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CENNI STORICI SULLA NOTAZIONE NEUMATICA

CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA FIGURA


DI GUIDO D’AREZZO

D’Amico Stefano
I° Anno Biennio
Composizione e Direzione
d’Orchestra Fiati A.A. 2016/2017
IL MEDIOEVO

Nel Medioevo la musica rivestì un ruolo di fondamentale importanza sia in campo religioso e liturgico,
sia in campo popolare e profano, era considerata una scienza in stretta connessione con la matematica e
l'astronomia, ovvero, si pensava che ci fosse una corrispondenza tra i suoni e il moto dei pianeti nello spazio.
In questo periodo si credeva che la musica avesse il potere di influenzare lo stato d'animo e il carattere di chi
la ascoltava. Durante le persecuzioni contro i cristiani, la musica fu anche un modo di testimoniare la propria
fede, cessate le persecuzioni, con l’Editto di Milano del 313, che sanciva la pace tra la Chiesa e l’Impero, la
religione cristiana ebbe modo di manifestarsi liberamente e apertamente al culto e la musica, di
conseguenza, fu molto valorizzata come parte integrante della liturgia della messa e di tutte le cerimonie
religiose. Con l’introduzione, nell'anno 321, della domenica come giorno festivo per i cristiani, le esigenze del
culto aumentarono e di pari passo anche la musica sacra acquistò maggiore importanza.
Nel primo Medioevo, travagliato da invasioni, guerre fratricide, epidemie, carestie e distruzioni,
solamente la Chiesa godeva di una relativa tranquillità ad essa toccò il compito di salvare tutto ciò che vi era
di culturalmente valido. Nelle biblioteche dei vescovati e dei monasteri fiorirono e si tramandarono gli studi
e le pratiche religiose accanto alle conoscenze scientifiche ed artistiche. Si potevano classificare due generi
di musica: la musica classica, che ispirava tranquillità ed elevamento spirituale e la musica romantica, che
ispirava invece entusiasmo ed eccitazione.
La musica era una delle componenti principali dell'istruzione pubblica, nelle scuole infatti, gli studenti
praticavano la ginnastica per la disciplina del corpo e studiavano la musica per la disciplina della mente, nei
conventi invece, la musica faceva parte del quadrivium con l'aritmetica, la geometria e l'astronomia ed era
insegnata in modo fondamentalmente pratico e a livello elementare. Gli studenti imparavano ad intonare i
diversi intervalli, a memorizzare i canti e a leggere le note a prima vista. Fu nel Medioevo che nacque la Schola
Cantorum, formata da cantori e insegnanti con il compito di istruire uomini e ragazzi come musici
ecclesiastici, prende il nome dal recinto, detto appunto "Schola Cantorum", in cui si raccoglievano salmisti o
cantori, coloro cioè che intonavano la prima parte dei salmi cui seguiva poi il canto dei fedeli. Il recinto era
collocato sull'estremità della navata principale in prossimità o a contatto del santuario col quale poteva
comunicare mediante una porta detta "santa".
Il Medioevo è un'epoca che copre quasi 1000 anni di storia: va infatti all'incirca dalla fine del V secolo
d.C. fino al XV secolo, questo lungo periodo storico è ricchissimo di musica, tuttavia nella maggior parte dei
casi questa musica non aveva la funzione che vi si attribuisce oggi. La musica medievale, come quella antica,
è ancora, in buona parte, musica di "vita", da suonare per accompagnare un lavoro, una battaglia, un
banchetto, una festa o una celebrazione. In generale possiamo dire che la musica medievale, che va dal VI
all'XI sec. d.C., le melodie erano improvvisate, infatti non vi era distinzione fra compositore ed esecutore, ed
erano quasi sempre associate a un testo o alla danza o a tutti e due gli elementi. Per questo motivo, spesso,
le esecuzioni musicali erano eseguite da cantanti che accompagnavano la loro melodia con i movimenti di
danza. La musica riusciva a suscitare i più profondi sentimenti dell’animo umano e questa sua peculiarità, è
documentata da poeti e scrittori: Boccaccio (1313-1375), ad esempio, in un episodio Decameron, Giornata
X,7 definisce il Minuccio un finissimo cantore e sonatore, che con il suo canto riuscì a consolare la malinconica
Lisa.
La musica poi, essendo destinata ad essere eseguita una sola volta, non aveva bisogno di essere
scritta e tramandata ai posteri, in realtà sono poche le testimonianze della musica profana documentabili,
poiché, al contrario della musica liturgica, non veniva annotata quasi mai, in quanto era praticata e composta
da trovatori e trovieri di bassa formazione culturale non in grado quindi di scrivere le notazioni musicali. La
notazione pervenuta viene detta adiastematica, cioè neumi scritti in campo aperto che non indicavano con
precisione l’altezza dei suoni. Alcuni brani come i Planctus, furono composti per piangere la morte di
personaggi illustri, come il “Planctus Caroli” composto per la morte di Carlo Magno nel 814.
Così non era per la musica sacra, poiché le varie cerimonie liturgiche dovevano resistere a lungo ed
erano ripetute nel tempo, anche la musica sacra aveva uno scopo: quello di arricchire la preghiera e darle più
importanza. I primi canti liturgici erano quasi parlati e si ispiravano ai testi biblici, in seguito, nel IV secolo, si
diffusero altri tipi di musica religiosa tra i quali "l'inno" che, data la sua facilità melodica, si diffuse facilmente.
L’inno, nato in Asia minore nel II-III secolo, in occidente si diffuse a partire dal IV secolo soprattutto ad opera
di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, ne compose alcuni che ancora oggi sono in uso nella chiesa milanese;
gli inni erano destinati ad essere eseguiti da tutti i fedeli, quindi erano particolarmente facili da cantare. In
Occidente si svilupparono tradizioni liturgiche locali e anche il canto religioso si sviluppò ma con diverse
caratteristiche in base alla regione, per esempio a Roma il canto era ispirato alla musica ebraica e greca, qui
alcuni pontefici tra cui Papa Gregorio Magno (590-604) fecero una revisione dei canti liturgici, sotto il suo
pontificato si operò una scelta di canti strettamente aderenti alla liturgia cattolica e, dove questi mancavano,
se ne crearono di nuovi.
Dall'evoluzione del canto religioso romano nacque il Canto Gregoriano che prese il nome proprio da
Gregorio Magno, questo tipo di canto codificato dal Papa, divenne un vero e proprio modello di austerità e
di perfezione liturgica. Il canto gregoriano, dal punto di vista musicale vero e proprio, consisteva in melodie
molto semplici e ad ogni sillaba del testo corrispondeva una nota: l’unica eccezione era costituita dalle finali
che potevano essere arricchite da più note, molto diffuso, ad esempio, era il canto dei Salmi della Bibbia,
chiamato salmodia. La preghiera cantata sotto forma di dialogo fra il celebrante ed i fedeli, si identifica come
responsorio, mentre, nel caso dell’antifona il dialogo era affidato a due cori. Questa sublime espressione
della religiosità medioevale ci è stata tramandata in codici spesso preziosamente illustrati ad opera di monaci
amanuensi, dobbiamo infatti al loro silenzioso lavoro, proseguito nei secoli, la conservazione di migliaia di
canti gregoriani che costituiscono l’unica testimonianza musicale del primo Medioevo. L’opera di Gregorio
Magno ebbe due conseguenze di enorme portata: impedì che i canti liturgici, trasmessi oralmente, si
disperdessero e diede alla chiesa cattolica una musica universale. Per circa un millennio, il canto gregoriano
costituì l’unica espressione musicale degna di rilievo ma, dopo l’anno 1000 venne acquistando importanza
anche la musica profana, col nascere delle varie lingue neolatine, sorsero soprattutto in Francia, le figure di
poeti-musicisti che giravano di corte in corte a cantare le loro composizioni poetiche, accompagnandosi con
il liuto.
Presso le corti dei nobili francesi e nei castelli feudali, infatti, fiorirono, tra il 1100 e il 1200, le canzoni
dei trovatori e dei trovieri: dolci, elegiache, amorose, quelle dei trovatori che operavano nella Francia
meridionale; epiche, satiriche e moraleggianti quelle dei trovieri che ebbero il loro campo d’azione nella
Francia settentrionale. I trovatori, per lo più membri della nobiltà, fiorirono in Provenza, la regione
meridionale della Francia, la lingua da loro usata era il provenzale, la langue d'oc. Le loro canzoni erano
raccolte in manoscritti chiamati chansonniers e i testi trattavano principalmente l'amor cortese, ma anche
argomenti di carattere politico e religioso. I trovieri erano membri sia dell'aristocrazia, sia della borghesia,
imitarono l'arte dei trovatori traducendo i loro testi nel proprio dialetto ma gli argomenti e lo stile musicale
erano essenzialmente gli stessi. Frequentavano le corti aristocratiche dedicando la loro arte soprattutto alle
nobili dame: l’amore cortese, inteso come vassallaggio alla donna, era infatti l’argomento principale delle
loro canzoni, scritte in provenzale o lingua d’Oc, lingua romanza ancora oggi in uso presso le popolazioni
occitane, a differenza di quella dei menestrelli, la musica dei trovatori solitamente veniva scritta, a conferma
della sua origine colta. Accomunati da un’unica alta concezione dell’arte, i trovatori furono musicisti delle
proprie composizioni e si espressero in ritmi e forme diverse, tra cui la canzone, la tenzone, il discorso, il
lamento, secondo il prevalere di temi prettamente lirici o morali o politici, il movimento trobatorico ebbe il
suo primo rappresentante in Guglielmo d’Aquitania, detto anche Guglielmo III di Poitiers o Guglielmo il
Grande (969 – Maillezais, 31 gennaio 1030) fu duca d'Aquitania e Conte di Poitiers, dal 993 alla sua morte;
era il figlio primogenito del Duca d'Aquitania e Conte di Poitiers, Guglielmo Braccio di Ferro e della moglie
Emma. Di lui rimangono diversi componimenti “Versi” tra cui alcuni d'ispirazione amorosa:

