga ovviamente di scrittura rigorosa), la terza sezione ha il carattere di una
«cornante».

Arrigo Quattrocchi

BWV 999 - Preludio

https://www.youtube.com/watchv=J7thhpGQJPM

BWV 1000 - Fuga


https://www.youtube.com/watchv=ZLVKDfYZHVc

https://www.youtube.com/watchv=6NmJ5i4G6XI

Sonate e partite per violino solo

https://it.wikipedia.org/wiki/Sonate_e_partite_per_violino_solo_di_Johann_Sebastian_Bach

https://www.youtube.com/watchv=XkZvyA69wCo

https://www.youtube.com/watchv=wqaFYeZ6D3o

BWV 1001 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=FTUWCr3IXxw

Adagio
Fuga. Allegro
Riutilizzato nella Fuga BWV 539 e BWV 1000
Siciliana
Presto

Organico: violino
Composizione: 1720
Edizione: Simrock, Bonn, 1802
Guida all'ascolto (nota 1)

Al soggiorno bachiano di Köthen (1717-1723) risalgono le Sonate e Partite per violino solo.
L'autografo reca la data 1720, ma si tratta dell'anno in cui la raccolta fu preparata,
verosimilmente per essere data alle stampe; sono assai più incerte invece le date di composizione
delle singole Sonate e Partite. La serie si apre con uno degli Adagi più belli e intensi mai scritti
da Bach, ad esordio della massima raccolta di letteratura per violino. La Sonata n. 1 in sol
minore è in quattro tempi, derivati dalle consuetudini della Sonata da chiesa secondo l'alternanza
dei tempi lento - veloce - lento - veloce: Adagio introduttivo, Fuga, Siciliana e Presto (le Partite
presentano invece i movimenti delle suite di danza).

Nell'Adagio Bach presenta una scrittura estremamente espressiva in cui gli accordi che
conducono il discorso armonico - generalmente, ma non esclusivamente posti sul primo e terzo
tempo delle battute - sono collegati da scorrevoli linee melodiche dense e da altre voci in
polifonia. Il violino diviene così una sorta di alter ego sublimato della voce umana, come spesso
Bach ha dimostrato anche nelle Cantate e nelle Passioni (si pensi alla meravigliosa Erbarme dich
nella Matthäus Passion). Sulla natura e sulle modalità esecutive di questi pezzi violinistici di
Bach la musicologia ha spesso dibattuto (Albert Schweitzer giunse perfino a ipotizzare la
presenza di un diverso tipo di arco, assai più curvo, per eseguire contemporaneamente i
numerosi accordi di quattro suoni che permeano la polifonia violinistica di Bach), interrogandosi
ad esempio sul possibile musicista destinatario, data la difficoltà dei pezzi. Tra i nomi dei
violinisti dell'epoca possiamo ipotizzare Johann Georg Pisendel - a lungo considerato il più
importante violinista tedesco - Joseph Spiess o Johann Paul von Westhoff (autore di una raccolta
di sei Partite per violino solo), ma non si deve escludere l'ipotesi che anche lo stesso Bach
suonasse questi pezzi.

Per la sua scrittura l'Adagio non è dunque percepito come un pezzo a sé stante, ma piuttosto
come un movimento introduttivo, un vero e proprio Preludio, alla celeberrima Fuga che segue,
trascritta da Bach anche per liuto (in sol minore) e per organo (in re minore). L'esposizione della
Fuga, come è prassi, presenta tutti i materiali utilizzati: il soggetto a note ribattute (molto
interessante sotto il profilo della distribuzione ritmica del disegno) con il suo controsoggetto (a
crome staccate) e una successione scorrevole di note veloci, utilizzate per i cosiddetti
"divertimenti" della Fuga, gli episodi in cui il soggetto non è presente.

Il terzo movimento, Siciliana, è una sorta di eccezione nelle Sonate di Bach che, a differenza
delle Partite, non presentano movimenti legati alla danza. Il compositore allenta la tensione
serrata e inesorabile creata dalla Fuga con un andamento lento e malinconico, in si bemolle
maggiore, gestito con sapienza attraverso la creazione di una sorta di dialogo interno al violino
fra i registri - basti ascoltare l'inizio per averne subito un'idea - e la scrittura polifonica (i temi
musicali girano tra le diverse voci).

Il Presto finale, bipartito, è un travolgente caleidoscopio in moto perpetuo, un prisma cangiante


che viaggia tra le due importanti aree del percorso armonico (dalla tonica alla dominante e
ritorno) con un continuo cambiamento di arcate e fraseggi che si susseguono all'interno di un
disegno ritmico sempre uguale, che procede quasi senza sosta. In questo modo Bach gioca
continuamente con gli accenti delle battute, assecondandoli o eludendone la spinta, con le
legature delle note, senza mai far cessare un senso chiaro di fluidità e scorrevolezza.

Roberto Grisley

BWV 1002 - Partita

https://www.youtube.com/watchv=UaMoPi9BOoQ

Allemande
Double
Courante
Double. Presto
Sarabande
Double
Tempo di Bourrée
Double

Organico: violino
Composizione: 1720
Edizione: Simrock, Bonn, 1802

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Partita n. 1 in si minore BWV 1002 si apre con l'Allemanda, dal ritmo puntato e saltellante,
quasi di marcia nel suo brillante gioco polifonico. Bach quindi costruisce nel "Double" una
variazione ritmico-melodica sul tema dell'Allemanda, armonicamente senza cambiamenti
sostanziali. Segue la Corrente, una danza vivace in tempo ternario, la cui melodia si snoda sulla
contrapposizione tra staccato e legato. Si inserisce un secondo "Doublé" in tempo ternario,
anziché binario, su ritmo anacrusico, cioè del battere in levare, e con varietà melodica. La
Sarabanda ha uno svolgimento solenne e persegue una scrittura omofonica, arricchita da qualche
abbellimento, ma sempre regolarmente simmetrica nella sua struttura nobilmente austera. Uno
spiraglio dolcemente cantabile si avverte nella melodia del terzo "Doublé" in tempo nove ottavi.
La Bourrée finale poggia su un tema deciso e ritmicamente ben definito, su un impianto
prevalentemente della doppia corda.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel periodo del suo incarico di maestro di cappella presso la corte di Anhalt-Cöthen, Bach attese
soprattutto alla musica da camera. Cöthen mancava di teatro, e la confessione luterana di stretta
osservanza non ammetteva altra musica da chiesa all'infuori del canto assembleare dei corali. Il
principe Leopoldo aveva ricevuto una istruzione musicale completa e la sua piccola cappella
doveva occupare gran parte del suo tempo libero. Suonava il violino, la viola da gamba e il
clavicembalo. Bach stesso lo ricorderà non soltanto come un musicofilo, ma come un esperto
intenditore, e gli anni di Cöthen saranno sempre menzionati come i suoi più felici. Tutte le serie
di grandi opere da camera furono composte a Cöthen. Il manoscritto bachiano della serie per
violino solo alterna una Sonata ad una Partita, tre sonate e tre partite, sei pezzi in tutto secondo la
prassi corrente del tempo. La Partita in si minore si distingue perché ogni danza è seguita dal suo
Double. Questo consiste in una variazione condotta sull'ipotetico basso fondamentale della
danza corrispondente. La scrittura di Bach per strumento ad arco solista è condotta in un gioco di
domande e risposte che simula le parti essenziali dì una scrittura polifonica. Il processo mentale
del comporre era per Bach organizzato tenendo sempre di vista la possibilità della combinazione
polifonica. E' noto che egli poteva improvvisare una o più parti durante la concertazione delle
sue opere. E pertanto era necessario che ogni linea melodica si attenesse ad una scelta
intervallare tale da rendere possibile l'incontro armonico con altre voci. Il principio della
variazione svolto in questi Doubles è appunto quello di una libera figurazione melodica fra i poli
armonici della danza corrispondente.

Gioacchino Lanza Tomasi

BWV 1003 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=hPSH5Hut9Ug

Grave
Fuga
Andante
Riutilizzato nella Sonata per clavicembalo BWV 964
Allegro

Organico: violino
Composizione: 1720
Edizione: Simrock, Bonn, 1802

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Considerate, per riconoscimento pressoché unanime, come il vertice dell'intero repertorio per
violino solo, le sei Sonate e Partite di Johann Sebastian Bach sono opere che hanno posto, e
tuttora pongono, agli studiosi delicati problemi di carattere musicologico: di datazione, di
destinazione, di prassi strumentale. Per quanto riguarda la datazione, l'autografo reca una data
precisa, il 1720; ma questa data potrebbe riferirsi in realtà al momento di collazione della
raccolta, forse in vista di una mai realizzata pubblicazione. Singolarmente, dunque, le Sonate e
Partite potrebbero essere state scritte parecchi anni prima; lungi dall'essere una questione di
modesto rilievo, la datazione è strettamente legata anche alla destinazione degli spartiti. Se la
data del 1720 fosse attendibile, Bach avrebbe composto le Sonate e Partite nel corso della sua
permanenza a Köthen, fra il 1717 e il 1723, il periodo in cui attese alla maggior parte delle
proprie opere strumentali. Il compositore rivestiva infatti la carica di maestro di cappella presso
la corte del principe Leopoldo di Anhalt-Köthen, ed era esonerato dalla produzione religiosa a
causa della fede calvinista del principe (dato lo spazio minimo della musica nella liturgia
calvinista). La sua attività era dunque rivolta esclusivamente all'ambiente di corte, all'orchestra
(il Collegium Musicum) ed a singoli solisti, professionisti di eccellente qualità (quali del resto si
convenivano ad un mecenate, squisito intenditore e musicista egli stesso, come il principe
Leopoldo). In questo contesto Bach rivolse un'attenzione privilegiata al violino, sia come
strumento concertante nelle composizioni orchestrali, sia come solista; la destinazione degli
spartiti violinistici sarebbe, dunque, interamente profana, intesa come trattenimento di corte.

Non è escluso tuttavia, come si è visto, che le Sonate e Partite siano da ascriversi almeno in parte
al periodo trascorso dall'autore a Weimar (1708-17); in tal caso la destinazione sarebbe invece
sacra, e i brani potrebbero essere stati eseguiti nel corso delle funzioni religiose. A suffragare tale
ipotesi vale anche la straordinaria complessità della scrittura solistica, pensata certamente in
funzione di qualche determinato solista dalle mirabili doti, in possesso di una tecnica completa,
in grado di superare difficoltà trascendentali; un simile dedicatario potrebbe essere stato Johann
Georg Pisendel, strumentista sommo nella sua epoca, conosciuto da Bach proprio negli anni di
Weimar. Converrà soffermarsi, dunque, proprio sulle peculiarità della scrittura violinistica
bachiana; diversa, nelle Sonate e Partite, da quella dei Concerti, e tale da essere considerata un
modello di inattingibile perfezione già in senso astratto, a prescindere dalla concreta
applicazione nei singoli brani o movimenti: Tale astratta perfezione si basa quasi su un
paradosso. Bach infatti impegna il violino, strumento "melodico" per vocazione e fìsicamente
impossibilitato a emettere più di due suoni contemporaneamente, in una scrittura polifonica e
contrappuntistica di straordinaria complessità, che giunge a dare all'ascoltatore il senso di tre e
perfino quattro voci lineari che si muovano contemporaneamente; questa "forzatura" della natura
violinistica, che richiede una perfetta tecnica policordale, viene realizzata con accorgimenti
differenti dai diversi solisti. Per contro occorre osservare che anche laddove l'autore rispetta la
natura monodica dello strumento, la linea melodica si muove perseguendo una sostanziale
completezza del contenuto armonico, e garantendo così una mirabile ricchezza e autosufficienza
al contenuto musicale.

Le Sei composizioni sono organizzate per "coppie" che associano ogni Sonata alla
corrispondente Partita, secondo una logica di contrapposizione. Modello delle Sonate è infatti
quello severo della Sonata da chiesa (in quattro movimenti secondo lo schema lento-veloce-
lento-veloce, con una fuga al secondo posto), mentre le Partite si rifanno al genere profano della
suite di danze, con una scelta di brani più libera.

La Sonata n. 2 in la minore BWV 1003 si apre dunque con un Grave introduttivo tipico
dell'impianto "da chiesa", e segnato da una scrittura toccatistica animata da figurazioni
estremamente complesse, con volate e fioriture minutamente suddivise; è una fantasia, ma anche
una sorta di preludio al secondo movimento, una Fuga che è lunga quasi il doppio del Grave, e
che costituisce certamente il vertice della complessità polifonica del violino conosciuta fino a
quel momento; da un soggetto di sole otto note si anima una polifonia che appare
ambiziosissima anche per l'uso delle corde doppie, triple e talvolta quadruple. In terza posizione
troviamo un Andante ispirato al principio della melodia accompagnata, pagina che, secondo
l'esempio di Corelli, non mantiene la tonalità degli altri tre movimenti, e che si differenzia
rispetto alle pagine parallele delle altre due Sonate per adottare una forma bipartita. Chiude la
mirabile Sonata un Allegro aperto da effetti d'eco, e basato su una energia ritmica propulsiva che
rende perfettamente autonoma e prismatica nella sua scrittura la monodia violinistica.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La composizione delle Sonate e delle Partite per violino solo risale al periodo 1717-1723 che
Bach trascorse presso la Corte di Köthen. E come nel caso delle Suites per violoncello dello
stesso periodo, bisogna rilevare anzitutto il modo assolutamente magistrale in cui il compositore
ha saputo costruire delle ampie architetture sonore valendosi esclusivamente dei limitati mezzi di
strumenti ad arco essenzialmente monodici, senza che queste opere diano mai l'impressione di
volute melodiche alle quali siano state tolte le fondamenta armoniche. La riuscita realizzazione
d'un tale assunto è condizionata a due fattori di ordine diverso: il primo riguarda la più intima
struttura del discorso musicale caratterizzato da quella sinteticità in virtù della quale una sola
linea sonora viene a racchiudere in sé una virtuale pluralità di parti diverse. Il secondo fattore si
riferisce alla scrittura strumentale che, grazie ad un virtuosistico sfruttamento della tecnica delle
doppie corde, permette a Bach di realizzare sul violino una effettiva polifonìa di due e persino tre
voci, come sta a dimostrare appunto la Fuga, secondo tempo della Sonata in la minore, che,
secondo la tipologia "da chiesa" è divisa in quattro tempi.

BWV 1004 - Partita

https://www.youtube.com/watchv=lpe7thXd69E
Allemande
Courante
Sarabande
Gigue
Chaconne

Organico: violino
Composizione: 1720
Edizione: Simrock, Bonn, 1802

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Bach (è noto anche questo aspetto della sua poliedrica personalità) aveva studiato il violino sin
da giovane e prima di diventare clavicembalista e organista fu un ottimo e apprezzato violinista.
Fra gli strumenti ad arco quello che prediligeva era la viola che nelle esecuzioni cameristiche
egli amava suonare perché si sentiva «quasi al centro dell'esecuzione e, percependo tutte le altre
parti sopra e sotto la sua, gustava meglio il fascino della polifonia» (Schweitzer). Non era
soltanto un abile esecutore, ma anche un perfetto teorico di tutte le risorse tecniche di questi
strumenti sui quali trasferì quello stile polifonico che egli usava per le sue composizioni vocali e
orchestrali. Né va dimenticato che la tradizione della musica per violino solo era radicata nella
cultura tedesca dalla fine del XVII secolo. Mattheson riferisce che Nikolaus Bruhns sedeva a
volte con il violino sulla panca dell'organo e con i piedi premeva il pedale, realizzando le
successioni armoniche ch'egli otteneva con il suo violino. Nikolaus Strungk avrebbe
destato !'ammirazione di Corelli con il suo elegante stile violinistico e inoltre Johann Jakob
Walther era divenuto famoso per il suo "Hortulus Chelicus", una raccolta di composizioni per
violino pubblicata nel 1694. Naturalmente Bach nello scrivere le Sonate e Partite per violino
solo (il titolo autografo suona così: "Sei Solo a violino senza Basso accompagnato. Libro primo
da Joh. Seb. Bach. an. 1720") ha tenuto presente la tecnica usata dai suoi predecessori e non è
escluso che abbia immaginato un modello ideale di strumentista che, secondo alcuni studiosi
dell'opera del musicista di Eisenach, potrebbe essere Johann Georg Pisendel oppure Josephus
Spiess. Il primo, allievo di Torelli ad Ansbach e di Vivaldi a Venezia, fu Konzertmeister alla
corte di Dresda dal 1712 sino alla morte avvenuta nel 1755: per lui scrissero concerti e sonate
diversi autori di valore, fra cui Vivaldi, Albinoni e Telemann. Il secondo, Spiess fu membro della
cappella di Federico Guglielmo I a Berlino e stimato Kammermusicus della corte di Köthen.
Proprio in quest'ultima città Bach avrebbe composto o finito di comporre nel 1720 le sei
composizioni per violino solo, il cui autografo passò per molte mani, rischiando di finire anche
come carta da macero. I sei brani furono stampati per la prima volta nel 1802 da Simrock a Bonn
e poi nuovamente nel 1854 da Breitkopf a cura di Robert Schumann, che volle arricchirli
aggiungendovi un accompagnamento di pianoforte. Il titolo di Sonaten und Partiten, destinato
poi a rimanere in tutte le catalogazioni delle opere bachiane, comparve solo nel 1908
nell'edizione curata da Joseph Joachim e Andreas Moser per Bote & Bock di Berlino.

Capolavori indiscussi di cui i più grandi virtuosi dell'archetto si sono impadroniti saggiando su
tali lavori le proprie forze e confrontandosi l'un l'altro, le Sonate bachiane (ma il discorso vale
anche per le Partite) hanno suscitato sempre diverse riflessioni e considerazioni da parte degli
esecutori e dei musicologi. Infatti, come afferma Alberto Basso nel suo monumentale studio
sull'opera di Bach, si è molto dissertato sulla singolarità della tecnica virtuosistica usata da Bach
in queste pagine per scavare dentro il suono e conferirgli una continuità e unitarietà di discorso
musicale. La verità è che «la interpretazione di questi pezzi, che sarebbe incosciente o sciocco
considerare come fatti musicali puri e astratti, oggetti da contemplare e venerare senza trame il
suono - osserva Basso - è più di tante altre condizionata da questioni di ritmo, di dinamica, di
tempo, di ornamentazione, diteggiatura, intonazione, legatura, colpi d'arco, di "scioglimento"
delle polifonie, di forma infine. E dove vi è problema è facile che severità e austerità, sacralità
persino, prevalgano sui reali contenuti musicali. Non per un esercizio cerebrale, non per una
manifestazione di abilità strumentale e compositiva furono create queste pagine prive di quel
basso che anche Tartini spesso scriveva solo "per cerimonia", per obbedire ad una convenzione
pur desiderando che fossero eseguite senza di quello; il loro scopo era di rinchiudere in un
"unicum vasum electionis" due manifestazioni del gusto contemporaneo: la sonata da chiesa,
severa e ornata di giuochi contrappuntistici, e la partita o suite di danze, spogliando il primo
attore, il violino, di tutti i comprimari e avviandolo al monologo. Ciò che nella prassi era
concesso ad un gruppo di strumenti, qui è riservato ad un solo strumento e, di conseguenza, a
questo si affida una funzione riassuntiva e riepilogativa». In sintesi, si può dire che ciò che conta
in queste come in altre opere bachiane è il risultato musicale raggiunto con un senso speculativo
e una capacità inventiva senza confronti, tali da suscitare la massima concentrazione non solo
nell'esecutore, ma anche nell'ascoltatore.

Bisogna aggiungere che sotto il profilo formale le tre Sonate per violino sono costruite sui
quattro movimenti della Sonata da chiesa (lento, veloce, lento, veloce), con una fuga come un
secondo numero e il movimento lento interno come solo pezzo in una tonalità diversa. Le
Partite, invece, seguono nella struttura il classico schema della Suite: allemanda, corrente,
sarabanda, giga (con occasionali inserzioni di altri pezzi dopo la sarabanda).

***

La Partita n. 2 in re minore BWV 1004 si apre con una Allemanda, danza di origine tedesca e dal
ritmo moderato. Segue la Corrente, che, invece, è una danza di origine francese e trae il nome
dalla vivacità del suo movimento. Viene poi la Sarabanda, di origine arabo-moresca o turco-
iraniana, anche se la leggenda vuole che abbia avuto il nome da una donna sivigliana chiamata
Sara, mentre è più probabile che si richiami alla parola Saras, che significa appunto danza, di
tono grave e solenne, ballata nel XVI secolo dalle donne fastosamente vestite. Ed eccoci alla
celeberrima Ciaccona che chiude la Partita in re minore. Si ritiene che la ciaccona sia di
provenienza spagnola, ma in effetti è ritenuta una danza di meticci importata dall'America
centrale verso la fine del Cinquecento. La Ciaccona bachiana prende avvìo da un tema di otto
battute e prosegue con un corale di trentadue variazioni, in una entusiasmante progressione
ritmica. È una delle pagine più universalmente esaltate della musica strumentale, ricca delle più
ardite figurazioni del virtuosismo violinistico. Va ricordato che della Ciaccona per violino solo
esistono trascrizioni per pianoforte fatte da Brahms e da Busoni, il quale impresse alla sua
rivisitazione bachiana un respiro possente e di grande tensione trascendentale.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le sei Sonate e Partite per violino solo furono scritte da Giovanni Sebastiano Bach nel periodo
di Köthen (1717-1723). Videro la stampa soltanto nel 1802 presso Simrock di Bonn,
presumibilmente basata su una copia lasciata da Anna Maddalena; una nuova edizione fu curata
nel 1854 da Schumann che vi aggiunse un accompagnamento per pianoforte. Il curioso è che il
manoscritto originale di queste Sonate sarebbe andato incontro a una sorte ben prosaica - quella
di involgere il burro - se ai primi dell'Ottocento un grande collezionista di autografi bachiani non
avesse scovato le preziose pagine in uno stock di vecchie carte cedute a un piccolo droghiere.

Se i violinisti tedeschi non eguagliavano per tecnica e virtuosismo quelli italiani, coltivavano
però con particolare predilezione il gioco polifonico. Soprattutto nella Germania del Nord non
era raro il caso di organisti che, seduti davanti al loro strumento, traevano dal violino le parti
melodiche, al tempo stesso eseguendo il basso sulla pedaliera dell'organo.

Su questa tradizione e da questo gusto prese avvio l'arte bachiana di moltipllcare


polifonicamente, espandendole fino ai limiti di uno strumentalismo quasi astratto, le possibilità
«monodiche» del violino come della viola da gamba o del violoncello.

La Partita in re minore si apre con una Allemanda, forma di musica strumentale già entrata nella
suite fin dal '600, perdendovi, insieme al carattere di danza vera e pr»pria, alcuni lineamenti
metrici e agogici. In tempo pari e di movimento moderato, essa inizia con un caratteristico «in
levare». Alla Allemanda, sempre nella suite strumentale, seguiva di norma la più vivace
Corrente, di origine franco-italiana, sostituita in tempi posteriori dalla Gavotta o anche dalla
Sarabanda che invece nella presente Partita, segue la Corrente come terzo movimento, anch'esso
ternario e, contrariamente alla sua origine di danza sfrenata (donde l'uso, anche oggi, di indicare
un gran rumore e una gran confusione con il termine di «sarabanda»), si trasformò in un pezzo
dall'andamento grave e solenne. Anche la successiva Giga è un esempio di danza popolare, di
origine probabilmente inglese, passata a musica d'arte già alla fine del secolo XVI; è di
movimento veloce, in 6/8, 6/4 o, come questa, in 12/8.

A coronamento della Partita in re minore, sta la famosa Ciaccona, una delle vette di tutta l'arte
strumentale di Giovanni Sebastiano Bach. Tralasciando le numerose questioni riguardanti
l'antichissima forma musicale della Ciaccona (a cominciare dall'origine incertissima del nome
per finire alle sottili differenze che si è cercato di addurre per distinguerla dalla Passacaglia), a
intendere meglio la presente pagina bachiana basti ricordare che tutta la composizione si rinnova
di continuo ora nella linea melodico-polifonica, ora in quella armonica, ora nelle figure ritmiche,
ora in più d'una insieme di queste componenti; ciò pur non derogando una sola volta dallo
schema d'impianto iniziale di otto battute, che obbliga lo strumento a rientrare nella tonalità di re
all'inizio di ogni variazione, con l'assoluta regolarità imposta dalla forma di «ostinato» tipica
della ciaccona. A chi ama le statistiche del pentagramma riferiamo che tali variazioni di otto
battute ciascuna sono 15 e mezza nella prima parte (re minore), 9 e mezza nella parte centrale in
re maggiore, mentre 6 sono le variazioni nella ripresa in minore, più una battuta di chiusa.

S'è vero che l'arte risulta dal conseguimento di una perfetta compenetrazione reciproca di limiti e
di libertà, se è vero che, in essa, con grande forza «morale» e con puntiglio si debbono rispettare
certi obblighi ma che con non minori forza e puntiglio s'ha da mettere in moto la fantasia
inventiva per tramutare quegli obblighi e quei limiti in elementi costruttivi e in fattori di ordine,
di equilibrio, di armonia, s'è vero questo, la Ciaccona di Bach per violino solo costituisce di tale
estetico concetto una esemplare incarnazione.

Giorgio Graziosi
BWV 1005 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=GUf4TfsVYho

Adagio
Vedi a BWV 968 la trascrizione per clavicembalo
Fuga. Alla breve
Largo (fa maggiore)
Allegro assai

Organico: violino
Composizione: 1720

Edizione: Simrock, Bonn, 1802


Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le sei Sonate per violino solo risalgono al periodo (1717-1723) che Giovanni Sebastiano Bach
trascorse presso la Corte di Köthen. Com'è noto si tratta, per la precisione, di tre Sonate e di tre
Suites o Partite; le prime, infatti, non allineano tempi di danza ma movimenti di vario andamento
agogico e di diversa fisionomia formale. Come appunto la Sonata in do maggiore la quale alterna
un Adagio a una Fuga, e un Largo a un finale Allegro assai. Anzi l'Adagio iniziale, nel suo
motivo puntato tutto chiuso in se stesso e sospinto di battuta in battuta a mo' di ostinato ritmico
fino allo scioglimento nelle ultime tre misure, può ben considerarsi una introduzione
preparatoria allo scoccare della grande Fuga, tutta aperta ai più ampi sviluppi e scolpita da un
mirabile approfondimento polifonico della materia sonora dello strumento. La Fuga esisteva già
in una versione per organo e il soggetto è preso dalla prima frase del «Veni Sancte Spiritus».

Nel Largo il violino rientra nella cornice monodica, limitandosi a «toccare» il basso sotto le
volute melodiche. Ritornato dal fa maggiore del Largo alla tonalità di do, lo strumento si sbriglia
ora (Allegro assai) in una specie di perpetuum mobile. Cioè un flusso ininterrotto di veloci
«semicrome» da dove, qua e là, come per subitanee illuminazioni, l'anima canora dello
strumento pur riesce a emergere, «stampando» nell'orecchio dell'ascoltatore un fugace segno
melodico.

Giorgio Graziosi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Bach aveva una conoscenza diretta e approfondita della tecnica e delle risorse espressive degli
strumenti a corda. Infatti, prima di essere clavicembalista e organista, egli era stato violinista e in
tale veste aveva fatto parte da giovane dell'orchestra di Weimar, cercando di continuare e di
rinnovare nello stesso tempo la importante tradizione violinistica tedesca, che già verso la fine
del XVII secolo aveva raggiunto un notevole grado di perfezione nell'elaborazione e nello
sviluppo del discorso polifonico, che mirava ad una più articolata costruzione formale con il
suono di un solo strumento. Tanto è vero che Schweitzer sostiene la tesi che Bach, componendo
per il violino, riuscisse a metterne in luce non solo la scioltezza e l'eleganza del fraseggio, ma
anche la forza e la robustezza sonora tipica dell'organo. Una eloquente testimonianza
dell'intelligenza e dello stile di Bach come violinista è racchiusa nelle tre Sonate (in sol minore,
la minore, do maggiore) e nelle tre Partite (in si minore, re minore, mi maggiore) che furono
scritte a Colonia intorno al 1720 e comprendono i numeri dal 1001 al 1006 del catalogo
conosciuto con il nome di «Bach-Werke-Verzeichnis».

Mentre le Partite si richiamano alla forma della suite francese (Allemanda, Corrente, Sarabanda,
Giga) e si riferiscono quindi ad una successione di danze, le Sonate si ispirano al modello
italiano in quattro tempi di impronta corelliana, in cui però il secondo movimento (Allegro) è
sostituito da una fuga, che può considerarsi il nucleo centrale della composizione nella sua
complessa e geometrica sagomatura, come si può avvertire nella Sonata in programma stasera.
Dopo un Largo disteso e melodicamente scorrevole (l'Adagio iniziale ha un andamento più
sostenuto e quasi religioso) si giunge all'Allegro finale, il quale ha il taglio preciso e squadrato
della toccata nel suo serrato ritmo unitario, adatto a concludere brillantemente il pezzo in cui si
snodano, in un calcolato gioco di effetti, molti virtuosismi armonici e contrappuntistici, rivelatori
della sigla compositiva bachiana.

BWV 1006 - Partita

https://www.youtube.com/watchv=5tjl07RmEQg

Preludio
Riutilizzato nella Sinfonia n. 1 della Cantata BWV 29 e nel Coro n. 1 della Cantata BWV
120a
Loure
Gavotte en rondeau
Menuet I
Menuet II
Bourrée
Gigue

Organico: violino
Composizione: 1720
Edizione: Simrock, Bonn, 1802

Arrangiata anche per liuto nella Suite BWV 1006a

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Partita in mi maggiore, insieme ad altre due Partite e a tre Sonate per violino solo, fu
composta a Cöthen, verso il 1720, in un periodo cioè particolarmente fecondo per Bach, almeno
per quanto riguarda la musica strumentale. Questi brani ci sono giunti attraverso un manoscritto
originale o dello stesso Bach o di Anna Magdalena, ritrovato fortunosamente a Pietrotaurgo dal
collezionista di autografi bachiani Georg Pölchau. La stessa Anna Magdalena ci ha lasciato poi
una copia di questi pezzi riuniti in un solo quaderno con le Sonate per violoncello che si fregia
del seguente titolo: «Violino solo: senza Basso. Composée par Sr. Jean Seb. Bach Maître de la
Chapelle et directeur de la musica a Leipzig. Écrite par Madame Bachen, son Epouse». Gli stessi
brani furono editi per la prima volta da Simrock a Bonn nel 1802 e poi nel 1854 presso Breitkopf
a cura di Robert Schumann che vi aggiunse un accompagnamento per pianoforte. Per questa
Partita, come per le altre più note composizioni del gruppo, si può dire con Schweitzer che «non
si sa se si debba ammirare di più la ricchezza delle sonorità o l'arditezza dell'invenzione. Per
quanto si siano lette, eseguite e sentite un'infinità di volte queste composizioni ci riserbano
sempre nuove sorprese; esse sono quasi la rivelazione di tutte le possibilità e di tutte le bellezze
che si possono trarre dal violino».

La Partita III inizia con il Preludio, elaborato dallo stesso Bach per orchestra come sinfonia della
cantata Herr Gott, Beherrscher aller Dinge (BWV 120 a). E' una pagina severa, solenne e
fortemente marcata nel ritmo. Segue la prima delle sei danze della Partita recante il nome di
Loure, la cui parola sta ad indicare l'antica cornamusa normanna (ludr o luur): il suo ritmo nobile
e dignitoso è in sei quarti. La Gavotta e Rondò è una specie di danza che trae il suo nome dai
gavots, montanari del Delfinato francese. Il suo ritmo binario snello e leggero diede vita nel
XVIII secolo ad una elegante danza di corte e di società, eseguita con riverenze molto
cerimoniose. Seguono due Minuetti, di cui il secondo funge da Trio: anche questa danza è di
origine francese e il suo nome le viene dal modo di ballarla con passi minuti (pas-menu).
Francese è anche la Bourrée, nata nell'Auvergne, di forma binaria, dattilica e di carattere
giocondo, a tratti sfiorata da una leggera mestizia. La Giga, posta a chiusura della Partita, è
invece di origine britannica, e più precisamente celtica: Jegg in scozzese, Geige in tedesco,
Gigot in francese, Gigue in inglese, che stanno ad indicare l'antico giambone (gigot, appunto, in
francese) trasformato poi in violino. La Giga ha un ritmo spigliato e brioso, rapidissimo.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il pensiero di J.S. Bach, violinista, oltre che organista, cembalista e cantore, è, prima di tutto,
strumentale, tanto da condizionare persino il trattamento della voce umana. Il suo primo incarico
a Weimar, nel 1703, fu quello di violinista di corte, e malgrado la diversità e il peso dei
successivi impegni professionali, egli suonò il violino fino alla vecchiaia. E l'influsso di tale
pratica è riconoscibile nel respiro e nell'imprevedibile slancio delle sue melodie.

Vertice assoluto della produzione violinistica bachiana per l'ardimento della scrittura, la tensione
espressiva e la portata artistica, e prova del fuoco per tutti i grandi interpreti, sono i Sei Solo a
Violino senza Basso accompagnato (tre Sonate nello stile da chiesa di Corelli alternate a tre
Partite, equivalenti a sonate da camera, o meglio a suites di danze per il gusto prevalentemente
francese) composti a Köthen entro il 1720.

Non sappiamo se Bach possedeva il talento del virtuoso, ma è certo che conosceva a fondo la
tecnica e le risorse del violino al punto da ottenerne inauditi effetti polifonici e d'armonia. I quali
trascendono di gran lunga tutta un'importante tradizione tedesca già distintasi, all'epoca, nella
predilezione per la tecnica accordale, le doppie corde e la polifonia, e nella produzione di opere
per violino solo (merita ricordare, in proposito, le sei Partite e la Suite di J.P. v. Westhoff, ancora
attivo a Weimar quando Bach vi giunse).
Ognuna delle Partite di Bach presenta una successione diversa di danze. La Partita in mi
maggiore si articola nei seguenti movimenti: Preludio - Loure - Gavotte en Rondeau - Menuet I -
Menuet II - Bourrée - Gigue. Nel monumentale Preludio, il fraseggio scandisce e diversifica con
i suoi accenti l'ostinato ripetersi delle quartine di semicrome, in una sorta di contrappunto ideale
tra melodia e ritmo, come un magico effetto di prospettiva barocca, invisibile sulla carta eppure
avvertibile all'ascolto. E' una pagina celebre, che lo stesso Bach riprenderà per adattarla a ben
più nutrito organico nelle Sinfonie di due Cantate. Tutte le danze che seguono, dalla desueta
Loure (in 6/4) al più comune Minuetto, sono di origine francese. Unica eccezione è la Giga, di
derivazione britannica, che conclude la serie come di prammatica. Salvo la briosa Gavotte en
Rondeau, che contiene anche rari episodi decisamente monodici, la forma delle danze è bipartita,
come d'abitudine, con la regolare modulazione alla dominante, alla fine della prima parte.

Nonostante i palesi rimandi alla musica d'intrattenimento, il grande Bach crea, e in ogni
esecuzione rinnova, un miracoloso ordito contrappuntistico, quasi una sfida allo strumento
melodico per antonomasia, e una provocazione alla moda coeva, incline alla semplificazione e
alla galanteria.

Ala Botti Caselli

Suite per liuto solo

BWV 1006a - Suite

https://www.youtube.com/watchv=5bFQ3Eg9B1c

Prélude
Loure
Gavotte en rondeau
Menuet I
Menuet II
Bourrée
Gigue

Organico: liuto
Composizione: 1736 - 1737
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894

Trascrizione della Partita n. 3 per violino BWV 1006

Guida all'ascolto (nota 1)

La Suite per arpa BWV 1006a è considerata una versione più schematica della Partita in mi
maggiore per violino solo BWV 1006 dello stesso Bach. Non si sa con precisione se questa Suite
sia stata scritta da Bach oppure da uno dei suoi allievi, pur non escludendo del tutto l'ipotesi che
il brano sia stato composto per liuto, uno strumento abbastanza familiare al musicista. Per capire
il valore di questa trasposizione per arpa è bene tener conto della struttura del brano originale,
molto più conosciuto dal pubblico. La Partita n. 3 in mi maggiore (BWV 1006) inizia con il
Preludio, elaborato dallo stesso Bach per orchestra come sinfonia della cantata «Herr Gott,
Beherrscher aller Dinge» (BWV 120a) E' una pagina severa, solenne e fortemente marcata nel
ritmo. Segue la prima delle sei danze della Partita recante il nome di Loure, la cui parola sta ad
indicare l'antica cornamusa normanna (ludr o luur); il suo ritmo nobile e dignitoso è in sei quarti.
La Gavotta e Rondò, primo brano della Suite per arpa, è una specie di danza che trae il suo nome
dai gavots, montanari del Delfinato francese. Il suo ritmo binario snello e leggero diede vita nel
XVIII secolo ad una elegante danza di corte e di società, eseguita con riverenze molto
cerimoniose. Seguono due Minuetti, di cui il secondo funge da Trio: anche questa danza è di
origine francese e il suo nome le viene dal modo di ballarla con passi minuti (pas menu).
Francese è anche la Bourrée, nata nell'Auvergne, di forma binaria, dattilica e di carattere
giocondo, a tratti sfiorata da una leggera mestizia. La Giga, posta a chiusura della Partita e della
Suite per arpa, è invece di origine britannica, e più precisamente celtica: Jegg in scozzese, Geige
in tedesco, Gigot in francese, Gigue in inglese, che stanno ad indicare l'antico giambone (gigot,
appunto, in francese) trasformato poi in violino. La Giga ha un ritmo spigliato e brioso,
rapidissimo.

Suites per violoncello solo

https://it.wikipedia.org/wiki/Suite_per_violoncello_solo_di_Johann_Sebastian_Bach

https://www.youtube.com/watchv=-tAA4HVaFjU

Introduzione di Segio Sablich alle sei suites per violoncello solo

L'esecuzione integrale delle sei Suites per violoncello solo di Johann Sebastian Bach (Eisenach
1685 - Lipsia 1750) non è più una rarità nelle consuetudini della vita concertistica, ma
costituisce sempre un'esperienza di significato e valore eccezionali. E non soltanto per il
violoncellista che è chiamato a compierla, ben sapendo i rischi e le gratificazioni che l'impresa
comporta, ma anche per l'ascoltatore che ha la fortuna di beneficiarne. Si mescolano ogni volta,
all'ascolto, stupore, ammirazione, smarrimento, perfino sgomento: per come sia possibile
concentrare in un solo strumento, per di più prima di Bach estraneo al solismo, tale qualità e
varietà di tecnica e di invenzione, di gioco e di spirito, di razionalità e di poesia. Se nelle gemelle
Sonate e Partite per violino solo è la natura stessa dello strumento a rendere quasi comprensibile
il virtuosismo trascendentale (forse anche grazie alle vicende che ne seguirono nella storia del
violino), nelle sei Suites per violoncello, rimaste isolate e irraggiungibili nella loro altezza
strumentale e concettuale, si resta ogni volta sbalorditi di fronte all'ardire, a tratti quasi irreale, a
cui viene piegata la mole massiccia del violoncello, la sua ombrosa voluminosità. Ma ancor più a
colpire sono la profondità, la severità e l'austerità intellettuale unite alla cordialità e all'effusione
del sentire, scaturendo dalla medesima tensione verso i confini del possibile strumentale.

Si è soliti collocare queste opere di datazione incerta negli anni di Köthen (1717-1723), durante
il periodo di servizio di Bach come Kapellmeister del principe Leopold di Anhalt. Qui, potendo
disporre di una cappella di corte che contava eccellenti strumentisti, fra i quali un brillante primo
violino come Johann Spiess (probabile destinatario delle Sonate e Partite per violino solo, del
1720) e un virtuoso di violoncello come Christian Bernhard Linigke (probabile primo interprete
dei soli per violoncello), Bach potè acquisire nuove esperienze in materia di musica strumentale,
e soprattutto coltivare con regolarità una vocazione a lungo ostacolata dagli impegni nella
musica di chiesa. Poco sappiamo dei modelli a cui Bach potrebbe essersi ispirato: la forma e lo
stile da lui adottati non si agganciano a esempi storici come il ricercare o il canone, ma si
orientano invece verso la trasformazione dei movimenti di danza propri della Suite per strumenti
a tastiera in strutture libere e in concezioni organizzative e architettoniche nelle quali a prevalere
sono i principi del contrappunto, del flusso melodico lineare o polifonico, dell'armonia latente,
del timbro cangiante, del ritmo risolto in figurazioni continuamente variate. Ogni stile e maniera,
dal patetismo brillante della scuola italiana al funambolismo bizzarro dei virtuosi tedeschi, dal
gusto delicato della scuola francese all'essenza figurativa del barocco internazionale, è assimilato
e trasfuso da Bach in un compendio d'arte totale, la cui destinazione, viola da gamba o
violoncello moderno, sconfina nella pura visione immaginaria.

Della raccolta non ci è pervenuto l'autografo bensì una copia (un tempo ritenuta erroneamente
autografa) della moglie di Bach, Anna Magdalena. La prima pubblicazione avvenne solo
settantacinque anni dopo la morte dell'autore (Vienna 1825), con il titolo Six Sonates ou Etudes
pour le Violoncello solo. Le numerose riedizioni seguite nell'Ottocento le conquistarono il posto
d'onore, mai smentito nella letteratura per lo strumento, quale opera essenzialmente didattica, se
non precisamente "scolastica": ben più tarda fu la loro acquisizione nelle sale da concerto. Non
occorre ribadire che tale destinazione non contraddice affatto la natura della silloge, se intesa nel
senso più autenticamente bachiano di opera pedagogica e formativa al tempo stesso di tecnica
strumentale e di suprema spiritualità.

Per quanto non sia possibile parlare di un'organizzazione del ciclo secondo corrispondenze
simmetriche (tonalmente la disposizione prevede due brani in minore collocati al secondo e al
quinto posto tra quattro in maggiore: immagine rovesciata dei soli per violino, quattro in minore
e due in maggiore), ciò che accomuna le sei Suites è l'aggiunta ai quattro tempi fondamentali di
rito (Allemanda, Corrente, Sarabanda e Giga) di un esteso e caratterizzante (e dunque ogni volta
diverso nello stile) Preludio all'inizio e di una coppia di danze (rispettivamente, in quest'ordine,
Minuetto I e II nella prima e seconda Suite, Bourrée I e II nella terza e quarta, Gavotta I e II
nella quinta e sesta: sempre con da capo, ossia con ripetizione della prima) tra la Sarabanda e la
Giga, Ne risulta una costruzione in due grandi sezioni, tra loro speculari, di tre pezzi ciascuna,
con al centro la Sarabanda : Preludio - Allemanda - Corrente/ Sarabanda/Danza I - Danza II -
Giga.

La Sarabanda, in tempo lento e intesa invariabilmente come momento di massima


concentrazione espressiva, finisce così per assumere la funzione di pilastro portante della duplice
arcata dell'intera struttura unitariamente concepita: da un lato punto di scarico delle tensioni
accumulate dai primi tre brani, dall'altro impulso capace di rilanciare, dopo una pausa di
meditazione, la dinamica degli ultimi tre movimenti.

BWV 1007 - Suite

https://www.youtube.com/watchv=mGQLXRTl3Z0

Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Menuet I
Menuet II (sol minore)
Gigue

Organico: violoncello
Composizione: 1720
Edizione: H. A. Probst, Vienna, 1825

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Sembra che Bach abbia inteso conferire al Preludio della Prima Suite un carattere dimostrativo
intimo, non esteriore, meno che mai esibito, in un certo senso addirittura interlocutorio. È come
se qui l'autore presentasse con apparente semplicità le sue intenzioni, prima di allargare la
forcella dell'utopia. Da una semplice serie di arpeggi spezzati, che sembra suggerita da una
dinamica interiore, si sprigiona un'energia che si dispone in un'ampia arcata melodica, nella
quale la purezza della linea conta più della massa del volume. Un che di stilizzato lascia
presagire sviluppi meno sereni, senza che per ora vengano ricercate esasperazioni o conflitti.
Nell'Allemanda una formula ritmico-melodica subito dichiarata in apertura plasma la logica del
periodo con la proliferazione ornamentale in senso ascendente, bilanciata dalla grazia danzante
della Corrente, dove le particelle tematiche ricompaiono a tratti regolari sulle diverse corde dello
strumento: il colore diverso e il mutamento dei registri arricchisce la tavolozza timbrica. La
Sarabanda condensa nella sua struttura speculare di due volte otto battute una carica di esitante
introversione melodica anelante alla cantabilità più diffusa. La tersa, raffinata eleganza dei due
Minuetti (uno nel tono d'impianto, l'altro in minore) e l'innocente semplicità lirica della Giga
finale concludono l'opera in un'atmosfera di rara elevatezza spirituale, senza il pur minimo
sospetto di arcigna severità.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La scorrevole linearità del Preludio iniziale ci porta subito nell'atmosfera dei Preludi in forma di
«studio» del Clavicembalo ben temperato. Il fluire ininterrotto del discorso musicale sembra
soprattutto ricercare il fascino, delle concatenazioni armoniche, assai ricche e sovente venate di
una certa asprezza, finché una lunga ascesa cromatica non conduce alla trionfante ampiezza di
disposizione della chiusa. I caratteri del Preludio si ripetono, con maggior pacatezza e ancor più
ricca opulenza melodica nella Allemande: la scorrevolezza ritmica della prima parte si rompe a
tratti nella seconda, con il calare verso il grave di stilizzati ricordi dell'originario movimento di
danza. Un elemento di contrasto è introdotto dalla Courante, che propone un'accentazione più
marcata e una più ravvicinata alternanza di metri. La grave e pensosa intonazione della
Sarabanda è sottolineata dalle soste sugli accordi salenti dal basso in sovrapposizioni di corde
doppie e triple. A questa oasi riflessiva si oppone la vivacità melodica e ritmica del primo
Minuetto, temperata dall'inserzione del più composto Minuetto secondo in minore; mentre la
Giga conclusiva si dipana in gioiose movenze popolaresche, secondo il carattere brioso proprio
di questa danza.

Daniele Spini

BWV 1008 - Suite

https://www.youtube.com/watchv=ki9ySiWQNu8

Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Menuet I
Menuet II (sol minore)
Gigue

Organico: violoncello
Composizione: 1720
Edizione: H. A. Probst, Vienna, 1825

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il carattere austero della Suite n. 2 è affermata fin dal Preludio dalla sua tonalità, re minore.
Come ha scritto Alberto Basso nella sua monografia bachiana intitolata Frau Musika, le pagine
introduttive delle Suites per violoncello «non soltanto presentano un campionario di difficoltà
tecniche colte con il ricorso costante ad un pensiero "lineare", dilatato in figure ostinate e
ripetitive, sostenuto da pedali al limite dell'ossessione, da mutazioni armoniche in progressione,
da figure ritmiche ricorrenti, dalla regolare pulsazione alternata di gruppi di note "sciolte" e
"legate", da insistenti passaggi in scala, ma obbediscono anche ad una concezione musicale in
cui l'esercitazione, l'exercitium è il solo terreno sul quale si conquista e acquisisce il significato
della musica». In questo brano il contrappunto lineare trova la sua più coerente applicazione
nella continuità dell'elaborazione: unica concessione al virtuosismo improvvisativo sono le
ultime quattro battute con l'arpeggio cadenzante su tre corde. Lo spirito decisamente compunto
di questo Preludio informa anche l'Allemanda che segue, tutta disposta su arcate ampie e
luminose, mentre nella Corrente prende maggiore spicco l'elemento giocoso. La Sarabanda, con
il suo rilevante peso accordale, evoca un'atmosfera arcana e notturna, di misteriosa, profonda
suggestione. Qui l'arte del "cantabile" emerge con particolare intensità soprattutto nelle
progressioni della seconda sezione (16 battute, contro le 12 della prima parte), unendo lo slancio
al ripiegamento. Il Minuetto I è orientato in senso armonico, mentre il secondo, nel tono
maggiore, si sviluppa in direzione melodica. La Giga scioglie finalmente la tensione accumulata
in un brano di grande brio strumentale, con passi polifonici insistiti e ritmi via via sempre più
serrati.

Sergio Sablich
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1717 Bach fu chiamato alla corte di Cöthen con la qualifica di maestro di cappella e
direttore della musica da camera del Principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen. Il principe era un
musicista provetto, e Bach lo ricorderà come un amico ed un vero conoscitore della sua arte. A
prescindere da alcuni viaggi Bach trascorse gli anni di Cöthen senza contatti col pubblico. La
città provinciale non aveva vita musicale al di fuori della corte, e per quel cenacolo di
professionisti, con alla testa il principe Leopoldo, Bach compose la maggior parte della propria
musica strumentale. Fra i componenti dell'orchestra il più rinomato era la viola da gamba
Christoph Ferdinand Abel. E' facile arguire che Abel sia stato il destinatario delle suites per
violoncello solo, o almeno delle prime cinque. La sesta è scritta per la viola pomposa, una
grande viola da braccio, ideata e suonata dallo stesso Bach. A differenza delle suites e delle
sonate per violino solo, sovente appassionate e tanto più varie, le suites per violoncello si
attengono ad una sobrietà costante, che infonde allo strumento, adoprato soprattutto nel registro
medio grave, un tono appena solenne. Sono tutte in sei parti, e la quinta (bourrée, minuetto o
gavotta) ha funzione di diversivo, in quanto la stroficità del metro la ricollega più direttamente
alla danza.

La Suite in re minore è fra tutte la più breve. Il Preludio e l'Allemanda hanno andatura moderata.
La Corrente è vivace. Bellissima la Sarabanda, giocata nella mossa d'apertura sulle risonanze
gravi del violoncello. Il I Minuettto è pomposo ed il II lirico. La Giga è bizzarra ed irascibile.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il carattere più patetico della seconda Suite è affermato fin dal lungo Preludio, dove il discorso si
frammenta in brevi incisi, spesso coronati, dopo un moto ascendente, da cesure e sospensioni
sulla nota più alta: una lunga sospensione prepara la parte conclusiva, che sfocia in una cadenza
ampia e solenne. Ugualmente venata di drammaticità è l'Allemande, caratterizzata dal ricorso a
corde triple e quadruple e da una inquieta articolazione ritmica; viceversa la Courante, pur non
alterando la fisionomia espressiva dell'opera, si svolge secondo un'andatura scorrevole, in una
più tranquilla scansione metrica. Nella Sarabanda si affacciano più dichiarate ambizioni
polifoniche, a sottolineare la straordinaria concentrazione espressiva realizzata dalle tormentate
articolazioni ritmiche e melodiche. Nella coppia dei Minuetti, tocca stavolta al secondo - l'unico
brano in maggiore di tutta la Suite - rappresentare il momento della distensione, nel quadro
complessivo di un'opera dalle tinte oscure e dolorose: un carattere cui la rapida Giga finale riesce
in parte a sottrarsi, grazie anche a una certa bizzarria accennata da alcune proposte ritmiche.

Daniele Spini

BWV 1009 - Suite

https://www.youtube.com/watchv=EP7dbAS1kOQ

Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Bourrée I
Bourrée II (do minore)
Gigue

Organico: violoncello
Composizione: 1720 circa
Edizione: H. A. Probst, Vienna, 1825

Guida all'ascolto 1 (nota 2)

Non poche sono le questioni musicologiche sollevate dalle sei Suites per violoncello solo, BWV
1007-1012, di Johann Sebastian Bach; questioni di datazione, di destinazione strumentale, non
da ultimo di collocazione storica. Le Suites non sono arrivate ai posteri nella stesura autografa
del compositore, ma tramite alcune copie manoscritte, la principale delle quali - un tempo
ritenuta autografa - è di pugno della seconda moglie di Bach, Anna Magdalena. La datazione di
questa copia è stabilita intorno al 1727-29, ma è opinione consolidata fra gli studiosi che la
creazione dei sei brani risalga in realtà a diversi anni prima, e più precisamente agli anni 1817-
23, trascorsi da Bach presso la corte del principe Leopoldo di Anhalt-Köthen.

A tale periodo appartiene infatti la maggior parte della produzione strumentale bachiana;
l'attività del compositore, esonerato dalla produzione religiosa a causa della fede calvinista del
principe, era rivolta quasi esclusivamente all'ambiente di corte, all'orchestra (il Collegium
musicum) ed a singoli solisti, professionisti di eccellente qualità che prestavano servizio presso
la cappella; strumentisti preziosi, quali, del resto, si convenivano alle ambizioni e al prestigio del
principe Leopoldo, mecenate generoso, squisito intenditore e musicista egli stesso. È verosimile
che destinatario e primo interprete delle Suites fosse il violoncellista Christian Bernhard Linigke,
Kammermusikus a Köthen dal 1716 alla morte.

Agli stessi anni di Köthen risalgono anche le sei Sonate e Partite per violino solo BWV 1001-
1006; e spesso le Suites per violoncello sono state associate e contrapposte a quelle per violino.
Le due raccolte, infatti, nascono l'una come immagine speculare dell'altra nell'ambito della
tecnica degli strumenti ad arco. Mentre però le composizioni violinistiche si inseriscono in una
tradizione fiorente e consolidata, le Suites per violoncello si distinguono per l'impegno
"militante" nell'affermazione storica dello strumento. Il violoncello, infatti, aveva una nascita
relativamente recente, e non veniva ancora stabilmente impiegato come voce grave degli
strumenti ad arco, ruolo che era invece ricoperto dalla viola da gamba (destinata però a un rapido
declino). Inoltre rarissimo era il suo impiego come solista, forse perché, il timbro "scuro" e poco
penetrante lo confinava nella funzione di sostegno del basso continuo.

Rispetto al contenuto musicale le composizioni non si ispirano alla precedente, e scarsa,


letteratura violoncellistica, quanto a quella, fiorentissima, per viola da gamba. Loro caratteristica
è quella di trapiantare sul violoncello le proprietà di elegante polifonia (ottenute tramite le
figurazioni arpeggiate dello style brisé), peculiari della viola da gamba. Tuttavia non ci troviamo
di fronte a una scrittura rigidamente contrappuntistica, quanto a una sobria linearità, basata
sull'iterazione e sull'imitazione di cellule melodiche. Le sei Suites nacquero insomma come
opere sperimentali, geniali intuizioni dei caratteri che avrebbero segnato nei secoli seguenti la
produzione per lo strumento ad arco; esse sono in anticipo sui tempi nel proporre il violoncello
come solista autonomo; non a caso non avranno, all'origine, un'ampia diffusione.

A questo aspetto di sperimentazione strumentale, si contrappone d'altra parte il rispetto di schemi


formali consolidati all'interno dei quali viene calata la ricerca della scrittura. Indicativa, a questo
proposito, è già la scelta del genere della suite di danze, giunto a una precisa codificazione
nell'avvicendamento, secondo una calibrata alternanza, di quattro danze di carattere contrastante
(allemanda, corrente, sarabanda, giga). Analoga è la struttura di tutti e sei i brani; che presentano
tutti le stesse "libertà" rispetto al consueto schema della suite; essi sono articolati ciascuno in sei
movimenti, con un preludio iniziale cui seguono le danze di rito (allemanda, corrente, sarabanda,
giga), e con l'inserimento, fra le ultime due, di un'ulteriore danza "doppia" (minuetto I e II per la
prima coppia di suites, bourrée I e II per la seconda coppia, gavotta I e II per la terza). È evidente
la scansione espressiva fra brani in ritmo "libero" e in ritmo "rigoroso", il primo riservato ai
preludi e alle danze lente, il secondo alle danze veloci.

All'interno della raccolta delle sei Suites, la terza, in do maggiore, è forse quella che presenta,
nell'insieme, i tratti di maggiore eleganza ed elaborazione. Scale e arpeggi sono alla base del
Preludio, che segue percorsi armonici e tonali imprevedibili nel loro svolgimento. L'Allemande,
nella tornitura dei suoi abbellimenti, è segnata dal gusto francese piuttosto che da quello italiano,
più usuale nella raccolta; mentre la Courante torna allo spirito libero e lieto dello stile italiano.
La Sarabande vede la preziosa e meditativa linea melodica impreziosita dall'armonia degli
accordi arpeggiati. Eleganza e brillantezza ritmica si impongono nelle due Bourrées (la seconda
nel modo minore), mentre la Giga, scorrevole e dinamica, può essere intesa come un dialogo fra
due voci di diverso registro.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 3)

Nel 1717 Bach fu chiamato alla corte di Cöthen con la qualifica di maestro di cappella e
direttore della musica da camera del Principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen. Il principe era un
musicista provetto, e Bach lo ricorderà come un amico ed un vero conoscitore della sua arte. A
prescindere da alcuni viaggi Bach trascorse gli anni di Cöthen senza contatti col pubblico. La
città provinciale non aveva vita musicale al di fuori della corte, e per quel cenacolo di
professionisti, con alla testa il principe Leopoldo, Bach compose la maggior parte della propria
musica strumentale. Fra i componenti dell'orchestra il più rinomato era la viola da gamba
Christoph Ferdinand Abel. E' facile arguire che Abel sia stato il destinatario delle suites per
violoncello solo, o almeno delle prime cinque. La sesta è scritta per la viola pomposa, una
grande viola da braccio, ideata e suonata dallo stesso Bach. A differenza delle suites e delle
sonate per violino solo, sovente appassionate e tanto più varie, le suites per violoncello si
attengono ad una sobrietà costante, che infonde allo strumento, adoprato soprattutto nel registro
medio grave, un tono appena solenne. Sono tutte in sei parti, e la quinta (bourrée, minuetto o
gavotta) ha funzione di diversivo, in quanto la stroficità del metro la ricollega più direttamente
alla danza.
La Suite in do maggiore ha un Preludio di natura toccatistica, concluso da una sontuosa cadenza
puntata da sospensioni sugli accordi. L'Allemanda indugia in fiorite figurazioni ritmiche,
caratteristiche del barocco. La Corrente torna alle scansioni eguali, arpeggi e scale che
sottendono i punti armonici salienti di una conversazione corretta eppur priva di luoghi comuni.
La Sarabanda è ancora il pezzo forte della individuazione timbrica: il cantabile del violoncello è
avvolto nelle risonanze delle corde gravi. Le due Bourrées propongono ancora il contrasto fra il
ritmo marcato della danza galante e il lirismo del trio. La Giga riconduce allo stile toccatistico
del Preludio, e marca, a tratti con violenza, il trepestio della danza.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 4)

Di carattere diametralmente opposto alla precedente, la terza Suite si apre con un grandioso
Preludio dall'inarrestabile slancio improvvisativo che sembra svolgersi in un ideale crescendo
d'intensità fino alla poderosa sospensione cadenzante poco prima della conclusione: una pagina
dall'evidente destinazione virtuosistica, vero trionfo di una solare inventiva fantastica. Un clima
non meno gioioso nella Allemande, percorsa da variabilissime formule ritmiche, e nel bizzarro
fluire di scale e arpeggi di memoria clavicembalistica della Courante. Il tono della Sarabanda è,
coerentemente, più solenne che grave, pur serbando quell'ispessirsi della ricerca armonica che è
tipico delle ricognizioni bachiane di questa forma di danza. La duplice Bourrée che qui subentra
ai Minuetti delle prime due suites presenta il consueto contrasto fra la prima, in maggiore corrie
il resto della Suite, e scandita in movenze un po' pompose da frequenti formule accordali, e il
carattere più lineare e dimesso della seconda, in minore. Inevitabilmente, la conclusione della
Suite avviene nel tripudio di una Giga luminosa, avviata con scattante leggerezza e condotta con
inesauribile fantasia nella lieta risonanza delle frequenti note ribattute a mo' di pedale sotto o
sopra alla voce principale.

Daniele Spini

BWV 1010 - Suite

https://www.youtube.com/watchv=p1Y1HCP77KI

Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Bourrée I
Bourrée II
Gigue

Organico: violoncello
Composizione: 1720
Edizione: H. A. Probst, Vienna, 1825
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Scrive Alberto Basso che l'affermazione del momento "lineare" del contrappunto è l'esaltazione
di una particolare concezione della polifonia che in Bach va intesa «non come organizzazione
verticale della frase - secondo i principii della pura imitazione canonica o dell'armonia tonale -
bensì come estrinsecazione rigorosa, simmetrica, delle proprietà melodiche (e ritmiche) del
linguaggio musicale, in virtù di una sua rappresentazione nello spazio e nel tempo». Esempio di
questa concezione è il Preludio della Suite n. 4 in mi bemolle maggiore, costruito su una scrittura
per grandi salti, dove il suono grave generatore dell'armonia, un semplice mi bemolle
ri¬presentato nel basso al principio di ogni frase di otto battute, crea l'illusione di un pedale
d'organo che sostiene complesse e inusuali progressioni armoniche discendenti a pioggia
dall'acuto. Ancora una volta è il Preludio, con i suoi cambiamenti di accenti, a stabilire il
carattere composito dell'opera, ora ieratico e solenne, ora estroso e magico. Questa varietà
corrisponde alla pungente Allemanda, altalenante tra movimento e fermata, e alla fluente,
gioiosa Corrente, per trovare poi l'espansione più piena nella larga meditazione della Sarabanda,
impostata su un frammento melodico di tre suoni ascendenti su vuoti bicordi, poi
convenientemente rovesciato e a poco a poco riempito di sostanza armonica: da notare anche
questa volta la dilatazione della seconda parte, un vero e proprio sviluppo formale esteso da
dodici a venti battute. La Suite scivola poi sul versante della scorrevolezza più piacevole nella
coppia delle Bourrées, spigliata e ostinata la prima, concisa e armoniosa la seconda. Sintesi dei
due stili è infine la vivace Giga in 12/8, festosa nel suo sgusciante melodismo improntato alla
scrittura per grandi salti di registro.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

«Regale sorella», com'è stato detto, della grande terza Suite in do maggiore, la pagina che apre la
seconda triade delle Suites per violoncello presenta ancora una volta un Preludio di vaste
proporzioni, caratterizzato da una grandiosa inventiva strumentale: a una prima parte di regolare
svolgimento metrico, vigorosamente accentata nel suo saltellare da una nota all'altra degli
accordi spezzati in cui si articola, segue una serie di episodi caratterizzati dall'alternarsi di
riprese dello spunto ritmico iniziale con vere e proprie cadenze virtuosistiche. Una marcata
connotazione in positivo, che ricompare puntualmente nei due brani che seguono: l'Allemande
che più di sempre sembra riproporre allusioni ai gesti della danza, e la Courante, arricchita di
figurazioni in terzine e vivacissima. La Sarabanda distende il suo profondo lirismo in ampie
volute melodiche, scandite dal solenne incedere dei ritmi puntati. Come nella terza Suite, anche
qui abbiamo due Bourrées; quella che funge da Trio contrasta con l'altra per la struttura
accordale, che interrompe il fluire delle scalette della prima; mentre non si realizza il consueto
contrapporsi di maggiore e minore. La Giga è particolarmente scorrevole, in parte anche grazie
al metro in 12/8, e sigla la conclusione della Suite in un clima di eleganza e leggerezza.

Daniele Spini

BWV 1011 - Suite

https://www.youtube.com/watchv=paYunnkx79E
Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Gavotte I
Gavotte II
Gigue

Organico: violoncello
Composizione: 1720
Edizione: H. A. Probst, Vienna, 1825

Trascrizione della Fuga per clavicembalo BWV 955

Guida all'ascolto 1 (nota 2)

Le sei Suites per violoncello solo di Bach rivestono notevole importanza per la storia di questo
strumento, perché con esse ha inizio la letteratura tedesca per il violoncello visto in tutti i suoi
risvolti tecnici ed artistici. Infatti fino al XVII secolo la funzione del violoncello era stata quella
di un semplice strumento di accompagnamento che, eseguendo la parte del basso, sosteneva il
canto nel corso delle cerimonie religiose e durante le esecuzioni di piccoli complessi cameristici.
La sua evoluzione e la sua affermazione in campo solistico furono in un certo senso ostacolate
sia dal predominio allora incontrastato della viola da gamba nell'orchestra e sia dalle difficoltà
tecniche, in quanto richiedeva all'esecutore una non comune forza digitale per la formazione dei
suoni, a causa dello spessore delle corde e delle sue notevoli dimensioni. Fu attraverso i
Ricercari per violoncello solo, con un Canone e due violoncelli et alcuni Ricercari per
violoncello e basso continuo di Domenico Gabrielli (1689), i Ricercari sopra il violoncello o
clavicembalo op. 1 di Giovanni Battista degli Antonii (1687) e le Sonate per violoncello solo op.
1 di Giuseppe Maria Jacchini (1694) che il violoncello acquisì in Italia una sua precisa
dimensione solistica, anche per merito dei nostri maestri liutai che contribuirono a costruire
strumenti ad arco sempre più perfetti. Non c'è dubbio che le Suites di Bach si collocano in
questo alveo storico e rientrano nel processo di affrancamento del violoncello dai compiti
modesti ai quali la tradizione l'aveva relegato, per assumere un ruolo autonomo sempre più
significativo nello sviluppo della musica strumentale.

Le sei Suites per violoncello (BWV 1007 - BWV 1012) furono composte verso il 1720 a Köthen,
dove Bach ricoprì l'incarico di Kapellmeister nel periodo tra il 1717 e il 1722 e alle dipendenze
del principe Leopold di Anhalt. Periodo fecondo per il musicista che scrisse lavori come il
Klavierbuchlein contenente le Invenzioni a due e a tre voci e alcuni preludi del Clavicembalo
ben temperato, i Concerti brandeburghesi e le Partite per violino solo. Del resto l'ambiente di
corte del principe Leopold offriva occasioni favorevoli alla pratica strumentale di Bach, che
aveva a disposizione una buona orchestra e non era assillato dalla composizione di pezzi
religiosi, dato il culto calvinista preponderante in questa città che riduceva al minimo l'uso delle
forme rituali. In tal modo Bach potè approfondire la conoscenza degli strumenti ad arco e
scrivere diverse suites, sonate e partite dedicate al violino, al violoncello e alla viola da gamba.
Sotto le sue mani tali strumenti acquistarono una fisionomia polifonica, oltre ad un rigoroso
impianto contrappuntistico, che è una delle componenti fondamentali dell'arte bachiana. Nelle
Suites per violoncello Bach si richiamò ad una delle forme strumentali più diffuse del periodo
barocco, appunto la suite, coltivata dai maestri italiani, francesi e tedeschi, cercando di rendere
più varia e articolata la tessitura linguistica di tali composizioni, sia nei pezzi clavicembalistici
che in quelli orchestrali. La suite, che risale al primo Medioevo, era una successione di
movimenti ispirati ad arie di danze, secondo lo schema allemanda-corrente-sarabanda-giga,
improntato al principio dell'unità tonale. Tra la sarabanda e la giga, parti fisse della suite, si
collocano abitualmente gli intermezzi, brevi danze di stile più libero, come il minuetto, la
gavotta, la bourrée e la loure, allo scopo di dare a questa forma musicale un carattere più
diversificato nella melodia e nel ritmo. Ogni suite è preceduta da un preludio in cui praticamente
viene impostato da Bach il discorso armonico e contrappuntistico, prima dello svolgimento delle
danze vere e proprie elaborate su distinte e contrastanti tonalità.

Le sei Suites per violoncello (il titolo preciso è Six Sonates ou Études pour le violoncello solo,
secondo la prima edizione a stampa apparsa nel 1825 a Vienna) sono dedicate a Christian
Ferdinand Abel, un esperto violoncellista dell'orchestra di corte di Köthen e racchiudono un
campionario di difficoltà tecniche che richiedono la presenza di un solista di straordinaria
sicurezza e bravura virtuosistica.

La Suite n. 5 in do minore, detta anche "suite discordable", perché accordata un tono sotto (sol
invece del la) si apre con un Preludio dalle caratteristiche della ouverture dei pezzi orchestrali
dell'epoca, cioè un brano dai ritmi puntati seguito da una fuga in 3/8. L'adagio introduttivo,
infatti, dalla melodia fortemente espressiva è interrotto da un tema di fuga, rapido e veloce.
L'Allemanda non presenta annotazioni rilevanti nel suo ritmo di danza di largo respiro. La
successiva Corrente è una danza di tipo francese, uguale a quelle scritte da Bach per la musica
clavicembalistica: le battute conclusive di ogni sezione presentano uno spostamento di accento
da un tempo di 3/2 ad un tempo in 6/4. La Sarabanda si snoda con semplicità e piacevolezza
musicale e, prima di giungere alla Giga finale dalle figurazioni ritmiche puntate, si possono
apprezzare due gavotte, pervase da un senso gioiosamente vitalistico della musica, espresso con
brillantezza di arcate dal violoncello. La Gavotta II ha uno svolgimento più rapido rispetto alla
prima per la presenza di un ritmo di terzine.

