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William Limonta

PASSIO ET MORS
DOMINI NOSTRI IESU CHRISTI
SECUNDUM LUCAM

di Krzysztof Penderecki
(1933-2020)

Analisi generale
dell’opera
Indice generale

1. Introduzione

2. Elementi strutturali e funzioni narrative

3. Funzioni narrative nell’orchestrazione

4. Articolazione della composizione

5. Analisi generale dell’opera


Cap. 1: Parte I°
Cap. 2: Parte II°

6. Lettura retorica di alcune simbologie musicali

7. Conclusioni
Introduzione

Passio et Mors Domini Nostri Iesu Christi


secundum Lucam, del compositore polacco
Krzysztof Penderecki (1933-2020), è un’ampia
composizione per 3 solisti (soprano, baritono e
basso), narratore, tre cori misti, coro di voci e
grande orchestra sinfonica, dedicato alla moglie
Elizabeth. Il brano è stato scritto tra il 1962 e il
1965, su commissione della Westdeutschen
Rundfunk per celebrare il 700° anniversario
della cattedrale di Münster (la prima
esecuzione è avvenuta il 30 marzo del 1966).
Partendo dal soggetto della passione e della
morte di Cristo, narrata nel vangelo di Luca,
Penderecki accoglie e esplora a piene mani la
tradizione della liturgia cattolica. Infatti, oltre
ad adoperare il testo evangelico di Luca (con
alcune aggiunte tratte dal vangelo di Giovanni), inserisce estratti tratti dall’inno
Vexilla Regis (“O crux”), oppure l’Improperia Popule meus, insieme alle antifone
Crux fidelis e Ecce ligum crucis, le quali fungono da commento per l’azione
drammatica del vangelo.
Il linguaggio adottato dal compositore combina la tradizione con la modernità,
attraverso elementi molto particolari e giustapposti tra loro: tecniche di
esecuzione tradizionale e tecniche estese tipiche del repertorio contemporaneo;
riferimenti tonali insieme alla tecnica dodecafonica; uso del contrappunto di
derivazione rinascimentale e l’uso di moderne tecniche sonore (cluster).
Penderecki, dunque, abbandona lo sperimentalismo di avanguardia che lo aveva
contraddistinto fino ad allora (si pensi a Threnody for the victims of Hiroshima),
ritornando ad una dimensione compositiva più tradizionale: uso di accordi tonali,
contrappunto quasi “rinascimentale” (utilizzando la tecnica del doppio coro), ad
esempio.
Non mancano, però, elementi tipici del suo linguaggio (tecniche estese e uso del
cluster), ma in questo caso sono utilizzati come strumenti espressivi e finalizzati
all’atmosfera e alla situazione drammatica (non più come elementi strutturali
fondamentali).
In questa composizione, oltre al materiale musicale di base, Penderecki si rifà ad
un modello storico: quello delle passioni di Johann Sebastian Bach. Penderecki
infatti, come nei capolavori del genio di Eisenach, divide la sua opera in due parti,
suddividendola ulteriormente in un alternarsi tra recitativi (affidati alla voce
recitante, la quale declama il testo evangelico), cori e arie. L’intenso uso del
contrappunto e l’adozione del tetracordo B.A.C.H (sib, la do, si), certificano
ulteriormente questo profondo legame con la tradizione musicale tedesca.
Elementi strutturali e funzioni narrative

Come è stato detto nell’introduzione, Penderecki coniuga diversi linguaggi


appartenenti a delle dimensioni stilistiche variegate: l’uso del contrappunto di
estrazione rinascimentale, accordi perfetti e unisoni all’ottava, tecniche estese
strumentali e uso della dodecafonia.
Di tutti questi elementi sopra citati, alcuni rivestono il ruolo di elementi
strutturali, a partire prima di tutto dalle serie dodecafoniche, le quali definiscono
la precisa dimensione armonico-melodica del brano (attraverso degli intervalli
ricorrenti ad esse legate).

La prima serie che il compositore utilizza è la seguente:

Essa appare fin dall’inizio, subito dopo gli unisoni dei cori (“O crux”), affidandole
ai violoncelli, contrabbassi, pedale dell’organo e tromboni.
Come possiamo ben notare, i due intervalli più ricorrenti tra i singoli suoni sono
quelli di seconda minore e terza minore (come vedremo, -soprattutto il primo di
questi due intervalli- diventano elementi strutturali dell’intera composizione
musicale).

La seconda serie, esposta sempre nel primo numero della Passione dal coro di
voci bianche sulle parole “Crux ave”, è la seguente:

Anche qui l’intervallo di seconda minore diventa fondamentale. Ma vi è un altro


importante elemento in questa serie. Se si prendono in considerazione le ultime
quattro note, si può ricostruire il celebre tetracordo B.A.C.H (si bemolle, la, do ,si):
non solo un omaggio nell’omaggio al grande compositore tedesco, ma anche
elemento tematico e armonico che sarà presente in tutta l’opera.
La Passione secondo Luca è un autentico dramma in musica (soprattutto la prima
parte), anche grazie alle diverse funzioni espressive che le varie componenti in
azione hanno.
Alcuni esempi: il ruolo del coro ripristina l’antico ruolo che ricopriva all’interno
della tragedia greco-romana, quindi quella di commentare un determinato evento
od esaltare un particolare stato d’animo (oltre che a rappresentare la folla, come si
vedrà nell’aggressiva richiesta del popolo “Crucifige!” a Pilato), utilizzando
tecniche inusuali come le grida, i fischi e il parlato; il ruolo dell’Evangelista, che
nelle passioni di Bach era affidata ad un cantante utilizzando la forma del
recitativo, in questo caso è affidata alla voce recitante, mentre le voci solistiche
(soprano, baritono e basso) interpretano precisi ruoli nella narrazione evangelica;
l’orchestra, infine, il più delle volte contribuisce a creare delle particolari
atmosfere attraverso l’uso di strumenti in precisi registri (a seconda della
situazione), adottando anche fasce sonore di note lunghe oppure dinamici
pulviscoli quasi impercettibili.
Funzioni narrative nell’orchestrazione

L’organico per cui Penderecki realizza il suo brano è tradizionale, ad eccezione di


qualche peculiarità:

4 flauti (2 piccoli, 1 alto) Guiro


Clarinetto basso Claves
2 sassofoni contralti 4 piatti (soprano, alto, tenore, basso)
3 fagotti 2 tam-tam (1-medio, 1-profondo)
Controfagotto 2 gongs (1-cinese, 2-giavanese)
Campane
6 corni in Fa Vibrafono
4 trombe in Sib
4 tromboni Arpa
Tuba Pianoforte
Armonium
4 timpani Organo
Gran cassa
6 tom-toms 24 violini
Tamburo militare 10 viole
Frusta 10 violoncelli
4 woodblocks 8 contrabbassi
Raganella

Come possiamo notare, l’orchestrazione esclude totalmente la famiglia degli oboi


e dei clarinetti (ad esclusione del clarinetto basso). La più grande famiglia
strumentale che possiamo chiaramente notare è quella delle percussioni le quali,
come si vedrà, hanno funzioni differenti a seconda della tipologia degli strumenti.
Degne di nota sono anche le proporzioni degli ottoni: generalmente a gruppi di
tre, in questo caso sono raggruppati a 4 (trombe e tromboni) e a 6 (corni, per
sostenere il cospicuo numero degli altri ottoni).
Alcuni strumenti a percussione possono identificarsi come elementi strutturali (al
fine di definire una precisa forma): ad esempio, le percussioni metalliche (insieme
all’arpa e al pianoforte, quest’ultimo trattato esclusivamente come strumento
percussivo) si possono riferire a questa funzione.
Altre percussioni, come il timpano, la grancassa, svolgono la funzione di
interpunzione tra colori sonori oppure situazioni diverse (a volte, anche insieme
ad altri strumenti dell’orchestra, come i violoncelli o i contrabbassi).
L’armonium e l’organo, invece, non sono trattati come strumenti solistici, ma
come sostegno insieme ad altri gruppi o con mero effetto timbrico.

In generale, all’orchestra possiamo associare tre ruoli fondamentali:

1° ruolo: come accompagnamento delle arie, con una funzione di sostegno


armonico (affidata soprattutto agli strumenti più gravi) adoperando fasce sonore
generalmente scure. La scrittura, in questo caso, non deve mai prevaricare il canto,
ma deve porsi come mero accompagnamento del solista. Potremmo dunque
affermare che in questi contesti l’orchestra assuma il ruolo che aveva in epoca
barocca il basso continuo, dunque attraverso una linea di basso (senza
l’armonizzazione) a sostegno del canto solistico.

2° ruolo: come “punteggiatura” timbrica nelle parti di raccordo tra le sezioni (in
cui la scrittura è viva e pulsante), impiegando gli strumenti del registro medio-alti
(flauti e sax) e dove, insieme al coro, la scrittura scivola nel rumore.

