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Tesi 

n.1 – La musicologia e i popoli primitivi

Indice
1.1 La nascita della musicologia
1.2 La musicologia oggi
1.3 I popoli primitivi

1.1 La nascita della musicologia
La musicologia si occupa dello studio sistematico della musica in tutte le sue molteplici sfaccettature, e
del ruolo che essa ha avuto nel corso della storia.

Durante i secoli vi è sempre stata una grande attenzione all'evoluzione storica del fenomeno musicale.
Molti compositori infatti si sono ispirati, in maniera diretta o indiretta, ai loro predecessori e hanno tratto
gran parte delle loro conoscenze dallo studio dei testi antichi.

La musicologia, come scienza, è invece un fenomeno relativamente recente, e pone in primo piano
l'analisi storico-scientifica del ruolo della musica nella storia: i padri di questa scienza possono essere
ricondotti a Friedrich Chrysander, che per primo utilizzò il termine "Musikwissenschaft", traducibile con
"ricerca musicologica" in due volumi pubblicati nel 1863 e nel 1867; e a Guido Adler, austriaco, che
ottenne una delle prime cattedre europee in questa disciplina a Praga nel 1885.

Tali ricerche, influenzate ovviamente dalla concretezza tipicamente germanica guidata in quegli anni dal
positivismo, arrivarono molto tardi in Italia: bisognerà attendere fino al 1941 per veder nascere la prima
cattedra, a Firenze, sotto la guida del maestro Fausto Torrefranca.

1.2 La musicologia oggi
Oggi la disciplina musicologica è alquanto articolata e si suddivide in cinque branche:

1. Storia della musica, suddivisa a sua volta in:

1. Storia della teoria musicale.

2. Storia della notazione musicale, che si occupa dell'evoluzione della grafia, dai primi segni
rudimentali, al passaggio verso le prime notazioni adiastematiche, alfabetiche,
neumatiche, ecc... fino alla comparsa e al progressivo sviluppo del rigo musicale.

3. Filologia della letteratura musicale, che si occupa di proporre una lettura quanto più
fedele possibile all'originale mediante l'utilizzo di tutta la documentazione possibile. Si
originano così le note del revisore e le varie edizioni critiche degli spartiti.
4. Studio della prassi esecutiva, che insegna l'esecuzione di tutto ciò che non è scritto
esplicitamente nel manoscritto originale, ossia ad esempio l'interpretazione degli
abbellimenti durante il periodo barocco, o l'uso del "rubato" nel pianismo di Chopin.

5. Iconografia musicale: l'insieme delle immagini, stampe, dipinti, quadri, incisioni, che
raffigurano come i popoli nella storia hanno utilizzato la musica (organici, occasioni,
costumi).

6. Organologia, che si occupa della classificazione degli strumenti musicali. V.Tesi di Acustica
n.9

2. Musicologia sistematica, suddivisa a sua volta in:

1. Filosofia musicale, che si occupa della ricerca dei significati reconditi celati dietro ad una
composizione musicale. Mette in gioco quindi l'interpretazione che ognuno di noi dà alla
musica: dal pensiero di Platone, Aristotele, Sant'Agostino, fino a Cartesio, Kant, Hoffman,
Nietzsche, Adorno.

2. Estetica musicale, che riguarda invece l'espressione della musica come "arte", quindi la
ricerca del "gusto del bello"; materia estremamente soggetta al giudizio individuale
nonostante vari studiosi, come Kant ad esempio, abbiano tentato di codificare dei principi
generali.

3. Etnomusicologia.

Si occupa dello studio scientifico dei fenomeni musicali attraverso la documentazione scientifica e
la registrazione delle musiche popolari, dei popoli antichi, e delle musiche orientali (extra-
europee). Questa scienza ha subìto un forte impulso con le invenzioni della fine del XIX secolo, e
con l'utilizzo sul campo dei fonografi, del nastro magnetico, e di altri strumenti che hanno
permesso la registrazione e la catalogazione di un enorme patrimonio musicale popolare
altrimenti inaccessibile. Grandi musicisti nella storia della musica, come B.Bartok, hanno
contribuito enormemente alla crescita di questa branca della musicologia.

4. Sociologia della musica.

Studia il rapporto tra un'opera musicale ed il suo tempo, e tra il compositore ed il suo tempo.
L'analisi spazia dal "perché" per una determinata opera è stata scelta una certa forma musicale,
un certo organico, ecc... domande che alle volte trovano risposte in fattori di ordine pratico (la
disponibilità o meno di certi strumentisti, ad esempio), legati alla società o al momento storico;
fino allo studio "a posteriori" e quindi alle controversie sull'esecuzione, ad esempio, delle opere di
Bach sul pianoforte anziché sul cembalo.

5. Musicologia applicata, suddivisa in:

1. Didattica musicale.

2. Critica musicale.
3. Tecnologia musicale, che studia l'aspetto tecnico-realizzativo degli strumenti ed è alla
base della professione artigianale dei liutai, ad esempio. Analizza materiali, tecniche
costruttive, ecc...

1.3 I popoli primitivi
Una delle prime risposte che la musicologia ha tentato di fornire è senz'altro quale sia l'origine della
musica. La risposta è per molti versi estremamente controversa in quanto la soluzione si perde nella notte
dei tempi; la documentazione in nostro possesso ci fa però affermare con certezza che l'uomo da sempre
è stato accompagnato dalla musica nel suo percorso di vita.

La musica è quasi certamente nata con l'uomo, come una delle sue primissime manifestazioni espressive.

Le teorie più accreditate, formulatesi a partire dalla seconda metà del XIX secolo tendono ad inquadrare
la musica come un'estensione del linguaggio parlato, resasi necessaria dal bisogno di avere un mezzo
espressivo più forte rispetto ad esso (H.Spencer); oppure ad essere funzionale all'atto dell'accoppiamento
(C.Darwin), o ad accompagnare alcuni rituali religiosi; o ancora altre ipotesi più o meno verosimili.

Certamente l'origine della musica è un fenomeno molto complesso e difficilmente le diversità culturali e
geografiche dei popoli primitivi hanno generato una nascita contemporanea e con gli stessi presupposti
del fenomeno. Alcune certezze ci sono però giunte, tramite la scarsa documentazione pervenutaci: la
musica è da sempre stata sia vocale che strumentale, sia monodica che polifonica.

Pare che i primi strumenti musicali fossero in realtà derivati da utensili di uso quotidiano, che
all'occorrenza venivano usati anche come semplici produttori di suono: i più diffusi erano quindi
assimilabili come idiofoni, semplici bacchette, aste di legno, pietre battute e sfregate tra di loro,
contenitori cavi di legno, pietra o argilla.

Diffusi erano anche i membranofoni, realizzati con pelli di animali tese in vari modi onde acquistare
l'elasticità necessaria a produrre il suono, e i primi strumenti a fiato, derivati da ossa di animali
preventivamente svuotate e fornite di piccoli fori laterali. Una successiva evoluzione portò poi alla
costruzione vera e propria di flauti in legno e di imboccature sempre più sofisticate.

Gli strumenti a corde erano senz'altro i meno diffusi, per via della loro difficoltà realizzativa, ed i primi
esemplari furono l'arco, costituito da una corda tesa tra le due estremità di un bastone ricurvo, e il salterio
di canna, costruita con una sottile striscia di scorza presa da una canna di bambù.

Tesi n.2  – I popoli antichi
2.1 Gli egiziani
Nella antica civiltà egiziana, la musica ha da sempre ricoperto un ruolo primario.
Ciò è visibile sulle numerose raffigurazioni nei templi sacri e nelle
tombe piramidali, che testimoniano come la musica accompagnasse
moltissimi rituali ed eventi della vita sociale e religiosa (gli egiziani
attribuivano un'origine divina alla musica).

L'importanza della musica nella società egiziana è testimoniata inoltre


dal fatto che nell'Antico e Medio Regno (terzo e secondo millennio
a.C.), i musicisti occupavano posizioni sociali di rilievo ed erano
considerati addirittura parenti stretti del re. In tempi successivi, la
cultura egiziana venne in contatto con i popoli della Mesopotamia
traendone, come sempre accade in questi casi, vari spunti: vennero
introdotti ad esempio i ruoli di musicisti femminili, e si diffusero
rapidamente vari strumenti usati dapprima nell'Asia Minore, come gli
oboi doppi (denominati "mat"), o vari tipi di arpa. Gli strumenti più in
uso erano, oltre a questi, vari tipi di flauti, percussioni (castagnette,
sistri, crotali) e l'"hydraulos", un organo idraulico (v.figura).

Pare che la società egiziana fosse estremamente sviluppata anche dal


punto di vista tecnico-scientifico, come testimoniano le loro incredibili
conquiste matematiche e conoscenze astronomiche, e, per rimanere nel campo musicale, è estremamente probabile
che tale popolo fosse a conoscenza del principio della relazione tra l'altezza del suono e la lunghezza di una corda
vibrante.

2.2 I popoli della Mesopotamia
La terra della Mesopotamia, letteralmente "terra tra due fiumi", compresa appunto tra il Tigri e l'Eufrate, ha visto nel
corso della storia dell'uomo l'insediamento via via di numerose popolazioni: durante il IV millennio a.C., fino a circa il
2200 a.C. furono i Sumeri ad instaurarsi in questa regione, quindi fu la volta dei Babilonesi (fino a circa il 1000 a.C.),
successivamente degli Assiri (fino al VII sec. a.C.), quindi nuovamente dei Babilonesi (fino al 539 a.C.).

Queste popolazioni erano estremamente avanzate nel campo delle scienze matematiche (conoscevano le formule per il
calcolo delle aree), astronomiche (avevano maestosi templi che si ergevano nel cielo dai quali veniva osservato il
movimento degli astri) e soprattutto agrarie: riuscirono a sfruttare una regione originariamente arida trasformandola in
un terreno fertile e rigoglioso mediante un sofisticato sistema di canali da irrigazione (basti pensare ai giardini pensili di
Babilonia, catalogati come una delle sette meraviglie del mondo antico).

La loro civiltà era dunque strettamente legata alle discipline tecniche, ed infatti il "numero", inteso come entità,
possedeva una forza attiva, con proprietà ed attributi addirittura sacri.

Dal punto di vista musicale sembra assodato che i Babilonesi possedessero una teoria piuttosto elaborata, che costituì
poi la base del nostro sistema moderno; basti ricordare che Pitagora, considerato per molti versi l'iniziatore delle nostre
teorie moderne sull'armonia tonale, si recò da giovane sia in Egitto che a Babilonia, rimanendovi per dieci anni, dove
apprese moltissime teorie tecniche e musicali che lo aiutarono al suo ritorno in Calabria, per le sue future elaborazioni
filosofiche.

Molti eventi della vita sociale erano legati alla musica, specialmente quelli di caratteri religioso: i canti rituali erano
genericamente denominati "inni" o "salmi", e pare addirittura che il canto in forma antifonale (alternato) di due cori
fosse alquanto diffuso. Altre occasioni pare fossero i rituali per favorire i raccolti, per invocare la protezione delle greggi
e per invocare gli dei, specie nei rituali funebri con musicisti appositamente adibiti a questo scopo.

2.3 Gli ebrei
Rispetto a tutte le grandi civiltà dell'antichità gli Ebrei si distinguono per essere l'unica popolazione di religione
rigorosamente monoteista e per averci
lasciato la loro storia nel libro della Bibbia.

Da questo importantissimo volume abbiamo


appreso la loro storia, le loro tradizioni, le
loro usanze e i loro costumi. Numerosissimi
sono infatti i riferimenti musicali ivi
contenuti. Ad esempio, sappiamo che gli
strumenti musicali erano classificati in tre
categorie associate direttamente alle varie
caste sociali: i corni e le trombe (ritenuti più
nobili, tra cui ricordiamo il "sofar", mostrato
in figura) erano riservati ai sacerdoti; gli
strumenti a corde (arpe e lire) erano ad
appannaggio dei musicisti addetti al servizio del Tempio; mentre i fiati erano suonati dal popolo.

La storia del popolo ebraico fu alquanto tribolata a causa delle numerose peregrinazioni. Nato all'origine come popolo
tribale (ca. 1900 a.C.), si stabilì verso il 1250 a.C. nella terra di Canaan (Palestina); tra gli anni 1030 e il 587 a.C. (anno
della distruzione di Gerusalemme e relativa conquista da parte dei Babilonesi con il loro re Nabucodonosor) godette il
suo massimo splendore sotto il regno del re Davide e del suo figlio Salomone.

Durante la "cattività babilonese", durata fino a circa il 538 a.C. le attività fiorenti della cultura ebraica ebbero un
notevole rallentamento e gli effetti negativi toccarono tutti gli aspetti della vita sociale tra cui logicamente la musica,
che precedentemente aveva goduto di ottimo splendore.

Dal 539 al 332 a.C. la Palestina venne annessa all'Impero Persiano, per poi cadere sotto il dominio di Alessandro Magno
ed essere definitivamente inglobata nel 63 a.C. nell'Impero Romano.

Dei rituali ebraici, che hanno influenzato largamente le nostre pratiche liturgiche, e quindi anche musicali, ricordiamo la
"cantillazione", una sorta di canto a mezza strada tra la recitazione e l'intonazione vera e propria, il "jubilus" e i salmi.
Dalla tradizione ebraica derivano inoltre moltissimi testi letterari presi dalla Bibbia, su cui i compositori di varie epoche
hanno prodotto numerosissime composizioni: dal Canto Gregoriano, alle messe, ai mottetti, alle cantate, ecc...

2.4 I cinesi
I Cinesi sono una delle popolazioni con la tradizione musicale (e non solo) più antica in assoluto. Nel corso delle varie
dinastie imperiali, che vanno dal 2697 a.C. a circa il 223 d.C., sono state prodotte numerosissime testimonianze a
supporto di questa tesi.
La visione dei Cinesi metteva in relazione la musica con l'ordine cosmico che
regolava l'universo: l'alternarsi delle stagioni, il moto degli astri, e così via; tutto
concorreva a creare armonia con la natura delle altre cose e con l'uomo,
naturalmente. Essendo quindi la musica in diretto rapporto con l'uomo, era
capace di influenzare profondamente l'animo dell'individuo, producendo reazioni
più o meno dinamiche e addirittura indirizzando lo sviluppo dello stato secondo
determinati criteri.

Non a caso Confucio, uno dei massimi filosofi dell'antichità Cinese, si è più volte
espresso riguardo il fenomeno musicale indicandolo addirittura come termometro
supremo del grado di civiltà di un popolo.

Molto sviluppata era anche la teoria musicale. I teorici sono concordi nel
sostenere che essi avevano elaborato una scala musicale costituita da sette suoni
(eptafonica) non dissimile dalla nostra, che vide anche fissare l'altezza assoluta
dei vari suoni (gradi) dall'Ufficio Imperiale della Musica, un organo statale antichissimo fondato durante la dinastia Han
(206 a.C.-223 d.C.)

La scala musicale cinese era costituita a partire dal suono generatore, fondamentale, chiamato "hoang-cong" (la
campana gialla), avente funzione analoga al nostro moderno diapason, dal quale venivano a realizzarsi gli altri liuh
(gradi) mediante canne di bambù tagliate ad una opportuna lunghezza secondo proporzioni matematiche prestabilite.

Gli strumenti utilizzati presso i Cinesi erano assai vari: molto diffusi erano il K'in, un salterio suonato a pizzico con corde
di seta, vari strumenti a percussione (gong, piatti, cròtali, tamburi), flauti, ed un organo a bocca chiamato "sceng" e
costituito da una zucca cava nella quale erano inserite varie canne di bambù (v.figura).

2.5 Gli indiani
Anche il popolo indiano vanta una millenaria ed articolatissima
storia musicale.

Le pratiche musicali, come testimoniato dai numerosi


documenti pervenutici, accompagnavano tutti gli aspetti della
vita civile: cerimonie, riti privati e pubblici, religione, ecc...

Anche la teoria musicale indiana era molto sviluppata, ed era


basata su una scala eptafonica con ciascun grado suddivisibile
in due, tre o quattro elementi, chiamati "srutis", in modo da formare moltissime scale (se ne contano più di mille)
secondo la posizione degli intervalli. Tali scale, di carattere modale, erano chiamate "ragas", termine che significa
"colore", "stato d'animo": da ciò è evidente lo stretto legame tra le varie armonie e le emozioni umane suscitate
nell'ascoltatore, secondo un concetto non dissimile da quello che vedrà la luce più tardi nel mondo greco.

Gli strumenti più importanti nella storia della musica indiana dell'antichità erano il "sarangi", costituito da quattro corde
(più numerose altre che vibrano per simpatia) su un telaio tozzo di forma quadrata, e la "vina", realizzata mediante un
bastone cavo di bambù sorretto alle estremità da due zucche sulle quali erano tese sette corde che venivano
sollecitate da un plettro (v.figura).
Tesi n.3  – Il mondo classico

3.1 I greci: Medioevo ellenico ed età arcaica

La parola musica apparve per la prima volta nel mondo greco, sotto il termine "musiké", ossia "arte delle muse": il
termine era alquanto generico visto che le muse erano in realtà protettrici di tutte le arti; solo in un secondo momento
venne usato nell'accezione più specifica riferita all'arte del canto e del suono, del ballo, della ginnastica e della poesia.
Successivamente il significato assunse quello che ha attualmente per noi: arte del canto e del suono.

La documentazione della musica greca è andata quasi tutta perduta, tranne pochissimi casi come l'Epitaffio
di Sicilo (primo esempio di notazione musicale), la raccolta lirica degli inni di Mesomede, gli Inni Delfici, ed alcuni
frammenti papirici; la musica era prevalentemente tramandata oralmente, da allievo a maestro, ed era assolutamente
monodica.

Possiamo inoltre affermare con sicurezza che questa civiltà è stata la prima nel mondo occidentale ad affrontare in
maniera completa e razionale tutti i fenomeni connessi alla musica, dalle implicazioni emotive (dottrina dell'Ethos), alle
speculazioni filosofiche, ai problemi della notazione e della teoria.

A causa dell'enorme lasso di tempo che ci separa da loro (circa 25 secoli), risulta spesso difficile la lettura e
l'interpretazione dei vari documenti pervenutici, anche perché non era in uso la pratica della scrittura musicale, se non
nei rari casi in cui essa potesse fornire un sussidio didattico atto a tramandare gli insegnamenti tra allievo e maestro,
laddove la comune pratica "orale" non fosse più sufficiente.

Proprio per questo motivo, ad esempio, l'interpretazione che i monaci del Medioevo fecero delle teorie musicali
dell'antica Grecia, fu imprecisa; e allo stesso modo la scientificità dell'analisi storiografica effettuata in tempi recenti,
dal '700 in poi, vide spesso assumere, da parte dello studioso, verità basate soltanto sul suo particolare giudizio,
spesso intriso di una vena soggettiva di protagonismo.

Le varie epoche della storia dell'antica Grecia sono suddivisibili in cinque periodi: il Medioevo ellenico, datato 1200-800
a.C., l'età arcaica, dall'800 al 520 a.C., l'età classica, dal 520 al 323 a.C. (morte di Alessandro Magno, o come altri
sostengono, 322 a.C., ossia morte di Aristotele), l'età ellenistica, dal 323 al 146 a.C., e l'età romana e bizantina, dal 146
a.c. al 525 d.C. circa.

Tra le prime testimonianze musicali, risalenti all'età arcaica, abbiamo senz'altro le opere di Omero "Iliade" e "Odissea",
con la presenza dei poeti-cantori Fenio e Demodoco.

Le espressioni musicali erano limitate ad alcuni inni corali, mentre la base della teoria musicale era affidata ai "Nomos",
codificati da Terpandro di Lesmo e da lui stesso divulgati nella scuola musicale sorta appositamente a Sparta: si
trattava si semplici modelli melodici che venivano continuamente adattati e riutilizzati. Sempre di questo periodo sono
anche le esperienze lirico-monodiche della poetessa Saffo e del contemporaneo poeta Alceo.

Con il trapasso dall'età arcaica all'età classica, grazie al grande teorico, fisico e matematico Pitagora, abbiamo la
codificazione delle prime teorie sistematiche sulla musica e sull'acustica che, in maniera diretta o indiretta,
costituiscono la base del sistema musicale moderno. Egli fu in grado di determinare il principio di relazione che lega la
lunghezza di una corda vibrante con l'altezza dei suoni prodotti tramite esperimenti compiuti sul monocordo e
sfruttando le grandi competenze scientifiche acquisite durante i lunghi soggiorni a Babilonia ed in Egitto.
La teoria musicale elaborata in questo periodo prevedeva un'architettura ritmica legata alla prosodia letteraria, con le
sette articolazioni di una nota breve e di una nota lunga alternate secondo varie modalità: pirrico (due brevi), giambico
(breve, lunga), trocaico (lunga, breve), dattilico (lunga, breve, breve), anapestico (breve, breve, lunga), spondaico
(lunga, lunga), tribrachico (tre brevi).

Il sistema armonico greco, denominato "téleion", si fondava su scale di tetracordi (quattro note) discendenti, che
potevano essere diatonici, cromatici o enarmonici. Il tetracordo diatonico, il più comune, era costituito da due intervalli
di tono ed uno di semitono, la cui posizione determinava il nome del tetracordo stesso: dorico (due toni discendenti ed
un semitono), frigio (un tono, un semitono ed un altro tono), lidio (un semitono, due toni). A ciò si aggiunse il tetracordo
misolodio, costituito da toni interi senza il semitono.

Dall'unione di due tetracordi consecutivi nasceva un' "armonia", che ne prendeva il nome relativo. E dall'unione di due
armonie nasceva, con l'aggiunta di un suono grave alla fine, il sistema perfetto di due ottave denominato appunto
"téleion".

Dal punto di vista filosofico-speculativo, ad ogni armonia musicale del sistema téleion era associato un particolare stato
emozionale e l'arte musicale era quindi direttamente capace di influenzare le azioni dell'individuo. Non è azzardato
quindi affermare che vi fosse una classificazione della musica in "buona" e "cattiva".

3.2 I greci: età classica ed ellenistica

Nell'età classica, durata circa dal 520 a.C. al 323 a.C. (morte di Alessandro Magno), o come molti sostengono al 322
a.C. (morte di Aristotele), avvenne anche la nascita della tragedia greca, che attraverso i maestri Eschilo, Sofocle ed
Euripide subirà via via l'evoluzione da una prassi corale con episodi recitati in prosa, ad un'espressione artistica
interamente musicata.

Euripide inoltre fu l'autore che attuò la separazione del legame (finora indissolubile) tra la metrica poetica e il ritmo
musicale, anche mediante l'utilizzo di più armonie all'interno dello stesso brano, secondo un concetto analogo a quello
moderno della "modulazione".

Per quanto riguarda il pensiero filosofico, di Platone ricordiamo la grande attenzione al fenomeno dell'espressione
musicale: egli capì le enormi potenzialità della musica di influenzare l'animo umano, come è testimoniato dalle
numerose riflessioni nei suoi trattati "Repubblica" che esortano lo stato a prendere coscienza di ciò. Egli trasmise questi
importanti insegnamenti al suo discepolo, Aristotele, il quale teorizzerò poi il concetto di "catarsi", ossia di estasi
nell'ascolto musicale.

Con il termine "Ellenismo" identifichiamo il fenomeno che portò la diffusione della cultura greca in tutto il bacino del
Mediterraneo, dall'Egitto, alla Macedonia, fino all'Asia Minore. Il fenomeno fu inoltre strettamente collegato alla
progressiva espansione dell'Impero Romano, che toccherà di lì a poco la più vasta estensione territoriale.

Gli strumenti musicali in uso presso gli antichi greci erano la cetra (lira), di destinazione nobile e colta, e l'Aulòs, un
fiato ad ancia doppia, di uso più popolare.

3.3 I romani

La storia artistica di Roma, fondata nel 753 a.C., nacque proprio dopo oltre 500 anni di totale disinteresse dell'arte
musicale: durante il periodo dell'Ellenismo, complice la conquista definitiva della Grecia nel 146 a.C., la cultura greca si
fuse con quella di derivazione etrusca, trasportando moltissime esperienze artistiche nella capitale della penisola
italica.

In realtà, l'approccio artistico al fenomeno musicale della civiltà romana fu alquanto freddo, anche perché fu
principalmente la musica meno dotta, meno nobile, ad arrivare per prima, non supportata peraltro da un
contemporaneo avvento dalla cultura e dalle speculazioni filosofiche delle scuole di pensiero dei grandi pensatori
ellenici.

Nessun documento ci è pervenuto di questa prima fase della vita musicale romana, ma la situazione e' migliorata ben
presto a seguito dell'annessione all'Impero Romano della Terra Santa, e della cosiddetta "diaspora", ossia la fuga in
massa delle popolazioni di origine ebraica, che vantavano una grandissima tradizione legata alle loro pratiche di culto,
verso tutto il bacino del Mediterraneo.

L'Impero Romano venne diviso, alla morte dell'imperatore Teodosio nel 395 d.C., in "Orientale" (che durò fino al 1453,
anno della presa di Costantinopoli da parte dell'impero Turco-Ottomano) ed "Occidentale", che resistette fino al 476
d.C.

esi n. 4 – Il canto del Cristianesimo in Occidente.

4.1 Quadro storico

La nascita del canto cristiano in Occidente ha origine a partire dalla nascita di Cristo.

A seguito della distruzione del Tempio di Gerusalemme e della successiva annessione all’Impero Romano nel 70 d.C.
della Terra di Caanan (Palestina), iniziò la cosiddetta "diaspora", ossia la dispersione, l’esodo delle popolazioni ebraiche
in tutti i territori dell’area mediterranea.

Il culto del Cristianesimo andò così distribuendosi in tutta la regione, e con esso vennero diffusi anche i riti che la
religione ebraica contemplava, canti liturgici compresi.

Il Cristianesimo fu però una religione all’inizio osteggiata dagli imperatori romani, storicamente fedeli al paganesimo, e
bisognò attendere l’Editto di Milano (313 d.C.), ad opera dell’imperatore Costantino, affinché la nuova religione
monoteista venisse ammessa e tollerata. Successivamente, nel 391, fu l’imperatoreTeodosio a vietare i culti pagani e
a sancire l’ufficialità del Cristianesimo come lingua imperiale.

La neonata religione cristiana, derivante da quella ebraica, portò con sé oltre al testo biblico importantissimi documenti
storico-religiosi, rituali, e pratiche liturgiche ad esso associate; non ultimi alcune forme di canto, quali la “cantillazione”,
il jubilus e l’esecuzione dei salmi.

Nella diffusione nel bacino Mediterraneo, i rituali religiosi subirono e si mescolarono alle usanze locali, generando
diverse forme di ufficiazioni liturgiche, a volte abbastanza differenti tra loro.

Attorno al IV sec. le principali forme di culto cristiano presenti nei territori dell’Impero Romano erano: il culto
mozarabico (visigotico) nella regione Iberica, il culto Gallicano nella Francia del regno Franco, il rito Ambrosiano nella
diocesi di Milano, il rito della Chiesa Romana a Roma, il rito Beneventano nell’Italia meridionale, il rito della diocesi di
Aquileia nell’Italia nord-orientale e il rito greco-bizantino nella regione di Bisanzio.
Tra questi, di primaria importanza fu il rito Ambrosiano, coltivato e promosso da S.Ambrogio, che fu prima
governatore, poi vescovo di Milano nel IV secolo.

A lui si attribuisce il merito di aver composto alcuni inni, oltre a quello di aver esercitato un ruolo di importanza
primaria nella diffusione dei rituali cristiani, ed in particolare delle pratiche di canto salmodico, antifonico, e del jubilus.
Il rito Ambrosiano fu quello che sopravviverà fino ai nostri giorni.

Nei secoli bui della decadenza imperiale, anche la Chiesa Romana non attraversò un momento felice, e si sentì quindi
la necessità di rafforzare il valore dogmatico della religione come leva per mantenere saldi sia il potere spirituale che
quello temporale di Roma.

Si comprese, a tal scopo, la primaria necessità di procedere ad un’opera di unificazione, per quanto possibile, delle
diverse pratiche liturgiche che avevano luogo nei vari territori dell’Impero.

In tal senso, la figura che si caricò di questa importante missione fu Gregorio Magno, nobile romano, che dopo una
breve carriera diplomatica (fu ambasciatore della Chiesa Romana a Costantinopoli) prese i voti e divenne in seguito
Papa con il nome di Gregorio I.

Gregorio I Magno ebbe il grande merito di procedere sulla strada della codificazione del rito cristiano, e di aver
contribuito in modo determinante alla creazione delle ufficiazioni liturgiche quali oggi ci sono state tramandate. A lui si
attribuisce la compilazione di una raccolta di canti, l’Antiphonarium Cento, contenente tutti i canti ufficiali della Chiesa
Romana per tutto l’anno liturgico. A lui si attribuì anche, erroneamente, la fondazione della Schola Cantorum di Roma
(tale scuola erà già attiva all'epoca del pontificato di Gregorio I).

Questo organo fu importantissimo in quanto, oltre a provvedere alla difficoltosa formazione dei cantori che prestavano
servizio nelle varie Basiliche romane, servì come modello per la nascita di analoghe strutture presso altre cattedrali sia
nella penisola italica che in tutta l’Europa.

Attorno al V-VI secolo sorsero infatti le abbazie di Nonantola, Bobbio, Montecassino in Italia, Metz, Tours in Francia,
S.Gallo in Svizzera e Reichenau in Germania, ciascuna con una importante Schola Cantorum annessa. Dalla Schola di
Roma, ad opera di Gregorio e dei papi suoi successori, venivano spesso inviati missionari nelle varie abbazie frattanto
sorte in Europa, con lo scopo di mantenere il più possibile uniformi le pratiche di ufficiazione liturgica.

Con il nome di Canto Gregoriano consideriamo dunque tutte le espressioni vocali, all’inizio monodiche, che vennero
adottate dalla Chiesa Romana durante il medioevo.

La formazione del Sacro Romano Impero, iniziata con l’accordo tra Papa Stefano II e l’imperatore Pipino il Breve (VIII
sec.), fu l’inizio di un tentativo da parte di Chiesa e Impero di unire le loro forze contro la potenza disgregatrice delle
incursioni barbariche e di mantenere il controllo territoriale e teologico su tutta l’Europa. I grandi imperatori della
Dinastia Carolingia proseguiranno su questa identità di vedute con il papato fino al XIV secolo.

4.2 Il Canto Gregoriano nella liturgia

La formazione del rito cristiano fu comunque un fenomeno lento e laborioso, che richiese diversi secoli prima di essere
codificato e, per quanto possibile, unificato.
Le cerimonie liturgiche si suddividevano in due grandi momenti: la Liturgia Eucaristica (la Messa), e la Liturgia delle Ore
(Ufficio).

La prima, che rappresentava l’ultima cena di Gesù prima della sua morte e crocifissione, costituiva il primario momento
di raccolta dei fedeli del rito cristiano, ed era articolata in quattro momenti: riti iniziali, liturgia della parola, liturgia
eucaristica, riti conclusivi.

Essa si sviluppò mediante una serie di canti alternati a letture dei testi sacri e preghiere.

I canti, che in questo periodo rientravano nella categoria del Gregoriano, erano suddivisi in due gruppi: quelli
dell’Ordinarium Missae (o più semplicemente Ordinario), che non mutavano durante tutto l’anno liturgico, ossia Kyrie,
Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei; e quelli del Proprium Missae (o più semplicemente Proprio) che variavano a seconda
del momento liturgico dell’anno: Introito, Graduale, Alleluja (sostituito durante la quaresima dal Tratto), Offertorio,
Communio.

L’anno liturgico era imperniato sui momenti dell’Avvento, Natale, Epifania, Quaresima, Pasqua, Pentecoste, Trinità.