Guida all'ascolto 2 (nota 3)

Nel 1717 Bach fu chiamato alla corte di Cöthen con la qualifica di maestro di cappella e
direttore della musica da camera del Principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen. Il principe era un
musicista provetto, e Bach lo ricorderà come un amico ed un vero conoscitore della sua arte. A
prescindere da alcuni viaggi Bach trascorse gli anni di Cöthen senza contatti col pubblico. La
città provinciale non aveva vita musicale al di fuori della corte, e per quel cenacolo di
professionisti, con alla testa il principe Leopoldo, Bach compose la maggior parte della propria
musica strumentale. Fra i componenti dell'orchestra il più rinomato era la viola da gamba
Christoph Ferdinand Abel. E' facile arguire che Abel sia stato il destinatario delle suites per
violoncello solo, o almeno delle prime cinque. La sesta è scritta per la viola pomposa, una
grande viola da braccio, ideata e suonata dallo stesso Bach. A differenza delle suites e delle
sonate per violino solo, sovente appassionate e tanto più varie, le suites per violoncello si
attengono ad una sobrietà costante, che infonde allo strumento, adoprato soprattutto nel registro
medio grave, un tono appena solenne. Sono tutte in sei parti, e la quinta (bourrée, minuetto o
gavotta) ha funzione di diversivo, in quanto la stroficità del metro la ricollega più direttamente
alla danza.

Il Preludio della Suite in do minore ha la forma di una ouverture francese (adagio-allegro).


Anche l'Allemanda resta nello spirito barocco, e indugia nelle caratteristiche figurazioni puntate;
così pure la Corrente, ridondante nelle sue corde doppie, rinvia alla musica di corte francese. La
Sarabanda è una lirica monodia arpeggiata a note eguali. La Gavotta I, con le sue frequenti
appoggiature, ha certo carattere bizzoso, la Gavotta II scorre placida in terzine. La Giga torna al
ritmo puntato del barocco francese.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 4)

Detta Suite discordable perché per essa Bach aveva prescritto la «scordatura» della corda più alta
dello strumento, il «la», abbassandone all'intonazione al sol, secondo una prassi abbastanza
frequente nelle stesse scuole violinistiche italiane, e ripresa ancora da Paganini, la quinta Suite si
distingue segnatamente dalle altre sorelle per la straordinaria importanza che in essa viene ad
assumere il Preludio. Si tratta di una vera e propria Ouverture alla francese, bipartita: dapprima
una intensa, meditazione in tempo lento, d'impianto largamente polifonico; poi una lunga parte
più mossa, caratterizzata da un movimento tipicamente contrappuntistico. Tutta la Suite,
parallelamente a quanto avviene per la seconda nell'ambito complessivo delle prime tre, si
propone come un momento di ripiegamento e di concentrazione espressiva frammezzo alla ben
diversa vitalità di quella che la precede e di quella che la segue. Il carattere del Preludio si
riverbera su tutti i brani successivi, trasfigurandoli fino ad annullare ogni ricordo di danza: una
tendenza ben presente nell'Allemande e nella Courante, e spinta all'estremo nel trasumanato
soliloquio della Sarabande. Il penultimo movimento della Suite è costituito da una coppia di
Gavotte: ancora una volta una struttura accordale (Gavotte I) interrotta da un brano di struttura
puramente lineare (Gavotte II), articolato in un ininterrotto fluire di terzine. La Gigue è
vivacizzata dalla presenza, di un ritmo puntato che la percorre nervosamente dal principio alla
fine.

Daniele Spini

BWV 1012 - Suite

https://www.youtube.com/watchv=Px0j2OyXzkI

Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Gavotte I
Gavotte II
Gigue
Organico: violoncello
Composizione: 1720
Edizione: H. A. Probst, Vienna, 1825

Trascrizione della Fuga per clavicembalo BWV 955

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Suite n. 6 fu scritta per uno strumento a cinque anziché quattro corde (Suitte 6me a cing
acordes, riporta l'autografo di Anna Magdalena Bach), erroneamente confuso con la cosiddetta
"viola pomposa" (strumento simile a una viola grande, "da braccio" e non "da gamba"): si tratta
invece di un violoncello a cinque corde, con la corda aggiunta accordata all'acuto una quinta
sopra (mi). Le difficoltà tecniche che avevano richiesto questo accorgimento possono essere
risolte oggi con un violoncello normale, capace di spingersi verso le regioni più acute della
tastiera. Ancora una volta colpisce come Bach abbia introdotto una complicazione tecnica in
funzione di un arricchimento espressivo: lo sfruttamento del registro acuto è una costante di tutta
la composizione e suggella anche simbolicamente l'affrancamento completo del violoncello
dall'immagine di realizzatore del "basso continuo". La Suite inizia con un Preludio di inusitata
ampiezza e potenza, in tempo di 12/8: il procedere costante del ritmo delle terzine evoca il suono
di festose fanfare, all'interno di una architettura slanciata, fantasmagorica. Vi compaiono
accorgimenti tecnici di straordinaria complessità, sia nei colpi d'arco sia nel temerario inerpicarsi
nelle zone acute dello strumento attraverso un'estensione di oltre tre ottave. Scale e arpeggi,
alternanze in eco tra piano e forte, accordi di densa rudezza armonica, ostinati ribollenti e
vorticosi, costituiscono un repertorio che si estende anche al parametro ritmico e timbrico, quasi
a fissare a eterna memoria una somma dell'arte violoncellistica. Ma anche formalmente la Suite
che chiude il ciclo scompagina le proporzioni della Suite imponendo un nuovo ordine.
L'Allemanda si configura con i caratteri di un vasto Adagio pieno di liriche dolcezze, un canto
solitario e meditativo fiorito di abbellimenti rigorosamente scritti dall'autore. La Corrente
squaderna, su un impianto tematico energicamente squillante, artifici contrappuntistici degni del
miglior Bach speculativo. La Sarabanda opta per il principio della polifonfe, combinando
"doppie corde" in invenzioni armoniche e sviluppi accordali tali da non lasciar più discernere la
traccia dell'indicazione lineare dalla penembra della virtualità suggerita. Le due Gavotte tendono
a integrarsi in un unico discorso, anche tonalmente omogeneo (entrambe sono in sol maggiore),
ma percorso da durezze e asprezze di appoggiature e dissonanze che si dissolvono come per
incanto in movenze di danze quasi popolaresche, al suono di zampogne. La Giga è infine, non
solo metaforicamente, una montagna da scalare, una sfida vertiginosa del sentimento alle più
ardue difficoltà della ragione, dalla cui cima, una volta raggiunta, si ammira un panorama
immerso nella luce senza ulteriori confini: sorta di visione celeste della trascendenza.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La sesta Suite era stata destinata da Bach alla viola pomposa, uno strumento a cinque corde
accordato come il violoncello con l'aggiunta di un «mi» acuto. Il Preludio scorre su un ritmo di
Giga, alternando con tipica contrapposizione barocca il piano al forte (secondo precise
indicazioni apposte da Bach, caso abbastanza raro all'epoca): il clima vivace e lieto di questo
ampio brano si ripropone nell'articolatissimo impianto ritmico della Allemande, estremamente
ricca di ornamentazioni e abbellimenti, e nel gioioso dinamismo della Courante. Calma e
solenne nella sua scrittura accordale, la Sarabanda consegue una profonda intensità
nell'espressione melodica e armonica. La coppia di Gavotte che segue è divenuta per suo conto
popolarissima: di fatto si tratta di un pezzo di eccezionale felicità, nella grazia semplice delle sue
movenze popolaresche. La Gigue è forse la più complessa di tutte e sei, e corona ottimamente
con la sua ricca inventiva ritmica e con la festosa varietà delle proposte melodiche la
monumentale serie delle Suites.

Daniele Spini

Partita per flauto solo

BWV 1013 - Partita per flauto solo

https://www.youtube.com/watchv=Datoqxx-biw

Allemande
Courante
Sarabande
Bourrée anglaise

Organico: flauto traverso


Composizione: 1722 - 1723
Edizione: Peters, Lipsia, 1917

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le composizioni cameristiche bachiane con flauto (solo, con basso continuo oppure con cembalo
obbligato) nascono negli anni che vedono il rapido declino del secolare flauto diritto - «flauto»
tout court in Italia, «flute à bec» in Francia, «Blockflöte» nei Paesi tedeschi, «recorder» in
Inghilterra - rintuzzato dal fratello più giovane e di più promettente avvenire: il flauto traverso -
o «traversiere», o «Querflöte», o «german flute» -, il quale si sta conquistando il posto che gli
sarà definitivo nella compagine orchestrale dei legni e nella letteratura cameristica, grazie a
prerogative di sicura affermazione quali la maggiore estensione ed eguaglianza di registri,
l'intonazione più esatta e il suono più consistente, la maggior agilità e perfezione meccanica. Pur
senza gettare in soffitta il vecchio flauto diritto dall'inconfondibile timbro vitreo e soave (lo
impiegherà nel secondo e nel quarto Concerto Brandeburghese e in alcune Cantate) le preferenze
di Bach, in questo periodo che sta, a un dipresso, tra il 1720 e il 1740-45, vanno evidentemente
al più «moderno» traversiere, per il quale sono senza possibilità di dubbio concepite tanto la
Partita in la minore per strumento solo, come quella per flauto e basso continuo e per flauto e
clavicembalo obbligato, le quali, considerate nell'insieme e sotto tutti e tre gli aspetti, suonano
un po' come un'eco aggraziata e leggiadramente disimpegnata delle corrispettive Sonate e Partite
per violino o per viola da gamba. Siffatta definizione non dovrà ovviamente venire interpretata
nel senso, assolutamente non applicabile alla musica barocca in generale e a quella baehiana in
particolare, di una lectio facilior accomodata al gusto e alle capacità di mediocri dilettanti. Se,
infatti, meno grandioso di quanto non sia in quelle per violino, appare in queste composizioni
l'impegno strutturale a riguardo delle architetture formali - qui più snelle e concise -, della
elaborazione tematica e polifonica e dell'escavo armonistico, altrettanto mirabile, sotto
apparenze semplici, appare la ratio compositiva che guida il discorso bachiano attraverso un
tracciato di una trasparenza e di una semplicità talora disarmanti, nella sottile speculazione di
premesse tematiche o contrappuntistiche e nel sagacissimo sfruttamento delle ancora
sostanzialmente inesplorate peculiarità dello strumento.

La Partita in la minore per flauto solo rappresenta, almeno allo stato attuale delle ricerche e delle
identificazioni, un unicum nell'opera bachiana. Benché per la forma essa sia accostabile alle
coeve Suites per flauto solo di Telemann, assai diverso è l'impegno costruttivo ed espressivo che
le dà vita. Nell'arco degli usuali movimenti di danza, resi vieppiù stilizzati ed astratti dal solitario
disegno sonoro del flauto, è infatti riscontrabile un'acuta, pervicace e assolutamente bachiana
capacità di analisi e di estrinsecazione delle risorsa dello strumento, capacità che investe il
«nuovo» suono in tutti i suoi parametri e che dà modo alla forma mentis polifonica del musicista
di esercitarsi talora in una sorta di «contrappunto immaginario» a due voci, illusoriamente
evocate dalla sagace contrapposizione dei registri estremi dello strumento.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Facciamo appena un passo indietro, ai primi anni Venti in cui plausibilmente, alla Corte di
Cöthen, vide la luce la Partita in la minore BWV 1013 per flauto traverso, conservata anche in
una versione, probabilmente precedente, in sol, destinata ad altro strumento. Compongono
l'unica pagina per strumento a fiato solo (senza il sostegno del continuo) del catalogo bachiano,
sorta di esperimento per uno strumento appena scoperto, quattro danze, sapientemente alternate,
secondo le norme della suite francese, nel carattere e nell'agogica, tra i meccanismi motori per
semicrome di Allemande e Corrente e le plaghe contemplative della Sarabande, coronati,
piuttosto che dalla canonica giga, da una popolaresca, ritmicamente acuminata Bourrée angloise.

Raffaele Mellace

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nel novembre 1717 Bach accolse l'invito del principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen e divenne
maestro della sua cappella. A Cöthen Bach trascorse i sette anni più felici della sua vita. Il
principe era un musicista di talento, la cappella era formata da 18 solisti di valore, e tutto il
tempo libero della corte era dedicato allo studio dell'arte. Bach visse a Cöthen ammirato e
stimolato dal gusto e dalla frequenza di un intenditore, e trasferitosi a Lipsia si rammenterà con
nostalgia delle ore trascorse col principe Leopoldo. Cöthen osservava un rito luterano severo, la
musica aveva poco spazio nella chiesa, ed i compiti di Bach erano limitati alla musica da
camera. Gran parte della sua produzione strumentale vide la luce in quegli anni, e il suo
carattere, sovente rivoluzionario rispetto alle forme del tempo, dipende dalla destinazione
domestica e colta ad un tempo per cui fu composta.
L'infatuazione per il flauto traverso si diffuse in Germania all'inizio del Settecento. Fino al 1717
è probabile che Bach abbia adoprato soltanto il flauto diritto. Nel settembre 1717, recatosi a
Dresda, egli ascoltò il flautista di quella orchestra e ne rimase colpito. Le risorse dello strumento
vengono assimilate nel ritiro di Cöthen e ne sortiranno due serie di sonate: l'una per flauto e
cembalo concertante, l'altra per flauto e basso continuo. Inoltre ci sono pervenute una sonata per
flauto solo ed una per flauto e cembalo, meno elaborate dal punto di vista contrappuntistico e più
legate allo stile violinistico. Tutte queste opere ci pervengono da autografi o copie in possesso di
C. Ph. E. Bach, il cembalista di Federico il Grande, che dovette utilizzarle per lusingare la
flautomania del sovrano.

La Sonata in la minore per flauto solo è in verità una suite. Lo stile è violinistico, in particolare
nella Allemande, che nel suo fluire di semicrome non lascia al flautista un attimo di respiro.

Gioacchino Lanza Tomasi

Musica da camera

Composizioni per violino e clavicembalo

https://it.wikipedia.org/wiki/Composizioni_per_violino_e_clavicembalo_di_Johann_Sebastian_
Bach

https://www.youtube.com/watchv=xBpNoQO5Bk8

BWV 1014 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=FQxXEFn4y7s

Adagio
Allegro
Andante (re maggiore)
Allegro

Organico: violino, clavicembalo


Composizione: 1720
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1802

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nulla si sa sulle circostanze che indussero Johann Sebastian Bach a comporre le Sei Suonate a
cembalo concertato e violino solo BWV 1014-1019; tuttavia è generalmente accettata l'ipotesi
che risalgano anch'esse, come buona parte della produzione strumentale bachiana, agli anni
trascorsi dal musicista al servizio del principe Leopold di Anhalt-Köthen (1717-23). Da notare è
che le sei Suonate furono verosimilmente composte, o quanto meno assemblate, dall'autore come
raccolta, forse in origine destinata alla pubblicazione; a testimoniare l'organicità del ciclo
concorre, oltre alla tradizione testuale, la concezione unitaria, riscontrabile soprattutto nelle
prime cinque sonate. Per ciò che riguarda lo stile, la particolare novità della raccolta è posta in
evidenza già dal titolo: Sei Suonate a cembalo concertato e violino solo, col basso per viola da
gamba accompagnata se piace. L'indicazione del cembalo prima dello strumento melodico, il
violino, contraddice la consuetudine dell'epoca e sottolinea il ruolo obbligato e concertante dello
strumento a tastiera, mentre il raddoppio di rinforzo del basso con una viola da gamba è
opzionale («se piace»). In altri termini, si tratta di autentiche sonate a tre in cui la mano destra
del cembalo interagisce con il violino come parte melodica di pari dignità e importanza (o
addirittura preponderante), in un costante intreccio dialogico; se si considera inoltre che il basso
(cioè la mano sinistra del cembalo) tende spesso ad assumere un'attiva rilevanza
contrappuntistica nell'insieme si comprende la complessità e l'integrazione dell'ordito
compositivo che caratterizza queste composizioni. Complessità e integrazione che, tra l'altro,
rendono irrilevante il fatto che le Sonate, o per lo meno alcuni loro movimenti, possano essere
trascrizioni di più antiche sonate a tre per due strumenti melodici e basso.

Dal punto di vista formale, le prime cinque sonate della raccolta sono improntate al modello
della sonata da chiesa in quattro movimenti (Adagio - Allegro - Adagio - Allegro) mentre la
sesta, che fa corpo a sé per diverse ragioni, è riconducibile piuttosto all'archetipo della sonata da
camera e conta cinque movimenti. In tutte le Sonate appare comunque decisivo, sul piano tanto
della forma quanto della scrittura, il ricorso alle opzioni offerte dallo stile concertante. A tale
proposito si nota che, al di là delle diverse configurazioni formali assunte, i movimenti mossi
sono autentiche fughe o fugati, dove l'articolazione strutturale tra le sezioni con funzione di
esposizione tematica (ritornelli) e quelle che valgono come divertimenti (episodi) è sottolineata
da differenze tematiche, di tessitura e sonorità. E un ulteriore aspetto della raccolta si coglie nel
riferimento, tanto formale quanto espressivo, ai tempi di danza stilizzata propri della suite e della
partita. Con l'eccezione della Siciliana con cui s'apre la Sonata n. 4, i movimenti lenti denotano
una forma unitaria, ma di volta in volta realizzata da Bach con fantasia tale da delineare
variazioni su basso ostinato, canoni e altre soluzioni compositive nel segno di una straordinaria
intensità espressiva. Oltre alla molteplicità delle risorse offerte dalla fuga e dal canone, nonché
dalle tecniche concertanti, il rapporto tra i due strumenti prospetta due ulteriori essenziali
modalità d'interazione: il cembalo suona una realizzazione obbligata, e per così formalizzata, del
basso continuo oppure si propone rispetto al violino come controparte indipendente a tutti gli
effetti.

L'Adagio che apre la Sonata n. 1 in si minore BWV 1014 s'articola in due campate. Nella prima
il violino si sovrappone all'andamento divagante del cembalo con un sinuoso controcanto
ornamentale d'intensificazione espressiva, per poi assimilare in passaggi a corde doppie i disegni
dello strumento a tastiera. Nella seconda campata il violino prosegue con le corde doppie sino a
una sorta di breve cadenza che conduce alla chiusa del movimento. La successiva fuga, in tempo
Allegro, ha le movenze giocose di una Gavotte o di una Bourrée e una forma ternaria. La prima
parte è costituita dall'esposizione della fuga, quella centrale di sviluppo dall'alternanza di due
episodi modulanti, basati sul soggetto stesso della fuga, con due nuove esposizioni in «stretto».
La forma ternaria è conchiusa dalla ripresa dell'esposizione iniziale. Nel terzo movimento,
Andante, il violino e la mano destra del cembalo dialogano in fitto ma sereno intreccio
contrappuntistico sul sostegno del basso. Il periodo iniziale dà vita a una prosecuzione sino alla
ripresa, abbreviata e variata, del periodo iniziale e della stessa prosecuzione. L'Allegro finale è
una fuga compresa entro una forma binaria, le cui parti sono, come d'abitudine, replicate. La
prima parte vale come esposizione; la seconda come sviluppo modulante e ripresa.
Cesare Fertonani

BWV 1015 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=3zymeIvaics

Allegro assai
Andante un poco (fa diesis minore)
Presto

Organico: violino, clavicembalo


Composizione: 1720
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1802

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Era nelle legittime aspettative di Bach, Konzertmeister nella cappella ducale di Weimar, la
chiamata al posto di Kapellmeister quando si fosse dovuto provvedere alla sostituzione del
titolare di quella carica. Circostanze non chiare, ma che comunque portarono ad una "caduta in
disgrazia" del grande organista, non consentirono che alla morte di Johann Samuel Drese - il 1°
dicembre 1716 - Bach fosse nominato al posto da lui tanto ambito. Sta di fatto che in quel 1716
la produzione bachiana, prima intensa e continuativa, subì per quanto riguarda il settore
"ufficiale" - quella, cioè, legata al culto ed alle manifestazioni solenni - una notevole
diminuzione: unicamente quattro cantate, mentre nel successivo 1717 tale produzione si ridusse
addirittura allo zero assoluto, a testimonianza d'una definitiva emarginazione del musicista dalla
vita pubblica.

La nuova situazione dovette costringere Bach a cercarsi un nuovo impiego; fu naturale che egli
tentasse di ottenere qualcosa attraverso la mediazione della sposa del duca Ernst August di
Sassonia-Weimar (nipote del duca Wilhelm Ernst, col quale Bach era entrato in conflitto):
Eleonore Wilhelmine di Sassonia-Merseburg (questo il nome della duchessa) era sorella del
principe Leopold di Anhalt-Coethen, il quale non solo teneva al proprio servizio un'eccellente
cappella musicale, ma era egli stesso buon musicista. Fu lo stesso principe Leopold ad offrire a
Bach il posto di Kapellmeister a Coethen, resosi vacante col trasferimento a Berlino del titolare,
Augustinus Reinhard Stricker. Bach accettò l'incarico e la nomina gli fu notificata il 5 agosto
1717; il duca Wilhelm Ernst di Sassonia-Weimar, tuttavia, rifiutò il permesso al suo
Konzertmeister. Qualche mese dopo Bach tornò alla carica e, per tutta risposta, il duca lo fece
porre agli arresti: incarcerato il 6 novembre, Bach fu dimesso il 2 dicembre e potè finalmente
lasciare Weimar, raggiungendo con la la moglie e i quattro figli la non lontana Coethen. Ora gli
si aprivano nuove prospettive artistiche ed economiche: la carica di Kapellmeister, raggiunta
all'età di 32 anni, lo collocava in una posizione privilegiata, al vertice della scala dei valori, tanto
più che la cappella di Coethen in quel tempo godeva d'un considerevole prestigio.

Gli avvenimenti qui sommariamente riportati portarono in effetti ad un cambiamento radicale


nella vita privata e nella vita artistica di Bach. La corte di Coethen era di confessione calvinista:
ora, è noto che quella confessione - la cosiddetta Chiesa Riformata - non consentiva l'impiego
della musica in chiesa, al di fuori del canto puro e semplice dei corali liturgici; escluso era pure
l'uso dell'organo. Bach, che sino a quel momento aveva legato la propria professione alla chiesa,
si trovò improvvisamente costretto a cambiare direzione e a dedicarsi alla camera, ad una
produzione esclusivamente strumentale e destinata ad un consumo, diciamo così, "mondano".

Il repertorio di musiche affrontato da Bach a Coethen prevede da un lato una serie di musiche
per l'orchestra (il Collegium musicum di corte) e dall'altro lato opere per strumenti solisti, scritte
verosimilmente per i «virtuosi della camera del principe» o, nel caso delle musiche
clavicembalistiche, per i propri famigliari ed allievi; ouvertures e concerti da un lato, sonate e
suites o partite dall'altro. Al violino Bach riservò un trattamento particolare, testimoniato oltre
che dall'impiego solistico in taluni dei sei "concerti brandeburghesi" (il primo, il secondo, il
quarto e il quinto), da alcuni concerti, tre dei quali soltanto sono a noi pervenuti nella veste
originale: due per violino e uno per due violini, mentre quello notissimo per violino ed oboe è
una ricostruzione fatta sulla base della trascrizione bachiana per due clavicembali. Ma la parte
più significativa della produzione violinistica di quegli anni intorno al 1718-22 è data da due
raccolte contenenti l'una tre sonate e tre partite per violino solo, l'altra sei sonate per violino e
cembalo obbligato; a quest'ultima raccolta si devono poi aggiungere altre due sonate pervenute
in due distinti manoscritti. Si può ragionevolmente supporre, tuttavia, che queste quattordici,
composizioni violinistiche rappresentino soltanto una parte d'una attività creativa che dovette
essere ben più corposa.

***

La raccolta delle sei sonate per violino e cembalo, secondo l'inesatta dizione universalmente
accettata, si può dunque collocare negli anni 1718-1722. Sul destino di simili opere potrebbero
essere ugualmente validi i nomi di Pisendel e di Spiess, ma a questi potrebbe aggiungersi anche
quello di un altro violinista, membro della cappella di Coethen, Martin Friedrich Marcus il quale
con molta probabilità condivise con lo Spiess, e forse anche con Bach stesso, la responsabilità di
eseguire i concerti per due e per tre violini che il Kapellmeister apprestò in quegli anni. La
raccolta in questione non ci è pervenuta attraverso un manoscritto autografo, ma attraverso
alcune copie, due delle quali particolarmente importanti. La prima (databile fra il 1748 e il 1758)
è dovuta a Johann Cristoph Altinkol, genero di Bach, e contiene oltre alle sei sonate (che il
copista indica come Sechs Trios für Clavier und die Violine) anche la Sonata in si minore (BWV
1030) per flauto e cembalo e un Trio di Carl Philipp Emmanuel Bach. Il secondo manoscritto
(copiato da tre diverse «mani») porta il titolo Sei Suonate (sic!) / à / Cembalo certato è / violino
Solo, col / Basso per Viola da Gamba accompagnata / se piace / composte / da / Giov: Sebast:
Bach e congloba le parti autografe del cembalo per i tempi 3-5 della Sesta Sonata. La prima
edizione di tali opere è contemporanea a quella delle tre sonate e partite: il 1802, presso H. G.
Nägeli di Zurigo.

La raccolta reca evidenti i segni d'una derivazione dalla sonata a tre secentesca, che Bach fra
l'altro coltivò ancora - con caparbia ostinazione e quasi per ribadire il suo dissenso dalla nuova
musica - durante gli ultimi anni di Lipsia. A parte la presenza del basso continuo che può essere
affidato ad libitum alla viola da gamba, raddoppiando la funzione svolta dalla mano sinistra del
clavicembalo, v'è da notare che la mano destra dello strumento a tastiera è concepita come la
parte di un secondo violino. Il precedente storico che Bach sembra invocare con maggiore
chiarezza è la sonata di tipo corelliano, qui modificata secondo una prospettiva di musica
concertante più slanciata e completa. Come talune altre opere contemporanee (le tre sonate per
viola da gamba e cembalo, le quattro sonate per flauto traverso e cembalo), anche queste sei
sonate risentono di vari apporti tradizionali e paiono germinate almeno dalla confluenza di due
diversi tipi di impostazione stilistica: quello della scuola italiana, che è prevalente, e quello della
scuola nordica. Su questo duplice aspetto sapientemente dosato Bach costruisce la sua opera con
un'ariosità di concezione che ancora una volta pone queste sonate fra le migliori che quell'epoca
abbia prodotto.

La Sonata in la maggiore BWV 1015 è la più nota del gruppo e si distingue per varietà di
espressione nei tre movimenti. Un Andante delicatamente cantabile è collocato tra un Allegro di
stile concertante, con un singolare arpeggio su un lungo pedale del basso (mano sinistra del
pianoforte) e un Presto bipartito in fa diesis minore, che si sviluppa in forma di canone.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nulla si sa sulle circostanze che indussero Johann Sebastian Bach a comporre le Sei Suonate a
cembalo concertato e violino solo BWV 1014-1019; tuttavia è generalmente accettata l'ipotesi
che risalgano anch'esse, come buona parte della produzione strumentale bachiana, agli anni
trascorsi dal musicista al servizio del principe Leopold di Anhalt-Köthen (1717-23). Da notare è
che le sei Suonate furono verosimilmente composte, o quanto meno assemblate, dall'autore come
raccolta, forse in origine destinata alla pubblicazione; a testimoniare l'organicità del ciclo
concorre, oltre alla tradizione testuale, la concezione unitaria, riscontrabile soprattutto nelle
prime cinque sonate. Per ciò che riguarda lo stile, la particolare novità della raccolta è posta in
evidenza già dal titolo: Sei Suonate a cembalo concertato e violino solo, col basso per viola da
gamba accompagnata se piace. L'indicazione del cembalo prima dello strumento melodico, il
violino, contraddice la consuetudine dell'epoca e sottolinea il ruolo obbligato e concertante dello
strumento a tastiera, mentre il raddoppio di rinforzo del basso con una viola da gamba è
opzionale («se piace»). In altri termini, si tratta di autentiche sonate a tre in cui la mano destra
del cembalo interagisce con il violino come parte melodica di pari dignità e importanza (o
addirittura preponderante), in un costante intreccio dialogico; se si considera inoltre che il basso
(cioè la mano sinistra del cembalo) tende spesso ad assumere un'attiva rilevanza
contrappuntistica nell'insieme si comprende la complessità e l'integrazione dell'ordito
compositivo che caratterizza queste composizioni. Complessità e integrazione che, tra l'altro,
rendono irrilevante il fatto che le Sonate, o per lo meno alcuni loro movimenti, possano essere
trascrizioni di più antiche sonate a tre per due strumenti melodici e basso.

Dal punto di vista formale, le prime cinque sonate della raccolta sono improntate al modello
della sonata da chiesa in quattro movimenti (Adagio - Allegro - Adagio - Allegro) mentre la
sesta, che fa corpo a sé per diverse ragioni, è riconducibile piuttosto all'archetipo della sonata da
camera e conta cinque movimenti. In tutte le Sonate appare comunque decisivo, sul piano tanto
della forma quanto della scrittura, il ricorso alle opzioni offerte dallo stile concertante. A tale
proposito si nota che, al di là delle diverse configurazioni formali assunte, i movimenti mossi
sono autentiche fughe o fugati, dove l'articolazione strutturale tra le sezioni con funzione di
esposizione tematica (ritornelli) e quelle che valgono come divertimenti (episodi) è sottolineata
da differenze tematiche, di tessitura e sonorità. E un ulteriore aspetto della raccolta si coglie nel
riferimento, tanto formale quanto espressivo, ai tempi di danza stilizzata propri della suite e della
partita. Con l'eccezione della Siciliana con cui s'apre la Sonata n. 4, i movimenti lenti denotano
una forma unitaria, ma di volta in volta realizzata da Bach con fantasia tale da delineare
variazioni su basso ostinato, canoni e altre soluzioni compositive nel segno di una straordinaria
intensità espressiva. Oltre alla molteplicità delle risorse offerte dalla fuga e dal canone, nonché
dalle tecniche concertanti, il rapporto tra i due strumenti prospetta due ulteriori essenziali
modalità d'interazione: il cembalo suona una realizzazione obbligata, e per così formalizzata, del
basso continuo oppure si propone rispetto al violino come controparte indipendente a tutti gli
effetti.

L'indicazione dolce connota l'affettuosa cifra espressiva e l'intonazione pastorale del primo
movimento della Sonata n. 2 in la maggiore BWV 1015. Il periodo iniziale è condotto come un
libero canone tra le tre parti, che prosegue anche nel secondo periodo sino all'ultima sezione del
movimento, dove i motivi tematici del canone ispirano un vario intreccio contrappuntistico a
coinvolgere sempre tutte e tre le parti. La fuga dell'Allegro successivo è tra i movimenti della
raccolta di più marcato stampo concertante. Anche qui, come nel secondo movimento della
Sonata n. 1, si delinea una forma ternaria. La prima parte coincide con l'esposizione della fuga.
Al centro della forma si collocano un episodio modulante, basato su motivi tematici del soggetto
e nuovi elementi figurali, quindi la sua prosecuzione con un vivace gioco di dinamiche
contrastanti (forte/piano). Oltre che nella natura squillante del soggetto stesso della fuga, è
proprio in questa sezione e nella conclusione dell'episodio su pedale di dominante, dove motivi
tematici interagiscono con arpeggi del violino, che emerge nitidissimo lo spirito concertante del
movimento. La conclusione spetta alla ripresa dell'esposizione. Pezzo di particolare virtuosismo
compositivo, il terzo movimento, Andante un poco, è un malinconico e introverso canone
all'unisono per il violino e la mano destra del cembalo sugli arpeggi staccati del basso. Alla
prima arcata seguono la seconda e una ripresa abbreviata della prima arcata; il movimento si
conclude con una sospensione sulla dominante di fa diesis minore. Il Presto finale, in danzante
tempo di Gavotte, è una fuga inscritta entro una forma binaria, le cui parti sono replicate. La
prima coincide con un'articolata esposizione seguita da un breve episodio; la seconda incomincia
con un episodio basato su un tema derivato dal soggetto e si chiude con una ripresa abbreviata
dell'esposizione.

Cesare Fertonani

BWV 1016 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=YaqRT-I2Rf0

Adagio
Allegro
Adagio ma non tanto (do diesis minore)
Allegro

Organico: violino, clavicembalo


Composizione: 1720
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1802
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le sei Sonate per violino e cembalo BWV 1016-1019 di Johann Sebastian Bach furono
composte verosimilmente negli anni 1717-23, trascorsi da Bach presso la corte del principe
Leopold di Anhalt Cöthen. A tale periodo appartiene la maggior parte della produzione
strumentale bachiana; l'attività del compositore, esonerato dalla produzione religiosa a causa
della fede calvinista del principe, era rivolta quasi esclusivamente all'ambiente di corte.

Agli stessi anni di Cöthen risalgono anche altri due cicli di composizioni - le sei sonate e partite
per violino solo BWV 1001-1006, e le sei suites per violoncello solo BWV 1007-1012 - che
possono essere accostati alle sonate per violino e cembalo; tutte queste composizioni
rappresentano infatti, fra i brani per uno, due o tre strumenti del catalogo di Bach, gli unici
"cicli" organici giunti ai posteri in veste integrale (non sappiamo quanta parte della produzione
strumentale bachiana sia da ritenersi smarrita). Non è difficile vedere la "ratio" di questi cicli:
intraprendere una esplorazione esaustiva delle potenzialità tecniche ed espressive di uno
strumento o di un gruppo di strumenti nell'arco canonico di sei brani di contenuto coerente.

Al contrario dei brani per violino solo e violoncello solo, la destinazione di BWV 1014-1019 è
polistrumentale, e uno dei tratti distintivi più rilevanti della raccolta è proprio il particolare tipo
di collaborazione che si instaura fra i due strumenti, violino e cembalo. A differenza delle sonate
per violino e basso continuo (BWV 1021, 1023, 1024 e Anh. 153), in cui è lo strumento ad arco
a guidare il discorso musicale mentre quello a tastiera gioca un ruolo di semplice sostegno
armonico, qui il cembalo ha un ruolo obbligato, con un peso uguale e indipendente delle due
mani, mentre il violino si limita in qualche caso a svolgere un ricamo melodico al discorso
autonomo del cembalo; facoltativa (e in genere scartata nelle esecuzioni moderne, anche in
quelle "filologiche") è la presenza di una viola da gamba a raddoppiare la linea del basso
cembalistico.

E questo anche se la collaborazione fra violino e cembalo assume in realtà soluzioni


diversificate, frutto di una ricerca continua e inesausta. La sonata in mi maggiore BWV 1016, la
terza del ciclo, ne è un esempio. L'articolazione interna della pagina è uguale a quella di tutti (o
quasi) gli altri brani: è modellata su quella della sonata da chiesa (senza movimenti di danza),
secondo lo schema Largo-Allegro-Largo-Allegro; diverse sono le scelte espressive e di scrittura,
che conciliano le differenti influenze della severa scuola nordica e dell'arioso gusto italiano.

Il tempo iniziale si basa sulla peregrinazione di una figura ostinata, dal rilievo cantabile e fiorito;
si impongono in questo, come nell'altro movimento lento, i complessi intrecci fra violino e mano
destra del cembalo, con la sinistra in un ruolo di sostegno. L'Allegro in seconda posizione è un
fugato in rigoroso stile contrappuntistico. Il terzo movimento - Adagio ma non tanto, l'unico in
tonalità diversa da quella d'impianto - è in stile di ciaccona, con un tema ostinato ripetuto al
basso accompagnato dai melismi del violino. Chiude la sonata un movimento nuovamente
contrappuntistico, tripartito e in stile concertante.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)


Pianoforte che sta, naturalmente, per clavicembalo. Composizione effettuata, con le altre cinque
della raccolta, nello stesso periodo di Koethen, quello che vide nascere le Sonate per violino
solo. La Sonata si apre con un Adagio che non è davvero troppo lontano da quelli, similari, che il
grande compositore ideò per violino e violoncello soli: lo stesso incanto del tema iniziale, gli
stessi gruppi di note strette in un tempo brevissimo, le stesse note lunghe con le quali si prova un
assoluto senso di riposo. In questo Adagio tali fioriture sembrano infittirsi sempre più, fino a
raggiungere il saturamente nelle due battute finali. L'espressività è istintiva e anche se nelle
moderne edizioni non esistessero accenni specifici, ogni esecutore saprebbe egualmente
rievocare, con facilità, le intenzioni di Bach.

L'Allegro è proposto dallo strumento a tastiera e si svolge rapido e senza complicate


elaborazioni, trovando qualche momento di sosta nel solo violino. L'entrata alla quinta di questo
si snoda con facilità, con note puntate, con momenti di maggior forza, con trilli, fino a giungere
a sonorità più compatte nelle battute conclusive. Segue un Adagio ma non tanto, in 3/4, anche
questo proposto dal clavicembalo, ma alla quinta battuta entra il solista con delle terzine, che
ritroveremo in tutta la pagina, miste a delle quartine; quando le prime taceranno nello strumento
ad arco saranno riprese da quello a tasto. Svolgimento consueto bachiano ed espressione ben
studiata nelle battute finali.

Ed ecco il tempo conclusivo, il quarto, un Allegro in 3/4 ben «staccato»; che si sviluppa con
qualche elemento tecnico degno di nota, specie là dove il violino passa al cantino, donando
notevole varietà espressiva al pezzo. Un colloquio amichevole tra i due strumenti che non manca
di momenti vivaci e variati e di intendimenti ben calcolati, là dove violino e pianoforte
eseguono, di comune accordo, passi pressoché uguali, specialmente rispetto al succedersi delle
quartine. I brevi respiri tra una frase e l'altra non fanno che aumentare l'espressività con cui i due
strumenti si alternano nel discorso musicale.

Mario Rinaldi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nulla si sa sulle circostanze che indussero Johann Sebastian Bach a comporre le Sei Suonate a
cembalo concertato e violino solo BWV 1014-1019; tuttavia è generalmente accettata l'ipotesi
che risalgano anch'esse, come buona parte della produzione strumentale bachiana, agli anni
trascorsi dal musicista al servizio del principe Leopold di Anhalt-Köthen (1717-23). Da notare è
che le sei Suonate furono verosimilmente composte, o quanto meno assemblate, dall'autore come
raccolta, forse in origine destinata alla pubblicazione; a testimoniare l'organicità del ciclo
concorre, oltre alla tradizione testuale, la concezione unitaria, riscontrabile soprattutto nelle
prime cinque sonate. Per ciò che riguarda lo stile, la particolare novità della raccolta è posta in
evidenza già dal titolo: Sei Suonate a cembalo concertato e violino solo, col basso per viola da
gamba accompagnata se piace. L'indicazione del cembalo prima dello strumento melodico, il
violino, contraddice la consuetudine dell'epoca e sottolinea il ruolo obbligato e concertante dello
strumento a tastiera, mentre il raddoppio di rinforzo del basso con una viola da gamba è
opzionale («se piace»). In altri termini, si tratta di autentiche sonate a tre in cui la mano destra
del cembalo interagisce con il violino come parte melodica di pari dignità e importanza (o
addirittura preponderante), in un costante intreccio dialogico; se si considera inoltre che il basso
(cioè la mano sinistra del cembalo) tende spesso ad assumere un'attiva rilevanza
contrappuntistica nell'insieme si comprende la complessità e l'integrazione dell'ordito
compositivo che caratterizza queste composizioni. Complessità e integrazione che, tra l'altro,
rendono irrilevante il fatto che le Sonate, o per lo meno alcuni loro movimenti, possano essere
trascrizioni di più antiche sonate a tre per due strumenti melodici e basso.

Dal punto di vista formale, le prime cinque sonate della raccolta sono improntate al modello
della sonata da chiesa in quattro movimenti (Adagio - Allegro - Adagio - Allegro) mentre la
sesta, che fa corpo a sé per diverse ragioni, è riconducibile piuttosto all'archetipo della sonata da
camera e conta cinque movimenti. In tutte le Sonate appare comunque decisivo, sul piano tanto
della forma quanto della scrittura, il ricorso alle opzioni offerte dallo stile concertante. A tale
proposito si nota che, al di là delle diverse configurazioni formali assunte, i movimenti mossi
sono autentiche fughe o fugati, dove l'articolazione strutturale tra le sezioni con funzione di
esposizione tematica (ritornelli) e quelle che valgono come divertimenti (episodi) è sottolineata
da differenze tematiche, di tessitura e sonorità. E un ulteriore aspetto della raccolta si coglie nel
riferimento, tanto formale quanto espressivo, ai tempi di danza stilizzata propri della suite e della
partita. Con l'eccezione della Siciliana con cui s'apre la Sonata n. 4, i movimenti lenti denotano
una forma unitaria, ma di volta in volta realizzata da Bach con fantasia tale da delineare
variazioni su basso ostinato, canoni e altre soluzioni compositive nel segno di una straordinaria
intensità espressiva. Oltre alla molteplicità delle risorse offerte dalla fuga e dal canone, nonché
dalle tecniche concertanti, il rapporto tra i due strumenti prospetta due ulteriori essenziali
modalità d'interazione: il cembalo suona una realizzazione obbligata, e per così formalizzata, del
basso continuo oppure si propone rispetto al violino come controparte indipendente a tutti gli
effetti.

Nell'Adagio che apre la Sonata n. 3 in mi maggiore BWV 1016 la fisionomia funzionale delle
parti del violino e del cembalo è definita con chiarezza. Il violino disegna una linea cantabile
sontuosamente cesellata e ornamentata, che lascia pensare alla formalizzazione di un fluente
estro improvvisativo, mentre al cembalo è affidata la scansione ostinata di un ricco modulo
accordale. Il periodo iniziale su pedale si sviluppa in un'organica prosecuzione modulante per
giungere infine a una ripresa, variata e ampliata, del periodo iniziale. L'Allegro fugato che segue
è in tempo di Gavotte. Esso prende avvio da un'ampia esposizione, cui succede un episodio
basato su proprio materiale tematico; la caratteristica dell'episodio è di proporsi per due volte,
con il violino e la mano destra del cembalo che si scambiano le parti; nella prosecuzione, il
fugato accoglie anche elementi dell'episodio precedente. Uno dei vertici dell'intera raccolta è
rappresentato senza dubbio dall'ammaliante terzo movimento della sonata, Adagio ma non tanto,
costruito come una serie di libere variazioni su basso ostinato. Il brano trae origine dal modulo
discendente di lamento al cembalo e dalle variazioni 1 - 4 con liriche terzine e quartine di
sedicesimi, nel corso delle quali il violino e la mano destra dello strumento a tastiera si
scambiano le parti. Nel prosieguo del movimento, con le variazioni 5 - 12 si apre un percorso
modulante che si risolve nell'epilogo, dove le variazioni 13 - 14 producono un effetto di ripresa
abbreviata dell'inizio, sino all'epilogo concluso con una sospensione sulla dominante di do diesis
minore. L'Allegro finale reca ancora una volta l'impronta inconfondibile del concerto,
ravvisabile sin dal tratto spumeggiante del soggetto della fuga (quartine di sedicesimi). Tra
l'esposizione e il successivo episodio modulante s'avverte uno stacco, poiché quest'ultimo si
basa, oltre che su motivi del soggetto, su materiale proprio (terzine); l'episodio si propone per
due volte, con il violino e la mano destra del cembalo che si scambiano le parti. La fuga
prosegue con uno stretto, un breve episodio e ulteriori entrate del soggetto: tocca quindi alla
ripresa dell'esposizione concludere movimento e sonata.

Cesare Fertonani

BWV 1017 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=Boii0EA6hWo

Siciliano. Largo
Allegro
Adagio (mi bemolle maggiore)
Allegro

Organico: violino, clavicembalo


Composizione: 1720
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1802

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sonata in do minore (BWV 1017) inizia con un Largo in movimento di siciliana e, come ogni
forma di danza dell'epoca, è bipartito. La malinconica atmosfera di questa prima pagina viene
subito riscattata dallo slancio del successivo Allegro, ampio e maestoso, ricco di idee nello
sviluppo del motivo tematico iniziale. Lo splendido Adagio che affida il canto esclusivamente al
violino mentre il cembalo si limita ad accompagnare in terzine, apre la strada all'Allegro
conclusivo, nuovamente bipartito e in stile fugato.

Alberto Basso

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nulla si sa sulle circostanze che indussero Johann Sebastian Bach a comporre le Sei Suonate a
cembalo concertato e violino solo BWV 1014-1019; tuttavia è generalmente accettata l'ipotesi
che risalgano anch'esse, come buona parte della produzione strumentale bachiana, agli anni
trascorsi dal musicista al servizio del principe Leopold di Anhalt-Köthen (1717-23). Da notare è
che le sei Suonate furono verosimilmente composte, o quanto meno assemblate, dall'autore come
raccolta, forse in origine destinata alla pubblicazione; a testimoniare l'organicità del ciclo
concorre, oltre alla tradizione testuale, la concezione unitaria, riscontrabile soprattutto nelle
prime cinque sonate. Per ciò che riguarda lo stile, la particolare novità della raccolta è posta in
evidenza già dal titolo: Sei Suonate a cembalo concertato e violino solo, col basso per viola da
gamba accompagnata se piace. L'indicazione del cembalo prima dello strumento melodico, il
violino, contraddice la consuetudine dell'epoca e sottolinea il ruolo obbligato e concertante dello
strumento a tastiera, mentre il raddoppio di rinforzo del basso con una viola da gamba è
opzionale («se piace»). In altri termini, si tratta di autentiche sonate a tre in cui la mano destra
del cembalo interagisce con il violino come parte melodica di pari dignità e importanza (o
addirittura preponderante), in un costante intreccio dialogico; se si considera inoltre che il basso
(cioè la mano sinistra del cembalo) tende spesso ad assumere un'attiva rilevanza
contrappuntistica nell'insieme si comprende la complessità e l'integrazione dell'ordito
compositivo che caratterizza queste composizioni. Complessità e integrazione che, tra l'altro,
rendono irrilevante il fatto che le Sonate, o per lo meno alcuni loro movimenti, possano essere
trascrizioni di più antiche sonate a tre per due strumenti melodici e basso.

Dal punto di vista formale, le prime cinque sonate della raccolta sono improntate al modello
della sonata da chiesa in quattro movimenti (Adagio - Allegro - Adagio - Allegro) mentre la
sesta, che fa corpo a sé per diverse ragioni, è riconducibile piuttosto all'archetipo della sonata da
camera e conta cinque movimenti. In tutte le Sonate appare comunque decisivo, sul piano tanto
della forma quanto della scrittura, il ricorso alle opzioni offerte dallo stile concertante. A tale
proposito si nota che, al di là delle diverse configurazioni formali assunte, i movimenti mossi
sono autentiche fughe o fugati, dove l'articolazione strutturale tra le sezioni con funzione di
esposizione tematica (ritornelli) e quelle che valgono come divertimenti (episodi) è sottolineata
da differenze tematiche, di tessitura e sonorità. E un ulteriore aspetto della raccolta si coglie nel
riferimento, tanto formale quanto espressivo, ai tempi di danza stilizzata propri della suite e della
partita. Con l'eccezione della Siciliana con cui s'apre la Sonata n. 4, i movimenti lenti denotano
una forma unitaria, ma di volta in volta realizzata da Bach con fantasia tale da delineare
variazioni su basso ostinato, canoni e altre soluzioni compositive nel segno di una straordinaria
intensità espressiva. Oltre alla molteplicità delle risorse offerte dalla fuga e dal canone, nonché
dalle tecniche concertanti, il rapporto tra i due strumenti prospetta due ulteriori essenziali
modalità d'interazione: il cembalo suona una realizzazione obbligata, e per così formalizzata, del
basso continuo oppure si propone rispetto al violino come controparte indipendente a tutti gli
effetti.

Il movimento di testa della Sonata n. 4 in do minore BWV 1017 è una Siciliana in tempo
Largo,che ricorda certe arie delle cantate e delle passioni bachiane; il cembalo sostiene
l'effusione cantabile del violino, contraddistinta da inflessioni malinconiche e dolenti, con un
accompagnamento obbligato in arpeggi. La forma è binaria e ciascuna delle due parti è
puntualmente replicata. Nella severa fuga del secondo movimento, Allegro, dall'articolata
struttura interna, torna a manifestarsi lo stile del concerto. All'esposizione si connette un
episodio, basato su motivi del soggetto e su materiale proprio. Da questo punto in avanti le
nuove esposizioni si avvicendano a episodi, in un percorso modulante di ampio respiro. Da
notare che gli episodi sono tra loro organicamente interrelati: l'episodio riprende i motivi del
primo episodio, mentre l'episodio successivo riutilizza quelli precedenti. L'ultimo episodio
recupera a sua volta gli elementi di un'altro episodio, culminando in un pedale di dominante che
introduce l'esposizione conclusiva. Quanto al terzo movimento, Adagio, esso si riallaccia a
quello d'apertura per il tipo di rapporto tra gli strumenti, con la melodia cantabile del violino
sostenuta da un accompagnamento obbligato, in arpeggi, del cembalo. Diverso è peraltro il
registro espressivo, e differente la struttura formale. Il violino incomincia suonando frasi di
quattro battute, separate da pause, con figure in ritmo puntato, mentre il cembalo accompagna in
terzine: lo stile melodico è di semplice, nobile eloquenza. Questo modello procede senza
variazioni sino a quando il violino espande l'arco della sua melodia a frasi di otto battute e il
movimento si conclude inopinatamente con una sospensione sulla dominante di do minore.
Come accade nelle Sonate n. 1 e 2, l'Allegro finale è una fuga compresa entro una forma binaria,
le cui parti sono replicate; il pulsante soggetto fa pensare ancora una volta allo stile del concerto.
La prima parte corrisponde all'esposizione e comprende un episodio; la seconda trae avvio da un
episodio basato su proprio materiale tematico e si conclude con il ritorno conclusivo del
soggetto.

Cesare Fertonani

BWV 1018 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=sEUeMwLTrFM

Largo
Allegro
Adagio (do minore)
Vivace

Organico: violino, clavicembalo


Composizione: 1720
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1802

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sonata in fa minore (BWV 1018) è caratterizzata in apertura da un Largo polifonico (indicato


nel secondo dei due manoscritti da noi citati come Lamento) che si snoda secondo una scrittura a
quattro parti (è l'unico caso nell'ambito dell'intera raccolta); è evidente la derivazione da più
arcaici modelli sonatistici, quali le sonate a quattro del primo periodo barocco.

L'ampia pagina, intessuta di preziose trame polifoniche fra le quali si possono distinguere
quattro sezioni fondamentali, si basa su un tema assai simile a quello del mottetto Komm, Jesu
komm (BWV 229) che Bach scriverà poi a Lipsia. L'Allegro seguente è bipartito (solitamente il
secondo tempo è tripartito) e si svolge secondo la consueta formula fugata. Pagina estremamente
interessante è l'Adagio che presenta perennemente dei bicordi nella parte del violino, mentre
quella del cembalo è un continuo arpeggio (sul tipo di certi preludi tipicamente bachiani, in cui
tutto l'interesse del discorso è concentrato sulle continue mutazioni armoniche). Della pagina si
conosce anche un'altra versione, in cui la scrittura cembalistica è semplificata e ridotta nei valori
di tempo. Il Vivace conolusivo è, come nella Terza Sonata, tripartito.

Alberto Basso

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nulla si sa sulle circostanze che indussero Johann Sebastian Bach a comporre le Sei Suonate a
cembalo concertato e violino solo BWV 1014-1019; tuttavia è generalmente accettata l'ipotesi
che risalgano anch'esse, come buona parte della produzione strumentale bachiana, agli anni
trascorsi dal musicista al servizio del principe Leopold di Anhalt-Köthen (1717-23). Da notare è
che le sei Suonate furono verosimilmente composte, o quanto meno assemblate, dall'autore come
raccolta, forse in origine destinata alla pubblicazione; a testimoniare l'organicità del ciclo
concorre, oltre alla tradizione testuale, la concezione unitaria, riscontrabile soprattutto nelle
prime cinque sonate. Per ciò che riguarda lo stile, la particolare novità della raccolta è posta in
evidenza già dal titolo: Sei Suonate a cembalo concertato e violino solo, col basso per viola da
gamba accompagnata se piace. L'indicazione del cembalo prima dello strumento melodico, il
violino, contraddice la consuetudine dell'epoca e sottolinea il ruolo obbligato e concertante dello
strumento a tastiera, mentre il raddoppio di rinforzo del basso con una viola da gamba è
opzionale («se piace»). In altri termini, si tratta di autentiche sonate a tre in cui la mano destra
del cembalo interagisce con il violino come parte melodica di pari dignità e importanza (o
addirittura preponderante), in un costante intreccio dialogico; se si considera inoltre che il basso
(cioè la mano sinistra del cembalo) tende spesso ad assumere un'attiva rilevanza
contrappuntistica nell'insieme si comprende la complessità e l'integrazione dell'ordito
compositivo che caratterizza queste composizioni. Complessità e integrazione che, tra l'altro,
rendono irrilevante il fatto che le Sonate, o per lo meno alcuni loro movimenti, possano essere
trascrizioni di più antiche sonate a tre per due strumenti melodici e basso.

Dal punto di vista formale, le prime cinque sonate della raccolta sono improntate al modello
della sonata da chiesa in quattro movimenti (Adagio - Allegro - Adagio - Allegro) mentre la
sesta, che fa corpo a sé per diverse ragioni, è riconducibile piuttosto all'archetipo della sonata da
camera e conta cinque movimenti. In tutte le Sonate appare comunque decisivo, sul piano tanto
della forma quanto della scrittura, il ricorso alle opzioni offerte dallo stile concertante. A tale
proposito si nota che, al di là delle diverse configurazioni formali assunte, i movimenti mossi
sono autentiche fughe o fugati, dove l'articolazione strutturale tra le sezioni con funzione di
esposizione tematica (ritornelli) e quelle che valgono come divertimenti (episodi) è sottolineata
da differenze tematiche, di tessitura e sonorità. E un ulteriore aspetto della raccolta si coglie nel
riferimento, tanto formale quanto espressivo, ai tempi di danza stilizzata propri della suite e della
partita. Con l'eccezione della Siciliana con cui s'apre la Sonata n. 4, i movimenti lenti denotano
una forma unitaria, ma di volta in volta realizzata da Bach con fantasia tale da delineare
variazioni su basso ostinato, canoni e altre soluzioni compositive nel segno di una straordinaria
intensità espressiva. Oltre alla molteplicità delle risorse offerte dalla fuga e dal canone, nonché
dalle tecniche concertanti, il rapporto tra i due strumenti prospetta due ulteriori essenziali
modalità d'interazione: il cembalo suona una realizzazione obbligata, e per così formalizzata, del
basso continuo oppure si propone rispetto al violino come controparte indipendente a tutti gli
effetti.

L'esteso movimento lento con cui incomincia la Sonata n. 5 in fa minore BWV 1018 è uno dei
vertici della raccolta, dove la maestria assoluta di Bach nella scrittura contrappuntistica sortisce
esiti di folgorante forza espressiva. Si tratta di un Lamento (e in effetti il brano è così
denominato in una delle fonti), profondamente interiorizzato, che si dispiega come libera serie di
variazioni sul modulo discendente di una battuta esposto dal cembalo per cinque volte, all'inizio
del pezzo, prima dell'entrata del violino. Se poi nel corso del movimento la linea dello strumento
ad arco tende occasionalmente ad assumere la condotta melodica, questo avviene nella
continuità di un tessuto polifonico estremamente complesso ed elaborato. In tale continuità sono
le scansioni del tragitto armonico ad articolare la forma del brano, così che vi si riconoscono
quattro arcate; la conclusione resta sospesa sulla dominante, preparando l'attacco dell'Allegro
seguente. Questo è un'austera fuga compresa entro una forma binaria, le cui parti sono replicate.
La prima parte racchiude l'esposizione e un episodio; la seconda incornicia un episodio
modulante basato sul soggetto dell'esposizione e un ritorno conclusivo del soggetto stesso.
Nell'Adagio successivo la netta diversificazione delle parti strumentali genera un movimento in
cui il conio contrappuntistico della scrittura arretra a un livello latente in funzione dell'armonia e
del timbro, senza che si possa parlare di una distinzione tra melodia e accompagnamento; tanto
che il pezzo si configura come una sorta di divagazione modulante fondata sulla ripetizione di un
duplice modulo di ostinato: corde doppie al violino, disegni figurali e di arpeggio al cembalo. Il
soggetto della fuga finale, in tempo Vivace, è breve e tortuosamente cromatico. All'esposizione
iniziale seguono un episodio modulante basato su materiale proprio, una nuova esposizione
inframmezzata da un episodio che si basa sul soggetto, un episodio che riprende i motivi
precedenti. Lo stretto del soggetto conduce all'epilogo, dove sono riutilizzati i motivi degli
episodi precedenti.

Cesare Fertonani

BWV 1019 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=L0CfBtv3YFw

Allegro
Largo (mi minore)
Allegro (mi minore)
Adagio (si minore)
Allegro
Basato sull'Aria n. 3 della Cantata BWV 202

Organico: violino, clavicembalo


Composizione: 1720
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1802

Guida all'ascolto (nota 1)

Il titolo esatto delle sei sonate violinistiche di Bach suona così: «Sonate per clavicembalo
obbligato con accompagnamento di violino». Esse risalgono all'epoca in cui il musicista
risiedeva a Coethen, quale direttore della musica da camera del Principe Leopoldo, e furono
scritte tra il 1717 e il 1723. In questo periodo i liutai italiani andavano rapidamente
perfezionando il violino (ricordiamo che Stradivario morirà nel 1737): sicché Bach si volge con
interesse a questo strumento per ricercarne e sfruttarne le risorse espressive e tecniche, ed anche
per creare, sull'esempio dei maestri italiani e francesi, un vero stile violinistico solistico, che in
quell'epoca non esisteva ancora in Germania. D'altra parte, sempre dal punto di vista
strumentale, egli assegna al clavicembalo un ruolo importante che prima d'allora non aveva
avuto, essendo stato limitato ad una funzione di semplice sostegno armonico, espresso in modo
abbreviato, col basso numerato. Il fatto che Bach abbia qui eliminato tale scrittura abbreviata e
realizzato la parte del clavicembalo, mostra a qual punto il compositore abbia voluto far
partecipare lo strumento a tastiera al discorso d'insieme, al gioco polifonico, al dialogo delle
parti. Il titolo citato sopra non fa che confermare questa osservazione.

La sesta Sonata è la sola del gruppo che comprenda cinque movimenti. L'Allegro iniziale è
chiaro, gioioso, ottimista, e nello stile del concerto italiano. Un breve Largo, nel carattere del
recitativo drammatico, e la cui ampia declamazione fa pensare al Bach delle Passioni, precede un
Allegro per clavicembalo solo nello stile delle bachiane Suites inglesi. L'Adagio è un'Aria
ornata, dal sentimento patetico, e che nella conclusione sembra abbuiarsi in un cromatismo
desolato. L'opera termina con un Allegro robusto, in cui Bach, dopo le nubi che offuscavano la
conclusione del brano precedente, cerca di far tornare il sereno, ma non riesce tuttavia a ritrovare
il sorriso del primo movimento.

Nicola Costarelli

BWV 1019a - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=VKMdl7gvfT8

BWV 1020 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=5Qf2lsSwqys

Allegro moderato
Adagio (mi bemolle maggiore)
Allegro

Organico: violino o flauto traverso, clavicembalo


Composizione: 1734
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1860

Attribuzione errata, composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Bach compose nove Sonate per flauto alle quali si aggiunge l'Ouverture in mi minore BWV
1067 che con-ede ampia funzione solistica a questo strumento. Le Sonate sono quattro per flauto
e cembalo obbligato (BWV 1020, 1030, 1031, 1032), tre Sonate per flauto e basso continuo
(BWV 1033, 1034, 1035), una Sonata per due flauti e continuo (BWV 1039) e una Partita per
flauto solo (BWV 1013). Tuttavia alcune di queste Sonate sono di dubbia autenticità e le
opinioni dei vari studiosi e musicologi, che si sono occupati della monumentale opera di Bach,
sono discordanti. Ad esempio, proprio la Sonata in sol minore BWV 1020, che viene proposta
nella versione per flauto e pianoforte, risulterebbe essere stata scritta per violino e nel periodo
giovanile, anche se rivela una impronta flautistica. Questa è l'opinione di Wolfgang Schmieder,
autore di un catalogo tematico di tutte le opere di Bach pubblicato nel 1950. Di diverso avviso
sono Philipp Spitta e Wilhelm Rust, studiosi altrettanto importanti delle composizioni di Bach, i
quali sono convinti dell'autenticità della Sonata in sol minore BWV 1020, tanto da definirla tout
court Sonata per flauto per certe caratteristiche strutturali che si riferiscono a questo strumento.
La questione, comunque, è rimasta sospesa e ognuno continua a sostenere le proprie tesi, pur non
negando che questo pezzo si presta benissimo ad una esecuzione per il flauto traverso.
La Sonata in sol minore BWV 1020 rispecchia lo schema della Sonata italiana del tempo con
l'alternanza tra allegro-adagio-allegro, impostata su una evidente semplicità melodica e su una
scorrevole freschezza espressiva, in cui il flauto primeggia per la brillantezza degli accenti
sonori, non priva di rilevanti difficoltà tecniche.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel novembre 1717 Bach accolse l'invito del principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen e divenne
maestro della sua cappella. A Cöthen Bach trascorse i sette anni più felici della sua vita. Il
principe era un musicista di talento, la cappella era formata da 18 solisti di valore, e tutto il
tempo libero della corte era dedicato allo studio dell'arte. Bach visse a Cöthen ammirato e
stimolato dal gusto e dalla frequenza di un intenditore, e trasferitosi a Lipsia si rammenterà con
nostalgia delle ore trascorse col principe Leopoldo. Cöthen osservava un rito luterano severo, la
musica aveva poco spazio nella chiesa, ed i compiti di Bach erano limitati alla musica da
camera. Gran parte della sua produzione strumentale vide la luce in quegli anni, e il suo
carattere, sovente rivoluzionario rispetto alle forme del tempo, dipende dalla destinazione
domestica e colta ad un tempo per cui fu composta.

L'infatuazione per il flauto traverso si diffuse in Germania all'inizio del Settecento. Fino al 1717
è probabile che Bach abbia adoprato soltanto il flauto diritto. Nel settembre 1717, recatosi a
Dresda, egli ascoltò il flautista di quella orchestra e ne rimase colpito. Le risorse dello strumento
vengono assimilate nel ritiro di Cöthen e ne sortiranno due serie di sonate: l'una per flauto e
cembalo concertante, l'altra per flauto e basso continuo. Inoltre ci sono pervenute una sonata per
flauto solo ed una per flauto e cembalo, meno elaborate dal punto di vista contrappuntistico e più
legate allo stile violinistico. Tutte queste opere ci pervengono da autografi o copie in possesso di
C. Ph. E. Bach, il cembalista di Federico il Grande, che dovette utilizzarle per lusingare la
flautomania del sovrano.

La Sonata in sol minore per flauto e cembalo è espressamente destinata tanto al violino che al
flauto. Il suo cantabile italiano e la sua semplicità contrappuntistica hanno indotto sospetti sulla
sua autenticità.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

L'uso del clavicembalo qui ha una sua parte da svolgere, e non di poco conto. E il primo tempo
realizza appunto un dialogo serrato tra i due strumenti mentre nel secondo è affidato al flauto un
canto nostalgico, una meditazione sconsolata su lunghe note tenute. Esclusivamente strumentale
l'Allegro finale con accenni di virtuosismo e il tipico procedimento per modulazioni che qui
sembra direttamente derivato da Vivaldi. È il movimento più importante della sonata per
l'ampiezza della struttura e, come si è detto, insieme al primo movimento mostra un diretto
influsso vivaldiano. È noto infatti che Bach trascrisse composizioni di Vivaldi per altri strumenti
e in genere mostra di conoscere molto bene la produzione a stampa del compositore veneziano.
Fabio Bisogni

BWV 1021 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=E6gxPTDEvBE

BWV 1022 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=QnAVCsvmOwM

BWV 1023 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=9luyQGXUlrE

BWV 1024 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=J59_7vVZX8o

BWV 1025 - Suite

https://www.youtube.com/watchv=KIWKKY1iMEs

BWV 1026 - Fuga

https://www.youtube.com/watchv=OWcbOdKBkso

Sonate per viola da gamba e clavicembalo

https://it.wikipedia.org/wiki/Sonate_per_viola_da_gamba_e_clavicembalo_di_Johann_Sebastian
_Bach

https://www.youtube.com/watchv=REbadht77zw

BWV 1027 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=SeGfHjGNtkc

Adagio
Allegro ma non tanto
Andante (mi minore)
Allegro moderato

Organico: viola da gamba, clavicembalo


Composizione: 1740 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1860
Probabile rielaborazione della Sonata per due flauti traversi e clavicembalo BWV 1039

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il febbrile laboratorio strumentale di Bach e della sua cerchia si schiude con una sonata
pervenutaci in ben tre versioni: la BWV 1039 per due flauti traversi, basso continuo, la BWV
1027 «a cembalo e viola da gamba» (probabile rielaborazione dell'altra) e infine la BWV 1027a
per organo o clavicembalo con pedaliera, versione quest'ultima, priva del III tempo, da attribuirsi
a un collaboratore o allievo di Bach. Databili attorno al 1740, e plausibilmente destinati alla
stagione concertistica del Caffè Zimmermann (i cosiddetti Ordinaire Concerten), tali lavori
rappresentano una tarda testimonianza del cantiere costantemente aperto che dovette essere
l'abitazione di Bach presso la Thomasschule, cantiere in cui l'adattamento di opere preesistenti -
un patrimonio ormai pluridecennale - costituiva certamente una prassi normale. Il titolo in
questione presenta la struttura quadripartita della sonata da chiesa italiana - col suo alternarsi di
cantabilità severa, invenzione tematica giocosa, artifici contrappuntistici, arabeschi ipnotici e
alchimie armoniche -, un'articolazione che nelle due versioni autenticamente bachiane conosce,
pur nella conservazione sostanzialmente invariata della pagina musicale, oltre a una serie di
adattamenti idiomatici ai vari strumenti, uno slittamento nell'agogica dei tempi: se l'ampio
Adagio resta tale, l'originario Allegro ma non presto diventa nella BWV 1027 Allegro ma non
tanto (in entrambi i casi prime occorrenze di tali indicazioni in Bach), l'Adagio e piano si muta
in Andante e infine il Presto in Allegro moderato a testimonianza dell'attenzione del compositore
per le nuance che ogni trascrizione porta con sé.

Raffaele Mellace

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Quasi tutta la produzione cameristica per archi e fiati che ci resta di Bach, viene assegnata agli
anni di Köthen e cioè a quelli intorno al 1720. Ciò si spiega col fatto che, alla corte del calvinista
principe Leopold, la musica strumentale era in grande onore, mentre quella sacra era meno
praticata. Tuttavia è probabile che molte di queste composizioni siano rielaborazioni di originali
perduti, appartenenti agli anni precedenti. In particolare la prima delle tre sonate per viola da
gamba e continuo che ci sono state conservate rispetta ancora la struttura quadripartita dell'antica
sonata da chiesa, con un fugato nell'ultimo movimento. Di questa sonata conosciamo anche una
versione per due flauti, quasi coeva.

Bruno Cagli

BWV 1027a - Trio

https://www.youtube.com/watchv=kSCKslGyD7A

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Peters, Lipsia, 1904
Trascrizione dell'Andante dalla Sonata n. 1 in sol maggiore per viola da gamba e clavicembalo
BWV 1027
Attribuzione incerta

Guida all'ascolto (nota 1)

Questo «Trio» fa parte della prima Sonata in «sol maggiore» per viola da gamba (ultimo tempo);
il suo stile ne tradisce infatti la provenienza.

