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Claude Debussy

(St. Germain-en-Laye, 22 agosto 1862 - Parigi, 26 marzo 1918)

Catalogo delle composizioni


suddiviso per generi musicali

In questa pagina è riportato il catalogo delle composizioni di Claude Debussy suddiviso per generi
musicali.
Per semplificare la consultazione si è cercato di raggruppare i lavori in gruppi omogenei senza
rispettare la numerazione del catalogo. Sono state volutamente omesse le composizioni perdute, i
lavori scolastici, le rielaborazioni di lavori di altri autori, le composizioni non finite e quelle di
dubbia attribuzione.

https://www.youtube.com/watch?v=OUx6ZY60uiI

https://www.youtube.com/watch?v=1Oa-dvRuc-Q

2a E 1a Ed. Anno

Composizioni per orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=xqPMAlnbk30

46 (50) 1883

Première suite per orchestra


Trascrizione di frammenti per pianoforte

Fête
Ballet
Rêve
Bacchanale

Organico: 3 flauti, 3 oboi, 2 clarinetti, 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, 2
percussioni, 2 arpe, archi
Composizione: 24 gennaio 1883
Edizione: inedito

68 (61) 1887

Printemps
Suite sinfonica per orchestra
https://www.youtube.com/watch?v=KOxFwRiWnqA

https://www.youtube.com/watch?v=pmdXKxrMedo

Très modéré
Modéré

Organico: 2 flauti, oboe, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, piatti,
arpa, pianoforte a 4 mani, archi
Composizione: Roma, febbraio 1887
Edizione: Choudens, Parigi, 1913
Dedica: Auguste Durand

Guida all'ascolto (nota 1)

Durante i due anni (1885-1887) trascorsi ospite di Villa Medici per aver vinto il Prix de Rome,
Debussy scrisse, secondo quanto prescriveva il regolamento, almeno quattro pezzi in gran parte
sconosciuti e che rappresentano l'inizio di quel suo nuovo modo di comporre che fu definito e
catalogato sotto l'etichetta di impressionismo. Dell'ode sinfonica Zuleima su versi di Heine non si
sa nulla, all'infuori del giudizio negativo espresso dai dirigenti del "pensionato" di Roma; un po'
più conosciuta è la Fantasia per piano e orchestra pubblicata però nel 1919, dopo la morte
dell'autore. Le'a¬tre due composizioni di quel periodo sono il poema Printemps, basato su una
versione per canto e due pianoforti e orchestrato nel 1913 in una suite sinfonica da Henri Büsser
(la prima esecuzione ebbe luogo a Parigi il 18 aprile del 1913) e il poema lirico per coro e
orchestra La demoiselle élue, in buona parte composto a Parigi dopo la parentesi della "vita di
caserma" trascorsa a Roma. In quest'ultimo poema su testo del preraffaellita Dante Gabriele
Rossetti la musica del Parsifal di Wagner proietta la sua ombra su un paesaggio melodico alla
Massenet.

Printemps fu scritto nel 1887, nel ricordo della "Primavera" di Botticelli ammirata da Debussy in
una visita a Firenze. Naturalmente non c'è nulla di descrittivo in questo pezzo, in cui il musicista -
sono le sue parole - ha voluto esprimere «la nascita lenta e sofferta di tutte le cose della natura e la
maturazione progressiva che sfocia in un'esplosione di gioia, nella rinascita di una nuova vita».
Questo secondo "envoi de Rome" si lascia ammirare per la morbidezza delle sonorità e per certe
notazioni costruite sulla scala pentatonica, lontane dalla tonalità tradizionalmente classica. Non
per nulla gli accademici di Villa Medici non fecero buon viso a questa composizione che mostrava
in modo accentuato «la ricerca dell'insolito, dello stravagante» e soprattutto vollero mettere in
guardia Debussy «musicista così dotato, contro quel vago impressionismo che è uno dei più
pericolosi nemici della verità nell'opera d'arte».

Printemps si articola in due movimenti, strettamente connessi fra di loro. Il primo (Très modéré) si
apre con una frase melodica molto dolce e ricca di modulazioni armoniche che si richiamano alla
lezione di Massenet. L'orchestra si irrobustisce e si espande con gradevoli impasti strumentali:
rilevante il gioco dell'arpa e del pianoforte a quattro mani. Ritorna la frase d'inizio e, dopo lo
sviluppo, tutto si spegne in un Lento molto espressivo. Il secondo movimento (Modéré) attacca
con un tema dai colori vivaci e ritmicamente vibrato, tale da far pensare alla celebre partitura de
La mer che sarebbe apparsa nel 1905. Una frase danzante (il tempo è Scherzando) conduce ad una
esaltazione strumentale di straordinaria efficacia con un crescendo in fortissimo. L'orchestra è
piuttosto densa e di ampio respiro; in essa spiccano i quattro corni in fa, i tre tromboni e il
pianoforte a quattro mani.

Ennio Melchiorre

72 (73) 1889 - 1890

Fantaisie per pianoforte e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=ssNrNxUovqE

https://www.youtube.com/watch?v=5lJxxlttfSc

https://www.youtube.com/watch?v=90tnN6N0eOs

Andante ma non troppo (sol maggiore)


Lento e molto espressivo (fa diesis maggiore)
Allegro molto (sol maggiore)

Organico: pianoforte, 3 flauti, 3 oboi, 3 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, timpani,
piatti, 2 arpe (2 ad libitum), archi
Composizione: ottobre 1889 - aprile 1890
Prima esecuzione: Londra, Royal Philarmonic Society, 20 novembre 1919
Edizione: Fromont, Parigi, 1920
Dedica: René Chansarel

83a (77) 1893 - 1908

Marche écossaise sur un thème populaire


Versione per orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=d3XXSE-udnA

Organico: 3 flauti, 3 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani,


percussioni, arpa, archi
Composizione: 1893 - 1908
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 22 ottobre 1913
Edizione: Jobert, Parigi, 1911
Dedica: marcia degli antichi conti di Ross, dedicata al loro discendente generale Meredith Read,
grancroce dell'ordine del Redentore

87 (86) 1891 - 1894

Prélude a l'après-midi d'un faune


per orchestra ispirato da Stéphane Mallarmé
https://www.youtube.com/watch?v=AOd2rHWvDlk

https://www.youtube.com/watch?v=6SHBek8BONQ

https://www.youtube.com/watch?v=EvnRC7tSX50

https://www.youtube.com/watch?v=ENgJa3Xf6XI

https://www.youtube.com/watch?v=X7rtImnDkEc

Prélude (mi maggiore)

Organico: 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 arpe, crotali, archi
Composizione: 1891 - settembre 1894
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 22 dicembre 1894
Edizione: Fromont, Parigi, 1895
Dedica: Raymond Bonheur

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Già nel Prélude a l'après-midi d'un faune (1892-94), primo capolavoro sinfonico di Debussy
(eseguito per la prima volta a Parigi il 22 dicembre 1894, direttore Gustave Doret), la novità e la
libertà della concezione hanno suscitato analisi differenti sfuggendo a una convenzionale
schematizzazione.

La fluida continuità senza cesure nette maschera l'articolazione del succedersi delle sezioni in una
costruzione di carattere elusivo, non più interpretabile secondo schemi tramandati, eppure a essi in
qualche misura riferibile. Fa parte della specìfica suggestione del Prélude (e del suo collocarsi in
una posizione liminare) il coesistere, fondersi, intrecciarsi di reminiscenze (per lo più allusive, e
non sempre nitidamente afferrabili) e del profilarsi di un pensiero musicale nuovo. Il cangiare del
colore, il succedersi delle intuizioni armonico-timbriche assumono un peso formale decisivo, e le
trasformazioni del suono tendono a fondare una logica nuova, che si sostituisce a quella della
elaborazione tematica.

La melodia del flauto, all'inizio, si profila senza accompagnamento, sospesa, «così carica di
voluttà da divenire angosciosa» (Jankélévitch), di incerta definizione tonale. Il «respiro nuovo»
che Boulez sottolineò in questa frase è degno davvero della «sonora, vana e monotona linea»
creata dal fauno di Mallarmé sul suo strumento: un arabesco che si libra struggente in un vuoto, in
una totale assenza di certezze. Iniziando sempre con la stessa nota, che ogni volta fa parte di
un'armonia diversa e assume nuovi colori, il flauto ripete la sua melodia in situazioni instabili e
mutevoli, proponendone sottili varianti, che si collegano con logica intuitiva e a poco a poco si
discostano dall'effetto di libera, indeterminata, sospesa improvvisazione suggerito dalle prime
battute. Le idee che si presentano poi nel corso del pezzo si rivelano affini alla melodia iniziale e
possono essere considerate sue derivazioni, dai profili sempre più precisi, fino al momento in cui,
esattamente a metà del pezzo, viene presentata una lirica idea in re bemolle maggiore (non
immemore forse del Notturno op. 27 n. 2 di Chopin) dal gesto intenso ed espansivo. La sezione
centrale, preceduta da un primo «sviluppo», rappresenta nel Prélude il momento meno lontano da
echi del passato, fra l'altro wagneriani, ed è caratterizzata dalla tensione di grandi archi melodici e
da procedimenti armonici concatenati secondo una logica più familiare: poi si ha un nuovo
«sviluppo» e una sorta di ripresa sensibilmente variata.

Essa sfocia in una coda che si spegne e dissolve con la massima delicatezza in un'atmosfera
sospesa, come se la musica tornasse all'ombra e al silenzio misteriosamente, come ne era uscita:
davvero nel Prélude Debussy appare idealmente più vicino a Mallarmé proprio dove trova gli
accenti più inconfondibilmente personali.

Paolo Petazzi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Prélude a l'après-midi d'un faune, brano ormai famosissimo e popolare, ispirato ad una poesia di
Stephane Mallarmé immersa «dans la nostalgie e dans la lumière, avec finesse, avec malaise, avec
richesse», fu composto da Debussy tra il 1892 e il 1894 e doveva formare il primo pezzo di un
trittico (Preludio-Interludio-Parafrasi finale). Rimase solo il Prélude che venne presentato in prima
esecuzione il 22 dicembre 1894 alla "Sociétè Nationale" di Parigi sotto la direzione di Gustave
Doret: ottenne un successo immediato, tanto da essere replicato come bis. Non mancarono delle
critiche a livello di professori di Conservatorio e uno di essi ebbe a pronunciare un giudizio
rimasto storico. «C'est une sauce sans lièvre» (è una salsa senza lepre), disse, perché nel preludio
debussiano non ci sarebbe un tema e uno sviluppo tematico, ma soltanto una indefinibile
modulazione della frase melodica. Lo stesso Mallarmé, dopo un primo istante di sorpresa,
apprezzò la pagina di Debussy, al quale inviò un esemplare del suo poema, corredato dal seguente
commento: «Questa musica prolunga l'emozione del mio poema e ne fissa lo scenario più
appassionatamente del colore».

Formalmente la composizione è semplice e lineare e si basa su due temi: il primo pungentemente


sensuale, enunciato dal flauto solo, in base ad una idea straordinariamente originale del musicista,
il secondo cantato dai legni e tonalmente più definito. Man mano si distende una voce più viva e
infuocata che avvolge "les sommeils touffus" del fauno tra le dissolvenze danzanti delle procaci
ninfe, Si allarga il respiro dell'orchestra sino a quando ritorna il tema del flauto, ancora più
penetrante e incantevole, e alla fine due corni con sordina raccolgono i frammenti del primo
motivo sul dolce accompagnamento delle arpe.

È un pezzo che ancora oggi conserva intatto il suo fascino e non occorrono molte parole per
spiegare il suo profondo valore musicale. Boulez ne ha fatta un'analisi sintetica e precisa, che vale
la pena di rileggere: «Il flauto del Faune instaura una respirazione nuova dell'arte musicale; l'arte
dello sviluppo viene sconvolta ma non quanto il concetto stesso della forma, che liberato dalle
costrizioni impersonali dello schema, dà libero corso ad una espressività sciolta e mobile, ed esige
una tecnica di adeguamento perfetta e istantanea. L'impiego dei timbri appare essenzialmente
nuovo, di una delicatezza e sicurezza di tocco eccezionali; l'impiego di certi strumenti, flauto,
corno o arpa, riveste le caratteristiche principali della maniera che Debussy userà poi nelle sue
opere ulteriori; la scrittura dei legni e degli ottoni di una leggerezza incomparabile, realizza un
miracolo di dosaggio, di equilibrio e di trasparenza.
Questa partitura possiede un potenziale di giovinezza che sfida l'esaurimento o la caducità; e come
la poesia moderna ha sicuramente le sue radici in certi poemi di Baudelaire, si può dire con
fondatezza che la musica moderna si sveglia nell'Après-midi d'un faune».

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Fra le tante definizioni che una certa letteratura critica si sforza di coniare per questo o
quell'artista, l'appellativo di «musicista dei poeti» attribuito a Debussy sembra contenere una
qualche verità e mantenere una sua validità, se non altro in un senso puramente descrittivo. Tutta
la parabola creativa di Debussy è difatti accompagnata da una vera miriade di letterati, quasi
sempre illustri, fra i quali ricordiamo Baudelaire, Musset, Verlaine, D'Annunzio, Mallarmé, Villon
che con i loro versi offrirono occasione per numerose composizioni, per lo più «Mélodies» per
canto e pianoforte, ma anche partiture sinfoniche, come «Le martyre de Saint Sébastien» e il
«Prélude à l'après-midi d'un faune». Presenza non occasionale, questa dei poeti, nella vita di
Debussy, poiché è a contatto con essi, soprattutto con i Simbolisti e con Verlaine, che il musicista
scopre la sua più autentica vocazione, rifuggendo dalla retorica sentimentale e dai temi eroici di
ascendenza wagneriana. Nel dar rilievo musicale alla leggerezza danzante delle figure
settecentesche evocate da Verlaine, ai suoi «acquarelli» paesistici, alle sue fuggevoli sensazioni e
delicati affetti, Debussy precisa la sua ispirazione letterario-pittorica, quel suo guardare
«attraverso le finestre sul libero cielo», inaugurando nella lirica da camera, prima che sul
pianoforte e nell'orchestra, quell'«impressionismo» del quale verrà poi indicato - a torto o a
ragione - come maestro. È appunto il «Prélude à l'après-midi d'un faune», composto tra il 1892 e il
1894 che inaugura nel repertorio sinfonico l'impressionismo musicale. Debussy aveva letta una
egloga scritta nel 1876 da Mallarmé: ne è protagonista un fauno che in un assolato - pomeriggio
rievoca il rapimento di due ninfe. Il ricordo lo esalta a poco a poco; ma è soltanto un sogno e con
l'avvicinarsi del tramonto il fauno si placa e cade in una calma profonda. Per questa egloga
Debussy aveva progettato di scrivere un Preludio, un Interludio e una Parafrasi; ma il disegno
iniziale si limitò al primo pezzo che, eseguito il 23 dicembre 1894 alla Société Nationale de
Musique, ottenne un successo tanto caloroso che fu interamente bissato.

Può essere di un certo interesse ricordare che Mallarmé aveva nei riguardi della musica opinioni
abbastanza singolari: «La musica — scriveva — senza la letteratura è come una nebbia sottile... un
incanto vano, se la lingua, con il vigore e lo slancio purificatori del canto, non gli desse un senso».
Ma di fronte all'opera di Debussy ogni riserva cadde: «Non mi aspettavo niente di simile. —
dichiarò al musicista — Questa musica prolunga l'emozione della mia poesia e ne definisce
l'ambiente più intensamente del colore».

La musica di Debussy dipende, si, dalla poesia di Mallarmé, ma come dato ispirativo iniziale e
come vaga suggestione ambientale: l'assunzione del flauto come «protagonista» è un evidente
omaggio alla tradizione bucolica; la composizione, procedendo da un assolo del flauto a un
momento di calda esaltazione per poi dissolversi in sonorità morbide ed estenuate, risponde al
clima dell'estasi erotica e alla successiva estenuazione del fauno, come sono cantate nei versi del
poeta. Ma quello che stupi e stupisce tuttora è l'assoluta libertà della costruzione (tutta la partitura
è basata praticamente su due temi, dei quali quello iniziale affidato al flauto ritorna a più riprese,
pressoché identico, quasi idea fissa, anima del fauno), l'inedita ricchezza timbrica (gli strumenti
sono tutti trattati solisticamente, come linee di colore, rifuggendo dalle dense sovrapposizioni
dell'orchestra wagneriana), la morbidezza delle armonie (si noti la costante presenza delle due
arpe, tipici strumenti «modulanti»): tutti elementi convogliati a riprodurre in musica
un'impressione di «plein air» e un caldo rigoglio sensuale pressoché sconosciuti alla tradizione
sinfonica ottocentesca.

Con quest'opera, Debussy poneva le basi per l'impiego moderno dello strumento orchestrale: si
rifletta alla sensazione del lento scorrere del tempo che la partitura debussiana suggerisce
(l'intuizione dello spazio-tempo) e, per altro verso, alla straordinaria fortuna arrisa al flauto nel
Novecento e che deriva dalla riscoperta come strumento solista che Debussy ne ha fatto in questo
«Prélude» (e poi ancora in «Syrinx» e nella «Sonata per flauto, viola e arpa»).

Il «Prélude à l'après-midi d'un faune» prevede un organico costituito da tre flauti, due oboi, corno
inglese, due clarinetti in la, due fagotti, quattro corni, cimbali antichi, due arpe, archi.

Cesare Orselli

92 (83) 1892 - 1893

Tre scene al crepuscolo


Schizzi per orchestra ispirati da una serie di poesie di Henri de Régnier

Organico: sconosciuto
Composizione: 1892 - 1893
Incompiuto, restano solo degli schizzi

98 (91) 1897 - 1899

Nocturnes
Trittico sinfonico per coro femminile e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=spXwXLqFLvs

98 n. 1 (91 n. 1) 1897 - 1899

1. Nuages

https://www.youtube.com/watch?v=nlLbAUX43PM

Nuages - Modéré (si minore)

Organico: 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 cors, timpani, arpa, archi
Composizione: dicembre 1897 - dicembre 1899
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Lamoureux, 9 dicembre 1900
Edizione: Fromont, Parigi, 1900
Dedica: Georges Hartmann
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Sui Nocturnes Debussy scrisse questo testo di presentazione: «Il titolo Nocturnes vuole assumere
qui un significato più generale e soprattutto più decorativo. Non si tratta dunque della forma
abituale del Notturno, ma di tutto ciò che la parola contiene di impressioni e di luci particolari.
Nuages: è l'aspetto immutabile del cielo con la lenta e malinconica processione delle nuvole, che
termina in una grigia agonia dolcemente tinta di bianco. Fétes: è il movimento, il ritmo danzante
dell'atmosfera con bagliori di luce improvvisa, è anche l'episodio di un corteo (visione abbagliante
e chimerica) che passa attraverso la festa e vi si confonde; ma il fondo rimane, ostinato, ed è
sempre la festa con la sua mescolanza di musica, di polvere luminosa, che partecipa a un ritmo
totale. Sirènes: è il mare e il suo ritmo innumerevole, poi, tra le onde argentate di luna, si ode, ride
e passa il canto misterioso delle sirene». Il titolo dunque ha un significato non tradizionale, e vuoi
evocare «impressioni e luci particolari»: non si allude più ad alcuna «azione», nemmeno a quella
incerta, sospesa fra sogno e realtà, delle voluttuose fantasie del fauno. All'ascoltatore non viene
proposto né un «programma» né un riferimento formale noto: si suggerisce una dimensione senza
luogo e senza tempo, in una luce incerta come quella del crepuscolo. Si può capire l'irritazione di
Vincent D'Indy quando lamentava l'impossibilità di inserire i Nocturnes in una categoria
tradizionale: «Sonata. Niente affatto... Suite. Neppure. Poema sinfonico. Nonostante i titoli...,
nomi assai vaghi, nessun programma letterario, nessuna spiegazione di ordine drammatico può
autorizzare i mutamenti improvvisi di tonalità e le escursioni tematiche piacevoli, ma non
coordinate di questi tre pezzi...».

In Nuages non c'è davvero più traccia di percorsi che conducano da un punto a un altro secondo
una logica discorsiva, che «tendano» a un punto d'arrivo o a un culmine. In un tempo musicale che
si definisce con un significato nuovo la forma appare costruita, per così dire, con il movimento di
superfici sonore dai colori cangianti, dalle mutevoli sfumature timbrico-armoniche. La
tripartizione che si coglie anche a un semplice primo ascolto non ha nulla a che vedere né con uno
schema esposizione-sviluppo-ripresa né con altri tipi di forme legate alla successione ABA'.
Nuages inizia con un andamento quieto e uniforme (singolarmente affine a quello delle prime
battute di una lirica di Mussorgskij, la terza del ciclo Senza sole): sonorità grigie e vuote sono
evocate da clarinetti e fagotti con un andamento ostinato che si interrompe quando per la prima
volta il corno inglese intona il tema principale, che non conoscerà mai sviluppo, e riapparirà ogni
volta quasi identico a se stesso, oggetto solo di piccole, ma raffinatissime varianti.

Lo svolgimento della prima parte di Nuages dovrebbe essere descritto seguendo momento per
momento il succedersi delle intuizioni timbriche, delle combinazioni strumentali, delle armonie, il
trascolorare delle superfici sonore, il mutare della luce. Solo con molta approssimazione si
potrebbe paragonare a uno sviluppo la sezione che inizia alla battuta 32. Dopo 63 battute il flauto
e l'arpa all'unisono introducono un nuovo tema. Il tempo diviene «un peu animé», ma l'andamento
fondamentale resta lo stesso e l'effetto non è quello del contrasto segnato dalla sezione centrale di
un pezzo tripartito: ci troviamo di fronte semplicemente a un nuovo episodio, a nuovi colori, ad
altre luci. E così quando riascoltiamo il tema del corno inglese, questo ritorno non produce l'effetto
di una ripresa (che sarebbe comunque troppo breve e frammentata). Il frammentario ritorno di
diversi elementi, quasi disfatti in un lento trascolorare, evoca il riapparire dell'ombra, il dissolversi
in un tempo sospeso, così che il movimento circolare del pezzo sembra aprirsi a suggerire una
prosecuzione infinita.
Fétes presenta una tripartizione nettamente riconoscibile, fondata su una molteplicità di elementi,
su una mobilità e una varietà lontane dalla sospesa stupefazione di Nuages. In un flusso continuo,
in un ritmo incalzante, in un discorso mobilmente frammentato si collegano elementi tematici
diversi, suggerendo uno spazio musicale segnato quasi da continui mutamenti di direzione, uno
svolgimento non lineare. Tutto appare irreale e la visione suscita l'impressione di essere ora
vicinissima, ora lontana, in un arcano gioco di subitanei mutamenti (di tempo, di dinamica, di
situazioni timbriche). Ne potremo indicare soltanto alcuni aspetti.

Su un nervoso ostinato ritmico corno inglese e clarinetti presentano il tema principale della prima
parte, con carattere di farandola; ma subito le trombe anticipano per un istante, in ritmo diverso, la
fanfara della sezione centrale. Poco oltre un appello degli ottoni segna una prima cesura.

Si profila un nuovo ostinato ritmico «un poco più animato» (con l'alternanza di 15/8 e 9/8); ritorna
il tema di farandola; poi si profila un secondo tema all'oboe e la sua prosecuzione sopra un intenso
controcanto degli archi dà vita a una complessa sovrapposizione di ritmi e metri. Questa sezione si
conclude bruscamente al culmine di un crescendo. Nella parte centrale la «visione abbagliante e
chimerica» del corteo è introdotta da una fanfara che man mano sembra avvicinarsi (mentre cresce
anche la densità, con la sovrapposizione del tema di fanfara a quello di farandola) per giungere al
culmine e dissolversi d'un tratto nella «ripresa», profondamente trasformata, che inizia con il tema
di farandola. Una coda dai colori più tenui si immerge nel silenzio tra brevi, frammentati echi,
sempre più lontani.

In Sirènes è di nuovo presente una forma tripartita, ma tanto modificata da riuscire più
difficilmente riconoscibile. C'è un coro femminile, che evoca, senza testo, la seduzione del canto
delle sirene, la seduzione stessa del mare.

Fin dalla prima battuta dell'introduzione i corni propongono una brevissima cellula in ritmo
giambico, che funge da elemento unificatore. Il primo tema appare al corno inglese, genera un
ostinato mentre le voci cantano una delle loro idee più intense (una seducente melopea, legata al
primo tema da rapporti di affinità) e in seguito si trasforma in chiave danzante. Nella sezione
centrale, «un poco più lento» le voci intonano una languida trasformazione rallentata del primo
tema (mentre la melopea vocale che già conosciamo passa agli strumenti): il clima espressivo
diviene quindi più caldo e appassionato, e si placa sul ritorno della melopea vocale.

Gradualmente si ritorna al tempo iniziale e senza cesure nette inizia la terza sezione, una sorta di
ripresa. Le voci proseguono il loro seducente «canto di sirene», poi ritorna il languido disegno
della sezione centrale e solo dopo una ventina di battute riappare il primo tema, per avviare lo
spegnersi del pezzo in echi lontani.

Paolo Petazzi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

In una lettera al principe Andre Poniatowski del settembre 1892 Debussy parla di una nuova
composizione intitolata Trois scènes au crepuscule, che secondo Leon Vallas avrebbe dovuto
comprendere tre brani per violino e orchestra, dedicati al famoso violinista belga Eugène Ysaye.
Questi pezzi prevedevano un violino solista accompagnato prima dai soli archi, poi da un piccolo
complesso di fiati e due arpe, infine dai due complessi riuniti insieme. L'intenzione di Debussy,
come è spiegato in una lettera allo stesso Ysaye, era di compiere «una ricerca tra le diverse
possibilità che offre un solo colore; quello che sarebbe in pittura uno studio di grigi». Il lavoro non
fu portato a compimento; il materiale venne però utilizzato, a partire dal dicembre del 1897, per la
stesura dei tre Nocturnes, completati nel dicembre del 1899. I primi due brani dei Nocturnes
vennero presentati in prima esecuzione il 9 dicembre 1900 ai "Concerts Lamoureux" sotto la
direzione di Camille Chevillard, mentre l'esecuzione integrale avvenne nella stessa sede il 27
ottobre 1901.

Contrariamente alle sue abitudini, Debussy scrisse, in occasione della prima esecuzione dei
Nocturnes, una nota esplicativa per sottolineare le sue intenzioni nel comporre questo trittico. «Il
titolo Nocturne - dice l'autore - assume qui un significato più generale e soprattutto più evocativo.
Non si tratta dunque dell'abituale forma di Notturno, ma di tutto ciò che questa parola suscita
come impressioni e come effetti luminosi. Nuages: è l'aspettto immutabile del cielo, con il
trascorrere lento e malinconico delle nuvole, che finisce in un'agonia di grigi, dolcemente sfumati
di bianco. Fètes: è il movimento, il ritmo danzante dell'atmosfera con dei bruschi lampeggiamenti
di luce; è anche l'episodio di un corteo (visione abbagliante e chimerica) che passa attraverso la
festa, confondendosi in essa; ma lo sfondo persiste, ostinato, ed è sempre la festa con la sua
mescolanza di musica, di pulviscolo luminoso, che partecipa ad un ritmo totale. Sirènes: è il mare
e il suo ritmo incessante; poi, tra le onde inargentate dalla luna, si ode, vive e passa il canto
misterioso delle sirene».

Nuages (Modéré - Un peu anime) ha l'andamento di un preludio dai colori morbidi e incerti, senza
un vero e proprio sviluppo tematico. L'atmosfera piuttosto monotona dominata dalle nubi spazzate
dal vento di temporale è lievemente mossa dal suono della sirena di un battello sulla Senna,
indicato nella partitura dal breve inciso cromatico del corno inglese, più volte variato e ripreso poi
da altri compositori.

Fètes (Anime et très rythmé - Modéré mais toujours rythmé - De plus en plus sonore et en serrant
le mouvement) ha la forma tipica dello scherzo, con un trio costituito dalla fanfara annunciata in
distanza dalle trombe in sordina, evocanti la guardia repubblicana che suona la ritirata durante le
feste popolari nel Bois de Boulogne. Tutto il pezzo ha un ritmo sostenuto e vigoroso fino al
martellante incedere del tamburo legato alle luminose sonorità dei fiati.

Sirènes (Módérément animé) è contrassegnata da una tessitura armonica mutevole e cangiante di


straordinario effetto impressionistico, anche per l'intervento del coro femminile con i suoi
vocalizzi. È una pagina di notevole freschezza emotiva, sostenuta da una invenzione musicale
semplice e lineare, ricca di una penetrante forza di suggestione.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Questi «Notturni» che non hanno niente a che fare con quelli di Chopin, né di altri autori del
tempo, sono, secondo il parere di uno dei primi e più autorevoli esegeti di Debussy, uno dei
capolavori dell'impressionismo, mentre — è sempre lo stesso critico che parla, si tratta del Laloy
— il «Pélleas» sarebbe il capolavoro del simbolismo. Questo avvicinamento dì due movimenti che
già si erano ampiamente manifestati nella letteratura e ancor più nell'arte figurativa dimostra che il
musicista praticamente, anche secondo il suo parere — di cui il Laloy non era che un portavoce —
si sentiva vicino sia all'uno che all'altro, per assumere una sua indipendenza creativa. E come il
«Pelléas» ha suscitato interi volumi di commento e di spiegazione, così anche su questi
«Notturni», come sul successivo trittico orchestrale «La mer» (Il mare) ci sarebbero da riempire
parecchie pagine, se non un intero volume.

Il Laloy osserva che qui, intanto, per la prima volta Debussy impone alle sue composizioni un
titolo. Ma si sa che questo voleva essere una indicazione orientativa, non una specie di
«programma». Il tema del primo «Notturno» (Nuages) sembra suggerito dai tocchi leggeri, dalle
sfumature delicate di una tela di pittore impressionista. Non c'è in tutto il pezzo un solo accento
forte, drammatico. Tutto scivola via con una labilità degna appunto di una nuvola. Ma proprio a
proposito di questo pezzo converrà ricordare all'ascoltatore un episodio, non molto noto:
trovandosi una volta, quando era già un compositore celebre, all'estero, ad essere magnificato in
una specie di "toast", a un certo punto Debussy si fece tradurre da un interprete quel che stava
dicendo l'oratore ufficiale; questi lo magnificava come «colui che aveva finalmente annientato la
melodia». Debussy sbuffò: «Ma se non ho fatto altro in vita mia!». Certo egli non presentava una
costruzione architettonica, ammirevole per altra parte, come quella dei grandi musicisti tedeschi.
Nelle sue composizioni, particolarmente in queste, non si può parlare di «svolgimento», di
«variazione», di ripetizione continua di un tema. La melodia diviene piuttosto frammento
melodico, ma ogni «idea», chiamiamola ancora così, si salda perfettamente all'altra in maniera da
costituire alla fine una «frase» di una evidenza grandissima. Si badi alla melodia accennata
all'inizio dai clarinetti e dai fagotti, dopo cui interviene quasi in un «a solo», il corno inglese, con
un «frammento» formato da una terzina e da tre note discendenti ritardate. E si badi a come le
melodie si succedano sempre senza la terza che darebbe un troppo chiaro significato di maggiore o
minore all'accordo. In altra tonalità, sempre un po' incolore, viene un'altra melodia intonata
all'unisono dal flauto e dall'arpa. Poi tutto si perde in una indistinta nebbia sonora, da cui
emergono a tratti, in sordina, frammenti delle melodie già accennate.

Senza dubbio «Nuages» è un capolavoro nel suo genere, non meno che «Fètes», nella forma dello
Scherzo, del giuoco strumentale, uno dei rari esempi del buonumore del musicista. Terzine e
terzine si succedono in una girandola di ritmi in cui però si possono individuare almeno tre temi
principali, sinché non si arriva a una inaspettata e improvvisa interruzione annunciata da pizzicati
e dalle arpe, su cui si disegna il motivo solenne esposto prima in sordina dalle trombe, poi da tutti
gli ottoni, in uno sfoggio di sonorità veramente grandioso. Poi c'è un lento ed efficacissimo
diminuendo, sinché tutta la esuberante gioia della festa non si attenua, non senza che echi lontani
appaiano di tanto in tanto con un richiamo evidente, ma non «programmatico» ai temi precedenti.
È insieme al «Prelude à l'après-midi d'un Faune» il pezzo orchestrale più di frequente eseguito del
maestro francese, perché di una efficacia e potenza suggestiva veramente unica. Più di rado viene
eseguito «Sirènes», prima di tutto perché occorre oltre all'orchestra un coro di 8 soprani e 8
mezzosoprani, poi perché un intervento vocale «senza parole» in una tonalità difficile era una
specie di provocazione per il pubblico del 1901 (si pensi alla data). In realtà Debussy, sempre
attentissimo ai testi, riteneva che, se non si doveva intendere neanche una parola, tanto valeva far
intonare ai coristi un «a». E aveva ragione. Anche qui si può rilevare la stessa accuratezza e
raffinatezza di notazione come negli altri due «Notturni», in più c'è da osservare come il tema
intonato dalle Sirene è costituito da due note ripetute in figurazione ritmica differente che poi
salgono, cioè procedono in forma ascendente sino à formare solo quattro o cinque note. Pare
impossibile che un tema simile abbia tanta forza di suggestione, come avviene invece in questo
«Notturno». La somiglianza con forme della melodia gregoriana è risultata evidente appena si è
considerato il canto e a parte, lo sfondo orchestrale, colorito e vivace, con tremoli adatti a figurare
il mare da cui sorgono le sirene. Anche se eseguito più di rado questo pezzo costituisce un degno
coronamento di questo trittico orchestrale, che, quando viene eseguito integralmente, può
considerarsi come una sinfonia in tre tempi diversi di carattere, di spirito, di colore ma unificati
dall'arte somma del musicista.

Rodolfo Paoli

98 n. 2 (91 n. 2) 1897 - 1899

2. Fètes

https://www.youtube.com/watch?v=y1zS8DnOu9o

Fètes - Animé et très rythmé (fa minore)

Organico: 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni,
basso tuba, 2 arpe, timpani, piatti, tamburo militare, archi
Composizione: dicembre 1897 - dicembre 1899
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Lamoureux, 9 dicembre 1900
Edizione: Fromont, Parigi, 1900
Dedica: Georges Hartmann

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Sui Nocturnes Debussy scrisse questo testo di presentazione: «Il titolo Nocturnes vuole assumere
qui un significato più generale e soprattutto più decorativo. Non si tratta dunque della forma
abituale del Notturno, ma di tutto ciò che la parola contiene di impressioni e di luci particolari.
Nuages: è l'aspetto immutabile del cielo con la lenta e malinconica processione delle nuvole, che
termina in una grigia agonia dolcemente tinta di bianco. Fétes: è il movimento, il ritmo danzante
dell'atmosfera con bagliori di luce improvvisa, è anche l'episodio di un corteo (visione abbagliante
e chimerica) che passa attraverso la festa e vi si confonde; ma il fondo rimane, ostinato, ed è
sempre la festa con la sua mescolanza di musica, di polvere luminosa, che partecipa a un ritmo
totale. Sirènes: è il mare e il suo ritmo innumerevole, poi, tra le onde argentate di luna, si ode, ride
e passa il canto misterioso delle sirene». Il titolo dunque ha un significato non tradizionale, e vuoi
evocare «impressioni e luci particolari»: non si allude più ad alcuna «azione», nemmeno a quella
incerta, sospesa fra sogno e realtà, delle voluttuose fantasie del fauno. All'ascoltatore non viene
proposto né un «programma» né un riferimento formale noto: si suggerisce una dimensione senza
luogo e senza tempo, in una luce incerta come quella del crepuscolo. Si può capire l'irritazione di
Vincent D'Indy quando lamentava l'impossibilità di inserire i Nocturnes in una categoria
tradizionale: «Sonata. Niente affatto... Suite. Neppure. Poema sinfonico. Nonostante i titoli...,
nomi assai vaghi, nessun programma letterario, nessuna spiegazione di ordine drammatico può
autorizzare i mutamenti improvvisi di tonalità e le escursioni tematiche piacevoli, ma non
coordinate di questi tre pezzi...».

In Nuages non c'è davvero più traccia di percorsi che conducano da un punto a un altro secondo
una logica discorsiva, che «tendano» a un punto d'arrivo o a un culmine. In un tempo musicale che
si definisce con un significato nuovo la forma appare costruita, per così dire, con il movimento di
superfici sonore dai colori cangianti, dalle mutevoli sfumature timbrico-armoniche. La
tripartizione che si coglie anche a un semplice primo ascolto non ha nulla a che vedere né con uno
schema esposizione-sviluppo-ripresa né con altri tipi di forme legate alla successione ABA'.
Nuages inizia con un andamento quieto e uniforme (singolarmente affine a quello delle prime
battute di una lirica di Mussorgskij, la terza del ciclo Senza sole): sonorità grigie e vuote sono
evocate da clarinetti e fagotti con un andamento ostinato che si interrompe quando per la prima
volta il corno inglese intona il tema principale, che non conoscerà mai sviluppo, e riapparirà ogni
volta quasi identico a se stesso, oggetto solo di piccole, ma raffinatissime varianti.

Lo svolgimento della prima parte di Nuages dovrebbe essere descritto seguendo momento per
momento il succedersi delle intuizioni timbriche, delle combinazioni strumentali, delle armonie, il
trascolorare delle superfici sonore, il mutare della luce. Solo con molta approssimazione si
potrebbe paragonare a uno sviluppo la sezione che inizia alla battuta 32. Dopo 63 battute il flauto
e l'arpa all'unisono introducono un nuovo tema. Il tempo diviene «un peu animé», ma l'andamento
fondamentale resta lo stesso e l'effetto non è quello del contrasto segnato dalla sezione centrale di
un pezzo tripartito: ci troviamo di fronte semplicemente a un nuovo episodio, a nuovi colori, ad
altre luci. E così quando riascoltiamo il tema del corno inglese, questo ritorno non produce l'effetto
di una ripresa (che sarebbe comunque troppo breve e frammentata). Il frammentario ritorno di
diversi elementi, quasi disfatti in un lento trascolorare, evoca il riapparire dell'ombra, il dissolversi
in un tempo sospeso, così che il movimento circolare del pezzo sembra aprirsi a suggerire una
prosecuzione infinita.

Fétes presenta una tripartizione nettamente riconoscibile, fondata su una molteplicità di elementi,
su una mobilità e una varietà lontane dalla sospesa stupefazione di Nuages. In un flusso continuo,
in un ritmo incalzante, in un discorso mobilmente frammentato si collegano elementi tematici
diversi, suggerendo uno spazio musicale segnato quasi da continui mutamenti di direzione, uno
svolgimento non lineare. Tutto appare irreale e la visione suscita l'impressione di essere ora
vicinissima, ora lontana, in un arcano gioco di subitanei mutamenti (di tempo, di dinamica, di
situazioni timbriche). Ne potremo indicare soltanto alcuni aspetti.

Su un nervoso ostinato ritmico corno inglese e clarinetti presentano il tema principale della prima
parte, con carattere di farandola; ma subito le trombe anticipano per un istante, in ritmo diverso, la
fanfara della sezione centrale. Poco oltre un appello degli ottoni segna una prima cesura.

Si profila un nuovo ostinato ritmico «un poco più animato» (con l'alternanza di 15/8 e 9/8); ritorna
il tema di farandola; poi si profila un secondo tema all'oboe e la sua prosecuzione sopra un intenso
controcanto degli archi dà vita a una complessa sovrapposizione di ritmi e metri. Questa sezione si
conclude bruscamente al culmine di un crescendo. Nella parte centrale la «visione abbagliante e
chimerica» del corteo è introdotta da una fanfara che man mano sembra avvicinarsi (mentre cresce
anche la densità, con la sovrapposizione del tema di fanfara a quello di farandola) per giungere al
culmine e dissolversi d'un tratto nella «ripresa», profondamente trasformata, che inizia con il tema
di farandola. Una coda dai colori più tenui si immerge nel silenzio tra brevi, frammentati echi,
sempre più lontani.
In Sirènes è di nuovo presente una forma tripartita, ma tanto modificata da riuscire più
difficilmente riconoscibile. C'è un coro femminile, che evoca, senza testo, la seduzione del canto
delle sirene, la seduzione stessa del mare.

Fin dalla prima battuta dell'introduzione i corni propongono una brevissima cellula in ritmo
giambico, che funge da elemento unificatore. Il primo tema appare al corno inglese, genera un
ostinato mentre le voci cantano una delle loro idee più intense (una seducente melopea, legata al
primo tema da rapporti di affinità) e in seguito si trasforma in chiave danzante. Nella sezione
centrale, «un poco più lento» le voci intonano una languida trasformazione rallentata del primo
tema (mentre la melopea vocale che già conosciamo passa agli strumenti): il clima espressivo
diviene quindi più caldo e appassionato, e si placa sul ritorno della melopea vocale.

Gradualmente si ritorna al tempo iniziale e senza cesure nette inizia la terza sezione, una sorta di
ripresa. Le voci proseguono il loro seducente «canto di sirene», poi ritorna il languido disegno
della sezione centrale e solo dopo una ventina di battute riappare il primo tema, per avviare lo
spegnersi del pezzo in echi lontani.

Paolo Petazzi
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

In una lettera al principe Andre Poniatowski del settembre 1892 Debussy parla di una nuova
composizione intitolata Trois scènes au crepuscule, che secondo Leon Vallas avrebbe dovuto
comprendere tre brani per violino e orchestra, dedicati al famoso violinista belga Eugène Ysaye.
Questi pezzi prevedevano un violino solista accompagnato prima dai soli archi, poi da un piccolo
complesso di fiati e due arpe, infine dai due complessi riuniti insieme. L'intenzione di Debussy,
come è spiegato in una lettera allo stesso Ysaye, era di compiere «una ricerca tra le diverse
possibilità che offre un solo colore; quello che sarebbe in pittura uno studio di grigi». Il lavoro non
fu portato a compimento; il materiale venne però utilizzato, a partire dal dicembre del 1897, per la
stesura dei tre Nocturnes, completati nel dicembre del 1899. I primi due brani dei Nocturnes
vennero presentati in prima esecuzione il 9 dicembre 1900 ai "Concerts Lamoureux" sotto la
direzione di Camille Chevillard, mentre l'esecuzione integrale avvenne nella stessa sede il 27
ottobre 1901.

Contrariamente alle sue abitudini, Debussy scrisse, in occasione della prima esecuzione dei
Nocturnes, una nota esplicativa per sottolineare le sue intenzioni nel comporre questo trittico. «Il
titolo Nocturne - dice l'autore - assume qui un significato più generale e soprattutto più evocativo.
Non si tratta dunque dell'abituale forma di Notturno, ma di tutto ciò che questa parola suscita
come impressioni e come effetti luminosi. Nuages: è l'aspettto immutabile del cielo, con il
trascorrere lento e malinconico delle nuvole, che finisce in un'agonia di grigi, dolcemente sfumati
di bianco. Fètes: è il movimento, il ritmo danzante dell'atmosfera con dei bruschi lampeggiamenti
di luce; è anche l'episodio di un corteo (visione abbagliante e chimerica) che passa attraverso la
festa, confondendosi in essa; ma lo sfondo persiste, ostinato, ed è sempre la festa con la sua
mescolanza di musica, di pulviscolo luminoso, che partecipa ad un ritmo totale. Sirènes: è il mare
e il suo ritmo incessante; poi, tra le onde inargentate dalla luna, si ode, vive e passa il canto
misterioso delle sirene».
Nuages (Modéré - Un peu anime) ha l'andamento di un preludio dai colori morbidi e incerti, senza
un vero e proprio sviluppo tematico. L'atmosfera piuttosto monotona dominata dalle nubi spazzate
dal vento di temporale è lievemente mossa dal suono della sirena di un battello sulla Senna,
indicato nella partitura dal breve inciso cromatico del corno inglese, più volte variato e ripreso poi
da altri compositori.

Fètes (Anime et très rythmé - Modéré mais toujours rythmé - De plus en plus sonore et en serrant
le mouvement) ha la forma tipica dello scherzo, con un trio costituito dalla fanfara annunciata in
distanza dalle trombe in sordina, evocanti la guardia repubblicana che suona la ritirata durante le
feste popolari nel Bois de Boulogne. Tutto il pezzo ha un ritmo sostenuto e vigoroso fino al
martellante incedere del tamburo legato alle luminose sonorità dei fiati.

Sirènes (Módérément animé) è contrassegnata da una tessitura armonica mutevole e cangiante di


straordinario effetto impressionistico, anche per l'intervento del coro femminile con i suoi
vocalizzi. È una pagina di notevole freschezza emotiva, sostenuta da una invenzione musicale
semplice e lineare, ricca di una penetrante forza di suggestione.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Questi «Notturni» che non hanno niente a che fare con quelli di Chopin, né di altri autori del
tempo, sono, secondo il parere di uno dei primi e più autorevoli esegeti di Debussy, uno dei
capolavori dell'impressionismo, mentre — è sempre lo stesso critico che parla, si tratta del Laloy
— il «Pélleas» sarebbe il capolavoro del simbolismo. Questo avvicinamento dì due movimenti che
già si erano ampiamente manifestati nella letteratura e ancor più nell'arte figurativa dimostra che il
musicista praticamente, anche secondo il suo parere — di cui il Laloy non era che un portavoce —
si sentiva vicino sia all'uno che all'altro, per assumere una sua indipendenza creativa. E come il
«Pelléas» ha suscitato interi volumi di commento e di spiegazione, così anche su questi
«Notturni», come sul successivo trittico orchestrale «La mer» (Il mare) ci sarebbero da riempire
parecchie pagine, se non un intero volume.

Il Laloy osserva che qui, intanto, per la prima volta Debussy impone alle sue composizioni un
titolo. Ma si sa che questo voleva essere una indicazione orientativa, non una specie di
«programma». Il tema del primo «Notturno» (Nuages) sembra suggerito dai tocchi leggeri, dalle
sfumature delicate di una tela di pittore impressionista. Non c'è in tutto il pezzo un solo accento
forte, drammatico. Tutto scivola via con una labilità degna appunto di una nuvola. Ma proprio a
proposito di questo pezzo converrà ricordare all'ascoltatore un episodio, non molto noto:
trovandosi una volta, quando era già un compositore celebre, all'estero, ad essere magnificato in
una specie di "toast", a un certo punto Debussy si fece tradurre da un interprete quel che stava
dicendo l'oratore ufficiale; questi lo magnificava come «colui che aveva finalmente annientato la
melodia». Debussy sbuffò: «Ma se non ho fatto altro in vita mia!». Certo egli non presentava una
costruzione architettonica, ammirevole per altra parte, come quella dei grandi musicisti tedeschi.
Nelle sue composizioni, particolarmente in queste, non si può parlare di «svolgimento», di
«variazione», di ripetizione continua di un tema. La melodia diviene piuttosto frammento
melodico, ma ogni «idea», chiamiamola ancora così, si salda perfettamente all'altra in maniera da
costituire alla fine una «frase» di una evidenza grandissima. Si badi alla melodia accennata
all'inizio dai clarinetti e dai fagotti, dopo cui interviene quasi in un «a solo», il corno inglese, con
un «frammento» formato da una terzina e da tre note discendenti ritardate. E si badi a come le
melodie si succedano sempre senza la terza che darebbe un troppo chiaro significato di maggiore o
minore all'accordo. In altra tonalità, sempre un po' incolore, viene un'altra melodia intonata
all'unisono dal flauto e dall'arpa. Poi tutto si perde in una indistinta nebbia sonora, da cui
emergono a tratti, in sordina, frammenti delle melodie già accennate.

Senza dubbio «Nuages» è un capolavoro nel suo genere, non meno che «Fètes», nella forma dello
Scherzo, del giuoco strumentale, uno dei rari esempi del buonumore del musicista. Terzine e
terzine si succedono in una girandola di ritmi in cui però si possono individuare almeno tre temi
principali, sinché non si arriva a una inaspettata e improvvisa interruzione annunciata da pizzicati
e dalle arpe, su cui si disegna il motivo solenne esposto prima in sordina dalle trombe, poi da tutti
gli ottoni, in uno sfoggio di sonorità veramente grandioso. Poi c'è un lento ed efficacissimo
diminuendo, sinché tutta la esuberante gioia della festa non si attenua, non senza che echi lontani
appaiano di tanto in tanto con un richiamo evidente, ma non «programmatico» ai temi precedenti.
È insieme al «Prelude à l'après-midi d'un Faune» il pezzo orchestrale più di frequente eseguito del
maestro francese, perché di una efficacia e potenza suggestiva veramente unica. Più di rado viene
eseguito «Sirènes», prima di tutto perché occorre oltre all'orchestra un coro di 8 soprani e 8
mezzosoprani, poi perché un intervento vocale «senza parole» in una tonalità difficile era una
specie di provocazione per il pubblico del 1901 (si pensi alla data). In realtà Debussy, sempre
attentissimo ai testi, riteneva che, se non si doveva intendere neanche una parola, tanto valeva far
intonare ai coristi un «a». E aveva ragione. Anche qui si può rilevare la stessa accuratezza e
raffinatezza di notazione come negli altri due «Notturni», in più c'è da osservare come il tema
intonato dalle Sirene è costituito da due note ripetute in figurazione ritmica differente che poi
salgono, cioè procedono in forma ascendente sino à formare solo quattro o cinque note. Pare
impossibile che un tema simile abbia tanta forza di suggestione, come avviene invece in questo
«Notturno». La somiglianza con forme della melodia gregoriana è risultata evidente appena si è
considerato il canto e a parte, lo sfondo orchestrale, colorito e vivace, con tremoli adatti a figurare
il mare da cui sorgono le sirene. Anche se eseguito più di rado questo pezzo costituisce un degno
coronamento di questo trittico orchestrale, che, quando viene eseguito integralmente, può
considerarsi come una sinfonia in tre tempi diversi di carattere, di spirito, di colore ma unificati
dall'arte somma del musicista.

Rodolfo Paoli

98 n. 3 (91 n. 3) 1897 - 1899

3. Sirènes

https://www.youtube.com/watch?v=U9-JXMKN3oU

Sirènes - Modérément animé (si maggiore)

Organico: 3 flauti, oboe, corno inglese, clarinetto, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 2 arpe, archi
Composizione: dicembre 1897 - dicembre 1899
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Lamoureux, 27 ottobre 1901
Edizione: Fromont, Parigi, 1900
Dedica: Georges Hartmann

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Sui Nocturnes Debussy scrisse questo testo di presentazione: «Il titolo Nocturnes vuole assumere
qui un significato più generale e soprattutto più decorativo. Non si tratta dunque della forma
abituale del Notturno, ma di tutto ciò che la parola contiene di impressioni e di luci particolari.
Nuages: è l'aspetto immutabile del cielo con la lenta e malinconica processione delle nuvole, che
termina in una grigia agonia dolcemente tinta di bianco. Fétes: è il movimento, il ritmo danzante
dell'atmosfera con bagliori di luce improvvisa, è anche l'episodio di un corteo (visione abbagliante
e chimerica) che passa attraverso la festa e vi si confonde; ma il fondo rimane, ostinato, ed è
sempre la festa con la sua mescolanza di musica, di polvere luminosa, che partecipa a un ritmo
totale. Sirènes: è il mare e il suo ritmo innumerevole, poi, tra le onde argentate di luna, si ode, ride
e passa il canto misterioso delle sirene». Il titolo dunque ha un significato non tradizionale, e vuoi
evocare «impressioni e luci particolari»: non si allude più ad alcuna «azione», nemmeno a quella
incerta, sospesa fra sogno e realtà, delle voluttuose fantasie del fauno. All'ascoltatore non viene
proposto né un «programma» né un riferimento formale noto: si suggerisce una dimensione senza
luogo e senza tempo, in una luce incerta come quella del crepuscolo. Si può capire l'irritazione di
Vincent D'Indy quando lamentava l'impossibilità di inserire i Nocturnes in una categoria
tradizionale: «Sonata. Niente affatto... Suite. Neppure. Poema sinfonico. Nonostante i titoli...,
nomi assai vaghi, nessun programma letterario, nessuna spiegazione di ordine drammatico può
autorizzare i mutamenti improvvisi di tonalità e le escursioni tematiche piacevoli, ma non
coordinate di questi tre pezzi...».

In Nuages non c'è davvero più traccia di percorsi che conducano da un punto a un altro secondo
una logica discorsiva, che «tendano» a un punto d'arrivo o a un culmine. In un tempo musicale che
si definisce con un significato nuovo la forma appare costruita, per così dire, con il movimento di
superfici sonore dai colori cangianti, dalle mutevoli sfumature timbrico-armoniche. La
tripartizione che si coglie anche a un semplice primo ascolto non ha nulla a che vedere né con uno
schema esposizione-sviluppo-ripresa né con altri tipi di forme legate alla successione ABA'.
Nuages inizia con un andamento quieto e uniforme (singolarmente affine a quello delle prime
battute di una lirica di Mussorgskij, la terza del ciclo Senza sole): sonorità grigie e vuote sono
evocate da clarinetti e fagotti con un andamento ostinato che si interrompe quando per la prima
volta il corno inglese intona il tema principale, che non conoscerà mai sviluppo, e riapparirà ogni
volta quasi identico a se stesso, oggetto solo di piccole, ma raffinatissime varianti.

Lo svolgimento della prima parte di Nuages dovrebbe essere descritto seguendo momento per
momento il succedersi delle intuizioni timbriche, delle combinazioni strumentali, delle armonie, il
trascolorare delle superfici sonore, il mutare della luce. Solo con molta approssimazione si
potrebbe paragonare a uno sviluppo la sezione che inizia alla battuta 32. Dopo 63 battute il flauto
e l'arpa all'unisono introducono un nuovo tema. Il tempo diviene «un peu animé», ma l'andamento
fondamentale resta lo stesso e l'effetto non è quello del contrasto segnato dalla sezione centrale di
un pezzo tripartito: ci troviamo di fronte semplicemente a un nuovo episodio, a nuovi colori, ad
altre luci. E così quando riascoltiamo il tema del corno inglese, questo ritorno non produce l'effetto
di una ripresa (che sarebbe comunque troppo breve e frammentata). Il frammentario ritorno di
diversi elementi, quasi disfatti in un lento trascolorare, evoca il riapparire dell'ombra, il dissolversi
in un tempo sospeso, così che il movimento circolare del pezzo sembra aprirsi a suggerire una
prosecuzione infinita.
Fétes presenta una tripartizione nettamente riconoscibile, fondata su una molteplicità di elementi,
su una mobilità e una varietà lontane dalla sospesa stupefazione di Nuages. In un flusso continuo,
in un ritmo incalzante, in un discorso mobilmente frammentato si collegano elementi tematici
diversi, suggerendo uno spazio musicale segnato quasi da continui mutamenti di direzione, uno
svolgimento non lineare. Tutto appare irreale e la visione suscita l'impressione di essere ora
vicinissima, ora lontana, in un arcano gioco di subitanei mutamenti (di tempo, di dinamica, di
situazioni timbriche). Ne potremo indicare soltanto alcuni aspetti.

Su un nervoso ostinato ritmico corno inglese e clarinetti presentano il tema principale della prima
parte, con carattere di farandola; ma subito le trombe anticipano per un istante, in ritmo diverso, la
fanfara della sezione centrale. Poco oltre un appello degli ottoni segna una prima cesura.

Si profila un nuovo ostinato ritmico «un poco più animato» (con l'alternanza di 15/8 e 9/8); ritorna
il tema di farandola; poi si profila un secondo tema all'oboe e la sua prosecuzione sopra un intenso
controcanto degli archi dà vita a una complessa sovrapposizione di ritmi e metri. Questa sezione si
conclude bruscamente al culmine di un crescendo. Nella parte centrale la «visione abbagliante e
chimerica» del corteo è introdotta da una fanfara che man mano sembra avvicinarsi (mentre cresce
anche la densità, con la sovrapposizione del tema di fanfara a quello di farandola) per giungere al
culmine e dissolversi d'un tratto nella «ripresa», profondamente trasformata, che inizia con il tema
di farandola. Una coda dai colori più tenui si immerge nel silenzio tra brevi, frammentati echi,
sempre più lontani.

In Sirènes è di nuovo presente una forma tripartita, ma tanto modificata da riuscire più
difficilmente riconoscibile. C'è un coro femminile, che evoca, senza testo, la seduzione del canto
delle sirene, la seduzione stessa del mare.

Fin dalla prima battuta dell'introduzione i corni propongono una brevissima cellula in ritmo
giambico, che funge da elemento unificatore. Il primo tema appare al corno inglese, genera un
ostinato mentre le voci cantano una delle loro idee più intense (una seducente melopea, legata al
primo tema da rapporti di affinità) e in seguito si trasforma in chiave danzante. Nella sezione
centrale, «un poco più lento» le voci intonano una languida trasformazione rallentata del primo
tema (mentre la melopea vocale che già conosciamo passa agli strumenti): il clima espressivo
diviene quindi più caldo e appassionato, e si placa sul ritorno della melopea vocale.

Gradualmente si ritorna al tempo iniziale e senza cesure nette inizia la terza sezione, una sorta di
ripresa. Le voci proseguono il loro seducente «canto di sirene», poi ritorna il languido disegno
della sezione centrale e solo dopo una ventina di battute riappare il primo tema, per avviare lo
spegnersi del pezzo in echi lontani.

Paolo Petazzi
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

In una lettera al principe Andre Poniatowski del settembre 1892 Debussy parla di una nuova
composizione intitolata Trois scènes au crepuscule, che secondo Leon Vallas avrebbe dovuto
comprendere tre brani per violino e orchestra, dedicati al famoso violinista belga Eugène Ysaye.
Questi pezzi prevedevano un violino solista accompagnato prima dai soli archi, poi da un piccolo
complesso di fiati e due arpe, infine dai due complessi riuniti insieme. L'intenzione di Debussy,
come è spiegato in una lettera allo stesso Ysaye, era di compiere «una ricerca tra le diverse
possibilità che offre un solo colore; quello che sarebbe in pittura uno studio di grigi». Il lavoro non
fu portato a compimento; il materiale venne però utilizzato, a partire dal dicembre del 1897, per la
stesura dei tre Nocturnes, completati nel dicembre del 1899. I primi due brani dei Nocturnes
vennero presentati in prima esecuzione il 9 dicembre 1900 ai "Concerts Lamoureux" sotto la
direzione di Camille Chevillard, mentre l'esecuzione integrale avvenne nella stessa sede il 27
ottobre 1901.

Contrariamente alle sue abitudini, Debussy scrisse, in occasione della prima esecuzione dei
Nocturnes, una nota esplicativa per sottolineare le sue intenzioni nel comporre questo trittico. «Il
titolo Nocturne - dice l'autore - assume qui un significato più generale e soprattutto più evocativo.
Non si tratta dunque dell'abituale forma di Notturno, ma di tutto ciò che questa parola suscita
come impressioni e come effetti luminosi. Nuages: è l'aspettto immutabile del cielo, con il
trascorrere lento e malinconico delle nuvole, che finisce in un'agonia di grigi, dolcemente sfumati
di bianco. Fètes: è il movimento, il ritmo danzante dell'atmosfera con dei bruschi lampeggiamenti
di luce; è anche l'episodio di un corteo (visione abbagliante e chimerica) che passa attraverso la
festa, confondendosi in essa; ma lo sfondo persiste, ostinato, ed è sempre la festa con la sua
mescolanza di musica, di pulviscolo luminoso, che partecipa ad un ritmo totale. Sirènes: è il mare
e il suo ritmo incessante; poi, tra le onde inargentate dalla luna, si ode, vive e passa il canto
misterioso delle sirene».

Nuages (Modéré - Un peu anime) ha l'andamento di un preludio dai colori morbidi e incerti, senza
un vero e proprio sviluppo tematico. L'atmosfera piuttosto monotona dominata dalle nubi spazzate
dal vento di temporale è lievemente mossa dal suono della sirena di un battello sulla Senna,
indicato nella partitura dal breve inciso cromatico del corno inglese, più volte variato e ripreso poi
da altri compositori.

Fètes (Anime et très rythmé - Modéré mais toujours rythmé - De plus en plus sonore et en serrant
le mouvement) ha la forma tipica dello scherzo, con un trio costituito dalla fanfara annunciata in
distanza dalle trombe in sordina, evocanti la guardia repubblicana che suona la ritirata durante le
feste popolari nel Bois de Boulogne. Tutto il pezzo ha un ritmo sostenuto e vigoroso fino al
martellante incedere del tamburo legato alle luminose sonorità dei fiati.

Sirènes (Módérément animé) è contrassegnata da una tessitura armonica mutevole e cangiante di


straordinario effetto impressionistico, anche per l'intervento del coro femminile con i suoi
vocalizzi. È una pagina di notevole freschezza emotiva, sostenuta da una invenzione musicale
semplice e lineare, ricca di una penetrante forza di suggestione.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Questi «Notturni» che non hanno niente a che fare con quelli di Chopin, né di altri autori del
tempo, sono, secondo il parere di uno dei primi e più autorevoli esegeti di Debussy, uno dei
capolavori dell'impressionismo, mentre — è sempre lo stesso critico che parla, si tratta del Laloy
— il «Pélleas» sarebbe il capolavoro del simbolismo. Questo avvicinamento dì due movimenti che
già si erano ampiamente manifestati nella letteratura e ancor più nell'arte figurativa dimostra che il
musicista praticamente, anche secondo il suo parere — di cui il Laloy non era che un portavoce —
si sentiva vicino sia all'uno che all'altro, per assumere una sua indipendenza creativa. E come il
«Pelléas» ha suscitato interi volumi di commento e di spiegazione, così anche su questi
«Notturni», come sul successivo trittico orchestrale «La mer» (Il mare) ci sarebbero da riempire
parecchie pagine, se non un intero volume.

Il Laloy osserva che qui, intanto, per la prima volta Debussy impone alle sue composizioni un
titolo. Ma si sa che questo voleva essere una indicazione orientativa, non una specie di
«programma». Il tema del primo «Notturno» (Nuages) sembra suggerito dai tocchi leggeri, dalle
sfumature delicate di una tela di pittore impressionista. Non c'è in tutto il pezzo un solo accento
forte, drammatico. Tutto scivola via con una labilità degna appunto di una nuvola. Ma proprio a
proposito di questo pezzo converrà ricordare all'ascoltatore un episodio, non molto noto:
trovandosi una volta, quando era già un compositore celebre, all'estero, ad essere magnificato in
una specie di "toast", a un certo punto Debussy si fece tradurre da un interprete quel che stava
dicendo l'oratore ufficiale; questi lo magnificava come «colui che aveva finalmente annientato la
melodia». Debussy sbuffò: «Ma se non ho fatto altro in vita mia!». Certo egli non presentava una
costruzione architettonica, ammirevole per altra parte, come quella dei grandi musicisti tedeschi.
Nelle sue composizioni, particolarmente in queste, non si può parlare di «svolgimento», di
«variazione», di ripetizione continua di un tema. La melodia diviene piuttosto frammento
melodico, ma ogni «idea», chiamiamola ancora così, si salda perfettamente all'altra in maniera da
costituire alla fine una «frase» di una evidenza grandissima. Si badi alla melodia accennata
all'inizio dai clarinetti e dai fagotti, dopo cui interviene quasi in un «a solo», il corno inglese, con
un «frammento» formato da una terzina e da tre note discendenti ritardate. E si badi a come le
melodie si succedano sempre senza la terza che darebbe un troppo chiaro significato di maggiore o
minore all'accordo. In altra tonalità, sempre un po' incolore, viene un'altra melodia intonata
all'unisono dal flauto e dall'arpa. Poi tutto si perde in una indistinta nebbia sonora, da cui
emergono a tratti, in sordina, frammenti delle melodie già accennate.

Senza dubbio «Nuages» è un capolavoro nel suo genere, non meno che «Fètes», nella forma dello
Scherzo, del giuoco strumentale, uno dei rari esempi del buonumore del musicista. Terzine e
terzine si succedono in una girandola di ritmi in cui però si possono individuare almeno tre temi
principali, sinché non si arriva a una inaspettata e improvvisa interruzione annunciata da pizzicati
e dalle arpe, su cui si disegna il motivo solenne esposto prima in sordina dalle trombe, poi da tutti
gli ottoni, in uno sfoggio di sonorità veramente grandioso. Poi c'è un lento ed efficacissimo
diminuendo, sinché tutta la esuberante gioia della festa non si attenua, non senza che echi lontani
appaiano di tanto in tanto con un richiamo evidente, ma non «programmatico» ai temi precedenti.
È insieme al «Prelude à l'après-midi d'un Faune» il pezzo orchestrale più di frequente eseguito del
maestro francese, perché di una efficacia e potenza suggestiva veramente unica. Più di rado viene
eseguito «Sirènes», prima di tutto perché occorre oltre all'orchestra un coro di 8 soprani e 8
mezzosoprani, poi perché un intervento vocale «senza parole» in una tonalità difficile era una
specie di provocazione per il pubblico del 1901 (si pensi alla data). In realtà Debussy, sempre
attentissimo ai testi, riteneva che, se non si doveva intendere neanche una parola, tanto valeva far
intonare ai coristi un «a». E aveva ragione. Anche qui si può rilevare la stessa accuratezza e
raffinatezza di notazione come negli altri due «Notturni», in più c'è da osservare come il tema
intonato dalle Sirene è costituito da due note ripetute in figurazione ritmica differente che poi
salgono, cioè procedono in forma ascendente sino à formare solo quattro o cinque note. Pare
impossibile che un tema simile abbia tanta forza di suggestione, come avviene invece in questo
«Notturno». La somiglianza con forme della melodia gregoriana è risultata evidente appena si è
considerato il canto e a parte, lo sfondo orchestrale, colorito e vivace, con tremoli adatti a figurare
il mare da cui sorgono le sirene. Anche se eseguito più di rado questo pezzo costituisce un degno
coronamento di questo trittico orchestrale, che, quando viene eseguito integralmente, può
considerarsi come una sinfonia in tre tempi diversi di carattere, di spirito, di colore ma unificati
dall'arte somma del musicista.

Rodolfo Paoli

111 (109) 1903 - 1905

La mer
Tre schizzi sinfonici per orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=IoENgt1h4_A

https://www.youtube.com/watch?v=RLAIJjWdJRQ

https://www.youtube.com/watch?v=SgSNgzA37To

https://www.youtube.com/watch?v=g6qS5r4dblk

111 n. 1 (109 n. 1) 1903 - 1905

1. De l'aube à midi sur la mer

https://www.youtube.com/watch?v=d8qymYk_l4c

https://www.youtube.com/watch?v=K31yB4nWe0Y

https://www.youtube.com/watch?v=a3DK71ppBvI

De l'aube à midi sur la mer - Très lent (si minore)

Organico: 2 flauti, ottavino, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3
tromboni, basso tuba, timpani, piatti, tam-tam, 2 arpe, archi
Composizione: Parigi, agosto 1903 - 5 marzo 1905
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Lamoureux, 15 ottobre 1905
Edizione: Durand, Parigi, 1905
Dedica: Jacques Durand

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Forse non sapete che avrei dovuto intraprendere la bella carriera del marinaio - recita una lettera
di Debussy - e che solo per caso ho cambiato strada. Ciononostante, ho mantenuto una passione
sincera per il mare». L'amore per il mare risaliva ai tempi dell'infanzia, quando Debussy si recava
a Cannes per le vacanze estive, in casa del padrino Achille-Antoine Arosa. Evocando quei tempi
felici, il musicista ricordava «la ferrovia che passava davanti a casa con il mare sullo sfondo: in
certi momenti pareva che il treno uscisse dal mare, o che dovesse tuffarvisi (a vostra scelta)».
Memorie che a distanza di tanto tempo rivelano la profonda emozione che il mare ha sempre
suscitato nell'animo di Debussy. Non è sorprendente dunque se Debussy, aldilà delle numerose
pagine legate alla misteriosa simbologia dell'acqua sparse nella sua produzione, abbia pensato al
mare per affrontare il lavoro sinfonico più impegnativo della sua carriera. Debussy cominciò a
comporre la musica nel luglio del 1903, durante il soggiorno estivo a Bichain. La partitura venne
terminata nell'estate del 1905 a Eastbourne, sulla costa inglese, dove il musicista si era rifugiato
per trovare un po' di tranquillità nel periodo più tempestoso della sua vita sentimentale.
L'abbandono della moglie Rosalie Texier, compagna degli anni faticosi di Pelléas et Mélisande, e
la fuga con Emma Bardac, signora della buona società parigina e moglie di un facoltoso uomo
d'affari, avevano suscitato una valanga di pettegolezzi, diventati un vero e proprio scandalo dopo il
tentato suicidio di Lilly con un colpo di pistola. A seguito di queste vicende, che avevano
coinvolto un po' tutto l'ambiente artistico di Parigi, Debussy ruppe i rapporti con la maggior parte
degli amici d'un tempo, a cominciare da quello più caro, Pierre Louys.

Dopo l'entusiasmante successo dei Nocturnes (1900-1901), l'accoglienza della prima esecuzione
della Mer, il 15 ottobre 1905 ai Concerts Lamoureux diretti da Camille Chevillard, fu deludente.
Gli ammiratori di Debussy speravano forse di ritrovare nella nuova composizione il clima
notturno, i sussurri pieni di allusioni, i vapori misteriosi che li avevano incantati in Pelléas et
Mélisande. Debussy invece aveva composto una musica che sembrava animata dal desiderio di un
ritorno all'ordine. La Mer metteva in primo piano il problema della forma musicale. Le atmosfere
velate e fiabesche dei Nocturnes lasciavano il posto a una scrittura luminosa, nitida e diurna. La
Mer sembrava una forma arci-raffinata di classicismo settecentesco, ispirato dall'antica abitudine
dei compositori francesi di conferire ai propri lavori un titolo di fantasia. Dietro la maschera di una
descrizione bozzettistica (De l'aube a midi sur la mer, Jeux de vagues, Dialogue du vent et de la
mer), si scorge la struttura di una sinfonia in tre movimenti, intrecciata di riferimenti strutturali e
concepita su un grande arco formale.

Il tema del mare assume nei tre pannelli sinfonici un significato diverso dal naturalismo
ottocentesco. «Mi ribatterete che l'Oceano non bagna esattamente le colline della Borgogna...! -
scriveva l'autore - E che tutto sembrerà probabilmente un paesaggio costruito a tavolino! In effetti
ho del mare infiniti ricordi; e questo, a mio avviso, vale più della realtà, il cui fascino in genere
soffoca troppo il nostro pensiero». Debussy non intende raffigurare la natura nella sua realtà
oggettiva, con l'occhio dell'artista ansioso di descrivere il fenomeno che l'ha impressionato. La sua
musica cerca piuttosto di esprimere il processo intimo della percezione, cogliendo le infinite
vibrazioni dell'essere di fronte a un'esperienza. «Cerco di fare "altro" - diciamo delle realtà - che
gli imbecilli chiamano "impressionismo", un termine che viene usato del tutto a sproposito,
soprattutto dai critici d'arte, i quali non esitano ad affibbiarlo a Turner, il più grande pittore di
"mistero" che l'arte abbia mai avuto!».

Baudelaire in Correspondances, una delle poesie più importanti per l'estetica simbolista, aveva
fissato i nuovi limiti espressivi del rapporto tra uomo e natura:
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L'homme y passe a travers desforèts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiers.
È un tempio la Natura, dove a volte parole
escono confuse da viventi pilastri
e che l'uomo attraversa tra foreste di simboli
che gli lanciano occhiate familiari.
(tr. Giovanni Raboni)

Ecco che nella musica di Debussy le "occhiate familiari" di Baudelaire si trasformano in echi
misteriosi, che risuonano continuamente all'interno del discorso articolando il percorso temporale
in una forma. Il mare di Debussy diventa un fenomeno quasi junghiano, come se quell'immagine
rispecchiasse l'archetipo di una forza oscura e irrazionale che muove la coscienza. L'atmosfera
serena che domina le tre vedute marine viene turbata all'improvviso da un brivido, ogni volta che
la musica si avvicina all'ignoto regno delle passioni. La velocità del tempo muta in continuazione
e altera il disegno del fraseggio, segno di un'inquietudine profonda che agita sotterraneamente la
scrittura musicale. Tuttavia mai come in questo lavoro Debussy ha cercato di conferire al magma
delle pulsioni emotive una struttura architettonica di grande respiro. L'unità della forma è affidata
al percorso armonico, che traccia una lunga campata dal re bemolle del Modéré, som lenteur in De
l'aube a midi sur la mer fino al poderoso accordo finale di re bemolle degli ottoni nel Dialogue du
vent et de la mer. All'interno di quest'ampia arcata si svolge un'animata sequenza d'impasti sonori
e ritmici di stupefacente bellezza e inventiva.

Secondo il critico Edgell Rickwood, Rimbaud «è un maestro della frase, non del periodo, che
difatti non ha quasi mai costruito». Questa osservazione potrebbe essere vera in linea di massima
anche per Debussy. I processi costruttivi della scrittura di Debussy tendono a isolare il singolo
frammento, anziché elaborare uno sviluppo tematico. Le immagini sonore sono rapide e brucianti,
ardono per così dire in una singola fiammata sonora, come certi versi abbaglianti di Mallarmé:
Le vierge, le vivace et le bel aujourd'hui.

In De l'aube a midi sur la mer Debussy si sforza di conferire a certi motivi di carattere contrastante
un rilievo tematico, come per abbozzare la dialettica di un movimento di sonata. L'articolazione
della forma resta tuttavia legata principalmente al timbro armonico, con accordi raffinati sparsi
sulla partitura come macchie di colore, e alla plasticità dei gesti musicali di cui è ricca la musica di
Debussy. La musica s'illumina all'improvviso con effetti di sconvolgente bellezza, come
l'abbagliante accordo suonato dai violoncelli divisi a quattro, al centro del quadro.

Jeux de vagues riprende l'idea dello Scherzo classico come di un movimento di danza. La forma
originalissima di Debussy mescola assieme, vorticosamente, una serie di frammenti che
suggeriscono diversi tipi di ballo: valzer, giga, bolero. La strumentazione ha una trasparenza
fantastica e la capacità di rinnovare continuamente l'immagine del paesaggio.