La liturgia delle ore invece, praticata solamente nelle comunità monastiche ad eccezione della recitazione dei Vespri, si
articolava in otto momenti durante la giornata: Il Mattutino prima dell’Alba, le Laudi al levar del sole, l’ora Prima, Terza,
Sesta, Nona, i Vespri al tramonto e la Compieta dopo il calar del sole.

4.3 Canti, Inni, Salmi e modi di esecuzione del Canto Gregoriano

I canti della Messa, erano di varia natura ed architettura formale, alcuni avevano forma chiusa (come ad esempio il
Kyrie), altri forma aperta (Gloria, Credo).

Distinguiamo tre modi di intonazione del Canto Gregoriano: l’accentus, ossia una sorta di recitazione insistita
melodicamente su un’unica nota, con lievi inflessioni ascendenti o discendenti, il concentus, il vero e proprio canto di
carattere sillabico (ad ogni nota corrispondeva una sillaba) o semisillabico (ad ogni sillaba corrispondevano 2-3 note), e
il canto di carattere melismatico, impiegato dapprima solo nell’Alleluja (ad ogni sillaba corrispondevano molte note).

Il canto veniva eseguito dal celebrante e dall’assemblea in forma:

- responsoriale: quando l’ufficiante cantava un verso e l’assemblea (o il coro) rispondeva con un altro versetto, che era
sempre lo stesso;

- antifonale: quando l’assemblea rispondeva con versetti sempre differenti;

- allelujatica: quando l’assemblea rispondeva con la parola “Alleluja” al verso dell’ufficiante.

Per quanto riguarda la liturgia delle ore, era composta in massima parte dall’intonazione di Salmi e Inni.

I salmi, tradotti in latino da S.Girolamo, erano i testi più largamente impiegati nelle Ore ed erano scritti in versi liberi.
Alcuni versi dei salmi erano anche impiegati in canti del Proprio (introiti, graduali e tratti).
Gli inni, nell’antichità già noti come forma di culto degli Dei (ci è pervenuto un frammento chiamato “Inno di Ossirinco”,
di improbabile interpretazione) entrarono nel culto cristiano all’interno del rito bizantino della Chiesa d’Oriente attorno
al II-III sec. d.C., furono poi adottati da S.Ambrogio nell’ambito della liturgia cristiana a partire dal IV sec. d.C.

Avevano andamento strofico e la melodia, di carattere sillabico, veniva ripetuta uguale da una strofa all’altra.

4.4 Tropi e sequenze

A partire dal IX secolo, nell’ambito del clima di rinnovata fede e fiducia che si stava diffondendo nel periodo della
Rinascenza Carolingia, a seguito dell’alleanza tra i grandi imperatori (Carlo Magno ne fu il massimo rappresentante) e
la Chiesa Romana, i monaci di alcune importanti abbazie iniziarono ad elaborare nuove forme musicali per arricchire ed
evolvere il Canto Gregoriano.

Le nuove forme musicali che cominciarono a sorgere a partire dal IX secolo furono i tropi, le sequenze, la polifonia e gli
uffici drammatici (poi divenuti drammi liturgici, v.tesi n.8.2).

L’alleluja introduceva, nella la liturgia eucaristica, il momento culminante della stessa, esso era perciò il canto più
altamente melismatico e virtuosistico. Per facilitare l’apprendimento dei numerosi melismi dei vocalizzi allelujatici, il
monaco Nokter Balbulus, operante nell’abbazia di S.Gallo in Svizzera, propose il suggerimento (che
leggendariamente gli fu tramandato da un monaco Normanno) di associare ad ogni nota del vocalizio una nuova sillaba
di testo, inserendo cioè nuove parole nel testo originale. Tale processo, chiamato "sillabazione", stava alla base della
formazione anche dei tropi, dei quali la sequenza costituiva il capostipite.

Possiamo quindi affermare che, nelle sequenze, il testo veniva adattato e messo al servizio della melodia musicale.

Il tropo, più genericamente, era dunque una modificazione che veniva operata su un Canto Gregoriano, mediante la
sillabazione dei melismi all’interno di un canto. Nel processo di sillabazione venivano aggiunte nuove parole al testo
gregoriano esistente, onde ottenere un canto che facesse corrispondere una sillaba ad ogni nota.

Ciò fu applicato a quasi tutti i canti del Proprio e dell’Ordinario, ad eccezione del Credo e del Graduale, e ad eccezione
anche dei canti dell’Ufficio.

Secondo una successiva evoluzione dei tropi si possono classificare varie tipologie degli stessi:

- Tropi di adattamento, che consistevano in una limitata aggiunta di nuove parole al fine di sillabare la melodia, che
restava quindi immutata;

- Tropi di sviluppo, nei quali anche la melodia veniva leggermente modificata, come nel caso delle prime sequenze;

- Tropi di interpolazione, con numerose aggiunte, sia melodiche che testuali alla fine o nel mezzo del canto originario;

- Tropi di inquadramento, che consistevano in aggiunte di forma autonoma e compiuta all’inizio o alla fine del canto;
- Tropi di completamento, che erano una combinazione dei due tipi precedenti. Le aggiunte non avevano più attinenza
con il canto originale.

- Tropi di sostituzione, quando si arrivò a sostituire le parole del testo liturgico, con altri componimenti.

I tropi e le sequenze rimasero in uso per tutto il Medioevo fino alla Controriforma ecclesiastica sancita durante gli anni
del Concilio di Trento (XVI sec), quando vennero banditi ad eccezione di quattro, tra cui ricordiamo “Victime Paschali
laudes”.

Tra i più importanti compositori di sequenze ricordiamo Adamo da S.Vittore, che codificò inoltre lo schema melodico
x aa bb cc .. .. y, ossia con il raddoppio simmetrico della singola strofa (il testo era sempre variabile). L’andamento del
testo era di carattere trocaico e in questo periodo venne adottato per la prima volta il metro poetico “ottonario”.

Tesi n. 5 – La nascita della polifonia

5.1 Gli inizi della polifonia

La polifonia si configura, nella storia della musica, come uno dei fenomeni andati ad arricchire il Canto Gregoriano
monodico, a partire dal IX secolo d.C.. Convenzionalmente possiamo suddividere le fasi evolutive della musica
polifonica in vari periodi: gli inizi, dal X alla prima metà del XII secolo, il periodo dell'Ars Antiqua dalla seconda metà del
XII a tutto il XIII secolo, l'Ars Nova durante il XIV secolo, l'età fiamminga nel XV secolo ed all'inizio del XVI, ed infine il
rinascimento nel XVI secolo.

La prima fase dello sviluppo della polifonia viene dunque fatta risalire alla seconda metà del IX secolo e vide fiorire le
prime esperienze di contrappunto mediante un semplicissimo raddoppio della melodia gregoriana, che veniva
chiamata "vox principalis", con una seconda linea melodica denominata "vox organalis", che solitamente era situata ad
un intervallo di ottava o di quinta o di quarta.

Questa semplice forma polifonica, denominata "organum", aveva dunque un andamento molto semplice in quanto la
"vox organalis" manteneva gli stessi valori di durata delle note della voce principale: di qui derivò il nome,
nell'accezione latina, di "punctum contra punctum", ossia "nota contro nota", poi evolutasi in "contrappunto". Tale
primitivo contrappunto veniva denominato "omoritmico", per via del parallelismo ritmico delle due voci.

Dall'evoluzione dell'"organum" si affermò, verso la fine del XI secolo, il "discantus" (discanto), nel quale i raddoppi della
"vox organalis" avvenivano per ottave, quarte e quinte, facendo anche ricorso al moto contrario delle parti; di questo
periodo ci è giunto il "tropario di Winchester" che è anche il primo esempio in assoluto di musica polifonica scritta.

Durante il XII secolo in alcuni centri di vita religiosa, tra cui citiamo il monastero di S.Marziale di Limoges (Francia) e il
santuario di Santiago de Compostela (Spagna), si sviluppò un'ulteriore forma di "organum", denominata "melismatico",
in cui venne a rompersi il principio della omoritmia: la "vox organalis" possedeva non solo una propria indipendenza
ritmica, ma era scritta con note di durata molto più breve e quindi in maniera più "fitta" rispetto alla "vox principalis".

5.2 L'Ars Antiqua e la scuola di Notre­Dame
Come si è visto, le prime esperienze polifoniche furono rigorosamente limitate ai centri di cultura ecclesiastici, anche
perché nel campo profano era solamente la lirica monodica dei trovatori e trovieri ad essere praticata e diffusa. ( V.tesi
n.8)

Dopo la prima fase di gestazione terminata convenzionalmente nella prima metà dell'XII secolo, la polifonia subì un
deciso sviluppo, sempre in ambito sacro, coinciso con la nascita di grandi basiliche tra cui sicuramente spicca quella di
Notre-Dame di Parigi, la cui costruzione iniziò nel 1163 d.C.

Il clima di rinnovata fede religiosa (e non solo) di quei decenni fece fiorire la cultura e le arti, e non fu un caso che
proprio questo periodo vide la nascita di alcune tra le più grandi università d'Europa, Bologna e Parigi su tutte.

E proprio Parigi diventò, grazie ai due grandi poli dell'università e della basilica di Notre-Dame, il centro di cultura
Europeo più importante per almeno i due secoli successivi. Attorno alla basilica si svilupperà una importantissima
cappella musicale che contribuirà in maniera determinante allo sviluppo della musica polifonica sacra.

Fu soprattutto l'opera del maestro Leonin, attivo a Parigi tra il 1160 e il 1190, che codificò, mediante il suo "Magnus
liber organi" (un libro di musica sulla forma dell'organum), questo sviluppo. La sua opera fu continuata dal suo
successore Perotinus, che evolvette la struttura degli "organum" aggiungendo una terza voce acuta (chiamata triplum)
e una quarta voce (chiamata quadruplum).

Le voci superiori erano di carattere più melismatico e si muovevano con valori più brevi rispetto alla voce gregoriana,
denominata ora "cantus firmus", o "tenor", perché appunto manteneva fisso la melodia gregoriana di base, nella voce
più grave.

Parallelamente a queste composizioni di carattere sacro, cioé basate su tenor gregoriani, si svilupparono anche le
prime esperienze polifoniche con linee melodiche inventate, che potevano avere argomento religioso ma anche
profano, mantenendo però una polifonia semplice secondo lo stile dell'omoritmia (v. sopra): tali forme vennero
denominate "conductus".

Verso la metà del XIII secolo, grazie anche all'abbandono della teoria mensurale dei modi ritmici ( v.tesi n.6) a favore
della notazione di Francone da Colonia, più flessibile, si abbandonò la produzione degli "organum" a favore della nuova
forma polifonica che grande diffusione ebbe nel secolo successivo: il mottetto.

Il mottetto (mot=parola, in francese) nacque dall'elaborazione di un frammento del tenor gregoriano mediante
l'inserimento di melodie melismatiche nelle voci superiori. Tale pratica, concettualmente non dissimile da quella che
aveva generato i tropi e molto diffusa, generava moltissimi frammenti musicali che potevano essere anche
intercambiabili tra di loro, denominati "clausolae".

Non appena si pensò di donare propria autonomia a questo frammento musicale, visto l'alto numero di clausole che
venivano prodotte, ne nacque il mottetto. L'argomento del mottetto poteva essere sacro, ossia destinato al servizio
liturgico, o profano (grande successo ebbe in particolare durante l'Ars Nova) con testo adatto alle occasioni conviviali,
amorose, celebrative, ecc...

Il mottetto del XII e XIII secolo ebbe anche alcune interessanti varianti, come quella del "mottetto politestuale", ossia
con testi differenti nelle varie voci, e la pratica dell'"hoquetus", che vantava un andamento alternato di note e pause
tra le varie voci fino a generare un andamento a singhiozzo (hoquet=singhiozzo, in francese).
Tesi n.6 – La notazione musicale medievale
6.1 – La notazione neumatica
La prassi della scrittura musicale fu un fenomeno molto tardivo rispetto alla
nascita della pratica musicale. Nel mondo greco la musica era tramandata
oralmente e tale pratica rimase in uso anche fino ai primi secoli dell'era
cristiana, quando si avvisò la necessità di supportare maggiormente
l'apprendimento dei cantori del gregoriano nel loro apprendistato di
formazione.

Durante il Medioevo la disciplina musicale vedeva affiancate e contrapposte le


figure del "musicus", ossia il teorico che si occupava di trattatistica e vedeva la
musica nei suoi aspetti numerico-speculativi (la musica faceva parte delle arti
scientifiche insegnate nel quadrivium, assieme all'astronomia, alla matematica
e alla geometria); e il "cantor", colui che materialmente praticava musica del
repertorio gregoriano nelle cappelle monastiche.

Tale distinzione portò avanti inizialmente due scritture differenti: la notazione


alfabetica nel caso dei trattati, come già avveniva nell'antica Grecia, e la
neonata "neumatica", dedicata alla pratica, per i cantori.

La notazione neumatica consta di varie famiglie corrispondenti alle varie fasi


evolutive. La prima in ordine cronologico venne denominata "chironomica"
(cheir=mano, in greco), ed aveva un'utilità limitata a guidare, in maniera
approssimativa, i gesti che il direttore del coro (praecentor) doveva praticare
per controllare a sua volta i cantori. Va da sé che tale pratica non avesse
nessuna velleità di fissare principi legati alla durata delle varie note e tanto
meno alla loro esatta altezza (intonazione), ma era solamente un modo per
indicare l'andamento ascendente o discendente della melodia.

Con la nascita del repertorio gregoriano, codificato alla fine del IX secolo come
unione del rito romano e gallicano, si rese necessario un maggior supporto per i
cantori, costretti ad un apprendistato lungo anche dieci anni per memorizzare
tutti i canti per l'anno liturgico.

Nacque così la famiglia dei neumi, dapprima adiastematica (in campo aperto),
cioé senza la presenza del rigo musicale, in cui questi simboli venivano
posizionati al di sopra del testo musicale; poi diastematica, con l'aggiunta del
primo rigo musicale tracciato a secco sopra il testo nelle pratiche di scrittura
della diocesi di Aquileia.

Successivamente, si ebbe l'introduzione del doppio rigo (giallo e rosso) ad


opera dei monaci che operavano nell'Italia meridionale, fedeli al rito
beneventano; e ben presto si arrivò all'aggiunta di vere e proprie chiavi che
indicassero esattamente la posizione delle note poste sul rigo, aprendo così la
strada per l'intonazione esatta.

La seguente tabella illustra gli otto neumi semplici in uso attorno al X secolo
nell'Abazia di S.Gallo:
Intonazione esatta che si attuò con la notazione neumatica quadrata, che fu la
vera conquista raggiunta durante l'XI secolo, grazie anche al notevole sviluppo
della teoria musicale che diedero teorici come Guido d'Arezzo. La notazione
quadrata, che prevedeva l'uso di un tetragramma (4 righe) e consentiva
l'intonazione esatta delle varie note, rimase come riferimento per il repertorio
gregoriano per molti secoli, tanto che non è infrequente trovare ancora tale
convenzione di scrittura sui libri dei canti gregoriani ai giorni nostri.

In realtà la conquista della notazione neumatica fu un fenomeno abbastanza


tardivo anche perché le varie abbazie sparse per l'Europa, che
rappresentavano i centri in cui si trascriveva manualmente la musica
gregoriana, adottavano alcune varianti, regionalizzando di fatto la scrittura.

La carta seguente mostra la distribuzione geografica delle varianti della


notazione neumatica:

1- Notazione primitiva
2 - Notazione nonantoliana
3 - Notazione di Novalesa
4 - Notazione milanese
5 - Notazione dell'Italia centrale
6 - Notazione beneventana
7 - Notazione inglese
8 - Notazione di S.Gallo
9 - Notazione tedesca
10 - Notazione metense
11 - Notazione del nord della Francia
12 - Notazione di Chartres
13 - Notazione aquitana
14 - Notazione visigorica
15 - Notazione catalana

6.2 ­ La conquista del mensuralismo
Una volta risoltasi la questione dell'esatta intonazione venne a proporsi,
complice anche la nascita della polifonia e l'avvento della musica
contrappuntistica, il grande problema del mensuralismo, ossia l'assegnazione
precisa di valori che esprimessero la durata temporale delle note.

A tale problema pose rimedio la scuola parigina di Notre-Dame (v.tesi n.5), che
propose l'adozione di sei modi ritmici convenzionali, derivati dai metri classici
della prosodia greca: trocaico, giambico, dattilico, anapestico, spondaico,
tribrachico.

Il principio prevedeva l'affermazione di due valori ritmici, ossia la "Longa" e la


"Brevis", che mantennero gli stessi segni grafici del "puntum e virga",
combinati tra loro in vari modi secondo lo schema di seguito riportato:

Neumi corrispondenti
Tali schemi venivano applicati alle varie melodie delle voci nelle composizioni
polifoniche. In particolare il quinto modo era diffusissimo nella voce del tenor,
mentre i primi due erano i più usati nelle voci superiori del duplum e triplum.

I problemi della pratica mensurale dei modi ritmici vennero ben presto a galla
mostrando tutti i limiti di un sistema estremamente vincolante; pertanto già
attorno al 1260 il teorico Francone da Colonia ideò una teoria mensurale
basata sulla scomposizione dei valori della Longa e Brevis come di seguito
riportato :

La Longa era di tre specie: perfecta (cioé scomponibile in tre Brevis),


imperfecta (scomponibile in due Brevis) o duplex longa (di valore doppio).
Analogamente la Brevis poteva essere scomposta in tre Semibrevis (perfecta) o
in due (imperfecta); in considerazione del fatto che la Trinità rappresentava la
perfezione, pertanto il numero due risultava, al suo cospetto, imperfetto.
6.3 ­ La notazione durante l'Ars Nova
Durante il periodo dell'Ars Nova, anche la trattatistica musicale subì un
notevole sviluppo e portò alla creazione di due modelli di notazione mensurale
come evoluzione della teoria di Francone: una in Francia e l'altra in Italia.

La notazione francese, probabilmente introdotta da Jacobus di Liegi,


prevedeva l'introduzione del valore della Semibrevis Minimae (o
semplicemente Minima) a fianco dei valori di Francone, secondo un modello
con la scomposizione della Longa (chiamato Modus) che poteva essere
perfectus (divisione ternaria) o imperfectus (binaria); un ulteriore modello
(chiamato Tempus) che divideva la Brevis in tre o in due (perfectum o
imperfectum); ed un ultimo livello chiamato Prolatio, che scomponeva la
Semibrevis in tre o due Minime (rispettivamente prolazione maggiore e
minore).

Tale modello fu affiancato dalla teoria italiana, cui il


padovano Marchetto diede un notevole contributo con i suoi trattati: spiccano
il "pomerium", in arte "musice" e "lucidarium". Il modello italiano prevedeva
uno schema più complesso ed assieme più versatile di quello francese:

Brevis

Binaria Ternaria

Divisio
prima

2 Semibrevis 3 Semibreves

Novenaria

Quaternaria Senaria imperfecta Senaria perfecta

Divisio
secunda

Divisio Octonaria Duodenaria


tertia
8 semiminimae 12 semiminimae

Tesi n.7 – La teoria della musica medievale e 
Guido d’Arezzo
7.1 – Teoria e pratica
Durante il Medioevo, le figure che si occupavano di musica si dividevano in due categorie: i teorici, o trattatisti, allora
chiamati “musicus”, e i "cantor".

I primi si occupavano dell’aspetto scientifico e numerico-speculativo (lunghezza delle corde, intervalli, armonie) della
materia musicale. La Musica faceva infatti parte delle 4 discipline del quadrivo, assieme alla Matematica, Geometria ed
Astronomia. Le materie umanistiche (trivio) erano invece Grammatica, Retorica e Logica. A completare il quadro delle
materie superiori insegnate nelle università vi erano infine la Teologia, il Diritto e la Medicina.

Ai musicus si contrapponevano quindi i “cantor” che erano i cantori formatisi nelle varie "Schole Cantorum" delle
abbazie e dei monasteri ed erano coloro che praticavano invece l’arte musicale, cantando.

In realtà, a partire dalla metà del primo millennio, iniziò il lento avvicinamento tra teoria e pratica, come vedremo ora.

Il primo grande teorico del Medioevo fu il nobile romano Severino Boezio, che nel suo trattato De instituzione musica,
riprendendo la teoria greca, classificò la musica in mundana (cosmica), humana (con effetti sull’anima e sul corpo
umano) e instrumentalis (prodotta dagli strumenti).

Dopo Boezio, un contributo importante allo sviluppo della teoria medievale venne da Alcuino, consigliere di Carlo
Magno che in un frammento del IX sec. iniziò l’analisi del Canto Gregoriano per come viene effettivamente cantato, in
modo decisamente meno astratto rispetto a quanto veniva fatto prima. Egli classificò il Canto Gregoriano nell’ambito
dei quattro modi greci (dorico, frigio, lidio e misolidio).

Nel IX sec., fu il monaco Hucbald di St.Amand a collegare il Canto Gregoriano con le teorie di derivazione greca.

Nell’XI sec., fu invece Ermanno il Contratto ad analizzare il Canto Gregoriano e a classificarlo secondo gli otto modi di
derivazione greca (oktoikos bizantino).

Ecco quindi gli otto modi:

Modo greco Nota finale Tipo Ottava Corda di


(ambito) recita
Dorico Re Autentico Re-Re La

Ipo-Dorico Re Plagale La-La Fa

Frigio Mi Autentico Mi-Mi Do

Ipo-Frigio Mi Plagale Si-Si La

Lidio Fa Autentico Fa-Fa Do

Ipo-Lidio Fa Plagale Do-Do La

MisoLidio Sol Autentico Sol-Sol Re

Ipo-MisoLidio Sol Plagale Re-Re Do

Questa classificazione non era vincolante. C’erano alcune eccezioni, costituiti da canti che non rispettavano
integralmente la tabella sopra esposta.

7.3 – Guido d’Arezzo: esacordi e solmistazione
Guido nacque attorno al 995 (il luogo di nascita non è determinato con esattezza), e già in gioventù divenne monaco
nell'abbazia di Pomposa. Successivamente si trasferì ad Arezzo dove fondò una celebre "Schola Cantorum". Le sue
teorie sulla musica erano alquanto avanzate, per l’epoca. Egli escogitò, tra l'altro, un interessante sistema per facilitare
l’apprendimento mnemonico e l’intonazione dei Canti Gregoriani da parte dei cantori, che spesso erano a digiuno di
teoria musicale.

Egli riprese il sistema architettonico musicale in uso nel mondo greco antico (teleion), associando alla successione di
suoni costituiti dai vari tetracordi le lettere maiuscole, minuscole, e doppie minuscole, ponendo il gamma come suono
più grave.

Elaborò inoltre una teoria, esposta nel trattato Micrologus (1026), secondo la quale la maggioranza dei Canti Gregoriani
erano in realtà sviluppati melodicamente nell’ambito di sei note, e suddivise pertanto il sistema greco in gruppi di sei
note, denominati esacordi.
Prendendo come base di partenza le prime sillabe dei sei emistichi (metà del verso) del famoso inno a San Giovanni, il
protettore dei cantori, ossia Ut-Re-Mi-Fa-Sol-La, egli associò tali sillabe ai vari gradi della scala costituenti l’esacordo,
visto che la melodia formata dalle prime note di questo inno erano casualmente disposte in successione di 2 toni, 1
semitono e altri 2 toni.

Mantenendo al centro dell’esacordo l’intervallo di semitono, ecco che venivano a formarsi vari esacordi, alcuni reali,
ossia con la prima nota coincidente con l’Ut, alcuni “trasportati”, che potevano essere “molli” se partivano dal Fa (il Si
era per forza di cose bemolle), o duri se partivano dal Sol (il Si era bequadro).

In questo modo i cantori, conoscendo le altezze reali delle note da Ut a La, potevano facilmente intonare anche i canti
che si sviluppavano in registri differenti semplicemente trasportandoli ai suoni dell’esacordo naturale di base.

Il nome della nota "Si", deriva dalle iniziali San Giovanni, mentre la sostituzione della sillaba Ut con la più semplice
“Do” avvenne nel XVII secolo ad opera del teorico G.B.Doni (Do è appunto l’iniziale del suo cognome). La parola
bemolle nasce invece dall’abbinamento della lettera B (corrispondente al Si nel sistema sopra esposto) abbinata alla
scrittura “molle”, quando la nota “Si” appariva ad un semitono di distanza dal grado precedente. Quando la nota B (Si)
appariva a distanza di un semitono dalla successiva (Ut), veniva indicata con il simbolo del bequadro e veniva
chiamata B-Duro, o B-quadro, poi divenuto bequadro.

7.4 – Mutazione e musica ficta
Sviluppando il concetto guidoniano, per poter intonare i canti che si estendevano melodicamente oltre un esacordo,
veniva effettuata la cosiddetta mutazione, ossia si cambiava il nome delle note sostituendole con quelle dell’esacordo
successivo, o precedente.

Procedendo con lo sviluppo della notazione, soprattutto in considerazione della rapida diffusione del canto polifonico,
vennero ad essere introdotte altre alterazioni oltre a quelle del Si, cosicché si moltiplicarono necessariamente anche il
numero degli esacordi della teoria guidoniana. Sotto il nome di musica ficta (falsa), si classificava quindi la pratica
guidoniana di continue mutazioni esacordali, che venne esercitata a partire dal XII secolo.

Tesi n.8 ­ Monodie sacre e profane nel Medioevo

8.1 Quadro storico

8.2 Monodie sacre in latino

Durante tutto il primo millennio dopo Cristo, a seguito dell’affermarsi della religione Cattolica nei territori dell’Impero
Romano, la Chiesa aveva controllato, in modo più o meno diretto, e per certi versi bandito, qualsiasi forma di
rappresentazione teatrale al di fuori delle funzioni liturgiche.

Le uniche espressioni di carattere teatrale profano avevano pertanto luogo nelle strade e nelle piazze ad opera di artisti
girovaghi. Le musiche e i balli, di carattere popolaresco, venivano tramandate oralmente e non vi era una vera e
propria scuola che potesse dar vita, e sviluppare, una tradizione artistica in tal senso.

Il teatro medievale era un’entità alquanto differente sia dall’antico teatro greco (epoca classica), sia dal più recente
teatro ottocentesco, ancora estremamente attuale oggi; e non esisteva, peraltro, un luogo adibito a questo tipo di
rappresentazioni, come avviene oggi e come avveniva nell’antichità classica.
Durante il periodo della “Rinascenza Carolingia”, a partire dal IX secolo, nel clima di restaurata fiducia nella religione a
seguito della costituzione del Sacro Romano Impero Carolingio, le abbazie e i monasteri incominciarono a sviluppare
nuove forme artistiche basate sul carattere alquanto teatrale di alcuni momenti della liturgia dell’Ufficio (Messa).

Si osservò infatti che alcuni passaggi delle scritture, riferite alla vita di Cristo e sei Santi, si presentavano già in forma
dialogata, che ben si prestava per essere “messa in scena”.

Va ricordato inoltre che la liturgia della Messa in sé conservava un notevole effetto scenico-teatrale, in quanto il
cerimoniale prevedeva l’uso di costumi per l’officiante, la presenza di alcune figure come il sacerdote, i chierici, e il
ripetersi solenne di alcuni gesti predeterminati : da qui alla nascita di una vera e propria espressione artistica con
fisionomia propria, il passo fu breve.

La prima forma fu quella degli "Uffici metrici", che si attuarono dapprima in Francia, poi nel resto d’Europa, sulla base di
alcuni canti della liturgia delle ore e dell’Ufficio, interpolando testo e musica secondo una tecnica non dissimile da
quella che diede origine ai tropi.

Successivamente nacquero gli "Uffici drammatici", veri e propri momenti della Messa già disposti in forma dialogata
con rappresentazione scenica.

Si possono considerare infine anche gli "Improperi del Venerdì Santo" come un altro capostipite alla base della
formazione del dramma liturgico che si attuò invece successivamente, nei secoli X-XIII.

Il primo vero e proprio dramma liturgico, ossia che si svolgeva al di fuori delle ufficiazioni liturgiche (Messa) nacque
dalla Messa di Pasqua, con l’introduzione di un tropo di inquadramento dell’introito, in forma dialogata tra le Pie Donne
in visita al Sepolcro di Gesù risorto e l’Angelo che lì si trovava. Il canto si chiamava "Queum quaeritis" (Chi cercate?). Il
dramma liturgico che ne derivò si chiamerà poi "Visitatio Sepulchri".

La rappresentazione del dramma vero e proprio (a quel tempo chiamato “ufficium”, “ludus” o “misterium”) come forma
artistica indipendente, avveniva nella chiesa stessa o nei paraggi, anche all’esterno, ed era basata su testo misto in
prosa e in versi.

Dopo il successo della "Visitatio Sepulchri" si rappresentarono via via altre vicende della vita di Gesù e dei Santi, sotto il
benestare della Chiesa Romana, che vedeva in questa possibilità un importante strumento di divulgazione della
messaggio religioso e quindi un modo per poter esercitare il proprio peso politico-spirituale sui fedeli.

La melodia musicale era quasi sempre preesistente, spesso di derivazione gregoriana, anche se non mancavano alcuni
casi di temi a carattere profano, popolaresco.

Con lo sviluppo di questo genere teatrale sacro, anche gli artifizi scenici andavarono via via perfezionandosi, con l’uso
di costumi sempre più elaborati e di scenografie sempre più suggestive e realistiche.

Vi era infine, spesso, la presenza di un organico strumentale con funzione meramente accompagnatoria.

I più famosi drammi liturgici erano, oltre al già citato "Visitatio Sepulchri", "Sponsus" (lo sposo), basato sulla parabola
delle vergini folli, "Ludus Danielis", che narrava il dramma del Profeta Daniele, il "Planctus Marie", che narrava il pianto
delle tre Marie ai piedi della croce di Cristo, e il "Peregrinus", che narrava la vicenda dei discepoli di Emmaus.

8.3 Monodie sacre nelle lingue neolatine: laude e cantigas
Nel clima di rinnovata spiritualità che si sviluppò a partire dal secolo XIII, per opera dell'azione dei grandi Papi che si
succedettero in questo periodo, sorsero nuovi movimenti religiosi ed ordini monastici, tra i quali citiamo i domenicani
(ad opera di S.Domenico di Guzman) e i francescani (ad opera di S.Francesco d’Assisi). La coscienza ed il crescente
sentimento religioso si diffusero in tutte le classi sociali, dalla nobiltà al popolo, grazie alle nuove lingue neolatine,
trovando terreno fertile.

Nacquero in questo periodo anche alcune confraternite laiche, in varie città italiane, nelle quali si sviluppò il genere
poetico-musicale della lauda (plurale laude).

Un importante esempio di monodia sacra nelle nuove lingue neolatine (italiano, nella fattispecie), fu il "Cantico di Frate
Sole", di S.Francesco d’Assisi, un componimento contemplativo che rendeva omaggio alla natura e a tutte le sue
creature.

Parallelamente allo sviluppo delle laude in Italia, venivano prodotte in Spagna le "Cantigas de Santa Maria", un insieme
di canti che narravano leggende sulla Madonna opportunamente raccolte dal sovrano di Castiglia e di Leon, Alfonso X
(a cui si attribuisce la paternità di alcune di esse).

8.4 Monodie profane in latino

Pochissime tracce ci sono pervenute di monodie profane in latino, trattandosi di musica che secondo consolidata prassi
veniva trasmessa oralmente, e mai per iscritto. I pochissimi esempi di monodia notata furono scritte in forma
neumatica, spesso adiastematica (neumi in campo aperto), e pertanto rimasero di dubbia e difficile interpretazione.

I testi di queste composizioni, in latino, potevano derivare dai grandi poeti dell’antichità classica (Virgilio, Orazio,
Ovidio, …) o da testi anonimi in latino volgare. Le musiche erano invece spesso copiate e riadattate da melodie
precedenti. Ragion per cui, alcune identiche monodie ci sono pervenute applicate a testi differenti.

Tra i più famosi ricordiamo :

- "Planctus Caroli", un canto in onore di Carlo Magno, scomparso.