3° ruolo: come effetto timbrico e coloristico, attraverso una densa scrittura a fasce
(che talvolta diventa indeterminata), incrementata ulteriormente dall’abbondante
uso dei cluster. Questo effetto è sempre di sostegno e volto ad amplificare l’azione
drammatica.

Questi ruoli poc’anzi evidenziati possono essere molto ben riconosciuti in modo
particolare nella prima parte dell’opera, dove la scrittura e la narrazione teatrale
sono molto più evidenti: le zone formali sono ben delineate, bilanciate nella
scrittura e nella loro regolare successione.

Durante i recitativi, dove l’attenzione primaria è rivolta al testo che viene recitato
dall’Evangelista, l’orchestra tace la maggior parte delle volte. Solo in rare
occasioni (ad esempio, in relazione al tradimento di Giuda, al n°5 della Prima
Parte) l’intensificarsi del tessuto orchestrale influenza anche la voce recitante.

Ogni sezione, infine, possiede un apice di tensione interno (ognuno dei quali è
ben delineato da un preciso uso strumentale), dove l’intensità timbrica e dinamica
(non essendoci altri parametri da prendere in considerazione) è resa a seconda
della funzionalità drammatica di quel singolo numero.
Articolazione della composizione

Parte I

1. O Crux (Inno “Vexilla regis prodeunt”): coro e orchestra


2. Et egressus ibat (Recitativo: Luca 22, 39-44): Evangelista, baritono e
orchestra
3. Deus Meus (Aria: Salmo 22, 1-2 e 5,1): baritono, coro e orchestra
4. Domine, quis habitat (Aria: Salmo 15, 1; 4,8; 16,9): soprano e orchestra
5. Adhuc eo loquente (Intermezzo e Recitativo: Luca 22, 47-53): Evangelista,
baritono, coro e orchestra
6. Ierusalem ( dalle Lamentazioni di Geremia): coro e orchestra
7. Ut quid, Domine (Salmo 10, 1): coro a cappella
8. Comprehendentes autem eum (Recitativo: Luca 22, 54-62): Evangelista,
soprano, basso, coro e orchestra
9. Iudica me, Deus (Aria: Salmo 43, 1): basso e orchestra
10. Et viri, qui tenebant illum (Recitativo: Luca 22, 63-70): Evangelista,
baritono, coro e orchestra
11. Ierusalem ( dalle Lamentazioni di Geremia): soprano e orchestra
12. Miserere mei, Deus (Salmo 56, 1): coro a cappella
13. Et surgens omnis (Recitativo: Luca 23, 1-22): Evangelista, baritono,
basso, coro e orchestra

Parte II

14. Et in pulverem (Salmo 22, 15): coro e orchestra


15. Et baiulans sibi crucem (Recitativo: Giovanni 19,17): Evangelista
16. Popule meus (Passacaglia, dagli “Improperia”): coro e orchestra
17. Ibi crucifixerunt eum (Recitativo: Luca 23, 33): Evangelista e orchestra
18. Crux fidelis (Aria, da “Pange Lingua Gloriosi”): soprano, coro e orchestra
19. Iesus autem dicebat (Recitativo: Luca 23, 34): Evangelista, coro, baritono
e orchestra
20. In pulverem mortis (Salmo 22, 15-19): coro a cappella
21. Et stabat populus (Recitativo: Luca 23, 35-37): Evangelista, coro e
orchestra
22. Unus autem ( Recitativo: Luca 23, 39-43): Evangelista, baritono, basso,
coro e orchestra
23. Stabant autem iuxta crucem: (Recitativo: Giovanni 19, 25-27):
Evangelista, baritono e orchestra
24. Stabat Mater (Sequenza, da “Stabat Mater”): coro a cappella
25. Erat autem fere hora sexta (Recitativo: Luca 23, 44-46 e Giovanni
19,30) : Evangelista, baritono, coro e orchestra
26. Alla breve (Intermezzo, per orchestra)
27. In pulverem mortis / In te, Domine, speravi (Finale/Salmo 31, 1-2, 5):
soprano, baritono, basso, coro e orchestra
Analisi dell’opera
Nota preliminare:
La seguente analisi non vuole essere un’indagine esaustiva ed approfondita dal
punto di vista drammaturgico e compositivo del brano: nelle pagine a seguire
verranno evidenziati i macroelementi più importanti (che organizzano l’intera
struttura dell’opera, già evidenziati in precedenza), in relazione alla loro
giustapposizione nel tessuto orchestrale e solistico-corale.
Essa si può intendere come analisi generale nel senso di “macroanalisi”, non
soffermandosi dunque sul particolare ma rivolgendo l’attenzione al discorso
generale e puramente musicale (con qualche inevitabile riferimento al contesto
drammatico in cui un determinato evento sonoro viene collocato nella narrazione).

NB: per poter cogliere al meglio le determinate riflessioni dei singoli numeri, è di fondamentale
importanza servirsi dell’ausilio della partitura durante la consultazione.
Capitolo I

Prima parte:

1. Inno “O Crux” ( dall’Inno “Vexilla regis prodeunt”): coro e orchestra

L’unisono su cui il coro incomincia la Passione (sol distribuito su tre ottave,


accompagnato dall’organo) è già una grande testimonianza di intenti ( a
rappresentare il forte legame con la tradizione classica), collocando l’opera in un
contesto plurivalente dal punto di vista musicale. Attraverso le imitazioni
ravvicinate del coro e dell’orchestra, la quale preserva il materiale tematico
(utilizzando la prima serie, subito presentata dagli archi gravi e dall’organo) si
genera anche il ricordo palestriniano, riferibile all’eco della Cappella Sistina: i cori
rispondono a vicenda, mentre le voci bianche presentano la nuova serie
dodecafonica.
L’orchestra, in questa prima fase fino al punto D, si muove in piccole fasce
utilizzando densi giochi contrappuntistici tra lunghe note tenute e movimenti di
seconda minore, mentre le percussioni segnalano i cambi di colore o il ritmo
strutturale (ruolo assegnato al timpano) che permane durante tutto il corso del
brano. Il gioco contrappuntistico influenza anche i cori sul testo “hoc passioni
tempore”, i quali mutano articolazione adottando il parlato (articolazione segnalato
dal gong, come elemento di rottura con la sezione precedente), mentre lo spettro
corale man mano si amplia sempre di più, fino a raggiungere il culmine al punto
D.
Di nuovo, il grande unisono di “Crux” (questa volta sulla nota la) ritorna nella sua
più completa solennità, mentre gli archi gravi ripropongono la prima serie a
partire, questa volta, dal la#. Come nel punto A, anche questa volta il coro addensa
la scrittura, arrivando a coprire il totale cromatico dei 12 semitoni, attraverso
micromovimenti di seconda che si dissolvono nella più completa evanescenza (sul
lungo pedale di la, affidato ai contrabbassi e all’organo), lasciando spazio al primo
recitativo.
2. Recitativo Et egressus ibat (Luca 22, 39-44): Evangelista, baritono e
orchestra

L’evangelista incomincia la sua narrazione su un lungo pedale di la tenuto


dall’organo e da una parte dei contrabbassi (alcuni di loro, attraverso il pizzicato,
riverberano la funzione ritmica del timpano della sezione precedente). Come è
stato detto, Penderecki reinterpreta la funzione narrativa, in Bach affidata ai
recitativi, trasportandola direttamente al testo recitato, mentre i solisti dialogano
tra loro nelle vesti dei personaggi parlanti. Il primo personaggio che si presenta è
Gesù (interpretato dal baritono), il quale fin dall’inizio utilizza il semitono (la-sib)
come elemento tematico e strutturale che, come vedremo più avanti, diventerà di
fondamentale importanza. Il solista si muove melismaticamente, mentre gli archi
gravi creano una tesa atmosfera di incerta stabilità (con il timpano che riprende a
scandire l’andamento ritmico).