Il Dialogue du vent et de la mer si apre con un lungo rullo dei timpani, in maniera analoga al
primo pannello. Tutta la parte iniziale esprime l'inquietante contrasto tra il mare e il vento, finché
un colpo secco del timpano scarica la tensione accumulata in orchestra. Il tema principale del
finale, esposto dai fiati, spunta con fatica da un'appoggiatura espressiva e si gonfia d'emozione
man mano che cresce. La tonalità di re bemolle viene così a configurare una sorta di emblema
musicale del mare, che riappare ora come archetipo, ora come sogno.

Oreste Bossini
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La mobilità, l'istantaneità, la novità del tempo musicale della Mer esigerebbero un'analisi non
riassumibile in poche indicazioni. Il titolo De l'aube à midi sur la mer fa pensare a uno
svolgimento ininterrotto a un procedere caratterizzato da una continua propulsione, attraverso il
succedersi, sovrapporsi, addensarsi di motivi che si coagulano in più ampie strutture, stabiliscono
un mobilissimo gioco di rapporti. Nell'arcana sezione introduttiva prendono forma gradualmente
piccole cellule, per prima quel ritmo breve-lunga che già creava un senso di apertura spaziale in
Sirènes. Emerge un lento disegno (corno inglese e trombe), un tema ciclico che si ritroverà nel
terzo tempo; poi l'andamento si fa più animato, la nebulosa incertezza sembra dissolversi e si
approda a una nuova sezione: su un accompagnamento «ondeggiante» degli archi si profila il
celebre tema dei flauti e dei clarinetti subito seguito da un altro importante disegno dei corni. Nel
libero fluire del pezzo, dopo l'introduzione, si possono riconoscere due sezioni (che chiameremo A
e B) seguite da una coda. Nella mobilissima struttura della sezione A, oltre al tema principale già
citato, altri elementi entrano in gioco: un arabesco dei flauti, un mesto disegno degli oboi limitato
a tre note e sovrapposto a un canto del primo violino solo. La sezione A approda a un culmine di
luminosità e complessità di sovrapposizioni ritmiche, poi si spegne. Un nuovo tema presentato da
sedici violoncelli divisi apre la sezione B determinando un mutamento di clima espressivo. È
l'elemento predominante fino al ritorno del tema «ciclico» apparso nell'introduzione. Un episodio
statico stabilisce il collegamento con la coda conclusiva, aperta da un nuovo, solenne tema: essa
approda a una luminosa perorazione, che esplode inattesa.

Di concezione anche più radicalmente nuova è la forma di Jeux de vagues. Il titolo fa pensare a un
significato musicale, alla massima frantumazione, a una mobilità priva di direzione: l'articolazione
fluida e polverizzata è fondata sul nascere di un'invenzione sull'altra, sul loro intersecarsi e
accumularsi che non offre all'ascoltatore neppure i punti di riferimento ancora in qualche modo
presenti nella struttura del primo schizzo sinfonico. Il pezzo si presta a essere analizzato in modi
diversi: qui ci limiteremo a qualche schematica indicazione, individuando le idee principali che si
incontrano nel fluire mobilissimo, cangiante, dai profili spesso sfuggenti. L'inizio dell'introduzione
elude ogni presenza tematica, ogni materiale dai ben definiti contorni. Solo poi si profila un
disegno del corno inglese, un semplice frammento di scala ascendente che si dilata in arabeschi.
Finita l'introduzione, appare luminoso e lieve il primo tema, che inizia con trilli dei violini. Un
secondo tema dal profilo più cantabile è presentato dal corno inglese su un ritmo danzante, quasi
di bolero. Nuove idee caratterizzano la sezione successiva, poi si ha una sorta di ripresa variata
della seconda parte dell'introduzione, uno sviluppo del secondo tema, e quindi sviluppi in cui
entrano in gioco diversi elementi di breve respiro per approdare a un momento culminante, quasi
una luminosa iridescente visione, che si dissolve e a cui segue il ritorno del primo tema. Inattesa si
profila quindi una nuova idea in tempo di valzer, seguita da sviluppi che conducono a un altro
punto culminante. Nella coda i temi sembrano dissolversi in un clima sospeso (anche la tonalità è
incerta); di grande trasparenza la conclusione.

Un principio formale è annunciato nel titolo Dialogue du vent et de la mer: più che un semplice
dialogo il pezzo propone il contrasto, la sovrapposizione, lo sviluppo parallelo di materiali diversi,
non di due temi, ma di opposti campi di forza, in una mobilità di situazioni che conoscono anche
momenti di parossismo drammatico. Di queste forze contrastanti la prima presenta una timbrica
rude, violenta, configurandosi come un «movimento caotico» (Barraqué) dai ritmi frantumati; la
seconda ricerca una sottolineata cantabilità di vasto respiro. L'originalità della concezione
dell'ultimo tempo non impedisce di riconoscervi a grandi linee la disposizione formale di un
rondò; da notare anche i collegamenti tematici con il primo tempo. Il tema «ciclico» appare
nell'introduzione e diventa uno dei protagonisti del pezzo, dove il celebre tema principale, che
ritorna come il refrain di un rondò, si caratterizza per un'intensa ampiezza di respiro. Il tema
ciclico riappare invece nel corso del primo «episodio» del rondò, una pagina che conosce momenti
di cupa concitazione. Ritorna il refrain in triplice presentazione; anche nel secondo episodio fra i
materiali c'è il tema ciclico, che conosce nuovi sviluppi e trasformazioni ritmiche. Al terzo refrain
segue una coda, che si chiude in un secco «fortissimo» e che propone, fra l'altro, nuove
elaborazioni del tema «ciclico».

Paolo Petazzi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Concluso nel 1902 il quasi decennale lavoro a Pelléas et Mélisande, Claude Debussy avviava una
fase centrale della sua creatività; grossolanamente parlando, il musicista si apprestava a superare
lo stile, i modi e il linguaggio che con una certa facilità si son definiti «impressionisti» e che nelle
mezze tinte, nell'atmosfera sfumata di sogno del Pelléas avevano trovato un'estrinsecazione di
insuperabile felicità. Punto d'arrivo di questa svolta, operata comunque per gradi, senza brusche
scosse, sarebbero state la chiarezza, la precisione, l'oggettività tutte novecentesche e «moderne»
dei capolavori degli anni precedenti la morte del compositore: in questo immediato «dopo Pelléas»
per Debussy il problema era principalmente quello di essere meno «impressionista», meno
«debussista» di quanto non rischiasse di farlo sembrare l'immagine di comodo che, sull'onda del
grandissimo capolavoro teatrale, da troppe parti ci si tendeva a fare di lui, ingabbiandolo con
un'etichetta forse impropria, certo riduttiva e superata nei fatti. Campo d'azione privilegiato del
musicista sarebbe stato, negli anni immediatamente successivi al 1902, il pianoforte, da sempre
(come del resto sarebbe stato anche per buona parte del nuovo secolo) il terreno più propizio alle
innovazioni, perché nell'immediatezza del rapporto fra atto compositivo e possibilità esecutiva,
nella dimensione squisitamente individuale di strumento capace di «far da sé», più aperto alla
libertà del discorso ritmico e alla stessa sottilizzazione del fatto timbrico, di quanto non lo fosse
l'orchestra, la cui scrittura era condizionata dalla necessità di contemplare sovrapposizioni e
incastri di voci diverse, e le cui possibilità sperimentali erano più soggette alla tirannia della
suddivisione in misure e del dosaggio di timbri e volumi.

Ma accanto alla stupenda serie delle composizioni pianistiche, avviata nel 1903 con le tre
Estampes, giganteggia nella produzione debussyana immediatamente successiva al Pelléas una
superba partitura sinfonica, destinata a restare come il momento centrale, dopo i tre Nocturnes
composti nel 1897-99, nelle more della gestazione del Pelléas, e prima della terza serie di Images,
che sarebbe venuta fra il 1906 e il 1912, del grande trittico dei capolavori orchestrali, non legati
alla voce o al teatro: La mer. Del lavoro appena cominciato così scriveva Debussy in una lettera
del settembre 1903: «Sto lavorando a tre schizzi sinfonici intitolati: 'Mare bello alle isole
Sanguinarie - Giuochi d'onde - Il vento fa danzare il mare', sotto il titolo complessivo Il mare (La
mer) [...]. Forse non sapete che io ero destinato alla bella vita del marinaio, e che soltanto per caso
fui distolto da tale prospettiva. Ma ho tuttora una gran passione per il mare. Mi direte che l'oceano
non bagna le colline di Borgogna, e che ciò che io faccio è come dipingere un paesaggio in studio.
Ma i miei ricordi sono innumerevoli, e penso che essi valgano più della realtà, che in genere
appesantisce il pensiero». I ricordi risalivano all'infanzia del musicista, ai soggiorni nel Meridione
che gli aveva reso possibili la generosità dei padrini: Cannes gli aveva lasciato un ricordo
incantevole, e fortissima era stata l'impressione dell'Atlantico, conosciuto più tardi. Ma il
«ricordo» era cosa da intendere a sua volta in modo non troppo letterale: le isole Sanguinarie del
titolo del primo schizzo - poi scartato in favore dell'assai più suggestivo Dall'alba a mezzogiorno
sul mare - Debussy, che non era mai stato in Corsica, le conosceva per sentito dire; sicché
l'intenzione del compositore, olte a non essere descrittiva nel senso più banalmente realistico del
termine, appariva scopertamente «letteraria», secondo un atteggiamento che si sarebbe ripetuto
sovente nelle evocazioni di figure o paesi affatto immaginari (basterebbero i titoli di tanti fra i
ventiquattro Preludi pianistici a darcene un'idea). Eliminata, con la soppressione del riferimento
geografico, ogni possibilità d'equivoco in tal senso, e mutata, con fedelissimo innalzamento
poetico, anche l'intestazione del terzo pezzo, trasformato in Dialogo del vento e del mare, Debussy
presentò al pubblico la partitura, terminata il 5 marzo 1905 «alle sei di sera», il 15 ottobre di
quello stesso anno, ai Concerts Lamoureux, affidandola alla direzione di Camille Chevillard.

Le accoglienze non furono tutte entusiastiche. Poco più di una battuta furono le parole di Satie,
che dopo aver udito provare De l'aube à midi sur la mer rispose a Debussy che gli chiedeva che
cosa ne pensasse: «Ah, caro amico: c'è specialmente un momentino, fra le dieci e mezza e le
undici meno un quarto, che mi pare stupendo!»; una frecciata verso i compiacimenti simbolistico-
descrittivi dell'Impressionismo, senz'altro ingiustificata e fuor di luogo. Altrettanto fuor di luogo e
ingiustificate, d'altro canto, appaiono le reazioni a caldo di alcuni fra i più autorevoli critici
parigini, i quali al contrario rimproverarono a La mer - il primo lavoro importante che Debussy
avesse presentato dopo Pelléas - proprio di non essere abbastanza impressionista. La palma fu
vinta da Pierre Lalo, il critico del «Temps» (era figlio di Edouard Lalo, l'autore della Symphonie
espagnole): «Scritti da chiunque altro che da Debussy, i tre brani de La mer mi avrebbero
affascinato; ma trattandosi di lui, mi sento deluso. Perché una tale sensazione? Ricordate in Pelléas
la scena della grotta? Qualche accordo, un ritmo dell'orchestra: c'è tutta la notte e tutto il mare. Mi
sembra che ne La mer questa sensibilità non sia così intensa né così spontanea; mi sembra che
Debussy abbia voluto sentire e non abbia veramente, profondamente e naturalmente sentito. Per la
prima volta, ascoltando un'opera descrittiva di Debussy, ho l'impressione di essere non davanti alla
natura, ma davanti a una riproduzione della natura: riproduzione meravigliosamente raffinata,
ingegnosa e industriosa, ma sempre riproduzione». Poi la sentenza, simile al reclamo di un
acquirente deluso dal fornitore: «Io non odo, non vedo, non sento il mare»; e simili appunti
vennero da altri, da Jean d'Udine, che sul «Courier musical» accusava Debussy di deficienze
costruttive e di estraneità alla poesia del mare, a Gaston Carraud, che sulla «Liberté» spiegava che
del mare Debussy, pur dipingendo benissimo i giuochi di colore e di luce, non aveva saputo dare
l'idea essenziale. Al di là dell'impressione più o meno curiosa che può farci, oggi che tutti
sappiamo quale capolavoro immenso sia La mer, il vederla oggetto di sì fiere accuse di
manchevolezza dal punto di vista dell'oceanografia musicale, questo tipo di rilievi risulta
altamente indicativo del valore di novità - soprattutto all'interno della parabola creativa di Debussy
- che La mer dimostrò al suo primo apparire. Per Pelléas e in nome di Pelléas la Francia musicale
aveva combattuta una violenta battaglia con se stessa. Per contrastato che fosse stato l'affacciarsi
del grande capolavoro sulla scena della cultura musicale di Francia, esso si era rapidamente
affermato come una specie di manifesto della nuova musica nazionale, e in grazia di esso il
compositore, fin allora rimasto relativamente oscuro, era in breve divenuto oggetto di un vero e
proprio culto. Se quindi adesso era lo stesso Debussy a discostarsi così decisamente dalla maniera
di Pelléas - e di quei Nocturnes che in parte ne respiravano l'atmosfera, pur preannunciando in
tante cose la dimensione estetica de La mer - non c'è da sorprendersi registrando un certo senso,
comunque espresso e motivato, di delusione da parte di qualcuno.

La differenza, la novità erano profonde. «Alle sfumature, alle melodie volontariamente sospese»,
scrisse Louis Laloy, «si sostituisce, senza rinunciare a una sottigliezza di sensazioni forse unica al
mondo, uno stile serrato, determinato, affermativo, pieno; in una parola, 'classico'». Questa
classicità - per ambiguo che possa suonare tale concetto nel caso di un musicista del Novecento, e
in particolare di un Debussy, si manifesta anche, come Laloy non manca di notare, nella struttura
complessiva del lavoro, che dietro la dizione «tre schizzi» cela un impianto quanto mai robusto:
quasi una Sinfonia in tre tempi, che, arriva a dire Roland-Manuel, «potrebbero pure intitolarsi
Allegro, Scherzo e Finale, ove si volesse riconoscere una tendenza, pur aborrita, verso un
atteggiamento 'ciclico'». A tenere unito insieme tematicamente il grande affresco, provvede infatti
il ritorno nel terzo brano di spunti tematici del primo; così come il primo, quello che in una
Sinfonia vera sarebbe un tempo di Sonata, è costruito liberamente ma con solido disegno formale,
anche per quanto riguarda il succedersi delle tonalità in cui sono esposte le tre idee tematiche
principali. Accanto a queste considerazioni, c'è comunque da rilevare con particolare attenzione
quella che è la veste sonora de La mer, che resta forse il traguardo massimo raggiunto da Debussy
in fatto di ricchezza d'ispirazione timbrica e di varietà di colori orchestrali. Non si tratta
ovviamente soltanto di un dato esteriore: il timbro, il colorito strumentale, sono in Debussy molto
di più che non un accessorio del fatto compositivo in sé, ma anzi costituiscono un dato primario
dell'atto creativo, non meno degli altri parametri del suono: tanto più che, pur essendo La mer
tutt'altra cosa che una composizione «descrittiva» come credeva Pierre Lalo, la poesia del mare e
del vento che in essa trova realizzazione sonora non poteva prescindere da una massima pertinenza
(almeno poetica: non vi si fa, se non in senso trasfigurato, dell'onomatopeia musicale) delle
soluzioni timbriche alle immagini via via evocate.

Con La mer, quell'impiego della grande orchestra post-romantica come mezzo coloristico, atto a
registrare i più sottili e complessi moti della fantasia e dell'emozione proprio attraverso le sempre
cangianti prospettive timbriche, che già tanto felicemente Debussy aveva praticato nel Pelléas e
nei tre Nocturnes, giunge a una pienezza di risultati senz'altro straordinaria, accrescendosi rispetto
ai due capolavori precedenti di un'ampiezza e potenza di respiro inedite non solo per Debussy, ma
forse per tutta la musica europea. Il primo schizzo, Dall'alba a mezzogiorno sul mare, si svolge,
rendendo giustizia al titolo, in continuo crescendo di sensazioni, quasi registrando un progressivo
intensificarsi di luminosità dalle sonorità smorzate dell'introduzione fino alla smagliante apoteosi
di luce della chiusa. La dovizia delle idee melodiche, che si susseguono e si alternano con flusso
instancabile, il contorno definito che esse assumono fino ad acquistare il rilievo di veri e propri
temi contribuiscono a caratterizzare questo primo movimento appunto in quel senso «classico»
che con una certa forzatura Louis Laloy vi rilevava, rendendolo il più saldo e il più imponente,
anche se forse il meno impressionante dei tre. Tutt'altro clima nei Giuochi d'onde che seguono,
dove l'impianto costruttivo è quasi polverizzato dalla fluidità del divenire sonoro: la velocità con
cui le idee tematiche, a volte brevissime, si susseguono incalzanti, le traslucide prospettive sonore
create dalla strumentazione, di magica sottigliezza, fanno di questo pezzo uno degli esempi più
straordinari di integrazione fra disegno formale e intuizione coloristica, sotto il segno di
un'inventiva fantastica che non sembra conoscere soste. Caratteri, questi, che ritornano nel
Dialogo del vento e del mare che conclude con le sue grandiose visioni il vasto quadro: la
ricchezza dell'orchestrazione si fonde qui con l'agitato succedersi delle immagini; l'ampiezza e
l'audacia della concezione travalicano la stessa suggestione descrittiva che si potrebbe esser tentati
di ravvisarvi (il mare gonfio e possente, il respiro poderoso del vento), per proporci questa pagina,
quanto e più delle altre due, come uno dei più sconvolgenti e profetici documenti del Novecento
nascente.

Daniele Spini

111 n. 2 (109 n. 2) 1903 - 1905

2. Jeux de vagues

https://www.youtube.com/watch?v=2BRRKzPlwBU

https://www.youtube.com/watch?v=iQyH7OUwT8k

https://www.youtube.com/watch?v=0iKOtJRguKw

Jeux de vagues - Allegro (do diesis minore)

Organico: 2 flauti, ottavino, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 3 trome, piatti,
triangolo, glokenspiel o celesta, 2 arpe, archi
Composizione: Parigi, agosto 1903 - 5 marzo 1905
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Lamoureux, 15 ottobre 1905
Edizione: Durand, Parigi, 1905
Dedica: Jacques Durand

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Forse non sapete che avrei dovuto intraprendere la bella carriera del marinaio - recita una lettera
di Debussy - e che solo per caso ho cambiato strada. Ciononostante, ho mantenuto una passione
sincera per il mare». L'amore per il mare risaliva ai tempi dell'infanzia, quando Debussy si recava
a Cannes per le vacanze estive, in casa del padrino Achille-Antoine Arosa. Evocando quei tempi
felici, il musicista ricordava «la ferrovia che passava davanti a casa con il mare sullo sfondo: in
certi momenti pareva che il treno uscisse dal mare, o che dovesse tuffarvisi (a vostra scelta)».

Memorie che a distanza di tanto tempo rivelano la profonda emozione che il mare ha sempre
suscitato nell'animo di Debussy. Non è sorprendente dunque se Debussy, aldilà delle numerose
pagine legate alla misteriosa simbologia dell'acqua sparse nella sua produzione, abbia pensato al
mare per affrontare il lavoro sinfonico più impegnativo della sua carriera. Debussy cominciò a
comporre la musica nel luglio del 1903, durante il soggiorno estivo a Bichain. La partitura venne
terminata nell'estate del 1905 a Eastbourne, sulla costa inglese, dove il musicista si era rifugiato
per trovare un po' di tranquillità nel periodo più tempestoso della sua vita sentimentale.
L'abbandono della moglie Rosalie Texier, compagna degli anni faticosi di Pelléas et Mélisande, e
la fuga con Emma Bardac, signora della buona società parigina e moglie di un facoltoso uomo
d'affari, avevano suscitato una valanga di pettegolezzi, diventati un vero e proprio scandalo dopo il
tentato suicidio di Lilly con un colpo di pistola. A seguito di queste vicende, che avevano
coinvolto un po' tutto l'ambiente artistico di Parigi, Debussy ruppe i rapporti con la maggior parte
degli amici d'un tempo, a cominciare da quello più caro, Pierre Louys.

Dopo l'entusiasmante successo dei Nocturnes (1900-1901), l'accoglienza della prima esecuzione
della Mer, il 15 ottobre 1905 ai Concerts Lamoureux diretti da Camille Chevillard, fu deludente.
Gli ammiratori di Debussy speravano forse di ritrovare nella nuova composizione il clima
notturno, i sussurri pieni di allusioni, i vapori misteriosi che li avevano incantati in Pelléas et
Mélisande. Debussy invece aveva composto una musica che sembrava animata dal desiderio di un
ritorno all'ordine. La Mer metteva in primo piano il problema della forma musicale. Le atmosfere
velate e fiabesche dei Nocturnes lasciavano il posto a una scrittura luminosa, nitida e diurna. La
Mer sembrava una forma arci-raffinata di classicismo settecentesco, ispirato dall'antica abitudine
dei compositori francesi di conferire ai propri lavori un titolo di fantasia. Dietro la maschera di una
descrizione bozzettistica (De l'aube a midi sur la mer, Jeux de vagues, Dialogue du vent et de la
mer), si scorge la struttura di una sinfonia in tre movimenti, intrecciata di riferimenti strutturali e
concepita su un grande arco formale.

Il tema del mare assume nei tre pannelli sinfonici un significato diverso dal naturalismo
ottocentesco. «Mi ribatterete che l'Oceano non bagna esattamente le colline della Borgogna...! -
scriveva l'autore - E che tutto sembrerà probabilmente un paesaggio costruito a tavolino! In effetti
ho del mare infiniti ricordi; e questo, a mio avviso, vale più della realtà, il cui fascino in genere
soffoca troppo il nostro pensiero». Debussy non intende raffigurare la natura nella sua realtà
oggettiva, con l'occhio dell'artista ansioso di descrivere il fenomeno che l'ha impressionato. La sua
musica cerca piuttosto di esprimere il processo intimo della percezione, cogliendo le infinite
vibrazioni dell'essere di fronte a un'esperienza. «Cerco di fare "altro" - diciamo delle realtà - che
gli imbecilli chiamano "impressionismo", un termine che viene usato del tutto a sproposito,
soprattutto dai critici d'arte, i quali non esitano ad affibbiarlo a Turner, il più grande pittore di
"mistero" che l'arte abbia mai avuto!».

Baudelaire in Correspondances, una delle poesie più importanti per l'estetica simbolista, aveva
fissato i nuovi limiti espressivi del rapporto tra uomo e natura:
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L'homme y passe a travers desforèts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiers.

È un tempio la Natura, dove a volte parole


escono confuse da viventi pilastri
e che l'uomo attraversa tra foreste di simboli
che gli lanciano occhiate familiari.
(tr. Giovanni Raboni)

Ecco che nella musica di Debussy le "occhiate familiari" di Baudelaire si trasformano in echi
misteriosi, che risuonano continuamente all'interno del discorso articolando il percorso temporale
in una forma. Il mare di Debussy diventa un fenomeno quasi junghiano, come se quell'immagine
rispecchiasse l'archetipo di una forza oscura e irrazionale che muove la coscienza. L'atmosfera
serena che domina le tre vedute marine viene turbata all'improvviso da un brivido, ogni volta che
la musica si avvicina all'ignoto regno delle passioni. La velocità del tempo muta in continuazione
e altera il disegno del fraseggio, segno di un'inquietudine profonda che agita sotterraneamente la
scrittura musicale. Tuttavia mai come in questo lavoro Debussy ha cercato di conferire al magma
delle pulsioni emotive una struttura architettonica di grande respiro. L'unità della forma è affidata
al percorso armonico, che traccia una lunga campata dal re bemolle del Modéré, som lenteur in De
l'aube a midi sur la mer fino al poderoso accordo finale di re bemolle degli ottoni nel Dialogue du
vent et de la mer. All'interno di quest'ampia arcata si svolge un'animata sequenza d'impasti sonori
e ritmici di stupefacente bellezza e inventiva.

Secondo il critico Edgell Rickwood, Rimbaud «è un maestro della frase, non del periodo, che
difatti non ha quasi mai costruito». Questa osservazione potrebbe essere vera in linea di massima
anche per Debussy. I processi costruttivi della scrittura di Debussy tendono a isolare il singolo
frammento, anziché elaborare uno sviluppo tematico. Le immagini sonore sono rapide e brucianti,
ardono per così dire in una singola fiammata sonora, come certi versi abbaglianti di Mallarmé:
Le vierge, le vivace et le bel aujourd'hui.

In De l'aube a midi sur la mer Debussy si sforza di conferire a certi motivi di carattere contrastante
un rilievo tematico, come per abbozzare la dialettica di un movimento di sonata. L'articolazione
della forma resta tuttavia legata principalmente al timbro armonico, con accordi raffinati sparsi
sulla partitura come macchie di colore, e alla plasticità dei gesti musicali di cui è ricca la musica di
Debussy. La musica s'illumina all'improvviso con effetti di sconvolgente bellezza, come
l'abbagliante accordo suonato dai violoncelli divisi a quattro, al centro del quadro.

Jeux de vagues riprende l'idea dello Scherzo classico come di un movimento di danza. La forma
originalissima di Debussy mescola assieme, vorticosamente, una serie di frammenti che
suggeriscono diversi tipi di ballo: valzer, giga, bolero. La strumentazione ha una trasparenza
fantastica e la capacità di rinnovare continuamente l'immagine del paesaggio.

Il Dialogue du vent et de la mer si apre con un lungo rullo dei timpani, in maniera analoga al
primo pannello. Tutta la parte iniziale esprime l'inquietante contrasto tra il mare e il vento, finché
un colpo secco del timpano scarica la tensione accumulata in orchestra. Il tema principale del
finale, esposto dai fiati, spunta con fatica da un'appoggiatura espressiva e si gonfia d'emozione
man mano che cresce. La tonalità di re bemolle viene così a configurare una sorta di emblema
musicale del mare, che riappare ora come archetipo, ora come sogno.

Oreste Bossini
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La mobilità, l'istantaneità, la novità del tempo musicale della Mer esigerebbero un'analisi non
riassumibile in poche indicazioni. Il titolo De l'aube à midi sur la mer fa pensare a uno
svolgimento ininterrotto a un procedere caratterizzato da una continua propulsione, attraverso il
succedersi, sovrapporsi, addensarsi di motivi che si coagulano in più ampie strutture, stabiliscono
un mobilissimo gioco di rapporti. Nell'arcana sezione introduttiva prendono forma gradualmente
piccole cellule, per prima quel ritmo breve-lunga che già creava un senso di apertura spaziale in
Sirènes. Emerge un lento disegno (corno inglese e trombe), un tema ciclico che si ritroverà nel
terzo tempo; poi l'andamento si fa più animato, la nebulosa incertezza sembra dissolversi e si
approda a una nuova sezione: su un accompagnamento «ondeggiante» degli archi si profila il
celebre tema dei flauti e dei clarinetti subito seguito da un altro importante disegno dei corni. Nel
libero fluire del pezzo, dopo l'introduzione, si possono riconoscere due sezioni (che chiameremo A
e B) seguite da una coda. Nella mobilissima struttura della sezione A, oltre al tema principale già
citato, altri elementi entrano in gioco: un arabesco dei flauti, un mesto disegno degli oboi limitato
a tre note e sovrapposto a un canto del primo violino solo. La sezione A approda a un culmine di
luminosità e complessità di sovrapposizioni ritmiche, poi si spegne. Un nuovo tema presentato da
sedici violoncelli divisi apre la sezione B determinando un mutamento di clima espressivo. È
l'elemento predominante fino al ritorno del tema «ciclico» apparso nell'introduzione. Un episodio
statico stabilisce il collegamento con la coda conclusiva, aperta da un nuovo, solenne tema: essa
approda a una luminosa perorazione, che esplode inattesa.

Di concezione anche più radicalmente nuova è la forma di Jeux de vagues. Il titolo fa pensare a un
significato musicale, alla massima frantumazione, a una mobilità priva di direzione: l'articolazione
fluida e polverizzata è fondata sul nascere di un'invenzione sull'altra, sul loro intersecarsi e
accumularsi che non offre all'ascoltatore neppure i punti di riferimento ancora in qualche modo
presenti nella struttura del primo schizzo sinfonico. Il pezzo si presta a essere analizzato in modi
diversi: qui ci limiteremo a qualche schematica indicazione, individuando le idee principali che si
incontrano nel fluire mobilissimo, cangiante, dai profili spesso sfuggenti. L'inizio dell'introduzione
elude ogni presenza tematica, ogni materiale dai ben definiti contorni. Solo poi si profila un
disegno del corno inglese, un semplice frammento di scala ascendente che si dilata in arabeschi.
Finita l'introduzione, appare luminoso e lieve il primo tema, che inizia con trilli dei violini. Un
secondo tema dal profilo più cantabile è presentato dal corno inglese su un ritmo danzante, quasi
di bolero. Nuove idee caratterizzano la sezione successiva, poi si ha una sorta di ripresa variata
della seconda parte dell'introduzione, uno sviluppo del secondo tema, e quindi sviluppi in cui
entrano in gioco diversi elementi di breve respiro per approdare a un momento culminante, quasi
una luminosa iridescente visione, che si dissolve e a cui segue il ritorno del primo tema. Inattesa si
profila quindi una nuova idea in tempo di valzer, seguita da sviluppi che conducono a un altro
punto culminante. Nella coda i temi sembrano dissolversi in un clima sospeso (anche la tonalità è
incerta); di grande trasparenza la conclusione.

Un principio formale è annunciato nel titolo Dialogue du vent et de la mer: più che un semplice
dialogo il pezzo propone il contrasto, la sovrapposizione, lo sviluppo parallelo di materiali diversi,
non di due temi, ma di opposti campi di forza, in una mobilità di situazioni che conoscono anche
momenti di parossismo drammatico. Di queste forze contrastanti la prima presenta una timbrica
rude, violenta, configurandosi come un «movimento caotico» (Barraqué) dai ritmi frantumati; la
seconda ricerca una sottolineata cantabilità di vasto respiro. L'originalità della concezione
dell'ultimo tempo non impedisce di riconoscervi a grandi linee la disposizione formale di un
rondò; da notare anche i collegamenti tematici con il primo tempo. Il tema «ciclico» appare
nell'introduzione e diventa uno dei protagonisti del pezzo, dove il celebre tema principale, che
ritorna come il refrain di un rondò, si caratterizza per un'intensa ampiezza di respiro. Il tema
ciclico riappare invece nel corso del primo «episodio» del rondò, una pagina che conosce momenti
di cupa concitazione. Ritorna il refrain in triplice presentazione; anche nel secondo episodio fra i
materiali c'è il tema ciclico, che conosce nuovi sviluppi e trasformazioni ritmiche. Al terzo refrain
segue una coda, che si chiude in un secco «fortissimo» e che propone, fra l'altro, nuove
elaborazioni del tema «ciclico».

Paolo Petazzi
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Concluso nel 1902 il quasi decennale lavoro a Pelléas et Mélisande, Claude Debussy avviava una
fase centrale della sua creatività; grossolanamente parlando, il musicista si apprestava a superare
lo stile, i modi e il linguaggio che con una certa facilità si son definiti «impressionisti» e che nelle
mezze tinte, nell'atmosfera sfumata di sogno del Pelléas avevano trovato un'estrinsecazione di
insuperabile felicità. Punto d'arrivo di questa svolta, operata comunque per gradi, senza brusche
scosse, sarebbero state la chiarezza, la precisione, l'oggettività tutte novecentesche e «moderne»
dei capolavori degli anni precedenti la morte del compositore: in questo immediato «dopo Pelléas»
per Debussy il problema era principalmente quello di essere meno «impressionista», meno
«debussista» di quanto non rischiasse di farlo sembrare l'immagine di comodo che, sull'onda del
grandissimo capolavoro teatrale, da troppe parti ci si tendeva a fare di lui, ingabbiandolo con
un'etichetta forse impropria, certo riduttiva e superata nei fatti. Campo d'azione privilegiato del
musicista sarebbe stato, negli anni immediatamente successivi al 1902, il pianoforte, da sempre
(come del resto sarebbe stato anche per buona parte del nuovo secolo) il terreno più propizio alle
innovazioni, perché nell'immediatezza del rapporto fra atto compositivo e possibilità esecutiva,
nella dimensione squisitamente individuale di strumento capace di «far da sé», più aperto alla
libertà del discorso ritmico e alla stessa sottilizzazione del fatto timbrico, di quanto non lo fosse
l'orchestra, la cui scrittura era condizionata dalla necessità di contemplare sovrapposizioni e
incastri di voci diverse, e le cui possibilità sperimentali erano più soggette alla tirannia della
suddivisione in misure e del dosaggio di timbri e volumi.

Ma accanto alla stupenda serie delle composizioni pianistiche, avviata nel 1903 con le tre
Estampes, giganteggia nella produzione debussyana immediatamente successiva al Pelléas una
superba partitura sinfonica, destinata a restare come il momento centrale, dopo i tre Nocturnes
composti nel 1897-99, nelle more della gestazione del Pelléas, e prima della terza serie di Images,
che sarebbe venuta fra il 1906 e il 1912, del grande trittico dei capolavori orchestrali, non legati
alla voce o al teatro: La mer. Del lavoro appena cominciato così scriveva Debussy in una lettera
del settembre 1903: «Sto lavorando a tre schizzi sinfonici intitolati: 'Mare bello alle isole
Sanguinarie - Giuochi d'onde - Il vento fa danzare il mare', sotto il titolo complessivo Il mare (La
mer) [...]. Forse non sapete che io ero destinato alla bella vita del marinaio, e che soltanto per caso
fui distolto da tale prospettiva. Ma ho tuttora una gran passione per il mare. Mi direte che l'oceano
non bagna le colline di Borgogna, e che ciò che io faccio è come dipingere un paesaggio in studio.
Ma i miei ricordi sono innumerevoli, e penso che essi valgano più della realtà, che in genere
appesantisce il pensiero». I ricordi risalivano all'infanzia del musicista, ai soggiorni nel Meridione
che gli aveva reso possibili la generosità dei padrini: Cannes gli aveva lasciato un ricordo
incantevole, e fortissima era stata l'impressione dell'Atlantico, conosciuto più tardi. Ma il
«ricordo» era cosa da intendere a sua volta in modo non troppo letterale: le isole Sanguinarie del
titolo del primo schizzo - poi scartato in favore dell'assai più suggestivo Dall'alba a mezzogiorno
sul mare - Debussy, che non era mai stato in Corsica, le conosceva per sentito dire; sicché
l'intenzione del compositore, olte a non essere descrittiva nel senso più banalmente realistico del
termine, appariva scopertamente «letteraria», secondo un atteggiamento che si sarebbe ripetuto
sovente nelle evocazioni di figure o paesi affatto immaginari (basterebbero i titoli di tanti fra i
ventiquattro Preludi pianistici a darcene un'idea). Eliminata, con la soppressione del riferimento
geografico, ogni possibilità d'equivoco in tal senso, e mutata, con fedelissimo innalzamento
poetico, anche l'intestazione del terzo pezzo, trasformato in Dialogo del vento e del mare, Debussy
presentò al pubblico la partitura, terminata il 5 marzo 1905 «alle sei di sera», il 15 ottobre di
quello stesso anno, ai Concerts Lamoureux, affidandola alla direzione di Camille Chevillard.
Le accoglienze non furono tutte entusiastiche. Poco più di una battuta furono le parole di Satie,
che dopo aver udito provare De l'aube à midi sur la mer rispose a Debussy che gli chiedeva che
cosa ne pensasse: «Ah, caro amico: c'è specialmente un momentino, fra le dieci e mezza e le
undici meno un quarto, che mi pare stupendo!»; una frecciata verso i compiacimenti simbolistico-
descrittivi dell'Impressionismo, senz'altro ingiustificata e fuor di luogo. Altrettanto fuor di luogo e
ingiustificate, d'altro canto, appaiono le reazioni a caldo di alcuni fra i più autorevoli critici
parigini, i quali al contrario rimproverarono a La mer - il primo lavoro importante che Debussy
avesse presentato dopo Pelléas - proprio di non essere abbastanza impressionista. La palma fu
vinta da Pierre Lalo, il critico del «Temps» (era figlio di Edouard Lalo, l'autore della Symphonie
espagnole): «Scritti da chiunque altro che da Debussy, i tre brani de La mer mi avrebbero
affascinato; ma trattandosi di lui, mi sento deluso. Perché una tale sensazione? Ricordate in Pelléas
la scena della grotta? Qualche accordo, un ritmo dell'orchestra: c'è tutta la notte e tutto il mare. Mi
sembra che ne La mer questa sensibilità non sia così intensa né così spontanea; mi sembra che
Debussy abbia voluto sentire e non abbia veramente, profondamente e naturalmente sentito. Per la
prima volta, ascoltando un'opera descrittiva di Debussy, ho l'impressione di essere non davanti alla
natura, ma davanti a una riproduzione della natura: riproduzione meravigliosamente raffinata,
ingegnosa e industriosa, ma sempre riproduzione». Poi la sentenza, simile al reclamo di un
acquirente deluso dal fornitore: «Io non odo, non vedo, non sento il mare»; e simili appunti
vennero da altri, da Jean d'Udine, che sul «Courier musical» accusava Debussy di deficienze
costruttive e di estraneità alla poesia del mare, a Gaston Carraud, che sulla «Liberté» spiegava che
del mare Debussy, pur dipingendo benissimo i giuochi di colore e di luce, non aveva saputo dare
l'idea essenziale. Al di là dell'impressione più o meno curiosa che può farci, oggi che tutti
sappiamo quale capolavoro immenso sia La mer, il vederla oggetto di sì fiere accuse di
manchevolezza dal punto di vista dell'oceanografia musicale, questo tipo di rilievi risulta
altamente indicativo del valore di novità - soprattutto all'interno della parabola creativa di Debussy
- che La mer dimostrò al suo primo apparire. Per Pelléas e in nome di Pelléas la Francia musicale
aveva combattuta una violenta battaglia con se stessa. Per contrastato che fosse stato l'affacciarsi
del grande capolavoro sulla scena della cultura musicale di Francia, esso si era rapidamente
affermato come una specie di manifesto della nuova musica nazionale, e in grazia di esso il
compositore, fin allora rimasto relativamente oscuro, era in breve divenuto oggetto di un vero e
proprio culto. Se quindi adesso era lo stesso Debussy a discostarsi così decisamente dalla maniera
di Pelléas - e di quei Nocturnes che in parte ne respiravano l'atmosfera, pur preannunciando in
tante cose la dimensione estetica de La mer - non c'è da sorprendersi registrando un certo senso,
comunque espresso e motivato, di delusione da parte di qualcuno.

La differenza, la novità erano profonde. «Alle sfumature, alle melodie volontariamente sospese»,
scrisse Louis Laloy, «si sostituisce, senza rinunciare a una sottigliezza di sensazioni forse unica al
mondo, uno stile serrato, determinato, affermativo, pieno; in una parola, 'classico'». Questa
classicità - per ambiguo che possa suonare tale concetto nel caso di un musicista del Novecento, e
in particolare di un Debussy, si manifesta anche, come Laloy non manca di notare, nella struttura
complessiva del lavoro, che dietro la dizione «tre schizzi» cela un impianto quanto mai robusto:
quasi una Sinfonia in tre tempi, che, arriva a dire Roland-Manuel, «potrebbero pure intitolarsi
Allegro, Scherzo e Finale, ove si volesse riconoscere una tendenza, pur aborrita, verso un
atteggiamento 'ciclico'». A tenere unito insieme tematicamente il grande affresco, provvede infatti
il ritorno nel terzo brano di spunti tematici del primo; così come il primo, quello che in una
Sinfonia vera sarebbe un tempo di Sonata, è costruito liberamente ma con solido disegno formale,
anche per quanto riguarda il succedersi delle tonalità in cui sono esposte le tre idee tematiche
principali. Accanto a queste considerazioni, c'è comunque da rilevare con particolare attenzione
quella che è la veste sonora de La mer, che resta forse il traguardo massimo raggiunto da Debussy
in fatto di ricchezza d'ispirazione timbrica e di varietà di colori orchestrali. Non si tratta
ovviamente soltanto di un dato esteriore: il timbro, il colorito strumentale, sono in Debussy molto
di più che non un accessorio del fatto compositivo in sé, ma anzi costituiscono un dato primario
dell'atto creativo, non meno degli altri parametri del suono: tanto più che, pur essendo La mer
tutt'altra cosa che una composizione «descrittiva» come credeva Pierre Lalo, la poesia del mare e
del vento che in essa trova realizzazione sonora non poteva prescindere da una massima pertinenza
(almeno poetica: non vi si fa, se non in senso trasfigurato, dell'onomatopeia musicale) delle
soluzioni timbriche alle immagini via via evocate.

Con La mer, quell'impiego della grande orchestra post-romantica come mezzo coloristico, atto a
registrare i più sottili e complessi moti della fantasia e dell'emozione proprio attraverso le sempre
cangianti prospettive timbriche, che già tanto felicemente Debussy aveva praticato nel Pelléas e
nei tre Nocturnes, giunge a una pienezza di risultati senz'altro straordinaria, accrescendosi rispetto
ai due capolavori precedenti di un'ampiezza e potenza di respiro inedite non solo per Debussy, ma
forse per tutta la musica europea. Il primo schizzo, Dall'alba a mezzogiorno sul mare, si svolge,
rendendo giustizia al titolo, in continuo crescendo di sensazioni, quasi registrando un progressivo
intensificarsi di luminosità dalle sonorità smorzate dell'introduzione fino alla smagliante apoteosi
di luce della chiusa. La dovizia delle idee melodiche, che si susseguono e si alternano con flusso
instancabile, il contorno definito che esse assumono fino ad acquistare il rilievo di veri e propri
temi contribuiscono a caratterizzare questo primo movimento appunto in quel senso «classico»
che con una certa forzatura Louis Laloy vi rilevava, rendendolo il più saldo e il più imponente,
anche se forse il meno impressionante dei tre. Tutt'altro clima nei Giuochi d'onde che seguono,
dove l'impianto costruttivo è quasi polverizzato dalla fluidità del divenire sonoro: la velocità con
cui le idee tematiche, a volte brevissime, si susseguono incalzanti, le traslucide prospettive sonore
create dalla strumentazione, di magica sottigliezza, fanno di questo pezzo uno degli esempi più
straordinari di integrazione fra disegno formale e intuizione coloristica, sotto il segno di
un'inventiva fantastica che non sembra conoscere soste. Caratteri, questi, che ritornano nel
Dialogo del vento e del mare che conclude con le sue grandiose visioni il vasto quadro: la
ricchezza dell'orchestrazione si fonde qui con l'agitato succedersi delle immagini; l'ampiezza e
l'audacia della concezione travalicano la stessa suggestione descrittiva che si potrebbe esser tentati
di ravvisarvi (il mare gonfio e possente, il respiro poderoso del vento), per proporci questa pagina,
quanto e più delle altre due, come uno dei più sconvolgenti e profetici documenti del Novecento
nascente.

Daniele Spini

111 n. 3 (109 n. 3) 1903 - 1905

3. Dialogue du vent et de la mer

https://www.youtube.com/watch?v=5DsHYTD1dN0

https://www.youtube.com/watch?v=uSccwa5SW-M
https://www.youtube.com/watch?v=08PL36Z8OBM

Dialogue du vent et de la mer - Animé et tumultueux (do diesis minore)

Organico: 2 flauti, ottavino, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3
trombe, 2 cornette, 3 tromboni, basso tuba, timpani, grancassa, piatti, tam-tam, glockenspiel, 2
arpe, archi
Composizione: Parigi, agosto 1903 - 5 marzo 1905
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Lamoureux, 15 ottobre 1905
Edizione: Durand, Parigi, 1905
Dedica: Jacques Durand

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Forse non sapete che avrei dovuto intraprendere la bella carriera del marinaio - recita una lettera
di Debussy - e che solo per caso ho cambiato strada. Ciononostante, ho mantenuto una passione
sincera per il mare». L'amore per il mare risaliva ai tempi dell'infanzia, quando Debussy si recava
a Cannes per le vacanze estive, in casa del padrino Achille-Antoine Arosa. Evocando quei tempi
felici, il musicista ricordava «la ferrovia che passava davanti a casa con il mare sullo sfondo: in
certi momenti pareva che il treno uscisse dal mare, o che dovesse tuffarvisi (a vostra scelta)».

Memorie che a distanza di tanto tempo rivelano la profonda emozione che il mare ha sempre
suscitato nell'animo di Debussy. Non è sorprendente dunque se Debussy, aldilà delle numerose
pagine legate alla misteriosa simbologia dell'acqua sparse nella sua produzione, abbia pensato al
mare per affrontare il lavoro sinfonico più impegnativo della sua carriera. Debussy cominciò a
comporre la musica nel luglio del 1903, durante il soggiorno estivo a Bichain. La partitura venne
terminata nell'estate del 1905 a Eastbourne, sulla costa inglese, dove il musicista si era rifugiato
per trovare un po' di tranquillità nel periodo più tempestoso della sua vita sentimentale.
L'abbandono della moglie Rosalie Texier, compagna degli anni faticosi di Pelléas et Mélisande, e
la fuga con Emma Bardac, signora della buona società parigina e moglie di un facoltoso uomo
d'affari, avevano suscitato una valanga di pettegolezzi, diventati un vero e proprio scandalo dopo il
tentato suicidio di Lilly con un colpo di pistola. A seguito di queste vicende, che avevano
coinvolto un po' tutto l'ambiente artistico di Parigi, Debussy ruppe i rapporti con la maggior parte
degli amici d'un tempo, a cominciare da quello più caro, Pierre Louys.

Dopo l'entusiasmante successo dei Nocturnes (1900-1901), l'accoglienza della prima esecuzione
della Mer, il 15 ottobre 1905 ai Concerts Lamoureux diretti da Camille Chevillard, fu deludente.
Gli ammiratori di Debussy speravano forse di ritrovare nella nuova composizione il clima
notturno, i sussurri pieni di allusioni, i vapori misteriosi che li avevano incantati in Pelléas et
Mélisande. Debussy invece aveva composto una musica che sembrava animata dal desiderio di un
ritorno all'ordine. La Mer metteva in primo piano il problema della forma musicale. Le atmosfere
velate e fiabesche dei Nocturnes lasciavano il posto a una scrittura luminosa, nitida e diurna. La
Mer sembrava una forma arci-raffinata di classicismo settecentesco, ispirato dall'antica abitudine
dei compositori francesi di conferire ai propri lavori un titolo di fantasia. Dietro la maschera di una
descrizione bozzettistica (De l'aube a midi sur la mer, Jeux de vagues, Dialogue du vent et de la
mer), si scorge la struttura di una sinfonia in tre movimenti, intrecciata di riferimenti strutturali e
concepita su un grande arco formale.

Il tema del mare assume nei tre pannelli sinfonici un significato diverso dal naturalismo
ottocentesco. «Mi ribatterete che l'Oceano non bagna esattamente le colline della Borgogna...! -
scriveva l'autore - E che tutto sembrerà probabilmente un paesaggio costruito a tavolino! In effetti
ho del mare infiniti ricordi; e questo, a mio avviso, vale più della realtà, il cui fascino in genere
soffoca troppo il nostro pensiero». Debussy non intende raffigurare la natura nella sua realtà
oggettiva, con l'occhio dell'artista ansioso di descrivere il fenomeno che l'ha impressionato. La sua
musica cerca piuttosto di esprimere il processo intimo della percezione, cogliendo le infinite
vibrazioni dell'essere di fronte a un'esperienza. «Cerco di fare "altro" - diciamo delle realtà - che
gli imbecilli chiamano "impressionismo", un termine che viene usato del tutto a sproposito,
soprattutto dai critici d'arte, i quali non esitano ad affibbiarlo a Turner, il più grande pittore di
"mistero" che l'arte abbia mai avuto!».

Baudelaire in Correspondances, una delle poesie più importanti per l'estetica simbolista, aveva
fissato i nuovi limiti espressivi del rapporto tra uomo e natura:
La Nature est un temple où de vivants piliers
Laissent parfois sortir de confuses paroles;
L'homme y passe a travers desforèts de symboles
Qui l'observent avec des regards familiers.

È un tempio la Natura, dove a volte parole


escono confuse da viventi pilastri
e che l'uomo attraversa tra foreste di simboli
che gli lanciano occhiate familiari.
(tr. Giovanni Raboni)

Ecco che nella musica di Debussy le "occhiate familiari" di Baudelaire si trasformano in echi
misteriosi, che risuonano continuamente all'interno del discorso articolando il percorso temporale
in una forma. Il mare di Debussy diventa un fenomeno quasi junghiano, come se quell'immagine
rispecchiasse l'archetipo di una forza oscura e irrazionale che muove la coscienza. L'atmosfera
serena che domina le tre vedute marine viene turbata all'improvviso da un brivido, ogni volta che
la musica si avvicina all'ignoto regno delle passioni. La velocità del tempo muta in continuazione
e altera il disegno del fraseggio, segno di un'inquietudine profonda che agita sotterraneamente la
scrittura musicale. Tuttavia mai come in questo lavoro Debussy ha cercato di conferire al magma
delle pulsioni emotive una struttura architettonica di grande respiro. L'unità della forma è affidata
al percorso armonico, che traccia una lunga campata dal re bemolle del Modéré, som lenteur in De
l'aube a midi sur la mer fino al poderoso accordo finale di re bemolle degli ottoni nel Dialogue du
vent et de la mer. All'interno di quest'ampia arcata si svolge un'animata sequenza d'impasti sonori
e ritmici di stupefacente bellezza e inventiva.

Secondo il critico Edgell Rickwood, Rimbaud «è un maestro della frase, non del periodo, che
difatti non ha quasi mai costruito». Questa osservazione potrebbe essere vera in linea di massima
anche per Debussy. I processi costruttivi della scrittura di Debussy tendono a isolare il singolo
frammento, anziché elaborare uno sviluppo tematico. Le immagini sonore sono rapide e brucianti,
ardono per così dire in una singola fiammata sonora, come certi versi abbaglianti di Mallarmé:
Le vierge, le vivace et le bel aujourd'hui.

In De l'aube a midi sur la mer Debussy si sforza di conferire a certi motivi di carattere contrastante
un rilievo tematico, come per abbozzare la dialettica di un movimento di sonata. L'articolazione
della forma resta tuttavia legata principalmente al timbro armonico, con accordi raffinati sparsi
sulla partitura come macchie di colore, e alla plasticità dei gesti musicali di cui è ricca la musica di
Debussy. La musica s'illumina all'improvviso con effetti di sconvolgente bellezza, come
l'abbagliante accordo suonato dai violoncelli divisi a quattro, al centro del quadro.

Jeux de vagues riprende l'idea dello Scherzo classico come di un movimento di danza. La forma
originalissima di Debussy mescola assieme, vorticosamente, una serie di frammenti che
suggeriscono diversi tipi di ballo: valzer, giga, bolero. La strumentazione ha una trasparenza
fantastica e la capacità di rinnovare continuamente l'immagine del paesaggio.

Il Dialogue du vent et de la mer si apre con un lungo rullo dei timpani, in maniera analoga al
primo pannello. Tutta la parte iniziale esprime l'inquietante contrasto tra il mare e il vento, finché
un colpo secco del timpano scarica la tensione accumulata in orchestra. Il tema principale del
finale, esposto dai fiati, spunta con fatica da un'appoggiatura espressiva e si gonfia d'emozione
man mano che cresce. La tonalità di re bemolle viene così a configurare una sorta di emblema
musicale del mare, che riappare ora come archetipo, ora come sogno.

Oreste Bossini
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La mobilità, l'istantaneità, la novità del tempo musicale della Mer esigerebbero un'analisi non
riassumibile in poche indicazioni. Il titolo De l'aube à midi sur la mer fa pensare a uno
svolgimento ininterrotto a un procedere caratterizzato da una continua propulsione, attraverso il
succedersi, sovrapporsi, addensarsi di motivi che si coagulano in più ampie strutture, stabiliscono
un mobilissimo gioco di rapporti. Nell'arcana sezione introduttiva prendono forma gradualmente
piccole cellule, per prima quel ritmo breve-lunga che già creava un senso di apertura spaziale in
Sirènes. Emerge un lento disegno (corno inglese e trombe), un tema ciclico che si ritroverà nel
terzo tempo; poi l'andamento si fa più animato, la nebulosa incertezza sembra dissolversi e si
approda a una nuova sezione: su un accompagnamento «ondeggiante» degli archi si profila il
celebre tema dei flauti e dei clarinetti subito seguito da un altro importante disegno dei corni. Nel
libero fluire del pezzo, dopo l'introduzione, si possono riconoscere due sezioni (che chiameremo A
e B) seguite da una coda. Nella mobilissima struttura della sezione A, oltre al tema principale già
citato, altri elementi entrano in gioco: un arabesco dei flauti, un mesto disegno degli oboi limitato
a tre note e sovrapposto a un canto del primo violino solo. La sezione A approda a un culmine di
luminosità e complessità di sovrapposizioni ritmiche, poi si spegne. Un nuovo tema presentato da
sedici violoncelli divisi apre la sezione B determinando un mutamento di clima espressivo. È
l'elemento predominante fino al ritorno del tema «ciclico» apparso nell'introduzione. Un episodio
statico stabilisce il collegamento con la coda conclusiva, aperta da un nuovo, solenne tema: essa
approda a una luminosa perorazione, che esplode inattesa.

Di concezione anche più radicalmente nuova è la forma di Jeux de vagues. Il titolo fa pensare a un
significato musicale, alla massima frantumazione, a una mobilità priva di direzione: l'articolazione
fluida e polverizzata è fondata sul nascere di un'invenzione sull'altra, sul loro intersecarsi e
accumularsi che non offre all'ascoltatore neppure i punti di riferimento ancora in qualche modo
presenti nella struttura del primo schizzo sinfonico. Il pezzo si presta a essere analizzato in modi
diversi: qui ci limiteremo a qualche schematica indicazione, individuando le idee principali che si
incontrano nel fluire mobilissimo, cangiante, dai profili spesso sfuggenti. L'inizio dell'introduzione
elude ogni presenza tematica, ogni materiale dai ben definiti contorni. Solo poi si profila un
disegno del corno inglese, un semplice frammento di scala ascendente che si dilata in arabeschi.
Finita l'introduzione, appare luminoso e lieve il primo tema, che inizia con trilli dei violini. Un
secondo tema dal profilo più cantabile è presentato dal corno inglese su un ritmo danzante, quasi
di bolero. Nuove idee caratterizzano la sezione successiva, poi si ha una sorta di ripresa variata
della seconda parte dell'introduzione, uno sviluppo del secondo tema, e quindi sviluppi in cui
entrano in gioco diversi elementi di breve respiro per approdare a un momento culminante, quasi
una luminosa iridescente visione, che si dissolve e a cui segue il ritorno del primo tema. Inattesa si
profila quindi una nuova idea in tempo di valzer, seguita da sviluppi che conducono a un altro
punto culminante. Nella coda i temi sembrano dissolversi in un clima sospeso (anche la tonalità è
incerta); di grande trasparenza la conclusione.

Un principio formale è annunciato nel titolo Dialogue du vent et de la mer: più che un semplice
dialogo il pezzo propone il contrasto, la sovrapposizione, lo sviluppo parallelo di materiali diversi,
non di due temi, ma di opposti campi di forza, in una mobilità di situazioni che conoscono anche
momenti di parossismo drammatico. Di queste forze contrastanti la prima presenta una timbrica
rude, violenta, configurandosi come un «movimento caotico» (Barraqué) dai ritmi frantumati; la
seconda ricerca una sottolineata cantabilità di vasto respiro. L'originalità della concezione
dell'ultimo tempo non impedisce di riconoscervi a grandi linee la disposizione formale di un
rondò; da notare anche i collegamenti tematici con il primo tempo. Il tema «ciclico» appare
nell'introduzione e diventa uno dei protagonisti del pezzo, dove il celebre tema principale, che
ritorna come il refrain di un rondò, si caratterizza per un'intensa ampiezza di respiro. Il tema
ciclico riappare invece nel corso del primo «episodio» del rondò, una pagina che conosce momenti
di cupa concitazione. Ritorna il refrain in triplice presentazione; anche nel secondo episodio fra i
materiali c'è il tema ciclico, che conosce nuovi sviluppi e trasformazioni ritmiche. Al terzo refrain
segue una coda, che si chiude in un secco «fortissimo» e che propone, fra l'altro, nuove
elaborazioni del tema «ciclico».

Paolo Petazzi
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Concluso nel 1902 il quasi decennale lavoro a Pelléas et Mélisande, Claude Debussy avviava una
fase centrale della sua creatività; grossolanamente parlando, il musicista si apprestava a superare
lo stile, i modi e il linguaggio che con una certa facilità si son definiti «impressionisti» e che nelle
mezze tinte, nell'atmosfera sfumata di sogno del Pelléas avevano trovato un'estrinsecazione di
insuperabile felicità. Punto d'arrivo di questa svolta, operata comunque per gradi, senza brusche
scosse, sarebbero state la chiarezza, la precisione, l'oggettività tutte novecentesche e «moderne»
dei capolavori degli anni precedenti la morte del compositore: in questo immediato «dopo Pelléas»
per Debussy il problema era principalmente quello di essere meno «impressionista», meno
«debussista» di quanto non rischiasse di farlo sembrare l'immagine di comodo che, sull'onda del
grandissimo capolavoro teatrale, da troppe parti ci si tendeva a fare di lui, ingabbiandolo con
un'etichetta forse impropria, certo riduttiva e superata nei fatti. Campo d'azione privilegiato del
musicista sarebbe stato, negli anni immediatamente successivi al 1902, il pianoforte, da sempre
(come del resto sarebbe stato anche per buona parte del nuovo secolo) il terreno più propizio alle
innovazioni, perché nell'immediatezza del rapporto fra atto compositivo e possibilità esecutiva,
nella dimensione squisitamente individuale di strumento capace di «far da sé», più aperto alla
libertà del discorso ritmico e alla stessa sottilizzazione del fatto timbrico, di quanto non lo fosse
l'orchestra, la cui scrittura era condizionata dalla necessità di contemplare sovrapposizioni e
incastri di voci diverse, e le cui possibilità sperimentali erano più soggette alla tirannia della
suddivisione in misure e del dosaggio di timbri e volumi.

Ma accanto alla stupenda serie delle composizioni pianistiche, avviata nel 1903 con le tre
Estampes, giganteggia nella produzione debussyana immediatamente successiva al Pelléas una
superba partitura sinfonica, destinata a restare come il momento centrale, dopo i tre Nocturnes
composti nel 1897-99, nelle more della gestazione del Pelléas, e prima della terza serie di Images,
che sarebbe venuta fra il 1906 e il 1912, del grande trittico dei capolavori orchestrali, non legati
alla voce o al teatro: La mer. Del lavoro appena cominciato così scriveva Debussy in una lettera
del settembre 1903: «Sto lavorando a tre schizzi sinfonici intitolati: 'Mare bello alle isole
Sanguinarie - Giuochi d'onde - Il vento fa danzare il mare', sotto il titolo complessivo Il mare (La
mer) [...]. Forse non sapete che io ero destinato alla bella vita del marinaio, e che soltanto per caso
fui distolto da tale prospettiva. Ma ho tuttora una gran passione per il mare. Mi direte che l'oceano
non bagna le colline di Borgogna, e che ciò che io faccio è come dipingere un paesaggio in studio.
Ma i miei ricordi sono innumerevoli, e penso che essi valgano più della realtà, che in genere
appesantisce il pensiero». I ricordi risalivano all'infanzia del musicista, ai soggiorni nel Meridione
che gli aveva reso possibili la generosità dei padrini: Cannes gli aveva lasciato un ricordo
incantevole, e fortissima era stata l'impressione dell'Atlantico, conosciuto più tardi. Ma il
«ricordo» era cosa da intendere a sua volta in modo non troppo letterale: le isole Sanguinarie del
titolo del primo schizzo - poi scartato in favore dell'assai più suggestivo Dall'alba a mezzogiorno
sul mare - Debussy, che non era mai stato in Corsica, le conosceva per sentito dire; sicché
l'intenzione del compositore, olte a non essere descrittiva nel senso più banalmente realistico del
termine, appariva scopertamente «letteraria», secondo un atteggiamento che si sarebbe ripetuto
sovente nelle evocazioni di figure o paesi affatto immaginari (basterebbero i titoli di tanti fra i
ventiquattro Preludi pianistici a darcene un'idea). Eliminata, con la soppressione del riferimento
geografico, ogni possibilità d'equivoco in tal senso, e mutata, con fedelissimo innalzamento
poetico, anche l'intestazione del terzo pezzo, trasformato in Dialogo del vento e del mare, Debussy
presentò al pubblico la partitura, terminata il 5 marzo 1905 «alle sei di sera», il 15 ottobre di
quello stesso anno, ai Concerts Lamoureux, affidandola alla direzione di Camille Chevillard.

Le accoglienze non furono tutte entusiastiche. Poco più di una battuta furono le parole di Satie,
che dopo aver udito provare De l'aube à midi sur la mer rispose a Debussy che gli chiedeva che
cosa ne pensasse: «Ah, caro amico: c'è specialmente un momentino, fra le dieci e mezza e le
undici meno un quarto, che mi pare stupendo!»; una frecciata verso i compiacimenti simbolistico-
descrittivi dell'Impressionismo, senz'altro ingiustificata e fuor di luogo. Altrettanto fuor di luogo e
ingiustificate, d'altro canto, appaiono le reazioni a caldo di alcuni fra i più autorevoli critici
parigini, i quali al contrario rimproverarono a La mer - il primo lavoro importante che Debussy
avesse presentato dopo Pelléas - proprio di non essere abbastanza impressionista. La palma fu
vinta da Pierre Lalo, il critico del «Temps» (era figlio di Edouard Lalo, l'autore della Symphonie
espagnole): «Scritti da chiunque altro che da Debussy, i tre brani de La mer mi avrebbero
affascinato; ma trattandosi di lui, mi sento deluso. Perché una tale sensazione? Ricordate in Pelléas
la scena della grotta? Qualche accordo, un ritmo dell'orchestra: c'è tutta la notte e tutto il mare. Mi
sembra che ne La mer questa sensibilità non sia così intensa né così spontanea; mi sembra che
Debussy abbia voluto sentire e non abbia veramente, profondamente e naturalmente sentito. Per la
prima volta, ascoltando un'opera descrittiva di Debussy, ho l'impressione di essere non davanti alla
natura, ma davanti a una riproduzione della natura: riproduzione meravigliosamente raffinata,
ingegnosa e industriosa, ma sempre riproduzione». Poi la sentenza, simile al reclamo di un
acquirente deluso dal fornitore: «Io non odo, non vedo, non sento il mare»; e simili appunti
vennero da altri, da Jean d'Udine, che sul «Courier musical» accusava Debussy di deficienze
costruttive e di estraneità alla poesia del mare, a Gaston Carraud, che sulla «Liberté» spiegava che
del mare Debussy, pur dipingendo benissimo i giuochi di colore e di luce, non aveva saputo dare
l'idea essenziale. Al di là dell'impressione più o meno curiosa che può farci, oggi che tutti
sappiamo quale capolavoro immenso sia La mer, il vederla oggetto di sì fiere accuse di
manchevolezza dal punto di vista dell'oceanografia musicale, questo tipo di rilievi risulta
altamente indicativo del valore di novità - soprattutto all'interno della parabola creativa di Debussy
- che La mer dimostrò al suo primo apparire. Per Pelléas e in nome di Pelléas la Francia musicale
aveva combattuta una violenta battaglia con se stessa. Per contrastato che fosse stato l'affacciarsi
del grande capolavoro sulla scena della cultura musicale di Francia, esso si era rapidamente
affermato come una specie di manifesto della nuova musica nazionale, e in grazia di esso il
compositore, fin allora rimasto relativamente oscuro, era in breve divenuto oggetto di un vero e
proprio culto. Se quindi adesso era lo stesso Debussy a discostarsi così decisamente dalla maniera
di Pelléas - e di quei Nocturnes che in parte ne respiravano l'atmosfera, pur preannunciando in
tante cose la dimensione estetica de La mer - non c'è da sorprendersi registrando un certo senso,
comunque espresso e motivato, di delusione da parte di qualcuno.

La differenza, la novità erano profonde. «Alle sfumature, alle melodie volontariamente sospese»,
scrisse Louis Laloy, «si sostituisce, senza rinunciare a una sottigliezza di sensazioni forse unica al
mondo, uno stile serrato, determinato, affermativo, pieno; in una parola, 'classico'». Questa
classicità - per ambiguo che possa suonare tale concetto nel caso di un musicista del Novecento, e
in particolare di un Debussy, si manifesta anche, come Laloy non manca di notare, nella struttura
complessiva del lavoro, che dietro la dizione «tre schizzi» cela un impianto quanto mai robusto:
quasi una Sinfonia in tre tempi, che, arriva a dire Roland-Manuel, «potrebbero pure intitolarsi
Allegro, Scherzo e Finale, ove si volesse riconoscere una tendenza, pur aborrita, verso un
atteggiamento 'ciclico'». A tenere unito insieme tematicamente il grande affresco, provvede infatti
il ritorno nel terzo brano di spunti tematici del primo; così come il primo, quello che in una
Sinfonia vera sarebbe un tempo di Sonata, è costruito liberamente ma con solido disegno formale,
anche per quanto riguarda il succedersi delle tonalità in cui sono esposte le tre idee tematiche
principali. Accanto a queste considerazioni, c'è comunque da rilevare con particolare attenzione
quella che è la veste sonora de La mer, che resta forse il traguardo massimo raggiunto da Debussy
in fatto di ricchezza d'ispirazione timbrica e di varietà di colori orchestrali. Non si tratta
ovviamente soltanto di un dato esteriore: il timbro, il colorito strumentale, sono in Debussy molto
di più che non un accessorio del fatto compositivo in sé, ma anzi costituiscono un dato primario
dell'atto creativo, non meno degli altri parametri del suono: tanto più che, pur essendo La mer
tutt'altra cosa che una composizione «descrittiva» come credeva Pierre Lalo, la poesia del mare e
del vento che in essa trova realizzazione sonora non poteva prescindere da una massima pertinenza
(almeno poetica: non vi si fa, se non in senso trasfigurato, dell'onomatopeia musicale) delle
soluzioni timbriche alle immagini via via evocate.
Con La mer, quell'impiego della grande orchestra post-romantica come mezzo coloristico, atto a
registrare i più sottili e complessi moti della fantasia e dell'emozione proprio attraverso le sempre
cangianti prospettive timbriche, che già tanto felicemente Debussy aveva praticato nel Pelléas e
nei tre Nocturnes, giunge a una pienezza di risultati senz'altro straordinaria, accrescendosi rispetto
ai due capolavori precedenti di un'ampiezza e potenza di respiro inedite non solo per Debussy, ma
forse per tutta la musica europea. Il primo schizzo, Dall'alba a mezzogiorno sul mare, si svolge,
rendendo giustizia al titolo, in continuo crescendo di sensazioni, quasi registrando un progressivo
intensificarsi di luminosità dalle sonorità smorzate dell'introduzione fino alla smagliante apoteosi
di luce della chiusa. La dovizia delle idee melodiche, che si susseguono e si alternano con flusso
instancabile, il contorno definito che esse assumono fino ad acquistare il rilievo di veri e propri
temi contribuiscono a caratterizzare questo primo movimento appunto in quel senso «classico»
che con una certa forzatura Louis Laloy vi rilevava, rendendolo il più saldo e il più imponente,
anche se forse il meno impressionante dei tre. Tutt'altro clima nei Giuochi d'onde che seguono,
dove l'impianto costruttivo è quasi polverizzato dalla fluidità del divenire sonoro: la velocità con
cui le idee tematiche, a volte brevissime, si susseguono incalzanti, le traslucide prospettive sonore
create dalla strumentazione, di magica sottigliezza, fanno di questo pezzo uno degli esempi più
straordinari di integrazione fra disegno formale e intuizione coloristica, sotto il segno di
un'inventiva fantastica che non sembra conoscere soste. Caratteri, questi, che ritornano nel
Dialogo del vento e del mare che conclude con le sue grandiose visioni il vasto quadro: la
ricchezza dell'orchestrazione si fonde qui con l'agitato succedersi delle immagini; l'ampiezza e
l'audacia della concezione travalicano la stessa suggestione descrittiva che si potrebbe esser tentati
di ravvisarvi (il mare gonfio e possente, il respiro poderoso del vento), per proporci questa pagina,
quanto e più delle altre due, come uno dei più sconvolgenti e profetici documenti del Novecento
nascente.

Daniele Spini

118 (122) 1905 - 1912

Images
Terza serie per orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=Bi1HyJiVHzg

https://www.youtube.com/watch?v=TerWx9fe5yo

Gigues
Ibéria
Rondes du printemps

Organico: vedi dettagli dei singoli pezzi


Composizione: 1905 - 1912
Prima esecuzione completa: Parigi, Société Nationale de Musique, 26 gennaio 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1910 (Ibéria e Ronde) e 1913 (Gigues)
Dedica: Emma Debussy

118 n. 1 (122 n. 1) 1905 - 1912


1. Gigues

https://www.youtube.com/watch?v=R2lcDm8SpG4

https://www.youtube.com/watch?v=wctEyZEo4Hk

https://www.youtube.com/watch?v=Fm-Is7hGPcw

Gigues - Modéré (la bemolle maggiore)

Organico: 2 ottavini, 2 flauti, 2 oboi, oboe d'amore, corno inglese, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3
fagotti, 4 corni, 4 trombe, piatti, celesta, 2 arpe, archi
Composizione: Parigi, 10 ottobre 1912
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 26 gennaio 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913
Dedica: Emma Debussy

Guida all'ascolto (nota 1)

Cosa intendeva Debussy con la parola «Images» data per titolo a questi tre pezzi ed anche, com'è
noto, a due raccolte di brani pianistici? Dobbiamo forse pensare alla famosa definizione
dell'impressionismo suggerita da Degas: «Guardare il modello dal buco della serratura» - oppure
ripetere l'espressione di un noto critico d'arte: «Istantanea di un piccolo frammento del visibile»?

Ma forse per Debussy «immagine» derivava semplicemente da «immaginazione»: e ce lo dimostra


la sua «Iberia» tutta immaginaria. Il musicista, si sa, non conosceva la Spagna se non dalle
cartoline illustrate: eppure nella partitura si trova la più bella incarnazione musicale di quella terra:
i colori, i ritmi, le melodie dal lirismo sensuale, l'atmosfera languida e appassionata, l'esuberanza
di un paese inondato dal sole e di un popolo dal sangue caliente: tutto è evocato per pura magia
musicale nelle tre parti del lavoro - Par les rues et par les chemins, in cui gli echi delle musiche dei
villaggi si incrociano in un'atmosfera vibrante di luce -, Les parfums de la nuit, col fascino
inebriante delle notti andaluse - , Le matin d'un jour de féte, con la gaiezza di un popolo in festa
che cammina danzando sugli allegri accordi di guitarras e bandurrias.

Gigues - scritte dapprima per due pianoforti e poi orchestrate con la collaborazione di Caplet -
recavano originariamente il titolo di Gigues tristes giustificato dalla presenza del tema nostalgico
esposto dall'oboe d'amore, in contrasto con un secondo motivo vivacemente ritmato. L'emulazione
che si stabilisce tra i due temi raggiunge un'esaltante frenesia con l'entrata finale delle trombe e del
silofono. Come Iberia si ispira alla Spagna, così Gigues evocano il paesaggio scozzese, con
accenni di motivi ipopolari.

Rondes de Printemps ha per epigrafe due versi di un ben noto «Maggio» toscano: Ben venga
maggio e il gonfalon selvaggio! In questo brano - «la musica immateriale (dirà l'Autore) non può
essere trattata come quella di una robusta sinfonia che cammina a quattro zampe (a volte a tre, ma
fa lo stesso)» - tutte le risorse dell» ritmica e dell'armonia debussyana arricchiscono gli aspetti
variati del tema principale, che riecheggia il motivo della canzone popolare «Nous n'irons plus au
bois», già utilizzato nel pianistico «Jardins sous la pluie».

Composte in epoche differenti, le tre Images hanno in comune l'ispirazione folkloristica e il


carattere danzante, che preannuncia la nascita dei balletti «Jeux» e «La boite à joujoux».

118 n. 2 (122 n. 2) 1908

2. Ibéria

https://www.youtube.com/watch?v=jsk7yRc-xkQ

https://www.youtube.com/watch?v=NlvqO-IWvDw

https://www.youtube.com/watch?v=1rPAgPVwG_c

Par les rues et les chemins: Sevillana - Assez animé - dans un rythme alerte mais précis (sol
maggiore)
Les parfums de la nuit - Lent et rêveur
Le matin d'un jour de fête - Dans un rytme de Marche lointaine, alerte et joyeuse

Organico: 3 flauti, ottavino, 2 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3
trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, tamburello basco, castagnette, tamburo militare, piatti, 2
arpe, archi
Composizione: Parigi, 25 dicembre 1908
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 20 febbraio 1910
Edizione: Durand, Parigi, 1910
Dedica: Emma Debussy

Guida all'ascolto (nota 1)

Cosa intendeva Debussy con la parola «Images» data per titolo a questi tre pezzi ed anche, com'è
noto, a due raccolte di brani pianistici? Dobbiamo forse pensare alla famosa definizione
dell'impressionismo suggerita da Degas: «Guardare il modello dal buco della serratura» - oppure
ripetere l'espressione di un noto critico d'arte: «Istantanea di un piccolo frammento del visibile»?