- "Canto delle Scolte", una canzone delle guardie modenesi.

- "O Roma nobilis", un canto dei pellegrini.

Infine, citiamo un importante documento risalente al XIII sec., i "Carmina Burana", una raccolta di 50 canti di origine
popolare-gogliardico ritrovata nel monastero di Benediktbeuren, che trattano temi amorosi, mondani, dei piaceri di una
vita condotta ai limiti della moralità da studenti e vagabondi erranti.

8.5 Monodie profane in volgare: Trovatori, Trovieri e Minnesänger

A partire dal sec. X, nelle neonate lingue romanze (o neolatine, nate dalla fusione del vecchio "romano" con quelle di
derivazioni barbarica), iniziarono a svilupparsi nuove forme di poesie in musica dando origine a un’interessante unione
tra le due arti.

Il fenomeno si sviluppò dapprima nella Francia meridionale, in Provenza, nelle neonata lingua “d’Oc”, ad opera di figure
chiamate Trovatori, di origine spesso nobile o comunque appartenente all’alta società. Questi artisti, che nell’ambiente
della corte medievale, sotto la protezione di un potente signore, trovarono un ambiente ideale alla fioritura delle arti
poetiche e musicali, divulgarono la propria arte spesso anche grazie agli artisti girovaghi che permettevano il
diffondersi e la circolazione delle loro opere.

Il fenomeno si estese così ben presto alla Francia settentrionale, grazie anche ad una serie di matrimoni illustri,
generando l’analoga figura dei Trovieri, che utilizzavano la lingua cosiddetta "d'Oil".

Gli argomenti trattati nelle poesie musicali trobadoriche e dei Trovieri erano generalmente di carattere amoroso, ma
anche politico, satirico. Concetto estremamente importante nella poesia di Trovatori e di Trovieri era infatti l’"Amor
Cortese", sviluppatosi a seguito del contatto tra varie classi sociali all’interno delle corti: la nascita della casta dei
cavalieri con i loro forti principi di lealtà e di moralità, le attività anche sportive di caccia e tornei, la presenza di nobili,
cortigiani, dame ed artisti aveva infatti trasformato la corte, da mera roccaforte militare, in un importante luogo di
aggregazione e scambio anche culturale.

Così, citando i generi musicali maggiormente diffusi nella lirica francese si incontrano: il Lai (pron. Lè), l’Alba, di
argomento amoroso, il Sirventese, di argomento politico, morale o religioso; la Canso, la Pastorella, ecc…

Analoghe figure erano frattanto sorte, anche se successivamente, in Germania, pare sempre grazie ad una serie di
matrimoni illustri che permisero a questi fenomeni tipicamenti francesi di essere conosciuti anche altrove. I
Minnesänger (Minne = amor cortese, Sang = canto) proseguirono l’opera dei Trovatori e Trovieri francesi sviluppando
generi non dissimili: lo Spruche (Sirventese), il Lied e il Leiche (Lai trovierico).

Uno dei principali centri di aggregazione dei Minnesänger fu la città di Norimberga, nella quale aveva sede una delle
corporazioni più importanti di questi artisti.

A differenza dei trovatori e dei trovieri, la cui importanza decadde progressivamente assieme al declino della musica
monodica a seguito dell’insorgere dell’arte polifonica già a partire dalla metà sec. XIII, il fenomeno tedesco fu molto più
longevo e si protrasse fino al ‘500.

Tra i maggiori esponenti ricordiamo Guglielmo IX, duca d’Aquitania (che fu anche il primo dei trovatori), Bernard De
Ventadorn, Arnaut Daniel tra i Trovatori; Riccardo Cuor di Leone, Adam de la Halle e Cretiene de Troyes tra i Trovieri;
Wolfram fon Eschenbach ed il cantore errante Tannhäuser tra i Minnesänger.

Le opere di questi artisti ci sono giunte, anche se solo in minima parte, e spesso in notazioni di difficile interpretazione,
soprattutto dal punto di vista ritmico, attraverso una serie di raccolte denominate “canzonieri”.

Tesi n.9 ­ Il Trecento e l'Ars Nova
9.1 La secolarizzazione della cultura
Il XIV secolo segnò una svolta nella filosofia di pensiero e in generale nel costume della società, ci si stava allontanando
inesorabilmente dalla concezione medievale dell'esistenza umana per entrare in una nuova era. Se il secolo precedente
aveva rappresentato la massima espressione nella concezione che subordinava l'uomo a Dio e alla religione, con
conseguenze nel pensiero, cultura ed arte, durante il '300 si assistette alla cosiddetta "secolarizzazione della cultura".

Ciò non significò rinnegare religione, ma semplicemente distinguere ed accettare coscientemente un mondo parallelo,
controllato dalla ragione umana, dalle possibilità dell'individuo, e dalla fiducia nella scienza, in grado di coesistere e di
sostituirsi in alcuni casi alla dottrina religiosa, che con la nascita di alcuni ordini monastici come i domenicani e i
francescani aveva goduto di un notevole impulso e con il papato di Bonifacio VIII aveva conosciuto il massimo vigore
teocratico.

Si iniziò a rafforzare il potere temporale di alcuni sovrani, come in Francia dove si avviò una monarchia che divenne poi
secolare, o in Italia, dove lo scarsissimo controllo centrale del Sacro Romano Impero portò all'estinzione del fenomeno
feudale e alla nascita di una miriade di Signorie indipendenti sempre in lotta tra loro.

La crisi del papato fu anche ben testimoniata dal trasferimento della sede papale ad Avignone tra il 1309 e il 1377, con
la susseguente elezione di un antipapa che portò allo "scisma d'occidente"; la vicenda si risolse formalmente soltanto
nel 1417 con l'elezione di Martino V, universalmente riconosciuto come unico Papa, ma nel contempo fu il preludio alla
crisi che portò alla successiva riforma protestante del XVI secolo.

Parlando di arti, nell'ambito letterario si passò rapidamente dalle opere come "La Divina Commedia" di Dante Alighieri,
alle ben più profane e liriche del "Decameron" Boccaccio e ai "Racconti di Canterbury" di Chaucer; mentre l'edificazione
di palazzi sempre più maestori ad opera di potenti signori testimoniò il crescente contrasto tra il potere temporale e
quello spirituale, simboleggiato dalle grandi cattedrali della cristianità. Anche le arti figurative, con il trapasso
dall'ispirazione religiosa di Cimabue si passa alle visioni di Giotto.

La crisi della dottrina religiosa avrà effetti importanti anche nel campo musicale, visto che la produzione di musica
sacra subirà un notevole rallentamento mentre il genere profano si garantirà notevole fioritura.

9.2 L'Ars Nova in Francia

L'accezione "Ars Nova" indicò appunto una nuova via dell'arte, in contrapposizione allo stile precedente che veniva
identificato in "Ars Antiqua" riferendosi alle pratiche fino al XIII secolo. (v.tesi n.5).

Il termine Ars Nova apparve per la prima volta in musica nel trattato "Ars novae musicae" (1319) di Johannes de Muris,
e nell'importantissimo "Ars nova" (1320) di Philippe de Vitry, considerato il massimo trattatista del '300 francese (ma fu
anche compositore), nel quale venivano discussi i vari aspetti della teoria musicale e della notazione, tra i quali, le
nuove possibilità offerte dal mensuralismo.

Proprio in questo periodo infatti, ad opera dello stesso Vitry, venne a configurarsi un nuovo sistema musicale che
estese e perfezionò quello elaborato nel secolo precedente da Francone da Colonia: venne codificata una precisa
gerarchia tra le varie figurazioni musicali mediante l'introduzione di precisi rapporti di suddivisione binari e ternari e si
assistette all'introduzione del valore della "minima" (v.tesi n.6).

Lo sviluppo della polifonia e dell'indipendenza delle voci portò quindi all'accettazione di consonanze "imperfette" come
le terze e le seste, fino a quel momento accuratamente ripugnate dai polifonisti medievali; in questo periodo si
assistette inoltre alla parificazione dell'importanza dei tempi binari e ternari, fors'anche come conseguenza di una
cultura meno legata ai simboli (e quindi ai numeri) religiosi; e soprattutto ci fu un prepotente ingresso della polifonia
nella musica profana.

Il maggior autore dell'Ars Nova francese fu Guillaume de Machaut, forse considerabile come il primo vero compositore
della storia musicale europea: egli fu compositore molto prolifico ed ebbe una grande carriera sia artistica che
diplomatica.
Tra le sue composizioni ricordiamo innanzi tutto la "Messa di Notre-Dame", scritta in polifonia a quattro voci, con alcuni
brani in stile isoritmico, saltuarie presenze strumentali per rafforzare il canto, che si considera la prima Messa completa
scritta dallo stesso compositore.

Machaut scrisse anche numerosi mottetti a 3 e 4 voci nello stile molto diffuso dell'isoritmia di argomenti sia sacri che
profani, e una copiosa produzione di forme tipiche dell'Ars Nova, quali rondeaux, ballades, lais, virelais.

Lo stile del mottetto isoritmico (il termine venne applicato dalla disciplina musicologica nel corso del XIX secolo)
prevede che un elemento melodico senza alcun carattere ritmico (una determinata successione di altezze di suoni
senza alcun carattere mensurale), denominato color, venga associato ad un predeterminato schema di valori ritmici,
denominato talea. Tale combinazione veniva a ripetersi fintanto che color e talea non terminavano
contemporaneamente, visto che i due elementi potevano avere, nella loro singola unità, durate differenti. Solitamente
la tecnica dell'isoritmia era applicata alla voce del tenor.

9.3 L'Ars Nova in Italia

La documentazione dell'Ars Nova italiana ci fa supporre da un lato che le forme di polifonia praticate all'inizio del secolo
fossero alquanto elementari, rispetto alle controparti francesi; mentre la solidità e l'articolazione del trattato di
Marchetto da Padova "Pomerium in arte musicae mensuratae", datato attorno al 1326, ci indica che anche la scuola
italiana aveva raggiunto una notevole esperienza in materia.

Certamente il trasferimento del papato ad Avignone, per buona parte del secolo, non aiutò lo sviluppo della musica
sacra in Italia, che subì infatti un notevole rallentamento, mentre le nuove forme arsnovistiche in ambito profano
godettero di una ottima fioritura nelle grandi corti del settentrione (prima metà del secolo) e a Firenze (seconda metà),
sotto la potente famiglia dei Medici.

Nacque il fenomeno del mecenatismo, che permise ai compositori di accaparrarsi le simpatie di un signore o di una
casata, ottenendo ospitalità, benefici, e garanzie economiche che gli permettevano di sviluppare le proprie inclinazioni
artistiche in un ambiente privilegiato (Scaligeri a Verona e Padova, Visconti a Milano, Medici a Firenze, ecc...) .

Tra i maggiori compositori ricordiamo Jacopo da Bologna, Giovanni da Firenze, e soprattutto Francesco Landino.

Francesco Landino (1325-1397), chiamato "il cieco degli organi" per via della sua condizione di non vedente unita
alla grande abilità alla tastiera, incarnò il gusto tipicamente italiano per la melodia grazie alla sua grande ispirazione
musicale.

Della sua produzione ricordiamo alcune forme tipiche dell'Ars Nova italiana: il madrigale, di forma strofica fissa
strutturato musicalmente secondo lo schema A-A-B, presentava un organico a 2-3-4 voci, ed era costituito sulla base di
un testo letterario di endecasillabi rimati secondo vari schemi; la caccia, costituita come un canone a 2 voci all'unisono
sostenute da un tenor strumentale e priva di struttura metrica prestabilita; e la ballata, di forma più complessa sulla
quale val la pena soffermarsi.

La ballata, che fu magistralmente codificata da Landino (ne compose più di 140), prevedeva una struttura strofica di
doppie di endecasillabi, tra loro rimati in vario modo, secondo lo schema:

 2 endecasillabi (ripresa), melodia A

 2 endecasillabi (I piede), melodia B


 2 endecasillabi (II piede), melodia B

 2 endecasillabi (volta), melodia A

al termine veniva ripetuta la prima strofa (ripresa).

La struttura musicale prevedeva 2-3-4 voci, denominate "tenor" (quella grave), "cantus" (quella acuta), ed eventuali
"contra-tenor" altus e bassus, rispettivamente al di sopra e al di sotto del tenor.

I testi letterari che animavano la composizione erano di carattere amoroso, lirico, satirico, ecc...

Citiamo infine un'espediente musicale conosciuto con lo pseudonimo di "cadenza alla Landino", in quanto fu da lui
codificato ed ampiamente usato, andando a costituire uno dei suoi tratti stilistici distintivi : consisteva nell'introduzione
del sesto grado tra il settimo e la relativa risoluzione alla tonica, che alterava la consolidata prassi di stampo
medievale:

9.4 L'Ars Subtilior

L'ultima fase dell'Ars Nova italiana fu caratterizzata da un declino dall'arte nostrana a vantaggio dello stile francese,
che si impose grazie anche al rientro del papato a Roma, con relativa cappella musicale ed artisti al seguito; il
musicista che simboleggiò la fine dell'Ars-Nova italiana fu il belga Johannes Ciconia, già cantore nella cattedrale di
Padova fino al 1411, e grande amante del manierismo francese.

La teoria musicale subì, verso la fine del secolo, ulteriori sviluppi, caratterizzati non solo dall'introduzione di nuovi
valori, come la semiminima, ma anche da un'estremizzazione delle tecniche di scrittura musicale, fenomeni che
vennero convenzionalmente classificati nell'accezione di "ars subtilior".

Si assistette ad una vera e propria speculazione sulla struttura musicale, che divenne alle volte il fine ultimo della
composizione: non di rado l'apparenza grafica della partitura aveva precise velleità artistiche arrivando così a
frequentissimi cambiamenti di ritmo tra le varie battute, uso di note colorate, ecc...

Ricordiamo di questo periodo, la grande importanza delle cappelle private di Giovanni di Berry e del duca Gastone III di
Foix.

Tesi n.10 – Il ‘400: l’età dei Fiamminghi

10.1 – Quadro storico e l’Umanesimo

Il XVI secolo, l'ultimo del Medioevo, si configurò, sotto molti punti di vista, come una naturale prosecuzione del secolo
precedente.

La cornice storica in Europa fu rappresentata dalla grave crisi della Chiesa, che a fatica riuscì, nel 1417, ad eleggere un
unico Papa universalmente riconosciuto, Martino V, che pose fine al dualismo tra Roma ed Avignone e chiuse
ufficialmente lo scisma d'occidente. Ufficialmente, s'è detto, perché effettivamente la realtà ecclesiastica era ben lungi
da quella potenza che era in grado di esercitare solo due secoli prima, ed anzi ormai i tempi erano quasi maturi per le
riforme religiose che troveranno sfogo nel '500.

Nella penisola italica controllo del Sacro Romano Impero era pressoché nullo, e le varie Signorie divennero sempre più
potenti ed indipendenti, aumentando la rivalità reciproca, che ormai non era solo più una questione meramente
militare. Anche nel campo artistico infatti, e musicale in particolare, la supremazia era quanto mai ambita.

Molte corti in vari casati nobiliari ambivano a questo primato ed assoldavano musicisti per far loro guidare e fiorire le
proprie cappelle private nella speranza di guadagnare il predominio artistico e culturale: ecco i Della Rovere ad Urbino,
i Medici a Firenze, gli Sforza a Milano, i Gonzaga a Mantova, gli Este a Ferrara.

Nella seconda metà del Quattrocento fu proprio Firenze a divenire il centro primario per l'arte della nostra penisola che,
durante gli anni in cui fu attivo Lorenzo il Magnifico, conobbe una straordinaria prosperità; egli riuscì anche ad
allontanare, seppure temporaneamente, lo spettro dell'invasione delle armate francesi.

Significativa fu inoltre la caduta dell'Impero Romano d'Oriente con la presa di Costantinopoli nel 1451, che generò un
esodo di massa dei pensatori e filosofi dell'area greco-bizantina e favorì pertanto il diffondersi di questa cultura nelle
altre aree del Mediterraneo, in primis l'Italia. Si iniziò quindi a conoscere ed apprezzare maggiormente il pensiero e le
opere dei grandi filosofi greci dell'antichità, da Aristotele a Platone (il fenomeno culturale che si sviluppò poi in Italia
venne appunto detto "Neoplatonismo").

A metà del secolo terminò la guerra tra Francia e Inghilterra, con alleata la Borgogna, denominata dei "Cent'anni"
(1337-1453): da questo momento in poi l'Inghilterra iniziò una politica di espansione coloniale (nel 1492 verrà scoperto
il continente americano) che la portò a disinteressarsi in una certa misura delle vicende continentali. Tra l'altro, poco
dopo, un'altra piaga la aspettava al varco : una sanguinosa guerra civile per la successione al trono, conosciuta come
la "guerra delle due rose", tra le casate rivali degli York e dei Lancaster.

La Spagna conobbe finalmente l'unità territoriale in alcune successive tappe, a cominciare dall'illustre matrimonio tra
Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona nel 1469 e a terminare con la cacciata degli arabi nel 1492.

Dal punto di vista artistico continuò, e per certi versi si concretizzò maggiormente, quella cultura che nel '300 aveva
posto le basi per una corrente indipendente dalla visione di sudditanza a Dio di stampo medievale.

La cosiddetta "secolarizzazione della cultura" era ora una realtà vera e propria, e non a caso, nelle arti figurative si
scoprì il sapiente uso della prospettiva (vedi Brunelleschi, Donatello, Masaccio) per rendere giustizia alle proporzioni e
quindi al giusto rapporto tra le cose, i soggetti, l'uomo e Dio. L'uomo era ora al centro dell'Universo, secondo la dottrina
che venne giustamente chiamata "Umanesimo".

Nella musica siamo nel pieno fiorire della polifonia, che vive ora la sua quarta e penultima fase, etichettata come "il
periodo fiammingo".

10.2 ­ La scuola inglese

La scuola inglese, che aveva conosciuto un proprio Trecento arsnovistico, si configurava ora come un ponte ideale che
collegava le esperienze italiane e francesi del secolo precedente, con la grande polifonia fiamminga del '400.

Questa scuola, pur non vantando grandi composotori di spicco, se si eccettua John Dunstable, ebbe il grande merito di
codificare alcuni parametri che divennero leggi incontrovertibili nella tecnica polifonica dei fiamminghi.
Dunstable, compositore e scienziato, ci ha lasciato vari pezzi di Messe (nessuna Messa intera pare sia stata prodotta
dalla scuola inglese), ed alcuni mottetti che sfruttavano diverse tecniche, dalla isoritmia allo schema affine alla ballata
italiana.

I caratteri principali dello stile inglese erano riconoscibili nei due generi allora più praticati: il "gymel" ed il "discanto
inglese", che sfruttavano varie tecniche di imitazione canonica (rota), ed esibivano un innovativo e generoso uso degli
intervalli di terza e di sesta (ora considerate consonanze imperfette, non più dissonanze).

Il numero delle voci nelle composizioni polifoniche si attestò a quattro secondo lo schema che prevedeva il superius, il
contra-tenor altus, il tenor, e il contra-tenor bassus: tale schema rimase alla base delle esperienze fiamminghe per
oltre un secolo e costituisce, in modo diretto o indiretto, la codificazione dell'interazione alla base del moderno
quartetto d'archi.

Altro merito della scuola inglese fu quello di aver avviato il genere della Messa Ciclica, ossia con tenor basato su un
"cantus firmus" gregoriano che si ripeteva in tutti i brani dell'ordinario.

Oltre alle composizioni di Dunstable ci sono pervenute, degni di nota, il frammento anonimo "Summer is icumen
hymn", il primo polifonico della scuola inglese, e il manoscritto codice “Old Hall” contenente pezzi in polifonia a 4-5
voci.

10.3 – La scuola fiamminga

La scuola fiamminga si concretizzò all'inizio del Quattrocento nei territori delle Fiandre e della Borgogna, grazie ad una
altissima concentrazione di grandi artisti che investirono soprattutto le arti figurative (Rubens, Rembrandt) e la musica.

In campo musicale, l'altissimo numero di abilissimi maestri di polifonia che venivano sfornati da questa scuola,
determinò una vera e propria "colonizzazione" artistica di tutto il continente: le maggiori cappelle musicali, sia
ecclesiastiche (papale compresa), sia private e nobiliari, furono letteralmente invase dai compositori di queste terre
fino alla metà del secolo successivo.

Per ben identificare la loro perizia tecnica fu ben speso l'appellativo di "visione architettonica e ludica" della materia
musicale che essi ebbero: la solidità della struttura contrappuntistica e la smisurata padronanza portarono questi
maestri a scrivere spesso veri e propri rebus musicali, come nel caso dei canoni enigmatici e mensurali. La loro abilità
conpositiva quindi era tale da costituire un vero e proprio divertimento.

La loro musica, esclusivamente a cappella (vocale) tranne rarissimi casi, si attestò sull'organico delle quattro voci
derivate dalla scuola polifonica inglese di inizio secolo (v. sopra).

Le forme principali praticate dai fiamminghi furono la Messa (ora sempre completa in tutti i brani dell'ordinario), i
mottetti (sia sacri che profani) e le chanson; con un sapiente uso della tecnica dell'imitazione canonica semplice,
mensurale, ed enigmatica, come già detto.

Le Messe erano tutte cicliche, secondo il modello inglese (chiamate anche "in tenor"), ma potevano anche sfruttare la
tecnica della "parafrasi": tenor basato su una melodia preesistente (che poteva anche non essere sacra) e le altre voci
che ne imitavano i movimenti. Altra tecnica polifonica molto diffusa fu quella della "parodia", che consisteva
nell'applicare un modello preesistente già polifonico (come ad esempio quello di una chanson).
Cinque furono le generazioni di fiamminghi che coprirono lo sviluppo temporale di questa grande scuola, durata per
oltre un secolo e mezzo: esse corrisposero ai nomi di Dufay, Ockeghem, Desprez, Willaert, Lasso.

10.4 – Guillaume Dufay e Johannes Ockeghem

Guillaume Dufay, borgognone, nato attorno al 1400, si trasferì giovane in Italia dove intraprese una brillante carriera
di compositore, che lo portò a peregrinare per varie corti illustri (Rimini, Roma, Ferrara, Torino, Urbino, Firenze) prima di
rientrare in patria fino alla morte, sopravvenuta nel 1474.

Tra le sue opere di maggior rilievo (alcune con saltuaria presenza strumentale) spicca la Messa “in tenor” ciclica a 4
voci intitolata “Se la faccia è pallida”, dove la melodia di una sua omonima chanson fungeva da base al tenor, mentre
le altre voci avevano melodie indipendenti e differenti; e la Messa “Gloria ad modum tubae”, in cui è chiara la
destinazione strumentale (tromba).

Tre sono invece le messe che sfruttavano la tecnica della parafrasi, nella Messa l'”Homme armé” il tenor è basato su
una canzone popolare francese del ‘300 molto orecchiabile mentre nelle Messe "Ecce ancilla Domini" (Ecco l’ancella del
Signore) e "Ave regina coelorum" (Ave regina dei cieli), il tenor è gregoriano.

Di ottima fattura anche i mottetti, taluni isoritmici, sia sacri che profani, come quello composto per celebrare
l’inaugurazione nel 1436 del Duomo di Firenze.

Infine citiamo una Messa da Requiem polifonico, andata perduta.

Johannes Ockeghem (1420-1496) fece carriera esclusivamente nelle corti francesi e della Borgogna. Rappresenta
forse il contrappuntista fiammingo più dotato tecnicamente e padrone assoluto dei mezzi tecnici. Compose infatti
musica con organici fino a 36 voci, ed alcune impegnative Messe come quella "delle prolazioni" (a 4 voci), che sfruttava
l'omonima teoria mensurale dell'Ars Nova francese, e quella denominata "Cuiusvis Toni" (su qualunque tono), nella
quale la eventuale mutazione delle varie chiavi di intonazione non pregiudicava la struttura.

Ricordiamo anche la prima Messa che segue la tecnica della Parodia (anche se incompleta), intitolata "“Fors
seulement”, a 5 voci, basata su tema di una chanson francese polifonica; e la Messa da Requiem, la prima
documentata (quella di Dufay come di diceva è andata perduta).

10.6 – La chanson

La chanson può considerarsi nel Quattrocento la convergenza di tutte le forme profane polifoniche italiane e francesi
(rondeaux, ballata, virelai).

Le prime esperienze fiamminghe di Dufay si avvalsero di un organico a tre voci e denotarono una certa prevalenza del
superius, mentre i testi erano spesso francesi, latini ed in italiano (la più famosa fu proprio basata sui versi di Petrarca
"Vergine Bella").

Successivamente, codificatosi l'organico a quattro voci, ecco le esperienze di Ockeghem, che trattò spesso temi
umoristici e anche ludici, tra cui spiccava ad esempio la chanson intitolata "Petite camusette" (ragazza col volto un po'
schiacciato).
Tra i compositori di chanson del Quattrocento ricordiamo inoltre anche Gilles Binchois e Antoine Busnois, entrambi
attivi nelle corti borgognone.

La forma della chanson avrà grande fortuna nel '500 perchè verra' considerata a pieno titolo la progenitrice strutturale
del genere del madrigale italiano.

10.7 – Situazione del ‘400 italiano: l’Umanesimo e la frottola

L'approccio alla polifonia dei compositori italiani, dopo le esperienze dell'Ars Nova e della sua appendice "Ars Subtilior"
fu alquanto fredda e distaccata, probabilmente perché l'intraprendenza e il grande livello dei contrappuntisti
fiamminghi era in una certa misura ingombrante.

La fine della polifonia arsnovistica in Italia fu sancita dalla figura di Johannes Ciconia, fiammingo, che operò a lungo alla
corte di Padova nel primo Quattrocento.

Secondo la dottrina umanistica e favorito anche dal neoplatonismo, si sviluppò in Italia il gusto per una polifonia molto
più semplice, diretta, che ben si sposò con le esigenze di trasparenza del testo, e quindi in aperto contrasto con gli
artifizi musicali dei fiamminghi.

Anche la trattatistica visse un momento di minuziosa analisi che portò al tentativo di superamento dei rigori medievali,
come l'esacordo guidoniano (ad opera del teorico Ramos de Pareja) e, in cascata, di molti suoi colleghi, da Tinctoris al
lodigiano Franchino Gaffurio.

Molti umanisti italiani amavano cantare in modo dilettantesco accompagnandosi con uno strumento (Poliziano,
Campanella, Leonardo da Vinci), e furono portatori del nuovo gusto musicale italiano basato su melodie più semplici ed
orecchiabili che lasciassero maggior rilievo le parole poetiche.

Vi erano inoltre cantori di professione, come Serafino Aquilano, molto apprezzati.

Essendo però tale musica monodica, non venne scritta, bensì improvvisata e tramandata oralmente : non abbiamo
quindi testimonianze dirette delle varie forme denominate "Siciliane" (poesie musicali in dialetto siciliano, improvvisate
su melodie preesistenti), Giustiniane (scritte dal veneziano Leonardo Giustinian), ecc...

Nell’ultimo decennio del secolo, si assistette però alla trascrizione in polifonia di questa musica monodica popolare
orale, favorendone la pubblicazione (nel 1501 nasce la stampa musicale) e quindi la diffusione: questo genere venne
denominato “Frottola”.

All'inizio la struttura della frottola fu a 3-4 voci su testi italiani molto semplici e popolareschi, quasi dialettali, la
polifonia molto semplice, spesso omoritmica (voci che procedono parallelamente dal punto di vista ritmico).

Il repertorio frottolistico fu molto apprezzato nelle corti italiane, specie da ceti nobiliari, come nel caso della corte di
Mantova, che grazie alla alta cultura ed intelligenza di Isabella d’Este, maritata al marchese (poi duca) di Mantova,
godette di un grosso impulso e fioritura.

Tra i maggiori esponenti che si cimentarono nel repertorio frottolistico, ricordiamo Marchetto Cara e Bartolomeo
Tromboncino.
Citiamo infine i Canti Carnascialeschi (canti del carnevale), in uso a Firenze all'epoca di Lorenzo il Magnifico; cacciati i
Medici da Firenze, fu Savonarola a trasformare tali canti (cambiandone le parole) in laude religiose.

10.8 ­ La terza generazione : Obrecht, Isaac, Desprez

La terza generazione di compositori fiamminghi che succedettero a quella di Ockeghem vide tre figure di
spicco: Obrecht, Isaac e Desprez.

Il primo, attivo nelle corti fiamminghe, fu anche a lungo in Italia, alla corte di Ercole I d'Este. Fu un abile compositore di
Messe, alcune di esse scritte con la tecnica della parodia (è il caso della Messa "Je ne demande"). La sua tecnica, pur di
stampo tipicamente fiamminga, che privilegiava il massimo rigore contrappuntistico, fu anche influenzata dallo stile
italiano, con la presenza di declamati melodici come è evidente nei suoi mottetti.

Heinrich Isaac, fiammingo, operò a lungo in Italia, soprattutto alla corte di Firenze, voluto fortemente da Lorenzo il
Magnifico. Fu un musicista molto prolifico, scrisse varie Messe polifoniche a 4-5 voci e molti mottetti, la cui più famosa
raccolta va sotto il nome di "Choralis Costantinum", che ne comprende una serie basati su episodi del Proprio della
Messa per tutto l'anno liturgico.

Josquin Desprez, fu anche egli a lungo attivo in Italia, specie alla corte privata degli Sforza a Milano (dove divenne
anche discantor del Duomo), a Roma nella cappella pontificia, a Firenze e a Ferrara, alla corte di Ercole I d'Este.

Proprio per il duca estense scrisse la Messa "Hercules, dux ferrariae", che sfruttava la tecnica del "soggetto cavato",
dove la sequenza melodica veniva ricavata dalle vocali del titolo (re-ut-re-ut-re-fa-re) e un Miserere a 5 voci. Sempre
sfruttando la tecnica del "soggetto cavato" figura nel suo repertorio la Messa "La-sol-fa-mi-re", basata sulla frase del
cardinale Ascanio "Lascia fare a me".

La sua grande abilità di polifonista, secondo il concetto propriamente fiammingo di "arte ludica" fu ben espresso nella
Messa "Di Dadi", basata su canoni proporzionali, il cui sviluppo fu indicato dalle facce dei dadi raffigurate a fianco della
partitura.

Due furono le Messe che sfruttarono la tecnica della parodia: "Super voces musicales" (sulle voci musicali) e "Sexti
toni".

Il genere nel quale Desprez si espresse con i massimi risultati espressivi fu quello del mottetto. Scrisse mottetti a 4-5-6
voci, il cui più famoso fu "Liber generationis", a 4 voci, basato sulla genealogia di Gesù col quale si apre il Vangelo di
S.Matteo; oltre a chanson da 3 a 6 voci.

La sua tecnica polifonica, sempre rigorosa, fu però infarcita di alcuni spunti nuovi: declamati melodici e inflessioni
caratteristiche per far risaltare con la massima trasparenza il testo, secondo quella tendenza italiana che il '400 italiano
aveva abbondantemente messo in luce.

10.9 ­ La teoria musicale nel '400

Nella prima parte del '400, sulle ali dell'Ars Subtilior, i teorici/trattatisti si concentrarono nel cercare di definire e
raffinare la teoria musicale dell'Ars Nova. Il trattato "Tractatus cantus mensurabilis ad modum Italicorum", di
Prosdocino de Beldemandis, cercò infatti di affermare la validità delle teorie arsnovistiche italiane, già affermate da
Marchetto da Padova nel suo "Pomerium", su quelle francesi, codificate nel trattato "Ars nova" da Philippe de Vitry,
benché queste seconde fossero nella pratica assai più diffuse.
Nella seconda parte del secolo invece, si poté assistere ad un desiderio di rinnovamento, basato anche sulla necessità
dettata dai progressi compiuti nel campo della polifonia. Il trattato "musica practica" dello spagnolo Bartolomeo Ramos
de Pareja affermò infatti l'inadeguatezza delle teorie sulla solmisazione e sugli esacordi di Guido d'Arezzo, proponendo
nel contempo l'adozione di una scala a 7 toni (eptafonica).