3. Aria “Deus Meus” (Salmo 22, 1-2 e 5,1): baritono, coro e orchestra

Fin dall’inizio, l’Aria ripropone il famoso intervallo di terza minore (complessivo:


sol-la-sib, al cui interno possiamo identificare anche la seconda minore) che
abbiamo già trovato nel primo recitativo (anche se, in quel caso, era ridotto al solo
intervallo la-sib). In questa ipotetica atmosfera protesa verso sol minore, il canto
solista del baritono prosegue alternando la reiterazione del motivo di terza minore
con risposte, anche di tipo melismatico, fondate sugli intervalli di 7° e di 9° i quali
ripercorrono le altezze delle serie originali, il tutto fondato sul discreto
accompagnamento dell’organo, dell’arpa (con funzione ritmica) e gli archi gravi.
Al punto B subentra parte del coro (Voci bianche e tenori del primo coro misto),
attraverso una forma ritmico-armonico-testuale che ritornerà più volte nel corso
della Passione (caratterizzata da un accordo dissonante -con intervalli ravvicinati-
il quale, attraverso la discesa cromatica di semitono delle singole parti, conclude
su una terza minore formata dalle note mi-sol). Successivamente, l’ingresso
dell’intero coro amplifica, attraverso dei vocalizzi melismatici, lo stato d’animo di
profonda incertezza del solita, fino a consolidarsi in un vero e proprio coro
dialogico (alla maniera dei doppi cori rinascimentali) a partire dal punto D, in cui
la cellula, inizialmente affidata solo ai tenori e alle voci bianche, ora viene espansa
a tutti e tre i cori (su 2 ottave e mezzo).
Dopo una discesa nell’abisso della tessitura corale (attraverso un massiccio
glissando fino al mib), il solista riprende con la reiterazione del “Deus Meus”
attraverso il medesimo intervallo di terza minore, di volta in volta trasportandolo
(Mib minore -Sol# minore), mentre il coro (annuciato dal tam tam) ripete il motivo
del solista in un fittissimo intreccio polifonico fortemente imitativo. L’orchestra
esalta e amplifica ulteriormente le linee delle voci, accompagnandole, attraverso
un fitto uso degli ottoni, dei fagotto e del sax. Giunti ad un culmine in cui il coro,
coprendo il totale cromatico, (con il gong, la campana e i cluster dei corni e
dell’organo) conclude con un lancinante “Clamabo”, il solista riprende con la
medesima formula dell’inizio - “Deus Meus” in sol minore -, mentre gli ultimi
residui di materia svaniscono attraverso le trame polifoniche del coro, creando
una perfetta dicotomia tra tensione e sfaldamento.

4. Aria “Domine, quis habitat” (Salmo 15, 1; 4,8; 16,9): soprano e orchestra

In questo numero possiamo chiaramente notare la scrittura quasi “isterica” e


pulviscolare che Penderecki affida, in alcuni momenti, all’orchestra. Fin dall’inizio
(dalla modulazione per nota perno di sol riverberante nella coda finale dell’aria
precedente), il soprano dialoga con l’orchestra (in modo particolare con i fiati
acuti) attraverso fasce sonore che, passando dal vocalizzo quasi improvvisato
iniziale del canto sulle vocali O, E A, I e alla frenetica corse dei fiati (la cui
scrittura anticipa quella del soprano), si giunge ad una stabilizzazione melismatica
nell’arioso, il quale adopera intervalli microtonali (avvicinando il canto al parlato)
e interponendo il discorso del solista a masse sonore ( affidate agli ottoni e a vari
tipi di percussioni, tra cui la campana e il gong, che marcano l’ingresso del
quartetto di trombe in una scrittura quasi ‘corale’) le quali amplificano il
significato del testo enunciato. Il discorso prosegue perdendosi sul lieve pizzicato
del contrabbasso, sfumando nel ppp dei tre flauti.

5. Intermezzo e Recitativo Adhuc eo loquente (Luca 22, 47-53): Evangelista,


baritono, coro e orchestra

Il numero inizia con una transizione orchestrale in cui il compositore esplora le


possibilità timbriche di ogni strumento: attraverso uno sviluppo timbrico variegato
ed una scrittura prevalentemente verticale, Penderecki adotta alcune particolari
tecniche di scrittura (cluster, ma anche scrittura improvvisativa per le percussioni
che evolve il suono verso il rumore) , a cui anche il coro (a bocca chiusa) prende
parte attraverso puri elementi timbrici. L’orchestra gestisce fasce sonore differenti
e talvolta estreme, adottando una scrittura policorale con un forte ruolo
didascalico e drammaturgico. Le iniziali note lunghe degli ottoni si diluiscono
nella scrittura puntiforme e pulviscolare delle percussioni (rimarcate da un suono
violento e sgretolato), mentre l’Evangelista (il cui ingresso è sempre rimarcato dal
ritmo implacabile del timpano) inizia la sua narrazione riferita al tradimento da
parte di Giuda sul monte degli Ulivi. Il coro, che in questo caso rappresenta la
folla, si alterna polifonicamente attraverso il recitato (in una densa rete di
sovrapposizioni). Il baritono, annunciato dalle percussioni metalliche ed
accompagnato dagli archi gravi, dal clarinetto basso e dal controfagotto, si muove
su altezze molto ampie (fino a raggiungere il sol3, nota estrema per il cantante),
sviluppando però sempre il medesimo intervallo di seconda.

6. Lamento “Ierusalem” ( dalle Lamentazioni di Geremia): coro e orchestra

Il lamento del numero 6, in cui il coro è pienamente protagonista, si riappropria


del sol iniziale (“O Crux”, ponendolo in forte contrasto alla sovrapposizione
cromatica dei tenori, i quali “sporcano” l’ottava attraverso degli accordi di terza
minore posti a distanza di semitono a partire dal mib. In questa lancinante
atmosfera il tessuto sonoro viene ulteriormente appesantito dai tromboni,
dall’organo, dal cluster di tutti e 6 i corni e dal ritmo che viene scandito dalla
campana, rievocando un ancestrale senso di inquietudine (incrementato anche
dall’ingresso dei gong e dei tam-tam) , per poi scivolare e spegnersi sempre di più
verso il grave .

7. Salmo “Ut quid, Domine” (Salmo 10, 1): coro a cappella

La serie fondamentale (1°) viene esposta fin da subito dai contralti, i quali
rievocano l’andamento del canto gregoriano (tra melismi e articolazione sillabica).
Poco alla volta, tutte le voci del primo coro entrano in un ampio tessuto
polifonico, mentre i contralti, sul testo “recessisti longe”, riutilizzano la figurazione
ritmica iniziale applicata ad un contesto tonale (mib minore). Nel finale, tutti i cori
rimarcano la figurazione “Domine” la quale, questa volta, non termina sulla terza
minore mi-sol, ma su quella di do#- mi
8. Recitativo Comprehendentes autem eum (Luca 22, 54-62): Evangelista,
soprano, basso, coro e orchestra

La tesa transizione iniziale, affidata all’orchestra, rievoca il trascorrere inesorabile


del tempo (attraverso il metallico, quanto lugubre suono del gong, della campana,
dell’arpa e del pianoforte), collocandoci in un’atmosfera molto tesa, resa ancora
più incerta dall’ingresso recitante del coro (che, in questo caso, sostituisce
l’Evangelista): la scrittura è densa e sovrapposta, dove il senso generale delle
parole viene a perdersi, tramutandosi in un indefinito mormorio in crescendo,
evidenziato dalle rapide figurazioni in frullato dei 4 flauti e delle 6 viole con
sordina.
Concluso questo turbine indistinto, la voce della donna (Soprano) rompe
l’incertezza, iniziando a dialogare con il Basso (il quale interpreta il ruolo
dell’apostolo Pietro).
La frammentazione del discorso musicale continua attraverso le punteggiature che
gli ottoni -e il gong- pongono in relazione all’inizio del declamato dell’Evangelista
(ora voce recitante), mentre il coro assume il ruolo dell’uomo che afferma, per la
seconda volta, che Pietro era uno dei dodici apostoli. Sulla negazione del basso
(attraverso un interessante disegno melodico discendente, quasi timido), mentre il
narratore continua con il racconto, il coro riprende il parlato (nel ruolo della folla,
annunciato dal gong e dal tam-tam) creando un complesso gioco ritmico in forma
di canone, fino al grande grido “et Galilaeus est.”, mentre gli ottoni e l’armonium
creano un tessuto di cluster che accompagna il discorso ritmico.
Per l’ultima volta, Pietro rinnega ancora le parole appena pronunciate (in un
disegno melodico rassegnato, più disteso), mentre sul testo dell’Evangelista che
riappare, il coro si dissolve e si sfalda nel silenzio, mentre l’organo enuncia
(parzialmente) nel pedale la seconda serie.

9. Aria “Iudica me, Deus” (Salmo 43, 1): basso e orchestra

La breve aria del basso (costruita su una quasi costante discesa cromatica di
seconda minore), è un concertato dialogico con il clarinetto basso e il
controfagotto (i quali si interpongono al canto, continuando la scrittura della linea
vocale, attraverso una dilatazione degli intervalli da lui precedentemente adottati e
utilizzando figurazioni ritmiche più complesse) mentre, nel sottobosco armonico, il
pedale dell’organo insieme agli archi gravi creano un sostegno discendente che si
spegne sulla nota la (insieme al canto, mentre il tam-tam sancisce l’inizio del
nuovo numero).

