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PASSIO ET MORS
DOMINI NOSTRI IESU CHRISTI
SECUNDUM LUCAM
di Krzysztof Penderecki
(1933-2020)
Analisi generale
dell’opera
Indice generale
1. Introduzione
7. Conclusioni
Introduzione
Essa appare fin dall’inizio, subito dopo gli unisoni dei cori (“O crux”), affidandole
ai violoncelli, contrabbassi, pedale dell’organo e tromboni.
Come possiamo ben notare, i due intervalli più ricorrenti tra i singoli suoni sono
quelli di seconda minore e terza minore (come vedremo, -soprattutto il primo di
questi due intervalli- diventano elementi strutturali dell’intera composizione
musicale).
La seconda serie, esposta sempre nel primo numero della Passione dal coro di
voci bianche sulle parole “Crux ave”, è la seguente:
2° ruolo: come “punteggiatura” timbrica nelle parti di raccordo tra le sezioni (in
cui la scrittura è viva e pulsante), impiegando gli strumenti del registro medio-alti
(flauti e sax) e dove, insieme al coro, la scrittura scivola nel rumore.
3° ruolo: come effetto timbrico e coloristico, attraverso una densa scrittura a fasce
(che talvolta diventa indeterminata), incrementata ulteriormente dall’abbondante
uso dei cluster. Questo effetto è sempre di sostegno e volto ad amplificare l’azione
drammatica.
Questi ruoli poc’anzi evidenziati possono essere molto ben riconosciuti in modo
particolare nella prima parte dell’opera, dove la scrittura e la narrazione teatrale
sono molto più evidenti: le zone formali sono ben delineate, bilanciate nella
scrittura e nella loro regolare successione.
Durante i recitativi, dove l’attenzione primaria è rivolta al testo che viene recitato
dall’Evangelista, l’orchestra tace la maggior parte delle volte. Solo in rare
occasioni (ad esempio, in relazione al tradimento di Giuda, al n°5 della Prima
Parte) l’intensificarsi del tessuto orchestrale influenza anche la voce recitante.
Ogni sezione, infine, possiede un apice di tensione interno (ognuno dei quali è
ben delineato da un preciso uso strumentale), dove l’intensità timbrica e dinamica
(non essendoci altri parametri da prendere in considerazione) è resa a seconda
della funzionalità drammatica di quel singolo numero.
Articolazione della composizione
Parte I
Parte II
NB: per poter cogliere al meglio le determinate riflessioni dei singoli numeri, è di fondamentale
importanza servirsi dell’ausilio della partitura durante la consultazione.
Capitolo I
Prima parte:
3. Aria “Deus Meus” (Salmo 22, 1-2 e 5,1): baritono, coro e orchestra
4. Aria “Domine, quis habitat” (Salmo 15, 1; 4,8; 16,9): soprano e orchestra
La serie fondamentale (1°) viene esposta fin da subito dai contralti, i quali
rievocano l’andamento del canto gregoriano (tra melismi e articolazione sillabica).
Poco alla volta, tutte le voci del primo coro entrano in un ampio tessuto
polifonico, mentre i contralti, sul testo “recessisti longe”, riutilizzano la figurazione
ritmica iniziale applicata ad un contesto tonale (mib minore). Nel finale, tutti i cori
rimarcano la figurazione “Domine” la quale, questa volta, non termina sulla terza
minore mi-sol, ma su quella di do#- mi
8. Recitativo Comprehendentes autem eum (Luca 22, 54-62): Evangelista,
soprano, basso, coro e orchestra
La breve aria del basso (costruita su una quasi costante discesa cromatica di
seconda minore), è un concertato dialogico con il clarinetto basso e il
controfagotto (i quali si interpongono al canto, continuando la scrittura della linea
vocale, attraverso una dilatazione degli intervalli da lui precedentemente adottati e
utilizzando figurazioni ritmiche più complesse) mentre, nel sottobosco armonico, il
pedale dell’organo insieme agli archi gravi creano un sostegno discendente che si
spegne sulla nota la (insieme al canto, mentre il tam-tam sancisce l’inizio del
nuovo numero).