COME IL RAMO DEL BIANCOSPINO

Nella dolcezza della primavera


i boschi rinverdiscono, e gli uccelli
cantano, ciascheduno in sua favella,
giusta la melodia del nuovo canto.
E' tempo, dunque, che ognuno si tragga
presso a quel che più brama.
Dall'essere che più mi giova e piace
messaggero non vedo, né sigillo:
perciò non ho riposo né allegrezza,
né ardisco farmi innanzi
finché non sappia di certo se l'esito
sarà quale domando.

Del nostro amore accade


come del ramo del biancospino,
che sta sulla pianta tremando
la notte alla pioggia e al gelo,
fino a domani, che il sole s'effonde
infra le foglie verdi sulle fronde.

Ancora mi rimembra d'un mattino


che facemmo la pace tra noi due ,
e che mi diede un dono così grande:
il suo amore e il suo anello.
Dio mi conceda ancor tanto di vita
che il suo mantello copra le mie mani!

Io non ho cura degli altrui discorsi


che da mio Buon-Vicino mi distacchino;
delle chiacchiere so come succede
per piccol motto che si proferisce:
altri van dandosi vanto d’amore,
noi disponiamo di pane e coltello.

Della sua attività politica ricordiamo l'insuccesso della spedizione in Terra Santa nel 1101 e il tentativo
fallito di annettere per due volte Tolosa. I principali trovatori del periodo furono Bernard de Ventadorn, Jaufré
Rudel, Peire d’Alvernha, Guiraut de Borneth, Arnaut Daniel, Bertan de Born, Raimbaut de Vaqueiras, Peire
Vidal, Folquet de Marseille.
In Germania operavano i Minnesänger “cantori d’amore”, movimento di cantori appartenenti alla
sfera borghese le cui composizioni sono principalmente le c.d. Barfom, strutturate da 2 strofe uguali definite
stollen. Ulteriori composizioni del periodo sono il Led, che corrisponde alle chanson dei trovieri, il Leich, che
corrisponde al Lai, lo Spruch, che corrisponde al genere dei sirventes. Tra le opere e gli autori germanici più
importanti si ricorda Parzifal di Wolfram von Eschenbach e, Hans Sachs, entrambi citati da Wagner nelle sue
opere. Nella Penisola Iberica vi erano le Cantigas, in Italia giullari, menestrelli, trovatori e trovieri, simili agli
ædi dell’antica Grecia e ai cantastorie che ancora oggi, a volte, percorrono le nostre contrade, soprattutto
nell’Italia del sud. Giullari e i menestrelli costituivano una classe di musicisti di professione: erano uomini e
donne che vagavano, da soli o in piccoli gruppi di villaggio in villaggio, di corte in corte e che si guadagnavano
il necessario per vivere, cantando, suonando, facendo i saltimbanchi ed esibendo animali ammaestrati, così
li descrive il Petrarca: "Gente di non grande intelligenza, ma con una memoria prodigiosa, molto ingegnosi e
impudenti oltre misura". Nell'XI sec. si organizzarono in confraternite, più tardi si trasformarono in
corporazioni di musicisti che mettevano a disposizione i loro servizi, tra cui un avviamento professionale. La
Francia vanta in questo periodo anche un’altra gloria musicale: la nascita della prima importante scuola di
canto polifonico, la Scuola di Notre-Dame, cosiddetta perché sorta presso la “Schola Cantorum” della
Cattedrale di Notre-Dame, allora in costruzione.
Una forma particolare di musica sacra è la Lauda (dal latino laus=lode), una sorta di cantata popolare
d’argomento sacro, sviluppatasi nell’Italia centrale a seguito del movimento francescano: il termine trae la
propria origine dai testi salmodici in cui appaiono frequentemente le parole “laus”, “laudate,” o altre simili.
Ancora oggi col termine latino “laudes” ci si riferisce a una precisa parte dell'Ufficio Canonico del Mattutino.
La lauda aveva carattere monodico e si sviluppava su una melodia semplice ma assai diversa dal gregoriano:
è il primo passo della musica sacra verso un linguaggio più moderno. Gli argomenti trattati erano di
ispirazione popolare, era articolata in strofe, cantate a volte da un solista, alle quali si alternava un ritornello
cantato da tutti i fedeli in coro. Il testo era in volgare, la lingua parlata dal popolo e ad ogni sillaba
corrispondeva una nota della melodia, procedendo per gradi congiunti, superando raramente l’intervallo di
terza, hanno, però, un forte carattere espressivo. In seguito la liturgia cominciava ad essere drammatizzata,
come ad esempio l’Introitus delle grandi “Messe di Pasqua” e l’interrogazione “chi cercate?” “Quem
quacritis?”, della Visitatio Sepulchri, a volte il canto presentava un ritmo più scandito, quasi a voler
accompagnare i passi dei fedeli durante la processione, le laudi sono giunte a noi conservate in raccolte
chiamate “laudari”, la più famosa di queste raccolte è il “Laudario 91 di Cortona” risalente al XIII secolo.
Una fra le più conosciute laudi ce la lascia San Francesco d’Assisi il “Cantico delle Creature”, una delle