10. Recitativo Et viri, qui tenebant illum (Luca 22, 63-70): Evangelista,
baritono, coro e orchestra

La scrittura della transizione iniziale, che prelude al processo, possiede le tipiche


caratteristiche del secondo tipo di ruolo che l’orchestra assume, il quale è stato
identificato all’inizio nella premessa: partendo da una cellula iniziale nel registro
acuto (affidata ai violini II), la densità contrappuntista si ampia a tutto il tessuto
orchestrale, partendo dal registro più alto a quello più basso. La cellula iniziale si
evolve in una complessa stratificazione di rapide successioni articolate attraverso
gli intervalli di seconda minore. Dagli archi, il motivo viene ceduto ai fiati
(controfagotto, fagotti, sax e flauti), dove questi ultimi conducono il disegno
tematico ad un culmine nel registro più acuto possibile. Il cambio di atmosfera
(segnalato dalla raganella e dalle claves - legnetti-) affida il denso contrappunto
agli ottoni, ritornando poi ai flauti e di nuovo agli archi.
Il secondo culmine che possiamo notare in questa ampia transizione si può
identificare al punto C, dove il coro (annunciato dalle percussioni - tomtoms e
timpani- ) adotta una scrittura ritmica ( risata) nei registri estremamente acuti di
ciascuna sezione. La scrittura “beffarda” del coro si sovrappone al denso disegno
contrappuntistico orchestrale (adottando anche tipi di scrittura differenti e
cluster) e nell’ispessimento della timbrica, alternandosi insieme alle varie sezioni
fino all’ingresso dell’Evangelista. Il testo recitato (le guardie che percuotono Gesù
chiedendogli “chi ti ha colpito?”) viene amplificato dalla scrittura percussiva
dell’orchestra e del coro il quale, attraverso un altro tipo di scrittura (annunciato
sempre dalle percussioni), incarna il ruolo delle guardie recitando il testo
evangelico.
Sulla conclusione del parlato ritmico corale, cambia ulteriormente l’atmosfera,
annunciato dal gong, dove la tuba e i tromboni impostano un lunghissimo pedale
di mi. Su questa lunga nota tenuta, la scrittura a fasce del coro (sul testo
evangelico) e del cluster di 5 ottoni, introducono il commento finale del baritono
sul lungo pedale sostenuto dall’organo e dalla scansione ritmica dei contrabbassi.
11. Lamento “Ierusalem” ( dalle Lamentazioni di Geremia): soprano e
orchestra

La scrittura timbrica di questo numero è subito evidenziata dal cluster dei violini
II, mentre la campana (insieme all’organo e agli archi gravi) tengono un lungo
pedale di sol. Il soprano, riutilizzando il testo della Lamentazione, adotta una
scrittura (sempre basata sulla discesa cromatica la-lab) inizialmente sillabica, per
poi diventare strettamente melismatica fino a raggiungere il culmine della sezione,
evidenziato ancor più dall’ingresso delle trombe e dal cluster dei corni. Il discorso
del soprano, infine, si esaurisce attraverso il ritorno dell’espressione sillabica sulla
nota do# (sostenuta dagli archi gravi e dalla campana).

12. Salmo Miserere mei, Deus (Salmo 56, 1): coro a cappella

Il richiamo alla polifonia antica è particolarmente evidente in questa sezione: le


voci si alternano in pannelli lunghi e corti (conferendo tensione continua alla
struttura) attraverso una scrittura caratterizzata da un forte richiamo all’hoquetus
trecentesco. Il materiale tematico utilizzato dal coro viene derivato da 4 tetracordi,
rielaborati da quello fondamentale (B.A.C.H) e dalla seconda serie dodecafonica
(oltre che dal sempre costante intervallo di seconda minore ascendente/
discendente).

13. Recitativo Et surgens omnis (Luca 23, 1-22): Evangelista, baritono, basso,
coro e orchestra

L’ultima sezione della prima parte è un recitativo, volto a narrare gli eventi del
Processo davanti a Pilato. L’atmosfera è fin da subito molto tesa e instabile, e ciò
viene ulteriormente amplificato dall’iniziale transizione affidata all’orchestra: la
scrittura dei violini, dell’organo e dell’armonium è estremamente acuta (agli
esecutori è richiesto suonare la nota più alta che sono in grado di produrre), in
contrapposizione alle “spazializzazioni” sonore degli archi gravi (divisi
complessivamente in 18 parti), delle viole (divise a 10) e dei fiati (sax, fagotti e
corni); il tutto insieme ai cluster dell’organo, dell’armonium, del vibrafono e dei
flauti. Molto interessante, a livello visivo, la strategia di scrittura che Penderecki
adotta negli archi e nei fiati per rendere chiara la sua idea di spazializzazione (si
veda, a questo esempio, pag. 58 della partitura).
Annunciata dalle percussioni metalliche e dal pianoforte e dalla dissolvenza delle
ultime propaggini della scrittura precedente, la successiva sezione si sviluppa
attraverso una scrittura più statica (a fasce), prima presentata dai violoncelli e poi
al coro (mentre un’ultima apostrofe della scrittura “spazializzante” si presenta
negli ottoni). Il colpo di gong introduce la voce recitante, mentre il coro tiene un
lunghissimo pedale di sostegno con la nota più grave che ogni esecutore è capace
di ottenere. A questo punto, la scrittura cambia ancora: sul colpo ritmico della
raganella e degli archi gravi, il coro (adottando una scrittura ritmica) prende il
comando interpretando la folla la quale, a gran voce, chiede la morte di Gesù.
A sostegno della densa azione drammatica poc’anzi citata, l’orchestra interviene
attraverso una scrittura pulviscolare degli ottoni, a cui si sovrappongono
successivamente gli archi gravi (utilizzando una scrittura improvvisativa) e le
percussioni: tutto questo sopra una narrazione corale prima caotica ma che, poco
dopo, riprende l’omoritmia (preludiando alla sezione successiva).
Il colpo del gong e del tam-tam aprono la nuova narrazione, in cui sono
protagonisti il basso (che interpreta il ruolo di Pilato) e il baritono (Gesù), a cui si
aggiunge il coro ad esaltare determinati passaggi più intensi. Pilato, accompagnato
dai lunghi pedali dei tromboni e del controfagotto, pone la domanda “sei tu il re
dei Giudei?”, a cui subito dopo risponde il baritono (insieme all’organo, il quale
rielabora i pedali dei fiati precedenti) utilizzando la cellula originaria di 3° minore
derivata dall’iniziale “Deus Meus”. Il coro, subito dopo, replica attraverso la cellula
“Domine”, concludendosi sulla terza minore si-re, ed aprendo la strada all’arioso di
Pilato (con una scrittura discreta della parte orchestrale che, come è stato
precedentemente affermato, può ricordare l’idea di basso continuo).
L’arioso di Pilato si pone come piccola transizione, prima del ritorno della voce
recitante e del coro, dove l’atmosfera cambia totalmente e il ritmo narrativo si fa
più serrato: la nuova sezione (sempre annunciata dalle percussioni) introduce
nuovamente timbri contrastanti (cluster dell’organo e dei violini, insieme al
parlato del coro, che interpreta la folla), mentre una nutrita schiera di percussioni
intervengono sostenendo la narrazione. Il coro cambia più volte lo stile “parlante”:
dall’approccio strettamente sillabico delle prime misure finta al dilatato parlato
quasi spaziale (nel momento in cui le percussioni fanno il loro ingresso). La
contrapposizione del parlato ritmico dei tenori e della scrittura a fasce delle altre
parti corali introducono il ritorno di Pilato, in una scrittura orchestrale più
compatta (lungo pedale di la degli archi gravi, con la scansione ritmica rigida del
timpano), il quale elabora il suo canto attraverso la costante reiterazione
dell’intervallo caratterizzante di 2° minore.
La scrittura a pannelli che Penderecki adotta (da qui fino alla fine della sezione)
contribuisce ad incrementare la fortissima tensione che esploderà definitivamente
in conclusione: gli interventi degli ottoni, attraverso una scrittura a fasce (a cui
prendono parte gli archi gravi e l’organo -ampliandola a cluster), mentre il dialogo
tra coro (folla) e basso (Pilato) è sempre più caratterizzato da una forte azione
drammatica, che diventa sempre più stringente nelle ultime misure, quando il
coro (annunciato dal tam-tam e dal gong) prende definitivamente il sopravvento in
uno straziante urlo di rabbia sulle parole “Crucifige” (coprendo il totale cromatico
dei 12 semitoni).
La scrittura orchestrale in questo finale è estremamente aspra e cruda (corni e
tromboni che fanno ampio uso dei cluster, insieme alle trombe le quali utilizzano
la tecnica del frullato), esasperato soprattutto nel registro medio grave (ignorando
completamente nell’organico, peraltro, gli strumenti con una tessitura più acuta).
Capitolo II

Seconda parte:

14. Salmo “Et in pulverem “(Salmo 22, 15): coro e orchestra

Il breve salmo, fin da subito, enuncia i materiali fondamentali dell’intera Passione


affidandoli ai contralti (intervalli di terza e seconda minore), a cui poi fanno
seguito le voci maschili su un un re omoritmico con un ingresso a canone)
insieme al tam-tam con l’orchestra (organo e archi gravi su un lungo pedale sulla
nota re), mentre il gong segnala l’ultimo ingresso dei tenori e dei bassi. Sulla
lunghissima corona finale inizia il numero 15.

