Musica greca
1. Il periodo arcaico (fine VIII – primi VII sec. aC): progressi nella costruzione della lira
e nell’arte di suonarla. La figura più importante è quella di Terpandro di Lesbo,
grande citaredo.
2. Fine VI secolo: spicca la figura di Laos di Ermione che forse coniò la parola mousiké.
Egli introdusse nella musica una complessità, una forza espressiva e un
intellettualismo ignoti fino a quel momento. E’ un’epoca di preparazione al periodo
successivo
3. Nuova Musica (tardo V secolo): si intensifica l’attività teorica da parte di autori come
Damone ed Eratocle. La Nuova Musica è caratterizzata da modulazioni e
molteplicità di note. Fu un periodo di grandi esecutori professionisti, di citaredi e
auleti virtuosi. Critici conservatori come Platone e Aristosseno deploravano la Nuova
Musica anche se questa godeva del favore popolare. Fra i musici più importanti si
ricordano Timoteo di Mileto (ca. 450– 360) e Filosseno di Citera (ca. 435– 380).
4. Fra il I secolo aC e il I secolo dC secolo si registra una lacuna nella documentazione
disponibile. Infatti i documenti successivi si attestano attorno al I secolo dC: in
questo periodo lo stile musicale risulta meno ambizioso ed elaborato, il genere
diatonico aveva trionfato sul cromatico, l’intervallo di quarta perde importanza
rispetto al passato mentre prevale la terza. Una delle più tarde composizioni
appartenenti a questo stile è un inno cristiano del III secolo dC (si tratta del celebre
Papiro di Ossirinco)
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La notazione
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notazione vocale
notazione strumentale
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Strumenti musicali
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lira
cetra
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Phormynx
Famiglia dell’arpa
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Arpa eolica
Strumenti a fiato
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aulos
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sistri
cimbali
campane
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La teoria musicale
I trattati
I trattati greci sulla musica non sono trattati di musica secondo il
significato che noi diamo oggi al termine. Essi sviluppavano soprattutto
il problema della suddivisione dell’ottava e la teoria degli intervalli.
L’approccio era prevalentemente matematico.
Una tradizione millenaria pone all’origine della trattatistica greca il
nome del filosofo e matematico Pitagora di Samo (sec. VI a.C.).
Dopo essere stato in Egitto e in Mesopotamia, si stabilì nella Magna
Grecia e a Crotone fondò una scuola filosofica. A lui e ai suoi seguaci si
è fatta risalire l’adozione del monocordo per definire i rapporti degli
intervalli consonanti mediante le suddivisioni d’una corda. Il sistema
pitagorico però ci è noto solo indirettamente (Pitagora non lasciò
scritti), attraverso una tradizione che fu formulata in trattati - di epoca
molto più tarda - di Gaudenzio, di Nicomaco e soprattutto nel De
institutione musica di Boezio.
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a) si parte dall’esacordo mi– re– do–si; b) si aggiungono un tetracordo congiunto all’acuto, un tetracordo
disgiunto al grave seguito da un secondo tetracordo congiunto ancora più grave
A
sez
diatonica
B
sez
cromatica
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Audio
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Audio
In epoca di civiltà agricola, le feste campestri in onore di Dioniso assumono via via
importanza sempre maggiore: piccole e grandi dionisiache. In queste feste s’intona il
«ditirambo», l’inno in onore del nume. Questo prende il nome di tragodía (dal greco
) ossia «canto del capro», da quando ad esso s’accompagna il sacrificio di
un capretto, particolarmente sacro a Dioniso, forse perché è il guastatore della vigna.
Come sorse il dramma?