espressioni più pure del sentimento religioso e uno dei primi componimenti poetici in lingua volgare. Più tardi
le laude assunsero l’aspetto di narrazioni dialogate a due o più voci, sempre di argomento religioso,
diffondendosi anche in Spagna col nome di “càntigas”. Il Re Alfonso di Castiglia, detto “il saggio”, compose
400 “Càntigas de Sancta Maria”, canzoni monofoniche in onore della Vergine Maria contenute in un codice
musicale formato da quattro manoscritti, che contengono anche raffigurazioni pittoriche di strumenti e
suonatori e sono ora conservate a Madrid e Firenze. La maggioranza delle càntigas raccontano miracoli
avvenuti tramite l'intercessione di Maria; sono infatti canti di lode che i confratelli cantavano durante le
processioni in onore di Cristo, della Vergine o dei Santi.
Non bisogna tralasciare le sacre rappresentazioni, forme teatrali a carattere popolare, fiorite in
Toscana tra il XV e il XVI sec. rappresentate per lo più sui sagrati delle chiese, in lingua italiana; le sacre
rappresentazioni si ispiravano alla Storia Sacra, alla vita dei Santi ed alle leggende religiose medievali. Da
queste primitive forme di teatro musicale, presenti anche in Francia ed in Inghilterra con forme analoghe,
trarranno origine l’oratorio e il melodramma. In occasione delle principali ricorrenze, come il Natale o la
Pasqua, si allestivano nelle chiese delle rappresentazioni teatrali ispirate ai testi sacri in cui i fedeli
partecipano come attori interpretando i vari personaggi delle sacre scritture. Il popolo poi, partecipava con
le sue musiche, che andavano ad aggiungersi e a fondersi con quelle liturgiche. Nacquero così una certa
quantità di “drammi liturgici”, ancora cantati in latino, la lingua ufficiale della Chiesa che, però, il popolo,
ormai non capiva più.
Tra il ‘200 ed il ‘300 le arti si evolsero; col “Dolce Stil Novo” nacque la poesia in lingua volgare, la
pittura divenne con Giotto, più realistica e più umana, l’architettura cercò nuove forme prima col romanico
e poi con il gotico, la musica si evolse nell’Ars Nova trovando le sue prime espressioni nel madrigale che,
trattava di argomenti amorosi, nella ballata a due voci che seguiva ritmi di danza e trattava argomenti vari,
nella caccia che descriveva, come dice il nome, scene di caccia o di mercato, con grida, richiami
dall’andamento concitato. Nel Medioevo gli strumenti usati nella musica profana erano diversi da quelli che
si usavano nella musica sacra; tuttavia, alcuni di essi furono accettati anche in chiesa, soprattutto l’organo
che, nel 1200, incominciò a far parte dell’arredamento usuale delle chiese.
La maggior parte degli altri strumenti musicali utilizzati nel Medioevo, giunse in Europa dall'Asia o
tramite Bisanzio o gli Arabi del nord Africa e Spagna, i più importanti furono: la lira romana, che sopravvisse
nel Medioevo; l'arpa, importata sul continente dall'Irlanda e dalla Britannia; la viella o Fiedel, il prototipo
della viola rinascimentale e del moderno violino che è lo strumento con cui più spesso sono dipinti i giullari;
la ghironda o organistrum, altro strumento a corda; la ribeca, uno strumento cordofono ad arco a più corde,
tipico dei trovatori e dei menestrelli, probabilmente introdotto in Europa nel sec. VII dagli arabi attraverso la
Spagna, dotato di un corto manico che si raccorda con il profilo della cassa stessa, il salterio, di origine
orientale a forma triangolare o trapezoidale, con corde tese, una sorta di cetra che si poteva suonare sia
pizzicando sia percuotendo le corde; vari strumenti a fiato come il liuto, il flauto, la tromba, il corno, la
cornamusa; percussioni varie fra cui il tamburo, utilizzato per battere il tempo durante i canti e le danze e,
come già detto, l'organo, suonato nelle chiese durante la Messa. L'organo ad acqua fu sostituito intorno
all’anno 1000 dai primi organi a tasto, azionati da un mantice ad aria: questo tipo di organo stentò a trovare
impiego, non produceva effetti piacevoli perché i tasti erano di enormi proporzioni e potevano essere mossi
solo con il pugno e non col tocco delle dita.
Il primo musicista del periodo, di cui si abbiano notizie, fu Guido d'Arezzo. Nacque in un villaggio
vicino a Pomposa (Ferrara) nel 995, dove si fece monaco ma, in seguito a contrasti con alcuni confratelli,
lasciò il monastero e si trasferì ad Arezzo dove fondò una scuola di canto.
Il suo metodo di insegnamento e le sue innovazioni in campo musicale si diffusero ampiamente e, fu
molto apprezzato da Papa Giovanni XIX. Morì in un convento dei Camaldolesi nel 1050, tra le sue opere
ricordiamo: Micrologus de Musica, Prologus in Antiphonarium, Regulae Rhytmicae, Epistola ad Michælem e,
l’Inno a San Giovanni.