10. Recitativo Et viri, qui tenebant illum (Luca 22, 63-70): Evangelista,
baritono, coro e orchestra
La scrittura timbrica di questo numero è subito evidenziata dal cluster dei violini
II, mentre la campana (insieme all’organo e agli archi gravi) tengono un lungo
pedale di sol. Il soprano, riutilizzando il testo della Lamentazione, adotta una
scrittura (sempre basata sulla discesa cromatica la-lab) inizialmente sillabica, per
poi diventare strettamente melismatica fino a raggiungere il culmine della sezione,
evidenziato ancor più dall’ingresso delle trombe e dal cluster dei corni. Il discorso
del soprano, infine, si esaurisce attraverso il ritorno dell’espressione sillabica sulla
nota do# (sostenuta dagli archi gravi e dalla campana).
12. Salmo Miserere mei, Deus (Salmo 56, 1): coro a cappella
13. Recitativo Et surgens omnis (Luca 23, 1-22): Evangelista, baritono, basso,
coro e orchestra
L’ultima sezione della prima parte è un recitativo, volto a narrare gli eventi del
Processo davanti a Pilato. L’atmosfera è fin da subito molto tesa e instabile, e ciò
viene ulteriormente amplificato dall’iniziale transizione affidata all’orchestra: la
scrittura dei violini, dell’organo e dell’armonium è estremamente acuta (agli
esecutori è richiesto suonare la nota più alta che sono in grado di produrre), in
contrapposizione alle “spazializzazioni” sonore degli archi gravi (divisi
complessivamente in 18 parti), delle viole (divise a 10) e dei fiati (sax, fagotti e
corni); il tutto insieme ai cluster dell’organo, dell’armonium, del vibrafono e dei
flauti. Molto interessante, a livello visivo, la strategia di scrittura che Penderecki
adotta negli archi e nei fiati per rendere chiara la sua idea di spazializzazione (si
veda, a questo esempio, pag. 58 della partitura).
Annunciata dalle percussioni metalliche e dal pianoforte e dalla dissolvenza delle
ultime propaggini della scrittura precedente, la successiva sezione si sviluppa
attraverso una scrittura più statica (a fasce), prima presentata dai violoncelli e poi
al coro (mentre un’ultima apostrofe della scrittura “spazializzante” si presenta
negli ottoni). Il colpo di gong introduce la voce recitante, mentre il coro tiene un
lunghissimo pedale di sostegno con la nota più grave che ogni esecutore è capace
di ottenere. A questo punto, la scrittura cambia ancora: sul colpo ritmico della
raganella e degli archi gravi, il coro (adottando una scrittura ritmica) prende il
comando interpretando la folla la quale, a gran voce, chiede la morte di Gesù.
A sostegno della densa azione drammatica poc’anzi citata, l’orchestra interviene
attraverso una scrittura pulviscolare degli ottoni, a cui si sovrappongono
successivamente gli archi gravi (utilizzando una scrittura improvvisativa) e le
percussioni: tutto questo sopra una narrazione corale prima caotica ma che, poco
dopo, riprende l’omoritmia (preludiando alla sezione successiva).
Il colpo del gong e del tam-tam aprono la nuova narrazione, in cui sono
protagonisti il basso (che interpreta il ruolo di Pilato) e il baritono (Gesù), a cui si
aggiunge il coro ad esaltare determinati passaggi più intensi. Pilato, accompagnato
dai lunghi pedali dei tromboni e del controfagotto, pone la domanda “sei tu il re
dei Giudei?”, a cui subito dopo risponde il baritono (insieme all’organo, il quale
rielabora i pedali dei fiati precedenti) utilizzando la cellula originaria di 3° minore
derivata dall’iniziale “Deus Meus”. Il coro, subito dopo, replica attraverso la cellula
“Domine”, concludendosi sulla terza minore si-re, ed aprendo la strada all’arioso di
Pilato (con una scrittura discreta della parte orchestrale che, come è stato
precedentemente affermato, può ricordare l’idea di basso continuo).