Ma forse per Debussy «immagine» derivava semplicemente da «immaginazione»: e ce lo dimostra


la sua «Iberia» tutta immaginaria. Il musicista, si sa, non conosceva la Spagna se non dalle
cartoline illustrate: eppure nella partitura si trova la più bella incarnazione musicale di quella terra:
i colori, i ritmi, le melodie dal lirismo sensuale, l'atmosfera languida e appassionata, l'esuberanza
di un paese inondato dal sole e di un popolo dal sangue caliente: tutto è evocato per pura magia
musicale nelle tre parti del lavoro - Par les rues et par les chemins, in cui gli echi delle musiche dei
villaggi si incrociano in un'atmosfera vibrante di luce -, Les parfums de la nuit, col fascino
inebriante delle notti andaluse - , Le matin d'un jour de féte, con la gaiezza di un popolo in festa
che cammina danzando sugli allegri accordi di guitarras e bandurrias.
Gigues - scritte dapprima per due pianoforti e poi orchestrate con la collaborazione di Caplet -
recavano originariamente il titolo di Gigues tristes giustificato dalla presenza del tema nostalgico
esposto dall'oboe d'amore, in contrasto con un secondo motivo vivacemente ritmato. L'emulazione
che si stabilisce tra i due temi raggiunge un'esaltante frenesia con l'entrata finale delle trombe e del
silofono. Come Iberia si ispira alla Spagna, così Gigues evocano il paesaggio scozzese, con
accenni di motivi ipopolari.

Rondes de Printemps ha per epigrafe due versi di un ben noto «Maggio» toscano: Ben venga
maggio e il gonfalon selvaggio! In questo brano - «la musica immateriale (dirà l'Autore) non può
essere trattata come quella di una robusta sinfonia che cammina a quattro zampe (a volte a tre, ma
fa lo stesso)» - tutte le risorse dell» ritmica e dell'armonia debussyana arricchiscono gli aspetti
variati del tema principale, che riecheggia il motivo della canzone popolare «Nous n'irons plus au
bois», già utilizzato nel pianistico «Jardins sous la pluie».

Composte in epoche differenti, le tre Images hanno in comune l'ispirazione folkloristica e il


carattere danzante, che preannuncia la nascita dei balletti «Jeux» e «La boite à joujoux».

118 n. 3 (122 n. 3) 1909

3. Rondes du printemps

https://www.youtube.com/watch?v=vtXKIjx5sGs

https://www.youtube.com/watch?v=cRpvtfw9geg

https://www.youtube.com/watch?v=UjETZe0KbrU

Rondes du printemps - Modérément animé (si bemolle maggiore)

Organico: 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, 3 fagotti, controfagotto, 4 corni, timpani,
triangolo, tamburello, piatti, celesta, 2 arpe, archi
Composizione: Parigi, 10 maggio 1909
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 2 marzo 1910
Edizione: Durand, Parigi, 1910
Dedica: Emma Debussy

Guida all'ascolto (nota 1)

Cosa intendeva Debussy con la parola «Images» data per titolo a questi tre pezzi ed anche, com'è
noto, a due raccolte di brani pianistici? Dobbiamo forse pensare alla famosa definizione
dell'impressionismo suggerita da Degas: «Guardare il modello dal buco della serratura» - oppure
ripetere l'espressione di un noto critico d'arte: «Istantanea di un piccolo frammento del visibile»?

Ma forse per Debussy «immagine» derivava semplicemente da «immaginazione»: e ce lo dimostra


la sua «Iberia» tutta immaginaria. Il musicista, si sa, non conosceva la Spagna se non dalle
cartoline illustrate: eppure nella partitura si trova la più bella incarnazione musicale di quella terra:
i colori, i ritmi, le melodie dal lirismo sensuale, l'atmosfera languida e appassionata, l'esuberanza
di un paese inondato dal sole e di un popolo dal sangue caliente: tutto è evocato per pura magia
musicale nelle tre parti del lavoro - Par les rues et par les chemins, in cui gli echi delle musiche dei
villaggi si incrociano in un'atmosfera vibrante di luce -, Les parfums de la nuit, col fascino
inebriante delle notti andaluse - , Le matin d'un jour de féte, con la gaiezza di un popolo in festa
che cammina danzando sugli allegri accordi di guitarras e bandurrias.

Gigues - scritte dapprima per due pianoforti e poi orchestrate con la collaborazione di Caplet -
recavano originariamente il titolo di Gigues tristes giustificato dalla presenza del tema nostalgico
esposto dall'oboe d'amore, in contrasto con un secondo motivo vivacemente ritmato. L'emulazione
che si stabilisce tra i due temi raggiunge un'esaltante frenesia con l'entrata finale delle trombe e del
silofono. Come Iberia si ispira alla Spagna, così Gigues evocano il paesaggio scozzese, con
accenni di motivi ipopolari.

Rondes de Printemps ha per epigrafe due versi di un ben noto «Maggio» toscano: Ben venga
maggio e il gonfalon selvaggio! In questo brano - «la musica immateriale (dirà l'Autore) non può
essere trattata come quella di una robusta sinfonia che cammina a quattro zampe (a volte a tre, ma
fa lo stesso)» - tutte le risorse dell» ritmica e dell'armonia debussyana arricchiscono gli aspetti
variati del tema principale, che riecheggia il motivo della canzone popolare «Nous n'irons plus au
bois», già utilizzato nel pianistico «Jardins sous la pluie».

Composte in epoche differenti, le tre Images hanno in comune l'ispirazione folkloristica e il


carattere danzante, che preannuncia la nascita dei balletti «Jeux» e «La boite à joujoux».

140a (132a) 1914

Berceuse heroìque
in omaggio a S. M. il re Alberto I del Belgio e ai suoi soldati - Versione per orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=4LxDrPoy3xc

Modéré sans lenteur (mi bemolle minore)

Modéré sans lenteur (mi bemolle minore)

Organico: 2 flauti, 3 oboi, 3 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani,
2 arpe, archi
Composizione: Parigi, novembre 1914
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Colonne, 26 ottobre 1915
Edizione: Durand, Parigi, 1915

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel 1914, primo inverno di guerra, il re del Belgio Alberto I resiste ai tedeschi. Tra i doni meno
utili, ma forse confortanti, riceve una panoplia di musiche di diversi compositori, tra cui questa
bifronte operina di Claude Debussy, che nei mesi successivi realizza la trascrizione per orchestra
dell'originale per pianoforte, destinata ad una qualche fortuna esecutiva. Debussy patriota, lui che
detestava ogni retorica, ogni aspetto "pompier" del lavoro artistico? Un secondo, e ultimo, lavoro
viene dedicato da Debussy a quegli anni di guerra, Noël des enfants qui n'ont plus de maìson.

Le opposte, eppure coesistenti, intenzioni del breve lavoro emergono sin dal titolo, che associa
l'idea del riposo e del compianto alla volontà di resistenza. Nelle poche battute, si delinea un
percorso che transita dal passo dolente dell'avvio, tenuto su sonorità velate, all'affermazione del
doppio intervento, prima forte, poi più accennato, della tromba, che schiude la sezione centrale;
dove un crescendo dell'intensità orchestrale conduce alla citazione dell'inno nazionale belga, la
Brabanconne, e consente una semplice modulazione dal mi bemolle minore al do maggiore. Si
afferma un breve passo marziale: condannati dal cortocircuito delle associazioni, attribuiamo
immediatamente a Mahler e tromba e marcia. Ma la mano di Debussy ritorna subito lieve, di
nuovo si dispiega il velo delle sonorità, la citazione si fa anch'essa eco, la tromba svanisce piano,
la berceuse consola gli eroi. Nel pezzo di circostanza (ultima, in ordine cornologico, sua
orchestrazione) riconosciamo allora la firma rara dell'autore.

Sandro Cappelletto

Composizioni per strumento solista e orchestra

113 (103) 1904

Danses
per arpa cromatica e orchestra d'archi

https://www.youtube.com/watch?v=rMRzGjqXChs

https://www.youtube.com/watch?v=hQ9IvCTnWh8

Danse sacrée - Très modéré (fa maggiore)


Danse profane - Modéré (re maggiore)

Organico: arpa, archi


Composizione: aprile - maggio 1904
Prima esecuzione: Parigi, Théâtre Municipal du Châtelet, 6 settembre 1904
Edizione: Durand, Parigi, 1904
Dedica: Gustave Lyon

Guida all'ascolto (nota 1)

Nell'estate del 1903 Debussy iniziò a comporre La mer, una fra le più complesse e ambiziose delle
sue partiture sinfoniche, la cui gestazione avrebbe occupato l'autore per un lungo tempo. All'ombra
di questo lavoro principale nacquero così vari brani più dimessi, fra i quali anche un'altra partitura
orchestrale, le due Danses per arpa solista e orchestra d'archi. Debussy si accinse alla stesura delle
Danses nell'aprile 1904, dietro sollecitazione della casa di strumenti Pleyel. In competizione con la
casa Erard, che produceva l'arpa diatonica in uso ancora oggi, la Pleyel aveva lanciato sul mercato
un nuovo modello di arpa, definito "cromatico" perché abbandonava il vecchio meccanismo del
pedale in favore di una specifica corda per ogni semitono. La fortuna dell'arpa cromatica non fu,
agli inizi, priva di consistenza, tanto che presso il Conservatorio di Bruxelles venne introdotta una
cattedra per l'insegnamento di questo strumento; la composizione di Debussy fu concepita proprio
in funzione del Concorso di questo istituto. Tuttavia l'arpa cromatica non riuscì ad imporsi, e le
due Danses - praticamente l'unica partitura di rilievo dedicata allo strumento - vengono oggi
eseguite sull'arpa diatonica, alla quale si adattano senza difficoltà.

Le vicende della nascita di questi brani presentano ai nostri occhi un aspetto in qualche modo
anacronistico proiettando Debussy in quel mondo di sperimentazione organologica che certo
apparteneva più ad epoche precedenti che a quella vissuta dall'autore. Confrontate con le ricerche
spaziali, ricche di implicazioni simboliste, dei coevi brani sinfonici, Danse sacrée et Danse
profane mostrano un altro aspetto del compositore, quello dell'ascetismo arcaizzante. In una lettera
inviata a Manuel de Falla (13 gennaio 1907) Debussy considerava «il colore delle due danze [...]
molto spiccato» e parlava della «magia della "gravita" della prima» e della «"grazia", della
seconda». La particolare combinazione timbrica fra l'arpa e l'orchestra d'archi è un elemento
peculiare delle Danses, a cui si aggiunge la scelta di modi arcaici (dorico e lidio) per ciascuna di
esse. La Danse sacrée - tripartita, con una sezione centrale più animata - è basata su un pezzo
pianistico del compositore portoghese Francisco de Lacerda (1869-1934) e prelude alle rarefatte
atmosfere di certe pagine pianistiche (...Danseuses de Delphes del 1910). La Danse profane, che
succede senza soluzione di continuità, è anch'essa tripartita, con una breve ricapitolazione; più
mossa e virtuosistica, lascia scorgere nel suo clima onirico l'influenza delle Gymnopédies di Satie,
che Debussy aveva orchestrato nel 1897.

Arrigo Quattrocchi

124a (116) 1909 - 1910

Première Rapsodie
Versione per clarinetto e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=rO5PxbbB1Rk

https://www.youtube.com/watch?v=deph0kh42ls

Rêveusement lent (si bemolle maggiore)

Organico: clarinetto solista, 3 flauti, 3 oboi, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 2 percussioni,
2 arpe, archi
Composizione: dicembre 1909 - gennaio 1910
Prima esecuzione: Parigi, Cocerts Pasdeloup, 3 maggio 1919
Edizione: Durand, Parigi, 1911
Dedica: P. Mimart

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Rhapsodie per orchestra con clarinetto principale ebbe una origine occasionale come pezzo da
leggere a prima vista per il concorso di clarinetto del 1910 al Conservatorio di Parigi: composta
per clarinetto e pianoforte tra il dicembre 1909 e il gennaio 1910, fu orchestrata nel 1911. La
versione con orchestra fu presentata per la prima volta a Parigi il 3 maggio 1919. Nell'amabile
freschezza questa pagina sembra sospesa tra rèverie e scherzo: alla breve introduzione segue la
prima sezione con il tema «dolce e penetrante» del clarinetto, poi una sezione centrale con un
nuovo «tema scherzando» e la ripresa variata dell prima sezione.

Paolo Petazzi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

"Il Conservatorio è sempre lo stesso luogo cupo e sudicio che abiamo conosciuto, in cui ovunque
uno tocchi sente sotto le dita la polvere delle cattive tradizioni"; così Debussy il 25 novembre
1909 ad Andre Caplet, un giudizio non lusinghiero sul principale istituto dell'educazione musicale
francese, che rifletteva d'altronde i percorsi di rinnovamento perseguiti dal compositore. Pochi
giorni più tardi, tuttavia, Debussy si piegava alla richiesta del Conservatoire, il "conservatorio" per
eccellenza, e iniziava la stesura di un brano destinato ad essere una prova di concorso per gli
studenti di clarinetto. Concepito per solista e ensemble da camera, il brano venne orchestrato un
anno più tardi e pubblicato dall'editore Durand con il nome di Première Rhapsodie pour orchestre
avec Giannette principale en Si bemolle. Il momento è molto intenso nella biografia dell'autore,
che si accinge a scrivere il primo libro dei Préludes per pianoforte. Nel 1910 Debussy aveva al suo
attivo già quasi tutti i suoi capolavori e le componenti realmente innovative del suo linguaggio
erano non solo definite ma anche acquisite dalla coscienza musicale contemporanea; anzi l'astro
sorgente di Ravel si levava a oscurare il primato del più anziano collega sulla vita musicale
francese. Certamente l'origine occasionale influì sul risultato della Rapsodia, che sembra un'opera
un poco accademica, una esercitazione, una pausa di riflessione in attesa di nuovi e più stimolanti
progetti.

Eppure proprio dai limiti della destinazione nasce l'interesse verso la Rapsodia per clarinetto; se
non vi ritroviamo un Debussy grande innovatore, pure vi ravvisiamo un Debussy artigiano di
straordinaria raffinatezza, un compositore in cui la superiore padronanza dei mezzi espressivi è
sufficiente da sola a giustificare il piacere di ascoltare la sua musica. Singolare è, ad esempio, che
non si tratti di un brano "per clarinetto e orchestra", ma di un brano "per orchestra con clarinetto
principale", il che postula un rapporto di equilibrio particolare fra solista e compagine orchestrale,
basato sul continuo interscambio e non sulla predominanza del solista. Basterebbe ascoltare, a
questo proposito, la breve introduzione, in cui il suono del flauto e quello del clarinetto solista si
confondono, o il finissimo tessuto degli archi divisi con l'arpa, su cui si staglia il tema principale
della partitura. L'indicazione pp doux et pénétrante indicativa di scelte espressive sempre
contenute nei margini di una delicata astrazione; ma, come ha scritto Pierre Boulez, tutto il brano
oscilla fra la réverie e lo scherzo, alternando sezioni espressivamente contrastanti, alle quali viene
piegato un materiale tematico ricorrente. Dunque la Rapsodia illumina diversi aspetti delle
potenzialità espressive del clarinetto, il suo lato oscuro e riflessivo, e quello giocoso, ritmicamente
incisivo; lo strumento non rinuncia all'esplorazione pressoché esaustiva delle proprie risorse
tecniche, ma sacrifica l'esibizione delle più ardue difficoltà virtuosistiche al rispetto dei tenui
impasti timbrici, delle atmosfere discretamente ovattate, stabilendo con l'orchestra un gioco di
fascinosi echi e rimandi.

Arrigo Quattrocchi
128a (121) 1912

La plus que lente


Valzer - Versione per pianoforte e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=U6AcYSrzTiQ

https://www.youtube.com/watch?v=vD-VsJOL8CY

Lent - Molto rubato con morbidezza (sol bemolle maggiore)

Organico: pianoforte solista, flauto, clarinetto, piatto, archi


Composizione: 1912
Edizione: Durand, Parigi, 1912

Musica da camera

5 (3) 1880

Trio in sol maggiore


per violino, violoncello e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=wCPsPypRrg0

https://www.youtube.com/watch?v=AsO_roFcEx4

https://www.youtube.com/watch?v=WveI4Vo7ct4

Andantino con moto allegro


Intermezzo
Finale. Appasionato

Organico: violino, violoncello, pianoforte


Composizione: Fiesole, settembre - ottobre 1880
Edizione: Henle Verlag, Monaco, 1986
Dedica: Émile Durand

Guida all'ascolto (nota 1)

Anno 1880. Debussy, diciassettenne fresco di Conservatorio, è raccomandato dall'insegnante di


piano, Antoine Marmontel, a Madame Nadezhda von Meck, la facoltosa protettrice di Pètr Il'ic
Cajkovskij. Lei ha bisogno di un pianista che la accompagni per i suoi viaggi insieme ai figli, che
suoni con lei, che possa dare lezioni musicali alla famiglia. Debussy fa al caso suo. Quando
Madame von Meck si sposta a Firenze, a loro si affiancano anche il violoncellista Danilchenko,
che ha appena finito gli studi al Conservatorio di Mosca e il violinista Pachulsky: un trio di
eccellenti musicisti che ogni sera suona per la nobildonna soprattutto musica russa, o anche brani
di Beethoven e Schubert. Così, in questo clima familiare, Debussy dipinge le fresche pagine del
suo Trio in sol per violino, violoncello e pianoforte. Lo ascoltiamo e siamo colpiti dalla vitale
energia, dal sapore sentimentale in grado, in alcuni tratti, di richiamare sonor tipicamente
schumanniani e persino una trama timbrica densa e fluente d'ascendenza brahmsiana. Certo, come
scrisse in una recensione il critico musicale del New York Times, Harold Schonberg, sarebbe
divertente far ascoltare questo pezzo a esperti cultori dell'arte classica e chiedere di scoprir chi è il
vero compositore! Quanti direbbero Debussy?

Nell'Andantino con moto allegro una carezzevole melodia è intonata a turno dal trio e di volta in
volta spostata, nel dialogo intrecciato, su iridescenti piani armonici. Il secondo tema è un
tranquillo tracciato dai toni incantati sopra un fluido moto in terzine; gli strumenti dialogano
amabilmente facendosi come trasportare dalla dolcezza. Sono passati pochi minuti, ma il Debussy
ragazzo, con la sua musica palpitante, ci ha portato dentro un mondo misterioso ricco di
aspettative. Lo Scherzo-Intermezzo è una meravigliosa oasi di quiete, un'incursione sognante nel
fantastico. All'inizio misteriosi rintocchi segnano come il tempo e introducono un tema danzante
presentato in diverse fogge. Nel Poco più lento ecco una sorta di Trio su tre idee: a un tema del
cello risponde una petulante e rimbalzante asserzione del violino; una terza idea, pure spiritosa,
intreccia un confronto serrato col secondo spunto a formare un unico, denso panneggio.
Nell'Andante espressivo un aurorale arpeggio del piano introduce un tema del violino dai toni
leggiadri; il secondo tema, enunciato dal piano e ripreso dagli archi, diviene presto agitato; l'arco
espressivo di questo magnifico tempo si conclude con la ripresa del primo tema e una dolce coda
sopra il cristallino arpeggio del piano, dove sono creati raffinati suoni d'acqua fatti di deliziosi
gorgoglìi e raffinale ambientazioni armoniche. Nel Finale siamo immersi in un mondo travolgente.
L'Appassionato, in realtà un vero e proprio spumeggiante rondò, è definito da un accorato refrain
più volte ripreso e riverberato con energia; il secondo motivo è come rigenerato in una plastica
frase del cello e del violino conclusa dalla gentile asserzione del piano. Temi, spunti e idee si
rincorrono in una congerie avvincente che spesso cita esperienze sonore passate; si vede come
Debussy sottoponga a forte opera di variazione il materiale scambiandolo, forgiandolo
continuamente.

Marino Mora

39 (26) 1882

Nocturne e Scherzo per violoncello e pianoforte


Organico: violoncello, pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=jPkX4F6G7BQ

https://www.youtube.com/watch?v=D50vq6EYxMo

https://www.youtube.com/watch?v=IlJOBOP9vTY
Composizione: 14 giugno 1882
Edizione: Faber Music, Londra, 1995

Guida all'ascolto (nota 1)


Debussy, nel maggio del 1882, fa la sua prima apparizione pubblica in una serata musicale a Parigi
come autore di Notturno e Scherzo per violoncello e pianoforte L 26. In questo frangente
accompagnava il violinista Maurice Thieberg in una versione per piano e violino oggi perduta - ma
pochi mesi dopo, nel giugno dello stesso anno, ripropone una nuova versione per cello e piano di
una partitura che - rimasta inedita vivente il compositore - è stata per lungo tempo in forma di
manoscritto autografo, finalmente pubblicato nel 1995 per mano del musicologo Neil Heyde.
Tuttavia nello stesso manoscritto troviamo un solo e unico movimento con l'indicazione di
"Allegretto", mentre la dizione "Notturno e Scherzo" risulta solo una volta e nel foglio esterno che
tiene il faldone del materiale. La vexata quaestio lascia tutti ancora col fiato sospeso, anche se è
evidente come si debba attribuire il solo tempo che ci è giunto allo Scherzo e non al Notturno: il
tutto tradotto, catturato ed edulcorato nel segreto di un meraviglioso tempo di mazurka
magicamente filtrato nel sonor melodico e armonico tipico di Claude Debussy.

Marino Mora

91 (85) 1893

Quartetto per archi in sol minore

https://www.youtube.com/watch?v=H7f7u3TbY84

https://www.youtube.com/watch?v=N134T2-VwuY

https://www.youtube.com/watch?v=-8I7uHb7GY0

https://www.youtube.com/watch?v=KNxVfv_1LIA

Animé et très décidé (sol maggiore)


Assez vif et bien rythmé (fa diesis maggiore)
Andantino, doucement expressif (sol maggiore)
Très modéré - Très mouvementé et avec passion

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: 1892 - 1893
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 29 dicembre 1893
Edizione: Durand, Parigi, 1894
Dedica: al «Quartetto Ysaye»

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La storia del Quartetto d'archi in Francia è breve e alquanto discontinua: praticamente nessun
capolavoro prima degli ultimi anni dell'Ottocento e pochi, sebbene significativi, lavori a partire dal
1889, anno in cui il Quatuor di Cèsar Franck riscosse grande e inatteso successo. Seguiranno poi i
Quartetti di Fauré (1876, 1885), il Quartetto di d'Indy (1890), e i due lavori di Debussy e Ravel.

Claude Debussy compose il Quartetto per archi in sol minore op. 10 fra l'estate del 1892 e il
febbraio del 1893. La prima esecuzione avvenne, ad opera del Quartetto Ysaye, a Parigi il 29
dicembre dello stesso anno. Il Quartetto, nell'universo compositivo debussiano, si colloca
all'interno di un periodo dominato da lavori di marca simbolista (Prelude a l'après-midi d'un faune,
Nocturnes). Una curiosità è data dal fatto che questa è l'unica pagina di Debussy a recare nel
frontespizio un numero d'opera.

Concepito all'epoca dell'amicizia con Ernest Chausson, compositore e allievo di Franck, il


Quartetto op. 10 di Debussy risente indubitabilmente degli influssi franckiani, soprattutto nella
forma ciclica che permea la struttura dei suoi quattro movimenti, unita però alla forma della
variazione, quasi a conciliare in una curiosa sintesi il mondo accademico di Franck e quello
onirico, tipico ad esempio del Prelude a l'après-midi d'un faune.

I quattro movimenti sono dominati da un unico tema, in continua trasformazione, con un'armonia
dai colori sempre cangianti; micro-variazioni che interessano tanto l'aspetto ritmico che quello
coloristico-modale si alternano a riesposizioni del tema fondamentale, in un variegato e
coloratissimo mosaico musicale. La durata dell'opera è insolitamente breve: grazie a un'efficace
concisione formale, Debussy concentra i quattro movimenti in un lasso di tempo che non
raggiunge neanche la metà di quello che occorre a Franck per il suo Quatuor.

Il Quartetto di Debussy non ottenne subito consensi; la critica rimase perplessa, a volte
sconcertata, davanti alle caratteristiche innovative del suo linguaggio. Solo a partire dalla seconda
esecuzione del 1894 (Bruxelles, Libre Esthétique) la composizione comincia a essere veramente
apprezzata e si tenta timidamente di rintracciarne le influenze predominanti: da Borodin (Primo
Quartetto), alle orchestrine zigane udite da Debussy nel corso del soggiorno in Russia (1880-
1882), dalle evocazioni del gamelan giavanese all'unità formale di stampo mozartiano.

Lo stesso Chausson fu abbastanza critico nei confronti del Quartetto; l'amicizia con Debussy si
andava ormai allentando e i rapporti fra i due musicisti si avviavano verso la rottura. Nella sua
ultima lettera all'amico più anziano, scritta nel febbraio 1894 e riportata da Edward Lockspeiser,
Debussy scrive: «Devo confessarvi che per diversi giorni sono stato molto angosciato per quel che
avete detto a proposito del Quartetto, perché mi sono reso conto che il risultato è stato quello di
farvi amare ancor di più certe cose, quando volevo invece che ve le facesse dimenticare». Da qui
la promessa fatta a Chausson di comporre un secondo quartetto; promessa, come sappiamo, mai
mantenuta essendo il Quartetto in sol minore l'unico del suo genere nel catalogo di Debussy.

Il primo movimento, Anime et très decide, si apre con l'esposizione del tema principale, proposto
dai quattro strumenti con energica fermezza. Il suo profilo tagliente e il suo disegno ritmico ben
definito permettono all'ascoltatore di percepirlo immediatamente come cardine dell'intera
composizione, facilitandone il riconoscimento nelle successive riapparizioni. L'aura arcaica di
questo motivo deriva dall'antico modo frigio (modo di mi), qui usato da Debussy nel suo trasporto
sulla nota sol. Al tema principale seguono poi due delicate idee melodiche: la prima, nel modo
dorico, è presentata dal violino primo e subito ripresa dal violoncello sopra un regolare movimento
in semicrome degli altri strumenti; la seconda, più malinconica, è affidata a violino primo e viola
nel modo frigio costruito sulla nota si bemolle. Una fugace riapparizione del tema principale al
violoncello conduce al secondo tema, doux et expressif, anch'esso nel modo frigio. Nell'ottica
della forma classica, notiamo qui tanto la mancanza di tensione armonico-tonale fra i due temi,
entrambi nel modo frigio, quanto la voluta uniformità dei loro caratteri melodici.
Lo Sviluppo si apre enfaticamente con una ripresa del tema principale, seguita da una sua prima
elaborazione (tema al violino primo, terzine ritmiche al violino secondo, armonie ferme in viola e
violoncello). Il discorso si anima con lo sviluppo del secondo tema: il tessuto strumentale si
infittisce fino a giungere a una sua appassionata perorazione, condotta in Tempo rubato dal violino
primo che sfrutta abilmente il registro acuto. Toccato il suo apice, lo Sviluppo si frantuma in
numerose schegge motiviche, fra le quali riconosciamo l'incipit del tema principale.

La Ripresa non presenta praticamente alcuna analogia con l'Esposizione (altra vistosa deroga alla
«regola» classica); alla ripresa del tema principale segue infatti un nuovo episodio che precede il
secondo tema, variato rispetto all'Esposizione, essendo affidato ora al violino secondo sopra ampie
terzine ornamentali di violino primo e violoncello. Un crescendo conduce infine alla coda
conclusiva, Très anime.

Il secondo movimento, Assez vif et bien rythmé, in forma di scherzo (A-B-A'), si apre con un
virtuosistico effetto strumentale: i quattro strumenti eseguono le note in pizzicato, effetto che
suscitò consensi entusiastici alla prima esecuzione («Vi è qualcosa in questo pezzo per la quale
darei via volentieri l'opera intera di Pierre Loti», scrisse un critico). Alcuni videro in questa pagina
un'influenza russa, in particolar modo di Borodin e del Borìs Godunov di Mussorgsky. L'ostinato,
che attraversa la pagina quasi nella sua interezza, sembra essere un ricordo della fortissima
impressione che su Debussy fece l'orchestra giavanese (il gamelan) all'esposizione Universale di
Parigi del 1889.

Nella seconda parte ritroviamo il tema principale sottoposto a diverse variazioni: la prima affidata
al violino primo, con la melodia che ha perso ora ogni connotazione frigia, la seconda al
violoncello in registro acuto. Un breve episodio di transizione (nervoso motivo affidato al violino
primo in quarta corda sopra il tremolo di violino secondo, viola e violoncello) sfocia in un'altra
variazione del tema principale, che termina la seconda parte dello Scherzo. Conclude il
movimento la ripresa variata della prima parte.

L'Andantino, doucement expressif in re bemolle maggiore, pure in forma tripartita, presenta nelle
due sezioni estreme una sonorità rarefatta e impalpabile, che crea forte contrasto con l'episodio
centrale più mosso (Un peu plus vite). Nella prima parte i quattro archi usano la sordina, creando
un'atmosfera sonora dolce e delicata, propria della berceuse; la sezione centrale, aperta da un
recitativo della viola, ripropone una variazione del tema principale, seguita da un progressivo
animando delle quattro voci che toccano un apice dinamico (forte, très expressif) per poi ricadere
nel suono ovattato della sordina. Il movimento si conclude con la ripresa abbreviata della prima
parte.

L'ultimo movimento (Très moderé - Très mouvementé et avec passion) prende l'avvio da una sorta
di introduzione lenta che elabora, in arabeschi melodici dalle sonorità quasi misteriose, la testa del
tema principale. Nel successivo episodio, En animant peu a peu, le quattro voci strumentali
entrano in successione quasi canonica, creando un'incalzante progressione ascendente che, come
era già successo in precedenza, si dissolve nel pianissimo. Il tema principale può ora fare la sua
apparizione in viola e violino primo: è un motivo scattante e nervoso, il cui cromatismo tradisce
influssi franckiani, che subito si getta nel secondo tema, esposto dalla viola sulle ferme armonie di
violini e violoncello. Anche questo episodio tocca il suo apice dinamico per poi diminuire
progressivamente e raggiungere il pianissimo, sul quale si innesta una nuova melodia, presentata
dal violino primo e subito elaborata dagli altri strumenti. Un'appassionata perorazione del tema
precedente, sostenuta dalle trascinanti ottave del violino primo, precede un breve episodio di
sviluppo incentrato sul primo tema. Il ritorno trionfale del tema principale dell'intero Quartetto
confluisce, in virtù di una sapiente trama contrappuntistica, nel finale Très vif, basato ancora sul
primo tema.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Questo Quartetto del 1893, il solo scritto da Debussy, è il primo importante lavoro del compositore
francese, allora trentenne: eppure uscirebbe nettamente ridimensionato da un confronto col
Prelude a l'après-midi d'un faune, messo in cantiere più o meno nello stesso periodo, perché il
brano orchestrale racchiude il Debussy del futuro, mentre il Quartetto non è del tutto libero dai
ricordi scolastici e dal desiderio di dimostrare la solidità della propria tecnica in questo severo e
difficile genere cameristico, piuttosto lontano dalla tradizione francese ma portato recentemente in
auge dalla Société National de Musique per contestare il predominio tedesco.

Fu proprio la Société National a promuovere la prima esecuzione del Quartetto del giovane
"Claude de France", affidandolo al prestigioso Quartetto Ysaye: ma l'accoglienza del pubblico
parigino fu fredda come l'aria di quella sera del 29 dicembre 1893, né più calda fu la critica, con
l'eccezione di Paul Dukas, il solo ad apprezzarne le novità armoniche e timbriche che avevano
disorientato tutti gli altri. Effettivamente, nonostante i debiti con la tradizione accademica e con la
moda del principio ciclico imposta da César Franck, si avverte chiaramente in questo Quartetto la
presenza del compositore più insofferente delle tradizioni e più radicalmente rivoluzionario - senza
bisogno di proclami, di manifesti, di teorie - della sua generazione, perché Debussy fa capire
chiaramente di conoscere tutte le regole e di poter - quando vuole - seguirle senza sforzo, per
rigorose che siano, ma al contempo riesce a far sentire l'originalità e la libertà delle proprie idee.

All'analisi il primo movimento, Animé et très décidé, risulta essere in una regolare forma-sonata -
con l'esposizione dei due temi, lo sviluppo, la ripresa e la coda - ma Debussy mina dall'interno il
procedere solido e serrato che dovrebbe conseguirne e tutto sembra fluttuare liberamente. Il tema
principale, nell'antico modo frigio del canto gregoriano, appare nelle prime quattro battute per poi
ritornare continuamente, secondo il principio ciclico di Franck, in una serie di continue e
progressive trasformazioni, che sostituiscono il tradizionale lavorio d'elaborazione tematica e
danno al discorso una straordinaria leggerezza, perché i suoi ritorni non hanno il tono assertivo del
Leitmotiv wagneriano ma appaiono piuttosto eventi fortuiti o ricordi lontani.

Il secondo tempo, Assez vif et bien rythmé, è uno Scherzo con due Trii, impostato su due varianti
del tema iniziale del Quartetto. Nella prima sezione - lo Scherzo vero e proprio - lo si ascolta in
una versione marcatamente ritmica, presentata prima dalla viola, poi ostinatamente ripetuta dal
primo violino; lo stesso tema, dilatato nelle durate e più melodico, appare nel Trio; una breve
ripresa dello Scherzo, una variante del Trio e un ulteriore ritorno dello Scherzo (questa volta in un
tempo di 15/8, assolutamente irregolare a quel tempo, tanto da mettere in difficoltà gli interpreti e
da dare materiale ai detrattori) concludono il movimento.
Perfino Vincent D'Indy - che metteva in guardia i suoi allievi di composizione dall'«estetica della
sensazione» di Debussy, incompatibile con la grande arte - riconosceva la «poesia squisita» del
Très modéré. È un grande notturno dolcemente melanconico, da suonarsi con le sordine, che
vengono tolte in un episodio centrale leggermente più mosso, quando la viola espande il suo canto
sul suono degli altri tre strumenti, che si esita a definire "accompagnamento" come in una
composizione di concezione più accademica.

L'ultimo movimento inzia con un'introduzione très modéré, che si anima a poco a poco per
raggiungere un andamento très mouvementé et avec passion. Fondato inizialmente su elementi
nuovi, anche questo movimento fa ben presto appello al tema ciclico inizale, che l'alimenterà in
gran parte, presentandosi però in una serie di trasformazioni, tanto da provocare la sensazione d'un
mosaico di variazioni motiviche e di cangianti sfumature armoniche.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Composto nel 1893 ed eseguito alla Société Nationale di Parigi il 29 dicembre di quello stesso
anno dal celebre "Quartetto Ysaye", il Quartetto per archi in sol minore op. 10 di Claude Debussy
è uno dei primi lavori con cui il compositore si fece conoscere da un più vasto pubblico.

L'opera ottenne un discreto successo ma lasciò perplessa la critica ufficiale, posta


improvvisamente di fronte ad un lavoro nuovo e audace, insolito per lo sviluppo tematico
anticonvenzionale, per le innovazioni armoniche, per la scrittura di tipo orchestrale, per la viva
sensibilità ritmica. Un lavoro ricco, fra l'altro, di spunti e appigli esotici che non potevano non
risultare provocatori.

Infatti, il famoso critico wagneriano Maurice Kufferath, in un lungo articolo sulla "Guida
Musicale", confessava di essere rimasto colpito da alcune caratteristiche orientali come "i ritmi
rimbalzanti, gli scatti armonici violenti alternati a melodie languide, gli effetti di pizzicato simili ai
suoni di chitarre e mandolini".

Tutt'altro giudizio ne diede Paul Dukas, uno fra i pochi ad intuire l'originalità e il valore del
quartetto: «Le quatuor de M. Debussy porte bien l'empreinte de sa manière. Tout y est clair et
nettement dessiné, malgré une grande liberté de forme. L'essence mélodique de l'ceuvre est
concentrée, mais d'une riche saveur. Elle suffit a imprégner le tissu harmonique d'une poesie
penetrante et originale... ».

L'inizio del primo movimento del Quartetto è caratterizzato da una esposizione vigorosa del tema
principale; questo tema, rapido e breve, concepito nel modo frigio, si afferma sin dalla prima
battuta e si ripresenterà più o meno trasformato in tutto il lavoro. Il secondo tema ha l'andamento
calmo e regolare di una dolce melodia ed è cantato su terzine del secondo violino e del
violoncello, dal primo violino e dalla viola ad un intervallo di nona. La riesposizione si svolge
liberamente.

Il secondo movimento ha il carattere di un Lied: fin dalla prima battuta, numerosi divertenti
pizzicati, incrociati ad un tipico ritmo ostinato, danno al brano il colore di una serenata.
Il dolce e carezzevole terzo tempo è ugualmente composto alla maniera di un Lied: vi compaiono
due temi e il largo impiego di sordine determina effetti e sfumature speciali.

Nel Finale ricompaiono i temi dei precedenti movimenti, ma con ritmi diversi e con armonie
nuove. La composizione, nella sua forma ciclica, si conclude riccamente con improvvisi e
concitati bagliori sonori.

Salvatore Caprì

104 (98) 1901 - 1911

Rapsodie
per sassofono contralto e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=iaH3He7xct0

https://www.youtube.com/watch?v=q1ZyfNozCD4

https://www.youtube.com/watch?v=W6fAcQ-ZzqE

Très modéré (mi bemolle maggiore)

Organico: sassofono contralto, pianoforte


Composizione: 1901 - 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1919 (nella trascrizione per sassofono contralto e orchestra abbozzata da
Debussy e poi terminata da Roger-Ducasse)
Dedica: Mme Elisa Hall

124 (116) 1909 - 1910

Première Rapsodie
Versione per clarinetto e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=YRDbL6EjqgI

https://www.youtube.com/watch?v=s86Q7qnAigk

https://www.youtube.com/watch?v=chQRYOXQmws

Rêveusement lent (si bemolle maggiore)

Organico: clarinetto, pianoforte


Composizione: dicembre 1909 - gennaio 1910
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 16 gennaio 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1910
Dedica: P. Mimart
Guida all'ascolto (nota 1)

La Rapsodia per clarinetto non occupa un posto centrale nel catalogo di Debussy; scritta nel 1910,
non raggiunge traguardi in precedenza ignoti all'autore, non apre nuove strade alla sua invenzione.
Nel 1910 Debussy aveva al suo attivo già quasi tutti i suoi capolavori e le componenti realmente
innovative del suo linguaggio erano non solo definite ma anche acquisite dalla coscienza musicale
contemporanea; anzi l'astro sorgente di Ravel si levava a oscurare il primato del più anziano
collega sulla vita musicale francese. Confrontata agli altissimi risultati dei prossimi Préludes per
pianoforte la Rapsodia sembra un'opera un poco accademica, una esercitazione, una pausa di
riflessione in attesa di nuove e più stimolanti idee.

Eppure la definizione dei limiti di una partitura non equivale automaticamente a un verdetto
negativo sulla medesima; proprio dai suoi limiti, dalla definizione di "opera minore" nasce
l'interesse verso la Rapsodia per clarinetto; se non vi ritroviamo un Debussy grande innovatore,
pure vi ravvisiamo un Debussy artigiano di straordinaria raffinatezza, un compositore in cui la
superiore padronanza dei mezzi espressivi è sufficiente da sola a giustificare il piacere di ascoltare
la sua musica. Il clarinetto, la cui utilizzazione sembra richiamarsi direttamente all'esperienza
intimistica dell'ultimo Brahms (compositore, peraltro, assai poco amato da Debussy), non rinuncia
all'esplorazione pressoché esaustiva delle proprie risorse tecniche, ma sacrifica l'esibizione delle
più ardue difficoltà virtuosistiche al rispetto dei tenui impasti timbrici, delle atmosfere
discretamente ovattate che vengono proposte dall'accompagnamento (e che certo nella riduzione
pianistica appaiono sminuite rispetto alla ricchezza di colori della versione orchestrale).

La Rapsodia, - commissionata per un concorso al Conservatorio di Parigi - ha, ovviamente, una


forma libera e frequenti oscillazioni di tempo, che corrispondono alla estrosa mutevolezza del
contenuto musicale; il materiale tematico, benché ricorrente, viene piegato a esigenze espressive
continuamente rinnovate, che, come suggerisce Pierre Boulez, oscillano fra la "réverie" e lo
"scherzo".

127 (120) 1910

Petite pièce
per clarinetto e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=HcbUjY7twpA

https://www.youtube.com/watch?v=IsxELVp8MCs

Modéré et doucement rythmé

Organico: clarinetto, pianoforte


Composizione: luglio 1910
Edizione: Durand, Parigi, 1910 col titolo "Petite pièce"

137 (129) 1913


Syrinx per flauto solo

https://www.youtube.com/watch?v=b-9xGnbBHMI

https://www.youtube.com/watch?v=YEyKM13yf_4

https://www.youtube.com/watch?v=RNjroFNi7mA

Très modéré (si bemolle minore)

Organico: flauto
Composizione: 1913
Prima esecuzione privata: Parigi, abitazione di Louis Mors e Louis Fleury, 1 dicembre 1913
Edizione: Jobert, Parigi, 1927
Dedica: Louis Fleury
Scritto per la commedia Psyché di Gabriel Mourey

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Con molta probabilità la nascita di questo celebre assolo per flauto è collegata alla richiesta fatta a
Debussy dall'amico Gabriel Mourey di comporre le musiche per il suo lavoro Psyché. Scritto per il
flautista Louis-Francois Fleury, questo breve brano - intitolato in un primo momento La flùte de
Pan e ispirato all'amore del dio Pan per la ninfa Syrinx - testimonia ancora una volta, dopo il
Prélude à l'après-mìdi d'un faune, di cui sembra evocare le atmosfere, del grande fascino esercitato
dal flauto su Debussy.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel Prélude a l'après-midi d'un faune Debussy aveva per così dire reinventato il flauto: dalla
tradizionale simbologia bucolica, lo strumento si fa espressione di malia incantatrice e sensuale,
anelito erotico, malinconia ed estasi. Questo nuovo strumento si ripropone in Flùte de Pan, musica
di scena per il dramma di Gabriel Mourey Psiché (1913), che diverrà celeberrimo col titolo Syrinx,
attribuitogli in occasione della pubblicazione postuma (1927). Si tratta di un assolo articolato in tre
sezioni (le stanghette di battuta furono introdotti dall'editore), ciascuna delle quali è aperta da uno
stesso tema cromatico, con figure in ritmo puntato. Nella prima sezione l'arabesco della frase
iniziale è subito ripetuto generando una variante che si sviluppa dal grave all'acuto; nella seconda
sezione, che è la più estesa e si conclude con dei trilli, il tema parte dal registro centrale dello
strumento; nella terza il flauto discende dall'acuto al grave, in progressivo rallentando.

Cesare Fertonani

144 (135) 1915

Sonata n. 1 in re minore per violoncello e pianoforte


https://www.youtube.com/watch?v=UC1H73551gE

https://www.youtube.com/watch?v=cMhJtTc9Cic

https://www.youtube.com/watch?v=nbJ33aN63Fs

Prologue - Lent. Sostenuto e molto risoluto


Sérénade - Modérément animé
Finale - Aminé. Léger et nerveux

Organico: violoncello, pianoforte


Composizione: luglio - agosto 1915
Prima esecuzione: Londra, Aeolian Hall, 4 marzo 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1915
Dedica: Emma Debussy

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Negli ultimi anni della sua vita, quando era già minato dal cancro che lo avrebbe portato alla
tomba, il 25 marzo 1918, a Parigi, Debussy scrisse un gruppo di composizioni pianistiche e da
camera molto significative per quel senso di rinnovamento estetico che d'altra parte è sempre
presente nella sua produzione, pur senza modificare radicalmente la morfologia tradizionale. Tali
opere sono: Trois poèmes de Mallarmé (1913), Douze études pour piano (1915), considerati tra le
conquiste più preziose dell'arte pianistica debussiana, En blanc et noir per due pianoforti (1915) e
le Sonates: pour piano et violoncello (1915), pour flùte, alto et harpe (1915) pour piano et violon
(1917). In quest'ultimo gruppo di lavori si avverte lo sforzo del musicista verso un'arte più austera,
più sprovvista di seduzioni immediate, ma ugualmente ricca di idee e di ispirazione, nell'ambito di
una tensione classicistica. Che questa fosse l'intenzione di Debussy lo si ricava da una lettera da
lui inviata il 5 agosto del 1915 al suo editore parigino Durand e in cui è detto: «Vous aller recevoir,
avant cette lettre peut-étre, la Sonata pour violoncelle et piano. Il ne m'appartient pas d'en juger
l'excellence, mais j'en aime les proportions et la forme presque classique dans le bon sens du mot
».

Debussy scrisse la Sonata per violoncello e pianoforte in poco più di un mese e all'inizio aveva
intenzione di dare a questa pagina un titolo carico di curioso simbolismo, che si richiamava alla
pittura di Watteau «Pierrot faché avec la lune» (Pierrot irritato con la luna). Ma successivamente il
musicista pensò bene di abolire qualsiasi riferimento esterno e di affidarsi esclusivamente ai valori
del discorso sonoro, limitandosi a scrivere in calce al manoscritto «que le pianiste n'oublie jamais
qu'il ne faut pas lutter contro le violoncelle, mais l'accompagner». Il Prologo si distingue per
vivacità di tono e una certa ironia timbrica, espressa soprattutto dal violoncello, la cui scrittura non
è priva di puntate virtuosistiche. Nella Serenata sono accentuati maggiormente i tratti umoristici,
burleschi e fantastici della composizione; dal violoncello si sprigionano effetti sonori piacevoli e
brillanti. Il Finale è contrassegnato da uno slancio ritmico gioioso e inarrestabile, in un solo
momento interrotto da un episodio indicato sulla partitura con queste parole: «Molto rubato e con
morbidezza », come una eco delle antiche volatine clavicembalistiche, tanto amate dall'ultimo
Debussy.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo la composizione del Quartetto (1893), per ben ventidue anni, Debussy non scrisse nessun
lavoro di musica da camera. Fu, infatti, solo nel 1915 che egli decise di comporre una serie di
Sonate per vari strumenti. Come risulta dalle dediche apposte sulle Sonate effettivamente
composte e pubblicate («Les Six Sonates pour divers instruments sont offerts en hommage a
Emma-Claude Debussy (p. m.) - Son mari - Claude Debussy») il numero complessivo di questi
lavori doveva essere sei. In realtà, di questo progetto furon composte solo tre Sonate: quella per
violoncello è la prima della serie. Scritta d'un sol getto nei mesi di luglio ed agosto 1915, essa
respira la grazia e la felicità delle opere nate spontaneamente e dalla cui stesura è assente ogni
apparente sforzo creativo. (Ben diversa sarà da questo punto di vista la Sonata per violino e
pianoforte che costerà al compositore una dura, dolorosa fatica). Si dice che Debussy abbia avuto
in mente di chiamare la Sonata per violoncello «Pierrot faché avec la lune» e in effetti, nonostante
la maggiore sobrietà - che a tratti sembra orientarsi verso la pura scarnezza neoclassica che
distingue queste ultime opere di Debussy dai suoi lavori specificamente «impressionisti» - la
Sonata si mantiene tutta in un'aura notturna, lunare ed anche qui, nonostante la virtuale linearità
della scrittura, il colore armonico prevale sempre sul disegno, sicché la condotta lineare delle voci
si rivela all'atto pratico di natura più «grafica» che reale. I singoli momenti della vicenda sonora
risultano del resto anche qui con inequivocabile chiarezza dalle indicazioni di tempo e di
espressione apposte dall'autore: così il Prologo, che s'inizia in modo «sostenuto e molto rubato»,
attraverso un alternarsi di periodi in cui la scansione va «animandosi» o «cedendo» culmina in una
frase «largamente declamata» per ritornare poi gradatamente al movimento iniziale e sfumare
(«sempre più piano»), perdendosi in un evanescente, pallido armonico del violoncello.

Nella Serenata il filo melodico del cello («fantastico e leggero ») viene accompagnato in modo
secco e chitarristico dal pianoforte. Ed anche il Finale (attaccato alla Serenata senza soluzione di
continuità) s'inizia in modo «animato, leggero e nervoso», per assumere poi carattere «volubile»,
«appassionato e con fuoco». Dopo essersi adagiato in una lunga frase lenta («molto rubato, «con
morbidezza», «dolcissimo, ma sostenuto», «delicatissimo», «dolce vibrato», sono gli attributi con
cui l'autore vi qualifica il discorso sonoro), la vicenda musicale ritorna «volubile», «appassionata e
animata», per concludersi, dopo un ultimo rallentamento (Largo) con una strappata del violoncello
(accordo «arraché») e un secco accordo del pianoforte.

Va notato per ultimo, che nel caso di questa, come del resto in quello delle altre due Sonate
debussyane, il termine di «Sonata» va riportato alla sua accezione formale preclassica, indicando
una «Sonata» ricostruita sul piano dell'antica Suite.

Roman Vlad

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Debussy scrive la Sonata in sol minore per violoncello e pianoforte nel 1915. Il titolo iniziale,
carico di originale simbolismo (Pierrot faché avec la lune), si richiamava alla fantasiosa pittura di
Watteau, con le sue sfumature melanconiche e ironiche. Ma del mondo stralunato e imbronciato di
Pierrot, delle maschere dispettose e sorridenti della commedia dell'arte, delle citazioni degli
insuperati maestri cembalisti francesi, delle nebulari e suggestive atmosfere, dell'uso ambientale
della modalità, del richiamo a timbri strumentali antichi la Sonata è un magnifico, esemplare
florilegio. Il Prologo assomiglia a un'austera ouverture in stile antico, "alla francese", al modo di
una delle suites di Couperin, solenni, malinconiche; il piano disegna un tema declamatorio dal fare
teatraleggiante, improvvisativo, completato dal cello che tratteggia il proprio assunto come un
lamento. Giunge la seconda idea, dal disegno discendente, misterioso pianto solitario scandito dai
rintocchi plagaleggianti del piano. Un'incessante opera di trasformazione dei materiali, anche
attraverso l'inserzione di nuovi spunti, garantisce ricchezza inventiva e vivacità esplicitata a tratti
in intense fasi di climax. Con la Sérénade giochi buffi di pizzicati del cello e puntiformi accordi in
staccato del pianoforte introducono una minimalista linea che pare alludere, di volta in volta, al
pianto, al sorriso, alle atmosfere lunatiche e fantastiche di Pierrot. Reiterazioni fugaci dell'idea
sopra pizzicati ricreano l'atmosfera di una chitarra che suona, o di un liuto, dentro
un'ambientazione bizzarra, surreale, tipica di uno scherzo; il Vivace è una pagina coloristica tutta
glissando, suoni "sur la touche", pizzicati, flautati, combattuta su serrate alternanze di partenze,
fermate, ripartenze fulminee di spunti contorti e mobilissimi e conclusa da acute e lamentose
risonanze. Nel Finale un turbinante moto in arpeggio del piano prepara la strada al cello, che si
inserisce nell'agitato discorso con un profilo "volubile", smaccatamente spensierato, aereo,
saltabeccante, fatto di plastiche evoluzioni, funambolismi, sottili ironie. Poco dopo ecco una fase
di sospirose attese, di sospensioni e improvvise accelerazioni concluse da una profonda
declamazione. Dopo una sezione meditativa, con la ripresa del primo gruppo si giunge a un
magniloquente epilogo.

Marino Mora

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Breve fu il tempo, impiegato da Debussy, nel comporre la sua unica Sonata per violoncello e piano
(appena qualche settimana del 1915) mentre il suo organismo era, irrimediabilmente, minato da
malattia inguaribile che, tra non molto tempo (il 25 marzo del 1918) l'avrebbe condotto alla tomba.
Si era in tempo di guerra (la prima Guerra mondiale) e «Claudio di Francia», dando vita alla
composizione, intendeva organare un'opera in cui si riflettessero, inequivocabili, le linee e i
caratteri della «chiarezza e perspicuità» che hanno sempre contraddistinto i più genuini prodotti
del genio francese.

Non aveva affermato Bergson che «le qualità d'ordine e di eleganza» sono essenzialmente greco-
latine e, appunto per questo, essenzialmente francesi? La stessa realtà della guerra (guerra contro
la Germania) agiva sul maestro come cosciente pungolo a rifluire, con lo scopo di differenziarsi
dal gigantismo ipertrofico musicale tedesco, alle sorgenti del più pretto classicismo istrumentale
dei grandi «clavicenistes» di Francia. Un tale richiamo al tempo trascorso — come annota il
Gentilucci — avrebbe potuto rappresentare un principio d'involuzione, di ritorno al passato,
saltando, a pie' pari, lo stesso processo innovatore avviato dal maestro. Nella Sonata, tuttavia,
accanto ad elementi nitidi come pure ramificazioni di cristallo, riconducibili alla nettezza classica
francese, se ne affiancano altri che testimoniano dell'apertura della musica di Debussy verso
l'avvenire e di una certa atmosfera, pienamente concordante con i toni di certa poesia
contemporanea al maestro. Gli stessi tentativi di sistemazione critica della Sonata sono una prova
di ciò. Qualche critico, in effetti, ha creduto di vedere nella composizione, una specie di apoteosi
sonora del personaggio di Pierrot, quasi un riflesso dell'estasi e delle bizzarrie in cui A. Giraud
l'aveva avvolto nel suo poema «Héros et Pierrots» o quasi un'eco dei gelidi chiarori lunari in cui la
stessa maschera era stata proiettata dalla poesia di J. Laforgue in «Imitation de nótre Dame de la
lune».

Al di là delle parentele e dei richiami tra arti consorelle, sempre illuminanti in un musicista come
Debussy, ciò che più preme, nella Sonata, sono i sostanziali valori di sicura architettura e di
rigoroso impianto. In essa la voce del violoncello impera sovrana e Debussy si era fatto scrupolo
di avvertire che la voce del piano non avrebbe dovuto mai soffocare quella del violoncello senza
assumere la pretesa di lottare con lo strumento ad arco. Il primo tempo è costituito da un
«Prologo», caratterizzato dal lento divagare di brevi frasi melodiche del violoncello, trapassanti
dall'uno all'altro registro e sorrette da gracili accordi del piano. Qualche critico ha visto nel loro
dipanarsi l'equivalente sonoro del narcotico incanto lunare, legato alla maschera di Pierrot. Una
serie di pizzicati, che richiamano il timbro sensuale e notturno di chitarre e mandolini, apre la
successiva «Serenata». Si direbbe che lo strumento ad arco voglia abbandonarsi a sentimentali
effusioni liriche, ma lo strascico della voce dello stesso strumento sembra, con tipico
atteggiamento debussyano, volersi fare beffe dell'incontrollato abbandono canoro. Nel finale, che
si collega, senza soluzioni di continuità, alla «Serenata», dopo un preludio ritmatissimo, la voce
del violoncello s'espande a pieno slancio generando, subito dopo, una gara di velocità con il
pianoforte, resa più rilevabile dagli spostamenti della voce dello strumento dal registro basso a
quello più acuto in una specie di fuga a due voci dall'empito travolgente.

Vincenzo De Rito

145 (137) 1915

Sonata n. 2 in fa maggiore per flauto, viola e arpa

https://www.youtube.com/watch?v=rLvShcrp1c4

https://www.youtube.com/watch?v=PekPgozXl3w

https://www.youtube.com/watch?v=okUVzB8K7RA

https://www.youtube.com/watch?v=mI-wlmMNU6c

Pastorale - Lento, dolce rubato


Interlude - Tempo di minuetto (fa minore)
Finale - Allegro moderato ma risoluto

Organico: flauto, viola, arpa


Composizione: fine settembre - ottobre 1915
Prima esecuzione: Boston, Longy Club, 7 novembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: Emma Debussy

Guida all'ascolto (nota 1)


Nel 1915 Debussy intraprese la composizione delle «Six sonates pour divers instruments» ed
aggiunse sul frontespizio «composées par Claude Debussy, musicien francais». La sua salute già
declinava e giungerà a portarne a termine soltanto tre. Il nazionalismo dell'intestazione, se da un
lato rimanda al clima della guerra, dall'altro indica i punti di riferimento del tardo Debussy,
affascinato dalla tradizione francese del «grand siecle», da Lulli, Couperin a Rameau. Composta
nel 1915 fra Parigi e Pourville, la «Sonata per flauto viola e arpa» è la più eccezionale delle tre sin
dalla scelta timbrica. Evidente la mossa antiromantica rispetto al trio classico: pianoforte, violino,
violoncello. Al posto del cantabile liricamente esplicito del violino, Debussy adopera l'elegiaco
flauto, del quale viene prediletto l'untuoso registro basso. Il canto nasale della viola contrasta colla
vocalità tenorile del violoncello; il tinnire arcadico dell'arpa soppianta l'eloquenza del pianoforte
romantico. Il descrittivismo della natura romantica, che aveva lasciato la sua traccia fin nel
Debussy impressionista, cede il posto ad una scrittura mobile, ad un mosaico elegiaco o pastorale,
cui l'armonia conferisce lo straniamento dell'esotico.

L'utopia di un ritorno a Watteau si precisa un attimo nel «Tempo di Minuetto», denominato


«Interlude»; poi il «Finale» raduna l'estro di una scrittura pressocché atematica nella istantaneità
delle immagini musicali, nel cui equilibrio la dialettica dell'arte classica par si dissolva per sempre.

Gioacchino Lanza Tomasi

148 (140) 1916 - 1917

Sonata n. 3 in sol minore per violino e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=G9IvSvFaqLM

https://www.youtube.com/watch?v=3flVXFverIE

https://www.youtube.com/watch?v=ZzEl_4SutlU

Allegro vivo
Intermède - Fantasque et léger (sol maggiore)
Finale - Très animé (sol maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: ottobre 1916 - aprile 1917
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 5 maggio 1917
Edizione: Durand, 1917
Dedica: Emma Debussy

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questa Sonata, presentata in pubblico circa un anno prima della morte del maestro, è
indissolubilmente legata a due avvenimenti: la prima guerra mondiale e la malattia che doveva
portare Debussy alla tomba. La guerra spiega la particolare forma che avrebbe preso questa
pagina. «Nelle mani di chi cadrà il futuro della musica francese? » si domandava in quei mesi il
Maestro mentre i "boches" premevano ai confini della Francia; e forse per difendere quel futuro
chiese ripetutamente di partecipare alla guerra. Ma le gravi condizioni di salute non resero
possibile l'esaudire quel suo desiderio, sicché pensò che la musica avrebbe potuto prendere
idealmente il posto di una sua attiva partecipazione alla guerra. Non si trattò però di una musica
"impegnata" propagandistica secondo i canoni di un facile romanticismo; si propose invece di
scrivere musica secondo il modello dei secoli d'oro della musica francese, quelli che avevano visto
il fulgore di Rameau e di Couperin. Nacque così l'idea di comporre sei Sonate per diversi
strumenti; riuscì però a portarne a compimento solo tre: una per violoncello e pianoforte, una per
flauto, viola e arpa ed infine questa che si esegue stasera, per violino e pianoforte. Le firmò
"Claude Debussy, musicien francais" proprio per sottolineare il suo impegno nazionale;
quell'impegno che gli aveva fatto scrivere iniziando la prima delle previste sei Sonate: «Voglio
lavorare non per me stesso ma per dare una prova, per quanto piccola, che neppure trenta milioni
di "boches" possono distruggere il pensiero francese anche se hanno tentato di degradarlo prima
che annientarlo. Penso alla gioventù francese stupidamente rovinata da questi mercanti di "Kultur"
che ci hanno fatto perdere per sempre ciò che avrebbe dovuto dar gloria al nostro paese. Ciò che
sto componendo sarà un segreto omaggio a loro; la dedica è superflua».

Dunque musica "alla francese" richiamandosi a quei «nostri vecchi clavicembalisti che avevano in
sé tanta vera musica, il segreto della grazia e dell'emozione senza epilessia che noi abbiamo
rinnovato come figli ingrati...», come ancora Debussy scriveva a proposito della prima delle sei
Sonate, quella per violoncello e pianoforte, con parole che peraltro perfettamente si attagliano alla
Sonata per violino scritta poco più tardi dopo aver portato a termine l'analoga pagina per flauto,
viola e arpa e la serie delle dodici Etudes che hanno in comune con la Sonata per violino un più
che evidente interesse per i problemi tecnici ed armonici.

Dopo le Etudes, però, una penosa parentesi; il male che minava il Maestro si aggravava di giorno
in giorno né migliorò dopo un viaggio ad Arcachon e tanto meno per il lavoro che pensava di
intraprendere per mettere in musica un'opera tratta dalla Caduta di casa Usher di Poe. Nell'inverno
tra il 1916 e il 1917 Debussy riprese dunque a lavorare alla Sonata per violino: verso la metà di
febbraio erano finiti i primi due movimenti mentre il terzo non lo soddisfaceva ancora. «Quella
terribile prima stesura del Finale - diceva - quella "napolitaine" risentiva troppo dell'atmosfera
irrequieta che ci circonda». E avrebbe forse abbandonato tutto se non fosse stato per le amichevoli
insistenze dell'editore Durand; scriveva infatti ad un suo amico: «II vostro entusiasmo per la
Sonata riceverà, credo, una doccia fredda quando l'"oggetto" sarà nelle vostre mani. Sarebbe
meglio che non la vedeste mai, per conservare intatta l'illusione. Posso dirvi anche che questa
Sonata è stata scritta per accontentare il mio editore che mi era sempre alle calcagna. Voi che
sapete leggere tra le righe troverete qui le tracce di quel demone della perversità che ci spinge a
scegliere idee che bisognerebbe, invece, lasciare da parte.... Questa Sonata sarà interessante da un
solo punto di vista, puramente documentario, e come esempio di ciò che un uomo malato ha
saputo scrivere durante la guerra. E ora basta con questa Sonata...». Sarebbe stato infatti l'ultimo
lavoro compiuto, ed anche l'occasione per l'ultima apparizione di Debussy in pubblico: fu lui
stesso infatti a sedere al pianoforte la sera del 5 maggio 1917 alla Salle Caveau per la prima
esecuzione mentre Gaston Poulet affrontava la parte violinistica. Prima aveva scritto sul senso di
questo ultimo lavoro: «Diffidate delle opere che sembra siano state composte sotto un cielo
azzurro e sereno, perché spesso accade, invece, che esse siano rimaste a lungo stagnanti nelle
tenebre di un cervello lugubre e malinconico. Così il finale di questa Sonata procede in modo
curioso e termina giocando su un semplice tema che torna su sé stesso, come il serpente che si
morde la coda». E questo, malgrado i fragili colori che sono stati paragonati a quelli di Watteau e
l'apparente serenità, è il senso più profondo della Sonata debussyana; una pagina, come scrive
Golea «fatta col sangue».

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata per violino e pianoforte fu composta tra l'estate del 1915 e l'inverno del 1917, quando
Debussy era ammalato già di cancro e si sentiva sempre più isolato, anche per colpa della guerra
mondiale che divampava in Europa. Inizialmente il musicista pensava di scrivere sei sonate per
vari strumenti, sotto un unico titolo così concepito «Sonates pour divers instruments, composées
par Claude Debussy musicien francais», quasi a sottolineare certe caratteristiche dell'arte francese,
in polemica con la tradizione musicale tedesca e il post-wagnerismo. Lo stesso Debussy, in una
lettera indirizzata a Stravinsky, aveva dichiarato che le sei sonate erano state progettate «secondo
la nostra antica forma, che suona familiare al nostro orecchio senza avere nessuna pretesa di essere
una tetralogia». A causa del progredire del male, il musicista, che subì anche un intervento
chirurgico nel dicembre del 1915, potè portare a conclusione soltanto tre delle sei sonate, e
precisamente la Sonata per violoncello e pianoforte, la Sonata per flauto, viola e arpa e la Sonata
per violino e pianoforte, la quale venne eseguita a Parigi il 5 maggio 1917 con lo stesso Debussy
al pianoforte: fu l'ultima commovente apparizione in pubblico di un artista che ha contribuito ad
ampliare e arricchire il linguaggio musicale nel primo Novecento.

La Sonata per violino e pianoforte non ha nulla o quasi della poetica impressionista e vi si avverte
una maggiore plasticità nel disegno melodico e.un più marcato senso chiaroscurale, rispetto alle
atmosfere sfumate e pittoricamente evocative della produzione tipicamente debussyana. Anche se
divisa in tre movimenti, la Sonata non segue schemi classici o romantici, ma utilizza cellule
melodiche fondamentali continuamente riproposte e modificate, secondo il principio della
cosiddetta «variazione totale», descrivente una nozione circolare del tempo musicale. Infatti nel
primo movimento (Allegro vivo) non viene evidenziato un tema vero e proprio, ma piuttosto una
ininterrotta variazione dell'inciso melodico esposto dapprima dal violino e contraddistinto da una
successione di terze collegate fra di loro. L'inciso melodico assume le forme più diverse, sia
quando è indicato dal pianoforte e sia quando assume forma melodicamente variata nel violino.

Il secondo movimento (Intermède. Fantasìque et léger) ha un carattere di improvvisazione, segnata


da eleganti arabeschi del violino; nella parte centrale si avverte il contrasto fra il brillante ritmo
pianistico e i piacevoli effetti timbrici del violino. Non manca un raffinato ésprit intellettualistico,
vagamente ironico, di gusto stravinskiano. Il terzo movimento (Très animé) si svolge in modo
rapsodico e virtuosistico, secondo i canoni del finale della sonata classica: in esso ritorna il motivo
proposto dal violino nel primo tempo, ma con tono più vivace e scintillante. Lo stesso Debussy
definì questo terzo pannello «pieno di vita, quasi gioioso per un fenomeno di sdoppiamento»,
come a nascondere la fatica che gli era costata per portarlo a termine, tra sofferenze angosciose e
terribili.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Sonata per violino e pianoforte di Claude Debussy, composta nell'inverno 1916-17, insieme a
quella per violoncello e pianoforte e all'altra per flauto, arpa e viola (ambedue del 1915), doveva
far parte del gruppo delle Six Sonates pour divers instruments. Questo il progetto del compositore
francese; senonché l'aggravarsi del male e poi la morte dopo un anno interruppero la serie alla
terza Sonata, appunto quella per violino; e fu proprio per presentare il suo lavoro alla Salle Caveau
con il violinista Gaston Poulet nel maggio 1917 che Debussy fece la sua ultima apparizione in
pubblico.

Le tre opere e soprattutto la Sonata per violino non hanno mai trovato gli studiosi concordi, né
sull'indirizzo stilistico (che secondo il Vallas ed altri segnerebbe una conversione verso il
classicismo dei Couperin e Rameau da parte di un Debussy che infatti amava allora controfirmarsi
«musicien francais») né, tanto meno, sul valore estetico di queste pagine strumentali le quali,
comunque, rivestono uno speciale significato in quanto vengono a riaprire nella produzione
debussiana un capitolo - quello della musica da camera - ch'era chiuso da quasi un quarto di
secolo, e cioè dal 1893, anno di composizione del Quartetto.

Sulla Sonata per violino lo stesso Vallas si esprime in termini non del tutto conclusivi né
criticamente allineati. «Commovente ad udirsi per chi conosce le tragiche circostanze della sua
composizione, essa rimane interessante per la concisione della sua forma alla francese, per la
ricerca soprattutto melodica, nel senso delle altre due sonate. Bella in alcuni passaggi, sconcertante
per i richiami a pagine anteriori, per le sue ripetizioni, per l'impiego di procedimenti scolastici, un
tempo detestati, essa rivela un'accentuata volontà di riuscita, un'ardente impotenza: è la
manifestazione angosciata, l'ultima, di una lotta appassionata contro la malattia incurabile e la
morte che si approssimava». Restando nell'ambito delle considerazioni marginali e contingenti è
infatti da rilevare come, salvo il primo movimento, tanto l'Intermède quanto il Finale sembrano
inseguire visioni cangianti tra l'ironico e il giocondo. Un che di evasivo, insomma, che talvolta
sconfina nell'inafferabile e nell'enigmatico.

Tenui e vaghi, altresì, i rapporti strutturali e formali della Sonata, fondati soprattutto su analogie o
paralleliismi di centri e di relative irradiazioni armoniche. Tra i più concreti di tali elementi
connettivi possiamo citare la linea melodico-armonica disegnata dal violino nelle sue quattro
battute iniziali all'Allegro vivo; una settima maggiore che avrà non solo ripercussioni e ritorni nel
corso dello stesso primo movimento, ma invariata fuorché nel ritmo, sarà ripresentata dal violino
anche nell'inizio del Finale.

Giorgio Graziosi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

L'unica Sonata per violino e pianoforte di Claude Debussy doveva far parte di un gruppo di Six
Sonates pour dìvers Instruments, composées par Claude Debussy, musicien français. Di queste il
compositore era riuscito, nel 1915, a condurne a termine due, rispettivamente per violoncello e
pianoforte e per flauto, viola e arpa; in quello stesso anno, il cancro che già dal 1909 lo
minacciava si aggravò: già costretto a ricorrere alla morfina per alleviare le terribili sofferenze,
Debussy veniva sottoposto alla fine dell'anno ad applicazioni di radio. In queste condizioni il
lavoro compositivo gli riusciva difficile e penosissimo: «Se Le dessi conto dettagliato delle mie
miserie», scriveva Debussy al violinista Hartmann, «si metterebbe a piangere, e la signora
Hartmann La crederebbe impazzito». Solo nell'inverno 1916-17, come è scritto alla fine della
composizione, Debussy riuscì a terminare la terza Sonata, appunto questa per violino e pianoforte,
che sarebbe rimasta la sua ultima opera: e con fatica, a giudicare dai numerosi rimaneggiamenti
cui fu sottoposto il Finale. Il 15 maggio 1917 il musicista compariva in pubblico per l'ultima volta
per eseguire la Sonata insieme con il violinista Gaston Poulet; gli rimanevano ancora dieci mesi di
vita, con sofferenze sempre più gravi. Le tragiche circostanze esistenziali che accompagnarono la
nascita dell'ultima composizione di Debussy circondano indubbiamente di una particolare
suggestione questa pagina, che veramente appare come l'estremo messaggio - affidato alla musica
nella piena consapevolezza che appunto dell'ultimo si sarebbe trattato - di uno dei massimi
compositori di tutti i tempi: un messaggio che tanto più ci tocca perché il futuro verso cui esso era
proteso sarebbe stato il nostro tempo. Al di là di queste impressioni esteriori, per essere intesa nel
giusto significato la Sonata per violino e pianoforte richiede d'esser considerata in strettissimo
rapporto con quelle circostanze - e con altre, di natura meno privata ma pur sempre profondamente
sentite da Debussy -, nel quadro complessivo dell'ultima stagione del grande musicista francese e
della posizione di lui nei confronti delle sorti della musica del Novecento.

L'idea di comporre le sei Sonate (impresa, come abbiamo veduto, rimasta interrotta a metà) era
nata in Debussy come una reazione della volontà contro una contingenza per più aspetti difficile e
ingrata. C'era anzitutto la malattia, nota da tempo e ormai senza dubbio inguaribile: forse questo
impegno creativo aveva per lui il valore di una sfida (come lo ebbe lo sforzo di partecipare, ormai
piegato dal male, alla prima esecuzione della Sonata per violino e pianoforte), di una
riaffermazione di vitalità sotto l'incombere della morte. Sembrerebbe di cogliere questo senso
nelle parole con cui Debussy commentava la sua Sonata, dicendola «piena di vita, quasi gioiosa,
per un fenomeno di sdoppiamento; naturale, forse». C'era, in secondo luogo, il momento storico:
la Grande guerra che nel '14 coinvolse la Francia lo aveva profondamente colpito per l'inedita
portata degli orrori che aveva recato con sé, ridestando in lui anche un sentimento nazionalista da
sempre latente, con precisi connotati antitedeschi: donde un primo significato polemico di quel
«musicien français» apposto a caratterizzare l'impresa delle sei Sonate. E c'era, ancor più in
profondità, un profondo disagio estetico: da un lato il «desiderio di andare sempre più lontano»,
che per lui era come «il pane e il vino», secondo quanto affermava anche alla vigilia della morte;
dall'altro la prigionia di un'identificazione stilistica, quella con l'Impressionismo, probabilmente
arbitraria anche al tempo di Pelléas e delle stesse prime composizioni pianistiche e orchestrali,
certo largamente superata da anni, da prima ancora del Martyre de Saint Sébastìen. Tanto più
premeva a Debussy una chiara definizione della sua identità di musicista in un momento in cui le
avanguardie, a Parigi come a Vienna, stavano scombussolando tutto il mondo della musica,
additando al futuro esiti imprevedibili.

In un'Europa sconvolta dalla guerra, in una cultura disordinatamente lacerata da contrasti


insanabili di ordine etico e linguistico, in un'età esistenziale che era per lui indubitabilmente vigilia
della morte, quando invece l'età anagrafica, poco più di cinquant'anni, avrebbe dovuto offrirgli un
avvenire ancora lungo, Debussy avverte insopprimibile il desiderio, la necessità di riaffermarsi
musicista, musicista moderno, musicista francese. Da tempo l'arte di Debussy muove verso una
liberazione esplicita da tutte quelle caratteristiche che, fraintese, potrebbero negarne la solidità
formale, la purezza delle linee. Lo ha già fatto, per esempio, nel 1912, con le irregolari geometrie
di Jeux, additando alla musica del Novecento, con un'evidenza che solo molto più tardi sarà colta,
il valore formale, costruttivo, di quegli elementi primi del fatto musicale che per secoli sono stati
considerati accessori, ritmo e timbro. Lo fa adesso, con decisione ancor maggiore, scegliendo,
sempre polemicamente, la forma e il titolo della Sonata: quasi a sottolineare, proprio con la
rinuncia a qualsiasi esibizionismo avanguardistico, la vera modernità di chi vuol andare «sempre
più lontano»: se il titolo è quello proprio della grande tradizione strumentale germanica, lo spirito
che remotamente informa le Sonate di Debussy è quello della chiarezza e della fantasia tutte
francesi della Suite sei-settecentesca; rivissuta però in forme e modi affatto diversi, e dunque
serbando tutte le magie sonore e le intuizioni espressive che hanno fatto di lui, fin dagli esordi
ormai lontani, uno dei padri della musica moderna. Più che al neoclassicismo vero e proprio,
quello che avrebbe segnato i prossimi sviluppi dell'arte di Stravinsky, le Sonate di Debussy si
apparentano, a modo loro, con le esigenze di «nuova classicità» che in forme quanto mai diverse si
affacciano prima e dopo la Grande guerra in quasi tutta la musica europea; un po' per reagire alla
drammatica disgregazione di una secolare comunità stilistica e tecnica, un po' nello sforzo di
superarla, gettando nuovi ponti sul futuro: in questo caso, con esiti poetici di straordinaria
rilevanza.

