Nella terminologia musicale questa voce designa una sorta di composizione strumentale a più
tempi, ognuno di essi nel quadro d'una danza aulica più o meno idealizzata. Per eccezione, del
resto non infrequente, si vede comparire nella Suite, tra l'una e l'altra danza o al principio o
alla fine, o al posto di una delle danze più abituali, un'altra forma componistica (specialmente
un'Aria, o una Fuga, un Preludio, ecc.) contrassegnata non sempre dal suo proprio nome, ma
talvolta anche dalla sola indicazione di movimento (Adagio, Allegro, ecc.). Come avviene in
tutti i generi strumentali a più tempi, anche nella Suite il criterio che domina la successione
dei tempi stessi è quello d'alternare tempi in movimento lento e tempi in movimento rapido.
Nella suite tale criterio è anzi più saldamente connaturato, trattandosi d'un seguito di danze e
cioè di pezzi non soltanto d'indole prevalentemente ritmica, in cui il senso del movimento è
più che altrove accurato e quindi bisognoso di contrasti, ma anche derivati più o meno
strettamente da veri e proprî ballabili, nei quali l'alternanza suaccennata rispondeva a
esigenze pratiche.
E infatti già prima d'entrare - idealizzate o meno - nel quadro della Suite, le danze erano di
solito accoppiate; una lenta a una rapida e viceversa: Pavana-Gagliarda, p. es., come avviene
specie in Francia; Passamezzo-Saltarello, come in Italia, in cui il movimento in Allegro tien
dietro a quello in Adagio.
Quivi i primi accenni, e i primi nuclei insieme, della Suite; i quali si dànno dal sec. XVI al primo
XVII in Francia, in Italia e in Inghilterra specialmente, presso i liutisti e in genere i trascrittori
di musiche dall'originale per voci alla pratica per strumenti. E già in questi primi nuclei
vediamo affermata l'esigenza d'un nesso tonale tra l'una e l'altra delle danze, che poi nella
Suite rigorosa trova forza di legge.
Tra gli esempî più notevoli, per data e per caratterizzazione formale, di tali antecedenti
citiamo la riunione Pavana-Saltarello-Piva nell'Intavolatura di liuto pubblicata nel 1508 da O.
Petrucci.
Più le danze e in genere i pezzi riuniti insieme vanno aumentando di numero, più si avverte il
bisogno di forti nessi tra l'uno e l'altro: al nesso tonale s'aggiunge assai presto, già in
documenti del mezzo Cinquecento (cfr. il Libro di liuo dato fuori da A. Rotta nel 1546), il nesso
tematico: i varî pezzi hanno elementi tematici in comune.
A mezzo Seicento per impulso specialmente italiano (C. B. Buonamente, ecc.) la Suite si può
vedere in piena efficienza storica in tutta Europa (specie in Germania, Francia e Inghilterra)
coi caratteri già intravveduti e ora ufficialmente affermati. Tipo più frequente, la Suite di
Allemanda-Corrente-Sarabanda-Giga, che dai secentisti (importante, a proposito della prima
diffusione della Suite in Germania e in Francia, l'allievo di G. Frescobaldi, J. J. Froberger) passa
come base comune ai settecenteschi fino a J. S. Bach e G. F. Haendel. I pezzi non previsti nello
schema ufficiale sono di solito: come esordio, un Preludio (Ouverture, Toccata ecc.); tra la
Sarabanda e la Giga, un'altra danza qualunque (Gavotta, Minuetto, Bourrée, ecc.); come
conclusione, la Ciaccona, la Passacaglia o altre forme basate anch'esse sulla variazione, o un
Rondò.
PRELUDIO. - Nel concetto originario questo termine indica un'introduzione strumentale a un
componimento di qualsiasi tipo (vocale, misto o anch'esso puramente strumentale) e di
qualsiasi genere (epico, lirico, drammatico, ecc.).