Ut queant laxis è l'inno liturgico dei Vespri della solennità della natività di San Giovanni Battista, la
fama di questo inno di strofe saffiche, scritto dal monaco storico e poeta Paolo Diacono, si deve a Guido
d'Arezzo, che ne utilizzò la prima strofa per trarne i nomi delle 6 note dell'esacordo:

LATINO ITALIANO
« Ut queant laxis «Affinché possano cantare
Resonare fibris con voci libere
Mira gestorum le meraviglie delle tue gesta
Famuli tuorum i servi Tuoi,
Solve polluti cancella il peccato
Labii reatum dal loro labbro impuro,
Sancte Iohannes» o San Giovanni»

A ciascuna sillaba sopra evidenziata corrisponde infatti, nella musica dell'inno, la relativa nota con
cui è cantata, da tale criterio convenzionale derivano tuttora i nomi delle note musicali: Ut-Re-Mi-Fa-Sol-La.
Il nome della nota Si non si deve a Guido D'Arezzo, ma fu aggiunto solo nel XVI secolo: infatti il canto
gregoriano e, la musica medievale in genere, non prevedevano l'uso della sensibile. Non stupisce pertanto,
nella musica dell'inno in questione, che la nota iniziale del settimo e ultimo verso della strofa non prosegua
l'andamento diatonico ascendente delle sillabe iniziali dei 6 versi precedenti, non sia cioè un Si, secondo la
notazione moderna, ma un Sol. Il nome della settima nota della scala diatonica fu tratto dalle iniziali delle
due parole che compongono detto verso: Sancte Jóannes = Si.
Successivamente la sillaba UT fu sostituita con DO: l'artefice della sostituzione è stato erroneamente
identificato in Giovanni Battista Doni, il quale nel XVII secolo avrebbe a questo scopo impiegato la prima
sillaba del proprio cognome; in realtà l'uso della sillaba DO è attestato già nel 1536, dunque molto prima
della nascita di Doni, in un testo di Pietro Aretino.

La Solmisazione

La solmisazione, dal nome delle note musicali SOL e MI, è un metodo di lettura basato sulle sillabe
che individuavano le note dell'esacordo: UT - RE - MI - FA - SOL - LA. L'introduzione del metodo viene
solitamente attribuito a Guido d'Arezzo ma della sua pratica abbiamo solo testimonianze relative ad epoche
molto posteriori, come ad esempio nell'anonimo Tractatus de solmisatione del XIV secolo.
In precedenza questa teoria prevedeva che la successione UT RE MI FA SOL LA, chiamata esacordo,
fosse trasposta a partire dal FA e dal SOL per creare altri due esacordi, attraverso i quali leggere le porzioni
di musica contenenti la ancora mancante sillaba Si: all'esacordo originario fu dato il nome di esacordo
naturale, in pratica i suoni corrispondono ai nomi, all'esacordo con il Si bemolle, il nome di esacordo molle e
quello contenente il Si bequadro fu chiamato esacordo duro. L'estensione dei suoni normalmente
considerata era dal Sol1, primo rigo della chiave di basso, al Mi4, quarto spazio della chiave di violino, da qui
il termine solmisazione. Venivano quindi individuati sette esacordi: due naturali, due molli e tre, il primo e
l'ultimo duri.
La solmisazione implicava il passaggio da un esacordo all'altro tutte le volte in cui il brano musicale
lo rendesse necessario, in pratica una melodia che non toccasse mai le note inferiori a Ut o superiori a La
veniva cantata sulle sillabe dell'esacordo naturale, senza dover passare agli altri due esacordi. Quando la
melodia passava superiormente dal La al Si o inferiormente da Ut al Si, molle o duro che fosse, si rendeva
necessario cambiare esacordo e passare all'esacordo duro o al molle, come detto in precedenza, si riteneva
che la sostituzione di Ut con Do, probabilmente in quanto sillaba più facile da cantare, fosse stata proposta
dall'erudito Giovan Battista Doni nella prima metà del secolo XVII, come già detto sopra.