Al di là dei riflessi di contingenze private o storiche, delle intenzioni polemiche e dell'intimo


bisogno di certezze, la Sonata per violino e pianoforte si propone con l'aspetto di un capolavoro di
eccezionale valore, cui si tende ad anteporre la Sonata per violoncello e pianoforte, indubbiamente
di ispirazione più organica e omogenea, ma che con questa compete da vicino per l'elegantissima
articolazione costruttiva, per le stupende intuizioni timbriche, per l'interesse della scrittura
cameristica, concretata in un dialogo-contrasto fra i due strumenti che anticipa in certo senso
l'altro massimo vertice novecentesco nel campo della composizione per violino e pianoforte, la
Sonata in sol maggiore di Ravel (1923-27). Un'estrema precisione di linee, realizzata con la
massima economia di mezzi, garantisce unitarietà al primo movimento, in apparenza svolto
capricciosamente, in un susseguirsi di episodi sfumatisimi, caratterizzati da eccezionale libertà
ritmica; nella aerea trasparenza del brano si aprono oasi cantabili, per lo più sostenute dal violino,
in un clima sempre terso e riserbato. L'Intermède rende piena giustizia all'indicazione dinamico-
espressiva, «Fantasque et léger»: lo svagato cadenzare del violino, i suggerimenti ritmici del
pianoforte, lasciano spazio a nuove effusioni melodiche, su sfondi timbrici rarefatti e preziosi,
dove i ruoli ben distinti dei due strumenti trovano un equilibrio felicissimo, fino
all'indimenticabile seduzione della chiusa. Il Finale è avviato da un richiamo al primo movimento:
quindi si slancia il tema principale, che dominerà con il suo impulso fantastico tutto il resto del
pezzo, in evoluzioni di impalpabile e ariosa raffinatezza

Daniele Spini

Composizioni per pianoforte solo

https://www.youtube.com/watch?v=TZdWyMJ5juc

https://www.youtube.com/watch?v=69C1DA6AjTg

https://www.youtube.com/watch?v=5dFceiCR8sU

https://www.youtube.com/watch?v=svn8cZM6Ygk

https://www.youtube.com/watch?v=svn8cZM6Ygk

https://www.youtube.com/watch?v=sq2e-SwL91o
4 (9) 1880

Danse Bohémienne Per Pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=T_uI9kP6sss

https://www.youtube.com/watch?v=pzdEYQa2HUs

Allegro (si minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Estate 1880
Edizione: Schott, Magonza, 1932

Guida all'ascolto (nota 1)

Danse bohémienne, appartiene ad un Debussy giovanissimo, appena diciassettenne, quando era al


servizio come pianista di madame von Meck. Una pagina brillante e lontana dallo stile
caratteristico che avrebbe contrassegnato la personalità dell'artista.

Ennio Melchiorre

40 (27) 1882

Intermezzo per orchestra


ispirato da Henri Heine
Organico: pianoforte
Composizione: 21 giugno 1982
Edizione: Elkan-Vogel, Filadelfia, 1944
Frammento per pianoforte a quattro mani di una suite incompiuta per orchestra

74 (66) 1888 - 1891

Due Arabesques per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=9Fle2CP8gR0

https://www.youtube.com/watch?v=dyt297llpk0

https://www.youtube.com/watch?v=ucJj1_v69zY

Arabesque I - Andantino con moto (mi maggiore)


Arabesque II - Allegretto scherzando (sol maggiore)
Prima esecuzione: Parigi, Société National de Musique, 23 Maggio 1894

Organico: pianoforte
Composizione: 1888 - 1891
Edizione: Durand, Parigi, 1891

Guida all'ascolto (nota 1)

Le Deux Arabesques sono composizioni giovanili del 1888 e risentono degli studi bachiani da
parte dell'autore, pur tra evidenti innovazioni armoniche e ritmiche nella disposizione dei vari
accordi. La prima Arabesque (Andantino con moto) ha un profumo lirico e una leggerezza di tocco
più accentuata rispetto alla seconda (Allegretto scherzando) dalle pulsazioni ritmiche più nervose
o dai contorni più netti.

Ennio Melchiorre

75 (67) 1891

Mazurka per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=fsBAXxG-4Jw

https://www.youtube.com/watch?v=_6YzsXVSg6M

Scherzando - assez animé (fa diesis minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 14 marzo 1891
Edizione: Hamelle, Parigi, 1904

76 (68) 1891

Rêverie per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=vqXwzUW_fhM

https://www.youtube.com/watch?v=sW7GQhEmAhE

Andantino sans lenteur (fa maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 14 marzo 1891
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 27 febbraio 1899
Edizione: Choudens, Parigi, 1891

77 (69) 1890

Tarentelle styrienne
Danza per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=bW01NSqOA7M
https://www.youtube.com/watch?v=l8SjhqyIgQ0

Allegretto (mi maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1890
Prima esecuzione: Parigi, Société National de Musique, 10 marzo 1900
Edizione: Choudens, Parigi, 1891
Dedica: Mme Philippe Hottinger

78 (70) 1890

Ballade slave per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=3A5hwbguE5A

https://www.youtube.com/watch?v=iNm-rIQYgyk

Andantino con moto tempo rubato (fa maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1890
Edizione: Choudens, Parigi, 1891 (1903 col titolo Ballade)
Dedica: Mme Philippe Hottinger

Guida all'ascolto (nota 1)

Al 1890 risale la composizione della Ballade slave, pubblicata col semplice titolo di Ballade nel
1903; è una pagina romantica e trasognata, caratterizzata da un tema principale che si presenta
dapprima timidamente, con esitante riluttanza, ma poi si afferma e si espande con sicurezza. Nella
seconda parte appare un motivo inquieto esposto dapprima in tonalità minore, poi ripreso con
grande intensità emotiva in maggiore; nel finale riascoltiamo il tema principale nel registro acuto
del pianoforte, quasi una reminiscenza dolcissima e lontana che diventa cullante ninnananna nelle
ultime note in pianissimo.

79 (71) 1890

Valse romantique per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=DGYGRtnYX0c

https://www.youtube.com/watch?v=lzaf1lDwE58

https://www.youtube.com/watch?v=Ny1uqhRWfP8

Tempo di Valse - Allegro moderato (fa minore)


Organico: pianoforte
Composizione: 1890
Edizione: Choudens, Parigi, 1890
Dedica: Rose Depecker

82 (75) 1890

Suite bergamasque per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=xAKeiyjjTKk

https://www.youtube.com/watch?v=Ko2_WjP4id4

https://www.youtube.com/watch?v=nk8ux1fk41Q

https://www.youtube.com/watch?v=zeewRAQ9-B8

https://www.youtube.com/watch?v=UkEK-MVG--o

https://www.youtube.com/watch?v=b8YL-gfTUEQ

Prélude: Moderato [tempo rubato] (fa maggiore)


Menuet: Andantino (la minore)
Clair de lune: Andante très expressif (re bemolle maggiore)
Passepied: Allegro ma non troppo (fa diesis minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 21 aprile 1890
Edizione: Fromont, Parigi, 1905
Revisionata nel 1905

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Suite bergamasque appartiene al primo periodo "pianistico" di Debussy, quello che va dal 1888
al 1890; pubblicata da Choudens nel 1891, venne ripresa dal suo autore quattordici anni più tardi e
ripubblicata da Fromont nel 1905.

Il Prelude è un geniale omaggio ai clavicembalisti del Settecento; il suo incipit, quasi solenne
nell'accordo sforzato seguito da una volatina discendente di semicrome, ricorda le toccate
barocche, così come i piccoli dialoghi imitativi a due voci che emergono timidamente dalla
scrittura pianistica. La seconda parte, in tonalità minore, presenta un carattere più bizzarro e
improvvisativo (rapide scalette di biscrome); prima della ripresa della sezione iniziale,
incontriamo un nuovo motivo in terze ascendenti (mano destra) seguito da un episodio dolcissimo
e armonicamente suggestivo. Un piccolo gioiello di equilibrio formale, reso ancor più interessante
dalle sonorità rarefatte e dagli incanti timbrico-armonici della scrittura debussyana.
Nel Menuet riviviamo le suggestioni della danza non attraverso l'equilibrio formale, ma grazie
all'abile fusione di elementi ritmici e melodici. Il tema principale, dal vago sapore arcaico, è ben
ritmato e viene presto seguito da un nuovo motivo fatto di saltellanti accordi staccati e da una
dolcissima melodia discendente. Il carattere quasi clavicembalistico della pagina riemerge
prepotentemente in un passaggio fatto di velocissime scalette, alle quali Debussy fa però seguire il
ritorno, appassionato e struggente, della melodia discendente udita in precedenza. Il finale è
costituito da un breve accenno ai saltellanti accordi iniziali.

Clair de lune, liberamente ispirato all'omonima poesia di Paul Verlain, è sicuramente una delle
pagine più note dell'intera produzione musicale di Debussy. Si tratta di fama meritata: qui il clima
settecentesco delle due pagine precedenti si dilegua e lascia il passo a sonorità magiche e
incantate, che avvolgono l'ascoltatore in una specie di dimensione onirica. Il motivo iniziale, dalla
forte suggestione timbrica, lascia il passo a un secondo tema in Tempo rubato, fatto di accordi a
due mani, cui segue un episodio più mosso e ondeggiante (arpeggi di semicrome nella mano
sinistra). La musica si anima poco a poco ma senza mai dare vita a tensioni armoniche: è tutto
meravigliosamente sfuocato e sospeso. Il ritorno del tema principale, arricchito ora dai morbidi
arpeggi in ppp della mano sinistra, porta alla conclusione del brano, nella quale Debussy alla
tradizionale cadenza dominante-tonica preferisce la morbidezza dell'alternanza mediante-tonica.

Col Passepied ritorniamo in clima settecentesco, anche se la melodia principale è una


riproposizione del gamelan di Giava, che Debussy aveva ammirato nel 1889 all'Esposizione
Universale di Parigi. Il carattere di danza non manca nel tema secondario, scandito dai netti
accordi in staccato della mano destra; la pagina gioca sull'alternarsi di questi due momenti,
riproposti in sempre diverse combinazioni timbrico-articolatorie.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Suite bergamasque fu composta da Claude Debussy nel 1890 e successivamente rielaborata dal
musicista francese nel 1905, assumendo così la forma in cui noi oggi la conosciamo. Dal titolo
possiamo ricavare alcune utili indicazioni riguardo alle peculiarità della composizione, in quanto il
termine suite sta ad indicarci una forma strutturata come una serie di brani ispirati alle movenze di
balli popolari o cortigiani, mentre con bergamasque ci si riferisce alla città di Bergamo ed al gusto
locale delle maschere della commedia dell'arte.

La suite creata da Debussy è di gusto settecentesco in quanto fonde brani come Menuet e
Passepied che mantengono lo stile di danza così come vorrebbe di norma la forma originaria della
suite codificata nel XVII secolo, con brani che invece appartengono alla sfera della musica pura o
d'ispirazione lirica, quali Prélude e Clair de lune. Si è pertanto al cospetto di un compendio di stili
ed influenze, in cui il gusto settecentesco del primo e dell'ultimo movimento, fatti di cadenze
regolari, pizzicati clavicembalistici in cui la lezione di Rameau e Couperin s'intravede tra le pieghe
di una scrittura ricamata, s'intreccia con il pianismo alla maniera di Fauré proprio del Prélude
iniziale, ed il nascente debussysmo del Claire de lune ispirato alla poesia di Paul Verlaine. Si tratta
dunque di una composizione in cui Debussy veste quasi i panni del parnassiano per inerpicarsi su
per la strada dei classici francesi della tastiera, sino a giungere alla sua "maniera", nel gioco
ingannatore della maschera che nasconde e disvela realtà e inganno nella recita del teatro
armonico.

Il gioco delle maschere aveva già incuriosito Debussy nel 1882, quando aveva composto
Pantomime per voce e pianoforte su testo di Verlaine, ed ancora lo attirò nel 1904, alla vigilia della
revisione della Suite bergamasque, quando scrisse Musques per pianoforte; tema, questo delle
maschere, che, per esempio, nel 1919 suggerì a Gabriel Fauré una comédie musicale, l'op. 112,
intitolata proprio Masques et bergamusques. Un soggetto quindi particolare sì, ma ricorrente,
specie se pensiamo al suo apparire nell'età del neoclassicismo, dal Pulcinella stravinskiano del
1920 in poi.

L'ampio Prélude, il grazioso Menuet ed il nervoso Passepied sono giochi di palcoscenico creati per
portare sul volto degli spettatori ora un sorriso, ora una lacrima, tra un batter di ciglia ed una
capriola, in un continuo mutare di registri espressivi; eloquenza e malinconica ironia vestono la
sarcastica comicità delle maschere debussyane, elegantemente dipinte su un fondale policromo
fatto di arpeggi, veloci scale, note ribattute, accordi e cadenze del sapore antico. Particolare è poi
l'inserimento nella Suite bergamasque di un brano come Clair de lune che, con la sua intimistica e
sognante liricità, sembrerebbe al di fuori della logica discorsiva intessuta da Debussy. Nell'altra
suite per pianoforte del musicista francese, Pour le piano, scritta nel 1894, abbiamo infatti tre
movimenti (Prélude - Sarabande - Toccata) omogeneamente articolati fra loro senza fratture.
L'inserimento di Clair de lune ci appare invece come l'intromissione di un corpo estraneo, di un
brano al di fuori del contesto, di un corpo a sé stante, creato a parte e che vive di vita autonoma.

Debussy si era già cimentato con la poesia Clair de lune di Paul Verlaine, scrivendo nel 1882
un'omonima lirica (così come farà sei anni dopo Gabriel Fauré con l'op. 46 nel 1888) per poi
ritornarvi ancora una volta nella prima serie di Fêtes galantes del 1903; questo ci dimostra senza
dubbio come il testo di Verlaine avesse per lui una particolare forza suggestiva. Il ritrovarne
indicazione all'interno della Suite bergamasque, ma qui senza il supporto delle parole, ci fa
ritenere che Debussy volesse ritrovare tali suggestioni in veste differente. Aprire uno spazio lirico
dai tratti sognanti, affacciandosi in quel mondo melanconico delle maschere che solitamente, nelle
antiche recite, si svelava quando il personaggio confidava dolente il proprio amore impossibile
alla pallida regina della notte.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Se nelle primissime opere per pianoforte (fra cui la Ballata e le due Ambesques), Debussy,
nonostante l'ingegnosità dei ritmi e delle sonorità, non si discosta poi tanto dai suoi
contemporanei, con una grazia un po' incolore, dopo pochi anni le cose cambiano, la tecnica
pianistica diviene più luminosa fino a far pensare a Degas o a certe stampe cinesi (Cortot),
soprattutto con la Suite Bergamasque, per certe sottili parentele che provengono da Verlaine e una
vicinanza musicale di atmosfere che risente di Fauré. Ma anche con un richiamo più indietro, ai
claviccmbalisti, nei quali il compositore ritrova modelli di finezza ed eleganza ineguagliabili.
Dobbiamo ricordare che la Suite Bergamasque, composta nel 1890, fu pubblicata, riveduta dallo
stesso autore, nel 1905 e che quindi stilisticamente si deve tener conto di questo spazio di tempo
non lieve fra le due versioni, anche se i ritocchi apportati furono senza dubbio non determinanti.
Resta così un lavoro estremamente gradevole, il più popolare in assoluto di tutta l'opera di
Debussy, particolarmente per quel Clair de lune, terzo dei quattro pezzi che compongono la Suite,
carico di un atteggiamento sentimentale di immediata presa, senza peraltro venir meno ad un suo
equilibrio interiore e ad un colore che è tipico del suo autore.

Altra osservazione da fare è che in questo lavoro non c'è segno di quel wagnerismo che in qualche
modo si era infiltrato in opere dello stesso periodo creativo come i Cinq Poèmes de Baudelaire.
Quello che negli anni successivi Debussy scriverà per il pianiforte finisce tuttavia per
ridimensionare il ruolo di questo gradevolissimo lavoro di passaggio, pulito ed elegante, che forse
l'autore giudicava troppo severamente, se possiamo considerare sincera la dichiarazione che egli
fece nel 1905 con ironia all'editore Fromont, al momento di inviargli la musica per la
pubblicazione "Vous la donner telle quelle serait fou et inutile".

La Suite inizia con un Prelude in tempo moderato rubato, una pagina fluida e scorrevole. Segue il
Menuet, squisito esempio di falso-antico non privo di concessioni salottiere. Pezzo forte di tutta la
Suite, Clair de lune mantiene tutt'oggi intatto il suo fascino e nonostante l'usura derivata da un
prolungato ascolto, non ci sembra, come da qualche parte è stato detto, che si rasenti la banalità. Il
Passepied finale, in tempo di Allegretto ma non troppo, conclude la Suite sul movimento continuo
di semiminime della mano sinistra, fingendo un ritorno all'antica danza bretone del Cinquecento,
ricorrente, nella musica strumentale del Settecento, da Couperin a Bach.

Renato Chiesa

89 (82) 1892

Nocturne per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=OSQ-UJVdlVo

https://www.youtube.com/watch?v=qIZjCIRifaA

https://www.youtube.com/watch?v=KZrjOV4P8XE

Lent, ad libitum (re bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1892
Edizione: Dupont, Parigi, 1892

Guida all'ascolto (nota 1)

Nocturne, pubblicato in un numero del Figaro musical di Parigi del 1892, ci riporta a un clima
emotivo romantico, grazie alle misteriose ottave della mano sinistra seguite da eterei arpeggi che
introducono il tema principale dal carattere quasi chopiniano. L'episodio centrale è caratterizzato
da un secondo motivo, dans le caractère d'une chanson populaire, come indicato da Debussy in
partitura. La ripresa del tema principale è affidato alle ottave della mano destra e sostenuto dagli
ampi arpeggi della sinistra. Nel finale un'altra reminiscenza chopiniana, con gli arabeschi nel
registro acuto che ricordano il finale del Notturno op. 9 n. 2.
Alessandro De Bei

94 (87) 1894

Images per pianoforte

Lent, doux et mélancolique (fa diesis minore)


Sarabande "Souvenir du Louvre" (do minore)
utilizzato in L 95 n. 2
apparso in «Grand Journal», 17 novembre 1896
Quelques aspects de "Nous n'irons plus au bois" - toccata (do diesis minore)
Abbozzo di L 108 n. 3

Organico: pianoforte
Composizione: inverno 1894
Edizione: Durand, Parigi, 1998
Dedica: Yvonne Lerolle

95 (95) 1894

Pour le piano
Suite per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=FQcn0SRVkTc

https://www.youtube.com/watch?v=XVeUfk2O4QM

https://www.youtube.com/watch?v=3E7m86dYi8E

https://www.youtube.com/watch?v=330eRFcVnqg

Prelude - Assez animé et très rythmé (la minore)


Dedica: Mlle Worms de Romilly
Sarabande - Avec une élégance grave et lente (do diesis minore)
quasi identico al n. 2 delle Images L 94 (87)
Edizione: apparsa nel "Grand Journal du Lundi", Parigi 17 febbraio 1896
Dedica: Yvonne Lerolle Rouart
Toccata - Vif (do diesis minore)
Dedica: Nicolas G. Coronio

Organico: pianoforte
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 11 gennaio 1902
Edizione: Fromont, Parigi, 1901

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Con la suite Pour le piano, pubblicata nel 1901, giungiamo a un'opera di transizione nel linguaggio
pianistico di Debussy: da una parte le influenze dei clavicembalisti francesi (evidenti soprattutto
nel Prélude e nella Toccata), e l'influsso del pianismo di Satie (Sarabande), dall'altra la ricerca di
una cifra compositiva originale. Il primo brano, Prélude (Assez animé et très rythmé) mostra per la
prima volta in Debussy quegli aspetti di virtuosismo pianistico che ritroveremo nella sua
produzione successiva: lo slancio ritmico è evidente già nella presentazione del tema principale,
subito seguito da una brumosa melodia che sale dal basso e soprattutto nella ripresa dello stesso
tema, esposto ora in fortissimo con accordi a due mani alternati a feroci glissando a tutta tastiera.
La sezione centrale, tutta giocata sul registro acuto del pianoforte, è più pacata e precede la ripresa
dei temi iniziali. Nel finale Debussy rende omaggio alle cadenze toccatistiche di settecentesca
memoria.

La Sarabande fu composta qualche anno prima degli altri due pezzi, verso la fine del 1894, ed è
una pagina delicata e suggestiva, elegante nel regolare incedere ritmico e affascinante nelle
morbide e sfumate armonie. Alla prima parte, nella quale udiamo il motivo principale, fa seguito
una sorta di nostalgica trenodia che permea della propria malinconia anche la ripresa del tema
principale con la quale si conclude la pagina.

La suite viene conclusa da una Toccata di grande brillantezza sonora, nella quale sentiamo viva la
reminiscenza dei clavicembalisti settecenteschi, Scarlatti in testa. La prima parte è una sorta di
velocissimo moto perpetuo, mentre la sezione centrale, pur nell'incessante gioco di veloci arpeggi
della mano destra, presenta uno struggente motivo nel registro medio-grave del pianoforte. Un
episodio di elaborazione dell'incipit del moto perpetuo iniziale conduce poi alla ripresa della prima
parte e al finale, virtuosistico e di grande effetto.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La semplicità del titolo, Pour le piano, contrassegna questa pagina, inconsueta nel repertorio
pianistico di Debussy, composta nel 1896 durante gli anni di lavoro al Pelléas et Melisande.
Nessuna indicazione letteraria o naturalistica, non il fascino di quei titoli debussiani che
introducono, ad esempio, Preludes, in forma di incipit poetico in prosa; ma sotto il velo della
semplicità, traspare il riferimento alla musica antica per strumento a tastiera o per liuto, non senza
quel tocco nazionalistico che corregge spesso l'ostentato anticonformismo di Monsieur Croche.

La parte centrale della suite, Sarabanda, venne composta in prima versione nel 1894, con questo
commento dell'autore: «In tempo di sarabanda, cioè con eleganza grave e lenta, in stile vecchio
ritratto, tipo ricordo del Louvre». Il modello più vicino e più suggestivo, rispetto a quelli di
Couperin e di Rameau, era stata però la Sarabanda composta da Erik Satie nel 1887, poco prima
che l'autore di Parade e animatore del cabaret «Chat noir» contasse fra gli ascoltatori abituali il
giovane Claude degli «années de bohème». La suite, nata intorno alla Sarabanda con altri due
movimenti, Preludio e Toccata, non è un calco sul modello antico, e tanto meno un esempio di
musica al quadrato, inconcepibile per Debussy; è soltanto una rievocazione, dove esistono tracce
evidenti del linguaggio nato dai trionfi pianistici dell'Ottocento, sovrapposto alle gracili ed
antiquate grazie liutistiche della suite. La scrittura virtuosistica, di stampo ancora lisztiano, e i
richiami grafici e timbrici ai modelli antichi si fondono in una pagina che è anche il precedente ad
esperienze debussiane della maturità come gli Études e soprattutto come la conclusiva Suite en
blanc et noir, in cui il compositore tornò al puro strumentalismo pianistico, senza sottintesi.

Claudio Casini

105 (110) 1901 - 1905

Images per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=mskURYO7DiA

https://www.youtube.com/watch?v=3VDUGu8NBmA

https://www.youtube.com/watch?v=L47SRue0gt8&t=738s

Prima serie

https://www.youtube.com/watch?v=5QnTYM5L960

https://www.youtube.com/watch?v=VcsD4UC3J-4

https://www.youtube.com/watch?v=T24tQQzsIiw

105 n. 1 (110 n. 1) 1901 - 1905

1. Reflets dans l'eau

https://www.youtube.com/watch?v=V4ywD41TC3Q

Reflets dans l'eau - Andantino molto, tempo rubato (re bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1901 - 1905
Prima esecuzione completa: Parigi, Salle des Agriculteurs, 6 febbraio 1906
Edizione: Durand, Parigi, 1905

Guida all'ascolto (nota 1)

Pierre Boulez: «Estampes (1903), Masques e L'isle joyeuse (1904), i due quaderni di Images
(1905-908) segnano la pienezza di una certa forma della scrittura pianistica in Debussy, nella
quale Children's Corner (1906-908) costituisce un intermezzo di un certo riposo. Periodo
estremamente brillante nell'evoluzione del compositore: non superò mai più quell'utilizzazione
delle risorse del pianoforte, quell'impiego specifico del suo timbro e del colore. Con questa serie di
raccolte inaugurò una nuova maniera di scrivere per lo strumento, chiamata dalla maggior parte
del pubblico impressionismo musicale: mai prima di allora la scrittura pianistica era stata così
fluida, varia e sorprendente, anche se era possibile trovarne l'origine precisa in certe pagine di
Chopin e di Liszt (...). Queste serie di pezzi per pianoforte, scritte fra il 1902 e il 1908, sono dei
monumenti della letteratura pianistica: è inconcepibile che un compositore non ne tenga conto né
che un pianista non si procuri la tecnica esemplare che essi esigono».

E' noto che Boulez riserva a tutta l'opera di Debussy un entusiasmo dal quale afferma di avere
estratto la sua stessa vocazione di compositore. A parte la possibilità di storicizzare il rapporto
Debussy-Ravel-Boulez (operazione che in questa sede ci porterebbe troppo lontano), è
indubbiamente certo che la prima serie di Images mette in primo piano una scrittura pianistica
aperta alle più insolite soluzioni tecnico-stilistiche, con un'accentuazione, rispetto ai ventiquattro
«Preludi», dell'impegno virruosistico, particolarmente marcato in Reflets dans l'eau, nell'ambito
del quale la mobilità del discorso musicale si acqueta soltanto nell'episodio conclusivo «dans une
sonorité harmonieuse et lointaine»). Caratterizzato, almeno in parte, da un'arcaicizzante
prospettiva appare Hommage à Rameau - musicista che Debussy amava con lo stesso impegno
con il quale pretendeva di affossare la «pedanteria» drammaturgica di Gluck -, mentre con
Mouvement viene ripristinata quella mobilità estrosa che rimane una delle matrici costanti di
buona parte dell'opera pianistica di Claude de France.

Giovanni Ugolini

105 n. 2 (110 n. 2) 1901 - 1905

2. Hommage à Rameau

https://www.youtube.com/watch?v=U7jeMZz3tN4

Hommage à Rameau - Lent et grave, dans le style d'une sarabande, mais sans rigueur (sol diesis
minore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1901 - 1905
Prima esecuzione completa: Parigi, Salle des Agriculteurs, 6 febbraio 1906
Edizione: Durand, Parigi, 1905

Guida all'ascolto (nota 1)

Pierre Boulez: «Estampes (1903), Masques e L'isle joyeuse (1904), i due quaderni di Images
(1905-908) segnano la pienezza di una certa forma della scrittura pianistica in Debussy, nella
quale Children's Corner (1906-908) costituisce un intermezzo di un certo riposo. Periodo
estremamente brillante nell'evoluzione del compositore: non superò mai più quell'utilizzazione
delle risorse del pianoforte, quell'impiego specifico del suo timbro e del colore. Con questa serie di
raccolte inaugurò una nuova maniera di scrivere per lo strumento, chiamata dalla maggior parte
del pubblico impressionismo musicale: mai prima di allora la scrittura pianistica era stata così
fluida, varia e sorprendente, anche se era possibile trovarne l'origine precisa in certe pagine di
Chopin e di Liszt (...). Queste serie di pezzi per pianoforte, scritte fra il 1902 e il 1908, sono dei
monumenti della letteratura pianistica: è inconcepibile che un compositore non ne tenga conto né
che un pianista non si procuri la tecnica esemplare che essi esigono».
E' noto che Boulez riserva a tutta l'opera di Debussy un entusiasmo dal quale afferma di avere
estratto la sua stessa vocazione di compositore. A parte la possibilità di storicizzare il rapporto
Debussy-Ravel-Boulez (operazione che in questa sede ci porterebbe troppo lontano), è
indubbiamente certo che la prima serie di Images mette in primo piano una scrittura pianistica
aperta alle più insolite soluzioni tecnico-stilistiche, con un'accentuazione, rispetto ai ventiquattro
«Preludi», dell'impegno virruosistico, particolarmente marcato in Reflets dans l'eau, nell'ambito
del quale la mobilità del discorso musicale si acqueta soltanto nell'episodio conclusivo «dans une
sonorité harmonieuse et lointaine»). Caratterizzato, almeno in parte, da un'arcaicizzante
prospettiva appare Hommage à Rameau - musicista che Debussy amava con lo stesso impegno
con il quale pretendeva di affossare la «pedanteria» drammaturgica di Gluck -, mentre con
Mouvement viene ripristinata quella mobilità estrosa che rimane una delle matrici costanti di
buona parte dell'opera pianistica di Claude de France.

Giovanni Ugolini

105 n. 3 (110 n. 3) 1901 - 1905

3. Mouvement

https://www.youtube.com/watch?v=lyuj76GoU9Q

Mouvement - Animé (do maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1901 - 1905
Prima esecuzione completa: Parigi, Salle des Agriculteurs, 6 febbraio 1906
Edizione: Durand, Parigi, 1905

Guida all'ascolto (nota 1)

Pierre Boulez: «Estampes (1903), Masques e L'isle joyeuse (1904), i due quaderni di Images
(1905-908) segnano la pienezza di una certa forma della scrittura pianistica in Debussy, nella
quale Children's Corner (1906-908) costituisce un intermezzo di un certo riposo. Periodo
estremamente brillante nell'evoluzione del compositore: non superò mai più quell'utilizzazione
delle risorse del pianoforte, quell'impiego specifico del suo timbro e del colore. Con questa serie di
raccolte inaugurò una nuova maniera di scrivere per lo strumento, chiamata dalla maggior parte
del pubblico impressionismo musicale: mai prima di allora la scrittura pianistica era stata così
fluida, varia e sorprendente, anche se era possibile trovarne l'origine precisa in certe pagine di
Chopin e di Liszt (...). Queste serie di pezzi per pianoforte, scritte fra il 1902 e il 1908, sono dei
monumenti della letteratura pianistica: è inconcepibile che un compositore non ne tenga conto né
che un pianista non si procuri la tecnica esemplare che essi esigono».

E' noto che Boulez riserva a tutta l'opera di Debussy un entusiasmo dal quale afferma di avere
estratto la sua stessa vocazione di compositore. A parte la possibilità di storicizzare il rapporto
Debussy-Ravel-Boulez (operazione che in questa sede ci porterebbe troppo lontano), è
indubbiamente certo che la prima serie di Images mette in primo piano una scrittura pianistica
aperta alle più insolite soluzioni tecnico-stilistiche, con un'accentuazione, rispetto ai ventiquattro
«Preludi», dell'impegno virruosistico, particolarmente marcato in Reflets dans l'eau, nell'ambito
del quale la mobilità del discorso musicale si acqueta soltanto nell'episodio conclusivo «dans une
sonorité harmonieuse et lointaine»). Caratterizzato, almeno in parte, da un'arcaicizzante
prospettiva appare Hommage à Rameau - musicista che Debussy amava con lo stesso impegno
con il quale pretendeva di affossare la «pedanteria» drammaturgica di Gluck -, mentre con
Mouvement viene ripristinata quella mobilità estrosa che rimane una delle matrici costanti di
buona parte dell'opera pianistica di Claude de France.

Giovanni Ugolini

108 (100) 1903

Estampes per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=fAgd8nTvhMU

https://www.youtube.com/watch?v=dR80CB7fCFU

https://www.youtube.com/watch?v=IFeD2A5p854

https://www.youtube.com/watch?v=xHJ-XKBzBMk

108 n. 1 (100 n. 1) 1903

1. Pagodes

https://www.youtube.com/watch?v=lswHSnJ0Rlw

https://www.youtube.com/watch?v=d8MaaPqYyjg

https://www.youtube.com/watch?v=EWaDEy8fJwo

Pagodes - Modérément animé (si maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 3 settembre 1903
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 9 gennaio 1904
Edizione: Durand, Parigi, 1903
Dedica: Jacques-Emile Blanche

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La raccolta Estampes, composta nel 1903, comprende tre deliziosi quadri musicali dal forte
carattere descrittivo, frutto della notevole maturità compositiva raggiunta da Debussy.

Pagodes richiama alla mente dell'ascoltatore l'immagine di meravigliose pagode che si stagliano su
un incantevole paesaggio orientale; fa scala pentatonica e l'uso del pedale tonale, che garantisce un
effetto percussivo agli accordi pianistici (sorta di discreto accenno alle percussioni del Gamelan
giavanese), assicurano alla pagina un grande fascino sonoro. La prima parte del brano, da suonarsi
dèlicatement et presque sans nuances, è una morbida "passeggiata" delle mani del pianista sui tasti
neri dello strumento (la scala pentatonica, appunto), dal grave all'acuto; nella sezione centrale
appare un nuovo timido motivo, che sembra emergere dalle nebbie di un sogno lontano. La ripresa
della parte iniziale precede l'episodio finale, nel quale il tema principale (ora alla mano sinistra) si
dilegua lentamente nei veloci ma delicati arpeggi pentatonici della mano destra.

Con La soirée dans Grenade ci troviamo completamente immersi in una calda atmosfera spagnola
fin dalle prime note, misteriose e lontane, che preparano il motivo principale; quattro battute ben
ritmate, quasi un accenno piuttosto che un tema vero e proprio. Un secondo motivo, più marcato
ritmicamente, viene esposto in ottave dalla mano destra ma va anch'esso esaurendosi in
pianissimo. Sono accenni fugaci di melodie che si odono in lontananza, in una calda notte a
Granada. Finalmente, avec plus d'abandon, appare un motivo di danza presentato su un ritmo
regolare di habanera, che viene però presto spezzato dalle reminiscenze dei temi precedenti. Il
brano si conclude così come era iniziato, in un pianissimo appena percepibile e a noi non resta che
ricordare il commento di Manuel De Falla: «Non c'è nemmeno una nota tratta dal folclore
spagnolo, ma l'intera composizione, fin nei minimi dettagli, esprime mirabilmente lo spirito di
questo Paese».

Jardins sous la pluie, forse la pagina pianistica più nota di Debussy, conclude la suite con la
descrizione musicale di un acquazzone autunnale; nel tema principale (citazione della canzone
popolare francese Dodo, l'enfant do) riconosciamo lo scroscio regolare della pioggia, gli zampilli
allegri delle gocce d'acqua, l'infuriare del vento. La parte centrale è più tranquilla, la pioggia si è
attenuata e l'autore si abbandona al ricordo nostalgico di vecchie melodie infantili, con la citazione
di Nous n'irons plus au boit, mentre nel finale dominano le violente folate di vento e la pioggia che
ora scende violenta e inesorabile. Questo meraviglioso brano, grazie all'equilibrio formale e alla
scrittura musicale di grande effetto, è da tempo pietra miliare del repertorio pianistico.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il pianoforte, si sa, è lo strumento preferito da Debussy che ad esso ha riservato alcune tra le sue
più significative composizioni, trattando la tecnica dei tasti bianchi e neri con modi assolutamente
nuovi e originali. In questo campo egli ha forse lasciato il segno più specifico della sua
personalità, se si considera il valore linguistico del ciclo delle Images dei sei pezzi del Children's
corner, del trittico delle Estampes, della raccolta dei ventiquattro Préludes e dei due libri dei
Douze études, considerati il vertice dell'arte pianistica di Debussy, in quanto la ricerca delle
combinazioni timbriche e delle mutevoli asimmetrie ritmiche viene riproposta con uno stile e
un'audacia mai udite sulla tastiera. Non per nulla il pianismo debussiano ha fatto scuola ed è stato
un punto di riferimento importante per musicisti di diversa estrazione storica e culturale, come
Ravel, Albeniz, Bartók e Schoenberg.

C'è un giudizio di Émile Vuillermorz, stimato critico musicale francese, che analizza il rapporto tra
Debussy e il pianoforte e lascia capire il modo in cui questo artista si avvicina allo strumento per
carpirne i segreti. Esso dice: «Debussy interroga il pianoforte con una curiosità scientifica. Sotto le
sue dita i martelletti percuotono delicatamente le corde; allo stesso modo del medico egli studia i
riflessi nervosi di un organismo fatto di fasce sonore e sensibile ad ogni tocco, anche il più leggero
e impalpabile». Da queste premesse è facile intuire come Debussy si preoccupasse di cogliere
sensazioni evanescenti ed ebbrezze sottili, in un gioco mobilissimo e senza schema precostituito di
armonie e di ritmi. In tal senso i tre brani delle Estampes sono molto indicativi del singolare e
personalissimo linguaggio pianistico di Debussy. Furono composti nel luglio del 1903 ed eseguiti
per la prima volta il 9 gennaio 1904 da Ricardo Vines, alla sala Erard della Société Nationale di
Parigi. Il successo fu tale che il pianista fu costretto a bissare l'ultimo pezzo del trittico.

E' nota la battuta di spirito di Debussy con cui annunciò al direttore d'orchestra Andre Messager il
titolo delle Estampes: «Quando uno non può pagarsi un viaggio, bisogna immaginarlo con la
fantasia». Ciò perché in Estampes musicali si rievocano atmosfere orientali, forse indiane o cinesi
nelle Pagodes e il clima caratteristico di una città spagnola nella Soirée dans Grenade. Secondo
testimonianze dirette lo stimolo a scrivere Pagodes venne a Debussy dopo aver ascoltato le
orchestre gamelang giavanesi, apparse nelle Esposizioni internazionali di Parigi del 1889 e del
1900. n brano, nella chiara tonalità di si maggiore, vuole esprimere il fascino che promana dalle
pagode, sacri templi orientali, in cui si respira il significato degli antichi riti, fissati nelle scale
pentatoniche, pur tra il movimento e la vivacità di una festa popolare.

Il secondo pezzo (La soirée dans Grenade) è nella tonalità di fa diesis minore ed inizia su un ritmo
di habanera, di tipica reminiscenza andalusa: «Il potere evocativo raggiunto dalle poche pagine di
Soirée dans Grenade sa di miracolo, se si pensa che questa musica fu composta da uno straniero
guidato solamente dalla sensibilità del suo genio. Non una battuta di questa musica è tolta al
folclore spagnolo; eppure, tutta la composizione fino ai minimi particolari suggerisce
stupendamente la Spagna». Il battito caldo e sensuale della linea melodica suggerisce i colori e i
profumi penetranti della notte andalusa, dall'inizio e sino alla dissolvenza delle ultime battute.

L'ultima stampa (Jardins sous la pluie) nella tonalità di mi minore ci riporta al clima parigino, o,
comunque, ad un paesaggio francese, con le sue cantilene infantili e i racconti di favole di altri
tempi: si ode anche il tema di una vecchia canzone popolare, intonata dalla mamma per calmare i
bambini spaventati dal temporale («Nous n'irons plus au bois, les lauries sont coupés» - Non
andremo più nel bosco, i lauri sono tagliati). Il brano si caratterizza per il contrasto tra la
luminosità delle armonie e la delicatezza delle movenze infantili, come una successione di note
espresse con molta riservatezza e pudicizia, simili ad una sottile pioggia di primavera filtrata
attraverso i riflessi della luce del sole.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Le Trois Estampes furono portate a termine nel 1903 e, com'è stato osservato, «inaugurano l'era di
quei titoli suggestivi che collocano l'opera in un mondo abbastanza preciso per orientare
l'immaginazione dell'interprete e dell'ascoltatore, ma che sono sufficientemente indefiniti per
permettere al loro sogno di configurarsi liberamente».

Il primo dei tre pezzi, Pagodes, si basa su di un tema formato dalle cinque note della scala cinese
che, attraverso ogni sorte di ornamentazioni ritmiche e melodiche, evocano l'Estremo Oriente. Un
ritmo di Habanera pervade Soirée dans Grenade, mentre in Jardins sous la pluie risuonano delle
vecchie canzonane francesi «Nous n'irons plus au bois, parce qu'il fait un temps épouvantable» e
«Do, do, l'enfant, do...». Debussy stesso, confessando di essersi servito di qualche aspetto della
prima chansonette, aggiunge di concedere all'interprete che «il n'est pas défendu d'y mettre sa
petite sensibilité des bons jours de pluie».

Roman Vlad

108 n. 2 (100 n. 2) 1903

2. La soirée dans Grenade

https://www.youtube.com/watch?v=Tjp6MmM2mSE

https://www.youtube.com/watch?v=MStr5zMu_is

https://www.youtube.com/watch?v=cnY5WU00a0w

La soirée dans Grenade - Dans un rythme nonchalamment gracieux - mouvement de Habanera


(fa diesis minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 3 settembre 1903
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 9 gennaio 1904
Edizione: Durand, Parigi, 1903
Dedica: Jacques-Emile Blanche

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La raccolta Estampes, composta nel 1903, comprende tre deliziosi quadri musicali dal forte
carattere descrittivo, frutto della notevole maturità compositiva raggiunta da Debussy.

Pagodes richiama alla mente dell'ascoltatore l'immagine di meravigliose pagode che si stagliano su
un incantevole paesaggio orientale; fa scala pentatonica e l'uso del pedale tonale, che garantisce un
effetto percussivo agli accordi pianistici (sorta di discreto accenno alle percussioni del Gamelan
giavanese), assicurano alla pagina un grande fascino sonoro. La prima parte del brano, da suonarsi
dèlicatement et presque sans nuances, è una morbida "passeggiata" delle mani del pianista sui tasti
neri dello strumento (la scala pentatonica, appunto), dal grave all'acuto; nella sezione centrale
appare un nuovo timido motivo, che sembra emergere dalle nebbie di un sogno lontano. La ripresa
della parte iniziale precede l'episodio finale, nel quale il tema principale (ora alla mano sinistra) si
dilegua lentamente nei veloci ma delicati arpeggi pentatonici della mano destra.

Con La soirée dans Grenade ci troviamo completamente immersi in una calda atmosfera spagnola
fin dalle prime note, misteriose e lontane, che preparano il motivo principale; quattro battute ben
ritmate, quasi un accenno piuttosto che un tema vero e proprio. Un secondo motivo, più marcato
ritmicamente, viene esposto in ottave dalla mano destra ma va anch'esso esaurendosi in
pianissimo. Sono accenni fugaci di melodie che si odono in lontananza, in una calda notte a
Granada. Finalmente, avec plus d'abandon, appare un motivo di danza presentato su un ritmo
regolare di habanera, che viene però presto spezzato dalle reminiscenze dei temi precedenti. Il
brano si conclude così come era iniziato, in un pianissimo appena percepibile e a noi non resta che
ricordare il commento di Manuel De Falla: «Non c'è nemmeno una nota tratta dal folclore
spagnolo, ma l'intera composizione, fin nei minimi dettagli, esprime mirabilmente lo spirito di
questo Paese».

Jardins sous la pluie, forse la pagina pianistica più nota di Debussy, conclude la suite con la
descrizione musicale di un acquazzone autunnale; nel tema principale (citazione della canzone
popolare francese Dodo, l'enfant do) riconosciamo lo scroscio regolare della pioggia, gli zampilli
allegri delle gocce d'acqua, l'infuriare del vento. La parte centrale è più tranquilla, la pioggia si è
attenuata e l'autore si abbandona al ricordo nostalgico di vecchie melodie infantili, con la citazione
di Nous n'irons plus au boit, mentre nel finale dominano le violente folate di vento e la pioggia che
ora scende violenta e inesorabile. Questo meraviglioso brano, grazie all'equilibrio formale e alla
scrittura musicale di grande effetto, è da tempo pietra miliare del repertorio pianistico.

Alessandro De Bei
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il pianoforte, si sa, è lo strumento preferito da Debussy che ad esso ha riservato alcune tra le sue
più significative composizioni, trattando la tecnica dei tasti bianchi e neri con modi assolutamente
nuovi e originali. In questo campo egli ha forse lasciato il segno più specifico della sua
personalità, se si considera il valore linguistico del ciclo delle Images dei sei pezzi del Children's
corner, del trittico delle Estampes, della raccolta dei ventiquattro Préludes e dei due libri dei
Douze études, considerati il vertice dell'arte pianistica di Debussy, in quanto la ricerca delle
combinazioni timbriche e delle mutevoli asimmetrie ritmiche viene riproposta con uno stile e
un'audacia mai udite sulla tastiera. Non per nulla il pianismo debussiano ha fatto scuola ed è stato
un punto di riferimento importante per musicisti di diversa estrazione storica e culturale, come
Ravel, Albeniz, Bartók e Schoenberg.

C'è un giudizio di Émile Vuillermorz, stimato critico musicale francese, che analizza il rapporto tra
Debussy e il pianoforte e lascia capire il modo in cui questo artista si avvicina allo strumento per
carpirne i segreti. Esso dice: «Debussy interroga il pianoforte con una curiosità scientifica. Sotto le
sue dita i martelletti percuotono delicatamente le corde; allo stesso modo del medico egli studia i
riflessi nervosi di un organismo fatto di fasce sonore e sensibile ad ogni tocco, anche il più leggero
e impalpabile». Da queste premesse è facile intuire come Debussy si preoccupasse di cogliere
sensazioni evanescenti ed ebbrezze sottili, in un gioco mobilissimo e senza schema precostituito di
armonie e di ritmi. In tal senso i tre brani delle Estampes sono molto indicativi del singolare e
personalissimo linguaggio pianistico di Debussy. Furono composti nel luglio del 1903 ed eseguiti
per la prima volta il 9 gennaio 1904 da Ricardo Vines, alla sala Erard della Société Nationale di
Parigi. Il successo fu tale che il pianista fu costretto a bissare l'ultimo pezzo del trittico.

E' nota la battuta di spirito di Debussy con cui annunciò al direttore d'orchestra Andre Messager il
titolo delle Estampes: «Quando uno non può pagarsi un viaggio, bisogna immaginarlo con la
fantasia». Ciò perché in Estampes musicali si rievocano atmosfere orientali, forse indiane o cinesi
nelle Pagodes e il clima caratteristico di una città spagnola nella Soirée dans Grenade. Secondo
testimonianze dirette lo stimolo a scrivere Pagodes venne a Debussy dopo aver ascoltato le
orchestre gamelang giavanesi, apparse nelle Esposizioni internazionali di Parigi del 1889 e del
1900. n brano, nella chiara tonalità di si maggiore, vuole esprimere il fascino che promana dalle
pagode, sacri templi orientali, in cui si respira il significato degli antichi riti, fissati nelle scale
pentatoniche, pur tra il movimento e la vivacità di una festa popolare.

Il secondo pezzo (La soirée dans Grenade) è nella tonalità di fa diesis minore ed inizia su un ritmo
di habanera, di tipica reminiscenza andalusa: «Il potere evocativo raggiunto dalle poche pagine di
Soirée dans Grenade sa di miracolo, se si pensa che questa musica fu composta da uno straniero
guidato solamente dalla sensibilità del suo genio. Non una battuta di questa musica è tolta al
folclore spagnolo; eppure, tutta la composizione fino ai minimi particolari suggerisce
stupendamente la Spagna». Il battito caldo e sensuale della linea melodica suggerisce i colori e i
profumi penetranti della notte andalusa, dall'inizio e sino alla dissolvenza delle ultime battute.

L'ultima stampa (Jardins sous la pluie) nella tonalità di mi minore ci riporta al clima parigino, o,
comunque, ad un paesaggio francese, con le sue cantilene infantili e i racconti di favole di altri
tempi: si ode anche il tema di una vecchia canzone popolare, intonata dalla mamma per calmare i
bambini spaventati dal temporale («Nous n'irons plus au bois, les lauries sont coupés» - Non
andremo più nel bosco, i lauri sono tagliati). Il brano si caratterizza per il contrasto tra la
luminosità delle armonie e la delicatezza delle movenze infantili, come una successione di note
espresse con molta riservatezza e pudicizia, simili ad una sottile pioggia di primavera filtrata
attraverso i riflessi della luce del sole.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Le Trois Estampes furono portate a termine nel 1903 e, com'è stato osservato, «inaugurano l'era di
quei titoli suggestivi che collocano l'opera in un mondo abbastanza preciso per orientare
l'immaginazione dell'interprete e dell'ascoltatore, ma che sono sufficientemente indefiniti per
permettere al loro sogno di configurarsi liberamente».

Il primo dei tre pezzi, Pagodes, si basa su di un tema formato dalle cinque note della scala cinese
che, attraverso ogni sorte di ornamentazioni ritmiche e melodiche, evocano l'Estremo Oriente. Un
ritmo di Habanera pervade Soirée dans Grenade, mentre in Jardins sous la pluie risuonano delle
vecchie canzonane francesi «Nous n'irons plus au bois, parce qu'il fait un temps épouvantable» e
«Do, do, l'enfant, do...». Debussy stesso, confessando di essersi servito di qualche aspetto della
prima chansonette, aggiunge di concedere all'interprete che «il n'est pas défendu d'y mettre sa
petite sensibilité des bons jours de pluie».

Roman Vlad

108 n. 3 (100 n. 3) 1903

3. Jardins sous la pluie

https://www.youtube.com/watch?v=Kg3mWdZnRng

https://www.youtube.com/watch?v=tI3xlIwcqeA

Jardins sous la pluie - Toccate - net et vif (mi minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 3 settembre 1903
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 9 gennaio 1904
Edizione: Durand, Parigi, 1903
Dedica: Jacques-Emile Blanche
Versione definitiva del n. 3 di L 94

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La raccolta Estampes, composta nel 1903, comprende tre deliziosi quadri musicali dal forte
carattere descrittivo, frutto della notevole maturità compositiva raggiunta da Debussy.

Pagodes richiama alla mente dell'ascoltatore l'immagine di meravigliose pagode che si stagliano su
un incantevole paesaggio orientale; fa scala pentatonica e l'uso del pedale tonale, che garantisce un
effetto percussivo agli accordi pianistici (sorta di discreto accenno alle percussioni del Gamelan
giavanese), assicurano alla pagina un grande fascino sonoro. La prima parte del brano, da suonarsi
dèlicatement et presque sans nuances, è una morbida "passeggiata" delle mani del pianista sui tasti
neri dello strumento (la scala pentatonica, appunto), dal grave all'acuto; nella sezione centrale
appare un nuovo timido motivo, che sembra emergere dalle nebbie di un sogno lontano. La ripresa
della parte iniziale precede l'episodio finale, nel quale il tema principale (ora alla mano sinistra) si
dilegua lentamente nei veloci ma delicati arpeggi pentatonici della mano destra.

Con La soirée dans Grenade ci troviamo completamente immersi in una calda atmosfera spagnola
fin dalle prime note, misteriose e lontane, che preparano il motivo principale; quattro battute ben
ritmate, quasi un accenno piuttosto che un tema vero e proprio. Un secondo motivo, più marcato
ritmicamente, viene esposto in ottave dalla mano destra ma va anch'esso esaurendosi in
pianissimo. Sono accenni fugaci di melodie che si odono in lontananza, in una calda notte a
Granada. Finalmente, avec plus d'abandon, appare un motivo di danza presentato su un ritmo
regolare di habanera, che viene però presto spezzato dalle reminiscenze dei temi precedenti. Il
brano si conclude così come era iniziato, in un pianissimo appena percepibile e a noi non resta che
ricordare il commento di Manuel De Falla: «Non c'è nemmeno una nota tratta dal folclore
spagnolo, ma l'intera composizione, fin nei minimi dettagli, esprime mirabilmente lo spirito di
questo Paese».

Jardins sous la pluie, forse la pagina pianistica più nota di Debussy, conclude la suite con la
descrizione musicale di un acquazzone autunnale; nel tema principale (citazione della canzone
popolare francese Dodo, l'enfant do) riconosciamo lo scroscio regolare della pioggia, gli zampilli
allegri delle gocce d'acqua, l'infuriare del vento. La parte centrale è più tranquilla, la pioggia si è
attenuata e l'autore si abbandona al ricordo nostalgico di vecchie melodie infantili, con la citazione
di Nous n'irons plus au boit, mentre nel finale dominano le violente folate di vento e la pioggia che
ora scende violenta e inesorabile. Questo meraviglioso brano, grazie all'equilibrio formale e alla
scrittura musicale di grande effetto, è da tempo pietra miliare del repertorio pianistico.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)


Il pianoforte, si sa, è lo strumento preferito da Debussy che ad esso ha riservato alcune tra le sue
più significative composizioni, trattando la tecnica dei tasti bianchi e neri con modi assolutamente
nuovi e originali. In questo campo egli ha forse lasciato il segno più specifico della sua
personalità, se si considera il valore linguistico del ciclo delle Images dei sei pezzi del Children's
corner, del trittico delle Estampes, della raccolta dei ventiquattro Préludes e dei due libri dei
Douze études, considerati il vertice dell'arte pianistica di Debussy, in quanto la ricerca delle
combinazioni timbriche e delle mutevoli asimmetrie ritmiche viene riproposta con uno stile e
un'audacia mai udite sulla tastiera. Non per nulla il pianismo debussiano ha fatto scuola ed è stato
un punto di riferimento importante per musicisti di diversa estrazione storica e culturale, come
Ravel, Albeniz, Bartók e Schoenberg.

C'è un giudizio di Émile Vuillermorz, stimato critico musicale francese, che analizza il rapporto tra
Debussy e il pianoforte e lascia capire il modo in cui questo artista si avvicina allo strumento per
carpirne i segreti. Esso dice: «Debussy interroga il pianoforte con una curiosità scientifica. Sotto le
sue dita i martelletti percuotono delicatamente le corde; allo stesso modo del medico egli studia i
riflessi nervosi di un organismo fatto di fasce sonore e sensibile ad ogni tocco, anche il più leggero
e impalpabile». Da queste premesse è facile intuire come Debussy si preoccupasse di cogliere
sensazioni evanescenti ed ebbrezze sottili, in un gioco mobilissimo e senza schema precostituito di
armonie e di ritmi. In tal senso i tre brani delle Estampes sono molto indicativi del singolare e
personalissimo linguaggio pianistico di Debussy. Furono composti nel luglio del 1903 ed eseguiti
per la prima volta il 9 gennaio 1904 da Ricardo Vines, alla sala Erard della Société Nationale di
Parigi. Il successo fu tale che il pianista fu costretto a bissare l'ultimo pezzo del trittico.

E' nota la battuta di spirito di Debussy con cui annunciò al direttore d'orchestra Andre Messager il
titolo delle Estampes: «Quando uno non può pagarsi un viaggio, bisogna immaginarlo con la
fantasia». Ciò perché in Estampes musicali si rievocano atmosfere orientali, forse indiane o cinesi
nelle Pagodes e il clima caratteristico di una città spagnola nella Soirée dans Grenade. Secondo
testimonianze dirette lo stimolo a scrivere Pagodes venne a Debussy dopo aver ascoltato le
orchestre gamelang giavanesi, apparse nelle Esposizioni internazionali di Parigi del 1889 e del
1900. n brano, nella chiara tonalità di si maggiore, vuole esprimere il fascino che promana dalle
pagode, sacri templi orientali, in cui si respira il significato degli antichi riti, fissati nelle scale
pentatoniche, pur tra il movimento e la vivacità di una festa popolare.

Il secondo pezzo (La soirée dans Grenade) è nella tonalità di fa diesis minore ed inizia su un ritmo
di habanera, di tipica reminiscenza andalusa: «Il potere evocativo raggiunto dalle poche pagine di
Soirée dans Grenade sa di miracolo, se si pensa che questa musica fu composta da uno straniero
guidato solamente dalla sensibilità del suo genio. Non una battuta di questa musica è tolta al
folclore spagnolo; eppure, tutta la composizione fino ai minimi particolari suggerisce
stupendamente la Spagna». Il battito caldo e sensuale della linea melodica suggerisce i colori e i
profumi penetranti della notte andalusa, dall'inizio e sino alla dissolvenza delle ultime battute.

L'ultima stampa (Jardins sous la pluie) nella tonalità di mi minore ci riporta al clima parigino, o,
comunque, ad un paesaggio francese, con le sue cantilene infantili e i racconti di favole di altri
tempi: si ode anche il tema di una vecchia canzone popolare, intonata dalla mamma per calmare i
bambini spaventati dal temporale («Nous n'irons plus au bois, les lauries sont coupés» - Non
andremo più nel bosco, i lauri sono tagliati). Il brano si caratterizza per il contrasto tra la
luminosità delle armonie e la delicatezza delle movenze infantili, come una successione di note
espresse con molta riservatezza e pudicizia, simili ad una sottile pioggia di primavera filtrata
attraverso i riflessi della luce del sole.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Le Trois Estampes furono portate a termine nel 1903 e, com'è stato osservato, «inaugurano l'era di
quei titoli suggestivi che collocano l'opera in un mondo abbastanza preciso per orientare
l'immaginazione dell'interprete e dell'ascoltatore, ma che sono sufficientemente indefiniti per
permettere al loro sogno di configurarsi liberamente».

Il primo dei tre pezzi, Pagodes, si basa su di un tema formato dalle cinque note della scala cinese
che, attraverso ogni sorte di ornamentazioni ritmiche e melodiche, evocano l'Estremo Oriente. Un
ritmo di Habanera pervade Soirée dans Grenade, mentre in Jardins sous la pluie risuonano delle
vecchie canzonane francesi «Nous n'irons plus au bois, parce qu'il fait un temps épouvantable» e
«Do, do, l'enfant, do...». Debussy stesso, confessando di essersi servito di qualche aspetto della
prima chansonette, aggiunge di concedere all'interprete che «il n'est pas défendu d'y mettre sa
petite sensibilité des bons jours de pluie».

Roman Vlad

109 (106) 1904

L'isle joyeuse per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=rlGFfjY_vrY

https://www.youtube.com/watch?v=XeBZT5_iEeA

https://www.youtube.com/watch?v=kp7ub8iHAkw

Organico: pianoforte
Composizione: Saint-Hélier, 5 agosto 1904
Prima esecuzione: Parigi, Salle Aeolian, 10 febbraio 1905
Edizione: Durand, Parigi, 1904

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'isle joyeuse fu scritta da Debussy, nel settembre del 1904, a Dieppe dove il compositore si era
recato in vacanza abbandonando la moglie, in compagnia della signora Emma Bardac che più tardi
avrebbe sposato in seconde nozze. Il pezzo sarebbe e ispirato ad un celebre quadro di Watteau,
L'embarquement pour Cythère, e perciò Debussy avrebbe impiegato la grafia antica di "isola", isle,
in luogo del oderno ile. Pubblicata nel 1904, senza dedica, la composizione fu eseguita per la
prima volta il 18 febbraio 1905 alla Société Nationale da Ricardo Vines, ìnsieme con Masques, e
divenne in breve tempo molto nota. Musica "all'aperto" come la rivoluzionaria dans Grenade
dell'anno precedente, l'Isle joyeuse è pero di concezione, di struttura e di scrittura strumentale più
tradizionali. Si tratta, fatto raro in Debussy, di un pezzo da concerto calcolato in vista del rapporto
con il pubblico di una grande sala. Lo "scenario" si richiama alla Fétes galantes di Verlaine e,
ataverso questi, a Watteau, non senza un tocco - l'imbarco per l'isola dell'amore - di
autobiografismo. Sono evidenti i simbolismi dell'acqua (nel primo tema) e dell'isola dell'amore
(nel secondo tema, che arieggia il valzer lento), ma la scrittura è saldamente ancorata alla
tradizione virtuosistica postlisztiana ed è di effetto brillantissimo nella sua sapiente mescolanza di
dinamiche contrastanti, di rarefazioni e di accumulazioni. La forma, sebbene non legata ad uno
schema tiene però conto dell'allegro bitematico della sonata: esposizione di due temi, sviluppo,
riesposizione abbreviata e coda. Il recupero della tradizione prevale quindi qui sulla
sperimentazione che caratterizza le precedenti Estampes (1903) e che segnerà poi tutta l'opera di
Debussy a partire dalla prima serie delle Images (1905). Da qui la grande fortuna concertistica
dell'Isle joyeuse nella prima metà del nostro secolo ed il minore interesse che verso di essa fu
dimostrato dagli interpreti del trentennio '50-'80. Oggi la composizione sta tornando in repertorio.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Pare che l'idea per la composizione di L'isle joyeuse venisse suggerita a Debussy da un quadro del
pittore settecentesco Watteau, raffigurante l'imbarco per l'isola di Citera. L'isola felice potrebbe
però anche essere quella di Jersey nella Manica, dove Debussy si rifugiò nell'estate del 1904
assieme a Emma Bardac. La pagina si apre con una cadenza cromatica che prepara il motivo
principale, sereno e piroettante, seguito da una sorta di moto perpetuo cromatico. Un nuovo tema
cantabile esposto in accordi dalla mano destra precede un lungo episodio fatto di vorticosi arpeggi
che conduce alla ripresa del motivo principale e del tema cantabile, ora perorato con passione in
fortissimo, climax dell'intera composizione. Un fugace accenno al motivo principale chiude questa
pagina piena di trascinante entusiasmo musicale.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Come non bisogna lasciarsi fuorviare dalla denominazione d'Improvviso data a pagine così
attentamente cesellate, così non si devono prendere toppo alla lettera i riferimenti extramusicali
contenuti nei titoli che Debussy metteva in testa (o in calce, come nei Préludes) alle sue
composizioni. Nel caso de L'Ile joyeuse il riferimento è a L'imbarco per Citera, il capolavoro in
cui Watteau nel 1717 dipinse, col suo pennello elegante e sensuale, la partenza d'un gruppo di
giovani uomini e donne per l'isola dell'amore: ma questa non è una ragione sufficiente per vedere
nella musica di Debussy finalità programmatiche o descrittive, in quanto il titolo riflette soltanto
l'impressione che l'oggetto (nel caso in questione il quadro di Watteau) ha prodotto nel musicista,
non l'oggetto in sé.

È certo, poiché lo afferma Debussy, che la gioiosa cadenza della sezione introduttiva subito dopo
la presentazione del tema è da intendersi come un invito all'imbarco, e altrettanto certamente
l'ondeggiare dell'armonia celebra il fascino dell'impalpabile mare del quadro di Watteau, ma nel
complesso il pittore non fu che uno spunto remoto, probabilmente meno importante di suggestioni
più vicine nel tempo, che Cortot individuava nella poesia di Verlaine e nella musica di Chabrier.
Debussy stesso, rinunciando all'idea iniziale d'inserire questo pezzo nella Suite bergamasque,
riconosceva che non aveva poco o nulla in comune con la reinvenzione di atmosfere e sonorità
settecentesche di quei quattro pezzi, composti d'altronde vari anni prima (la Suite è del 1890, L'Ile
joyeuse del 1904). Ben diversi sono i caratteri de L'Ile joyeuse: una scrittura virtuosistica,
un'ampia dinamica, una ritmica sempre più animata, dense armonie di carattere orchestrale (tanto
che Bernardino Molinari ne realizzò una trascrizione per orchestra, approvata da Debussy) e anche
momenti di notevole intensità espressiva. Debussy dichiarò che aveva qui riunito ogni possibile
modo di suonare il pianoforte «mettendo insieme forza e grazia».

Mauro Mariani

110 (105) 1904

Masques per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=WZYHNC9e9Q4

https://www.youtube.com/watch?v=66JvJK3muf8

Très vif et fantasque (la minore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1903 - luglio 1904
Prima esecuzione: Parigi, Salle Aeolian, 10 febbraio 1905
Edizione: Durand, Parigi, 1904

Guida all'ascolto (nota 1)

Masques è da intendere, secondo lo stesso autore, più come «tragica espressione dell'esistenza»
che come spensierata maschera della commedia italiana. L'inizio del brano, basato sul
tamburellare di una quinta "vuota", è misterioso e ambiguo; il primo spunto motivico lo troviamo
soltanto intorno alla battuta 80, presto travolto dalla ripresa veemente della percussione iniziale,
ora enfatizzata dal raddoppio in ottava della mano destra. La parte centrale, nella quale udiamo
ancora minaccioso il tamburellare ritmico della prima parte, si basa sulla successione di morbide
armonie, cui fa seguito una specie di elaborazione del tema percussivo. Il finale è giocato sul
registro acuto del pianoforte, ma l'ultimo "ironico saluto" ci viene ancora dato dal ritmo
tamburellante dell'inizio.

112 (99) 1904

D'un cahier d'esquisses


per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=4U7g6o7ZitI

https://www.youtube.com/watch?v=IMO2SJZxP1Y

https://www.youtube.com/watch?v=_RydQLkRNhA

Très lent, sans rigueur (re bemolle maggiore)


Organico: pianoforte
Composizione: gennaio 1904
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 20 aprile 1910
Edizione: Schott, Bruxelles, 1904

117 (108) 1904

Pièce pour piano


da un abbozzo per "Le diable dans le beffroi"

https://www.youtube.com/watch?v=I6uTS6mmd5U

https://www.youtube.com/watch?v=4IxYwUPyFSI

Organico: pianoforte
Composizione: fine 1904
Edizione: apparso in «Album Musical», gennaio 1905

119 (113) 1906 - 1908

Children's Corner
Piccola suite per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=aYUhZ0tJ-k4

https://www.youtube.com/watch?v=kKFTa47dul8

https://www.youtube.com/watch?v=Vwm7vZsCsn4

https://www.youtube.com/watch?v=1k_OLrK4ZuE

Docteur Gradus ad Parnassum - Modérément animé (do maggiore)


Jumbo's Lullaby (Ninnananna degli elefanti) - Assez modéré (si bemolle maggiore)
Serenade for the doll (Serenata per la bambola) - Allegretto ma non troppo (mi maggiore)
The Snow is Dancing (La neve danza) - Modérément animé (re minore)
The Little Sheppherd (Il piccolo pastore) - Très modéré (la maggiore)
Golliwog's Cake Walk - Allegro giusto (mi bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1906 - luglio 1908
Prima esecuzione: Parigi, Cercle Musical, 18 dicembre 1908
Edizione: Durand, Parigi, 1908 (il n. 3 separatamente, col titolo Serenade a la poupée, 1906)
Dedica: Chouchou Debussy

Guida all'ascolto (nota 1)


Dalla sua seconda moglie, Emma Bardac, Debussy ebbe una figlia, Emma-Claude, nata nel 1905 e
ben presto chiamata Chouchou. Nel 1908 Debussy scrisse per Chouchou la Serenade for the Doll,
Serenata per la bambola (nella prima edizione a stampa troviamo, curiosamente, "for the Doll" nel
Programme e "of the Doll", della bambola, nel titolo). Nel 1908 vennero composti gli altri pezzi, e
la raccolta venne pubblicata nello stesso anno con la dedica "A ma chère petite Chouchou, avec les
tendres excuses de son Pére pour ce qui va suivre" (Alla mia cara piccola Chouchou, con le tenere
scuse di suo padre per ciò che segue). Il titolo dei pezzi e della raccolta sono in inglese perché
inglese era l'istitutrice di Chouchou, che già a tre anni imparava la lingua britannica.

Al di là dell'occasione contingente, e al di là della squisita e da tutti riconosciutissima bellezza


dell'opera, il Children's Corner rappresenta un importante momento nell'attività creativa di
Debussy. Debussy inizia con pezzi vari, sparsi, che seguono le indicazioni fornite dal mercato dei
dilettanti di pianoforte e che non si diversificano - in quanto a tipologia, non, evidentemente, in
quanto a valore di contenuti - da ciò che scrivevano altri compositori. Maggiori ambizioni si
manifestano nella Suite bergamasque, che è, appunto, una suite, una composizione organica in
quattro parti che riprende l'idea di una grande forma della tradizione barocca. Pour le piano è nello
stesso tempo una suite e un trittico, e l'idea del trittico, nella cultura francese d'avanguardia, mima
l'idea di sonata della cultura tedesca, riprendendo un archetipo formale senza riprenderne le
strutture interne. Trittici sono le Estampes e la prima e la seconda serie delle Images. Con
Children's Corner Debussy affronta il polittico, creato da Schumann come versione romantica
della suite. E con Children's Corner si concludono gli esperimenti di Debussy sulle grandi forme: i
due libri dei Preludi e i due libri degli Studi saranno raccolte di pezzi, tra loro omogenei ma non
articolati in un grande collegamento formale.

Doctor Gradus ad Parnassum è uno studio monotematico e tripartito. L'intenzione satirica,


evidente nel titolo, è nella musica molto tenue e non tocca mai il limite della caricatura. Nessun
riferimento diretto al Gradus ad Parnassum di Muzio Clementi, ma, semmai, al primo Studio
dell'op. 45 di Heller, molto conosciuto all'inizio del secolo. Il dottor Gradus ad Parnassum è
comunque il severo pedagogo che tiranneggia il discente, e l'esecuzione di Debussy, registrata su
un rullo di pianoforte meccanico, dà alla conclusione un carattere liberatorio, un'esplosione di
vitalità del bambino giunto al termine della lezione. Jimbo's Lullaby è la ninna nanna
dell'elefantino di pezza, e la dinamica è da luce notturna, con un solo mezzoforte ed una intera
gamma di piano e pianissimo. Serenade for the Doll è la serenata per la bambola, con tanto di
imitazione del mandolino. The Snow is dancing è una specie di delicata stampa giapponese:
fiocchi di neve danzanti, che potrebbero anche essere, secondo la tradizionale simbologia sonora
romantica, gocce d'acqua o, secondo i clavicembalisti francesi che fanno da sfondo alla poetica di
Debussy, ticchettii d'orologio. The little shepard è la scenetta di un pastorello che suona il flauto.
Golliwogg's cake-walk è la danza, americana, di un pupazzo. Nella parte centrale viene citato, non
deformato e riconoscibilissimo, ma in un contesto caricaturale, l'inizio del Trìstano e Isotta di
Wagner.

Il Children's Corner è musica per l'infanzia, per Chouchou che compiva tre anni, ma è soprattutto
musica sull'infanzia, musica che nasce dalla contemplazione dell'adulto sul misterioso sorgere di
un rapporto tra il bimbo e gli oggetti.

Piero Rattalino
120 (111) 1907

Images per pianoforte


Seconda serie

https://www.youtube.com/watch?v=MDZjL6QQ7eo

https://www.youtube.com/watch?v=8SLSU-j0Xp8

https://www.youtube.com/watch?v=qkuYzz69PHQ

https://www.youtube.com/watch?v=X4CGk5GiP0k

120 n. 1 (111 n. 1) 1907

1. Cloches à travers les feuilles

https://www.youtube.com/watch?v=0YVtXU5PJ7Q

https://www.youtube.com/watch?v=Ci0qOkg9qyo

Cloches à travers les feuilles - Lent (sol minore)

Organico: pianoforte
Composizione: ottobre 1907
Prima esecuzione: Parigi, Cercle Musicale, 21 febbraio 1908
Edizione: Durand, Parigi, 1908
Dedica: Alexandre Charpentier

Guida all'ascolto (nota 1)

Scrive Pierre Boulez, entusiasta estimatore dell'opera pianistica e sinfonica di Debussy, un vero
maestro del gioco sonoro e autentico caposcuola di uno stile inimitabile, che «Estampes (1903)
L'isle joyeuse (1904) e i due quaderni di Images, composti rispettivamente nel 1905 e nel 1907,
segnano la pienezza di una certa forma della scrittura pianistica debussyana, nella quale Children's
Corner (1906-1908) costituisce un intermezzo di riposo. Periodo estremamente brillante
nell'evoluzione del compositore: non superò mai più quell'utilizzazione delle risorse del
pianoforte, quell'impiego specifico del suo timbro e del suo colore. Con questa serie di raccolte
inaugurò una nuova maniera di scrivere per lo strumento a tastiera, chiamata dalla maggior parte
del pubblico impressionismo musicale. Mai prima d'allora la scrittura pianistica era stata così
fluida, varia e sorprendente, anche se era possibile trovarne l'origine precisa in alcune pagine di
Chopin e di Liszt. Questa serie di pezzi per pianoforte, scritti fra il 1903 e il 1908 sono monumenti
della letteratura pianistica; è inconcepibile che un compositore non ne tenga conto né che un
pianista non si procuri la tecnica esemplare che essi esigono».

Eleganza di portamento, finezza e vaporosità di immaginazione, estrosa mobilità del discorso


musicale sono le caratteristiche di questa seconda serie delle Images per pianoforte. Così come la
prima raccolta, formata da tre brani (Reflets dans l'eau, Hommage a Rameau, Mouvement), essa si
articola in tre pezzi evocativi di un impressionismo più idealizzato e astratto che reale, anche se
non mancano riferimenti a situazioni e oggetti concreti. Il primo brano (Cloches a travers les
feuilles) prende lo spunto dall'abitudine esistente in alcuni villaggi francesi di suonare le campane
a morto, dall'alba al tramonto, dal giorno di Ognissanti fino al giorno dei defunti. Naturalmente
tale richiamo va inteso in modo molto relativo e quello che conta è la straordinaria trasparenza di
suoni in un gioco di sensazioni fragili e delicate; si percepisce nel disegno degli accordi
pentatonici, alternati a toni interi, un'atmosfera vagamente triste, come di una nebbia mattutina che
non lascia traspirare la luce del sole. Anche il secondo brano (Et la lune descend sur le temple qui
fût) suggerisce l'idea della luna che illumina con riflessi trasparenti un antico tempio ormai
corroso e ridotto ad un simulacro di rovine. L'artista contempla il misterioso passato di questo
edificio, immerso nella solitudine e nel silenzio; la tessitura armonica è quanto mai sfumata e
accennata nei contorni, pur nel rispetto di una continuità melodica di forte concentrazione
espressiva. Il terzo brano (Poissons d'or) lascia pensare, secondo gli studiosi del pianismo
debussyano, al movimento di due o più pesci nell'acqua contenuta in un vaso di cristallo. Infatti è
facile immaginare la scena: il colpo di pinne dei pesci, il veloce guizzò, l'improvviso mutamento
di direzione della corsa capricciosa, il luccichio dei colori e l'iridescenza prodotta dal riflesso del
sole nell'acqua, sulle scaglie rilucenti. Musicalmente il pezzo si presenta quasi come un rondò,
all'insegna del fa diesis maggiore in apertura e in chiusura, ed ha uno svolgimento estremamente
instabile e volubile, tipico di buona parte della letteratura pianistica del grande "Claude de
France".