L'uso d'un preludio, auletico o citaristico, è frequente già nelle prime fioriture elleniche e anzi
nei poemi omerici se ne parla come di già antico costume degli aedi. Esso si conserva poi
durante l'intero svolgimento di quella civiltà e lascia documenti fin nel sec. II (preludio e inni
attribuiti a Mesomede da Creta). Come si vede, l'improvvisazione è già spesso superata presso
i Greci nel piano di vera e propria composizione, degna di essere scritta al pari di qualunque
altra. Dalle civiltà classiche l'uso del preludiare passa nelle pratiche dei tempi cristiani, senza
lasciarci però documenti che in epoca tarda, l'improvvisazione rioccupando per gran tempo il
campo strumentale e ciò specialmente nel preludio. Praticato nell'arte trovadorica insieme
con altri tipi strumentali (danze, ecc.), esso trova ambiente favorevole (se pur non sempre
aperto dalle disposizioni liturgiche, le quali di tanto in tanto vietano l'uso di strumenti, e
perfino dell'organo, in chiesa) nella pratica delle funzioni sacre. L'organista suole fin da allora,
come anche oggi, avviare le voci del coro sacerdotale e soprattutto quelle della massa dei
fedeli al canto innodico (senza netta esclusione del salmodico) mediante una preliminare
intonazione (e il termine resterà e diventerà anzi nel secoloXVI titolo di ampie e meditate
composizioni organistiche, come si vede a S. Marco con i Gabrieli e in Spagna con A. da
Cabezón). Questa intonazione, come s'intende dalla parola stessa, aveva uno scopo pratico
ben definito: indicare cioè alla pluralità dei cantori l'orbita tonale dell'inno. Di solito essa si
compiva, quindi, presentando elementi del cantico in ordinata successione o anche in varia
fantasia, liberamente avviata e liberamente risolta. Nell'andare dei tempi, formandosi una
tradizione organistica di chiesa, ricca di esperienze d'arte e di consolidati usi liturgici, il
fantasioso improvvisare cede sempre più di frequente il campo a meditate elaborazioni, che
diventeranno del resto non soltanto intonazioni e Preludî, ma anche Canzoni, Toccate,
Capricci, Ricercari, Tientos, ecc. E del resto la natura di tutti questi componimenti è
fondamentalmente una, e i varî nomi precedono di molto un vero differenziamento delle
forme. Le quali nel preludio possono tutt'al più presentare - in confronto, per es., scioltezza di
discorso, spesso risolto in passaggi virtuosistici; caratteri che anche nei tempi moderni spesso
compaiono a ricordare le pratiche improvvisatorie del preludio di mestiere.
Nell'affermarsi in questo modo come componimento avente in sé un valore estetico, il
preludio compare nel sec. XVIII nel quadro della Suite, della Partita per tastiera d'organo o di
cembalo (meno spesso in quelle per più strumenti, ove si trova invece, anch'essa non
regolarmente, l'Ouverture), e in quello, più ristretto materialmente, del binomio Preludio-
Fuga (o Toccata, Fantasia, ecc.). Le forme che quivi esso prende sono del resto ancora
abbastanza varie, passando dall'estrema libertà di movimenti (che talvolta giunge perfino
all'assenza della figurazione ritmica) del tipo "improvvisazione" allo schema della Sonata pre-
classica (A : ∥ : A′), o anche, più di rado, dell'Aria. D'altra parte è questo il tempo in cui l'arte
strumentale ricomincia ad accostarsi alla vocale, e anche nel preludio d'un J.S. Bach non è
infrequente un atteggiamento quasi di "recitativo" o di passaggio di bravura, con diminuzioni,
ecc., che ricordano, oltre la più diretta loro fonte puramente organistica, anche le pratiche
della composizione e dell'interpretazione vocale di teatro, ricordate, del resto, anche dall'altro
tipo di preludio Bach-Händel: quello ad Aria.
Nelle vicende posteriori, dal tardo Settecento in poi, il preludio, che s'avvia alle stesse
possibilità d'autonomia di qualunque altro tipo componistico, viene perdendo sempre di più i
vecchi caratteri di estroso virtuosismo improvvisatorio e cercando anzi, in quadri
materialmente ristretti, valori di raffinato e intenso lirismo, come avviene, per es., nei 24
preludî per pianoforte di F. F. Chopin. I quali, come quelli che già aveva dato M. Clementi, al
nome di preludî non annettono l'accezione che l'etimologia suggerirebbe, ma lo conservano
soltanto per quel carattere di varietà formale che durante i secoli esso aveva mostrato. In
questo senso pubblicano Preludî gli ottocentisti e i nostri contemporanei. Si vedano, per es., i
24 preludî di C. Debussy, che, con quelli dello Chopin, possono essere considerati tra le più
preziose notazioni liriche di ogni tempo.