La copia per l'organo è di J. N. Mempel; può darsi che la rielaborazione per questo strumento sia
dello stesso Bach, ma non è accertato.

Di carattere spigliato, portato all'organo presenta notevoli difficoltà per l'esecuzione a causa del
continuo incrociarsi delle parti.

Fernando Germani

BWV 1028 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=KH0EU9csu4M

Adagio
Allegro
Andante (si minore)
Allegro

Organico: viola da gamba, clavicembalo


Composizione: 1720
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1860

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il programma di stasera si apre con la seconda delle tre Sonate scritte da Bach per la viola da
gamba, considerato lo strumento precursore del violoncello e usato sin dal Medioevo nel ruolo di
accompagnamento, cioè nella parte del continuo. Anzi a questa funzione adempiva specialmente
una sua variante dotata di sette corde e chiamata più propriamente basso di viola. Sin dal XVII
secolo questo tipo di viola venne utilizzato molto in Italia e diversi artisti, fra cui Vivaldi e
Tartini, la riscattarono dalla soggezione dell'accompagnamento e la dotarono di una importante
letteratura solistica. Una certa attenzione le riservarono anche in Francia e in Germania, dove
scrissero per viola da gamba Buxtehude, Telemann e Bach. A mano a mano però il violoncello
cominciò a sostituirsi alla viola da gamba, così come il violino subentrò alla viola da braccio. E'
vero che il violoncello fece le sue prime apparizioni nel XVI secolo, ma solo ai primi del
Settecento minacciò seriamente le posizioni della viola da gamba, assumendo gradatamente
quella personalità e quel rilievo (pur conservandone la forma e le dimensioni fisiche con la
riduzione delle corde da sette a quattro) che ha da tempo nella famiglia degli strumenti ad arco.
Nella immensa produzione musicale bachiana vanno annoverate tre Sonate per viola da gamba e
cembalo e sei Suites per violoncello solo. Mentre le prime concludono il ciclo storico della viola
da gamba, le Suites costituiscono la base della letteratura dedicata al violoncello. Ed a questo
proposito acquista un valore quasi simbolico l'elemento di contemporaneità della creazione di
questi lavori di Bach per la viola da gamba e il violoncello, i quali furono composti nello stesso
anno (1720) e nel periodo trascorso dal compositore a Köthen. La Sonata in re maggiore è la
seconda delle tre e come la prima, e a differenza della terza, presenta una articolazione
quadripartita, derivata dalla Sonata da chiesa in cui era consuetudine alternare due movimenti
lenti e due vivaci. L'Adagio del primo tempo ha l'andamento di un dialogo elegiaco che si svolge
sopra un basso scandito in valori uguali. L'Allegro è di taglio binario, secondo il tradizionale
schema classico e nel rispetto di un razionale gioco sonoro. La seconda parte di questo
movimento è più sviluppata e il basso si snoda in maniera più varia, partecipando liberamente
all'intreccio polifonico. L'Andante somiglia ad una siciliana per il suo assorto lirismo e si
richiama a certi tempi lenti del Concerti Brandeburghesi. L'Allegro finale ha una struttura più
complessa degli altri tempi ed è caratterizzato da un motivo fondamentale di quattro battute che
si scinde in due sezioni contrastanti. Naturalmente, al di là degli aspetti tecnici, ciò che conta in
questa Sonata è la sua naturalezza espressiva nell'ambito di un rigoroso equilibrio formale, segno
distintivo dell'arte di Bach.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata per viola da gamba in re maggiore (BWV 1028) di Johann Sebastian Bach costituisce
la seconda di un gruppo di tre (BWV 1027-1029) dedicate a questo strumento; gruppo che,
sebbene non datato, si può far risalire con assoluta certezza al periodo in cui il musicista
risiedeva presso la corte di Köthen in qualità di maestro di cappella (1717-1723).

In quegli anni, la viola da gamba, sebbene usata fino ad allora in funzione prevalentemente di
sostegno, pareva destinata a chiudere il suo ciclo storico di fronte all'insorgere di nuove esigenze
espressive, per essere definitivamente soppiantata, di lì a poco, dal violoncello (strumento
derivato, però, dalla trasformazione del violino, e non dall'evoluzione della famiglia delle viole
rinascimentali).

Nella cappella di Köthen, in particolare, la viola da gamba costituiva oggetto di contesa fra il
"gambista" Christian Ferdinand Abel ed il principe Leopold, dello strumento eccellente
dilettante; ad entrambi quindi, per differenti quanto ovvie ragioni, Bach era tenuto a prestare la
dovuta attenzione, talvolta risolvendo assai diplomaticamente il dilemma con l'espediente di
coinvolgerli in un unico discorso musicale, come, ad esempio, nel caso del Sesto Concerto
Brandeburghese (BWV 1051), nel cui organico figurano due viole da braccia e due viole da
gamba. Ciò non ostante, sembra lecito ritenere Abel, in quanto titolare dello strumento nella
cappella, se non il destinatario primo, almeno l'interprete ideale ed il propagatore delle
composizioni da Bach dedicate a questo strumento.

Dal punto di vista formale la Sonata in re maggiore adotta lo schema della sonata da chiesa in
quattro movimenti, con brevi tempi lenti alternati a tempi veloci di dimensioni più estese; il
cembalo vi risulta impiegato in qualità di strumento concertante ed assume talora un ruolo
addirittura preponderante rispetto alla viola, con il risultato di un discorso musicale assai
omogeneo e compatto, all'interno del quale gli spunti melodici, sviluppati
contrappuntisticamente secondo il principio dell'imitazione, si incalzano tra le due voci
strumentali. Circostanza, quest'ultima, che ha stimolato l'ipotesi che le tre sonate per viola da
gamba fossero originariamente scritte per due strumenti melodici (flauti, ad esempio) e solo in
un secondo momento siano state rielaborate nella forma in cui ci sono giunte; tesi che, seppur
non verificabile, rimane plausibile, stante la nota rielaborazione ed il frequente riuso cui Bach, in
pieno accordo con la prassi dell'epoca, sottoponeva le sue opere.

Giancarlo Brioschi

BWV 1029 - Sonata

https://www.youtube.com/watchv=VgNpXHQRjiA

Vivace
Adagio (si bemolle maggiore)
Allegro

Organico: viola da gamba, clavicembalo


Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1860

Guida all'ascolto (nota 1)

Molti problemi potrebbero suscitare le tre Sonate di Bach per viola da gamba e cembalo. Al suo
tempo il violoncello era già in uso generale, come anche la famiglia delle viole trovava luogo
nelle opere della fine del Seicento e sui primi del Settecento. D'altronde Bach scrisse qualche
parte per "violoncello piccolo" (con suoni acuti) e inventò anche, secondo i più, la Viola
pomposa (costruita proprio nel 1720, l'anno probabile delle presenti Sonatete), ma non compose
alcuna musica per questo suo stumento. Probabilmente Bach immaginò tali Sonate per la
classica Viola da Gamba a sette corde, di cui si vede un esempio preciso nella Santa Cecilia del
Domenichino (Museo del Louvre). Quanto alla data della composizione - incerta come quella
delle altre composizioni bachiane - è ragionevole indurla negli anni di permanenza a Koethen
(1719-1723), quando le condizioni presso il principe d'Anhalt-Koethen erano rese facili e
piacevoli, senza obblighi precisi di servizi d'organo, di formazioni e istruzioni corali; e così il
genere più propizio era quello della musica da camera: infatti molte di tali musiche si suol
datarle da quei sei anni, più calmi e felici, passati a Koethen. Quanto poi alla dicitura "per viola
da gamba o violoncello" può essere stata presentata dagli editori per meglio divulgarla. Bach
deve avere affidato l'opera a strumento diverso dal violoncello a quattro corde: ne è prova la
tessitura dello strumento, in queste Sonate, tenuta costantemente nel registro acuto: la nota più
bassa infatti, in un certo momento della prima Sonata (Andante) è un mi nel terzo spazio della
chiave di basso, e in qualche altro momento della terza Sonata un "ossia" del revisore, nella
edizione Peters, sembra indicare la versione originale.

La Terza Sonata in sol minore non mantiene rigorosamente un colloquio imitativo tra i due
strumenti, ma questi camminano con maggiore libertà fanfastica. Il primo tempo (Vivace) si
inizia con due motivi contrapposti ben ritmati e mossi; solo più tardi il pianoforte riprende il
tema iniziale del violoncello integralmente. Lo svolgimento si avvale di frammenti del tema, che
ritorna alla quarta minore conducendosi in estrose modulazioni e mantenendosi nello stesso stile
melodico e ritmico. Sulla fine il tema ritorna accoppiato nei due strumenti per concludere con
originali opposizioni ritmiche e con ampia cadenza definitiva. Segue un bellissimo Adagio in
due parti ritornellate. Anche qui i due strumenti si oppongono con due temi diversi ben distesi e
cantabili; la seconda parte offre ancora due temi diversi alla dominante di Si bemolle, con
imitazioni non melodiche ma ritmiche quasi a mantenere una coerenza di libertà. L'Allegro è più
legato alla imitazione fin dall'inizio. Un secondo tema, ma alla tonica nel violoncello
«cantabile», è subito ripreso al relativo maggiore e svolto con episodi nuovi. Si riode poi alla
dominante di Si bemolle, quindi subito alla tonica di impianto, camminando con strette
imitazioni episodiche e concludendo spigliatamente, con il coerente movimento, nella tonalità
principale.

Adelmo Damerini

Sonate per flauto e clavicembalo

https://it.wikipedia.org/wiki/Sonate_per_flauto_e_clavicembalo_di_Johann_Sebastian_Bach

https://www.youtube.com/watchv=com5gPoZ8sI

BWV 1030 - Sonata per flauto e clavicembalo

https://www.youtube.com/watchv=d0xgpaI8va4

Andante
Largo e dolce (re maggiore)
Presto
Allegro

Organico: flauto traverso, clavicembalo


Composizione: 1718 - 1723 circa (revisione 1736 circa)
Edizione: Körner, Erfurt, 1855

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sonata in si minore per flauto e clavicembalo obbligato si colloca, sulla via aperta dalle coeve
Sonate per violino e per viola da gamba, di identica struttura, in una posizione anfibia tra la
tradizionale Sonata per strumento e basso continuo e la Sonata a tre, nel senso che qui la voce
intermedia fra canto e basso è realizzata, per esteso e con caratteri di piena autonomia nel triplice
discorso polifonico, dalla mano destra del clavicembalista. Ne risulta un eloquio di estrema
trasparenza contrappuntistica e varietà timbrica ottenuto dalla parità d'importanza conferita ai
disegni del flauto e della parte, superiore del clavicembalo, mentre il basso ha generalmente un
ruolo più semplice e subordinato; s'intende, sempre dal punto di vista melodico. Ci troviamo di
fronte a un lavoro di insolita «modernità» di concezione, nel senso che il consueto e connaturato
rigore polifonico bachiano cede, una volta tanto, a tentazioni di natura se non certo pre-galante,
almeno anti-barocca, sfiorando a tratti la disinvolta disponibilità e piacevolezza mondana di
Telemann.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel novembre 1717 Bach accolse l'invito del principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen e divenne
maestro della sua cappella. A Cöthen Bach trascorse i sette anni più felici della sua vita. Il
principe era un musicista di talento, la cappella era formata da 18 solisti di valore, e tutto il
tempo libero della corte era dedicato allo studio dell'arte. Bach visse a Cöthen ammirato e
stimolato dal gusto e dalla frequenza di un intenditore, e trasferitosi a Lipsia si rammenterà con
nostalgia delle ore trascorse col principe Leopoldo. Cöthen osservava un rito luterano severo, la
musica aveva poco spazio nella chiesa, ed i compiti di Bach erano limitati alla musica da
camera. Gran parte della sua produzione strumentale vide la luce in quegli anni, e il suo
carattere, sovente rivoluzionario rispetto alle forme del tempo, dipende dalla destinazione
domestica e colta ad un tempo per cui fu composta.

L'infatuazione per il flauto traverso si diffuse in Germania all'inizio del Settecento. Fino al 1717
è probabile che Bach abbia adoprato soltanto il flauto diritto. Nel settembre 1717, recatosi a
Dresda, egli ascoltò il flautista di quella orchestra e ne rimase colpito. Le risorse dello strumento
vengono assimilate nel ritiro di Cöthen e ne sortiranno due serie di sonate: l'una per flauto e
cembalo concertante, l'altra per flauto e basso continuo. Inoltre ci sono pervenute una sonata per
flauto solo ed una per flauto e cembalo, meno elaborate dal punto di vista contrappuntistico e più
legate allo stile violinistico. Tutte queste opere ci pervengono da autografi o copie in possesso di
C. Ph. E. Bach, il cembalista di Federico il Grande, che dovette utilizzarle per lusingare la
flautomania del sovrano.

La Sonata in si minore per flauto e cembalo è un pezzo isolato nella letteratura per flauto,
qualche cosa come la Partita con ciaccona per violino solo. Nell'Andante flauto e cembalo
presentano linee musicali indipendenti e scambiabili nel corso del gioco strumentale. Il Largo e
dolce è un cantabile fiorito in stile recitativo, sorretto armonicamente dal cembalo. Il Finale si
apre con un fuga a tre parti, ed essa sì collega direttamente ad una giga barocca.

Gioacchino Lanza Tomasi

BWV 1031 - Sonata per flauto e clavicembalo (spuria, forse di Carl Philipp Emanuel Bach)

https://www.youtube.com/watchv=WbdXGv1MJAo

Allegro
Siciliano (sol minore)
Allegro

Organico: flauto traverso, clavicembalo


Composizione: 1730 - 1734
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1860

Attribuzione errata, composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

Guida all'ascolto (nota 1)

Nell'arioso movimento iniziale i due strumenti si dividono equamente il campo in un gioco


alterno e lieve, con una proposta melodica iniziale che si svolge in volute leggere e disegnate
con eleganza. Ma la Siciliana seguente è certo il movimento più importante della composizione:
una melodia divenuta giustamente celebre, di carattere albinoniano, di una struggente nostalgia
che si apparenta a quelle sublimi create da Bach per le sue Passioni. Il tempo finale è
prettamente virtuosistico e citazione quasi alla lettera di una sonata per clavicembalo di
Domenico Scarlatti a testimonianza, ancora una volta, dell'attenzione del compositore alla
produzione italiana del tempo.

Fabio Bisogni

BWV 1032 - Sonata per flauto e clavicembalo

https://www.youtube.com/watchv=a1H2C6rBUrY

BWV 1033 - Sonata per flauto e basso continuo (spuria, forse di Carl Philipp Emanuel
Bach)

https://www.youtube.com/watchv=3NRl1Ob7bJE

Andante
Allegro
Adagio (la minore)
Menuetto I
Menuetto II (la minore)

Organico: flauto traverso, clavicembalo


Composizione: 1736
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894

Attribuzione errata, composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il corpus delle opere di Johann Sebastian Bach (Eisenach, 1685 - Lipsia, 1750) dedicate al flauto
a noi giunte, venne composto in gran parte per Johann Heinrich Freytag, primo flauto presso la
corte di Köthen fra il 1716 e il 1728, e risale dunque al soggiorno del musicista presso quella
corte (1717-1723). La Sonata in do maggiore per flauto e basso continuo, tuttavia, ci è pervenuta
attraverso sei manoscritti, uno dei quali risulta di mano del secondo figlio di Bach, Carl Philipp
Emanuel; scritto in parti staccate, il manoscritto reca l'indicazione "Sonata a Traversa e Continuo
da Joh. Seb. Bach", e fu compilato intorno al 1730, almeno a giudicare dalla scrittura e dalle
filigrane della carta impiegata: circostanze queste che ne fanno di gran lunga la fonte più
autorevole. Al di là dei problemi filologici, almeno a partire da Friedrich Blume (uno dei più
importanti studiosi di Bach nel nostro secolo, fra le due guerre), la paternità bachiana della
Sonata è stata messa più volte in discussione, sulla base delle sue intrinseche caratteristiche
stilistiche. Studi musicologici più recenti, tuttavia, inclinano a ritenere la Sonata una sorta di
rielaborazione, commissionata da Bach stesso al figlio, di una originaria composizione per flauto
solista, quasi un esercizio d'armonizzazione (a Carl Philipp Emanuel andrebbe ascritta, infatti,
l'aggiunta del basso continuo). Quale che sia la considerazione per questa teoria, il carattere
didattico del brano risulta comunque evidente, anche al semplice ascolto: accanto ad elementi
sperimentali (ad esempio, l'intervento "concertante" del cembalo nel menuet), non mancano
caratteristiche riconducibili ad uno stile più arcaico di quello delle altre sonate per flauto di
Bach, che rivelano, come la coppia conclusiva di minuetti, la discendenza della composizione
dalla suite.

Carlo Brioschi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È una sonata per flauto e basso continuo realizzato dal clavicembalo, e sostanzialmente
virtuosistica. Dopo un breve Adagio che serve da introduzione, il Presto e l'Allegro seguente
danno modo al flauto dì mostrare tutte le sue possibilità virtuosistiche; addirittura l'Allegro
sembra parafrasare il virtuosismo violinistico. Il valore musicale della composizione sembra più
comparire nel breve ma intenso Adagio e nei due Minuetti finali che, pur dando agio al flauto di
mostrare le sue possibilità, sono costruiti con eleganza e il primo con una cantabilità che
potrebbe costituire una sigla per un'epoca e una società.

Fabio Bisogni

BWV 1034 - Sonata per flauto e basso continuo

https://www.youtube.com/watchv=MJIbXr2-PSE

Adagio ma non tanto


Allegro
Andante (sol maggiore)
Allegro

Organico: flauto traverso, continuo


Composizione: 1724
Edizione: Peters, Lipsia, 1865

Guida all'ascolto (nota 1)


Le tre sonate per flauto e continuo attribuite a J. S. Bach si ritiene risalgano al periodo di Cöthen
(1717-1723). La confessione riformata di Cöthen era di stretta osservanza, e la musica faceva
parte della liturgia soltanto nella forma assembleare della intonazione dei corali. Respinta dalla
pratica liturgica, la vita musicale ruotava attorno alla corte, il cui principe fu ricordato da Bach
come amico e giudice competentissimo della sua arte. La Sonata in mi minore è un'opera nello
stile italiano del tempo. Con ciò si vuole sottolineare il suo carattere di monodia accompagnata,
tanto distante dalla concezione polifonica di J.S. Bach. Proprio questa preminenza della voce
cantabile ha indotto alcuni studiosi a considerarla un'opera giovanile del figlio maggiore di J. S.
Bach, Wilhelm Friedmann.

Gioacchino Lanza Tornasi

BWV 1035 - Sonata per flauto e basso continuo

https://www.youtube.com/watchv=r8gF12qQm0w

Adagio ma non tanto


Allegro
Siciliano (do diesis minore)
Allegro assai

Organico: flauto traverso, continuo


Composizione: 1741
Edizione: Peters, Lipsia, 1865

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel novembre 1717 Bach accolse l'invito del principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen e divenne
maestro della sua cappella. A Cöthen Bach trascorse i sette anni più felici della sua vita. Il
principe era un musicista di talento, la cappella era formata da 18 solisti di valore, e tutto il
tempo libero della corte era dedicato allo studio dell'arte. Bach visse a Cöthen ammirato e
stimolato dal gusto e dalla frequenza di un intenditore, e trasferitosi a Lipsia si rammenterà con
nostalgia delle ore trascorse col principe Leopoldo. Cöthen osservava un rito luterano severo, la
musica aveva poco spazio nella chiesa, ed i compiti di Bach erano limitati alla musica da
camera. Gran parte della sua produzione strumentale vide la luce in quegli anni, e il suo
carattere, sovente rivoluzionario rispetto alle forme del tempo, dipende dalla destinazione
domestica e colta ad un tempo per cui fu composta.

L'infatuazione per il flauto traverso si diffuse in Germania all'inizio del Settecento. Fino al 1717
è probabile che Bach abbia adoprato soltanto il flauto diritto. Nel settembre 1717, recatosi a
Dresda, egli ascoltò il flautista di quella orchestra e ne rimase colpito. Le risorse dello strumento
vengono assimilate nel ritiro di Cöthen e ne sortiranno due serie di sonate: l'una per flauto e
cembalo concertante, l'altra per flauto e basso continuo. Inoltre ci sono pervenute una sonata per
flauto solo ed una per flauto e cembalo, meno elaborate dal punto di vista contrappuntistico e più
legate allo stile violinistico. Tutte queste opere ci pervengono da autografi o copie in possesso di
C. Ph. E. Bach, il cembalista di Federico il Grande, che dovette utilizzarle per lusingare la
flautomania del sovrano.

La Sonata in mi maggiore per flauto e continuo è formata da danze stilizzate. Difatti l'Adagio ma
non tanto ha i caratteri di una Allemande francese, e l'Allegro seguente quelli di una Bourrée.

Gioacchino Lanza Torna

Sonate in trio

https://www.youtube.com/watchv=uExnNd1Ylo4

BWV 1036 - Sonata in trio (due violini e basso continuo)

https://www.youtube.com/watchv=dWY4xdYtX98

BWV 1037 - Sonata in trio (due violini e basso continuo)

https://www.youtube.com/watchv=_49w-zvM5eo

BWV 1038 - Sonata in trio (flauto, violino e basso continuo)

https://www.youtube.com/watchv=tZu6XbODv_0

BWV 1039 - Sonata in trio (due flauti traversi e basso continuo)

https://www.youtube.com/watchv=1sFkILy2GyU

BWV 1040 - Sonata in trio (violino, oboe e basso continuo)

https://www.youtube.com/watchv=ShX0AsPLFG8

Composizioni per orchestra

Concerti per violino

https://it.wikipedia.org/wiki/Concerti_per_violino_di_Johann_Sebastian_Bach

https://www.youtube.com/watchv=_ioc6sdgugo

https://www.youtube.com/watchv=MWgQXlSQ7Dk

BWV 1041 - Concerto per violino

https://www.youtube.com/watchv=Q3-5144TaYg
Allegro
Andante (do maggiore)
Allegro assai

Organico: violino solista, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1718 - 1723
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1874

Vedi anche la trascrizione per Clavicembalo e orchestra BWV 1058

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Bach compose probabilmente una decina di concerti per violino e orchestra, ma a noi ne sono
giunti soltanto tre: il < span class="italic">Concerto in la minore BWV 1041, il Concerto in mi
maggiore BWV 1042 e il Concerto in re minore BWV 1043; ad essi va aggiunto un frammento
di 50 battute di un Concerto in re maggiore, in cui il violino solista è accompagnato da tre
trombe, timpani, due oboi e archi. I tre Concerti per violino conservati esistono anche in una
trascrizione realizzata dallo stesso Bach a Lipsia dopo il 1730 per clavicembalo e orchestra,
rispettivamente BWV 1058 e BWV 1054 e per due clavicembali BWV 1062. Dei concerti
perduti si conosce la musica per via delle successive trascrizioni per cembalo; si tratta in
sostanza del Concerto in re minore per cembalo BWV 1052 che si richiama ad un analogo
concerto violinistico perduto, del Concerto in fa minore per cembalo BWV 1056 che deriva da
un concerto per violino in sol minore perduto e del Concerto in fa maggiore per tre clavicembali
BWV 1064, proveniente da un concerto per tre violini in re maggiore anch'esso perduto.

I concerti originali risalgono al periodo di Köthen, intorno al 1720, quando Bach era maestro di
cappella della corte e direttore della musica da camera del principe Leopold, e poteva disporre di
un ottimo violinista qual'era Joseph Spiess. Le trascrizioni invece appartengono al periodo di
Lipsia quando il compositore dirigeva brani cameristici per la Società di Telemann oppure
organizzava piccoli concerti familiari. In tali composizioni, secondo Alfred Durr, «Bach accoglie
in generale la forma del concerto creata da Vivaldi, ma accosta ritornelli di Tutti ad episodi di
Solo, in quanto affida all'orchestra, anche durante gli episodi a solo, parti elaborate
tematicamente. La sovrabbondanza di figure ornamentali, che si trova nelle parti solistiche di
concerti di altri compositori, in Bach lascia il posto ad una densità e ad una concentrazione
ottenuti mediante il costante impiego di figure tematiche». Certamente Bach tiene conto della
forma concertistica in tre movimenti realizzata nelle composizioni vivaldiane, anche se i suoi
concerti per violino e orchestra mirano ad un tipo di scrittura più solido e compatto. È vero che
non è documentato un rapporto diretto di conoscenza fra Bach e Vivaldi, ma è certo che la fama
del musicista italiano si era già diffusa in Germania intorno al 1706 e lo stesso Bach potè
prendere visione della famosa raccolta dell'op. III, denominata "L'estro armonico".

Il primo tempo del Concerto in la minore BWV 1041 inizia con un attacco energico e perentorio
di tutta l'orchestra, che termina con un'armonia sulla dominante (in mi maggiore) da cui si
diparte l'a solo del violino espresso con particolare dolcezza melodica. Su questi due elementi, il
Tutti e il Solo, si svolge e si sviluppa il discorso con varietà di accordi e di modulazioni, secondo
la rigorosa linea architettonica bachiana. L'Andante è basato su un basso ostinato, sottolineato da
accordi gravi degli archi, contrapposti ad una luminosa figurazione tracciata dal violino solista.
Ne scaturisce un dialogo di straordinaria efficacia espressiva nella sua musicalità nobile ed
elevata. L'Allegro assai è una specie di rondò con passaggi sempre più virtuosistici, in cui sino
alle ultime battute la dialettica fra i due protagonisti del concerto si fa sempre più stringente e
ricca di invenzioni melodiche. A seconda della qualità del timbro e del contrasto strumentale lo
stesso tema si presenta in modo diverso e può confluire nel Tutti oppure esaurirsi nel Solo.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Concerto in la minore per violino e archi (come l'altro in mi) appartiene al fecondo periodo di
Köthen e fu scritto quindi per la piccola orchestra del principe Leopoldo. Il violino funge,
ovviamente, non come strumento solista in senso moderno, ma come violino concertante, cioè
rivaleggiante in bravura con gli altri.

Armonicamente, il primo tempo (Allegro) percorre l'orbita della tonalità fondamentale con
saporose, brevi escursioni nelle tonalità vicine; e il quadrato impianto ritmico si aggrazia di
punteggiare in controtempo rimbalzate tra violini e viole.

L'Andante, in do maggiore (con tangenze al sol maggiore e re minore), è di una semplicità quasi
schematica, cui basta la cellula ritmica iniziale del basso a creare, se vogliamo, uno sfondo di
passi quasi misteriosi al primo piano ornamentale e virtuosistico del solista.

Nell'Allegro finale, che riprende il la minore, l'idea affidata al «tutti» introduttivo lascia posto,
come di consueto, al tema del primo violino, accompagnato dal resto dell'orchestra. Avviene poi
la reciproca confluenza delle due idee tematiche che qui sortisce in una progressione ascendente
e, prima della ripresa finale, a una sequenza tipica del violiniamo bachiano, cioè a un vorticoso
roteare degli archi attorno a una corda vuota, qui il mi.

Giorgio Graziosi

BWV 1042 - Concerto per violino

https://www.youtube.com/watchv=DgfyryZJES4

Allegro
Adagio (do diesis minore)
Allegro assai

Organico: violino solista, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1720 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1874

Vedi anche la trascrizione per Clavicembalo e orchestra BWV 1054

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Bach compose probabilmente una decina di concerti per violino e orchestra, ma a noi ne sono
giunti soltanto tre: il Concerto in la minore BWV 1041, il Concerto in mi maggiore BWV 1042 e
il Concerto in re minore BWV 1043; ad essi va aggiunto un frammento di 50 battute di un
Concerto in re maggiore, in cui il violino solista è accompagnato da tre trombe, timpani, due
oboi e archi. I tre Concerti per violino conservati esistono anche in una trascrizione realizzata
dallo stesso Bach a Lipsia dopo il 1730 per clavicembalo e orchestra, rispettivamente BWV
1058 e BWV 1054 e per due clavicembali BWV 1062. Dei concerti perduti si conosce la musica
per via delle successive trascrizioni per cembalo; si tratta in sostanza del Concerto in re minore
per cembalo BWV 1052 che si richiama ad un analogo concerto violinistico perduto, del
Concerto in fa minore per cembalo BWV 1056 che deriva da un concerto per violino in sol
minore perduto e del Concerto in fa maggiore per tre clavicembali BWV 1064, proveniente da
un concerto per tre violini in re maggiore anch'esso perduto.

I concerti originali risalgono al periodo di Köthen, intorno al 1720, quando Bach era maestro di
cappella della corte e direttore della musica da camera del principe Leopold, e poteva disporre di
un ottimo violinista qual'era Joseph Spiess. Le trascrizioni invece appartengono al periodo di
Lipsia quando il compositore dirigeva brani cameristici per la Società di Telemann oppure
organizzava piccoli concerti familiari. In tali composizioni, secondo Alfred Dürr, «Bach accoglie
in generale la forma del concerto creata da Vivaldi, ma accosta ritornelli di Tutti ad episodi di
Solo, in quanto affida all'orchestra, anche durante gli episodi a Solo, parti elaborate
tematicamente. La sovrabbondanza di figure ornamentali, che si trova nelle parti solistiche di
concerti di altri compositori, in Bach lascia il posto ad una densità e ad una concentrazione
ottenuti mediante il costante impiego di figure tematiche». Certamente Bach tiene conto della
forma concertistica in tre movimenti realizzata nelle composizioni vivaldiane, anche se i suoi
concerti per violino e orchestra mirano ad un tipo di scrittura più solido e compatto. È vero che
non è documentato un rapporto diretto di conoscenza fra Bach e Vivaldi, ma è certo che la fama
del musicista italiano si era già diffusa in Germania intorno al 1706 e lo stesso Bach potè
prendere visione della famosa raccolta dell'op. III, denominata «L'estro armonico».

Il Concerto in mi maggiore BWV 1042 si presenta nel primo movimento con la proposta fra il
Tutti e il Solo nei tipici giochi di forte e piano, mentre il discorso tematico è sviluppato in misura
notevolmente più ampia di quanto figuri nei modelli vivaldiani. Da notare la breve cadenza
affidata al solista prima degli interventi conclusivi. Il secondo movimento è un Adagio con
struttura a dialogo: un disegno ostinato del ripieno, cui si contrappone l'intensa cantabilità del
violino solista, con l'eccezione delle due frasi di apertura e di chiusura. Il breve Allegro finale
punta sugli aspetti ritmici con movenze che arieggiano anche lo stile di danza: la simmetria della
pagina è perfetta.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La maggior parte delle opere strumentali di Johann Sebastian Bach fu composta dall'autore nel
corso della sua permanenza a Coethen, fra il 1717 e il 1723. Bach rivestiva la carica di maestro
di cappella presso la corte del principe Leopoldo di Anhalt-Coethen, ed era esonerato dalla
produzione religiosa a causa della fede calvinista del principe (la liturgia calvinista concedeva
alla musica un ruolo estremamente limitato). La sua attività era dunque rivolta esclusivamente
all'ambiente di corte, all'orchestra (il Collegium musicum) ed a singoli solisti, professionisti di
eccellente qualità; quali del resto si convenivano ad un mecenate, squisito intenditore e musicista
egli stesso, come il principe Leopoldo. In questo contesto Bach rivolse un'attenzione privilegiata
al violino, sia come strumento concertante nelle composizioni orchestrali, sia come solista.
Nacquero, negli anni di Coethen, le sei Suites e Partite per violino solo - vertice dell'intero
repertorio per violino solo -, le Sonate per violino e basso continuo, ed anche un imprecisato
numero di Concerti per uno o più violini e orchestra.

Imprecisato, si è detto, perché la maggior parte di questi Concerti è verosimilmente andata


perduta; a confortare tale situazione soccorre la circostanza che, negli anni lipsiensi, Bach
trascrisse alcune di queste partiture per uno o più cembali; la ricerca musicologica,
legittimamente e con metodo scientifico, ha tentato la ricostruzione della versione originale di
tali Concerti. Solo tre, comunque sono i Concerti bachiani per violino pervenuti nella veste
originale (e anch'essi poi trascritti per cembalo a Lipsia); il Concerto per due violini BWV 1043,
il Concerto in la minore BWV 1041, ed il Concerto per violino solo in mi maggiore BWV 1042.

I Concerti bachiani sono apertamente ispirati all'esempio italiano, e particolarmente a quello


vivaldiano, che Bach aveva conosciuto tramite la edizione a stampa dell'"Estro armonico" op. 3,
del quale aveva operato anche alcune trascrizioni per organo. Il Concerto in mi maggiore,
dunque, è regolarmente composto nei tre movimenti di prammatica (secondo lo schema Allegro-
Largo-Allegro), e prevede una dialettica interna fondata sull'alternanza di sezioni affidate ai
"Tutti" e al "Solo". Peculiari sono le scelte espressive bachiane, che vedono il solista evitare
esibizionismi virtuosistici, ed impegnarsi piuttosto in una scrittura complessa per la sua
levigatezza. Nel movimento iniziale, basato su un tema di solenne vigore, solista e gruppo
strumentale prediligono un rapporto di collaborazione piuttosto che di contrapposizione, tanto
che il violino ha spesso una funzione più concertante che solistica. La cantabilità violinistica
predomina nel centrale Adagio, movimento che contrasta col precedente anche per la tonalità
minore e l'intonazione dolente. Il Concerto si chiude con un Allegro assai in cui un ritornello
assai scandito ritmicamente si alterna con episodi solistici di diverso carattere.

Arrigo Quattrocchi

BWV 1043 - Concerto per due violini

https://www.youtube.com/watchv=LZ48G9UziRs

Vivace
Largo ma non tanto (fa maggiore)
Allegro

Organico: 2 violini solisti, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1718 - 1723
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1874

Vedi anche la trascrizione per 2 clavicembali e orchestra BWV 1062

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Bach compose probabilmente una decina di concerti per violino e orchestra, ma a noi ne sono
giunti soltanto tre: il Concerto in la minore BWV 1041, il Concerto in mi maggiore BWV 1042 e
il Concerto in re minore BWV 1043; ad essi va aggiunto un frammento di 50 battute di un
Concerto in re maggiore, in cui il violino solista è accompagnato da tre trombe, timpani, due
oboi e archi. I tre Concerti per violino conservati esistono anche in una trascrizione realizzata
dallo stesso Bach a Lipsia dopo il 1730 per clavicembalo e orchestra, rispettivamente BWV
1058 e BWV 1054 e per due clavicembali BWV 1062. Dei concerti perduti si conosce la musica
per via delle successive trascrizioni per cembalo; si tratta in sostanza del Concerto in re minore
per cembalo BWV 1052 che si richiama ad un analogo concerto violinistico perduto, del
Concerto in fa minore per cembalo BWV 1056 che deriva da un concerto per violino in sol
minore perduto e del Concerto in fa maggiore per tre clavicembali BWV 1064, proveniente da
un concerto per tre violini in re maggiore anch'esso perduto.

I concerti originali risalgono al periodo di Köthen, intorno al 1720, quando Bach era maestro di
cappella della corte e direttore della musica da camera del principe Leopold, e poteva disporre di
un ottimo violinista qual'era Joseph Spiess. Le trascrizioni invece appartengono al periodo di
Lipsia quando il compositore dirigeva brani cameristici per la Società di Telemann oppure
organizzava piccoli concerti familiari. In tali composizioni, secondo Alfred Dürr, «Bach accoglie
in generale la forma del concerto creata da Vivaldi, ma accosta ritornelli di Tutti ad episodi di
Solo, in quanto affida all'orchestra, anche durante gli episodi a Solo, parti elaborate
tematicamente. La sovrabbondanza di figure ornamentali, che si trova nelle parti solistiche di
concerti di altri compositori, in Bach lascia il posto ad una densità e ad una concentrazione
ottenuti mediante il costante impiego di figure tematiche». Certamente Bach tiene conto della
forma concertistica in tre movimenti realizzata nelle composizioni vivaldiane, anche se i suoi
concerti per violino e orchestra mirano ad un tipo di scrittura più solido e compatto. È vero che
non è documentato un rapporto diretto di conoscenza fra Bach e Vivaldi, ma è certo che la fama
del musicista italiano si era già diffusa in Germania intorno al 1706 e lo stesso Bach potè
prendere visione della famosa raccolta dell'op. III, denominata «L'estro armonico».

Secondo Alberto Basso « il rapporto Vivaldi-Bach si presenta con caratteristiche eccezionali e


con una problematica interna tutta particolare. Misteriosi sono i fili che legano i due musicisti, al
punto che risulta persino difficile immaginare qualcosa di analogo nell'intero arco della storia
della musica. Non è documentato un rapporto diretto di conoscenza, e questo rapporto, anzi è
estremamente improbabile. E' comunque un fatto assodato che Vivaldi, in quanto musicista e in
quanto compositore di concerti, era già noto in Germania intorno al 1708. L'attenzione di Bach si
concentrò soprattutto sulla raccolta dell' op. III (L'Estro armonico)... In ogni caso si deve rilevare
che tutti i concerti furono ridotti per cembalo da Bach da originali per violino: in altre parole,
l'equazione violino=cembalo è adottata sistematicamente da Bach, così come vale in assoluto
quell'altra equazione bachiana: due violini=organo ».

Per quanto riguarda il Concerto in re minore per due violini e archi BWV 1043 si può dire che
allo slancio ritmico dei due movimenti estremi, nei quali il tematismo è netto e chiaramente
caratterizzato, si contrappone la frase lirica e cantabile del tempo centrale in 12/8 con un
andamento tipicamente di siciliana. In tutti e tre i movimenti i due violini concertanti, così li
chiama Bach, si muovono su un piano di parità, scambiandosi trame melodiche e
contrappuntistiche con assoluta regolarità e precisione di scansione ritmica.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Grazie alle edizioni a stampa e alla circolazione di manoscritti, la lezione vivaldiana fece scuola
nell'Europa intera. Anche Bach assimilò il modello italiano e lo fuse con l'elaborazione
contrappuntistica derivata dalla tradizione tedesca.

Il Concerto in re minore per due violini BWV 1043 fu scritto a Köten, dove Bach fu
Kapellmeister a servizio del principe Leopold dal 1717 al 1723. Nel primo tempo, Vivace, si
alternano quattro ritornelli e tre episodi solistici, ma Bach combina questo schema italiano con la
fuga, la forma più complessa della musica contrappuntistica. I ritornelli presentano il soggetto
della fuga. Nei soli prevalgono le imitazioni tra i due violini che spesso procedono a canone,
suonando uno dopo l'altro lo stesso motivo. Anche se lo spessore sonoro è diminuito nettamente
rispetto al tutti, la scrittura è densa, e Bach ottiene la coesione nel movimento utilizzando spunti
del ritornello anche nei soli.

Il Largo, ma non tanto ha uno schema tripartito A-B-A, chiaramente derivato dall'aria col da
capo. Emerge la cantabilità calma e tranquilla dei due violini che, ancora a canone, intrecciano
uno dopo l'altro la melodia, mentre l'orchestra accompagna in sottofondo con una pulsazione di
accordi.

L'Allegro finale ha una forma a ritornello. Ma quest'ultimo compare integralmente solo all'inizio
e alla fine, mentre la seconda, terza e quarta ripresa ne presentano solo alcune sezioni. È un
modo di procedere molto frequente in Bach, che compone ritornelli più lunghi e complessi di
Vivaldi. Nei quattro soli l'autore utilizza lo stesso materiale: il secondo e il quarto episodio non
sono altro che il primo, ma trasportato in altre tonalità. Inoltre l'episodio iniziale è simile al
ritornello del Vivace: le sezioni si compenetrano una nell'altra, lo stile contrappuntistico si fonde
con quello concertante, tutto risponde ad un ordine razionale.

Roberta Gellona

BWV 1044 - Concerto per flauto, violino e clavicembalo

https://www.youtube.com/watchv=SqUohKkQ5A4

Allegro
Basato sul Preludio del Preludio e fuga BWV 894
Adagio ma non tanto e dolce
Basato sul secondo movimento della Sonata n. 3 per organo BWV 527
Tempo di allegro alla breve
Basato sulla Fuga del Preludio e fuga BWV 894

Organico: flauto traverso, violino, clavicembalo, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1730 - 1735 circa
Edizione: Schott, Magonza, 1838

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Nel 1737 Johann Adolf Scheibe, compositore e teorico di Lipsia, dalle colonne del periodico
"Der critische Musicus" critica Bach: gli riconosce la qualità di "compositore ingegnoso", ma la
sua musica gli appare troppo ampollosa per poter piacere, mancando di naturalezza e andando
contro la ragione. Suprema ingiuria: Bach viene apparentato al deteriore virtuosismo vocale del
melodramma italiano, giudicato, da Scheibe come poi dai riformatori, altrettanto artificioso e
inverosimile.

Quale sorpresa, il Settecento rimprovera gratuita ampollosità al compositore che, oggi, ci appare
come il più rigoroso, ascetico talvolta, difensore delle forme - contrappunto e fuga - offerte alla
musica dalla ragione. Ma la "ragione" bachiana può non coincidere con la "ragione" sensista,
"affettuosa", gradita al gusto del primo Settecento. Bach non imita, non descrive stagioni,
campagne, uccellini, battute di caccia, tempeste, pastorelle, sospetti, ritirate, notti, riposi, amori.
Non "profuma" la propria musica nelle essenze della natura. Non è verisimile, semmai è vero, né
più né meno del teorema sul quadrato dell'ipotenusa.

Un'altra riflessione critica settecentesca ribadisce l'inattualità bachiana rispetto al proprio tempo.
Nel 1752, a Berlino, il flautista, compositore e critico Johann Joachim Quantz, pubblica un
fortunato "Metodo per suonare il flauto traverso"; l'ultimo capitolo si presenta come una
ricognizione attorno ai tre stili allora codificati: «La maniera italiana di suonare è arbitraria,
stravagante, artificiosa, oscura, anche troppo temeraria e bizzarra; di difficile esecuzione,
consente l'introduzione di molti abbellimenti e comporta una notevole conoscenza dell'armonia,
ma desta negli inesperti più meraviglia che piacere... La maniera francese di suonare rende
schiavi, è di certo modesta, chiara, netta e pulita nell'espressione, facile da imitare, non profonda
né oscura, bensì a tutti intelleggibile e conveniente ai dilettanti... Quando si vorrà considerare la
musica dei tedeschi si noterà invero che da molto tempo hanno progredito alquanto non solo
nelle composizioni di precisa concezione armonica, ma anche nell'uso di molti strumenti. Poche
tracce s'incontrano del buon gusto e delle belle melodie, e tuttavia si dovrà rilevare che tanto il
loro gusto quanto le loro melodie si sono mantenuti, più a lungo di quanto sia avvenuto presso i
popoli vicini, alquanto piatti, aridi, scarni e semplici".

A quale "maniera di suonare" potrà venire assimilata la musica di Bach È "arida" (tedesca),
"facile da imitare" (francese), "stravagante e artificiosa" (italiana) Nell'incertezza della
decisione, può essere preferibile la rimozione e l'oblio. L'anomalia bachiana non persuade il
Settecento, galante o rivoluzionario: bisognerà attendere il 1802 per vedere stampata la prima
monografia sulla vita e l'opera del maestro. Ne è autore Johann Nikolaus Forkel, che nel
frontespizio del volume precisa la dedica: "per i patriottici adoratori della pura arte musicale".
Bach accede all'Olimpo, dove il posto è riservato agli eroi antichi, inattuali, e per questo
contemporanei.

Difficile ingabbiare in una "scuola nazionale" il Concerto in la minore per flauto, violino,
clavicembalo e archi (BWV 1044). L'opera risale al lungo periodo - dal 1723 alla morte - in cui
Bach ricoprì l'incarico di Director Musices a Lipsia; prima Kantor nella chiesa di San Tommaso,
poi direttore del Collegium Aureum fondato da Telemann, aveva l'obbligo di fornire musica -
ogni genere di musica - in quantità difficili da immaginare per un compositore di oggi, anche il
più disinvolto, prolifico e tecnologicamente fornito.
La datazione può tentare di essere più precisa, soffermandosi attorno al periodo 1730-1735,
quando Bach compone la massima parte dei propri Concerti per clavicembalo: un genere e uno
strumento graditi ai più influenti committenti e consumatori di musica di Lipsia. Con
disinvoltura suggerita dall'urgenza e dalla vorace richiesta, il Kantor riutilizza i concerti scritti
per la corte di Köthen (1716-1723), trasponendoli all'interno di alcune cantate sacre (ed
elaborando anche versioni per organo dell'originale scrittura clavicembalistica), oppure per
nuovi numeri del proprio catalogo concertistico.

L'opera che si esegue questa sera ha, nella pratica degli auto-imprestiti, una propria specificità,
sia nelle matrici di cui è libero calco, sia nell'organico: il primo e il terzo tempo sono trascrizioni
e adattamenti del Preludio e fuga in la minore (BWV 894), l'Adagio centrale trova il proprio
antecedente nel tempo lento della Sonata III in fa maggiore per organo (BWV 527). La scelta
degli strumenti solisti - flauto, violino e clavicembalo - rimanda all'unico precedente del Quinto
Concerto Brandeburghese. La successione delle tonalità rispetta l'impianto tonale delle opere
ispiratrici.

La prima edizione a stampa è del 1848, nel pieno della Bachforschung.

A quale scuola ascrivere la filigrana fittissima di suoni che si sprigiona dal clavicembalo, quel
prodigio di "energia cinetica" (Ernst Kurth), di astrattissima forza che sigla l'opera Scrive
Alberto Basso: "La vera conquista sta nell'aver saputo conferire al clavicembalo una posizione di
prestigio in mezzo all'orchestra, portandolo con un'abile quanto imprevedibile mossa
d'arroccamento, al livello immediatamente superiore a quello degli altri strumenti; da semplice e
appartato strumento del continuo, nascosto nella massa del tutti, a strumento ben piazzato in
primo piano, isolato talvolta, elevato alla dignità di principe, di conduttore del discorso, con
un'incalzante e costante presenza come elemento concertante. Una mossa fulminante, mai prima
di allora pensata (appena adombrata nel guizzante toccatismo del Quinto Concerto
Brandeburghese)... In tal modo Bach spaccava in due la monolitica e compatta veste del
concerto: da un lato il tutti degli archi, dall'altro il cembalo con il suo meccanico e singolare
comportamento, ben più articolato e complesso di quello che si era soliti affidare agli strumenti
melodici».

Flauto e violino entrano nella lucente tela di ragno del cembalo, avviano il dialogo strumentale,
tra annunci e risposte, tra soli e tutti. Nella cura della dinamica, nella ricerca di effetti timbrici,
nel frequente variare dei valori di durata, Bach rivela l'omaggio all'ammirato Vivaldi. Il
conserere prevale sul concertare, la collaborazione sull'opposizione, la ricerca di una
complessiva densità e unità dell'opera importa più dell'abbondanza di ornamenti e variazioni. Si
genera così un meccanismo propulsivo, un vettore musicale sospinto da un'energia ritmica che
procede tutt'altro che uniforme e prevedibile, ma per sbalzi frequenti. Lo scorrere dell'energia
musicale crea spaesamenti improvvisi e drammatici, incommensurabili ad un gusto galante: il
pizzicato scandisce il procedere del clavicembalo, gli archi gravi riprendono la figura tematica,
sulla quale si inarca il disegno del flauto e - senza pretese descrittive o naturalistiche - il clima si
incupisce. Più raccolto, affidato - come l' Affettuoso del Quinto Brandeburghese - soltanto
all'intreccio dei tre solisti, con esclusione del tutti, si sviluppa l'Adagio ma non tanto e dolce; il
concerto diventa ora occasione di meditazione: gli è estranea l'ostinazione di altri tempi lenti dei
concerti bachiani e si trasforma in uno studio di danze, galante e tuttavia non "ampolloso", se nel
suo incedere le divagazioni del violino increspano il più disteso dialogare di flauto e
clavicembalo. Il finale propone il focoso astrattismo bachiano, nel concatenarsi del contrappunto
e della fuga; ma la geometria della forma, che si colora dei timbri dei solisti e si spezza nelle
strappate degli archi, si sospende nelle dodici battute della cadenza del cembalo: riferimento alla
grande cadenza (65 battute) del Quinto brandeburghese. Il cembalo ritorna ad essere "principe",
nella tipicità di un suono che a noi, ubriachi di sonorità dense e ridondanti, risulta oggi di
difficile decifrazione e consumo; freddo e luminoso, appuntito e avvolgente, innaturale eppure
così "ragionevole", anzi bachiano.

Sandro Cappelletto

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Per quanto possa vantare un precedente nell'impostazione del Concerto Brandeburghese n. 5, il


Concerto in la minore BWV 1044 è un'opera di forma atipica e di genesi ugualmente singolare.
La datazione è come sempre riferita al periodo di Köthen, con rimaneggiamento negli anni di
Lipsia ad uso del Collegium Musicum. In questo caso, però, più che di una composizione
originale, si tratta di un vero e proprio collage che Bach realizzò partendo da altri brani già
scritti, opportunamente riadattandoli alla nuova destinazione. I due movimenti estremi sono una
trascrizione del Preludio e Fuga in la minore per clavicembalo BWV 894. Il tempo centrale
invece deriva dal corrispondente movimento della Sonata in fa maggiore per organo BWV 527.

La nuova forma assunta dalla composizione ricalca le formule dello stile italiano, relegando
l'orchestra sullo sfondo di un gioco sonoro fra i solisti che rispecchia forse per la prima volta lo
spirito mondano e disimpegnato dell'intrattenimento di corte o da salotto. Anche in questo caso
però Bach istituisce rapporti nuovi fra gli strumenti, ripartisce il materiale melodico fra l'uno e
l'altro in modo che essi si rimandino di continuo le idee o le proseguano in direzioni diverse.
Anche nell'occasione della maggiore leggerezza concettuale, dunque, egli prosegue quel lavoro
di ricerca linguistica che dà alla sua musica sempre una carica sperimentale, una volontà di
riforma e di rinnovamento che sono proprio quanto, del patrimonio spirituale protestante, egli
mantiene anche nella sua produzione profana.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nel Concerto in la minore per flauto traverso, violino e clavicembalo BWV 1044 incontriamo
prestiti e autocitazioni: il suo primo tempo, Allegro, riprende il Preludio e fuga in la minore
BWV 894 per clavicembalo risalente agli anni di Weimar (intorno al 1717), mentre il secondo
movimento utilizza l'analogo movimento della Terza Sonata per organo BWV527.

Il ritornello dell'Allegro è ritmicamente caratterizzato dalle regolari semicrome degli archi, che
alternano gruppi di quattro note a terzine; il discorso si anima subito con l'ingresso dei due
solisti, che riprendono il ritornello precedente e subito lo sviluppano in un vivace dialogo. La
trama incalza senza tregua, sostenuta ritmicamente dalle terzine ben scandite del clavicembalo,
la cui scrittura musicale si va facendo intensa (accordi di cinque note in stretto ritmo puntato); un
nuovo episodio solistico, dominato dal clavicembalo, porta poi a do maggiore, tonalità nella
quale viene ripetuto il ritornello (tutti). Ma non è ancora terminato lo sviluppo tematico: il
ritornello viene ora sottoposto a un'intensa elaborazione attraverso numerose progressioni
modulanti. La ripresa del ritornello viene subito seguita da un episodio di sviluppo, basato sulla
ripetizione in imitazione dell'incipit del tema principale. L'ultimo solo vede protagonista ancora
il clavicembalo con velocissime figurazioni, sostenute dagli archi in pizzicato.

L'Adagio, ma non tanto, e dolce è tutto giocato sull'intercambiabilità di due elementi musicali: la
melodia principale, cantabile e distesa, e gli arpeggi ornamentali, affidati di volta in volta ai tre
solisti con combinazioni timbriche sempre diverse. La pagina si apre con la melodia al flauto
traverso e alla mano destra del cembalo, mentre il violino sostiene in pizzicato; la ripetizione di
questa prima parte vede la melodia affidata ora a violino e clavicembalo, mentre il flauto orna
con delicati arpeggi, La melodia passa poi a flauto e cembalo, con gli arpeggi in pizzicato del
violino. Nella sua ultima apparizione, il tema viene affidato al violino e al clavicembalo,
sostenuti dagli arpeggi del flauto traverso,

Ancora contrappunto nell'Alla breve conclusivo, che presenta una scrittura musicale ricca e
intensa, tipicamente bachiana. L'incedere iniziale è molto solenne, gli episodi solistici, sempre
elaborati, si alternano al ritornello con fluidità. Non mancano effetti timbrici suggestivi, come il
pizzicato degli archi, ma in generale il discorso musicale è saldamente legato alle origini
contrappuntistiche dell'arte di Bach. Dal tessuto orchestrale si levano le voci degli archi e del
flauto con frammenti motivici del ritornello ora in imitazione, ora in progressione, per
raggiungere più avanti il culmine della densità contrappuntistica e armonica dell'intera
composizione. Una cadenza del clavicembalo precede l'ultimo ritornello.

Alessandro De Bei

BWV 1045 - Movimento di concerto per violino

https://www.youtube.com/watchv=4P8I-4vOGwQ

Concerti brandeburghesi

https://it.wikipedia.org/wiki/Concerti_brandeburghesi

https://www.youtube.com/watchv=efosxyYOhBQ

https://www.youtube.com/watchv=hp53Jh6qO6Q

https://www.youtube.com/watchv=1ydK9RG8-h0

BWV 1046 - Concerto brandeburghese n. 1

https://www.youtube.com/watchv=e0c-qGMTb1E

https://www.youtube.com/watchv=TGZkPsTtHkM

https://www.youtube.com/watchv=IHjz_VyuCkg
Allegro
Adagio (re minore)
Allegro
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 207
Menuetto - Trio I - Polacca - Trio II
Utilizza il Ritornello n. 7 della Cantata BWV 207

Organico: 2 corni, 3 oboi, fagotto, violino piccolo, 2 violini, viola, violoncello, violone,
clavicembalo
Composizione: 1721
Edizione: Peters, Lipsia, 1850
Dedica: margravio Christian Ludwig von Brandenburg

Versione definitiva della Sinfonia BWV 1046a

Guida all'ascolto 1

La sera del 28 Luglio 1750 si chiude a Lipsia, la lunga giornata terrena di Johann Sebastian
Bach.

Forkel, suo primo biografo, ci racconta che dopo anni di intenso studio della musica la vista di
Bach andò peggiorando finché su consiglio di un amico, «che aveva fiducia in un medico
londinese, Bach si sottopose, coraggiosamente, a due interventi chirurgici che però fallirono.
Non solo perdette del tutto la vista, ma anche la sua costituzione, fino allora così vigorosa, fu
irrimediabilmente scossa, forse a causa di farmaci dannosi. La sua salute continuò a peggiorare
per più di sei mesi, finché, la sera del 28 Luglio 1750, Bach, all'età di sessantasei anni, si
addormentò per sempre. Un mattino, dieci giorni prima di morire, poté nuovamente vedere e
sopportare la luce, ma poche ore dopo fu colpito da un attacco apoplettico, e nonostante le cure
prodigategli dai medici, il suo organismo ormai stremato non poté più resistere all'acuto stato
febbrile».

Con la morte di Bach scompare l'ottimo organista della chiesa di San Tommaso a Lipsia, gli
eredi ne disperdono i manoscritti musicali, la vita musicale prende nuove strade e solo rari
organisti continuano ad utilizzare qualche corale durante i servizi della liturgia luterana. Meno di
cinquant'anni dopo la sua scomparsa, la tecnica esecutiva necessaria per leggere ed eseguire i
suoi lavori sembra definitivamente scomparsa.

La data fatidica della rinascita bachiana è il 5 Novembre 1793 quando a Berlino un piccolo
gruppo di suoi antichi discepoli, fonda la SingAkademie (Accademia di canto) nella quale gli
originali 27 cantori iniziano faticosamente a studiare ed a proporre al pubblico la musica vocale
di Bach.

Negli anni seguenti entra nella compagine il giovane Felix Mendelssohn-Bartoldy che l'11
Marzo 1829 esegue a Berlino con enorme successo, la Passione secondo Matteo. Il recupero
della figura e del lavoro di Johann Sebastian Bach è cosa fatta.
Nato a Eisenach il 21 Marzo 1685 in una famiglia dedita alla musica da almeno quattro
generazioni, e rimasto orfano di padre e di madre a dieci anni, Bach inizia la sua vita di
musicista come fanciullo cantore a Lüneburg studiando appassionatamente i testi musicali della
fornita biblioteca locale.

Nel 1703 entra come violinista alla corte di Weimar ed avvia la sua carriera di musicista che si
snoda nell'arco della sua vita con prestigiosi incarichi prevalentemente organistici nelle chiese
luterane tedesche. Bach era considerato il migliore collaudatore di organi della sua epoca.

Segnato da una profonda religiosità e dalla passione per l'approfondimento della musica che
coltiva con passione certosina, rappresenta la sintesi delle forme strumentali che gli organisti del
Seicento avevano elaborato e l'apertura alle nuove voci musicali che gli pervengono da altri
paesi. Comprende ed assimila la grazia dei clavicembalisti francesi ma soprattutto studia gli
italiani con particolare riferimento a Vivaldi del quale trascrive numerosi concerti.

Tutte queste esperienze confluiscono poi nella costruzione della monumentale mole della musica
ad uso della liturgia luterana.

La vita di Bach fu quella di un onesto e laborioso organista tedesco del nord. Ebbe due mogli e
una ventina di figli, dei quali dieci sopravvissutigli, tutti musicisti e, tre almeno, tali da occupare
un posto cospicuo nella storia. Una fede religiosa improntata a robusta e sana energia, una
concezione di vita lietamente operosa e feconda, erano le caratteristiche della casa. «La vita
familiare del tempo dei Bach non conosceva morbidezze di sentimento, né lacrime, né baci»
(Ernst Borkowsky). Alle sei del mattino tutti i numerosi Bach grandi e piccini saltavano
puntualmente giù dal letto e radunati intorno al clavicembalo nella stanza da lavoro cantavano un
inno di grazie al Signore. «C'era una devozione virile, una fede esatta e senza riserve, semplicità
di cuore, fiducia nella forza della preghiera. Mai l'incertezza del dubbio, ma sempre sicurezza di
vita, esatto adempimento di dovere, allegra operosità. Nessuna debolezza nella vita e nel lavoro
quotidiano» (Borkowsky). Massimo Mila nota ancora che «la sua Immensa produzione musicale
fu messa assieme con un lavoro assiduo, metodico e tranquillo, eseguito con scrupolosa cura di
artigiano ed inteso, senza alcuna posa, come servizio di Dio. Senza posa, che se Bach fosse stato
calzolaio, avrebbe fatto a maggior gloria di Dio un numero sterminato di scarpe, tutte
accuratamente lavorate e finite».

Dal 1717 Bach si trova alla corte di Cöthen con l'incarico di maestro di cappella, ed ha
l'occasione di soddisfare l'invito di Christian Ludwig, margravio del Brandeburgo, di scriveredei
pezzi per la sua orchestra.

I Six concerts avec plusieurs instruments, inviati il 24 marzo 1721 da Johann Sebastian Bach, e
battezzati nel 1873 dal grande biografo del compositore, Philipp Spitta, Concerti brandeburghesi,
costituiscono un affascinante laboratorio delle possibilità di scrittura per gruppo strumentale,
indagate attraverso una straordinaria varietà di soluzioni compositive. In realtà piuttosto che ad
una serie di concerti scritti per un'occasione specifica ci troviamo di fronte alla bella copia
autografa di opere già (in parte) composte in precedenza. In vista della raccolta i concerti
vennero ordinati secondo un piano di perfetta simmetria (per due volte ricorre la serie di due
concerti grossi e uno di gruppo, quasi fossero due libri, scrive Alberto Basso), per proseguire la
loro vicenda oltre il 1721, quando, ormai a Lipsia, Bach avrebbe impiegato singoli movimenti
all'interno di nuove cantate.

Nei Brandeburghesi il compositore coniuga la lezione assimilata dai modelli italiani (Vivaldi
Corelli Albinoni e Alessandro Marcello) col contrappunto rigoroso e con alcune strutture della
musica vocale, imprimendo una sigla personalissima a questo genere d'avanguardia nel
panorama musicale dell'epoca. Da vero maestro dell'integrazione, in grado di compendiare in un
ideale enciclopedico i tratti di un'intera civiltà Bach utilizza di volta in volta con somma libertà
le forme principali dei suoi tempi: il concerto grosso, in cui un concertino di pochi strumenti si
contrappone all'intera orchestra d'archi, denominata appunto concerto grosso; il concerto
solistico tripartito, con la sua alternanza razionale di episodi solistici e ritornelli orchestrali; il
concerto di gruppo, nel quale non emergono protagonismi di singoli attori; la sonata da camera,
a tre e a quattro. Sul versante della strumentazione occupa la scena musicale un caleidoscopio di
colori che conosce pochi eguali nel tardobarocco europeo: un gusto per la preziosità timbrica -
nella scelta degli strumenti e nella loro combinazione - che troverà in seguito espressione nelle
grandi pagine vocali lipsiensi (le passioni, le cantate, l'Oratorio dì Natale). Istanze stilistiche
divergenti vengono dunque conciliate all'insegna di una «stravaganza» che permette a questo
gruppo unico di opere, rappresentative di un'intera stagione creativa del loro autore, di svettare
in un frangente storico cruciale: a conclusione di quel secondo decennio del Settecento in cui il
concerto italiano si era affermato attraverso l'editoria musicale internazionale.

Il Concerto n. 1 in fa maggiore BWV 1046 esibisce già dal primo tempo, con grande energia e
impatto fonico, uno spiegamento di forze imponente: 2 corni, 3 oboi, fagotto, archi e basso
continuo, ai quali Bach sovrappone la parte solistica dell'insolito violino piccolo, (strumento di
dimensioni ridotte accordato una terza minore sopra la norma, che veniva utilizzato nella musica
barocca per sopperire alla mancanza della quarta corda nei normali violini dell'epoca). Articolato
in un'anomala struttura in quattro tempi (unica fra i concerti bachiani), la peculiarità del Primo
brandeburghese è l'oscillazione tra il riferimento italiano alla forma del concerto grosso e una
serie di ammiccamenti a elementi stilistici francesi, in particolare con la musica da danza, cui si
richiama scopertamente il movimento conclusivo.

La caratteristica principale dell'Allegro iniziale è rappresentato dalla costante presenza dei corni
che sostengono il discorso musicale con figurazioni semplici ma comunque impegnative ed
acusticamente cospicue, affini ai coevi richiami di caccia.

Il predominio del timbro dei fiati risulta evidente già dalla serrata dinamica dell'esordio; nella
frase di apertura gli archi sostenuti dai corni, presentano il loro tema che si intreccia con un
controtema presentato in contrasto, dagli oboi. Nel primo vero episodio del concerto il tema
principale passa agliOrganico Concerto n. 1 oboi. Segue una sezione centrale a piena orchestra
dominata dalla presenza dei corni. Il secondo episodio è presentato dai corni, dagli oboi e dai
violini che eseguono un passaggio in imitazione al quale fa seguito una esposizione a piena
orchestra. Il terzo episodio ha un inizio di tipo solistico con entrate successive in imitazione, dei
corni, degli oboi e dei violini sul sostegno del basso continuo e sfocia nella parte conclusiva del
brano in cui la piena orchestra riassume le parti salienti che abbiamo ascoltato.

L'Adagio presenta tratti stilistici spiccatamente italiani: attacca quasi fosse un tempo di concerto
per oboe e archi, per rivelarsi ben presto, all'ingresso del violino piccolo, concepito per una
coppia di solisti, ai quali si aggrega inaspettatamente anche la calda voce degli strumenti bassi,
attratta nell'intenso gioco imitativo. Nella sezione centrale ascoltiamo un serrato gioco imitativo
tra oboe e violino piccolo con la comparsa del tema anche al basso. La ripresa abbreviata della
prima parte è chiusa dalla cadenza affidata all'oboe che aveva aperto questa bella pagina in re
minore.

Il violino piccolo riprende la supremazia nell'Allegro seguente contrastando brillantemente


l'orchestra con un tema insieme stilizzato e vigoroso. Dopo un esordio con tutta l'orchestra,
abbiamo un primo episodio solistico in cui il violino piccolo espone il tema entrando poi in
dialogo prima con tutta l'orchestra e poi con il primo corno. Il tema passa poi al violino I e viene
ripreso da un fraseggio fra oboi ed archi. La sezione centrale presenta un materiale tematico
nuovo con una fitta dialettica tra il violino piccolo e gli altri strumenti e si chiude con due battute
in tempo di Adagio. L'Allegro successivo propone un nuovo episodio solistico: il tema esposto
dal violino piccolo passa poi a tutta l'orchestra che si avvia alla chiusura del brano.

L'appendice «francese» che forma l'ultimo tempo (quasi una suite in miniatura) alterna un
florilegio di pagine differenziate timbricamente. La sequenza si apre con la grazia misurata del
Menuet a organico pieno che lascia spazio alle sonorità ovattate dei legni nel Trio I in re minore
per 2 oboi e fagotto; dopo la ripetizione del Menuet la compagine omogenea degli archi soli
presenta la Poloinesse (così nell'autografo: si tratta naturalmente della Polonaise o Polacca);
nuova ripetizione del Menuet seguita dalla squillante fanfara dei due corni solisti con
accompagnamento degli oboi all'unisono nel Trio II; ripetizione finale del Menuet.

Terenzio Sacchi Lodispoto

Guida all'ascolto 2 (nota1)

Una tradizione forse non infondata vuole che i sei Concerti offerti nel 1724 da Bach a Christian
Ludwig, Margravio del Brandeburgo, siano stati archiviati dai bibliotecari di corte senza essere
stati eseguiti neppure una volta. Fin troppo facilmente oggi riconosciamo in questo gesto non
tanto la miopia del committente, che aveva fama di grande intenditore, quanto piuttosto il
riflesso dei rapporti di potere che allora collocavano il musicista nel rango di un servitore,
riservando ai suoi prodotti un'accoglienza alterna e spesso distratta. Per un altro aspetto, tuttavia,
lo zelo dei bibliotecari di Köthen corrisponde in modo efficace all'essenza di quei concerti, è un
simbolo del loro senso storico, anche se irride la loro qualità musicale. Queste pagine di Bach,
infatti, sembrano riassumere un'epoca proprio nel momento in cui la archiviano, minacciando
con la loro esuberanza i limiti delle forme musicali esistenti.

Ciò non vuol dire che i Concerti Brandeburghesi siano qualcosa come la "vetta", la
"conclusione" o anche solo un "repertorio" della musica strumentale barocca: essi tendono
piuttosto a ricondurre gli elementi di quella musica nell'unità di una configurazione ideale, in un
sistema aperto, sono il supporto materiale di una memoria che non divide in modo meccanico
l'antico dal moderno, ma agisce in modo più complesso, secondo un insieme di tecniche
intimamente legate all'esperienza del sacro che attraversa tutta l'opera di Bach. Mentre sembra
registrare nel dettaglio l'orizzonte musicale in cui vive, egli mette in crisi la visione lineare del
movimento storico, confonde volutamente i tempi, mescola le cronologie, pone gli uni accanto
agli altri elementi di epoche e provenienze differenti. Il risultato è appunto quello di un
"archivio" che consegna al presente la possibilità di riattivare continuamente il proprio rapporto
con l'origine, di riconoscersi in una discendenza che ripete in forme sempre diverse il destino
esemplificato dalla vicenda del Cristo: a questa connessione si riportano infatti la coscienza della
finitezza, il senso della mortalità e il bisogno di redenzione che sono posti da Bach alla radice
stessa della sua nozione di bellezza. Persino una certa esteriorità di queste pagine, concepite
come musica da intrattenimento, appare funzionale a un richiamo etico che invita a considerare
in modo diverso il rapporto con il passato.