Queste affermazioni scatenarono reazioni contrastanti nei teorici del tempo, che pur schierandosi sulla via del
rinnovamento, si distinsero ognuno secondo la propra interpretazione e convinzione personale: i due maggiori teorici
del Quattrocento furono Franchino Gaffurio, autore tra gli altri del famoso trattato "pratica musice", e il fiammingo
Tinctoris.

Tinctoris, compositore contrappuntista fiammingo della scuola di Ockeghem, molto dotato, fu anche autore di una
dozzina di trattati teorici molto importanti, tra i quali val la pena citare il "Terminorum musicae Diffinitorium", il primo
dizionario dei termini musicali in assoluto, il "liber de arte contrapuncti" e il "liber de natura et proprietate tonorum".

La seconda parte del secolo fu contrassegnata inoltre dalla riscoperta dei testi classici, specie della cultura greca,
grazie anche all'esodo dei pensatori dell'area greco-bizantina a seguito della caduta di Costantinopoli sotto l'impero
turco-ottomano.

Alla corrente cosiddetta del neoplatonismo si associarono vari teorici, come ad esempio Gaffurio, che nei suoi trattati di
fine secolo mostrò chiaramente l'influenza derivata dalla lettura ed assimilazione di questi testi antichi.

Anche il mecenatismo incise sull'evoluzione e sulla proliferazione della trattatistica: molti signori e sovrani assoldarono
non più solo musicisti, ma anche teorici, nella speranza di guadagnare una posizione di riferimento in campo sia
musicale che teorico : non è raro il caso in cui questi trattatisti venissero espressamente sollecitati a scrivere volumi su
commissione in tal senso.

10.10 ­ La musica strumentale nel '400

La documentazione che ci è pervenuta riguardo le abitudini di esecuzione strumentale del '400 è alquanto scarna. Fino
alla fine del secolo permase infatti la prassi di scrivere solamente la musica polifonica vocale. Possiamo comunque
dedurre, leggendo tra le righe, alcune considerazioni.

Primo, non esisteva praticamente più la distinzione medievale tra musicus e cantor : ormai chi si occupava di musica a
livello teorico era anche in grado di comporre, spesso cantare e magari anche suonare uno strumento. Secondo,
osservando alcune composizioni polifoniche, scritte in apparenza per le parti vocali, possiamo notare che non sempre
erano presenti i respiri necessari per il cantante, e alle volte l'estensione dei registri superava altresì le possibilità della
voce umana : ciò lascia intendere che alcune voci potessero essere strumentali, almeno come raddoppi.

La documentazione iconografica, specie in ambito sacro, anche se tendeva a raffigurare spesso organici strumentali
piuttosto improbabili, ci testimonia che tali strumenti, in ogni caso, erano comunque ben presenti nella pratica
musicale del tempo.

Si sa, ad esempio, che nelle manifestazioni pubbliche si faceva largo uso di organici strumentali per rinforzare il canto
della voce umana, specie con trombe di vario genere.

In alcune città, come a Bologna e Firenze si tenevano dei veri e propri concerti con complessi strumentali assoldati dal
Comune (rispettivamente i "Concerti Palatini" e i "Concerti della Signoria").
Gli unici documenti scritti di musica prettamente strumentale del '400 rimasti si suddividono sostanzialmente in due
categorie: quelli per strumenti a tastiera e non.

Nel primo caso si annoverano numerosi trattati comprendenti varie tecniche di intavolature. La maggioranza di essi
seguivano l'esempio del trecentesco "frammento Robertsbridge", ossia con la mano destra notata e con la sinistra che,
muovendosi a valori molto più lunghi, era indicata con le lettere dell'alfabeto corrispondenti alle varie note, secondo il
noto abbinamento lettere-note di derivazione medievale (e più remotamente parlando, greco).

Fece eccezione il codice di Faenza, un manoscritto di un centinaio di pagine, redatto da un anonimo nel primo
ventennio del secolo e poi completato verso la fine del '400 da un certo Bonadies (il vero nome era Godendach),
contenente un repertorio di chanson, mottetti e musica polifonica di vario genere, apparentemente anonima ma spesso
ascrivibile a determinati autori anche noti grazie ad alcuni incipit poetici vicino ai brani, come Landini, Machaut, Jacopo
da Bologna.

Altri metodi di intavolatura, di derivazione tedesca, furono l'"Ileborgh", il "Buxheimer Orgelbuch", contenente anche
pezzi di Dufay, Desprez, Dunstable ed altri fiamminghi, e il "Paumann".

Nel filone della musica non tastieristica, i codici pervenutici sono costituiti da trattati sulle varie forme di danza
(saltarello, passacaglia, piva, gagliarda, pavana, passepied, ...), divise complessivamente in alte e basse a seconda del
tipo di movimento delle gambe.

Per quanto riguarda la diffusa pratica strumentale di cui furono maestri Landini nel'300 ed Isaac nel '400, nulla ci è
rimasto, in quanto il supporto della stampa musicale era ancora inesistente e tali esecuzioni avevano per lo più il
carattere di improvvisazione.

Tesi n.11 ­ La polifonia del '500

11.1 ­ Quadro storico

Dal matrimonio di Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona nel 1469 nacque Giovanna la Pazza, che sposa in
seguito di Filippo I d'Asburgo, figlio a sua volta di Massimiliano I imperatore d'Austria e di Maria di Borgogna,
discendente dei duchi borgognoni. Dal matrimonio tra Filippo e Giovanna nacque il sovrano che riunirà sotto di sé un
potente ed esteso regno comprendente la Spagna e le colonie americane: Carlo I.

Dopo la morte del nonno Massimiliano I, Carlo I ereditò anche la Germania e la Borgogna, ed il suo nome dinastico
divenne Carlo V (in Germania vi erano già stati altri sovrani con il nome Carlo).

Al grande Impero di Carlo V si contrappose il desiderio di rivalsa della Francia, governata da Francesco I prima e da
Enrico II poi, circondata dal nemico, che però venne sconfitta per ben due volte e fu costretta a rinunciare alla
dominazione sull'Italia e ai territori della Borgogna con il trattato di Cateau-Cambrésis (1559), accordandosi con il
successore di Carlo V (che aveva abdicato nel 1556), il figlio Filippo II di Spagna.

Questo trattato sancì la dominazione spagnola in Italia.

Il '500 fu il secolo che vide fiorire, dopo l'Umanesimo quattrocentesco, il Rinascimento, che pure fu fenomeno molto
eterogeneo e geograficamente non simultaneo.
Rinascimento significa, per l'appunto, rinascita. L'uomo, che era diventato sempre più importante nella coscienza dei
propri mezzi già dal '300, raggiunge ora una posizione di ottimismo i cui riflessi nelle arti, soprattutto nella pittura e
nella letteratura, non tardarono a farsi avvertire. E' infatti in questi filoni che avvennero i mutamenti e le evoluzioni più
significative, specie in Italia, complice anche il controverso rinnovamento della lingua e il rinvigorito interesse per i testi
antichi, greci in particolare.

Sempre in letteratura, importantissima è la nascita del genere del poema cavalleresco, con i grandi contributi di Ariosto
prima e di Tasso poi.

Il filone musicale vide alcuni interessanti novità, ma non ci fu, fatta eccezione per la forma del madrigale, una
rivoluzione su vasta scala al pari delle altre arti. Tale annunciata rivoluzione si ebbe solo sul finire del secolo, con il
fenomeno del "manierismo", e poi in maniera ancora più evidente nel secolo successivo, che vide il fiorire, nel periodo
cosiddetto "barocco", di tantissime nuove forme ed esperienze innovative.

Il '500 fu però il secolo che vide un deciso fiorire del genere strumentale, che proprio in questo periodo pose le basi per
quelle scuole di grande tradizione che fecero grande fortuna nei secoli successivi, come ad esempio Venezia.

Si assistette, sempre in campo musicale, alla progressiva compenetrazione delle due figure, di retaggio medievale, del
"musicus" e "cantor": oramai non esisteva più il teorico che conservatore di una visione esclusivamente speculativa
della materia musicale senza saper parimenti comporre, cantare e, come detto sopra, magari anche accompagnarsi nel
canto con uno strumento.

11.2 ­ La stampa

Una conquista tecnico-scientifica estremamente significativa del secolo precedente era stata l'invenzione della stampa
a caratteri mobili, ad opera dello stampatore di Magonza J.Gutenberg (1456), culminata con la pubblicazione della
Bibbia.

Nel campo musicale, le prime esperienze significative in tal senso si attuarono già verso la fine del '400, ma il primo
vero e proprio contributo decisivo venne nel 1501 da parte di Ottaviano Petrucci, fossombronese di nascita e
veneziano d'adozione. Egli stampò, a partire da quell'anno, una serie di pubblicazioni di musica molto eterogenea come
messe, mottetti, frottole, chanson, usando la rivoluzionaria tecnica della triplice impressione: dapprima veniva
impressionato il rigo musicale, poi le note, quindi il testo. La vera novità risiedeva nella possibilità di risolvere tutti i
problemi legati alla notazione mensurale che aveva impegnato coloro i quali lo avevano preceduto. Esistevano infatti
caratteri mobili per ogni singolo valore mensurale svicolati dall'altezza delle note, cosa che permetteva una notevole
riduzione dei costi ed una maggiore efficienza nel processo di stampa.

Le edizioni di Petrucci rimasero come modello di riferimento in termini di qualità, chiarezza, e soprattutto equilibrio
dell'impaginazione e dell'ornamentazione grafica; livello che non fu raggiunto dal francese Attaignant, che dal 1513
propose il suo metodo, più economico, dell'impressione unica mediante caratteri mobili contenenti già le figurazioni e il
rigo.

Grazie all'invenzione della stampa musicale, fiorirono via via vari editori e si iniziò a stampare un'enorme quantità di
opere, cadendo non di rado nell'indiscriminato atto della pirateria musicale. Le edizioni a stampa erano molto ricercate,
sebbene costassero circa il doppio di un libro di testo di analogo volume, specie dai ceti più abbienti. Iniziarono ad
essere pubblicati anche particolari indici per compositori e tematici per facilitare la catalogazione e la vendita delle
opere commercializzate.
La stampa ebbe anche un ruolo nello sviluppo del genere strumentale. Se nel secolo precedente si assistette alla
nascita dei primi trattati per viola, flauto ed organo, ora anche la trattatistica non dedicatamente strumentale subì una
vera e propria esplosione che spinse lo sviluppo della teoria musicale a livelli sempre più alti.

11.3 ­ La musica a teatro

Sulle ali del rinnovato gusto degli antichi classici, si inscenarono, nel '500, Tragedie sullo stile di Seneca e Commedie
sullo stile di Plauto e Terenzio: tali commedie erano però intervallate dalla forma musicale dell'"intermedio".

Gli intermedi, piccole sequenze musicali che intrattenevano il pubblico durante il cambio di apparato scenico tra un
atto e l'altro, potevano essere "inapparenti", se i cantanti o gli strumentisti erano celati dal sipario, o "apparenti", se
viceversa erano visibili al pubblico.

Questi intermedi, molto apprezzati dal pubblico (a volte anche più della tragedia stessa), potevano avere o meno (nella
maggior parte dei casi) attinenza con ciò che veniva rappresentato, e alle volte erano addirittura slegati tra di loro
all'interno della stessa rappresentazione teatrale.

I maggiori centri di produzione e di diffusione degli intermedi furono Ferrara, ad opera del compositore Alfonso della
Viola, e soprattutto Firenze, dove si ricordava l'episodio del sontuoso matrimonio illustre tra Cosimo De' Medici e
Eleonora di Toledo (1539), durante il quale, assieme ai banchetti e festeggiamenti venne rappresentata la commedia "Il
commodo" con intermedi musicati da Francesco Corteccia.

A Vicenza infine, nel 1585 venne inaugurato il nuovo Teatro Olimpico, progettato da Palladio e terminato un anno dopo
la sua morte: per tale occasione venne inscenata la tragedia di Sofocle "Edipo Tiranno", con la messa in musica dei cori
affidata al nascente astro della scuola veneziana : Andrea Gabrieli. Per questo progetto egli scelse di avvalersi di una
polifonia molto semplice (omoritmia), alternando frammenti da 1 a 6 voci per facilitare la massima comprensione del
testo poetico.

11.4 ­ La musica popolare

La musica popolare, sui successi delle forme quattrocentesche delle frottole, dei canti carnascialeschi, delle laude
polifoniche, degli strambotti, arrivò ora ad elaborare nuove forme basate sulla poesia e sulle melodie popolari, che
privilegiassero la grande semplicità e la trasparenza del testo, grazie ad una scrittura quasi sempre sillabica, senza
abbellimenti ed esasperati melismi.

Tale musica, come già le frottole, risultava essere musica non scritta.

A Napoli, nel 1537, venne stampata la prima raccolta di "Canzoni villanssche alla napolitana". Tali canzoni, chiamate
indifferentemente anche "villanelle", o "villotte", o "napolitane", erano musiche vocali a 3 o 4 voci con un semplice
andamento omoritmico di fattura anonima su testi (pure anonimi) popolari, alle volte anche di derivazione dialettale.

Altra testimonianza del genere fu la raccolta pubblicata da Filippo Azzaiolo a Bologna intitolata "Le villotte del fiore".

Altre composizioni similari erano le "giromette", o "girolmette", le "franceschine", le "mascherate" ispirate al carnevale
di Venezia, e le "greghesche", che testimoniano la polietnicità e la varietà di lingue che transitavano per la città
marinara veneta.
Giangiacomo Gastoldi fu invece il maggior rappresentante della similare forma del "balletto", che arrivò ad una
struttura fino a 5 voci.

Ecco così nascere le "Canzoni Napolitane alla villanesca".

11.5 ­ Il madrigale

La forma tipicamente italiana del Madrigale vide fiorire e tramontare la sua fortuna nel giro di poco meno di cent'anni:
dal 1530 al 1620.

L'origine del Madrigale risiedeva da una parte nell'arte contrappuntistica, severa, rigorosa e tecnicamente complessa
dei fiamminghi e dall'altra nella la poesia e la letteratura italiana, che da Petrarca e Boccaccio fino ad Ariosto e Tasso si
era eretta a punto di riferimento nel panorama europeo.

Nel 1527 il trattato "Il cortegiano" di Baldassarre Castiglione citò esplicitamente la delizia del suonare accompagnato
da uno strumento (alla viola), del cantare in polifonia, e idealmente testimoniò come nelle corti il fenomeno musicale,
specie polifonico, fosse estremamente radicato.

Fu invece il cardinale Pietro Bembo, uomo di alta cultura e letterato, con il trattato "Prose della volgar lingua" a porre la
lingua fiorentina, ed in particolare quella colta di Petrarca (per la poetica) e di Boccaccio (per la prosa) all'apice della
nobiltà linguistica a livello della nostra penisola dando il via alla corrente del cosiddetto "Petrarchismo".

I madrigali venivano composti su testi di alta poetica di Petrarca, o dei suoi successori (petrarchisti), oltrechè dei
nascenti astri della letteratura italiana: Ariosto nella prima metà del '500 e Tasso nella seconda, oltre a Guarini e
Marino. In alcuni casi le poesie composte erano addirittura nominate espressamente "Madrigali", fatto che evidenziava
chiaramente la chiara pre-destinazione musicale.

La struttura della forma era sostanzialmente libera da schematismi (niente piedi, volte, riprese, e ed elementi di
similitudine con le architetture tipiche delle frottole e delle chanson del Quattrocento), ma la perizia polifonica era
alquanto elevata: dall'originaria struttura a 4 voci si arrivò a 5 e successivamente a 6. Le voci erano idealmente vocali
ma ciò non impediva, saltuariamente, che alcuni rinforzi (raddoppi) strumentali venissero utilizzati.

In alcuni casi la perizia contrappuntistica spinse i madrigalisti ad eccessi non dissimili dall'Ars Subtilior trecentesca: vi
fu sovente una relazione tra l'immagine poetica e quella grafica della partitura.

Il genere madrigalesco venne molto apprezzato negli ambienti di corte : proprio questi furono i veri e propri centri
nevralgici in cui l genere si affermò. Esso veniva infatti considerato un puro intrattenimento per chi vi si cimentava,
anche spesso per il solo piacere personale senza la presenza del pubblico.

Le partiture delle varie voci venivano stampate separatamente l'una dall'altra.

Possiamo convenzionalmente suddividere idealmente in tre periodi la breve, seppur ricca, storia dell'evoluzione del
Madrigale.

Nel primo periodo (1530-1550), che costituì la radice del genere, troviamo i due fiamminghi J.Arcadelt (autore del
famoso "Il bianco e dolce cigno") e P.Verdelot, che vissero entrambi a Firenze. Con Adriano Willaert, anch'egli
fiammingo, si ebbe il passaggio al secondo periodo, che durò fino al 1580 circa. Di questa seconda fase fecero parte la
scuola di Palestrina a Roma, Andrea Gabrieli a Venezia, Orlando di Lasso (fiammingo dell'ultima generazione) e Cipriano
de Rore, che avviò il genere del Madrigale cromatico.

Nell'ultimo periodo, dal 1580 al 1620, fecero infine parte Marenzio, Gesualdo, e Monteverdi.

Luca Marenzio (Brescia 1553 - Roma 1599), di famiglia non certo nobile ed agiata, ricordiamo la produzione di
villanelle, una Messa composta con lo stile della parodia e 18 libri (per un totale di 358 composizioni) di madrigali. Egli
fu un compositore molto apprezzato ed ebbe modo di evolvere la sua tecnica madrigalistica da una semplice e
melodiosa dei primi decenni, ad una di carattere più grave e drammatico degli anni maturi.

Carlo Gesualdo (Napoli 1560 - 1613), abile compositore e liutista, vantava invece nobili origini (principe di Venosa),
cosa che permise lui di vivere agiatamente coltivando nel contempo le proprie passioni ed assecondando le sue
inclinazioni artistiche.

Egli coltivò così esclusivamente due generi musicali: quello sacro, con una produzione di poca importanza, e
soprattutto quello madrigalesco (5 libri di madrigali a 5 voci). I suoi madrigali furono, contrariamente a quelli di
Marenzio, estremamente cupi, gravi e ricchi di tensioni e riflettevano perfettamente la sua personalità introversa,
contraddittoria e irrequieta (assassinò anche la moglie, scoperta con l'amante).

Ciò è evidente nella dilatazione delle estensioni dei registri delle varie voci, spesso con sviluppi ai limiti della voce
umana, nelle soventi dissonanze piuttosto dure e nella brevità e chiarezza delle melodie.

11.6 ­ La riforma e la controriforma

Nel 1517 Martin Lutero, monaco agostiniano, affisse alla porta del duomo di Wittenberg 95 tesi in latino per
sottoporre all'attenzione di tutti la sua posizione critica nei confronti degli eccessi della Chiesa di Roma, su tutti la
pratica delle indulgenze con i cui proventi veniva finanziata la costruzione della Basilica di S.Pietro.

Partì così la grande riforma protestante luterana che si pose in contrapposizione alla dottrina predicata dalla Chiesa di
Roma.

Considerando che la musica era in strettissimo legame con le funzioni liturgiche, fu subito chiaro che una riforma
religiosa sarebbe dovuta passare per una analoga opera di rinnovamento musicale: Lutero, che pure era compositore,
si avvalse per questo motivo della collaborazione dell'amico musicista Johann Walther. La riforma musicale fu mirata ad
ottenere una maggior partecipazione dell'assemblea alle funzioni religiose, visto che gli artifici contrappuntistici e la
complessità delle musiche polifoniche di scuola fiamminga avevano fino a quel momento precluso ai fedeli la possibilità
di poter intervenire con il canto.

Vennero quindi rinnegati gli artifici virtuosistici e venne inoltre scritta la "Deutsche Messe", in tedesco. Si tratta del
primo trapasso dalla lingua del latino ad una cosiddetta volgare nelle ufficiazioni religiose.

Anche il virtuosismo canoro venne eliminato a favore di una polifonia semplice, accordale, omoritmica, basata su
melodie gregoriane ben conosciute e talvolta su melodie popolari.

La forma musicale che ne devirò venne chiamata "Corale", ed ebbe in seguito un enorme successo fino a Bach ed oltre.
Parallelamente altri movimenti religiosi in aperto contrasto con la Chiesa romana sorsero in Europa: i seguaci di
Giovanni Calvino, in Svizzera (basati su posizioni ancora più radiali di quelle di Lutero) fondarono il filone dei protestanti
calvinisti che ebbe poi molta pregnanza nel territorio francese (a questo filone appartengono gli Ugonotti).

In Inghilterra l'"atto di supremazia" approvato dal parlamento per ordine di Enrico VIII sancì il distaccamento dottrinale
e teologico dall'influenza della Chiesa Romana.

Questi fermenti reazionari scatenarono la risposta della Chiesa romana, che si tradusse nelle lunghissime sessioni del
Concilio di Trento, durato, con numerose pause e periodi di stasi, dal 1545 al 1563.

Il Concilio, che ebbe in Pio V uno dei suoi maggiori papi promotori, cercò così di porre un freno a questi pericolosi
movimenti separatisti e tentò di ripristinare il rigore e di riaffermare la validità e la inconfutabilità della dottrina di
Roma.

La controriforma cattolica, passando per il Concilio di Trento, investì naturalmente anche l'arte musicale, che da molti
secoli era saldamente legata alle ufficiazioni liturgiche : nel caso specifico si optò per un ritorno alla semplice monodia
gregoriana, privata della polifonia, dei tropi e delle sequenze ad eccezione di 4 (una quinta, lo "Stabat Mater", fu
riammessa nel XVIII secolo).

Venne pubblicata l'"Edizione Vaticana", del Canto Gregoriano, una sorta di testo di riferimento delle nuove tendenze
musicali in ambito liturgico, la cui redazione fu affidata al valente compositore polifonista romano Pierluigi da
Palestrina, che effettuò una curiosa rilettura del Canto Gregoriano in chiave mensurale, alquanto ibrida e
assolutamente anti-filologica.

Gli sviluppi delle nuove leggi musicali della Controriforma videro nascere il filone dei compositori che si attennero alle
nuove disposizioni in modo estremamente rigoroso (come U.Ruffo), e il filone meno rigido di coloro i quali seguirono
maggiormente le proprie inclinazioni personali piuttosto che le imposizioni romane: vi appartengono lo stesso
curiosamente lo stesso Palestrina e l'ultimo grande fiammingo (che pure viveva in una Monaco molto sensibile alla
riforma luterana) Orlando di Lasso.

11.7 ­ La lauda polifonica e il madrigale spirituale

Durante il '500, specie grazie all'impulso dell'ondata di rinnovata fede innestata dal Concilio di Trento, nacquero i luoghi
di culto, ritrovamento e incontro religiosi denominati "oratori", il cui maggior promotore venne riconosciuto in Filippo
Neri (poi divenuto Santo). In questi luoghi, dove si leggevano testi sacri, si pregava e si pronunciavano sermoni, si
sviluppò il genere della lauda polifonica, a 3-4 voci, che nel testo fruiva naturalmente argomenti legati alla catechesi.
L'andamento della lauda era estremamente semplice, per poter essere intonata da tutti.

Il maggior compositore di questo genere fu un tal Ancina, già vescovo di Saluzzo, che elaborò alcune semplici
composizioni profane come le "villanelle" e le raccolse in un vari libri, tra cui spicca "Il tempio armonico". Spesso infatti,
a fianco della partitura di queste laude, compariva la dicitura c.c. (cantasi come) seguita dal titolo della composizione
profana originale, segno che tale prassi era alquanto diffusa.

Il genere del madrigale spirituale, di contenuti similari a quelli della lauda, era invece figlio di una poesia molto più
nobile e raffinata e del già conosciuto e musicalmente complesso madrigale profano: in questa nuova veste
catechistica ebbe un importante ruolo di promozione della dottrina sacra tra i ceti più abbienti che già si dedicavano
per proprio diletto al canto dei madrigali non religiosi. Tra gli autori specifici si annoverano anche Marenzio e
Monteverdi.
11.8 ­ La scuola Veneziana

Mentre all'estero si stavano affermando grandi scuole musicali (spagnola, francese, fiamminga, austriaca), in Italia
erano sostanzialmente due i principali centri musicali del '500: Venezia e Roma.

La scuola veneziana nacque sulla base dei pluri-generazionali insegnamenti dei compositori fiamminghi, sempre
ancora molto richiesti durante tutto il '500. A Venezia, oltre al duomo S.Marco con la sua corposa cappella musicale e
l'ambitissimo posto di maestro di cappella, vi erano due figure di organisti e più tardi venne istituita anche il ruolo di
vice maestro di cappella. Esistevano inoltre molte altre Chiese che offrivano svariate possibilità di lavoro agli emergenti
compositori d'oltralpe.

Dalla scuola veneziana di S.Marco, dove il fiammingo Adriano Willaert fu a lungo maestro di cappella, uscirono vari
generi di musica sacra: dalle Messe ai mottetti, dagli inni ai magnificat, ecc...

Due furono i caratteri distintivi della scuola veneziana:

- Bicoralità, come testimoniato dalla pubblicazione nel 1550, ad opera di Willaert, di una raccolta di salmi per i vespri
con suddivisione del coro in 2 sezioni, ciascuna contenente le canoniche 4 voci (8 voci in tutto, quindi).

- Strumentalità, come testimoniato dalla pubblicazione nel 1540 del libro "musica nova accomodata per cantare e
suonare".

Val la pena ricorare che, sull'esempio di S.Marco, anche la basilica di S.Petronio a Bologna si dotò, verso la fine del '500
di un secondo organo.

Un contributo determinante alla fioritura della scuola veneziana fu dato, oltreché dai fiamminghi, anche da Andrea
Gabrieli (1510-1586), che ricoprì la carica di secondo organista in S.Marco e scrisse varia musica sacra tra cui mottetti,
Messe, e qualche madrigale.

Ad Andrea successe il nipote Giovanni Gabrieli (1553-1612) che nel 1587 pubblicò il libro "Concerti di Andrea e
Giovanni Gabrieli", contenente una raccolta di composizioni sue e dello zio.

Giovanni divenne, a circa trent'anni, primo organista, scrisse una grande quantità di mottetti pubblicati in raccolte
intitolate "Sacre sinfonie": si trattava di composizioni da 8 a 16 voci che includevano anche parti strumentali, come
ormai da tradizione della scuola veneziana.

La scuola veneziana era molto apprezzata anche all'estero, alcuni compositori stranieri vennero ripetutamente in Italia
o richiesero espressamente di poter collaborare con alcuni valenti colleghi della scuola veneziana: il tedesco H.Schutz è
un tipico esempio.

11.9 ­ La scuola Romana

Leggermente successiva per nascita a quella veneziana, si sviluppò nella seconda parte del '500 la scuola romana,
specialmente grazie all'impulso della controriforma cattolica attuata dal Concilio di Trento.

La scuola romana ebbe in Giovanni Pierluigi da Palestrina il suo massimo rappresentante.


Dopo gli studi, Palestrina divenne ben presto maestro di cappella nel duomo della piccola cittadina natale e non appena
l'arcivescovo del paese divenne Papa, ebbe modo di trasferirsi a Roma al suo seguito come cantore nella cappella
Giulia (fondata in precedenza dal pontefice Giulio II).

Poco dopo, sempre come cantore, Palestrina si spostò alla cappella Sistina (fondata dal pontefice Sisto), ma fu espulso
abbastanza rapidamente perché secondo la regola del pontefice Marcello, non si potevano assoldare cantori già sposati
nelle cappelle pontificie. Dopo alcuni anni in cui ricoprì incarichi minori in altre cappelle musicali, divenne finalmente
maestro di cappella nella cappella Giulia.

Man mano che la sua fama crebbe, aumentarono anche le possibilità di lavoro e le commissioni: venne richiesto dal
duca di Mantova, per il quale scrisse le "Messe mantovane" e dall'imperatore d'Austria.

Morì nel 1594 e i solenni funerali testimoniarono la sua grande fama acquisita, che perdurò a lungo anche nel secolo
successivo: molte delle sue opere continuarono infatti ad essere ristampate con grande successo.

La produzione di Palestrina, completamente priva di destinazioni e comparse strumentali, è incentrata su vari


madrigali, anche spirituali, inni e mottetti, ma soprattutto Messe: delle 104 Messe, la metà (52) sfrutta la tecnica della
parodia, 34 sono parafrasi, 8 in tenor. Il numero delle voci varia da 4 ad 8 e la tecnica polifonica è, pur risentendo del
grande influsso e rigore fiammingo, infarcita di un ottimo melodismo tipicamente italiano e di un gusto armonico
estremamente dolce del tutto estraneo alla scuola d'oltralpe.

Palestrina rimase una pietra miliare nella storia della composizione contrappuntistica italiana, tanto che alcuni musicisti
ed insegnanti (ad es. Padre G.B.Martini) in secoli successivi presero ancora lui a modello nell'ambito della musica
polifonica sacra.

11.10 ­ Le altre scuole europee

Sempre attivi nel periodo della controriforma cattolica furono altri compositori, da Morales a Guerrero, a De Victoria,
che ne seguirono rigorosamente i canoni.

De Victoria, di gran lunga il maggiore tra questi, visse molto tempo a Roma dove ebbe modo di conoscere l'opera
palestriniana; la sua produzione di Messe si compone di 20 opere, di cui ben 19 scritte secondo la tecnica della parodia
su composizioni sacre, mentre soltanto una, intitolata "La Messa della vittoria" per celebrare la vittoria sui turchi a
Lepanto nel 1571, riprendeva il modello profano della chanson di C.Janequin "La guerre". Lo stile di Victoria era
alquanto melodico, tendenzialmente privo di slanci virtuosistici e brillanti.

La scuola fiamminga vide invece tramontare la sua gloriosa egemonia artistica europea con la figura di Orlando di
Lasso. Nato nel 1532, ebbe modo di viaggiare molto durante la sua vita, conoscendo così vari stili musicali ed
imparando tra l'altro numerose lingue, prima di stabilirsi definitivamente a Monaco, in Germania, fino alla morte
sopravvenuta nel 1594.

La sua produzione è alquanto variegata e comprende, oltre ai madrigali già menzionati precedentemente, le 74 Messe
di stampo decisamente anti-palestriniano: la calma pacifica e melodiosa del compositore romano lasciò qui il posto ad
ardite soluzioni armoniche con largo uso di dissonanze e a ritmi spesso agitati. Fu subito chiaro che la sua relativa
lontananza da Roma e dalle ferree direttive della controriforma gli permisero di operare seguendo una tecnica
decisamente più libera.
Il catalogo delle sue opere include inoltre numerosi mottetti di destinazione sia sacra che profana, tra cui si ricorda
quello per celebrare l'incoronazione di Carlo V, avvenuta nel 1530 a Bologna, e quello su versi di Virgilio "Dulces
exuviae".

La scuola polifonica inglese risentì delle turbolente evoluzioni religiose, in aperto contrasto con la Chiesa Romana a
seguito dello scisma esploso con l'"atto di supremazia" del 1534, con il quale il sovrano Enrico VIII dichiarò la sua
autonomia ed indipendenza dottrinale dal Papa.

Anche a seguito della guerra dei cent'anni e successivamente delle due rose l'Inghilterra sviluppò un certo disinteresse
per le vicende continentali e ciò determinò una certa autonomia anche in campo artistico: ecco così spiegata la nascita
di generi come l'"Anthem" che era in realtà una versione inglese del mottetto, ed il "Service" termine con il quale si
indicò la messa anglicana, ovviamente differente per struttura da quella di stampo romano.