Nella musica teatrale, il termine Preludio distingue di solito un'introduzione che, senza
assumere il quadro piuttosto autonomo dell'Ouverture o della Sinfonia né le forme tipiche di
queste, abbia però una sua euritmia e un senso di sufficiente appagamento formale. Preludio
potrebbe chiamarsi in tal senso la Toccata iniziale dell'Orfeo di Claudio Monteverdi. Gli
schemi, entro questi limiti, possono variare all'infinito, ed anche essere sostituiti da uno
svolgimento di tipo nomico, cioè "continuo". Esempî notevoli compaiono, in tal senso, presso i
grandi operisti del sec. XIX e specialmente presso G. Verdi (Traviata, Ballo in maschera, Aida)
e R. Wagner, che fa precedere un preludio (da lui detto, con traduzione letterale, Vorspiel) a
quasi tutte le opere della maturità, dal Lohengrin in poi, con la sola eccezione
dell'introduzione (piuttosto Ouverture) dei Meistersinger. E oggi, specialmente per l'opera
seria l'introduzione di tipo preludio è di solito preferita a quella di tipo Ouverture o Sinfonia.
I più recenti trattati e dizionarî definiscono generalmente l'allemanda come una composizione
di movimento moderatamente rapido, di ritmo binario e di forma bipartita, che nella suite
seguiva immediatamente al preludio, e il tema della quale cominciava con un'anacrusi d'una
sola nota. Definizione esatta se riferita a certi esempî di allemanda, inesatta se
intenzionalmente assoluta. Infatti, se, p. es., le allemande delle suites per viola da gamba di G.
S. Bach sono precedute da un preludio, quelle delle suites francesi per clavicembalo dello
stesso Bach hanno l'allemanda come pezzo iniziale. E se numerosi sono gli esempî di
allemanda con tema anacrusico per una sola nota, non rarissimi sono gli esempî di allemanda
con tema anacrusico di due o tre note.
La denominazione di danza allemanda si trova anche quale titolo di musiche più recenti e di
ritmo e carattere del tutto differenti dal ritmo e dal carattere dell'allemanda primitiva. Tali, p.
es., le 12 Danze allemande di Beethoven, scritte nel 1795. Si tratta, in tali casi, di musiche di
ritmo ternario del tipo del Ländler. Il vocabolo allemanda è diventato un semplice aggettivo di
significato etnico.
CORRENTE. - Danza assai diffusa, dal sec. XVI al XVIII, in Francia e in Italia, dai quali paesi
passò anche in Germania. A una sua origine francese fa pensare la somiglianza col branle
ternario del Poitou e specialmente col branle courant frequente nelle raccolte e danceries
francesi del'500. In Italia ebbe manifestazioni musicali assai importanti presso i migliori
organisti e violinisti: M. Pesenti, D. Zipoli, M.A. Rossi, A. Corelli, ecc. Nella Suite la corrente di
tipo ternario (frequente, tra gli schemi ritmici: ♩∣♩.♪♩∣♩, ove compaiono elementi quasi tipici
della corrente, cioè l'iniziale anacrusi e il prolungamento del tempo forte) fu posta in onore da
G.S. Bach, G.F. Haendel, Ph. Rameau, ecc., di solito tenendo dietro all'Allemanda, cui contrasta
in virtù del suo movimento vivace.
SARABANDA. - Danza in voga dal sec. XVI alla metà del XVIII. Il nome proviene dal persiano
serbend, nome di una danza accompagnata dal canto. Del resto le origini orientali sono state
più d'una volta riproposte: secondo Hawkins si dovrebbe ricondurre la Sarabanda ad una
molto antica danza moresca, la quale opinione era già espressa da M. Mersenne nel 1616. È
certo che in Europa la danza ebbe per primo centro d'espansione la Spagna, e che gli inizî
della sua voga risalgono al sec. XVI: probabilmente verso la fine di quel secolo (Th. Arbeau,
nell'Orchésographie del 1583, non ne fa menzione), ma in tal caso dobbiamo pensare che la
diffusione ne sia stata molto rapida, se già M. Cervantes e il Guevara possano sentire il bisogno
di reagire contro di essa, il Lope de Vega si ponga a difenderla, e perfino in Inghilterra della
nuova danza faccia menzione Shakespeare.