15. Recitativo Et baiulans sibi crucem (Giovanni 19,17): Evangelista

Solo l’evangelista è protagonista in questa piccolissima sezione (la più breve di


tutta l’opera), in cui viene narrata la salita al Calvario di Gesù. L’orchestra ed il
coro tacciono, dando un fortissimo rilievo e un’ evidente predominanza al testo.

16. Passacaglia Popule meus (dagli “Improperia”): coro e orchestra

La sezione introduttiva di questa grande passacaglia si presenta subito con il coro,


il quale esegue delle note lunghe basate sul tetracordo B.A.C.H trasportato,
mentre il timpano scandisce il ritmo utilizzano anch’esso il tetracordo ma al
contrario (si, do, la, sib- H.C.A.B). Poco a poco, anche parte dell’orchestra (archi
gravi, organo e timpano) fa il suo ingresso attraverso la medesima scrittura del
coro. Interessante da evidenziare, in questa prima parte, l’uso del timpano: il suo
ruolo (ancorato sul pedale costante di sib) è quello di marcare un incedere quasi
processionale del coro, in relazione ai cambi di andamento del coro (uso della
seconda serie nei tenori) e all’ingresso degli archi gravi. Poco dopo, l’ingresso
delle voci bianche cambia l’atmosfera: mentre il pedale dal sia precedente scivola
(attraverso un glissato) sulla nota mi e mentre la campana segnala il cambio del
clima, le voci bianche (insieme ai bassi) ripristinano la scrittura a fasce dell’inizio,
ma da cui poco dopo si distaccano, intraprendendo una densa scrittura
contrappuntistica e pulviscolare, già usata da Penderecki nella prima parte della
Passione (la quale, poco a poco, si amplia su tutti i cori) basati sui materiali del
tetracordo B.A.C.H e dalle serie fondamentali.
Al punto B, la scrittura cambia nuovamente: con l’ingresso dell’orchestra (ottoni,
organo, timpano e archi) viene ripristinata la scrittura a fasce insieme a interventi
omoritmici a cori alternati, basati sul tetracordo B.A.C.H (accompagnati
dall’organo, il quale sostiene le voci, e dal timpano, che enuncia il tetracordo).
Il punto C viene annunciato dai 2 tam-tam, e fin da subito, si percepisce che il
clima è più inquieto e vivace rispetto ai punti precedenti: l’orchestra (con
l’ingresso degli archi al completo, dell’armonium, dei flauti e di una nutrita
sezione di percussioni) imposta una scrittura a cluster, mentre il coro intraprende
una scrittura ritmica basata sul parlato (sovrapponendo più cellule ritmiche l’una
sulle altre). La densità e la forte tensione drammatica si fanno nuovamente
evidenti a pagina 78, attraverso l’ingresso dei sax, dei fagotti e dei corni i quali,
sovrapposti alla densa scrittura corale e ai cluster degli archi, riprendono le rapide
figurazioni che si possono ritrovare nel numero 10 (Prima parte): figurazioni molto
rapide, gruppi di sedicesimi basati su frammenti delle serie dodecafoniche
d’impianto, rendono questa sezione estremamente viva e carica di tensione
esplosiva: esplosione che sembra morire alla fine della pagina 79 (dove tutti
ripiombano nella dinamica soffusa del piano), ma che viene subito smentita da un
lacerante grido del coro sulle parole “responde”, a cui fa eco un violentissimo
cluster degli ottoni e dell’organo. Questo passaggio ci permette di mettere in
evidenza le strategie tensive - distensive che Penderecki usa: per fare in modo che
un determinato elemento fortemente caratterizzato drammaturgicamente (come il
gridato di “responde”) venga messo chiaramente in evidenzia, smorza subito, in
precedenza dell’evento da marcare, il materiale sonoro, cosicché l’attenzione
dell’ascoltatore, nel momento in cui l’elemento da evidenziare si presenta, sia
subito indirizzata verso tale elemento.
Dopo il grande grido carico di tensione, il silenzio regna sovrano nella partitura
(per lasciar cadere la tensione accumulata in precedenza), ad eccezione del pedale
dell’organo, il quale continua impeterrito sul sib, e delle percussioni (timpano e
gran cassa), le quali scandiscono il ritmo sulla medesima nota di pedale.
Dal silenzio timido del pedale, risorge il coro (punto D) riutilizzando la scrittura a
fasce iniziale sempre sul tetracordo B.A.C.H, a cui segue l’organo con la medesima
scrittura. Con l’ingresso dei fiati (flauti, sax e fagotti) con un cluster molto soffuso,
anche il coro cambia emissione, passando alla bocca chiusa. Con il ritocco dei
piatti (volti a segnare un cambio di atmosfera), ritornano gli archi acuti: in una
scrittura timbrica eterea, utilizzano la sordina e una stratificazione di armonici di
4° (violini divisi a 6) sovrapposti al cluster delle viole e dell’armonium. Il coro, in
relazione al suono indistinto degli archi, cambia nuovamente emissione, passando
al fischio il quale, poco dopo (inizio di pag. 83), si dissolve nel silenzio.
Il punto E ci presenta subito un ritorno del tetracordo da parte degli archi gravi,
ma in questo caso rivoltato e rovesciato, la cui nota tenuta dà origine ad una
intricata scrittura a fasce che coinvolge tutti gli archi, ottoni, organo e coro, con il
culmine posto in relazione del mib acuto (mib 5) degli archi . Da questa densa
stratificazione verticale, nasce una scrittura più sfaldata, morbida e melismatica,
affidata ai tenori, a cui fanno eco gli archi (con la ripresa della scrittura per
armonici di 4°) e il cluster dell’armonium.
Questa costante alternanza tra tempi dilatati e tempi più mossi, sono una
caratteristica fondamentale nella struttura di tutta l’opera, e anche nei singoli
numeri questa dicotomia è molto evidente, riutilizzando molto spesso materiali
delle sezioni precedenti.
La sezione F per l’appunto, riutilizza alcuni materiali tratti dal punto A del Popule
Meus: figurazioni ad ottavi sulle serie fondamentali, contrapposte alla scrittura a
fasce, onnipresente. Questo ritorno all’inizio prepara l’atmosfera all’ingresso delle
voci bianche, le quali continuano sempre attraverso note lunghe tenute con
leggeri movimenti di semitono, preludiando al punto G.
In questo nuovo punto, il coro di voci bianche diventa tematico: l’enunciazione
solenne della prima serie dodecafonica (sovrapposta all’ingresso dilatato dei corni)
prelude al culmine tensivo (riscontrabile all’inizio di pag. 89) in cui, sul “Crucem”
dei ragazzi, replica l’intera orchestra (attraverso note tenute e fasce di cluster) e il
coro (attraverso una sovrapposizione cromatica di terze minori), a cui si aggiunge,
quasi come coda, il tam tam e il gong a cambiare il clima. Sul colpo in pp d e l l a
gran cassa e del timpano, inizia una soffusa litania parlata da parte del coro,
caratterizzata dall’alternanza dei tre cori con le voci bianche le quali, poco dopo
portano alla conclusione del numero.

Possiamo, a questo punto, definire il perché questa determinato numero venga


definita “Passacaglia”: un materiale isoritmico e isoarmonico costante per tutto il
brano, come possiamo notare dall’intersezione di momenti caratterizzati in modo
differente tra loro, è assente. Dunque dobbiamo ricorrere all’individuazione di
marcoelementi tematici (oppure di scrittrura) ricorrenti nelle varie sezioni del
brano. In questo caso possiamo riconoscere due elementi: il primo è il materiale
tematico del tetracordo B.A.C.H, il quale viene presentato fin da subito sia per
moto retto, sia per moto contrario, sia trasportato; il secondo è la scrittura a fasce
la quale, sebbene talvolta in brevi porzioni di partitura, è sempre presente (diventa
elemento strutturale indipendente -sul quale si sviluppa intere sezioni del brano-)
ma che comunque, a livello visivo (guardando la partitura) e uditivo, rimane un
elemento ben riconoscibile.

17. Recitativo Ibi crucifixerunt eum (Luca 23, 33): Evangelista e orchestra

Il recitativo introduce, da subito, una serie di sovrapposizioni di cluster eseguiti


dagli ottoni e dall’organo (una reminiscenza del numero precedente?), per poi
passare il testimone agli archi, i quali riprendono la scrittura a fasce in maniera
pedissequa al punto E del Popule Meus, con la differenza che questa volta non è
più il tetracordo B.A.C.H a fare da indice tematico, ma viene adoperata la seconda
serie dodecafonica. La densa trama si evolve fino ai violini (punto C), i quali
introducono una figurazione a quarti, che sarà materiale strutturale nella sezione
successiva, “Crux Fidelis”. Infine, l’ingresso dell’Evangelista è annunciato dal
ritorno del cluster iniziale, per poi svanire nel silenzio.
La scrittura di questo numero, è decisamente più leggera rispetto a quella della
grandissima sezione precedente e di quella successiva, come si vedrà.