Il richiamo di Bach, tuttavia, rimase di fatto inascoltato, e senza seguito rimasero anche le
invenzioni e le numerose innovazioni stilistiche da lui adottate nei Brandeburghesi. La
circolazione di questi lavori fu infatti tardiva e quando furono riscoperti, così come quando nel
corso dell'Ottocento il biografo Friedrich Spitta diede loro per la prima volta il titolo con il quale
oggi sono conosciuti, essi non potevano più esercitare una reale influenza sulla pratica musicale
dei nuovi compositori. L'archiviazione dei bibliotecari di Köthen ha in tal senso un valore
opposto a quello che abbiamo attribuito alla musica di Bach: equivale a una rimozione che
insieme alle partiture dei Brandeburghesi occulta un modello di interpretazione storica.

L'originalità della proposta di Bach non è tuttavia sfuggita ai critici e agli interpreti,
specialmente a quelli che in epoca recente hanno cercato di evidenziare il carattere unitario e
sistematico dei Brandeburghesi. Nikolaus Harnoncourt ha descritto ad esempio il paradosso in
base al quale proprio la diversità delle forme e la singolarità delle soluzioni musicali sarebbero
alla radice del senso di unità che promana da queste pagine. «Ogni concerto è scritto per una
destinazione strumentale differente», nota Harnoncourt, «e la diversità delle forme è estrema
almeno quanto quelle che riguardano la strumentazione e lo stile». Nei Concerti Brandeburghesi
troviamo in effetti gli uni accanto agli altri i modi tipici dello stile francese, quelli cantabili del
concerto italiano, la condotta severa del contrappunto, l'impasto moderno della sinfonia e la
sequenza arcaica della suite, la tecnica delle cantate sacre e quella delle sonate da camera.
Persino l'unità di riferimento più immediata, la forma del concerto grosso, diventa nelle mani di
Bach un involucro capace di rinnovarsi continuamente e di accogliere una quantità innumerevole
di inserzioni spurie. Harnoncourt definisce tutto questo come un «catalogo» della musica
barocca e, al tempo stesso, di tutto ciò di cui Bach era capace come musicista. Questo spirito di
compilazione, cui non sono estranei neppure gli interessi pedagogici sempre coltivati da Bach,
indica in modo molto chiaro quale fosse per lui la funzione realmente rilevante della Hofmusik,
della musica di corte. Quando non è improntata al raccoglimento del genere sacro, quando non
nasce dalla meditazione privata o non deriva direttamente da esigenze speculative, la musica
diventa per Bach un'occasione per descrivere la propria collocazione storica e per risvegliare, nel
presente, il senso della pietas nei confronti delle tracce del passato, senza lasciarsi travolgere
dall'ansia del superamento, quasi che nei Concerti Brandeburghesi egli abbia voluto riprodurre il
gesto istitutore e conservatore, rivoluzionario e tradizionale che è proprio, in fondo, di ogni
concetto dell'archivio.

La concezione dei Brandeburghesi è dovuta anche alla stratificazione del loro lavoro di scrittura.
Bach non li compose espressamente per la raccolta da offrire a Christian Ludwig, ma li elaborò
probabilmente in tempi anche lontani, nel corso del quindicennio che copre il periodo del suo
impiego alla corte di Weimar e il suo trasferimento a Köthen. Le differenti versioni autografe che
ci sono pervenute e l'importanza delle modifiche di volta in volta apportate dall'autore mostrano
come lo stato definitivo dei Concerti Brandeburghesi sia il risultato di un lavoro di montaggio
rigoroso e inventivo, ma per lo più non preordinato. Così l'intervento delle parti solistiche viene
ampliato o ridotto in rapporto all'aggiunta di una parte nuova, mentre un movimento già
utilizzato in altri contesti, per esempio in una cantata, viene ora collegato all'organismo del
concerto attraverso l'inserzione di un raccordo che ne riorganizza la sostanza musicale. La
varietà non è dunque un principio programmatico della composizione di questi concerti, ma è un
effetto naturale del lavoro pratico, è il riflesso di un atteggiamento intellettuale che si confonde
con l'esercizio stesso del magistero musicale bachiano.
***

La raccolta dei Brandeburghesi inizia con una pagina improntata allo stile francese e che in una
prima versione portava il titolo di Sinfonia, non di Concerto. Il movimento iniziale compariva
già, come introduzione, nella cosiddetta Jagdkantate (Cantata della caccia) BWV 208, e da
questo inizio deriva la concezione appunto "sinfonica" di un brano in cui lo spirito di gruppo
prevale rispetto alla condotta solistica di un singolo o di più strumenti. Una parte di rilievo è data
tuttavia ai corni da caccia, assenti solo nell'Adagio, e al violino piccolo, uno strumento allora
molto di moda in Francia e che con il suo timbro acuto emerge dal tessuto musicale anche senza
bisogno di una scrittura virtuosistica troppo accentuata. La struttura è ampia e nella versione
finale consta di quattro movimenti: questo comportò per Bach una sostanziale revisione del
finale, dove l'alternarsi di due danze, un minuetto e una polonaise, si combina con la ripetizione
ciclica del trio in una forma che combina lo spirito arcaico della suite e quello più "moderno" del
rondo.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 3 (nota 2)

I Concerti brandeburghesi sono non soltanto il culmine della produzione di Bach per la
«camera», ma la ricapitolazione più autorevole e definitiva della forma barocca del «Concerto»,
in ogni suo aspetto e prospettiva; forma nata e sviluppata fuori della tradizione tedesca, e giunta
a Bach dall'Italia e subito trasformata in oggetto di attenzione e di studio particolare. La
composizione dei Brandeburghesi, che, si colloca fra il 1720 e il 1721, ha infatti un «preludio»
addestrativo che risale agli anni del soggiorno a Weimar (1708-1717), quando Bach era
«organista di corte e musico da camera» nella cappella del reggente duca Wilhelm Ernst.

La cappella del duca era un centro di musica italiana e qui Bach deve essersi incontrato con i
primi esempi di Concerti strumentali italiani e segnatamente con la folgorante op. III (L'estro
armonico) di Antonio Vivaldi. Una pagina della storia della musica strumentale infatti è,
tradizionalmente, riservata ai rapporti Bach-Vivaldi, il numero di 20 concerti che la prima
edizione della «Bachgesellschaft» considerava come elaborazioni di altrettanti concerti di
Vivaldi, è stato quasi sempre dimezzato, ma ciò non toglie che l'omaggio al maestro veneto reso
attraverso la forma quanto mai attiva della trascrizione, costituisca un caso unico di umiltà e
intelligenza. In stile italiano del resto sono scritti i concerti pure trascritti da Bach per
clavicembalo e organo, di Telemann e del fratello di Wilhelm Ernst, il principe Johann; e altre
elaborazioni di composizioni di Corelli, Albinoni, Marcello mostrano l'apertura del musicista
verso i tratti peculiari del concerto italiano. Studi recenti hanno spostato l'asse degli influssi
italiani su Bach da Weimar a Dresda; il numero delle composizioni di Vivaldi (un centinaio
circa) custodito nella Biblioteca Nazionale di Sassonia indica in Dresda un vero centro
vivaldiano. Bach vi fu più volte, e certamente nell'autunno del 1717 (occasione in cui
«gareggiò» all'organo con Louis Marchand), appena liberatosi dai suoi impegni a Weimar;
proprio in quel tempo giungeva da Venezia a Dresda J. Georg Pisendel, virtuoso di violino e
discepolo di Vivaldi, portandosi dietro un'abbondante messe di opere del veneziano.

Ora, ai primi di dicembre dello stesso 1717, Bach si trasferiva con la moglie e i quattro figli a
Cöthen, dove il principe regnante Leopold gli aveva affidato la carica di Kapellmeister: una
fortunata coincidenza portava il musicista in una sede ideale per condurre a compimento, tutta la
precedente esperienza strumentale cameristica. Cöthen era un vero laboratorio per la musica
strumentale: il principe regnante Leopold era un ottimo suonatore di viola da gamba, buon
violinista e cembalista; e la competenza musicale sembrò tradursi sul piano umano, facendo di
Bach un amico e confidente; per di più il Collegium musicum di corte, forte di 18 elementi, era
formato di strumentisti di grande abilità; e per intuirne il valore basti pensare alle composizioni
di Bach per strumenti soli (Sonate e Partite per violino solo e col clavicembalo, Suites per
violoncello, Sonate per viola da gamba e cembalo, Sonate per flauto) che nacquero proprio dal
contatto con i «virtuosi» dell'orchestra di Cöthen: fra altri, ricordiamo i nomi del violinista
Spiess, dell'oboista Rose, del flautista Freytrag, del trombettista Schreiber, aiquali, in definitiva,
spetta in buona parte il vanto di aver provocato anche i Brandeburghesi.

Purtroppo, questa felicità di condizioni creative fu solo di breve durata per il musicista: nel
dicembre 1721 il principe Leopold sposava la cugina Friederike Henriette poco propensa alle arti
(«amusa», come la chiamava Bach) e in grado di influenzare negativamente il marito nelle sue
attenzioni alla vita musicale. Bach, per il quale la musica rivestiva una funzione sopra ogni cosa
educativa, formativa, alla quale non poteva rinunciare, sentendo divenire angusto lo spazio per la
sua attività, volse altrove le sue mire; nel 1723 quando la principessa muore precocemente, Bach
è già impegnato dalla nomina di Cantor presso la chiesa di San Tommaso a Lipsia, spinto a
questo passo anche dal desiderio di far frequentare l'università ai propri figli.

Si sa qaunto le controversie, le polemiche con le autorità scolastiche e con la pubblicistica


orientata verso il nuovo gusto settecentesco, abbiano amareggiato molti degli anni lipsiensi di
Bach, contribuendo anche a spingerlo, con l'adozione della più severa tecnica contrappuntistica,
su posizioni di fiero e voluto isolamento. E sarà allora il momento, per il musicista, di rivolgersi
col pensiero pieno di rimpianto al periodo di Cöthen, come al più felice della sua vita; come si
legge nella lettera del 28 ottobre 1730 all'amico Georg Erdmann: «...Voi conoscete nei dettagli
quale fu il mio destino in gioventù, fino al mutamento che mi condusse a Cöthen in qualità di
Kapellmeister. Qui trovai un principe clemente e tanto buon conoscitore quanto dilettante di
musica, presso il quale contavo di terminare gli anni della mia vita...».

Il titolo, universalmente noto, di Concerti Brandeburghesi non è originale e risale alla famosa
monografia «J. S. Bach» (1873-1880) di Philipp Spitta; deriva dalla dedica a Christian Ludwig,
margravio di Brandeburgo (1677-1734) che teneva una cappella musicale nella residenza di
Malchow, nei pressi di Berlino. Bach gli fece visita quando alla fine del 1718 e nei primi mesi
del 1719 si recò a Berlino per commissionare la fabbricazione di un clavicembalo e quindi per
acquistarlo: tuttavia, le ragioni della donazione dei sei Concerti restano tuttora per gli storici un
mistero insoluto, poiché né la cappella musicale del margravio era in grado (col ridotto organico
a disposizione) di gareggiare con quella di Cöthen, né risulta che Bach abbia ricavato dall'offerta
alcun vantaggio materiale.
Il Concerto brandeburghese n. 1 in fa maggiore presenta un'anomalia, perché l'usuale scrittura
concertistica in tre tempi viene ampliata con l'aggiunta di un minuetto con tre trii. Il primo
movimento ricorda l'ouverture francese, con il suo andante grandioso e solenne. Nell'Andante
l'oboe e il violino dialogano nello stile recitativo e il discorso a due continua nel terzo
movimento, con gli interventi solistici del violino, dell'oboe e del corno. Il Minuetto è arricchito
da trii, affidati al mobilissimo gioco dei fiati; la Polacca di tono sereno e tranquillo utilizza i soli
archi. Anche in questo caso Bach si servì di questo Concerto per altri brani musicali. Il terzo
tempo venne ripreso con il suo ritmo in 6/8 nella cantata «Vereinigte Zwietracht der
wechselnden Saiten» (n. 207, composta nel 1726), in cui il terzo trio in 2/4 venne adattato come
un ritornello in re maggiore, a guisa di marcia. Il primo tempo divenne più tardi la sinfonia della
cantata «Falsche Welt, dir trau'ich nicht» n. 52 (composta nel 1730) e il terzo tempo fu
trasformato ancora una volta nel corale della cantata «Auf, schmetternde Töne» n. 207 a del
1734.

BWV 1046a - Sinfonia

https://www.youtube.com/watchv=wppcQaStOpE

BWV 1047 - Concerto brandeburghese n. 2

https://www.youtube.com/watchv=4JBUl-wBSZI

https://www.youtube.com/watchv=2oEJy5daT5A

https://www.youtube.com/watchv=IETYYTMtL6U

...
Andante (re minore)
Allegro assai

Organico: tromba, flauto a becco, oboe, violino cocertante, 2 violini, viola, violone, violoncello,
clavicembalo
Composizione: 1719
Edizione: Peters, Lispia, 1850
Dedica: margravio Christian Ludwig von Brandenburg

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La denominazione di Concerti Brandeburghesi non è originale ma risale allo Spitta, il primo


autorevole studioso di Bach, che nel 1873, studiando la raccolta pubblicata per la prima volta nel
1850 dall'editore Peters di Lipsia, li definì in questo modo, facendo riferimento alla qualifica del
destinatario, Christian Ludwig margravio di Brandeburgo, che Bach aveva incontrato a Berlino
nel corso di un suo viaggio. Tuttavia nella lunga e ossequiosa lettera di dedica che
accompagnava la raccolta, datata 24 marzo 1721, Bach qualificò queste composizioni
semplicemente come Concerts avec plusieurs instruments. La definizione dello Spitta sembra
ancor più "impropria" in considerazione del fatto che molto probabilmente questi concerti non
furono mai eseguiti dai musici che formavano l'orchestra del margravio di Brandeburgo, bensì da
quelli della cappella di Köthen, dove Bach era stato chiamato a ricoprire l'ufficio di
Kapelmeister nel dicembre del 1717.

Il principe Leopold di Anhalt-Köthen, che aveva studiato canto e che sapeva suonare il
clavicembalo e la viola da gamba, s'impegnò con forte determinazione alla creazione di un
eccellente ensemble di musicisti. Bach era legato al principe da sincera amicizia e in
quell'ambiente così favorevole sentì accrescere il proprio impulso creativo. «Vi trovai un duca
benigno, che non solo amava ma conosceva anche la musica (ne era cioè competente), presso il
quale credetti di terminare la mia esistenza», cosi scriveva nel 1730 al suo amico Erdmann.

Diversamente dalla luterana corte di Weimar, dove Bach aveva precedentemente svolto le
funzioni di organista e di Konzertmeister, ossia di primo violino solista, nella calvinista corte di
Köthen non c'era spazio per la musica sacra. E se è vero che Bach era venuto a conoscenza delle
composizioni vivaldiane, trascrivendone alcune per organo o clavicembalo a Weimar, è a Köthen
che ebbe modo per la prima volta di scrivere concerti e di confrontarsi con il nuovo genere del
concerto solistico italiano in tutte le sue peculiarità formali e stilistiche.

Anche i Brandeburghesi, come gran parte della sua musica strumentale, risalgono agli anni di
Köthen (1717-23). Il problema della loro cronologia è ancora aperto, ma oggi gli studiosi sono
sostanzialmente concordi a datare il Primo, il Terzo e il Sesto Concerto al 1718; il Secondo e il
Quarto al 1719; il Quinto al 1720. L'eterogeneità esistente tra le sei composizioni nell'organico
strumentale, nella successione dei movimenti e nel diverso assetto formale e stilistico è tale da
non consentire una loro collocazione nelle categorie tradizionali del concerto solistico o del
concerto grosso che, sovrapponendosi continuamente, si annullano l'un l'altra. Tuttavia pur nella
loro diversità, «tali opere» - come osserva giustamente Basso - «costituiscono un gruppo
unitario, formano una sorta di piccolo dizionario dimostrativo delle possibilità aperte al genere
del concerto, inteso in un'accezione per così dire globale e universale».

Il Secondo Concerto Brandeburghese sfugge a qualsiasi forma di schematizzazione già a partire


dalla strumentazione. Al ripieno degli archi infatti Bach contrappone un insolito concertino,
formato da tromba piccola in fa (dalle sonorità più acute e penetranti rispetto a quella in re o in
do), oboe, flauto a becco e violino. Nel primo movimento (Allegro), l'alternanza dei soli e dei
tutti non procede con la consueta e un po' scontata regolarità delle coeve composizioni italiane.
La parte iniziale del brano è caratterizzata dalla contrapposizione tra la tematica del tutti,
articolata in quattro brevi sezioni, a quella dei soli (di appena due battute) che rispondono
all'orchestra prima a coppie e poi in gruppo. Nella seconda parte, il concertino perde la sua
individualità tematica e, suonando assieme al tutti, si appropria di quella del ripieno fino alla
conclusione del pezzo, segnata dal ritorno improvviso alla tonica.

L'Andante è affidato al flauto, oboe, violino e basso continuo (Bach probabilmente rinuncia alla
tromba anche per ragioni di natura pratica, ossia per consentire all'esecutore di far riposare il
labbro): si passa quindi dal piano sonoro del concerto a quello della sonata a tre. Il regolare
movimento per crome del basso, che ripete più volte ciclicamente - sia pure non in maniera
simmetrica - il suo disegno, fornisce la base per la ininterrotta imitazione tra gli altri strumenti di
un motivo "a sospiro".

Nell'Allegro assai, i principi della fuga si uniscono a quelli concertanti. Gli strumenti solisti, che
in questo movimento ricoprono un ruolo decisamente più importante del ripieno, entrano in
successione secondo i canoni della fuga: prima la tromba, poi l'oboe, il violino e in ultimo il
flauto. Segue una sezione a carattere modulante (re minore - Si bemolle maggiore) in cui
l'orchestra si alterna ai soli, riproposti in diverse combinazioni strumentali, fino al tutti
conclusivo, dove l'ultima ripresa del tema, suonata dalla tromba, viene sostenuta dal breve
pedale di tonica.

Marco Carnevali

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Una tradizione forse non infondata vuole che i sei Concerti offerti nel 1724 da Bach a Christian
Ludwig, Margravio del Brandeburgo, siano stati archiviati dai bibliotecari di corte senza essere
stati eseguiti neppure una volta. Fin troppo facilmente oggi riconosciamo in questo gesto non
tanto la miopia del committente, che aveva fama di grande intenditore, quanto piuttosto il
riflesso dei rapporti di potere che allora collocavano il musicista nel rango di un servitore,
riservando ai suoi prodotti un'accoglienza alterna e spesso distratta. Per un altro aspetto, tuttavia,
lo zelo dei bibliotecari di Köthen corrisponde in modo efficace all'essenza di quei concerti, è un
simbolo del loro senso storico, anche se irride la loro qualità musicale. Queste pagine di Bach,
infatti, sembrano riassumere un'epoca proprio nel momento in cui la archiviano, minacciando
con la loro esuberanza i limiti delle forme musicali esistenti.

Ciò non vuol dire che i Concerti Brandeburghesi siano qualcosa come la "vetta", la
"conclusione" o anche solo un "repertorio" della musica strumentale barocca: essi tendono
piuttosto a ricondurre gli elementi di quella musica nell'unità di una configurazione ideale, in un
sistema aperto, sono il supporto materiale di una memoria che non divide in modo meccanico
l'antico dal moderno, ma agisce in modo più complesso, secondo un insieme di tecniche
intimamente legate all'esperienza del sacro che attraversa tutta l'opera di Bach. Mentre sembra
registrare nel dettaglio l'orizzonte musicale in cui vive, egli mette in crisi la visione lineare del
movimento storico, confonde volutamente i tempi, mescola le cronologie, pone gli uni accanto
agli altri elementi di epoche e provenienze differenti. Il risultato è appunto quello di un
"archivio" che consegna al presente la possibilità di riattivare continuamente il proprio rapporto
con l'origine, di riconoscersi in una discendenza che ripete in forme sempre diverse il destino
esemplificato dalla vicenda del Cristo: a questa connessione si riportano infatti la coscienza della
finitezza, il senso della mortalità e il bisogno di redenzione che sono posti da Bach alla radice
stessa della sua nozione di bellezza. Persino una certa esteriorità di queste pagine, concepite
come musica da intrattenimento, appare funzionale a un richiamo etico che invita a considerare
in modo diverso il rapporto con il passato.

Il richiamo di Bach, tuttavia, rimase di fatto inascoltato, e senza seguito rimasero anche le
invenzioni e le numerose innovazioni stilistiche da lui adottate nei Brandeburghesi. La
circolazione di questi lavori fu infatti tardiva e quando furono riscoperti, così come quando nel
corso dell'Ottocento il biografo Friedrich Spitta diede loro per la prima volta il titolo con il quale
oggi sono conosciuti, essi non potevano più esercitare una reale influenza sulla pratica musicale
dei nuovi compositori. L'archiviazione dei bibliotecari di Köthen ha in tal senso un valore
opposto a quello che abbiamo attribuito alla musica di Bach: equivale a una rimozione che
insieme alle partiture dei Brandeburghesi occulta un modello di interpretazione storica.

L'originalità della proposta di Bach non è tuttavia sfuggita ai critici e agli interpreti,
specialmente a quelli che in epoca recente hanno cercato di evidenziare il carattere unitario e
sistematico dei Brandeburghesi. Nikolaus Harnoncourt ha descritto ad esempio il paradosso in
base al quale proprio la diversità delle forme e la singolarità delle soluzioni musicali sarebbero
alla radice del senso di unità che promana da queste pagine. «Ogni concerto è scritto per una
destinazione strumentale differente», nota Harnoncourt, «e la diversità delle forme è estrema
almeno quanto quelle che riguardano la strumentazione e lo stile». Nei Concerti Brandeburghesi
troviamo in effetti gli uni accanto agli altri i modi tipici dello stile francese, quelli cantabili del
concerto italiano, la condotta severa del contrappunto, l'impasto moderno della sinfonia e la
sequenza arcaica della suite, la tecnica delle cantate sacre e quella delle sonate da camera.
Persino l'unità di riferimento più immediata, la forma del concerto grosso, diventa nelle mani di
Bach un involucro capace di rinnovarsi continuamente e di accogliere una quantità innumerevole
di inserzioni spurie. Harnoncourt definisce tutto questo come un «catalogo» della musica
barocca e, al tempo stesso, di tutto ciò di cui Bach era capace come musicista. Questo spirito di
compilazione, cui non sono estranei neppure gli interessi pedagogici sempre coltivati da Bach,
indica in modo molto chiaro quale fosse per lui la funzione realmente rilevante della Hofmusik,
della musica di corte. Quando non è improntata al raccoglimento del genere sacro, quando non
nasce dalla meditazione privata o non deriva direttamente da esigenze speculative, la musica
diventa per Bach un'occasione per descrivere la propria collocazione storica e per risvegliare, nel
presente, il senso della pietas nei confronti delle tracce del passato, senza lasciarsi travolgere
dall'ansia del superamento, quasi che nei Concerti Brandeburghesi egli abbia voluto riprodurre il
gesto istitutore e conservatore, rivoluzionario e tradizionale che è proprio, in fondo, di ogni
concetto dell'archivio.

La concezione dei Brandeburghesi è dovuta anche alla stratificazione del loro lavoro di scrittura.
Bach non li compose espressamente per la raccolta da offrire a Christian Ludwig, ma li elaborò
probabilmente in tempi anche lontani, nel corso del quindicennio che copre il periodo del suo
impiego alla corte di Weimar e il suo trasferimento a Köthen. Le differenti versioni autografe che
ci sono pervenute e l'importanza delle modifiche di volta in volta apportate dall'autore mostrano
come lo stato definitivo dei Concerti Brandeburghesi sia il risultato di un lavoro di montaggio
rigoroso e inventivo, ma per lo più non preordinato. Così l'intervento delle parti solistiche viene
ampliato o ridotto in rapporto all'aggiunta di una parte nuova, mentre un movimento già
utilizzato in altri contesti, per esempio in una cantata, viene ora collegato all'organismo del
concerto attraverso l'inserzione di un raccordo che ne riorganizza la sostanza musicale. La
varietà non è dunque un principio programmatico della composizione di questi concerti, ma è un
effetto naturale del lavoro pratico, è il riflesso di un atteggiamento intellettuale che si confonde
con l'esercizio stesso del magistero musicale bachiano.

***

Come il Primo Concerto era improntato essenzialmente al gusto francese, così il Secondo si
riporta allo stile italiano, in particolare al modello di Vivaldi, con il caratteristico taglio in tre
movimenti. Oltre al violino, gli strumenti concertanti sono qui la tromba, il flauto dolce e l'oboe.
Si tratta di un impasto timbrico molto originale, specie per l'uso di un tipo di tromba abbastanza
insolito nelle funzioni concertistiche: una tromba piccola in fa dal suono al tempo stesso
squillante e leggero. Anche in questo caso sembra che Bach abbia lavorato al materiale musicale
in periodi differenti. Il piano della composizione rivela però all'analisi un'impronta geometrica
che ripartisce sia gli spunti tematici, sia l'ordine degli interventi solistici in un'architettura
finemente calcolata. L'aspetto improvvisativo di molte soluzioni musicali viene così a basarsi su
un fondo di studiata simmetria che rende all'insieme un aspetto tanto più coerente, quanto più
appare leggero e naturale. L'Andante è, fra i movimenti del Secondo Concerto, quello che meno
risponde a un criterio matematico delle proporzioni. La sua concezione abbandona peraltro la
forma tipica del concerto e prende piuttosto quella tradizionale della sonata da camera a tre, con
il semplice accompagnamento del basso continuo.

Stefano Catucci

BWV 1048 - Concerto brandeburghese n. 3

https://www.youtube.com/watchv=qr0f6t2UbOo

https://www.youtube.com/watchv=EFRfcWKYZWc

https://www.youtube.com/watchv=TuhaeorMLRs

Allegro
Riutilizzato nella Sinfonia della Cantata BWV 174
Adagio
Allegro
Utilizza la Pastorale BWV 590

Organico: 3 violini, 3 viole, 3 violoncelli, violone, clavicembalo


Composizione: 1718
Edizione: Peters, Lipsia, 1850
Dedica: margravio Christian Ludwig von Brandenburg

Guida all'ascolto 1

La sera del 28 Luglio 1750 si chiude a Lipsia, la lunga giornata terrena di Johann Sebastian
Bach.

Forkel, suo primo biografo, ci racconta che dopo anni di intenso studio della musica la vista di
Bach andò peggiorando finché su consiglio di un amico, «che aveva fiducia in un medico
londinese, Bach si sottopose, coraggiosamente, a due interventi chirurgici che però fallirono.
Non solo perdette del tutto la vista, ma anche la sua costituzione, fino allora così vigorosa, fu
irrimediabilmente scossa, forse a causa di farmaci dannosi. La sua salute continuò a peggiorare
per più di sei mesi, finché, la sera del 28 Luglio 1750, Bach, all'età di sessantasei anni, si
addormentò per sempre. Un mattino, dieci giorni prima di morire, poté nuovamente vedere e
sopportare la luce, ma poche ore dopo fu colpito da un attacco apoplettico, e nonostante le cure
prodigategli dai medici, il suo organismo ormai stremato non poté più resistere all'acuto stato
febbrile».

Con la morte di Bach scompare l'ottimo organista della chiesa di San Tommaso a Lipsia, gli
eredi ne disperdono i manoscritti musicali, la vita musicale prende nuove strade e solo rari
organisti continuano ad utilizzare qualche corale durante i servizi della liturgia luterana. Meno di
cinquant'anni dopo la sua scomparsa, la tecnica esecutiva necessaria per leggere ed eseguire i
suoi lavori sembra definitivamente scomparsa.

La data fatidica della rinascita bachiana è il 5 Novembre 1793 quando a Berlino un piccolo
gruppo di suoi antichi discepoli, fonda la SingAkademie (Accademia di canto) nella quale gli
originali 27 cantori iniziano faticosamente a studiare ed a proporre al pubblico la musica vocale
di Bach.

Negli anni seguenti entra nella compagine il giovane Felix Mendelssohn-Bartoldy che l'11
Marzo 1829 esegue a Berlino con enorme successo, la Passione secondo Matteo. Il recupero
della figura e del lavoro di Johann Sebastian Bach è cosa fatta.

Nato a Eisenach il 21 Marzo 1685 in una famiglia dedita alla musica da almeno quattro
generazioni, e rimasto orfano di padre e di madre a dieci anni, Bach inizia la sua vita di
musicista come fanciullo cantore a Lüneburg studiando appassionatamente i testi musicali della
fornita biblioteca locale.

Nel 1703 entra come violinista alla corte di Weimar ed avvia la sua carriera di musicista che si
snoda nell'arco della sua vita con prestigiosi incarichi prevalentemente organistici nelle chiese
luterane tedesche. Bach era considerato il migliore collaudatore di organi della sua epoca.

Segnato da una profonda religiosità e dalla passione per l'approfondimento della musica che
coltiva con passione certosina, rappresenta la sintesi delle forme strumentali che gli organisti del
Seicento avevano elaborato e l'apertura alle nuove voci musicali che gli pervengono da altri
paesi. Comprende ed assimila la grazia dei clavicembalisti francesi ma soprattutto studia gli
italiani con particolare riferimento a Vivaldi del quale trascrive numerosi concerti.

Tutte queste esperienze confluiscono poi nella costruzione della monumentale mole della musica
ad uso della liturgia luterana.

La vita di Bach fu quella di un onesto e laborioso organista tedesco del nord. Ebbe due mogli e
una ventina di figli, dei quali dieci sopravvissutigli, tutti musicisti e, tre almeno, tali da occupare
un posto cospicuo nella storia. Una fede religiosa improntata a robusta e sana energia, una
concezione di vita lietamente operosa e feconda, erano le caratteristiche della casa. «La vita
familiare del tempo dei Bach non conosceva morbidezze di sentimento, ne lacrime, ne baci»
(Ernst Borkowsky). Alle sei del mattino tutti i numerosi Bach grandi e piccini saltavano
puntualmente giù dal letto e radunati intorno al clavicembalo nella stanza da lavoro cantavano un
inno di grazie al Signore. «C'era una devozione virile, una fede esatta e senza riserve, semplicità
di cuore, fiducia nella forza della preghiera. Mai l'incertezza del dubbio, ma sempre sicurezza di
vita, esatto adempimento di dovere, allegra operosità. Nessuna debolezza nella vita e nel lavoro
quotidiano» (Borkowsky). Massimo Mila nota ancora che «la sua Immensa produzione musicale
fu messa assieme con un lavoro assiduo, metodico e tranquillo, eseguito con scrupolosa cura di
artigiano ed inteso, senza alcuna posa, come servizio di Dio. Senza posa, che se Bach fosse stato
calzolaio, avrebbe fatto a maggior gloria di Dio un numero sterminato di scarpe, tutte
accuratamente lavorate e finite».

Dal 1717 Bach si trova alla corte di Cöthen con l'incarico di maestro di cappella, ed ha
l'occasione di soddisfare l'invito di Christian Ludwig, margravio del Brandeburgo, di scrivere dei
pezzi per la sua orchestra.

I Six concerts avec plusieurs instruments, inviati il 24 marzo 1721 da Johann Sebastian Bach, e
battezzati nel 1873 dal grande biografo del compositore, Philipp Spitta, Concerti brandeburghesi,
costituiscono un affascinante laboratorio delle possibilità di scrittura per gruppo strumentale,
indagate attraverso una straordinaria varietà di soluzioni compositive. In realtà piuttosto che ad
una serie di concerti scritti per un'occasione specifica ci troviamo di fronte alla bella copia
autografa di opere già (in parte) composte in precedenza. In vista della raccolta i concerti
vennero ordinati secondo un piano di perfetta simmetria (per due volte ricorre la serie di due
concerti grossi e uno di gruppo, quasi fossero due libri, scrive Alberto Basso), per proseguire la
loro vicenda oltre il 1721, quando, ormai a Lipsia, Bach avrebbe impiegato singoli movimenti
all'interno di nuove cantate.

Nei Brandeburghesi il compositore coniuga la lezione assimilata dai modelli italiani (Vivaldi
Corelli Albinoni e Alessandro Marcello) col contrappunto rigoroso e con alcune strutture della
musica vocale, imprimendo una sigla personalissima a questo genere d'avanguardia nel
panorama musicale dell'epoca. Da vero maestro dell'integrazione, in grado di compendiare in un
ideale enciclopedico i tratti di un'intera civiltà Bach utilizza di volta in volta con somma libertà
le forme principali dei suoi tempi: il concerto grosso, in cui un concertino di pochi strumenti si
contrappone all'intera orchestra d'archi, denominata appunto concerto grosso; il concerto
solistico tripartito, con la sua alternanza razionale di episodi solistici e ritornelli orchestrali; il
concerto di gruppo, nel quale non emergono protagonismi di singoli attori; la sonata da camera,
a tre e a quattro. Sul versante della strumentazione occupa la scena musicale un caleidoscopio di
colori che conosce pochi eguali nel tardobarocco europeo: un gusto per la preziosità timbrica -
nella scelta degli strumenti e nella loro combinazione - che troverà in seguito espressione nelle
grandi pagine vocali lipsiensi (le passioni, le cantate, l'Oratorio dì Natale). Istanze stilistiche
divergenti vengono dunque conciliate all'insegna di una «stravaganza» che permette a questo
gruppo unico di opere, rappresentative di un'intera stagione creativa del loro autore, di svettare
in un frangente storico cruciale: a conclusione di quel secondo decennio del Settecento in cui il
concerto italiano si era affermato attraverso l'editoria musicale internazionale.

Nel Concerto n. 3 in sol maggiore BWV1048, destinato ai soli archi, Bach divide al suo interno
violini, viole e violoncelli in tre gruppi, ottenendo un totale di nove parti, cui va aggiunta una
decima realizzata dal basso continuo. Con tale risorsa a disposizione, il compositore procede allo
sfruttamento sistematico delle sfumature timbriche di questa unica sezione orchestrale, in una
scrittura serrata di natura polifonica.

Alla forma del concerto grosso subentra quella del concerto di gruppo, chiaramente
esemplificata dall' AIIegro moderato introduttivo, in cui le diverse sezioni si scambiano, in un
dialogo arioso, un materiale tematico fondato su una cellula anapestica (nota 1) che domina
incontrastata l'intera pagina, nel cui dinamismo irrefrenabile emerge a tratti l'effimero
protagonismo dei violini.

Il brano si apre con una frase di introduzione basata sul citato ritmo anapestico, seguita da un
episodio contrastante in cui la cellula viene scambiata in modo imitativo tra i tre gruppi di
strumenti ad arco e da una frase di collegamento con l'episodio successivo. Il secondo episodio
contrastante è dominato dai violini I e II ed è concluso dalla frase di collegamento. Un terzo
episodio sempre contrastante è aperto da un tema in imitazione tra le viole e termina con la sua
frase di raccordo al passaggio successivo. Il quarto episodio contrastante è in forma di doppia
fuga. Il soggetto è sviluppato dal violino I ed imitato dai violini II e III. Segue poi una parte
conclusiva che riassume i passaggi del primo tempo.

Un problema interpretativo pressoché insolubile è posto dalla semplice cadenza frigia (due soli
accordi) che costituisce l'Adagio centrale. Bach sembrerebbe portare a estreme, paradossali
conseguenze quella tendenza italiana (riscontrabile, ad esempio, in talune opere di Corelli e
Albinoni) di svuotare il tempo intermedio a vantaggio di quelli estremi. Il rebus esecutivo viene
di norma risolto con l'introduzione di una cadenza oppure inserendo all'interno del concerto un
movimento da un'altra opera del compositore (nella presente esecuzione ho preferito lasciare i
due soli accordi così come scritti da Bach).

Con l'Allegro finale una frenesia cinetica s'impossessa dell'intera compagine, più compatta
poiché i violoncelli suonano all'unisono e coinvolta in un inarrestabile congegno motorio di
natura contrappuntistica. La forma di danza binaria di quest'ultimo tempo, sottilmente articolata
al suo interno, è inconsueta nei concerti bachiani. Nella prima parte l'orchestra presenta un tema
che viene trattato per imitazione dai tre gruppi degli archi (violini, viole e violoncelli). Dopo la
ripetizione della prima parte, nel secondo episodio il tema passa ai violoncelli ed al basso
continuo che provvedono a svilupparlo. L'intera orchestra ripresenta il tema in tonalità minore e
lo sviluppa poi in un intreccio tra i tre gruppi di archi. In chiusura l'orchestra torna ad esporre il
temanuovamente nella sua tonalità maggiore. A questo punto viene ripetuta la seconda parte
nella sua interezza.

Terenzio Sacchi Lodispoto

Esempio cellula anapestica

Introduzione del Concerto n. 3 basato sulla cellula anapestica


(1) Anapesto: Quarto modo ritmico della teoria musicale del secolo XIII, proveniente dalla
metrica della poesia greca e latina, è formato da due note brevi seguite da una nota lunga.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È risaputo che la raccolta dei Six Concerts avec plusieurs instruments (questo il titolo originale,
mentre quello di "Concerti brandeburghesi", cosiddetti perché dedicati nel 1721 al margravio
Christian Ludwig del Brandeburgo, è entrato nell'uso comune solamente negli ultimi decenni
dell'Ottocento) si presenta come un ciclo in sé compiuto: pur nella varietà di una forma
specifica, dell'organico strumentale di volta in volta impiegato e del diverso stile che le
caratterizza, tali opere danno vita ad una sorta di piccola enciclopedia dimostrativa delle
possibilità aperte al genere del concerto, affiancando così le prove sostenute dai maestri italiani
prima e da quelli francesi poi. La connotazione francofila emerge dal titolo stesso della raccolta
e dalla presenza di non pochi elementi (l'impiego di strumenti di "gusto" francese e talvolta -
come avviene nel Primo Concerto - di forme di danza), mentre quella italiana risulta
essenzialmente dall'articolazione tripartita della maggioranza di quei concerti e dall'alternanza in
questi di passi affidati ai soli (o al solo) e ai tutti.

Non mancano, tuttavia, gli atteggiamenti che, tanto per il rigore costruttivo quanto per il ricorso
a modelli arcaici, sono più facilmente riconducibili allo stile tedesco. Tali sono sicuramente il
Terzo e il Sesto Concerto, due opere che sembrerebbero concludere i due libri - ciascuno dei
quali costituito da tre concerti - che idealmente formano la raccolta. In entrambi i casi si tratta di
concerti "di gruppo" (qualcosa di diverso tanto dal concerto grosso quanto dal concerto
solistico), affidati esclusivamente a strumenti ad arco e concepiti in chiave prevalentemente
polifonica. Tre violini, tre viole e tre violoncelli, oltre al violone (e al cembalo) per la
realizzazione del basso continuo, nel caso del Terzo Concerto, mentre il Sesto Concerto vede
impiegate due viole da braccio, due viole da gamba, violoncello e basso continuo (realizzato da
violone e cembalo), escludendo del tutto i violini.

La scrittura del Terzo Concerto è compatta, attenta a mantenere elevata la temperatura del
contrappunto e a realizzare un continuum, una serie di passaggi in ostinato. Gli strumenti
agiscono su un piano di assoluta parità, senza mai privilegiare una parte rispetto ad un'altra;
siamo in presenza in altre parole, di un blocco unitario e di una compattezza strumentale
singolarissima. Non meno singolare, inoltre, è il taglio formale del concerto: due movimenti, il
secondo dei quali bipartito, come nell'arcaica sonata da chiesa o da camera, divisi da una
cadenza frigia costituita da due accordi (Adagio) che qualche interprete e revisore bachiano ha
voluto intendere come le estremità di una pagina lasciata alla discrezione degli esecutori e scelta
all'interno di un repertorio "consolidato".

Questo, che è forse il più "travolgente" dei Brandeburghesi, offre spunti di straordinaria
versatilità ritmica e contrappuntistica. Il discorso, che a tratti risulta spezzato nel corso del primo
movimento, per effetto d'un riflesso fra tutti e soli, ma sempre intendendo ciascuno dei tre gruppi
strumentali a ranghi riuniti, è invece estremamente compatto nell'ultimo tempo che riduce le
dimensioni dell'apparato strumentale, mantenendo le tre parti di violino e le tre parti di viola, ma
riunendo in una sola i tre violoncelli, insieme con i due strumenti del continuo (violone e
cembalo); il processo musicale è ininterrotto, inarrestabile quasi, mosso come è da
un'inesauribile carica energetica.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Una tradizione forse non infondata vuole che i sei Concerti offerti nel 1724 da Bach a Christian
Ludwig, Margravio del Brandeburgo, siano stati archiviati dai bibliotecari di corte senza essere
stati eseguiti neppure una volta. Fin troppo facilmente oggi riconosciamo in questo gesto non
tanto la miopia del committente, che aveva fama di grande intenditore, quanto piuttosto il
riflesso dei rapporti di potere che allora collocavano il musicista nel rango di un servitore,
riservando ai suoi prodotti un'accoglienza alterna e spesso distratta. Per un altro aspetto, tuttavia,
lo zelo dei bibliotecari di Köthen corrisponde in modo efficace all'essenza di quei concerti, è un
simbolo del loro senso storico, anche se irride la loro qualità musicale. Queste pagine di Bach,
infatti, sembrano riassumere un'epoca proprio nel momento in cui la archiviano, minacciando
con la loro esuberanza i limiti delle forme musicali esistenti.

Ciò non vuol dire che i Concerti Brandeburghesi siano qualcosa come la "vetta", la
"conclusione" o anche solo un "repertorio" della musica strumentale barocca: essi tendono
piuttosto a ricondurre gli elementi di quella musica nell'unità di una configurazione ideale, in un
sistema aperto, sono il supporto materiale di una memoria che non divide in modo meccanico
l'antico dal moderno, ma agisce in modo più complesso, secondo un insieme di tecniche
intimamente legate all'esperienza del sacro che attraversa tutta l'opera di Bach. Mentre sembra
registrare nel dettaglio l'orizzonte musicale in cui vive, egli mette in crisi la visione lineare del
movimento storico, confonde volutamente i tempi, mescola le cronologie, pone gli uni accanto
agli altri elementi di epoche e provenienze differenti. Il risultato è appunto quello di un
"archivio" che consegna al presente la possibilità di riattivare continuamente il proprio rapporto
con l'origine, di riconoscersi in una discendenza che ripete in forme sempre diverse il destino
esemplificato dalla vicenda del Cristo: a questa connessione si riportano infatti la coscienza della
finitezza, il senso della mortalità e il bisogno di redenzione che sono posti da Bach alla radice
stessa della sua nozione di bellezza. Persino una certa esteriorità di queste pagine, concepite
come musica da intrattenimento, appare funzionale a un richiamo etico che invita a considerare
in modo diverso il rapporto con il passato.

Il richiamo di Bach, tuttavia, rimase di fatto inascoltato, e senza seguito rimasero anche le
invenzioni e le numerose innovazioni stilistiche da lui adottate nei Brandeburghesi. La
circolazione di questi lavori fu infatti tardiva e quando furono riscoperti, così come quando nel
corso dell'Ottocento il biografo Friedrich Spitta diede loro per la prima volta il titolo con il quale
oggi sono conosciuti, essi non potevano più esercitare una reale influenza sulla pratica musicale
dei nuovi compositori. L'archiviazione dei bibliotecari di Köthen ha in tal senso un valore
opposto a quello che abbiamo attribuito alla musica di Bach: equivale a una rimozione che
insieme alle partiture dei Brandeburghesi occulta un modello di interpretazione storica.

L'originalità della proposta di Bach non è tuttavia sfuggita ai critici e agli interpreti,
specialmente a quelli che in epoca recente hanno cercato di evidenziare il carattere unitario e
sistematico dei Brandeburghesi. Nikolaus Harnoncourt ha descritto ad esempio il paradosso in
base al quale proprio la diversità delle forme e la singolarità delle soluzioni musicali sarebbero
alla radice del senso di unità che promana da queste pagine. «Ogni concerto è scritto per una
destinazione strumentale differente», nota Harnoncourt, «e la diversità delle forme è estrema
almeno quanto quelle che riguardano la strumentazione e lo stile». Nei Concerti Brandeburghesi
troviamo in effetti gli uni accanto agli altri i modi tipici dello stile francese, quelli cantabili del
concerto italiano, la condotta severa del contrappunto, l'impasto moderno della sinfonia e la
sequenza arcaica della suite, la tecnica delle cantate sacre e quella delle sonate da camera.
Persino l'unità di riferimento più immediata, la forma del concerto grosso, diventa nelle mani di
Bach un involucro capace di rinnovarsi continuamente e di accogliere una quantità innumerevole
di inserzioni spurie. Harnoncourt definisce tutto questo come un «catalogo» della musica
barocca e, al tempo stesso, di tutto ciò di cui Bach era capace come musicista. Questo spirito di
compilazione, cui non sono estranei neppure gli interessi pedagogici sempre coltivati da Bach,
indica in modo molto chiaro quale fosse per lui la funzione realmente rilevante della Hofmusik,
della musica di corte. Quando non è improntata al raccoglimento del genere sacro, quando non
nasce dalla meditazione privata o non deriva direttamente da esigenze speculative, la musica
diventa per Bach un'occasione per descrivere la propria collocazione storica e per risvegliare, nel
presente, il senso della pietas nei confronti delle tracce del passato, senza lasciarsi travolgere
dall'ansia del superamento, quasi che nei Concerti Brandeburghesi egli abbia voluto riprodurre il
gesto istitutore e conservatore, rivoluzionario e tradizionale che è proprio, in fondo, di ogni
concetto dell'archivio.

La concezione dei Brandeburghesi è dovuta anche alla stratificazione del loro lavoro di scrittura.
Bach non li compose espressamente per la raccolta da offrire a Christian Ludwig, ma li elaborò
probabilmente in tempi anche lontani, nel corso del quindicennio che copre il periodo del suo
impiego alla corte di Weimar e il suo trasferimento a Köthen. Le differenti versioni autografe che
ci sono pervenute e l'importanza delle modifiche di volta in volta apportate dall'autore mostrano
come lo stato definitivo dei Concerti Brandeburghesi sia il risultato di un lavoro di montaggio
rigoroso e inventivo, ma per lo più non preordinato. Così l'intervento delle parti solistiche viene
ampliato o ridotto in rapporto all'aggiunta di una parte nuova, mentre un movimento già
utilizzato in altri contesti, per esempio in una cantata, viene ora collegato all'organismo del
concerto attraverso l'inserzione di un raccordo che ne riorganizza la sostanza musicale. La
varietà non è dunque un principio programmatico della composizione di questi concerti, ma è un
effetto naturale del lavoro pratico, è il riflesso di un atteggiamento intellettuale che si confonde
con l'esercizio stesso del magistero musicale bachiano.
***

Come se fosse diviso in due triadi, il ciclo dei Concerti Brandeburghesi prevede al terzo e al
sesto posto due lavori per molti aspetti analoghi, scritti per un insieme di soli archi e concepiti in
uno stile polifonico che si distacca decisamente dalle maniere concertanti. Dall'ascolto del Terzo
Concerto si ricava l'idea di una formazione unitaria molto forte, compatta, di una massa sonora
continuamente in movimento articolata in due movimenti curiosamente legati da una breve
cadenza di transizione che ha destato lo stupore degli storici e l'imbarazzo degli interpreti. Oggi
l'uso di inserire accanto a questa cadenza il movimento lento di altre composizioni bachiane è
decaduto e la nudità, la semplice funzione di passaggio di un momento di tono improvvisativo
sembra solo un breve respiro prima del serrato contrappunto finale.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Il periodo che Bach trascorse a Köthen (1717-1723) fu il più felice di tutta la sua vita artistica. A
trentadue anni Bach aveva già raggiunto l'ambita posizione di «Kapellmeister» di corte con un
eccellente trattamento economico. In più godeva della stima e dell'amicizia del giovane principe
Leopoldo, appassionato di musica e buon dilettante come compositore e come suonatore di
violino, di viola da gamba e di clavicembalo. Il principe portò l'organico della sua orchestra a 18
membri e riuscì persino a convincere cinque ottimi strumentisti di lasciare Berlino per trasferirsi
a Köthen. L'atmosfera calda e cordiale che circondava il musicista, e la possibilità di disporre di
quell'orchestra di prim'ordine determinarono la nascita di alcuni capolavori della musica
strumentale barocca. La produzione di musica prevalentemente profana che caratterizza questo
periodo si spiega col fatto che la Corte di Köthen aderiva alla Chiesa Riformata la cui liturgia
poco spazio riservava alla musica. Tra le opere che videro la luce a Köthen spiccano i «Sei
Concerti Brandeburghesi» di cui Bach nel 1721 fece omaggio al Margravio di Brandeburgo
Cristiano Lodovico.

Dal testo della dedica in francese apprendiamo che il Margravio aveva ascoltato Bach un paio di
anni prima (l'incontro avvenne a Berlino nel 1718) e gli aveva chiesto alcuni pezzi di sua
composizione. Bach si riferisce a questo incontro per inviare a Cristiano Lodovico sei concerti
«que j'ai accommodés à plusieurs instruments». Sappiamo oggi, contrariamente a quello che si
credeva, che Bach non scrisse appositamente per il Margravio i sei concerti, ma li scelse da una
raccolta preesistente e probabilmente più ampia. Infatti, come risulta dalle ricerche del grande
musicologo Heinrich Bessler, la cronologia della loro composizione non corrisponde all'ordine
della successione. L'ultimo concerto è in realtà composto per primo, quindi seguono i concerti n.
3, n. 1, n. 2 e n. 4. L'ultimo composto è il quinto.

Sulla fortuna dei «Sei Concerti Brandeburghesi» ai tempi di Bach non abbiamo molte notizie.
Comunque un fatto è certo: mentre la pubblicazione a mezzo di stampa favorì ampiamente la
diffusione dei concerti grossi ad esempio di Corelli e di Vivaldi, che tanta influenza ebbero sui
compositori contemporanei, questo non avvenne per i concerti Brandeburghesi stampati solo nel
1850 in occasione delle celebrazioni del primo centenario della morte di Bach.

Come sempre accade per i vari generi musicali trattati dal grande compositore di Eisenach,
anche per la forma del concerto grosso la concezione bachiana è duplice. Ne conserva la
struttura formale derivata dai modelli vivaldiani ma nello stesso tempo la arricchisce
contrappuntisticamente e strumentalmente. La personalità accentratrice e assimilatrice di Bach fa
sì che nel suo concerto grosso sopravvivono e si fondono in un tutto unico svariati elementi che
provengono dalla suite, dalla sonata a tre e dal concerto con strumento solista. Aspetti innovatori
dei Concerti Brandeburghesi si riscontrano nella quasi totale autonomia delle parti e nell'impiego
nelle sezioni solistiche di uno o più strumenti a fiato. Ne derivano una varietà di prospettive
polifoniche fino ad allora sconosciuta e un colore strumentale particolare che distingue
fortemente un concerto dall'altro.

Già nel titolo scelto da Bach — «Six concerts avec plusieurs instruments» — si avverte questa
nuova tendenza che contrasta con le usanze del tempo, secondo le quali le raccolte di concerti
pubblicate dagli altri compositori prevedevano sempre lo stesso organico. Non era inoltre forse
estraneo a Bach il desiderio di dimostrare al Margravio la sua valentia nel trattare gli strumenti al
fine di stringere rapporti più stretti con la corte di Berlino. Il «terzo concerto» è quello che più si
uniforma allo schema tradizionale. Scritto per soli archi si articola in due movimenti collegati da
una semplice cadenza frigia composta da due lunghi accordi che sostituiscono l'Adagio. Non è
azzardato pensare che in questo punto lo strumento del basso, il clavicembalo, si esibisse in una
virtuosistica cadenza. Le parti del concertino sono distribuite fra i violini, le viole e i violoncelli
che con la loro diversità di registro conferiscono al brano una varietà timbrica di grande rilievo.
Il ritmo è scandito con quell'impetuosa e geometrica veemenza che contraddistingue i movimenti
rapidi dell'età barocca.

Antonio Mazzoni

BWV 1049 - Concerto brandeburghese n. 4

https://www.youtube.com/watchv=Wi9tDgPNHMU

https://www.youtube.com/watchv=G6hQvvhqfJo

https://www.youtube.com/watchv=oSZJ__GIbms

Allegro
Andante (mi minore)
Presto

Organico: violino principale, 2 flauti a becco, 2 violini, viola, violoncello, violone, continuo
Composizione: 1719 - 1720
Edizione: Peters, Lispia, 1850
Dedica: margravio Christian Ludwig von Brandenburg

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La denominazione Concerti Brandeburghesi non è originale ma risale a Philipp Spitta,


l'autorevole autore di una monumentale biografia bachiana apparsa in due volumi a Lipsia nel
1873 e nel 1880. Egli intitolò la raccolta facendo riferimento alla qualifica del destinatario,
Christian Ludwig margravio di Brandeburgo (1677-1734), fratello minore di Federico I -
scomparso nel 1713 - e pertanto zio del nuovo sovrano Federico Guglielmo I. Bach lo aveva
incontrato a Berlino nel corso dei due viaggi da lui compiuti nella capitale prussiana nell'autunno
del 1718 e nella primavera del 1719 relativamente all'acquisto - per conto del principe Leopold -
di un nuovo clavicembalo da destinare all'orchestra di Köthen, in occasione dei quali il
margravio avrebbe invitato il musicista ad inviargli alcune sue composizioni. In realtà, nella
lunga e rispettosa lettera di dedica che accompagnava la raccolta, scritta in lingua francese e
datata 24 marzo 1721, Bach qualificava questi lavori semplicemente come Concerts avec
plusieurs instruments, definizione che sembra richiamarsi ad analoghe raccolte polistrumentali
contemporanee di tipo francese.

Il titolo scelto da Spitta risulta essere ancora più "improprio" in considerazione del fatto che
quasi sicuramente questi concerti non furono mai eseguiti dai musici che formavano l'orchestra
del margravio, allestita all'indomani dello scioglimento della cappella berlinese voluto da
Federico Guglielmo I, bensì da quelli del Collegium musicum di Köthen. È probabile, infatti,
che Bach abbia deciso di riscrivere "in bella copia" i sei concerti da offrire a Christian Ludwig,
scegliendoli da un corpus di composizioni preesistenti, originariamente concepite per i musici di
Köthen o addirittura predisposte per la corte di Weimar (il problema della cronologia dei
Brandeburghesi è uno dei capitoli più tormentati della critica bachiana ed è ancora lungi da una
sua piena risoluzione). In tal modo Bach esaudiva l'invito rivoltogli dal margravio all'epoca dei
loro incontri berlinesi, ma nello stesso tempo si proponeva a Christian Ludwig come suo nuovo
eventuale Kapellmeister. L'autocandidatura si intravvede piuttosto chiaramente tra le ossequiose
espressioni di rito che concludono la dedica: «...Monsignore, io supplico molto umilmente
Vostra Altezza Reale, di avere la bontà di continuare a elargire le Sue buone grazie verso di me,
e di essere persuaso che nulla mi sta tanto a cuore, quanto di poter essere adoperato in occasioni
d'Ella e del suo servizio più degne, io che sono con fervore senza pari, Monsignore, di Vostra
Altezza Reale l'umilissimo e obbedientissimo Servitore...». L'augurio espresso dal musicista era
dettato principalmente dal raffreddamento dei suoi rapporti - in passato così amichevoli - con il
principe Leopold, nonché dall'invitante prospettiva di potersi inserire nello stimolante ambiente
culturale berlinese. La raccolta costituiva dunque un saggio dimostrativo della straordinaria
ricchezza di mezzi musicali che Bach poteva offrire al suo potenziale mecenate; ma nello stesso
tempo rappresentava anche un'immagine radicalmente nuova dell'arte concertante, aperta ad
inaspettati orizzonti tecnico-espressivi in cui le tradizionali categorie del concerto solistico e del
concerto grosso - sovrapponendosi continuamente tra loro - si annullavano l'un l'altra. Il
margravio non rispose all'invito e Bach, benché restio a lasciare il posto di Kapellmeister per
quello di Kantor, nel 1723 si trasferiva alla Thomasschule di Lipsia.

Il Quarto Concerto Brandeburghese, secondo il quadro cronologico proposto da Heinrich


Besseler, risale al 1719 ed è il penultimo della serie in ordine di tempo prima del Quinto. Al
ripieno orchestrale Bach contrappone un concertino formato da un violino, al quale sono affidati
impegnativi interventi solistici che a stento si ritrovano nei suoi concerti per questo strumento, e
due flauti con funzioni prettamente concertanti. In vero, il termine esatto usato da Bach per
quest'ultimi, Flauti d'Echo, è assai insolito e non è stato adoperato da nessun altro compositore:
l'espressione indicherebbe o una coppia di flauti dolci, così denominati in seguito ai frequenti
passaggi "in eco" presenti nelle loro parti; oppure, più probabilmente, due flageolets, piccoli
flauti a becco intonati un'ottava sopra, i quali - tra l'altro - avevano suscitato l'interesse del
margravio.

Il Concerto, rielaborato successivamente a Lipsia per clavicembalo, due flauti, archi e continuo
(BWV 1057), si apre con un Allegro insolitamente esteso - 427 misure - ma simmetricamente
costruito su una struttura formale concentrica del tipo A-B-C-B'-A. Nell'ampio ed articolato
ritornello iniziale (A), ripetuto testualmente a conclusione del movimento, il materiale tematico è
esposto principalmente dagli strumenti solisti, mentre l'orchestra si limita ora a scandire le
battute con semplici accordi, ora ad unirsi al concertino rafforzandone la sonorità. Nelle sezioni
successive (B e B') aumenta il ruolo solistico del violino, culminante nell'esteso passaggio di
biscrome (C) posto al centro del brano, quasi che il vertice dell'impegno virtuosistico
coincidesse con quello formale in un'immaginaria struttura a piramide. Le solide geometrie sulle
quali si basa l'intero movimento si stemperano però nella morbidezza sonora della coppia di
flauti e nel carattere disteso ed avvolgente dell'invenzione tematica, sottolineato dalla giocosità
di un ritmo ternario piuttosto insolito per il primo tempo di un concerto.
L'Andante (mi minore) è l'unico movimento lento fra tutti i Brandeburghesi a non prevedere una
riduzione dell'organico strumentale: i solisti - qui usati come gruppo unitario - e il ripieno
dialogano tra loro o si sovrappongono secondo i modi tipici del concerto grosso
nell'elaborazione di un nucleo motivico di sospirate crome legate a due a due, in un fascinoso
gioco di effetti d'eco e di contrasti del piano dinamico. La coralità dell'insieme strumentale si
interrompe solo in un paio d'occasioni, per dare spazio a due espressivi interventi solistici del
primo flauto, a metà circa del brano e poco prima della cadenza conclusiva frigia alla dominante
maggiore (si).

Nel Finale (Presto), così come nel Secondo Brandeburghese, i principi dello stile fugato si
uniscono a quelli concertanti, sebbene in questo caso la condotta delle voci risulti essere più tesa
ed articolata. Le entrate a canone del tema, il cui incipit riecheggia quello del Brandeburghese n.
2, sono proposte dal Tutti lungo un arco modulante che dal tono d'impianto (sol) tocca il relativo
minore (mi) e la sottodominante (do). Gli interventi dei solisti si pongono a metà strada tra il
divertimento contrappuntistico e l'intermezzo concertante, e ancora una volta affidano al violino
l'episodio di maggior impegno virtuosistico, consistente in accordi spezzati, agili volatine di
semicrome e tremoli vigorosi. In questo movimento, il Tutti collabora "da protagonista" allo
sviluppo dell'eloquio musicale ed acquisisce così un peso maggiore rispetto al semplice ruolo di
accompagnamento svolto nel primo tempo, seguendo un percorso inverso a quello del Secondo
Brandeburghese, dove i soli, meno visibili in apertura del concerto, si impongono più
decisamente all'orchestra soltanto nel finale. Si ristabilisce così un più proporzionato rapporto
dinamico tra solisti e ripieno che contribuisce ad arricchire quel sofisticato e delicato complesso
di equilibri sul quale è complessivamente costruita, pur nell'individualità dei singoli concerti,
l'intera raccolta dei Brandeburghesi.

Carlo Carnevali

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I 6 concerti per diversi strumenti scritti da Bach a Köthen nel 1721 sono chiamati Concerti
brandeburghesi perché dedicati «A Son Altesse Royalle Cretienne Louis, Marggraf de
Brandenbourg ecc.». Questo principe, che viveva ora a Berlino ora nelle sue terre, era grande
amatore di musica e le sue considerevoli rendite gli permettevano di mantenere a proprie spese
una buona orchestra. Egli fece la conoscenza di Bach durante un viaggio in cui il maestro
accompagnava il principe di Köthen (al cui servizio Bach fu dal 1717 al 1723) e gli domandò di
inviargli delle composizioni. Sintomatiche dell'umiltà del grande musicista di fronte agli uomini
e di fronte a Dio, sono le frasi che si leggono nella dedica, scritta in un curioso francese arcaico:
Bach, cioè, prega il Principe di accogliere i concerti benignamente e «de ne vouloir pas juger
leur imperfection à la rigueur du gout fin et delicat, que tout le monde sçait qu'Elle a pour les
pièces musicales...»; e si ritiene felice di poter rinnovare nel principe «quelque plaisir aux petits
talents que le Ciel m'a donnés pour la Musique».

Nati sul vigoroso tronco del concerto grosso italiano, soprattutto vivaldiano, questi concerti ne
sono come la estrema ramificazione, nel senso che quella configurazione di strumenti
contrapposti, concertanti («concertino») da una parte e grosso dell'orchestra («ripieno» o «tutti»)
dall'altra, si amplia e si arricchisce soprattutto per il largo posto concesso ai fiati e per la varietà
di atteggiamenti che in forma il dualismo solisti-orchestra. Talvolta, anzi, si nota senz'altro il
trapasso al tipo di concerto «a solo», come nel Quarto ove predomina il violino (tanto da essere
annoverato tra i concerti per violino solo), o nel Quinto in cui, forse per la prima volta nella
storia del clavicembalo, questo strumento assurge a un ruolo solistico soprattutto con la sua
spettacolare cadenza.

Il Quarto concerto brandeburghese prescrive «violino principale, due flauti d'echo, due violini,
una viola in ripieno, violoncello e continuo». E' riferibile al tipico concerto grosso, in cui il
«concertino» è formato dal violino e da due flauti, con il violino che nei tempi estremi assume
un ruolo di schietto virtuosismo. In un secondo momento Bach trascrisse la parte del violino
solista per clavicembalo (come doveva fare del resto con tutti i suoi concerti violinistici). Meno
alato del Quinto, questo concerto è forse più ricco di atteggiamenti concertanti e si svolge in
solide concatenazioni secondo un rigoroso equilibrio polifonico. L'ultimo tempo «sta in
primissimo rango tra i consimili lavori di Bach», dice lo Spitta, «per lo slancio, la potenza delle
idee, la ricchezza degli sviluppi, l'affascinante padronanza della più completa tecnica, la
brillantezza e la grazia».

Giorgio Graziosi

BWV 1050 - Concerto brandeburghese n. 5

https://www.youtube.com/watchv=rnAcRm7IL74

https://www.youtube.com/watchv=_V7oujd9djk

https://www.youtube.com/watchv=LHjbRMIIhuM

Allegro
Affettuoso (si minore)
Allegro

Organico: flauto traverso, 2 violini, viola, violoncello, violone, clavicembalo


Composizione: 1720 - 1721
Edizione: Peters, Lipsia, 1850
Dedica: margravio Christian Ludwig von Brandenburg

Guida all'ascolto 1

La sera del 28 Luglio 1750 si chiude a Lipsia, la lunga giornata terrena di Johann Sebastian
Bach.

Forkel, suo primo biografo, ci racconta che dopo anni di intenso studio della musica la vista di
Bach andò peggiorando finché su consiglio di un amico, «che aveva fiducia in un medico
londinese, Bach si sottopose, coraggiosamente, a due interventi chirurgici che però fallirono.
Non solo perdette del tutto la vista, ma anche la sua costituzione, fino allora così vigorosa, fu
irrimediabilmente scossa, forse a causa di farmaci dannosi. La sua salute continuò a peggiorare
per più di sei mesi, finché, la sera del 28 Luglio 1750, Bach, all'età di sessantasei anni, si
addormentò per sempre. Un mattino, dieci giorni prima di morire, poté nuovamente vedere e
sopportare la luce, ma poche ore dopo fu colpito da un attacco apoplettico, e nonostante le cure
prodigategli dai medici, il suo organismo ormai stremato non poté più resistere all'acuto stato
febbrile».

Con la morte di Bach scompare l'ottimo organista della chiesa di San Tommaso a Lipsia, gli
eredi ne disperdono i manoscritti musicali, la vita musicale prende nuove strade e solo rari
organisti continuano ad utilizzare qualche corale durante i servizi della liturgia luterana. Meno di
cinquant'anni dopo la sua scomparsa, la tecnica esecutiva necessaria per leggere ed eseguire i
suoi lavori sembra definitivamente scomparsa.

La data fatidica della rinascita bachiana è il 5 Novembre 1793 quando a Berlino un piccolo
gruppo di suoi antichi discepoli, fonda la SingAkademie (Accademia di canto) nella quale gli
originali 27 cantori iniziano faticosamente a studiare ed a proporre al pubblico la musica vocale
di Bach.

Negli anni seguenti entra nella compagine il giovane Felix Mendelssohn-Bartoldy che l'11
Marzo 1829 esegue a Berlino con enorme successo, la Passione secondo Matteo. Il recupero
della figura e del lavoro di Johann Sebastian Bach è cosa fatta.

Nato a Eisenach il 21 Marzo 1685 in una famiglia dedita alla musica da almeno quattro
generazioni, e rimasto orfano di padre e di madre a dieci anni, Bach inizia la sua vita di
musicista come fanciullo cantore a Lüneburg studiando appassionatamente i testi musicali della
fornita biblioteca locale.

Nel 1703 entra come violinista alla corte di Weimar ed avvia la sua carriera di musicista che si
snoda nell'arco della sua vita con prestigiosi incarichi prevalentemente organistici nelle chiese
luterane tedesche. Bach era considerato il migliore collaudatore di organi della sua epoca.

Segnato da una profonda religiosità e dalla passione per l'approfondimento della musica che
coltiva con passione certosina, rappresenta la sintesi delle forme strumentali che gli organisti del
Seicento avevano elaborato e l'apertura alle nuove voci musicali che gli pervengono da altri
paesi. Comprende ed assimila la grazia dei clavicembalisti francesi ma soprattutto studia gli
italiani con particolare riferimento a Vivaldi del quale trascrive numerosi concerti.

Tutte queste esperienze confluiscono poi nella costruzione della monumentale mole della musica
ad uso della liturgia luterana.

La vita di Bach fu quella di un onesto e laborioso organista tedesco del nord. Ebbe due mogli e
una ventina di figli, dei quali dieci sopravvissutigli, tutti musicisti e, tre almeno, tali da occupare
un posto cospicuo nella storia. Una fede religiosa improntata a robusta e sana energia, una
concezione di vita lietamente operosa e feconda, erano le caratteristiche della casa. «La vita
familiare del tempo dei Bach non conosceva morbidezze di sentimento, ne lacrime, ne baci»
(Ernst Borkowsky). Alle sei del mattino tutti i numerosi Bach grandi e piccini saltavano
puntualmente giù dal letto e radunati intorno al clavicembalo nella stanza da lavoro cantavano un
inno di grazie al Signore. «C'era una devozione virile, una fede esatta e senza riserve, semplicità
di cuore, fiducia nella forza della preghiera. Mai l'incertezza del dubbio, ma sempre sicurezza di
vita, esatto adempimento di dovere, allegra operosità. Nessuna debolezza nella vita e nel lavoro
quotidiano» (Borkowsky). Massimo Mila nota ancora che «la sua Immensa produzione musicale
fu messa assieme con un lavoro assiduo, metodico e tranquillo, eseguito con scrupolosa cura di
artigiano ed inteso, senza alcuna posa, come servizio di Dio. Senza posa, che se Bach fosse stato
calzolaio, avrebbe fatto a maggior gloria di Dio un numero sterminato di scarpe, tutte
accuratamente lavorate e finite».

Dal 1717 Bach si trova alla corte di Cöthen con l'incarico di maestro di cappella, ed ha
l'occasione di soddisfare l'invito di Christian Ludwig, margravio del Brandeburgo, di scrivere dei
pezzi per la sua orchestra.