L’arioso di Pilato si pone come piccola transizione, prima del ritorno della voce
recitante e del coro, dove l’atmosfera cambia totalmente e il ritmo narrativo si fa
più serrato: la nuova sezione (sempre annunciata dalle percussioni) introduce
nuovamente timbri contrastanti (cluster dell’organo e dei violini, insieme al
parlato del coro, che interpreta la folla), mentre una nutrita schiera di percussioni
intervengono sostenendo la narrazione. Il coro cambia più volte lo stile “parlante”:
dall’approccio strettamente sillabico delle prime misure finta al dilatato parlato
quasi spaziale (nel momento in cui le percussioni fanno il loro ingresso). La
contrapposizione del parlato ritmico dei tenori e della scrittura a fasce delle altre
parti corali introducono il ritorno di Pilato, in una scrittura orchestrale più
compatta (lungo pedale di la degli archi gravi, con la scansione ritmica rigida del
timpano), il quale elabora il suo canto attraverso la costante reiterazione
dell’intervallo caratterizzante di 2° minore.
La scrittura a pannelli che Penderecki adotta (da qui fino alla fine della sezione)
contribuisce ad incrementare la fortissima tensione che esploderà definitivamente
in conclusione: gli interventi degli ottoni, attraverso una scrittura a fasce (a cui
prendono parte gli archi gravi e l’organo -ampliandola a cluster), mentre il dialogo
tra coro (folla) e basso (Pilato) è sempre più caratterizzato da una forte azione
drammatica, che diventa sempre più stringente nelle ultime misure, quando il
coro (annunciato dal tam-tam e dal gong) prende definitivamente il sopravvento in
uno straziante urlo di rabbia sulle parole “Crucifige” (coprendo il totale cromatico
dei 12 semitoni).
La scrittura orchestrale in questo finale è estremamente aspra e cruda (corni e
tromboni che fanno ampio uso dei cluster, insieme alle trombe le quali utilizzano
la tecnica del frullato), esasperato soprattutto nel registro medio grave (ignorando
completamente nell’organico, peraltro, gli strumenti con una tessitura più acuta).
Capitolo II
Seconda parte:
17. Recitativo Ibi crucifixerunt eum (Luca 23, 33): Evangelista e orchestra
18. Aria Crux fidelis (da “Pange Lingua Gloriosi”): soprano, coro e orchestra
Il cantabile è ciò che contraddistingue questa aria dal punto di vista espressivo: i
protagonisti, oltre al soprano solista, sono gli archi, in particolare contrabbassi e
violoncelli. L’incipit è affidato alla viola sola, la quale esegue un piccolo motivo
formato dall’alternanza di intervalli di 2° e 3° minore, a cui fanno eco le altre viole
della sezione, e i contrabbassi insieme al timpano a rimarcare la pulsazione
ritmica. Poco dopo, il testimone viene trasferito ai violoncelli e ai contrabbassi, i
quali per primi introducono la nuova figurazione a quarti che è stata già osservata
nella coda del numero precedente: La melodia (caratterizzata dalla forte
cantabilità e da una costante alternanza di intervalli di 2° e 3° minori) si sviluppa
in un continuo saliscendi ondeggiante, quasi cullante, su cui il soprano si inserisce
attraverso piccolissime frasi fondate sul costante intervallo discendente di 2°
minore (reb-do). Al canto del soprano, in contrappunto, interviene il flauto
contralto il quale continua sugli stessi intervalli del canto solistico: il colore
presentato è estremamente caldo e cantabile, senza spigoli o alternanza con altri
elementi differenti. Poco alla volta, anche i violini fanno il loro ingresso con una
scrittura ad ottave, la quale introduce anche il cambio di espressione del soprano
(punto B), il quale adotta una formula melismatica rielaborando il materiale
tematico di accompagnamento dei violoncelli.