La Mano Guidoniana

Fu un sistema mnemotecnico utilizzato per aiutare i cantanti nella lettura a prima vista, permettendo
loro la visualizzazione dei semitoni e della posizione dell'esacordo, UT RE MI FA SOL LA. Alcune forme di
questo sistema possono essere state integrate da Guido d’Arezzo ma, la mano appare già in diversi
manoscritti, precedenti all'epoca in cui operò, come strumento per trovare i semitoni, Guido d’Arezzo utilizza
le articolazioni della mano per aiutare ad imparare l’esacordo, d'altra parte, la mano guidoniana appare
strettamente legata alle nuove idee di Guido d’Arezzo in materia di istruzione musicale, compreso l'uso degli
esacordi e della solmisazione.
Il concetto che sta dietro la mano guidoniana, è che ogni porzione della mano rappresenta una nota
specifica nell'esacordo, con una tessitura vicina alle tre ottave da: "Γ ut" o vale "Gamma ut", la cui contrazione
"gamut" può fare riferimento al palmo intero; a: "E la" in altre parole, dal Sol della moderna chiave di basso
al Mi superiore della moderna chiave di Sol. Per insegnare il sistema, ai giorni nostri, l'insegnante indica una
serie di note sul palmo della mano e, lo studente deve cantarle, come si nota, ci sono state un certo numero
di variazioni nella posizione delle note sulla mano vedi nell'esempio in figura:

I Gamut si sovrappongono mentalmente alle articolazioni e alla punta delle dita della mano sinistra.
Così «gamma ut» è indicata nella punta del pollice, "Re" sulla nocca, "Mi" nell'articolazione, e così via.
Giullari e Menestrelli

La situazione della pratica musicale nei secoli IX e X non è ben documentata: sappiamo che esisteva
un’arte di strada, detta Giullaria, praticata da musicisti ambulanti che dovevano saper intrattenere il pubblico
con la musica, la recitazione, il canto, il mimo, la danza e i giochi; inoltre dovevano saper suonare molti
strumenti. I giullari si esibivano nelle piazze e saltuariamente nelle corti, tramandavano oralmente storie,
vivevano alla giornata e i loro guadagni erano legati alla generosità di chi li ascoltava e guardava.
Considerando il fatto che viaggiavano molto e non avevano fissa dimora, si possono definire artisti girovaghi
il cui stato sociale era considerato basso e vicino a quello dei servi. Erano artisti di strada, spesso raffigurati
come mendicanti, ciechi, nani o mutilati. Questa loro condizione viene assorbita anche dagli strumenti che
suonavano: la ghironda, per esempio, fu chiamata anche la lira dei mendicanti, viola da orbo, stampella. I
giullari si esibivano anche nelle chansons de geste, poemi epico cavallereschi tra i quali si ricorda La canzone
di Rolando, intorno al 1190 i giullari si riuniscono in confraternite, in modo da potersi aiutare reciprocamente.
Stessa cosa fanno i menestrelli con una propria corporazione, erano diffusi nella Francia del nord e
svolgevano gli stessi servizi dei giullari ma a differenza di questi che erano vagabondi e musicisti liberi, i
menestrelli erano musicisti-servitori e lavoravano stabilmente al servizio di un signore, occupando un gradino
più alto nella scala sociale: tuttavia entrambi hanno bisogno di difendere la loro professionalità cercando
protezione. Questi artisti anonimi portavano con sé un bagaglio enorme di storie sotto forma di poemi
cavallereschi, ballate e leggende in parte derivate dal mondo classico greco-romano, in parte dal mondo
germanico, tutto il repertorio era imparato a memoria.