120 n. 2 (111 n. 2) 1907

2. Et la lune descend sur le temps qui fût

https://www.youtube.com/watch?v=26_2wNQzh6s

https://www.youtube.com/watch?v=KRtpbBePEJY

https://www.youtube.com/watch?v=h0BVzrp_R2M

Et la lune descend sur le temps qui fût - Lent (mi minore)

Organico: pianoforte
Composizione: ottobre 1907
Prima esecuzione: Parigi, Cercle Musicale, 21 febbraio 1908
Edizione: Durand, Parigi, 1908
Dedica: L. Laloy

Guida all'ascolto (nota 1)

Scrive Pierre Boulez, entusiasta estimatore dell'opera pianistica e sinfonica di Debussy, un vero
maestro del gioco sonoro e autentico caposcuola di uno stile inimitabile, che «Estampes (1903)
L'isle joyeuse (1904) e i due quaderni di Images, composti rispettivamente nel 1905 e nel 1907,
segnano la pienezza di una certa forma della scrittura pianistica debussyana, nella quale Children's
Corner (1906-1908) costituisce un intermezzo di riposo. Periodo estremamente brillante
nell'evoluzione del compositore: non superò mai più quell'utilizzazione delle risorse del
pianoforte, quell'impiego specifico del suo timbro e del suo colore. Con questa serie di raccolte
inaugurò una nuova maniera di scrivere per lo strumento a tastiera, chiamata dalla maggior parte
del pubblico impressionismo musicale. Mai prima d'allora la scrittura pianistica era stata così
fluida, varia e sorprendente, anche se era possibile trovarne l'origine precisa in alcune pagine di
Chopin e di Liszt. Questa serie di pezzi per pianoforte, scritti fra il 1903 e il 1908 sono monumenti
della letteratura pianistica; è inconcepibile che un compositore non ne tenga conto né che un
pianista non si procuri la tecnica esemplare che essi esigono».

Eleganza di portamento, finezza e vaporosità di immaginazione, estrosa mobilità del discorso


musicale sono le caratteristiche di questa seconda serie delle Images per pianoforte. Così come la
prima raccolta, formata da tre brani (Reflets dans l'eau, Hommage a Rameau, Mouvement), essa si
articola in tre pezzi evocativi di un impressionismo più idealizzato e astratto che reale, anche se
non mancano riferimenti a situazioni e oggetti concreti. Il primo brano (Cloches a travers les
feuilles) prende lo spunto dall'abitudine esistente in alcuni villaggi francesi di suonare le campane
a morto, dall'alba al tramonto, dal giorno di Ognissanti fino al giorno dei defunti. Naturalmente
tale richiamo va inteso in modo molto relativo e quello che conta è la straordinaria trasparenza di
suoni in un gioco di sensazioni fragili e delicate; si percepisce nel disegno degli accordi
pentatonici, alternati a toni interi, un'atmosfera vagamente triste, come di una nebbia mattutina che
non lascia traspirare la luce del sole. Anche il secondo brano (Et la lune descend sur le temple qui
fût) suggerisce l'idea della luna che illumina con riflessi trasparenti un antico tempio ormai
corroso e ridotto ad un simulacro di rovine. L'artista contempla il misterioso passato di questo
edificio, immerso nella solitudine e nel silenzio; la tessitura armonica è quanto mai sfumata e
accennata nei contorni, pur nel rispetto di una continuità melodica di forte concentrazione
espressiva. Il terzo brano (Poissons d'or) lascia pensare, secondo gli studiosi del pianismo
debussyano, al movimento di due o più pesci nell'acqua contenuta in un vaso di cristallo. Infatti è
facile immaginare la scena: il colpo di pinne dei pesci, il veloce guizzò, l'improvviso mutamento
di direzione della corsa capricciosa, il luccichio dei colori e l'iridescenza prodotta dal riflesso del
sole nell'acqua, sulle scaglie rilucenti. Musicalmente il pezzo si presenta quasi come un rondò,
all'insegna del fa diesis maggiore in apertura e in chiusura, ed ha uno svolgimento estremamente
instabile e volubile, tipico di buona parte della letteratura pianistica del grande "Claude de
France".

120 n. 3 (111 n. 3) 1907

3. Poissons d'or

https://www.youtube.com/watch?v=bK1R4ZSjteQ

https://www.youtube.com/watch?v=M6uVO4MnVT0

https://www.youtube.com/watch?v=wg9RZEBld_o

Poissons d'or - Animé (fa diesis maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: ottobre 1907
Prima esecuzione: Parigi, Cercle Musicale, 21 febbraio 1908
Edizione: Durand, Parigi, 1908
Dedica: Ricardo Vines

Guida all'ascolto (nota 1)

Scrive Pierre Boulez, entusiasta estimatore dell'opera pianistica e sinfonica di Debussy, un vero
maestro del gioco sonoro e autentico caposcuola di uno stile inimitabile, che «Estampes (1903)
L'isle joyeuse (1904) e i due quaderni di Images, composti rispettivamente nel 1905 e nel 1907,
segnano la pienezza di una certa forma della scrittura pianistica debussyana, nella quale Children's
Corner (1906-1908) costituisce un intermezzo di riposo. Periodo estremamente brillante
nell'evoluzione del compositore: non superò mai più quell'utilizzazione delle risorse del
pianoforte, quell'impiego specifico del suo timbro e del suo colore. Con questa serie di raccolte
inaugurò una nuova maniera di scrivere per lo strumento a tastiera, chiamata dalla maggior parte
del pubblico impressionismo musicale. Mai prima d'allora la scrittura pianistica era stata così
fluida, varia e sorprendente, anche se era possibile trovarne l'origine precisa in alcune pagine di
Chopin e di Liszt. Questa serie di pezzi per pianoforte, scritti fra il 1903 e il 1908 sono monumenti
della letteratura pianistica; è inconcepibile che un compositore non ne tenga conto né che un
pianista non si procuri la tecnica esemplare che essi esigono».

Eleganza di portamento, finezza e vaporosità di immaginazione, estrosa mobilità del discorso


musicale sono le caratteristiche di questa seconda serie delle Images per pianoforte. Così come la
prima raccolta, formata da tre brani (Reflets dans l'eau, Hommage a Rameau, Mouvement), essa si
articola in tre pezzi evocativi di un impressionismo più idealizzato e astratto che reale, anche se
non mancano riferimenti a situazioni e oggetti concreti. Il primo brano (Cloches a travers les
feuilles) prende lo spunto dall'abitudine esistente in alcuni villaggi francesi di suonare le campane
a morto, dall'alba al tramonto, dal giorno di Ognissanti fino al giorno dei defunti. Naturalmente
tale richiamo va inteso in modo molto relativo e quello che conta è la straordinaria trasparenza di
suoni in un gioco di sensazioni fragili e delicate; si percepisce nel disegno degli accordi
pentatonici, alternati a toni interi, un'atmosfera vagamente triste, come di una nebbia mattutina che
non lascia traspirare la luce del sole. Anche il secondo brano (Et la lune descend sur le temple qui
fût) suggerisce l'idea della luna che illumina con riflessi trasparenti un antico tempio ormai
corroso e ridotto ad un simulacro di rovine. L'artista contempla il misterioso passato di questo
edificio, immerso nella solitudine e nel silenzio; la tessitura armonica è quanto mai sfumata e
accennata nei contorni, pur nel rispetto di una continuità melodica di forte concentrazione
espressiva. Il terzo brano (Poissons d'or) lascia pensare, secondo gli studiosi del pianismo
debussyano, al movimento di due o più pesci nell'acqua contenuta in un vaso di cristallo. Infatti è
facile immaginare la scena: il colpo di pinne dei pesci, il veloce guizzo, l'improvviso mutamento
di direzione della corsa capricciosa, il luccichio dei colori e l'iridescenza prodotta dal riflesso del
sole nell'acqua, sulle scaglie rilucenti. Musicalmente il pezzo si presenta quasi come un rondò,
all'insegna del fa diesis maggiore in apertura e in chiusura, ed ha uno svolgimento estremamente
instabile e volubile, tipico di buona parte della letteratura pianistica del grande "Claude de
France".

122 (114) 1909

Le pètit negre
Cake-walk per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=fawyJKnRaWo

https://www.youtube.com/watch?v=4YNGffZXl24

Allegro giusto (do maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1909
Edizione: Leduc, Parigi, 1909

123 (115) 1909

Hommage a Haydn
per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=152CzNFByx4

https://www.youtube.com/watch?v=M4psZipV4nE

Mouvement de valse lente (sol maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: maggio 1909
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 11 marzo 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1910

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel 1909, centenario della morte di Haydn, la Sociéte Internationale de Musique commissionò a
Debussy, Ravel, Dukas, d'Indy ed altri dei pezzi "sul nome Haydn". La denominazione dei suoni
in uso nei Paesi tedeschi prevede solo le lettere A (la), B (si bemolle), C (do), ecc. fino a G (sol),
più H come si naturale. II nome BACH e il nome GADE, nomi di musicisti, o il nome ABEGG,
scelto da Schumann, rientrano perfettamente nella corrispondenza alfabeto-suoni. Del nome
HAYDN sono direttamente musicabili soltanto la H (si naturale), la A (la) e la D (re). Per rendere
sonorizzabili la Y e la N venne creata dalla Sociéte Internationale de Musique una
"alfabetizzazione completa" che partiva dal la-1 (A) ed arrivava fino al mi4 (Z). I suoni del nome
HAYDN diventavano così si-la-re-re-sol, che secondo la denominazione normale avrebbero dato
HADDG.

L'Hommage à Haydn di Debussy è un "Movimento di valzer lento" di costruzione abbastanza


complessa, malgrado la brevità. Si tratta in realtà di una fantasia in quattro parti e coda, con valzer
lento, piccolo scherzo, ostinato ritmico, sezione in grandi accordi "impressionistici", citazione del
valzer lento e dello scherzo. Debussy, al contrario di Ravel, "legge" il nome HAYDN solo nella
forma diretta, non all'inverso - NDYAH - e non con le lettere sovrapposte
H
A
Y
D
N

Piero Rattalino

125 (117) 1909 - 1910

Préludes per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=FcnYbpJhpN4

https://www.youtube.com/watch?v=UIHpca_rWUc

https://www.youtube.com/watch?v=pCM4aau_e4A

Introduzione comune ai due libri (nota 1)

La prima interpretazione critica dell'opera di Debussy è quella che ancor oggi va sotto il nome
generico di «impressionismo»; interpretazione basata soprattutto sulle composizioni del 1890-
1904 (dai Nocturnes per orchestra alle Estampes per pianoforte all'Isle joyeuse, anch'essa per
pianoforte), che subito colpirono favorevolmente molti critici e che furono assai presto apprezzate
dal pubblico. Il concetto di impressionismo può venir esteso, con parecchie difficoltà, anche ad
opere come La mer e le Images per orchestra o come le Images e il primo libro dei Preludi per
pianoforte, ma si dimostra del tutto inadatto a spiegare Jeux, Le Martyre de Saint Sébastien, le tre
Sonate, la suite En blanc et noir, gli Studi, così si dimostra inadatto, dall'altra parte, a spiegare il
classicismo di certe pagine pianistiche anteriori alle Estampes e il simbolismo della Damoiselle
élue e del Pelléas. La critica rimasta ferma al concetto di impressionismo ha dovuto
necessariamente parlare di decadenza («Musicalmente, Debussy morì all'inizio della guerra»,
diceva il Lockspeiser), respingere le ultime opere e collocare al secondo libro dei Preludi,
composto tra il 1910 e il 1913, il crinale, asserendo che alcuni di essi appartengono al miglior
Debussy mentre in altri si avverte l'incipiente stanchezza creativa. Ora, è evidente che pagine
come La puerta del vino e Ondine possono rientrare nell'estetica dell'impressionismo. Ma è
altrettanto evidente che una pagina come Les tierces alternées anticipa nettamente gli Studi; e
persino pagine così ovvie in apparenza, come Feux d'artifice o Brouillards, risultano poi
difficilmente interpretabili sotto la sola angolatura dell'impressionismo.

Ma il concetto di impressionismo entra in crisi già nel primo libro dei Preludi, composto nel 1910,
che indubbiamente conclude la più intensa e felice stagione creativa di Debussy e che fu sempre
accettato senza riserve. Il segno, sia pure esterno e marginale, che denuncia il superamento
dell'impressionismo e che ha colpito tutti i commentatori, lo troviamo nella collocazione dei titoli.
I titoli, messi all'inizio dei singoli pezzi nelle Estampes e nelle Images, nei due libri dei Preludi
vengono collocati alla fine del pezzo, tra parentesi, e preceduti da puntini: (... Danseuses de
Delphe). Il titolo risulta così estremamente sfumato, estremamente allusivo rispetto all'oggetto o
all'avvenimento cui si riferisce.
Non che l'oggetto o l'avvenimento non stiano in alcuna relazione con la musica, non che
l'associazione titolo-musica sia arbitraria o dadaistica: il soffio leggero del vento, i passi sulla neve
ghiacciata, le chitarre, i tamburi, le campane trovano riscontri musicali non solo simbolici, ma
spesso addirittura onomatopeici. Tuttavia, la particolare collocazione dei titoli indica una tendenza
a superare la suggestione ambientale e la pittura in musica per avviarsi verso l'astrattismo degli
Studi. Il Lockspeiser, citato dianzi, dice: «Spesso, immagino, la composizione dev'essere
cominciata coll'imbattersi in una frase troppo bella per non farne un pezzo, dopo di che se ne
trovava l'argomento adatto». In questo senso, Debussy non avrebbe agito diversamente da
Schumann. Ma molto più accortamente Cortot, dopo aver lodato senza riserve il primo libro,
osserva, a proposito del secondo: «... la composizione di qualcuno di essi pare causata dalla
seduzione iniziale di una combinazione di sonorità a cui il soggetto viene adattato in seguito,
piuttosto che dalla sensazione stessa che queste sonorità avrebbero espresso. Debussy pare
prepararsi così alla scrittura degli Studi, dove lo vedremo abbandonare la seduzione dei sentimenti
e delle immagini in favore dei soli godimenti di un virtuosismo raffinato e di un piacere musicale
essenzialmente fisico». Cortot resta titubante di fronte a quest'ultima fase dell'estetica di Debussy.
Tuttavia, egli coglie esattamente i termini di un problema che nell'anteguerra fu risolto
positivamente soprattutto dalla critica tedesca (e in particolare dal Liess) e nel dopoguerra da tutta
la critica legata a movimenti d'avanguardia.

Entrambi i libri comprendono dodici pezzi: in totale, ventiquattro Preludi. Il numero tre e i suoi
multipli sono frequentissimi nelle pubblicazioni musicali del Settecento e dell'Ottocento: tre
sonate, tre notturni, tre valzer, sei sonate, sei quartetti, sei studi, dodici minuetti, dodici studi,
ventiquattro esercizi, ventiquattro preludi ecc. Se il tre e il sei rispondono però soprattutto ad usi
editoriali, il dodici e il ventiquattro si legano il più delle volte alle dodici tonalità maggiori e alle
dodici tonalità minori: i ventiquattro Preludi di Chopin toccano le ventiquattro tonalità, i dodici
Studi trascendentali di Liszt rappresentano la prima metà di una serie di ventiquattro, ordinata
tonalmente, che non fu condotta a termine (e che fu «terminata», in quanto al ciclo delle tonalità,
dai dodici Studi trascendentali di Sergheji Liapunov); persino i venticinque Preludi op. 31 di
Charles-Valentin Alkan sono legati al numero magico perché l'autore, dopo aver esaurito le
ventiquattro tonalità, chiude il ciclo con un venticinquesimo pezzo nella tonalità del primo. Il
numero dodici venne però usato anche indipendentemente dalle dodici tonalità: per esempio, negli
Studi op. 10 e op. 25 di Chopin, dodici per raccolta, con omissioni e ripetizioni di tonalità e
maggiori e minori. Nelle due serie di Chopin si trovano però tracce di un'organizzazione tonale
rigorosa che venne poi abbandonata, e quindi di un legame con la tradizione che stimolava sempre
i compositori, anche se spesso li metteva poi in serie difficoltà. In Debussy il tre torna più volte:
tre pezzi in Pour le piano, tre nelle Estampes, tre in ciascuna delle due serie di Images; il dodici
torna in ciascuno dei due libri dei Preludi e negli Studi. Il tre e il dodici, sono qui legati soltanto ad
una tradizione editoriale. Si nota tuttavia, nel primo libro dei Preludi, la cura di non ripetere le
tonalità:

- si bemolle maggiore
- do maggiore
- mi bemolle minore
- la maggiore
- si maggiore
- re minore
- fa diesis minore
- sol bemolle maggiore
- si bemolle minore
- do maggiore
- mi bemolle maggiore
- sol maggiore

Solo una tonalità, come si vede, ricorre due volte: do maggiore. Ma il secondo Preludio è più
propriamente un pezzo sulla scala esatonale, e termina su un bicordo do-mi che non stabilisce in
modo inequivocabile la tonalità di do maggiore; e quando il primo libro viene eseguito
integralmente l'ascoltatore nota la cangiante varietà del colore tonale. Qualsiasi preoccupazione a
proposito del seguito delle tonalità scompare però nel secondo libro, perché è il profumo stesso
della tonalità che va svanendo: anche in questo senso, dunque, il primo libro segna una meta e il
secondo una svolta. Il che dà ulteriori motivazioni alle osservazioni di Cortot e di altri, senza che,
se ne debbano perciò condividere le riserve.
Libro I

(... Danseuses de Delphe) (Danzatrici di Delfo). Breve pezzo, vero preludio: una specie di lenta
danza processionale, ispirata, si dice, alle figure di un vaso greco. Nettamente accentuato il
carattere tonale.

(.... Voiles) (Vele). Il pezzo è basato su un fregio, una melodia, un rintocco del basso: tre eventi
sonori che nel loro sovrapporsi e nel loro ripresentarsi con minime variazioni acquistano un loro
significato musicale ed una loro immota grazia formale, tanto lontana in realtà dal titolo che il
titolo stesso ha potuto essere «spiegato» da coscienziosi commentatori in termini diversi: come
vele (di barche) o come veli (di abiti femminili). Più che il titolo, più che l'oggetto, più che il
fruscio del vento sull'oggetto è la combinazione dei tre oggetti musicali che dà al pezzo il suo
carattere incantatorio, quella immota grazia formale di cui parlavamo poc'anzi, molto più vicina
alla pittura di un Mondrian che di un Manet.

(...Le vent dans la plaine) (Il vento nella pianura). Il titolo del terzo Preludio è forse riconducibile
ad un verso di Favart citato da Verlaine come epigrafe delle Ariettes oubliées: Le vent dans la
plaine / Suspendson haleine (Il vento nella pianura arresta il suo soffio). Anche in questo caso, se
il titolo può suggerire il fremito leggero del vento, il significato musicale nasce dalle stesse
formanti del secondo Preludio: un suono «ostinato», un fregio, una melodia. Qui la disposizione
sulla tastiera è però diversa: i tre eventi sonori si svolgono, inizialmente e per gran parte della
composizione, tutti e tre nella stessa zona, nello stesso registro. La raffinatezza, il virtuosismo
della tecnica tocca un limite invalicabile, un culmine oltre il quale sarà possibile solo inventare
altri mezzi non tradizionali, come l'esecuzione diretta sulle corde invece che attraverso la tastiera.

(... Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir) (Suoni e profumi volteggiano nell'aria della
sera). Ancora un verso, di Baudelaire, dà il titolo al Preludio n. 4. Debussy cita un verso isolato di
Harmonie du soir, appartenente alla raccolta Les fleurs du mal. Riporteremo qui tutta la quartina di
cui il verso è parte:
Voici venir les temps ou vibrant sur sa tige
Chaque fleur s'évapore ainsi'qu'un encensoir;
Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir;
Valse mélancolique et langoureux vertige!

(Ecco venire il tempo in cui, vibrando sullo stelo,


Ogni fiore evapora come un incensiere;
Suoni e profumi volteggiano nell'aria della sera:
Valzer melanconico e languida vertigine).

Il ritmo del valzer percorre quasi tutta la composizione, che si conclude con un «lontano squillo di
corni». La scrittura pianistica è di una rara morbidezza e armoniosità, e la novità e l'audacia del
tessuto musicale, soprattutto per quanto riguarda i concatenamenti dei gruppi di suoni, sono
sorprendenti.

(... Les collines d'Anacapri) (Le colline d'Anacapri). Una tarantella o quasi-tarantella che spiega
bastantemente il titolo; si notino però i suoni come di campane in distanza dell'inizio, riproposti
nella riesposizione. Alfredo Casella racconta di aver chiesto a Debussy perché avesse parlato di
colline, mentre nella piccola isola di Capri si trovano pendii ma non paesaggi collinari. Debussy
avrebbe risposto che, conoscendo il vino di Anacapri, aveva pensato che il vino si produce dove ci
sono colline...

(... Des pas sur la neige) (Passi sulla neve). È una pittura d'ambiente in cui si colloca una dolente
presenza umana: Triste e lento è la didascalia generale; il ritmo iniziale, dice Debussy, «deve avere
il valore sonoro d'un fondo di paesaggio triste e ghiacciato», e la melodia è indicata «espressivo e
doloroso», poi «espressivo e tenero», ed infine «come un tenero e triste rimpianto». La poetica che
ispira la composizione, ci pare, è quella del simbolismo romantico, tanto che uno dei quadri di
Johann Caspar Friedrich raffiguranti un cimitero sotto la neve potrebbero benissimo illustrarla. La
qualità della sonorità e la disposizione pianistica non possono però essere ricondotte allo stile di
compositori come Mendelssohn o Schumann, contemporanei di Friedrich. Debussy, al contrario di
quelli, dipinge senza partecipazione affettiva e tende a costruire un oggetto sonoro, o una pittura
sonora, senza valicare il limite del simbolismo. La convergenza delle formanti verso un punto
centrale, essenziale per il significato psicologico-espressivo della musica, viene qui rotta, e
sebbene si possano ritrovare in Debussy la melodia, il basso e le parti di mezzo della scrittura
romantica, l'insieme non converge sulla melodia: il significato non è dunque psicologico ma
spaziale, di movimento di eventi sonori la cui correlazione dipende soltanto dalla loro
contemporaneità. Per quanto possano essere pericolosi i paragoni tra musica e pittura, si può
ripensare a Friedrich, ai suoi alberi solitari e, in confronto, alle varie versioni dell'Albero blu che
Mondrian andava dipingendo proprio nel 1910, mentre Debussy scriveva i Preludi.

(... Ce qu'a vu le vent d'Ouest) (Quel che ha visto il vento d'Occidente). Da molti commentatori
viene considerato come un... sottoprodotto del trittico sinfonico La Mer, II Mare: il vento
d'Occidente è il vento dell'Atlantico, il vento del grande terrificante oceano gravido di tempeste.
La composizione è un pezzo di bravura, che risente della tradizione romantica di Liszt e degli
ultimi lisztiani come Rachmaninov. Questo tipo di scrittura pianistica, piuttosto rara in Debussy, è
dominata con sicurezza, e nell'arco dei dodici Preludi ha una funzione di contrasto e di varietà,
soprattutto in rapporto con la scrittura rarefatta dei Preludi n. 6 e 8.

(... La fille aux cheveux de lin) (La fanciulla dai capelli di lino). Ispirato ad.una poesia di Lecomte
de Lisle, Canto scozzese:
Seduta sul prato fiorito
Chi canta nel primo mattino?
La bella con chiome di lino,
Con labbra di rossa ciliegia...

La composizione di Debussy è una canzone tripartita dalle tenui tinte di pastello, Debussy
costruisce un oggetto sonoro semplice, ma attraverso una scrittura pianistica che, sfruttando tutti i
tasti neri e richiedendo un'estrema delicatezza di tocco, non è di agevole realizzazione. Il mondo
della musica per dilettanti dell'Ottocento ricompare in Debussy come citazione di un passato ormai
solo sognato, ed è proprio il colore del timbro a creare, con la sua delicata opalescenza, la
lontananza mitica della visione.

(... La sérénade interrompué) (La serenata interrotta). È un pezzo spagnoleggiante in cui si


ritrovano la chitarra e il cantore di serenate, un qualche incidente che si può spiegare a piacere
come rottura di una corda della chitarra o colpo sul muro del battente di una finestra (un pacifico
dormiente che, risvegliato dalla serenata, protesta), l'arrivo da lontano di un complesso di chitarre
(un'altra serenata, da ricchi, come all'inizio del Barbiere di Siviglia). La prima serenata di Lindoro
accompagnato dalla banda di chitarristi ingaggiata da Fiorello, la seconda serenata di Lindoro
accompagnato dalla chitarra di Figaro. In Debussy, semmai, c'è da distinguere tra una serenata
moresca e una serenata spagnola, e c'è una dislocazione in luoghi diversi che permette la
contemporaneità delle due serenate; la serenata interrotta, che dopo tutti gli incidenti può spiegarsi
gloriosamente nella notte stellata, è quella moresca. Al di là dell'aneddoto è però del massimo
interesse il senso non psicologico, ma spaziale della musica: una versione in miniatura di quel
capolavoro rivoluzionario che è la Soirée dans Grenade delle Estampes.

(... La Cathédrale engloutie) (La cattedrale sommersa). Ispirato ad una leggenda brettone, la
leggenda della città d'Ys inghiottita dal mare per le colpe dei suoi abitanti, la città la cui cattedrale
riemerge all'alba, a monito dei nuovi abitatori della costa, e risprofonda nelle onde. Edouard Lalo
aveva preso la leggenda, sviluppandola in una storia drammatica di amore e di gelosia, come
argomento dell'opera Le roi d'Ys, rappresentata per la prima volta nel 1888. Debussy si ispira alla
leggenda per ritrarre un evento portentoso. La nebbia mattutina, il movimento delle onde, le
campane, l'organo sono resi con effetti onomatopeici di grande efficacia, e anche la struttura
narrativa viene seguita con esattezza. La Cathédrale engloutie divenne perciò subito celebre, e
mantiene da lungo tempo una popolarità pari a quella di certe pagine di Beethoven o dei romantici.

(... La danse de Puck) (La danza di Puck). Il Preludio non richiede veramente alcun commento:
Puck, lo spirito folletto del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, il suo signore
Oberon e il suo corno. I due personaggi sono presentati successivamente all'inizio, e il pezzo è
costruito sui loro temi, in una forma ternaria tipica e secondo uria tecnica simile a quella di Voiles.

(... Minstrels) (Menestrelli). Se si prende un dizionario e lo si apre alla voce «menestrelli» si trova
una lunga e complicata storia che parte dal medioevo, dal 1100 circa, e arriva fino a circa il 1500.
Ma non è questa la «grande e antica menestrelleria», come diceva ironicamente Couperin nel
1700, che interessava a Debussy. A Debussy interessava invece un tipo di spettacolo musicale
popolare, la Minstrelsy, che era nato negli Stati Uniti nei primi decenni dell'Ottocento e che aveva
per protagonisti i negri delle piantagioni - ignoranti, paurosi, ingenui -, impersonati da negri
autentici o, più spesso, da bianchi che si tingevano faccia e mani col sughero bruciacchiato.
Già intorno al 1840 si trovano pubblicazioni di «Celebrated Negro Melodies» che, dice il
frontespizio, vengono offerte «as sung by the Virginia Minstrels»; e, per eliminare ogni dubbio, il
frontespizio contiene anche una vignetta con quattro negri che suonano rispettivamente il
tamburello, il triangolo, il violino e il banjo. Un quartetto. Ma quale quartetto! Quattro figure
scimmiesche in abiti arlecchineschi e con in testa dei lustri cilindri ammaccati da pagliacci.

Nella seconda metà del secolo la Minstrelsy si evolve, assorbe elementi lessicali dalle danze
europee importate negli Stati Uniti, arriva alle soglie del Jazz e si trasforma da spettacolo popolare
all'aperto in show del variété, addolcendo e ingentilendo la caricatura del negro e toccando
significati e toni comici più complessi. Ed è questo lo spettacolo che, trasportato in Europa da
compagnie di giro alla fine dell'Ottocento, incanta Debussy. Le percussioni, il tamburo imitato nel
modo più onomatopeico, gli accenti in contrattempo, il languore sentimentale, i sospiri, gli scatti
burattineschi, tutto questo mondo delle maschere rivisitato dalla civiltà del Nuovo Mondo viene
ritratto da Debussy con la sicurezza e l'essenzialità di tratto di un Toulouse Lautrec. Il grottesco è
molto raro in musica e il più delle volte è costruito sulla musica, sulla distorsione di un testo
musicale che resta riconoscibile. Qui abbiamo invece uno dei pochi esempi di grottesco in musica.
E tuttavia la scenetta da variété non è priva di una dimensione epica, che veniva messa in luce,
sorprendentemente, da un vate del tardoromanticismo come Paderewski.

C'è, di Minstrels, un'esecuzione di Debussy registrata su rullo di pianoforte meccanico, non molto
curata ma molto sobria ed essenziale, che ha fatto scuola. L'esecuzione di Paderewski, sicuramente
contraria alle intenzioni dell'autore, non può tuttavia essere respinta perché sembra cogliere una
dimensione segreta dell'opera, rimasta celata - il lettore crede alle nostre parole? - all'autore stesso.
Non possiamo qui discutere le interpretazioni dei Preludi di Debussy; facciamo però notare la
potenziale ambiguità di una pagina ispirata a un dato aneddotico molto particolare e carica di segni
naturalistici, ma chesfugge anch'essa, in realtà, all'estetica dell'impressionismo.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto (nota 2)

I Préludes di Claude Debussy, sono ventiquattro brani suddivisi in due Libri che corrispondono per
un verso a una praticità commerciale dell'editore Durand, per un altro alla semplice successione
cronologica della composizione, portata a termine rispettivamente nel 1910 per quel che riguarda
il Prémier Livre e nel 1913 per il Deuxième Livre. Il tono intimista, le sonorità delicate e
l'essenzialità quasi del tutto priva di decorazioni mostrano come l'autore li avesse concepiti per un
uso privato, non concertistico. E nonostante l'impianto dei due libri segua una disposizione resa
classica a partire dall'esempio bachiano, i ventiquattro pezzi non seguono alcuno schema tonale,
né sono ordinati secondo esplicite regole di simmetria. Il senso di unità che traspare dalla loro
successione dipende piuttosto da una coerenza poetica profonda, dalla loro spontanea adesione a
un pensiero che se usa ancora il principio della variazione lo fa per decomporre, non per costruire,
per sospendere l'idea del tempo, non per organizzarla. Tutta la musica di Debussy ha in questo
senso un aspetto preludiante e tutta, di conseguenza, può essere letta alla luce delle suggestioni che
possiamo trarre dai due libri di brani pianistici effettivamente indicati con quel titolo.
L'amore per il carattere del "preludio" si unisce in Debussy alla ripugnanza per tutto ciò che nella
musica imita le strutture dell'oratoria o della dialettica: una sonata, per lui, non deve avere "senso",
così come una fuga non può essere paragonata a un ragionamento o una tecnica della scrittura
musicale non può essere spiegata attraverso analogie che si riferiscano al linguaggio, al suo tempo
e alle sue leggi. «Piuttosto che la successione di momenti propria di un'arringa o di una
dimostrazione», come ha scritto Vladimir Jankélévitch, «con Debussy noi viviamo episodi ed
eventi sconnessi di una storia che è rapsodia di piccoli fatti», non concatenazione di grandi eventi.
Basti pensare alla tarantella continuamente interrotta e ricominciata di Les collines d'Anacapri, o
al volteggiare di pagine come Le vent dans la plaìne o Des pas sur la neige, dove realmente si ha
l'impressione che la musica non produca alcuno sviluppo e non segua alcuna direzione, ma sia
solo il racconto di un falso movimento, di una danza eseguita sul posto. La retorica è tagliata fuori
anche nei brani nei quali con più chiarezza Debussy ricorre alla pratica dell'enunciazione tematica,
ad esempio nel preludio intitolato La danse de Puck, dove il tema compare quasi come una caduta,
è l'arresto della vorticosa spirale in cui precipita il folletto e che anticipa solo il brusco arresto su
cui improvvisamente si chiude il preludio. E in una pagina come Minstrels, invece, il ripetersi
grottesco di una tonalità di base, il sol maggiore, non ha alcuna efficacia espressiva, ma è solo il
sigillo di una pantomima grottesca.

Peraltro l'autore, contrariamente alle sue abitudini, aggiunse i titoli ai singoli preludi solo dopo
averli composti, rovesciando simbolicamente il rapporto tra idea letteraria e ispirazione musicale,
come se fosse quest'ultima a dettare l'emergenza della prima e non l'immagine verbale a richiedere
una speciale forma di rappresentazione in suoni. Nei Préludes, dunque, la poetica di Debussy si
esprime in modo più partecipato e immediato, senza il distacco o il cinismo che si può avvertire in
altre opere più ampie o semplicemente più discorsive: «la discontinuità qui non è più sarcasmo»,
prosegue Jankélévitch, «ma è la cattiva coscienza del "discorso coerente"».

Stefano Catucci

Primo libro

https://www.youtube.com/watch?v=GFVSI7SLH4k

https://www.youtube.com/watch?v=ObcIhUHgvLk

https://www.youtube.com/watch?v=EnXw-5Q4McI

https://www.youtube.com/watch?v=Ll_62pku7OQ

Danseuses de Delphes - Lent et grave, doux et soutenu (si bemolle maggiore)

https://www.youtube.com/watch?v=GFrsOfSBkOc

https://www.youtube.com/watch?v=2BzR0gWyO18

https://www.youtube.com/watch?v=gaUrJGNQc6w
Composizione: Parigi, 7 Dicembre 1909
Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 25 Maggio 1910

Voiles - Modéré - dans un rythme sans rigueur et caressant (do maggiore)

https://www.youtube.com/watch?v=VrVyQhUM5C4

https://www.youtube.com/watch?v=OIJx6PbkON8

https://www.youtube.com/watch?v=TiFcTX5_vXs

Composizione: Parigi, 12 Dicembre 1909


Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 25 Maggio 1910

Le vent dans la plaine - Animé - aussi légèrement que possible (mi bemolle minore)

https://www.youtube.com/watch?v=1N5fvYejvXk

https://www.youtube.com/watch?v=iXF4wQdtZK8

https://www.youtube.com/watch?v=Onqn_gkXkUQ
Composizione: Parigi, 11 Dicembre 1909
Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 29 Marzo 1911

Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir - Modéré - harmonieux et souple (la
maggiore)

https://www.youtube.com/watch?v=4bjQXkqGGIQ

https://www.youtube.com/watch?v=bODYpoG96XM

https://www.youtube.com/watch?v=xK6AS7U_v_w

Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 29 Marzo 1911

Les collines d'Anacapri - Très modéré en alternance avec Vif (si maggiore)

https://www.youtube.com/watch?v=Cv3m9r2w7HA

https://www.youtube.com/watch?v=SE4DnMURnEg

https://www.youtube.com/watch?v=If7CCEDwFuM
Composizione: Parigi, 26 Dicembre 1909
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 14 Gennaio 1911

Des pas sur la neige - Triste et lent (re minore)


https://www.youtube.com/watch?v=jFKfuanIfdU

https://www.youtube.com/watch?v=RTq0o2Ssp-c

https://www.youtube.com/watch?v=YTyO3SX1itc

Composizione: Parigi, 27 Dicembre 1909


Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 29 Marzo 1911

Ce qu'a vu le vent d'ouest - Animé et tumultueux (fa diesis minore)

https://www.youtube.com/watch?v=deR7Je457aw

https://www.youtube.com/watch?v=zwtJSPyRw2M

https://www.youtube.com/watch?v=wJ7LwBtM7eE

Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 29 Marzo 1911

La fille aux cheveux de lin - Très calme et doucement expressif (sol bemolle maggiore)

https://www.youtube.com/watch?v=MswHKA4dako

https://www.youtube.com/watch?v=PqwHLVaTyfk

https://www.youtube.com/watch?v=sHIPd2MJtZE

Composizione: Parigi, 16 Gennaio 1910


Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 14 Gennaio 1911

La sérénade interrompue - Modérément animé (si bemolle minore)


Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 14 Gennaio 1911

https://www.youtube.com/watch?v=8dzToTknolk

https://www.youtube.com/watch?v=Sgl6dUwt2p8

https://www.youtube.com/watch?v=nW_R6Nl3O-M

La cathédrale engloutie - Profondément calme, dans une brume doucement sonore (do
maggiore)

https://www.youtube.com/watch?v=NsdIkUSjXv8

https://www.youtube.com/watch?v=5liSvIrR3xk

https://www.youtube.com/watch?v=PIKr9Umgl5k
Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 25 Maggio 1910

La danse de Puck - Capricieux et léger (mi bemolle maggiore)

https://www.youtube.com/watch?v=t1-Dk9Jd0bA

https://www.youtube.com/watch?v=Um_Ipeu3z-A

https://www.youtube.com/watch?v=d6iwByXzBY4

Composizione: Parigi, 4 Febbraio 1910


Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 25 Maggio 1910

Minstrels - Modéré, nerveux et avec humour (sol maggiore)

https://www.youtube.com/watch?v=nhleaHWt3ww+

https://www.youtube.com/watch?v=wVF-V-eaFfQ

https://www.youtube.com/watch?v=P_0CI2aOHew

Composizione: Parigi, 5 Gennaio 1910


Prima esecuzione: Parigi, Société Musicale Indépendante, 29 Marzo 1911

128 (121) 1910

La plus que lente

https://www.youtube.com/watch?v=U6AcYSrzTiQ

https://www.youtube.com/watch?v=Jzl-lQPhnxw+

https://www.youtube.com/watch?v=NP9zx8PuLGc

Valzer - Versione per pianoforte

Lent - Molto rubato con morbidezza (sol bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1910
Prima esecuzione: Parigi, Cercle «La Française», 31 marzo 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1910
Orchestrato da Debussy nel 1912

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Il valzer lento - valse lente - è comunissimo nella musica di consumo degli anni a cavallo tra i due
secoli. Massenet aveva scritto nel 1901 un valzer per pianoforte lentissimo (Valse très lente).
Debussy scrive nel 1910 il valzer più che lento ("La plus que lente". Valse pour piano). Non
sembra improbabile che Debussy avesse preso di mira non solo un genere, il valzer, ma un
individuo preciso, la Valse-Caprice op. 33 di Cécile Chaminade. Le intenzioni caricaturali di
Debussy sono comunque evidenti, oltre che nel titolo, nella didascalia generale Lent (Molto rubato
con morbidezza), e poi nella musica ansimante, esitante e sospirosa. Potrebbe persino darsi, visto
l'uso spesso eccentrico dell'italiano in Debussy, che il con morbidezza fosse una traduzione
approssimativa di avec morbidité, e che quindi significasse con morbosità (il che sarebbe in
carattere). L'ironia non esclude però, a parer nostro, l'immedesimazione affettiva, e la Plus que
lente è un po' musica da caffè-concerto, un po' musica da cabaret, e un pochino, anche, musique
des familles. La composizione è in forma di rondò. Si nota facilmente che il terzo tema annuncia il
mondo delle Valses nobles et sentimentales di Ravel, di un anno posteriori.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Con La plus que lente giungiamo al 1910, nella piena maturità debussyana. Forse ispirata da una
piccola scultura conservata sul caminetto della sua abitazione parigina, questa deliziosa pagina,
con le sue movenze sornione, con la sua sinuosa linea melodica sostenuta da morbide e allusive
armonie, rappresenta una geniale e irriverente rivisitazione del valzer lento.

Alessandro De Bei

131 (123) 1910 - 1912

Préludes per pianoforte


Secondo libro

https://www.youtube.com/watch?v=YEEDCbfyu_Q

https://www.youtube.com/watch?v=zkna3OOu64s

https://www.youtube.com/watch?v=dpqOwSHiFDw

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 1 (123 n. 1) 1910 - 1912

1. Brouillards

https://www.youtube.com/watch?v=oElEaCg8_28
https://www.youtube.com/watch?v=FkT6FniVV7w

https://www.youtube.com/watch?v=2Gi3m6zAyjU

Brouillards - Modéré - extrêment égal et léger (atonale)

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 marzo 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 2 (123 n. 2) 1910 - 1912

2. Feuilles mortes

https://www.youtube.com/watch?v=SxlDaqlUnpg

https://www.youtube.com/watch?v=kD6UeSwFKcI

https://www.youtube.com/watch?v=YNZOkVAn0Ic

Feuilles mortes - Lent et mélancolique (do diesis minore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 marzo 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 3 (123 n. 3) 1910 - 1912

3. La Puerta del Vino

https://www.youtube.com/watch?v=qQdhoKJhjb8

https://www.youtube.com/watch?v=Lxw62XsAVwo

https://www.youtube.com/watch?v=Ds0CQJ4Urgw

La Puerta del Vino - Mouvement de Habanera, avec de brusques oppositions d'extrême violence
et de passionnée douceur (re bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 marzo 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913
131 n. 4 (123 n. 4) 1910 - 1912

4. Les fées sont d'exquises danseuses

Les fées sont d'exquises danseuses - Rapide et léger re bemolle maggiore)

https://www.youtube.com/watch?v=lsjFoQOukJI

https://www.youtube.com/watch?v=t4NAS92tVcw

https://www.youtube.com/watch?v=PqLkYghl0eg

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 aprile 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 5 (123 n. 5) 1910 - 1912

5. Bruyères

https://www.youtube.com/watch?v=CHnEAONSGR4

https://www.youtube.com/watch?v=4NC0aSFr4Eg

https://www.youtube.com/watch?v=RhzeRTnn2lY

Bruyères - Calme, doucement expressif (la bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 marzo 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 6 (123 n. 6) 1910 - 1912

6. Général Lavine, eccentric

https://www.youtube.com/watch?v=lV_4LNbT-JU

https://www.youtube.com/watch?v=9NG6AHriWEg

https://www.youtube.com/watch?v=ZTCCOGrKWuo

Général Lavine, eccentric - Dans le style et le mouvement d'un Cake-walk (fa maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 marzo 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 7 (123 n. 7) 1910 - 1912

7. La terrasse des audiences du clair de lune

https://www.youtube.com/watch?v=dcOnd4b0nl4

https://www.youtube.com/watch?v=dsCDRT3eqfc

https://www.youtube.com/watch?v=_95KGzzquro

La terrasse des audiences du clair de lune - Lent (fa diesis maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 aprile 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 8 (123 n. 8) 1910 - 1912

8. Ondine

https://www.youtube.com/watch?v=fSpX3d0GEHU

https://www.youtube.com/watch?v=fxdpmbLqAcg

https://www.youtube.com/watch?v=HMS4zklgYQw

Ondine - Scherzando (re maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 marzo 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 9 (123 n. 9) 1910 - 1912

9. Hommage à Samuel Pickwick Esq. PPMPC

https://www.youtube.com/watch?v=-FFzrP9lrR4

https://www.youtube.com/watch?v=77zc-Hizz18

https://www.youtube.com/watch?v=V7oKETWERxM
Hommage à Samuel Pickwick Esq. PPMPC - Grave (fa maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 marzo 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 10 (123 n. 10) 1910 - 1912

10. Canope

https://www.youtube.com/watch?v=roJpH6Wa_VE

https://www.youtube.com/watch?v=1aKhQSEIWGg

https://www.youtube.com/watch?v=Q-L4MmKpXus

Canope - Très calme et doucement triste (re minore

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 19 giugno 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 11 (123 n. 11) 1910 - 1912

11. Les tierces alternées

https://www.youtube.com/watch?v=U1SFixY_WZw

https://www.youtube.com/watch?v=14L49SODoMs

https://www.youtube.com/watch?v=R78ZiWVvAwk

Les tierces alternées - Modérément animé (do maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 marzo 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

131 n. 12 (123 n. 12) 1910 - 1912

12. Feux d'artifice

https://www.youtube.com/watch?v=DgSgVktjd4g
https://www.youtube.com/watch?v=AmG8GDIZWVI

https://www.youtube.com/watch?v=fNFzvHM8DBM

Feux d'artifice - Modérément animé - léger, égal et lointain (fa maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1911 - 1912
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 aprile 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1913

140 (132) 1914

Berceuse heroìque
in omaggio a S. M. il re Alberto I del Belgio e ai suoi soldati - Versione per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=gXHk1ET_jag

https://www.youtube.com/watch?v=a-mKNpPxNCM

Modéré sans lenteur (mi bemolle minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 9 ottobre 1914
Prima esecuzione: Londra, Bechstein Hall, 11 maggio 1915
Edizione: Durand, Parigi, 1915
Orchestrata poi da Debussy nel 1914

Guida all'ascolto (nota 1)

Alla fine del 1914 Debussy scrisse un pezzo "patriottico" intitolato Berceuse héroique e ispirato
alla conquista del Belgio da parte dell'esercito tedesco. La Berceuse héroique fa parte di un gruppo
di composizione, che comprende anche En blanc et noir per due pianoforti dei primi mesi del
1915.

Nella cultura francese è anche da ricordare Le Tombeau de Couperin di Ravel, completata nel
1917, ma iniziata nel 1914, e dedicata ai caduti in guerra. Si tratta di contributi dei musicisti, ma in
un certo senso doverosi, al clima di guerra, sia pure nell'ambito limitato della letteratura artistica.

Piero Rattalino

141 (133) 1915

Pièce pour piano


per l'opera "Le Vètement du blessé"
https://www.youtube.com/watch?v=a4HK-2oWSX0

https://www.youtube.com/watch?v=Ft7GRdHdDdI

Organico: pianoforte
Composizione: giugno 1915
Edizione: Leduc, Parigi, 1933 (col titolo Page d'album)
Dedica: Emma Debussy

143 (136) 1915

Douze Études
in due libri per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=s1KXcP7Xd6s

https://www.youtube.com/watch?v=rpIBHiUiGUw

https://www.youtube.com/watch?v=TO2IF_OyQ50

Primo libro

Pour les cinq doigts d'après monsieur Czerny - Sagement. Animé, mouvement de gigue (do
maggiore)
Pour les tierces - Moderato, ma non troppo (re bemolle maggiore)
Pour les quartes - Andantino con moto (fa maggiore)
Pour les sixtes - Lento (re bemolle maggiore)
Composizione: Parigi, 22 Agosto 1915
Pour les octaves - Joyeux et emporté, librement rythmé (mi maggiore)
Pour les huit doigts - Vivamente, moto leggiero e legato (sol bemolle maggiore)

Secondo libro

Pour les degrés chromatiques - Scherzando, animato assai (la minore)


Pour les agréments - Lento, rubato et leggiero (fa maggiore)
Composizione: Parigi, 12 Agosto 1915
Pour les notes répétées - Scherzando (do maggiore)
Pour les sonorités opposées - Modéré, sans lenteur (do diesis minore)
Pour les arpèges composés - Dolce e lusingando (la bemolle maggiore)
Pour les accords - Décidé, rythmé, sans lourdeur (la minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 Luglio - 27 Settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 Dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Claude Debussy compose i Dodici Studi, ultimo suo lavoro pianistico, tra l'agosto e il settembre
del 1915 a Pourville, nella villetta «Mon coin» che gli era stata offerta per le vacanze. Alla fine
dell'anno i dodici pezzi, messi in bella copia, venivano inviati all'editore Durand che li pubblicava
nel 1916. La prima esecuzione aveva luogo il 14 dicembre 1916, a Parigi, ad opera del pianista
Walter Rummel.

Ciò che colpisce innanzi tutto il lettore, negli Studi di Debussy, sono i titoli, che richiamano
problemi tecnici o classiche partizioni dei metodi (cinque dita, terze, seste, ottave, passi cromatici,
note ribattute, ecc. ). In antico (Cramer, Steibelt, Berger, Kalkbrenner, Kummel, Bertini, ecc.) lo
studio non veniva intitolato altro che studio; anzi, non c'era una netta distinzione tra studio ed
esercizio e i due termini venivano usati indifferentemente o venivano sostituiti entrambi, più
raramente, con il termine capriccio. Nel 1826, pubblicando i primi dodici di una progettata
raccolta di quarantotto pezzi didattici, il quindicenne Franz Liszt intitolava la sua opera Studio in
quarantotto esercizi. E il 20 ottobre 1829, scrivendo all'amico Titus Woyciechowski, Chopin
comunicava di aver composto un «grande Exercice en forme», che altro non era se non uno degli
Studi dell'op. 10. Il Romanticismo cominciava però presto a... mettere ordine nella materia,
avviando la netta distinzione tra esercizio e studio. Con il primo termine si indicava la formula
tecnica sfruttata in un modo che prescindeva da una logica musicale, con il secondo si indicava
l'impegno a costruire su una formula tecnica un pezzo musicalmente compiuto. Distinzione che
troviamo negli Studi sui Capricci di Paganini op. 3 di Schumann (1832), in cui gli studi sono
preceduti da esercizi preparatori.

La distinzione si complicava però subito perché i primi concertisti che creavano il cosiddetto
recital eseguivano in pubblico anche degli studi, i quali per definizione avrebbero invece dovuto
essere cosa da retrobottega, non da vetrina. Quando Liszt eseguì alla Scala, nel febbraio del 1838,
alcuni di quelli che sarebbero diventati poi gli Studi di esecuzione trascendentale, provocò in uno
spettatore un'ovvia obbiezione: «Vengo a teatro per divertirmi, non per studiare».

L'aneddoto è narrato, in una corrispondenza alla Gazette Musicale di Parigi, dallo stesso Liszt, che
così conclude: «Non riuscii pertanto a fare apprezzare dal pubblico l'idea barocca di eseguire,
altrove che nella mia stanza, uno "studio", il cui scopo doveva essere quello di esercitare le
articolazioni e render più agili le dita. Tanto che dovetti considerare la longanimità del pubblico
nell'ascoltarmi sino alla fine come una prova di particolare benevolenza».

Siccome Liszt infiora i suoi scritti di brillanti tratti di colore, sulla assoluta veridicità dell'episodio
non giureremmo. Ma non è improprio pensare che il pubblico dei teatri, abituato ai cantanti,
facesse il viso dell'armi allo studio pianistico. Così come non è improbabile che, una volta
ascoltatolo, si accorgesse che nella nuova accezione romantica l'arcigno studio non era poi così
lontano dalla graditissima cabaletta.

L'esperienza scaligera non spaventò Liszt, che continuò ad eseguire in pubblico i suoi studi, così
come qualche studio eseguiva, nei suoi rari récitals, Chopin. Liszt eseguì anche studi di Chopin, di
Moscheles, Döhler, Killer, Kessler; nel 1847, pubblicando uno studio, gli diede un titolo
programmatico: Mazeppa.

L'idea dello studio con titolo specifico non era stata di Liszt, ma di Moscheles. Già autore di una
raccolta di studi, op. 70, composta nel 1826, Moscheles aveva composto nel 1836 dodici Studi
caratteristici op. 95 che cominciavano con Sdegno e finivano con Angoscia, pur contenendo cose
più dolci come la Tenerezza e il Chiaro di luna sulla riva del mare. Negli Studi dell'op. 70 si
trovava per ogni brano un fervorino esplicativo, ma giunto al ventitreesimo Moscheles aveva
confessato: «Nel concepimento del suo piano, l'autore si è proposto di dipingere un
Combattimento di demoni». Con la prefazione dell'op. 95, ponendosi in capofila di tutti i
romantici, Moscheles dichiarava: «Sono in special modo i sentimenti dell'animo e gli eccessi delle
passioni che l'autore bramerebbe manifestare col mezzo del linguaggio musicale».

Studio con titolo programmatico, dunque. L'esempio fu subito seguito da Adolph Henselt negli
Studi op. 2, da Liszt e da altri. Tanto gradito divenne l'uso che ai popolari Studi di Chopin vennero
in seguito aggiunti titoloni apocrifi, ben noti anche oggi.

Intanto Carl Czerny, che continuava a scrivere valanghe di studi da non eseguire in pubblico,
pensò bene di dare dei titoli non caratteristici ai cinquanta pezzi della sua op. 740, L'arte di rendere
agili le dita. Nell'op. 740 di Czerny si comincia con Movimento delle dita a mano quieta e si
finisce con Bravura nella percussione e nel tempo, passando attraverso squisitezze più raffinate
ancora di quelle a venire di Debussy, come Movimento leggero nello staccato tranquillo o Dolce
saltellare e staccare o Franca percussione o Melodie legate con accordi sciolti.

Si era così stabilita la netta distinzione tra lo studio didattico o studio tout court e lo studio da
concerto. Il primo poteva diventare, più specificatamente, Studio per... (per le.ottave, le terze, gli
arpeggi ecc.), il secondo poteva prendere o no un titolo caratteristico. Restava comunque sempre
la distinzione di principio tra ciò che era destinato all'utilità dell'esecutore e ciò che trasformava
l'utile dell'esecutore in dilettevole per il pubblico.

Nel 1989, con gli Studi op. 111, Camille Saint-Saéns creava però un paradosso: alcuni dei suoi
titoli - Per le terze maggiori, ad esempio - richiamavano Czerny e la tradizione didattica; mentre il
contenuto era a destinazione concertistica. Sedici anni più tardi Debussy riprendeva con ben altra
ampiezza il paradosso di Saint-Saéns e offriva al pubblico titoli a destinazione didattica con
contenuti a destinazione concertistica. E destinazione concertistica vuol dire contenuto da
comunicare al pubblico, vuol dire presa di posizione sul mondo.

Ma è proprio concertistico, il contenuto degli Studi di Debussy? O, essendolo, è proprio certo che
Debussy abbia centrato il bersaglio?

La storia critica e la storia esecutiva degli Studi di Debussy sono due autentici cammini verso il
Golgotha, perché la disistima che li circondò, in quanto opere d'arte, fu tanto diffusa quanto
diffusa fu la stima dei Preludi. Non è il caso, e non c'è spazio per far qui l'antologia dei giudizi
critici: possiamo però dire che le valutazioni interamente positive cominciarono solo di recente,
all'incirca negli ultimi vent'anni.
Altrettanto recente, e tutt'altro che consolidato, è l'inserimento degli Studi nel repertorio
concertistico. Walter Rummel era un pianista francese di origine tedesco-americana, nato nel 1887,
che si era distinto per aver presentato a Londra, il 12 giugno 1913, l'intero secondo libro dei
Preludi di Debussy. Un altro po' di notorietà veniva al Rummel dalla sua ascendenza familiare: il
nonno materno era l'inventore del telegrafo, Samuel Morse. Comunque, non si trattava di un
concertista affermato ma di un giovane di belle speranze. E non è neppur chiaro perché venissero
il 14 dicembre 1916 eseguiti dal Rummel tutti gli Studi, visto che a Parigi i Preludi erano stati
presentati, sia da Debussy stesso che dal suo interprete principe Ricardo Vines, a gruppetti di tre o
quattro per volta.

Dopo il Rummel nessun altro ritentò l'impresa, sebbene le difficoltà tecniche degli Studi
stimolassero i virtuosi. Igor Markevitch, in Etre et avoir été, ha raccontato un curioso aneddoto. In
montagna sopra Sils Maria, Markevitch sentì pervenire da uno chalet una focosa esecuzione della
Sonata di Liszt. Si avvicinò ed entrò. Era Horowitz. La donna che accompagnava Markevitch
chiese a Horowitz di continuare a suonare: «Fu straordinario. Volle farci condividere il suo
entusiasmo per gli Studi di Debussy, che aveva appena scoperto e che leggeva a prima vista come
se li conoscesse da sempre».

Horowitz eseguì in pubblico ben sei Studi (i numeri 1, 3, 4, 6, 8, 11), ma molto raramente e senza
riuscire a farli diventare popolari. Pochi Studi eseguì Gieseking, che metteva invece abitualmente
in programma un libro o il ciclo completo dei Preludi, e pochissimi ne eseguirono altri concertisti
che si dedicavano con zelo a Debussy, come Robert Schmitz e Marcel Ciampi.

Poco prima della guerra i Dodici studi furono incisi in disco da un oscuro pianista, Adolph Hallis,
per la Decca. Questa incisione rimase sconosciuta, tanto che ancor oggi viene segnalata come
prima incisione integrale quella di Charles Rosen, futuro autore dello Stile classico: «... all'età di
ventisette anni [1954] avevo registrato per una piccola casa di dischi americana [la REB] gli Studi
di Debussy. Avevo battuto di qualche mese Monique Haas, e Gieseking di circa un anno. Era la
prima registrazione integrale degli Studi» (Intervista di Charles Rosen su Le monde de la musique,
febbraio 1986). Se aggiungiamo la registrazione di Hans Henkemans, non ricordata dal Rosen e
anch'essa del 1954, abbiamo l'idea di come un interesse per gli Studi di Debussy si destasse
insieme con l'affermazione della cosiddetta Nuova Musica.

L'interesse delle avanguardie degli anni '50 era orientato specialmente verso Jeux di Debussy; ma
l'attenzione si spostava in genere dalle pagine debussiane più note a quelle che erano restate fino
ad allora ai margini della vita concertistica. Le esecuzioni pubbliche degli Studi furono così
abbastanza frequenti per qualche anno, ma né la raccolta nel suo insieme, né alcuni brani di essa
diventavano veramente di casa nei repertori concertistici. E anche le incisioni discografiche, dopo
il 1954-55, si facevano molto rare (mentre numerose erano quelle dei Preludi) e si collocavano per
lo più nell'ambito delle «integrali» di tutta l'opera pianistica di Debussy. Né gli Studi entravano nel
repertorio di interpreti debussiani come Benedetti Michelangeli, Richter o, più di recente, Arrau.

Gli Studi di Debussy sono dedicati "Alla memoria di Frédéric Chopin", e furono composti mentre
Debussy preparava una revisione delle opere di Chopin. Ma c'è anche un più sottile filo che lega
Debussy a Chopin.
Ci sono opere di Chopin che lo Hedley definisce «scolastiche e riflessive». Stilisticamente, gli
Studi di Debussy sono opere molto composite, che vanno dal radicalismo di linguaggio del Per le
sonorità opposte alle quasi-citazioni dell'esotismo orientaleggiante del Per le quarte alla quasi-
citazione del giovanile Clair de lune che si trova nello studio Per le terze.

Ma se questo aspetto, per la riflessione sul proprio passato e per la ripresa manieristica di momenti
stilisticamente diversi della propria evoluzione, la poetica del tardo Debussy riprende la poetica
del tardo Chopin, per altri aspetti Debussy e Chopin differiscono radicalmente. E differiscono
soprattutto perché nel Debussy degli Studi è molto vivo il piacere del gioco con l'oggetto sonoro.

Per Debussy, al contrario di Czerny, non si tratta di addestrare l'esecutore nelle terze e nelle seste o
nelle ottave. I titoli, in questo senso, sono dei veri e propri inganni perché mantengono il pour
utilitaristico mentre lo scopo non appare più utilitaristico. Anche la famosa dichiarazione della
prefazione, la dichiarazione di non aver voluto indicare diteggiature perché ciascun esecutore deve
cercarsi la sua diteggiatura, si prende in realtà, a parer nostro, gioco del lettore.

Moscheles, nella prefazione agli Studi op. 95, aveva espresso lo stesso concetto con infantile
candore: «Supponendo le mani dell'esecutore già addestrate per vincere le grandi difficoltà
tecniche, [l'autore] ha creduto di dover sopprimere le osservazioni relative al modo di suonare ogni
studio [...]; così la diteggiatura non vi è indicata se non accidentalmente». Scrivendo anche lui per
mani già addestrate (e perciò non indicava diteggiature), Debussy non mirava però a dipingere «i
sentimenti dell'animo e gli eccessi delle passioni» di cui parlava ottant'anhi prima Moscheles.
L'abilità del compositore del Novecento consiste ormai nel far muovere un oggetto sonoro
giocando con esso, e non più nel suscitare immagini. Non più il mago ottocentesco, ma il
novecentesco fantasista. E se il sorgere del virtuosismo romantico coincide con le invenzioni di
magia di Robert-Houdin, il virtuosismo di Debussy coincide con il culmine dell'arte del giocoliere:
proprio nel 1915 Enrico Rastelli arriva a far volare dieci palle di gomma, battendo il record di
Pierre Amoros e stabilendo un insuperabile limite.

Già con il penultimo dei Preludi, Le terze alternate, Debussy era passato nella estetica dell'oggetto
(del mobile, potremmo dire anacronisticamente) e non più dell'espressione. Era un'estetica che
partiva da Liszt e che nasceva in Sulla riva di una sorgente e che scorreva nei Giochi d'acqua alla
Villa d'Este, ma che da Liszt e da altri era stata intesa in senso simbolista.

Nel Saint-Saéns dell'op. 111, nello Skriabin dello Studio op. 65 n. 1 sull'intervallo di nona (1912),
nel Debussy delle Terze alternate (1913), il suono non simboleggia invece l'oggetto ma è l'oggetto.
Negli Studi questa estetica rivoluzionaria prende corpo e si fa manifesto artistico invece che
esperimento, e l'oggetto si presenta come tale, gravato di tutte le memorie storiche ma liberato dai
significati simbolico-espressivi. Debussy ci da l'oggetto della sua etichettatura: le terze sono dolci
e mormoranti, languide le seste, baldanzose ed eroiche le ottave, monumentali gli accordi,
orientaleggianti le quarte, «liquidi» gli arpeggi, ecc. È il catalogo degli oggetti e della loro
tipologia espressiva, una raccolta di forme sonore il cui significato permane solo come memoria
storica. Il giocoliere fa volare i piatti, Debussy fa volare i tratti cromatici, il giocoliere costruisce
una torre di sedie e tavoli, Debussy sovrappone le sonorità,opposte, il giocoliere fa apparire e
sparire il mazzo di carte, Debussy fa apparire e sparire le cinque note «secondo il signor Czerny».
Ma il gioco è cosa seria? È serio giocare con le terze nel 1915, nel primo anniversario di una
conflagrazione che distruggerà il vecchio ordine delmondo? È questa la risposta di un artista nel
pericolo della sua patria e nella crisi della civiltà?

La Berceuse héroïque della fine del 1914 e En blanc et noir dei primi mesi del 1915 sono opere
«patriottiche». «Patriottico» è Le tombeau de Couperin di Ravel, iniziato nel 1914. Gli Studi non
hanno queste ambizioni ma celebrano, catalogandola e facendola volteggiare, una civiltà che è già
morta. Ed è difficile per noi accettarli, non per quel che sono, ma per quel che non rappresentano.
Perché in cuor nostro mormoriamo, quasi come l'anonimo ascoltatore di Liszt alla Scala nel 1838:
vengo a teatro per studiare, non per divertirmi.

Nel 1976 venne scoperto tra le carte lasciate da Debussy un pezzo intitolato Pour les arpèges
composés, esattamente come l'undicesimo Studio. Non si tratta, come dicono alcuni cataloghi, di
una "prima versione" dello Studio, perché le due composizioni hanno in comune solo la finalità
tecnica. Sembra probabile che si tratti invece di un pezzo destinato in origine a far parte degli
Studi e poi scartato. Scartato, perché? Non è facile rispondere, ma sembra legittimo supporre che
la scrittura pianistica di questo pezzo fosse troppo genericamente assimilabile a quella di
compositori-virtuosi del tardo Ottocento (Moszkowski e Rachmaninov, ad esempio). Il pezzo fu
pubblicato con il titolo, apocrifo ma suggestivo, di Étude retrouvée.

Piero Rattalino

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Scritte nel 1915, e dunque nell'ultimissima fase dell'attività creatrice di Debussy, le «Douzes
Études» costituiscono, a giudizio della critica - se non per la fortuna presso pubblico ed esecutori -
il vertice della produzione pianistica del compositore francese. A determinare questo congedo di
Debussy dal pianoforte, ci fu l'intento didattico, ovviamente trasceso, ma anche quello di inserirsi
in una tradizione illustre al cui vertice vi erano gli studi di Chopin. E infatti i due volumi uscirono
con una dedica «à la mémoire de Frédéric Chopin» e con una breve prefazione. In essa Debussy
spiegava, non senza ironia nei confronti delle scuole pianistiche, la mancanza nel testo di
indicazioni per la digitazione, concludendo «Cherchons nos doigtés!». A parte questa
presentazione, i dodici studi costituiscono un altissimo esercizio che, partendo dai problemi di
tecnica elencati nel prospetto, dà una sistemazione definitiva a quanto nella sua lunga serie di
opere, pianistiche e non, Debussy aveva fatto per la musica. Scherzosamente il primo studio, per le
cinque dita, parte «d'après Monsieur Czerny» con l'indicazione «sagement» e con lo stesso incipit
di uno degli esercizi elementari dei virtuosi in erba. Una saggezza che si perde subito nella ricerca
di preziosità armoniche e ritmiche. Né l'ultimo Debussy trascura le reminiscenze. Come dietro un
velario, sono avvertibili richiami ad opere precedenti, vicine e lontane, soprattutto nel terzo studio
«pour les quartes». Su tutto domina il distacco. Debussy, pur malato mortalmente, si permette un
altissimo ludus evidenziato anche nei giochi di parole rossinianamente apposti ai passaggi più
significativi: «Scherzandare, murmurando...». Il secondo libro va ancora oltre nella via
dell'astrazione, il che spiega la relativa fortuna presso il pubblico di questa silloge che, al par di
tanti altri lavori dell'addio alla (propria) arte, è un continuum speculare in cui la musica gioca con
se stessa e rimanda perpetuamente e solamente a se stessa.

Bruno Cagli
Primo libro

143 n. 1 (136 n. 1) 1915

1. Pour les cinq doigts d'après monsieur Czerny

https://www.youtube.com/watch?v=HeJB4Uv44B4

https://www.youtube.com/watch?v=UOJtV7RN7NI

https://www.youtube.com/watch?v=dBk__52XmkE

Pour les cinq doigts d'après monsieur Czerny - Sagement. Animé, mouvement de gigue (do
maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 luglio - 27 settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

143 n. 2 (136 n. 2) 1915

2. Pour les tierces

https://www.youtube.com/watch?v=NlrRr-6FdwE

https://www.youtube.com/watch?v=UnNKQ10OGAw

https://www.youtube.com/watch?v=6eaARb9Ho6o

Pour les tierces - Moderato, ma non troppo (re bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 luglio - 27 settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

143 n. 3 (136 n. 3) 1915

3. Pour les quartes

https://www.youtube.com/watch?v=a96tgkMj8r0
https://www.youtube.com/watch?v=b_p5MyFjQiU

https://www.youtube.com/watch?v=g54qskWcniE

Pour les quartes - Andantino con moto (fa maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 luglio - 27 settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

143 n. 4 (136 n. 4) 1915

4. Pour les sixtes

https://www.youtube.com/watch?v=F51jWrCNBmc

https://www.youtube.com/watch?v=w3ntvsNaDNU

https://www.youtube.com/watch?v=MQUI7HCoPJQ

Pour les sixtes - Lento (re bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 22 agosto 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

143 n. 5 (136 n. 5) 1915

5. Pour les octaves

https://www.youtube.com/watch?v=uqwx_M52z_c

https://www.youtube.com/watch?v=2CgwKxMxz8Q

https://www.youtube.com/watch?v=2J_vNwVPFAc

Pour les octaves - Joyeux et emporté, librement rythmé (mi maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 luglio - 27 settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin
143 n. 6 (136 n. 6) 1915

6. Pour les huit doigts

https://www.youtube.com/watch?v=YbBc0xXGhjk

https://www.youtube.com/watch?v=BOn-IK_2OKw

https://www.youtube.com/watch?v=RLWlGLt65k4

Pour les huit doigts - Vivamente, moto leggiero e legato (sol bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 luglio - 27 settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

143 n. 7 (136 n. 7) 1915

7. Pour les degrés chromatiques

https://www.youtube.com/watch?v=XnDBcFVetvU

https://www.youtube.com/watch?v=KohZwTXChLY

https://www.youtube.com/watch?v=xFNarNK8GNI

Pour les degrés chromatiques - Scherzando, animato assai (la minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 luglio - 27 settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

143 n. 8 (136 n. 8) 1915

8. Pour les agréments

https://www.youtube.com/watch?v=Kq4P9X4Ote8

https://www.youtube.com/watch?v=WSxL2vHjDZM

https://www.youtube.com/watch?v=3YN6TQGQw7o
Pour les agréments - Lento, rubato et leggiero (fa maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 12 agosto 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

143 n. 9 (136 n. 9) 1915

9. Pour les notes répétées

https://www.youtube.com/watch?v=uPh_7tSEc4w

https://www.youtube.com/watch?v=efdUBanleAU

https://www.youtube.com/watch?v=3jJcSUjSCsw

Pour les notes répétées - Scherzando (do maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 luglio - 27 settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

143 n. 10 (136 n. 10) 1915

10. Pour les sonorités opposées

https://www.youtube.com/watch?v=lrmvbzVdjBY

https://www.youtube.com/watch?v=XbjO3HjGkns

https://www.youtube.com/watch?v=62uXa-IQ7rg

Pour les sonorités opposées - Modéré, sans lenteur (do diesis minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 luglio - 27 settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

143 n. 11 (136 n. 11) 1915

11. Pour les arpèges composés


https://www.youtube.com/watch?v=HbmBOcZ8tEY

https://www.youtube.com/watch?v=ya2JPBbykIM

https://www.youtube.com/watch?v=iuaGGqWZJo4

Pour les arpèges composés - Dolce e lusingando (la bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 luglio - 27 settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

143 n. 12 (136 n. 12) 1915

12. Pour les accords

https://www.youtube.com/watch?v=BCONV263rzg

https://www.youtube.com/watch?v=Cu2ZxlwhIEY

https://www.youtube.com/watch?v=UeChibkCVXE

Pour les accords - Décidé, rythmé, sans lourdeur (la minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Pourville, 23 luglio - 27 settembre 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 14 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1916
Dedica: À la mémoire de Frédéric Chopin

146 (137) 1915

Élégie per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=64k7qNOGsc4

https://www.youtube.com/watch?v=7OwBW10xdW0

Lent et douloureux (re minore)

Organico: pianoforte
Composizione: 15 dicembre 1915
Edizione: Henle, Monaco, 1997
Guida all'ascolto (nota 1)

La Elégie è l'ultimo pezzo per pianoforte composto da Debussy: fu scritto il 15 dicembre 1915, il
giorno prima che l'autore entrasse in ospedale per essere operato di cancro all'intestino, e fu
destinata ad un album intitolato Pages inédites sur la femme et la guerre, Pagine inedite sulla
donna e la guerra.

Piero Rattalino

150 − 1917

Les soirs illuminés


per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=PjsthAn1qT

https://www.youtube.com/watch?v=kFfD0QzI4PU

Organico: pianoforte
Composizione: febbraio - marzo 1917
Edizione: Durand, Parigi, 2003

Composizioni per pianoforte a quattro mani

8 (10) 1880 - 1881

Sinfonia in si minore

https://www.youtube.com/watch?v=RbWuFiyLHXo

Final. Allegro (si minore)

Organico: pianoforte
Composizione: dicembre 1880 - gennaio 1881
Dedica: Nadezda von Meck
Edizione: N. Gilaïev, Mosca, 1933 (Finale)
Originariamente prevista in tre movimenti: Andante; Air de ballet; Final
Restano solo abbozzi per pianoforte a quattro mani del Finale

10 1881

Andante cantabile
per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=sP68J_BVwow

https://www.youtube.com/watch?v=eStsGW2uLvE
Organico: pianoforte
Composizione: inizio 1881
Edizione: Durand, Parigi, 2002

20 1881

Diane
Ouverture per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=k7HNDziAz44

Organico: pianoforte
Composizione: Roma, 27 novembre 1881
Edizione: Durand, Parigi, 2002

33 (38) 1882

Le triomphe de Bacchus

https://www.youtube.com/watch?v=y90q60-FwBs

Suite orchestrale per pianoforte a quattro mani


Ispirata dal poema "Le triomphe de Bacchus à son retour des Indes" di Théodore di Banville
Organico: pianoforte
Composizione: inizio 1882
Edizione: Choudens, Parigi, 1928 nella versione orchestrata da M.-Fr. Gaillard
Perduto, resta un Allegro in versione per pianoforte a 4 mani poi orchestrato da M.-Fr. Gaillard

62 (36) 1884

Divertissement
per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=CQiytZsvmIQ

Organico: pianoforte
Composizione: estate 1884
Edizione: Durand, Parigi, 2002

71 (65) 1888 - 1889

Petite suite
per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=_NN0n8-YCfs
https://www.youtube.com/watch?v=Y8EqufdeSzM

https://www.youtube.com/watch?v=o_VIzzQt32I

En bateau - Andantino (sol maggiore)


Cortège - Moderato (mi maggiore)
Menuet - Moderato (sol maggiore)
Ballet - Allegro giusto (re maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: 1888 - 1889
Edizione: Durand, Parigi, 1889

Guida all'ascolto (nota 1)

Le composizioni di Debussy per duo pianistico costituiscono un corpus eterogeneo e composito -


ascrivibile alla maturità artistica del compositore - e vanno distinte da quella serie di abbozzi e di
trascrizioni della giovinezza nella quale hanno però radici significative.