L’andamento estremamente cantabile si evolve e si dilata fino all’ingresso del coro
(punto C, segnalato anche dal risuonare della campana) sul testo “Ecce lignum
Crucis”, scandendo ogni sillaba in una scrittura ad ottave sul mi (punto di arrivo
dopo le varie peregrinazioni per quinte del “tema” della Croce - sol, re, la, mi-
affidato sempre alle ottave all’unisono). Dopo questa brevissima apostrofe
introduttiva, il coro imposta una scrittura a fasce con movimenti impercettibili la
quale, se prendiamo in considerazione come esempio la parte del soprano, deriva
in toto dall’enunciato precedente del soprano. Insieme al coro interviene proprio
anche quest’ultimo, continuando il discorso corale, rispondendo agli enunciati dei
soprani, mentre gli archi gravi intraprendono un disegno ritmico (non aleatorio)
in netto contrasto con la staticità delle parti vocali. Con il punto D, gli archi
riprendono (in parte) la scrittura del coro, portandola allo spegnimento.
Dal punto E al punto F rivediamo esattamente le stesse dinamiche della prima
sezione: gli archi gravi che conducono il discorso cantabile insieme al flauto e al
soprano (quest’ultimo alternato tra frasi melismatiche e brevi enunciati a intervalli
ravvicinati), il ritorno del coro a fasce al punto F (che rappresenta il culmine di
questa sezione), apre alla discesa conclusiva fino al punto G, in cui i materiali
fondamentali vengono esposti ancora una volta.
Dal punto di vista strutturale, possiamo intendere questa ampia aria come una
grande A B A’, dove A si può individuare nelle sezioni A-B, B nelle sezioni C-D e
A’ nelle sezioni E-F-G.
19. Recitativo Iesus autem dicebat (Luca 23, 34): Evangelista, coro, baritono
e orchestra
Il coro, fin da subito, reitera la ripresa della stessa struttura del salmo, già proposto
all’inizio della seconda parte: muovendosi attraverso una scrittura a fasce piuttosto
libera e diluita, alterna vocali semplici (su note tenute) e strutture verticali
(sovrapposizioni cromatiche di terze), permettendo una trascolorazione timbrica
del suono tra le voci. Quest’ampia stratificazione polifonica, dopo aver raggiunto
un iniziale culmine, si trasforma ulteriormente avvicinandosi alla scrittura parlato-
sillabica (ma non ritmica).
A pagina 99 si può notare una sorta di ripresa: il linguaggio iniziale viene
ripristinato e anche le cellule motivico-tematiche esposte in precedenza vengono
di nuovo evidenziate. La scrittura, in questo caso, rimane abbastanza consolidata
in una stratificazione di fasce dalla forte densità contrappuntistica (non ci sono
più le contrapposizioni del precedente sviluppo), culminando, a pagina 100, in una
imponente scrittura ad ottave (che, come è stato inizialmente evidenziato, essa si
può intendere come uno dei materiali strutturali dell’opera), la quale svanisce in
un ulteriore sviluppo.
Qui la contrapposizione ritmica e sonora è molto evidente: il coro si alterna tra
un’emissione ritmica (assimilabile allo sprechgesang di schönberghiana memoria) e
lunghi pedali sulle note di re , fa e fa#. Questa scrittura (statica in apparenza, ma
intensificante nell’entropia generale) si evolve nel tempo, dove i pedali diventano
vere e proprie fasce timbriche permettendo una densa sovrapposizione degli
elementi, mentre il ritmo quasi parlato diventa canto articolato su figurazioni di
ottavi, fino al raggiungimento di un culmine in ff sulla fine di pagina 101. Prima
che il materiale si spenga definitivamente, i tenori del primo e del secondo coro
enunciano ancora una volta l’incipit del salmo utilizzando entrambi gli intervalli
strutturali.