Trovatori e Trovieri

I trovatori si affermarono a Poitiers alla fine dell’XI secolo, sotto la guida di Guglielmo IX duca di
Aquitania, che fu anche il primo trovatore di cui ci sia pervenuta l’opera. Scarse notizie si hanno sia sulla
composizione delle liriche, che venivano tramandate oralmente, sia sui loro autori. Poesia e musica erano
fortemente legati, i trovatori componevano le musiche e le parole. Su 2600 componimenti poetici abbiamo
solo 260 melodie e solo 282 sono stati annotati. Questa produzione va avanti fino al XIII secolo e si diffonde
anche in Italia, dapprima al nord e poi anche al centro. Il lavoro di questi artisti restituisce dignità alla
professione di poeta e di musico: la loro produzione è infatti perfetta sia nello stile che nel contenuto.
Scrivono in una lingua che non è più il latino e che non è ancora il volgare. E’ una lingua di transizione che si
sta formando proprio grazie al loro lavoro poetico. Tema centrale del poetare è L’amor cortese, gentile e
cavalleresco, quasi spirituale, rivolto alla donna che è oggetto di affetto e devozione dalla quale l’amante non
esige appagamento. I principi dell’amor cortese, si esprimono nella chanson, genere lirico prediletto dai
trovatori soprattutto nella formula dialogica, come ad esempio, il genere della pastorella che incontra il
cavaliere e resta affascinato da lei. La chanson, nella sua struttura è divisa in schemi e si suddivide in Coblas,
che erano delle strofe, dallo schema e A AB la seconda frase è nominata Cauda, cioè coda. Un altro genere
usato è il sirventese, che tratta temi eroici politici e moraleggianti, tra i trovatori si ricordano Arnaut Daniel,
citato da Dante nel Purgatorio e Bernard Ventadorn, considerato il più celebre.
I trovieri appartengono alla maggior parte dei ceti nobiliari, come per esempio Riccardo I Cuor di
Leone, le formule compositive predilette dai trovieri furono il “Jeu parti” e il “Lai”. Il jeu parti è un dialogo
bipartito tra due amanti che contendono la stessa dama e discutono intonando la stessa melodia su strofe
diverse; ne è un esempio Kalenda Maya di Raimbaut de Vaqueiras. Una delle forme che più deriva dal
repertorio liturgico è il lai, melodia di carattere contemplativo che spesso presenta le frasi melodiche ripetute
in coppie come sequenza. Le frasi ritornellate sono chiamate puncta, si coltivarono soprattutto nei Puys,
ovvero dei luoghi dove si riunivano le accademie musicali nella Francia settentrionale. Le sezioni ripetute
possono essere identiche o terminare in modo diverso. La prima ripetizione si chiama ouvert cioè aperta, la
seconda close ovvero chiusa, si affermarono anche le forme di Roundeau, Virelai, Ballade o Chansons a
refrain. Roundeau Ballade Vireale sono le tre forme fisse che compongono le melodie dei trovieri, il Roundeau
assunse la sua struttura definitiva agli inizi del XII secolo, quando era già un genere di musica per danza
abbastanza diffuso ed il suo nome deriverebbe dal latino rutendellum, ovvero danza circolare.
La Chanson Roundeau dei trovieri di assetto monodico, a partire dal tardo ‘200, assunse una veste
polifonica, generalmente a tre voci, la sua struttura formale si può riassumere con il seguente schema
metrico: AB, AA, AB, AB, dove la prima e l’ultima sezione, oltre ad essere intonate sulla stessa musica AB,
hanno lo stesso testo poetico e vengono denominate Refrain cioè ritornello. La Ballade monodica Virelae, dal
francese “viere” cioè “girare”, ha una struttura composta di 3/4 strofe, dallo schema metrico A B B A A.