Superando lo stadio sperimentale (il progetto di una "Symphonie en si" del 1880 e di un interludio
orchestrale, il "Triomphe de Bacchus" del 1882, la trascrizione della cantata "L'Enfant Prodigue",
che gli valse il Prix de Rome nel 1884), il pianoforte a quattro mani si afferma a pieno diritto con
la "Petite Suite" del 1888/89, che trae spunto da una suite coreografica di Delibes. Nel lavoro sono
presenti tutti gli elementi più tardi insistitamente ribaditi, come la pratica del gioco maggiore-
minore che tende alla modalità (l'inizio "eolico" del "Menuet"), le scale a toni interi, il senso di
partitura. Le allusioni alla tradizione francese (Couperin, Rameau), prendono l'alternanza di
maschera e di volto con la tecnica di scrittura e con la forte ironia caricaturale e straniante nella
quale le suggestioni sono immerse. In "En bateau", ad esempio, che contiene nelle due parti le
matrici del "Clair de lune" (dell'anno successivo), l'ironia sull'iconografia marina del 6/8 si
sovrappone alle fluorescenze e agli slittamenti cromatici dell'impressionista superficie liquida
"inargentata dalla luna" (parole di Debussy per "Sirènes", terzo dei "Nocturnes" per orchestra).
Questa "Suite", accanto agli accenti spagnoleggianti di "Cortège" ed al giocoso "Ballet", che
qualcuno vuole legato allo stile di Chabrier, anticipa a tratti l'elemento estetico puramente
decorativo dell' "arabesco". La scelta intenzionale del musicista è per il recupero di curve
melodiche anteriori alla classicità (ma anche vicine al floreale ed ai Preraffaelliti); l'antico
melisma di provenienza orientale aleggia sinuoso, al di sopra di ogni piano prospettico, quasi per
un gioco di vento.

Cecilia Campa

83 (77) 1890

Marche écossaise sur un thème populaire


Versione per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=BHFln2BIuJY
Organico: pianoforte
Composizione: 1890
Edizione: Choudens, Parigi, 1891
Dedica: marcia degli antichi conti di Ross, dedicata al loro discendente generale Meredith Read,
grancroce dell'ordine del Redentore

Guida all'ascolto (nota 1)

La più occasionale "Marche écossaise sur un thème populaire" (1891), è nota anche come "Marche
des anciens Comtes de Ross", perché commissionata da un nobile scozzese. Il lavoro si fonda sulle
particolarità armoniche e sulle "curiosità" tonali dei temi popolari scozzesi, mentre la cornamusa
del Trio assume quel carattere ossessivo proprio di tanta musica degli anni successivi.

Cecilia Campa

139 (131) 1914

Six épigraphes antiques


per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=8mTiw3TQ2BI

https://www.youtube.com/watch?v=08WYwr4eUsg

https://www.youtube.com/watch?v=Fm98AAI3WSk

Pour invoquer Pan, dieu du vent d'été - Modéré - dans le style d'une pastorale (fa maggiore)
Pour un tombeau sans nom - Triste et lent (re minore)
Pour que la nuit soit propice - Lent et expressif (do maggiore)
Pour la danseuse aux crotales - Andantino - souple et sans rigueur (do maggiore)
Pour l'égyptienne - Très modéré (mi bemolle minore)
Pour remercier la pluie au matin - Modérément animé (atonale)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 11 Luglio 1914
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 Marzo 1917
Edizione: Durand, Parigi, 1915

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le Six Épigraphes antiques appartengono al gruppo delle composizioni per pianoforte a quattro
mani di Debussy, un genere abbastanza praticato nell'Ottocento e rispondente ad un gusto
borghese, quando era diffusa la moda di suonare in casa le trascrizioni delle opere di successo e
più popolari, e magari anche le riduzioni per pianoforte delle sinfonie di Beethoven e dei poemi
sinfonici di Liszt. In questo gruppo di pezzi pianistici debussyani si distinguono soprattutto le due
raccolte della Petite suite e di En blanc et noir, dove si può cogliere quel sottile e raffinato
intellettualismo, misto ad una calcolata costruzione formale, appartenente alla sigla inventiva di
questo musicista così originale e rivoluzionario nella concezione armonica e timbrica del
linguaggio sonoro. Si può aggiungere che le Six épigraphes antiques, come pure le Douze études
per pianoforte (1915) e le tre Sonate per violoncello e pianoforte (1915), per flauto, viola e arpa e
per violino e pianoforte (1915-'17) indicano un'attenzione maggiore verso la linearità della
melodia, anche se la musica non perde il fascino delle sfumature evanescenti e delle sensazioni
intimamente delicate e sommesse. Questi sei pezzi, composti nel 1914, sono un adattamento delle
musiche per due flauti, due arpe e celesta scritte nel 1900-1901 come intermezzi per una
recitazione dei poemi "Chansons de Bilitis" di Pierre Louys. Essi appaiono come momenti di un
ciclo unitario e organico in cui affiora il gioco sottile di tonalità, quasi a sottolineare uno dei
postulati estetici di Debussy secondo cui "la musique c'est un mystérieux accord entre la nature et
notre imagination". Il tessuto sonoro si snoda con raffinatezza di effetti e non manca tra un
"pannello" e l'altro il richiamò allo stesso nucleo armonico, come ad esempio il ritorno del tema
del primo pezzo alla fine del sesto pezzo. Ciò sta a significare, oltre tutto, come Debussy
manifestasse interesse per la forma circolare e articolata nelle sue ultime composizioni, elaborate
per varie combinazioni strumentali.

Le Epigrafi, della durata di poco più di 13 minuti, sono caratterizzate da accordi sospesi e
atmosfere rarefatte, secondo scelte arcaiche e diatoniche rispondenti a sonorità astratte. Più
elaborati e vivamente intarsiati risultano il terzo e il quarto pezzo, mentre il quinto riflette un ritmo
orientaleggiante e il sesto ha un andamento impressionistico e apertamente legato ad effetti
naturalistici. La composizione è stata trascritta per orchestra nel 1932 da Ernest Ansermet,
indimenticabile direttore dell'orchestra della Suisse Romande e appassionato sostenitore, tra l'altro,
della musica di Debussy, Ravel e Stravinsky.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Sarà un "arabesco" la frase-tipo del flauto dell'inizio del "Prelude à l'après-midi d'un faune", così
come perfetto è ormai il suo disegno nelle "Six épigraphes antiques", ancora più ambigue e
smaterializzate. Alla versione originale del lavoro, "Trois Chansons de Bilitis", pubblicata nel
1897, ma eseguita però soltanto nel 1900 dalla cantante Blanche Marot accompagnata al
pianoforte dall'autore, seguì una partitura per due flauti, due arpe e celesta, destinata ad
accompagnare la recitazione delle "Chansons de Bilitis" alla Salle des Fètes del "Journal" il 7
febbraio 1901; da questa derivano le "Six épigraphes", i cui titoli sono una libera interpretazione
che Debussy elaborò dai versi originali (le "Chansons de Bilitis" scritte nel 1894 dall'amico Pierre
Louys: liriche di stampo arcaicizzante ed ellenizzante che il poeta pretese aver tradotto dalla
poetessa greca Bilitis). Le difficoltà esecutive che i brani presentano, nell'incrocio spesso
frequente di ciascuna parte con quella del partner e nella sempre maggiore astrazione del dettato,
evocano ancor più la scrittura orchestrale ed anticipano la necessità di utilizzare il doppio
pianoforte.

Cecilia Campa

139 n. 1 (131 n. 1) 1914

1. Pour invoquer Pan, dieu du vent d'été


per pianoforte a quattro mani
https://www.youtube.com/watch?v=e8A_BVkKyY

Pour invoquer Pan, dieu du vent d'été - Modéré - dans le style d'une pastorale (fa maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 11 luglio 1914
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 marzo 1917
Edizione: Durand, Parigi, 1915

139 n. 2 (131 n. 2) 1914

2. Pour un tombeau sans nom


per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=KNoTVNXFegQ

Pour un tombeau sans nom - Triste et lent (re minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 11 luglio 1914
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 marzo 1917
Edizione: Durand, Parigi, 1915

139 n. 3 (131 n. 3) 1914

3. Pour que la nuit soit propice


per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=DCbRfs1UFqU

Pour que la nuit soit propice - Lent et expressif (do maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 11 luglio 1914
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 marzo 1917
Edizione: Durand, Parigi, 1915

139 n. 4 (131 n. 4) 1914

4. Pour la danseuse aux crotales


per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=nZ6996_EilQ

Pour la danseuse aux crotales - Andantino - souple et sans rigueur (do maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 11 luglio 1914
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 marzo 1917
Edizione: Durand, Parigi, 1915

139 n. 5 (131 n. 5) 1914

5. Pour l'égyptienne
per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=lOkoXC6a-6E

Pour l'égyptienne - Très modéré (mi bemolle minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 11 luglio 1914
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 marzo 1917
Edizione: Durand, Parigi, 1915

139 n. 6 (131 n. 6) 1914

6. Pour remercier la pluie au matin


per pianoforte a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=z8Sy5kTZCKA

Pour remercier la pluie au matin - Modérément animé (atonale)

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 11 luglio 1914
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 marzo 1917
Edizione: Durand, Parigi, 1915

Composizioni per due pianoforti

103 (97) 1901

Lindaraja
per due pianoforti a quattro mani

https://www.youtube.com/watch?v=SdljnjF__AE

Modéré - mais sans lenteur et dans un rythme très souple (fa maggiore)

Organico: 2 pianoforti
Composizione: aprile 1901
Prima esecuzione: Parigi, Salle des Agriculteurs, 28 ottobre 1926
Edizione: Jobert, Parigi, 1901
142 (134) 1915

En blanc et noir
Tre capricci per due pianoforti

https://www.youtube.com/watch?v=HHZ3RYAHq20

https://www.youtube.com/watch?v=fRRB9fABhpQ

https://www.youtube.com/watch?v=0K8_e-y1tT4

Avec emportement (do maggiore)


Dedica: A. Koussevitzky
Lent. Sombre (do maggiore)
Dedica: Jacques Charlot
Scherzando (re minore)
Dedica: Igor Stravinskij

Organico: 2 pianoforti
Composizione: Pourville, 4 giugno - 20 luglio 1915
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 21 dicembre 1916
Edizione: Durand, Parigi, 1915

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Pourville sur-mer (Normandia), estate 1915: Debussy con la moglie Emma e la figlia Chouchou ha
potuto trasferirsi in una villa che alcuni amici gli anno messo a disposizione. Da quando c'è la
guerra umori e salute sono vacillanti, inclini alla depressione. La vita musicale è ridotta al minimo
e quel che resta è preda di un nazionalismo germanofobo che non disdegna i toni estremi della
lotta per la difesa della civiltà. Probabilmente su istigazione dell'amico Louis Laloy, musicologo
eminente e fiero nazionalista, Debussy comincia a firmare le sue opere come Claude de France.
Nei primi mesi del 1915 l'editore Durand chiede a Debussy di provvedere ad una revisione delle
opere di Chopin per una nuova edizione: le edizioni tedesche non affluiscono più e anche in questo
campo si va verso l'autarchia. Debussy si mette al lavoro e il contatto con quella musica che per
prima e con grande profondità aveva segnato la sua coscienza di artista, è benefico e fertile.
Nell'estate del 1915, sotto quel benefico influsso, il processo creativo di Debussy riprende con
slancio: la Sonata per violoncello e pianoforte e quella per viola, flauto e arpa come parte di un
ciclo di sei il cui progetto viene inviato con puntigliosa fierezza all'editore, gli Studi per pianoforte
e i tre Capricci En blanc et noir. Sembra di assistere allo schiudersi di una stagione dominata da un
nuovo fervore come ci racconta con voce incrinata dall'emozione il compositore in una lettera
inviata all'amico Bernardino Molinari: «Pensi, caro amico, che sono rimasto per un anno senza
poter fare musica... alla fine mi è quasi toccato reimparare. Era come una riscoperta e la musica mi
è parsa ancora più bella! Dipende forse dall'esserne rimasto privo così a lungo? Non saprei. Che
bellezza c'è nella musica tutta sola, voglio dire quella che non ha un partito preso e che nasce da
una ricerca intrapresa per stupire i dilettanti...» I tre Capricci En blanc et noir sarebbero da
ascrivere alla categoria della musica pura se non fosse che l'ora storica e i sentimenti che essa
suscita in Debussy vengono alla ribalta in ogni modo, addirittura con l'aggiunta in forma di
epigrafe di testi letterari che accompagnano la partitura.

Il primo dei tre brani, dedicato a Sergej Koussevitzky e redatto in un tempo Avec emportement, fa
ricorso ad una breve citazione tratta dal libretto di Roméo et Juliette di Gounod, «Qui reste à sa
piace - Et ne danse pas - De quelque disgrace - Fait l'aveu tout bas», in cui si riconosce l'amarezza
di Debussy nell'essere costretto a restare lontano dal fronte. In maniera non troppo diversa da
come sarebbe accaduto quattro anni più tardi a Ravel con La Valse, sulle due tastiere di questo
Capriccio si alternano eleganze, languori, impuntature beffarde e spigolosità che puntano
risolutamente verso il linguaggio novecentesco.

Del secondo Capriccio l'autore dichiara la drammaticità in una lettera all'editore Durand in cui
parla di un colore scuro proprio dei Capricci di Goya. Il dedicatario è questa volta il tenente
Jaques Charlot, il nipote dell'editore, quello stesso al quale Ravel avrebbe dedicato il Prelude del
suo Tombeau de Couperin. Charlot era caduto al fronte solo qualche mese prima, nel marzo 1915,
e la citazione che accompagna la partitura proviene dalla Ballade contre les ennemis de la France
di Francois Villon. Alcuni accordi smorzati usati come tragici battiti, delineano nelle prime battute
un orizzonte di grande desolazione sul quale si odono in lontananza segnali di trombe: viene in
mente, pur con le enormi differenze, lo scenario di quegli stessi campi di battaglia rievocati
qualche decennio più tardi da Benjamin Britten nel suo War Requiem. Questo brano possiede in
effetti una rara complessità e ricchezza di motivi la cui incalzante contiguità sortisce prodigiosi
effetti di estraniazione. Su uno di questi ci informa lo stesso Debussy in quella lettera già citata al
suo editore: «Vedrete cosa può capitare a un Inno di Luterò per essersi imprudentemente
avventurato in un Capriccio alla francese. Verso la fine, un modesto carillon suona una specie di
Pre-marsigliese; pur scusandomi di questo anacronismo, penso che possa essere ammissibile in
un'epoca in cui il selciato delle strade e gli alberi delle foreste non fanno che risuonare di questo
canto». Dedicatario del terzo Capriccio, un virtuosistico Scherzando in 2/4, è l'amico Igor
Stravinskij, mentre la citazione letteraria è tratta dalla ballata di Charles d'Orléans Yver, vous
n'estes qu'un villain che Debussy aveva alcuni anni prima messo in musica in un trittico di
componimenti per coro a cappella. Si tratta del Capriccio che maggiormente si accosta alla
dimensione della musica pura grazie a una scrittura agile e virtuosa assai prossima al clima degli
Studi nati anch'essi nella prodigiosa estate trascorsa a Pourville.

Enzo Restagno

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Uno stacco infine l'inquietante pannello bellico "En blanc et noir" del 1915, strano manifesto di
impegno civile e politico in cui seriosità e profondità superano la vecchia idea del gioco (o del
giocattolo musicale, dell'arte che, come il compositore sostiene, "deve piacere") e la relegano
soltanto nell'alternanza di tasti bianchi e neri (da cui il titolo, che evoca alcuni coevi orientamenti
"ottici" dell'arte figurativa). Pensando inizialmente questo lavoro come "Caprice en blanc et noir",
il compositore ombreggiava già nel termine "caprice", alla francese, il suo antigermanesimo,
stendendo una parola definitiva su ciò che, musicalmente, era nato come antiwagnerismo e che si
veste ora di ben più minacciosi e oscuri significati. L'ambiguità del Debussy che ci è familiare
diviene emblematicità, la scrittura si addensa e si esprime in una sorta di ritrovata
consequenzialità, il pianoforte è sodo e compatto, secco. Per il musicista significava tendere ad
un'altra pittura e ad altri colori sonori in questi tre pezzi che, egli dice, "prendono il loro colore e la
loro atmosfera unicamente dal pianoforte, così come i toni grigi di Velasquez". La complessità si
moltiplica nelle citazioni epigrafiche apposte ai brani e nella generale elaborazione allegorica (il
corale luterano "Ein' feste Burg" del secondo brano è contraffatto a simboleggiare il nemico): il
primo movimento porta una citazione dal "Romeo e Giulietta" di Gounod in cui il Vallas ha letto
un'allusione agli uomini che eludono i doveri militari ed è dedicato "al mio amico Kussevitsky"; il
secondo una citazione da Villon in memoria del tenente Jacques Charlot, "ucciso dal nemico" (nel
brano echeggia, in contrapposizione al corale tedesco, anche uno spunto di "Marsigliese"); infine
l'ultimo movimento assume le parole di Charles d'Orléans "Yver, vous n'ètes qu'un vilain" e per la
sua dedica a Strawinski apre nuovi orizzonti espressivi, addita quanto di "surreale" e di
"neoclassico" si vela nel lavoro.

Cecilia Campa

Composizioni vocali con orchestra

14 (20a) 1881

Hélène
Scena lirica per soprano, coro e orchestra
Testo: Leconte de Lisle
Organico: soprano, coro misto, orchestra
Composizione: inizio 1881
Incompiuto

35 (20) 1882

Daniel
Cantata per tre voci soliste e orchestra
Testo: Émile Cicile
Organico: 3 voci, orchestra
Composizione: inizio 1882
Edizione: inedito
Scritto per la prova d'esame del Prix de Rome senza realizzare l'orchestrazione

37 (24) 1882

Printemps
Cantata in fa diesis minore per coro femminile e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=jxuMn8NlPXE

Testo: comte Anatole de Ségur


Organico: coro femminile, 3 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni,
timpani, percussioni, 2 arpe, archi
Composizione: maggio 1882
Prima esecuzione: Parigi, Nouvelle Salle Pleyel, 2 aprile 1928
Edizione: Choudens, Parigi, 1928
Scritto per l'esame d'ammissione del Prix de Rome

51 (40) 1883

Invocation
per coro maschile e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=3jsmCeC0-1A

Testo: Alphonse de Lamartine


Organico: coro maschile, 3 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, 2
arpe, archi
Composizione: 5 - 11 maggio 1883
Edizione: Choudens, Parigi, 1928 (spartito, con pianoforte a 4 mani) e 1957 (partitura per
orchestra)
Scritto per la prova d'esame del Prix de Rome

52 (41) 1883

Le gladiateur
Cantata per tre voci sole e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=kYQLjnGbOi4&list=PLTNLUVGqWnqYJ1ysNjXep8N-
IvpH5LUYh

Testo: Émile Moreau


Organico: 3 voci, 3 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, basso tuba,
timpani, 2 arpe, archi
Composizione: 19 maggio - 13 giugno 1883
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 22 giugno 1883
Edizione: inedito

60 (56) 1884

Le printemps
per coro misto e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=arISs51EHUg
Testo: Jules Barbier
Organico: coro misto, 3 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 3 corni, 2 trombe, 3 tromboini,
timpani, percussioni, 2 arpe, archi
Composizione: 10 - 16 maggio 1884
Edizione: inedito
Scritto per l'esame d'ammissione al concorso del Prix de Rome

61 (57) 1884
L'enfant prodigue
Cantata per soprano, tenore, baritono, coro e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=0ShjToPSsOM

https://www.youtube.com/watch?v=VnEVn7agoOY

Testo: Édouard Guinand

Personaggi:

Lia, madre di Azael


Azael, giovane galileo
Siméon, marito di Lia

Prélude - Andante, très calme (si maggiore)


a. L'année, en vain chasse l'année - Recitativo (Lia)
b. Azael, pourquoi m'as-tu quitté? - Aria (Lia) - Andante non troppo (si minore)
Eh bien! Encore des pleurs - Recitativo (Siméon)
a. Cortège - Moderato (do diesis minore)
b. Air de danse - Tempo quasi andante rubato (do diesis minore)
a. Ces airs joyeux - Recitativo (Azael)
b. O temps à jamais effacé - Aria (Azael) - Andantino (la maggiore)
Je m'enfuis - Recitativo (Lia)
Rouvre les yeux à la lumière - Duetto (Lia et Azael) - Andantino (fa diesis minore)
a. Mon fils est revenu - Recitativo (Siméon)
b. Plus de vains soucis - Aria (Siméon) - Andante maestoso (mi bemolle maggiore)
a. Mon cœur renaît - Trio (Lia, Azael, Siméon) - Andantino (do maggiore)
b. Dieu d'Israël - Trio (Lia, Azael, Siméon) - Allegro moderato (si maggiore)

Organico: 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni,
basso tuba, timpani, grancassa, piatti, tamburo, 2 arpe, archi
Prima esecuzione: Parigi, Académie de Beaux Arts, 27 giugno 1884
Edizione: Durand, Parigi, 1884 (spartito) e 1908 (partitura)
Dedica: Ernest Guiraud
Scritta per il Grand Prix de Rome 1884

Guida all'ascolto (nota 1)

La cantata L'enfant prodigue per soli, coro e orchestra fu composta da Debussy a conclusione
degli studi al Conservatoire, e con essa il ventiduenne compositore vinse nel 1884 il Grand Prix de
Rome. L'opera nata sotto la diretta influenza di Massenet e di Lalo risale dunque al periodo
formativo del Maestro e musicalmente è alquanto inferiore alla successiva cantata La damoiselle
élue scritta quattro anni più tardi, quando l'insofferente pensionante di Villa Medici aveva già
abbandonato Roma. Parte della critica ha trattato L'enfant prodigue in modo sbrigativo, come
un'opera ancora impersonale di un esordiente. Uno studioso recente l'ha addirittura qualificata il
saggio di un allievo di conservatorio; e sia, ma di un allievo, aggiungiamo, che si chiama Debussy.
Se la scrittura presenta solo dei brevi tratti personali ravvisatili in certe disposizioni degli accordi,
nel gusto di un'armonia ariosa, dal frequente uso di quinte vuote, di successioni di settime, al
fondo della musica scopriamo qualche cosa di più interessante, che può definirsi già un
atteggiamento dell'animo debussiano. Intendiamo quel sentimento di profondo pudore con cui la
scena drammatica è musicalmente interpretata, a dispetto del testo convenzionale fornitogli da
Edouard Guinand. Debussy non si è lasciato attrarre da elementi melodrammatici, non ha
sottolineato pateticamente gli episodi di Lia e quelli del figlio che pentito e angosciato ritorna alla
casa paterna.

Come giustamente il Lockspeiser osserva, Debussy è andato diritto al cuore della parabola con una
musica dall'accento umanamente vero e pacato. Troviamo pertanto in questa interpretazione, sia
pure in termini vaghi, il preannuncio dell'intimità poetica di Pelléas et Mélisande. Qualche pagina
del Figliol prodigo è diventata celebre, come l'aria della madre invocante Azaele, pagina
bellissima anche se nettamente massenettiana, e il Corteggio e aria di danza, dalla trasparente,
raffinata, orchestrazione.

Scarsa aderenza con le precedenti pagine ha il finale, dove il giovane Debussy sembra aver voluto
calcare, forse non senza una punta di malizia, i modi usuali del concertato.

64 (59) 1885

Zuleima
Ode sinfonica per coro e orchestra
Testo: Georges Boyer
Organico: coro, orchestra
Composizione: Roma, 1885
Perduto

69 (62) 1887 - 1888

La damoiselle élue
Poema lirico per soprano, coro femminile e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=qNVLTWTHYY4

https://www.youtube.com/watch?v=oF4Aa7poreE

Testo: Dante Gabriele Rossetti tradotto in francese da Gabriel Sarrazin


Organico: soprano, coro femminile, 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3
fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, 2 arpe, archi
Composizione: 1887 - 1888
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 8 aprile 1893
Edizione: Librairie de l'Art indépendant, Parigi, 1893 (spartito); Durand, Parigi, 1906 (partitura)
Dedica: Paul Dukas
Riorchestrato nel 1902
3° envoi de Rome

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Strano esempio di "rifrazione" nei diversi campi artistici quello del tema della Blessed damozel
prediletto dal pittore e poeta preraffaellita Dante Gabriel Rossetti: dapprima, nel 1847, l'artista
inglese lo illustrò in un poemetto di quindici stanze, quindi dalla lirica ricavò un quadro
enigmatico, cromaticamente giocato sui neri, i bruni, i terra di Siena opposti al bianco accecante
della luce che colpisce la "fanciulla eletta", e ove la sontuosità antiquaria e i tic iconografici tipici
dei preraffaelliti concorrono a dare al dipinto un'aura di maestosa, funeraria tristezza. Infine tra il
1887 e il 1888 Claude Debussy mise in musica la poesia di Rossetti nella traduzione francese di
Gabriel Sarrazin, creando una sorta di "commento sonoro" di quella visione sospesa tra diafana
ieraticità religiosa e nascosto, languido erotismo, disegnando in suoni l'atmosfera sia della poesia
che del dipinto, in quello che va considerato come il primo grande esito della particolarissima
sinestesia tra suono-colore-parola che da quel momento abitò quasi perennemente le opere vocali
del musicista francese. La composizione, scritta come terzo "invio" alla commissione del Prix de
Rome, fu poi ritoccata nell'orchestrazione dall'autore nel 1902, mettendo a frutto le conquiste
timbriche della contemporanea, straordinaria strumentazione del Pelléas.

Debussy fu certamente attratto nella poesia di Rossetti dalla strana commistione (ampiamente in
linea con gli stilemi anti realistici e morbosamente estetizzanti dei preraffaelliti, che non poca
influenza ebbero sulla concezione artistica del simbolismo), di elementi trascendenti, di estatica
attesa e di desiderio carnale occulto, attraverso i quali si dispiega il commosso anelito all'amore
oltre la vita invocato dalla fanciulla per il proprio amato. Debussy affida le stanze descrittive della
lirica rossettiana che precedono e seguono il discorso diretto della Damoiselle alternativamente al
canto sillabico del coro femminile e alla voce di contralto (o di mezzosoprano) della "narratrice",
mentre la lunga perorazione della protagonista della lirica è affidata ad una voce di soprano. Ecco
quindi che l'intonazione debussiana si articola in una sorta di trittico - introduzione orchestrale e
prime cinque stanze in cui si alternano il coro e la voce solista della "narratrice" / intonazione delle
sette stanze della "meditazione mistico-amorosa" della fanciulla / ultime tre stanze affidate di
nuovo al coro e alla voce della "narratrice", salvo un isolato intervento della Damoiselle - che
rispecchia fedelmente la tripartizione della lirica (si noti che anche il quadro di Rossetti è
suddiviso in tre ben distinte fascie orizzontali corrispondenti all'amato, alle anime beate e alla
fanciulla) e fa da cornice formale all'estrema libertà morfologica della musica. Diversa l'atmosfera
delle tre sezioni: mentre le due estreme tendono ad una diafana ieraticità, ottenuta mediante il
ricorso ad un diatonismo non di rado modaleggiante, a timbri tersi e trasparenti e ad un andamento
ritmico quasi alieno da increspature "drammatizzanti", la parte centrale è costituita da un
susseguirsi di addensamenti ricchi di pathos, ove la musica sottolinea la catena di immagini in cui
si dipana la struggente invocazione della Damoiselle per un amore oltre la morte. Si pensi ad
esempio alla subitanea e poi subito smorzata accensione della trama musicale in corrispondenza
dei versi «allora poserò la mia guancia / contro la sua, gli parlerò del nostro amore, / senza
imbarazzo o debolezza», ottenuta grazie alla progressiva ascesa della melodia della voce dal mi3
al re diesis4, all'accelerazione metronomica da "Lent" a "Un peu retenu" e al progressivo
inspessirsi timbrico della trama strumentale.
Il mondo sonoro della Damoiselle possiede già l'originalità stilistica dei capolavori della maturità,
e in essa il fascino della tarda orchestra wagneriana viene elaborato come influsso, non come
calco. Da poco tornato da Bayreuth ove aveva assistito al Parsifal, Debussy di quella
ammiratissima partitura prese infatti ciò che gli serviva, evitando un'imitazione comunque filtrata,
che sarebbe risultata fatale per l'esito estetico del lavoro. Certo l'estenuata religiosità del testo di
Rossetti gli suggerì di riprendere in più punti il diatonismo timbricamente etereo che caratterizza
molti dei momenti di intensa spiritualità dell'opera wagneriana. Ad esempio la melodia con cui si
apre l'introduzione, per sola orchestra, le cui quinte parallele creano un andamento quasi modale,
rammemora in forma stilizzata - sia nei timbri, per il diafano colore degli archi con sordina, che
nell'andamento melodico prima ascendente poi discendente e basato sull'arpeggio dell'accordo -, il
tema iniziale del Preludio del Parsifal; mentre la successiva ascesa degli archi che culmina con una
corona sul sol sovracuto dei violini è chiaramente un memento sinottico della più sviluppata
melodia ascendente che segna la seconda idea tematica del Preludio del Bühnenweihfestspiel.

La commissione del Prix de Rome nel giudizio stilato sulla Damoiselle si rammaricava di
ravvisarvi quelle «tendenze vaghe e nemiche di una forma determinata» che già aveva
stigmatizzato nelle precedenti prove del giovane compositore, benché esse fossero, secondo gli
esaminatori, «giustificate dalla natura del soggetto». Il biasimo, un tantino filisteo, centra però la
strategia del brano, poiché la "vaghezza" formale - in particolare la resistenza ad uno sviluppo
tematico tradizionale a favore di una libera trasformazione e iterazione variata di alcune idee
melodiche ricorrenti, coniugata ad un uso di una tavolozza timbrica "virtuosisticamente severa"
nei suoi continui e controllatissimi trasalimenti cromatici -, permettono a Debussy di creare una
composizione ove vive il perturbante fascino dell'inespresso. Nella pagina infatti l'intensità
emotiva che prorompe dalla descrizione dell'inappagato desiderio della visione poetica è sempre
presente come una sorta di incantesimo, ma sfugge sistematicamente dal "rivelarsi" appieno in
qualche luogo, in qualche climax della partitura, nonostante le citate accensioni timbrico-
melodiche della sezione centrale. Essa è pervadente e assente ad un tempo, emblema musicale di
una inafferrabilità e di un'ineluttabilità che Debussy inseguiva quale cifra ultima di tutto il suo
mondo poetico. Nella Damoiselle élue si mostra infatti in nuce quell'attitudine estetica e quella
profonda empatia musicale di Debussy - misteriosa mistura di impassibilité e profonda emozione -
per quei testi letterari o drammatici nei quali l'inespresso e il "non raggiungibile" erano parte
costitutiva del loro contenuto profondo, come egli ben disse a proposito del Pelleas: «sogno poemi
[...] che mi forniscano scene mobili [...] dove i personaggi non discutano, ma subiscano la vita e la
sorte».

Paolo Cecchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

«La damoiselle élue» costituisce il terzo e ultimo «envoi de Rome» del giovane Debussy che, nel
1884, appena ventiduenne, aveva vinto il «Prix de Rome» e aveva dovuto soggiornare per due
anni nella capitale italiana componendo, per regolamento, alcuni lavori. Nel secondo di questi
lavori, «Printemps», i maestri del musicista, sempre lungimiranti come tutti gli accademici,
avevano condannato la «tendenza troppo pronunciata alla ricerca dell'insolito e dello stravagante»
che si rivelava evidentemente sotto la morbidezza un po' massenetiana della scrittura. Nel terzo
lavoro, composto nel 1887-88 su un testo abbastanza prezioso e decadente di D. G. Rossetti,
tradotto in francese da G. Sarazin, Debussy raggiunge probabilmente il suo primo risultato
artistico di un certo rilievo ammesso perfino dall'Accademia la quale, dopo aver ricordato i
precedenti rimproveri rivolti al compositore per le sue «tendenze sistematiche o vaghe
nell'espressione e nelle forme», rilevava che qui esse erano giustificate dalla natura e dal carattere
indeterminato del soggetto.

In effetti, questo giovanile oratorio debussyano presenta chiaramente i segni di una dualità
stilistica riscontrabili, da un Iato, nelle reminiscenze scolastiche e in una vocalità per certi aspetti
tuttora legata a scherni tardo-romantici, dall'altro, invece nelle premonizioni dell'arte futura del
maestro, in quella indeterminatezza e mobilità di declamazione, in quelle sfaccettature timbriche e
armoniche che fanno pensare al «Pélleas».

Mario Sperenzi

96 (89) 1896 - 1900

La saulaie
Canto per baritono e orchestra
Testo: Dante-Gabriele Rossetti, tradotto in francese da Pierre Louÿs
Organico: baritono, orchestra
Composizione: 1896 - 1900 Edizione: inedito
Incompiuto

126a (119a) 1910

Trois ballades de Francois Villon


Versione per voce e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=-NhfJCdLS6U

https://www.youtube.com/watch?v=FsaVoWeq7wE

126a n. 1 (119a n. 1) 1910

1. Ballade de Villon à s'Amye


Versione per voce e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=_vENAd7wckY
Testo: Francois Villon

Ballade de Villon à s'Amye - Triste et lent, avec une expression où il y a autant d'angoisse que
de regret (fa diesis minore)

Organico: voce, 3 flauti, 3 oboi, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 2 trombe, arpa, archi
Composizione: maggio 1910
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Sechiari, 5 marzo 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1911
126a n. 2 (119a n. 2) 1910

2. Ballade que Villon feit à la requeste de sa mère pour prier Nostre Dame
Versione per voce e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=pyJigRwy1os

Testo: Francois Villon

Ballade que Villon feit à la requeste de sa mère pour prier Nostre Dame - Très modéré (do
maggiore)

Organico: voce, 3 flauti, 3 oboi, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 2 trombe, arpa, archi
Composizione: maggio 1910
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Sechiari, 5 marzo 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1911
126a n. 3 (119a n. 3) 1910

3. Ballade des femmes de Paris


Versione per voce e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=sHp6GWRuRXI

Testo: Francois Villon

Ballade des femmes de Paris - Alerte et gai (mi maggiore)

Organico: voce, 3 flauti, 3 oboi, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 2 trombe, arpa, archi
Composizione: maggio 1910
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Sechiari, 5 marzo 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1911

149 (141) 1916 - 1917

Ode a la France: Les troupeaux vont par les champs désertés


Cantata per soprano, coro e orchestra

https://www.youtube.com/watch?v=DOO94Pu9CGM

Testo: Louis Laloy


Composizione: 1916 - 1917
Edizione: Choudens, Parigi, 1928 (canto e pianoforte)
Orchestrata da Marius-François Gaillard su schizzi di Debussy

Composizioni per coro senza accompagnamento

32 (35) 1882
Chanson des brises
per soprano e coro femminile

https://www.youtube.com/watch?v=rDmU5RMy9Fk

Testo: Louis Bouilhet


Organico: soprano, coro femminile senza accompagnamento
Composizione: inizio 1882
Edizione: inedito
Dedica: Mme Vasnier

99 (92) 1898 - 1908

Trois chansons de Charles d'Orléans


per coro misto a cappella

https://www.youtube.com/watch?v=Vacub5Wi-UA

99 n. 1 (92 n. 1) 1898

1. Dieu qu'il la fait bon regarder


per coro misto a cappella

https://www.youtube.com/watch?v=03OjclbPEno

Testo: Charles d'Orléans

Dieu qu'il la fait bon regarder - Très modéré, soutenu et expressif (sol maggiore)

Organico: coro misto senza accompagnamento


Composizione: aprile 1898
Prima esecuzione: Parigi, Salle de l'Université des arts, 25 marzo 1909
Edizione: Durand, Parigi, 1908
Dedica: Lucien Fontaine

Guida all'ascolto (nota 1)

Questa composizione per coro a cappella di Debussy risale al 1908 e fu presentata per la prima
volta ai concerti Colonne di Parigi il 9 aprile del 1909 sotto la direzione dello stesso autore:
suscitò interesse, curiosità ed anche qualche rabbuffo critico che dispiacque al musicista. Infatti il
ritorno allo stile polifonico semplice e arcaico del XVI° secolo, quale si ritrova in queste
«Chansons», non fu capito da alcuni critici che rimproverarono al creatore del Pelléas di aver
scritto un pastiche all'antica in cui l'artista aveva preso la mano sul geniale inventore di nuove
armonie. In realtà le «Trois chansons», oltre a richiamarsi al mondo letterario e poetico della
vecchia Francia, confermano quel gusto di miniaturista e di cesellatore del suono che resta
l'elemento base dell'arte debussiana, così carica di un lirismo penetrante e raffinato, anche quando
la declamazione è appena accennata e sembra scivolare nel silenzio.

Queste fresche «Chansons» si articolano in tre brani: il primo di intonazione amorosa (Dieu! qu'il
la fait bon regarder!), il secondo di carattere descrittivo (Quant j'ai ouy le tabourin), il terzo ha una
linea più patetica e sentimentale (Yver, vous n'estes qu'un villain). Per la prima volta Debussy
affronta una forma insolita per il suo estro e il suo temperamento cioè il coro a quattro voci senza
alcun accompagnamento strumentale, e bisogna dire che egli ha rispettato il madrigalismo della
poesia di Charles d'Orléans, padre di Luigi XIII e più amante delle lettere che della guerra, senza
tradire se stesso e il proprio personale linguaggio armonico e contrappuntistico. Secondo gli
studiosi di Debussy, la terza è la migliore delle tre chansons per la freschezza melodica e l'abilità
dell'artificio corale, ma non si può negare che tutta la composizione rispecchia una modernità di
concezione contrappuntistica che unisce alla semplicità del discorso un'attenta ricerca timbrica
nelle cangianti inflessioni della declamazione vocale. E' una caratteristica che si mantiene costante
nella produzione vocale debussiana, anche quando il musicista si servirà di testi più congeniali alla
sua sensiblerie, come quelli di Baudelaire, di Mallarmé e di Verlaine.

Testi

DIEU, QU'IL LA FAIT BON REGARDER!

Dieu! qu'il fait bon regarder la gracieuse bonne et belle; pour les grans biens que sont en elle
chacun est prest de la loër qui se pourrait d'elle lasser? toujours sa beauté renouvelle. Dieu, qu'il la
fait bon regarder, la gracieuse bonne et belle! par de ça, ne de là, la mer, ne scay dame ne
damoiselle qui soit en tous bien parfais telle. C'est ung songe que d'i penser: Dieu! qu'il la fait bon
regarder. Dieu! qu'il la fait bon regarder!

DIO, QUANT'È BELLO GUARDARLA

Dio, quant'è bello guardarla, la graziosa buona e bella. Per i grandi doni che sono in lei, ognuno
vorrebbe lodarla. Chi potrebbe stancarsi di lei?
La sua bellezza sempre si rinnova.
Dio, quant'è bello guardarla, la graziosa buona e bella.
Di qua, di là dai mari, io non so né di dama o damigella, che sia piena di doni come lei.
E' un sogno pensarci. Dio quant'è bello guardarla! Dio quant'è bello guardarla!

QUANT J'AI OUY LE TABOURIN

Quant j'ai ouy le tabourin sonner pour s'en aller au may, en mon lit n'en ay fait et fray ne levé mon
chief du coissin en disant il est trop matin Ung peu je me rendormiray: quant j'ai ouy le tabourin
sonner pour s'en aller au may. Jeunes gens partent leur butin de son chaloir m'accointeray a lui je
m'abutineray. Trouvé l'ay plus prouchain voisin; quant j'ai ouy le tabourin sonner pour s'en aller au
may. En mon lit n'en ay fait affray ne levé mon chief du coissin.

QUANDO HO UDITO IL TAMBURINO


Quando ho udito il tamburino suonare per festeggiare il Maggio, non mi sono mossa nel mio letto,
né ho levato il capo dal cuscino. Ho pensato: mi riaddormenterò un poco. Quando ho udito il
tamburino suonare per festeggiare il Maggio.
I ragazzi stanno spartendosi il bottino. Io mi contenterò del suo calore. Sarà lui il mio bottino. L'ho
trovato vicino vicino, quando ho udito il tamburino suonare per festeggiare il Maggio.
Non mi sono mossa nel mio letto ne ho levato il capo dal cuscino.

YVER, VOUS N'ESTES QU'UN VILAIN

Yver, vous n'estes qu'un vilain. Esté est plaisant et gentil. Esté est plaisant et gentil en témoing de
may et d'avril qui l'accompaignent soir et main. Esté revêt champs, bois et fleurs de sa livrée de
verdure et de maintes autres couleurs par l'ordonnance de nature. Yver, mais vous, Yver, trop estes
plein de nège, de nège, vent, pluye et grézil. On vous deust banir en exil. Point flater je parle plein.
Yver, vous n'estes qu'un vilain.

INVERNO, SEI CATTIVO

Inverno sei cattivo. Estate è piacevole e gentile. Lo testimoniano Maggio e Aprile che
l'accompagnano sera e mattino.
Estate riveste i campi, boschi e fiori del suo abito di verde e tanti altri colori, secondo l'ordine di
natura. Inverno, ma tu Inverno, sei troppo pieno di neve, di neve, vento, pioggia e nevischio.
Bisognerebbe mandarti in esilio. Non ti lodo - io parlo chiaro - Inverno sei cattivo.

99 n. 2 (92 n. 2) 1908

2. Quand j'ai ouy le tambourin


per coro misto a cappella

https://www.youtube.com/watch?v=2Pkmgl0BZCE

Testo: Charles d'Orléans

Quand j'ai ouy le tambourin - Modéré (fa diesis minore)

Organico: coro misto senza accompagnamento


Composizione: 1908
Prima esecuzione: Parigi, Salle de l'Université des arts, 25 marzo 1909
Edizione: Durand, Parigi, 1908
Dedica: Lucien Fontaine

99 n. 3 (92 n. 3) 1898

3. Yver, vous n'estes qu'un villain


per coro misto a cappella

https://www.youtube.com/watch?v=RKDXlWHcPcQ
Testo: Charles d'Orléans

Yver, vous n'estes qu'un villain - Alerte et gai (mi minore)

Organico: coro misto senza accompagnamento


Composizione: aprile 1898
Prima esecuzione: Parigi, Salle de l'Université des arts, 25 marzo 1909
Edizione: Durand, Parigi, 1908
Dedica: Lucien Fontaine

Composizioni vocali da camera

1 (2) 1879

Madrid, princesse des Espagnes


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=Sd-y8oJbqB0

Testo: Alfred de Musset


Organico: voce, pianoforte
Composizione: fine 1879
Edizione: inedito

2 (4) 1880

Nuit d'étoiles
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=E-jzVGqqfSw

Testo: Théodore de Banville

Allegro (mi bemolle maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1880
Edizione: E. Bulla, Parigi, 1882
Dedica: Mme Moreau-Sainti

3 (8) 1880

Rêverie
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=lra-HUNsMl8
Testo: Théodore de Banville
Organico: voce, pianoforte
Composizione: 1880
Edizione: Jobert, Parigi, 1984

3 (5) 1880

Caprice
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=JibdptwjnOY

Testo: Théodore de Banville


Organico: voce, pianoforte
Composizione: fine 1880
Edizione: in Stilkritische Untersuchungen... di P. Ruschenburg, 1966
Dedica: Marie-Blanche Vasnier

7 (16) 1880

Aimons nous et dormons


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=4wsDJgwNxJQ

Testo: Théodore de Banville


Organico: voce, pianoforte
Composizione: fine 1880
Edizione: Th. Presser, Filadelfìa, 1933 (con testo inglese)

9 1881

Les baisers
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=VL0IebXUi8U
Testo: Théodore de Banville
Organico: voce, pianoforte
Composizione: inizio 1881
Edizione: inedito
Dedica: Mme Vasnier

11 (17) 1881

Rondel chinois
Canto per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=xMLcaqPvWLg

Testo: ignoto
Organico: inedito
Composizione: inizio 1881
Dedica: Mme Vasnier

12 (18) 1881

Tragédie
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=f3uNHT4l1FQ

Testo: Léon Valade


Organico: voce, pianoforte
Composizione: inizio 1881
Edizione: inedito
Dedica: Mme Vasnier

13 (19) 1881

Jane
Canzone scozzese trascritta per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=smNLgx3oDvg
Testo: Leconte de Lisle
Organico: voce e pianoforte
Composizione: inizio 1881
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 29 giugno 1938
Edizione: Th. Presser, Filadelfia, 1982
Dedica: Mme Vasnier

15 (33) 1881

La fìlle aux cheveux de lin


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=uO2bL3z-yuE+

Testo: Leconte de Lisle


Organico: voce, pianoforte
Composizione: inizio 1881
Edizione: inedito
Dedica: Mme Vasnier

16 (7) 1881
Fleur des blés
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=QeHd0GitiDY

Testo: André Girod

Andantino moderato, tempo rubato (fa maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: inizio 1881
Edizione: Girod, Parigi, 1891
Dedica: Mme Èmile Deguingand

17 (30) 1881

Rondeau
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=UzLOWlueUBY

Testo: Alfred de Musset


Organico: voce, pianoforte
Composizione: estate 1881
Edizione: Schott, Magonza, 1932
Dedica: Aleksandr von Meck

18 (11) 1881

Souhait
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=PAE2ysZLA8s

Testo: Théodore de Banville


Organico: voce, pianoforte
Composizione: Firenze, ottobre - novembre 1881
Edizione: Jobert, Parigi, 1984

19 (12) 1881

Triolet a Philis
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=lPJh3FPMmQU
Testo: Théodore de Banville
Organico: voce, pianoforte
Composizione: Roma, novembre 1881
Edizione: Schott, Magonza, 1932 (col titolo Zéphyr)
Dedica: Mme von Meck

21 1881

Les papillons
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=bASFtqaVGDE

Testo: Théophile Gautier


Organico: voce, pianoforte
Composizione: fine 1881
Edizione: The New York Public Library, New York, 2004

22 (46) 1881

L'archet
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=6CFjoBCQ22U

Testo: Charles Cros


Organico: voce, pianoforte
Composizione: fine 1881
Edizione: inedito

23 (48) 1881

Fleur des eaux


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=KzrVMGwu3Lc

Testo: Maurice Bouchor


Organico: voce, pianoforte
Composizione: fine 1881
Edizione: inedito

24 (47) 1881

Chanson triste
Canto per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=DC9K-JvMgQo
Testo: Maurice Bouchor
Organico: voce, pianoforte
Composizione: fine 1881
Edizione: inedito

25 1881

Les Elfes
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=9MlPSFk_Yuo

Testo: Leconte de Lisle


Organico: voce, pianoforte
Composizione: fine 1881
Edizione: inedito

26 (21) 1882

Fantoches
Canto per voce e pianoforte - Prima versione

https://www.youtube.com/watch?v=Nmhn8KKp1dQ

Testo: Paul Verlaine


Organico: voce, pianoforte
Composizione: 8 gennaio 1882
Edizione: inedito
Dedica: Mme Vasnier
Vedi al numero L 86 (80) la seconda versione

27 (49) 1882

Eglogue
Duetto per soprano, tenore e pianoforte
Testo: Leconte de Lisle
Organico: soprano, tenore, pianoforte
Composizione: gennaio 1882
Edizione: inedito

28 (13) 1882

Les roses
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=2lFeQNhZmX4
Testo: Théodore de Banville
Organico: voce, pianoforte
Composizione: inizio 1882
Prima esecuzione: Parigi, Salon Flaxland, 12 maggio 1882
Edizione: Jobert, Parigi, 1984
Dedica: Mme Vasnier

29 (34) 1882

Sérénade
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=8FCIS-TO_u8

Testo: Théodore de Banville


Organico: voce, pianoforte
Composizione: inizio 1882
Edizione: Jobert, Parigi, 1984
Dedica: Mme Vasnier

30 (15) 1882

Pierrot
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=PMVqBUBQURw

Testo: Théodore de Banville

... (mi minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: inizio 1882
Edizione: in La Revue Musicale, 1926
Dedica: Mme Vasnier

31 (23) 1882

Fète galante
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=7HFfcG_Bf3g

Testo: Théodore de Banville


Organico: voce, pianoforte
Composizione: inizio 1882
Prima esecuzione: Parigi, Salon Flexand, 12 maggio 1882
Edizione: Jobert, Parigi, 1984
Dedica: Mme Vasnier

34 (37) 1882

Il dort encore
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=fBPKXWtWjLA

Testo: Théodore de Banville da Hymnis


Organico: voce, pianoforte
Composizione: inizio 1882
Edizione: Jobert, Parigi, 1984
Originariamente previsto per Hymnis, commedia lirica non realizzata

36 (22) 1882

Les lilas
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=iGokhqfrtTo

Testo: Théodore de Banville


Organico: voce, pianoforte
Composizione: 12 aprile 1882
Edizione: Jobert, Parigi, 1984

38 (25) 1882

Flots, palmes, sables


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=dnrErVp0ZcI

Testo: Armand Renaud


Organico: voce, pianoforte
Composizione: 2 giugno 1882
Edizione: inedito
Dedica: Mme Vasnier

41 (37) 1882

Ode Bachique
per soprano, tenore e pianoforte
Testo: Théodore de Banville da Hymnis
Organico: soprano, tenore, pianoforte
Composizione: Estate 1882
Edizione: inedito
Dedica: Mme Vasnier

42 (28) 1882

En sourdine
Canto per voce e pianoforte - Prima versione

https://www.youtube.com/watch?v=p5KJPYYXx2o

Testo: Paul Verlaine


Organico: voce, pianoforte
Composizione: 16 settembre 1882
Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereinsaal, 16 settembre 1882
Edizione: Elkan-Vogel, Filadelfia, 1944
Per la seconda versione vedi L 86 (80)

43 (29) 1882

Mandoline
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=3hnWLTybE2A

Testo: Paul Verlaine

Allegretto vivace (do maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: Vienna, 15 novembre 1882
Edizione: apparso in «Revue Illustrée», 1 settembre 1890
Dedica: Mme Vasnier

44 (14) 1882

Seguidille
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=Parb6BX7B20

Testo: Théophile Gautier


Organico: voce, pianoforte
Composizione: fine 1882
Edizione: inedito
Dedica: Mme Vasnier
45 (32) 1882

Clair de lune
Canto per voce e pianoforte - Prima versione

https://www.youtube.com/watch?v=W2PAPayIkV8

Testo: Paul Verlaine

... (fa diesis maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: fine 1882
Edizione: in Revue Musicale, 1926
Dedica: Mme Vasnier
Per la seconda versione vedi L 86 (80)

Guida all'ascolto (nota 1)

Clair de lune

Votre âme est un paysage choisi


Que vont charmant masques et bergamasques,
Jouant du luth et dansant, et quasi
Tristes sous leurs déguisements fantasques!

Tout en chantant sur le mode mineur


L'amour vainqueur et la vie opportune.
Ils n'ont pas l'air de croire à leur bonheur,
Et leur chanson se mêle au clair de lune,

Au calme clair de lune triste et beau,


Qui fait rêver, les oiseaux dans les arbres,
Et sangloter d'extase les jets d'eau,
Les grands jets d'eau sveltes parmi les marbres.

Chiaro di luna

La vostra anima è un paesaggio squisito


che maschere e bergamaschi vanno incantando
suonando il liuto e danzando, quasi tristi
nei fantastici travestimenti.

Pur cantando in tono minore


l'amore vittorioso e la fortuna
della felicità sembrano increduli;
e il canto si fonde col chiaro di luna,

col calmo chiaro di luna triste e bello


che fa sognare negli alberi gli uccelli,
d'estasi singhiozzare gli zampilli,
gli alti zampilli, agili fra i marmi.

(Tradotto da M. T. Buciolu)

47 (31) 1883

Pantomime
Aria in do diesis minore per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=jtBOH71Mu3U

Testo: Paul Verlaine


Organico: voce, pianoforte
Composizione: inizio 1883
Edizione: in Revue Musicale, 1926
Dedica: Mme Vasnier

49 (42) 1883

Chanson espagnole
Duetto per due voci uguali e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=A4kCZWmkf3U

Testo: da "Les filles de Madrid" di Musset


Organico: 2 voci, pianoforte
Composizione: inizio 1883
Edizione: Salabert, Parigi, 1983
Dedica: Mme Vasnier

50 (39) 1883

Coquetterie posthume
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=AKgTCveVAX4

Testo: Théophile Gautier


Organico: voce, pianoforte
Composizione: 31 marzo 1883
Edizione: Salabert, Parigi, 1983
Dedica: Mme Vasnier
53 (43) 1883

Romance
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=4l0DIn2g0mU

Testo: Paul Bourget


Organico: voce, pianoforte
Composizione: settembre 1883
Edizione: Salabert, Parigi, 1983
Dedica: Mme Vasnier

54 (44) 1883

Musique
Canto per voce e pianoforte
Testo: Paul Bourget
Organico: voce, pianoforte
Composizione: settembre 1883
Edizione: Salabert, Parigi, 1983
Dedica: Mme Vasnier

55 (45) 1883

Paysage sentimental
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=W9Bt94HV_Fk

Testo: Paul Bourget

Allegretto ma non troppo (fa maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: novembre 1883
Edizione: apparso in Revue Illustrée, 15 aprile 1891
Dedica: Mme Vasnier

56 (52) 1884

Romance
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=w1ZgZl0kUcE
Testo: Paul Bourget

Andantino (re maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: gennaio 1884
Edizione: Eschig, Parigi, 1907
Dedica: Mme Vasnier

57 (53) 1884

Apparition
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=mrmfa2Yq84I

Testo: Stéphane Mallarmé

Andantino, rêveusement (mi maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: Ville d'Avray, 8 febbraio 1884
Edizione: in Revue Musicale, 1926
Dedica: Mme Vasnier

58 (54) 1884

La romance d'Ariel
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=EbuaukCMSmY

Testo: Paul Bourget


Organico: voce, pianoforte
Composizione: febbraio 1884
Edizione: Salabert, Parigi, 1983
Dedica: Mme Vasnier

59 (55) 1884

Regret
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=jOJA8-p1eT4

Testo: Paul Bourget


Organico: voce, pianoforte
Composizione: febbraio 1884
Edizione: Salabert, Parigi, 1983
Dedica: Mme Vasnier

63 (60) 1885 - 1887

Ariettes, paysages belges et aquarelles (o Ariettes oubliées)


Sei canti per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=3YdMUVTyDwk

https://www.youtube.com/watch?v=tvit_vCpGtc

https://www.youtube.com/watch?v=Je8um3DnwdQ

Testo: Paul Verlaine

C'est l'extase - Lent et caressant (mi maggiore)


Composizione: marzo 1887
Il pleure dans mon coeur - Modérément animé - triste et monotone (sol diesis minore)
Composizione: marzo 1887
L'ombre des arbres - Lent et triste (do diesis maggiore)
Composizione: 6 gennaio 1885
Chevaux de bois - Allegro non tanto - joyeux et sonore (mi maggiore)
Composizione: 10 gennaio 1885
Green - Joyeusement animé (sol bemolle maggiore)
Composizione: gennaio 1886
Spleen - Lent (fa minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1885 - 1887
Edizione: Jobert, Parigi, 1888
Dedica: Mary Garden

Guida all'ascolto (nota 1)

A giudizio unanime dei suoi critici, la prima affermazione autentica e sincera della originalità
creativa di Debussy va colta proprio nel ciclo delle melodie per canto e pianoforte Ariettes
oubliées, abbozzato a Roma nel 1887, durante il soggiorno a Villa Medici, e pubblicato l'anno
successivo a Parigi. Secondo Robert Godet, che fu amico ed estimatore di Debussy, in queste sei
liriche delle Ariettes, scritte su poesie di Paul Verlaine, la melodia debussiana così elegante e
sfumata nei suoi contorni e così indefinita nei suoi effetti psicologici prende rilievo e consistenza.
È significativo che sia proprio un testo vocale ad indicare il primo passo decisivo verso la
rivoluzione espressiva aperta da Debussy e che porterà attraverso le due raccolte delle Fètes
galantes e dei Trois poèmes de Mallarmé fino all'esperienza unica e irrepetibile del Pelléas et
Mélisande, un traguardo importante al quale il musicista giunse dopo nove anni di alterni
ripensamenti, fra momenti di entusiasmo e crisi di scoraggiamento nel fissare le linee di una nuova
concezione del dramma musicale.

Certo, dopo il ritorno da Roma, Debussy compie nuove esperienze e progetti di lavoro, avvicina e
stringe amicizia coi personaggi di diversa estrazione culturale, come Pierre Louys, Erik Satie ed
Ernest Chausson, legge scrittori come Villiers de l'Isle Adam e Edgar Poe, fantasiosi e simbolisti
nei loro racconti irreali, si reca due volte in pellegrinaggio a Bayreuth per capire meglio il
messaggio wagneriano, manda a memoria la partitura del Boris Godunov che gli schiude
straordinari orizzonti estetici e musicali, ascolta il gamelan indonesiano all'Esposizione Universale
parigina del 1889; ma queste acquisizioni di un bagaglio culturale più vasto e determinante
nell'arricchimento del suo linguaggio non tolgono nulla al fatto che già nelle Ariettes oubliées ci
siano gli elementi caratterizzanti della sensibilità e del gusto di Debussy, fatto di lirismo
malinconico e di coloriture delicate e sfumate, a volte fissate nella semplice declamazione e in
brevi immagini pittoriche da acquarello.

Il primo pezzo, C'est l'extase (Lent et caressant), in mi maggiore si basa su una frase melodica
discendente del pianoforte, ripresa dal canto per evocare con uno stile impregnato di cromatismi il
senso di languore e di stanchezza in una giornata primaverile. Segue Il pleure, dans mon coeur
(Modérément anime) nella tonalità di do diesis minore in cui viene dispiegata una melodia dal
carattere triste, ben contrappuntata dalla mano sinistra del pianoforte e sorretta da morbidi arpeggi.
L'ombre des arbres (Lent et triste) presenta una armonizzazione pianistica di estrema eleganza e
dolcezza. La tonalità di do diesis maggiore viene arricchita da sottili cromatismi dal contenuto
altamente espressivo. Chevaux de bois (Allegro non tanto) in mi maggiore mostra l'altra faccia di
Debussy, quella festosa e brillantemente sonora; la successione dei temi, sorretta da una dinamica
mutevole e varia, imprime all'intera lirica un senso di movimento e di gioco fanciullesco, felice e
spensierato. Green (Joyeusement animé) in sol bemolle maggiore punta la sua chiave di lettura
sull'alternanza di un metro binario ad un ternario, che determina una situazione psicologica di
desiderio verso l'oggetto amato. L'ultimo pezzo, Spleen (Lent) in fa minore, è costruito su una
melodia intonata inizialmente dal pianoforte, su cui poggia l'ampio lirismo della cantante che si
esaurisce progressivamente sulle fredde armonie pianistiche.

63 n. 1 (60 n. 1) 1887

1. C'est l'extase
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=D-BYkxmqn5A

Testo: Paul Verlaine

C'est l'extase - Lent et caressant (mi maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: marzo 1887
Edizione: Jobert, Parigi, 1888
Dedica: Mary Garden
63 n. 2 (60 n. 2) 1887

2. Il pleure dans mon coeur


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=4V5XqoSED2w

Testo: Paul Verlaine

Il pleure dans mon coeur - Modérément animé - triste et monotone (sol diesis minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: marzo 1887
Edizione: Jobert, Parigi, 1888
Dedica: Mary Garden

63 n. 3 (60 n. 3) 1885

3. L'ombre des arbres


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=F_KpB0H_Cyg

Testo: Paul Verlaine

L'ombre des arbres - Lent et triste (do diesis maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 6 gennaio 1885
Edizione: Jobert, Parigi, 1888
Dedica: Mary Garden

63 n. 4 (60 n. 4) 1885

4. Chevaux de bois
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=cxe7niGkfwo

Testo: Paul Verlaine

Chevaux de bois - Allegro non tanto - joyeux et sonore (mi maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 10 gennaio 1885
Edizione: Jobert, Parigi, 1888
Dedica: Mary Garden
63 n. 5 (60 n. 5) 1886

5. Green
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=nbPxUGkShl8

Testo: Paul Verlaine

Green - Joyeusement animé (sol bemolle maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: gennaio 1886
Edizione: Jobert, Parigi, 1888
Dedica: Mary Garden

63 n. 6 (60 n. 6) 1885 - 1887

6. Spleen
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=7VftRqtkClo

Testo: Paul Verlaine

Spleen - Lent (fa minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: data sconosciuta
Edizione: Jobert, Parigi, 1888
Dedica: Mary Garden

65 (79) 1885

Romance
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=CWjToVUIc4U

Testo: Paul Bourget

L'âme évaporée - Moderato (re maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1885
Edizione: Durand, Parigi, 1891
66 (79) 1885

Les cloches
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=Z4Lmsh9_1Ac

Testo: Paul Bourget

Andantino quasi Allegretto (mi maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1885
Edizione: Durand, Parigi, 1891

67 (58) 1885

Barcarolle
Canto per voce e pianoforte
Testo: Édouard Guinand
Organico: voce, pianoforte
Composizione: 1885 circa
Edizione: inedito

70 (64) 1887 - 1888

Cinq Poèmes de Baudelaire


Canti per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=zJn9kGKi5MY

https://www.youtube.com/watch?v=JKY90WE9lJU

https://www.youtube.com/watch?v=cvdk0n_0Po4

70 n. 1 (64 n. 1) 1888

1. Le balcon
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=axfxQf8Fx2E

Testo: Charles Beaudelaire

Le balcon - Allegro con moto (do maggiore)


Organico: voce, pianoforte
Composizione: gennaio 1888
Edizione: Durand, Parigi, 1902
Dedica: Étienne Dupin

70 n. 2 (64 n. 2) 1889

2. Harmonie du soir
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=JmpjbReSw8Y

Testo: Charles Beaudelaire

Harmonie du soir - Andante tempo rubato (si maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: gennaio 1889
Edizione: Durand, Parigi, 1902
Dedica: Étienne Dupin

70 n. 3 (64 n. 3) 1889

3. Le jet d'eau
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=NgtFFc-akWM

Testo: Charles Beaudelaire

Le jet d'eau - Andantino tranquillo (do maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: marzo 1889
Edizione: Durand, Parigi, 1902
Dedica: Étienne Dupin
Trascritto per voce e orchestra da Debussy nel 1907

70 n. 4 (64 n. 4) 1889

4. Recueillement
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=87VWsqqrWIo

Testo: Charles Beaudelaire


Recueillement - Lento e tranquillo (do diesis maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1889
Edizione: Durand, Parigi, 1902
Dedica: Étienne Dupin

70 n. 5 (64 n. 5) 1887

5. La mort des amants


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=7DD9IKSzzMo

Testo: Charles Beaudelaire

La mort des amants - Andante (sol bemolle maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: dicembre 1887
Edizione: Durand, Parigi, 1902
Dedica: Étienne Dupin

73 (63) 1890

Axel
Aria per voce e pianoforte
Testo: Villiers de l'isle-Adam
Organico: voce, pianoforte
Composizione: 1890 circa
Destinata a un'opera teatrale rimasta incompiuta

81 (74) 1890

La belle au bois dormant


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=1WFvW6A5HI0

Testo: Vincent Hyspa

Assez animé (mi bemolle maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: luglio 1890
Edizione: Eschig, Parigi, 1890
84 (6) 1890 - 1891

Beau soir
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=OD2MFP5s16U

Testo: Paul Bourget

Andante ma non troppo (mi maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1890 o 1891
Edizione: Girod, Parigi, 1891

85 (81) 1891

Trois Mélodies
Canti per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=8Gk8SUFtR-Q

https://www.youtube.com/watch?v=uywfpvGmqeA

85 n. 1 (81 n. 1) 1891

1. La mer est plus belle


Canti per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=a3nl3GAqet4

https://www.youtube.com/watch?v=ENDnh42Uvnw

Testo: Paul Verlaine

La mer est plus belle - Animé (mi minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1891
Prima esecuzione privata: Parigi, presso la principessa di Cystria, 16 gennaio 1904
Edizione: Hamelle, Parigi, 1901
Dedica: Ernest Chausson

85 n. 2 (81 n. 2) 1891

2. Le son du cor
Canti per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=PCugEeLHnsI

https://www.youtube.com/watch?v=dV3-YyuJqkM

Testo: Paul Verlaine

Le son du cor - Lent et dolent (fa minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1891
Prima esecuzione privata: Parigi, presso la principessa di Cystria, 16 gennaio 1904
Edizione: Hamelle, Parigi, 1901
Dedica: Robert Godet

85 n. 3 (81 n. 3) 1891

3. L'échelonnement des haies


Canti per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=6KVINHnluW4

https://www.youtube.com/watch?v=Xn9Loz1Prns

Testo: Paul Verlaine

L'échelonnement des haies - Assez vif et gaiement (do diesis minore )

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1891
Prima esecuzione: Parigi, Salle de géographie, 6 dicembre 1905
Edizione: Hamelle, Parigi, 1901
Dedica: Robert Godet

86 (80) 1891

Fêtes galantes
Canti per voce e pianoforte - Prima serie

86 n. 1 (80 n. 1) 1891

1. En sourdine
Canto per voce e pianoforte - Seconda versione di L 42 (28)

https://www.youtube.com/watch?v=9MCcl77iHRQ

https://www.youtube.com/watch?v=231f0goHp-A
Testo: Paul Verlaine

En sourdine - Rêveusement lent (si maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1891 - 1892
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Durand, 12 marzo 1912
Edizione: Fromont, Parigi, 1903
Dedica: Mme Godet

86 n. 2 (80 n. 2) 1891

2. Fantoche
Canto per voce e pianoforte - Seconda versione di L 26 (21)

https://www.youtube.com/watch?v=iVEMoaFfL5I

Testo: Paul Verlaine

Fantoche - Allegretto scherzando (la minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1891 - 1892
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Durand, 12 marzo 1912
Edizione: Fromont, Parigi, 1903
Dedica: Mme Fontaine

86 n. 3 (80 n. 3) 1891

3. Clair de lune
Canto per voce e pianoforte - Seconda versione di L 45 (32)

https://www.youtube.com/watch?v=qw0sXclooeY

Testo: Paul Verlaine

Clair de lune - Très modéré (sol diesis minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1891 - 1892
Prima esecuzione: Parigi, Concerts Durand, 12 marzo 1912
Edizione: Fromont, Parigi, 1903
Dedica: Mme Fontaine

88 (76) 1891
Les angelus
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=Ziqmm2eKclg

Testo: Grégoire Le Roy

Modéré - avec une douceur triste (do diesis minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: febbraio 1892
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, dicembre 1912
Edizione: Hamelle, Parigi, 1891

90 (84) 1892 - 1893

Proses lyriques
Canti per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=nUcRNrw_HIE

https://www.youtube.com/watch?v=asndUQPNE0k

https://www.youtube.com/watch?v=yehrZ7EJ8t4

Testo: Claude Debussy

De rêve - Modéré (si minore)


Dedica: Vita Hocquet
De grève - Modéré mais sourdement agité (re maggiore)
Dedica: R. Bonheur
De fleurs - Lent et triste (do maggiore)
Dedica: Mme Chausson
De soir - Modérément animé (sol diesis maggiore)
Dedica: Henry Larolle

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1892 - luglio 1893
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 17 febbraio 1894
Edizione: Fromont, Parigi, 1895

Guida all'ascolto (nota 1)

Alla felice ma complessa sintesi di Germania reale e Italia ideale realizzata da Wolf, il suo
contemporaneo Claude Debussy contrappone una più precisa realtà poetica tutta francese.
Anch'egli, di fatto, fu chiamato come Wolf a mettere ordine per l'ultima volta (nel secolo XIX)
nella casa in coabitazione tra poesia e musica. Anche lui dovette riarredare il salotto ormai un po'
in decadenza del Lied (o mélodie) post-schumanniano seguendo i dettami del decadentismo alla
moda del grande stilista d'interni Wagner. Debussy ebbe meno problemi con il vecchio ma ancora
attivo inquilino Fauré di quanti ne ebbe Wolf con il proprio (Brahms): entrambi seppero infine
infondere in quella già vecchia arte borghese il senso della modernità, ed è per questo che oggi
torniamo volentieri in quella casa comune, a gustare l'infuso perfetto che essi seppero preparare.
Nell'intervenire in queste delicate alchimie, Debussy portò ancor più oltre, rispetto a Wolf, il
principio di simbolismo musico-verbale sotteso ad ogni composizione liederistica. Sulla scorta di
Wagner, egli volle ricercare un suono-simbolo gravido del significato comune di parole, musica e
concetti, e per far questo, dopo il perfetto simbolismo oggettivo delle Fêtes Galantes, musicò nel
1892-93 i versi propri delle Proses lyriques. L'idea di raggiungere il proprio fine estetico evitando
il confronto con un poeta ha i suoi pericoli: persino Wagner si rivolse ai versi di Mathilde
Wesendonck per comporre i suoi personali Lieder simbolisti, e il suo discepolo Wolf non avrebbe
mai rinunciato a specchiare il proprio sguardo nell'animo di un poeta, meglio se grande. Alcuni
tratti oscuri della poesia sono destinati a restare tali se il compositore non può gettarvi luce
dall'esterno.

Cosi, la notte di De Rêve (Sogno) resta a tratti impenetrabile nella sua "dolcezza di donna":
discende sognante nelle prime due battute, si fa profonda alla terza e accoglie le radici dei vecchi
alberi. Poi la processione di immagini mitiche (tra cui quella dei Cavalieri del Graal) si fa
processione di sublimi temi e simboli musicali, sempre pronti a cedere il passo all'atmosfera
rarefatta dell'inizio, mentre la voce perfeziona la sua declamazione sillabica a metà tra il lirismo
delle precedenti raccolte e la prosa onirica di Pelléas.

In De Grève (Spiaggia) il crepuscolo è frammentato in un tremolo che è anche tremore, come se


Nacht und Träume di Schuberl fosse stato immerso nelle acque di La Mer. Cosi il passaggi!
all'immagine delle onde "come bambine che escono da scuola" richiede solo la spinta di una
leggera brezza e d'un tema festoso, mentre le nuvole procedono in consiglio di guerra in un
orizzonte di accordi gravi. È lo stesso Debussy, il poeta, a dirci che questo è un acquerello inglese
(di Turner?), poi la musica si vaporizza come in un aerosol di spruzzi musicali, prima che la luna,
simboleggiata da una nota pura e acuta, venga a mettere pace, e il pezzo si spenga nel misterioso
risuonare di campane sommerse nell'immaginazione poetica.

La serra di De Fleurs (Fiori), che appartiene alla stessa catena di quella di Wagner (ìm Treibhaus),
inanella fiori e dolori in una teoria di accordi in processione, ambigui e avvolgenti nel loro
sconcertante "giro" armonico iniziale. Poi un lamento si insinua al basso, il desiderio di una mano
benefica che sappia sbrogliare tanta oppressione si fa struggente, e la musica non può che evocare
la sfrenata libertà di immagini in un crescendo degno del miglior Duparc. Il pianoforte procede per
accordi spezzati, in una figurazione che molti, da Rachmaninoff a Tosti, cercheranno di assimilare
nel proprio vocabolario di pianismo poetico, ma che qui ha la sua vera ragion d'essere. Quando poi
quella figurazione esplode, prima in arpeggi poi in tremoli, la voce può uscire fuor di metafora e
levare il suo grido di rimpianto: "La mia anima muore per il troppo sole", in un climax degno di un
arioso di Massenet, e che poeticamente non sfigurerebbe come verso di D'Annunzio.

In De Soir (Sera), infine, le immagini poetiche guardano alla modernità di treni e stazioni, ma
quelle musicali ruotano, proprio come il gioco delle bambine di cui si evoca una nota cantilena,
intorno all'evocazione delle campane, su cui Debussy improvvisa con maestria. Nel finale le
domeniche festose sono solo ricordate, e una mesta preghiera alla Vergine affinché abbia "pietà
delle città" si spegne insieme al suono stesso di campane.

Erik Battaglia

90 n. 1 (84 n. 1) 1892 - 1893

1. De rêve
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=Nh0Jt5B-av4

Testo: Claude Debussy

De rêve - Modéré (si minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1892 - luglio 1893
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 17 febbraio 1894
Edizione: Fromont, Parigi, 1895
Dedica: Vita Hocquet

90 n. 2 (84 n. 2) 1892 - 1893

2. De grève
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=4qDGV1gG5hI

Testo: Claude Debussy

De grève - Modéré mais sourdement agité (re maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1892 - luglio 1893
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 17 febbraio 1894
Edizione: Fromont, Parigi, 1895
Dedica: R. Bonheur

90 n. 3 (84 n. 3) 1892 - 1893

3. De fleurs
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=crtEWYpMKLU

Testo: Claude Debussy


De fleurs - Lent et triste (do maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1892 - luglio 1893
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 17 febbraio 1894
Edizione: Fromont, Parigi, 1895
Dedica: Mme Chausson

90 n. 4 (84 n. 4) 1892 - 1893

4. De soir
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=zgwpzPdBC5A

Testo: Claude Debussy

De soir - Modérément animé (sol diesis maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1892 - luglio 1893
Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 17 febbraio 1894
Edizione: Fromont, Parigi, 1895
Dedica: Henry Larolle

97 (90) 1897 - 1898

Chansons de Bilitis
Canti per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=5hkHDU09NFs

https://www.youtube.com/watch?v=s8xoDLTyCt0

https://www.youtube.com/watch?v=DOUZNo-4qzY

Testo: Pierre Louÿs

La flûte de Pan - Lent et sans rigueur de rythme (si maggiore)


https://www.youtube.com/watch?v=XX-IpX_zUjg
La chevelure - Assez lent, très expressif et passionnément concentré (sol bemolle maggiore)
https://www.youtube.com/watch?v=ccxtE9wkn6c
Le tombeau des Naìades - Très lent (fa diesis minore)
https://www.youtube.com/watch?v=8kyKk-uMhAs

Organico: voce, pianoforte


Composizione: giugno 1897 - agosto 1898
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 marzo 1900
Edizione: Fromont, 1899

Guida all'ascolto (nota 1)

Le «Trois chansons de Bilitis» costituiscono l'unica conseguenza artistica dell'amicizia fra


Debussy e Pierre Louys. Composte, per la parte musicale, fra 1892 e il 1898, furono, per la verità,
precedute da tutta una serie di esperimenti, sollecitati dall'intesa intellettuale prodottasi tra un
letterato colto e raffinato ed un musicista come pochi altri sensibile a quei linguaggi artistici nei
confronti dei quali non era «professionalmente» impegnato. A tanta immediatezza nel
comprendersi reciprocamente non corrispose, fra Louys e Debussy, quell'intesa, più volte
inutilmente programmata, per arrivare ad una qualsiasi forma di collaborazione (esclusion fatta,
come si è detto, per le «Trois chansons de Bilitis»). Nonostante i rapporti personali quasi
quotidiani in atto fra i due artisti - e di questi rapporti dà incontestabile testimonianza il ricco
epistolario parallelo alla viva amicizia fra scrittore e musicista - Louys e Debussy non realizzarono
mai un rapporto che avrebbero voluto trasferire dal settore delle conversazioni e delle lettere a
quello della produzione artistica; «fallimento» del quale la maggiore responsabilità va attribuita al
musicista, difficile come pochi altri ad accettare soluzioni poetico-musicali di calibratura non
perfetta. Lo dimostra l'atteggiamento di Pierre Louys che, nel periodo relativo al progetto di
«Cendrelune», letteralmente paralizzato dalle continue obiezioni e richieste di modifiche avanzate
dall'amico, chiuse la partita scrivendogli testualmente: «Ecris toi-mème Cendrelune; tu en es
parfaitement capable».