Il maggior rappresentante di questo momento musicale inglese fu William Byrd: già organista e poi compositore al
servizio della cappella reale, la sua produzione raggiunse i massimi livelli con le tre Messe in latino, i due volumi di
"Cantiones Sacrae" e i "Gradualia", che coprono tutto l'anno liturgico. Egli eccelse anche nella produzione
dichiaratamente strumentale, specialmente per gli strumenti della viola e del virginale, un tipo di tastiera molto difuso
negli ambienti d'oltre Manica.

11.11 ­ Il liuto

Lo strumento di origine arabo-orientale "liuto" raggiunse durante il Cinquecento la sua conformazione tradizionale che
oggi conosciamo, dopo una lunga gestazione: le prime testimonianze della presenza di questo strumento risalgono
addirittura agli anni a cavallo del 1000 in alcune regioni della Spagna. Testimonianze più tardive vengono fatte risalire
al XIV secolo in alcune opere del Petrarca, ma si considera storicamente il periodo fino al XVI secolo come la
"preistoria" dell'evoluzione di questo strumento, mancando questi secoli di qualsiasi tipo di notazione scritta specifica.

Il liuto, ritenuto uno strumento dalle enormi possibilità espressive, a volte considerate anche eccessivamente
penetranti e sensuali, compì nel '500 rapidi progressi tecnici sia nella costruzione e che nell'uso, sviluppando
ulteriormente le proprie capacità: la sostituzione del plettro a favore delle dita per pizzicare le corde è un chiaro
esempio in tal senso.

Naturalmente con l'invenzione della stampa musicale fanno la loro comparsa i primi trattati e le prime partiture anche
per Liuto: lo stampatore veneziano Ottaviano Petrucci già nel 1507-1508 produsse le prime pubblicazioni specifiche.

Nel 1511 venne pubblicato sempre da Petrucci un libro intitolato "Tenori e contrabbassi intavolati con soprano in canto
figurato" di Francesco Bossinensis (un bosniaco) per voce solista e liuto, una raccolta di composizioni basate su frottole
a quattro voci con intavolatura strumentale delle voci basse, eliminazione della voce del contralto e superius cantato
dalla voce umana.

Altri importanti documenti nella storia della trattatistica per liuto furono i libri pubblicati da Spinacino e Dalza nonché
quello pubblicato nel 1536 da Francesco da Milano, detto "il divino" per la sua grande abilità strumentale, tutti
contenenti una serie di ricercari e fantasie.

La notazione scritta per liuto assunse il nome di "intavolatura", in quanto tipicamente non riproduceva il tradizionale
rigo musicale con il posizionamento delle varie figure musicali in esso, bensì le varie corde dello strumento sulle quali
le figure assumevano direttamente il significato del punto in cui le corde stesse dovevano essere bloccate dalle dita per
ottenere i suoni.
Una tecnica insomma molto più strumentale e pratica rispetto al più teorico sistema di notazione utilizzato
comunemente.

La tecnica costruttiva e di accordatura più diffusa sul liuto durante il '500 prevedeva undici corde suddivise in cinque
coppie di due corde che suonavano a distanza di un'ottava tra loro ed una singola, per un totale di sei gruppi
denominati "cori". L'intonazione dei sei cori era nell'ordine crescente sol, do, fa, la, re, sol.

11.12 ­ Strumenti a tastiera

Le tastiere, intese complessivamente tra clavicordi, cembali, virginali ed organi, costituirono il fenomeno strumentale
più importante nel XVI secolo, seppure singolarmente nessuno di questi raggiunse, forse, il liuto.

Il virginale, sviluppatosi prevalentemente in Inghilterra con il compositore Byrd, ebbe il suo nome grazie all'importante
ruolo di formazione cortigiana tra le dame delle famiglie benestanti, ed era costituito da una tastiera con estensione di
circa quattro ottave e da una cassa armonica perpendicolare ad essa contenente le corde, che venivano pizzicate
mediante un meccanismo collegato ai tasti.

L'impiego dell'organo era invece per lo più liturgico. Vista la grande complessità realizzativa, si cercò durante il
Cinquecento di limitare i costi sopprimendo i meccanismi e le canne delle note meno utilizzate, generando la tecnica
costruttiva delle cosiddette "ottave corte" e delle "ottave scavezze".

E' interessante notare che la destinazione strumentale di alcune composizioni cinquecentesche, a differenza di quanto
avvenne già nel periodo barocco, non era assolutamente rigorosa: ne fu testimone ad esempio la raccolta di canzoni
pubblicate da Claudio Merulo, compositore, editore ed organaro, che vide la luce in due versioni, per organo e per
quattro strumenti.

In alcuni casi vi era invece aperto contrasto dialettico tra i vari compositori-strumentisti: eloquente fu la pubblicazione
del libro contenente "Frottole intavolate per sonar organi" a cura di Andrea Antico che riportava, nella copertina, una
vignetta raffigurante una scimmia che suonava il liuto ed un gentiluomo seduto all'organo.

Un contributo importante all'organo venne da Marcantonio Cavazzoni e da suo figlio Girolamo. I loro due rispettivi libri
di composizioni organistiche, pubblicati nel 1523 e nel 1543 contenevano canzoni e soprattutto i primi "ricerari", forma
che si inedita forma strumentale che sviluppa in questo secolo (v.tesi n.12.2)

Se però nel '500 la pubblicazione di queste ed altre raccolte, come quelle dei fratelli Andrea e Giovanni Gabrieli della
scuola veneziana, oppure di Antonio de Cabezon con i suoi "tientos" assimilabili al "ricercare" nell'ambito spagnolo,
diedero un grosso impulso alla produzione di opere per tastiera, anche l'ambito della trattatistica subì un'accelerazione
notevole.

Importante fu in tal senso l'opera teorica svolta dai vari Banchieri a Bologna, Antagnati e soprattutto da Girolamo
Diruta, autore del grande trattato per organo "Il transilvano", pubblicato nel 1593 ed integrato poi nel 1610.

In questo trattato Diruta attribuì grande importanza all'organo, ponendolo come lo strumento supremo, e codificò una
serie di consigli per la tecnica strumentale, declamando ad esempio la necessità di suonare contemporaneamente e
con la massima precisione le varie note di un accordo, oppure descrivendo la descrizione della corretta posizione delle
dita da tenere alla tastiera, ecc...

11.13 ­ La trattatistica
Le prime importanti opere strumentali del Cinquecento nacquero dall'ambito della fiorente scuola veneziana: già nel
1540 venne pubblicata una delle prime testimonianze, una raccolta di musiche per un'ensemble di quattro strumenti.
Sempre a Venezia, importante fu il contributo di Andrea Gabrieli con i suoi ricercari per 8 strumenti ed il famoso brano
"La battaglia" sempre ad otto voci in forma di canzone basato su un suo madrigale derivato a sua volta dalla chanson
"La guerre" di C.Janequin.

Anche il nipote Giovanni Gabrieli contribuì segnatamente allo sviluppo strumentale: nella raccolta di canzoni e sonate
intitolata "Sacre sinfonie" vi era la famosa sonata "piano e forte" ad otto voci per sei tromboni, un cornetto ed un fiato,
così chiamata perché in essa comparivano le prime esplicite indicazioni di dinamica.

Nella raccolta "Canzoni e sonate" fino a ventidue voci, con grande abbondanza di ottoni, troviamo invece il primo
riferimento esplicito al termine di "sonata".

L'ambito della trattatistica pura vide in questo secolo la pubblicazione del grande trattato per liuto "Fronimo" di
Vincenzo Galilei, padre del famoso Galileo: in esso vi sono descritti molti aspetti della tecnica liutistica, oltre ad una
grande varietà di intavolature, diteggiature e tecniche costruttive dello strumento.

Il trattato "La fontegara" del veneziano Silvestro Ganassi, che ebbe il suo nome al "Fontego", il quartiere di residenza
dell'autore, fu di estrema importanza nel panorama dell'evoluzione teorica del flauto dritto; esso conteneva la
descrizione della tecnica della diminuzione oltre ad altri aspetti, ed insisteva infine sulle varie modalità di articolazione
della voce (i famosi "lere-lere", "tere-tere", "teche-teche"): alcuni aspetti ivi esposti vengono tuttora considerati
importanti nell'insegnamento di alcuni fiati.

esi n.12 ­ Principali forme musicali del '500

12.1 ­ Bicinium strumentale

Durante tutta la prima metà del '500 la nomenclatura attribuita alle varie forme musicali non era assolutamente
rigorosa, spesso infatti i termini con i quali venivano citate le varie di raccolte pubblicate erano alquanto fuorvieri.

La prima forma strumentale che si incontra nel '500 è il "bicinium strumentale". L'etimologia della parola ci indica nella
traduzione "canto a due strumentale" il significato più corretto (da cinium=canto, in latino).

Si tratta di una forma strumentale di carattere didattico, praticata prevalentemente tra allievo e maestro, di musica
strumentale: si sa che una delle due parti era infatti più complessa ed articolata, mentre l'altra decisamente pià
semplice. Esistevano anche alcune varianti denominate "tricinium strumentale", ad indicare che l'organico strumentale
poteva comprendere anche vari allievi. La struttura era omoritmica o in contrappunto a due voci.

12.2 ­ Il ricercare

La forma del "ricercare" si sviluppò nel '500 seguendo due grossolani periodi.

Durante il primo periodo, caratterizzato dalle pubblicazioni del primo trentennio soprattutto per liuto dei vari
F.Spinacino, J.A.Dalza, Francesco da Milano detto "il divino", si può dire che la forma iniziò la fase di gestazione.

La seconda fase, della maturità, si sviluppò nei decenni successivi e divenne ben presto una delle forme più apprezzate
per "esplorare le possibilità dello strumento" (di qui il termine "ricercare"). La classificazione dei ricercari può essere
fatta tenendo conto dell'idea del compositore, che mirava a sfruttare e a perseguire uno scopo primario che poteva
essere una tecnica libera, di carattere improvvisatorio (raramente), una tecnica di contrappunto rigoroso, secondo la
consolidata scuola fiamminga, o semplicemente un obiettivo didattico, con un'unione delle precedenti due specie. Le
destinazioni strumentali dei ricercari toccavano naturalmente gli strumenti più diffusi all'epoca, quindi liuto innanzi
tutto (vedi le pubblicazioni di Bianchini, Rotta, Francesco da Milano), ma anche organi e più in generale tutte le tastiere.

La forma del ricercare, come abbiamo visto, poteva derivare dall'ormai solidissimo bagaglio tecnico franco-fiammingo,
nel cui caso ed è possibile considerarla come l'equivalente strumentale del mottetto: totalmente assenti gli slanci
virtuosistici, evidenti i limiti melodici, ritmici e soprattutto armonici, imposti dalla tecnica che privilegiava il rigore del
contrappunto. Durante la fase più evoluta del ricercare emersero i nomi di Girolamo Cavazzoni, figlio di Marcantonio
(già autore di "Recercari, Mottetti e Canzoni" nel 1523), autore di un libro di ricercari per organo pubblicato nel 1542
nel quale sono evidenti le tecniche già impiegate dal fiammingo A.Willaert; Claudio Merulo, autore anch'egli di ricercari
per tastiera, e soprattutto Andrea e Giovanni Gabrieli.

All'interno della forma del ricercare nella sua maturità, è possibile una ulteriore classificazione a seconda della struttura
tematico-melodica: un primo tipo di ricercare, classico, si presentava in forma politematica come una successione di
vari disegni melodici; un secondo tipo venne definito "politematico con trattamento simultaneo dei vari temi", visto che
i vari temi potevano all'occorrenza apparire sia in sequenza che contemporaneamente; un terzo tipo era invece definito
"monotematico" in quanto da un unico disegno melodico si sviluppava tutta la composizione (ne fu maestro sommo
Andrea Gabrieli); ed infine un quarto tipo venne nominato "arioso" per le sue peculiari caratteristiche melodiche che ne
facevano tutto sommato la categoria più piacevole all'ascolto.

Per la sua struttura formale il ricercare poteva essere considerato, a ragione, l'antenato del genere della "fuga" che
incontrerà ampi orizzonti di sviluppo nel secolo seguente; vale la pena ricordare che nella Germania cinquecentesca il
termine "fuga" era già ampiamente utilizzato per indicare la forma del "ricercare" italiano.

12.3 ­ La toccata e la canzone

Il termine "toccata" appare per la prima volta nel 1343 in una cronaca spagnola, riferita ad una visita reale a
Barcellona. Sia in quell'occasione, che in successi documenti del 1464 e del 1494 (incoronazione di Alfonso II d'Aragona
a Re di Napoli) ci si riferiva al termine "toccare" per indicare la pratica del suonare strumenti a fiato. E' quindi assai
probabile che le prime "toccate" cinquecentesche, notoriamente dedicate a strumenti a tastiera o quelli della famiglia
dei liuti, siano in realtà imitazioni, nella tecnica, di forme musicali più antiche dedicate, in origine, ad ensemble di fiati.

La toccata cinquecentesca era articolata come un breve componimento strumentale che tendeva ad esaltare la
bravura strumentale dell'esecutore attraverso una successione di rapidi accordi e di passaggi virtuosistici. Durante la
prima fase di sviluppo la toccata era priva di ogni spunto di carattere contrappuntistico, cosa che ne rendeva l'analisi
formale estremamente semplice; solo nella seconda metà del '500 si iniziò ad aggiungere, nel mezzo della
composizione, una breve sezione di carattere contrappuntistico secondo lo stile del ricercare.

Uno dei primi precursori del genere toccatistico fu Marcantonio Cavazzoni, che nel 1523 pubblicò una raccolta di
musiche organistiche comprendenti anche questa forma. Importanti contributi al genere toccatistico vennero anche da
L.Luzzaschi, C.Merulo, e tale genere non fu disdegnato nemmeno da C.Monteverdi, che sceglie proprio una "Toccata a
cinque" per aprire il suo Orfeo.

La canzone strumentale veniva chiamata, durante il '500, anche "canzone da sonar": ciò indicava la derivazione
formale dal genere della "chanson" francese polifonica che venne così intavolata per strumento. Numerosi furono i casi
in cui celebri "chanson" francesi subirono questo trapasso: basti citare i casi di "La guerre" e "La canzone degli uccelli"
di C.Janequin.
Il carattere della canzone era generalmente vivace, con buon senso del ritmo ed andamento spigliato, anche se era
sempre presente una vena contrappuntistica a causa delle origini franco-fiamminghe.

Una caratteristica peculiare della canzone strumentale era la presenza dell'incipit "dattilico" con il quale si aprì la
composizione, un'alternanza di figurazione lunga e due brevi.

Le raccolte di canzoni erano spesso pubblicate in raggruppamenti a seconda del modo gregoriano a cui appartenevano,
e i titoli che venivano loro attribuiti riflettevano spesso il carattere delle persone, come ad esempio nel caso della
canzone "La spiritata" di Giovanni Gabrieli, o il nome delle potenti famiglie al servizio delle quali si mettevano i
compositori: vedi ad esempio la canzone "La Zanotta" per la famiglia Zanotti.

12.4 ­ Il madrigale drammatico

Le accezioni "madrigale drammatico", o "dialogico", o anche "rappresentativo", erano tutte espressioni moderne per
indicare la forma musicale che durante il '500 veniva chiamata "commedia armonica".

La forma nacque alla fine del secolo ed ebbe vita tutto sommato molto breve, limitata ad alcuni decenni. Contribuì
infatti alla forma del melodramma che ne sostituirà integralmente il successo.

Si trattava di una commedia in versi di argomento leggero, spesso inscenata con maschere, anche di carattere
carnevalesco-popolare, dove ogni battuta recitata dai vari personaggi diventava lo spunto per la trasformazione in un
madrigale, solitamente a cinque voci.

Con la trasformazione delle varie battute in madrigali faceva venir meno la resa scenica, il movimento e l'azione, con
conseguente dilatazione dei tempi e perdita dell'elemento interessante che era alla base della formazione del
melodramma. A complicare ancor di più il difficile connubio tra "commedia armonica" e la forma del madrigale, ci fu il
fatto che quest'ultimo reggeva solitamente argomenti austeri e seriosi, mentre la prima trattava argomenti leggeri,
buffi, ironici e scherzosi.

Tra i massimi autori che si cimentarono in questo genere troviamo Orazio Vecchi, che nel 1597 pubblicò la commedia
armonica intitolata "Anfiparnaso", e il bolognese Adriano Banchieri il cui capolavoro è intitolato "La pazzia senile",
entrambe a cinque voci.

12.5 ­ Altre forme

Due sono infine le forme che si svilupparono in questo periodo: la forma libera per eccellenza, la "fantasia", e il
parimenti libero "capriccio", di carattere forse più virtuoso.

La fantasia, composizione esclusivamente strumentale, trae le proprie origini dall'imitazione del mottetto e dei canti
liturgici. Il termine fantasia testimonia però la assoluta libertà del compositore di potersi accostare a piacere alla
tecnica del ricercare, del madrigale, della toccata, della fuga, o più semplicemente dell'improvvisazione. Proprio per
questo il termine veniva spesso usato in modo molto generico e a volte contraddittorio. Gli strumenti destinatari di
questa forma erano prevalentemente organo e liuto.

Il capriccio nasce proprio in questo periodo, prevede organico vocale e/o strumentale e i maggiori contributi, nel '500,
vengono da autori come J. de Berchem, L.Balbi, G.P.Manetti (in campo vocale), G.Bassano, F.Stivori, A.Majone (in
campo strumentale).
Inizia infine in questo periodo la prima aggregazione di varie forme di danza musicale, secondo il metodo del contrasto
ritmico (tempi binari contro ternari) o di tempo (lento e veloce). Questo primo timido fenomeno darà poi il via allo
sviluppo della suite, che incontrerà grande fortuna nel periodo barocco.

Tesi n.13 ­ La teoria musicale nel '500

13.1 ­ Gioseffo Zarlino e Heinrich Glareanus

Favorita dall'invenzione della stampa, la trattatistica musicale subì nel corso del '500 un notevole impulso.

Fondamentali furono durante questo secolo le figure di Gioseffo Zarlino e di Heinrich Glareanus.

Zarlino, che occupò per molti anni il posto di Maestro di Cappella in S.Marco a Venezia, dedicò grande attenzione anche
all'evoluzione della teoria musicale, portando avanti nel corso della sua lunga vita, le sue nuove teorie che si
esplicarono nei vari trattati, tra cui spiccano "Istituzioni armoniche", pubblicato nel 1558, "Dimostrazioni armoniche" e
"Sopplimenti musicali". Nel corso dei suoi studi teorici egli arrivò all'identificazione della triade di do maggiore
mediante il principio dei suoni armonici, anticipando quindi le teorie tonali successive.

Il punto di arrivo delle teorie di Zarlino sarà il "Trattato dell'armonia ridotta ai suoi principi naturali" di J.J.Rameau,
pubblicato nel lontano 1722.

Heinrich Glareanus, svizzero, contribuì al perfezionamento delle teorie musicali con il trattato "Dodekachordon", nel
quale ampliò la teoria modale stabilita da Ermanno "il Contratto" con l'aggiunta di due nuovi modi aventi estensioni la-
la e do-do, con i rispettivi plagali, portando a 12 (di qui il titolo del trattato stesso) il numero dei modi usati
comunemente nella pratica musicale del tempo. Glareanus si spinse però oltre, osservando che i due nuovi modi da lui
determinati erano anche in realtà i più usati, e li pose quindi come base delle sue teorie, anticipando le future scale
naturali di do maggiore e di la minore. Iniziò quindi la distinzione tra due i modi dell'armonia moderna, maggiore e
minore, in luogo dei vecchi di derivazione medievale.

13.2 ­ Il basso continuo

Durante il XVI secolo continuò la fioritura della scuola strumentale di Venezia, nella quale si cominciarono sempre più
ad utilizzare strumenti a tastiera per l'accompagnamento del basso.

Situazione analoga a Roma, dove il filone prevalentemente ecclesiastico della musica ivi praticata impose però l'uso
dell'organo.

In questa prima fase, troviamo dunque strumenti a tastiera che, pur non avendo posto espressamente nelle partiture
musicali, accompagnavano solamente il basso ripetendone la melodia con l'arricchimento di semplici armonie tonali.
Tale prassi veniva comunemente chiamata "basso seguente".

Successivamente ci si pose il problema di aumentare l'autonomia di questo basso accompagnato facendo sì che ci
fosse una maggiore continuità nella sua esecuzione per evitare fastidiose interruzioni nei momenti in cui la voce del
basso reale aveva delle pause. Tale prassi si chiamò del "basso accompagnato", o anche "basso accompagnato
continuo", che per ovvie ragioni portò ben presto alla aggiunta del relativo rigo nelle partiture musicali.
Tra i primi trattati teorici sul basso continuo, ricordiamo quello del 1607 a cura di Agostino Agazzari "Sul sonare su
basso continuo per ogni sorta di strumenti", che indicava come in realtà non solo le tastiere fossero preposte a questa
nuova voce.

Il basso continuo infatti poteva essere eseguito da qualsiasi strumento di timbro e registro grave, come i corni, e
particolari liuti con numero di corde maggiorato dalle cosiddette "corde gravi di bordone", comunemente chiamati
chitarroni e tiorbe. Diffusa era anche la pratica di utilizzare due strumenti per il basso continuo, come un fiato
monodico ed una tastiera, che con la sua capacità polifonica, supportava con semplici armonie la composizione
musicale.

Spesso i bassi continui per tastiere erano notati secondo la prassi del "basso cifrato", ancora oggi in uso in alcuni paesi
di lingua anglosassone: su un unico suono di basso venivano indicati numericamente gli accordi da eseguire, secondo
un procedimento analogo a quello moderno e basato sugli intervalli.

Tra i primi libri di brani musicali contenenti il basso continuo pubblicati a stampa ricordiamo i "100 concerti
ecclesiastici" (1602) di Ludovico Grossi da Viadana, contenente mottetti in latino da una a quattro voci più basso
continuo dell'organo.

esi n.14 ­ Il rinascimento e il primo barocco

14.1 ­ Quadro storico­culturale

La teoria secondo cui l'Italia avrebbe attraversato un periodo di declino culturale, non apportando significativi
contributi allo sviluppo artistico del Seicento, deve essere subito sfatata.

Nonostante i molti fenomeni di carattere militare, come dominazione spagnola, le carestie e la peste che
imperversarono nella nostra penisola durante tutto il secolo, il contributo che l'Italia diede alla causa artistica, fu
senz'altro di prim'ordine.

Il difficile momento storico fu caratterizzato in Europa dalla Gerra dei Trent'anni (1618-1648), che si sviluppò come
conflitto civile a sfondo religioso in Germania e vide contrapporsi all'inizio i seguaci della controriforma cattolica ai
protestanti luterani. Tale conflitto andò espandendosi via via ad altre potenze europee, come Francia ed Inghilterra, che
alternativamente sostenettero le varie fazioni in lotta.

In Francia si ebbe l'ascesa del cardinale Richelieu, che gettò le basi per la "grandeur" francese, e successivamente del
sovrano Luigi XIV, soprannominato "Re Sole", di fede cattolica. In Inghilterra invece, dalla scomparsa dell'ultimo
sovrano della casata dei Tudor (Elisabetta), seguirono alternandosi vari sovrani di correnti cristiane contrapposte.

Ritornando all'Italia, possiamo senz'altro affermare che le scoperte di Galileo Galilei, capace di opporsi strenuamente
alle teorie scientifiche della potente Chiesa di Roma, così come fecero Caravaggio e i Carracci con le loro tele,
costituirono senz'altro dei punti fermi nel secolo.

A questo va aggiunto, come vedremo dettagliatamente, l'incontestabile merito della penisola italica di far nascere il
melodramma moderno.

Le correnti filosofiche dominanti e contrapposte nel '600 erano l'Empirismo, che fondava le sue teorie sull'esperienza
concreta e basilare dei sensi, e il Razionalismo, che invece valorizzava una teoria astratta, basata sul filosofeggiare
indotto dalla ragione, di cui fu grande teorico Cartesio.
14.2 ­ Il barocco in musica

La derivazione del termine "barocco" è alquanto imprecisa: le teorie più accreditate fanno risalire l'etimologia del
termine al portoghese "baroco", una pietra preziosa di forma irregolare, o al capzioso, bizzarro e speculativo modo di
ragionare che imperversava nel periodo medievale.

Certamente il termine venne per la prima volta utilizzato alla fine del '600 per indicare, con carattere negativo, le
tendenze degenerate delle arti figurative. In musica il termine "barocco" verrà adottato invece soltanto nel 1772,
sempre conservando lo stesso significato negativo, per indicare un'arte bizzarra ai limiti del grottesco; fu soltanto a
partire dall'inizio del '900, con la nascita della scienza storico-musicale, che il periodo "barocco" venne giustamente
inquadrato con la sua valenza storica negli anni compresi tra il 1600 ed il 1750.

14.3 ­ La musica drammatica

Il fenomeno artistico tipicamente italiano che nasce nel '600 è, come abbiamo visto, fu il melodramma (drama =
azione, rappresentazione, in greco; e melodramma = rappresentazione in musica, cantata e suonata).

Alcuni elementi caratteristici di questo genere nascente vanno subito focalizzati.

La musica melodrammatica perse quel ruolo artistico di compiutezza fine a sé stessa, in quanto nella rappresentazione
scenica vi era una convergenza di varie arti, dalla poesia, alla scenografia, alla recitazione, alla musica, che contribuiva
all'insieme, ma tuttavia non ne era l'unico elemento. Tale concetto era ben chiaro al tempo, vista l'accezione di "musica
impura" che veniva utilizzata per descrivere quella composta per i melodrammi.

Nacque parimenti un altro problema, ossia quello della scelta timbrica dei cantanti, che non veniva più effettuata
solamente in base all'estensione del registro degli stessi, ma anche in considerazione del carattere del personaggio che
veniva interpretato.

Di questi ed altri problemi del nascente melodramma si occuparono ben presto i maggiori trattatisti del periodo, tra cui
spiccavano Scacchi, che suddivise la musica in "da Chiesa" (sacra), "da camera" (profana) e "per teatro"; e Kircher, che
si spinse in un'analisi più raffinata distinguendo gli stili ecclesiastico (sacro), canonico (contrappuntistico, con l'uso di
canoni ed altri artifici), madrigalesco, melismatico (delle villanelle), fantastico (delle fantasie strumentali), sifonico
(strumentale), iporchematico (musica da ballo), e recitavito o drammatico (del teatro).

Come abbiamo già visto, nel corso del '500 già c'erano stati alcuni episodi di unione tra musica e dramma, come nel
caso degli intermedi musicali e come nel caso del matrimonio illustre del 1589 nel palazzo Medici, dove alcuni pezzi di
carattere monodico (di Peri, Caccini, De' Cavalieri) vennero eseguiti nel corso dell'azione scenica.

In alcune tragedie cinquecentesche inoltre, spesso le divinità venivano fatte intervenire cantando, anziché con la sola
parola come gli altri attori partecipanti.

Va inoltre considerato che verso la fine del secolo, nacque il genere della "favola pastorale", con l'Aminta di Tasso a
Ferrara nel 1572 e con "Il pastor fido" di Guarini nel 1590, che probabilmente furono scritte per poter essere musicate.

Nel corso del secolo si sviluppò inoltre il genere della "commedia dell'arte", che contribuì a creare la figura di attore-
professionista capace di recitare, improvvisare (in realtà era scritto un copione della vicenda molto generico e tutta
l'azione era lasciata alle libere qualità degli attori), cantare e ballare. Gli attori della commedia dell'arte permisero di
diffondere alcune "maschere" tipiche in ogni regione italiana (Balanzone, Pulcinella, Pantalone, Colombina, Brighella,
ecc...).

In Francia era infine in uso presso la corte reale il "Balletto di corte", mentre in Inghilterra veniva apprezzato il
"masque", entrambe forme analoghe alla commedia dell'arte nostrana, con un misto di ballo, canto, recitato.

14.4 ­ L'origine del melodramma

A partire dagli ultimi anni del secolo XVI, precisamente dal 1580 al 1592, iniziarono a riunirsi a Firenze alcuni uomini di
ottima estrazione sociale con finalità accademiche. Tale congrega divenne famosa con l'accezione di "Camerata dei
Bardi".

Abituali frequentatori erano il Conte Giovanni de Bardi, musicista dilettante e non di professione, il poeta Ottavio
Rinuccini, i musicisti Jacopo Peri, Giulio Caccini ed Emilio De' Cavalieri, Vincenzo Galilei (padre di Galileo), abile
musicista che sosteneva la superiorità della musica greca su quella polifonica artificiosa del '500 per via della maggiore
semplicità ed autore del trattato "della musica antica et moderna", e il teorico e studioso dell'antichità greca Girolamo
Mei.

Nella camerata quindi si nutriva generalmente ammirazione per le musiche semplici di tipo monodico, come era il caso
degli intermedi musicali.

Nel 1598 venne effettivamente rappresentato il primo melodramma della storia: "Dafne", su libretto di Rinuccini e
musiche di Peri e dello stesso Conte Bardi, andate purtroppo in parte perdute.

Solo due anni più tardi, nel 1600, venne inscenata la prima opera giuntaci interamente anche nelle partiture: si tratta
di "Euridice", sempre rappresentata a Firenze ed elaborata ancora una volta dalla coppia Rinuccini-Peri; l'opera fu poi
rimusicata interamente da Caccini, ed eseguita nuovamente nel 1602.

Euridice, come del resto anche Dafne, aveva come modello strutturale l'antica tragedia greca, ma trattava
naturalmente argomenti di derivazione latina, presi dalle "Metamorfosi" di Ovidio. I modelli musicali erano invece
costituiti in gran parte da pezzi monodici con saltuarie comparse di brani polifonici in stile madrigalesco.

La monodia era infatti più apprezzata in quanto permetteva una grande trasparenza del testo poetico ed era
assimilabile al moderno "recitativo", di carattere declamatorio e senza una vera e propria melodia musicale di
accompagnamento.

Fanno la loro comparsa nel panorama musicale due nuove forme legate al teatro: la variazione strofica, costituita da
una melodia mutevole di strofa in strofa su un basso continuo costante, e l'aria strofica, che prevedeva la ripetizione
delle medesime formule sia nel canto che nel basso.

I personaggi prescelti erano dapprima dei semplici attori con buone doti canore, prelevati spesso dalla commedia
dell'arte, mentre solo successivamente si arrivò al perfezionamento della tecnica vocale come elemento primario di
selezione.

Le opere che seguirono questi primi esperimenti furono "l'aurora ingannata", inscenata nel 1605 a Bologna, e l'"Orfeo"
di Monteverdi, rappresentato a Mantova nel 1607 su libretto del poeta Alessandro Striggio.
Come si vede da queste prime tappe, la produzione operistica fu all'inizio alquanto scarna, in quanto le
rappresentazioni erano per lo più collegate a grandi avvenimenti nobiliari, come matrimoni, e non esisteva una
cadenza periodica fissa, nella quale questa nuova forma del melodramma poteva trovare una sua collocazione.

Nonostante le partiture musicali venissero sempre pubblicate a stampa, a rendere più complicata la diffusione
dell'opera in questa prima fase c'era quindi anche la ristrettezza del pubblico, facente parte di un ceto elevato che
partecipava solamente su invito a queste prime esperienze.

A Roma, nella cornice delle grandi possibilità offerte dalla città pontificia, questa nuova forma artistica fu uno dei
veicoli che accese la competizione tra le molte famiglie nobiliari (Panfili, Doria, Colonna, Orsini, ecc...) per la conquista
del Papato. Nel 1626 ad esempio venne rappresentato in un palazzo nobiliare romano il melodramma "La catena
d'Adone", con soggetto trattato dal poema mitologico del Marino "Adone" e musiche di Domenico Mazzocchi che per
l'occasione fece sfoggio del nuovo genere della "mezz'aria", a metà strada tra l'aria cantabile e il recitativo,
corrispondente grossomodo al moderno "arioso".