I Six concerts avec plusieurs instruments, inviati il 24 marzo 1721 da Johann Sebastian Bach, e
battezzati nel 1873 dal grande biografo del compositore, Philipp Spitta, Concerti brandeburghesi,
costituiscono un affascinante laboratorio delle possibilità di scrittura per gruppo strumentale,
indagate attraverso una straordinaria varietà di soluzioni compositive. In realtà piuttosto che ad
una serie di concerti scritti per un'occasione specifica ci troviamo di fronte alla bella copia
autografa di opere già (in parte) composte in precedenza. In vista della raccolta i concerti
vennero ordinati secondo un piano di perfetta simmetria (per due volte ricorre la serie di due
concerti grossi e uno di gruppo, quasi fossero due libri, scrive Alberto Basso), per proseguire la
loro vicenda oltre il 1721, quando, ormai a Lipsia, Bach avrebbe impiegato singoli movimenti
all'interno di nuove cantate.

Nei Brandeburghesi il compositore coniuga la lezione assimilata dai modelli italiani (Vivaldi
Corelli Albinoni e Alessandro Marcello) col contrappunto rigoroso e con alcune strutture della
musica vocale, imprimendo una sigla personalissima a questo genere d'avanguardia nel
panorama musicale dell'epoca. Da vero maestro dell'integrazione, in grado di compendiare in un
ideale enciclopedico i tratti di un'intera civiltà Bach utilizza di volta in volta con somma libertà
le forme principali dei suoi tempi: il concerto grosso, in cui un concertino di pochi strumenti si
contrappone all'intera orchestra d'archi, denominata appunto concerto grosso; il concerto
solistico tripartito, con la sua alternanza razionale di episodi solistici e ritornelli orchestrali; il
concerto di gruppo, nel quale non emergono protagonismi di singoli attori; la sonata da camera,
a tre e a quattro. Sul versante della strumentazione occupa la scena musicale un caleidoscopio di
colori che conosce pochi eguali nel tardobarocco europeo: un gusto per la preziosità timbrica -
nella scelta degli strumenti e nella loro combinazione - che troverà in seguito espressione nelle
grandi pagine vocali lipsiensi (le passioni, le cantate, l'Oratorio dì Natale). Istanze stilistiche
divergenti vengono dunque conciliate all'insegna di una «stravaganza» che permette a questo
gruppo unico di opere, rappresentative di un'intera stagione creativa del loro autore, di svettare
in un frangente storico cruciale: a conclusione di quel secondo decennio del Settecento in cui il
concerto italiano si era affermato attraverso l'editoria musicale internazionale.

Le novità storiche più importanti della serie dei Concerti Brandeburghesi provengono dal
Concerto n. 5 in re maggiore BWV 1050, che integra all'interno di una struttura da concerto
grosso una parte solistica preponderante, scritta per uno strumento che attorno al 1720 non aveva
status solistico: il clavicembalo. Un numero di copie manoscritte superiore alla somma degli altri
Brandeburghesi testimonia la grande popolarità di questo concerto, dovuta sia alla scrittura
innovativa per il cembalo e per un flauto traverso ancora poco sfruttato, sia all'originale e audace
concezione del concerto, sia naturalmente alla sua bellezza luminosa.
La sonorità brillante dell'orchestra d'archi apre l'Allegro con una energica frase in re maggiore
degli archi, alla quale risponde un dialogo in imitazione tra flauto e violino solo con un tema di
assoluta semplicità, al quale si contrappone una parte fiorita del clavicembalo, destinata a
riproporsi nei punti chiave del movimento. I numerosi ed estesi episodi solistici offrono a Bach
l'occasione per un proliferare di figurazioni ritmiche sempre rinnovato, combinazioni dinamiche
diverse e ricchi percorsi armonici. La sorpresa imprevedibile è però lo svilupparsi di un vasto
assolo del cembalo (65 battute: quasi un quarto di un movimento già di per sé considerevole),
che trascende la funzione di cadenza per rivelarsi piuttosto un capriccio virtuosistico,
tematicamente derivato dall'Allegro che lo ospita e concluso nei liberi modi di una toccata. Si
riconosce qui il compositore che l'anno successivo al manoscritto dei Brandeburghesi avrebbe
ultimato l'autografo del Clavicembalo ben temperato, volume I.

Il contrastante Affettuoso in si minore, riservato al flauto traverso, al violino solo ed al


clavicembalo, presenta una trama cameristica da sonata a tre dal pathos delicato, in un regolare
alternarsi di sonorità forte e piano che esaltano l'architettura formale.

Sono sempre i tre strumenti solisti (flauto traverso, violino solo e clavicembalo) ad aprire
l'Allegro finale, un tempo di danza veloce (una giga) concepito tuttavia in termini
contrappuntistici, sfruttando una pervasiva figura di terzina. Il soggetto viene poi ripreso
dall'orchestra a cominciare dalle viole, prima di passare alla seconda parte con funzione di
sviluppo. Dopo una parentesi in cui il tema viene trattato dal clavicembalo solo ed una ripresa di
tutta l'orchestra, la grandiosa struttura ternaria dell'Allegro si chiude con la ripetizione esatta di
78 delle sue 310 battute complessive.

Terenzio Sacchi Lodispoto

Guida all'ascolto 2 (nota 1)

A differenza dei Concerti di Corelli, Vivaldi e dello stesso Händel, che conobbero una vasta
diffusione europea tramite la stampa, i Concerti di Bach, primi fra tutti i Brandeburghesi,
dovettero aspettare più di un secolo per essere conosciuti e ammirati. Pubblicati solo nel 1850
sull'onda della Bach-Renaissance i sei Concerti furono chiamati Brandeburghesi dal grande
studioso di Bach Philipp Spitta. Se, come risulta probabile, lo stesso margravio di Brandeburgo,
dedicatario dell'opera, non fece eseguire nel suo palazzo di Berlino i sei Concerti, ne risulta che
le uniche esecuzioni di tali capolavori avvennero nella piccola corte di Köthen presso la quale
Bach fu Kapellmeister fra il 1717 e il 1723.

Amatissimi e popolarissimi oggi, i Brandeburghesi vengono considerati il punto culminante


della barocca "arte del concerto", fusione mirabile di tre diverse tipologie - il concerto
policorale, il concerto grosso e il concerto solistico - succedutesi nel corso di circa due secoli.

Bach conobbe il margravio Christian Ludwig di Brandeburgo probabilmente a Karlsbad nel


giugno 1718 e sicuramente a Berlino nel settembre dello stesso anno. La lunga dedica, scritta in
un francese non proprio impeccabile, che accompagna il manoscritto datato 24 marzo 1721 è
spesso citata come esempio del ruolo di sudditanza dei musicisti del periodo barocco verso i loro
mecenati. Vi abbondano infatti espressioni del tipo "umilissimo e obbedientissimo servitore", "il
mio umile ossequio" e via dicendo. Nella dedica Bach riferisce di aver suonato davanti al
margravio due anni prima e di aver ricevuto da lui l'ordine di inviargli sue composizioni. Il
periodo di composizione dei Concerti va dunque compreso tra la fine del 1718 - quando nacque
il Sesto Concerto - e l'inizio del 1721: l'ultimo ad essere composto fu probabilmente il Quinto.

Non è un caso che questi Concerti siano nati nel pieno periodo di Köthen (1717-23); nella
piccola corte del principe Leopold, di stretta osservanza calvinista, la musica sacra era pressoché
bandita mentre fioriva la Konzert-Musik affidata a un'orchestra di dodici-quindici eccellenti
strumentisti. Buona parte della musica strumentale di Bach risale a questo periodo; e basti citare,
oltre ai Brandeburghesi, tutto il vasto corpus delle opere per strumento solista - Suites per
violoncello solo, Sonate e Partite per violino solo, opere per clavicembalo.

Si è detto del carattere di compendio esaustivo dell'arte concertistica che rappresenta la raccolta
bachiana. Con il termine di Six Concerts avec plusieurs Instruments Bach intendeva superare il
campo abbastanza ristretto del concerto grosso italiano - in cui si alternano concertino e ripieno -
per esplorare con estrema libertà un terreno ben più vasto comprendente lo stile della Ouverture
e della Suite francese, il concerto per gruppi omogenei, il nuovo concerto solistico di tipo
vivaldiano, in un'ampia e stupefacente gamma di connotazioni timbriche.

Nel Quinto Concerto compaiono tre strumenti concertanti: un flauto traverso, un violino e un
cembalo. Il ripieno è affidato a quattro parti di archi con una sola parte di violino invece delle
consuete due.

L'Allegro iniziale, costruito su uno schema formale parzialmente simmetrico (A - B - C - A' -


B'), si basa su due elementi tematici ben distinti: la vigorosa figurazione del tutti iniziale e il
tema cantabile dei solisti che segue immediatamente. Il tratto che più colpisce in questo Allegro
è certo rappresentato dalla spiccata funzione solistica del clavicembalo cui è affidata una
cadenza di insolita lunghezza prima del ritornello finale.

Di carattere intimo e cantabile è il tempo centrale che Bach indica col termine assai appropriato
di Affettuoso. Qui il ripieno tace per dare spazio ai solisti che intrecciano la delicata trama di una
Sonata a tre.

Chiude il Concerto un Allegro in stile di fuga concertante su uno scintillante tema di giga in cui
la tecnica della variazione è abilmente sfruttata.

Giulio D'Amore

Guida all'ascolto 3 (nota 2)

Una tradizione forse non infondata vuole che i sei Concerti offerti nel 1724 da Bach a Christian
Ludwig, Margravio del Brandeburgo, siano stati archiviati dai bibliotecari di corte senza essere
stati eseguiti neppure una volta. Fin troppo facilmente oggi riconosciamo in questo gesto non
tanto la miopia del committente, che aveva fama di grande intenditore, quanto piuttosto il
riflesso dei rapporti di potere che allora collocavano il musicista nel rango di un servitore,
riservando ai suoi prodotti un'accoglienza alterna e spesso distratta. Per un altro aspetto, tuttavia,
lo zelo dei bibliotecari di Köthen corrisponde in modo efficace all'essenza di quei concerti, è un
simbolo del loro senso storico, anche se irride la loro qualità musicale. Queste pagine di Bach,
infatti, sembrano riassumere un'epoca proprio nel momento in cui la archiviano, minacciando
con la loro esuberanza i limiti delle forme musicali esistenti.

Ciò non vuol dire che i Concerti Brandeburghesi siano qualcosa come la "vetta", la
"conclusione" o anche solo un "repertorio" della musica strumentale barocca: essi tendono
piuttosto a ricondurre gli elementi di quella musica nell'unità di una configurazione ideale, in un
sistema aperto, sono il supporto materiale di una memoria che non divide in modo meccanico
l'antico dal moderno, ma agisce in modo più complesso, secondo un insieme di tecniche
intimamente legate all'esperienza del sacro che attraversa tutta l'opera di Bach. Mentre sembra
registrare nel dettaglio l'orizzonte musicale in cui vive, egli mette in crisi la visione lineare del
movimento storico, confonde volutamente i tempi, mescola le cronologie, pone gli uni accanto
agli altri elementi di epoche e provenienze differenti. Il risultato è appunto quello di un
"archivio" che consegna al presente la possibilità di riattivare continuamente il proprio rapporto
con l'origine, di riconoscersi in una discendenza che ripete in forme sempre diverse il destino
esemplificato dalla vicenda del Cristo: a questa connessione si riportano infatti la coscienza della
finitezza, il senso della mortalità e il bisogno di redenzione che sono posti da Bach alla radice
stessa della sua nozione di bellezza. Persino una certa esteriorità di queste pagine, concepite
come musica da intrattenimento, appare funzionale a un richiamo etico che invita a considerare
in modo diverso il rapporto con il passato.

Il richiamo di Bach, tuttavia, rimase di fatto inascoltato, e senza seguito rimasero anche le
invenzioni e le numerose innovazioni stilistiche da lui adottate nei Brandeburghesi. La
circolazione di questi lavori fu infatti tardiva e quando furono riscoperti, così come quando nel
corso dell'Ottocento il biografo Friedrich Spitta diede loro per la prima volta il titolo con il quale
oggi sono conosciuti, essi non potevano più esercitare una reale influenza sulla pratica musicale
dei nuovi compositori. L'archiviazione dei bibliotecari di Köthen ha in tal senso un valore
opposto a quello che abbiamo attribuito alla musica di Bach: equivale a una rimozione che
insieme alle partiture dei Brandeburghesi occulta un modello di interpretazione storica.

L'originalità della proposta di Bach non è tuttavia sfuggita ai critici e agli interpreti,
specialmente a quelli che in epoca recente hanno cercato di evidenziare il carattere unitario e
sistematico dei Brandeburghesi. Nikolaus Harnoncourt ha descritto ad esempio il paradosso in
base al quale proprio la diversità delle forme e la singolarità delle soluzioni musicali sarebbero
alla radice del senso di unità che promana da queste pagine. «Ogni concerto è scritto per una
destinazione strumentale differente», nota Harnoncourt, «e la diversità delle forme è estrema
almeno quanto quelle che riguardano la strumentazione e lo stile». Nei Concerti Brandeburghesi
troviamo in effetti gli uni accanto agli altri i modi tipici dello stile francese, quelli cantabili del
concerto italiano, la condotta severa del contrappunto, l'impasto moderno della sinfonia e la
sequenza arcaica della suite, la tecnica delle cantate sacre e quella delle sonate da camera.
Persino l'unità di riferimento più immediata, la forma del concerto grosso, diventa nelle mani di
Bach un involucro capace di rinnovarsi continuamente e di accogliere una quantità innumerevole
di inserzioni spurie. Harnoncourt definisce tutto questo come un «catalogo» della musica
barocca e, al tempo stesso, di tutto ciò di cui Bach era capace come musicista. Questo spirito di
compilazione, cui non sono estranei neppure gli interessi pedagogici sempre coltivati da Bach,
indica in modo molto chiaro quale fosse per lui la funzione realmente rilevante della Hofmusik,
della musica di corte. Quando non è improntata al raccoglimento del genere sacro, quando non
nasce dalla meditazione privata o non deriva direttamente da esigenze speculative, la musica
diventa per Bach un'occasione per descrivere la propria collocazione storica e per risvegliare, nel
presente, il senso della pietas nei confronti delle tracce del passato, senza lasciarsi travolgere
dall'ansia del superamento, quasi che nei Concerti Brandeburghesi egli abbia voluto riprodurre il
gesto istitutore e conservatore, rivoluzionario e tradizionale che è proprio, in fondo, di ogni
concetto dell'archivio.

La concezione dei Brandeburghesi è dovuta anche alla stratificazione del loro lavoro di scrittura.
Bach non li compose espressamente per la raccolta da offrire a Christian Ludwig, ma li elaborò
probabilmente in tempi anche lontani, nel corso del quindicennio che copre il periodo del suo
impiego alla corte di Weimar e il suo trasferimento a Köthen. Le differenti versioni autografe che
ci sono pervenute e l'importanza delle modifiche di volta in volta apportate dall'autore mostrano
come lo stato definitivo dei Concerti Brandeburghesi sia il risultato di un lavoro di montaggio
rigoroso e inventivo, ma per lo più non preordinato. Così l'intervento delle parti solistiche viene
ampliato o ridotto in rapporto all'aggiunta di una parte nuova, mentre un movimento già
utilizzato in altri contesti, per esempio in una cantata, viene ora collegato all'organismo del
concerto attraverso l'inserzione di un raccordo che ne riorganizza la sostanza musicale. La
varietà non è dunque un principio programmatico della composizione di questi concerti, ma è un
effetto naturale del lavoro pratico, è il riflesso di un atteggiamento intellettuale che si confonde
con l'esercizio stesso del magistero musicale bachiano.
***

Gli strumenti solistici di questo concerto sono il flauto traverso, il violino e il clavicembalo, ma è
quest'ultimo che ricopre la funzione del protagonista e che esegue, nel primo movimento, una
cadenza impressionante per ricchezza di svolgimento e virtuosismo. Il passaggio è interessante
anche dal punto di vista storico, poiché agli albori di quello sviluppo del concerto solistico che
avrebbe attribuito alla cadenza il ruolo di un puro momento di bravura, Bach ne propone un uso
invece strettamente legato alla logica del contenuto musicale e riprende in questo senso il
modello delle forme più arcaiche della scrittura clavicembalistica, come quelle del ricercare e
della toccata. Non solo per quello che riguarda la parte del clavicembalo, però, ma nel suo
insieme il Quinto Concerto è il più complesso dell'intera raccolta e risente di una stratificazione
complessa, testimoniata dalla molteplicità delle varianti che ce ne sono pervenute.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 4 (nota 3)

Il periodo che Bach trascorse a Köthen (1717-1723) fu il più felice di tutta la sua vita artistica. A
trentadue anni Bach aveva già raggiunto l'ambita posizione di «Kapellmeister» di corte con un
eccellente trattamento economico. In più godeva della stima e dell'amicizia del giovane principe
Leopoldo, appassionato di musica e buon dilettante come compositore e come suonatore di
violino, di viola da gamba e di clavicembalo. Il principe portò l'organico della sua orchestra a 18
membri e riuscì persino a convincere cinque ottimi strumentisti di lasciare Berlino per trasferirsi
a Köthen. L'atmosfera calda e cordiale che circondava il musicista, e la possibilità di disporre di
quell'orchestra di prim'ordine determinarono la nascita di alcuni capolavori della musica
strumentale barocca. La produzione di musica prevalentemente profana che caratterizza questo
periodo si spiega col fatto che la Corte di Köthen aderiva alla Chiesa Riformata la cui liturgia
poco spazio riservava alla musica. Tra le opere che videro la luce a Köthen spiccano i «Sei
Concerti Brandeburghesi» di cui Bach nel 1721 fece omaggio al Margravio di Brandeburgo
Cristiano Lodovico.

Dal testo della dedica in francese apprendiamo che il Margravio aveva ascoltato Bach un paio di
anni prima (l'incontro avvenne a Berlino nel 1718) e gli aveva chiesto alcuni pezzi di sua
composizione. Bach si riferisce a questo incontro per inviare a Cristiano Lodovico sei concerti
«que j'ai accommodés à plusieurs instruments». Sappiamo oggi, contrariamente a quello che si
credeva, che Bach non scrisse appositamente per il Margravio i sei concerti, ma li scelse da una
raccolta preesistente e probabilmente più ampia. Infatti, come risulta dalle ricerche del grande
musicologo Heinrich Bessler, la cronologia della loro composizione non corrisponde all'ordine
della successione. L'ultimo concerto è in realtà composto per primo, quindi seguono i concerti n.
3, n. 1, n. 2 e n. 4. L'ultimo composto è il quinto.

Sulla fortuna dei «Sei Concerti Brandeburghesi» ai tempi di Bach non abbiamo molte notizie.
Comunque un fatto è certo: mentre la pubblicazione a mezzo di stampa favorì ampiamente la
diffusione dei concerti grossi ad esempio di Corelli e di Vivaldi, che tanta influenza ebbero sui
compositori contemporanei, questo non avvenne per i concerti Brandeburghesi stampati solo nel
1850 in occasione delle celebrazioni del primo centenario della morte di Bach.

Come sempre accade per i vari generi musicali trattati dal grande compositore di Eisenach,
anche per la forma del concerto grosso la concezione bachiana è duplice. Ne conserva la
struttura formale derivata dai modelli vivaldiani ma nello stesso tempo la arricchisce
contrappuntisticamente e strumentalmente. La personalità accentratrice e assimilatrice di Bach fa
sì che nel suo concerto grosso sopravvivono e si fondono in un tutto unico svariati elementi che
provengono dalla suite, dalla sonata a tre e dal concerto con strumento solista. Aspetti innovatori
dei Concerti Brandeburghesi si riscontrano nella quasi totale autonomia delle parti e nell'impiego
nelle sezioni solistiche di uno o più strumenti a fiato. Ne derivano una varietà di prospettive
polifoniche fino ad allora sconosciuta e un colore strumentale particolare che distingue
fortemente un concerto dall'altro.

Già nel titolo scelto da Bach — «Six concerts avec plusieurs instruments» — si avverte questa
nuova tendenza che contrasta con le usanze del tempo, secondo le quali le raccolte di concerti
pubblicate dagli altri compositori prevedevano sempre lo stesso organico. Non era inoltre forse
estraneo a Bach il desiderio di dimostrare al Margravio la sua valentia nel trattare gli strumenti al
fine di stringere rapporti più stretti con la corte di Berlino.

Il «quinto concerto» è quello che possiede maggiore ampiezza e respiro. Il clavicembalo dal
ruolo di basso continuo assurge a quello di strumento concertante, e c'è chi ha voluto vedere in
questo concerto una anticipazione del classico concerto con pianoforte. Spetta a Bach il merito
di avere liberato il clavicembalo dalla parte subordinata che di solito gli era affidata. Bach era un
eccellente suonatore di questo strumento e la sua maestria nel trattarlo si era perfettamente
espressa nelle opere del periodo di Köthen fra cui figurano il primo volume de «Il clavicembalo
ben temperato», le Suites inglesi e francesi e le «Variazioni Goldberg». Il «concertino» del
quinto concerto comprende oltre al clavicembalo un flauto e un violino. Il brano si apre con un
incalzante e baldanzoso tema presentato dal «tutti» nel cui sviluppo emerge sempre più il
clavicembalo fino a sfociare in una ampia e magnifica cadenza. Il secondo movimento
«Affettuoso» è affidato esclusivamente al concertino che in sequenze canoniche intesse un
tenero trio. L'ultimo movimento chiaramente tripartito svolge idee contrappuntistiche di grande
varietà ritmica e melodica.

Antonio Mazzoni

BWV 1050a - Concerto in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=gtAdBjZhfA4

BWV 1051 - Concerto brandeburghese n. 6

https://www.youtube.com/watchv=YZW791uMSAQ

https://www.youtube.com/watchv=76oidwtHyIo

https://www.youtube.com/watchv=CexJQ8VWJfY

...
Adagio ma non tanto (mi bemolle maggiore)
Allegro

Organico: 2 viole da braccio, 2 viole da gamba, violoncello, violone, clavicembalo


Composizione: 1718
Edizione: Peters, Lispia, 1850
Dedica: margravio Christian Ludwig von Brandenburg

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Appare difficile immaginare per un ascoltatore di oggi che il testo più rappresentativo e
compiuto della barocca "arte del concerto" - i sei Concerti brandeburghesi di J. S. Bach - siano
stati per oltre un secolo completamente ignorati dal mondo musicale. Privati del privilegio della
stampa (la prima edizione è del 1850, in piena Bach-Renaissance) i Concerti furono certamente
eseguiti nella piccola corte del principe Leopold von Anhalt-Köthen presso cui Bach prestò
servizio in qualità di maestro dei concerti e della musica da camera fra il 1717 e il 1723 ma non
in quella berlinese del margravio Christian Ludwig di Brandeburgo, dedicatario e mecenate
dell'opera. Così una pressoché nulla influenza sui contemporanei di Bach e sugli immediati
successori è in stridente contrasto con la trionfale accoglienza tributata dai musicisti e musicofili
del Novecento.

Capolavoro sommamente speculativo e riassuntivo delle diverse forme del concerto policorale,
del concerto grosso e del concerto solistico, i Concerti brandeburghesi non perdono di vista, e
anzi esaltano, l'aspetto ludico e ricreativo della musica, con il loro tripudio di timbri e di
invenzioni melodiche e ritmiche.
L'ambiente di Köthen era favorevole alla pratica della musica strumentale. Il principe, di stretta
osservanza calvinista e quindi poco incline alla musica sacra, «non solo amava ma conosceva
anche la musica», secondo quanto scrisse Bach all'amico Erdmann nel 1730. L'orchestra di corte,
formata da una quindicina di ottimi strumentisti, si prestava ottimamente alle esigenze del
Konzertmeister ed era motivo di vanto per il principe.

Ultimo della serie, ma primo in ordine di composizione (1718), il sesto Concerto è, come il
terzo, un Concerto per soli archi. La novità è che, mancando i violini, gli strumenti di suono
medio e grave (due viole da braccio, due viole da gamba, violoncello, violone e cembalo) creano
una sonorità inconfondibilmente scura e brunita. Lo spazio dato alla funzione solistica e
concertante delle viole - strumenti di ripieno nella prima metà del Settecento - è anche un
elemento nuovo e importante.

Formalmente il Concerto è, fra i sei, quello più vicino alla struttura del concerto grosso, con il
concertino - vale a dire il gruppo di solisti che si contrappone al Tutti - formato generalmente
dalle due viole e dal violoncello. La fantasia di Bach non si accontenta comunque di definire un
gruppo stabile di solisti ma di volta in volta lo allarga o lo restringe con grande libertà.

In tutto simile al contesto sonoro della Sonata a tre è l'Adagio ma non troppo centrale, in cui il
tema austero ed espressivo viene sottoposto ad una fitta rete di imitazioni fra le due viole soliste.

A concludere il Concerto Bach pone un Allegro sul ritmo rilassato e gioioso di 12/8 la cui
ripetizione nei ritornelli del Tutti è spezzata e variata da una serie di episodi virtuosistici e
imitativi.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Una tradizione forse non infondata vuole che i sei Concerti offerti nel 1724 da Bach a Christian
Ludwig, Margravio del Brandeburgo, siano stati archiviati dai bibliotecari di corte senza essere
stati eseguiti neppure una volta. Fin troppo facilmente oggi riconosciamo in questo gesto non
tanto la miopia del committente, che aveva fama di grande intenditore, quanto piuttosto il
riflesso dei rapporti di potere che allora collocavano il musicista nel rango di un servitore,
riservando ai suoi prodotti un'accoglienza alterna e spesso distratta. Per un altro aspetto, tuttavia,
lo zelo dei bibliotecari di Köthen corrisponde in modo efficace all'essenza di quei concerti, è un
simbolo del loro senso storico, anche se irride la loro qualità musicale. Queste pagine di Bach,
infatti, sembrano riassumere un'epoca proprio nel momento in cui la archiviano, minacciando
con la loro esuberanza i limiti delle forme musicali esistenti.

Ciò non vuol dire che i Concerti Brandeburghesi siano qualcosa come la "vetta", la
"conclusione" o anche solo un "repertorio" della musica strumentale barocca: essi tendono
piuttosto a ricondurre gli elementi di quella musica nell'unità di una configurazione ideale, in un
sistema aperto, sono il supporto materiale di una memoria che non divide in modo meccanico
l'antico dal moderno, ma agisce in modo più complesso, secondo un insieme di tecniche
intimamente legate all'esperienza del sacro che attraversa tutta l'opera di Bach. Mentre sembra
registrare nel dettaglio l'orizzonte musicale in cui vive, egli mette in crisi la visione lineare del
movimento storico, confonde volutamente i tempi, mescola le cronologie, pone gli uni accanto
agli altri elementi di epoche e provenienze differenti. Il risultato è appunto quello di un
"archivio" che consegna al presente la possibilità di riattivare continuamente il proprio rapporto
con l'origine, di riconoscersi in una discendenza che ripete in forme sempre diverse il destino
esemplificato dalla vicenda del Cristo: a questa connessione si riportano infatti la coscienza della
finitezza, il senso della mortalità e il bisogno di redenzione che sono posti da Bach alla radice
stessa della sua nozione di bellezza. Persino una certa esteriorità di queste pagine, concepite
come musica da intrattenimento, appare funzionale a un richiamo etico che invita a considerare
in modo diverso il rapporto con il passato.

Il richiamo di Bach, tuttavia, rimase di fatto inascoltato, e senza seguito rimasero anche le
invenzioni e le numerose innovazioni stilistiche da lui adottate nei Brandeburghesi. La
circolazione di questi lavori fu infatti tardiva e quando furono riscoperti, così come quando nel
corso dell'Ottocento il biografo Friedrich Spitta diede loro per la prima volta il titolo con il quale
oggi sono conosciuti, essi non potevano più esercitare una reale influenza sulla pratica musicale
dei nuovi compositori. L'archiviazione dei bibliotecari di Köthen ha in tal senso un valore
opposto a quello che abbiamo attribuito alla musica di Bach: equivale a una rimozione che
insieme alle partiture dei Brandeburghesi occulta un modello di interpretazione storica.

L'originalità della proposta di Bach non è tuttavia sfuggita ai critici e agli interpreti,
specialmente a quelli che in epoca recente hanno cercato di evidenziare il carattere unitario e
sistematico dei Brandeburghesi. Nikolaus Harnoncourt ha descritto ad esempio il paradosso in
base al quale proprio la diversità delle forme e la singolarità delle soluzioni musicali sarebbero
alla radice del senso di unità che promana da queste pagine. «Ogni concerto è scritto per una
destinazione strumentale differente», nota Harnoncourt, «e la diversità delle forme è estrema
almeno quanto quelle che riguardano la strumentazione e lo stile». Nei Concerti Brandeburghesi
troviamo in effetti gli uni accanto agli altri i modi tipici dello stile francese, quelli cantabili del
concerto italiano, la condotta severa del contrappunto, l'impasto moderno della sinfonia e la
sequenza arcaica della suite, la tecnica delle cantate sacre e quella delle sonate da camera.
Persino l'unità di riferimento più immediata, la forma del concerto grosso, diventa nelle mani di
Bach un involucro capace di rinnovarsi continuamente e di accogliere una quantità innumerevole
di inserzioni spurie. Harnoncourt definisce tutto questo come un «catalogo» della musica
barocca e, al tempo stesso, di tutto ciò di cui Bach era capace come musicista. Questo spirito di
compilazione, cui non sono estranei neppure gli interessi pedagogici sempre coltivati da Bach,
indica in modo molto chiaro quale fosse per lui la funzione realmente rilevante della Hofmusik,
della musica di corte. Quando non è improntata al raccoglimento del genere sacro, quando non
nasce dalla meditazione privata o non deriva direttamente da esigenze speculative, la musica
diventa per Bach un'occasione per descrivere la propria collocazione storica e per risvegliare, nel
presente, il senso della pietas nei confronti delle tracce del passato, senza lasciarsi travolgere
dall'ansia del superamento, quasi che nei Concerti Brandeburghesi egli abbia voluto riprodurre il
gesto istitutore e conservatore, rivoluzionario e tradizionale che è proprio, in fondo, di ogni
concetto dell'archivio.

La concezione dei Brandeburghesi è dovuta anche alla stratificazione del loro lavoro di scrittura.
Bach non li compose espressamente per la raccolta da offrire a Christian Ludwig, ma li elaborò
probabilmente in tempi anche lontani, nel corso del quindicennio che copre il periodo del suo
impiego alla corte di Weimar e il suo trasferimento a Köthen. Le differenti versioni autografe che
ci sono pervenute e l'importanza delle modifiche di volta in volta apportate dall'autore mostrano
come lo stato definitivo dei Concerti Brandeburghesi sia il risultato di un lavoro di montaggio
rigoroso e inventivo, ma per lo più non preordinato. Così l'intervento delle parti solistiche viene
ampliato o ridotto in rapporto all'aggiunta di una parte nuova, mentre un movimento già
utilizzato in altri contesti, per esempio in una cantata, viene ora collegato all'organismo del
concerto attraverso l'inserzione di un raccordo che ne riorganizza la sostanza musicale. La
varietà non è dunque un principio programmatico della composizione di questi concerti, ma è un
effetto naturale del lavoro pratico, è il riflesso di un atteggiamento intellettuale che si confonde
con l'esercizio stesso del magistero musicale bachiano.
***

Se molti elementi fanno ritenere che il Quinto sia cronologicamente l'ultimo concerto scritto da
Bach fra quelli inclusi nella raccolta, indizi non minori indicano nel Sesto la pagina più antica,
senza dubbio risalente al periodo di Weimar. Si ritorna qui allo stile di insieme, nel quale la
scrittura di ogni strumento ha carattere solistico ma non c'è più un gruppo o un singolo
strumento che emerga in rapporto agli altri. Come nel Terzo Concerto, anche qui non sono
previsti strumenti a fiato. Bach però limita ulteriormente lo spettro timbrico di questo lavoro
dando peso soprattutto agli strumenti del registro medio, le viole, e creando così sonorità che per
certi versi ricordano il consort inglese, l'insieme di viole tipico della musica elisabettiana. Sono
infatti le viole a esporre la maggior parte del materiale melodico, mentre gli altri strumenti
producono un sostegno polifonico incessante, contrappuntisticamente assai elaborato e di
intensità via via crescente. Solo nel secondo movimento il dinamismo della composizione si
rilassa e prende la forma di sonata a tre, nella quale le viole si alternano allo strumento grave,
protagonista anche del finale.

Stefano Catucci

Concerti per clavicembalo

https://it.wikipedia.org/wiki/Concerti_per_clavicembalo_di_Johann_Sebastian_Bach

https://www.youtube.com/watchv=wC_kuLSnuXk&t=64s

https://www.youtube.com/watchv=Kpqm1hxgH-w&list=PLF81B6EFFAE902A3B

BWV 1052 - Concerto per clavicembalo in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=RcwWboxbkYk

https://www.youtube.com/watchv=ljLi9A0H8H4

Allegro
Adagio (sol minore)
Allegro
Organico: clavicembalo, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1736 circa
Edizione: Kistner, Lipsia, 1838

Parzialmente riutilizzato nelle Cantate BWV 146 e BWV 188


Versione definitiva, vedi a BWV 1052a la versione originale

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Divenuto nel 1717 Kapellmeister e direttore della musica da camera del Principe Leopold di
Anhalt-Köthen, Johann Sebastian Bach si dedicò quasi completamente alla composizione di
musica strumentale. Le esigenze della Corte (dalla quale si congedò nel 1723) lo spingevano
infatti in quella direzione, non richiedendogli più di tanto l'allestimento e la creazione di
composizioni sacre. Le mansioni richiestegli erano in parte simili a quelle che aveva dovuto
assolvere per la Corte di Weimar tra il 1708 e il 1717. Le finalità della musica in quell'ambito
erano infatti legate ad awenimenti celebrativi interni, esigenze didattiche, approfondimento
culturale, dilettantismo e concertismo di piacere, occorrenze che Bach soddisfaceva con nuove
composizioni e trascrizioni.

È nel periodo di Köthen che videro la luce capolavori come il primo volume del Clavicembalo
ben temperato, le Suites per violoncello solo, le Sonate e Partite per violino solo, i Concerti
brandeburghesi. La conoscenza dello stile italiano e dei suoi maestri era un aspetto con il quale
le corti tedesche venivano incontro alle tendenze che all'epoca erano di moda. Bach, che aveva
una conoscenza musicale vastissima, fu ben contento di continuare ad approfondire le opere di
Vivaldi, Albinoni, Torelli e continuò a creare opere ispirate allo stile italiano. I Concerti per
violino, composti negli anni di Köthen, seguono infatti la tradizione del concerto solistico
italiano: la forma è in tre movimenti, secondo la successione Allegro-Adagio-Allegro. Tuttavia,
molto più complessa rispetto al modello è la strutturazione interna dei singoli movimenti,
soprattutto per l'integrazione tra ritornelli orchestrali ed episodi solistici. Nei ritornelli sono
infatti presenti momenti del "solo", mentre frammenti del ritornello orchestrale entrano a far
parte del tessuto musicale degli episodi, determinando un'unità tematica che anticipa alcune
soluzioni del futuro periodo classico.

Anni dopo, nel 1730, Bach si trovava a Lipsia in qualità di Kantor alla Thomaskirche e di
Direttore musicale della città e del Collegium Musicum. I suoi figli Wilhelm Friedemann e Carl
Philipp Emanuel erano ormai ottimi cembalisti educati alla musica dal padre il quale,
probabilmente per loro, trascrisse per clavicembalo e orchestra alcuni concerti scritti a Köthen,
in prìmis quelli per violino. Facendo ciò, Bach veniva comunque incontro anche al gusto della
borghesia locale che apprezzava particolarmente il nuovo genere del concerto solistico per
clavicembalo, nonché al buon numero di virtuosi della tastiera presenti all'epoca a Lipsia.

Il ciclo dei sette Concerti trascritti per cembalo con accompagnamento orchestrale è arrivato sino
a noi nella forma di una preziosa bella copia scritta di pugno dal compositore. La partitura del
Concerto BWV 1052, nella prima versione per violino e orchestra non ci è dunque giunta. Sono
stati vari in passato i tentativi di ricostruire la versione originale perduta del Concerto: ci
provarono nel 1873 Ferdinand David, che ne preparò una versione per violino e pianoforte, e
Robert Reitz nel 1917. La ricostruzione più recente è quella di Wilfried Fischer, confluita nella
Neue Bach-Ausgabe (il progetto che prevede la revisione e la pubblicazione delle composizioni
di J. S. Bach). Dunque il percorso storico del Concerto per violino è assai particolare:
dall'originale alla trascrizione e dalla trascrizione all'idea originaria. Una sorta di Concerto "al
quadrato" che testimonia l'inesauribile energia intellettuale, artigianale ed espressiva della
musica di Bach.

A differenza di altri Concerti, la parte affidata al solista nel BWV 1052 si presenta complessa e
richiede una notevole abilità esecutiva. L'unisono iniziale dell'Allegro funziona da grandioso
sipario del Concerto, ma è il contrappunto, la polifonia, che ne arricchisce il tessuto e ne rende
affascinanti i temi. L'interazione tra violino e orchestra è sempre animata da un sapiente
combinarsi delle parti in cui ritornello e parte solistica si rapportano tra loro originando una
macro-forma piena di suggestione espressiva. I movimenti lenti dei Concerti di Bach
costituiscono alcuni dei suoi brani più sentiti, al punto da richiamare alcuni momenti delle sue
Passioni.

Il Concerto BWV 1052 ha la particolarità di essere l'unico che ha in tonalità minore anche
l'Adagio centrale. L'esordio "passeggiato" iniziale ha qualcosa di riflessivo e addolorato: il suo
andamento tipico pervade con discrezione tutto il brano. L'entrata del violino sembra
rispondergli con intensità: entrambi procedono in un crescendo di suggestiva bellezza. La
divisione fra accompagnamento e solista, che sembrano appoggiarsi l'un l'altro come in una
scena tragica, crea qui una profondità inusitata che rasenta punte di rara drammaticità.

Il piglio ritmico del terzo tempo, Allegro, chiaramente ispirato a un movimento di danza, fonde
insieme fascino virtuosistico, magia timbrica e sapienza armonica: l'attualità di Bach, oltre che
per la sua nota intensità, passa anche per la frizzante e sorprendente capacità di donare ai suoni
una slanciata leggerezza.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Prima e dopo i brandeburghesi (tenendo per buona la data della dedica, cioè il 1721) ci sono
rimasti altri concerti: fra questi è il caso di ricordare i primi tre (BWV 1041-3) datati 1720; un
fitto gruppo quindi per clavicembalo e archi (elaborati da altri concerti in parte, perduti) che si
possono riferire agli anni 1730-33, periodo in cui il compositore dirige il Collegium Musicum e
ha urgente necessità di nuovo materiale; infine, sempre degli stessi anni, tranne un caso, i
concerti per 2, 3, 4 clavicembali e archi. In programma ascolteremo, oltre ai brandeburghesi,
anche due del secondo gruppo, precisamente quello in re minore (BWV 1052) e quello in la
maggiore (BWV 1055). Il primo proviene da un concerto per violino che è andato perduto, con
alcune varianti; il secondo probabilmente da un concerto per oboe d'amore, pure perduto. Risulta
piuttosto chiaro come questi due concerti, insieme con tutti gli altri "trascritti", al di là del loro
valore intrinseco risultino preziosi proprio perchè gli originali sono andati perduti, oltre al
potenziamento di uno strumento, il clavicembalo, che qui diventa solista con nuovi rapporti di
forza nei confronti del ripieno.

Il Concerto in re minore è certamente fra i più noti di Bach ed è un lavoro di immediata capacità
di presa sino dall'incisivo tema che apre il primo Allegro, con tutti all'unisono. Il clavicembalo è
costantemente impegnato in un lavoro che alterna momenti di assoluto protagonismo ad altri di
più stretta connessione con le maglie del discorso generale. Del tutto solitaria sarà invece la sua
linea, di un gusto barocco prezioso, nell'Adagio centrale. Di piglio deciso, come nel primo caso,
anche l'Allegro finale, che ripropone sia pure con materiali e spirito diversi, lo spirito
dell'Allegro iniziale. Lo strumento solista esce anche scopertamente, coronando, poco prima
della conclusione, il suo ruolo con una lunga e vistosa cadenza di grande impegno e sonorità.

Renato Chiesa

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Concerto in re minore per clavicembalo e archi BWV 1052 è la trascrizione di un concerto in


re minore per violino andato perduto. Il suo terzo movimento, Allegro venne utilizzato come
introduzione della Cantata «Ich habe meine Zuversicht» BWV 188. I primi due movimenti
vennero utilizzati invece nella Cantata BWV 146. Si tratta di un'opera sulla quale a lungo gli
studiosi bachiani hanno dibattuto, negandone spesso anche la paternità. Ma oggi la tesi
dominante è che questa pagina sia autentica. In essa apprezziamo la dignitosa solennità del
discorso, gli slanci appassionati ma sempre controllati e la tensione armonica cui viene
sottoposto il materiale motivico. L'Allegro iniziale si apre col ritornello (tutti), caratterizzato da
un motivo scattante esposto in ottava da tutta l'orchestra e formato da ampi intervalli melodici. Il
solista si presenta subito con impeto e virtuosismo, caratteristiche che saranno tipiche di questo
concerto. La ripresa del ritornello ci porta alla tonalità della dominante, nella quale i violini si
producono in un'elaborazione fugata del suo incipit sopra gli arpeggi in semicrome del solista.
La successiva ripetizione del ritornello ci proietta in la minore, tonalità nella quale ha luogo un
episodio solistico lungo ed elaborato, tonalmente molto mobile e dominato dal-l'incessante
impulso ritmico del clavicembalo. Di nuovo il ritornello (sol minore), seguito da una sorta di
piccola cadenza del solista. Un nuovo episodio di sviluppo motivico, che sottopone l'incipit del
ritornello a un incessante lavorio, precede un passaggio armonicamente molto intenso, nel quale
il clavicembalo rimane solo, riconducendo il discorso alla tonalità di partenza. L'ultima
apparizione del ritornello conclude il movimento.

L'Adagio che segue si apre con l'orchestra compatta (in ottava) che espone la linea del basso,
fondamento armonico di tutto il movimento. Il tema principale è costituito dalla linea melodica
precedente, esposta dai bassi, alla quale i violini sovrappongono un motivo mesto e quasi
rassegnato, mentre il solista si libra in un delicato volo di fantasia musicale che intesse e collega
con sapienza ed eleganza i fili costituiti dalla linea principale. I due episodi successivi sono più
mossi, armonicamente dominati ora dalle armonie di settima diminuita, ora dalle incalzanti e
agili figurazioni del solista, che riconduce al tono d'impianto, La ripresa del motivo principale,
ora più ornato nella linea del clavicembalo, precede una breve cadenza del solista e la
conclusione, identica all'introduzione.

L'Allegro conclusivo ha un piglio impetuoso e fortemente ritmico; il suo ritornello si basa su di


una scala discendente subito recuperata da uno scattante movimento melodico ascendente. La
continua alternanza fra episodi solistici, che elaborano il materiale motivico con una scrittura che
spesso utilizza lo stile fugato, e ritornello conduce all'ultimo episodio solistico, dominato dal
clavicembalo che a lungo suona da solo, vero e proprio dominatore della scena musicale. Una
breve cadenza (Adagio) prepara il ritornello conclusivo.
Alessandro De Bei

BWV 1053 - Concerto per clavicembalo in Mi maggiore

https://www.youtube.com/watchv=9Af05K0ZHR0

https://www.youtube.com/watchv=4UAQU8a4kfM

Allegro
Riutilizzato nella Sinfonia della Cantata BWV 169
Siciliano (do diesis minore)
Riutilizzato nell'Aria n. 5 della Cantata BWV 169
Allegro
Riutilizzato nella Sinfonia della Cantata BWV 49

Organico: clavicembalo, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1738
Edizione: Peters, Lipsia, 1851

Parzialmente riutilizzato nelle Cantate BWV 49 e BWV 169

Guida all'ascolto (nota 1)

Bach, già Kantor alla Thomasschule di Lipsia dal 1723, ricoprì l'incarico di direttore del locale
Collegium Musicum, fondato da Telemann nel 1702, dalla primavera del 1729 fino al 1741, con
un'interruzione tra l'estate del 1737 e l'ottobre 1739. Le esecuzioni regolari che questa
associazione teneva nei locali del Caffè Zimmermann spinsero Bach a ritornare al genere del
concerto strumentale, da lui ampiamente praticato negli anni trascorsi come Kapelmeister alla
corte di Köthen (1717-1723), ma che era stato costretto ad abbandonare, non appena giunto a
Lipsia, a causa dei suoi obblighi come compositore di musica sacra. Il repertorio dei concerti del
Collegium Musicum, che erano aperti ad un pubblico pagante, era molto vario. Accanto a cantate
di omaggio (per esempio quelle dedicate ai professori della locale università), era possibile
ascoltare concerti, sinfonie, suites, trii o sonate di autori tedeschi, italiani o francesi. Compito del
Director Musices era quello di dotare l'orchestra, composta da una quarantina di elementi, di un
repertorio adeguato di musiche che potevano essere di sua composizione o che egli stesso
sceglieva dall'allora fiorente mercato editoriale.

L'aspetto più rilevante del rinnovato interesse di Bach per il concerto strumentale è il fatto che,
per la prima volta nella storia della musica, ad eccezione del Quinto Concerto Brandeburghese
(1720 ca.), egli usò il clavicembalo come strumento solista, conferendo al semplice e
seminascosto realizzatore del basso continuo un prestigio ed un ruolo superiori a quelli degli altri
strumenti dell'orchestra. I suoi concerti per clavicembalo, tuttavia, tranne quello in do maggiore
per due clavicembali BWV 1061, non sono composizioni originali, ma rielaborazioni di pezzi
originariamente concepiti per strumenti melodici, come il violino, il flauto o l'oboe,
precedentemente scritti a Köthen e di cui conosciamo l'esistenza solo grazie alle loro trascrizioni
cembalistìche (il Concerto in la minore per quattro clavicembali BWV 1065 è, invece, il
rifacimento del Concerto per due violini e violoncello op. 3 n. 11 di Vivaldi). La trasformazione
tastieristica di questi lavori comportò molte alterazioni dei modelli originari. Le modifiche erano
dovute alle differenti qualità tonali e possibilità tecniche di ciascuno strumento (prima fra tutte
l'uso della mano sinistra nel cembalo), ma la sostanza complessiva delle diverse composizioni
rimase fondamentalmente inalterata, tanto che per alcune di esse è stato possibile ricostruire la
versione originale.

È probabile che i primi esecutori di questi concerti (complessivamente 14, per uno, due, tre o
quattro clavicembali) siano stati i figli maggiori di Bach, in particolare Wilhelm Friedemann e
Carl Philipp Emanuel che, «educati al gusto della Hausmusik, della musica domestica, agivano
in società portandovi e consumandovi la musica fornita dal pater familias, saggio amministratore
del talento dei propri congiunti e al tempo stesso avveduto fornitore di beni per la vita musicale
della città» (Basso). Il Concerto in mi maggiore per clavicembalo e archi BWV 1053 deriva da
un precedente concerto per oboe o per flauto, già impiegato da Bach, con organo obbligato, in
due cantate del 1726: il primo e il secondo movimento, nella sinfonia e in un'aria di Gott soll
allein mein Herze haben BWV 169; il terzo, nella sinfonia di Ich geh und suche mit Verlangen
BWV 49. È possibile quindi che Bach, nella rielaborazione per clavicembalo, non si sia rifatto al
concerto originale, bensì alla successiva trasformazione organistica adoperata per le cantate.

Il festoso Allegro iniziale presenta una tematica tipicamente bachiana, con frasi scarne,
essenziali, ben scandite ritmicamente, ma nello stesso tempo suscettibili di ampi sviluppi
melodico-armonici. Il dialogo tra il solista e l'orchestra in alcuni momenti è intenso, serrato,
ricco di richiami motivici; in altri, sembra distendersi in episodi solistici con accompagnamento
ridotto che alleggeriscono la solidità strutturale dell'intero movimento con sempre nuove
sfumature timbriche.

Nel secondo tempo (Siciliano), i due interventi del tutti incorniciano una mobilissima melodia
del cembalo d'andamento quasi melismatico; la ricchezza delle ornamentazioni, assecondata dal
morbido ritmo di danza, conferisce al canto un tono di maestà dolente.

Il Concerto termina con un Allegro di gusto toccatistico che, pur richiamandosi ai principi
costruttivi (intensa elaborazione tematica) e formali (struttura tripartita) del primo movimento, si
distacca da quello per la maggior frequenza di figurazioni solistiche prive di accompagnamento,
obbedendo ad una concezione concertante più chiaramente articolata in un'alternanza solo-tutti.

Marco Carnevali

BWV 1054 - Concerto per clavicembalo in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=V-Cgx-XokvY

https://www.youtube.com/watchv=h8mMJfC99m8

Allegro
Adagio e piano sempre (si minore)
Allegro

Organico: clavicembalo, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1738
Edizione: Peters, Lipsia, 1851

Trascrizione per clavicembalo del Concerto per violino BWV 1042

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

È di datazione incerta, ma forse deve essere ascritta all'ultimo periodo della vita di Bach, la
composizione di un gruppo di concerti per clavicembalo al quale appartiene, fra gli altri, quello
in re maggiore BWV 1054. Molto probabilmente si tratta dell'adattamento per il Collegium
Musicum di un precedente Concerto per violino in mi maggiore (BWV 1042), la cui
composizione riporterebbe ancora una volta alla produzione giovanile di Bach. Il rapporto fra il
solista e il ripieno orchestrale è quello tradizionale di un'alternanza dei ruoli, con un costante
avvicendamento di primi piani. Rispetto alla versione originaria con il violino, in quella con il
clavicembalo il solista suona però senza interruzioni, sfilando a volte nella parte
dell'accompagnamento e nella realizzazione di una sorta di basso continuo che segue con
puntualità lo sviluppo del discorso orchestrale. Nel primo movimento, da segnalare è soprattutto
la costruzione cantabile del disegno melodico, realizzata da Bach con un'ampiezza di strutture
che va molto al di là dei modelli italiani dai quali aveva tratto ispirazione, mentre nel successivo
Adagio la prevalenza della melodia sembra già accennare precocemente, più che all'aria d'opera,
a quel gusto per la forma del Lied che avrebbe caratterizzato un'ampia porzione del concertismo
romantico. Un'inserzione di questo tipo, anche se di carattere più improvvisativo, si poteva già
notare nella cadenza del primo movimento, nella quale il clavicembalo si distacca in modo
significativo dall'originario palinsesto violinistico. Ma è soprattutto nel finale in forma di rondò
che Bach accentua l'indipendenza della seconda versione di questo Concerto, scegliendo
soluzioni ritmiche e virtuosistiche che valorizzano la tecnica peculiare dello strumento a tastiera.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Concerto in re maggiore per clavicembalo e archi BWV 1054 è una trascrizione fedele del
Concerto per violino in mi maggiore BWV 1042. Il primo movimento, Allegro, si apre con un
solenne «gesto» orchestrale, costituito da un arpeggio ascendente (tutti) seguito da veloci note
ribattute (violini e viole); il ritornello viene poi ripetuto, col clavicembalo che ora partecipa
attivamente al discorso musicale esprimendosi con fluenti disegni di semicrome, I successivi
episodi solistici, sempre alternati a riprese del ritornello, vedono il clavicembalo protagonista di
un'incessante attività: dai vivaci arpeggi del primo episodio alle imitazioni fugate del secondo.
Una cadenza (Adagio) precede le ultime apparizioni del ritornello.

L'Adagio e piano sempre si apre con un disegno discendente esposto dai bassi e raddoppiato
dalla mano sinistra del solista, che costituisce il fondamento armonico dell'intero movimento.
Una variazione del disegno melodico precedente culmina poi in una cadenza sospesa che porta a
un nuovo episodio solistico, una sorta di rapsodico incedere del clavicembalo sostenuto appena
dalle crome degli archi e da qualche riapparizione del tema principale ai bassi. La pagina viene
conclusa da un'ultima ripresa del disegno discendente iniziale.

Incalzante, vivace, senza tregua ritmica è l'Allegro conclusivo, il cui ritornello è costituito da un
motivo di danza leggera e spensierata, molto regolare nella sua struttura di 8 + 8 battute. Si
succedono poi regolarmente gli episodi solistici, quasi elettrizzati dalla vivacissima verve ritmica
del clavicembalo, e le riprese del ritornello.

Alessandro De Bei

BWV 1055 - Concerto per clavicembalo in La maggiore

https://www.youtube.com/watchv=lx1WmooWXWw

https://www.youtube.com/watchv=I7g4gzUCzWU

Allegro
Larghetto (fa diesis minore)
Allegro ma non tanto

Organico: clavicembalo, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1738
Edizione: Peters, Lipsia, 1851

Trascrizione per clavicembalo di un Concerto per oboe d'amore perduto

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La storia dei rapporti di Johann Sebastian Bach con la forma del concerto si svolge attraverso
varie tappe che coincidono con alcuni momenti fondamentali non solo della sua carriera creativa,
ma in senso lato del suo ufficio di maestro di cappella e di compositore di corte. La prima
occasione per accostarsi al nuovo genere, abbandonando la sfera ristretta del repertorio musicale
legato all'ambiente municipale ed ecclesiastico nel quale il musicista si era formato, gli fu data
dalla nomina a Kammermusikus und Hoforganist presso la corte di Weimar nel 1708,
trasformata nel 1714 in quella di Konzertmeister. Le pratiche incombenze di Bach lo portavano a
ricercare e ad eseguire le opere di Vivaldi, Albinoni, Legrenzi, Benedetto e Alessandro Marcello,
Bonporti, di quella «scuola lombarda», insomma, che aveva in grazia della singolare novità del
credo estetico da essa propugnato, vastissima diffusione ed entusiastico seguito nell'ambiente
musicale tedesco del primo Settecento. Basti pensare a musicisti come Heinichen, Stölzer,
Quantz e allo stesso Telemann, germanizzante per puntiglio ed italianizzante per vocazione.

Nella corte di Weimar, il «gusto italiano» aveva nell'organista J. Walther e nel geniale nipote del
Duca, Johann Ernst due valorosi ed autorevoli seguaci. In questo contesto si inserisce anche
l'incontro di Bach con la musica di Vivaldi, senz'altro il maestro italiano che più lo colpì (com'è
confermato dalle testimonianze di Wilhelm Friedmann e Carl Philipp Emmanuel Bach riportate
dal Forkel, così come dal numero di concerti che egli trascrisse.
Sotto quale profilo debbono essere considerate queste trascrizioni bachiane Da un punto di vista
propriamente estetico il problema che esse pongono è affine a quello che in sede letteraria si
stabilisce nel confronto tra opera originale e traduzione. E se in letteratura, secondo una felice
definizione, la traduzione migliore è quella che si serve del linguaggio che l'autore avrebbe usato
se si fosse espresso nella lingua del traduttore, così in musica la trascrizione più felice sarà
quella che saprà trasporre una costruzione sonora da un ambito all'altro, rispettando il senso
espressivo dell'originale e insieme l'individualità fonica e stilistica dello strumento che funge da
nuovo tramite tra l'intuizione estetica, la trama formale preesistente, e il suo concreto correlato
fisico. In altre parole, la traduzione e la trascrizione si sollevano da un piano puramente pratico a
un livello estetico nella misura nella quale il nuovo sistema espressivo impiegato si innalza, da
semplice supporto di comodo per un'idea data a profonda, vissuta incarnazione di essa, a una
nuova forma che instaura su altre premesse e su rinnovate basi un rapporto di dipendenza
dialettica con il vecchio contenuto (se è ancora lecito esprimersi con questi termini di comodo).

Per questo Bach, quando ripensa, ad esempio, per l'organo l'intuizione orchestrale vivaldiana,
non si limita a riprodurre meccanicamente l'alternanza «tutti/concertino» o «tutti/solo» degli
originali con il variato gioco delle tastiere, l' Oberwerk e il Rückpositiv, ma non esita, pur
rispettando lo spirito dell'originale, a reinventarlo, laddove certi stilemi di indubbia efficacia nel
linguaggio violinistico, avrebbero perduto ogni rilievo sul nuovo strumento. Ma non si tratta,
ovviamente, solo di questo. Ciò che più colpisce, è la trasformazione del concerto italiano da una
dimensione brillante ed estroversa, a una composizione di spirito intimamente cameristico, nella
quale polifonia e stile concertante, imitazione e tecnica dello sviluppo tematico, contrappunto e
armonia si intersecano e si fondono. Ciò avviene attraverso una serie di piccole ma non per
questo meno essenziali e determinanti modificazioni degli originali. I bassi sono resi più vari e
più mobili, trasformati da semplice fondamento armonico in parti tematiche, concertanti; viene
arricchita la tessitura intermedia, la scrittura originale di carattere essenzialmente omoritmico,
con la sua enfasi sulla parte cantabile, viene ripensata in chiave polifonico-contrappuntistica; i
contrasti dinamici, attuati attraverso la contrapposizdone di campi di diverso peso e spessore
fonico, vengono sostituiti da più articolati processi di sviluppo del materiale tematico. In realtà,
non si comprende il senso di queste trascrizioni ove non si consideri il loro aspetto di
meditazioni stilistiche, dettate dall'esigenza di attuare una sintesi tra la logica costruttiva dei
modelli italiani e la tradizione tedesca.

In chiave non diversa deve essere guardata l'attività compositiva di Bach nel settore del concerto
nel periodo in cui egli ricoprì la carica di Kapellmeister presso la corte di Köthen. Qui il
ripensamento della prassi compositiva italiana non si attua più attraverso il processo della
trascrizione, bensì mediante la composizione vera e propria sia di concerti per violino, sia di quei
Concerti Brandeburghesi che codificano, in senso tipicamente bachiano, un'ideale Kunst des
Konzertes.

Nel periodo di Lipsia, infine, in seguito all'esteriore sollecitazione non più di un'ambiente di
corte, ma degli obblighi connessi alla sua funzione del Telemannscher Orchesterverein, il
Collegium Musìcum dell'Università lipsiense fondato da Telemann, nonché dalla necessità di
predisporre un repertorio per un'attività musicale casalinga, cui partecipavano familiari e allievi,
Bach giunge alla scoperta di un genere affatto nuovo, il concerto per cembalo.
Vero è che il Quinto concerto brandeburghese costituisce un passo decisivo in questa direzione,
attuato sin dal 1721, in quanto dei tre strumenti che costituiscono la compagine del concertino,
flauto, violino piccolo e cembalo, quest'ultimo si stacca dagli altri con una scrittura di rilevata
autonomia e di brillante audacia virtuoslstica: ma si è pur sempre all'interno della struttura del
concerto grosso.

Il passaggio al concerto solistico per cembalo avviene - e questo conferma l'importanza delle
precedenti trascrizioni da modelli italiani - non attraverso composizioni originali, ma mediante la
rielaborazione di preesistenti concerti dello stesso Bach (o di altri) per strumenti melodici,
soprattutto per violino.

Contrariamente a quanto si potrebbe superficialmente pensare, data l'origine di queste


composizioni, i concerti per cembalo costituiscono il culmine, non solo in senso cronologico, ma
in quello propriamente stilistico, della concezione bachiana del concerto. Infatti la tendenza alla
concentrazione della scrittura concertante attraverso la condotta contrappuntistica e
l'elaborazione dei nuclei tematici è qui portata alle estreme conseguenze.

Il Concerto per cembalo in la maggiore (BWV 1055) insieme al Concerto per cembalo in fa
minore (BWV 1056) sono tra le composizioni sostanzialmente più vicine alle matrici italiane del
concerto barocco.

E' stato giustamente osservato, per esempio, che nessun altro concerto bachiano presenta una più
violenta contrapposizione di atmosfere espressive tra i tempi estremi e la liricità del lento
centrale quanto il Concerto in la maggiore BWV 1055; qualche elemento enigmatico è
rappresentato anche dalla struttura del finale, che sembra diluire la linearità della sua
impostazione tematica in un sin troppo diffuso caleidoscopio di figurazioni secondarie,
riccamente abbellite secondo un gusto melodico di ascendenza francese. Basandosi, su queste
singolarità di scrittura (alle quali potrebbe aggiungersi la curiosa mancanza di coincidenza tra il
basso orchestrale e quello della parte cembalistica), molti studiosi hanno ipotizzato che la fonte
del concerto possa essere un concerto per violino (in si bemolle maggiore) dovuto a un autore
diverso da Bach.

Francesco Degrada

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Prima e dopo i brandeburghesi (tenendo per buona la data della dedica, cioè il 1721) ci sono
rimasti altri concerti: fra questi è il caso di ricordare i primi tre (BWV 1041-3) datati 1720; un
fitto gruppo quindi per clavicembalo e archi (elaborati da altri concerti in parte, perduti) che si
possono riferire agli anni 1730-33, periodo in cui il compositore dirige il Collegium Musicum e
ha urgente necessità di nuovo materiale; infine, sempre degli stessi anni, tranne un caso, i
concerti per 2, 3, 4 clavicembali e archi. In programma ascolteremo, oltre ai brandeburghesi,
anche due del secondo gruppo, precisamente quello in re minore (BWV 1052) e quello in la
maggiore (BWV 1055). Il primo proviene da un concerto per violino che è andato perduto, con
alcune varianti; il secondo probabilmente da un concerto per oboe d'amore, pure perduto. Risulta
piuttosto chiaro come questi due concerti, insieme con tutti gli altri "trascritti", al di là del loro
valore intrinseco risultino preziosi proprio perchè gli originali sono andati perduti, oltre al
potenziamento di uno strumento, il clavicembalo, che qui diventa solista con nuovi rapporti di
forza nei confronti del ripieno.

Non molto diverso il rapporto fra solista e orchestra nell'altro, il Concerto in la maggiore
[l'autore del testo si riferisce al Concerto BWV 1052. n.d.r.]. In tutta la prima parte dell'Allegro il
clavicembalo risulta prevalentemente concertante, con vari raddoppi, in un insieme molto
elaborato. Anche il tempo centrale di questo Concerto (Larghetto) isola più scopertamente il
solista, che riserva a sé un movimento morbido pressoché continuo di semicrome, nel ritmo
disteso di 12/8, lasciando però all'orchestra una precisa funzione tematica. Il terzo tempo
ripropone i rapporti visti nel primo: si tratta di un Allegro ma non tanto in 3/8, spigliato e
vivissimo, animato internamente, nel suo ritmo serrato, da evoluzioni di trentaduesimi e dalle
estrose sequenze di terzine del clavicembalo, in un insieme felicissimo di movimento e fantasia.

Renato Chiesa

BWV 1056 - Concerto per clavicembalo in Fa minore

https://www.youtube.com/watchv=1fZFfOw0Sz4

https://www.youtube.com/watchv=bEEtwq-04Is

Allegro moderato
Largo (la bemolle maggiore) - Riutilizzato nella Sinfonia della Cantata BWV 156
Presto

Organico: clavicembalo, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1738
Edizione: Peters, Lipsia, 1851

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel 1729 Bach, il quale già da sei anni ha fissato la sua dimora a Lipsia, assume la direzione del
Collegium Musicum della città, fondato da Telemann; è un'attività che impegna in modo
continuativo il musicista, specialmente per quanto riguarda il genere del concerto, cioè del far
musica con più strumenti, dopo gli anni trascorsi a Cöthen. A tale epoca (1729-'30) risalgono
numerose rielaborazioni di concerti precedenti, mutati nell'organico secondo quella concezione
dell'individuazione timbrica che era piuttosto diffusa nel mondo musicale preromantico. Del
resto Bach non aveva sempre molto tempo a disposizione per scrivere concerti nuovi, a causa
degli impegni con il Collegium Musicum, che ogni settimana doveva tenere i suoi concerti (né
vanno trascurati altri incontri musicali ai quali il compositore non poteva sottrarsi). Ciò spiega la
ragione per cui il Concerto in fa minore per clavicembalo e archi è una trascrizione fatta dallo
stesso Bach di un Concerto per violino e archi andato perduto. Anche gli altri sei Concerti per
clavicembalo e orchestra d'archi sono trascrizioni di Concerti per violino scritti da Bach:
comunque, il Concerto iti fa minore, insieme a quello in re minore, è il più significativo di tutto
il gruppo.
Lo schema formale del Concerto in fa minore è sostanzialmente vivaldiano, con l'alternanza di
Tutti e di Solo, ma il carattere dei temi è squisitamente bachiano: sono frasi semplici,
ritmicamente precise e squadrate, ben scandite e armonicamente suscettibili di ampi sviluppi. Il
suono del clavicembalo, o del pianoforte, risulta intelligentemente fuso con l'orchestra e i tre
movimenti sono contrassegnati da un tempo di marcia il primo, da una espressiva melodia in la
bemolle il secondo e da un passo di giga il terzo, nell'ambito di una nobile spiritualità musicale.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Poiché il rapporto fra partiture originali e successive rielaborazioni dei concerti bachiani può
essere facilmente reversibile, non è infrequente che a partire dalle ultime versioni vengano
dedotte o ricostruite quelle primarie, restituendo agli antichi solisti quel che l'autore, adattandosi
ai nuovi bisogni, aveva trasferito alle competenze del clavicembalo. E questo che avviene per
esempio con il Concerto BWV 1056, una composizione in stile italiano il cui autografo
conosciuto prevede come solista lo strumento a tastiera, ma che nella prassi esecutiva si affida
volentieri anche al violino, riconosciuto come il suo destinatario d'origine. Il passaggio da uno
strumento all'altro prevede anche il cambio di tonalità: fa minore quando solista è il
clavicembalo, sol minore in presenza del violino. Ma la natura composita del materiale bachiano
è in questo caso accentuata dal fatto che il movimento centrale del Concerto compare nel suo
catalogo anche come sinfonia introduttiva di una bellissima cantata sacra per la III Domenica
dall'Epifania (Ich steh mit einem Fuss im Grabe BWV 156). La caratteristica fondamentale di
questo lavoro è ad ogni modo la sintesi, ovvero il grado di concisione che Bach impone a tutto il
materiale tematico e che in alcuni casi si riflette sulle scelte stilistiche insolite per il suo modo di
scrivere. Da notare come l'accompagnamento pizzicato della melodia, già presente nel tempo
centrale del Concerto BWV 1060, definisca per Bach un rapporto diretto e immediatamente
documentabile con lo stile del concerto all'italiana, e più in particolare con Vivaldi.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Concerto in fa minore per clavicembalo e archi BWV 1056 è la trascrizione di un concerto per
violino in sol minore perduto. La sua struttura formale è molto semplice e lineare e ricalca lo
stile tipico della musica italiana coeva; qui Bach preferisce la concisione (è il concerto più breve
dell'intera raccolta) a scapito della consueta densità polifonica. Il secondo tempo era già stato
utilizzato come sinfonia con oboe solista nella Cantata BWV 156.

L'Allegro iniziale mette in evidenza un discorso musicale intenso e molto serrato nel dialogo
archi-clavicembalo, mentre il Largo successivo è un straordinario canto nostalgico, condotto in
assoluta libertà musicale dal clavicembalo sopra il pizzicato degli archi: una pagina
indimenticabile. Torniamo alla danza e al ritmo col Presto finale, il cui motivo principale, in
ritmo ternario, viene proposto con insistenza fino alla fine, alternandosi a brevi episodi solistici.