LA NOTAZIONE

Dalla Grecia ci sono giunti pochissimi frammenti musicali, in quanto, la produzione di opere musicali
non veniva tramandata per iscritto. La scrittura musicale, notazione, nelle civiltà antiche, si utilizzava per
conservare il repertorio che cadeva in disuso o che non era di uso quotidiano: la trasmissione delle
conoscenze musicali, teoriche e pratiche, tecniche strumentali e costruzione degli strumenti, avvenivano in
forme orali. Attraverso la pittura, la letteratura e la filosofia si hanno altre testimonianze sul ruolo della
musica nella civiltà greca, sulla forma degli strumenti, della loro destinazione sociale, sul rapporto del suono
con la poesia e il teatro. Naturalmente rimangono anche dei trattati teorici sulla musica ma non c'è nulla che
permetta di sapere con assoluta certezza come suonava uno strumento o come cantava una voce: tutto
quello che si riesce ad estrarre dai frammenti rimasti è pur sempre una ricostruzione.
Le idee intorno alla musica, invece, sono ancora stimolanti e per più di un millennio sono state
presenti nel pensiero occidentale come un ideale punto di riferimento, si possono riassumere in quattro
punti, la musica aveva un ruolo fondamentale nell'educazione dei giovani, era una convinzione ben salda che
la musica si potesse ascoltare solo in ben precise situazioni, poiché influiva sulla psiche di chi ascoltava. Molte
melodie avevano il potere di eccitare la mente e inclinarla ad un atteggiamento aggressivo, altre potevano
stimolare la sensualità, altre calmare e favorire la concentrazione o la meditazione. Si è visto che il suono ha
una forza risanatrice: ed anche quest'aspetto era ben conosciuto perché veniva integrato nelle pratiche di
guarigione, ad Epidauro c'era persino un famoso santuario, conosciuto in tutta l'antichità, dove queste
conoscenze venivano applicate. Questa profonda conoscenza del rapporto suono/psiche raggiunse il
culmine, nella pratica musicale, con l'istituzione dei cosiddetti nomoi al singolare: nomos, delle strutture
melodiche ben definite con destinazione rituale: questa parola, in greco, significa anche legge. In pratica,
questo stava a significare che non si poteva suonare qualsiasi melodia in ogni momento rituale: se si svolgeva
un rito in onore del Dio Apollo, si poteva suonare solo il nomos a lui consacrato. Nel pensiero filosofico questo
concetto fu elaborato da Platone (427 a.c./347 a.c.), il quale sosteneva la necessità, da parte dello Stato, di
controllare la musica se non si desideravano comportamenti individuali squilibrati o uno Stato debole.
Un altro aspetto di pensiero risale a Pitagora (VI sec. a.c.) e alla sua scuola, per i pitagorici la musica
era qualcosa di più che una vibrazione sonora, era un concetto legato a quello di numero e considerata
modello di un ordine più vasto, cosmico. Nelle conoscenze musicali i Pitagorici vedevano un modello di
conoscenza suprema che sintetizzava conoscenze più particolari, matematiche, astronomiche cosmologiche,
mediche. A Pitagora viene attribuita la scoperta dei rapporti acustici, detti intervalli, su cui costruì una scala
musicale in uso fino al Medioevo. Questa scala, di sette suoni, era racchiusa all'interno di tre intervalli
costruiti con i primi numeri naturali (1,2,3,4) che formavano una figura sacra chiamata Tetractys, gli intervalli
erano così costituti: 1-2 intervallo di ottava (distanza do¹- do²) 2-3 intervallo di quinta (distanza Do - Sol) 3-4
intervallo di quarta (distanza do - fa)
Ad Aristotele si deve l'approfondimento di un concetto che ha avuto molta fortuna: quello di catarsi,
in sintesi, partecipando alle emozioni che una rappresentazione produce, dove anche la musica è essenziale,
lo spettatore può liberarsi di emozione anche inconsce. Dunque l'arte può avere un valore educativo e
liberatorio. Nel pensiero di Aristotele la musica è però avvicinata più all'ideale di otium, di un colto e raffinato
passatempo che ad una concezione raffinata come quella dei pitagorici.
Un'ultima tendenza appare nel pensiero greco verso la fine della sua storia: filosofi come Filodemo e
Sesto Empedocle riconoscono nulli i poteri della musica sulla psiche; per loro la musica è pura sensazione e
non si pone nessun problema etico.
I Greci elaborarono molte forme musicali legate alla poesia e tra queste ricordiamo l'inno, dedicato
ad una divinità, l'imeneo, dedicata al dio delle nozze Imene, i threnos, composizioni funebri, i peana, dedicati
al dio Apollo, i ditirambi, dedicati al dio Dioniso.
Un posto a parte merita il teatro, che fu luogo di sintesi di musica, parola azione e danza, questa idea
di spettacolo totale, oggi molto attuale, conobbe un grande sviluppo e la musica con esso: i più grandi scrittori
di tragedie e commedie scrissero anche parti musicali.
Gli architetti greci ponevano gran cura nella costruzione dei loro teatri con particolare attenzione per
l'acustica: il grandioso teatro di Epidauro, costruito nel IV sec. a.c. da Policleto il giovane, è famoso perché se
si getta uno spillo nell'orchestra, questo si sente fino in cima all'ultima gradinata, 55 ordini di gradini,
l'attenzione che veniva posta all'acustica dell'ambiente è un altro segno dell'importanza che veniva accordata
al suono: nelle civiltà antiche il suono è un veicolo di informazione primario.
Anche la costruzione degli strumenti rivela il grado di raffinatezza di questa cultura: si trovano infatti
strumenti a corda, la lira e la cetra e, a fiato l’Aulos. Per scrivere le melodie i monaci avevano inventato dei
neumi da porre sopra le parole dei canti, senza ausilio di righi e chiavi, i neumi non indicano l'esatta altezza
delle note, da apprendere oralmente, ma sottili sfumature ritmiche.
La trasmissione orale del canto gregoriano non impedì l'utilizzazione, dal punto di vista teorico, di
una scrittura alfabetica medievale che, a differenza di quella greca, utilizzò le lettere dell'alfabeto latino. La
notazione che venne utilizzata fu quella di Oddone di Cluny. Si tratta di una notazione tuttora impiegata nei
paesi anglosassoni, che utilizza le lettere dalla A alla G, per indicare la successione dei suoni dal La al Sol.
Le lettere maiuscole si riferiscono alla prima ottava, quella più bassa, le lettere minuscole alla
seconda ottava, ottava intermedia, per quanto riguarda il SI, nota mobile, si utilizzava il SI dai contorni rotondi
se bemolle, mentre il SI dai contorni quadrati se naturale. Dal punto di vista pratico, per facilitare le
memorizzazione dei canti, si posero degli accenti, neumi, sul testo, che ricordavano, a chi cantava o leggeva
il testo, l'andamento della melodia. E poiché in greco l'accento si chiama neuma, questa notazione venne
chiamata neumatica. Inizialmente, gli accenti furono l'accento acuto (´), l'accento grave (`), circonflesso (^) e
l'anticirconflesso (). Gli vennero dati anche nomi, quali, ad esempio, notazione in campo aperto, perché i
neumi erano liberamente posti sul testo, notazione adiastematica, da "diastema" = intervalli + "a privativa,
cioè incapace di indicare l'altezza precisa dei suoni, ma solo l'andamento della melodia e, notazione
chironomica - da "cheiros" = mano, perché riproponeva, in pergamena, il movimento della mano del
"precento", il direttore d'orchestra, che guidava il coro.
Le notazioni si complicano in ordine decrescente: la notazione di S. Gallo e quella di Metz sono molto
più complesse della notazione inglese, in quanto offrono una grande quantità di informazioni supplementare
sulle sfumature esecutive, la notazione aquitana presenta segni dislocati nello spazio, dunque, pur essendo
ancora adiastematica, suggerisce la disposizione delle note, grazie alla disposizione spaziale dei neumi. I
neumi utilizzati dalla notazione aquitana hanno forma quadrata, che sarà la forma delle notazioni successive.
Un momento decisivo nell'evoluzione della scrittura musicale fu quello in cui un ignoto copista tracciò
una linea a secco, senza inchiostro, sulla pergamena. Prima di questa linea pose la lettera C = Do, nella
notazione alfabetica medievale. I neumi che stavano sopra della linea erano al di sopra del do, mentre quelli
che stavano sotto erano al di sotto del do. Successivamente venne aggiunta una seconda linea, prima della
quale venne messa la lettera "G", che indicava il sol, ed una terza linea, preceduta dalla lettera F, che indicava
il Fa. L'evoluzione di queste lettere ha portato alla nascita delle chiavi di Do, Sol e Fa. Inizialmente ogni linea
aveva la sua chiave ed era colorata, per essere distinta dalle altre. Il punto di arrivo di questo tentativo, di
questo sforzo di trovare una notazione che indicasse l'altezza reale dei suoni, quindi che non si limitasse ad
indicare l'altezza della melodia fu appunto la notazione quadrata guidoniana, una notazione costruita su
quattro linee e tre spazi, il tetragramma. La 5ª linea nacque quando si sviluppò un canto più ampio dal punto
di vista melodico, la chiave utilizzata era una sola, dal punto di vista della forma dei neumi, questa notazione
deriva da quella aquitana.
La tavola dei neumi di S. Gallo

Con il termine neuma si indica la nota o il gruppo di note che corrisponde ad una sillaba, quando la
sillaba è resa da una sola nota grave, si ha il punctum; quando, invece, è resa da una sola nota acuta, si ha la
virga. La tavola dei neumi di S. Gallo, formulata dai benedettini di Solesmes, prevede una lettura in senso
verticale e una in senso orizzontale, nella lettura in senso verticale vengono raggruppati i neumi che derivano
dagli accenti, i neumi che derivano dall'oriscus e neumi che derivano dall'apostrofo, dei neumi che derivano
dagli accenti: i più importanti sono:
punctum, una singola nota al grave,
virga, una singola nota all'acuto.