Altra rappresentazione romana degna di nota era quella dell'opera "Sant'Alessio", che narrava il tema della vita del
Santo omonimo, con libretto di Giulio Rospigliosi, un religioso che riuscì anche ad ottenere l'investitura papale con il
nome di Clemente IX: un Papa estremamente attento agli sviluppi artistici che permise al melodramma di godere di un
florido periodo di crescita. Grande scenografo per l'occasione fu il famoso architetto Bernini.

La tendenza dell'opera romana seicentesca si può riassumere musicalmente nella tendenza al potenziamento dell'aria
a sfavore del recitativo, che diventerà quindi "recitavito-secco".

Nel 1630 venne rappresentata "La proserpina rapita" di Monteverdi.

Tesi n.15 ­ La cantata e l'oratorio

15.1 ­ La cantata profana

La riscoperta per il gusto della musica vocale monodica non riguardava nel '600 solamente il fenomeno del
melodramma, ma si tradusse anche nella nascita della cosiddetta "cantata da camera", di carattere dapprima profano
poi anche sacro.

La cantata da camera, che si sviluppò a partire dagli anni venti nel ristretto ambiente dell'aristocrazia nobiliare, venne
a configurarsi, dopo alcuni decenni di complessa gestazione, come una forma stilisticamente stabile fino al primo '800
(Rossini).

Gli inizi di questo genere risiedono nell'elaborazione del genere madrigalesco, che come abbiamo detto si era evoluto,
nella sue breve vita, verso tendenze spesso monodiche, accompagnate da un basso continuo: è il caso di Monteverdi
ed anche di Luzzasco Luzzaschi con il suo libro di madrigali (da 1 a tre voci) pubblicato nel 1601.

Nell'anno seguente il fiorentino Giulio Caccini pubblicò altresì "Le nuove musiche", contenenti una serie di madrigali
quasi interamente monodici, a volte espressamente nominati come "arie" quando la struttura era strofica.

Bisogna però arrivare al 1620 per vedere espressamente indicata la parola "cantata". Il palermitano Alessandro Grandi
pubblicò infatti "Cantate ed arie", nelle quali le cantate seguivano in realtà la forma della variazione strofica, ossia una
melodia variante di strofa in strofa su un basso continuo costante.
La nascita vera e propria della cantata avvenne però a Roma, dove il liutista, tenore e compositore romano Luigi Rossi,
attivo anche all'estero, e soprattutto il maestro di cappella Carissimi forgiarono questo genere.

La struttura della cantata prevedeva il modello Aria (con da capo) - Recitativo - Aria (con da capo), schematizzato in A-
R-A, a cui alle volte veniva aggiunto un recitativo in testa, in modo da ottenere R-A-R-A.

Tale modello, che come già detto rimase grossomodo stabile sino a Rossini, subì nel tempo semmai la dilatazione
mediante ripetizione della struttura, secondo uno schema R-A-R-A-R-A...

L'organico della cantata prevedeva una o più voci soliste ed un accompagnamento di basso continuo svolto sovente da
violone, violoncello o clavicembalo; i soggetti prescelti come base poetica erano invece similari a quelli già impiegati
con successo nel nascente genere melodrammatico. Mitologici e amorosi erano i più largamente utilizzati.

Durante la seconda metà del secolo, superata la crisi economica che impose il taglio dei costi e non fece stampare
molte opere teatrali, si ricominciò la prassi della stampa anche per il neonato genere della cantata, facendoci pervenire
alcune partiture che attestavano il crescente gusto per il medesimo genere con soggetto religioso, chiamato più
correttamente "morale o spirituale", come nel caso de "Il giudizio universale" di Carissimi.

15.2 ­ L'oratorio

Una delle espressioni più importanti della monodia del '600 era il neonato genere dell'oratorio.

Le origini di questa forma musicale, sviluppatasi nell'ambiente omonimo dell'oratorio, risiedono da un lato
nell'evoluzione della lauda polifonica cinquecentesca (già basata su una polifonia molto semplice, di carattere
omofonico), verso un genere più diretto e quindi monodico, e dall'altro dallo sviluppo della struttura dialogica che
alcune laude già possedevano.

Le prime testimonianze della nascita dell'oratorio sono alquanto scarne, in quanto risalgono allo stesso periodo della
nascita della cantata, caratterizzato da una crisi economica che non permise la stampa musicale per alcuni anni.

E' certo invece che gli iniziatori del genere dell'oratorio furono Rossi (che compose anche numerose cantate e musica
teatrale profana) e soprattutto Carissimi.

Giacomo Carissimi (1604-1674) nacque a Roma e lì operò per tutta la sua vita.

Le sue opere ci sono giunte manoscritte per la volontà di mantenere una sorta di esclusiva nella cappella musicale di
S.Apollinare, dove il compositore romano operò lungamente come maestro di cappella; la sua produzione comprendeva
14 oratori tutti in lingua latina (il più famoso è "Jephte") tranne il "Daniele", scritto in volgare, che narrava la tragica
fine del profeta dato in pasto ai leoni.

In realtà la disputa dialogica tra latino e in volgare era ben testimoniata da alcune aperte prese di posizione, come
quella dell'"Oratorio del Crocifisso", nel quale si rappresentavano Oratori del primo tipo, e l'Oratorio della Chiesa
Nuova, che proponeva Oratori nell'altra lingua; tale disputa si risolse nel tardo '600 a favore del volgare italiano
nonostante l'eccezione settecentesca del "Giuditta trionfante" di Vivaldi.

La struttura dell'Oratorio era alquanto affine a quella del neonato genere del melodramma, ossia formata da una
sequenza di arie e recitativi, con andamento dialogico, sempre però suddivisi in 2 parti (corrispondenti agli atti);
mentre l'azione scenica era assente visto che i cantanti, raramente vestiti con costumi di scena, restavano in piedi
immobili e non compivano alcun gesto. Il compito di aiutare la comprensione delle vicende era affidato ad una voce
recitante con ruolo di "narratore" (in una prima fase interpretato da un vero e proprio coro), sempre presente, che
interveniva tra un dialogo e l'altro dei personaggi.

Altri autori di oratori furono Stradella, che vantava 6 partiture una delle quali, intitolata "S.Giovanni Battista", portava
già le prime tracce che preludevano alla nascita del genere del "concerto grosso"; e A.Scarlatti, la cui produzione dei 37
oratori in italiano ed in latino ci è giunta solamente in minima parte.

esi n.16 ­ L'opera italiana nel '600

16.1 ­ L'opera impresariale a Venezia nel '600

All'inizio del secolo come abbiamo visto con le esperienze fiorentine e romane, le prime opere avevano carattere
estremamente occasionale.

La situazione mutò radicalmente a Venezia a partire dal 1637, quando una troupe di musicisti ambulante che già
proponeva varie commedie dell'arte rappresentò "L'Andromeda", su musiche di Franesco Manelli e libretto di Benedetto
Ferrari (che fu anche musicista) nel teatro S.Cassiano di Padova, preso appositamente in affitto l'anno precedente: era
un primo passo verso l'istituzione di un modello impresariale di opera considerando anche la contestuale istituzione del
biglietto d'ingresso.

L'avvenimento riscosse un grande successo e si replicò ben presto l'anno seguente con l'opera "La maga fulminata".

Durante questi anni nacque, con vari sviluppi successivi, l'edificio del teatro moderno come oggi lo conosciamo: si
passò così dalla rappresentazione per pubblico ristretto di invitati nei palazzi nobiliari alla costruzione di un vero e
proprio edificio adibito allo scopo.

Tale edificio fu inizialmente simile ai vecchi teatri classici. Un esempio era costituito dal famoso "Olimpico" di Vicenza,
costruito da Palladio. La struttura per il pubblico era priva di platea, ed era costituita da una serie di gradinate disposte
a semicerchio che fronteggiavano la zona del palco e uno sfondo costituito da un edificio.

Successivamente, come nel caso del teatro "Farnese" di Parma, venne a formarsi lo spazio centrale oggi occupato dalla
platea, ma allora adibito ad altri generi di spettacoli come il ballo.

Il S.Cassiano di Venezia costiuisce inoltre il primo vero caso di edificio a sé stante, non legato a qualche palazzo e/o
cappella musicale. All'interno trovavano infatti posto vari ceti sociali separati dapprima da piccole barriere e poi via via
da divisioni sempre più marcate, fino a divenire i moderni palchi (come nel caso anche del teatro "Formagliari" di
Bologna).

Iniziò anche l'allestimento dello spazio della platea per il pubblico, allora destinata ai ceti meno abbienti tra quelli
presenti e priva di sedie (che venivano all'occasione portate dal pubblico stesso); e si cominciò anche a dipingere lo
sfondo per dar luogo a varie scenografie.

Ecco così nascere a Venezia i teatri Sant'Angelo, dei Santi Apostoli, dei SS. Giovanni e Paolo, ed analoghe strutture
nelle altre grandi città come Reggio Emilia, Piacenza, Parma, Bologna, Milano, ecc... e con l'aumentare del successo
delle rappresentazioni si andarono a delineare delle vere e proprie stagioni operistiche: all'inizio di carnevale, poi di
primavera, autunno, estate.
I musicisti che si incaricavano della stesura delle partiture erano quasi sempre maestri di cappella che nei momenti
liberi iniziavano ad affacciarsi con crescente interesse a questa nuova forma di guadagno, mentre i librettisti erano
spesso professionisti in altri campi, come ad esempio avvocati, che per diletto si dedicavano alla poesia.

Gli argomenti trattati erano quasi tutti di carattere serio: l'opera "comica" nascerà soltanto nel '700 a Napoli, anche se
questi "drammi per musica", come venivano chiamati al tempo, contenevano spesso passaggi brillanti e anche buffi.

Le vicende riprendevano quasi sempre la mitologia greca oppure orientale-esotica, ma ben presto subentrò il gusto per
il filone storico-romano, e contenevano solitamente una due vicende amorose: una principale, con personaggi nobili,
affiancata ad una seconda con protagonisti di estrazione più modesta.

I libretti venivano sempre stampati, secondo una prassi ormai diffusa, ed erano costruiti in modo già incredibilmente
raffinato. L'impaginazione era predisposta in modo da porre in immediato risalto le parti principali (come le arie)
all'occhio del lettore.

La struttura metrica delle arie non era particolarmente rigida, e poteva infatti essere costituita da due quartine
(isometria) di versi di varia natura: senari e settenari più frequentemente, ma anche ottonari, decasillabi, quadrisillabi
e quinari.

Le partiture invece, che venivano sempre stampate negli ambiti nobiliari delle rappresentazioni di inizio secolo,
vennero ben presto a perdersi con il passaggio all'opera impresariale a causa della scarsità di fondi disponibili. Dai
pochi documenti giunti fino a noi, possiamo comunque vedere alcuni caratteri tipici delle strutture utilizzate.

Le arie, ad esempio, che spessissimo erano organizzate nello stile del recitativo-secco con basso continuo, erano
strofiche e tripartite secondo lo schema dei caratteri contrastanti a-b-a' che introduce per la prima volta il "da-capo".

Per quanto concerne i cantanti, raramente impegnati in pezzi d'assieme, il ruolo principale spettava ai soprani, che
potevano essere maschili mediante l'uso dei castrati, o femmili, e ai contralti, mentre importanza minore avevano i
tenori ed i bassi.

Infine l'organico strumentale era piuttosto scarno, costituito prevalentemente da archi con rarissimo supporto di fiati
(flauti ed oboi) per ricreare atmosfere pastorali nelle vicende campestri; i corni erano invece espressamente dedicati ad
evocare scene di caccia mentre le trombe richiamavano azioni guerresche.

Tra le figure di compositori che spiccavano in questo primo periodo citiamo Pierfrancesco Cavalli (1602-1676), già
tenore nella cappella Marciana, dove divenne anche Maestro di Cappella, che rappresentò molte opere a Venezia,
Firenze, Bologna e Parigi.

Di lui ci sono giunte ventisei partiture manoscritte tra le quali spiccano "L'Egisto", di argomento pastorale, "Il Giasone",
di tema mitologico, "Giulio Cesare", "Pompeo" e "Coriolano" che propongono vicende storico-romane; qui abbiamo una
chiara propensione per il melodismo, specie nelle arie, già cariche di pathos e talvolta di atmosfere lamentose ben
espresse da figurazioni di basso continuo discendente ostinato.

Altro compositore degno di nota fu Giovanni Legrenzi, che visse a lungo a Ferrara, alla famosa corte estense, prima
di diventare Maestro di Cappella a Venezia. Delle sue numerose opere ci sono giunte soltanto quattro partiture.

16.2 ­ Monteverdi
A differenza di molti altri artisti che nel corso della storia della musica non seppero o non vollero adeguarsi alle nuove
frontiere che la loro arte pose loro davanti, Claudio Monteverdi, nato a Cremona nel 1567, dopo molti anni di magistrale
polifonica, si buttò con successo anche nel neo-nato genere del melodramma.

Dopo gli studi giovanili con il maestro di cappella di Cremona Marcantonio Ingegneri, ebbe un primo incarico alla corte
di Mantova come insegnante di strumenti ad arco ed educatore dei fanciulli.

Nel 1610 tentò di ingraziarsi il pontefice e di ottenere un incarico presso una delle cappelle papali, senza riuscirvi;
mentre nel 1613 divenne maestro di cappella in S.Marco, a Venezia, conservando poi tale importantissimo posto fino
alla morte, sopravvenuta nel 1643.

Compositore molto prolifico, si cimentò in quasi tutti i generi musicali tipici del '500-'600, tranne quello degli organici
strumentali puri (canzoni, ricercari, fantasie, ecc...). Compose infatti canzonette profane e spirituali, un libro di
madrigali spirituali, due libri di scherzi musicali (uno a tre voci, uno ad 1-2 voci) in forma di canzonette, ma soprattutto
fu una grande figura del genere dei madrigali profani, dell'opera e della musica sacra.

I madrigali profani sono stati raccolti in otto grandi libri, che hanno impegnato Monteverdi in tutta la sua vita
compositiva. Il primo libro, pubblicato nel periodo di piena fioritura del genere madrigalesco, contiene svariati richiami
allo stile del suo primo maestro Ingegneri; il secondo libro, che spesso traeva i soggetti letterari dalle opere di Torquato
Tasso (di qui l'aggettivo di madrigali "tassiani"), annovera tra i brani più famosi "Ecco mormorar l'onde", che già
nell'architettura del metro poetico lasciava intravedere strutture musicabili.

Importantissimo fu anche il quinto libro, pubblicato nel 1605, nel quale per la prima volta Monteverdi fa uso
consapevole di dissonanze e contrasti armonici per sottolineare situazioni letterarie particolarmente stridenti. Tale
pratica, definita da lui stesso "seconda prattica", poneva la musica, per la prima volta da quando la polifonia fu
inventata, al servizio del testo e costituì una vera e propria rivoluzione, che sollevò un'ingente quantità di critiche, tra
cui quelle del canonico bolognese Giovan Maria Artusi, che nel suo trattato "Le imperfezioni della musica moderna"
attaccò direttamente l'opera monteverdiana e più in generale queste nuove tendenze artistiche.

Sempre nel quinto libro abbiamo l'introduzione di un altro motivo di scalpore tra i compositori e teorici: a fianco delle
voci del madrigale compare il basso continuo.

Nel 1607, nel libro di scherzi musicali pubblicati dallo stesso Monteverdi, trovò posto un'aperta difesa del fratello nei
confronti della "seconda prattica".

Il settimo libro fu pubblicato nel 1619 con il titolo "Concerto", per indicare l'assortimento di pezzi di vari organici vocali
e spesso con l'aggiunta di strumenti. La frequenza di parti strumentali come quella del basso continuo, o la innovativa
riduzione a due voci (magari anche dello stesso registro) di alcuni madrigali, e soprattutto la comparsa di alcuni brani
ad una sola voce più basso continuo, cioe' monodici, costituirono una vera e propria rottura con il madrigale
tradizionale. Ne sono esempi "La lettera amorosa" per soprano e basso continuo, e "Partenza amorosa" per tenore e
basso continuo, che testimoniavano il crescente interesse di Monteverdi per la pratica musicale adottata nel nascente
genere operistico.

L'ottavo libro, pubblicato nel 1638 con il titolo di "Madrigali guerrieri e amorosi", conteneva parimenti varie
organizzazioni strumentali e vocali. Di questo libro ricordiamo alcuni brani come il "Combattimento di Tancredi e
Clorinda", già organizzato nella metrica poetica in forma dialogica, che presentando la voce recitante del narratore
anticipò in un certo senso il futuro genere dell'oratorio, e il "Lamento della ninfa", che Monteverdi stesso suggeriva di
eseguire seguendo "il tempo della mano" (rigoroso) nel canto dei personaggi e "il tempo dell'anima" (fraseggio più
libero) nei brani della ninfa.

A Monteverdi si attribuisce anche la nascita dello stile "concitato", in contrapposizione a quello "molle" e "temperato"
precedentemente adottato nei madrigali di andamento più compassato e contrappuntistico.

La produzione operistica di Monteverdi iniziò con "Orfeo", inscenata a Mantova nel 1607 e già visibilmente di fattura
superiore alle prime esperienze fiorentine della Camerata dei Bardi e a quelle romane, su libretti di Alessandro Striggio
(figlio).

Il grande successo portò prontamente ad una riedizione l'anno seguente, con alcune piccole revisioni che crearono una
discrepanza tra il libretto e la partitura musicale: nel primo, il finale è tragico (Orfeo perde definitivamente la moglie
Euridice e viene sbranato dalle Mènadi), mentre nella partitura musicale il protagonista è consolato da Apollo, giunto
appositamente sulla terra per accompagnarlo tra gli Dèi.

Lo stile musicale era quello della classica opera seicentesca, con una toccata iniziale per cinque clarini (trombe), con
largo uso dei cori madrigaleschi, di ariette strofiche, di variazioni strofiche (es. l'aria cantata da Orfeo davanti a
Caronte), e il prologo veniva cantato da un personaggio che incarnava la "musica".

Nel 1608 venne inscenata anche l'"Arianna", ottenendo un grande successo, su libretto del fiorentino Rinuccini,
chiamato appositamente per l'occasione. L'opera non fu stranamente stampata, e purtroppo di essa ci è giunta solo il
famoso frammento "lamento d'Arianna" in stile recitativo, frammento che fu poi trascritto in versione a più voci, che
venne pubblicato come madrigale nel sesto dei suoi otto libri.

Dopo altre opere minori, quali "La proserpina rapita", "Armida", la dubbia "Il ritorno di Ulisse in Patria", nel 1643, poco
prima della morte, Monteverdi inscenò la sua ultima grande opera: "L'incoronazione di Poppea".

Anche se la paternità lascia qualche dubbio, poicheì ci è giunta solo in due partiture manoscritte non firmate
conservate a Venezia e a Napoli, possiamo sostanzialmente fidarci del poeta G.F.Busenello, che pubblicando
un'omonima opera letteraria (seppure con qualche differenza) si riferì espressamente al nome di Monteverdi.

L'opera, forse la prima in assoluto di carattere storico, narrava la vicenda amorosa, descritta dallo storico Tacito,
dell'imperatore romano Nerone che lasciò la moglie Ottavia per amare Poppea, donna già sposata con Ottone e di
dubbia moralità. L'opera segnò il trionfo della "amoralità", con un amore che andava contro i canoni classici e con
vicende che lasciavano trionfare il peccato senza timor alcuno (vedi la morte di Seneca suicida su incredibile consiglio
di Nerone) .

E' probabile che questa vicenda di dubbia moralità sia stata ispirata dall'ambiente libertino dell'accademia veneziana
degli "Incogniti", che Monteverdi frequentava.

Dal punto di vista prettamente musicale, l'opera è alquanto lunga e complessa; i vari pezzi sono quasi esclusivamente
vocali, con qualche piccola eccezione relativa a sporadiche apparizioni dei bassi continui e di qualche arco. I due
protagonisti venivano rappresentati da un soprano femminile (Poppea) e da un contralto maschile (Nerone) secondo la
diffusa pratica dell'utilizzo dei castrati.

Nel genere della musica sacra, ricordiamo il "Vespro della Beata Vergine", con la quale Monteverdi tentò di ingraziarsi il
papa, senza peraltro riuscirvi, che proponeva il culto mariano, già ampiamente rivalutato a seguito del Concilio di
Trento. La raccolta era un assortimento di pezzi di varia natura, e annoverava vari organici vocali e strumentali, tra cui
una messa parodia sul mottetto "In Illo Tempore" del contrappuntista fiammingo N.Gombert.

Altra opera sacra importantissima fu la "Selva morale e spirituale", pubblicata nel 1640. Qui il termine "selva" aveva
analogo significato a quello già attribuito dall'aurore a "concerto", relativamente alla produzione madrigalesca:
indicava un vario assortimento di differenti organici e forme musicali. Vi si trovava incluso il famoso mottetto "sto per
morire, figlio mio", detto "il lamento della Madonna" che proponeva la stessa musica già ascoltata nel "lamento
d'Arianna".

16.3 ­ Altri operisti del seicento italiano

Sul modello dell'opera impresariale veneziano, si diffuse ben presto l'entusiasmo per il nuovo genere musicale
tipicamente italiano del melodramma, e si moltiplicarono le nascite di numerosi teatri sempre più grandi e moderni su
tutta la penisola italiana.

Nella seconda metà del '600, i modelli operistici dei fiorentini e dei romani, che avevano avviato il genere, erano solo
dei vecchi ricordi, con la loro superata unicità delle rappresentazioni. Nacque infatti in questo periodo il concetto di
repertorio, e le opere venivano riproposte con cadenza sempre più serrata fino ad arrivare alla creazione di vere e
proprie stagioni teatrali.

Succedeva talvolta che le opere venissero inscenate anche in più città, come nel caso de "Il Giasone" di Cavalli, data
prima a Venezia e poi a Bologna almeno per tre volte; oppure de "La finta pazza" di Sacrati, ritenuta tra l'altro perduta
fino a pochi anni fa, inscenata per la prima volta a Venezia nel 1641.

Le figure italiane, assieme al già trattato Monteverdi, che si distinsero nel Seicento operistico furono Antonio
Cesti e Alessandro Stradella.

Del primo, nato ad Arezzo, attivo lungamente a Venezia e all'estero (Vienna ed Innsbruck), ricordiamo "l'Orontea", "Il
pomo d'oro", estremamente lunga e complessa della quale ci sono rimasti i bozzetti di scena di Ludovico Burnacini.

Stradella lavorò invece a Roma e in altre varie parti della penisola. La sua opera di maggior successo fu "Il trespolo
tutore", ma di lui ricordiamo anche le numerose rielaborazioni ed aggiunte per opere altrui.

16.4 ­ L'opera napoletana

La suola operistica napoletana nacque nel '600 sull'onda del modello veneziano, che tanto successo stava riscuotendo
in tutta la penisola italiana. Dopo i primi successi per alcune rappresentazioni di opere di Cavalli e di Monteverdi, Napoli
iniziò a sviluppare alcuni elementi stilistici propri: il primo grande maestro in tal senso fu Francesco Provenzale, già
maestro di cappella in varie chiese della città e anche presso la corte, che traspose la melodiosità gioiosa tipica della
villanella cinquecentesca, nella nuova musica monodica per le scene.

Non bisogna dimenticare che durante il '600 vi era a Napoli la corte del vice-rè di Spagna, il quale non vedeva di buon
occhio le tendenze artistiche che miravano a sviluppare un proprio stile musicale come espressione della sovranità ed
in contrasto con la dominazione straniera. Tali tendenze, ovviamente appoggiate dall'alta nobiltà locale, che per contro
non vedeva di buon occhio l'ingombrante presenza spagnola, trovarono terreno fertile nella disponibilità ad ospitare le
rappresentazioni teatrali nei palazzi nobiliari prima ancora che in quelli "pubblici", tra i quali sorse su tutti il
S.Bartolomeo (1654).
Per tentare di arginare il fenomeno, il vice-re di Spagna chiamò una serie di maestri forestieri al fine di mantenere il
nascente genere del melodramma al di sopra di qualsiasi tendenza campanilistica. Arrivarono così a Napoli il maestro
di cappella veneziano Ziani e successivamente il grande Alessandro Scarlatti.

Il palermitano Alessandro Scarlatti (1660-1725), padre del famoso cembalista e compositore Domenico, dopo gli
studi a Roma, giunse ben presto alla corte di Napoli e mantenne, durante la sua intensa carriera di compositore,
numerosi rapporti anche con altri centri della penisola, come Venezia, Firenze e Roma.

Uomo molto astuto, fu un compositore molto prolifico, spaziando infatti dal genere del concerto grosso a quello
toccatistico, dalle cantate agli oratori, passando ovviamente per il melodramma.

Della produzione melodrammatica si contano ben 63 opere, delle quali solamente 35 giunte a noi in partitura, tra le
quali possiamo senz'altro citare l'ultima, inscenata nel 1721, dal titolo "La Griselda", che narrava la vicenda di una
giovane contadina che riuscì ad imporsi nella nobiltà divenendo regina, basata sull'ultima novella del Decameron di
Boccaccio.

Scarlatti fu, per così dire, il codificatore dello stile operistico italiano del '600, grazie alla sua vena particolarmente
diligente ed ordinata. Le sue opere erano tutte in tre atti, generalmente definibili "serie" anche se infarcite spesso di
scene scherzose e bizzarre, e basate sull'alternanza di arie con da capo e recitativi secchi (talvolta accompagnati dal
basso continuo).

Scarlatti codificò anche la sinfonia d'apertura "in stile italiano", costituita dall'alternarsi "allegro-adagio-allegro (o
presto)", in contrapposizione all'opposto modello francese utilizzato da Lully (v.tesi n.20).

Molto felice fu l'ispirazione melodica, supportata anche da una grande (ed inusuale per gli operisti) perizia
contrappuntistica: può essere infatti considerato l'ultimo grande maestro italiano del '600, discendente dalla scuola
fiamminga poichè nelle sue opere si hanno spesso elementi di notevole complessità formale ed esecutiva.

Nel catalogo delle opere si ricordano "Mitridate Eupatore", "Pirro e Demetrio" e "Attilio Regolo".

Tesi n.17 ­ L'opera italiana nel '700

17.1 ­ Quadro storico

Il Settecento fu un secolo di relativa pace in tutta l'Europa: la Francia vide la caduta del Re Sole dopo anni di grande
sviluppo del proprio impero coloniale (al pari dell'Inghilterra); la Spagna vide invece la salita al trono dei discendenti dei
Borbone francesi che resisterà fino ai giorni nostri (Juan Carlos); mentre vicino a quel che restava del Sacro Romano
Impero, ora più propriamente detto Impero Austro-Ungarico, iniziò la lenta e progressiva ascesa del ducato di Prussia.

La Russia, dopo secoli di forte attaccamento alla cultura prevalentemente asiatica, si volse più direttamente alle
vicende continentali, . soprattutto sotto il regno dello Zar Pietro I "il grande", quando venne fondata S.Pietroburgo
(1703) come importante centro di cultura proiettato sulle rive del Golfo di Finlandia e quindi molto più facilmente
raggiungibile rispetto alla più sperduta Mosca.

Per quanto riguarda il pensiero, iniziarono a farsi largo le prime idee liberali che via via attaccarono sempre più
direttamente gli assolutismi monarchici, come in Francia, dove si assistette a fine secolo alla grande rivoluzione del
1789; o in Inghilterra, dove Locke promosse la tolleranza e la libertà di culto.
Dal punto i vista artistico il primo settecento si configurò come un'appendice del periodo barocco, che vedeva nascere,
tra le altre cose, lo stile rococò in Francia come espressione del nuovo gusto galante in contrapposizione all'estrema
ricerca dell'ornamentazione che caratterizzava il barocco.

17.2 ­ Metastasio

Ambitissimo centro musicale era al tempo la corte dell'Imperatore a Vienna, dove si succedettero vari maestri di
cappella italiani, da Stampiglia ad Apostolo Zenoed infine, a partire dal 1730, Pietro Metastasio.

Di Zeno, autore veneziano, ricordiamo i 36 libretti d'opera (taluni musicati anche più di venti volte). La sua visione
proponeva la centralità del ruolo del librettista al fine del risultato, in quanto egli era il responsabile della scelta dei
soggetti (apprezzava molto Racine) e doveva indirizzare l'opera verso il filone "serio".

Pietro Metastasio, nato a Roma nel 1698, fu in gioventù allievo di Gravina, e manifestò sin da subito la sua grande
dote di poeta, anche nel campo dell'improvvisazione.

Dopo una prima parte della sua vita artistica molto prolifica, visse sugli allori dal suo trasferimento alla corte viennese
nel 1730 dedicandosi alla scrittura di poesie e di sonetti per le occasioni celebrative di corte.

La struttura dei suoi 27 libretti d'opera rispecchiava una forma molto regolare, con opere divise in 3 atti, pochi
personaggi, e la presenza della "doppia coppia" (una di carattere nobile che sviluppava la vicenda amorosa di primo
piano e una di carattere più popolare che faceva da cornice) che assicurava un intreccio nell'azione scenica.

Anche l'impaginazione del libretto era molto curata, con la suddivisione tra Recitativo ed Aria e trovava riscontro anche
in una accurata disposizione dei versi nella pagina. Contrariamente, le arie erano spesso molto generiche nei versi
poetici, tanto da poter essere intercambiabili da un'opera all'altra, e venivano programmate anche per i personaggi
meno importanti.

Le arie per i personaggi principali erano invece molto differenti tra loro a seconda del momento/azione scenica:
patetiche, brillanti, elegiache, di furore (chiamate anche di "bravura" o di "paragone" perché spesso si paragonava lo
stato d'animo del personaggio ad elementi marini).

La struttura delle sue arie seguiva la classica forma bipartita del modello A-B-A'.

Possiamo considerare Metastasio come il più grande librettista di tutti i tempi grazie alla piacevolissima e fluidissima
scorrevolezza dei suoi versi, tanto che alcuni suoi libretti vennero musicati fino a 70-80 volte anche molti anni dopo la
sua morte, sopravvenuta nel 1782 a Vienna.

17.3 La scuola operistica napoletana e Pergolesi

Dopo una lunga e dolorosa dominazione spagnola l'Italia subì, nel primo Settecento, il controllo dell'impero Austro-
Ungarico, che all'inizio si rivelò meno prepotente del predecessore.

In questo periodo nacque a Napoli la cosiddetta "commedia per musica", antenata del genere dell'"opera comica", che
si sviluppò nei neonati (e dedicati) teatri cittadini del "Teatro Nuovo", "Teatro della Pace", "Teatro dei Fiorentini" (il più
importante) in contrapposizione al melodramma di stampo "serio" che aveva nel teatro S.Bartolomeo il suo feudo.
I contenuti della commedia per musica erano ovviamente di matrice poco seria, ed in alcuni casi in aperto contrasto
con alcuni simboli, come la Chiesa e le istituzioni.

Nell'opera seria, a partire dal librettista Zeno, si iniziarono a confinare le scene di carattere comico alla fine di ciascun
atto, soprattutto i primi due, fino ad ottenere una vera e propria alternanza di atti seri e di piccoli "intermezzi comici",
così definiti, come ben attuato nel massimo capolavoro in tal senso "La serva padrona" di G.B.Pergolesi.

Nel 1737 venne fondato il teatro S.Carlo che si affiancò all'inizio al più antico S.Bartolomeo nella messa in scena di
opere serie, e diverrà ben presto uno dei più prestigiosi in Europa, grazie anche all'altissimo livello tecnico della propria
orchestra stabile. Il teatro venne inaugurato con un'opera di Sarro, "Achille in Sciro" su libretto di Metastasio.

Tra gli altri operisti della scuola napoletana citiamo Nicola Porpora, che si rese protagonista di una grande carriera
anche in Europa: fu a lungo a Vienna dove rivaleggiò con Händel, e a Dresda, dove aprì una gloriosa scuola di canto;
Leonardo Vinci e Leonardo Leo, che musicarono alcuni libretti di Metastasio, tra cui spicca "Li zite in galera" (le ragazze
in barca) del secondo.