La realizzazione del testo poetico delle «Chansons de Bilitis» offrì a Pierre Louys l'occasione di
mettere in atto, forte della sua notoria conoscenza delle lingue classiche, un'abile truffa letteraria.
Dichiarò pubblicamente di aver trovato occasionalmente un antico testo greco, precisando che
delle «Chansons» in questione egli aveva assunto soltanto l'impegno della traduzione in francese.
La beffa non riuscì per l'intervento - feroce quanto inesorabile nell'operazione di smascheratura -
di un filologo tedesco, il Willamowitz. Dopo di che Debussy, sempre pronto a contestare anche i
testi poetici di provenienza non dubbia, si risolse a mettere in musica tre sole di quelle
«Chansons» che non pochi studiosi francesi erano indecisi se attribuire a Saffo o a Louys. E infatti
la sua raffinata ricerca di un rapporto fra musica e testo, concepito come al solito con quella
sensibilità vocale che di lì a poco avrebbe reso possibile un capolavoro come Pélleas et Mèlisande,
limitò l'opera del musicista a tre soli dei Canti di Saffo-Louys; e precisamente «La Flùte de Pan»,
«La Chevelure» e «Le Tombeau de Naiades».

Testo (nota 2)

La Flûte de Pan

Pour le jour des Hyacinthies,


il m'a donné une syrinx faite
de roseaux bien taillés,
unis avec la blanche cire
qui est douce à mes lèvres comme le miel.
Il m'apprend à jouer, assise sur ses genoux;
mais je suis un peu tremblante.
il en joue après moi,
si doucement que je l'entends à peine.

Nous n'avons rien à nous dire,


tant nous sommes près l'un de l'autre;
mais nos chansons veulent se répondre,
et tour à tour nos bouches
s'unissent sur la flûte.

Il est tard,
voici le chant des grenouilles vertes
qui commence avec la nuit.
Ma mère ne croira jamais
que je suis restée si longtemps
à chercher ma ceinture perdue.

Il flauto di Pan

Per il giorno di Giacinto,


egli mi ha donato
un flauto di canne ben tagliate,
unite con cera bianca
dolce alle mie labbra come il miele.

In ginocchio davanti a me, mi insegna a suonare;


ma tremo un poco.
Poi inizia a suonare, così dolcemente
che io lo sento appena.

Non abbiamo bisogno di parole,


tanto siamo vicini;
ma si parlano i nostri canti,
e sul flauto a poco a poco
si toccano le nostre labbra.

Si è fatto tardi;
ecco, già cominciano a cantare
le rane smeraldine nella notte.
Difficilmente mia madre crederà
che sia rimasta per tanto tempo
a cercare la cintura perduta.

La chevelure

Il m'a dit: « Cette nuit, j'ai rêvé.


J'avais ta chevelure autour de mon cou.
J'avais tes cheveux comme un collier noir
autour de ma nuque et sur ma poitrine.

« Je les caressais, et c'étaient les miens ;


et nous étions liés pour toujours ainsi,
par la même chevelure, la bouche sur la bouche,
ainsi que deux lauriers n'ont souvent qu'une racine.

« Et peu à peu, il m'a semblé,


tant nos membres étaient confondus,
que je devenais toi-même,
ou que tu entrais en moi comme mon songe. »

Quand il eut achevé,


il mit doucement ses mains sur mes épaules,
et il me regarda d'un regard si tendre,
que je baissai les yeux avec un frisson.

La chioma

"L'altra notte" mi ha detto "ho sognato,


di avere la tua chioma attorno al collo.
I tuoi capelli come una nera collana
a cingermi la nuca e il petto.

Li sfioravo; e mi sembravano i miei;


e noi eravamo uniti per sempre,
con la stessa chioma, labbra su labbra,
come due piante di alloro con una radice sola.

E a poco a poco sentivo,


tanto erano intrecciate le nostre membra,
che io diventavo te
e che tu entravi in me come il mio sogno."

Non appena ebbe finito di parlare,


mi posò dolcemente le mani sulle spalle,
con uno sguardo così tenero,
che abbassai gli occhi con un brivido.

Le tombeau des Naïades

Le long du bois couvert de givre, je marchais;


Mes cheveux devant ma bouche
Se fleurissaient de petits glaçons,
Et mes sandales étaient lourdes
De neige fangeuse et tassée.

Il me dit: "Que cherches-tu?"


Je suis la trace du satyre.
Ses petits pas fourchus alternent
Comme des trous dans un manteau blanc.
Il me dit: "Les satyres sont morts.

"Les satyres et les nymphes aussi.


Depuis trente ans, il n'a pas fait un hiver aussi terrible.
La trace que tu vois est celle d'un bouc.
Mais restons ici, où est leur tombeau."

Et avec le fer de sa houe il cassa la glace


De la source ou jadis riaient les naïades.
Il prenait de grands morceaux froids,
Et les soulevant vers le ciel pâle,
Il regardait au travers.

La tomba delle naiadi

Attraversavo il bosco coperto di brina;


Piccoli ghiaccioli fiorivano
fra i miei capelli sul viso,
e i miei sandali erano inzuppati
di neve fangosa e compatta.

"Cosa cerchi?" Egli mi chiese


"Seguo le tracce del satiro.
I suoi piccoli passi biforcuti
simili a fori in un bianco mantello."
Mi rispose: "I satiri sono morti."

"I satiri e anche le ninfe.


Da trenta anni non c'era mai stato un così rigido inverno.
Le orme che vedi sono quelle di un capro.
Ma fermiamoci qui, dove sta la loro tomba."

E con il ferro del suo bastone ruppe il ghiaccio


della fonte dove una volta ridevano le naiadi.
Prese alcuni freddi frammenti,
e sollevandoli verso il pallido cielo,
vi guardò attraverso.

97 n. 1 (90 n. 1) 1897 - 1898

1. La flûte de Pan
Cant0 per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=5JAGk0L8Hmk

Testo: Pierre Louÿs

La flûte de Pan - Lent et sans rigueur de rythme (si maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: giugno 1897 - agosto 1898
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 marzo 1900
Edizione: Fromont, 1899

97 n. 2 (90 n. 2) 1897 - 1898

2. La chevelure
Cant0 per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=9C3vDQQ89SE

Testo: Pierre Louÿs

La chevelure - Assez lent, très expressif et passionnément concentré (sol bemolle maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: giugno 1897 - agosto 1898
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 marzo 1900
Edizione: Fromont, 1899

97 n. 3 (90 n. 3) 1897 - 1898

3. Le tombeau des Naìades


Cant0 per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=_uIWhuht3VM

Testo: Pierre Louÿs

Le tombeau des Naìades - Très lent (fa diesis minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: giugno 1897 - agosto 1898
Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 17 marzo 1900
Edizione: Fromont, 1899

101 (94) 1898


Nuits blanches
Due canti per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=Va_NLCAwPR0

101 n. 1 (94 n. 1) 1898

1. Nuits sans fin


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=_pMZIp2u4FU

https://www.youtube.com/watch?v=gLypcPbBmPI

Testo: Claude Debussy

Nuits sans fin

Organico: voce, pianoforte


Composizione: maggio - settembre 1898
Prima esecuzione: Parigi, Radio-France, 18 ottobre 1991 Edizione: Durand, Parigi, 2000

101 n. 2 (94 n. 2) 1898

2. Lorsqu'elle est entrée


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=nFXcHyShGg8

https://www.youtube.com/watch?v=2a0_bhehMHU

Testo: Claude Debussy

Lorsqu'elle est entrée

Organico: voce, pianoforte


Composizione: maggio - settembre 1898
Prima esecuzione: Parigi, Radio-France, 18 ottobre 1991 Edizione: Durand, Parigi, 2000

107 (78) 1903

Dans le jardin
Canto in do diesis minore per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=mGxyT-uL9fs

Testo: Paul Gravollet


Organico: voce, pianoforte
Composizione: maggio 1903
Edizione: Hamelle, Parigi, 1905

114 (104) 1904

Fètes galantes
Canti per voce e pianoforte - Seconda serie

https://www.youtube.com/watch?v=KXMMVJcpcvE

114 n. 1 (104 n. 1) 1904

1. Les ingénus
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=ayOmG4n3irQ

Testo: Paul Verlaine

Les ingénus - Modéré (atonale)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1904
Prima esecuzione privata: Parigi, abitazione di Madame Colonne, 23 giugno 1904
Prima esecuzione pubblica: Parigi, Concerts Durand, 12 marzo 1912
Edizione: Durand, Parigi, 1904
Dedica: Emma Bardac

114 n. 2 (104 n. 2) 1904

2. Le faune
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=Ew9hk76DoMI

Testo: Paul Verlaine

Le faune - Andantino - Tempo rubato (re minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1904
Prima esecuzione privata: Parigi, abitazione di Madame Colonne, 23 giugno 1904
Prima esecuzione pubblica: Parigi, Concerts Durand, 12 marzo 1912
Edizione: Durand, Parigi, 1904
Dedica: Emma Bardac
114 n. 3 (104 n. 3) 1904

3. Colloque sentimental
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=rwQIp2iXJKc

Testo: Paul Verlaine

Colloque sentimental - Triste et lent (la minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1904
Prima esecuzione privata: Parigi, abitazione di Madame Colonne, 23 giugno 1904
Prima esecuzione pubblica: Parigi, Concerts Durand, 12 marzo 1912
Edizione: Durand, Parigi, 1904
Dedica: Emma Bardac

115 (102) 1904

Tre Chansons de France


per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=D4oxPnklscM

115 n. 1 (102 n. 1) 1904

1. Rondel I
per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=LSWWa-y9fnQ

Testo: Charles d'Orléans

Rondel I - Joyeux et animé (si maggiore)

Organico: voce pianoforte


Composizione: 1904
Prima esecuzione: Parigi, Salle des Agriculteurs, 6 febbraio 1906
Edizione: Durand, Parigi, 1904
Dedica: Mme S. Bardac

115 n. 2 (102 n. 2) 1904

2. La grotte
per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=LwWmaejUCfc

Testo: Triatan Lhermite

La grotte - Très lent et très doux (sol diesis minore)

Organico: voce pianoforte


Composizione: 1904
Prima esecuzione: Parigi, Salle des Agriculteurs, 6 febbraio 1906
Edizione: Durand, Parigi, 1904
Dedica: Mme S. Bardac
Compreso anche in Le Promenoir des deux amants, L 129 (118)

115 n. 3 (102 n. 3) 1904

3. Rondel II
per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=c_ryXQORNF8

Testo: Charles d'Orléans

Rondel II - Très modéré (re minore)

Organico: voce pianoforte


Composizione: 1904
Prima esecuzione: Parigi, Salle des Agriculteurs, 6 febbraio 1906
Edizione: Durand, Parigi, 1904
Dedica: Mme S. Bardac

126 (119) 1910

Trois ballades de Francois Villon


Versione per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=-NhfJCdLS6U

https://www.youtube.com/watch?v=m2ai77e6GbE

Testo: François Villon

Ballade de Villon à s'Amye - Triste et lent, avec une expression où il y a autant d'angoisse que
de regret (fa diesis minore)
Ballade que Villon feit à la requeste de sa mère pour prier Nostre Dame - Très modéré (do
maggiore)
Ballade des femmes de Paris - Alerte et gai (mi maggiore)
Organico: voce, pianoforte
Composizione: maggio 1910
Prima esecuzione: Londra, Aeolian Hall, 18 novembre 1910
Edizione: Durand, Parigi, 1910

Guida all'ascolto (nota 1)

Nelle Trois Ballades de François Villon (1910) il rapporto con il poeta è in un certo senso aggirato,
dissimulato dalla grande distanza temporale che lo separa dal compositore, ma anche da una
profonda identificazione che fa sembrare Debussy il vero soggetto parlante di queste fenomenali
ballate: un compositore maudit che si libera del luogo Comune di poeta impressionista dei suoni.
Inizia qui l'ultimo periodo della sua vita, e la sua penultima raccolta vocale.

Nella Ballade de Villon a s'amye (Ballata di Villon all'amica), l'amarezza e il dolore del poeta per
la falsità dell'amata (la "Marthe" celata in acronimo nella seconda strofa) si manifestano nel
lamento "triste e lento" della mano destra, in ritmo lombardo, e nell'intensa melodia
violoncellistica della sinistra, che poi si abbandona volentieri a quello stesso gesto di sconforto. La
voce ha un crescendo quasi raveliano di delusione e rivendicazione che talvolta si fa dolce, talvolta
minaccioso: la constatazione della bellezza di lei che dovrà sfiorire ha un guizzo ironico,
mantenuto anche nel radioso climax in maggiore dell'invocazione al "Prince amoureux".

Nella Ballade que Villon feit à la requeste de sa mère pour prier Nostre Dame (Ballata che Villonf
ece su richiesta della madre per pregare Nostra Signora) il pianoforte assume toni organistici, nel
sapore antico di una quinta vuota di sostegno, per conferire un tono sacrale alla preghiera della
povera donna ignorante con la sua cieca fede: una sottomissione resa perfettamente dal refrain
"voglio vivere e morire in questa fede" con dissonanza non casuale su "vivre". Nel complesso,
come ha scritto Fischer-Dieskau, la musica (che molto dovette influenzare Poulenc) ci fa osservare
la poesia come attraverso la vetrata variopinta d'una cattedrale gotica.

La Ballade des femmes de Paris (Ballata delle parigine), infine, è un unicum nell'opera di
Debussy, quasi una canzone da cabaret resa irresistibile dall'accompagnamento martellato su ritmi
di chitarra, che talvolta si raddolcisce, e che mette in moto una gustosa declamazione e la parata di
donne del mondo. La scena è la Parigi di Villon (versione quattrocentesca della città), salutata con
bravura, nel finale, da un lungo glissando che spazza quasi tutta la tastiera. Come dire: Chapeau!
alle donne di Parigi.

Erik Battaglia
126 n. 1 (119 n. 1) 1910

1. Ballade de Villon à s'Amye


Versione per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=gNuGbliE7UM

Testo: Francois Villon


Ballade de Villon à s'Amye - Triste et lent, avec une expression où il y a autant d'angoisse que
de regret (fa diesis minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: maggio 1910
Prima esecuzione: Londra, Aeolian Hall, 18 novembre 1910
Edizione: Durand, Parigi, 1910
Orchestrato da Debussy nel 1910

126 n. 2 (119 n. 2) 1910

2. Ballade que Villon feit à la requeste de sa mère pour prier Nostre Dame
Versione per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=WDSoXJv0Gk0

Testo: Francois Villon

Ballade que Villon feit à la requeste de sa mère pour prier Nostre Dame - Très modéré (do
maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: maggio 1910
Prima esecuzione: Londra, Aeolian Hall, 18 novembre 1910
Edizione: Durand, Parigi, 1910
Orchestrato da Debussy nel 1910

126 n. 3 (119 n. 3) 1910

3. Ballade des femmes de Paris


Versione per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=zGlD2afemBk

Testo: Francois Villon

Ballade des femmes de Paris - Alerte et gai (mi maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: maggio 1910
Prima esecuzione: Londra, Aeolian Hall, 18 novembre 1910
Edizione: Durand, Parigi, 1910
Orchestrato da Debussy nel 1910

129 (118) 1904 - 1910


Le promenoir des deux amants
Canti per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=yTO-3x96drU

https://www.youtube.com/watch?v=l9mnJxWkcz4

129 n. 1 (118 n. 1) 1904

1. La grotte
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=LwJr8IE0HDM

Testo: Tristan Lhermite

La grotte
stesso testo di 115 (102) n. 2

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1904
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 14 gennaio 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1910
Dedica: Emma Debussy

129 n. 2 (118 n. 2) 1910

2. Crois mon conseil


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=araWkW4Hpnc

Testo: Tristan Lhermite

Crois mon conseil - Très modéré (si minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1910
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 14 gennaio 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1910
Dedica: Emma Debussy

129 n. 3 (118 n. 3) 1910

3. Je tremble en voyant ton visage


Canto per voce e pianoforte
https://www.youtube.com/watch?v=sUZqBCchwis
Testo: Tristan Lhermite

Je tremble en voyant ton visage - Rêveusement lent (re bemolle maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: 1910
Prima esecuzione: Parigi, Salle Érard, 14 gennaio 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1910
Dedica: Emma Debussy

135 (127) 1913

Trois Poèmes de Stéphane Mallarmé


Canti per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=hlRtD1LC8vQ

https://www.youtube.com/watch?v=qcoWoOkShJ8

135 n. 1 (127 n. 1) 1913

1. Soupir
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=JPMarSpjm38

Testo: Stéphane Mallarmé

Soupir - Calme et expressif (la bemolle maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: Estate 1913
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 21 marzo 1914
Edizione: Durand, Parigi, 1913
Dedica: alla memoria di St. Mallarmé e in omaggio a Mme Bonniot nata Mallarmé

135 n. 2 (127 n. 2) 1913

2. Placet futile
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=ST-kBGAYevs

Testo: Stéphane Mallarmé

Placet futile - Dans un mouvement de menuet lent (sol minore)


Organico: voce, pianoforte
Composizione: Estate 1913
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 21 marzo 1914
Edizione: Durand, Parigi, 1913
Dedica: alla memoria di St. Mallarmé e in omaggio a Mme Bonniot nata Mallarmé

135 n. 3 (127 n. 3) 1913

3. Évantail
Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=sBZqR_Ikn9M

Testo: Stéphane Mallarmé

Évantail - Scherzando - délicat et léger (atonale)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: Estate 1913
Prima esecuzione: Parigi, Salle Gaveau, 21 marzo 1914
Edizione: Durand, Parigi, 1913
Dedica: alla memoria di St. Mallarmé e in omaggio a Mme Bonniot nata Mallarmé

147 (139) 1915

Noël des enfants qui n'ont plus de maison


Canto per voce e pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=aEbmO7A99Bk

Testo: proprio

Doux et triste (la minore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: dicembre 1915
Prima esecuzione: Ginevra, Casino St-Pierre, 9 marzo 1916
Edizione: Durand, 1916

Musica per il teatro

48 (51) 1883 - 1885

Diane au bois
Commedia eroica
Frammento per soprano, tenore e pianoforte
Testo: Théodore de Banville
Organico: soprano, tenore, pianoforte
Composizione: 1883 - 1884, poi Roma 1885
Edizione: inedito
Scritto per il Prix de Rome è rimasto incompiuto

80 (72) 1890 - 1892

Rodrigue et Chimène
Opera in tre atti

https://www.youtube.com/watch?v=6RguXiKKYyw

https://www.youtube.com/watch?v=6RguXiKKYyw

https://www.youtube.com/watch?v=T_ZTBSFOv-s

https://www.youtube.com/watch?v=2C2tb8a9j7w

https://www.youtube.com/watch?v=0X9Ad2xYpQQ

https://www.youtube.com/watch?v=q5XgXfhD9bc

https://www.youtube.com/watch?v=rig9xzqCc4I

https://www.youtube.com/watch?v=Wk0U4Syyzb8

https://www.youtube.com/watch?v=fOenYhsoYmU

https://www.youtube.com/watch?v=qnGdiJdnVpk

Libretto: Catulle Mendès


Edizione: Durand, Parigi, 2003
Incompiuta, (particella, atto I non completo)

93 (88) 1893 - 1902

Pelléas et Mélisande
Drame lyrique in 5 atti e dodici quadri

https://www.youtube.com/watch?v=gHSKXZpZWCk

https://www.youtube.com/watch?v=CQ4rkSykjn4

https://www.youtube.com/watch?v=lc7h0BLCBQk
https://www.youtube.com/watch?v=o2HrqwodAfo

https://www.youtube.com/watch?v=hg6ngxXX2bc

Libretto: Maurice Maeterlinck

Personaggi:

Pelléas, nipote d'Arkel (tenore)


Golaud, suo fratellastro (baritono)
Arkël, re d'Allemonde (basso)
il piccolo Yniold, figlio di primo letto di Golaud (soprano)
un medico (baritono)
Mélisande (soprano)
Geneviève, madre di Golaud e Pelléas (mezzosporano)
servi, poveri

Organico: 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 3 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni,
basso tuba, timpani, archi
Composizione: Parigi, 15 agosto 1895
Prima esecuzione: Parigi, Opéra-Comique, 30 aprile 1902
Edizione: Fromont, Parigi, 1902
Dedica: alla memoria di Georges Hartmann e a André Messager

Introduzione (nota 1)

L'unico dramma musicale portato a compimento da Debussy segna l'apertura del nuovo secolo e
inaugura, con un profondo mutamento di stile e di linguaggio, il teatro lirico del Novecento. Per
poter pervenire a un modello d'opera così nuovo e rivoluzionario, l'autore dovette lavorarvi per
ben dieci anni, a partire dal suo primo incontro col dramma in prosa di Maurice Maeterlinck,
alfiere del simbolismo letterario. Debussy acquistò il testo casualmente nell'estate del 1892,
quando il dramma era ancor fresco di stampa; la lettura lo lasciò profondamente impressionato, ma
fu la visione di Pelléas sulle scene dei Bouffes-Parisiens l'anno successivo che lo convinse a
metterlo in musica. In effetti, quel testo corrispondeva esattamente a ciò che Debussy da tempo
stava cercando: un dramma che si allontanasse dai modelli correnti di teatro borghese (ad esempio
le pièces di successo d'un Sardou) e tanto di più dagli argomenti letterari e fantastici cari ai
musicisti suoi contemporanei, più o meno influenzati dal teatro wagneriano. Già in una
dichiarazione del 1889, raccolta da Maurice Emmanuel, Debussy sosteneva che il poeta dei suoi
sogni avrebbe dovuto essere quello che «disant le choses à demi, me permettra de greffer mon
rêve sur le sien», quel poeta che concepirà dei personaggi la cui storia e il cui ambiente non
apparterranno ad alcun tempo e ad alcun luogo. Dunque con Pelléas le sue aspirazioni si trovavano
improvvisamente realizzate, grazie a un testo che fa della reticenza, del mistero, della lontananza
dalla storia la radice principale della sua poetica. Il musicista chiese a Maeterlinck l'autorizzazione
a mettere in musica il suo dramma, e la ottenne senza problemi. Le difficoltà sorsero più tardi,
quando Maeterlinck cercò d'imporre a Debussy, come interprete principale, sua moglie Georgette
Leblanc. Debussy si rifiutò, e lo scrittore dichiarò allora pubblicamente di essere del tutto estraneo
al progetto musicale di Pelléas et Mélisande, e di augurarsi il suo fiasco totale. Al tempo di questi
contrasti, comunque, l'opera era ormi terminata, ma solo dopo un lavoro lento e certosino, che fece
meditare a Debussy, nell'arco di un intero decennio, parola su parola e battuta su battuta. Nel
gennaio del 1894, il musicista scriveva all'amico e collega Ernest Chausson: «Ho passato intere
giornate a inseguire quel «niente» di cui è fatta Mélisande, e talvolta mi mancava persino il
coraggio di raccontarvelo. Non se vi siete mai addormentato, come me, con una vaga voglia di
piangere, come se non si fosse potuto vedere durante la giornata una persona amatissima. Adesso è
Arkël a tormentarmi: questi è un personaggio d'oltretomba e ha quella tenerezza disinteressata e
profetica propria di chi sparirà tra breve. E tutto questo va detto con do, re, mi, fa, sol, la, si, do!!!
Che mestiere!». La scelta più significativa di Debussy rispetto al testo letterario fu quella di non
adattarlo a libretto ma di mantenere l'originale scrittura in prosa, limitandosi a tagliare alcune
scene, sia per motivi di carattere estetico sia per ovvie ragioni di durata dell'opera. I tagli
costituiscono, nella loro acuta intelligenza, un sensibile miglioramento al dramma di Maeterlinck,
che rimane tuttavia pressoché integro nella lettera. Pertanto, Debussy fu il primo compositore a
mettere in musica un testo teatrale preesistente così com'era stato scritto, scelta che si rivelò
ancora una volta rivoluzionaria e che aprì la strada a un nuovo modo d'intendere il rapporto fra
teatro di prosa e teatro musicale. I primi frutti di quella scelta si potranno già osservare nella
Salome di Richard Strauss, rappresentata nel 1905 (soltanto tre anni dopo Pelléas), dove anche il
musicista bavarese si attenne fedelmente alla tragedia di Oscar Wilde, limitandosi a farla tradurre
in tedesco da Hedwig Lachmann. La fedeltà alla prosa francese di Maeterlinck obbligò Debussy a
inventare un modello originale di declamato lirico, capace in tutto di rispettare la prosodia del
testo, con il risultato di dar vita a un'intonazione estremamente scorrevole e 'parlante', ma ricca
d'incredibili sfumature espressive. Nel tracciare questo nuovissimo stile vocale, il musicista fece
tesoro delle sue mélodies per voce e pianoforte, che negli anni immediatamente precedenti la
gestazione di Pelléas, in particolare nel 1893, si aprono a uno sperimentalismo determinante per il
linguaggio dell'opera futura: è il caso delle Proses lyriques, titolo già di per sé significativo (i testi
sono dello stesso musicista), e delle Chansons de Bilitis (1897-98) su testi dell'amico Pierre
Louys, nelle quali già par d'intendere la voce di Mélisande (non è certo un caso se la seconda di
quelle Chansons, porta il titolo La Chevelure). Si giunse finalmente, tra mille problemi e
contrattempi, alla prova generale, fissata all'Opéra-Comique per il 28 aprile 1902, in un clima
surriscaldato dall'attesa e dai pregiudizi che erano dilagati nella Parigi dei frequentatori dei teatri e
degli artisti, grazie anche alle polemiche scatenate all'ultimo momento da Maeterlinck, che si era
spinto fino al punto di sfidare a duello il compositore. All'ingresso del teatro venne distribuito un
falso programma di sala, pieno di ironie sulla vicenda e di grevi doppi sensi (fu allora che nacque
il calembour - tuttora popolarissimo - «Pédéraste et Médisante»). Alle prime sortite di Mélisande
la gente già rideva di gusto, riso che si trasformò in sghignazzo quando la protagonista dice a
bassa voce «Non sono felice», al che immediatamente il loggione replicò: «Neppure noi!». Solo
pochi restarono fino al termine dello spettacolo per applaudire Debussy, e fra questi Valéry,
Mirbeau e Régnier. Alla première vera e propria si formarono invece due partiti contrapposti, e i
difensori di Pelléas, incarnati dal gruppo degli «Apaches» che comprendeva anche il giovane
Ravel, riuscirono a zittire i molti spettatori di fede wagneriana intenzionati a far cadere l'opera.
Invece, a partire dalle prime repliche, Pelléas riuscì a imporsi, fino a diventare un testo alla moda,
con schiere di accaniti e sacerdotali difensori. André Messager fu il primo direttore d'orchestra
dell'opera, mentre Albert Carré (direttore artistico dell'Opéra-Comique) curò la regia e Lucien
Jusseaume le scene e i costumi; questo allestimento fu utilizzato fino al 1927 e poi ripreso anche a
partire dagli anni Cinquanta, grazie alla ricostruzione di Deshays. La prima Mélisande fu il celebre
soprano Mary Garden, una scozzese destinata a divenire uno dei miti vocali d'inizio secolo («Non
posso concepire timbro più dolcemente insinuante», dichiarava Debussy a proposito della sua
avvenente prima protagonista). Pelléas fu Jean Périer e Hector Dufrane vestì per primo i panni di
Golaud. Da allora, l'opera ha avuto in tutto il mondo allestimenti importantissimi, ed è stata
affrontata dai più grandi direttori d'orchestra del secolo: in Francia, gli eredi più autorevoli di
Messager furono Désiré-Emile Inghelbrecht, Albert Wolff, Roger Desormière (autore nel 1942
d'una fondamentale registrazione in disco dell'opera, con i suoi più celebrati interpreti vocali,
Jacques Jansen e Irène Joachim), Ernest Ansermet, André Cluytens, Jean Fournet e Manuel
Rosenthal. La prima italiana fu data alla Scala il 2 aprile 1908, per merito di Arturo Toscanini che
ne fu anche il direttore (un'altra celebre rappresentazione, sempre sotto la sua bacchetta, e con
regia di Giovacchino Forzano, fu realizzata alla Scala nel 1925). Tra gli altri grandi interpreti di
Pelléas nel tempio lirico milanese si ricordano Victor de Sabata (1949 e 1953), Georges Prêtre
(1973) con la fascinosa messa in scena di Gian Carlo Menotti e Rouben Ter-Arutunian, e
soprattutto Claudio Abbado, la cui incandescente lettura è da considerare uno dei vertici assoluti
nella recente storia esecutiva dell'opera di Debussy: il meraviglioso allestimento di Antoine Vitez,
con scene e costumi di Yannis Kokkos, fu presentato nel 1986, e poi riproposto alla Staatsoper di
Vienna. Tra le altre produzioni di Pelléas si distinguono quella affidata a Pierre Boulez dal Covent
Garden di Londra nel 1969: si trattò di una rilettura radicale, che cancellava i toni flou e il
monotono simbolismo della tradizione francese, per consegnare l'opera a un «teatro della paura e
della crudeltà» di matrice strindberghiana. Boulez ha affrontato di nuovo Pelléas nel 1992 alla
Welsh National Opera di Cardiff, in occasione di una messa in scena stilizzatissima firmata da
Peter Stein; a distanza di quasi un quarto di secolo, la lettura del grande compositore-direttore
francese è tornata parzialmente nel solco della tradizione, con un evidente smussamento delle
asperità e del taglio drammatico assai più consono alla poesia del mistero debussyano. Infine, fra
gli altri grandi interpreti di Pelléas si deve menzionare Herbert von Karajan, che ha spostato
interamente l'attenzione sull'orchestra, ottenendo sonorità impalpabili e una collocazione fiabesca
del dramma di marca squisitamente estetizzante.

Sinossi

Atto I. - Scena I. Una foresta nel fantastico regno d'Allemonde. Golaud, nipote del re Arkèl, si è
(smarrito in una fitta foresta e qui incontra, ai bordi una fontana, una misteriosa fanciulla, che
afferma di essere fuggita da una terra lontana e di chiamarsi Mélisande; all'invito di lui, di recarsi
alla reggia, essa, come trasognata, segue i suoi passi.

Atto I. - Scena II. Una stanza del castello. Golaud teme l'opposizione del sovrano al suo proposito
di sposare Mélisande; ma sarà il fratellastro Pelléas,accendendo una fiaccola sulla torre più alta del
Castello, a comunicargli l'assenso di Arkèl.

Atto I. - Scena III. Mélisande frattanto non riesce il dissimulare la tristezza che la opprime; si
confida con Geneviève, madre di Golaud, che cerca di rasserenarla e l'affida a Pelléas con il quale
andrà il vegliare Yniold, il figlio adolescente che Golaud ha avuto dalla prima moglie.

Atto II. - Scena I. Una fontana nel parco del castello. Pelléas e Mélisande si avvicinano ad una
fontana e la fanciulla ricorda l'incontro con Golaud che oggi è suo sposo. Lancia poi in aria
l'anello nuziale, che scivola nell'acqua; il dono del marito non potrà più essere recuperato.

Atto II - Scena II. Golaud giace ferito nel suo letto in seguito ad una caduta da cavallo; è assistito
amorevolmente dalla giovane sposa, che improvvisamente scoppia in lacrime. Golaud l'attira
dolcemente a sé e così si accorge che al suo dito manca l'anello. Alle domande di lui Mélisande
afferma di averlo smarrito sulla riva del mare ed accetta l'invito a tentare di recuperarlo, facendosi
però, data l'ora tarda, accompagnare da Pelléas.

Atto II. - Scena III. I due giovani, alla ricerca dell'anello, si ritrovalo all'ingresso di una grotta, al
cui interno scorgono tre mendicanti addormentati; Mélisande resta fortemente impressionata e si
allontana sconvolta.

Atto III. - Scena I. Ad una finestra del castello Mélisande si intrattiene con Pelléas; ella sta
ravviando i suoi biondi e lunghi capelli che improvvisamente si riversano e si avvolgono intorno a
Pelléas, che li afferra e li sfiora con le labbra. Sopraggiunge Golaud; rimprovera i due per l'atto
infantile compiuto e poi si allontana turbato ed in preda a foschi pensieri.

Atto III. - Scena II. I sotterranei del castello. Pelléas avverte nel suo animo un indefinibile senso di
angoscia sin quando, nei sotterranei, si trova in pericolo di precipitare nell'acqua cupa e stagnante
e viene trattenuto da Golaud.

Atto III. - Scena III. Una terrazza. Golaud, il quale comincia a nutrire più di un sospetto, avverte
Pelléas che Mélisande sarà presto madre e che anche la più piccola emozione potrebbe nuocerle.

Atto III. - Scena IV. La gelosia ora si impadronisce dell'animo di Golaud, che chiama a sé Yniold
per conoscere da lui la verità; ed il fanciullo rivela che spesso Pelléas e Mélisande si trovano
insieme e che un giorno, durante un violento uragano, vide i loro volti sfiorarsi. Anche ora,
sforzando lo sguardo, scorge Pelléas nella stanza di Mélisande: entrambi, come trasognati si
volgono verso la luce.

Atto IV. - Scena I. Pelléas sta per intraprendere un lungo viaggio e Mélisande accoglie il suo
desiderio di incontrarla un'ultima volta; Golaud frattanto, convinto ormai della colpevolezza della
sposa, l'afferra per il lunghi capelli e la getta a terra. Il re Arkél accorre in aiuto di Mélisande e le
chiede se il nipote sia ebbro. "No. Ma non mi ama più", risponde la donna.

Atto IV. - Scena II. Una fontana nel parco. Yniold cerca una biglia d'oro che ha perduto; il
passaggio di un gregge e del pastore lo mette in angoscia. Mélisande si avvia all'incontro con
Pelléas, nel parco; e qui i due vengono sorpresi da Golaud che, con la spada in pugno, si precipita
su Pelléas, colpendolo a morte. Egli si avventa poi su Mélisande che, sebbene ferita, riesce a
fuggire verso la vicina foresta.

Atto V. - Una camera nel castello. Mélisande, nella sua stanza, si risveglia da un sonno profondo;
la lieve ferita, ma ancora più la recente maternità, l'hanno oltremodo spossata. Non risponde alle
ripetute richieste di Golaud, che vuol sapere se vi fu colpa nel suo legame con Pelléas; comincia
poi a delirare ed a piangere, quindi si spegne dolcemente. Accanto ad essa Golaud turba con i suoi
singhiozzi soffocati il silenzio della morte.

Commento

La lunga gestazione di Pelléas ha tra le sue cause molteplici un rovello particolare e costante per
Debussy: evitare il più possibile di cadere nella tentazione wagneriana e, peggio, di far
assomigliare la sua opera a un Tristano e Isotta francese. Il rapporto di Debussy con Wagner è
infatti un tipico esempio di rapporto di amore-odio. Se da un lato le prese di posizione del
musicista sono più o meno tutte di natura polemica (se non sarcastica) nei confronti del
Gesamtkunstwerk wagneriano, nondimeno la sua formazione e la sua squisita sensibilità estetica
non potevano non ammirare, e profondamente, il genio di Bayreuth. Così, se Pelléas si allontana
dal dramma musicale wagneriano per la scelta di un testo in prosa e per la conseguente
rigenerazione del canto sulla prosodia e sul tono di conversazione («Au théâtre de musique on
chante trop», sosteneva Debussy già nel 1889), d'altra parte Debussy fece suo il sistema dei motivi
conduttori, spostando però il loro luogo deputato di raccordo psicologico e architettonico alla sola
orchestra. A differenza di ciò che accade in Wagner, le voci di Pelléas non fanno mai proprio uno
dei tanti temi coi quali è intessuta la partitura. Quanto grande poi sia il debito - criticamente
rivissuto - di Debussy nei confronti di Wagner è straordinariamente evidente fin dalla prima
apparizione del tema di Golaud, modellato fin quasi al calco sulla Verwandlungsmusik del primo
atto di Parsifal, che nel canone wagneriano fu certo il testo più amato e studiato dal musicista
francese. Se l'architettura musicale dell'opera risente di un wagnerismo depurato d'ogni enfasi
epica e filosofica, e ricondotto a nudo sistema di costruzione motivica, la ricchezza timbrica di
Pelléas e il nuovissimo modellato parlante delle linee vocali sono figli piuttosto della conoscenza
dell'opera di Musorgskij. Debussy aveva fatto il suo primo incontro con la partitura di Boris
Godunov nel 1889, e le sue conoscenze della scuola nazionale russa si ampliarono sensibilmente
nel 1896, in occasione di alcune conferenze parigine di Pierre d'Alheim e Marie Olenin. Alla
vigilia di Pelléas, nel 1901, Debussy fece uscire un articolo sulla 'Revue blanche' in cui esaltava
senza riserve la grandezza del ciclo di liriche musorgskiano La camera dei bambini: «Personne n'a
parlé à ce qu'il y a de meilleur en nous avec un accent plus tendre et plus profond». Senza
l'assimilazione del canto prosodico di Musorgskij, la vocalità di Pelléas sarebbe stata certo assai
diversa. Lo stesso si può dire per l'armonia, con i suoi modalismi, e per la strumentazione, che in
certi casi giunge fino a citare alla lettera il capolavoro teatrale del compositore russo: si veda, per
esempio, l'Interludio sinfonico tra la prima e la seconda scena del primo atto, immediatamente
avanti la lettura della lettera di Pelléas da parte di Geneviève, dove Debussy ricalca genialmente
l'accompagnamento orchestrale sulla prima scena di Pimen nel primo atto del Boris. Tuttavia, se
un'assimilazione critica dei linguaggi di Wagner e Musorgskij è fra le matrici innegabili di Pelléas,
pure la grande portata della rivoluzione stilistica e lessicale di quest'opera è frutto principalmente
del suo autore, che già nel Prélude à l'après-midi d'un faune del 1892-94 aveva perfettamente
mostrato un'indipendenza assoluta, nell'armonia come nella melodia, sia rispetto al linguaggio
accademico sia rispetto alle esasperazioni cromatiche di marca wagneriana tanto care a tutti i suoi
contemporanei francesi, Franck in testa. Gli «accordi incompleti, fluttuanti» che la sua anarchia
armonica consegnerà maturati alla scrittura di Pelléas sono senza dubbio alcuno la cifra più
personale di questo padre della musica moderna, nume tutelare di tutto il Novecento. Su quella
base armonica innovativa e sospesa, l'orchestra si fa carico del difficile compito di unire le brevi
scene di un testo che rinuncia all'unità di tempo distribuendo l'azione in una regione del sogno e
dell'indeterminato, assai pericolosa per l'efficacia drammatica. La scommessa fu vinta a usura,
perché l'unità di Pelléas et Mélisande è garantita anche dalla sfaccettatura espressiva, sempre
appannaggio dell'orchestra, dei personaggi che vi agiscono, appena tratteggiati da Maeterlinck e
resi invece vivi, commoventi, da Debussy: laddove il dramma è fatto spesso di silenzi e reticenze,
di mistero fin troppo didascalicamente simbolista, il musicista riesce col solo ausilio di una
preziosa e palpitante cornice sonora a rendere credibili le silhouettes quasi fantasmatiche che
mette in scena. D'altronde, solo la superficie di Pelléas appartiene al mondo poetico di
Maeterlinck: la sostanza profonda dell'opera è alimentata dalla lettura di Edgar Allan Poe, autore
carissimo a Debussy, e in particolare da The Fall of the House of Usher, che qualche anno più tardi
il musicista tenterà anche di trasformare in opera (La Chute de la maison Usher). I dettami di
ambiguità, di indefinitezza propri all'ambiente simbolista si caricano quindi nella partitura
debussyana dei misteri dell'inconscio, del morboso, dell'incubo. In tempi recenti, una lettura del
capolavoro lirico di Debussy in questa chiave ha finalmente permesso il superamento di
quell'immagine monotona e vaga che la tradizione interpretativa aveva fatto vivere per quasi
settant'anni dalla prima. Il merito della 'riscoperta' di ciò che di turbato e crudele informa la
musica di Pelléas deve essere attribuito specialmente a Pierre Boulez, che è stato, oltre che
direttore di due interpretazioni capitali dell'opera in teatro e in disco, anche acutissimo esegeta
della scrittura e dei contenuti di Pelléas. Come accade per tutte le più grandi opere d'arte, si può
dire che anche per Pelléas sia da poco iniziata una nuova giovinezza, all'insegna di una radicale
riconsiderazione dei suoi valori stilistici e poetici, che parte proprio dalla sottolineatura degli
elementi legati più a Poe che a Maeterlinck e a tutta la tradizione simbolista, dalla quale -
impossibile trascurarlo - Debussy comunque deriva, ma in cui tuttavia non si può circoscrivere il
suo lavoro. L'indivisibile complementarità di simbolo e inconscio fa di questo testo anti-operistico,
anti-realistico, anti-effettistico e anti-eroico (Nicolodi) una pietra miliare e un punto di partenza
nella complessa evoluzione del teatro musicale contemporaneo.

Alberto Batisti

Guida all'ascolto (nota 2)

«Pelléas et Mélisande», l'unica opera compiuta da Claude Debussy, è, in ogni senso, un'opera
unica. Al suo apparire, nel 1902, sembrò sfidare ogni portato della tradizione, mentre in realtà
portava al più alto compimento quell'ideale del recitar cantando che aveva presieduto alla stessa
nascita dell'opera in musica nella Firenze cinquecentesca della Camerata dei Bardi. Cosi come
nell'atto stesso in cui si poneva come intenzionale reazione contro l'esperienza drammatico-
musicale più attuale che l'aveva immediatamente preceduto, Debussy nel suo «Pelléas» metteva a
frutto, anche se in termini personalissimi, proprio l'esperienza delle sostanziali innovazioni
musicali di Wagner. Dolcemente rivoluzionario, teneramente eversivo il capolavoro di Debussy
assunse ben presto sapore clasisco e apparve come un modello che tuttavia nessuno riuscì mai ad
imitare o a seguire. Nemmeno lo stesso autore, il quale ebbe a confessare scherzosamente che
piuttosto che fare del «debussysmo», rifacendosi cioè al suo lavoro più tipico, avrebbe preferito di
«piantare l'ananas» nel giardino della sua propria casa. E non scrisse più nessun'altra opera, pur
avendone il costante desiderio e pur avendo nutrito non pochi progetti teatrali. Come s'è detto,
«Pelléas et Mélisande» nacque sotto il segno dell'antiwagnerismo, ma nonostante ogni apparenza
diversa, si può sostenere che il «dramma lirico» di Debussy prese corpo tanto contro Wagner
quanto grazie a Wagner. Il primo, decisivo impatto wagneriano, Debussy lo subì allo scadere dei
suoi dìciott'anni. Precisamente nel 1880 quando, accompagnando la signora Nadejda von Meck a
Vienna (la mecenate egeria di Ciaikovski aveva ingaggiato il giovane Debussy come suo pianista
personale) vi assistette ad una rappresentazione di «Tristano e Isotta», ricevendone una profonda,
indelebile impressione. Nel 1888 e nel 1889 doveva compiere poi due pellegrinaggi a Bayreuth
entusiasmandosi per «I Maestri Cantori» e per il «Parsifal». All'antusiasmo si accompagnano però
immediatamente le reazioni critiche. Ne resta una testimonianza quanto mai significativa negli
«Entretiens inédits d'Ernest Guiraud et de Claude Debussy» che il suo compagno e amico Maurice
Emmanuel aveva annotato fedelmente nel 1889-1890, ma che furono pubblicati solo nel 1943 da
Arthur Hoérée nella Collection Comedia-Charpentier. Con Ernest Guiraud Debussy aveva
compiuto gli studi di composizione presso il Conservatorio di Parigi e nutriva stima ed affetto per
colui che tra i suoi maestri era stato il più comprensivo ed illuminato. Era dunque con Guiraud che
egli voleva confidarsi e scambiare idee ed impressioni sulla sconvolgente esperienza vissuta a
Bayreuth. Debussy dichiara di amare Wagner. Non però come un modello da imitare. Piuttosto
come un classico da continuare, superandone le posizioni estetiche anche mediante una decisa
reazione. Al diciottenne Debussy Wagner appare come un «classico», come un compositore che
rientra nella tradizione perché si limita ad usare il modo maggiore e il modo minore. Perché non
lascia gli accordi senza risolverli. Perché non esce dal chiuso delle tonalità vicine. Perché
«"sviluppa" come i classici. Al posto dei temi costitutivi della sinfonia collocati nei punti
predeterminati egli usa dei temi che rappresentano "della gente o delle cose", ma egli sviluppa
questi temi come quelli di una sinfonia. Bach, Beethoven l'hanno formato: lo provano "Tristano",
"I Maestri Cantori". Senza parlare dell'orchestra che anch'essa rappresenta un "proseguimento e un
ingrandidimento" dell'orchestra classica». Per quanto concerne il cromatismo di Wagner, Debussy
ritiene che l'autore del «Tristano» «non usa nemmeno quello della scala dei dodici semitoni
temperati offerti dalla tastiera del pianoforte e che resta da sfruttare. Egli rimane tributario del
maggiore e del minore diatonici. Non ne esce...». E, anticipando con rivoluzionaria audacia i futuri
sviluppi della propria musica e di quella europa del Novecento, Debussy esclama: «... basta con la
fede nel "do re mi fa sol la si do"; bisogna "dargli della compagnia"». Con i 24 semitomi
(bemollizzati e diesizzati) della nostra ottava «si possono fabbricare le scale più diverse». «La
musica non è né maggiore né minore... bisogna mescolare terze maggiori e terze minori... bisogna
annegare le tonalità. Allora si arriva dove si vuole, si esce dalla porta che si vuole. Donde
allargamento, del terreno. E sfumature». Guiraud non condivide l'intento del giovane ribelle di
usare accordi incompleti, non risolti, successioni di quinte vuote e ottave parallele. Trova che
alcune delle audacie di Debussy, sebbene «carine» sono «teoricamente assurde». Debussy ribatte
«Me ne f...» «Non esiste la teoria: basta sentire. Il piacere è la regola. Per quanto riguarda la
concezione di Wagner e le sue innovazioni nel trattare le voci, Debussy non le nega, ma le
qualifica come «esteriori» e non abbastanza «avanzate» e radicali. Per lui Wagner tende ad
accostarsi alla parola parlata; o piuttosto tende ad avvicinarsi ad essa, pur trattando le voci assai
«vocalmente». Egli ha un modo di declamare che non è né il recitativo all'italiana, né l'aria lirica.
Egli sovrappone le parole ad un discorso sinfonico continuo, pur subordinando questo discorso
sinfonico alle parole. Ma non abbastanza, tuttavia. Le sue opere non realizzano che in parte i
principi da lui proclamati al riguardo di tale necessaria subordinazione. Egli manca d'audacia, per
applicarli. Egli ha troppa precisione e minuzia; non lascia spazio ad alcun sottinteso. Tutto ciò è
molto commovente, ma anche molto compatto... e canta troppo. Bisogna cantare soltanto a tratti.
Guiraud suggerisce allora per Debussy la qualifica di «wagneriano liberale» e il giovane replica:
«non sono tentato di imitare ciò che amo in Wagner. Concepisco una forma drammatica diversa: la
musica vi finisce là dove la parola finisce. La musica è fatta per l'inesprimile. Vorrei che avesse
l'aria di uscire dall'ombra e che a tratti vi rientrasse. Che fosse sempre discreta». E al quesito: «chi
potrà essere il vostro poeta?» Debussy risponde: «colui che dicendo le cose a metà, mi permetterà
di unire il mio sogno ai suo; che concepirà dei personaggi la cui storia e abitazione non saranno di
nessun tempo e di nesun luogo; che non m'imporrà despoticamente la «scena da fare» e mi lascerà
libero. Ma egli non tema! Non seguirò gli errori del teatro lirico dove la musica predomina
insolentemente; dove la poesia è relegata e passa in secondo piano, soffocata da un rivestimento
musicale troppo pesante. Nel teatro musicale si canta troppo. Bisognerebbe cantare quando ne vale
la pena e riservarsi gli accenti patetici. Ci vogliono differenze nell'energia e nell'espressione. A
tratti è necessario dipingere per chiaroscuri e contentarsi di una «grisaglie»... nulla deve rallentare
il procedere dei dramma: ogni sviluppo non richiesto dalle parole è un errore. Senza considerare
che uno sviluppo musicale anche se appena prolungato, non è idoneo ad associarsi alla mobilità
delle parole... io sogno dei poemi che non mi condannino a realizzare atti lunghi e pesanti; che mi
forniscano scene mobili, diverse nei luoghi e nei caratteri; dove i personaggi non discutono, ma
subiscono la vita e la sorte».

Ben presto Debussy doveva incontrare il poeta e il poema che sognava e che gli erano predestinati.
Passeggiando lungo un boulevard parigino durante una sera dell'estate 1892, Debussy scorse nella
vetrina d'una libreria il piccolo volume del poeta belga Maurice Maeterlinck che l'editore
Lacomblez aveva pubblicato nel maggio dello stesso anno 1892. Lo comprò, lo lesse e lo rilesse e
ne rimase conquistato. Delle idee musicali gli si affacciarono spontaneamente (prima fra tutte
quella che nella quarta scena dell'atto quarto si associa alle parole rivolte da Pelléas a Mélisande
durante il loro ultimo incontro: «On dirait que ta voix a passé sur la mer au printemps!»). Debussy
decise subito d'iniziare la composizione del «Pelléas» e non esitò a troncare il lavoro all'opera
«Rodrigue et Chimène» su libretto di Catulle Mendés iniziato nel 1890 e quasi completamente
abbozzato. Per non dover dare spiegazioni imbarazzanti e per non urtare la suscettibilità del
potente poeta francese finse un incidente che avrebbe distrutto il manoscritto tra le fiamme di un
incendio. L'abbozzo doveva ricomparire solo dopo la morte di Debussy finendo nelle mani di
Alfred Cortot. L'influsso di Wagner vi traspare nettamente anche se contemperato con elementi
tipicamente francesi riferibili a Gounod e Massenet e a non pochi tratti personali che anticipano
«Pelléas et Mélisande». Con ogni probabilità Debussy aveva intuito però che il mondo poetico
alquanto convenzionale posto in essere da Catulle Mendés non era quello che egli cercava e che
non gli era possibile immedesimarvisi per trovare sé stesso. L'affinità elettiva col mondo di
Maeterlinck gli era apparsa per contro con fulminea immediatezza. Il lavoro del poeta belga
sembra infatti scritto a bella posta per corrispondere ai postulati espressi da Debussy nel suo
dialogo con Guiraud. Infatti i suoi protagonisti vivono, o meglio subiscono la loro vicenda in un
paese indefinito, nel tempo irreale di una favolosa antichità. Non per nulla il nome del regno
immaginario in cui l'azione si svolge presenta lo strano connubio di una parola tedesca con una
parola francese: «Allemonde ». Alle-monde potrebbe significare letteralmente sia «tutto-il-
mondo» che «nessun-mondo» od anche «mondo-finito». Dei protagonisti non si sa niente di
preciso se non che il vecchio re Arkel ha un figlio malato che non si vede mai e non si sa dov'è.
Geneviève, la madre dei due nipoti di Arkel, Golaud e Pelléas, è quasi priva di contorni. Appare
fugacemente nella seconda e nella terza scena del primo atto. Mélisande, una sconosciuta, che non
si sa donde venga, sposa Golaud (il quale l'aveva trovata in una foresta in cui ambedue si erano
perduti), ma ama Pelléas. Golaud, marito geloso, uccide Pelléas e provoca, forse indirettamente,
anche la morte di Mélisande. I protagonisti si perdonano reciprocamente delle colpe che non si sa
se abbiano realmente commesso. Si sa solo che avranno subito «la vita e la sorte» come, dopo di
loro toccherà alla bambina che Mélisande mette alla luce morendo. Esattamente come Debussy
preconizzava. La concezione schopenhaueriana di un mondo «come volontà e rappresentazione»
viene esattamente capovolta. Lungi dal neutralizzarla, Wagner l'aveva miticamente esaltata nel
«Tristano» mediante l'introduzione del motivo del filtro che disinibisce la volontà e porta alla
bruciante luce della coscienza la subconscia, latente, repressa, istintiva volontà d'amore e,
abolendo ogni estrinseco freno inibitorio di ordine morale e sociale, la fa straripare in un atto di
totale, inarrestabile estroversione che invade ogni recesso esistenziale fino a colmare l'abisso della
morte. Nel «Pelléas» la volontà dei personaggi non si dispiega, ma resta passiva nell'ombra di una
crepuscolare introversione. Questi personaggi non conoscono un destino che si può sfidare, contro
il quale ci si può ribellare anche se mediante una lotta votata alla sconfitta perché del destino
possono vedere «solo il rovescio». Su di essi incombe una fato ineluttabile che si può solo
contemplare con un senso di sconfinata pietà per le vittime innocenti. Il mondo poetico che vi
appare posto in essere è un mondo che è il negativo di quello pensato da Schopenhauer. Un mondo
come «non volontà» e come rinuncia alla rappresentazione oggettiva di motivi drammatici.
Vengono esibiti più che altro misteriosi nessi simbolici tra oggetti ed immagini del mondo e le
oscure forze del fato. Cosi il testo di Maeterlinck inizia con la scena in cui delle ancelle, vestite di
nero, «lavano la soglia, la porta e il marciapiede del castello» di un sangue che non è stato ancora
versato, mentre il portiere osserva: «Si, si, versate l'acqua; versate tutta l'acqua del diluvio; non ne
verrete mai a capo!». Strada facendo i simboli si moltiplicano: la nave che s'allontana incontro al
naufragio; la corona caduta nell'acqua; l'anello nuziale caduto nella fontana; i mendicanti vegliardi
addormentati nella grotta; i cani cacciati dai cigni; le pecore condotte al macello; i poveri che non
riescono ad accendere un fuoco nella foresta; il vecchio giardiniere che rinuncia a sollevare un
albero gettato dal vento traverso una strada; la pietra «più pesante del mondo» che il piccolo
Yniold non riesce a sollevare etc. etc. Dopo aver assistito il 17 maggio 1893 ai «Bouffes-
Parisiens» (Théàtre de l'Oeuvre) alla prima rappresentazione del «Pelléas et Mélisande» di
Maeterlinck, Debussy, per nulla scoraggiato dalle ironiche accoglienze del pubblico, decide solo di
chiedere a Maeterlinck l'autorizzazione di sfrondare un poco la selva dei simboli e di praticare
qualche taglio e qualche adattamento. Accompagnato dall'amico Pierre Louys, Debussy si reca a
Gand dove risiede Maeterlinck e ottiene ogni autorizzazione voluta. Pur conservando
sostanzialmente il testo di Maeterlinck articolato in cinque atti, Debussy lo alleggerisce di taluni
episodi simbolici quali la scena iniziale delle ancelle, il presagio di Arkel nella quarta scena
dell'atto secondo, l'inseguimento dei cani per opera dei cigni nel terzo, la scena delle ancelle nella
prima scena del quinto atto. Oltre a qualche abbreviazione nei dialoghi, Debussy rifiuta anche una
seconda versione della stupenda canzone in tono popolaresco che Mélisande canta dalla finestra
della torre (atto terzo, scena prima), seconda versione che il poeta inserirà invece in tutte le
successive edizioni del suo lavoro.

Approntato il libretto, per quasi un decennio Debussy lasciò che l'opera maturasse pian piano non
finendo mai di limare le figure sonore che costituivano musicalmente, dotandoli quasi di una
trasfigurazione poetica di secondo grado, gli esseri intrisi di silenzio e di mistero immaginati da
Maeterlinck.

Egli si trovava nel momento della prima e più felice maturità. Una provvidenziale congiuntura
storica gli aveva permesso di conoscere quasi alla vigilia dell'inizio della gestazione del «Pelléas»
la versione originale del «Boris Godunov» di Musorgskij (una copia era stata portata in Francia
nel 1874 da Saint-Saëns il quale, non capendoci nulla e ritenendo Musorgskij «un pazzo, oscuro e
grottesco declamatore» l'aveva lasciata a Jules de Brayer il quale la passò più tardi a Debussy).
Nel 1889 egli aveva avuto, inoltre, modo di conoscere, in occasione dell'Esposizione Universale, il
teatro musicale dell'Indocina e di Giava. Le impressioni che ne ricevette furono decisive.
L'esperienza del supremo capolavoro di Musorgskij gli diede la spinta definitiva per rompere le
stereotipate cornici delle «forme amministrative» e della quadratura discorsiva. Dal «Boris»
Debussy apprese come superare la classica articolazione della trama lirica in recitativi, arie e
concertati per adottare di preferenza i moduli di un dialogico recitar cantando che egli riallacciò in
modo più radicale all'originario ideale dei primi operisti fiorentini e di Monteverdi. «Ciò si tiene e
si compone per piccoli tocchi successivi, collegati da un misterioso legame e mediante un dono di
luminosa chiaroveggenza»: nessuna frase meglio di questa che Debussy scrisse a proposito delle
«Infantili» di Musorgskij esprimendo nel contempo tutta la sua riconoscenza per il grande
compositore russo, nessuna frase, dicevo, meglio di questa, potrebbe caratterizzare lo stile maturo
dello stesso Debussy. L'esperienza della musica dell'estremo Oriente incise invece
sull'elaborazione timbrica e contribui ad un ulteriore allargamento dell'orizzonte modale della
musica di Debussy. La sua occupazione col «Pelléas» non fu peraltro esclusiva nel decennio 1892-
1902. Il «Quartetto» (1893), il «Prelude à l'Après-midi d'un Faune» (1892-1894), «Les Nocturnes»
(Nuages, Fetes, Sirènes) (1898-1899), «Pour le piano: Prelude, Sarabanda, Toccata» (1896), le
«Proses lyriques» (1893), le «Trois Chansons de Bilitis» (1892-1898); tutte queste opere
testimoniano della straordinaria felicità creativa di cui Debussy era animato in questo periodo più
fecondo della sua creatività. L'editore Hartmann (alla cui memoria Debussy dedicherà il
«Pelléas») gli paga un mensile fisso per metterlo in grado di compiere l'opera, la sua notorietà
comincia a diffondersi e l'attesa per l'opera cresce parallelamente all'insorgere delle prime
resistenze e ostilità contro l'ardito novatore. Assai prima che l'opera fosse terminata e
pubblicamente conosciuta nella sua interezza (in privati circoli intellettuali e artistici Debussy
faceva ascoltare i frammenti che man mano andava completando) si andavano formando dei
gruppi di sostenitori entusiasti e di oppositori altrettanto accaniti del giovane compositore. Il
quale, nonostante la felice vena creativa che lo sorreggeva, conosceva sovente il tormento dei
dubbi e dei pentimenti. Al punto che, terminato un primo abbozzo completo nella primavera del
1895, rimise tutto il lavoro in cantiere e lo riplasmò interamente. Per l'interessamento del
compositore e direttore d'orchestra André Messager (per il quale Debussy formulò poi una seconda
dedica dell'opera) il «Pelléas», ancora prima di essere completamente terminato, fu presentato ad
Albert Carré, direttore deH'Opéra-Comique. Carré ne rimase profondamente colpito, accettò
l'opera seduta stante, sollecitò Debussy di portarla a termine e gli chiese di comporre una serie di
intermezzi strumentali per coprire il tempo necessario per i cambiamenti di scena (richiesta che si
rivelò davvero provvidenziale dal momento che, per dirla con le parole dello stesso Carré, questi
intermezzi risultarono dei veri e propri «capolavori dentro un capolavoro» che con la loro
espansività espressiva bilanciano felicemente la delicata riservatezza delle parti vocali). Tale era
l'entusiasmo di Carré, tale il suo desiderio di realizzare il «Pelléas» che, per guadagnare tempo,
egli suddivise il compito di approntare i bozzetti per le scene e i costumi tra tre artisti (Jusseaume,
Ronsin e Bianchini). Debussy era però in ritardo con l'orchestrazione: lavorava ancora alla
partitura quando le prove ebbero inizio il 13 gennaio 1902. Innumerevoli errori di copiatura
rendevano vieppiù difficile la lettura di una musica che, per quel tempo, era di una novità
sconvolgente. La preparazione dell'opera durò tre mesi e mezzo. Le prove d'insieme furono ben
quaranta e non mancarono incìdenti e difficoltà d'ogni specie. A tutto ciò si aggiunse la tempestosa
rottura con Maeterlinck. Il poeta avrebbe voluto imporre per il ruolo di Mélisande l'attrice-
cantante Georgette Leblanc (alla quale era legato dal 1895 e che divenne poi sua moglie), ma
Carré aveva scelto la debuttante Mry Garden e, d'accordo con Debussy e Messager, non cedette
neanche alle minacce di Maeterlinck di adire le vie legali. Il 13 aprile 1902 (cioè due settimane
prima della prova generale) Maeterlinck arrivò ad inviare al «Figaro» una lettera aperta in cui
affermava, tra l'altro: «La direzione dell'Opóra-Comique annuncia la prossima rappresentazione di
«Pelléas et Mélisande». Questa rappresentazione avrà luogo me malgrado...

Si vedrà quanto il testo adottato dall'Opera-Comique differisce dal testo autentico. In una parola, il
«Pelléas» in questione è un lavoro che mi è diventato estraneo, quasi nemico; e, spogliato da
qualsiasi controllo sulla mia opera, sono ridotto a desiderare che la sua caduta sia pronta e
clamorosa».

Atteggiamento che, se non ci fossero le personali ragioni extra-artistiche di cui s'è detto,
apparirebbe, più che paradossale, inspiegabile. Giacché esistono solo pochi altri esempi di
un'aderenza cosi idealmente perfetta di una musica ad un testo come quella attuata da Debussy nel
«Pelléas». Non per nulla Paul Dukas potè scrivere all'indomani della prima rappresentazione:
«Debussy è riuscito magnificamente a circondare il dramma di M. Maeterlinck dell'atmosfera che
gli si addiceva. Vi è riuscito senza che la sua originalità musicale e le sue doti — che per
qualunque altro sarebbero state, qui, forse, ragione d'imbarazzo — l'abbiano fatto deviare
minimamente dalla linea prefissa... Non c'è che la musica; ma una musica incorporata all'azione in
un modo cosi naturale, sgorgata tanto naturalmente dalla situazione, dalla scena e dal linguaggio,
una musica cosi vicina alla musica inclusa sotto le parole che, nell'impressione totale ingenerata da
questa specie di trasfusione sonora, diventa impossibile dissociarla dal testo che essa penetra; al
punto che, in ultima analisi, la musica potrebbe apparire come opera inconsapevole del poeta allo
stesso modo come il testo potrebbe apparire opera del musicista...». Nello stesso ordine d'idee
Maurice Emmanuel poteva affermare: «Dall'incontro, non casuale, tra due artisti che un'armonia
prestabilita sembrava avvicinare, è nata un'opera collettiva senza precedenti». Fatto sta però, che
Maeterlinck non si riconciliò mai con Debussy e andò a vedere «Pelléas et Mélisande» solo dopo
la morte del compositore e quando erano passati ormai due decenni dalla prima rappresentazione
dell'opera. Questa première mondiale aveva avuto luogo il 30 aprile 1902 e, alla pari della prova
generale pubblica del precedente 27 aprile, fu burrascosissima. Sembrò davvero che il malaugurio
del poeta stesse per avverarsi e che l'opera sarebbe rimasta sepolta sotto i lazzi, le pesanti ironie, le
risate e gli zittii di un pubblico ostile e impietoso. Tuttavia la fermezza di André Messager che la
dirigeva con amorevole dedizione, di Carré e l'appoggio della parte più illuminata della critica e
soprattutto di musicisti quali Satie, Dukas, D'Indy, Ravel e Koechlin, riuscirono ad avere ragione
della parte più retriva del pubblico e della stampa e a mantenere l'opera in cartellone per 14 sere.
Si formò tosto un nucleo di entusiasti che comprendeva non solo artisti e intellettuali raffinati, ma
anche molti giovani loggionisti ai quali Carré offri le poltrone disertate dagli abbonati. Grazie a
questo partito dei «Pelléastres» l'iniziale fiasco si trasformò gradatamente in un successo duraturo:
nei successivi vent'anni «Pelléas et Mélisande» conobbe ben 152 repliche alla stessa Opéra-
Comique e 155 rappresentazioni nei principali paesi dell'Europa e dell'America. Pur continuando
per qualche tempo a suscitare delle appassionate e anche violente polemiche (per avere un'idea
delle reazioni che l'arte di Debussy suscitava allora basta sfogliare le pagine dell'inchiesta «Le Cas
Debussy» pubblicata nel 1909 dalla «Revue du Temps Présent») «Pelléas et Mélisande» fu
riconosciuto non solo come il capolavoro di Debussy, ma come una delle opere capitali del teatro
lirico e della storia musicale in genere. Un capolavoro però, che proprio per le caratteristiche
singolarissime della poetica teatrale che in essa si attua non potè creare una tradizione, non potè
avere un seguito nemmeno nella successiva produzione di Debussy, non potè, insomma, costituirsi
a modello per ulteriori sviluppi dell'opera in musica. Sul piano dell'intrinseco divenire delle
strutture linguistiche della musica europea l'incidenza del «Pelléas» fu per contro immensa. E non
tanto per l'invenzione di nuovi vocaboli e di nuove entità grammaticali, quanto per la nuova,
inedita messa in giuoco di simili elementi di conio nuovo o antichissimo resa possibile dalla
radicale liberazione delle più inveterate e consolidate convenzioni discorsive sottese alla
tradizione musicale dell'Occidente. La rottura di tali convenzioni si profila ovviamente anche nelle
altre composizioni debussyane contemporanee od anche precedenti al «Pelléas»: ma è soprattutto
in quest'opera che la rivoluzione sintattica preconizzata da Debussy trova il suo inveramento
compiuto e dotato di una forza d'urto che sembra paradossalmente proporzionata alla dolcissima
delicatezza con la quale si esplica. Tutti i protagonisti della successiva fase storica della musica
europea vi attingeranno: Stravinsky si gioverà dell'emancipazione delle entità armonico-tonali.
Schoenberg si varrà delle scoperte timbriche. Bartók profitterà delle une e delle altre. Senza
parlare di Ravel, il quale penserà soprattutto a rassodare le più vaporose e impalpabili conquiste
debussyane. E ancora oggi Boulez mette a frutto le innovazioni di Debussy nel campo di
un'inedita articolazione dei valori concernenti la variabile densità delle figure sonore di cui nessun
compositore prima di Debussy aveva saputo trarre un partito consapevole e che fino ad oggi
nessun trattato di composizione ha teorizzato.

Le radicali innovazioni vengono bilanciate peraltro nel «Pelléas» da sostanziali, anche se perlopiù
dissimulati, elementi di continuità e di aggancio con la tradizione sia lontana che immediatamente
precedente. Giustamente Ernest Ansermet, rispondendo all'inchiesta della «Revue du Temps
Présent», scriveva che la musica di Debussy «continua nettamente l'opera di Wagner e insieme
quella dei Russi, arricchendo e rendendo più snella la prima mediante le trovate di questi ultimi,
restando d'altra parte l'espressione di una personalità che riassume fortemente la sua epoca e il
proprio paese». Che Wagner assumesse nei confronti di Debussy il ruolo di un vero e proprio
classico che non si vuole imitare, contro il quale si reagisce, anzi, polemicamente, ma delle cui
esperienze ci si vale in modo tanto più legittimo ed efficace quanto criticamente filtrato, questo lo
dimostra tra l'altro il modo nel quale, pur contestando l'abuso della tecnica del «Leitmotiv» di cui
Wagner si sarebbe reso colpevole specie nella «Tetralogia», Debussy ricorre ad una tecnica
analoga nel «Pelléas». Anche questa non è certo una scoperta critica, dal momento che già
quarant'anni fa Maurice Emmanuel nel suo fondamentale studio analitico su «Pelléas et
Mélisande» affermava testualmente: «Tuttavia, senza averlo sospettato, e malgrado un
orientamento proprio che doveva condurre a delle divergenze radicali, si può dire che nel
«Pelléas» egli (Debussy) giuoca coi temi come Wagner ne aveva giuocato nel «Tristano».

Il significato di questa constatazione non viene indebolito certamente dal successivo assunto:
«...non bisogna affibbiare ai temi del "Pelléas" l'appellativo wagneriano di temi-conduttori: essi
hanno un ruolo più discreto: a tratti li si vede cambiare, apparentemente, valore significativo.
Bisogna tenersi unicamente al "simbolo", alle associazioni sottili di sentimenti e d'immagini, per
indovinare attraverso quale intenzione segreta il musicista li fa riapparire. "Pelléas" rinchiude una
specie di mistica musicale, dal senso nascosto, che conferisce all'impiego dei temi e ai loro ritorni
un valore d'eccezione». Lo stesso Emmanuel individua e designa tredici di questi motivi o simboli
musicali. Sarebbe oltremodo illuminante ed istruttivo seguire passo per passo le enunciazioni e gli
sviluppi che ognuno di questi motivi conosce durante il dipanarsi della vicenda sonora di «Pelléas
et Mélisande». Abbiamo cercato di farlo, almeno in parte, in occasione della Conferenza di
presentazione di quest'opera. In questa sede dobbiamo limitarci a darne uno schematico elenco.

Nelle ventiquattro battute introduttive della sola orchestra risuonano successivamente tre motivi. Il
primo, proposto pianissimo, viene designato da Maurice Emmanuel come «Les temps
lontaines...». Effettivamente col suo arcaico sapore modale, esso sembra evocare lontananze
infinite di tempo e di spazio. Subito dopo appare il motivo di Golaud inquietamente oscillante tra
due note contigue sospese sopra strutture armoniche esatonali che creano qualcosa come un «buco
nero» nell'orizzonte tonale. Questa voragine inghiotte ogni forza gravitazionale ingenerando una
subitanea incertezza tonale: perfetto correlato dell'angosciosa incertezza di un personàggio,
perduto nel proprio mondo interiore come simbolicamente si è perduto nella mitica foresta:
«Credo che mi sono perduto da me stesso e i miei cani non mi ritrovano più» Segue e
successivamente si sposa al motivo di Golaud il motivo «dolce ed espressivo» di Mélisande che,
poco più tardi, si prolungherà con una breve fanfara dei corni che simboleggia la corona caduta in
fondo alla fontana (il riferimento, anche se solo istantaneo, a certi incisi del Tristano appare, qui,
lampante). Alla fine dell'interludio che porta alla seconda scena trombe e tromboni espongono in
crescendo un motivo che Maurice Emmanuel chiama «La destinée» e che, infatti, preannuncia il
fatale avvio del dramma. L'ingresso di Pelléas viene sottolineato da un motivo strutturalmente
imparentato con quelli di Golaud e di Mélisande in un rapporto quasi triangolare (le prime due
note delimitano l'intervallo caratteristico del motivo di Golaud, le altre s'iscrivono nello stesso
intervallo di quarta entro il quale prende corpo il motivo di Mélisande). Nella prima scena del
secondo atto un liquido arabesco disegnato da archi e flauti si riferisce alla «Fontana nel parco»
nella quale cadrà l'anello nuziale dato da Golaud a Mélisande e raffigurato da un motivo simbolico
che procede chiaramente dal motivo di Golaud. Nel terzo atto il grave e arcaico motivo iniziale
dell'opera si trasmuta mediante il semplice cambiamento di registro e lo spostamento d'ottava di
una nota nel fresco tema del piccolo Yniold. Nell'ultima scena del quarto atto si dispiega
finalmente il motivo che aveva segnato il primo scatto della fantasia creatrice di Debussy
sollecitata dalla vicenda di Pelléas e Mélisande. Maurice Emmanuel lo etichetta «L'Amour
déclaré». I motivi de «L'amour éperdu», della morte della bambina e del perdono completano il
materiale tematico dell'opera. Materiale ricco di un dolcissimo quanto penetrante potere allusivo a
paesaggi, fatti, situazioni e caratteri umani.

Debussy raggiunge però i vertici della propria creatività nei momenti in cui il discorso musicale
che egli configura sulla base di questo materiale trascende incommensurabilmente ogni allusione e
ogni suggestione riferibili ad una contingenza scenica per toccare quello che egli stesso defini
come «la chair nue de l'émotion». In quei momenti supremi lo schivo Debussy non esita a
richiedere esplicitamente che la sua musica venga sostenuta «avec la plus grande expression».
Questo è il caso, ad esempio, dell'intermezzo orchestrale tra la seconda e la terza scena del quarto
atto e che segue all'atroce scena tra Golaud e Mélisande suggellata dalla frase di Arkel (anche
questa da eseguire in modo «molto sostenuto, espressivo»): «Si j'étais Dieu, j'aurais pitie de coeur
des hommes». Il cuore dell'opera è qui.