18. Aria Crux fidelis (da “Pange Lingua Gloriosi”): soprano, coro e orchestra

Il cantabile è ciò che contraddistingue questa aria dal punto di vista espressivo: i
protagonisti, oltre al soprano solista, sono gli archi, in particolare contrabbassi e
violoncelli. L’incipit è affidato alla viola sola, la quale esegue un piccolo motivo
formato dall’alternanza di intervalli di 2° e 3° minore, a cui fanno eco le altre viole
della sezione, e i contrabbassi insieme al timpano a rimarcare la pulsazione
ritmica. Poco dopo, il testimone viene trasferito ai violoncelli e ai contrabbassi, i
quali per primi introducono la nuova figurazione a quarti che è stata già osservata
nella coda del numero precedente: La melodia (caratterizzata dalla forte
cantabilità e da una costante alternanza di intervalli di 2° e 3° minori) si sviluppa
in un continuo saliscendi ondeggiante, quasi cullante, su cui il soprano si inserisce
attraverso piccolissime frasi fondate sul costante intervallo discendente di 2°
minore (reb-do). Al canto del soprano, in contrappunto, interviene il flauto
contralto il quale continua sugli stessi intervalli del canto solistico: il colore
presentato è estremamente caldo e cantabile, senza spigoli o alternanza con altri
elementi differenti. Poco alla volta, anche i violini fanno il loro ingresso con una
scrittura ad ottave, la quale introduce anche il cambio di espressione del soprano
(punto B), il quale adotta una formula melismatica rielaborando il materiale
tematico di accompagnamento dei violoncelli.
L’andamento estremamente cantabile si evolve e si dilata fino all’ingresso del coro
(punto C, segnalato anche dal risuonare della campana) sul testo “Ecce lignum
Crucis”, scandendo ogni sillaba in una scrittura ad ottave sul mi (punto di arrivo
dopo le varie peregrinazioni per quinte del “tema” della Croce - sol, re, la, mi-
affidato sempre alle ottave all’unisono). Dopo questa brevissima apostrofe
introduttiva, il coro imposta una scrittura a fasce con movimenti impercettibili la
quale, se prendiamo in considerazione come esempio la parte del soprano, deriva
in toto dall’enunciato precedente del soprano. Insieme al coro interviene proprio
anche quest’ultimo, continuando il discorso corale, rispondendo agli enunciati dei
soprani, mentre gli archi gravi intraprendono un disegno ritmico (non aleatorio)
in netto contrasto con la staticità delle parti vocali. Con il punto D, gli archi
riprendono (in parte) la scrittura del coro, portandola allo spegnimento.
Dal punto E al punto F rivediamo esattamente le stesse dinamiche della prima
sezione: gli archi gravi che conducono il discorso cantabile insieme al flauto e al
soprano (quest’ultimo alternato tra frasi melismatiche e brevi enunciati a intervalli
ravvicinati), il ritorno del coro a fasce al punto F (che rappresenta il culmine di
questa sezione), apre alla discesa conclusiva fino al punto G, in cui i materiali
fondamentali vengono esposti ancora una volta.
Dal punto di vista strutturale, possiamo intendere questa ampia aria come una
grande A B A’, dove A si può individuare nelle sezioni A-B, B nelle sezioni C-D e
A’ nelle sezioni E-F-G.

19. Recitativo Iesus autem dicebat (Luca 23, 34): Evangelista, coro, baritono
e orchestra

Il ritorno della vibrazione percussiva (affidata al timpano e al pizzicato dei


contrabbassi) segna l’inizio di questo recitativo. Dal lungo pedale di do, tenuto
dall’organo, nasce il parlato omonimico del coro, il quale (solo temporaneamente)
sostituisce l’Evangelista. L’ingresso del baritono apre un nuovo clima, molto più
disteso e contraddistinto dalla forte cantabilità: la voce ripercorre i suoi intervalli
caratteristici (già presenti nell’iniziale Deus Meus), mentre il coro riprende la sua
fisionomia consolidata e ripropone la cellula “Domine”, impostandosi
sull’intervallo do#-mi. Il clima cambia ulteriormente con il termine
dell’esposizione del baritono, segnando l’ingresso delle viole, le quali (divise)
seguono una figurazione ad ottavi dilatata, contrapposta al denso cluster dei
violoncelli che, insieme al pedale dell’organo sul sol ad ottava, si spengono verso il
ppp.
20. Salmo “In pulverem mortis” (Salmo 22, 15-19): coro a cappella

Il coro, fin da subito, reitera la ripresa della stessa struttura del salmo, già proposto
all’inizio della seconda parte: muovendosi attraverso una scrittura a fasce piuttosto
libera e diluita, alterna vocali semplici (su note tenute) e strutture verticali
(sovrapposizioni cromatiche di terze), permettendo una trascolorazione timbrica
del suono tra le voci. Quest’ampia stratificazione polifonica, dopo aver raggiunto
un iniziale culmine, si trasforma ulteriormente avvicinandosi alla scrittura parlato-
sillabica (ma non ritmica).
A pagina 99 si può notare una sorta di ripresa: il linguaggio iniziale viene
ripristinato e anche le cellule motivico-tematiche esposte in precedenza vengono
di nuovo evidenziate. La scrittura, in questo caso, rimane abbastanza consolidata
in una stratificazione di fasce dalla forte densità contrappuntistica (non ci sono
più le contrapposizioni del precedente sviluppo), culminando, a pagina 100, in una
imponente scrittura ad ottave (che, come è stato inizialmente evidenziato, essa si
può intendere come uno dei materiali strutturali dell’opera), la quale svanisce in
un ulteriore sviluppo.
Qui la contrapposizione ritmica e sonora è molto evidente: il coro si alterna tra
un’emissione ritmica (assimilabile allo sprechgesang di schönberghiana memoria) e
lunghi pedali sulle note di re , fa e fa#. Questa scrittura (statica in apparenza, ma
intensificante nell’entropia generale) si evolve nel tempo, dove i pedali diventano
vere e proprie fasce timbriche permettendo una densa sovrapposizione degli
elementi, mentre il ritmo quasi parlato diventa canto articolato su figurazioni di
ottavi, fino al raggiungimento di un culmine in ff sulla fine di pagina 101. Prima
che il materiale si spenga definitivamente, i tenori del primo e del secondo coro
enunciano ancora una volta l’incipit del salmo utilizzando entrambi gli intervalli
strutturali.

21. Recitativo Et stabat populus (Luca 23, 35-37): Evangelista, coro e


orchestra

Nel silenzio l’Evangelista incomincia la sua narrazione, seguito subito dopo


dall’ingresso del coro (nel ruolo della folla), annunciato dalle percussioni,
articolato su una sovrapposizione di seconde minori (mi-fa). La forte densità
drammatica di questa sezione è ulteriormente evidenziata dall’ampia transizione
che ora prende il sopravvento nel discorso musicale: la scrittura iniziale è
fortemente percussiva (i contrabbassi agiscono attraverso un denso pizzicato, dal
carattere quasi ipnotico; il coro interviene a bocca chiusa su una figurazione che il
compositore definisce “quasi pizzicato, in stile jazz”). Il discorso ritmico prosegue
fino all’ingresso dei fiati, i quali introducono una scrittura a cluster, mentre il coro
dialoga con l’orchestra attraverso una densa fascia di accordi, formati da una serie
di 4° sovrapposte cromaticamente.
Dopo aver raggiunto il culmine, l’ingresso del tam-tam e del gong segnano la
conclusione di questa prima sezione aprendo, al punto C, al ritorno del coro come
elemento narrativo: la scrittura ritmica prende il sopravvento, evidenziando la
fortissima tensione drammaturgia che qui diventa cardine fondamentale
(sottolineato anche dai fortissimi contrasti dinamici tra le sezioni e le varie
tecniche emissive adottate in questo frangente). L’orchestra sottolinea la densa
azione del coro, soprattutto gli archi (i quali eseguono rapide figurazioni
arpeggiate tra il ponticello e la cordiera) e le percussioni (con i cluster e altre
figurazioni molto rapide).
La tensione del materiale aumenta sempre di più, fino a raggiungere una
considerevole tensione sulla scansione (quasi) omoritmia del coro sul testo
“Christe Dei electus” (sottolineata dal tam-tam e dal gong, i quali svolgono anche la
funzione di strumenti di cesura per la nuova sezione). La situazione si stabilizza
nella nuova sezione (punto D), in cui il coro inizialmente si muove alternandosi su
semplici articolazioni ritmico-testuali stabili, mentre i contrabbassi tengono un
lungo pedale di la come sostegno armonico.
La densità aumenta nella pagina successiva con il ritorno della scrittura per ottave
del coro (sul sol), la quale poi si evolve includendo anche il fa# e il lab, mentre
l’orchestra interviene sostenendo le voci e replicando alla grande massa sonora
con dei cluster, mentre il coro, gradualmente si spegne in piccole fasce, morendo
sull’inizio del numero successivo.