Alessandro De Bei

BWV 1057 - Concerto per clavicembalo in Fa maggiore (trascrizione del concerto


brandeburghese n. 4 BWV 1049)
https://www.youtube.com/watchv=_abEuZWVEsM

https://www.youtube.com/watchv=1BKJTd4mjAs

Allegro
Andante (re minore)
Allegro assai

Organico: clavicembalo, 2 flauti a becco, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1738
Edizione: Peters, Lipsia, 1851

Trascrizione del Concerto brandeburghese n. n. 4 in sol maggiore BWV 1049

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Concerto in fa maggiore BWV 1057 si avvale del modello forse più rinomato e illustre, il
Quarto Concerto "Brandeburghese" BWV 1049. È noto come sotto l'epiteto non originale di
"Brandeburghesi" si intendano i sei Concerti scritti da Bach a Cöthen (forse selezionati fra le
migliori composizioni degli anni precedenti) e dedicati, con data del 24 marzo 1721, al
margravio Christian Ludwig di Brandeburgo. Caratteristica di tali Concerts avec plusieurs
instruments è quella per cui ogni parte melodica è affidata a un solo esecutore, senza raddoppi
neanche per gli esecutori del "ripieno"; in sostanza una interpretazione tutta "solistica" del
modello del concerto barocco, dove il solista o i solisti venivano nettamente contrapposti al
gruppo degli archi.

Il Quarto "Brandeburghese" contrappone così al "ripieno" (composto da violino I e II, viola,


violoncello, violone e continuo) un gruppo di tre solisti, un violino principale e una coppia di
«flauti in echo». Di tale partitura Bach operò una trascrizione tale da modificare sensibilmente
l'assunto originale. Il clavicembalo venne sostituito al violino principale, mentre i due flauti
vennero mantenuti (circostanza che differenzia BWV 1057 da tutti gli altri concerti per cembalo,
che prevedono solamente l'accompagnamento di archi e continuo); ne risultò modificato
l'equilibrio strumentale. Mentre in BWV 1049 il violino è in situazione privilegiata rispetto ai
flauti, ma i tre strumenti sono comunque "concertanti", in BWV 1057 il cembalo assume un
rilievo assoluto, pervadendo tutta la partitura e relegando i flauti in secondo piano. Uguale
peraltro la lunghezza dei singoli movimenti: un Allegro di insolita ampiezza, in cui è
particolarmente denso lo sviluppo tematico; un Andante con un flusso cantabile realizzato
compattamente dagli strumenti; e infine un Presto con struttura fugata, interrotto da una cadenza
virtuosistica.

Arrigo Quattrocchi

BWV 1058 - Concerto per clavicembalo in Sol minore

https://www.youtube.com/watchv=FUOPqQ1z-NQ
https://www.youtube.com/watchv=qEHsDe5Vaxg

BWV 1059 - Concerto per clavicembalo in Re minore (frammento di sole 9 battute)

https://www.youtube.com/watchv=ApgCxwAImCE

BWV 1060 - Concerto per due clavicembali in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=dDrCB1GA_Wo

https://www.youtube.com/watchv=AjI-iJbxTKw

Allegro
Adagio (mi bemolle maggiore)
Allegro

Organico: 2 clavicembali, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1730 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1848

Trascrizione da un Concerto perduto per violino e oboe

Guida all'ascolto (nota 1)

Del Concerto in do minore per due clavicembali e archi BWV 1060 si conoscono almeno due
versioni: una, autografa, è appunto quella che impiega due strumenti a tastiera; l'altra,
tramandata dall'uso concertistico, ma anche deducibile dall'analisi stilistica della partitura,
prevede invece la presenza del violino e dell'oboe in funzione solistica. Bach in effetti distingue
in modo molto netto nell'orchestra due parti melodiche, dando loro il compito non solo di
dialogare sullo sfondo costituito dall'orchestra, ma anche di alimentare una specie di reciproca
competizione e di rilancio del materiale che è poi il principio stesso del cosiddetto "concerto
doppio". Rispetto alle pagine bachiane di più marcata ispirazione italiana, in questo Concerto in
do minore sembra prevalere uno stile ibrido, costruito certamente sul criterio della cantabilità,
ma anche profondamente integrato con la tecnica del contrappunto. È infatti su un denso
intreccio di rapporti contrappuntistici che si basa la collaborazione dei due solisti e non, come
più spesso avveniva nei modelli di derivazione italiana, sul semplice passaggio del materiale
melodico dall'uno all'altro dei protagonisti. La composizione di questo concerto risale con ogni
probabilità al 1719, cioè appunto al periodo di lavoro presso il principe di Anhalt-Köthen. La
versione per due clavicembali, tuttavia, è invece verosimilmente un adattamento degli anni di
Lipsia, a conferma di un metodo di lavoro che tocca in generale la quasi totalità dell'opera
strumentale di Bach.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)


Ripercorrere la storia dei Concerti strumentali di Johann Sebastian Bach è come compiere un
cammino in un sentiero irto di difficoltà ma immerso in un panorama di suggestiva bellezza.

Bach compose la maggior parte della sua musica strumentale durante il periodo di Köthen
(1717-1723) dove era al servizio del principe Leopold in qualità di Kapellmeister. Tale incarico
escludeva la produzione di musica da chiesa e richiedeva invece l'esecuzione di tutto quel
repertorio più consono alle esigenze, anche mondane e celebrative, di una corte prestigiosa. Bach
viene così a trovarsi nella condizione di poter approfondire un ambito fino ad allora relegato in
secondo piano: questi sono gli anni in cui vengono alla luce quasi tutte le Sonate cameristìche, i
Concerti (compresi i Brandeburghesi), le Ouvertures e i grandi lavori "didattici" quali le
Invenzioni a 2 e 3 voci, le Suites "inglesi" e "francesi", la prima parte del Clavicembalo ben
temperato.

Nonostante la maggior parte di queste opere sia giunta fino a noi, purtroppo siamo costretti a
pensare che molte altre siano andate perdute; fra queste sicuramente un notevole numero di
Concerti (basti pensare che solo 3 Concerti per violino sono sopravvissuti nella loro forma
originaria). Il caso volle però che qualche anno dopo, per le esigenze musicali dello studentesco
Collegium Musicum di Lipsia, Bach stesso fece, di quei Concerti, alcune trascrizioni per
cembalo e archi. E partendo proprio da queste rielaborazioni si è voluto cercare di percorrere il
cammino inverso, fino a quegli originali perduti.

La sfida, tanto ardua quanto affascinante, venne raccolta dal musicologo tedesco Wilfried
Fischer che, nel 1966, presentò ad Amburgo una dissertazione dal titolo Möglichkeiten und
Grenzen der Rekonstruktion verschollener Instrurnentalkonzerte J. S. Bach.s che potremmo
tradurre come Possibilità e limiti di una ricostruzione dei concerti strumentali scomparsi di J. S.
Bach.

Il risultato del suo lavoro apparve nella Settima Serie (voi. 7) della "Neue Bach Ausgabe" nel
1970 e presentava la nuova vita di ben 5 Concerti:

il Concerto per violino in re minore (dal Concerto in re minore per clavicembalo, archi e
continuo BWV 1052)
il Concerto per oboe d'amore in la maggiore (dal Concerto in la maggiore per clavicembalo,
archi e continuo BWV 1055)
il Concerto per violino in sol minore (dal Concerto in fa minore per clavicembalo, archi e
continuo BWV 1056)
il Concerto per 3 violini in re maggiore (dal Concerto in do maggiore per 3 clavicembali, archi
e continuo BWV 1064)
il Concerto per violino e oboe in re minore (dal Concerto in do minore per 2 clavicembali,
archi e continuo BWV 1060).

Nel 1996 Fischer stupì ancora il mondo musicale con un'altra ricostruzione: dal Concerto in mi
maggiore per clavicembalo e archi BWV 1053 e da due Cantate (la BWV 49 e 169) presentò un
"nuovo" Concerto in mi bemolle maggiore per viola, archi e contìnuo.
Per quanto riguarda il Concerto BWV 1060, si immaginò inizialmente un modello originario per
2 violini, grazie anche ad alcune analogie con l'unico altro Concerto per 2 violini sopravvissuto,
il BWV 1043. Ma uno studio più approfondito fece emergere differenze sostanziali rispetto ad
una "tipicità" della scrittura bachiana per i due archi solisti; la scelta conclusiva fu quindi quella
di affidare le due linee musicali a strumenti sì diversi, ma fortemente e "storicamente" capaci di
compenetrarsi in una costruzione musicale di notevole spessore, come il violino e l'oboe.

La rielaborazione dalla scrittura cembalistica presenta certamente delle difficoltà; d'altra parte, se
pensiamo ad altri lavori simili (ad esempioi Concerti per organo tratti dai Concerti strumentali di
Johann Ernst o di Antonio Vivaldi), possiamo ben intuire quanto Bach non si limitasse ad una
semplice "trascrizione" della partitura orchestrale ma la arricchisse di una serie di elementi
capaci di valorizzare anche lo strumento destinatario. Il lavoro di Fischer riesce comunque a
restituire una visione davvero convincente dell'opera, con i due strumenti concertanti capaci di
integrarsi stupendamente in un andamento efficace di linee melodiche, sviluppi tematici e
intrecci contrappuntistici.

Strutturato in tre movimenti (Allegro-Adaglo-Allegro), il Concerto per violino e oboe aderisce a


quel modello "vivaldiano" con cui Bach aveva familiarizzato nel periodo di Weimar: dal
veneziano aveva appreso la chiarezza espositiva, i costruttivi rapporti dei pieni e dei vuoti, la
simmetria della frase, la logica e l'ordine del discorso musicale, la limpidezza e l'equilibrio
dell'insieme. Tutti quegli elementi, insomma, che avevano contribuito alla definitiva
consacrazione del "concerto barocco" il cui elemento fondante è il particolare rapporto fra i soli
e i tutti: un rapporto dialettico, dove predomina la dimensione del dialogo, l'alternanza fra i
gruppi sonori e una compenetrazione "espressiva" delle singole articolazioni strumentali. In più,
nelle mani di Bach, l'architettura italiana si arricchisce di quegli elementi tipici della sua geniale
originalità compositiva, legata soprattutto alla sapiente conoscenza contrappuntistica.

Il primo Allegro si apre con l'esposizione, da parte del tutti, di un tema molto ben definito e
incisivo a cui seguono i primi episodi solistici che si collocano però come dolci espansioni della
cellula tematica (raffinatissimo il leggiadro trillo dell'oboe che trasmette una vibrazione di
piacere). Già da questo primo movimento è evidente come nei Concerti bachiani il contrasto
solo-tutti assuma una maggiore pluralità di sfumature formali: dal sapiente uso dei ritornelli che,
scomposti in frammenti, vengono proiettati nelle sezioni del solo creando vivaci e serrate zone di
contrazione e rilassamento, all'utilizzo della più schematica struttura tripartita (ABA), all'unione
tra forma - concerto e temi fugati in una dimensione polifonica.

Anche nell'Adagio si conferma l'adesione allo stile italiano: come altri movimenti analoghi, esso
è concepito come "aria", con slanci melodici di stampo vocale e un morbido procedimento
altalenante (quasi una 'siciliana') che si snoda in un emozionante dialogo tra i due strumenti
solistici, assoluti protagonisti del brano. Ma anche qui Bach non rinuncia al proprio tocco di
unicità: la linea melodica è infatti una fuga, anche se - a causa della lunghezza del soggetto
principale e di alcune piccole varianti - non la si riconosce a prima vista come tale. L'orchestra si
limita ad una funzione di accompagnamento 'pizzicato' sopra il quale gli assoli vibrano
liberamente nello spazio in una atmosfera di incanto assoluto.

Il tema dell'ultimo Allegro è spigliato e disinvolto, caratterizzato, nel suo 'incipit', da quattro
crome che saltano spavaldamente su e giù; anche qui i due strumenti entrano combinando in
maniera diversa il materiale tematico. Come per il primo movimento i ritornelli dell'orchestra e
gli episodi solistici si alternano sviluppandosi in molteplici varianti con una maggiore
concessione all'espressione virtuoslstica.

Laura Pietrantoni

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Se la tastiera del clavicembalo fu il campo di battaglia primario del Musizieren del primo
Settecento - la palestra di compositori in erba e maestri illustri, il vivaio da cui germina un
microcosmo ideale - non stupirà la centralità dello strumento nell'officina creativa della
personalità più cospicua di quella stagione, Johann Sebastian Bach, e del suo entourage. A casa
Bach, nella girandola di allievi e collaboratori che prendono lezione e preparano materiali per
produzioni musicali incalzanti, lo strumento rappresenta da un lato un ausilio didattico
fondamentale, dall'altro la frontiera dell'inesausta ricerca del compositore, che per primo
l'impiegherà in funzione concertante.

I tre concerti bachiani per due clavicembali rappresentano un capitolo singolarmente compatto
nella produzione del compositore, e al tempo stesso una sintesi meravigliosa delle diverse
stagioni della sua attività. Fondamentale il contesto professionale in cui essi videro la luce, nel
breve torno d'anni tra il 1730 e il '36, anni critici nella parabola del loro autore. Il quarto
decennio del secolo è per il Bach maturo, prossimo al suo cinquantesimo compleanno, una
stagione d'inquietudine e ricerca, mentre ne è messa in discussione l'autorevolezza di Kantor a
Lipsia e i rapporti con le istituzioni vanno deteriorandosi. In tale clima burrascoso, pur
rimanendo faute de mieux a Lipsia, Bach intraprende nuove vie per la sua creatività, spaziando
su una vastità di generi e forme musicali forse sino ad allora inedita: forse mai tanti interessi
diversi si erano assiepati insieme sul tavolo del compositore. Legata a questa ricerca è nel 1729
la nomina a direttore del Collegium Musicum, che lo portò a coltivare il genere del concerto
come non mai dai tempi di Köthen, e a sviluppare in particolare la formula allora innovativa, e
dal luminoso futuro, del concerto per uno o più clavicembali (forse anche fortepiani), di cui ben
quattordici giunti fino a noi. L'operazione consisteva nella rielaborazione di pagine già scritte
per altra occasione e altro organico (con strumenti melodici come solisti), lungo le tappe più
illustri (Weimar, Köthen e Lipsia) della carriera bachiana. Vivono così di vita nuova le serrate
frequentazioni bachiane col genere italiano del concerto solistico, inaugurate a Weimar attorno al
1712 sulla scorta dei lavori allora recentissimi e di punta di Vivaldi, Torelli, Albinoni,
Alessandro Marcello, cui Bach portò il contributo solum suum d'una densità contrappuntistica
che ben s'attaglierà, vent'anni più tardi, al clavicembalo.

All'origine del Concerto in do minore BWV 1060 si colloca un fantasma del catalogo bachiano:
probabilmente un concerto per oboe e violino, i due strumenti melodici che dominarono la
produzione concertistica veneziana nel secondo decennio del Settecento, forse il concerto
pubblicizzato dall'editore Breitkopf nel suo catalogo del 1764, scritto nel primo periodo di
Köthen (si terrà conto degli studi recenti di Siegbert Rampe e Dominik Sackmann), oggi
disperso e già originariamente in do minore (se non in re), di cui sono uscite nel Novecento
diverse efficaci ricostruzioni. Il ritornello che apre l'Allegro iniziale si presenta subito come un
organismo complesso, articolato in gruppi motivici ben differenziati, fondanti l'intero
movimento, e al tempo stesso di compattezza, vigore e chiarezza tonale assolutamente evidenti.
Già dalla prima uscita solistica, presto riassorbita nel Tutti orchestrale, ci si avvede di come i
cembali emergano con difficoltà dall'accompagnamento degli archi (come anche nell'altro
Allegro) e di come gli episodi solistici vengano perennemente insidiati dall'orchestra, che
commenta con figure in imitazione. Il necessario contrasto è assicurato dal lirico Largo ovvero
Adagio centrale, materializzazione sublime d'un Altrove attingibile solo attraverso la pura
contemplazione. Nel comodo metro di 12/8, in mi bemolle maggiore, sul discreto, evocativo
pizzicato degli archi, i due clavicembali si scambiano tranquille ghirlande di semicrome, che
sbocciano con calma suprema da note lunghe, espressione d'un canto che accenna a schiudere
distese infinite. La superficie sonora fluida e ipnotica conosce un ulteriore passo verso la
sospensione del tempo nel suggestivo episodio in cui l'orchestra suona per breve tempo con
l'arco. Non sfugga la conclusione, quando un pedale di mi bemolle si scioglie in un percorso
sinuoso di semicrome che s'inerpica, sul vuoto dell'orchestra, al V grado (sol) della tonalità
d'impianto del successivo Allegro e dell'intero concerto. In anni recenti Joshua Rifkin ha
avanzato in termini convincenti l'ipotesi che tale tempo intermedio derivi da una cameristica
sonata a tre per due violini (o violino e oboe) e continuo, composta a Weimar o a Köthen. Un
nuovo motto energico e squadrato inaugura l'Allegro final, aperto da un ritornello articolato e di
notevole ampiezza. Lo spazio dei solisti si riduce talvolta a due sole misure, se non fosse per
alcuni episodi animati, splendide occasioni per esibire agili disegni ostinati di sestine a un
clavicembalo, mentre all'altro circola la testa del tema, sulle note tenute degli archi.

Raffaele Mellace

BWV 1061 - Concerto per due clavicembali in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=zM3mGK2N77w

https://www.youtube.com/watchv=j16tcBcHteU

Allegro
Adagio ovvero Largo (la minore)
Fuga

Organico: 2 clavicembali, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1735 - 1736 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1847

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Al clavicembalo Johann Sebastian Bach dedicò un gruppo imponente di concerti solistici; sette
concerti per un solo cembalo (BWV 1052-1058), tre concerti per due cembali (BWV 1060-
1062), due concerti per tre cembali (BWV 1063-1064) e un concerto per quattro cembali (BWV
1065). Non è da escludersi ovviamente che, nella separazione del lascito bachiano seguita alla
morte dell'autore, altri lavori del genere siano andati dispersi. Tutti questi concerti risalgono al
medesimo periodo, gli anni 1727-36, trascorsi a Lipsia, e si presentano in sostanza come un
blocco compatto di composizioni, dal valore davvero storico. Storico non solo per l'altissima
qualità del contenuto musicale - considerazione quasi banale - ma anche per avere impresso un
nuovo corso alla storia dello strumento a tastiera. In precedenza infatti il cembalo, all'interno di
una composizione concertistica, era sempre relegato nel compito di realizzazione del basso
continuo, dunque di "accompagnamento"; il ruolo solistico invece era riservato ai cosiddetti
strumenti "melodici" (ossia inadatti per la loro natura a condurre un discorso polifonico: violino,
flauto, oboe ecc.). Nei tredici concerti bachiani, dunque, il cembalo viene per la prima volta
"promosso" al ruolo di solista, aprendo così inesplorati e fertilissimi orizzonti al genere del
concerto.

L'impegno innovativo in questa direzione nasceva in Bach da stimoli di diverso tipo, ma


estremamente "concreti". A Lipsia - dove si sarebbe trattenuto fino alla fine dei suoi giorni,
contrapponendo una maturità sedentaria all'inquietudine girovaga degli anni giovanili - Bach si
era trasferito nel 1723, in qualità di Cantor presso la Thomasschule, dedicando i primi anni del
suo soggiorno al compito di rinnovare il repertorio liturgico cittadino. A partire dal 1729 e fino al
1741 - con l'interruzione del biennio 1737-39 - il compositore affiancò a questa attività
principale quella secondaria di responsabile del Collegium musicum, ovvero l'associazione
fondata da Telemann per venire incontro alle esigenze di fruizione musicale della ricca borghesia
cittadina. Se Bach aveva destinato in precedenza la sua produzióne strumentale alla fruizione
delle varie corti presso cui aveva prestato servizio - e segnatamente alla corte di Cöthen, nel
periodo 1717-1723, che vide la massima fioritura strumentale - si rivolgeva invece adesso
all'udienza borghese raccolta presso la sede del caffè Zimmermann.

In tale contesto, che offriva alla prassi musicale mezzi piuttosto amatoriali che professionali, era
ovvio per il compositore avvalersi dell'attivissimo contributo dei componenti la sua cerchia
familiare. I figli di Sebastian, cresciuti nello studio della tastiera e della composizione, sulla
scorta di una produzione didattica scritta dal padre appositamente per loro, e poi destinata a
diffusione universale, erano a loro volta musicisti di prim'ordine; ancora risiedevano presso il
padre fino al 1733 il primogenito Wilhelm Friedemann - partito poi per Dresda, il figlio
"scapestrato" di Bach - e fino al 1734 il secondogenito Carl Philipp Emanuel - partito poi per
Francoforte, in seguito protagonista assoluto della sua epoca. A costoro si affiancavano figure
filiali meno rilevanti, nonché il prediletto Johann Ludwig Krebs, allievo fra il 1726 e il 1735.

Data l'assenza di violinisti di rilievo nel circolo lipsiense, fu certo la disponibilità immediata di
tanti provetti tastieristi a convincere Bach dell'opportunità di tentare la strada del concerto
cembalistico, inclusa la formula del concerto a più cembali. Ma l'attività presso il Collegium
musicum offriva al compositore anche l'opportunità di presentare al pubblico di Lipsia la
imponente produzione concertistica elaborata negli anni di Cöthen. Ecco dunque che - ad
eccezione di BWV 1061, per due cembali - tutti i concerti cembalistici di Bach non sono in
realtà opere interamente originali, bensì trascrizioni da preesistenti concerti per strumenti
melodici risalenti al periodo di Cöthen.

Tale trasformazione non deve certo destare stupore. La prassi di riutilizzare musica preesistente -
anche di altri autori - è caratteristica di tutta l'epoca barocca, ed è pienamente spiegabile con il
carattere di consumo immediato della produzione musicale, destinata non certo ai posteri ma ad
occasioni specifiche e ritenute magari irripetibili. Bach non fece certo eccezione, sia
trascrivendo, per fini anche di studio, composizioni di altri autori - Vivaldi in testa - sia
compiendo "parodie", ossia rielaborazioni in diverso contesto di suoi precedenti lavori.
Relativamente ai concerti bachiani, alcuni di essi sono pervenuti in doppia versione, quella
"melodica" degli anni di Cöthen e quella cembalistica degli anni di Lipsia. Giammai Bach
avrebbe potuto immaginare che generazioni di musicologi avrebbero impiegato dotte energie
nell'impegno di ricostruire la versione "melodica" di quei concerti cembalistici la cui versione
originale è andata purtroppo smarrita.

Come si è detto il Concerto in do maggiore per due cembali BWV 1061 è l'unico del gruppo a
non derivare, con ogni probabilità, da concerti per altri strumenti, ed essere quindi opera
originale. Rispetto agli altri due concerti per due cembali (entrambi in do minore, BWV 1060 e
1062) questo in do maggiore presenta una scrittura solistica piuttosto dissimile. Mentre nei
Concerti in do minore i due cembali si contrappongono come un blocco omogeneo al gruppo
orchestrale, in BWV 1061 i cembali operano un continuo dialogo fra di loro, che sottrae spazio e
importanza all'orchestra. In sostanza, come ha rilevato nel 1802 il primo biografo di Bach,
Johann Nikolaus Forkel, «può essere suonato interamente senza l'accompagnamento degli archi,
ed è eccellente così». È possibile quindi che l'autore abbia concepito in un primo momento la
composizione come una pagina per due cembali soli, e vi abbia aggiunto in un secondo momento
l'accompagnamento orchestrale. È forse questo il concerto in cui più chiaramente il limpido
modello formale ereditato da Vivaldi viene complicato da una densissima scrittura
contrappuntistica, che innerva sia il vastissimo tempo iniziale, ricco nell'elaborazione dei motivi,
che il finale, una complessa fuga. Il tempo centrale, Adagio ovvero Largo, è una "siciliana" a
quattro parti, dove l'orchestra d'archi tace.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Se la tastiera del clavicembalo fu il campo di battaglia primario del Musizieren del primo
Settecento - la palestra di compositori in erba e maestri illustri, il vivaio da cui germina un
microcosmo ideale - non stupirà la centralità dello strumento nell'officina creativa della
personalità più cospicua di quella stagione, Johann Sebastian Bach, e del suo entourage. A casa
Bach, nella girandola di allievi e collaboratori che prendono lezione e preparano materiali per
produzioni musicali incalzanti, lo strumento rappresenta da un lato un ausilio didattico
fondamentale, dall'altro la frontiera dell'inesausta ricerca del compositore, che per primo
l'impiegherà in funzione concertante.

I tre concerti bachiani per due clavicembali rappresentano un capitolo singolarmente compatto
nella produzione del compositore, e al tempo stesso una sintesi meravigliosa delle diverse
stagioni della sua attività. Fondamentale il contesto professionale in cui essi videro la luce, nel
breve torno d'anni tra il 1730 e il '36, anni critici nella parabola del loro autore. Il quarto
decennio del secolo è per il Bach maturo, prossimo al suo cinquantesimo compleanno, una
stagione d'inquietudine e ricerca, mentre ne è messa in discussione l'autorevolezza di Kantor a
Lipsia e i rapporti con le istituzioni vanno deteriorandosi. In tale clima burrascoso, pur
rimanendo faute de mieux a Lipsia, Bach intraprende nuove vie per la sua creatività, spaziando
su una vastità di generi e forme musicali forse sino ad allora inedita: forse mai tanti interessi
diversi si erano assiepati insieme sul tavolo del compositore. Legata a questa ricerca è nel 1729
la nomina a direttore del Collegium Musicum, che lo portò a coltivare il genere del concerto
come non mai dai tempi di Köthen, e a sviluppare in particolare la formula allora innovativa, e
dal luminoso futuro, del concerto per uno o più clavicembali (forse anche fortepiani), di cui ben
quattordici giunti fino a noi. L'operazione consisteva nella rielaborazione di pagine già scritte
per altra occasione e altro organico (con strumenti melodici come solisti), lungo le tappe più
illustri (Weimar, Köthen e Lipsia) della carriera bachiana. Vivono così di vita nuova le serrate
frequentazioni bachiane col genere italiano del concerto solistico, inaugurate a Weimar attorno al
1712 sulla scorta dei lavori allora recentissimi e di punta di Vivaldi, Torelli, Albinoni,
Alessandro Marcello, cui Bach portò il contributo solum suum d'una densità contrappuntistica
che ben s'attaglierà, vent'anni più tardi, al clavicembalo.

Il Concerto in do maggiore BWV 1061 di Johann Sebastian Bach spicca tra i lavori gemelli per
l'originaria destinazione cembalistica. Il modello di riferimento è infatti la versione BWV 1061a,
scritta a Weimar o al più tardi nel primo periodo di Köthen per due clavicembali soli. Il lavoro,
di cui ci sono giunte le parti di pugno di Anna Magdalena Bach, testimonia, anche nella versione
col ripieno orchestrale, quell'operazione di metabolizzazione dei modelli italiani che avrebbe
fruttato, nel secondo, cruciale soggiorno a Weimar, la trascrizione e rielaborazione d'una serie di
concerti italiani per organo e per clavicembalo, la Toccata in sol maggiore BWV 916, in forma di
concerto, e, ormai a Lipsia, il Concerto italiano. Il contrappunto vivifica infatti bachianamente la
«selva spessa e viva» d'un ordito sempre serrato, ispirato a una sorta di horror vacui in cui si
esaltano reciprocamente l'ingegno profondo dell'autore e il leggendario talento dell'interprete.
Purissima invenzione a quattro voci è il tempo lento (Adagio e non più Adagio ovvero Largo
come nell'originale senza ripieno), d'interiorità tersa e tesa; una fuga, aperta da una doppia
esposizione a tre voci da parte di entrambi i solisti, corona il Concerto; ma forse ancora più
sorprendente risulterà l'intrico serrato delle parti nella pagina d'apertura, proprio in quanto
omaggio convinto ed entusiasta al genere del concerto italiano: una densità che non offusca la
cavalleresca, baldanzosa verve di cui sono informati i tempi estremi del Concerto, vivificati
dall'euforico ritmo anapestico sempre carissimo a Bach. Già il musicologo bachiano Wilhelm
Rust, che curò l'edizione del concerto nella Bach-Ausgahe ottocentesca, sospettava che
l'accompagnamento orchestrale dei tempi estremi (quello centrale ne è privo), che ben poco
aggiunge a un discorso musicale già interamente compiuto, fosse stato aggiunto in un secondo
tempo.

Raffaele Mellace

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nel primo movimento (Allegro) del Concerto in do maggiore per due clavicembali e archi
l'orchestra ha un ruolo di Tutti come nel concerto grosso, ma con interventi assai sparsi nei quali,
inoltre, il materiale tematico esposto inizialmente dai clavicembali non vi fa mai la sua
apparsone nemmeno per frammenti; perciò potremmo dire che il ruolo degli archi è quello di
portare qua e là un vivificante tocco timbrico e ritmico nella già scintillante emulazione
virtuoslstica dei due strumenti solisti. I quali, nel successivo Adagio, vengono lasciati soli a
dialogare: un placido, sereno dialogo che conduce l'idea iniziale a subire piccole varianti lungo
un itinerario tonale aperto e poi concluso sul la minore, il terzo tempo è una Fuga il cui soggetto
viene esposto dal Cembalo I. Anche qui l'orchestra è adibita a una funzione di secondo piano; ma
i suoi rari interventi appaiono determinati, entrando, e con vivacità, ne! pieno dell'argomento
tematico: la prima entrata dei Violini I è addirittura emozionante. (Le fughe che «emozionano»
rappresentano il culmine dell'arte: quella, appunto, di Bach).
BWV 1062 - Concerto per due clavicembali in Do minore

https://www.youtube.com/watchv=lhHtNUg-rTg

https://www.youtube.com/watchv=bJo_2dKwYDU

Allegro
Andante (mi bemolle maggiore)
Allegro assai

Organico: 2 clavicembali, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1735 - 1736 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1874

Trascrizione del Concerto per 2 violini BWV 1043

Guida all'ascolto (nota 1)

Se la tastiera del clavicembalo fu il campo di battaglia primario del Musizieren del primo
Settecento - la palestra di compositori in erba e maestri illustri, il vivaio da cui germina un
microcosmo ideale - non stupirà la centralità dello strumento nell'officina creativa della
personalità più cospicua di quella stagione, Johann Sebastian Bach, e del suo entourage. A casa
Bach, nella girandola di allievi e collaboratori che prendono lezione e preparano materiali per
produzioni musicali incalzanti, lo strumento rappresenta da un lato un ausilio didattico
fondamentale, dall'altro la frontiera dell'inesausta ricerca del compositore, che per primo
l'impiegherà in funzione concertante.

I tre concerti bachiani per due clavicembali rappresentano un capitolo singolarmente compatto
nella produzione del compositore, e al tempo stesso una sintesi meravigliosa delle diverse
stagioni della sua attività. Fondamentale il contesto professionale in cui essi videro la luce, nel
breve torno d'anni tra il 1730 e il '36, anni critici nella parabola del loro autore. Il quarto
decennio del secolo è per il Bach maturo, prossimo al suo cinquantesimo compleanno, una
stagione d'inquietudine e ricerca, mentre ne è messa in discussione l'autorevolezza di Kantor a
Lipsia e i rapporti con le istituzioni vanno deteriorandosi. In tale clima burrascoso, pur
rimanendo faute de mieux a Lipsia, Bach intraprende nuove vie per la sua creatività, spaziando
su una vastità di generi e forme musicali forse sino ad allora inedita: forse mai tanti interessi
diversi si erano assiepati insieme sul tavolo del compositore. Legata a questa ricerca è nel 1729
la nomina a direttore del Collegium Musicum, che lo portò a coltivare il genere del concerto
come non mai dai tempi di Köthen, e a sviluppare in particolare la formula allora innovativa, e
dal luminoso futuro, del concerto per uno o più clavicembali (forse anche fortepiani), di cui ben
quattordici giunti fino a noi. L'operazione consisteva nella rielaborazione di pagine già scritte
per altra occasione e altro organico (con strumenti melodici come solisti), lungo le tappe più
illustri (Weimar, Köthen e Lipsia) della carriera bachiana. Vivono così di vita nuova le serrate
frequentazioni bachiane col genere italiano del concerto solistico, inaugurate a Weimar attorno al
1712 sulla scorta dei lavori allora recentissimi e di punta di Vivaldi, Torelli, Albinoni,
Alessandro Marcello, cui Bach portò il contributo solum suum d'una densità contrappuntistica
che ben s'attaglierà, vent'anni più tardi, al clavicembalo.

Il Concerto in do minore BWV 1062 di Johann Sebastian Bach, l'unico per il quale ci è
pervenuto l'autografo, datato 1736, è più noto nella versione originaria per due violini BWV
1043, composta probabilmente già a Lipsia e solo all'inizio di quel decennio (1730/31 ca.,
datazione delle fonti più antiche, secondo Christoph Wolff), ma sulla base di una sonata a tre,
sempre plausibilmente per due violini, del primo periodo di Köthen. Anche in questo caso la
trascrizione ha comportato un importante lavoro di tessitura delle parti solistiche, soprattutto
nello sviluppo della mano sinistra di entrambi i clavicembali. Il risultato è una partitura ancora
più tesa e concentrata dell'originale, già assai denso a cominciare dall'attacco contrappuntistico
del I tempo, mentre l'Allegro assai conclusivo guadagna la specifica brillantezza degli strumenti
a tastiera. Il primo tempo si propone con la sofisticata densità polifonica del citato ritornello
dalle tentazioni contrappuntistiche, in cui s'inseriscono come partner paritari i due solisti, che
attraverso una varia galleria di episodi costringono l'orchestra a un ruolo invero modesto,
relegandola a pochi ritornelli di norma di solo quattro misure ciascuno. Una pagina celeberrima,
vera polla di delizie sonore, occupa la seconda posizione nel concerto: il vasto Andante (e piano)
(Largo ma non tanto nell'originale) offre infatti uno di quei miracoli di semplicità incantata che
costellano il catalogo bachiano. Nel metro cullante da siciliana, sul pulsare regolare degli archi, i
due cembali attaccano come in medias res, esprimendo l'urgenza di un canto che si snoda per
ampie volute melodiche, delicati ricami di semicrome e slanci protesi all'infinito. Si badi al
carattere elementare del tema, che trasforma una semplice scala discendente in un avvio di
grande pregnanza espressiva; oppure al procedere per imitazione dei due solisti, dilatazione
senza fine delle intime risonanze della melodia. L'essenzialità di tali gesti realizza un lirismo di
tale purezza da risolversi senza residui in primigenia, immediata eloquenza di valore universale.
Con eccezionale contrasto, l'Allegro assai, ripristinato il modo minore, mostra sin dall'attacco
una natura feroce, cupa e violenta, animata da un implacabile moto meccanico. Esposto il
ritornello d'apertura, i solisti prendono energicamente il sopravvento grazie a una figura di rapide
terzine, condensazione rappresa d'un temperamento acceso e volitivo, mentre sarà compito
dell'onnipresente ritmo anapestico assicurare quell'energia inesauribile che anima molte pagine
bachiane, Brandeburghesi inclusi.

Raffaele Mellace

BWV 1063 - Concerto per tre clavicembali in Re minore

https://www.youtube.com/watchv=pInl49X8_I0

Allegro
Alla Siciliana (fa maggiore)
Allegro

Organico: 3 clavicembali, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1735 - 1736 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1845
Trascrizione di un concerto per 3 violini perduto

Guida all'ascolto (nota 1)

Concepito nello spirito del concerto grosso e con procedimenti formali assunti in parte da
Vivaldi e da altri maestri delia scuoia violinistica italiana è il Concerto in re minore per tre
clavicembali e archi.

Nei primo movimento si può notare una prevalenza del Cembalo I, cui Bach affida di preferenza
anche i brevi ornamenti virtuoslstici mentre, viceversa di pressoché eguale consistenza sono le
prestazioni degli strumenti solisti nel fugato dell'Allegro finale. Ai tre cembali è qui devoluto ii
compito di svolgere il discorso fugato, gl'interventi orchestrali essendo limitati soprattutto alla
funzione di sostegno armonico ai soli o a sottolineare le riprese tematiche. Incorniciata tra i due
allegri, espande i! suo canto ritmicamente molleggiato sul 6/8 il movimento centrale Alla
Siciliana (nella tonalità di fa maggiore).

Giorgio Graziosi

BWV 1064 - Concerto per tre clavicembali in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=xP_QX3PCOks

https://www.youtube.com/watchv=vRfcGmVH5dI

Allegro
Adagio (la minore)
Allegro assai

Organico: 3 clavicembali, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1735 - 1736
Edizione: Peters, Lipsia, 1850

Trascrizione da un concerto in re maggiore per 3 violini perduto

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La tradizione del Concerto grosso e l'innovazione del Concerto solista, la scoperta del piacere
concertante e la solidità, forte e nervosa, della tecnica costruttiva contrappuntistica, attraversano
insieme la serie dei Concerti per clavicembalo di Johann Sebastian Bach (1685-1750), una delle
prime occasioni in cui allo strumento viene riservato un ruolo concertante, sottraendolo alla
lezione del basso continuo. Alla metamorfosi concorrono numerose circostanze, conferma
dell'inseparabile rapporto, in Bach, tra invenzione e occasione, genio e regolatezza.

Il periodo centrale dell'attività bachiana a Lipsia è segnato dal lavoro per il Collegium Musicum,
un'associazione studentesca fondata da Georg Philipp Telemann che si esibiva al Café
Zimmermann. Per quei concerti, dei quali assunse la direzione, pressoché ininterrotta, dal 1729
al 1741, Bach doveva provvedere - secondo la prassi dell'epoca, oggi desolatamente desueta - a
una quantità di musiche nuove. Matura in questo contesto la decisione di riprendere alcuni
concerti per strumento solista, soprattutto per violino, scritti nel periodo in cui era stato maestro
di cappella alla corte di Cöthen.

La scelta vive nella consueta dimensione didattica e familiare: i figli Wilhelm Friedemann (al
quale, nel 1723, aveva dedicato le Invenzioni a due voci) e Carl Philipp Emanuel abitano e
studiano ancora con lui, tra gli allievi emerge la personalità di Johann-Ludwig Krebs. A loro, il
padre e maestro intende - come racconteranno i primi biografi - «procurare l'occasione di
perfezionarsi in tutti i generi esecutivi». Anche nei più nuovi. È in questa cerchia, e in alcuni casi
probabilmente con questi carissimi alunni come primi esecutori, che nasce la serie dei
quattordici concerti per uno, due, tre, quattro clavicembali. In cinque casi soltanto (BWV 1054,
1057, 1058, 1062, 1065) disponiamo degli originali, in altri conosciamo la fonte di riferimento,
per altri ancora si suppone che madri siano le opere di autori italiani contemporanei.

Nel rapporto con la musica del nostro paese, il Kantor non ha nutrito le perplessità del giovane
Händel: «Che cosa sua maestà crede possa apprendere dalla musica italiana», chiese stupito al
principe che gli proponeva un viaggio nella penisola. Poi, poco più che ventenne, partì, e
sappiamo con quali esiti. Bach non varcò mai i nostri confini, considerò sufficiente leggere certe
partiture. Oltre a quelle certamente studiate e reinventate, figura probabilmente anche un
"concerto italiano per tre violini", che ispira dapprima un lavoro con un organico analogo, poi il
Concerto per tre clavicembali in do maggiore BWV 1064. Ha scritto Alberto Basso: «La vera
conquista sta nell'aver saputo conferire al clavicembalo, e in modo ufficiale, una posizione di
prestigio in mezzo all'orchestra portandolo, con un'abile quanto imprevedibile mossa
d'arroccamento, al livello immediatamente superiore a quello degli altri strumenti... In tal modo,
Bach spaccava in due la monolitica e compatta veste del concerto: da un lato il tutti degli archi,
dall'altro il cembalo con il suo meccanico e singolare comportamento, ben più articolato e
complesso di quello che si era soliti affidare agli strumenti melodici».

Ma i tre clavicembali aggiungono al piacere concertante un'altra dimensione: lo strumento


scopre il teatro, il suono si fa aria, duetto, terzetto, moltiplica e confonde la propria voce in
un'ininterrotta fantasia inventiva che unisce principio concertante e tecnica contrappuntistica.
Fossimo dei botanici, sapremmo descrivere la fioritura continua e sempre variata delle frasi che
si sviluppano dalle invenzioni tematiche: a Bach riesce qui di creare un organismo perfettamente
unitario, dinamico e multiforme nella sua varietà melodica. Come già nel Concerto per due
violini, la preponderanza del gruppo dei tre solisti emerge anche nel ritornello, ma tale
protagonismo evita ogni rischio di ripetizione e staticità grazie alla distribuzione sempre
mutevole delle frasi fra gli attori: brevi i passaggi all'unisono, continuo il ricorso a figurazioni
imitative, spesso per moto contrario, ad accenni di sequenze canoniche spezzate da discrasie
ritmiche. Soltanto nell' Allegro conclusivo i tre solisti si concedono una cadenza che ambisce al
virtuosismo; il terrore bachiano di scivolare nell'ovvietà del prevedibile gli impone di
differenziarne le durate, rovesciando l'ordine di entrata degli strumenti: prima il terzo (21
battute), poi il secondo (24), infine il primo (34). La quantità degli interventi solisti si sviluppa
all'interno di un movimento in stile fugato, creando un esempio sommo di conciliazione tra
solidità costruttiva e nuova libertà melodica che il settecento andava scoprendo, nel suono e
nella voce. E il canto emerge Lento e Largo nel movimento centrale, imperniato sulla tonalità
relativa di la minore, costruito su un basso ostinato, lieve nell'accompagnamento, giocato sulla
volatilità concessa al toccatìsmo cembalistico, sospeso nella repentina conclusione, come ombra
che dissolve.

Sandro Cappelletto

Guida all'ascolto 2 nota 2)

Il Concerto per tre cembali BWV 1064 deriva certamente da un concerto precedente non
pervenutoci; è del tutto verosimile che strumenti solisti dell'originale fossero tre violini. I tre
cembali sono, in questo caso, del tutto compatti, e evitano rigorosamente qualsiasi dialogo fra
loro. Il loro ruolo predominante invade anche le sezioni dei ritornelli nel tempo iniziale, un
densissimo Allegro. L'Adagio centrale si sviluppa su un "Basso quasi ostinato" ed è uno dei più
meditativi fra i tempi lenti dei concerti bachiani. Il finale, in stile fugato, vede al termine
ciascuno dei tre strumenti solisti impegnato in una cadenza virtuosistica, di lunghezza
progressivamente crescente.

Arrigo Quattrocchi

BWV 1065 - Concerto per quattro clavicembali in La minore

https://www.youtube.com/watchv=OBKu4uCLbNo

https://www.youtube.com/watchv=tJ49G2-Chhs

https://www.youtube.com/watchv=KHvJJqjqAkg

Allegro
Largo
Allegro

Organico: 4 clavicembali, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1730 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1865

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

È l'elaborazione cembalistica del Concerto per quattro violini, violoncello e archi in si minore
dall' Estro armonico di Antonio Vivaldi (op. 3, n. 10). L'interesse principale della composizione
risiede essenzialmente nell'effetto fonico dato dalla inconsueta moltiplicazione degli strumenti a
tastiera e nelle peculiarità della scrittura cembalistica rispetto all'originale. La sostanza della
partitura vivaldiana è seguita alla lettera, ma nella nuova veste strumentale ne risulta alterato
l'equilibrio costruttivo. Le linee concertanti sono affidate alla mano destra dei quattro
clavicembali, mentre la mano sinistra riversa sulla tastiera alcuni elementi del ripieno,
assorbendo così una parte delle funzioni originariamente assegnate all'orchestra e relegando
sullo sfondo la compagine degli archi. Ne risulta una maggiore uniformità timbrica, con più
scarso rilievo di contrasti dinamici e di effetti a dialogo.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Una delle problematiche più discusse e approfondite nell'approccio al repertorio tastieristico di


Johann Sebastian Bach è l'esecuzione al pianoforte di opere scritte per tastiera. È noto come il
Maestro di Lipsia prediligesse il clavicembalo e l'organo, con alcune sortite al clavicordo. Nei
confronti del pianoforte, Bach non nutriva particolare simpatia. Oggi la prassi esecutiva del suo
repertorio su questo strumento ha raggiunto livelli interessanti e artisticamente di valore, pur non
essendoci unanimità tra gli esecutori. Si pensi, solo per fare un esempio, alle interpretazioni di
Glenn Gould che suscitano lunghe dispute tra fan e detrattori. Dopo questa premessa si può
cogliere come sia complicato approcciarsi al Concerto BWV 1065 per quattro clavicembali e
orchestra (qui eseguito con quattro pianoforti), trascrizione del Concerto in si minore RV 580 per
quattro violini, archi e basso continuo, decimo delle dodici composizioni dell'Estro armonico di
Antonio Vivaldi. Sulla genesi di questa trascrizione si rincorrono molte storie. La più attendibile
fa risalire al 1713 il viaggio nei Paesi Bassi del duca Giovanni Ernesto di Sassonia-Weimar,
presso il quale Bach si trovava a servizio. Il Duca tornò con una grande collezione di spartiti di
musica italiana tra i quali c'era il concerto vivaldiano. Bach sostituisce i quattro violini solisti
dell'originale con quattro clavicembali ed è costretto a rimettere mano alla partitura orchestrale
che viene ridotta per dare spazio, in maniera eguale, ai quattro solisti. Così un po' si perde l'idea
del "concerto grosso all'italiana" contraddistinto da contrasti tra ripieni orchestrali e concertino
dei solisti, alterando l'equilibrio costruttivo pur preservandone la sostanza.

Il primo movimento - Allegro - si apre con i pianoforti I e II da soli che presentano il tema; solo
quattro battute e l'intera orchestra con tutti i solisti riprende insieme il tema. La tonalità è in la
minore e non ci si allontana più di tanto se non nei momenti progressivi che comunque ritornano
alla tonalità d'impianto. Nella parte centrale del movimento una lunga serie di trilli si scambiano
tra i primi tre solisti. Il movimento si chiude con la testuale ripresa del tema da parte
dell'orchestra e dei pianoforti.

Il secondo movimento - Largo - è contraddistinto dal ritmo puntato. Il ripieno orchestrale


risponde con ampi accordi (siamo passati al modo maggiore di la) alla semplice linea fatta da
due pianoforti (che man mano diventano quattro). C'è una seconda sezione di questo Largo che
vede protagonisti i soli pianoforti. L'orchestra è ferma e i solisti effettuano arpeggi privi di
melodia con le variazioni armoniche date dal basso. L'effetto che si produce (assolutamente
originale per l'epoca) è una completa smaterializzazione del tempo e dello spazio musicale.

L'Allegro finale riprende il modo del primo, non solo dal punto di visla tonale. È in 6/8,
contraddistinto da un'impegnativa tecnica clavicembalistica applicata al pianoforte. L'orchestra
dialoga con i solisti, in particolar modo con il primo pianoforte, che in questo movimento
assume un ruolo preminente rispetto agli altri.

Mario Leone

Suites per orchestra

Autentiche
https://it.wikipedia.org/wiki/Suite_per_orchestra_di_Johann_Sebastian_Bach

https://www.youtube.com/watchv=KQHmojq2VzA

https://www.youtube.com/watchv=c159n2Ig37s

https://www.youtube.com/watchv=AGMJq3APDPc

https://www.youtube.com/watchv=23If2CeG4uc

https://www.youtube.com/watchv=bffrJ89EGcQ

BWV 1066 - Suite per orchestra n. 1 in Do maggiore

https://www.youtube.com/watchv=DquhZcSwrrI

https://www.youtube.com/watchv=mHVJZ34VXW4

Ouverture
Courante
Gavotte I, II
Forlane
Menuett I, II
Bourrée I, II
Passepied I, II

Organico: 2 oboi, fagotto, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1718 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1853

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il genere della Suite strumentale, formalizzatosi in una successione di danze precedute o meno
da un'ouverture, si diffuse rapidamente in Germania a partire dalla fine del XVII secolo, sulla
scia della moda francesizzante che contagiò la maggior parte delle corti tedesche del tempo,
orientate a riconoscere in Versailles un preciso modello di riferimento politico-sociale e artistico-
culturale. In ambito musicale il fenomeno comportò la progressiva assimilazione da parte dei
compositori tedeschi dell'epoca non solo dei modi e delle forme della musica strumentale
francese, ma anche dello spirito della danza e della galanterie che di quel modello erano
considerate le manifestazioni più affascinanti e "alla moda". Kusser, Kuhnau, Telemann, Bach,
Muffat, Graupner, Fasch, sono solo alcuni dei protagonisti di un processo più generale che favorì
la penetrazione di quelle influenze anche in altri contesti stilistico-formali, come la cantata o il
concerto, dando origine a degli "ibridi" musicali di cui il Primo Brandeburghese o le Suites-
Concerto di Telemann costituiscono forse gli esempi più conosciuti.
Delle quattro Ouvertures per orchestra di Johann Sebastian Bach a noi giunte (alcuni lavori dello
stesso tipo sono andati perduti, mentre quella in sol minore BWV 1070 è probabilmente opera di
scuola bachiana), non possediamo alcuna fonte autografa. Fanno eccezione alcune parti staccate
della Seconda e Terza Suite, databili tra il 1730 e il 1738, e riferibili con tutta probabilità -
assieme a gran parte della documentazione non autografa delle quattro composizioni - all'attività
musicale del Collegium musicum di Lipsia, del quale Bach aveva assunto la direzione nel 1729 e
al cui repertorio contribuì ampiamente con rifacimenti di brani precedentemente composti.
Nonostante le incertezze, dovute alla mancanza di una documentazione sufficientemente precisa
e all'opera di rielaborazione a cui Bach sottopose le quattro Ouvertures (titolo adoperato
all'epoca per indicare questi lavori, essendo quello di suite meno frequentemente usato per i
pezzi polistrumentali), oggi si è sostanzialmente concordi nel fissare la data di composizione
delle quattro partiture agli anni di Köthen (1717-1723), periodo nel quale Bach fu chiamato a
ricoprire l'incarico di Kapellmeister della locale cappella di corte, e al quale risale il corpus più
consistente delle sue opere strumentali.

Il principe Leopold di Anhalt-Köthen (1694-1728), buon cantante ed ottimo suonatore di


cembalo e viola da gamba, s'impegnò con determinazione alla creazione di un eccellente
ensemble di musicisti. Dopo aver frequentato l'Accademia dei giovani nobili di Berlino, aveva
continuato a mantenere buoni rapporti con l'ambiente musicale di quella città e non indugiò ad
invitare presso di sé quei musicisti berlinesi che Federico Guglielmo I, il re soldato, aveva
licenziato subito dopo essere succeduto a Federico I di Prussia, morto nel febbraio 1713. Al
momento dell'assunzione di Bach, la cappella - alle cui esecuzioni si univa talvolta lo stesso
principe - comprendeva 16 strumentisti, divisi nella doppia qualifica di Kammer-Musicus, con
compiti di maggiore responsabilità, e Musicus, con funzioni di coadiutore; ma all'occorrenza il
complesso poteva essere rinforzato da musicisti appositamente scritturati. Diversamente dalla
luterana corte di Weimar, dove Bach aveva precedentemente ricoperto il posto di organista e di
Konzertmeister, ossia di primo violino, nella calvinista corte di Köthen non c'era spazio per la
musica sacra; e se è vero che è a Weimar che Bach venne a conoscenza delle composizioni
vivaldiane - trascrivendone alcune per organo o cembalo - e che l'ouverture era stata da lui
occasionalmente utilizzata già in alcune delle Cantate scritte in quella città (BWV 61 e 152), è a
Köthen che egli ebbe modo per la prima volta di confrontarsi con il Concerto italiano e la Suite
francese in tutte le loro peculiarità formali e stilistiche.

L'Ouverture n. 1 in do maggiore BWV 1066 dovrebbe collocarsi nel corso del primo anno
dell'incarico assunto da Bach presso il principe Leopold (1718). Il piano generale dell'opera, la
presenza di un'ouverture di tipo lulliano e l'assenza dell'allemanda, vale a dire della danza
tedesca per eccellenza, sono tratti che l'accomunano alle tre composizioni consorelle; tuttavia,
mentre in quelle compaiono anche brani che non appartengono al novero delle danze
propriamente dette, in questa si succedono solo movimenti di danza e tutti di origine francese o -
nel caso della forlane - comunque francesizzati. Come nelle altre tre Suites, il pezzo di maggior
peso dell'intera composizione, per ampiezza complessiva e per numero di parti (sette contro le
quattro o le tre delle danze), è quello iniziale, ossia l'Ouverture vera e propria elaborata secondo
il consueto schema tripartito "alla francese": grave - allegro - grave. I due tempi lenti,
d'andamento solenne e dai tipici ritmi puntati con volatine e note ornamentali, inquadrano una
sezione fugata in cui s'inseriscono diversi episodi concertanti affidati ad un trio formato da due
oboi e un fagotto, che ripropongono in un vivace gioco contrappuntistico-imitativo alcuni spunti
motivici tratti dal tema d'apertura.

Un'aristocratica Courante, la sola delle quattro danze fondamentali che generalmente


costituivano una suite a comparire nella partitura (e per l'unica volta in tutte e quattro le
Ouvertures), dà inizio, in una regolare alternanza di ritmi ternari e binari, alla successione delle
danze, tutte di struttura bipartita con ritornelli e modulazione alla dominante. All'eleganza della
Courante fa riscontro, dopo la Gavotte I e II, una Forlane, antica danza friulana di movimento
rapido e ritmo di 6/4, affermatasi con un certo successo in Francia specie negli opéra-ballets di
Campra: la rusticheggiante melodia degli oboi e dei violini primi è "sapientemente" sostenuta da
un'agile successione di sestine di crome dei violini secondi e delle viole, mentre i bassi, che nella
prima parte della danza si limitano ad una semplice nota-pedale ottaveggiata, nella seconda
acquisiscono un andamento più mosso fino a scandire omoritmicamente il motivo principale con
il resto dell'orchestra.

La presenza di quattro danze doppie, distinte in I e II, con modifica del tema e della
strumentazione è tipica della Ouverture n. 1, e le diverse soluzioni timbrico-coloristiche adottate
ne costituiscono forse il lato più affascinante. Nella Gavotte II, violini e viole all'unisono
contrappongono un militaresco motivo "a fanfara" alla scorrevole melodia degli oboi
prevalentemente per terze e seste parallele. Al contrario, nel delicato Menuet II la scrittura
orchestrale si restringe agli archi e basso continuo, mentre nella Bourrée II - il solo brano che, in
do minore e con modulazione al relativo maggiore (mi bemolle), si allontana dal piano tonale
generale della suite - al terzetto di fiati. Nel Passepied II, l'unico pezzo assieme alla Bourrée II
ad essere scritto a tre voci, infine, i violini e le viole ripropongono, con un bellissimo effetto di
oscuramento timbrico, il tema della danza precedente contrappuntandolo con una nuova melodia
degli oboi. Ciascuna delle quattro coppie di danze va eseguita alternativement, facendo cioè
seguire l'intera esposizione dei due brani dalla ripetizione del primo senza i ritornelli prescritti.
Se da un lato il vivace gioco di stacchi, rispondenze e riprese si arricchisce di nuovi effetti di
simmetria e colore, dall'altro, come scrive Alberto Basso, «lo spirito popolare che in qualche
modo aleggia sulla serie delle danze - in antitesi con la solenne, severa e aristocratica ouverture
alla francese - riacquista così, attraverso un artificioso processo di alternanze, una dimensione
accademica, rituale, manierata, quale appunto conveniva ad un'Hofmusik o ad una musica di
cerimonia o da concerto».ù

Carlo Carnevali

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Rosario Romeo amava ripetere ai suoi studenti che, a dispetto del senso comune, i "se" sono la
materia prima dello storico: le ipotesi sono infatti necessarie per ricostruire la genesi di un
avvenimento, per far emergere in controluce il profilo di un movimento, in qualche caso per
correggere l'immagine che la tradizione ci ha consegnato di un'epoca intera o di un singolo
uomo. Possiamo dunque chiederci che idea avremmo oggi di Bach se nel 1720, prima di
trasferirsi a Lipsia, egli avesse ottenuto l'incarico di direttore musicale della cappella di San
Giacomo ad Amburgo. E più concretamente quale visione avremmo della sua musica se le
abitudini poco formali dei gruppi musicali che eseguivano il repertorio profano non avessero
provocato la perdita di gran parte delle sue composizioni per orchestra, se dunque accanto alla
straordinaria mole delle opere sacre possedessimo una quantità equivalente dei suoi lavori
concepiti per l'intrattenimento e lo svago.

Quando non è possibile rimediare alle lacune della documentazione, le ipotesi ci soccorrono nel
rendere la figura di Bach più sfumata e problematica, meno rinchiusa nel guscio di una
devozione severa e più aperta al mondo, per così dire, tanto da rivelarsi disponibile anche al
confronto con le mode culturali del suo tempo. In questa prospettiva, anche le opere sacre di
Bach diventano una testimonianza importante e contribuiscono a mettere in questione i
pregiudizi riferiti alla sua presunta ortodossia: in continuazione si ritrovano nelle cantate moduli
che derivano dalle arie d'opera, dallo stile galante della musica francese, da un gusto
semplificato della melodia che testimonia l'influsso dell'arte italiana. Non deve perciò
sorprendere il fatto che la musica sacra di Bach sia stata spesso contestata dai contemporanei per
la sua spiccata teatralità, cioè per l'abuso di un sensualismo che agli esponenti più rigidi della
chiesa luterana appariva decisamente fuori luogo: la mescolanza di sacro e profano è il modo
con cui il compositore si teneva al passo con i nuovi linguaggi e alimentava una tensione sempre
latente nella sua musica. L'elemento generatore del conflitto è quello legato alla sfera mondana,
all'osservazione dei costumi e dei risvolti sociali presenti nella musica. Nessun dogmatismo,
nessuna aprioristica professione di fede riesce a rimuoverne l'efficacia e il peso: l'ipotesi più
attendibile, dunque, è che al di là di quanto avviene nelle opere sacre, un elemento così
importante debba trovare espressione in un altro settore dell'opera di Bach, che esso rappresenti
un momento di ispirazione più leggera che si contrappone alla vena speculativa della sua
produzione più conosciuta.

Quando ci avviciniamo alle opere per orchestra in nostro possesso, dobbiamo dunque essere
consapevoli del fatto che non sono pagine isolate, singole creazioni trattate dal compositore con
un certo disinteresse, che non si tratta di un'opera minore da affiancare a quella maggiore
rappresentata dalla musica sacra o di ricerca, che dunque le proporzioni attuali del catalogo
bachiano non riflettono in modo compiuto la sua produzione né dal punto di vista della quantità,
né da quello degli interessi coltivati dall'autore durante la sua vita. Sappiamo ad esempio che a
Lipsia, dove il suo ufficio principale era quello di Kantor della scuola di San Tommaso, Bach
diresse dal 1729 al 1740 uno dei più importanti Collegia Musica della Germania, ovvero uno di
quei complessi ai quali era di fatto delegata l'esecuzione di musica orchestrale al di fuori delle
chiese e delle corti. Formati per lo più da studenti e da borghesi di ottima preparazione musicale,
i Collegia Musica collaboravano all'epoca con i maggiori compositori in circolazione proprio per
la qualità delle esecuzioni e per la libertà creativa che garantivano loro: prima di Bach, il
Collegium Musicum di Lipsia era stato diretto da Telemann, il quale in seguito avrebbe fondato
altri complessi dello stesso tipo ad Amburgo, portandoli a livelli considerati a quel tempo
straordinari. Sembra inoltre che per tutto il decennio in cui ne curò la direzione, il lavoro con il
Collegium Musicum abbia assorbito Bach ben più dell'impegno alla cantoria di San Tommaso.
Delle opere preparate per questo ramo della sua attività ci è rimasto pochissimo, al punto che per
conoscere meglio l'opera per orchestra di Bach bisogna risalire a un'epoca precedente, al periodo
in cui Bach era alle dipendenze del principe Leopold di Anhalt-Köthen. Qui, fra il 1717 e il
1723, videro la luce le sue composizioni che oggi conosciamo e si perfezionò soprattutto uno
stile molto personale e riconoscibile. Ai tempi di Köthen risale per esempio la confezione dei sei
Concerti brandeburghesi, nei quali Bach riunì pagine composte in realtà anche in anni
precedenti, in modo da organizzare la raccolta come una vera e propria silloge dello stile
concertistico proprio e di quello dell'età barocca. Ma ai tempi di Köthen sono da riportare anche
le quattro Ouvertures BWV 1066-1069 e la maggior parte dei concerti solistici che ci sono
pervenuti, compreso il Concerto per violino e oboe 1060a.

Le Ouvertures devono il loro nome alla pagina che le introduce, ma la loro struttura è quella
tipica delle suites: una libera successione di movimenti ispirati a ritmi di danza e articolati
secondo un criterio che proviene direttamente dall'uso francese. Bach tuttavia non rispetta lo
schema delle suites che si era consolidato nel corso del Seicento, basato sulla presenza di almeno
quattro danze fondamentali: allemanda, corrente, sarabanda e giga. Egli omette regolarmente
l'allemanda e lascia alle altre solo sporadiche apparizioni, tanto che l'unica danza fondamentale
che troveremo nelle due Ouvertures in programma questa sera è la corrente, presente oltretutto
solo nel primo brano, l'Ouverture in do maggiore BWV 1066. L'influsso dello stile francese,
evidente fin nella scelta delle singole danze e nella loro denominazione, si riflette soprattutto nel
tono solenne del movimento introduttivo, concepito secondo il tipo di espressività che ai tempi
di Bach si definiva "sublime", e nel particolare taglio della scrittura ritmica. Abbondano gli
elementi irregolari, le note puntate, le sincopi, le accelerazioni improvvise e i rallentamenti che
all'interno delle singole battute producono una suddivisione del tempo in molti casi diversa da
quella indicata all'inizio della partitura. Sono formule che derivano dal bagaglio linguistico della
musica francese, in particolare da quella sfarzosa che Lully aveva portato a livelli di eccezionale
perfezione ed efficacia, e che agli inizi del Settecento aveva attecchito anche nelle corti tedesche,
compresa la piccola Köthen, venendo incontro a quel diffuso bisogno di autorappresentazione
che la limitazione localistica dei poteri rendeva particolarmente urgente. Bach finì tuttavia per
rigenerare gli aspetti più smaccatamente decorativi di quel linguaggio grazie all'introduzione di
elementi personalissimi che ne mutarono profondamente il senso. Anche in opere disimpegnate
come le Ouvertures, dunque, non manca il contrappunto, inserito da Bach per lo più nei
movimenti estremi della composizione: in questi passaggi è come se lo spettacolo virtuosistico
della danza si fermasse e lasciasse spazio a un gioco di pura intelligenza. Fuori dal contesto
sacro, in altre parole, Bach usa il contrappunto come una forma di esercizio intellettuale che per
la ragione illuministica ha lo stesso valore esemplificativo che hanno avuto gli scacchi per la
logica del Novecento. La fuga introduce un principio di chiarezza, aggiunge certezza laddove
tutto sembra invece affidato all'arbitrio dell'eleganza: ritmi e durate, rapporti armonici e melodie,
queste ultime sempre piene di salti e di volute. Il barocco dei Concerti brandeburghesi aveva un
accento sentimentale la cui derivazione alludeva di frequente all'Italia, al suo mondo di
strumentisti virtuosi e di imprevedibili orchestratori. Nelle Ouvertures il barocco si mescola
invece a un tono illuministico al tempo stesso ironico e condizionante. Bach vi celebra un
duplice cerimoniale: da un lato quello delle corti, visibile nel francesismo delle danze; dall'altro
quello delle accademie dei savants, con gli episodi fugati che rendono omaggio alla "scienza"
come al vero sovrano assoluto dell'epoca moderna. C'è appena bisogno di ricordare il fatto che
negli ultimi anni della sua vita Bach collaborò attivamente a una di queste accademie, quella
fondata a Lipsia da un suo antico allievo, Lorenz Christoph Mizler, per concludere che oltre ad
interessarsi degli aspetti speculativi della musica, Bach abbia saputo cogliere i riflessi sociali
della nuova organizzazione del sapere, riproducendone con molta finezza nelle Ouvertures le
gerarchie, gli atteggiamenti mondani e gli inediti cerimoniali.

L'Ouverture in do maggiore per due oboi, fagotto e archi BWV 1066 ha, come la maggior parte
delle ouvertures bachiane, una distribuzione delle parti strumentali che cambia da movimento a
movimento. Quello d'apertura è a sette parti, con due oboi e fagotto in primo piano, due violini e
una viola sullo sfondo, oltre al basso continuo realizzato dal clavicembalo ed eventualmente da
altri strumenti ad arco, come il violoncello o il violone. Nelle danze successive, il fagotto sfila in
secondo piano, unendosi allo strumento a tastiera nella realizzazione del continuo, mentre gli
oboi vengono talvolta affiancati dal primo violino in funzione solistica. Due volte, tuttavia,
l'organico viene diminuito da Bach a tre soli strumenti: è il caso del Menuet II, privo di strumenti
a fiato, e della Bourrée II, eseguita invece solo dai due oboi e dal fagotto. Dal punto di vista del
numero delle danze incluse, quella in do maggiore è la suite più ampia, con ben dieci movimenti
tutti ispirati a danze di provenienza francese, compresa quella Forlane che, nonostante l'origine
friulana, era stata acquisita dalla musica di corte solo attraverso il modello rielaborato dai
musicisti di Versailles. A parte la Courante e la Forlane, tutte le danze sono accompagnate dal
loro alternativo, cioè da una seconda versione nella quale vengono modificati sia il tema, sia
l'organico strumentale. La prassi esecutiva prevedeva che in questo caso, dopo la fine
dell'alternativo, venisse rieseguita la prima danza della coppia, ma senza ritornelli, dunque in
forma abbreviata. Si metteva così in scena un rigido cerimoniale di alternanze e riprese che in
qualche modo veniva a riaffermare il carattere cortese, raffinato di queste ouvertures,
diminuendo la loro dipendenza da uno spirito più popolaresco che resta comunque inscritto
nell'origine e nella vivacità di ciascuna danza.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Giunta fino a noi probabilmente nella versione originaria concepita per Köthen (si tratta in effetti
del lavoro dall'orchestrazione meno ricercata), l'Ouverture n. 1 BWV 1066, si apre squadernando
uno spazio sonoro disteso e sereno nella solare tonalità di Do maggiore, offrendo all'ascoltatore
una superficie sonora mirabilmente tesa tra movimento e immobilità. Segue a questa pagina il
consueto movimento veloce, una fuga il cui tema vigoroso viene coinvolto in un congegno
compositivo che integra la presenza pervasiva della testa del tema all'interno di una struttura
concertante non aliena da sonorità cameristiche, in cui si valorizza il trio, di tradizione francese,
dei due oboi e del fagotto, impiegato in perfetta solitudine oppure sopra il discreto sottofondo
degli archi. La suite delle danze si apre con una Courante a organico pieno, non accompagnata
da una pagina gemella a differenza di quanto accade normalmente in questa partitura. Gavotte,
Menuet, Bourrée e Passepied sono infatti tutte accostate a una versione contrastante, di norma
affidata al timbro dei fiati. Particolarmente suggestivo il contrasto realizzato dalla Bourrée II in
do minore e il dolcissimo Passepied II. Tra le canoniche danze francesi, compare anche
un'insolita popolaresca Forlane, ballo simile alla giga, in 6/4, di origine friulana: in voga per
tutto il Settecento è presente un po' a tutte le latitudini, dagli opéra-ballets d Campra alle opere
buffe di Cimarosa.

Raffaele Mellace

BWV 1067 - Suite per orchestra n. 2 in Si minore

https://www.youtube.com/watchv=x8Rv9ppP6A8

https://www.youtube.com/watchv=w26Qkm4wbGk
Ouverture
Rondeau
Sarabande
Bourrées I e II
Polonaise & Double
Menuett
Badinerie

Organico: flauto traverso, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1735 circa
Edizione: Peters, Lipsia, 1853

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nessuno potrà mai dire a quale ritmo e con quale intensità Johann Sebastian Bacii s'impegnò a
Köthen nella produzione di musiche per la camera del principe e per il locale Collegium
musicum. Il fascicolo dei cosiddetti Concerti Brandeburghesi (in realtà, Six Concerts avec
plusieurs instruments alla francese) è accompagnato da un manipolo disperato di superstiti
concerti nello stile italiano e dal gruppo, forse, delle quattro Suites o Ouverture sulla cui
collocazione cronologica sussistono per altro non poche perplessità. Fra i concerti solistici
solamente tre sono giunti sino a noi nella loro versione originale per violino (i concerti BWV
1041 e 1042) o per due violini (BWV 1043), mentre di altri concerti noi conosciamo solamente
le versioni per uno o più cembali realizzate per il Collegium musicum di Lipsia che Bach diresse
negli anni 1729-1737 e poi nuovamente fra il 1739 e il 1744.