Un giorno il coro si divise in due semicori uno dei quali rispondeva all’altro; e,
siccome ciascun semicoro era guidato da un corifeo, questi corifei cominciarono a
dialogare fra loro. Ai canti dei due corifei e dei loro semicori celebranti le gesta del
nume, qualcuno – un risponditore, un hypocritès (attore) – rispose le parole di
Dioniso in persona. Da quel momento si ebbe un embrione di rappresentazione
teatrale. Quando poi, oltre a Dioniso, si cominciano a invocare altri dèi, o eroi, con cui
egli s’incontra, o quando, messo da parte Dioniso, si incomincia a invocare qualsiasi
eroe, e a farlo apparire durante il canto che lo celebra, la Tragedia ha già conquistato
le sue essenziali libertà.
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hypocritès
coro
Altare
semicoro A
corifeo A corifeo B
pubblico
Maschera di
Dioniso. II sec. a.c.
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La Tragedia è dunque nata attorno alla thymele: all’ara del dio, su cui gli
sarà offerto il sacrificio. Nel ditirambo i coreuti si disponevano in circolo
attorno a questa. Ma sopravvenuto il risponditore, l’hypocrites, l’attore,
i coreuti si tirano un po’ da parte, a circa due terzi di cerchio, lasciando
l’altro terzo per la tenda da cui l’attore esce e dove rientra, a celarsi e a
travestirsi. Quella povera tenda si chiama skenè: è la scena! (più tardi
sarà un edificio in muratura).
Qui il racconto delle origini della Tragedia fatto da Aristotele, dà la più
ovvia e seducente spiegazione della nascita della Tragedia. Per
consentire al pubblico di vedere quanto avveniva attorno alla thymele
c’erano due possibilità: o alzare gli attori verso l’alto o alzare il pubblico.
Secondo la tradizione adottarono questa seconda soluzione: cercarono
il declivio di una collina e vi collocarono gli spettatori in apposite
scalinate di legno, disposte a semicerchio dietro il Coro.
Dopo una serie di adattamenti e trasformazioni successive, il teatro
greco assunse infine questi elementi (attorno alla fine del I sec. a. C. e il
II d. C.):
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6. dietro alla skenè, i camerini per gli attori, e i ripostigli per gli
attrezzi e i meccanismi.
pàrodoi skenè
proskènion
Kòilon
Orchestra
thymele
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il teatro di Epidauro
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La messinscena
Da principio il regista è lo stesso poeta. Gli attori greci, tutti uomini anche per le
parti femminili, dovevano apparire come enormi fantocci, a raffigurare eroi al di
sopra della comune umanità. E perciò, nella Tragedia, elevati nella statura e
ingranditi: grazie ai coturni, calzature con una suola spropositamente alta;
all’onkos che era un’acconciatura dei capelli straordinariamente rialzata,
torreggiante; alle imbottiture di tutta la persona; e alle grosse maschere (nella
Tragedia piange sempre, nella commedia, al contrario, ride). S’aggiunga che nella
bocca della maschera c’era un megafono; ciò non tanto per ragioni di acustica,
ma per moltiplicare la voce dell’eroe, come s’era fatto con la sua figura.
Ai tempi di Eschilo, lo spettacolo tragico consisteva non in una sola ma in una
trilogia ossia in un seguito di tre tragedie, aventi il carattere di un poema ciclico,
nel quale ciascun dramma svolgeva una parte del soggetto comune. La prima
tragedia doveva parlare all’animo dello spettatore, e cioè essere
prevalentemente drammatica; la seconda all’orecchio, essere cioè
essenzialmente lirica; la terza all’occhio, e cioè offrirgli un grande spettacolo
visivo.
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Audio
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La dottrina dell’ethos
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L’unico repertorio ammesso, poi, era quello delle melodie tradizionali, quelle
che non a caso venivano dette nómoi, cioè leggi: Platone respingeva con
sdegno le innovazioni della musica più moderna, qual era quella di Euripide e
del suo amico Timoteo. La nuova musica, infatti, cercava di svincolarsi da un
rapporto troppo stretto con la dizione narrativa del testo e con la sua metrica,
cercando piuttosto di esplicitarne i contenuti emotivi attraverso una maggiore
libertà e autonomia dei mezzi musicali.
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La musica a Roma
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Buccina
Tuba
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