22. Recitativo Unus autem (Luca 23, 39-43): Evangelista, baritono, basso,
coro e orchestra

In questo numero, caratterizzato da forti contrasti tra tipi di scrittura differenti e


atteggiamenti drammatici di varia natura, incomincia sulla coda del recitativo
precedente, con la voce dell’Evangelista che interviene su un lungo pedale degli
ottoni, dell’organo, contemporaneamente ad una rapidissima figurazione
cromatica ascendente presentata dagli archi gravi prima e poi seguita dai corni e
dai fagotti. Questa rapida salita funge da slancio all’intervento del coro come folla,
utilizzando tipi di sonorità del tutto non convenzionali (i bassi inveiscono contro
Gesù, mentre le altre sezioni ridono beffardamente).
Il coro, nella pagina successiva, riprende la funzione narrante (riprendendo le
parole dell’Evangelista) introducendo, sul cluster dell’organo, la figura del buon
ladrone.
L’ingresso di questa figura (interpretata dalla voce del basso) è annunciata da una
densa serie di accordi degli ottoni (corni e tromboni), impostando una sonorità
estremamente solenne. Il canto del basso utilizza varie tipologie di intervalli, ma
sempre riconducibili al circolo della 2° e 3°, mentre il timpano scandisce
ritmicamente gli ingressi degli altri strumenti: particolare importanza è il ruolo del
clarinetto basso il quale, quasi dal nulla, inizia un dialogo cantabile con la voce del
basso, che culmina con il ritorno degli accordi degli ottoni insieme al
controfagotto e agli archi gravi (in funzione di pedale armonico).
Al punto D ritorna il coro, in funzione di rinforzo drammaturgico ai concetti
(segnalato dal tam-tam), con il ripristino della vocalità convenzionale e attraverso il
ritorno della cellula “Domine”, che si conclude sull’intervallo mi-sol Mentre il
solista imposta un dialogo con il baritono (Gesù), il coro e gli ottoni si
contrappongono dialogando, rafforzando gli aspetti drammaturgia o certe parole
espresse dai due solisti: ad esempio, l’ingresso del baritono sul testo
“Amen” (articolato sull’intervallo ormai caratteristico fa#-sol) viene ulteriormente
ampliato dalla ripresa del coro, con una diversa articolazione ritmica, sullo stesso
testo e sullo stesso intervallo (in questo caso sol - lab). La voce del baritono e la
sua intensificazione simbolico-drammatica del testo (la promessa verso il ladrone
buono di poterlo avere, in quel giorno, con lui in Paradiso) viene evidenziata da un
cambio di tessitura della voce stessa (arrivando quasi al falsetto) insieme ad una
combinazione orchestrale più limpida (archi al completo, sul la proiettato verso
l’acuto; arpa, attraverso la riproposizione in ottava del la; insieme al rintocco della
campana).

23. Recitativo Stabant autem iuxta crucem: (Giovanni 19, 25-27):


Evangelista, baritono e orchestra

Il brano presenta subito una grande scrittura a fasce, presentata dai contrabbassi,
dai fiati gravi, dagli ottoni e dalle percussioni, accompagnano la narrazione
dell’Evangelista, fino all’ingresso del baritono (nel ruolo del discepolo), il quale
utilizza una scrittura fortemente melismatica, introducendo il clima per lo Stabat
Mater successivo.
24. Sequenza Stabat Mater (dallo “Stabat Mater”): coro a cappella

Numero centrale dell’intera opera, in origine era un brano autonomo, su cui


Penderecki ha costruito l’intera narrazione della Passione. È divisibile in 4 sezioni,
ognuna caratterizzata dal punto di vista musicale in maniera diversa.

Prima sezione (pag.113 - 114 fino al cambio di tempo di 2/4): il tenore inizia ad
esporre il materiale tematico di matrice gregoriana , a cui risponde (quasi sotto
forma di eco) le tre sezioni dei bassi, marcando l’incedere ieratico del coro
(incedere che diviene una caratteristica strutturale di questa prima parte). Fin da
subito, il coro imposta un lungo pedale di la, articolato su ritmi lievemente sfalsati
(frammentando il testo), dando l’impressione all’ascoltatore di perpetuum mobile
magmatico su cui, poco alla volta, fanno ingresso le altre voci.
Con l’ingresso dei contralti, il pedale di la viene violato dall’ingresso del sol# e del
sib (generando una serie di sovrapposizioni di quinte) fino all’ingresso dei tenori
che si attestano su intervalli di 4° sovrapposti cromaticamente, addensando i
materiali per la seconda sezione.

Seconda sezione (pag.114 dal 2/4 - 115): sul testo “Quis est homo” e l’ingresso dei
soprani, apre ad una scrittura più ridotta (quasi cameristica), ma estremamente
polifonica: le voci si alternano in un susseguirsi di pieni e di vuoti, alternando
modi di attacco differenti tra loro.
La “nuova” tecnica adottata (il parlato), diventa predominante, per poi sfumare nel
silenzio, introducendo la terza sezione.

Terza sezione (pag. 116 - 117 fino al 3/4, sulla parola “Christe”): sul testo “Eia
Mater”, il contralto riprende l’idea melodica iniziale del tenore (sul canto
gregoriano), trasportandola sul re. A seguire, poco alla volte, le altre voci fanno il
loro ingresso sviluppando il tema esposto dal contralto, in un denso intreccio
contrappuntistico, fino a raggiungere (nella pagina seguente) il culmine sul
“Christe” in ff, in cui tutti e tre i cori si sovrappongono in un intreccio di intervalli
di 4°, formano un cluster cromatico di 12 suoni.

Quarta sezione (fine di pag.117-119): il coro, in questa ultima sezione (la più
ampia), si alterna tra il parlato omoritmico e l’interpunzione cantata , che rielabora
gli stilemi delle sezioni precedenti (possiamo intendere questa ultima sezione
come summa e riassunto conclusivo dello Stabat Mater). L’uso del cluster ritorna (a
inizio di 118), in cui i tre cori si attestano su masse sonore piuttosto ravvicinate tra
loro. La ripresa della vocalità convenzionale avviene sul finire della pagina 118
(misura 90), in cui il coro rielabora ancora l’incipit gregoriano in modo ancora più
evidente, in un densissimo tessuto cromatico.
L’ultima pagina riprende l’omoritmicità della prima sezione in cui il contralto
marca perennemente il testo su una figurazione a semiminime costante sul pedale
di re (seguita poi dalle altre voci, le quali utilizzano articolazioni ritmiche
differenti, su altri intervalli), fino a consolidarsi finalmente, quasi come arrivo
naturale delle voci, sull’accordo finale in secondo rivolto di re maggiore.
Gli accordi maggiori, in quest’opera, fungono da punti fermi espressivi: si può
tranquillamente affermare che la conclusione di questo numero sia uno dei più
importanti apici espressivo-drammatici dell’intera Passione secondo Luca.

25. Recitativo Erat autem fere hora sexta (Luca 23, 44-46 e Giovanni 19,30) :
Evangelista, baritono, coro e orchestra

Il breve recitativo si apre con una scrittura polifonica a fasce sempre più pulsante,
esposta degli archi gravi, attraverso una sovrapposizione di più ingressi
differenziati tra loro, fino ad attestarsi, consolidandosi tutti quanti sul do, il quale
viene impostato come pedale. Insieme all’Evangelista subentrano l’organo insieme
al controfagotto, la coppia dei fagotti e il clarinetto basso (i quali, attraverso note
tenute, rielaborano il tetracordo B.A.C.H., muovendo la figurazione in
concomitanza dell’ingresso delle percussioni e degli ottoni).
Gli ottoni proseguono il discorso con dei cluster (corni e trombe), sovrapposti alla
profonda scrittura a fasce impostata dagli archi, culminando definitamente
sull’ingresso della voce solista del baritono.
Nella pagina seguente, tutto si annulla lasciando l’organo su un lungo pedale di
lab, mentre le voci bianche rielaborano l’incipit melodico dello Stabat Mater
insieme ad una figurazione cromatica ascendente.

26. Alla breve (Intermezzo): orchestra

Questo è l’unico numero esclusivamente orchestrale. Esso può essere inteso come
un riassunto emotivo di tutto il discorso musicale finora affrontato: quasi come
una reminiscenza, fin dall’inizio il timpano e il contrabbasso ricordano l’incedere
iniziale del Popule Meus, a cui fa successivamente seguito la citazione discorsiva
(che coinvolge tutti gli archi fino alla fine) dell’intenso cantabile del Crux fidelis,
riutilizzandone i materiali.