Fra le Ouvertures, un posto singolare occupa sicuramente la Seconda, in si minore (BWV 1067)
a motivo della presenza di uno strumento solista, il flauto traverso. Composta forse negli ultimi
tempi del soggiorno a Köthen in qualità di Kapellmeister al servizio del principe Leopold di
Anhalt-Köthen, e dunque intorno al 1722-23 (il trasferimento a Lipsia avvenne nel maggio del
1723), l'opera rappresenta la conferma dell'attenzione che Bach prestava non solo alle maniere
italiane, ma anche al gusto francese allora dilagante in tutta la cultura germanica. Ogni corte,
grande o piccola che fosse, intendeva dimostrare di volersi correttamente adeguare al fastoso
modello francese di Versailles anche sul fronte della musica. Ai musicisti tedeschi e a quelli che
le corti tedesche chiamavano dalla Francia era fatto obbligo, vero e proprio onere professionale,
di adeguarsi ai modelli strumentali forniti da Lully: lo imponeva la moda, e lo spirito della danza
- che di quella moda era il riflesso più immediato e spontaneo - era divenuto un punto obbligato
del discorso musicale, tanto da contaminare anche l'incipiente forma del concerto e indurre Bach
col primo dei Brandeburghesi a creare una «ingeniosa mescolanza», uno «stile mischiato», come
avrebbe potuto dire Georg Muffat, che del goût francese era stato conoscitore profondo. Tracce
di quella curiosa combinazione di stili si possono rinvenire anche nella Seconda Ouverture che
in qualche momento tratta le danze francesi sovrapponendo alle maniere a loro congeniali (per
un compatto insieme strumentale) passaggi solistici italianeggianti.

È caratteristico delle Ouvertures in senso proprio (vale a dire del primo movimento, che dà il
nome anche all'intera composizione) l'essere state tutte concepite nello stile "sublime", con
aulica pompa e incedere solenne; la tentazione per una parata musicale di gusto esteriore e
decorativa, tuttavia, viene temperata dall'inserimento di episodi concertanti all'interno della
sezione "fugata" (quella centrale) per la cui realizzazione Bach prescrive di volta in volta
organici diversi. Nella Seconda di queste ouvertures la funzione concertante non viene affidata
ad un gruppo di strumenti, come accade.nella Prima (2 oboi e fagotto), nella Terza (2 violini e
viola) o nella Quarta (3 oboi e fagotto prima, 2 violini e viola poi), bensì ad un unico strumento,
il flauto traverso, che poi si renderà protagonista, nel corso della composizione, di altri interventi
solistici, sicché l'opera si presenta sotto il segno del virtuosismo, talvolta in maniera anche
vistosa, considerando la funambolica velocità di base che in taluni momenti viene impressa.

Fra gli altri movimenti della Suite, quello in seconda posizione, il Rondeau, non è propriamente
una danza, ma il tempo è quello di una danza dal ritmo ben marcato e vigoroso. Seguono una
Sarabande (è da notare che l'Allemande non figura in nessuna delle quattro Suites), una Bourrée
I e II (tale danza è invece l'unica ad essere presente in tutte le quattro Ouvertures), una Polonaise
con il suo double (e cioè la versione abbellita), un Menuet e, in chiusura, una Badinerie, forma di
danza a carattere scherzoso, in 2/4, di raro impiego al di fuori del repertorio ballettistico
seicentesco.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La produzione di musica profana, strumentale e da camera, occupò una larga parte dell'attività di
Bach, specie durante i suoi primi anni di lavoro, quando prestava servizio in piccole corti
tedesche come quella di Anhalt-Köthen. Essa tornò inoltre a rappresentare un capitolo
consistente della sua opera negli ultimi tempi del lungo soggiorno a Lipsia, quando destinò brani
già composti o ne scrisse di nuovi per il Collegium Musicum, uno di quei complessi orchestrali
tipicamente tedeschi, formati per lo più da studenti e da buoni dilettanti, ai quali era delegata
l'esecuzione di musica strumentale al di fuori delle chiese e delle corti, dunque nelle sale o nei
giardini dei caffè. Bach diresse il principale Collegium Musicum di Lipsia dal 1729 al 1740,
sembra dedicando a questa occupazione anche più impegno di quanto non ne profondesse per la
direzione della cantoria di San Tommaso.

La serie delle Suites per orchestra BWV 1066-1069 è da questo punto di vista esemplare: scritte
fra il 1717 e il 1723 presso la corte di Anhalt-Köthen, esse furono poi riadattate per il Collegium
Musicum di Lipsia. Poiché questa operazione venne condotta direttamente sui vecchi
manoscritti, oggi risulta pressoché impossibile tornare a distinguere le versioni originarie, tanto
che comunemente si eseguono le partiture di Lipsia, talvolta segnalando le possibili differenze di
organico tra le due versioni.

La Suite n. 2 assegna al flauto traverso una chiara funzione concertante che non è perfettamente
in linea con la tradizione della suite, ma che invece è coerente con l'idea di quella sintesi fra i
diversi generi di musica strumentale che per Bach rappresentava un obiettivo fin dai primi anni
di lavoro. L'inizio è una tipica ouverture alla francese, in stile solenne, o come si diceva all'epoca
"sublime", riferendo questo termine alla pratica di eseguire simili introduzioni in rapporto
all'allestimento di uno spettacolo teatrale. Bach rispetta l'articolazione in tre sezioni del modello
derivato da Lully, anche se nell'ultima, che dovrebbe limitarsi a riprendere l'esposizione di
apertura, introduce una sensibile modifica del ritmo. La condotta delle parti, l'orchestrazione pur
sempre di dimensioni cameristiche, oltretutto tenuta compatta da Bach lungo tutta la
composizione (con l'unica eccezione della Polonaise e del Double), infine la presenza dello
strumento concertante, testimoniano non solo l'immissione di elementi stilistici estranei alla
tradizione francese e che accennano piuttosto alle novità dello stile italiano, ma danno all'intera
opera un'espressione di carattere intimista che poco si adatta, in linea di principio, con
l'esuberanza mondana che sarebbe tipica della "galleria" di danze rappresentata dalla suite. Dopo
l'ouverture, la Suite n. 2 prosegue con un Rondeau in tempo di gavotta, una danza molto marcata
nella quale Bach mantiene saldo il riferimento allo stile francese, quindi con una vivace
Sarabande alla quale egli sottrae un poco della solennità che essa era venuta acquisendo in
teatro, poi con due brillanti Bourrées la cui accoppiata serve anzitutto a dare un effetto di
contrasto, lasciando libero corso alle invenzioni timbriche o alle asimmetrie con le quali Bach
muta continuamente la distribuzione degli elementi tematici. La Polonaise con variazone
(Double) era giudicata dai contemporanei una danza di carattere caloroso e di andamento quasi
improvvisativo: Bach regge il gioco di questa impostazione modificando nel Double la base
orchestrale, ridotta ormai a un puro sostegno del flauto che esalta il suo ruolo solistico
eseguendo liberi arabeschi. Basterebbe ascoltare anche il solo Menuet, con la sua astrazione e la
sua perfetta condotta formale, per capire quanto ormai la trama della suite si sia allontanata dal
mondo della danza e abbia raggiunto un diverso grado di autonomia formale. Ma Bach sigilla il
trionfo virtuosistico di questa composizione con la Badinerie finale, grande pezzo di bravura in
cui la ribalta spetta solo al solista.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

L'Ouverture n. 2 BWV 1067, celebre pagina per flauto concertante e orchestra, avrebbe
probabilmente visto la luce in una prima forma in la minore con violino solista composta da
Bach alla corte di Köthen, entro il 1722, e fu rielaborata nella versione in si minore col
«traversiere», a Lipsia nel 1738/39, epoca alla quale possediamo delle fonti in parte autografe.
La presenza dello strumento solista suggerisce a Bach un'interessante commistione tra la forma
francese dell'Ouverture e quella italiana del concerto, il cui influsso è percepibile sin dalla
pagina d'esordio. Aperta con la tradizionale gestualità solenne del movimento lento introduttivo,
l'Ouverture prosegue infatti sul passo leggero di un contrappunto giocoso, una sorta di Allegro di
concerto, proponendo una successione di ben cinque Soli del flauto e altrettanti Tutti
dell'orchestra in regolare alternanza, finché, con uno scarto rispetto alla tradizione, la sezione
conclusiva (Lentement) rifiuta di riprendere con esatta simmetria il primo movimento. Apre le
danze un Rondeau in punta di piedi, a ritmo di gavotta, seguito da una severa Sarabande,
originale per invenzione ritmica e scrittura polifonica. Un vigoroso salto di quarta ascendente
genera la Bourrée su un basso ostinato popolareggiante, cui si opporrà in funzione di trio una
seconda Bourrée, guidata dal flauto sulle sincopi dei violini. Anche l'affascinante Polonaise
presenta un movimento contrastante prima della sua ripresa: denominato Double, è una pagina
per flauto e basso continuo, in cui il tema della Polonaise (già proposto nei modi maggiore e
minore) passa suggestivamente all'accompagnamento. In tempo comodo e di grande intensità
espressiva, l'unico Menuet precede il memorabile movimento conclusivo: la Badinerie, in cui il
flauto è protagonista assoluto di un brillante gioco virtuosistico che corre leggero sul sostegno
dinamico degli archi.

Raffaele Mellace

BWV 1068 - Suite per orchestra n. 3 in Re maggiore


https://www.youtube.com/watchv=oqU4rF_ysQo

https://www.youtube.com/watchv=yr8bpSqR4kQ

Ouverture
Air
Gavotte I
Gavotte II
Bourrée
Gigue

Organico: 3 trombe, timpani, 2 oboi, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1731
Edizione: Peters, Lipsia, 1854

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Con i Concerti Brandeburghesi, le quattro Suites per orchestra - BWV 1066/69 - costituiscono,
nell'ambito della musica profana d'intrattenimento, il risultato probabilmente più alto fra quelli
conseguiti da Bach nel corso del suo soggiorno a Köthen (fra il 1717 e il 1723). Nella cittadina
sassone Bach ricopriva la carica di Kapellmeister (esonerato però dalla produzione religiosa)
presso la corte del principe Leopold, mecenate sensibile alla musica ed incline, come del resto la
maggior parte degli altri sovrani tedeschi, a rendere fastosa la vita della propria corte con uno
sfarzo apertamente ispirato all'esempio di Versailles. Questa penetrazione del gusto francese in
terra tedesca, fertile trasfusione di stimoli intellettuali, trovava una realizzazione di particolare
significato proprio nella diffusione della musica strumentale di danza (espressione dell'elegante
disimpegno della corte francese) secondo gli stilemi elaborati da Lully.

Destinato a una funzione ricreativa e di intrattenimento, il genere della suite di danze (le cui
origini risalivano al Rinascimento) aveva trovato proprio in Germania una struttura codificata
nella successione di quattro brani: Allemanda, Corrente, Sarabanda, Giga (fra le quali potevano
eventualmente essere inserite altre danze). Non a caso, tuttavia, tutte e quattro le suites bachiane
- indicate dai contemporanei come ouvertures, per metonimia dal primo brano di ciascuna delle
composizioni - espellono sistematicamente da questa successione consacrata proprio
l'Allemanda, danza tedesca per eccellenza, ed accolgono solo occasionalmente le altre tre danze;
la maggior parte dei pezzi prescelti consiste invece in danze la cui matrice francese è palese già
dai semplici nomi (ad esempio: bourrée, passepied, badinerie, réjouissance).

In questo le suites di Bach aderiscono perfettamente alla loro funzione e all'estetica del tempo. Il
modello francese però, assunto dal compositore come principio antologico generale, viene
applicato con una libertà di rielaborazione, una fertilità inventiva e una consapevolezza tecnica
che distinguono le quattro composizioni dal conformismo della sterminata produzione
contemporanea, e conferiscono a ciascuna di esse un profilo specifico.
La terza Suite, in re maggiore, risalente al termine del soggiorno di Köthen - anche se fu
certamente rielaborata intorno al 1730 per il Collegium musicum di Lipsia - si affida a un
organico piuttosto nutrito, a dieci parti (tre trombe, timpani, due oboi, violini primi e secondi,
viole e continuo). L'unico brano a contemplare questo organico nella sua interezza è però
l'Ouverture vera e propria; si tratta di una pagina aulica, che ricalca lo schema tripartito di
matrice lulliana, con due sezioni in tempo Grave - che incedono maestosamente secondo il
caratteristico ritmo puntato francese - che incorniciano una centrale sezione fugata, impreziosita
da sezioni concertanti degli archi. Esclusivamente agli archi è affidata l'Air, pagina divenuta
celeberrima attraverso i più svariati arrangiamenti, che nella veste originaria si profila come una
tersa e limpidissima melodia cantabile. Si entra poi nell'ambito delle danze vere e proprie, con le
due brillanti Gavottes, accoppiate fra loro secondo la prassi che le vuole legate tematicamente e
che vuole la ripetizione della prima dopo l'esposizione di entrambe. Ad una elegante Bourrée,
succede poi una dinamica Gigue conclusione consacrata, ma non scontata nei contenuti, della
mirabile Suite.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Rosario Romeo amava ripetere ai suoi studenti che, a dispetto del senso comune, i "se" sono la
materia prima dello storico: le ipotesi sono infatti necessarie per ricostruire la genesi di un
avvenimento, per far emergere in controluce il profilo di un movimento, in qualche caso per
correggere l'immagine che la tradizione ci ha consegnato di un'epoca intera o di un singolo
uomo. Possiamo dunque chiederci che idea avremmo oggi di Bach se nel 1720, prima di
trasferirsi a Lipsia, egli avesse ottenuto l'incarico di direttore musicale della cappella di San
Giacomo ad Amburgo. E più concretamente quale visione avremmo della sua musica se le
abitudini poco formali dei gruppi musicali che eseguivano il repertorio profano non avessero
provocato la perdita di gran parte delle sue composizioni per orchestra, se dunque accanto alla
straordinaria mole delle opere sacre possedessimo una quantità equivalente dei suoi lavori
concepiti per l'intrattenimento e lo svago.

Quando non è possibile rimediare alle lacune della documentazione, le ipotesi ci soccorrono nel
rendere la figura di Bach più sfumata e problematica, meno rinchiusa nel guscio di una
devozione severa e più aperta al mondo, per così dire, tanto da rivelarsi disponibile anche al
confronto con le mode culturali del suo tempo. In questa prospettiva, anche le opere sacre di
Bach diventano una testimonianza importante e contribuiscono a mettere in questione i
pregiudizi riferiti alla sua presunta ortodossia: in continuazione si ritrovano nelle cantate moduli
che derivano dalle arie d'opera, dallo stile galante della musica francese, da un gusto
semplificato della melodia che testimonia l'influsso dell'arte italiana. Non deve perciò
sorprendere il fatto che la musica sacra di Bach sia stata spesso contestata dai contemporanei per
la sua spiccata teatralità, cioè per l'abuso di un sensualismo che agli esponenti più rigidi della
chiesa luterana appariva decisamente fuori luogo: la mescolanza di sacro e profano è il modo
con cui il compositore si teneva al passo con i nuovi linguaggi e alimentava una tensione sempre
latente nella sua musica. L'elemento generatore del conflitto è quello legato alla sfera mondana,
all'osservazione dei costumi e dei risvolti sociali presenti nella musica. Nessun dogmatismo,
nessuna aprioristica professione di fede riesce a rimuoverne l'efficacia e il peso: l'ipotesi più
attendibile, dunque, è che al di là di quanto avviene nelle opere sacre, un elemento così
importante debba trovare espressione in un altro settore dell'opera di Bach, che esso rappresenti
un momento di ispirazione più leggera che si contrappone alla vena speculativa della sua
produzione più conosciuta.

Quando ci avviciniamo alle opere per orchestra in nostro possesso, dobbiamo dunque essere
consapevoli del fatto che non sono pagine isolate, singole creazioni trattate dal compositore con
un certo disinteresse, che non si tratta di un'opera minore da affiancare a quella maggiore
rappresentata dalla musica sacra o di ricerca, che dunque le proporzioni attuali del catalogo
bachiano non riflettono in modo compiuto la sua produzione né dal punto di vista della quantità,
né da quello degli interessi coltivati dall'autore durante la sua vita. Sappiamo ad esempio che a
Lipsia, dove il suo ufficio principale era quello di Kantor della scuola di San Tommaso, Bach
diresse dal 1729 al 1740 uno dei più importanti Collegia Musica della Germania, ovvero uno di
quei complessi ai quali era di fatto delegata l'esecuzione di musica orchestrale al di fuori delle
chiese e delle corti. Formati per lo più da studenti e da borghesi di ottima preparazione musicale,
i Collegia Musica collaboravano all'epoca con i maggiori compositori in circolazione proprio per
la qualità delle esecuzioni e per la libertà creativa che garantivano loro: prima di Bach, il
Collegium Musicum di Lipsia era stato diretto da Telemann, il quale in seguito avrebbe fondato
altri complessi dello stesso tipo ad Amburgo, portandoli a livelli considerati a quel tempo
straordinari. Sembra inoltre che per tutto il decennio in cui ne curò la direzione, il lavoro con il
Collegium Musicum abbia assorbito Bach ben più dell'impegno alla cantoria di San Tommaso.
Delle opere preparate per questo ramo della sua attività ci è rimasto pochissimo, al punto che per
conoscere meglio l'opera per orchestra di Bach bisogna risalire a un'epoca precedente, al periodo
in cui Bach era alle dipendenze del principe Leopold di Anhalt-Köthen. Qui, fra il 1717 e il
1723, videro la luce le sue composizioni che oggi conosciamo e si perfezionò soprattutto uno
stile molto personale e riconoscibile. Ai tempi di Köthen risale per esempio la confezione dei sei
Concerti brandeburghesi, nei quali Bach riunì pagine composte in realtà anche in anni
precedenti, in modo da organizzare la raccolta come una vera e propria silloge dello stile
concertistico proprio e di quello dell'età barocca. Ma ai tempi di Köthen sono da riportare anche
le quattro Ouvertures BWV 1066-1069 e la maggior parte dei concerti solistici che ci sono
pervenuti, compreso il Concerto per violino e oboe 1060a.

Le Ouvertures devono il loro nome alla pagina che le introduce, ma la loro struttura è quella
tipica delle suites: una libera successione di movimenti ispirati a ritmi di danza e articolati
secondo un criterio che proviene direttamente dall'uso francese. Bach tuttavia non rispetta lo
schema delle suites che si era consolidato nel corso del Seicento, basato sulla presenza di almeno
quattro danze fondamentali: allemanda, corrente, sarabanda e giga. Egli omette regolarmente
l'allemanda e lascia alle altre solo sporadiche apparizioni, tanto che l'unica danza fondamentale
che troveremo nelle due Ouvertures in programma questa sera è la corrente, presente oltretutto
solo nel primo brano, l'Ouverture in do maggiore BWV 1066. L'influsso dello stile francese,
evidente fin nella scelta delle singole danze e nella loro denominazione, si riflette soprattutto nel
tono solenne del movimento introduttivo, concepito secondo il tipo di espressività che ai tempi
di Bach si definiva "sublime", e nel particolare taglio della scrittura ritmica. Abbondano gli
elementi irregolari, le note puntate, le sincopi, le accelerazioni improvvise e i rallentamenti che
all'interno delle singole battute producono una suddivisione del tempo in molti casi diversa da
quella indicata all'inizio della partitura. Sono formule che derivano dal bagaglio linguistico della
musica francese, in particolare da quella sfarzosa che Lully aveva portato a livelli di eccezionale
perfezione ed efficacia, e che agli inizi del Settecento aveva attecchito anche nelle corti tedesche,
compresa la piccola Köthen, venendo incontro a quel diffuso bisogno di autorappresentazione
che la limitazione localistica dei poteri rendeva particolarmente urgente. Bach finì tuttavia per
rigenerare gli aspetti più smaccatamente decorativi di quel linguaggio grazie all'introduzione di
elementi personalissimi che ne mutarono profondamente il senso. Anche in opere disimpegnate
come le Ouvertures, dunque, non manca il contrappunto, inserito da Bach per lo più nei
movimenti estremi della composizione: in questi passaggi è come se lo spettacolo virtuosistico
della danza si fermasse e lasciasse spazio a un gioco di pura intelligenza. Fuori dal contesto
sacro, in altre parole, Bach usa il contrappunto come una forma di esercizio intellettuale che per
la ragione illuministica ha lo stesso valore esemplificativo che hanno avuto gli scacchi per la
logica del Novecento. La fuga introduce un principio di chiarezza, aggiunge certezza laddove
tutto sembra invece affidato all'arbitrio dell'eleganza: ritmi e durate, rapporti armonici e melodie,
queste ultime sempre piene di salti e di volute. Il barocco dei Concerti brandeburghesi aveva un
accento sentimentale la cui derivazione alludeva di frequente all'Italia, al suo mondo di
strumentisti virtuosi e di imprevedibili orchestratori. Nelle Ouvertures il barocco si mescola
invece a un tono illuministico al tempo stesso ironico e condizionante. Bach vi celebra un
duplice cerimoniale: da un lato quello delle corti, visibile nel francesismo delle danze; dall'altro
quello delle accademie dei savants, con gli episodi fugati che rendono omaggio alla "scienza"
come al vero sovrano assoluto dell'epoca moderna. C'è appena bisogno di ricordare il fatto che
negli ultimi anni della sua vita Bach collaborò attivamente a una di queste accademie, quella
fondata a Lipsia da un suo antico allievo, Lorenz Christoph Mizler, per concludere che oltre ad
interessarsi degli aspetti speculativi della musica, Bach abbia saputo cogliere i riflessi sociali
della nuova organizzazione del sapere, riproducendone con molta finezza nelle Ouvertures le
gerarchie, gli atteggiamenti mondani e gli inediti cerimoniali.

L'Ouverture in re maggiore per tre trombe, due oboi, timpani e archi BWV 1068 conta un
numero di danze particolarmente esiguo: sei numeri in tutto, e con la sola Gavotte ad essere
accoppiata con il suo alternativo. L'effetto maggiore viene in questo caso dalla ricchezza e dalla
varietà della strumentazione: l'intervento delle trombe e dei timpani conferisce un aspetto
particolarmente solenne al movimento introduttivo, anche se l'energico episodio fugato che lo
scuote improvvisamente serve una volta di più a equilibrare il tessuto musicale con le risorse
dell'ironia e dell'intelligenza. Per tutta la composizione, però, l'alternarsi di piani sonori
nettamente differenziati diventa il fulcro stilistico intorno a cui ruota la scrittura di Bach e la sua
costante ricerca dell'effetto. Particolarmente suggestivo è quello che ottiene con l'Air, una lenta
figura di danza basata su una melodia ampia, fortemente espressiva, nella quale con un tocco
geniale Bach apre gli orizzonti poetici del patetico e del sentimentale.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nella versione celebrativa approntata per Lipsia, l'Ouverture n. 3 in re maggiore BWV 1068
esibisce sin dall'attacco tripudi festivi da trionfo barocco. Il primo movimento della pagina
introduttiva è caratterizzato dal tradizionale ritmo puntato, scandito solennemente dal clangore
delle trombe: il dilatato paesaggio sonoro di questa prima sezione si trasforma nel meccanismo
contrappuntistico della seconda (segnata vite) e aperta da quella figura ritmica anapestica
(caratterizzante, tra l'altro, il primo tempo dei Concerti brandeburghesi n. 2 e n. 3, ma anche, ad
esempio, il coro della Cantata BWV 103 «Ihr werdet weinen und heulen») che assume sovente
in Bach il connotato di simbolo festoso della gioia. L'Ouverture procede alternando episodi
riservati al nastro di semicrome degii archi soli ad altri più corposi in cui vengono aggregati i
fiati, fino alla consueta, simmetrica ripresa del movimento introduttivo. In seconda posizione è
incastonata una gemma del lirismo bachiano, il celeberrimo Air, di cui si apprezzerà la bellezza
della nuda strumentazione originaria per archi: soltanto una paginetta di partitura, che si rivela
però un distillato di fascino melodico, un gioiello di equilibrio fra tensione espressiva, fioritura
ornamentale e sottile ricamo contrappuntistico, sul quale si libra aereo il canto dei violino I. Le
danze sono aperte da una Gavotte a organico pieno (con efficacissimo contrasto rispetto all'Air
precedente): dalla gestualità marcata e quasi meccanica, è l'unica danza di questa serie a
presentare la tradizionale forma tripartita che combina due danze gemelle secondo lo schema l-
ll-l. Oboi e archi conducono anche la successiva, ben più dinamica Bourrée, alla quale le trombe
conferiscono una mera doratura esornativa. La festa si chiude al passo di Gigue abilmente
strumentata per organico pieno.

Raffaele Mellace

BWV 1069 - Suite per orchestra n. 4 in Re maggiore

https://www.youtube.com/watchv=uTUEvfdHyL0

https://www.youtube.com/watchv=sp-caN9DlJQ

Ouverture
Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 110
Bourrée I
Bourrée II (si minore)
Gavotte
Menuet I
Menuet II
Réjouissance

Organico: 3 trombe, timpani, 3 oboi, fagotto, 2 violini, viola, continuo


Composizione: 1725
Edizione: Sieber, Parigi, 1816 circa

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Delle quattro Suites per orchestra, le prime due (in do e in si minore) furono composte a Köthen,
le altre (in re) a Lipsia fra il 1729 e il 1736. La denominatone bachiana di Ouvertures deriva dal
fatto che il pezzo di apertura assume nelle intenzioni del musicista una importanza assai
maggiore di quella dei pezzi di danza successivi. L'ouverture della Suite IV non ha nulla da
invidiare, infatti, agli stessi Concerti brandeburghesi sia per la vastità di concezione
architettonica, sia per l'invenzione timbrica, che qui scaturisce oltretutto da uno stuolo di
strumenti a fiato superiore alle altre Suites (l'organico è di 3 trombe, timpani, 3 oboi, fagotto,
violini, viola, violoncello, contrabbasso e continuo, cioè clavicembalo). L'ouverture incornicia
un lungo Vivace tra un Grave iniziale e una sua ripresa finale.
E' interessante ricordare che tale ouverture passò nella Cantata n. 110, «Unser Mund sei voll
Lachens»: cioè alla stesura orchestrale così come l'ascoltiamo, Bach aggiunse un coro a quattro
voci. Si resta confusi, scrive lo Schweitzer, al cospetto di un simile tour de force, che mostra con
quale sovrana disinvoltura Bach inventasse e superasse le difficoltà. Considerando che la cantata
e l'ouverture sono stati con ogni probabilità concepiti simultaneamente, lo Schweitzer non esita a
riconoscere nel Grave e nel Vivace temi «destinati a imitare il riso».

Nelle danze che succedono all'ouverture si può notare, tra l'altro, la varia gamma timbrica entro
cui suona la loro grazia stilizzata: impasto di oboi e archi prevale nella Bourrée I, di oboi e
fagotto nella Bourrée II. La Gavotta registra un intervento assai limitato ma determinante delle
trombe; le quali invece tacciono sia nel Minuetto I, riservato a oboi, fagotto, archi, sia nel
Minuetto II che si raccoglie esclusivamente attorno ad archi (e cembalo). Schieramento
completo e frizzante, infine, nella Réjouissance.

Giorgio Graziosi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Di Bach sono conosciute soltanto quattro Ouvertures o Suites per orchestra (è in dubbio
l'autenticità di una quinta), un numero piuttosto esiguo se si pensa alla larga diffusione di questa
forma musicale nella tradizione barocca. Ma va tenuto presente che Bach utilizzò questa
struttura compositiva nelle Suites francesi e inglesi e nelle Partite per cembalo, per violino, per
violoncello e per liuto. È incerta anche la data di nascita delle Ouvertures o Suites per orchestra.
Secondo Friedrich Blume esse sarebbero state composte nel periodo di Köthen, negli anni
compresi tra il 1717 e il 1723, mentre secondo Wolfgang Schraieder le prime due sarebbero state
scritte a Köthen intorno al 1721 e le ultime due a Lipsia tra il 1727 e il 1736 per il Collegium
Musicum dell'Università. In realtà non si hanno notizie sicure per fissare sotto il profilo
cronologico le date di queste composizioni, anche se non è azzardato supporre che le Suites n. 3
e n. 4, date le loro affinità strutturali, potrebbero essere state scritte in stretta successione
temporale.

Non esiste una norma precisa che regola in modo uniforme il procedimento delle Suites, in
quanto la successione dei brani è liberamente sollecitata da esigenze formali dettate di volta in
volta da spontanee disposizioni di gusto. I caratteri comuni alle quattro composizioni si possono
indicare nel fatto che ognuna di esse si apre con una Ouverture in stile francese, in cui due
sezioni in tempo grave inquadrano un allegro in forma di fuga e che tutti i movimenti sono scritti
nella stessa tonalità. Ogni Suite ha una propria caratteristica strumentale: la prima è concepita
per due oboi, fagotto, archi e cembalo; la seconda si avvale del flauto solo, degli archi e del
cembalo; la terza è per due oboi, tre trombe, timpani, archi e cembalo; la quarta è per tre oboi,
tre trombe, timpani, archi e cembalo.

A provocare la fioritura in terra tedesca delle Ouvertures - sostiene Alberto Basso nel suo
prezioso e monumentale libro sulla vita e le opere di Bach intitolato "Frau Musika" - era stata
l'immissione massiccia delle maniere francesi in tutta la cultura germanica: ogni corte, grande o
piccola che fosse, voleva dimostrare in qualche modo di volersi rispecchiare nel fastoso modello
francese di Versailles. Ai musicisti tedeschi e a quelli che le corti tedesche avevano chiamato
dalla Francia era fatto obbligo, come un onere professionale, di adeguarsi ai modelli strumentali
che erano stati forniti da Lully; lo imponeva la moda, e lo spirito della danza, che di quella moda
era il riflesso più immediato e spontaneo, era divenuto un punto obbligato del discorso musicale,
tanto da "contaminare" anche l'incipiente forma del concerto e indurre poi Bach a creare con il
primo dei Concerti brandeburghesi una "ingegnosa mescolanza", uno "stile mischiato", come
avrebbe potuto dire Georg Muffat, che del goût francese era stato profondo conoscitore; le
giubilanti manifestazioni della suite francese e la galanteria in essa più che latente avevano
affascinato ogni tedesco e non è certo contro voglia che Bach affrontò l'argomento e lo sviluppò
sino al punto di elevarsi al di sopra di ogni esempio passato, presente e futuro.

Dimenticate dopo la morte del loro autore, le Ouvertures furono risuscitate alla vita per iniziativa
di Mendelssohn, che diresse la terza Ouverture al Gewandhaus di Lipsia il 15 febbraio 1838, e di
Siegfried Wilhelm Dehn, il quale pubblicò le prime tre presso l'editore Peters di Lipsia nel
1853-'54. La quarta Ouverture fu pubblicata più tardi, sempre da Peters, nel 1881 e per merito di
Ferdinand August Roitzsch. Le Ouvertures ubbidiscono ad uno stile pomposo e solenne e di
gusto decorativo, temperato però da episodi concertanti, realizzati da Bach con organici diversi.
Sembra che Bach abbia scritto tre versioni della Ouverture in re maggiore BWV1069. La prima
versione è scomparsa; della seconda è stato utilizzato il primo pezzo introduttivo nella Cantata
BWV 110 "Unser Mund sei voll Lachens" (La nostra bocca sia colma di sorriso); la terza è
quella abitualmente eseguita e conclusa da un movimento chiamato Réjouissance perché è un
pezzo gaio e brillante, a volte usato in composizioni del genere, così come sostiene Johann
Gottfried Walther nel suo "Musicalisches Lexicon" apparso nel 1732. In questa Ouverture i
movimenti estremi in tempo grave si snodano su ritmi puntati alla francese, in contrapposizione
ai tempi allegri, gioiosi e vivaci, intercalati a sezioni fugate, miranti a caratterizzare il discorso in
maniera più varia e piacevole. Il tutto si snoda secondo un intelligente gioco musicale in cui ogni
tassello è incastonato perfettamente nel pregevole mosaico, comprendente la sanguigna
popolarità tedesca, la raffinata eleganza francese e la chiarezza vocalistica italiana.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

L'Ouverture n. 4 BWV 1069 - forse la più antica nella versione originaria, ma rielaborata a
Lipsia attorno al 1725 - presenta tonalità e organico della n. 3, ovvero le veste celebrativa
completa di trombe e timpani. Aperta con la consueta magnificenza sonora del movimento lento,
dal puro splendore fonico dell'organico pieno, l'Ouverture prosegue cor una vasta e gioiosa
pagina concertante fondata sul ritmo di terzina, da carattere di giga e dall'orchestrazione assai
varia e sofisticata. Lo slancio caratteristico della Bourrée I viene attenuato dalla sonorità
dominante dei legni nella Bourrée II, peraltro elettrizzata dalie nervose figurazioni di violini e
viole all'unisono. Una breve Gavotta, priva di danza gemella e dalla contenuta espressività
cortigiana, conduce ai deliziosi Menuet I e II, sorprendentemente omogenei nel tono, pervaso da
un aggraziato lirismo. Un brusco risveglio è assicurato dalla perentorietà della Réjouissance,
aperta dalla fanfara di trombe e timpani, riapparsa a asseverare con il loro piglio volitivo la
grinta benevola di un finale scoppiettante.

Raffaele Mellace

Altre
BWV 1070 - Suite per orchestra in Sol minore (spuria, di Wilhelm Friedemann Bach)

https://www.youtube.com/watchv=WImEQy93aNI

https://www.youtube.com/watchv=4LGPklehx84

Larghetto ... Un poco Allegro


Torneo
Aria. Adagio (mi bemolle maggiore)
Menuetto alternativo
Trio (sol maggiore)
Capriccio

Organico: 2 violini, viola, clavicembalo


Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1895

Guida all'ascolto (nota 1)

L'odierna filologia bachiana esclude categoricamente che la Suite in sol minore,


tradizionalmente annoverata come «quinta» tra quelle di sicura paternità e contrassegnata col
numero di catalogo BWV 1070, sia opera del Cantor di Lipsia. Varie sono le ipotesi di
attribuzione, proposte dagli studiosi, ma la più probabile è quella che ne indicherebbe come
autore un altro Bach, Wilhelm Friedmann, il figlio maggiore di Johann Sebastian, nonché pecora
nera della famiglia. E' accertato che speculò sul nome del padre, vuoi spacciando come proprie
composizioni inedite di lui, vuoi fregiando di un nome illustre (e Bach fu sempre tale, almeno
nella stima dell'elite musicale del tempo) le partiture proprie. Questo sarebbe proprio il caso
delia Suite in sol minore anche se si tratta pur sempre di opera pregevolissima, degna, del resto,
di quel musicista di grande talento che era Wilhelm Friedmann, non a caso prediletto dai padre.
La vecchia Suite barocca di matrice francese vi celebra i suoi ultimi fasti in un linguaggio ormai
profondamente segnato dalla crisi galante esplosa in Europa verso la metà del secolo.

L'innervatura polifonica che ancora sussiste nell'Ouverture e nel «Capriccio» conclusivo è


struttura di puro apparato, e dissimula la sostanziale concezione verticale di un discorso che
procede mediante convenzionali progressioni armoniche e un'invenzione melodica la cui
flessuosa morbidezza, già aperta alla sensiblerie, spalanca un abisso tra sé e il nerboruto
tematismo di Johann Sebastian, così carico d'intensa potenzialità costruttiva. Anche il colore
neutro della partitura, che esclude, per i soli archi, lo smagliante cromatismo e gli elementi
concertanti delle altre quattro suites sicuramente bachiane, è tratto non ultimo che induce ad
espungere ia composizione dal catalogo di Bach, ma insieme a caratterizzarla con un volto suo
proprio.

Giovanni Carli Ballola

BWV 1071 - Sinfonia in Fa maggiore (ora conosciuta come BWV 1046a)


https://www.youtube.com/watchv=iHeyhXlsu6M

Composizioni contrappuntistiche
Canoni

https://www.youtube.com/watchv=8Qt1ZPVYMsI

https://www.youtube.com/watchv=7TKCszbpLK8

Introduzione

"Johann Sebastian Bach" da Roland de Candé (L'arte della Fuga Edizioni Studio Tesi, 1990).

[Il principio del canone svolge un ruolo determinante nell'opera di Bach fin dal periodo di
Weimar. Diventa addirittura il centro dei suoi interessi e preoccupazioni nell'ultima parte della
sua vita, periodo di riflessione in cui compone soprattutto per se stesso e per noi, svincolandosi
dalle costrizioni esteriori. I motivi di questa predilezione sono forse teorici Filosofici [...] O sono
invece una ricerca dell'assoluto al riparo dalle seduzioni della moda e dalle tentazioni
dell'immaginazione Può darsi che si tratti di tutti questi motivi insieme].

I Canoni BWV 1072-1078, 1086, 1087 sono particolarmente enigmatici -- un mistero della
creazione musicale - le cui caratteristiche compositive è negli ordini: un procedimento
polifonico, dal motivo melodico esposto (voce), dalla imitazione della stessa, al moto contrario o
rovesciato o retrogrado o capovolto (speculare), ecc. Dall'insieme dell'incastro delle stessa voce
scaturisce una musicalità diversa e complessa: un moto che si avverte senza un principio e una
fine e dà luogo a un ripetersi delle voci rispecchiandosi all'infinito...

Le immagini percorrono questa strada (in modo semplice): una porzione, un dettaglio, ripetuto,
accostato, rovesciato; rispecchiandosi fra loro danno origine ad un altro moto ciclico e, se
immaginiamo la porzione visibile moltiplicandola all'infinito...

"Tempo ciclico (da: "Atlante illustrato di filosofia" a cura di Ubaldo Nicola -- Ed. Giunti, 2005)

[Nelle culture arcaiche e nel mondo greco era predominante una concezione ciclica del tempo.
Fu probabilmente l'osservazione della regolarità temporale dei moti degli astri e della costanza
dei ritmi biologici a conferire, per estensione, un'analoga struttura ciclica al tempo nel suo
complesso. Come le stagioni si ripresentano sempre uguali, nulla accade che non sia già
accaduto altre volte; il futuro perpetua il passato e non vi è evento che non debba ritornare: tutto
si riproduce in modo uniforme e periodico"].

Maurits Cornelis Escher, scrive (da "Passi verso l'infinito" - il mondo di Escher, Garzanti 1978):

[Profondo, profondo infinito! Sognare lontano dalle tensioni della vita quotidiana; navigare su
un mare tranquillo alla prua di una nave verso un orizzonte che sempre si allontana, osservare le
onde che si inseguono e ascoltare il loro monotono sciabordio; sognare lontano, nell'inconscio...]
[ Nessuno può tracciare una linea di separazione; ogni linea divide una singolarità in pluralità.
Ogni contorno chiuso, quale che sia la sua forma, un cerchio perfetto o una forma irregolare
scelta a caso, implica inoltre nozioni di interno e esterno, e suggerisce concetti di «vicini» e
«lontano», di «oggetto» e di «sfondo»]

BWV 1072 - Canone trias harmonica

https://www.youtube.com/watchv=AE3SW3wwP0s

BWV 1073 - Canone a 4 perpetuus

https://www.youtube.com/watchv=yeem_qKwP3s

BWV 1074 - Canone a 4

https://www.youtube.com/watchv=_xVLxyfEOao

BWV 1075 - Canone a 2 perpetuus

https://www.youtube.com/watchv=taEAXZ-iOwQ

BWV 1076 - Canone triplex a 6

https://www.youtube.com/watchv=pN7EuiE7SgI

BWV 1077 - Canone doppio sopr'il soggetto

https://www.youtube.com/watchv=lSjBipfY_Mw

BWV 1078 - Canone super fa mi a 7 post tempus musicum

https://www.youtube.com/watchv=-JrvRy25Kz0

Lavori contrappuntistici della maturità

BWV 1079 - Offerta musicale

https://www.youtube.com/watchv=23yNGer9Wqs+

https://www.youtube.com/watchv=rN2p3NgqWos

https://www.youtube.com/watchv=lS9Yo9WrAl4

https://www.youtube.com/watchv=nGtuSnG45LA
Regis lussu cantio et reliqua Canonica arte resoluta:

Ricercar a 3
Ricercar a 6
Sonata a traversa, violino e continuo
Largo
Allegro
Andante
Allegro

Thematis Regii elaborationes canonicae:

Canon 1 (a 2 cancrizans)
Canon 2 (a 2 violini in unisono)
Canon 3 (a 2 per motum contrarium)
Canon 4 (a 2 per augmentationem, contrario motu)
Canon 5 (a 2 per tonos)
Fuga canonica in epidiapente
Canon perpetuus super thema Regium
Canon perpetuus

Quaerendo invenietis:

Canon a 2
Canon a 4

Organico: non specificato ma include flauto, clavicembalo, 2 violini


Composizione: 1747
Edizione: J. G. Schübler, Zella, 1747
Dedica: il 7 luglio 1747 a Federico II di Prussia

Guida all'ascolto (nota 1)

Il 7 e l'8 maggio 1747 Bach soggiornò nel palazzo di Federico II, detto il Grande, a Potsdam,
dove il suo secondogenito, Carl Philipp Emanuel ricopriva il posto di Kammer-Cembalist
(clavicembalista ufficiale) alla corte del re di Prussia. Con l'occasione il compositore, come
scrive Johann Nikolaus Forkel, autore della prima biografia su Bach (1802), fu invitato ad una
serata musicale dal re, che gli propose un tema da sviluppare, su cui Bach improvvisò una fuga a
tre voci. Successivamente il musicista elaborò una fuga a sei voci su un tema proprio, suscitando
l'ammirazione del re, flautista di provate capacità esecutive. Ritornato a Lipsia Bach riprese in
mano lo stesso tema reale per rielaborarlo in diverse forme e scrivere quel ciclo tripartito di
canoni e fughe, più una sonata per flauto e violino, dedicato appunto a Federico il Grande in
quanto composto sul Thema Regium e conosciuto con il titolo Das musikalische Opfer (Offerta
musicale) BWV 1079. Il primo esemplare di questa raccolta fu pubblicato il 1 luglio 1747 e
comprendeva il Ricercare a 3, il Canon perpetuus super Thema Regium, i cinque Canones
diversi e la Fuga canonica. Gli altri pezzi, tra cui la Sonata per flauto, violino e basso continuo e
il Ricercare a 6 apparvero più tardi e furono stampati in due fascicoli dallo stesso editore Georg
Schübler.

Si è molto discusso sulla esatta disposizione dei vari brani che compongono l'Offerta musicale,
specialmente per la parte che riguarda la distribuzione strumentale, in quanto la prima edizione
formulata da Bach ha subito successivamente delle modifiche. Si ha motivo di ritenere però che
l'ordine dei pezzi, preceduto dall'acrostico «Regis lussu Cantio et Reliqua Canonica Arte
Resoluta», cioè «Per ordine del re canto dato con il seguito sviluppato secondo la tecnica del
canone», le cui prime lettere in latino significano Ricercar, un termine indicativo della ricerca
delle diverse combinazioni polifoniche da realizzare, sia il seguente: Ricercare a 3 per cembalo,
Canones diversi super Thema Regium, comprendenti canoni a rovescio (cancrizans), all'unisono,
per moto contrario, per aumento contrario e per toni, Fuga canonica in Epidiapente, cioè una
fuga a tre voci sulla distanza di una quinta, altri quattro canoni, una Sonata a tre per flauto,
violino e continuo in quattro movimenti (Largo-Allegro-Andante-Allegro) e un Ricercare a 6 per
cembalo, posto a conclusione di un'opera di notevole valore teorico-didattico, così come L'arte
della fuga in re minore composta nel 1749-'50 e ritenuta la continuazione, non solo ideale,
dell'Offerta musicale.

Il magistrale lavoro bachiano si apre con un Ricercare a tre voci per cembalo, che è una fuga
strumentale sulla falsariga dello stile vocale, dal carattere nobilmente severo e costruito con
quell'equilibrio architettonico tipico dell'intelligenza compositiva del musicista. Nei cinque
Canones super Thema Regium il compositore dispiega tutta la sua portentosa abilità nel variare,
contrappuntature, modulare, rovesciare i vari temi, in un gioco di figurazioni ritmiche anche
ardite e complesse, che non perdono di vista il nucleo originario. Nell'edizione dell'Offerta
musicale destinata a Federico il Grande ci sono alcune annotazioni significative scritte di pugno
dallo stesso compositore. Sul canone «per augmentationem» Bach ha annotato questa frase:
«Notulis crescentibus crescat fortuna regis» (Possa la fortuna del re crescere insieme con il
valore di queste note) e allo stesso modo in testa al Canon a 2 per tonos sta scritto:
«Ascendenteque modulatione ascendat gloria regis» (Possa la gloria del re salire come sale la
modulazione). Certamente c'è una visione tecnicistica nella elaborazione di questi canoni,
secondo una consuetudine che risale al tardo Medioevo, ma non si può negare a Bach, oltre ad
una straordinaria capacità contrappuntistica, una netta e chiara volontà a nobilitare in una visione
artistica unitaria un materiale così variegato nei suoi principii tecnici. Non meno intricati come
teoremi geometrici, ma sempre illuminati da una lucida razionalità, si presentano la Fuga
canonica, il Canon perpetuus super Thema Regium e il successivo Canon perpetuus, detto anche
Canon inflnitus, perché le voci ritornano al punto in cui sono partite per ricominciare.all'infinito
il proprio gioco. Ad un certo punto Bach è così preso dagli enigmi contrappuntistici e tecnici dei
canoni a 2 e a 4 da incitare quasi se stesso e gli esecutori con un «Quaerendo invenietis»
(Cercate e troverete).

Nel momento di maggiore tensione espressiva si colloca la Sonata a tre per flauto, violino e
basso continuo, in cui il più volte citato tema regio viene esposto estesamente con ricchezza di
accenti e di idee melodiche, con lo scopo di valorizzare ed esaltare principalmente il flauto, lo
strumento reale per eccellenza. Si tratta di una sonata da chiesa in quattro movimenti,
contrassegnata da una musicalità pensosa di stile cameristico, in cui il contrappunto e la fuga
sono gli aspetti caratterizzanti e salienti del discorso sonoro. La composizione si conclude con il
Ricercare a sei voci per cembalo, una tra le più elaborate fughe scritte da Bach: la chiarezza
formale e la levigata soavità del suono ne fanno uno dei momenti più alti della musica
polifonica, come sostiene Karl Geiringer nel suo pregevole libro sulla dinastia della famiglia
Bach. In sostanza, l'Offerta musicale - è sempre il pensiero di Geiringer - appare l'opera di un
maestro intento a trarre le conclusioni non soltanto dell'esperienze della sua vita, ma, ben oltre,
quella di un'intera età. In una forma compatta e monumentale l'Offerta presenta l'ultimo
compendio del pensiero musicale di tre secoli.

BWV 1080 - L'arte della fuga (incompiuta)

https://www.youtube.com/watch?v=XXQY2dS1Srk

https://www.youtube.com/watch?v=Lrb0dHKJBR4

https://www.youtube.com/watch?v=GnXHnEz94os

https://www.youtube.com/watch?v=6_FfjD6nrG0

https://www.youtube.com/watch?v=s5FPC3nSn1E

https://www.youtube.com/watch?v=IijtdN1iL-Q

Quattro fughe semplici:

Contrapunctus n. 1
Contrapunctus n. 2
Contrapunctus n. 3
Contrapunctus n. 4

Tre fughe di stretti con inversione:

Contrapunctus n. 5
Contrapunctus n. 6 a 4 in stile francese
Contrapunctus n. 7 a 4 per augmentationem et diminutionem

Fughe doppie e triple:

Contrapunctus n. 8 a 3
Contrapunctus n. 9 a 4 alla duodecima con doppio contrappunto alla dodicesima
Contrapunctus n. 10 a 4 alla decima con doppio contrappunto alla decima
Contrapunctus n. 11

Canoni:

Contrapunctus n. 12, Canone all'Ottava


Contrapunctus n. 13, Canone alla Duodecima in Contrappunto alla Quinta
Canon per augmentationem in contrario motu
Canon alla ottava

Fughe invertite:

Canon alla decima (contrapuncto alla terza)


Canon alla duodecima (contrapuncto alla quinta)
Fuga a 2 clavicembali (rectus); Alio modo Fuga a 2 clavicembali (inversus)
Fuga a 3 soggetti

Organico: non precisato, probabilmente per strumenti a tastiera


Composizione: 1745 - 1750 circa
Edizione: H. Schubler, Lipsia, 1751 circa

Incompiuta

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le ultime composizioni scritte da Bach furono Das musikalische Opfer (L'Offerta musicale)
BWV 1079 e Die Kunst der Fuge (L'arte della fuga) BWV 1080; quest'ultima opera colossale
(un'ora e quaranta di musica nell'edizione integrale) è rimasta incompiuta. L'Offerta musicale,
dedicata a Federico II di Prussia, è del 1747 e racchiude un ventaglio straordinario di canoni
nelle forme più diverse (canone tematico, contrappuntistico, retrogrado, per aumentazione, a
specchio, circolare, enigmatico) nell'ambito di una concezione artistica di alto magistero tecnico.
L'arte della fuga fu composta tra il 1749 e il 1750 su un unico tema e comprende, per la parte
ritenuta autentica, quindici fughe e quattro canoni, tutti segnati con l'indicazione originale di
contrappunti, e costituenti un culmine di virtuosismo polifonico, forse concepito non tanto per
l'esecuzione quanto per lo studio approfondito e dettagliato della forma musicale. Sin da quando
è esplosa la Bach-Renaissance nel secolo scorso musicologi ed esecutori hanno cercato di capire
e interpretare ognuno a suo modo questo lavoro al quale Bach non ha potuto dare un assetto
definitivo per la cecità che lo aveva colpito. Per questa ragione L'arte della fuga è stata
sottoposta a varie rielaborazioni, sia per orchestra da camera, con o senza fiati, sia per quartetto
d'archi, oppure per due pianoforti, per organo, o ancora per uno, due o tre clavicembali, allo
scopo di offrire una chiave di lettura diversa, ma ugualmente significativa ai fini della
caratterizzazione di un tipo di musica in cui dottrina e arte confluiscono in una visione
trascendentale della vita.

Per l'esecuzione di questa sera, Samuel Rhodes, viola del Quartetto Juilliard, ha scritto le note
illustrative che seguono.

***

Johann Sebastian Bach - la sola menzione del suo nome è già sufficiente ad ispirare timore
reverenziale in tutti noi che siamo in qualche modo coinvolti nella musica, sia come creatori, sia
come esecutori, amatori o ascoltatori colti. La lista dei suoi successi è così imponente da fare di
lui indiscutibilmente uno dei più grandi geni che il genere umano abbia prodotto in tutti i campi.
Si potrebbe provare che il più significativo di questi successi è il fatto che il lavoro di tutta la sua
vita rappresenta la "summa" e il trionfo del contrappunto - l'arte di combinare due o più linee
melodiche - che si è accresciuta e sviluppata nella musica dell'Europa occidentale durante tutto il
Rinascimento e il periodo barocco. Lo scopo consapevole di Bach nell'arte della fuga, che fu
scritta proprio alla fine della sua vita, fu di mettere per iscritto in modo organico il compendio
finale delle sue conoscenze nel campo della tecnica e dell'espressione del contrappunto della
fuga. Attingendo all'esperienza acquistata nel comporre il Clavicembalo ben temperato, la Messa
in si minore, la Passione secondo San Matteo, la Passione secondo San Giovanni, tutte le
Cantate, le opere per organo ed innumerevoli altri lavori, chi altri, più agguerrito di lui, avrebbe
potuto fare la stessa cosa

L'arte della fuga contiene tutti gli espedienti intellettuali possibili: fughe doppie e triple, stretti di
ogni genere, aumentazione e diminuzione, molti tipi di contrappunto invertibile, inversione
totale delle tessiture, tutti derivanti dal soggetto più semplice possibile che è esposto proprio
all'inizio dell'opera. Il vero miracolo di Bach è che questi aspetti intellettuali non sono vuoti
espedienti virtuosistici ma parti integranti, ognuna delle quali contribuisce ad un dramma che ha
in se stesso sufficiente ricchezza di esperienza emotiva per risuonare nelle profondità dell'anima
umana! Bach è ad un tempo il più intellettuale e il più emotivo compositore di tutti i tempi.

Poiché il solo criterio compositivo dell'arte della fuga è l'interazione di quattro voci in uno stesso
discorso, nessuno strumento o voce umana sono specificati per la sua esecuzione. Il lavoro è
scritto in partitura aperta per quattro voci astratte, Soprano (S), Contralto (A) [in tedesco Alto -
n.d.t.), Tenore (T) e Basso (B). Bach non voleva preoccuparsi di problemi esteriori pratici come
limitazioni strumentali o vocali di estensione o di tecnica, indicazioni di carattere che potessero
essere imposte da un testo, o compiacere il pubblico con brillantezza strumentale o speciali
effetti. L'esatta combinazione strumentale impiegata da una determinata esecuzione dipende dal
punto di vista degli esecutori e delle forze disponibili. Infatti, l'arte della fuga è stata trascritta
per quasi tutte le combinazioni possibili che vanno da un solo strumento a tastiera alla grande
orchestra e a vari tipi di complessi. Esaminiamo però i criteri che potrebbero regolare una
realizzazione "ideale":

le quattro voci debbono essere facilmente distinguibili una dall'altra e tuttavia avere la
possibilità di fondersi a volte in una tessitura omogenea.
ognuna delle voci deve essere fraseggiata individualmente nel modo più sensibile, e tuttavia
adattarsi alla sua parte nella tessitura delle quattro voci come in un tutto.
alle quattro voci deve esservi la possibilità di aggiungerne altre, fino a sei o sette, al fine di
fornire conclusioni più piene a parecchi dei contrappunti.
il complesso deve avere la gamma di espressione necessaria per dare la vita a un'opera della
più grande interiorità e profondità.

Tutto ciò che precede non è forse l'esatta definizione dello scopo per cui fu creato il quartetto
d'archi

Perché allora l'arte della fuga non è un pezzo corrente nel repertorio dei quartetti Vi è
probabilmente un certo numero di ragioni, fra le quali il fatto che il quartetto d'archi, come ora lo
conosciamo, in realtà incominciò ad esistere soltanto un po' più tardi nel XVIII secolo. Io credo,
tuttavia, che la ragione principale è puramente una ragione pratica, cioè che le parti del Contralto
e del Tenore parecchie volte nel corso dell'opera sono più basse dell'estensione del violino e
della viola. Le edizioni esistenti dell'arte della fuga per quartetto risolvono questo problema o
trasportando questi passaggi un'ottava sopra o trasferendo la voce di Contralto dal secondo
violino alla viola. È un peccato snaturare così un'opera la cui linfa vitale dipende dalla pura
progressione delle voci. È possibile risolvere il problema in un'altra maniera: adattando gli
strumenti a conformarsi al contrappunto bachiano piuttosto che adattare il contrappunto a
conformarsi agli strumenti. Nel caso della voce di Contralto ciò è facilmente risolvibile facendo
suonare la viola al secondo violino nei passaggi troppo bassi. Per ciò che concerne la voce di
Tenore abbiamo trovato un'interessantissima soluzione. Ho chiesto al maestro liutaio Marten
Cornelissen di costruire uno strumento abbastanza grande che possa estendere, la gamma
normale della viola di una quarta sotto. Cornelissen ha prodotto uno strumento che non solo è
concepito per funzionare meravigliosamente in questa maniera modificata ma anche quando è
accordato normalmente è una delle più belle viole che i miei colleghi ed io abbiamo mai
ascoltato! Per queste ragioni, ciò che ascoltate oggi non è un arrangiamento o una trascrizione,
ma semplicemente una fedele riproduzione di ogni nota scritta da Bach.

Vorrei ora fare una breve descrizione dell'arte della fuga per guidare l'ascoltatore ad apprezzare
meglio il totale effetto emozionale dell'insieme.

I Contrapuncti I-IV comprendono la prima grande sezione dell'opera. Questi sono fughe
introduttive dedicate alle esposizioni chiaramente separate del soggetto principale senza ancora
nessun tentativo di impiegare mezzi più sofisticati.

CONTRAPUNCTUS I - Il soggetto principale, il tema conduttore dell'arte della fuga, è espresso


dal Contralto (secondo violino) seguito dal Soprano (primo violino), Basso (violoncello) e
Tenore (viola).

CONTRAPUNCTUS II - Ordine di entrata: B, T, A, S. Un motivo ritmico puntato è usato come


conclusione del soggetto principale (MS) [abbreviazione dell'inglese "Main Subject" n.d.t.],
formando la base degli episodi.

CONTRAPUNCTUS III - Basato sull'MS invertito, significante che il disegno è rovesciato con
esattamente gli stessi intervalli. Ordine di entrata: T, A, S, B. Dopo l'esposizione, l'MS è alterato
in un modo che si dimostrerà molto importante in seguito: gli intervalli sono riempiti con un
ritmo puntato. Questa versione modificata viene udita prima contro tempo e poi in tempo. La
tessitura armonica è estremamente cromatica.

CONTRAPUNCTUS IV - Anch'esso sull'MS invertito (i). Ordine di entrata: S, A, T, B. Il


carattere è vivace e ritmico. Man mano che la fuga progredisce l'MS (i) è "teso" cosicché finisce
ad un tono più alto di quello iniziale dando una forte torsione alla tessitura armonica. Verso la
fine, l'MS (i) appare per la prima volta in strette imitazioni nella coppia di voci più basse seguita
immediatamente dalla coppia delle voci alte.

Contrapuncti V-VII: formano la seconda grande sezione dell'opera. Questi sono dedicati ad un
esauriente studio di:

Stretto: dall'italiano, significa serrato insieme. Entrate del soggetto che si sovrappongono.
Aumentazione: la presentazione del soggetto in una estensione di note due volte più lente del
normale.
Diminuzione: la presentazione del soggetto in una estensione di note due volte più veloci del
normale.

In tutti e tre i Contrapuncti l'MS è impiegato nella variazione presentata nel Contrapunctus III.
L'MS normale (n) e l'MS invertito (i) sono ugualmente usati.

CONTRAPUNCTUS V - Mette in evidenza lo stretto. Ordine di entrata: A (i), B (n), S (n), T (i).
Sebbene nella maggior parte della fuga solo due voci si sovrappongano in ogni momento, vi
sono due episodi in strettissima imitazione nei quali partecipano tutte e quattro le voci. Uno di
questi è basato sull'MS (i) e l'altro sull'MS (n). L'MS è accorciato in cinque battute in entrambi
gli episodi dando una torsione ritmica meravigliosamente irregolare alla musica. La frase
conclusiva mette in evidenza sia l'MS (n) sia l'MS (i) esposti simultaneamente poiché il numero
delle voci aumenta a sei, dirigendosi verso una cadenza di chiusura splendidamente piena.

CONTRAPUNCTUS VI, in stile francese - È nello stile dell'Ouverture francese, e ciò significa
che la caratteristica ritmica principale è un ritmo puntato, marcato, quasi scandito che
contribuisce a creare un carattere maestoso. Lo stretto e la diminuzione (d) sono combinati.
Ordine di entrata: B (n, n), S (i, d), A (n, d), T (i, d).

CONTRAPUNCTUS VII, per Augmentationem et Diminutionem - Vi sono tre categorie


ritmiche per l'MS in questa fuga, tutte procedenti contemporaneamente e sovrapponentisi in vari
modi. La più lenta di queste è l'aumentazione (a) che si ode una volta in ogni voce, poi viene la
normale, e poi la diminuzione. Inoltre la maggior parte del materiale riempitivo nel mezzo è
basato su una versione doppiamente diminuita (dd) dell'MS. Questo schema è illustrato nel
seguente diagramma che mostra le entrate iniziali e le durate approssimative dell'MS:
Diagramma Contrapunctus VII

Contrapuncti VIII-XI: nella sezione successiva sono introdotte fughe multiple. I Contrapuncti
VIII e XI sono fughe sugli stessi tre soggetti: l'XI impiega le forme invertite dei soggetti
dell'VIII. I Contrapuncti IX e X sono fughe su due soggetti. In ognuna di queste fughe multiple,
uno dei soggetti è basato sull'MS o su una delle sue alterazioni.

CONTRAPUNCTUS VIII - È per sole tre voci (S, T, e B), per la prima volta è stata spezzata la
tessitura a quattro voci. Il soggetto I è introdotto dapprima da solo, ordine di entrata: T, B, S. Il
soggetto II, una sequenza di note veloci, discendenti e ripetute, entra più tardi, ma è sempre udito
con il I, mai da solo. Il soggetto III è una nuova variazione dell'MS (i) in note di valore uguale
disseminate di pause. Soltanto nella sezione conclusiva tutti e tre i soggetti sono esposti insieme.

CONTRAPUNCTUS IX, alla Duodecima. Questa è una fuga doppia nella quale il soggetto I,
una veloce e vivace figurazione, inizia da sola (ordine di entrata: A, S, B, T.) prima di
combinarsi con il soggetto II, l'MS nella sua forma originale. I due sono combinabili cosicché
quando il II è al di sopra del I, la relazione di intervallo è l'ottava; quando il I è al di sopra del II,
la relazione è la duodecima.
CONTRAPUNCTUS X, alla Decima - È anche questa una fuga doppia. A causa del suo
cromatismo e della sua toccante ascesa (o discesa se in inversione), il soggetto I fa di questo
pezzo forse il più profondamente commovente dell'intera opera. Il soggetto II è l'MS (i) nella
forma presentata nel Contrapunctus III. I due soggetti sono combinati come segue: quando il I è
più alto del II, è esposto alla decima, quando è più basso, è all'ottava. Poiché tutti e due i soggetti
possono essere combinati con se stessi in terze o seste, nella sezione conclusiva della fuga si
presentano le situazioni descritte qui sotto:
S II SI S II S
A II A I A AI
T T TI TI
BI B II B I B II

CONTRAPUNCTUS XI - È una fuga tripla a quattro voci, e impiega i soggetti invertiti


dell'VIII. Il soggetto II non è invertito alla lettera, ma dà tuttavia l'impressione di procedere nella
direzione inversa dell'VIII. Inizia con il soggetto III (MS n) da solo, ma subito dopo tutti e tre i
soggetti sono combinati in ogni modo possibile. L'XI dà l'impressione di iniziare là dove l'VIII
aveva cessato e poi procede in territori molto al di là di ogni cosa udita prima. Infatti esso
costituisce un culmine stupendo che corona la prima parte del programma.

La seconda parte si apre con quattro canoni a due voci. Ognuno è basato su una variazione fiorita
separata dell'MS (n oppure i). Lo stile è simile alle invenzioni a due parti. In un canone, la
seconda voce che entra ripete esattamente (talvolta con minime modificazioni) ciò che ha fatto la
prima voce ad un dato rapporto di intervallo.

CANON ALL'OTTAVA - La voce più bassa segue la più alta esattamente alla distanza di
un'ottava dal principio alla fine.

CANON ALLA DECIMA - Contrappunto alla Terza significa che il canone procede all'ottava o
alla terza. Inizia con la voce più bassa che conduce e la più alta che segue a una decima (stessa
cosa della terza) più alta; a metà le voci si invertono e la più bassa segue la più alta all'ottava.

CANON ALLA DUODECIMA IN CONTRAPPUNTO ALLA QUINTA - Significa che il


canone procede sia all'ottava sia alla quinta. Inizia alla duodecima (la stessa cosa della quinta)
con la voce più bassa che conduce: a metà le voci si invertono di nuovo e la più bassa segue la
più alta all'ottava.

CANON PER AUGMENTATIONEM, CONTRARIO MOTU - In questo pezzo di virtuosismo


compositivo la voce più bassa risponde alla più alta con una estensione di note due volte più
lente, proponendo il disegno degli intervalli in direzione esattamente inversa (con minime
eccezioni); a metà le voci scambiano le loro posizioni.

Contrapuncti XIII e XII: sono ambedue pezzi totalmente invertibili. Bach li trascrisse con
l'inversus su righi di partitura al di sotto del rectus per facilitare il paragone. Noi eseguiamo
prima il XIII, giudicando che il suo carattere vivace e la tessitura a tre voci siano specialmente
adatti dopo i canoni, mentre il carattere triste e la tessitura a quattro voci costituiscano una
migliore transizione al monumentale Contrapunctus XIV.
CONTRAPUNCTUS XIII A 3, RECTUS ET INVERSUS - È una vivace invenzione a tre parti
che è basata su una variazione particolamente florida dell'MS. Inizia come una fuga con la
risposta in inversione, ma continua liberamente. L'inversus che è eseguito immediatamente dopo
il rectus, è costruito in modo che il suo S è l'inversione dell'A del rectus; il suo A è l'inversione
del B del rectus, e il suo B è l'inversione del S del rectus. Bach fece una trascrizione di questo
pezzo per due strumenti a tastiera, nella quale aggiunse una parte separata e indipendente sia per
il rectus sia per l'inversus.

CONTRAPUNCTUS XII A 4, RECTUS ET INVERSUS - Questa coppia di fughe, specialmente


l'inversus, hanno un timbro particolarmente scuro, intenso poiché sono favoriti i registri più bassi
degli strumenti. Essi usano l'MS, in triplo metro, dapprincipio totalmente disadorno, poi
abbellito riempiendo gli intervalli. L'ordine di entrata è dal basso verso l'alto nel rectus (B, T, A,
S) corrispondente all'alto verso il basso nell'inversus (S, A, T, B).

Siamo ora giunti all'enigma finale dell'arte della fuga. Il Contrapunctus XIV appare come una
fuga con tre soggetti, uno di essi è il nome BACH in notazione musicale (in tedesco, B = si
bemolle, e H = si naturale). È certamente una delle fughe più ampie e sviluppate composte da
Bach. Ognuno dei tre soggetti ha una esposizione completa a se stesso, il solenne soggetto I, il
fluente soggetto II, e sicuramente non vi è momento più misterioso in tutta la musica di quello in
cui è introdotto il nome BACH. Dopo 239 battute quando egli arrivò al punto in cui i tre temi si
combinano, il manoscritto si interrompe bruscamente e appare l'annotazione seguente,
apparentemente scritta da suo figlio, Carl Philipp Emanuel: «In questa fuga, dove il nome
B.A.C.H. è introdotto come controsoggetto, il compositore morì». Possiamo noi con ragionevole
sicurezza congetturare quale potesse essere stata l'intenzione di Bach Fortunatamente una
qualche evidenza ci è pervenuta. Il grande musicista britannico Donald Francis Tovey riporta nel
suo libro A Companion to the Art of Fugue una dichiarazione fatta da un certo Lorenz Mizler
(1711-1778), un critico amico della famiglia Bach. Mizler scrisse nel 1754: «La sua ultima
malattia gli impedì di completare secondo il suo piano la penultima fuga e di elaborare l'ultima,
che avrebbe dovuto contenere quattro temi ed essere invertita continuamente nota per nota in
tutte e quattro le parti». Fu inoltre scoperto dal musicologo tedesco Martin Gustav Nottebohm,
noto per la sua opera sui quaderni di appunti di Beethoven che era possibile che l'MS si
combinasse con i tre soggetti esistenti del Contrapunctus XIV. Fin qui l'MS è apparso, in una
delle sue forme, in ognuno dei Contrapuncti, salvo che nel XIV. Sembra logico supporre che
esso dovesse avere un ruolo anche qui. Se accettiamo ciò che dicono sia Mizler sia Nottebohm,
possiamo congetturare che il Contrapunctus XIV avrebbe dovuto essere una fuga non a tre ma a
quattro soggetti, essendo il soggetto IV costituito dall'MS che, nella sezione conclusiva si
sarebbe combinato con gli altri. Sarebbe seguito il gran finale: una fuga totalmente invertibile su
quattro soggetti. Potremmo azzardare un'ipotesi ben fondata secondo la quale due di questi
soggetti avrebbero potuto essere: la nostra vecchia conoscenza, cioè l'MS, e il nome BACH.
Sebbene alcuni compositori, fra i quali Busoni nella sua Fantasia contrappuntistica, siano stati
tanto arditi di tentare di terminare il Contrapunctus XIV, per quel che io ne sappia, soltanto uno,
Tovey, si è provato nella congetturata ultima fuga. Nell'esecuzione odierna noi, naturalmente, ci
arresteremo dove Bach si è arrestato, spezzando improvvisamente e misteriosamente il flusso
della musica.