A questo momento la Sarabanda è già tanto avanzata nella sua evoluzione da entrare, senza
bisogno di ulteriori modificazioni struttive, nel quadro della composizione strumentale in più
tempi, sullo stesso piano dell'Allemanda, della Corrente, della Giga, ecc. Così la ritroviamo
nella Sonata da camera di A. Corelli (il cui gusto musicale è talmente alto e severo da
potenziare esteticamente perfino il tipo ballabile, come vediamo nella 7ª sonata dell'op. V: in 2
periodi di 8 misure ambedue ritornellati, e la melodia quasi interamente priva di
abbellimenti) e nella Suite francese e tedesca, assumendo un movimento anche più grave
(sistematico dal Muffat in poi) e un'espressione intesa ad austera maestà. Tranne rare
eccezioni - come quella della sarabanda a 2 periodi della 7a sonata di Corelli - la Sarabanda
che entra nella Sonata da camera, nella Suite, nella Partita, nell'Ordre, ecc., ha così forma
generalmente ternaria in conseguenza dell'ampliarsi della seconda parte da uno a due periodi.
Lo schema A-A′-A″, con A″ molto libero, si trova più specialmente presso i Tedeschi, da G. F.
Haendel (v. le Sarabande della IV Suite [A in 20 mis.; A′-A″ in 28] dalla VII [A in 8 mis.; A′-A″ in
24], ecc.) a J. S. Bach che predilige la simmetria: A in 8 mis.; A′ in 8, A′′ in 8.
Nella scuola italiana A′′ è spesso tanto diverso da A e da A′ da potersi considerare - come
osserva G. Bas - periodo nuovo; del quale fatto dànno esempî gli stessi Corelli e Lulli.
L'inclusione della Sarabanda diviene, per la Suite e i generi analoghi, norma comune, ed il
posto è indicato tra la Corrente e la Giga. Nella Suite VII di F. G. Haendel, che ha 6 tempi:
Ouverture-Andante-Allegro-Sarabanda-Giga-Passacaglia, è comunque rispettato il rapporto
Sarabanda-Giga.
La vecchia danza compare del resto anche nel teatro di Haendel (dove una Sarabanda
strumentale dell'Almira dà il passo ad un'Aria vocale del Rinaldo) e in quello di C. W. v. Gluck,
dove la ritroviamo in un balletto (Air gai-Sarabanda) del 1° atto dell'Iphigénie en Aulide. La
forma è semplicissima:
Al risolversi, nell'ultimo Settecento, della composizione a più tempi nel solo quadro della
Sonata, di danze non resta che il Minuetto, sì che gli esempî di Sarabanda diventano rarissimi
e ormai anacronistici, mentre talvolta ne può suggerire il ricordo il ritmo e l'espressione
particolare di qualche pagina teatrale. Ai nostri giorni, con il ravvivarsi del generale
interessamento per le tradizioni sei-settecentesche, si riprende talvolta la Sarabanda o per
effetti decorativi e di colore o - idealizzandone ancor più la struttura e ampliandone le
dimensioni - per espressioni di profonda, meditativa gravità. Esempî mirabili di quest'ultimo
procedimento si hanno nelle Sarabande di C. Debussy (Hommage à Ramcau) e di F. Busoni
(Dottor Faust). Alla Sarabanda è poi ispirato e intitolato un poema sinfonico di Roger-Ducasse.
GIGA (dall'ant. ted. gîga). - Strumento musicale, derivato dall'antica lira ad arco,
particolarmente diffuso tra il sec. XII e il XIV. Di forma allungata, a fondo ricurvo, la cassa
armonica andava gradatamente assottigliandosi, a guisa di manico, in modo da offrire
appoggio alla mano sinistra, come nel violino. L'incurvatura terminale si arricciava e poteva
anche essere ornata di leggiadre finiture. La cassa armonica mancava d'incavi laterali, ma
aveva due fori; nel mezzo c'era una piccola apertura che nel gergo dei liutai si chiamava rosa.
Vi erano anche gighe preziose artisticamente scolpite: uno dei migliori esemplari che si
conosca è quello appartenente alla collezione Fidgor di Vienna. Alla giga si addicevano le
piacevoli arie di ballo, il canto dolce e ingenuo, dal libero metro.
Il vocabolo giga indica anche un vivace tempo di danza la cui vicenda artistica, nella
letteratura strumentale dei secoli XVII e XVIII, fu molto interessante.
La giga ebbe uno svolgimento assai vario e complesso. Secondo alcuni ebbe origine da forme
vocali; in Italia s'identificò con la tarantella e il saltarello. Chiamata dagl'Inglesi fig, fece le sue
prime apparizioni nelle composizioni dei virginalisti inglesi e nelle musiche per liuto.