Fiorirono in questo periodo i conservatori. Già protagonisti nel '600 di un importante ruolo di assistenza sociale ai
bambini abbandonati, ne troviamo attivi molti nel primo Settecento: a Napoli, "I poveri di S.Cristo", "La pietà dei
turchini", "Santa Maria di Loreto" e "Sant'Onofrio", che verranno uniti durante il secolo seguente nell'attuale "S.Pietro a
Maiella".

La scuola napoletana aveva però in Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736) il suo massimo rappresentante;
nonostante la sua breve vita guadagnò ben presto una grandissima fama e fu un vero simbolo della scuola italiana e
del melodismo. Anche Verdi lo considererà, assieme a Palestrina, una delle figure più importanti della storia della
musica italiana.

Di Pergolesi ci sono pervenute molte opere (anche se molte spurie): concerti, sonate, cantate, commedie per musica
(tra cui spicca "Lo frate 'nnamorato") e soprattutto opere serie.

I suoi capolavori furono "La serva padrona", su libretto di Federico, inscenata per la prima volta nel 1733, e
"L'Olimpiade" su libretti di Metastasio.

Il suo melodismo essenziale era davvero memorabile e risultava assai incisivo per l'ascoltatore, secondo un carattere
tipicamente italiano e napoletano in particolare.

Di Pergolesi ricordiamo anche il suo contributo alla musica sacra, con la famosa sequenza "Stabat Mater" di Jacopone
da Todi musicata per soprano, contralto, archi e basso continuo (organo) che venne riammessa tra quelle accettate
dalla Chiesa assieme alle quattro permesse dal Concilio di Trento del XVI secolo.

17.4 La scuola veneziana

A differenza della scuola napoletana, i compositori attivi a Venezia nel primo Settecento si impegnarono anche nel
genere strumentale, raggiungendo tra l'altro ottimi risultati: Albinoni, Marcello, Vivaldi, furono tutti nomi che lasciarono
un segno indelebile anche al di fuori del melodramma.

Non fu un caso infatti che, anche gli stili, vocale e strumentale, si compenetrassero spesso in questi compositori:
spesso le arie ricordavano la sarabanda e i pezzi brillanti delle gagliarde.
Anche a Venezia erano attivi molti conservatori, ma con destinazione rigorosamente femminile: "La Pietà",
"l'Ospedaletto", "I mendicanti" e "gli Incurabili".

Tra i grandi nomi citiamo il toscano Gasparini, già direttore de "La Pietà", Caldara, Lotti, Albinoni (del quale le molte
partiture operistiche sono andate tutte perdute), e Marcello.

Benedetto Marcello fu il classico musicista "dilettante" che divise la carriera musicale con quella diplomatica, ma fu
anche un scrittore e teorico come testimonia il libro "Il teatro alla moda", edito attorno al 1720, nel quale attaccava
Vivaldi e l'opera veneziana in generale con una sottile vena di ironia che non risparmiava compositori, cantanti,
librettisti, costumisti, direttori, ecc...

La sua produzione includeva anche Salmi a quattro voci su testi latini, alcune sonate per flauto e basso continuo e una
scarsa produzione operistica.

Tesi n.18 ­ L'opera comica e l'opera seria

Pagina in costruzione

Tesi n.19 ­ La riforma di Gluck

19.1 La crisi dell'opera seria nel primo Settecento

Dopo circa un secolo di vita iniziarono le prime analisi, e con esse le prime critiche, alla neonata forma del
Melodramma.

Al pensiero del Crescimbeni, che addirittura sminuì il melodramma non considerandolo tra i generi letterari nobili, seguì
quello del Gravina e del Muratori, che pur accettando di diritto questa nuova forma d'arte non la considerano in grado
di produrre quella catarsi sull'animo umano propria delle arti, anche perché la musica troppo virtuosistica non
permetteva di capire i preziosi versi poetici che venivano pronunciati.

Complessivamente il melodramma era considerato, dai pensatori e letterati che ovviamente avevano un'intrinseca
affinità più verso la poesia che verso la musica, una forma artistica troppo sbilanciata a favore di quest'ultima, con
estremo sfoggio di virtuosismo che offuscava la grande espressione poetica.

A queste posizioni si affiancava quella di Martello, che rappresentava una linea più morbida interpretando il
melodramma come la convergenza di tutte le arti, nella quale esse collaboravano tra loro esaltandosi a vicenda;
visione analoga a quella che farà di Wagner un punto di riferimento nella musica tedesca soltanto un secolo più tardi.
Anche se le critiche si appianarono lievemente all'apparire dei libretti metastasiani sulle scene, la generazione di
pensatori successiva, che si riconosceva negli ideali illuministi, risollevò il problema tracciando nel contempo un
indirizzo per risolvere la questione. L'intervento forse più autorevole in tal senso fu quello di Francesco Algarotti, autore
del "saggio sopra l'opera in musica" nel 1755 che preannunciava inconsciamente alcune delle riforme introdotte da
Calzabigi e Gluck.

Anche alcuni compositori mostrarono un atteggiamento piuttosto polemico nei confronti del melodramma, come fu il
caso del veneziano Benedetto Marcello, che nel suo saggio "Il teatro alla moda", pubblicato nel 1720, attaccava con
satira non troppo velata l'organizzazione impresariale formatasi attorno all'opera, non risparmiando compositori
(Vivaldi in primis), librettisti, costumisti, attori, cantanti, scenografi, impresari, tutti.

Il clima di polemica non risparmiò nemmeno la Francia, l'unico paese nel quale l'espressione musicale del melodramma
aveva acquistato una forte rilevanza grazie anche ad una grande scuola di maestri. Si originarono infatti tre "querelles"
(dispute) tra lullisti e ramisti (v.tesi n.20, paragrafo 2), tra buffonisti e antibuffonisti (v.tesi n.20, paragrafo 2) e nel
secondo settecento tra gluckisti e piccinnisti (vedi di seguito).

19.2 Gluck

Christoph Willibald Gluck (1714-1787), nacque ad Erasbach, piccolo villaggio del Palatinato bavarese e dopo
l'infanzia si stabilì a Praga, per studiare nell'università cittadina e successivamente nella Vienna imperiale a partire dal
1735 al seguito del principe Lobkovitz, come membro della sua cappella musicale. Lì conobbe il conte italiano Melzi,
che lo invitò a recarsi a Milano per studiare sotto la sapiente guida del maestro Sammartini, celebrato soprattutto nella
produzione strumentale.

A partire dal 1741 Gluck intraprese la carriera di compositore, musicando varie opere per teatri italiani soprattutto di
Milano e di Venezia, prima di recarsi (1745) a Londra dove felicissimo si rivelò l'incontro con Händel dei cui oratori si
innamorò subito.

Rientrato a Vienna iniziò a maturare le linee guida del suo progetto di rinnovamento musicale dell'opera seria italiana,
assieme al librettista livornese Ranieri de' Calzabigi; il primo lavoro in tal senso fu considerato "Orfeo ed Euridice",
inscenato nel 1762, mentre si distinsero "Alceste" e "Paride ed Elena" come altri prodotti di rinnovamento musicale
frutti di una collaborazione tra musicista e librettista (fatto alquanto raro).

Il rinnovamento minò parzialmente l'equilibrio dei libretti di Metastasio a favore di un progressivo appianamento del
divario tra recitativi ed arie, mediante il sostenimento dei primi con tutta l'orchestra al posto del solo basso continuo; e
soprattutto con l'introduzione dei cori e balli (entrambi estranei all'opera italiana ma apprezzatissimi in ambito francese
ed inglese). Il coro diventò così elemento di scena, coinvolto nell'azione, che alle volte diveniva personaggio attivo e
recitante. La sinfonia d'apertura non era più un brano a sé stante, ma estremamente funzionale all'introduzione
dell'azione scenica e spessissimo terminava con uno sfumando nel primo pezzo dell'opera vera e propria.

Le innovazioni pensate da Gluck furono mirabilmente descritte nella prefazione da lui stesso scritta alla partitura
dell'Alceste.

Parallelamente, vista la sua totale disponibilità a lavorare su commissione anche ad opéras-comiques e balletti di
stampo francese che incuriosivano il pubblico viennese, si fece largo l'idea di rinnovamento anche del teatro musicale
di Parigi e così, a partire dal 1773 si trasferì nella capitale francese. Le rappresentazioni di quegli anni, come "Iphigénie
en Aulide" e una versione francese dell'"Orfeo" scatenarono accese polemiche tra suoi ammiratori e polemisti, che
preferivano la tradizione di Rameau o lo stile di Piccinni.
Rientrato a Vienna nel 1779, vi rimase fino alla morte, nel 1787.

Dopo l'opera di rinnovamento di Gluck, è interessante notare che mentre i suoi dettami rimasero punti fermi nello
sviluppo della musica melodrammatica francese, furono in realtà compositori italiani attivi a Parigi a perpetuare per
molti decenni questa tendenza. Non stupisce che proprio tra i seguaci di Gluck vi fu proprio quel Piccinni che, mentre
l'antagonista era in vita, caricò una accesa polemica nei suoi confronti, segno che probabilmente alla fine egli capì
l'importanza e il valore dell'opera di rinnovamento musicale del compositore tedesco.

Anche l'italiano Antonio Salieri, che aveva attestato la sua dimora stabile alla corte di Vienna mostrò di attestarsi nelle
sue opere di scena nel filone dei seguaci di Gluck, come dimistrato da l'"Armida", e "Les Danaides", la sua prima opera
commissionata per il pubblico francese. Salieri fu anche un'importante figura di maestro ed antagonista di Mozart nella
corte viennese.

Tesi n.20 ­ L'opera in Europa tra '600 e '700

20.1 ­ Inghilterra

Se le esperienze della "musica di scena" e del "masque" di corte avevano dominato la prima metà del Seicento, ecco
ora affacciarsi, con il compositore Henry Purcell (1659-1695) il vero e proprio melodramma.

Già compositore alla corte di Carlo II d'Inghilterra, ci ha lasciato varia musica strumentale, tra cui ricordiamo le sonate
a tre e a quattro parti, e soprattutto il melodramma "Dido and Eneas" (Didone ed Enea), ottimo esempio dramma in
stile inglese.

L'opera, piuttosto breve, contrapponeva allo stile tipicamente italiano, che faceva largo uso del recitativo secco
monteverdiano, un'ariosità decisamente più inglese; inoltre, il protagonista maschile Enea, veniva interpretato da un
basso-baritono in luogo della consuetudine italiana che vedeva spesso i castrati-maschili in questi ruoli.

Purcell fu un autore estremamente importante per la definizione di una vera e propria scuola inglese che, dopo di lui,
non seppe più esibire talenti musicali di portata europea fino a Benjamin Britten.

Dopo l'esperienza di Henry Purcell si sviluppò, nel primo Settecento, il genere del Ballad-Opera (Ballad è inteso come
canzone), che vide una breve fortuna nell'arco di una cinquantina di opere. Argomenti leggeri, ambientazioni umili,
canti popolareggianti, alternanza di parti cantate e recitate, furono gli elementi stilistici portanti, mentre il vero
capolavoro fu considerato "Beggar's Opera" (l'opera del mendicante) su libretto di John Gay e musiche di Johann
Christoph Pepusch.

20.2 ­ Francia

La Francia fu l'unica porzione d'Europa a non accogliere favorevolmente il melodramma italiano, preferendo tentare di
contrapporre un analogo genere di propria produzione.

La figura dominante durante il '600 fu l'italiano Giovanni Battista Lulli (1632-1687). Fiorentino di nascita, ma
francese di adozione, riuscì giovanissimo a trasferirsi a Parigi, dove ben presto ottenne i favori di Re Luigi XIV, il "Re
Sole".

Personaggio estremamente scaltro ed opportunista, ma con scarse basi nel contrappunto che gli impedirono di
cimentarsi nei generi più tecnicamente impegnativi della composizione, si dedicò alla fondazione di un genere
melodrammatico di matrice tipicamente francese, riuscendo ad ergersi come riferimento assoluto nel panorama
musicale del tempo.

Egli ottenne infatti una sorta di brevetto e di "esclusiva" alla rappresentazione operistica finché fu in vita. Per tutto il
'700, anche le generazioni seguenti di compositori francesi, si dovettero misurare con la sua ingombrante figura e con
la relativa eredità artistica.

Compose in tutto quattordici opere, tra cui ricordiamo "Armida", inscenata nel 1686, di stampo cavalleresco.

L'importanza dell'opera di Lulli, o meglio di Lully, fu nell'aver recepito i gusti del pubblico francese e nell'aver
conseguentemente adattato il melodramma francese secondo questi canoni. Ecco così la compenetrazione tra le arie
(che facevano uso di melodie estremamente semplici e dirette) e i recitativi, il rifiuto dei castrati a favore dei più integri
tenori, gli argomenti spesso mitologici (da Corneille e Racine, molto apprezzati), l'introduzione della danza, così cara a
corte.

Dal punto di vista strumentale egli si affidò ad organici orchestrali più vari e vasti rispetto a quelli italiani: non solo
archi, ma anche fiati, trombe, ecc... ed inventò la sinfonia d'apertura in stile francese, l'Ouverture, formata secondo la
struttura adagio-allegro eventualmente seguiti da un ulteriore adagio conclusivo, in luogo della forma italiana allegro-
adagio-allegro.

Durante il primo Settecento nacque il genere dell'Opera-Ballet per merito di Collasse, con argomento esotico o
pastorale, suddiviso in tre atti, e una massiccia presenza di danze che ne facevano quasi una rivisitazione del balletto
di corte Seicentesco.

Il teatro serio del dopo Lully vide fiorire il genere della Tragedie-Lyriques anche per merito dell'italiano di origine
francese André Campra. Ma fu la figura di Rameau a raccogliere in tal senso il testimone di Lully.

Jean Philippe Rameau (1683-1764) prese il posto della ingombrante figura di Lully nel panorama del teatro musicale
francese nel primo Settecento. Egli fu prima che compositore un grande teorico, e nel 1722 pubblicò un "Trattato di
armonia ridotta ai suoi principi naturali" che costituiva di fatto la prima codificazione dell'armonia tonale moderna, già
anticipata dalle intuizioni cinquecentesche di Zarlino e Glareanus. La sua audacia armonica fu uno dei principali motivi
che sollevarono dapprima i convinti conservatori "lullisti" e in una fase più avanzata i cosiddetti "modernisti" (tra cui
Russeau), che preferivano invece lo stile dell'opera italiana perfezionata da Pergolesi.

I tratti salienti dello stile di Rameau furono una grande abilità nell'orchestrazione, che si traduceva in una presenza
massiccia di pezzi strumentali all'interno delle sue opere, molto più di quanto avveniva in Italia e spesso anche con
risultati qualitativamente superiori. A tal proposito la musica strumentale presente nei suoi melodrammi veniva già
identificata con il termine di "symphonie".

Tra le maggiori opere di Rameau possiamo citare: Zoroastre, la commedia Platée, Hippolyte et Aricie, Castor et Pollux.

Nacque infine, sempre nella prima parte del secolo, il terzo genere del teatro per musica francese che godrà di grandi
fortune per tutto l'Ottocento: l'Opera-Comique, con alternanza di parti recitate e parti cantate, di argomento leggero e
ovviamente finale lieto; che avrà nell'opera-comica napoletana e nel Singspiel le controparti rispettivamente italiana e
tedesca.

20.3 ­ Austria e Germania
Nei territori di lingua tedesca vi fu, a cavallo tra Sei e Settecento, un timido tentativo di generare un prodotto artistico
affine al melodramma italiano, basandosi su uno stile però tipicamente germanico. In realtà in questo periodo della
storia tedesca l'unico vero e proprio episodio in tal senso fu il tentativo del teatro di Amburgo, che per circa un
cinquantennio riuscì ad inscenare alcune opere in tedesco, prima di cedere il passo ai compositori nostrani.

L'esperienza del teatro di Amburgo fu però significativa perché a seguito di alcune rappresentazioni di Ballad-Opera di
operisti inglesi, costituì un ottimo trampolino di lancio per il genere del Singspiel, una forma teatrale sviluppatasi alla
corte di Vienna, la cui caratteristica principale era l'alternarsi di parti cantate ad altre musicate. Gli argomenti prescelti
per questa forma artistica erano popolari, leggeri, così come erano popolari e facilmente orecchiabili, le melodie che
venivano adottate.

I maggiori compositori nel genere del Singspiel furono Hiller e Benda nella Germania centro-settentrionale, e Karl
Ditters von Dittersdorf tra i viennesi.

In realtà l'esperienza del Singspiel potrebbe essere considerato un prodotto locale di scarso successo, se nella seconda
parte del Settecento non fossero stati prodotti alcuni massimi capolavori come "Il ratto del serraglio" e "Il flauto
magico" di Mozart, il "Fidelio" di Beethoven ed alcune opere giovanili di Schubert.

Tesi n.21 ­ L'opera italiana in Europa tra '600 e '700

21.1 ­ L'opera italiana in Francia

A seguito della morte del pontefice Urbano VIII della casata dei Barberini nel 1644, si ebbe un drastico
ridimensionamento dello sviluppo dell'opera a Roma, tanto che i discendenti del pontefice defunto si ripararono in
Francia sotto la protezione del potente cardinale di origine italiana Giulio Mazarino.

Mazarino, tradendo quindi le sue origini, avviò un'importante opera di rinnovamento musicale in Francia tentando di
promuovere la cultura italiana, anche attraverso la rappresentazione di opere nostrane; le prime esperienze in tal
senso furono "La finta pazza" di Sacrati e l'"Egisto" di Cavalli, seguite poco dopo dalla prima opera espressamente
composta per il teatro francese: "Orfeo" di Luigi Rossi. I propositi di Mazarino non trovarono però felice applicazione, in
quanto il pubblico si dimostrò alquanto freddo nei confronti del prodotto italiano, tant'é che alla sua morte, il nuovo
primo ministro francese, J.B.Colbert, favorì una pronta restaurazione dell'integrità culturale locale che trovò piena
identità di vedute e pratica attuazione nell'opera di J.B.Lully (v.tesi n.20), che pure aveva ben assimilato i modelli
italiani.

Morto Lully (1687), la Francia tornò ad ospitare prodotti italiani, come nel caso di Charpentier, allievo di Carissimi a
Roma, e soprattutto con "La serva padrona" di Pergolesi, rappresentata nel 1752 da una compagnia teatrale italiana,
che visto il grandissimo successo rimase nella capitale francese per quasi due anni inscenando un totale di 12 opere,
tutte di genere comico.

Ciò portò alla nascita di una polemica, nota con il nome di "Querelle des Bouffons", che contrappose i sostenitori di
questa nuova esportazione italiana, ormai stanchi delle opere di Lully e Rameau, ad illustri pensatori francesi, come
J.J.Rousseau. Tale querelle ebbe però il merito di seppellire l'arida e ormai superata polemica tra lullisti e ramisti che nel
primo Settecento aveva imperversato.

E' indubbio però che le esperienze italiane di quegli anni diedero un contributo notevole allo sviluppo dell'opera
francese particolarmente nel settore dell'opéra-comique.
21.2 ­ L'opera italiana in Austria e Germania

L'opera italiana del Seicento era stata alquanto apprezzata nei paesi di lingua tedesca, anche se al carattere
tipicamente impresariale del melodramma nostrano, si era ovviamente sostituito un ambito più cortigiano ed
aristocratico.

In particolare Vienna, ma poi anche altre città, come Berlino, Dresda e Monaco, accolsero di buon grado lo spettacolo
del melodramma italiano che rappresentava un'ottima espressione del potere del sovrano vista la grandiosità
dell'allestimento e del prodotto.

Le opere venivano espressamente composte per la rappresentazione nei teatri o nelle cappelle tedesche, che
disponevano tra le altre cose di mezzi economici più corposi perché finanziate direttamente da potenti nobili e sovrani;
anche le orchestre erano molto più numerose e più eterogenee nella composizione strumentale, mentre gli sfarzosi
allestimenti non costituivano un problema ma anzi un vanto.

Solo nella seconda metà del Settecento il modello impresariale attecchì nel tessuto tedesco, poiché la crescente
attenzione ai costi ed il crescente desiderio anche del ceto medio di poter partecipare alle rappresentazioni, limitarono
l'ambito cortigiano tipico del melodramma seicentesco.

Figura importantissima nell'avviamento dell'opera seria italiana a Vienna fu l'imperatore Leopoldo I, potente sovrano di
un impero vastissimo che, capita l'importanza e la pregnanza del messaggio musicale, si fece promotore di molte
iniziative in tal senso. Egli istituì, ad esempio la carica di "poeta cesareo", affidando poi tali incarichi a poeti e librettisti
nostrani, come Apostolo Zeno e Pietro Metastasio, in quanto riteneva la lingua italiana dotata di un carattere di
universalità, almeno nell'ambito teatrale.

Anche i successori di Leopoldo I, come Giuseppe I, Maria Teresa d'Austria e Giuseppe II, si dimostrarono sensibili nel
seguire le linee del potente antenato.

21.3 ­ L'opera italiana in Inghilterra

La prima esperienza operistica italiana (recitativi cantati) a Londra fu nel 1705 quando venne inscenata "Arsinoe regina
di Cipro", su libretto tradotto di Stanzani, opportunamente in inglese, con musiche del mediocre compositore Clayton; a
questa seguirono altre opere in lingua sia inglese che italiana, finché fu quest'ultima a prevalere.

La prima opera eseguita interamente in italiano fu "Almahide", di Bononcini, mentre pochi anni più tardi, nel 1720,
alcuni addetti ai lavori fondarono la Royal Accademy of Music, con sede nel celebre King's Theatre ,che fornì un posto
stabile per poter rappresentare l'opera in italiano.

I librettisti furono Paolo Rolli e Nicola Hayn, mentre il maestro d'orchestra venne individuato in Händel, assieme però a
Bononcini e Ariosti. L'opera di Händel "Radamisto" nel 1720 inaugurò la serie delle opere italiane prodotte in questo
ambito e avviò una felice tradizione che proseguì anche successivamente, quando il celebre compositore tedesco si
ritirò verso gli anni '40 dai gravosi impegni di operista per dedicarsi al genere dell'oratorio (v.tesi n.27).

21.4 ­ L'opera italiana in Russia

La prima esperienza di opera italiana fu nel 1735, con il compositore napoletano Francesco Araja, che rappresentò
anche il primo melodramma in lingua russa "Tsefal e i Prokris" (Cefalo e Procri). Mentre successivamente, attorno al
1757, una compagnia teatrale diretta da Lampugnani portò nuovamente il prodotto operistico italiano in Russia
ottenendo grandi successi.

Il periodo dal 1762 al 1796 permise all'opera italiana di godere di grandi splendori, grazie soprattutto alla zarina
Caterina II, sovrana molto intraprendente e di ottima cultura, che nel corso del suo regno chiamò a S.Pietroburgo vari
maestri di cappella italiani, come il compositore e cembalista Baldassare Galuppi, Tommaso Traetta, Giovanni Paisiello
(che fece anche rappresentare "La serva padrona" sullo stesso libretto che era servito a Pergolesi, e "Il barbiere di
Siviglia"), Giuseppe Sarti, Domenico Cimarosa.

Attorno al 1800 fu poi il compositore veneziano Caterino Cavos che, ottenuta la direzione dei teatri imperiali a
S.Pietroburgo, iniziò a comporre opere su soggetti ed ambientazioni russi, facendo largo uso delle melodie popolari ed
anticipando l'opera di Glinka.

Tesi n.22 ­ L'opera italiana nell'800

22.1 ­ Quadro storico

L’opera teatrale fu di gran lunga il fenomeno musicale dominante in Italia durante il secolo XIX.

L’attenzione del pubblico, dai tradizionali ceti nobiliari ed alto locati alla media e piccola borghesia, dimostrarono assai
più attenzione alla produzione operistica rispetto ai generi di musica strumentale e sacra in genere.

La stessa linea di tendenza investì anche i maggiori compositori italiani, che si concentrarono prevalentemente sul
genere operistico realizzando un prodotto estremamente apprezzato e riconosciuto anche all’estero.

La realtà artistica dell’opera in Italia fu, nel secolo scorso, anche un fenomeno sociale e di costume, che rispecchiò
appieno le mutate condizioni sociali, i mutati equilibri tra i vari ceti e più in generale il crescente spirito patriottico che
accompagnava le vicende storiche.

La vera e propria corrente artistica del romanticismo, anche se meno radicale di quella nata in origine in Germania, fu
in Italia associata proprio al fermento interiore legata anche alle vicessitudini storiche che la nostra penisola visse in
quei decenni; val la pena ricordare che il Romanticismo fu il primo vero e proprio movimento artistico-culturale che non
nacque in Italia, ma che venne da noi “importato” dai paesi dell’Europa centrale.

Le tappe che portarono all’affermazione del movimento romantico in Italia possono essere riassunte come segue.

Nel 1816 venne pubblicato l’articolo dell’intellettuale Madame de Stael sulla rivista milanese “La biblioteca italiana”,
riguardante l’utilità delle traduzioni. Questo articolo suonò come un monito ed un suggerimento ai pensatori, filosofi ed
in generale artisti nostrani affinché ascoltassero ed accogliessero il movimento romantico dall’estero (Germania innanzi
tutto).

Nel 1827 venne rappresentata la prima opera tipicamente di estetica romantica prodotta in Italia; si tratta del "Pirata"
di Bellini.

Nel 1836 il patriota Giuseppe Mazzini, allora in esilio in Francia, pubblicò un fascicolo intitolato “Filosofia della Musica”,
nel quale esaltava Rossini, ponendolo al vertice dei compositori nostrani. In tale pubblicazione Mazzini indicava inoltre
le sue teorie sulle linee guida della riforma operistica italiana per gli anni a venire (dopo Rossini appunto). Seguendo le
sue ben note idee patriottiche, i fini da perseguire nel fenomeno teatrale erano imbevuti di moralità, messaggi forti di
unità politica e sociale. L’articolo era dedicato ad un ignoto (Ignoto numini) ed ipotetico compositore, che avrebbe
dovuto raccogliere e tradurre in pratica le proprie idee. Esse verranno poi seguite, inconsciamente, da Donizetti, Bellini
e Verdi.

La realtà artistica del teatro italiano ottocentesco fu un fenomeno legato strettamente al fattore impresariale.
Moltissime erano infatti nel periodo le stagioni effettive sia nei teatri principali, a cui accedevano prevalentemente i
ceti più alti, sia in quelli secondari frequentati da medio-basso borghesi. Quelle principali erano articolate nei periodi di
carnevale, di quaresima, autunnale ed estiva.

La richiesta di produzione era assolutamente imponente e gli impresari allestivano una quantità di serate davvero
rimarchevole. Spesso all’interno della stessa stagione venivano ripetute anche per diverse serate le opere di maggior
successo.

In questo periodo vennero a tal scopo edificati molti nuovi teatri, con tecniche decisamente più moderne, molti dei
quali sono ancora attivi.

Altro fenomeno direttamente collegato allo sviluppo del teatro italiano, fu il fiorire dell’editoria musicale, ad opera di
varie case come la Ricordi (fondata nel 1808) che via via diventarono un importante anello di congiunzione tra gli
impresari teatrali da una parte e i compositori e i librettisti dall’altra. Sempre più spesso infatti le case editrici curavano
le edizioni operistiche rendendole via via sempre più dettagliate e comprensive anche di vere e proprie guide di
sceneggiatura e di rappresentazioni costumistiche, per fornire un prodotto quanto più possibile completo a coloro i
quali si sarebbero dovuti occupare della messa in scena delle opere.

Una piaga dilagante, contro la quale gli editori dovettero combattere, fu il fiorire del mercato della pirateria che spesso
permetteva ad impresari senza scrupoli di rappresentare le opere senza il diretto consenso dell’autore e dell’editore,
evitando così il pagamento degli oneri dovuti.

In tal senso decisive furono l’istituzione della legge sul diritto d’autore, largamente caldeggiata dai compositori (Verdi
in prima linea) e dalle case editrici nel 1865, con notevole ritardo rispetto ad altre realtà europee (vedi Francia), e
l’istituzione di organismi (la SIAE prima di tutto, nel 1882) a tutela del diritto d’autore.

Caratteristiche dell’opera romantica:

Libretti: Rispetto alla tradizione classica, aumentò l’importanza del compositore nella scelta dei libretti. I testi erano
spesso di illustri scrittori (es. Arrigo Boito, Felice Romani, …) ma la collaborazione con il compositore si faceva sempre
più stretta. Gli argomenti prescelti, maggiormente apprezzati dal pubblico, non erano più ambientati nell’antichità
classica, come avveniva nei secoli precedenti, ma nel periodo medioevale (trattano temi spesso cavallereschi, amorosi,
intriganti) e nel periodo barocco e classico. Elemento apprezzatissimo e sempre presente, era la cornice storica
verosimile, che faceva da sfondo alle vicende di scena. In tal senso ricordiamo che proprio l’800 era il secolo che vide
la nascita del genere letterario del romanzo storico ad opera di W.Scott e di A.Manzoni. Particolarmente gettonate dai
compositori erano le vicende ambientate nell’Inghilterra e nella Spagna.

Personaggi: Si distinguevano molto più nettamente le figure dei personaggi, identificate con le varie voci anche grazie
ad una abbinamento in base alla resa timbrica molto più attento che in passato. Sempre presenti erano due personaggi
maschili, nettamente distinti in un Basso (figura cattiva) e un Tenore (personaggio buono e virile), che spesso
soccombeva alle avversità della vita. Presenti inoltre, anche se non sempre, due personaggi femminili: la donna
“fatale”, vivace, e alle volte scomoda, si contrapponeva a quella buona e dolce. Dapprima queste due figure erano
affidate a due soprani (declinava infatti l’uso del Contralto femminile che piaceva tanto a Rossini), rispettivamente uno
drammatico e virtuoso, l’altro più lirico e dolce, con un canto più semplice.

Finale: In contrapposizione al finale quasi sempre positivo dell’opera settecentesca, qui le conclusioni diventavano,
tranne pochissimi casi, spesso funeste, anche se alle volte, nonostante la morte del personaggio principale, si arrivava
ad una situazione di pentimento/redenzione e di riconoscimento degli errori commessi (concetto di catarsi).

Musica: Rossini fu sempre il punto di riferimento formale fino a Verdi. C’era sempre interesse per le forme classiche (es.
aria bi-partita cantabile con cabaletta). La sinfonia d’apertura, organizzata in forma classica, vene pian piano sostituita
dal preludio, un pezzo più breve e libero. L’aria venne spesso sostituita da una forma più semplice e cantabile, la
romanza, costituita in una sola parte, strofica, di carattere non virtuosistica. Da Rossini in poi, grande importanza
rivestì il coro, che non aveva più solo funzione accompagnatoria, ma diventava parte attiva nel dramma. Spesso
rappresentava la coralità delle persone, il popolo, e pertanto rivestiva un ruolo molto apprezzato dal pubblico
ottocentesco. Il virtuosismo vocale era meno richiesto rispetto al passato. Si prestava maggiore attenzione alle
capacità vocali intese come cantabilità e timbrica. Tramontava la voce del Castrato, oltre a quella del contralto
maschile. Nascevano le figure del Baritono e del Mezzo-Soprano.

22.2 ­ Gioacchino Rossini

Gioacchino Rossini (1792-1868) nacque a Pesaro da Giuseppe Rossini (suonatore di tromba) e Anna Guidarini
(cantante soprano).

Abbandonati gli studi musicali a 18 anni, esordì come operista con “La cambiale di matrimonio” a Venezia, che gli valse
grande successo.

Dal 1815 al 1824 visse in Italia e compose varie opere serie (ricordiamo Tancredi, Otello, Armida, Mosè in Egitto,
Maometto II, Semiramide) e buffe (l’italiana in Algeri, Il turco in Italia, Il barbiere di Siviglia, Cenerentola e La Gazza
Ladra).