27. Finale In pulverem mortis / In te, Domine, speravi (Salmo 31, 1-2, 5):
soprano, baritono, basso, coro e orchestra

Il finale della Passione, più di tutti, rappresenta la vera e propria idea di


reminiscenza (di retaggio anche pucciniano, come origine) in cui tutti o gran parte
dei temi affrontati nell’intera opera riemergono e si intrecciano l’uno dentro
l’altro. Fin dal subito, il testo ci porta in una condizione di ricordo: “In pulverem
mortis”, costruito sull’ottavazione di re (per poi diventare pedale) da parte dei
bassi, mentre il basso cita il tema del “Miserere”, sovrapposto al “Deus Meus” del
baritono (che si evolve modulando nel tempo) e al “Crux fidelis” del soprano. A
ciò si aggiunge, per finire in questa prima sezione, la citazione dello “Stabat Mater”
da parte dei contralti.
Una piccola struttura di ponte si identifica nel punto A, dove il coro presenta un
nuovo materiale fondato sugli intervalli di 2° e 3° sul testo “In te, Domine, speravi”
in cui la scrittura si intensifica in un denso contrappunto, fino a raggiungere un
iniziale apice all’inizio di pag.124 in cui il tema del Deus Meus ritorna come nel
secondo numero (coro che viene raddoppiato dall’organo, insieme agli ottoni e ai
timpani che contrappuntano col materiale tematico.
Al punto C inizia ancora un’altra sezione: il coro, insieme all’organo e ai
contrabbassi, si stabilizza su un pedale di la a bocca chiusa mentre alcune sezioni
si inseguono citando l’incipit del Deus Meus.
La scrittura e la densità degli inseguimenti tra le voci aumenta fino al ritorno
dell’ottavazione tra i 3 cori di “In te, Domine, speravi” (punto D), sostenuti
dall’organo, fino all’ingresso della campana, che sancisce definitivamente l’inizio
della coda finale: il coro delle voci bianche s’imposta su un canto sillabico ad
ottava (sul re, quasi un ritorno all’inizio) sull’ultima parola pronunciata da Cristo
sulla croce “In manus tua commendo spiritum meum”, con il resto del coro che si
imposta su una breve scrittura a fasce, consolidandosi sull’ultima esposizione della
cellula “Domine” sulla tonicizzazione di mi minore.
L’apoteosi finale si conclude su una stabilizzazione sull’accordo conclusivo di Mi
maggiore (da notarsi l’evidente raddoppio del sol#, ad evidenza maggiore della
solarità del finale), con tutta l’orchestra di sostegno (ad esclusione dei fiati acuti, i
quali nell’intera passione sono relegati alle punteggiature e alle parti rapide),
insieme alla campana che apre ulteriormente la atmosfera (anche dal punto di
vista simbolico, preludiando alla gioia della Risurrezione successiva).

Gli accordi maggiori si concludono in una progressione crescente: dal Re


maggiore del finale dello Stabat Mater al finale in Mi maggiore dell’ultimo tempo,
ponendo in evoluzione l’intero discorso musicale.
Lettura retorica di alcune simbologie musicali

Da sempre la musica è sempre stata molto legata da profondi vincoli alla filosofia:
sin dall’epoca di Platone fino ai giorni nostri, questo profondo legame è stato
centrale nella cultura occidentale.
La musica, come obbiettivo finale della lingua dei suoni, è lo stimolare il
sentimento attraverso delle figure ricorrenti e riconoscibili, come espressioni che
contengono la rappresentatività di alcune impressioni dell’anima, per poi riuscire
a trasferirla da una potenza all’altra. Questi aspetti, formulati dal musicologo
Johann Nikolaus Forkel (1749 - 1818), mettono in relazione le forme tipiche della
retorica latina insieme alle forme musicali che possono esprimere tali sentimenti
nella conformazione musicale.
Questo discorso può essere applicato anche alla Passione di Penderecki, dato che
il sentimento e la narrazione drammaturgica degli “affetti” sono caratteristici e
concorrono a portare avanti l’intera struttura.

Riferibili alle figure dell’immaginazione, sono qui ascrivibili in modo evidente le


figure del sentimento interiore (generano in modo automatico delle emozioni e
analogie, sfruttando moti naturali e reazioni primordiali). A questo livello si
possono identificare quattro principali forme:

Ellipsis: nel momento in cui un sentimento raggiunge un preciso culmine,


all’istante si arresta, ritornando al silenzio.
Il riferimento si può trovare nelle code finali della maggior parte dei numeri, in
cui il discorso musicale, dopo aver raggiunto un considerevole apice, scivola nel
silenzio, svanendo nel nulla. Ciò permette di comprendere a pieno la dimensione
del culmine, dando poi il tempo necessario nel silenzio di poter predisporre la
mente nella comprensione di un nuovo elemento musicale successivo.

Paronomasia: ripetizione di una determinata frase in modo variato, con delle


aggiunte che possono dare maggiori rilievo ad una data frase oppure affievolirla.
Le variazioni possono avvenire in ambito ritmico, dinamico, melodico, con cambio
di timbro, registro o on il numero di voci che interpretano quella data frase.
Riferibile a queste dimensioni, si possono identificare le molteplice variazioni che
il tema del “Deus Meus” subisce (ottavazioni, trasporti su altre altezze, voci diverse
che lo interpretano).
Dubitatio: proseguimento di una data frase senza una precisa direzione,
esprimendo dubbio o incertezza nel sentimento. Essa si caratterizza da continui
rimandi per concludersi con un cambio netto e affetto (ad esempio, una fermata
importante al centro della frase oppure una modulazione improvvisa).
Il chiaro corrispettivo di questa forma si può riscontrare nell’arioso di Pilato
durante il processo (da pag. 63 e seguenti): la scrittura vocale del basso è
estremamente frammentata, caratterizzata da una fortissima alternanza tra
tensione e distensione (con una forte incertezza discorsiva).

Climax: crescita graduale da frasi più deboli a frasi più energiche, intensificando
la passione.
Un esempio molto evidente di questa figura si può identificare con l’apoteosi nel
”Popule Meus” (pag.80) dove, dopo un’intensificazione di figure musicali sempre
più ravvicinate, riceve il suo culmine sul gridato “Responde”.

Esiste, poi, un’altra serie di figure (definite “dell’attenzione”), le quali introducono


delle novità rispetto all’attesa con precise variazioni di natura differente (dinamica
ritmo ecc:). A questa categoria possiamo associare un tipo di figura, molto ben
riconoscibile:

Mutatio Toni: rappresenta un repentino cambio di prospettiva di una determinata


frase musicale (passaggio modulante rapido e inatteso, ad esempio). A questa
figura se ne possono associare una serie di sottocategorie, che definiscono meglio
la mutazione: mutatio per genus (scrittura enarmonica di una nota), mutatio per
modum aut tonum (dal modo maggiore al minore), mutatio per sistema (il canto passa
da un tono molto alto ad uno molto basso), mutatio per melopeiam (da un tipo di
canto maschile ad una femminile, di carattere opposto). L’aspetto che più si può
riconoscere maggiormente nell’opera di Penderecki è quello della mutatio per
melopeiam : ad esempio, prendendo in considerazione l’iniziale inno “O Crux”, in
cui le voci adulte dei cori si scambiano con la limpida ed eterea sonorità delle voci
bianche (e, ovviamente, in tutti i passaggi con la medesima caratterizzazione).
Conclusioni

L’analisi di questa importante opera del Novecento, ci permette di mettere in luce


alcuni aspetti fondamentali di una concezione compositiva eterogenea, e porre
alcune riflessioni: il saper coniugare in modo sapiente tradizione e innovazione
(attraverso l’armonia tradizionale delle ottave e degli accordi maggiori, il denso
contrappunto, la scrittura policorale, che si fonde con le tecniche estese
dell’avanguardia e tutte le nuove possibilità timbriche affidate all’orchestra),
dimostra in maniera inequivocabile il possibile dialogo tra forme e linguaggi
apparentemente lontani nel tempo.
La musica contemporanea d’avanguardia ha sempre cercato, nei suoi postulati di
riferimento, di allontanarsi da ogni retaggio di tradizione creando, a sua volta, una
nuova “tradizione” (ma pur sempre definibile tale) in cui ogni legame col passato
venisse inesorabilmente estirpato.

La strada che apre questa composizione è una strada inusuale, in cui tutte le
forme musicali che sono sorte nel corso dei secoli, concorrono insieme
rafforzandosi a vicenda e generando una nuova consapevolezza ed un nuovo stile
che non pone in contrasto stili differenti.

Una strada importante, che molto spesso è trascurata in favore del progresso
musicale fine a sé stesso, senza dunque prendere consapevolezza della primaria
natura del significato musicale: il saper trasmettere l’emozione ed il sentimento.

William Limonta,
9 Maggio 2021

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