Poiché non possiamo avere come finale la progettata fuga invertibile, forse potrebbe essere una
sostituzione l'estrema opera compiuta da Bach, un preludio corale basato sul corale Vor deinen
Thron tret ich hiermit. Si dice che Bach, a quel tempo completamente cieco, avesse dettato
questo pezzo dal suo letto di morte. Con le sue parafrasi imitative della melodia del corale nelle
tre voci più basse, sia nella forma normale che in quella invertita, intervallate con il corale
disadorno nella voce di Soprano esso irradia un sentimento di trionfo rassegnato, degno della
conclusione sia dell'arte della fuga sia della vita di un uomo come Johann Sebastian Bach.

Samuel Rhodes

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Opera avvolta dalla leggenda come poche altre nella storia della musica, L'arte della fuga (Die
Kunst der Fuge) corre il rischio di venire ridotta al suo carattere più evidente: la resurrezione
dell'antico contrappunto rigoroso da parte del genio bachiano, che vi scrisse il testamento di
un'intera esistenza creativa, tanto più suggestivo in quanto lasciato incompiuto (in termini
analoghi viene spesso recepito il Requiem, di Mozart). In realtà non sono poche le coordinate da
tracciare per avvicinarsi a una composizione tanto impegnativa, cominciando da quelle che
riguardano la biografia dello stesso Thomaskantor.

Benché non se ne conosca l'esatta cronologia, L'arte della fuga va riferita con ogni probabilità
agli ultimi tre lustri della vita di Bach, una fase della sua parabola artistica che lo vedeva sempre
più estraneo alle strutture cui era legato sin dal 1723: la Chiesa e la Scuola di San Tommaso,
l'Università e la Municipalità di Lipsia. I dissidi non erano mancati sin dall'inizio degli anni
Trenta, né a Bach era stato possibile trovare un impiego adeguato altrove. Il risultato fu allora
che l'attività del compositore, dopo quella eccezionale messe di opere per il servizio liturgico
ordinario risalente al decennio precedente (tra cui le Cantate - una per ogni domenica e per ogni
festa dell'anno - e le Passioni) conobbe una diversificazione e un impulso di ricerca verso
direttrici diverse. Nel cuore del Settecento, in un frangente di transizione epocale tra Barocco e
Classicismo, il maestro dell'integrazione fra stili di nazioni ed epoche differenti, dalla vocazione
enciclopedica quanto altri mai, mise in cantiere una serie di progetti ambiziosi e straordinari, che
portarono a capolavori come l'Oratorio di Natale e la grande Messa in si minore. In quegli anni
va collocato l'ingresso di Bach nella «Società per corrispondenza delle scienze musicali»
(Corrispondierende Societàt der musikalischen Wìssenschafìen), fondata nel 1738 dall'allievo
Lorenz Christoph Mizler con l'intento di promuovere un'attività di ricerca e scambio scientifico
tra i membri, necessariamente di comprovata competenza matematica e filosofica (d'altra parte,
già nel sistema del sapere medievale la musica apparteneva, insieme ad aritmetica, geometria e
astronomia, al Quadrivium, ovvero al versante scientifico dello scibile, in quanto studio della
cosmica musica mundana, la musica delle sfere, ben più rilevante dei maldestri suoni prodotti
dagli strumenti umani). Poiché era consentita ai musicisti «pratici» la sostituzione della
dissertazione annuale obbligatoria con una propria composizione, Bach produsse, per la propria
ammissione in quel consesso lipsiense (nel giugno 1747), le Variazioni canoniche sull'inno ili
Natale «Vom Himmel hoch da komm ich her» BWV 769. L'anno successivo presentò L'offerta
musicale BWV 1079, mentre il compito del '49 - L'arte della fuga - non venne portato a
compimento dal compositore.

Si trattava con molta probabilità di un progetto che aveva preso forma nel corso degli anni, a
cominciare già forse da una data attorno al 1736, di cui le recenti ricerche musicologiche
(Christoph Wolff, Peter Schleuning) sono propense a individuare due distinte redazioni,
corrispondenti alle fonti conservate. Da un lato, il manoscritto autografo di Berlino con tre
aggiunte (i numeri romani riportati nella guida all'ascolto si riferiscono alla posizione del pezzo
nel manoscritto); dall'altro, la prima edizione, postuma, pubblicata da Johann Heinrich Schubler
a Zella nel 1751. L'autografo testimonia dunque una «prima redazione», risalente agli anni 1740-
46 (i contrapuncta I-VIII entro il 1742), cui seguì, dopo una pausa, una seconda fase (1747-49)
di ripensamento dell'opera e composizione di altri pezzi, nuovamente interrotta forse a causa di
ulteriori progetti e mai più ripresa per le gravi condizioni di salute di Bach.

È dunque a un ambito di musica pura, reservata (resa esoterica anche dalla simbologia
numerico/musicale), destinata a risuonare nell'intelletto più che all'orecchio, che occorre riferire,
l'origine dell'arte della fuga, (il titolo non è autentico: assente dall'autografo, compare per la
prima volta nell'edizione a stampa, probabilmente per iniziativa del figlio del Kantor, Carl
Philipp Emanuel. Il termine «arte» era d'impiego diffuso in questa accezione: nel 1733 Locatelli
aveva pubblicato L'arte del violino, mentre Geminiani nell'op. VII del 1746 utilizzava proprio la
dicitura L'arte della fuga).

Il progetto bachiano consiste nell'applicazione del principio della variazione a un unico tema
dato esposto in apertura. Da questo Bach deriva una straordinaria galleria delle possibilità del
contrappunto (più ancora che non una ricerca specifica sulla fuga come forma) in un processo
complesso, che, coniugando fantasia debordante e alta sapienza tecnica, si ripropone di esaurire
le potenzialità più recondite di quella breve sequenza di note che è il tema fondamentale,
attraverso gli artifici ereditati dalla tradizione fiamminga del XV/XVI secolo, da Palestrina e
dalla tradizione barocca, fino alla forma della fuga: organizzazione suprema del materiale sonoro
secondo gli intenti dell'artista/seienziato che applica l'ars, conoscenza delle severe regole della
forma.

Il procedimento creativo a partire da un tema specifico aveva in Bach un maestro sommo, grazie
soprattutto a quella tecnica di elaborazione contrappuntistica del corale testimoniata
continuamente dall'opera organistica come dalle Cantate (un caso estremo è la «Cantata corale»,
che ha il proprio elemento unificatore, sia a livello testuale che musicale, in un particolare inno
liturgico). Non è dato conoscere il disegno complessivo di quest'opera incompiuta, all'interno
della quale è tuttavia possibile individuare gruppi di contrapuncta, tra loro correlati in base alla
tecnica compositiva e al grado, progressivo, di difficoltà tecnica (secondo un percorso costruito
secondo la successione di fughe semplici, controfughe, fughe doppie, a specchio, canoniche e
triple). È dunque soltanto possibile esercitarsi in congetture, che consentono grande libertà
interpretativa sia nell'ordine dei contrapuncta (quello dell'edizione non è autentico, mentre il
manoscritto contempla solo alcuni pezzi e testimonia una fase anteriore di elaborazione), sia
nell'organico dei singoli numeri. Nella presente esecuzione, i contrapuncta vengono proposti in
diverse strumentazioni compatibili con la scrittura bachiana.

Portale d'accesso all'intera composizione, introduzione a mo' di captatio benevolentiae (se


vogliamo impiegare le categorie della retorica verbale, non improprie in un'opera come questa)
all'arduo discorso musicale e insieme sua cellula originaria, il Contrapunctus 1 (I) espone il tema
sapientemente scelto a fondamento dell'edificio sonoro, soggetto che attraverso un'odissea di
trasformazioni comparirà da un capo all'altro dell'opera, pervadendola completamente. È
possibile comprenderne la natura - da cui dipende il buon funzionamento di un meccanismo
contrappuntistico tanto ambizioso - scomponendolo in tre sezioni: i primi quattro suoni, che
descrivono l'arpeggio di re minore, tonalità d'impianto della composizione; i quattro successivi,
aperti da un'appoggiatura di grande espressività sulla sensibile della tonica (do diesis) e
ascendenti per grado congiunto; infine una dinamica scaletta discendente di crome che riporta il
breve discorso al re iniziale. Il perentorio gesto dell'attacco si sviluppa dunque attraverso un
percorso di tensione/distensione armonica ritmicamente vario. Nel controsoggetto (al contralto
in concomitanza con la risposta del soprano) si fa strada una figura ritmico/melodica sincopata di
non poco rilievo nello svolgimento della fuga. La cadenza conclusiva, preceduta da due pause
drammatiche, venne sensibilmente ampliata nella versione a stampa.

Il clavicembalo si unisce agli archi per proporci il tardo Contrapunctus 4, assente nel manoscritto
e probabilmente d'una decina d'anni più recente: si tratta dell'imitazione del tema per moto
contrario, sviluppata a quattro voci lungo ben 138 misure (una dimensione doppia rispetto al
Contrapunctus 1), grazie anche ad ampi divertimenti. Caratteristico è il contro-soggetto
cromatico, derivato ritmicamente dall'ultimo segmento del tema e in grado di vivacizzare la
trama contrappuntistica con rapidi intarsi alle diverse voci. La combinazione di una simile
coppia di soggetto e controsoggetto si risolve in una sintesi di «affetti» contrastanti,
simbolicamente afferenti alle sfere della gioia e del dolore.

Il cromatismo era già presente nella prima stesura dell'arte della fuga, proprio in quel
Contrapunctus 3 (II) che l'edizione a stampa colloca accanto al Contrapunctus 4. Anche in questo
caso è il controsoggetto, cromatico e ritmicamente mosso, a risaltare per contrasto rispetto al
tema presentato nella sua versione per moto contrario, solo all'entrata del contralto.
L'applicazione della retorica musicale a questa fuga parrebbe associarle il concetto di peccato
(Hans Heinrich Eggebrecht): un significato simbolico negativo, ben interpretato dal colore cupo
delle ance - oboe, oboe da caccia e fagotti - scelto in questa esecuzione.

Al clavicembalo risuona il Canon alla Ottava 15 (IX), che nello spirito di una giga travolgente,
come sembra suggerire il moto inarrestabile delle terzine, si avvicina ad alcune Invenzioni
bachiane (anch'esse a due voci) ostinatamente concentrate sul medesimo principio compositivo.
Interpretato dalla musicologia quale pezzo «giocoso» o «sanguigno», il canone è reso vario dalla
ricorrenza del tema ora in moto retto, ora contrario.

Due archi, violino e violoncello, ci propongono invece il gemello Canon in Hypodiatesseron al


rovescio e per augmentationem, perpetuus 14a (XII), qui eseguito nella versione che resterà
esclusa dalla prima edizione. Le due voci - numero minimo per l'esistenza di un tessuto
polifonico - sviluppano un dialogo articolato e di grande sottigliezza, che le oppone per moto
contrario e per aumentazione: quella superiore espone una versione estremamente fiorita del
tema, resa particolarmente interessante dalle sincopi e dalla scelta degli intervalli, non raramente
cromatici. La voce inferiore propone, per aumentazione, una versione del tema a valori più
larghi, finché le parti non si invertono, per proseguire quel dialogo tra agile esibizione
strumentale e patetico indulgere per grado congiunto che caratterizza l'intero pezzo, al quale è
stato attribuito un temperamento «malinconico». Si tratta di una composizione ambiziosa, che
non solo si nutre della polifonia del Cinque/Seicento, ma contestualmente guarda alle tendenze
stilistiche più progressive dell'epoca, al gusto decorativo rococò e alla sensibilità empfindsamer
dello stile galante propugnato dal figlio del Kantor, Carl Philipp Emanuel.
Segue una delle composizioni di maggior rilievo e impegno nell'arte della fuga: il Contrapunctus
11 a 4 (XI) una fuga tripla a quattro voci. La complessità virtuosistica della scrittura bachiana va
ricercata non solo nella pur notevole estensione di 184 misure, quanto soprattutto nella
combinazione, a quattro parti reali, di tre soggetti già comparsi precedentemente, in particolare
nel Contrapunctus 8, e ora sottoposti all'artificio del moto contrario (con l'aggiunta di un
ulteriore spunto tematico secondario che ha fatto impropriamente parlare di fuga quadrupla). I
tre temi consistono in una variante ritmica del tema fondamentale, dalla suggestiva pausa sul
tempo forte della misura; un soggetto, fortemente accentuato, derivato dal controsoggetto del
Contrapunctus 3; una dolente catena di semicrome, caratterizzata da intervalli minori e
associabile simbolicamente alla sfera del lamento, anche in virtù della presenza di simili figure
di sospiro nella Passione secondo Matteo. Si noti come le prime quattro note del tema al
contralto e al soprano «scrivano» sul pentagramma il nome BACH.

Il Contrapunctus 9 a 4 alla Duodecima (V) consiste invece in una doppia fuga, sviluppata a
partire da due temi nettamente contrastanti; quello fondamentale, che apparirà, insolitamente
inalterato, al soprano solo quando sarà ultimata l'esposizione del tema con cui la fuga si è aperta,
risulta caratterizzato dal gioioso dinamismo che gli imprimono il salto ascendente d'ottava e la
corsa a briglie sciolte delle semicrome (la strumentazione per archi suggerisce un confronto con
analoghe; gare bachiane di agonistica imitazione tra violini, ad esempio l'aria contrappuntistica
«Ich will nur dir zu Ehren leben», dall'Oratorio di Natale). Un contrasto così netto fra temi tanto
differenti ricorderà senza difficoltà i corali figurati dell'opera organistica del Kantor di Lipsia.

Appartiene alle fughe che l'autografo raccoglie in un unico gruppo (IV-VIII) il Contrapunctus 6
(IV), costruito sullo sfruttamento di due varianti ritmiche del tema, per moto retto e per moto
contrario. In alcune sezioni la combinazione di queste due «volti» contrappuntistici del
medesimo soggetto lascia il passo al trattamento in stretto di un'unica versione. La
strumentazione scelta, che abbraccia un organico ampio (corrispondente a un'orchestra bachiana
di dimensioni medie, completa di archi e fiati), esalta il carattere arioso e concertante della
scrittura contrappuntistica, aliena da qualsiasi cromatismo drammatico.

Un affetto affine alla malinconia, quella che Kant definiva «tristezza senza ragione», è stato
invece chiamato in causa per il Canon alla Duodecima in Contrapunto alla Quinta 17. La
variante tematica è caratterizzata da quelle sestine che le due voci snocciolano sin dall'attacco,
all'interno di un soggetto vivacizzato comunque da una certa complessità ritmica (due note
tenute che si estendono su tre tempi della misura, scale ascendenti e discendenti di crome, figure
di tre crome che seguono una pausa sul tempo forte). La dinamica imitativa tra le voci e la loro
particolare relazione armonica avvicina questo contrappunto alla scrittura del concerto,
ponendolo tra i pezzi più moderni della raccolta.

Col Contrapunctus 8 a 3 (X), una fuga tripla in stile severo, ascoltiamo nuovamente i temi
risuonati per moto contrario nel Contrapunctus 11, calati in una struttura appena meno
complessa, a tre voci invece di quattro, qui esposti in una sequenza differente (da intendersi
come l'ordine originario, dato che questa fuga precede l'altra sia nel manoscritto sia nella prima
edizione): dapprima viene presentato il soggetto ritmica¬mente accidentato: in seconda
posizione il tema, ultimo a comparire nella fuga gemella; infine il soggetto su cui quest'ultima si
apre, qui quasi nascosto nella vox intermedia.
Il Contrapunctus 10 a 4 alla Decima, un'ardua doppia fuga (sebbene non tutti i musicologi siano
concordi nel definirla tale), compariva nel manoscritto al VI posto in una versione ridotta,
mancante di una prima importante sezione di 11 misure. La modifica apportata per l'edizione a
stampa non è di poco conto: risulta infatti così invertito l'ordine di presentazione dei due
soggetti. Viene esposto per primo quello dal profilo più originale (spezzato dalle pause -
retoriche figure di suspiratio - e aperto sull'inconsueta sensibile - è l'unica fuga a non attaccare
con la tonica o la dominante -, il tema compariva nella prima versione solo dopo l'esposizione
dell'altro soggetto). Gli succede la più prevedibile variante del tema fondamentale, basata sul
ritmo puntato.

Ritmo puntato cui spetta un ruolo di rilievo - insieme alle rapide scalette in levare - fra le figure
barocche della maestà e della solennità ancien regime, chiamate in causa per il Contrapunctus 6
a 4 in Stylo Francese. L'esplicita indicazione bachiana si rifà all'ouverture alla francese, forma
fondamentale del Barocco musicale, coltivata frequentemente dal Kantor, oltre che nelle quattro
Ouverture orchestrali che ne derivano il titolo e nei cori d'apertura di alcune Cantate, anche in
quella seconda parte della Clavier-Ubung (1735) che insieme al Concerto italiano propone
un'Ouverture nach Französischer Art, non lontana cronologicamente da questa pagina.
Imponente è l'attacco, che combina una versione del tema iniziale ritmicamente variato al basso
e la risposta in stretto delle voci più acute: il soprano per diminuzione e moto contrario, il
contralto per diminuzione e moto retto. Sugli artifici del contrappunto è costruita la coppia di
fughe a specchio corrispondente al n. XIII del mano scritto e al n. 12 dell'edizione.

La loro particolare scrittura permette loro di scambiare le parti di basso e soprano (l'una versione
per moto contrario dell'altra) e di fare altrettanto fra quelle di tenore e contralto.

In particolare il Contrapunctus inversus 12 (12b) a 4 si fonda su una versione per moto contrario
del tema-base, mentre il Contrapunctus (12a) a 4 offre l'elaborazione speculare del medesimo
tema per moto retto. Si noti l'accentuazione tipica della danza (da polonaise oppure da
sarabanda, è stato scritto), ben evidente nella presente esecuzione soprattutto nel Contrapunctus
inversus, e il metro di 3/4, che ricorre solo qui nell'intera arte della fuga.

Una trama polifonica di fattura mirabile, fitta e complessa ma al tempo stesso ariosa e perspicua,
ci viene incontro col Contrapunctus 7 a 4 per Augment et Diminut (VII). In stile severo,
chiesastico, questo capolavoro dell'arte bachiana - che nel manoscritto giunge a conclusione
della serie di fughe IV-VIII - combina sin dall'attacco, quattro differenti versioni del tema in
altrettante voci: una variante per moto retto e diminuzione al tenore e, in stretto la versione per
moto contrario al soprano e quella per moto contrario e diminuzione al contralto; il basso
propone infine il soggetto per moto contrario e per aumentazione.

A quel ritmo puntato su cui è costruito il Contrapunctus 6 a 4 in Stylo Francese si rifà anche il
Contrapunctus 2 (III): il tema viene esposto al basso, quasi fosse una replica perfetta della
versione originaria. Il ritmo puntato s'impadronisce però del controsoggetto contestualmente alla
risposta affidata al tenore. Ne deriva un discorso musicale fluido ed espressivo, consegnato come
molte altre pagine dell'opera al sapido contrasto tra valori brevi e lunghi.

Viene eseguita di seguito la seconda coppia di fughe a specchio, il Contrapunctus inversus (13) a
3 e il Contrapunctus (13) a 3, proposti con due diversi organici (rispettivamente archi e legni). Si
tratta di una composizione doppia, XIV nell'autografo, di particolare impegno, più complessa dei
gemelli Contrapuncta 12 e 14, benché scritta per tre e non per quattro voci. Il carattere alacre e
dinamico impresso dal ritmo di terzina avvicina le due fughe alla giga, annettendole anche alla
sfera della gioia e della leggerezza: un piacere sonoro che può venire a simboleggiare la gioia
metafisica della grazia divina (ne esiste anche una versione autografa per due clavicembali).

Concludiamo il gruppo dei canoni con il moderno Canon alla Decima [in] Contrapunto alla
Terza 16, presente solo nell'edizione a stampa. Fondato su una variante per moto contrario del
tema sembra annullare sin dall'attacco la quadratura metrica del 12/8, attraverso la sincope
continua delle minime che costituiscono il soggetto. Il controsoggetto, invece, è completamente
pervaso da quel moto di terzine che le due voci faranno proprio, insieme a ulteriori spunti
tematici (quale la scala cromatica discendente che compare al basso, contrastata dai salti
ascendenti della voce superiore), in una dialettica chiaramente concertante. Dalla scrittura del
concerto Bach mutua anche l'introduzione della cadenza conclusiva.

Il magistero contrappuntistico dell'arte della fuga culmina nell'ultima prova incompiuta, la fuga a
3 Soggetti Soggetti 18: difficile dire quale sia il suo maggior elemento d'interesse, se il fascino
che inevitabilmente promana dal carattere enigmatico di un torso, la sapienza compositiva
nell'erigere un'edifìcio sonoro monumentale (anche nello stato in cui l'abbiamo conta ben 239
misure), oppure la scoperta di un volto imprevisto del tardo Bach, incline - persino nei reami
dello stylus antiquus - a una nobile semplicità e quieta grandezza che di lì a pochi anni sarà tanto
cara all'estetica (neo)classica, in musica come in tutte le arti. Chiara e perspicua è la struttura
formale tripartita della fuga, che propone successivamente i tre temi; semplice è il primo
soggetto, del tutto diatonico e fondato su due soli intervalli (quinta giusta e seconda maggiore),
né lontano dall'invenzione melodica deliberatamente elementare dell'innologia ecclesiastica (il
corale luterano, ad esempio, da Bach amatissimo). Il secondo tema gli si oppone naturalmente,
con le sue 41 note, in prevalenza crome (nella nostra esecuzione è caratterizzato dal timbro
dell'oboe da caccia). Il terzo è poi il celebre soggetto cromatico che presenta la firma del
compositore. La versione manoscritta conserva anche la combinazione contrappuntistica dei tre
soggetti a poche misure dalla brusca interruzione della fuga.

Raffaele Mellace

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La fuga è l'elemento naturale della musica di Bach. Nessun'altra forma è altrettanto frequentata
nella sua attività di compositore e in nessuna, come nella fuga, sono riconoscibili in modo
ugualmente limpido i passaggi del suo sviluppo artistico. Possiamo immaginare ai due estremi
della sua produzione da un lato le fughe scritte intorno ai vent'anni, per esempio nelle Toccate
per strumento a tastiera, le quali rivelano ancora molte incertezze nel dominio dei procedimenti
formali e ripongono il proprio fascino appunto nella durezza delle sonorità, nello schematico
terrazzamento delle modulazioni; dall'altro i raffinatissimi calcoli delle ultime composizioni,
divenute ormai il supporto di una riflessione spinta ben oltre i limiti dell'abilità artigiana. Fra
questi due poli si estende l'opera di un autore che nella fuga ha riconosciuto qualcosa di diverso
da ciò che siamo soliti definire una "forma" musicale. Nell'accezione comune, infatti, la forma è
qualcosa che stabilisce limiti, disegna confini, indica percorsi e fissa un repertorio di possibili
soluzioni: così nella forma-sonata del periodo classico sappiamo essere canoniche la
contrapposizione dei due temi principali, la loro relazione armonica, i loro rapporti nelle fasi di
transizione o di sviluppo. Naturalmente ciò non significa che prescriva un codice fisso, ma ogni
volta che il trattamento della sonata non corrisponde alla sua norma ideale riconosciamo in essa
il carattere dell'eccezione, della violazione consapevole operata dall'artista. Considerata sotto
questo aspetto, la fuga si comporta in modo completamente diverso: assomiglia più a un metodo
che a una forma, suggerisce cioè strategie, non prospetta soluzioni. La fuga non si lascia però
ridurre neppure in quest'ultimo paragone: se il metodo è essenzialmente una procedura di analisi,
la fuga si presenta piuttosto come una logica dell'invenzione, è una "euristica" che facilita il
rapporto con una forma, senza tuttavia prescriverne alcuna in modo tassativo.

Uno degli episodi più conosciuti della vita di Bach lo ricorda ormai anziano, a Potsdam, davanti
al re Federico II, mentre improvvisa le elaborazioni che avrebbero dato vita all'Offerta musicale.
Il pubblico degli intenditori riuniti a corte, fra i quali è anche il figlio Carl Philipp Emanuel, si
concentra sulle doti di improvvisazione del vecchio musicista, sulla sua capacità di utilizzare il
tema dato non come un obbligo che limiti la libertà, ma come una risorsa dell'invenzione. Seduto
al clavicembalo, Bach esibisce in quell'occasione la più grande audacia di virtuosismo
compositivo seguendo "rigorosamente" i princìpi della fuga, poiché questa gli appare non come
un sistema chiuso, ma come la logica dell'invenzione musicale. Così intesa, la fuga rispecchia
davvero per Bach un ordine teologico e morale che incrementa o più semplicemente esplora a
fondo le possibilità spirituali della musica. Esserne stato un cultore per tutta la vita, averla
continuata a praticare quando già i contemporanei la consideravano desueta e le preferivano il
nuovo stile melodico, è stato per Bach come essere fedele a un'immagine della musica che
privilegia il pensiero rispetto all'intrattenimento, l'ambizione metafisica dell'immaginazione
barocca rispetto alla galanteria del rococò.

Il lavoro sull'arte della fuga occupò Bach nel periodo che va dal 1747 al 1749 ed era destinato
con ogni probabilità alla Società di Scienze Musicali fondata da Lorenz Christoph Mizler sul
modello delle società scientifiche che allora nascevano in tutta Europa. Dopo aver a lungo
esitato sull'opportunità di aderirvi, Bach vi entrò due anni dopo Händel, attendendo, quasi a
confermare il valore semi-superstizioso che egli attribuiva alla numerologia, di potervi figurare
come quattordicesimo membro, cifra che corrisponde al suo cognome nella somma delle lettere
che lo compongono. La partecipazione alla Società richiedeva ogni anno l'invio di una
comunicazione scientifica: nel 1747 e nel 1748 Bach l'aveva soddisfatta rispettivamente con le
Variazioni canoniche per organo e con l'Offerta musicale. Il 1749 sarebbe forse stato, nelle
intenzioni di Bach, l'anno della partitura che poco dopo la sua morte fu pubblicata appunto con il
titolo L'arte della fuga e che tuttavia rimase incompiuta, interrotta nella fuga tripla che reca fra i
soggetti quello basato sulle lettere B-A-C-H (si bemolle, la, do, si bequadro), di solito
completata da un corale aggiunto dagli editori nella prima edizione.

Il 21 marzo 1750, d'altra parte, Bach aveva compiuto 65 anni ed era diventato membro
«emerito» della Società, dispensato dall'obbligo di presentare la comunicazione annuale. Questa
circostanza, insieme all'aggravarsi delle sue condizioni di salute, rallentarono il suo impegno,
sempre meno intenso fino al momento in cui, alla metà del luglio successivo, non gli fu più
possibile nemmeno dettare musica agli allievi che seguivano la sua ultima malattia. Il 28 luglio
dello stesso anno Bach morì. Pochi mesi più tardi, la vedova Anna Magdalena fu costretta a
vendere L'arte della fuga al Consiglio della città di Lipsia, il quale le corrispose una somma di
quaranta talleri calcolata «in considerazione dello stato di povertà» in cui versava la famiglia. Il
prezzo delle prime due edizioni a stampa fu rispettivamente di cinque e di quattro talleri la copia,
una riduzione dovuta allo scarso interesse manifestato dal pubblico per un'opera estranea ai gusti
del tempo e che nell'arco di cinque anni non vendette neppure trenta copie.

Proprio le prime edizioni a stampa, pubblicate nel 1751 e nel 1752, sono, insieme al manoscritto,
la principale fonte a nostra disposizione per comprendere la distribuzione del materiale bachiano
e per poter formulare qualche ipotesi circa la distanza fra il progetto iniziale e il lavoro
effettivamente portato a termine. La partitura è composta da venti fughe e un corale. La
classificazione delle singole fughe e la loro successione non sono stabilite in modo definitivo,
tanto che gli storici divergono spesso nella loro interpretazione. Il disegno iniziale aveva
probabilmente in vista un'articolazione su ventiquattro fughe, in ragione di sei gruppi di quattro,
a loro volta divisi in coppie. Il tema da cui Bach parte e che genera l'intero edificio è molto
semplice ed è esposto nella tonalità di re minore. Le variazioni che esso subisce durante
l'elaborazione delle fughe tengono conto del suo duplice aspetto formale, rectus e inversus, come
pure delle sue possibilità di mutazione ritmica. La relazione con il tema non è tuttavia sempre
vincolante, tanto che le quattro fughe attualmente riunite nella terza sezione (numeri 8-11)
basano di fatto la loro struttura su temi diversi da quello principale.

Anche per questo, i materiali utilizzati nell'arte della fuga e i criteri della sua organizzazione
sfuggono alle possibilità di una definizione univoca e diventano invece paradossalmene
sfuggenti. La suddivisione dei numeri musicali e la loro scansione è insomma frutto di un lavoro
di ricostruzione che resta sostanzialmente ipotetico. In ogni tentativo di rendere L'arte della fuga
adeguata a un'ideale di perfezione logica resta sempre qualcosa di irriducibile, di apparentemente
"illogico" che costringe a ricominciare da zero i calcoli e che tuttavia porterà solo a nuove
ipotesi, non meno fallibili delle precedenti. È sufficiente mutare l'interpretazione di una fuga,
basta leggerne in modo diverso il senso strutturale per avere delle ripercussioni sull'intero
edificio formale. Questo è stato spesso paragonato a un labirinto di possibilità aperte, a una
continua messa in discussione delle premesse architettoniche da cui scaturisce e a un enigma il
cui svolgimento segue piuttosto le regole di un gioco. Ed è proprio il senso del gioco, o per
meglio dire della libertà creativa, della varietà di soluzioni non solo stilistiche, ma anche
concettuali che Bach si concede attraverso l'uso euristico della fuga, quel che anima l'intera
partitura e che non rende in linea di principio illegittimi i più diversi tipi di strumentazione che
ne sono stati proposti.

Il manoscritto autografo dell'arte della fuga, com'è noto, non reca alcuna indicazione
strumentale. La prima edizione ha rispettato la scrittura originale, divisa in un numero di righi
che corrisponde di volta in volta al numero di voci dei singoli contrappunti: una scrittura che
mette in evidenza la trama polifonica della composizione e che dunque soddisfa un criterio di
leggibilità, di chiarezza formale, escludendo un gusto timbrico del colore strumentale. A partire
da questa considerazione si è consolidata l'idea di una partitura destinata essenzialmente alla
lettura e alla meditazione, tanto più se concepita come saggio di una comunicazione accademica.
L'arte della fuga è stata così vista come un'opera vicina al punto liminare in cui la musica,
divenuta prossima alla sua essenza, si confonde con il silenzio. Circostanze pratiche e storiche
spingono a considerare in modo meno rigido questa conclusione e mostrano come l'aspetto
strumentale della composizione, ancorché non stabilito espressamente, sia in realtà compatibile
con la dimensione reservata di una musica certamente non pensata in funzione della moderna
sala di concerto, ma neppure del tutto slegata dalla possibilità dell'esecuzione. Il sistema di
scrittura, ad esempio, ricorda quello dell'intavolatura, un metodo molto praticato da
clavicembalisti e organisti fin dalla seconda metà del Cinquecento. L'esecuzione dell'arte della
fuga sullo strumento a tastiera comporta certamente dei problemi, come ad esempio
l'impossibilità di eseguire le fughe a specchio (nn. 12-15) nella loro versione originale e la
necessità di ricorrere a un loro adattamento. Ma la circostanza che vede quest'ultima soluzione
già allegata all'autografo bachiano sembra ulteriormente confermare la "naturalezza" della
destinazione per lo strumento a tastiera, in particolare per il clavicembalo, come in un ampio
saggio ha sostenuto Gustav Leonhardt, senza che questo tolga alla musica l'aspetto speculativo
che il tipo di notazione senza dubbio sottolinea, consegnando al lettore una trama
contrappuntistica indipendente dal suo effetto sonoro. Il senso dell'arte della fuga è
essenzialmente legato a quest'ambiguità e ha perciò in sé qualcosa di arbitrario e provocatorio
che i numerosi tentativi di strumentazione possono approfondire e persino estremizzare, senza
mai poterlo esaurire.

Nel marzo dell'anno 1750 un chirurgo inglese, John Taylor, Cavaliere di Sua Maestà Britannica,
si trova a Lipsia e viene consultato da Bach per porre rimedio ai problemi che avevano
fortemente indebolito la sua vista. Con due operazioni successive, il 28 marzo e il 7 aprile, John
Taylor penetrò a vivo la cornea di entrambi gli occhi rendendo Bach irrimediabilmente cieco.
Due anni dopo, lo stesso effetto avrebbe avuto a Londra il suo intervento su Händel. L'oscurità
non privò tuttavia Bach della volontà di proseguire il lavoro, cosa che avveniva principalmente
sotto dettatura, con la collaborazione di allievi e parenti. Al genero Altnickol sembra egli abbia
dettato, alla metà di luglio, il suo ultimo corale, Wenn wir in hoechsten Noethen BWV 668a,
concepito come la rielaborazione di un precedente corale per organo (BWV 641). È questo il
corale che secondo la tradizione Carl Philipp Emanuel avrebbe aggiunto alla conclusione
dell'arte della fuga. L'edizione che ascolteremo questa sera si conclude invece più sobriamente
con l'ultimo contrappunto incompiuto, probabilmente il penultimo della serie degli exempla nei
quali Bach, ricapitolando il pensiero di una vita, riconosceva le vie di una meditazione che, sola,
era capace di portargli luce.

Stefano Catucci

Aggiunte recenti

Miscellanea

BWV 1081 - Credo in unum Deum

https://www.youtube.com/watchv=sh0V3yhFAIk

BWV 1082 - Suscepit Israel puerum suum

https://www.youtube.com/watchv=zysBt2Bd0xU

BWV 1083 - Tilge, Höchster, meine Sünden

https://www.youtube.com/watchv=ukxAM-spo8M
BWV 1084 - O hilf, Christe, Gottes Sohn

https://www.youtube.com/watchv=jzB59RkEjIQ

BWV 1085 - O Lamm Gottes, unschuldig

https://www.youtube.com/watchv=OALAWqyQzQA

BWV 1086 - Canon concordia discors

https://www.youtube.com/watchv=WCFr_E0fYVo

BWV 1087 - Diversi canoni

https://www.youtube.com/watchv=8FEJHvq4-_g

BWV 1088 - So heb' ich denn mein Auge sehnlich auf

https://www.youtube.com/watchv=mJooDIkewEw

BWV 1089 - Da Jesus an dem Kreuze stund

https://www.youtube.com/watchv=xhb_Qv_A72Y

Corali Neumeister

https://it.wikipedia.org/wiki/Corali_Neumeister

https://www.youtube.com/watchv=Cv4Ljw93FKE

https://www.youtube.com/watchv=OsbeTbjDUB4&list=PLDD5E88D7CF36537C

BWV 1090 - Wir Christenleut'

https://www.youtube.com/watchv=0xAKVfxhw54

BWV 1091 - Das alte Jahr vergangen ist

https://www.youtube.com/watchv=0cW95rX7psU

BWV 1092 - Herr Gott, nun schleuß den Himmel auf

https://www.youtube.com/watchv=4l5d8XYlIsQ

BWV 1093 - Herzliebster Jesu, was hast du verbrochen


https://www.youtube.com/watchv=wHaZ170hmJ4

BWV 1094 - O Jesu, wie ist dein Gestalt

https://www.youtube.com/watchv=a4iEhFXNP6Y

BWV 1095 - O Lamm Gottes, unschuldig

https://www.youtube.com/watchv=T5RJcoYfjQY

BWV 1096 - Christe, der du bist Tag und Licht

https://www.youtube.com/watchv=3npE-9JhP1I

BWV 1097 - Ehre sei dir, Christe, der du leidest Not

https://www.youtube.com/watchv=ohOfNJHt7ZE

BWV 1098 - Wir glauben all'an einen Gott

https://www.youtube.com/watchv=KbX70tilPBY

BWV 1099 - Aus tiefer Not schrei' ich zu dir

https://www.youtube.com/watchv=5FGqt7VxlLM

BWV 1100 - Allein zu dir, Herr Jesu Christ

https://www.youtube.com/watchv=S4XCU5uVu68

BWV 1101 - Durch Adams Fall ist ganz verderbt

https://www.youtube.com/watchv=SuBRR_nzrdA

BWV 1102 - Du Friedefürst, Herr Jesu Christ

https://www.youtube.com/watchv=fkfhkBxIjdg

BWV 1103 - Erhalt uns, Herr, bei deinem Wort

https://www.youtube.com/watchv=VCLN3XXNfJo

BWV 1104 - Wenn dich Unglück tut greifen an

https://www.youtube.com/watchv=RmnhmH46-oM
BWV 1105 - Jesu, meine Freude

https://www.youtube.com/watchv=P3q4Q4x3EYo

BWV 1106 - Gott ist mein Heil, mein Hilf und Trost

https://www.youtube.com/watchv=IbogSESYbNI

BWV 1107 - Jesu, meines Lebens Leben

https://www.youtube.com/watchv=Vfm1ikmwFTg

BWV 1108 - Als Jesus Christus in der Nacht

https://www.youtube.com/watchv=BBe7e1xc8Kk

BWV 1109 - Ach Gott, tu' dich erbarmen

https://www.youtube.com/watchv=J3gckjZigRo

BWV 1110 - O Herre Gott, dein göttlich's Wort

https://www.youtube.com/watchv=IsVrRS4u_yg

BWV 1111 - Nun lasset uns den Leib begrab'n

https://www.youtube.com/watchv=thaoZ0PKjzM

BWV 1112 - Christus, der ist mein Leben

https://www.youtube.com/watchv=5tlSmiDiddk

BWV 1113 - Ich hab' mein Sach' Gott heimgestellt


https://www.youtube.com/watchv=KgIQlxoDHJc

BWV 1114 - Herr Jesu Christ, du höchstes Gut

https://www.youtube.com/watchv=9XZpKUrdtfQ

BWV 1115 - Herzlich lieb hab' ich dich, o Herr

https://www.youtube.com/watchv=s90injAwVTE

BWV 1116 - Was Gott tut, das ist wohlgetan

https://www.youtube.com/watchv=Kt77Q_mYIV4
BWV 1117 - Alle Menschen müssen sterben

https://www.youtube.com/watchv=-IRbhaEZEDk

BWV 1118 - Werde munter, mein Gemüte

https://www.youtube.com/watchv=AdKvFr1_jFY

BWV 1119 - Wie nach einer Wasserquelle

https://www.youtube.com/watchv=4OPo2QW2boc

BWV 1120 - Christ, der du bist der helle Tag

https://www.youtube.com/watchv=nmiCBmi3oCk

Lavori organistici vari

BWV 1121 - Fantasia

https://www.youtube.com/watchv=DyVjVw8Cqsg

BWV 1122 - Denket doch, ihr Menschenkinder

https://www.youtube.com/watchv=eg10u4mg1fI

BWV 1123 - Wo Gott zum Haus nicht gibt sein' Gunst

https://www.youtube.com/watchv=rUOcx76hJvI

BWV 1124 - Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ

https://www.youtube.com/watchv=a2-AI2ndfZ4

BWV 1125 - O Gott, du frommer Gott

https://www.youtube.com/watchv=_cs3d4iq1LE

BWV 1126 - Lobet Gott, unsern Herrn

https://www.youtube.com/watchv=iYdryR8XR3c

Aria strofica

BWV 1127 - Alles mit Gott und nichts ohn' ihn (scoperta a giugno 2005)
https://www.youtube.com/watchv=TakJc4JFS4A

Fantasia per organo

BWV 1128 - Wo Gott der Herr nicht bei uns hält (scoperta a marzo 2008)

https://www.youtube.com/watchv=QxB_R7vA-k8

Appendice (Anhalt)

Composizioni perdute o frammentarie

BWV Anh. 1 - Gesegnet ist die Zuversicht (spuria, di Georg Philipp Telemann)

Cantata per soli e orchestra


Testo: Erdmann Neumeister
Occasione: 7a domenica dopo la festa della Trinità
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, 2 flauti, 2 violini, viola, continuo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Bärenreiter, Kassel, 1954
Attribuzione errata, composizione di Georg Philipp Telemann

BWV Anh. 2 - Cantata dal titolo sconosciuto (perduta)

Cantata per soli, coro e orchestra


Testo: forse Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: 19a domenica dopo la festa della Trinità
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1729
Perduta, resta solo un frammento in si bemolle maggiore

BWV Anh. 3 - Gott, gib dein Gerichte dem Könige (perduta)

Cantata
Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: inaugurazione cosiglio municipale di Lipsia
Organico: sconosciuto
Composizione: 1730
Prima esecuzione: Lipsia, 25 agosto 1730
Perduta, resta solo il testo

BWV Anh. 4 - Wünschet Jerusalem Glück (perduta

Cantata
Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: inaugurazione del consiglio comunale di Lispia
Organico: sconosciuto
Composizione: Lipsia, 1726
Prima esecuzione: Lipsia, Nikolaikirche, 26 agosto 1726
Perduta

BWV Anh. 4a - Wünschet Jerusalem Glück (perduta)

Cantata
Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: 200° anniversario della Confessione di Augusta
Organico: sconosciuto
Composizione: Lipsia, 1730
Prima esecuzione: Lipsia, Nicolaikirche, 27 giugno 1730
Seconda versione della Cantata Anh. 4
Perduta

BWV Anh. 5 - Lobet den Herrn, alle seine Heerscharen (perduta)

Cantata
Testo: Menantes (Christian Friedrich Hunold)
Occasione: compleanno di Leopoldo di Anhalt-Köthen
Organico: sconosciuto
Composizione: Köthen, 1718
Prima esecuzione: Köthen, Agnuskirche, 10 dicembre 1718
Perduta

BWV Anh. 6 - Dich loben die lieblichen Strahlen der Sonne (perduta)

Cantata
Testo: Menantes (Christian Friedrich Hunold)
Occasione: capodanno presso la corte principesca di Anhalt-Köthen
Organico: sconosciuto
Composizione: Köthen, 1719
Prima esecuzione: Köthen, Hofkapelle, 1 gennaio 1720
Perduta, resta solo il testo

BWV Anh. 7 - Heut' ist gewiss ein guter Tag (perduta)

Cantata
Testo: forse Christian Friedrich Hunold
Occasione: compleanno del principe Leopold d'Anhalt-Köthen
Organico: sconosciuto
Composizione: 1720
Prima esecuzione: Köthen, Hof-Schloß, 10 dicembre 1720
Perduta, resta solo il testo
BWV Anh. 8 - Cantata dal titolo sconosciuto (perduta)

Testo: autore ignoto


Organico: sconosciuto
Composizione: Köthen, 1722
Prima esecuzione: Köthen, Hofkapelle, 1 gennaio 1723
Perduta, potrebbe essere la stessa della Cantata BWV 184a

BWV Anh. 9 - Entfernet euch, ihr heitern Sterne (perduta)

Cantata per organico sconosciuto


Testo: Christian Friedrich Haupt
Occasione: genetliaco del re Augusto II di Polonia
Organico: sconosciuto
Composizione: 1727
Prima esecuzione: Lipsia, Marktplatz, 12 maggio 1927

BWV Anh. 10 - So kämpfet nur, ihr muntern Töne (perduta)

Cantata per organico sconosciuto


Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: compleanno del conte Joachim Friedrich von Flemming
Organico: sconosciuto
Composizione: Lipsia, 1731
Prima esecuzione: Lipsia, St.Paulikirche, 25 agosto 1731
Perduta, resta solo il testo

BWV Anh. 11 - Es lebe der König, der Vater im Lande (perduta)

Cantata per organico sconosciuto


Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: l'onomastico del re Augusto III
Organico: sconosciuto
Composizione: Lipsia, 1732
Prima esecuzione: Lipsia, St.Paulikirche, 3 agosto 1732
Perduta

BWV Anh. 12 - Frohes Volk, vergnügte Sachsen (perduta)

Cantata per organico sconosciuto


Testo: Picander (Christian Friedrich Henrici)
Occasione: onomastico del re Augusto III
Organico: sconosciuto
Composizione: 1733
Prima esecuzione: Dresda, Sophiekirche, 3 agosto 1733
Perduta, resta solo il testo
BWV Anh. 13 - Willkommen, ihr herrschenden Götter der Erden (perduta)

Cantata per organico sconosciuto


Testo: Johann Christoph Gottsched
Occasione: per il re Augusto III e per i suoi ospiti il re Carlo IV di Sicilia e Anna Amalia di
Sassonia
Organico: sconosciuto
Composizione: Lipsia, 1738
Prima esecuzione: Lipsia, St.Paulikirche, 28 aprile 1738
Perduta, resta solo il testo

BWV Anh. 14 - Sein Segen fließt daher wie ein Strom (perduta)

Cantata per organico sconosciuto


Testo: autore ignoto
Occasione: matrimonio di Christoph Friedrich Lösner con Johanna Elisabeth Scherlinge
Organico: sconosciuto
Composizione: Lipsia, 1725
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 12 febbraio 1725
Perduta, resta solo il test

BWV Anh. 15 - Siehe, der Hüter Israel (perduta)

Cantata per soli e orchestra


Testo: autore ignoto
Occasione: per una cerimonia universitaria imprecisata
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, 2 oboi, 3 trombe, timpani, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1723 - 1724
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 27 aprile 1724
Perduta, resta solo il testo

BWV Anh. 16 - Schließt die Gruft, ihr Trauerglocken (perduta)

Cantata
Testo: Balthasar Hoffmann
Occasione: funerale della duchessa Edvige Eleonora del Merseburgo
Organico: sconosciuto
Composizione: Lipsia, 1735
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 9 novembre 1735
Perduta, resta solo il testo

BWV Anh. 17 - Mein Gott, nimm die gerechte Seele (perduta)

Cantata per coro e orchestra


Testo: autore ignoto
Occasione: funerale
Organico: coro misto, 2 oboi d'amore, fagotto, 2 violini, viola, continuo
Composizione: Lipsia, 1732
Prima esecuzione: Lipsia, 5 giugno 1732
Perduta, restano frammenti del testo

BWV Anh. 18 - Froher Tag, verlangte Stunden (perduta)

Cantata per organico sconosciuto


Testo: Johann Heinrich Winckler
Occasione: per l'inaugurazione della rinnovata Thomasschule di Lipsia
Organico: sconosciuto
Composizione: Lipsia, 1732
Prima esecuzione: Lipsia, St. Paulikirche, 5 giugno 1732
Perduta, resta solo il testo

BWV Anh. 19 - Thomana saß annoch betrübt (perduta)

Cantata per organico sconosciuto


Testo: Johann August Landvoigt
Occasione: ingresso di Johann August Ernesti come nuovo rettore della Thomasschule di Lipsia
Organico: sconosciuto
Composizione: Lipsia, 1734
Prima esecuzione: Lipsia, St.Paulikirche, 21 novembre 1734
Perduta, resta solo il testo

BWV Anh. 20 - Cantata dal titolo sconosciuto (perduta)

Testo: autore ignoto


Occasione: compleanno del duca Federico II di Sassonia-Gotha-Altenburg
Organico: sconosciuto
Composizione: Lipsia, 1723
Prima esecuzione: Lipsia, Sankt-Paulikirche, 9 agosto 1723
Perduta

BWV Anh. 21 - Magnificat (perduto)

https://www.youtube.com/watch?v=Jo2T7nmjVUc

Organico: soprano, violino, flauto, violetta, organo, continuo


Composizione: data sconosciuta
Edizione: De Santis, Roma, 1958
Attribuzione errata, composizione di Georg Philipp Telemann

BWV Anh. 22 - Concerto in Sol minore (frammento)

Organico: oboe, violino concertante, 2 violini, viola, continuo


Composizione: data sconosciuta
Perduto, resta solo il tema

BWV Anh. 23 - Basso continuo per un concerto in Mi minore (frammento)

Organico: archi
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Tommaso Albinoni

Composizioni di dubbia attribuzione

BWV Anh. 24 - Messa in La minore

https://www.youtube.com/watch?v=CNPjs508b2U

per coro e orchestra


Organico: coro misto, 2 violini, viola, continuo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Christoph Pez

BWV Anh. 25 - Messa in Do maggiore

https://www.youtube.com/watch?v=Ud1s7WCZUso+

per coro e orchestra


Organico: coro misto, 2 claroni, 2 violini, organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 26 - Messa in Do minore

https://www.youtube.com/watch?v=5gv6KNi6E9A

per soli, coro e orchestra


Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 tromboni, 2 violini, continuo
Composizione: 1727 - 1732
Attribuzione errata, composizione di Francesco Durante

BWV Anh. 27 - Sanctus in Fa maggiore

per coro e orchestra


Organico: coro misto, 2 oboi, 2 corni, 2 violini, viola, continuo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Ludwig Krebs

BWV Anh. 28 - Sanctus in Si♭ maggiore


per coro e orchestra
Organico: coro misto, orchestra
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 29 - Basso continuo per una Messa in Do minore

Organico: violoncello
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 30 - Magnificat in Do maggiore

per doppio coro e orchestra


Organico: doppio coro misto, 3 trombe, timpani, 2 violini, viola, continuo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta, forse composizione di Antonio Lotti

BWV Anh. 31 - Herr Gott, dich loben alle wir

Corale in re maggiore per coro e orchestra


Testo: autore ignoto
Organico: coro misto, 3 oboi, 2 clarini, 2 violini, viola, continuo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 32 - Getrost mein Geist wenn Wind und Wetter krachen

Corale in sol maggiore per voce e continuo


Testo: Chrisrian Hoffmann von Hofmarmswald
Organico: voce, continuo
Composizione: 1704 circa
Edizione: M. Hubert, Breslavia-Lipsia, 1704
Attribuzione incerta

BWV Anh. 33 - Mein Jesu! Spare nicht

Corale in do minore per voce e continuo


Testo: Chrisrian Hoffmann von Hofmarmswald
Organico: voce, continuo
Composizione: 1704 circa
Edizione: M. Hubert, Breslavia-Lipsia, 1704
Attribuzione incerta

BWV Anh. 34 - Kann ich mit einem Tone

Corale in do minore per voce e continuo


Testo: Chrisrian Hoffmann von Hofmarmswald
Organico: voce, continuo
Composizione: 1704 circa
Edizione: M. Hubert, Breslavia-Lipsia, 1704
Attribuzione incerta

BWV Anh. 35 - Meine Seele lass die Flügel

Corale in la minore per voce e continuo


Testo: Chrisrian Hoffmann von Hofmarmswald
Organico: voce, continuo
Composizione: 1704 circa
Edizione: M. Hubert, Breslavia-Lipsia, 1704
Attribuzione incerta

BWV Anh. 36 - Ich stimm' itzund ein Straff-Lied an

Corale in re minore per voce e continuo


Testo: Chrisrian Hoffmann von Hofmarmswald
Organico: voce, continuo
Composizione: 1704 circa
Edizione: M. Hubert, Breslavia-Lipsia, 1704
Attribuzione incerta

BWV Anh. 37 - Der schwarze Flügel trüber Nacht

Corale in do maggiore per voce e continuo


Testo: Chrisrian Hoffmann von Hofmarmswald
Organico: voce, continuo
Composizione: 1704 circa
Edizione: M. Hubert, Breslavia-Lipsia, 1704
Attribuzione incerta

BWV Anh. 38 - Das Finsterniss tritt ein

Corale in fa maggiore per voce e continuo


Testo: Chrisrian Hoffmann von Hofmarmswald
Organico: voce, continuo
Composizione: 1704 circa
Edizione: M. Hubert, Breslavia-Lipsia, 1704
Attribuzione incerta

BWV Anh. 39 - Ach, was wollt ihr trüben Sinnen

Corale in sol minore per voce e continuo


Testo: Chrisrian Hoffmann von Hofmarmswald
Organico: voce, continuo
Composizione: 1704 circa
Edizione: M. Hubert, Breslavia-Lipsia, 1704
Attribuzione incerta

BWV Anh. 40 - Ich bin nun wie ich bin

Lied in re maggiore per clavicembalo


Organico: clavicembalo
Composizione: 1734 circa
Edizione: in Sperontes, Singende Muse, Lipsia, 1736
Attribuzione incerta

BWV Anh. 41 - Dir zu liebe, wertes Herze

Lied in si bemolle maggiore per voce e clavicembalo


Testo: Sperontes (Johann Sigismund Scholze)
Organico: voce, clavicembalo
Composizione: 1734 circa
Edizione: in Sperontes, Singende Muse, Lipsia, 1736
Attribuzione incerta

BWV Anh. 42 - Fuga in Fa maggiore

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 43 - Fuga in Si minore

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

BWV Anh. 44 - Fuga in Sol maggiore

Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Peter Kellner o Johann Christoph Kellne

BWV Anh. 45 - Fuga in Si♭ maggiore

sul tema B-A-C-H


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Justin Heinrich Knecht

BWV Anh. 46 - Trio in Do minore


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Tobias Krebs

BWV Anh. 47 - Ach Herr, mich armen Sünder

Corale in la minore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Peter Kellner

BWV Anh. 48 - Allein Gott in der Höh' sei Ehr

Corale in sol maggiore pèer organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 49 - Ein feste Burg ist unser Gott

Corale in do maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 50 - Erhalt uns, Herr, bei deinem Wort

Corale in la minore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 51 - Erstanden ist der heilige Christ

Corale in do maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 52 - Freu dich sehr, o meine Seele

Corale in sol maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta
BWV Anh. 53 - Freu dich sehr, o meine Seele

Corale in sol maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta, forse composizione di Melchior Hoffmann

BWV Anh. 54 - Helft mir Gottes Güte preisen

Corale in si minore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 55 - Herr Christ, der ein'ge Gottes Sohn

Corale in sol maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: 1714 - 1717
Attribuzione incerta

BWV Anh. 56 - Herr Jesu Christ, dich zu uns wend'

Corale in sol maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Georg Philipp Telemann

BWV Anh. 57 - Jesu Leiden, Pein und Tod

Corale in mi bemolle maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Peters, Lipsia, 1881
Attribuzione errata, composizione di Johann Caspar Voglet

BWV Anh. 58 - Jesu, meine Freude

Corale in sol minore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 59 - Jesu, meine Freude

Corale in re minore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
attribuzione incerta

BWV Anh. 60 - Nun lob', mein' Seel', den Herren

Corale in do maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Gottfried Walther

BWV Anh. 61 - O Mensch, bewein' dein' Sünde groß

Corale in fa maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Pachelbel

BWV Anh. 62a - Sei Lob und Ehr' mit hohem Preis

Corale in fa maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 62b - Sei Lob und Ehr' mit hohem Preis

Corale in fa maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
attribuzione incerta

BWV Anh. 63 - Von Himmel hoch, da komm' ich her

Corale in re maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 64 - Von Himmel hoch, da komm' ich her

Corale in do maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 65 - Von Himmel hoch, da komm' ich her


Corale in do maggiore per organo
Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 66 - Wachet auf, ruft uns die Stimme

Corale in do maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 67 - Was Gott tut, das ist wohlgetan

Corale in sol maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 68 - Wer nur den lieben Gott lässt walten

Corale in si maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 69 - Wir glauben all'an einen Gott

https://www.youtube.com/watch?v=8lo5nsj4gmg

Corale in fa maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 70 - Wir glauben all'an einen Gott

Corale in re minore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 71 - Wo Gott, der Herr, nicht bei uns hält

Spostato a BWV 1128

BWV Anh. 72 - Canone


Corale in sol minore per organo
Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 73 – Ich ruf' du dir, Herr Jesu Christ (forse di Carl Philipp Emanuel Bach)

Corale in fa minore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta, forse composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

BWV Anh. 74 – Schmücke dich, o liebe Seele (forse di Gottfried August Homilius)

Corale in fa maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Gottfried August Homilius

BWV Anh. 75 – Herr Christ, der ein'ge Gottes Sohn

Corale in fa diesis minore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta
Basso numerato di accompagnamento al Corale BWV 601

BWV Anh. 76 – Jesu Meine Freude

Corale in mi minore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 77 - Herr Christ, der ein'ge Gottes Sohn

Corale in fa maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: 1718 circa
Attribuzione incerta

BWV Anh. 78 - Wenn wir in höchsten Noten sein

https://www.youtube.com/watch?v=taZMRGGF90A

Corale in sol maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 79 - Befiehl du deine Wege

https://www.youtube.com/watch?v=3V0qMCKYFpc

Corale in fa maggiore per organo


Organico: organo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 80

Suite in fa maggiore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 81

Giga in do maggiore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Incompleta, attribuzione incerta

BWV Anh. 82

Chaconne in si bemolle maggiore


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Bernhard Bach

BWV Anh. 83

Ciaccona in la maggiore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Bernhard Bach

BWV Anh. 84 1727

Chaconne in sol maggiore


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Bernhard Bach
BWV Anh. 85

Toccata in fa minore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Bote & Bock, Berlino, 1839
Attribuzione incerta

BWV Anh. 86

https://www.youtube.com/watch?v=qiOqqt3IYUM

Fantasia in do minore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione incerta

BWV Anh. 87

Fantasia in do maggiore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Incompleta, attribuzione incerta

BWV Anh. 88

Fuga in do maggiore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di Johann Christoph Kellner

BWV Anh. 89

Fuga in do maggiore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione incerta

BWV Anh.90 1704

Fuga in do maggiore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

BWV Anh. 91

Fuga in sol maggiore


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione incerta

BWV Anh. 92

Fuga in sol maggiore


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione incerta

BWV Anh. 93

Fuga in mi minore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione incerta

BWV Anh. 94

Fuga in mi minore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di Johann Philipp Kirnberger

BWV Anh. 95

Fuga in mi minore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione incerta

BWV Anh. 96

Fuga in re maggiore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione incerta

BWV Anh. 97

Fuga in fa diesis maggiore


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di Johann Ludwig Krebs

BWV Anh. 98

Fuga in re minore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

BWV Anh. 99

Fuga in re minore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

BWV Anh. 100

Fuga in re minore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

BWV Anh. 101

Fuga in sol minore


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione incerta

BWV Anh. 102

Fuga in sol bemolle maggiore


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione incerta

BWV Anh. 103

Fuga in la minore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di George Frideric Handel

BWV Anh. 104

Fuga in do minore
Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di George Frideric Handel

BWV Anh. 105

Fuga in si bemolle maggiore


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di George Frideric Handel

BWV Anh. 106

Fuga in sol minore


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
Attribuzione errata, composizione di George Frideric Handel

BWV Anh. 107 - Fuga

https://www.youtube.com/watch?v=63hVpICNlVc

Sul tema B-A-C-H


Organico: clavicembalo
Composizione: 1707 circa
Attribuzione errata, composizione di Georg Andreas Sorge

BWV Anh. 108 - Fuga


Sul tema B-A-C-H
Organico: clavicembalo
Composizione: 1707 circa
Attribuzione errata, composizione di Georg Andreas Sorge o Carl Philipp Emanuel Bach

BWV Anh. 109 - Fuga

Sul tema B-A-C-H


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 110 - Fuga

Sul tema B-A-C-H


Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta, forse composizione di Georg Andreas Sorge

BWV Anh. 111 - Largo e allegro

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 112 - Grave

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione errata, composizione di Johann Philipp Kirnberger

Piccolo libro di Anna Magdalen Bach

https://it.wikipedia.org/wiki/Piccolo_libro_di_Anna_Magdalena_Bach

https://www.youtube.com/watch?v=pA4krKDTJFk+

https://www.youtube.com/watch?
v=W6JRz3TsjJ8&list=PLmlRszoearANsaNspQjUVttaEjfBrB0uu

https://www.youtube.com/watch?v=1zh5QHnGYRs

BWV Anh. 113 - Minuetto

https://www.youtube.com/watch?v=-OqSGhlsdgQ
Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 3 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione incerta

BWV Anh. 114 - Minuetto (attribuito a Christian Petzold)

https://www.youtube.com/watch?v=p1gGxpitLO8

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 4 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di Christian Pezold

BWV Anh. 115 - Minuetto (attribuito a Christian Petzold)

https://www.youtube.com/watch?v=llZxwf8Dq4w

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 5 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di Christian Pezold

BWV Anh. 116 - Minuetto

https://www.youtube.com/watch?v=KG0-1qXRPpI

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
n. 7 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione incerta

BWV Anh. 117 - Polonaise in fa maggiore

https://www.youtube.com/watch?v=KyR_oK4Tm5M

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
n. 8a dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione incerta

BWV Anh. 117a - Minuetto


https://www.youtube.com/watch?v=W_ZWH7wGB1M

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
n. 8a dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Versione alternativa della Polonaise Anh. 117
Attribuzione incerta

BWV Anh. 118 - Minuetto

https://www.youtube.com/watch?v=uPOZKPBVhLM

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
n. 9 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione incerta

BWV Anh. 119 - Polonaise

https://www.youtube.com/watch?v=H-Mx8xvuIrY

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
n. 10 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione incerta, forse composta da Carl Philipp Emanuel Bach

BWV Anh. 120 - Minuetto

https://www.youtube.com/watch?v=-v5tAtl2KjQ

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
n. 14 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione incerta

BWV Anh. 121 - Minuetto

https://www.youtube.com/watch?v=JActE7X3TGw

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
n. 15 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione incerta

BWV Anh. 122 - Marcia (di Carl Philipp Emanuel Bach)

https://www.youtube.com/watch?v=zm3aF8vzy-4

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 16 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

BWV Anh. 123 - Polonaise (di Carl Philipp Emanuel Bach)

https://www.youtube.com/watch?v=CD_AwTxSma8

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 17 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di Johann Christian Bach

BWV Anh. 124 - Marcia (di Carl Philipp Emanuel Bach)

https://www.youtube.com/watch?v=OMcKno6u0Qk

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 18 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di Johann Christian Bach

BWV Anh. 125 - Polonaise (di Carl Philipp Emanuel Bach)

https://www.youtube.com/watch?v=dDZBUZvkjgs

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 19 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di Johann Christian Bach

BWV Anh. 126 - Musette

https://www.youtube.com/watch?v=cBjjfUexPCA
Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 22 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione incerta

BWV Anh. 127 - Marcia

https://www.youtube.com/watch?v=-_6JYI6H1C8

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 23 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di autore ignoto

BWV Anh. 128 - Polonaise

https://www.youtube.com/watch?v=1_kE609bA7g

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 24 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione incerta

BWV Anh. 129 - Solo (di Carl Philipp Emanuel Bach)

https://www.youtube.com/watch?v=3tlr1P0b2bE

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 27 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di Carl Philipp Emanuel Bach

BWV Anh. 130 - Polonaise (di Johann Adolph Hasse)

https://www.youtube.com/watch?v=0ZQrn8WM5p0

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 28 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di Johann Adolf Hasse
BWV Anh. 131 - Movimento

https://www.youtube.com/watch?v=V4qvPNBd-cs

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 32 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di Johann Christian Bach

BWV Anh. 132 - Minuetto

https://www.youtube.com/watch?v=-qiU-TMQsjE

Organico: clavicembalo
Composizione: 1725
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1894
N. 36 dell'Anna Magdalena Bach Notebook (1725)
Attribuzione errata, composizione di autore ignoto

Altre composizioni dubbie

BWV Anh. 133 - Fantasia (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 134 - Scherzo (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 135 - Buslesca (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 136 - Trio (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 137 - L'Intrada della Caccia (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 138 - Continuazione della Caccia (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 139 - Il Fine delle Caccia - I (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 140 - Il Fine delle Caccia - II (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 141 - O Gott die Christenhalt (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 142 - Salmo 110 (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 143 - Polonaise (forse di Wilhelm Friedemann Bach)


Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 144 - Polonaise in trio (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 145 - Marcia (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 146 - Marcia (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 147 - La Combattuta (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 148 - Scherzo (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 149 - Minuetto (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach
BWV Anh. 150 - Trio (forse di Wilhelm Friedemann Bach)

Organico: carillon
Composizione: data sconosciuta
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1897
Attribuzione errata, composizione di Wilhelm Friedemann Bach

BWV Anh. 151 - Concerto

Organico: violino, continuo


Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 152 - Concerto

Organico: clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 153 - Sonata

Organico: violino, continuo


Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 154

Sonata in mi bemolle maggiore per violino e clavicembalo


Organico: violino, clavicembalo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

BWV Anh. 155

Concerto in la maggiore per clavicembalo


Organico: clavicembalo, 2 violini, viola, continuo
Composizione: data sconosciuta
Attribuzione incerta

Composizioni erroneamente attribuite

BWV Anh. 156 - Herr Christ der ein'ge Gottessohn (di Georg Philipp Telemann)
BWV Anh. 157 - Ich habe Lust zu scheiden (di Georg Philipp Telemann)
BWV Anh. 158 - Andrò dal colle al prato (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 159 - Ich lasse dich nicht, du segnest mich denn (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 160 - Jauchzet dem Herrn, alle Welt (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 161 - Kündlich groß ist das gottselige Geheimnis (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 162 - Lob und Ehre und Weishelt und Dank (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 163 - Merk auf, mein Herz, und sieh dorthin (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 164 - Nun danket alle Gott (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 165 - Unser Wandel ist im Himmel (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 169 - Erbauliche Gedanken auf den Grünen Donnerstag (perduta)
BWV Anh. 177 - Preludio e fuga (di Johann Christoph Bach)
BWV Anh. 178 - Toccata quasi fantasia con fuga (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 179 - Fantasia (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 180 - Fuga (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 181 - Fuga (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 182 - Passacaglia (di Christian Friedrich Witt)
BWV Anh. 183 - Rondò (di François Couperin)
BWV Anh. 184 - Sonata (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 185 - Sonata (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 186 - Sonata (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 187 - Trio (erroneamente attribuito)
BWV Anh. 188 - Sonata (concerto) per due tastiere (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 189 - Concerto in La minore (erroneamente attribuita)
BWV Anh. 190 - Ich bin ein Pilgrim auf der Welt (perduta)
BWV Anh. 191 - Leb' ich oder leb' ich nicht (perduta)
BWV Anh. 192 - Cantata dal titolo sconosciuto (perduta)
BWV Anh. 193 - Herrscher des Himmels, König der Ehren (perduta)
BWV Anh. 194 - Cantata dal titolo sconosciuto (perduta)
BWV Anh. 195 - Murmelt nur, ihr heitern Bäche (perduta)
BWV Anh. 196 - Auf, süß entzückende Gewalt (perduta)
BWV Anh. 197 - Ihr wallenden Wolken (perduta)
BWV Anh. 198 - Cantata dal titolo sconosciuto (perduta)
BWV Anh. 199 - Siehe, eine Jungfrau ist schwanger (perduta)
BWV Anh. 200 - O Traurigkeit, o Herzeleid, in Fa minore (frammento di due battute)
BWV Anh. 201 - Du Friedefuerst, Herr Jesu Christ (di Daniel Vetter)
BWV Anh. 202 - Gott hat das Evangelium (di Daniel Vetter)
BWV Anh. 203 - Ich hebe meine Augen auf (di Daniel Vetter)
BWV Anh. 204 - O Traurigkeit, o Herzeleid (di Daniel Vetter)
BWV Anh. 205 - Fantasia in Do minore per organo
BWV Anh. 206 - Ach bleib mit deiner Gnade / Christus, der ist mein Leben, preludio corale
per organo (di Johann Pachelbel)
BWV Anh. 207 - Fuga in mi minore per clavicembalo (di Josef Seger)
BWV Anh. 208 - Fuga in mi♭ minore per clavicembalo (di Johann Ernst Eberlin)
BWV Anh. 209 - Liebster Gott, vergisst du mich (perduta)
BWV Anh. 210 - Wo sind meine Wunderwerke (perduta)
BWV Anh. 211 - Der Herr ist freundlich dem, der auf ihn harret (perduta)
BWV Anh. 212 - Vergnügende Flammen, verdoppelt die Macht (perduta)
BWV Anh. 213 - Concerto in fa maggiore (perduto)

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