Dei neumi che derivano da più note, i più importanti sono:

podatus o pes, che indica due note ascendenti, perché è dato dall'unione del punctum con la virga;
clivis, che indica due note discendenti ed è data dall'unione di un accento acuto, che indica la nota
più alta, e dall'unione di una virga con un punctum, che indica la discesa;

I neumi di tre note sono:

Climacus: indica 3 o più note discendenti ed è reso da una virga con due punctum;
Scandicus: è dato da tre note ascendenti ed è reso da un punctum e una virga;
Torculus: è una nota acuta fra due gravi;
Porrectus: è una grave tra due acute;

La particolarità di questi segni è che devono essere pronunciati senza separazione, i neumi che
derivano dall'apostrofo: indicano note ribattute; I neumi che derivano dall'oriscus, nella lettura in senso
orizzontale, invece, si hanno i vari modi con cui un neuma può essere modificato. Normalmente un neuma
poteva essere modificato, nella sua forma o per mezzo di lettere, per indicare un mutamento nell'esecuzione.
Le lettere utilizzate erano la "t" e "c", che significano rispettivamente "tenete" = il neuma deve essere
allungato e "celerite", procedere rapidamente. Un neuma poteva essere allungato anche aggiungendo un
piccolo segnale, un piccolo trattino detto episema mentre, un particolare tipo di intervento sulla scrittura,
lo stacco neumatico, con esso si nota che il trobatore, mentre sta scrivendo, improvvisamente stacca la
penna. Si vede, quindi, un pezzo bianco, lo stacco neumatico evidenzia un momento di respiro. C'è poi un
ultimo carattere che è la liquescenza che veniva posta sopra sillabe particolarmente complesse, per esempio,
sopra le sillabe che presentavano scontri consonantici: quando questo segno veniva posto sopra queste
sillabe, il cantore sapeva che doveva ridurre il volume della voce in modo da non far percepire
eccessivamente lo scontro consonantico, così facendo, il carattere aspro, sgradevole di queste sillabe veniva
ridotto. Il quilisma è un segno che si trova quasi sempre nel mezzo di una terza ascendente, indica una nota
di transizione cantata con voce leggera e flessibile.

Questi vari tipi di neumi legati alla notazione di S. Gallo ritornano uguali nella notazione quadrata
guidoniana, quindi una singola nota grave viene indicata da un singolo neuma quadrato. La differenza fra
neuma quadrato e neuma di S. Gallo è che il neuma di S. Gallo, da cui il neuma quadrato deriva, non dava
l'altezza, mentre il neuma quadrato indica l'insieme delle note che vanno sulla sillaba, ma dà anche la loro
altezza precisa. Analizzando un brano in scrittura quadrata è possibile osservare che vi sono delle stanghette,
la stanghetta alta più piccola divide due incisi, la stanghetta che sta nel mezzo del tetragramma separa due
frasi, la doppia stanghetta indica l'alternarsi di un coro con l'altro o del coro col solista.
Se si confronta la notazione quadrata guidoniana con quella di S. Gallo e di Metz, si nota che la
notazione quadrata guidoniana guadagna in precisione, perché chi legge sa l'altezza precisa dei suoni, ma
perde in ricchezza di informazioni. Quindi quello che si ottiene in precisione si perde sul piano delle
informazioni espressive, per questo i professionisti che seguono il canto gregoriano, leggono
contemporaneamente la notazione quadrata e le due scritture più complesse.
Parlando della polifonia, quando si comincia ad utilizzare lo stile di discanto, si sente la necessità di
fare un'organizzazione ritmica più rigorosa che viene data da 6 schemi ritmici che nacquero dalla prassi
musicale, nel momento in cui questi schemi vennero codificati per acquisire una maggiore legittimità
culturale, si utilizzarono i piedi della metrica classica:
1º modo: longa brevis

2º modo: brevis e longa

3º modo: longa, brevis, brevis

4º modo: brevis, brevis, longa

5º modo: longa, longa

6º modo: brevis, brevis, brevis

Detto questo, che si trattasse di un'applicazione artificiosa a dei modelli ritmici preesistenti è
dimostrato dal fatto che, in alcuni casi, il piede della metrica greca corrisponde al ritmo effettivo, mentre in
altri casi no. Ogni voce aveva il suo modo ritmico, per esempio la voce di tenor di una composizione sempre
al 5º modo, cioè il canto gregoriano al tenor veniva dato sempre con la scansione ritmica che camminava
meno velocemente delle voci superiori alle quali venivano dati altri schemi ritmici un po' più movimentati.
Era essenziale nell'organizzazione di un modo ritmico l'Ordo (= ordine). Gli ordines consistevano nell'indicare
quante volte si doveva ripetere uno schema ritmico prima di una pausa.
La suddivisione della longa viene detta Modus, il modo è perfectus se la longa è divisa in 3 brevis,
imperfectus se la longa è divisa in due brevis. La suddivisione della brevis viene chiamata tempus, detto
perfectum se è divisa in tre e imperfectum se è divisa in due semibrevis. La suddivisione della semibrevis
viene chiamata Prolatio e si dice: Maior se la semibrevis è divisa in 3 minime e minor se la semibrevis è divisa
in due minime.
In Italia si riscontra, inoltre, una notazione dell'Ars Nova che deriva da quella francese, ma che è un
po' più complessa, questa notazione venne impostata da Marchetto da Padova nel "Pomerium in arte
musicae mensurate", in essa viene aggiunta anche la semiminima e le varie suddivisioni delle varie figure,
dalle più grandi alle più piccole e, delle scritture nere e bianche.

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