Roman Vlad

100 (93) 1899

Berceuse
per la commedia "La tragèdie de la mort" di René Peter

https://www.youtube.com/watch?v=d4Goov7bFpw

https://www.youtube.com/watch?v=wW-McEDfEHM

Organico: voce sola senza accompagnamento


Composizione: 1899
Edizione: inedito

102 (96) 1900 - 1901

Chansons de Bilitis
Musica di scena per accompagnare la recitazione degli omonimi poemetti di Pierre Louÿs

https://www.youtube.com/watch?v=K9aCHET-3C4
Chant pastoral
Les comparaisons
Les contes
Chanson
La partie d'osselets
Bilitis
Le tombeau sans nom
Les courtisanes égyptiennes
L'eau pure du bassin
La danseuse aux crotales
Le souvenir de Mnasidica
La pluie du matin

Organico: 2 flauti, 2 arpe, celesta


Composizione: 1900 - 1901
Prima esecuzione: Parigi, Salle des Fêtes del "Paris-Journal", 7 febbraio 1901
Edizione: Jobert, Parigi, 1971 (ricostruzione Hoérée)
La parte della celesta è perduta ed è stata ricostruita da A. Hoérée

106 (101) 1902 - 1911

Le diable dans le beffroi


Racconto musicale in 2 quadri

https://www.youtube.com/watch?v=V4vuvOdx3Mc

https://www.youtube.com/watch?v=K9ohD6D5g1U

Testo: libretto proprio, da E. A. Poe


Composizione: 1902 - 1911
Edizione: pubblicazione parziale degli abbozzi in D. et E. Poe di E. Lockspeiser (1962)
Incompiuto, schizzi della prima scena

116 (107) 1904

Le roi Lear
Musica di scena per il dramma di W. Shakespeare

https://www.youtube.com/watch?v=qQDk6EtvTAU

Fanfare (re maggiore)


https://www.youtube.com/watch?v=1vmdFf0Ye0c
Organico: 3 trombe, 4 corni, timpani, tamburo, 2 arpe
Le sommeil de Lear (re minore)
https://www.youtube.com/watch?v=hOwbX1aJ4zA
Organico: 2 flauti, 4 corni, arpa, timpani, archi
Composizione: 1904
Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre-Libre, 5 dicembre 1904
Edizione: Jobert, Parigi, 1926 (strumentazione Roger-Ducasse)
Dei 7 brani abbozzati, solo 2 sono stati completati e strumentati da J.-J. Roger-Ducasse

121 (112) 1908 - 1917

La chute de la maison Usher


Opera teatrale in due scene

https://www.youtube.com/watch?v=bAQ4pUuLlo8

https://www.youtube.com/watch?v=SQ5D4n_gwLI

Libretto: proprio da E. A. Poe


Composizione: 1908 - 1917
Prima rappresentazione: New Haven, Jonathan Edwards College dell'Università di Yale, 25
febbraio 1977 (trascrizione e revisione di Carolyn Abbate su appunti di Debussy)
Edizione: Jobert, Parigi, 1979
Incompiuto, resta una particella della I scena e del monologo di R. Usher dalla II scena

130 (124) 1911

Le martyre de Saint-Sébastien
Musiche di scena per il mistero in cinque quadri di Gabriele D'Annunzio

https://www.youtube.com/watch?v=bon9Z_PNaIg

https://www.youtube.com/watch?v=sp2LN5dImww

https://www.youtube.com/watch?v=4evEJf7iLyY

Personaggi:

Mère douloureuse (soprano)


Vièrge Érigone (soprano)
Fille malade (contralto)
Chant des Gémeaux (contralto)
Anima Sebastiani (contralto)
Préfet (tenore)
Empereur (baritono)
Sanaé (basso)

La cour des lys


La chambre magique
Le concile des faux dieux
Le laurier blessé
Le paradis

Organico: 2 ottavini, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, 6 corni,
2 trombe, timpani, 2 arpe, archi
Composizione: febbraio - maggio 1911
Prima rappresentazione: Parigi, Théàtre du Chàtelet, 22 maggio 1911
Edizione: Durand, Parigi, 1911

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Che Gabriele D'Annunzio, scrivendo Le Martyre de Saint Sébastien, pensasse all'indispensabile


collaborazione della musica è certo: che pensasse ad un particolare musicista lo è molto meno.
Tant'è vero che quando Ida Rubinstein ebbe nelle sue mani il manoscritto del lavoro, per la musica
si rivolse immediatamente a Roger-Ducasse, il quale fu molto tentato di accettare, ma dopo matura
riflessione rifiutò. La Rubinstein pensò allora di rivolgersi a Florent Schmitt, ma il poeta, avvertito
dallo stesso Roger-Ducasse dell'impossibilità, per lui, di scrivere la musica per Le Martyre, pregò
la Rubinstein di rivolgersi a Debussy. Ella gli rispose su consiglio di Robert de Montesquieu,
dicendogli che sarebbe stato molto più opportuno che egli stesso, Gabriele d'Annunzio, si
rivolgesse a Debussy.

Il musicista si trovava allora in un momento d'incertezza: aveva composto le tre Ballades de


Villon, e s'era rimesso, senza troppo entusiasmo, al suo vecchio progetto de La chute de la Maison
Usher. Il 25 settembre scriveva al suo editore: «Je suis dans une période d'inquiétude, un peu
comme quelqu'un qui attendrait un train dans une salle d'attente sans soleil. J'ai, en méme temps,
l'envie de m'en aller n'importe où, et la peur de partir. Enfin, il me faut beaucoup de patience pour
me supporter moi-méme». Preoccupazioni d'altro genere non mancavano: sopratulto d'indole
economica. Per questo si rimise alla composizione di un balletto, Khamma, che gli era stato
richiesto da una danzatrice inglese, miss Maud Allan.

Fu in queste condizioni ch'egli ricevette là proposta di D'Annunzio di scrivere la musica per Le


martyre de Saint Sébastien. Debussy rispose immediatamente: «...la pensée de travailler avec vous
me donne a l'avance une sorte de fièvre». (Le ultime parole sono state sottolineate da
D'Annunzio). E' bene dirlo subito: anche perché taluni biografi hanno insinuato l'idea che Debussy
avesse accettato unicamente perché spinto dalla necessità di guadagnare; altri son giunti ad
affermare che Debussy aveva lavorato contro voglia perché l'arte suntuosa di D'Annunzio era così
lontana dalla sua sensibilità - e per giunta aveva dovuto comporre la partitura in poco più di
quattro mesi, tant'è vero che questa era stata realizzata in parte da Caplet sugli schizzi che il
compositore gli inviava quasi giornalmente.

Che il tempo sia stato per lui (abituato a lavorare lentamente su ogni particolare) una costrizione
dolorosa è indubbio, ma il resto è pura fantasia. Infatti nel febbraio 1911, già in pieno lavoro di
composizione, scriveva a Robert Godet: «j'ai accepté de faire la musique de scène pour le martyre
de Saint Sébastien. C'est assez beau... Je n'ai pas besoin de vous dire que le culle d'Adonis y
rejoint celui de Jésus: que c'est très beau, et qu'en effet, si on me laissait le temps nécessaire, il y a
d'assez beaux mouvemenl à trouver». E una volta terminalo il lavoro (compiuto il quale, il suo
medico curante gli ordinò un riposo assoluto di qualche mese) scriveva al poeta: «Je ne domande
qu'à revivre ce temps d'ardente animation». D'altra parte, chi scrive queste note ha avuto fra mano
un piccolo quaderno di musica (finito in chissà quale collezione americana) dove, fra appunti
riferentisi a molti altri lavori, c'erano anche i primi dei vari episodi del Martyre, gettati giù
rapidamente come sotto una impressione immediata. Non c'è segno di fatica: quasi tutti, nel primo
appunto, hanno già la forma definitiva, anche se schematica. Unica eccezione (e piuttosto curiosa):
l'estatico Preludio iniziale, anziché in mi bemolle minore e in tempo lento, è notato in do minore
(accordi di quinta e ottava) e in movimento «Allegro agitato». Ma non si direbbe davvero che
nella composizione ci sia stata una fatica, una ricerca affannosa per trovare qualcosa che il poema
non dava. Anzi: più ancora che dalle lettere scambiate fra poeta e musicista, da questi schizzi si ha
l'impressione che il musicista fosse veramente conquistato dal lavoro del poeta.

Questo per mettere a posto le condizioni in cui la partitura fu composta: nessuna costrizione, se
non quella del tempo (ricordiamo anche che, prima di essere pubblicata, la partitura fu riveduta
completamente da Debussy, anche nella parte realizzata sugli schizzi da Caplet).

Non ritorneremo sulle peripezie che accompagnarono la rappresentazione, né sulle accoglienze,


assai tiepide e peggio, della critica. D'altra parte, quale sia stata la qualità dello spettacolo, la
musica non poteva essere presentata in condizioni peggiori, soffocata com'era dall'abbondanza
verbale, dallo splendore della messa in scena, con i coristi sparpagliati fra le masse di comparse.
Quanto alle polemiche sul carattere religioso dell'opera, ricordiamo solamente poche parole di
Debussy per la parte che lo riguardava. A Henry Malherbe, che lo interrogava in materia, il
musicista rispondeva: «Je ne pratique pas selon les rites consacrés. Je me suis fait une religion de
mystérieuse nature. Sentir a quels spectacles troublants et souverains la nature convie les
éphémères et tremblants passagers, voilà ce que j'appelle prier. . D'ailleurs, je vous l'avoue, le sujet
du Martyre m'a séduit surtout par ce mélange de vie intense et de foi chrétienne». E a René Bizet
diceva: «J'ai fait de la musique decorative, si vous voulez, l'illustration en timbres et en rythmes
d'un noble texte, et quand, au dernier acte, le Saint monte au paradis, je pense avoir réalisé tout ce
qui j'ai ressenti, éprouvé a cette pensée de l'Ascensione. Aije bien reussi? Cela ne me regarde
plus».

Il lavoro dannunziano, com'è noto, non ha avuto che rare rappresentazioni, e nessuna ripresa è
valsa a farlo ritornare in repertorio. Ciò che rischiava di condannare anche la musica all'oblio.
Debussy stesso lo aveva sentito: nella forma originale l'abbondanza verbale e la suntuosità dello
spettacolo schiacciavano la musica. Ma, d'altro canto, la musica era troppo legata al poema per
vivere da sola. Per questo a un certo punto Debussy pensò di trasformare il lavoro dannunziano in
un'opera musicale. Il poeta lasciò libero il musicista di trasformare il poema secondo le proprie
intenzioni, ma il musicista, già colpito dal male che doveva provocare la sua immatura scomparsa,
non potè dar seguito al progetto.

Dopo la stia morte, la partitura è entrata nel repertorio concertistico. Debussy aveva tratta una
suite d'orchestra che non ebbe fortuna, né poteva averla: le parti vocali, in una versione puramente
strumentale, perdevano tutto il loro carattere. Si trovò più opportuno - e fu il merito di D. E.
Ingelbrecht che aveva preparato i cori alla prima esecuzione - di eseguire integralmente la partitura
- che resta indubbiamente una fra le più originali della produzione di Debussy, e, senza averne
l'aria, una fra le più «cariche d'avvenire» - collegando i vari episodi con la lettura del testo
abbondantemente sfrondato. Ripetute esecuzioni hanno provato che questa era la soluzione
migliore, per conservare l'unità del lavoro e per non rompere l'atmosfera musicale.

Domenico De Paoli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 24 aprile 1910, a Firenze, un atto di natura squisitamente giudiziaria siglava ufficialmente la


conclusione di un importante capitolo della vita di Gabriele D'Annunzio: l'arredamento della
Capponcina, la villa sulle pendici di Settignano dove D'Annunzio era vissuto dieci anni,
celebrando in uno scenario quattrocentesco amori rimasti leggendari e dettando le pagine più
significative della prima maturità, veniva messo all'asta, a sollievo dei creditori e per la gioia o il
vantaggio di curiosi, antiquari e rigattieri. Fra «cani, cavalli e belli arredi» (mobili antichi e falsi
pacchiani, libri, quadri, statue, stoffe, ferri battuti), D'Annunzio, «per compiacere ad uno dei miei
spiriti allora dominanti», aveva ritrovato, «senza sforzo», «i costumi e i gusti d'un signore del
Rinascimento». Il tenore di vita del poeta (quindici domestici, dieci cavalli, trentotto levrieri, due
fox, un épagneul e oltre duecento piccioni) era stato tale da rendere inevitabile una fine così triste:
ma pur deprecando «l'iniquità de' miei usurieri» D'Annunzio si mantenne sereno: «la spoliazione
dei beni vani fu agevole e quasi senza ombra di rammarico. Si vide che la magnificenza del mio
vivere non era nei miei velluti e nei miei cavalli». Per D'Annunzio fu una svolta importante:
cominciò subito dopo, il lungo «esilio» francese, cui avrebbe posto fine, nel '15, il richiamo degli
ardori interventisti. Un esilio dorato, ricco di frutti: il primo sarebbe stato Il Martirio di San
Sebastiano.
Ida Rubinstein

Prima di rinchiudersi nell'eremo di Arcachon, sull'Atlantico, D'Annunzio si recò a Parigi, dove per
qualche mese prese parte intensamente a una delle più splendide stagioni della vita culturale e
mondana della più splendida e cosmopolita capitale d'Europa; e qui, dopo uno spettacolo ai Ballets
russes di Diaghilev, dove aveva avuto modo di ammirare l'arte di Ida Rubinstein, la danzatrice più
in vista del momento, D'Annunzio concepì la prima idea di quello che sarebbe divenuto Il Martirio
di San Sebastiano: «Ho appena visto Cleopatra», scrisse a Robert de Montesquiou; «non riesco a
controllare la mia esaltazione. Che fare?». Ida Rubinstein gli parve interprete ideale per la
realizzazione di un antico progetto, quello di un testo teatrale sulla figura del Santo martirizzato
nel III secolo durante la persecuzione di Diocleziano (una specie di epurazione dei cristiani
all'interno dell'esercito), circonfusa di leggenda da una anonima passione del V secolo e consacrata
a un'aura di non nascosta sensualità da un'iconografia illustre. Nella lunga dedica a Maurice Barrès
preposta all'edizione del Martyre, D'Annunzio affermò poi di aver disegnato il suo Sebastiano
avendo sotto gli occhi «cette plaquette d'Antonio del Pollaiuolo»; quanto abbia pensato a questa, e
quanto anche ai Sebastiani del Gozzoli, del Sodoma, del Mantegna, del Reni, del Perugino, che nel
corso del lavoro avrebbero assistito la sua immaginazione, è difficile stabilire esattamente; sta di
fatto che la Rubinstein, «alta, snella, senza seno», gli era parsa «perfetta, per questa parte. Dove
mai potrei trovare un attore dal corpo altrettanto etereo?».

Il lavoro prenderà concretamente avvio in agosto, ad Arcachon: D'Annunzio si ispira al Misterre,


la forma di dramma liturgico praticata in Francia - come altrove - dal Tre al Cinquecento,
rappresentazione in volgare di un fatto biblico o agiografico, allestita da una confraternita; e in
testa agli oltre quattromila versi dell'opera D'Annunzio scriverà, in quel francese arcaico che con
incredibile virtuosismo - ed esasperato compiacimento estetico - ha saputo ricreare per il suo
Mystére: L'YSTOIRE DE MONSEIGNEUR SAINCT SÉBASTIEN jouée par, les habitants
Lanlevillar l'année courant M.V.LXVII au moys de may (e qui l'esotismo cronologico gli suggerirà
un passo falso: la rappresentazione dei Misteri era stata proibita in Francia già nel 1548, quasi
vent'anni prima di quel 1567 in cui D'Annunzio immagina recitato il Martyre). I cinque atti del
dramma verranno denominati mansions, appunto al modo antico; idealmente ricreando le
suddivisioni del palco in diversi luoghi, nei quali gli attori si spostavano di volta in volta: in questo
caso, nell'ordine, La corte dei gigli, dove i gemelli Marco e Marcelliano stanno per subire il
martirio; La camera magica, il santuario pagano che Sebastino distrugge, Il concilio dei falsi dei,
dove l'Imperatore siede sul trono, Il lauro ferito, dove si consuma il martirio del Santo, Il Paradiso.

La concezione di D'Annunzio inclina decisamente al grandioso: un numero sterminato di


personaggi, ampio impiego di masse, un impianto che aspirava a una sorta di opera d'arte totale,
dove si fondevano poesia, dramma, pittura, danza, musica. Ida Rubinstein si lascia prendere
dall'entusiasmo, e partecipa del fervore creativo di D'Annunzio: l'impresa si profila ardita, di
quelle che danno scandalo, nella sua miscela di misticismo e di sensualità. Si tratta di trovare chi
collabori per la musica, e la Rubinstein suggerisce Roger-Ducasse e Florent Schmitt; andrà invece
in porto l'idea di Montesquiou, che pensa al maggior musicista operante su piazza, Claude
Debussy. Verso la fine di novembre, Debussy riceve una iperbolica epistola di D'Annunzio, che gli
prospetta una collaborazione; e da Vienna, il 30 novembre, il musicista risponde dichiarandosi
disposto, anzi entusiasta. Pochi giorni dopo, al Café de Paris, l'impresario Gabriel Astruc convoca
i tre artefici del San Sebastiano, D'Annunzio, Debussy e la Rubinstein: l'intesa è presto raggiunta,
e si fissa di andare in scena nel maggio dell'anno successivo, allo Chàtelet. I tempi, per un
compositore come Debussy, che era stato dieci anni sul Pelléas, sono pericolosamente ristretti:
solo l'11 gennaio 1911 Debussy riceverà il testo della terza mansion, per la quale inizierà a
comporre la musica ai primi di febbraio; la prima mansion gli perverrà il 13, mentre il testo sarà
completo il 2 marzo, quando mancano soltanto ottanta giorni alla data stabilita per la prima.

La posizione di Debussy oscilla fra l'entusiasmo e la perplessità. Da un lato, il musicista trova nel
nuovo lavoro, oltre all'indubbia suggestione determinata dalla possibilità di collaborare con un
poeta di tanta statura, una felicissima coincidenza con alcune esigenze di questo periodo molto
delicato per lui: è il distacco dalla maniera maeterlinckiana di Pelléas, aperto a una più radicale
modernità, sotto il segno delle risonanze fascinose dell'antica poesia francese, giusto quella che
grosso modo D'Annunzio gli sta ricreando; Debussy, nel cercare le vie di un teatro che non riuscirà
mai a realizzare (già da un anno soffre del cancro che lo ucciderà nel '18), sta, più o meno
consapevolmente guardando anche oltre alle categorie dell'estetismo sfrenato di D'Annunzio, ma
in questo momento un soggetto come quello del San Sebastiano sembra combaciare abbastanza
esattamente con quello che il compositore desidera. D'altro canto, la spada di Damocle del tempo
lo assilla: per avvantaggiarsi, affida ad André Caplet, che dovrà dirigere il lavoro, il compito di
rifinire le parti e di stendere, dietro le sue indicazioni, l'orchestrazione; e comunque limita il suo
intervento, che desidererebbe ben altrimenti esteso, a diciotto «numeri», parecchi dei quali brevi.

Finalmente, si giunge a preparare lo spettacolo. Anche qui, clima di entusiasmo non scevro di
spine: il direttore Caplet si scontra con Leon Bakst, lo scenografo, a proposito della disposizione
dei personaggi e delle masse, che ostacola la riuscita dell'esecuzione; Ida Rubinstein si rivela
interprete affascinante nella danza, ma recita con inconfondibile accento russo; da parte sua, ci si
mette la Chiesa che fiuta odor di zolfo in questa moderna sacra rappresentazione, dove una donna,
praticamente senza veli, interpreterà la parte di un Santo: gli scritti di D'Annunzio sono all'Indice,
e l'Arcivescovo di Parigi promette scomunica ai cattolici che andranno a vedere il Martirio. Poi, il
22 maggio si va in scena, e lo spettacolo desta perplessità: la critica porrà l'accento proprio su
quell'elemento, fra i tanti del dramma, che è apparso più sacrificato, e relegato sullo sfondo, la
musica di Debussy, che è stata quasi inghiottita dalla grandeur dell'allestimento e dalle proporzioni
sterminate del testo dannunziano: coglierà bene la situazione Henry Gauthier-Villars, avanzando
l'idea che «sarà necessaria l'esecuzione concertistica per apprezzare tutto il virtuosismo
compositivo di queste pagine».
Versioni

Appunto in versione da concerto - limitandosi a eseguire i brani della partitura debussyana senza
l'intervento di alcun recitante - Il martirio di San Sebastiano venne dato con successo a Parigi un
anno dopo la prima allo Chàtelet, che era stata seguita da alcune riprese a Boston. Nel '22, a opera
dello stesso André Caplet, il Martirio venne eseguito ai Concerts Pasdeloup, in una versione che
comprendeva alcuni estratti del testo di D'Annunzio: fu il primo tentativo di proporre il lavoro in
una veste che ne salvasse la dimensione poetico-letteraria pur amputando il testo in modo da
lasciare alla musica di Debussy lo spazio necessario a risaltare da protagonista. Mentre
continuavano, sia pure sporadiche, le riprese della originale versione scenica - fra le quali è da
ricordare la prima italiana diretta da Toscanini alla Scala nel 1926, con Ida Rubinstein, si ebbe la
più diffusa delle versioni da concerto, quella diretta da Désiré-Émile Inghelbrecht nel 1928 ai
Concerts Pasdeloup: il testo veniva ridotto, a cura di Germaine Inghelbrecht, a circa 600 versi,
contro gli oltre 4.000 dell'originale, salvando, oltre alle parti delle tre voci soliste e del coro, il
ruolo dell'unico recitante, il Santo, anche qui con una sensibile riduzione, giacché l'originale di
D'Annunzio aveva affidato alla Rubinstein la dizione di circa 1.500 versi; la partitura di Debussy
veniva eseguita integralmente, sopprimendo un solo numero, il secondo della terza mansion (un
brevissimo interludio sinfonico, che ripete in sostanza il materiale musicale del brano che lo
precede). In tale versione, sotto la direzione dello stesso Inghelbrecht, il Martirio di San
Sebastiano fu eseguito a Firenze, nella stagione sinfonica 1949-50; un'altra versione da concerto fu
approntata da Roland Manuel (1941), mentre Véra Korène, interprete di una ripresa scenica diretta
da De Sabata alla Scala nel '51, ne fece per suo conto una riduzione, valida tanto per la
rappresentazione che per un'esecuzione oratoriale, nel '52. La versione presentata da Georges
Prètre nel presente concerto ripete, con qualche taglio nei testi, l'edizione Inghelbrecht,
recuperando nella terza mansion (Le Concile des faux dieux) parte dei versi dell'Imperatore, donde
la presenza di un secondo recitante accanto a quello che impersona il Santo.
La musica

Queste riduzioni sono senz'altro, fatto salvo l'indubbio interesse di una ripresa integrale e scenica
dello spettacolo, l'occasione migliore per valutare la partitura di Debussy: che se esce schiacciata
nel quadro vastissimo e variopinto della versione integrale («spettacolo scombinato», ebbe a
definirlo Massimo Mila), d'altro canto resta un po' casuale e frammentaria quando la si esegua da
sola, come suite di brani sinfonici e vocali. Al di là del rapporto, forse ambiguo, che lega le
musiche di Debussy al testo di D'Annunzio - non c'è bisogno di tacciare di falso le reciproche
dichiarazioni di entusiasmo dei due autori per sottolineare quanto, in fondo, l'orientamento estetico
dell'uno potesse differire da quello dell'altro - e al di là di quel tanto o di quel poco di negativo che
potè comportare la condizione in cui lavorò Debussy, senz'altro la meno adatta al suo modo di
concepire la composizione, la partitura del San Sebastiano reca a tutti gli effetti l'impronta del
genio del suo autore. I caratteri stilistici possono a tratti parere bifronti: nel senso che in qualche
cosa ancora guardano all'indietro, verso il Pelléas per esempio, e in molte puntano decisamente in
avanti, verso le pagine più avanzate dell'ultimo periodo di attività del compositore, a cominciare
da Jeux, che Debussy avrebbe composto immediatamente dopo il San Sebastiano. Debussy, a onta
dell'apparente arcaismo di certi moduli linguistici, realizza in questa fase della sua creatività una
modernissima e acuta economia di mezzi compositivi; riducendo il materiale di base della
composizione a poche, semplicissime unità melodiche e ritmiche, dalle quali la costruzione si
sviluppa per successivi procedimenti di germinazione. A tale estrema sobrietà strutturale, in linee
tematiche quanto mai sottili e scabre, fa da contrappeso la magia sonora delle scelte timbriche: di
incredibile preziosità, ma spesso scarne e assottigliate. Il rapporto della musica con la parola
prosegue e approfondisce la ricerca avviata con Pelléas e replicata in tutte le pagine vocali di
Debussy: il suono si costituisce come chiave simbolica della parola e dell'azione, illuminandone
ed estendendone i significati. Ancora una volta, «la musica comincia là dove finiscono le parole»:
dandoci ragione autentica e affascinante di un assunto poetico e teatrale che forse ci parrebbe
meno attendibile se affidato unicamente - o principalmente - alle turgide fantasmagorie verbali di
D'Annunzio o alle voluttuose campiture visive che settant'anni fa potè disegnare una grande
danzatrice in succinto travesti.

Daniele Spini

132 (125) 1911 - 1912

Khamma
Leggenda danzata in tre scene

https://www.youtube.com/watch?v=7J_KjPsiC0Y

https://www.youtube.com/watch?v=xVKD-cqbFS8

https://www.youtube.com/watch?v=-nYyQvU6Wz8

Libretto: W. L. Courtney e Maud Allan

Grave et lent (si bemolle minore)


Assez animé (fa minore)
Très lent (fa diesis maggiore)

Organico: 4 flauti, 4 oboi, 4 clarinetti, 4 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani,
2 percussioni, celesta, pianoforte, 2 arpe, archi
Composizione: 1911 - 1912
Prima rappresentazione: Parigi, Opéra-Comique, 26 marzo 1947
Edizione: Durand, Parigi, 1916 (riduzione per pianoforte)
Orchestrazione completata da Charles Koechlin

133 (126) 1912 - 1913

Jeux
Poème dansé di V. Nijinsky in un atto
https://www.youtube.com/watch?v=JhbfgHT42QM

https://www.youtube.com/watch?v=b6_qI9CYSK0

https://www.youtube.com/watch?v=lICaTn8566M

Organico: 2 ottavini, 2 flauti, 3 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, 4 corni,
celesta, 2 arpe, archi
Composizione: agosto 1912 - fine aprile 1913
Prima rappresentazione: Parigi, Théàtre des Champs-Elysées, 15 maggio 1913
Edizione: Durand, Parigi, 1914
Dedica: Mme Jacques Durand

Guida all'ascolto (nota 1)

Nella primavera del 1912 Diaghilew, il prestigioso creatore e direttore dei famosi «Ballets
Russes», invitò Debussy, allo zenit della gloria, a comporre un balletto per la sua compagnia sul
tema: «Una rivendicazione plastica dell'uomo del 1913». Nacque così il poema danzato Jeux, il
cui soggetto è il seguente: «La scena si svolge in un giardino al crepuscolo, dove due ragazze e un
giovane stanno cercando una palla da tennis che hanno smarrito. La luce artificiale delle grandi
lampade elettriche getta raggi fantastici intorno a loro e suggerisce un'atmosfera di giochi infantili;
giocano a nascondersi, si rincorrono, litigano, tengono il broncio senza ragione. La notte è calda, il
cielo è immerso in una pallida luce, si baciano. Ma l'incanto è rotto da un'altra palla lanciata
maliziosamente da una mano sconosciuta. Sorpresi e spaventati, il giovane e le ragazze
scompaiono nelle profondità oscure del giardino». La partitura costò molta fatica a Debussy, che
fino alla vigilia della esecuzione non cessò di ritoccarla. La prima rappresentazione, con Nijinsky
interprete e coreografo, ebbe luogo al «Théàtre des Champs-Elysées» il 15 maggio 1913,
esattamente due settimane prima (29 maggio 1913) della messa in scena nello stesso teatro del
Sacre du printemps di Igor Stravinsky. Jeux fu accolto con scarsi applausi, misti anche a fischi; la
critica rimase frastornata di fronte alla coreografia estremamente stilizzata di Nijinsky e al
linguaggio fluttuante, asciutto e dissonante della nuova partitura di Debussy, così lontana dalla
grande tradizione del balletto classico di un Delibes o di un Cajkovskij. Per giunta lo scandalo
suscitato dal Sacre con la sua musica ben più dirompente e rivoluzionaria contribuì non poco ad
oscurare il finissimo balletto debussiano, che cadde nell'oblìo e soltanto diversi anni dopo
l'insuccesso parigino è stato apprezzato per la sua eleganza espressiva e la sua ricercatezza
timbrica e strumentale, tanto da far scrivere a Pierre Boulez che «l'immaginazione del compositore
non procede a stendere dapprima la trama musicale e poi a rivestirla con meraviglie orchestrali:
l'orchestrazione stessa riflette non solo le idee musicali, ma anche il genere di scrittura in cui si
traducono». In realtà in questo lavoro si avverte lo sforzo del musicista verso un'arte più austera e
più sprovvista di seduzioni immediate, nell'ambito di una nuova estetica proseguita nelle sue
ultime opere, composte fra il 1913 e il 1917: Trois poèmes de Mallarmé (1913), Douze études
pour piano (1915), En blanc et noir, per due pianoforti (1915), infine le Sonates: pour piano et
violoncelle (1915), pour flùte, alto et harpe (1915), pour piano et violon (1917). Ciò non toglie che
in Jeux è sempre evidente e in primo piano quel discorso strumentale ammirevole e
personalissimo già ascoltato in testi ormai classici, come La mer e Images, e vi si ritrova intatto e
incontaminato quel gusto timbrico penetrante e affascinante nella mutevolezza e nella varietà delle
sonorità orchestrali che fu di Debussy e di nessun altro musicista. Il che significa, al di là di
qualsiasi etichetta poetica simbolista o impressionista, fedeltà ad uno stile che occupa un posto a
sé nella storia artistica del nostro Novecento.

134 (104) 1912 - 1915

Fètes galantes
Balletto in tre quadri
Libretto: Charles Morice et Louis Laloy da Paul Verlaine
Composizione: 1912 - 1915
Edizione: inedito
Progetto non realizzato

136 (128) 1913

La boîte à joujoux
Balletto per bambini

https://www.youtube.com/watch?v=5KGLWP9imGw

https://www.youtube.com/watch?v=Mum3G-PthyY

https://www.youtube.com/watch?v=gp9pEiaAYyQ

Libretto: André Hellé

Prélude. Le sommeil de la boîte - Très modéré (do maggiore)


Le magasin de jouets
Le champ de bataille
La bergerie à vendre
Après fortune faite
Épilogue

Organico: pianoforte (orchestrazione ultimata da André Caplet)


Composizione: luglio - ottobre 1913
Prima rappresentazione: Parigi, Théàtre Lyrique, 10 dicembre 1919
Edizione: Durand, Parigi, 1913 (pianoforte) e 1920 (partitura)

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La boìte à joujoux, La scatola dei giocattoli, è un balletto destinato all'infanzia ma come spettacolo
di marionette. Le marionette erano di moda in Francia, nella belle époque: basti pensare che Judith
Gautier, ferventissima wagneriana, fece rappresentare in un teatro di marionette il Parsifal! Nel
balletto di Debussy assistiamo all'uscita dei giocattoli, di notte, dalla scatola in cui sono rinchiusi,
a una battaglia accesasi d'improvviso perché il soldato, innamorato della bambola, viene ferito da
Pulcinella, al nascere nella bambola di un sentimento amoroso verso il soldato, alle loro nozze e
alla loro felice vita coniugale (e Pulcinella diventa guardia campestre). Evidenti, salvo il lieto fine,
i rapporti con la storia del Petruska di Stravinsky. Ciascuno dei tre personaggi ha il suo tema, il
suo leitmotiv: un valzer soave per la bambola, una stridente e aggressiva combinazione di suoni
per Pulcinella, una fanfaretta "gentilmente militare" per il soldato. La boìte à joujoux fu composta
nel 1913. La progettata rappresentazione non potè aver luogo e Debussy non mise mano alla
partitura, dopo aver steso la composizione in versione pianistica; solo nel 1919 il balletto fu
rappresentato, orchestrato da André Caplet. Non si tratta dunque di una composizione per
pianoforte ma di un brogliaccio pianistico per una partitura orchestrale. Tuttavia, la versione
pianistica regge benissimo e viene comunemente eseguita da quando Jòrg Demus la propose per
primo.

Piero Rattalino
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Claude Debussy compose il «ballet pour enfants» La Boite a joujoux nel 1913; iniziò quindi a
lavorare all'orchestrazione della stesura per pianoforte, ma senza riuscire a portarla a termine
prima della morte. Soltanto nel 1919 il balletto andrà in scena, con la partitura completata da
André Caplet. L'autore dello scenario, il pittore e disegnatore Andre Hellé (1871-1945), accenna
così allo spirito con cui vi viene rappresentata la vicenda di alcune marionette: «Le scatole dei
giocattoli sono in effetti città dove i giocattoli vivono come persone reali. O forse le città non sono
altro che scatole dove le persone vivono come giocattoli». Da parte sua, Debussy raccoglie questo
paradosso dell'intreccio tra le due dimensioni - il rnondo dei giocattoli e quello della realtà vissuta
- in una musica vivida, delicata e ironica, effervescente di umorismo, citazioni e ammiccamenti,
che ricorda Children's Corner (1906-08), la serie di pezzi pianistici ispirata, al pari della Boite a
joujoux, all'infanzia dell'amatissima figlia Claude-Emma, detta Chouchou (1905-1919). I
protagonisti della storia - un triangolo amoroso: la bambola, il soldatino e Pulcinella - sono
identificati da idee musicali di immediata pregnanza che guidano la trama narrativa ricchissima di
sottigliezze sceniche e psicologiche.

Queste idee incominciano a comparire nel Preludio: dopo il tema modale che evoca il sonno in cui
riposa la scatola dei giocattoli, s'ascoltano il valzer della bambola e quindi il richiamo militare del
soldatino. Nel primo quadro una delle bambole accende la luce del negozio e tocca un fonografo -
i momenti sono segnati rispettivamente da tremoli degli archi e da un glissando discendente del
pianoforte - così che alla luce e al suono della musica anche gli altri giocattoli si risvegliano e
iniziano a danzare: dopo le bambole, Pierrot, Arlecchino e Pulcinella, c'è una vera e propria sfilata
di personaggi: ecco l'elefante, con passo pesante e malinconico (melopea cromatica dell'oboe),
Arlecchino che volteggia su un valzer leggero, il soldatino inglese associato a una marcia in ritmo
sincopato, quindi Pulcinella individuato da motivi di sberleffo e poi il negro - la cui musica ha
umoristici tratti cromatici - con il poliziotto. Maggiore spazio ha la Danza della bambola: il suo
tema di valzer è condotto dal clarinetto, dal flauto, infine anche dall'oboe e dalla celesta. A questo
punto i personaggi iniziano a danzare una ridda generale, il cui tema viene lanciato dal flauto.
L'incontro tra la bambola e il soldatino vede il ritorno dei rispettivi temi (per una sorta di
scherzoso richiamo alla poetica simbolista, il fiore da cui nasce l'amore tra i due è invece
individuato da una pausa), prima che i motivi marziali della tromba con sordina attirino
l'attenzione sui soldatini del minuscolo esercito e che la ridda generale riprenda per poi
estinguersi.
Il secóndo quadro si apre sul campo di battaglia dove si fronteggeranno gli eserciti del soldatino e
di Pulcinella. Questi intanto - si riascoltano i motivi che connotano il personaggio - fa la corte alla
bambola, prima che una marcia annunci i preparativi della battaglia in cui i proiettili sono piselli
secchi. Alla fine il soldatino giace ferito - ricorre il tema che gli corrisponde - e Pulcinella si fa
beffe del rivale e della bambola che si prenderà eùra di lui. Nel terzo quadro, il soldatino e la
bambola, ormai innamorati, progettano di passare la vita insieme e di acquistare una casa in
campagna. S'ascolta un tema bucolico ai flauti, subito seguito dai ritorni dei motivi del soldatino e
della bambola; quindi il corno inglese intona la melodia suonata da un pastore alla quale
rispondono fagotti e poi clarinetti con un'aria di ghironda. Passano un pastore col gregge poi una
guardiana con le sue oche, finché il quadro si chiude con il ritorno dell'aria pastorale e del tema
bucolico, ma questa volta in maggiore.

Il quarto quadro vede il soldatino e la bambola vent'anni dopo, felicemente sposati e circondati dai
loro bambini: il tono maestoso in cui riappaiono i loro temi vale sia per il clima gioioso sia per la
maturità della coppia. La vicenda sembra concludersi con una polka festosa che tuttavia
s'interrompe all'improvviso. Nell'Epilogo infatti la luce si spegne e l'atmosfera ritorna al primo
quadro: ricompaiono il tema del preludio al flauto, un motivo di Pulcinella al piano e il tema del
soldatino, che quando cala il sipario s'affaccia dalla scatola dei giocattoli e fa il saluto militare al
pubblico.

Cesare Fertonani

138 (130) 1913 - 1914

Le palais du silence ou No-ja-li


Balletto in 1 atto
Libretto: Georges de Feure
Organico: sconosciuto
Composizione: 1913 - 1914
Edizione: inedito
Incompiuto, schizzi

www.wukupedia.org

Biografia

Achille-Claude Debussy, noto semplicemente come Claude Debussy (Saint-Germain-en-Laye, 22


agosto 1862 – Parigi, 25 marzo 1918), è stato un compositore e pianista francese. È considerato in
patria e nel mondo uno dei più importanti compositori francesi di sempre, nonché uno dei massimi
protagonisti del simbolismo musicale.

Secondo l'opinione di numerosi musicologi, fra cui Massimo Mila,[1] Debussy viene considerato
uno dei principali esponenti del cosiddetto "impressionismo musicale", anche se lo stesso
compositore ne negò l'appartenenza,[2] nonostante le chiare influenze simboliste di Verlaine e
Mallarmé. Rudolph Réti ha dichiarato che l'impresa di Debussy fu la sintesi della "tonalità
melodica" a base monofonica con le armonie, sebbene diverse da quelle della "tonalità armonica".
[3]
Indice

1 Biografia
1.1 I primi anni: nascita, formazione ed esordi
1.2 Debussy compositore: la vita privata e i capolavori
1.3 La malattia e gli ultimi anni
2 Lo stile
3 Composizioni
3.1 Composizioni per orchestra
3.2 Composizioni per pianoforte
3.3 Composizioni teatrali
3.4 Balletti
3.5 Musica da camera
3.6 Composizioni corali
3.7 Composizioni vocali

Biografia

I primi anni: nascita, formazione ed esordi

Nato in una famiglia di modeste condizioni di commercianti di porcellane,[4] Debussy ebbe le


prime nozioni di musica da Antoinette Mauté de Fleurville, suocera del poeta Paul Verlaine,
discreta pianista, che gli diede gratuitamente lezioni; anche se il padre avrebbe voluto che il suo
primogenito si arruolasse in Marina, M.me de Fleurville riuscì a convincerlo a farlo studiare
musica e si adoperò per farlo entrare al Conservatoire national supérieur de musique et de danse
de Paris (1872-1884).[5] Qui il giovane Debussy, superato l'esame di ammissione il 22 ottobre
1872, studiò pianoforte con Antoine Marmontel, composizione con Ernest Guiraud e solfeggio con
Albert Lavignac.[5]

Marmontel capì subito le possibilità artistiche del giovane Debussy, anche se non apprezzava le
sue eccentricità pianistiche.[5] Nel 1877 Achille-Claude entrò a far parte della classe di armonia di
Émile Durand, insegnante molto rigoroso che si scontrò più volte con l'allievo per l'originalità
delle sue idee. Nel 1880, grazie al Conservatorio, ottenne l'incarico di pianista accompagnatore
presso la baronessa russa Nadežda von Meck, ricca mecenate e buona musicista dilettante,
seguendola nei suoi viaggi in Italia. In questo periodo scrisse il suo Trio per pianoforte e archi.
In questo stesso periodo conobbe Henri Vasnier, architetto appassionato d'arte, che lo prese in
simpatia e che gli consigliò di partecipare al Prix de Rome; tra la fine del 1880 e il 1881 Debussy
scrisse alcune liriche per la moglie di Vasnier, Marie, che aveva una bella voce di soprano, con
l'intento di entrare nelle sue grazie.[5] Nel 1882 il giovane compositore partecipò alla prima prova
d'esame per il Prix de Rome, ma non riuscì a superarla. L'anno successivo arrivò al secondo posto;
nel 1884 finalmente ottenne la desiderata vittoria del prestigioso e ambito premio con la Cantata
su L'enfant prodigue di Édouard Guinaud, grazie all'appoggio di Charles Gounod che egli aveva
conosciuto precedentemente.[4] Il musicista partì per l'Italia e soggiornò a Roma, a Villa Medici,
dove studiò, grazie alla borsa di studio, tra il 1885 e il 1887; qui ebbe modo di conoscere Franz
Liszt[4] ed entrò in contatto con la musica di Giovanni Pierluigi da Palestrina e di Orlando di
Lasso, della quale rimase subito entusiasta.[6] La permanenza romana fu un periodo difficile per
Debussy: faticò molto a portare a termine gli incarichi compositivi dati dal Conservatorio e sentiva
molto la mancanza di Madame Vasnier, con cui aveva una relazione già da tempo. Rientrato
finalmente a Parigi, tornò a frequentare Paul Dukas che aveva conosciuto anni prima e iniziò la
composizione dei Cinq poèmes de Baudelaire. Nel 1888 si recò a Bayreuth, dove ascoltò le opere
di Richard Wagner; probabilmente il suo stile di compositore venne ad affinarsi proprio all'ascolto
della musica di Wagner e anche grazie alla conoscenza di musiche orientali, in particolare il
Gamelan giavanese ascoltato all'Esposizione universale di Parigi del 1889.[4] Debussy rimase
fortemente impressionato da questa nuova musica, dalla sua polifonia e dagli inusuali arabeschi,
tutti aspetti che si rifletteranno nella sua Fantaisie composta proprio in quel periodo.[5]

L'influenza di Wagner, e soprattutto del Parsifal, è evidente nel poema lirico La Damoiselle élue,
scritto fra il 1887 e il 1888,[6] e nei Cinq poèmes de Baudelaire, terminati nel 1889, mentre altri
suoi brani dello stesso periodo, in particolar modo l'impostazione delle arie scritte sul testo di
poesie dell'amico Verlaine (Ariettes oubliées, Trois mélodies, Fêtes galantes), sono in uno stile più
volubile, come se facessero già parte del Quartetto per archi in Sol minore del 1893, influenzato
dalla musica di César Franck; in tale opera non solo è presente l'utilizzo del modo frigio, ma anche
quello di altri modi ancor meno consueti, in particolare il modo tonale intero, per creare
un'armonia oscillante, come nel Prélude à l'après-midi d'un faune, opera per orchestra ispirata dal
poema di Mallarmé eseguita per la prima volta nel 1894 e utilizzata poi nel 1912 per la produzione
del balletto omonimo di Nižinskij, e l'opera Pelléas et Mélisande, scritta in larga misura intorno al
1893-1895 sebbene non completata fino al 1902. Queste opere portarono una fluidità nel ritmo e
un colore nuovo per la musica occidentale.

Il 1890 segnò una data importante per il musicista; il suo desiderio di rinnovamento è sottolineato
dal cambiamento della grafia della firma e soprattutto dall'abbandono del nome Achille-Claude,
che egli non aveva mai amato, preferendo Claude-Achille; due anni dopo passò definitivamente al
semplice Claude, con cui verrà identificato nel resto della sua carriera e che lo identifica ancora
oggi.[5] Lasciò la casa dei genitori decidendo, alla fine dell'anno, di andare ad abitare in casa di un
amico; sempre in questi mesi fece la conoscenza di Mallarmé che influenzerà non poco la sua
concezione dell'arte e la sua musica.[5] Iniziò in questo periodo la composizione di alcune delle
sue opere più importanti, il Prélude à l'après-midi d'un faune e la Suite bergamasque; inoltre iniziò
la sua prima vera relazione stabile, con Gabrielle Dupont.[4]

Debussy compositore: la vita privata e i capolavori

Debussy ebbe una vita molto movimentata, soprattutto sentimentalmente. All'età di 18 anni iniziò
una relazione clandestina con Marie-Blanche Vasnier, moglie del ricco funzionario statale parigino
che lo aveva appoggiato e sostenuto nei suoi studi. La relazione durò otto anni ed entrò in crisi in
seguito alla vittoria di Debussy al Prix de Rome, il prestigioso concorso prevedeva la permanenza
obbligatoria nella capitale italiana per due anni: il musicista soggiornò presso Villa Medici dal 27
gennaio 1885 al 2 marzo 1887, studiando e componendo presso l'Accademia di Francia.[7]
Sempre a corto di denaro, il musicista non si faceva scrupolo di chiedere aiuti ad amici e
conoscenti, anche al conte Giuseppe Primoli che aveva conosciuto in un salotto solo da pochi
giorni:
«Caro amico,
...I miei genitori non sono ricchi e non posso pagare la cena per festeggiare il mio premio.
Ho cercato invano di vendere la mia musica.
Ma tutto mi è stato sfavorevole, Ho contratto vari debiti che dovrò regolare prima di partire, per
cui
non posso neppure offrirle dei fiori, dire che ella li ama tanto.
Vi chiedo quindi di prestarmi cinquecento franchi...»
(Claude Debussy in una lettera del 1884[8])

Debussy, nella sua permanenza a Roma, visitò anche diversi luoghi attorno alla capitale: diverse
volte visitò Fiumicino e fu ospite del conte Primoli intorno al 1885. Ci ha lasciato una descrizione
del suo soggiorno:

“Sono stato a Fiumicino, Primoli essendo a Parigi, mi ha offerto la sua villa che è deliziosamente
sistemata. Fiumicino è un luogo affascinante dove i romani vengono a farsi i bagni a mare, dove
ho già avuto un piacevolissimo soggiorno. Lì ho goduto di una completa solitudine, è ciò che
chiedo per adesso“.

Tornato a Parigi nel 1887, Debussy non vide più Madame Vasnier e ritornò ad abitare con i
genitori. Nel 1888, grazie all'aiuto finanziario dell'amico Étienne Dupin, riuscì ad andare a
Bayreuth, dove conobbe l'opera di Wagner nel suo tempio più sacro: ebbe modo di assistere al
Tristano e Isotta, al Parsifal e a I maestri cantori di Norimberga. Nell'inverno fra il 1889 e il 1890
conobbe una giovane dagli occhi verdi e i capelli rosso-bruni che si chiamava Gabrielle Dupont,
figlia di un sarto di Lisieux, con cui ebbe una tempestosa relazione durata nove anni e con cui
coabitò in Rue Gustave Doré, nel XVII arrondissement. Contemporaneamente, si legò per breve
periodo alla cantante Thérèse Roger che aveva interpretato La damoiselle élue nel 1893, arrivando
a fidanzarsi ufficialmente con lei per alcuni mesi.[6]

La storia con Gaby Dupont entrò in crisi per l'infedeltà del musicista e per la perenne mancanza di
denaro, tanto che vi fu un tentativo di suicidio da parte della donna;[4] Gaby era in un certo modo
ancora presente nella vita di Debussy quando lui conobbe e si invaghì di un'amica di lei, Rosalie
Texier, detta Lily, un'indossatrice di sartoria. Gaby lasciò definitivamente il musicista e intrecciò
una nuova relazione con un banchiere. Il compositore sposò Lily nel 1899 con una cerimonia
molto semplice a cui non parteciparono neppure i genitori degli sposi.[4] Nonostante Lily fosse
una persona innamorata, pratica, diretta e benvoluta da amici e colleghi del marito, Debussy col
tempo sviluppò una crescente irritazione nei confronti di sua moglie per via delle sue limitazioni
intellettuali e della sua mancanza di sensibilità e cultura musicale. Nel 1903 Debussy conobbe
Emma Bardac grazie al di lei figlio Raoul, che era allievo del musicista; Emma era moglie del
banchiere Sigismond Bardac e, al contrario di Lily, era una donna istruita, raffinata, brillante nella
conversazione, musicista dilettante e anche stimata cantante.[6] Ben presto Debussy si avvicinò ad
Emma, per cui scrisse il pezzo per pianoforte L'isle joyeuse dopo aver trascorso con lei giornate
felici sull'isola di Jersey, e abbandonò la Texier. Lily, disperata tentò, come la Dupont, di suicidarsi
sparandosi in petto in Place de la Concorde nell'ottobre del 1904; sopravvisse, ma il proiettile le
rimase incastrato in una vertebra per il resto della vita.

Debussy dovette subire la riprovazione della società civile dell'epoca e molti suoi amici si
allontanarono.[6] Lo scandalo provocato da tale azione costrinse Debussy e la Bardac (già incinta
di lui) a recarsi segretamente in Inghilterra nell'aprile del 1905. La coppia si sistemò nel Grand
Hotel di Eastbourne, dove Debussy completò la suite sinfonica La Mer e divorziò da Lily il 2
agosto.[9] A giugno venne finalmente pubblicata la Suite bergamasque con il celebre Claire de
lune. Debussy ed Emma tornarono a Parigi a fine settembre, giusto in tempo per la nascita della
loro bambina Claude-Emma (l'unica figlia avuta dal compositore) il 30 ottobre. Chiamata
affettuosamente Chou-chou, Claude-Emma era la dedicataria del famoso Children's Corner, una
raccolta di sei pezzi per pianoforte composta nel 1908, anno in cui i suoi genitori finalmente si
sposarono.

La malattia e gli ultimi anni

Nel febbraio 1909 il musicista avvertì i primi sintomi della malattia che lo avrebbe portato alla
fine. Tornò in Inghilterra, ma dovette annullare alcuni concerti già fissati e non si sentì nemmeno
di assistere alla rappresentazione del Pelléas et Mélisande al Covent Garden.[4]
Nel 1910 morì il padre, Manuel Debussy, e il compositore ne fu sinceramente addolorato, anche se
in realtà non avevano mai condiviso molto sull'arte e sulle idee.[6] Nello stesso anno, il musicista
scrisse il balletto Khamma e prese accordi con Gabriele D'Annunzio per la musica di scena de Le
martyre de Saint Sébastien. Nel maggio 1912 assistette al balletto sul suo Prélude à l'après-midi
d'un faune che creò scandalo e che non piacque all'autore. Successivamente Debussy firmò un
contratto con Djagilev per un nuovo balletto, Jeux, che fu rappresentato il 15 maggio 1913 dai
Balletti russi. Durante l'estate compose La boîte à joujoux ispirato dalla figlia Chou-chou. Sempre
afflitto da problemi economici, Debussy accettò di dirigere concerti in Russia, a Roma, a L'Aja e
ad Amsterdam.[4]
Allo scoppio della Prima guerra mondiale Debussy si trasferì con la famiglia a Angers, poiché
temeva l'avanzata dei tedeschi. Nel marzo 1915 il compositore perse la madre, e poco dopo la
suocera. Si trasferì poi a Dieppe in Normandia e quindi a Pourville, in una villa messa a
disposizione da amici, trascorrendo qui l'ultimo periodo sereno.[4] Al rientro a Parigi la malattia,
che si era aggravata, gli provocò molte sofferenze e nel mese di dicembre 1915 il compositore subì
un intervento che servì solo a ritardare gli effetti della male; venne sottoposto a radioterapia e
trattato con morfina per il dolore. Nel 1917 Debussy riuscì ancora a tenere diversi concerti per
beneficenza, l'ultimo a Biarritz, il 14 settembre.[4]

Claude Debussy morì a Parigi il 25 marzo del 1918, alle 22:15, per il cancro da cui era afflitto da
diversi anni, mentre l'esercito tedesco bombardava la città con il cannone a lunga gittata
Parisgeschütz.[10] Era solo otto mesi prima che la vittoria venisse dichiarata in Francia. In quel
momento la situazione militare francese era considerata critica, e questa circostanza non permise
che gli fosse dato l'onore dei funerali di Stato, o di cerimoniose orazioni al momento della
sepoltura, o celebrazioni delle sue opere.

Nel disperato clima bellico che si respirava al tempo in Francia, la sua processione funebre si
tenne in maniera veloce e sobria per le vie deserte della città, fino al cimitero del Père-Lachaise: vi
parteciparono non più di venti persone, tra cui Paul Dukas e l'editore Durand. Solo dopo la fine
della guerra, otto mesi dopo, fu possibile celebrarne degnamente la morte e poco dopo il suo corpo
venne traslato nel cimitero di Passy, dietro il Trocadéro, dove attualmente riposa tumulato insieme
con la moglie Emma, morta nel 1934, e con la figlia Chou-chou,[11] la quale invece sopravvisse al
padre per nemmeno un anno, perendo a soli tredici anni (1919) durante un'epidemia di difterite.
La Francia ha, fin dal principio, riconosciuto e celebrato il genio musicale di Debussy, onorandolo
come uno dei suoi più stimati figli. Dal 1980 fino all'introduzione dell'euro nel 2002, il suo volto
ha campeggiato sulla banconota da 20 franchi.

La morte di Debussy, come anche l'intera prima guerra mondiale, coincisero con la fine del
periodo denominato Belle Époque, che testimoniava lo sbocciare a Parigi di innovazioni, nuovi
stili di vita e di nuove esperienze artistiche.

Lo stile

«L'estetica di Debussy si riallaccia, in molti suoi lavori, al simbolismo; ma vista nel suo insieme, è
impressionista. Vogliate perdonarmi: non ne sono un po' io la causa? Così si dice.»
(Erik Satie[12])

La musica di Debussy presenta influenze sia nazionali (Charles Gounod, César Franck, Jules
Massenet, Gabriel Fauré, Erik Satie, Gabriel Fauré), sia internazionali (Fryderyk Chopin per il
pianoforte, Modest Petrovič Musorgskij per l'antiaccademismo e per l'uso della modalità,
Giovanni Pierluigi da Palestrina per l'arabesco). Debussy, pur apprezzando la musica di Wagner, è
stato, soprattutto per la sua avversione al titanismo, un antiwagneriano come la maggior parte dei
suoi connazionali. Soprattutto dopo il suo secondo soggiorno a Bayreuth si allontanò dalla
concezione wagneriana sostenendo che da quel tipo di musica non poteva nascere un vero
rinnovamento.[5] Tuttavia è vicino alla sua musica per quanto riguarda la concezione del discorso
musicale aperto e continuo; questo in Wagner si traduce con la cosiddetta "melodia infinita", che è
tuttavia vincolata all'armonia tonale, mentre in Debussy il discorso musicale è costruito con
piccole immagini balenanti in continuo rinnovamento, ma indipendenti tra loro grazie all'appoggio
a un linguaggio armonico non vincolante e fatto di espedienti extratonali volti all'ambiguità, come
la scala esatonale (per toni interi) in cui i rapporti tensiodistensionali, dati dall'alternanza di tono e
semitono, vengono meno, essendo essa composta da intervalli identici.[13]

Lo stile di Debussy oscilla inizialmente tra una scrittura che risente dei modelli del Barocco e del
primo classicismo (notevoli in questo senso le influenze da Rameau, Couperin, Frescobaldi,
Scarlatti e Bach) e la scrittura chopiniana, il tutto riveduto in maniera eclettica. La sua vera cifra
appare dopo le frequentazioni dell'ambiente artistico simbolista che per lui fu veramente una
scuola. Il simbolismo, se è fondamentale per comprendere l'evoluzione della sua arte, non è però
sufficiente a delineare completamente la musica di Debussy:[5] il compositore, infatti, scriveva le
sue opere per un'intima necessità, rinnovando il linguaggio musicale al di là di ogni scuola o
suggestione predefinita. La sua musica è stringata, non pomposa e colossale, puntando alla brevità
aforistica alla maniera degli impressionisti e dei simbolisti; come loro, inoltre, Debussy ricerca
l'innovazione nell'esotismo. Debussy compie quindi una sintesi tra estetica classica e modernismo,
grazie a un contrappunto innovativo e a dinamiche molto curate, privilegia il colore timbrico sulla
linea melodica, sceglie preferibilmente sonorità lievi e luminose (acute), elabora una scrittura
ritmica estremamente complessa, ma dall'andamento fluttuante e sospeso che reinventa il modo di
suonare il pianoforte.

Diverse opere di Debussy si basano secondo alcuni studi sulle proporzioni della sezione aurea,
ovvero sul rapporto a:b=(a+b):a, rintracciabili negli astratti principi di simmetria musicale ed
aritmetica su cui il compositore usava basare le sue eteree e smaterializzate composizioni.
L'esempio più tipico di questo rigore compositivo sono La Mer e Nuages.[14]

Lista delle composizioni di Claude Debussy (1862-1918), ordinate per genere e per numero di
catalogo secondo il Catalogo Lesure.
Indice

1 Opere liriche
2 Orchestra
3 Balletti e musiche di scena
4 Solista e Orchestra
5 Musica da Camera
6 Pianoforte
7 Composizioni 4 mani / 2 pianoforti
8 Voce e pianoforte
9 Musica vocale e corale
10 Collegamenti esterni

Opere liriche

L 72, Rodrigue et Chimène opera (1890–1893), incompleta


L 93, Pelléas et Mélisande (1893-1902)
L 101, Le diable dans le beffroi, opera comica incompiuta (1902-1912) basata sul racconto di
Edgar Allan Poe The Devil in the Belfry
L 112, La chute de la maison Usher (1908–1917), opera lirica basata sul racconto di Edgar Allan
Poe La caduta della casa degli Usher, incompleta

Orchestra

L 83, 3 Scènes au crépuscule (1892–1893)


L 86, Prélude à l'après-midi d'un faune (1894)
L 91, Nocturnes (con coro femminile in Sirènes) (1897–1899)
Nuages
Fêtes
Sirènes
L 107, Le roi Lear (1904)
L 109, La Mer (1903–1905)
L 122, Images per orchestra
Gigues (1909–1912)
Ibéria (1905–1908)
Par les rues et par les chemins
Les parfums de la nuit
Le matin d'un jour de fête
Rondes de printemps (1905–1909)

Balletti e musiche di scena


L 124, Le martyre de Saint Sébastien (1911), musiche di scena
L 125, Khamma (1911–1912), balletto
L 126, Jeux (1912–1913), balletto
L 128, La boîte à joujoux (1913), balletto
L 130, Le palais du silence ou No-Ja-Li (1913-1914), balletto, incompleto

Solista e Orchestra

L 20, Daniel: Versez, que de l'ivresse. Aux accents d'allégresse per 3 solisti e orchestra (1881)
L 24, Printemps: Salut printemps, jeune saison per coro femminile e orchestra (1882)
L 27, Intermezzo per violoncello e orchestra (1882)
L 37, Hymnis per solista, coro, e orchestra (1882)
L 40, Invocation: Élevez-vous, voix de mon âme per coro maschile e orchestra (1883)
L 41, Le gladiateur: Mort aux Romains, tuez jusqu'au dernier per 3 solisti e orchestra (1883)
L 56, Le printemps: L'aimable printemps ramène dans la plaine per coro di 4 voci e orchestra
(1884)
L 57, L'enfant prodigue per soprano, baritono, tenore e orchestra (1884)
L 59, Zuleima per coro e orchestra (1885–1886)
L 61, Printemps in Mi maggiore per coro, pianoforte e orchestra (1887)
L 62, La Damoiselle élue (La damoiselle élue s'appuyait sur la barrière d'or du ciel) per 2 voci
femminili, coro e orchestra (1887–1888)
L 73, Fantaisie per pianoforte e orchestra (1889–1890)
L 89, La Saulaie per baritono e orchestra (1896–1900)
L 98, "Rhapsodie" per sassofono alto, pianoforte o orchestra (1901–1911)
L 116, Première rhapsodie per clarinetto e pianoforte o orchestra (1909–1910)
L 120, Petite pièce per clarinetto e pianoforte o orchestra (1910)
L 141, Ode à la France: Les troupeaux vont par les champs désertés per soprano, coro e
orchestra (1916–1917)

Musica da Camera

L 5, Trio per pianoforte e archi (1880)


L 26, Nocturne et Scherzo for violoncello e piano (1882)
L 85, Quartetto per archi in Sol minore, Op. 10 (1892-1893)
L 96, Chansons de Bilitis for 2 flauti, 2 arpe e 1 celesta
Chant pastoral
Les comparaisons
Les contes
Chanson
La partie d'osselets
Bilitis
Le tombeau sans nom
Les courtisanes égyptiennes
L'eau pure du bassin
La danseuse aux crotales
Le souvenir de Mnasidica
La pluie du matin
L 103, Danses pour harpe chromatique et orchestre d'instruments à cordes (1904)
Danse sacrée
Danse profane
L 129, Syrinx per flauto solo (1913)
L 135, Sonata per violoncello e pianoforte (1915)
L 137, Sonata per flauto, viola e arpa (1915)
L 140, Sonata per violino e pianoforte (1916–1917)

Pianoforte

L 9, Danse bohémienne (1880)


L 50, Suite per orchestra (riscritta per pianoforte) (1885)
Fête
Ballet
Rêverie
Bacchanale
L 66, Deux arabesques (1888, 1891)
L 67, Mazurka (1890)
L 68, Rêverie (1890)
L 69, Tarantelle styrienne (Danse) (1890)
L 70, Ballade slave (Ballade) (1890)
L 71, Valse romantique (1890)
L 75, Suite bergamasque (1890-1905)
Prélude
Menuet
Clair de Lune
Passepied
L 82, Nocturne (1892)
L 87, Images oubliées (1894)
L 95, Pour le piano suite (1894–1901)
Prélude
Sarabande
Toccata
L 99, D'un cahier d'esquisses (1903-1904)
L 100, Estampes (1903)
Pagodes
La soirée dans Grenade
Jardins sous la pluie
L 105, Masques (1904)
L 106, L'isle joyeuse (1904)
L 108, Morceau de concours (Pièce pour piano) (1904)
L 110, Images, Prima serie (1905)
Reflets dans l'eau
Hommage à Rameau
Mouvement
L 111, Images, Seconda serie (1907)
Cloches à travers les feuilles
Et la lune descend sur le temple qui fut
Poissons d'or
L 113, Children's Corner (1906–1908)
Doctor Gradus ad Parnassum
Jimbo's Lullaby
Serenade for the Doll
The Snow Is Dancing
The Little Shepherd
Golliwogg's Cakewalk
L 114, Le petit Nègre (1909)
L 115, Hommage à Haydn (1909)
L 117, Préludes, Premier Livre (1909–1910)
Danseuses de Delphes
Voiles
Le vent dans la plaine
«Les sons et les parfums tournent dans l'air du soir»
Les collines d'Anacapri
Des pas sur la neige
Ce qu'a vu le vent d'Ouest
La fille aux cheveux de lin
La sérénade interrompue
La Cathédrale engloutie
La danse de Puck
Minstrels
L 121, La plus que lente (1910)
L 123, Préludes, Deuxième livre (1911–1912)
Brouillards
Feuilles mortes
La Puerta del Vino
Les fées sont d'exquises danseuses
Bruyères
Général Lavine - eccentric
La terrasse des audiences du clair de lune
Ondine
Hommage à S. Pickwick Esq. P.P.M.P.C.
Canope
Les tierces alternées
Feux d'artifice
L 132, Berceuse héroïque (1914)
L 133, Page d'album (1915)
L 136, Études (1915)
Pour les cinq doigts
Pour les tierces
Pour les quartes
Pour les sixtes
Pour les octaves
Pour les huit doigts
Pour les degrés chromatiques
Pour les agréments
Pour les notes répétées
Pour les sonorités opposées
Pour les arpèges composés
Pour les accords
L 138, Elégie (1915)
Les soirs illuminés par l'ardeur du charbon (1917)

Composizioni 4 mani / 2 pianoforti

L 10, Symphony per piano, 4 mani (1880)


L 36, Divertissement per piano, 4 mani (1882)
L 38, Le triomphe de Bacchus per piano, 4 mani (1882)
L 65, Petite suite per piano, 4 mani (1888–1889)
En bateau
Cortège
Menuet
Ballet
L 77, Marche écossaise sur un thème populaire per piano, 4 mani (1891)
L 97, Lindaraja for two pianos (1901)
L 131, Six épigraphes antiques per piano, 4 mani (1914)
Pour invoquer Pan, dieu du vent d'été
Pour un tombeau sans nom
Pour que la nuit soit propice
Pour la danseuse aux crotales
Pour l'égyptienne
Pour remercier la pluie au matin
L 134, En blanc et noir per 2 pianoforti (1915)

Voce e pianoforte

L 1, Ballade à la lune: C'était dans la nuit brune (1879)


L 2, Madrid: Madrid, princesse des Espagnes (1879)
L 4, Nuits d'étoiles: Nuit d'étoiles, sous tes voiles (1880)
L 5, Caprice: Quand je baise, pâle de fièvre (1880)
L 6, Beau soir: Lorsque au soleil couchant les rivières sont roses (1880)
L 7, Fleur des blés: Le long des blés que la brise fait onduler (1880)
L 8, Rêverie: Le zéphir à la douce haleine (1880)
L 11, Souhait: Oh! quand la mort que rien ne saurait apaiser (1881)
L 12, Triolet à Phillis [Zéphyr]: Si j'étais le zéphyr ailé (1881)
L 13, Les roses: Lorsque le ciel de saphir (1881)
L 14, Séguidille: Un jupon serré sur les hanches (1881)
L 15, Pierrot: Le bon Pierrot que la foule contemple (1881)
L 16, Aimons-nous et dormons: Aimons-nous et dormons, sans songer au reste du monde (1881)
L 17, Rondel chinois: Sur le lac bordé d'azalée (1881)
L 18, Tragédie: Les petites fleurs n'ont pu vivre (1881)
L 19, Jane: Je pâlis et tombe en langueur (1881)
L 21, Fantoches: Scaramouche et Pulcinella (1882)
L 22, Le lilas: O floraison divine des lilas (1882)
L 23, Fête galante: Voilà Sylvandre et Lycas et Myrtil (1882)
L 25, Flôts, palmes et sables: Loin des yeux du monde (1882)
L 28, En sourdine: Calmes dans le demi-jour (1882)
L 29, Mandoline: Les donneurs de sérénades (1882)
L 30, Rondeau: Fut-il jamais douceur de cœur pareille (1882)
L 31, Pantomime: Pierrot qui n'a rien d'un Clitandre (1882)
L 32, Clair de lune: Votre âme est un paysage choisi (1882)
L 33, La fille aux cheveux de lin: Sur la luzerne en fleur (1882)
L 34, Sérénade: Las, Colombine a fermé le volet (1882)
L 39, Coquetterie posthume: Quand je mourrai, que l'on me mette (1883)
L 42, Chanson espagnole: Tra la la… nous venions de voir le taureau per due voci (1883)
L 43, Romance [musique pour éventail]: Silence ineffable de l'heure (1883)
L 44, Musique: La lune se levait, pure, mais plus glacée (1883)
L 45, Paysage sentimental: Le ciel d'hiver si doux, si triste, si dormant (1883)
L 46, L'archet: Elle avait de beaux cheveux blonds (1883)
L 47, Chanson triste: On entend un chant sur l'eau dans la brume (1883)
L 48, Fleur des eaux (1883)
L 49, Églogue: Chanteurs mélodieux, habitants des buissons for soprano and tenor duet and
piano (1883)
L 51, Diane au bois for soprano and tenor duet and piano (1883–1886)
L 52, Romance: Voici que le printemps, ce fil léger d'avril (1884)
L 53, Apparition: La lune s'attristait Des séraphins (1884)
L 54, La romance d'Ariel: Au long de ces montagnes douces (1884)
L 55, Regret: Devant le ciel d'été, tiède et calme (1884)
L 58, Barcarolle: Viens! l'heure est propice (1885)
L 60, Ariettes oubliées (1885–1887)
C'est l'extase: C'est l'extase langoureuse'
Il pleure dans mon cœur: Il pleure dans mon cœur comme il pleut sur la ville
L'ombre des arbres: L'ombre des arbres dans la rivière embrumée
Chevaux de bois: Tournez, tournez, bons chevaux de bois
Green: Voici des fruits, des fleurs, des feuilles
Spleen: Les roses étaient toutes rouges
L 63, Axel (1888)
L 64, Cinq poèmes de Baudelaire (1887–1889)
Le balcon: Mère des souvenirs, maîtresse des maîtresses
Harmonie du soir: Voici venir les temps où vibrant sur sa tige
Le jet d'eau: Tes beaux yeux sont las, pauvre amante
Recueillement: Sois sage, ô ma douleur
La mort des amants: Nous aurons des lits pleins d'odeurs légères
L 74, La belle au bois dormant: Des trous à son pourpoint vermeil (1890)
L 76, Les Angélus: Cloches chrétiennes pour les matines (1891)
L 78, Dans le jardin: Je regardais dans le jardin (1891)
L 79, Romances (1891)
Romance: L'âme évaporée et souffrante
Les cloches: Les feuilles s'ouvraient sur le bord des branches
L 80, Fêtes galantes Primo libro (1891)
En sourdine: Calmes dans le demi-jour
Fantoches: Scaramouche et Pulcinella
Clair de lune: Votre âme est un paysage choisi
L 81, Mélodies (1891)
La mer est plus belle que les cathédrales
Le son du cor s'afflige vers les bois
L'échelonnement des haies moutonne à l'infini
L 84, Proses lyriques (1892–1893)
De rêve: La nuit a des douceurs de femme
De grève: Sur la mer les crépuscules tombent
De fleurs: Dans l'ennui si désolément vert
De soir: Dimanche sur les villes
L 90, Chansons de Bilitis (1897–1898)
La flûte de pan: Pour le jour des Hyacinthies
La chevelure: Il m'a dit «Cette nuit d'ai rêvé»
Le tombeau des Naiades: Le long du bois couvert de givre
L 94, Nuits blanches: Tout à l'heure ses mains plus délicates (1899–1902)
L 102, Chansons de France (1904)
Rondel: Le temps a laissié son manteau
La Grotte: Auprès de cette grotte sombre
Rondel: Pour ce que Plaisance est morte
L 104, Fêtes galantes Secondo libro (1904)
Les ingénus:Les hauts talons luttaient avec les longues jupes
Le faune: Un vieux faune de terre cuite
Colloque sentimental: Dans le vieux parc solitaire et glacé
L 118, Le promenoir des deux amants
Auprès de cette grotte sombre
Crois mon conseil, chère Climène
Je tremble en voyant ton visage
L 119, Ballades de François Villon (1910)
Ballade de Villon à s'Amye: Faulse beauté qui tant me couste cher
Ballade que Villon feit à la requeste de sa mère pour prier Nostre Dame: Dame du ciel,
régente terrienne
Ballade des femmes de Paris: Quoy qu'on tient belles langagières
L 127, Poèmes de Stéphane Mallarmé (1913)
Soupir: Mon âme vers ton front où rêve, ô calme sœur
Placet futile: Princesse! À jalouser le destin d'une Hébé
Évantail: Ô rêveuse pour que je plonge
L 139, Noël des enfants qui n'ont plus de maison (Nous n'avons plus de maison) (1915)

Musica vocale e corale

L 35, Choeur des brises: Réveillez-vous, arbres des bois per coro femminile a cappella (1882)
L 92, Chansons de Charles d'Orléans per coro di 4 voci miste a cappella (1898–1908)
Dieu! qu'il la fait bon regarder!
Quand j'ai ouy le tambourin sonner
Yver, vous n'estes qu'un villain
L 93, Berceuse: Il était une fois une fée qui avait un beau sceptre per voce senza
accompagnamento(1899)

Note

1 Massimo Mila, Breve storia della musica, Torino, Einaudi, 1963, p. 358.
2 Daniel T. Politoske, Martin Werner: Music, Fourth Edition, p. 419; Prentice Hall. ISBN 0-13-
607616-5.
2 Rudolph Réti, Tonality–Atonality–Pantonality: A Study of Some Trends in Twentieth Century
Music, Londra, Rockliffe, 1958.

4 Ariane Charton, Claude Debussy, Parigi 2012 Édition Gallimard, (trad. italiana di Gianluca
Faragalli, Hans e Alice Zevi, 2016).
5 François Lesure, Debussy avant Pelléas ou les Années symbolistes, Parigi 1992 Édition
Klincksieck (trad. italiana di Carlo Gazzelli, Debussy. Gli anni del simbolismo, EDT, Torino,
1994).
6 Stephen Walsh, Debussy. A Painter in Sound, Londra 2018 Faber & Faber, (trad. italiana di
Marco Bertoli, Claude Debussy, Il pittore dei suoni, EDT, Torino, 2019).
7 Citato in: I bemolle sono blu - infanzia, Studi musicali. Prix de Rome
8 Debussy scrive a Giuseppe Primoli una richiesta di denaro per poter pagare la cena dopo la
vittoria del Prix de Rome. Questa lettera è datata 1884 si trova a pagina 1 del libro I bemolle sono
blu.
9 D. Enget, Debussy in Jersey. The centenary, 1904-2004
10 Il cannone utilizzato per bombardare Parigi a oltre 100 km di distanza era il Parisgeschütz,
anche chiamato, per le sue molte devastazioni, Kaiser Wilhelm Geschütz (Cannone del Kaiser
Guglielmo). I francesi lo avevano soprannominato "la Grande Bertha", dal soprannome di un altro
famoso mortaio pesante tedesco, la M-42 Dicke Bertha (Grande Berta), impiegato durante la
battaglia di Liegi, durante le prime fasi della prima guerra mondiale. A parte il soprannome, e il
fatto che entrambi venissero prodotti dalla acciaierie Krupp, i due pezzi d'artiglieria non hanno
nessun particolare in comune.
11 Claude-Emma "Chouchou" Debussy, su Find a Grave. URL consultato il 10 febbraio 2020.
12 tratto da: "La Parigi musicale del primo Novecento: cronache e documenti" di Flavio Testi,
EDT, 2003, pag.258
13 La Nuova Enciclopedia della Musica. Garzanti, Milano, 1983, p.210
14 Citato in: "I Nocturnes di Claude Debussy: uno studio analitico" di Domenico Riannetta a
pag.244
15 Francesca Gemmo, Jeux Poema danzato, Trento 2011 Tangram Edizioni Scientifiche.

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