Dall'Inghilterra passò nel continente e fu largamente coltivata in Germania e in Italia. Si
scriveva in misure di ottavi (3/8, 6/8 e 12/8) e di quarti (3/4 e 6/4), nei primi fu simile alle
altre danze di movimento vivace (gagliarda, saltarello). Anche la Canaria (in 3/4 o 6/8) può
considerarsi come una specie di giga. J. J. Frosberger, verso il 1650, scrisse gighe anche in
misura pari. Di Bernardo Pasquini, verso il 1700, si trova una giga in 3/8, divisa in due parti,
nella quale già s'affemia il principio, assai diffuso, di riprendere il motivo iniziale in moto
contrario.
Arcangelo Corelli, per il violino, e in seguito i clavicembalisti italiani del sec. XVIII scrissero
bellissime gighe, alcune assai note e diffuse. Grande varietà del tipo di giga, per fantasia di
ritmi e complessità di svolgimento offrono Bach e Haendel: o vagamente mosse, in tempi 3/8
e 6/8, o in tempo ordinario, mosso, a terzine (Haendel, Son., in fa); J. S. Bach, nella prima delle
Suites francesi, comprese una giga a tempo tagliato, in movimento moderato, con note
puntate.
GAVOTTA (dal fr. gavotte, propriamente danza dei Gavots, cioè degli abitanti del territotio di
Gap nel Delfinato). - Danza francese, in ritmo pari. Era una danza grave; venuta a far parte del
repertorio artistico, elaborata in una forma musicale autonoma, divenne alquanto più mossa,
sempre mantenendo moderazione e leggiadria di movimento. È scritta, di solito, in 2/2 (C⃒) o
2/4. Un tempo essa veniva unita alla Branle, che la precedeva.
Nella musica d'arte la gavotta cominciò a diffondersi dopo la prima metà del sec. XVII e venne
subito introdotta nella Suite, specialmente nella nuova forma di Allemanda, Corrente,
Sarabanda e Giga, affermatasi con J. J. Froberger, e vi si pose tra le due ultime danze. Come
tutte le antiche danze, la gavotta era divisa in due parti che venivano ripetute, ciascuna
formata d'un numero pari di misure; nella forma originaria della danza la seconda parte era
del doppio più lunga della prima. Dal Corelli la gavotta viene concepita anche in un
movimento più vivace. Il tempo di gavotta, specie nella musica per clavicembalo, costituì
anche il nucleo di uno svolgimento a variazioni, come nelle celebri gavotte variate di J. Ph.
Rameau e di .G. F. Händel.
MINUETTO. - Danza nata in Francia (Poitou) in principio del sec. XVII, il nome della quale
alcuni fanno derivare dal corregionale Branle à mener, altri dall'aggettivo menu, che infatti si
conviene ai passi del minuetto, più corti di quelli voluti nella maggior parte delle danze.
Praticata dapprima dal popolo, passò poi nel mondo aristocratico, trovandovi, fin dal tempo di
Luigi XIV, grande favore.
Il ritmo è ternario, spesso con inizio anacrustico, e la misura può essere in quarti come in
ottavi. Il movimento, dapprima moderato, attraverso gli anni viene sempre più spesso
accogliendo il dinamismo dell'Allegro, fino a raggiungere l'impeto dei minuetti della VI
sinfonia di J. Haydn (in Allegro molto) e della I del Beethoven (in Allegro molto e vivace).
La forma del minuetto, come generalmente tutte le forme che riuscirono a entrare nella
componistica del periodo cosiddetto "classico" (da Haydn, cioè, a Beethoven), si venne a
modificare in conseguenza della comune evoluzione dalla simmetria binaria alla ternaria. Il
minuetto dei tempi preclassici, inserito o no in opere teatrali o in Suites (nella Suite esso,
come la Gavotta, la Bourrée, la Loure, il Passepied, la Pavana, ecc., era considerato come
intermezzo, che poteva mancare, tra la Sarabanda e la Giga), è composto in due periodi (sulla
base delle 8 misure), ognuno integralmente ripetuto come è, di regola, prescritto dal segno di
ritornello.