22. Recitativo Unus autem (Luca 23, 39-43): Evangelista, baritono, basso,
coro e orchestra
Il brano presenta subito una grande scrittura a fasce, presentata dai contrabbassi,
dai fiati gravi, dagli ottoni e dalle percussioni, accompagnano la narrazione
dell’Evangelista, fino all’ingresso del baritono (nel ruolo del discepolo), il quale
utilizza una scrittura fortemente melismatica, introducendo il clima per lo Stabat
Mater successivo.
24. Sequenza Stabat Mater (dallo “Stabat Mater”): coro a cappella
Prima sezione (pag.113 - 114 fino al cambio di tempo di 2/4): il tenore inizia ad
esporre il materiale tematico di matrice gregoriana , a cui risponde (quasi sotto
forma di eco) le tre sezioni dei bassi, marcando l’incedere ieratico del coro
(incedere che diviene una caratteristica strutturale di questa prima parte). Fin da
subito, il coro imposta un lungo pedale di la, articolato su ritmi lievemente sfalsati
(frammentando il testo), dando l’impressione all’ascoltatore di perpetuum mobile
magmatico su cui, poco alla volta, fanno ingresso le altre voci.
Con l’ingresso dei contralti, il pedale di la viene violato dall’ingresso del sol# e del
sib (generando una serie di sovrapposizioni di quinte) fino all’ingresso dei tenori
che si attestano su intervalli di 4° sovrapposti cromaticamente, addensando i
materiali per la seconda sezione.
Seconda sezione (pag.114 dal 2/4 - 115): sul testo “Quis est homo” e l’ingresso dei
soprani, apre ad una scrittura più ridotta (quasi cameristica), ma estremamente
polifonica: le voci si alternano in un susseguirsi di pieni e di vuoti, alternando
modi di attacco differenti tra loro.
La “nuova” tecnica adottata (il parlato), diventa predominante, per poi sfumare nel
silenzio, introducendo la terza sezione.
Terza sezione (pag. 116 - 117 fino al 3/4, sulla parola “Christe”): sul testo “Eia
Mater”, il contralto riprende l’idea melodica iniziale del tenore (sul canto
gregoriano), trasportandola sul re. A seguire, poco alla volte, le altre voci fanno il
loro ingresso sviluppando il tema esposto dal contralto, in un denso intreccio
contrappuntistico, fino a raggiungere (nella pagina seguente) il culmine sul
“Christe” in ff, in cui tutti e tre i cori si sovrappongono in un intreccio di intervalli
di 4°, formano un cluster cromatico di 12 suoni.
Quarta sezione (fine di pag.117-119): il coro, in questa ultima sezione (la più
ampia), si alterna tra il parlato omoritmico e l’interpunzione cantata , che rielabora
gli stilemi delle sezioni precedenti (possiamo intendere questa ultima sezione
come summa e riassunto conclusivo dello Stabat Mater). L’uso del cluster ritorna (a
inizio di 118), in cui i tre cori si attestano su masse sonore piuttosto ravvicinate tra
loro. La ripresa della vocalità convenzionale avviene sul finire della pagina 118
(misura 90), in cui il coro rielabora ancora l’incipit gregoriano in modo ancora più
evidente, in un densissimo tessuto cromatico.
L’ultima pagina riprende l’omoritmicità della prima sezione in cui il contralto
marca perennemente il testo su una figurazione a semiminime costante sul pedale
di re (seguita poi dalle altre voci, le quali utilizzano articolazioni ritmiche
differenti, su altri intervalli), fino a consolidarsi finalmente, quasi come arrivo
naturale delle voci, sull’accordo finale in secondo rivolto di re maggiore.