Il primo periodo si svolge nel tono fondamentale fino alla cadenza, che la prima volta
conferma quel tono e la seconda invece modula in un tono alffine: di solito nel tono della
dominante; il secondo periodo percorre l'itinerario opposto, e la cadenza finale avviene quindi
nel tono fondamentale. Al minuetto tiene dietro, di solito, un secondo minuetto, poi chiamato
trio perché nelle partiture orchestrali era composto spesso per tre soli strumenti, a
contrastare più efficacemente col minuetto primo. Tale esigenza di contrasto chiede, del resto,
una diversità - tra i due minuetti - di carattere estetico ed esplicitamente di tono e spesso
anche di modo: minore nel caso d'un primo minuetto in maggiore e viceversa. È ovvio, a
questo proposito, che per la legge dei rapporti tonali saranno preferiti i toni affini. Dopo il trio
si replica il primo minuetto. Secondo queste norme, che naturalmente non hanno carattere
imperativo e anzi consentono facilmente eccezioni, l'intera composizione si può fondare sullo
schema:
In conseguenza del comune movimento dalla simmetria binaria alla ternaria, che venne a
determinare le forme del periodo classico, anche il minuetto, entrando nel quadro della sonata
(e quindi della sinfonia) classica, si modifica nella sua struttura interna. Esso si costruisce non
più in due ma in tre periodi, in quanto dopo il secondo periodo si ripete il primo:
Questo schema può essere poi ampliato, ma senza modificazioni nella struttura interna dei
varî pezzi, con l'aggiunta di un secondo e anche di un terzo trio (tra l'uno e l'altro dei quali
viene ripreso il minuetto primo) o anche di una coda, a conclusione finale. È evidente, nel caso
di minuetto a più trii, la nuova figura assunta dalla composizione: quella, cioè, del Rondò.
L'importanza storica del minuetto è assai grande. Non soltanto esso costituì una delle danze
più frequenti nell'opera teatrale (specialmente nell'opera francese [Lulli-Rameau-Gluck] che
sì gran parte dava alle danze), ma mentre le altre danze sei-settecentesche non
oltrepassarono l'epoca preclassica della Suite, se non in modo sporadico e quasi a titolo di
rievocazione, il minuetto entrò come pezzo d'obbligo (nella sua figura propria o in quella dello
Scherzo, sua derivazione immediata) nel quadro della sonata (e quindi della sinfonia e della
sonata pluristrumentale: trio, quartetto, quintetto, ecc.) dell'epoca classica, giungendo presso
L. Boccherini, J. Haydn, W. A. Mozart e L. v. Beethoven a manifestazioni di valore estetico certo
pari, se non superiore, a quello toccato nella sua fioritura del primo Settecento. Nella
produzione beethoveniana importante il minuetto compare 17 volte (lo Scherzo, 46), ma dopo
il Beethoven esso cede definitivamente il posto, nella composizione a più tempi, allo Scherzo.
Accade al minuetto, in sostanza, quel che già dalla fine del sec. XVIII era accaduto alle altre
danze sei-settecentesche: esso non è più, infatti, che una forma atta a rievocazioni, a "quadri di
genere" a composizioni d'indole decorativa o leggiera. Per tale sua proprietà allusiva il
minuetto compare ancora non di rado nelle opere teatrali la cui vicenda si svolga nel Sei o nel
Settecento, o che allo spirito di quei secoli intendano richiamarsi. Esempî di minuetti moderni
di carattere più intimamente lirico non mancano tuttavia, e basterà citare il II tempo della
Sonatina per pianoforte di M. Ravel e il minuetto del II atto di Filomela di G. F. Malipiero,
ambedue, naturalmente, concepiti con una certa libertà di forma.
CIACCONA (fr. chaconne, dallo sp. chacona). - Composizione d'origine assai remota, di solito
strumentale (anche vocale nei finali d'opera della scuola lullista) che in un ritmo ternario
(raramente binario) moderatamente mosso viene svolgendo su di un basso ostinato, per lo
più di 8 battute, ma talvolta di 4, una serie di variazioni. Come la simigliantissima passacaglia
(v.), la ciaccona che pure figura tra le forme di danza, nel tempo della sua maggiore diffusione
(secoli XVII e XVIII) s'era gia elevata al valore e alla funzione di forma musicale pura e
compariva nella suite (v.) quasi sempre come ultimo pezzo. Esempî insigni di ciaccona
troviamo presso G. Frescobaldi, T. A. Vitali, G. S. Bach e presso gli operisti della scuola
francese.