Gli accordi maggiori, in quest’opera, fungono da punti fermi espressivi: si può
tranquillamente affermare che la conclusione di questo numero sia uno dei più
importanti apici espressivo-drammatici dell’intera Passione secondo Luca.
25. Recitativo Erat autem fere hora sexta (Luca 23, 44-46 e Giovanni 19,30) :
Evangelista, baritono, coro e orchestra
Il breve recitativo si apre con una scrittura polifonica a fasce sempre più pulsante,
esposta degli archi gravi, attraverso una sovrapposizione di più ingressi
differenziati tra loro, fino ad attestarsi, consolidandosi tutti quanti sul do, il quale
viene impostato come pedale. Insieme all’Evangelista subentrano l’organo insieme
al controfagotto, la coppia dei fagotti e il clarinetto basso (i quali, attraverso note
tenute, rielaborano il tetracordo B.A.C.H., muovendo la figurazione in
concomitanza dell’ingresso delle percussioni e degli ottoni).
Gli ottoni proseguono il discorso con dei cluster (corni e trombe), sovrapposti alla
profonda scrittura a fasce impostata dagli archi, culminando definitamente
sull’ingresso della voce solista del baritono.
Nella pagina seguente, tutto si annulla lasciando l’organo su un lungo pedale di
lab, mentre le voci bianche rielaborano l’incipit melodico dello Stabat Mater
insieme ad una figurazione cromatica ascendente.
Questo è l’unico numero esclusivamente orchestrale. Esso può essere inteso come
un riassunto emotivo di tutto il discorso musicale finora affrontato: quasi come
una reminiscenza, fin dall’inizio il timpano e il contrabbasso ricordano l’incedere
iniziale del Popule Meus, a cui fa successivamente seguito la citazione discorsiva
(che coinvolge tutti gli archi fino alla fine) dell’intenso cantabile del Crux fidelis,
riutilizzandone i materiali.
27. Finale In pulverem mortis / In te, Domine, speravi (Salmo 31, 1-2, 5):
soprano, baritono, basso, coro e orchestra
Da sempre la musica è sempre stata molto legata da profondi vincoli alla filosofia:
sin dall’epoca di Platone fino ai giorni nostri, questo profondo legame è stato
centrale nella cultura occidentale.
La musica, come obbiettivo finale della lingua dei suoni, è lo stimolare il
sentimento attraverso delle figure ricorrenti e riconoscibili, come espressioni che
contengono la rappresentatività di alcune impressioni dell’anima, per poi riuscire
a trasferirla da una potenza all’altra. Questi aspetti, formulati dal musicologo
Johann Nikolaus Forkel (1749 - 1818), mettono in relazione le forme tipiche della
retorica latina insieme alle forme musicali che possono esprimere tali sentimenti
nella conformazione musicale.
Questo discorso può essere applicato anche alla Passione di Penderecki, dato che
il sentimento e la narrazione drammaturgica degli “affetti” sono caratteristici e
concorrono a portare avanti l’intera struttura.
Climax: crescita graduale da frasi più deboli a frasi più energiche, intensificando
la passione.
Un esempio molto evidente di questa figura si può identificare con l’apoteosi nel
”Popule Meus” (pag.80) dove, dopo un’intensificazione di figure musicali sempre
più ravvicinate, riceve il suo culmine sul gridato “Responde”.
La strada che apre questa composizione è una strada inusuale, in cui tutte le
forme musicali che sono sorte nel corso dei secoli, concorrono insieme
rafforzandosi a vicenda e generando una nuova consapevolezza ed un nuovo stile
che non pone in contrasto stili differenti.
Una strada importante, che molto spesso è trascurata in favore del progresso
musicale fine a sé stesso, senza dunque prendere consapevolezza della primaria
natura del significato musicale: il saper trasmettere l’emozione ed il sentimento.
William Limonta,
9 Maggio 2021