Dal 1824 iniziò, in seguito all’incarico ottenuto a Parigi di direttore del “Teatro Italiano”, la produzione di opere per le
scene francesi, creando nuovi melodrammi o rifacendo (rivisitando) alcune opere già composte per i teatri italiani. Si
ricordano, di questo periodo: Viaggio a Reims, Le siege de Corinthe (Maometto II), Moise et Pharaon ou Le passage de
la Mer Rouge (Mosè in Egitto), Guglielmo Tell. Quest’ultima opera segnò il congedo del Rossini operista; dopo
quest’opera infatti egli si dedicò alla produzione di altri generi di musica, componendo alcune arie e ariette da camera,
alcuni pezzi per pianoforte, 6 sonate per quartetto d’archi, alcune sinfonie, oltre a cori, cantate ed inni.

Morì nel 1868 a Parigi, dopo essere rientrato in Italia (abitò lungamente a Bologna e a Firenze fino al 1855, prima di
ristabilirsi in Francia) per alcuni anni.

22.3 ­ Bellini

Vincenzo Bellini (1801-1835) nacque a Catania da famiglia di traduzione musicale: il nonno era operista ed autore di
musica sacra. Dopo alcuni anni di soggiorno a Napoli, dove concluse gli studi presso il locale conservatorio e conobbe
tra gli altri Mercadante, fu avviato verso il palcoscenico italiano dall'impresario Barbaja, che gli consigliò di trasferirsi a
Milano.

Negli anni milanesi produsse ed inscenò con grande successo "La sonnambula" e "Norma", tanto che gli vennero
commissionate tre opere per Londra e successivamente tentò l'avventura nella difficile piazza parigina, dove rimase
fino alla morte. Agli anni del soggiorno a Parigi risale l'incontro con moltissimi personaggi delle varie arti che lì si
trovavano: da Paër, a Chopin, da Hugo, a de Musset e non ultimo a Rossini. La sua produzione annovera il grande
capolavoro "I puritani", rappresentato pochi mesi prima della morte.

Durante la sua breve vita egli fu un compositore operista poco prolifico, poco adatto a seguire i ritmi di lavoro serrati
imposti dai grandi teatri europei : la sua produzione totale ammonta solamente a 10 opere, tutte di argomento serio,
nelle quali la qualità prevale quindi senza dubbio sulla quantità.

Oggi il grande vanto della musica di Bellini è senza dubbio la felicissima invenzione melodica, che lo pone di diritto nel
vertice dei maggiori inventori di musica dell'Ottocento; mentre l'orchestrazione, spesso criticata, risente non tanto di
scarsa perizia architettonica nella padronanza della forma, quanto piuttosto proprio dell'importanza volutamente data
alla melodia nella sua musica.

22.4 ­ Donizetti

Gaetano Donizetti (1797-1848) fu, tra i grandi operisti dell'800, il compositore più prolifico di tutti, avendo spaziato
oltre alla musica di scena anche nel genere della musica sacra e strumentale.

In gioventù studiò con padre Mattei, già maestro di Rossini, a Bologna, e produsse varia musica strumentale : alcuni
quartetti per archi, concerti, sinfonie e musica sacra.

La svolta artistica, come compositore operista, avvenne a seguito del crescente successo di alcune rappresentazioni
giovanili allorché il Barbaja, noto impresario, gli commissionò una serie di opere per il teatro napoletano nel 1827.
Donizetti si legò sempre più al meridione italiano anche a seguito dell'incarico che ricoprì come direttore dei Regi Teatri
di Napoli e più avanti con la cattedra di composizione nel conservatorio partenopeo.

Nonostante questa intensa attività egli riuscì comunque a produrre opere anche per la Scala di Milano, come "Anna
Bolena", ed anzi, dopo un decennio trascorso a Napoli, tentò di ripetere l'esperienza di Rossini e di Bellini (da poco
scomparso), recandosi a Parigi: negli anni seguenti ottenne grandi successi come testimoniano i frequenti viaggi in
molte città europee per inscenare le proprie opere.

Tra le opere ricordiamo "L'elisir d'amore" (1832) e "Don Pasquale" (1843) nel filone comico, e "Lucrezia Borgia", "Maria
Stuarda", la già citata "Anna Bolena" e "Lucia di Lamermoor" nel genere serio.

Negli anni del soggiorno francese, l'apporto fornito da Donizetti al teatro d'oltralpe, fu quantitativamente limitato, ma di
alta qualità. basti pensare a lavori come l'opéra-comique "La fille du régiment" e i Grand-opéras "Les martyrs" e "La
favorite", che vennero tra l'altro tradotte in Italiano e ri-proposte in patria.

Morì nel 1847 a Bergamo.

22.5 ­ Verdi

Giuseppe Verdi (1813-1901) fu il principale operista italiano del secondo Ottocento. Egli ebbe una lunga vita che gli
consentì di rimanere sulle scene per molti decenni, e di assistere a numerosi avvenimenti storici di primaria
importanza, come per esempio l'unità d'Italia.

Il ruolo di Verdi andò quindi al di là del semplice compositore, e la sua grande popolarità si estese fino all'ideale figura
che aveva rappresentato uno dei primi punti di contatto tra le differenti culture della nostra penisola.
Nato a Le Roncole, frazione di Busseto (PR) da famiglia umile, condusse all'inizio modesti studi manifestando però
subito le sue grandi inclinazioni musicali sotto la guida del maestro Provesi, a Busseto. Lì incontrò anche Barezzi, che
ne diverrà il suo primo protettore (ne sposerà anche la figlia Margherita).

Dopo aver tentato vanamente di entrare al conservatorio di Milano, venendo respinto per limiti d'età e per la sua
provenienza forestiera (Ducato di Parma e Guastalla), rimase nella città lombarda studiando privatamente con il
maestro La Vigna, discreto operista, direttore d'orchestra ed insegnante. A Milano, Verdi respirò l'aria della grande città
e delle grandi occasioni, tant'è che dopo essere tornato a Busseto, vincendo il locale concorso per il posto di maestro di
cappella, abbandonò il "posto fisso" per tentare nuovamente l'avventura nella difficile Milano.

La sua prima opera, "Oberto, conte di S.Bonifacio", fu un successo e segnò l'esordio alla Scala. Nel 1840 la
commissione per un'opera comica, che non amava, si trasformò invece in un grosso fallimento. Fu proprio nel biennio
40-41 che Verdi pensò seriamente di abbandonare la carriera di compositore operista.

Tornò sulla sua decisione nel 1842, allorché fu assoldato per l'opera "Nabucodonosor" (più semplicemente Nabucco), da
Merelli. L'opera ottenne un caloroso successo e riabilitò pienamente Verdi nel suo ruolo di compositore, che si lanciò in
una grande carriera fino al 1893.

La sua carriera artistica lo portò a soggiornare sia nella sua villa di S.Agata presso Busseto, sia a Genova, che a Milano,
Napoli, con brevi sortite a Parigi e S.Pietroburgo.

Il significato dell'opera verdiana va ricercato, come per Wagner, nell'idea del compositore non meramente musicista,
ma capace di accollarsi anche l'onere del drammaturgo e più in generale di essere impresario di sé stesso, al fine di
controllare molti aspetti dell'opera, per poi essere sicuro del risultato finale. Anche per questo Verdi si dimostrò sempre
molto severo nei suoi rapporti con gli impresari, che spesso erano tentati ad operare varie modifiche e tagli secondo la
prassi consolidata all'epoca; egli scriveva dei veri e propri libretti di regia e la sua figura di compositore era quindi
molto rispettata e per certi versi temuta da tutta la compagnia teatrale.

Nelle ultime produzioni Verdi arrivò anche a comporre senza averne avuto esplicita richiesta dagli impresari, ma
semplicemente seguendo la sua ispirazione, firmando poi con gli editori solo a posteriori, essendo entrambi già sicuri
del successo.

Nell'opera verdiana è contenuto anche un importante messaggio che ha permesso la divulgazione della cultura dei
grandi scrittori stranieri nel nostro paese, come Byron, Schiller, Shakespeare. Le vicende dei personaggi delle opere
inscenavano sempre episodi estremamente concreti, reali e tangibili (concetto del "vero", che già fu di A.Manzoni), e
portavano anche avanti alti ed onorevoli ideali secondo la prassi romantica; nonostante spesso le opere finivano con il
dramma finale troviamo sempre il messaggio di "redenzione" (catarsi).

Ricchissimo fu anche l'epistolario di Verdi con amici, parenti ed impresari, che ci ha permesso di conoscere moltissimi
lati della sua "poetica" (l'insieme di regole che egli stesso si diede): egli amava i libretti chiari, concisi e diretti, mentre
curiosamente ogni atto era sempre più breve del precedente.

Secondo questo concetto, denominato "parola scenica", le parole del libretto erano semplici, dirette, concrete,
immediate; ed anche la musica fece sempre più uso del cosiddetto "declamato melodico" ossia di cellule melodiche in
sostituzione delle estese frasi tradizionali.
Vi era infine nelle opere verdiane un motivo conduttore, chiamato "tinta musicale", che divenne elemento portante
nell'ambito di un'opera. Poteva trattarsi di una determinata tonalità sulla quale si insisteva particolarmente, di
un'ambientazione ricorrente, di una certa cellula ritmica, o quant'altro.

Le opere di Verdi sono suddivisibili a tre gruppi corrispondenti ai tre momenti della sua vita creativa.

Il primo periodo, tra il 1839 e il 1853, abbracciava anni di intenso lavoro producendo opere con viva personalità, ma
abbastanza fedeli alla tradizione operistica precedente: l'organizzazione era sempre in tre-quattro atti, con una
orchestrazione ancora acerba, con largo uso delle forme chiuse (arie, duetti, ecc...). Si ricordano di questo periodo
"Nabucco" (1842) , "Hernani" (1844) su libretto di Hugo, "Macbeth" (1847) su libretto di Shakespeare che proponeva
elementi sovrannaturali, alquanto inusuali per Verdi, "Rigoletto", "Trovatore" e "Traviata" su tema di Dumas, che non
venne apprezzata nella sua prima rappresentazione.

In queste prime opere esisteva già un forte messaggio verdiano di alti ideali, che indicavano come deplorevole e
portatrice di sventura il comportarsi in modo disdicevole e scorretto.

Il secondo periodo, che abbracciava gli anni tra il 1875 e il 1871, mostrava già una certa evoluzione stilistica, e faceva
emergere una notevole varietà nelle vicende dei personaggi, con situazioni anche brillanti e comiche. Anche
l'orchestrazione divenne più importante, mentre si faceva strada un progressivo raffreddamento nei confronti dei
vocalizi virtuosistici. Nacquero in questo periodo le figure del soprano e del tenore drammatici.

Di questo periodo si ricordano "Un ballo in maschera" (1859), "La forza del destino" (S.Pietroburgo, 1862), "Don Carlos"
(Parigi, 1867), e soprattutto "Aida", inscenata al Cairo nel 1871 per l'inaugurazione del canale di Suez, che sfoggiava
tre temi caratteristici ricorrenti (di Aida, di Amneris, sua rivale, e dei Sacerdoti).

L'ultimo periodo, che comprendeva gli anni dal 1887 al 1893, vide la produzione del capolavoro "Otello", su libretto di
Shakespeare, inscenato alla Scala di Milano, che mostrava la tendenza ormai compiuta di eliminare le forme chiuse, e
narrava la storia di un personaggio vinto dal destino, secondo una figura non dissimile dal Tristano di Wagner.

L'ultima opera che possiamo citare è "Falstaff", una commedia lirica su libretti di Arrigo Boito, che rivelava tutta la
potenzialità dell'invenzione melodica di Verdi ancora inespressa.

Oltre alla produzione operistica spicca il grande "Requiem" al quale Verdi avrebbe dovuto collaborare componendo solo
alcune parti in un progetto più ampio che avrebbe incluso altri compositori in occasione della morte di Rossini (1868):
visto il fallimento del progetto il compositore di Busseto lo completò personalmente nel 1874 in occasione
dell'anniversario della scomparsa di A.Manzoni.

Morì a Milano nel 1901.

22.6 ­ La scapigliatura e il verismo

Il movimento tardo-romantico che si sviluppò in Italia,ed a Milano in particolare, sul finire dell'800-inizio '900 andò sotto
il nome di "scapigliatura": termine che derivava dalla libera traduzione del titolo dell'opera "Boheme" di Puccini.

Indicava il primo tentativo di distacco dagli ideali romantici, in una vena alquanto polemica che, se in letteratura aveva
ormai scartato la narrativa manzoniana considerandola superata, in musica si tradusse con un rinnovato interesse per
l'opera di stampo francese, come valida antitesi allo strapotere verdiano.
In questo descritto panorama italiano la prima figura eminente fu quella del librettista e compositore Arrigo Boito
(1842-1918). I suoi esordi come critico e teorico furono da subito decisamente polemici nei confronti dell'opera
verdiana, per poi moderarsi con l'età grazie anche alla sua collaborazione con il compositore di Busseto in alcune opere
della maturità (Otello ed Aida su tutte).

Nella produzione di musica di scena ricordiamo il dramma "Mefistofele", che venne apprezzato
soltanto in una seconda tardiva rappresentazione, a Bologna, dove infatti il pubblico nutriva
grande simpatia per lo stile operistico affine alla scuola di Weimar come quello di Boito. L'opera,
molto complessa, riproponeva il tema di Goethe del Faust, con tutti i suoi conflitti interiori ed inquietanti interrogativi,
ma mostrava dal punto di vista musicale la scarsa inventiva melodica di Boito.

L'altra unica sua opera, "Nerone", rimase incompiuta.

Come librettista, oltre alle già citate collaborazioni con Verdi, Boito perfezionò il libretto di alcune opere di Amilcare
Ponchielli. Famoso il caso de "La gioconda", che in due successive revisioni divenne ben presto una delle opere più
apprezzate di questo periodo nonostante venne firmata da Boito con lo pseudonimo "Tobia Gorrio" a causa di un
contrasto con Ponchielli. L'opera, come già detto, fu assolutamente ben riuscita e l'influenza francese del Grand-Opéra,
che stava incontrando a Milano una seconda giovinezza visto il suo declino in patria, risultava evidente come ad
esempio per la presenza dei balli.

A partire dall'ultimo decennio del XIX secolo si avviò invece quell'altro fenomeno culturale che discendeva direttamente
dalla rottura col passato, già delineatasi con la scapigliatura: il Verismo.

Alla base dell'ideale verista c'era l'attenzione ai fatti e alle vicende quotidiane, estremamente concrete ed
assolutamente estranee a quelle idee tipicamente romantiche astratte e irreali. Ecco quindi emergere i temi della
gente comune, che veniva ad incarnarsi soprattutto con la realtà estremamente povera delle condizioni sociali del
mezzogiorno italiano. Il verismo era in realtà un filone del più vasto movimento culturale di proporzioni europee che va
sotto il nome di "Realismo" (o Naturalismo).

Come suggeriva la parola stessa di "Realismo" l'amore per la rappresentazione più fedele possibile della realtà, andava
assolutamente "fotografata". In letteratura cominciò ad eclissarsi la preferenza per la metrica classica della poesia, a
favore dei generi più narrativi e concreti del romanzo e della novella. In Italia Capuana fu l'iniziatore e teorico del
movimento, mentre Giovanni Verga fu il massimo scrittore.

In musica, in particolare quella drammaturgica, si assistette alla progressiva eliminazione delle forme chiuse e del
vocalismo virtuosistico che già Verdi aveva anticipato nelle sue opere della maturità; i temi più apprezzati furono
ovviamente quelli "quotidiani", ed i soggetti protagonisti erano spessissimo personaggi di bassa estrazione sociale,
impegnati comunque sempre in vicende alquanto complicate e spesso cruente.

I compositori operisti italiani che incarnarono queste nuove tendenze artistiche ebbero però la comune caratteristica di
esplodere sul panorama musicale con una prima opera e di non riuscire poi successivamente (o di non volere, in alcuni
casi) a ripetere gli stessi risultati artistici con le loro produzioni successive.

Fu il caso di Pietro Mascagni, che sposò tra l'altro la causa del regime fascista, lanciato dall'opera di chiaro stampo
verista "La cavalleria rusticana" nel 1890 e poi adagiatosi sull'onda del successo; o di Ruggero Leoncavallo (1857-
1929), uomo di buona cultura che ebbe modo di studiare a Bologna assieme a Carducci e che produsse il suo massimo
capolavoro con il dramma "Pagliacci" dove descriveva una vicenda di cronaca spicciola del meridione italiano.
Proprio in quest'opera abbiamo l'interessantissimo prologo nel quale l'autore esponeva chiaramente al pubblico il
concetto di "verismo".

Altri due autori tipicamente veristi furono: Umberto Giordano (1867-1948), di cui si ricordano le opere "Andrea
Chénier", un poeta del periodo della rivoluzione francese, e "Fedora", di stampo giallo; e Francesco Cilea (1866-1951),
già direttore del conservatorio di Napoli che raggiunse il suo massimo traguardo compositivo con l'opera "Adriana
Lecouvreur", una famosa attrice della commedia francese.

22.7 ­ Il decadentismo e Puccini

Un altro fenomeno artistico di dimensioni europee che si distinse tra il finire dell'800 e l'inizio del '900, in
contrapposizione al Verismo, fu il Decadentismo. Questa corrente, che nella letteratura vide in Francia esplodere i vari
Verlaine, Mallarmé, Rainbaut, Baudelaire e in Italia Pirandello, Pascoli e D'Annunzio, fu un'evoluzione degenerata
dell'ideale romantico: l'uomo disadattato, ormai sopraffatto dal destino senza possibilità di salvezza e di redenzione,
era ormai privo di qualsiasi carattere di ottimismo e di positivismo. L'arte era così diventata fine a se stessa, non più
veicolo sufficiente per migliorare lo spirito e con esso la qualità della vita.

Dal punto di vista musicale, è opportuno precisare che le molte opere prodotte non erano dichiaratamente "decadenti",
pur esternando le linee guida del movimento, fatta eccezione forse per la sola "Pelléas et Mélisande" di Claude
Debussy.

E' però in questo periodo che Giacomo Puccini raccolse il testimone di Verdi nel panorama dell'opera italiana.

Giacomo Puccini (1858-1924) nacque da una famiglia già inserita nelle vie della musica, studiò a Milano con
Ponchielli e si buttò da subito nella produzione operistica.

Dopo alcune opere minori salì alla ribalta con "Manon Lescaut" nel 1893, inscenata a Torino, il cui successo gli valse
ben presto l'etichetta di "erede verdiano". La sua produzione passò attraverso numerose opere di successo: "Bohéme"
nel 1896, "Tosca" nel 1900, "Madama Butterfly" nel 1904, "La fanciulla del West" nel 1910, "La rondine" nel 1917 ed il
trittico nel 1918 ("Il tabarro", "Suora Angelica" e "Gianni Schicchi", unica sua opera buffa).

Conclude la sua produzione "Turandot", inscenata postuma nel 1926.

Puccini fu uomo molto intelligente, riuscì a sopperire alla sua non vasta cultura con un'attenta e generosa analisi della
produzione musicale passata, diventò ben presto un vero maestro nell'orchestrazione ed ebbe la furbizia di scegliere
personaggi ed argomenti di grande impatto sul pubblico. Spesso ad esempio i soggetti protagonisti delle sue opere
erano personaggi femminili, come si evince chiaramente dai titoli, cosa assai apprezzata dagli spettatori.

La sua felice vena melodica si sposava talvolta con gli ideali tipicamente veristi che si evidenziavano nella precisa ed
accurata scenografia secondo la necessità di ripresentare sulla scena una realtà quanto mai concreta e verosimile.

Fu invece evidente la sua affinità all'estetica decadente nell'opera "Madama Butterfly", ambientata in Giappone, nella
quale la protagonista, sedotta e abbandonata, viveva nel tipico atteggiamento di disadattata sociale; non appena si
rese conto della sua misera ed irreversibile condizione, tentò un tragico suicidio.

23 – L'opera nazionale in Francia e in Germania nell'800

23.1 – L'opera nazionale in Germania
Durante il ‘700 fu il settore strumentale a detenere il primato nella musica tedesca. I grandi maestri, da Bach, a Haydn,
a Beethoven, ne avevano sancito una netta superiorità a livello europeo.

Il melodramma tedesco fu così, anche considerando l’assenza di grandi maestri, relegato ad un ruolo subalterno
rispetto alle più grandi scuole italiane (dove il rapporto strumentale-operistico era ribaltato) e francesi.

Il genere teatrale tedesco all’epoca era quasi tutto ridotto al genere del Singspiel, un fenomeno teatrale che vantava,
tra l’altro, la presenza di alcune parti recitate senza musica in alternanza con sezioni strumentate.

Non esisteva, parimenti, una cultura nazionale e quindi un pubblico preparato nel genere operistico.

23.1.1 – Carl Maria von Weber


Fu con l’avvento di Carl Maria von Weber che l’opera tedesca iniziò il percorso di rinnovamento, che raggiunse poi il
suo apice con grande operista Richard Wagner.

Weber nacque nel 1786 nel nord della Germania, e dopo studi frammentari riuscì ad arrivare negli anni 1803-1804 a
Vienna, allora capitale della musica strumentale europea, garantendosi alcuni anni di studio solido sotto la guida
dell’abate Vogel.

Egli fu un valente pianista, e la sua carriera artistica si divise così tra l’attività di concertista di pianoforte, con tourneé
di successo in tutt’Europa, quella di compositore-operista, e quella di direttore artistico (diresse, tra gli altri, il teatro di
Dresda).

Egli costituì il punto di svolta tra la fine del ’700 e l’inizio dell’800 dell’opera tedesca, creando un genere caratteristico,
catalizzando via via l’attenzione del pubblico attorno al settore operistico.

Dopo alcune opere giovnili, nel 1821, compose la sua opera di maggior sucesso: Der Freischütz, tradotto in italiano “Il
Franco cacciatore”, appartenente ancora al genere del Singspiel, ma con alcuni caratteri di decisa propensione
romantica, come ad esempio la tematica sovrannaturale, demoniaca.

A questa seguì Euryanthe, che fu la prima testimonianza tedesca di opera interamente musicata, secondo lo stile già
sperimentato in Italia.

L’ultima grande opera di Weber fu "Oberon", di tematica più leggera, e di ambientazione fiabesca.

Oltre alla produzione operistica, non cospicua, ma importante per i motivi sopra esposti, citiamo le opere pianistiche,
composte sicuramente anche per uso e consumo personale: le quattro sonate, e una serie di piccoli pezzi caratteristici
tra cui ricordiamo il noto “Invito alla danza”.

Nel genere sinfonico, oltre ad alcune sinfonie, Weber scrisse 2 concerti per piano e orchestra, 2 per clarinetto e
orchestra, un concertino per clarinetto, e un concerto per fagotto. Il catalogo Weberiano, che spaziava in molti generi,
annoverava anche alcuni Lieder, non significativi, e una piccola produzione di musica cameristica e sacra.

Morì nel 1826.

23.1.2 - Richard Wagner


Richard Wagner nacque nel 1813 a Lipsia, e dopo gli studi giovanili si dedicò al mestiere di musicista a partire dagli
anni '30. Fu direttore artistico in alcuni teatri minori della Germania finché nel 1839 tentò l'avventura a Parigi, uno dei
più importanti centri di cultura europei. Lì ebbe scarsa fortuna, e visse all'ombra dell'allora acclamatissimo Meyerbeer,
così rientrò in patria dove riuscì a far rappresentare la sua prima opera: "Rienzi".

Il notevole successo gli valse il posto di Kapellmeister nel teatro di corte di Dresda, uno dei più prestigiosi di tutta la
Germania, e nei successivi anni, grazie ad una stabilità economica, riuscì a dedicarsi alla preparazione delle suoi primi
veri capolavori:

- L'olandese volante (conosciuto anche con il titolo de "il vascello fantasma"), che riprendeva il carattere delle
leggende nordiche con elementi sovrannaturali. Il protagonista era infatti un navigatore maledetto, condannato a
vagare per i mari finché l'amore per una donna riuscì a redimerlo;

- Tannhäuser, che inscenava il tema del contrasto tra la sensualità e la spiritualità e proponeva il tema autobiografico
(spesso presente in Wagner) del rifiuto sociale; e

- Lohengrin, che proponeva il tema amoroso sullo sfondo di una vecchia leggenda basata sull'ordine dei Cavalieri del
Sacro Graal.

Le rivolte del 1848 videro Wagner schierarsi dalla parte dei reazionari, e ciò gli impose rapidamente la fuga e l'esilio
all'estero (Svizzera). Qui, sotto la protezione del mecenate Otto Von Wesendonk (si innamorò della moglie), potè
lavorare con calma ai suoi successivi lavori:

- Tristano e Isotta, riproponeva il tema dell'amore sublime, ma osteggiato da tutti, impossibile da realizzare nella vita
terrena, ma non in quella ultra-terrena; ecco quindi che ancora una volta la morte funge da estrema redenzione.

- La tetralogia "l'Anello dei Nibelunghi", organizzata in quattro sezioni (opere), intitolate L'oro del Reno (prologo), La
Valchiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli Dei; che rappresenta l'opera maestra per Wagner, una sorta di cammino percorso
dall'umanità dagli inizi, passando per i mali del mondo (il potere e la corruzione, che sono rappresentati dall'anello),
fino alla redenzione finale ed al ritorno allo stato di equilibrio originario.

Il ritorno in patria di Wagner fu propiziato dalla ascesa al trono di Re Ludwig II di Baviera, grande ammiratore del
compositore tedesco, che finanziò la messa in opera di alcuni dei suoi capolavori nonché la costruzione di un grande
teatro a Bayreuth, fortemente voluto da Wagner, per la rappresentazione nel modo più efficace possibile delle sue
creazioni.

Egli infatti, secondo un'attenzione maniacale ai dettagli, volle ivi creare il "golfo mistico", ossia la fossa orchestrale
incassata rispetto al palco e alla platea, e si adoperò per esigere il silenzio assoluto in sala durante la rappresentazione.

Il melodramma, ed in particolare il suo melodramma, era secondo lui il punto di arrivo di anni ed anni di evoluzione
dell'opera d'arte (non solo musicale, visto che egli considerava la musica come la suprema tra le arti), e ciò poteva
attuarsi solamente se musica, parole e scena fossero state legate indissolubilmente seguendo il concetto romantico di
Wort-Ton-Drama (Parola, Musica e Scena).

L'ultima opera di Wagner fu "Parcifal", ambientato sullo sfondo del ciclo medievale della tavola rotonda, che inscenava
un interessante tentativo di conciliazione tra due realtà alquanto contrastanti: Gesù Cristo e Buddha.
Wagner produsse anche alcuni lieder per voce e pianoforte (i Wesendonk-Lieder), un'Ouverture per orchestra e l'"Idillo
di Sigfrido" per piccola orchestra, in onore del compleanno del figlio.

Wagner ci ha lasciato inoltre numerosi scritti e trattati letterari, saggi, frammenti autobiografici.

Morì nel 1883 a Venezia.

23.2 ­ L'opera nazionale in Francia

Durante il '700 si erano affermati in Francia due generi teatrali differenti: l'Opéra-Comique e la Tragédie-Lyrique.

Durante il secolo successivo l'opera in Francia subì una serie di trasformazioni in conseguenza della mutevole
condizione militare-politica e dell'influsso di autori stranieri.

Il genere dell'Opéra-Comique, sopravvive durante l'800 aggiornandosi però progressivamente all'estetica romantica.
Permase la caratteristica alternanza tra parti musicate e parti recitate, e l'argomento di carattere fiabesco, avventuroso
e leggero. La prima vera Opéra-Comique di carattere romantico fu considerata "La dama bianca" (1825) di A.Boieldieu.

Il genere della Tragédie-Lyrique invece evolvette nel cosiddetto Grand-Opéra, che mantenendone i caratteri (era
un'opera interamente musicata, compresi i recitativi, con la presenza di balletti, che dava grande importanza ai cori
agli allestimenti scenici), incarnava maggiormente l'estetica romantica. Era mutata infatti la preferenza del pubblico e
dei librettisti per i soggetti storici più recenti, in sostituzione delle vecchie vicende legate all'antichità del mondo
classico greco e romano.

La prima opera di successo in tal senso fu considerata "La muta di Portici", di Auber (1827), la cui protagonista era
appunto una ballerina muta (Fenella) le cui vicende si svolgevan sullo sfondo delle sommosse popolari di Masaniello,
svoltesi nel XVII secolo.

Nel 1829 è da ricordare il contributo di Rossini al Grand-Opéra, con la rappresentazione a Parigi del "Guglielmo Tell".

Val la pena notare che i soggetti di queste due opere, provenienti entrambi dalla sapiente penna di E.Scribe, abilissimo
scrittore-drammaturgo, erano particolarmente apprezzati dal pubblico ottocentesco per la natura dei personaggi
protagonisti, che incarnano desideri di riscossa, di libertà, e di riscatto sociale (Guglielmo era anch'egli un patriota).

Attivi nei primi decenni dell'800 a Parigi, furono anche il fiorentino Luigi Cherubini (1760-1842), allievo di Sarti,
e Gaspare Spontini (1774-1851). Del primo ricordiamo il grande carisma umano, che rimase importantissimo grazie
anche alla sua solidissima abilità nel contrappunto e al suo talento naturale. Fu anche direttore del conservatorio di
Parigi. La sua opera più importante fu "Medea", inscenata nel 1797.

Spontini, marchigiano, si avvalse di un'orchestrazione decisamente solida e robusta; il suo capolavoro, che riscosse
grandissimo successo, fu "La vestale", rappresentata a Parigi nel 1807.

La figura che si ergeva però a simbolo del Grand-Opéra francese nell'800 era il tedesco Jacob Meyerbeer (1791-
1864). Personaggio molto carismatico, deciso, aveva in un certo senso monopolizzato la scena dell'opera francese del
periodo. Le sue opere di maggior successo furono "Gli ugonotti", ambientato sullo sfondo storico del massacro della
notte di S.Bartolomeo nel 1547, e "l'Africana", opera di chiaro carattere esotico.
Nella seconda parte del secolo il genere dell'Opéra-Comique subì il trapasso al genere più apprezzato dell'operetta, che
rimase in voga, con alterne fortune, per parecchio tempo prima di spostarsi a Vienna, poi in Italia, quindi negli USA,
tramontando definitivamente verso l'inizio del '900. Il maggior autore di operette fu riconosciuto in Jacques
Offenbach, la cui opera di punta venne considerata "I racconti di Hoffmann" (1880). A seguito del passaggio
dell'operetta a Vienna, come ricordato, venne composto da J.Strauss (figlio) il massimo capolavoro del genere: "Il
pipistrello" (1874).

Dal punto di vista stilistico, nel genere dell'operetta assunsero nuova importanza le parti recitate a discapito delle
sezioni musicate.

Anche il genere del Grand-Opéra subì, nella seconda parte del secolo, alcune modificazioni, trasformandosi nel nuovo
genere della Opéra-Lyrique, che pur mantenendone i caratteri (interamente musicata) trattava ora di argomenti di
carattere più leggero e mostrava un certo apprezzamento per il bel canto di stile italiano. I testi erano sempre in lingua
francese.

Il primo grande autore di Opéra-Lyrique fu Charles Gonoud (1818-1893), operista attivo a Parigi, allievo dell'abate
Vogel (lo stesso che formò C.M. von Weber) e di Ferdinando Paër. Egli fu un compositore molto prolifico e versatile che
si cimentò, oltre che nel genere teatrale, anche nella produzione di messe, mottetti, oratori, ed altre melodie sacre.

La sua opera più rappresentativa, Faust (1859), fu dapprima concepita in stile di Opéra-Comique, ma subì
successivamente due revisioni che la accomunarono al Grand-Opéra, inserendo i balletti e musicandone i recitativi.

L'opera ebbe un grande successo in quanto il compositore, molto scaltro, aveva intuito che semplificando e riportando
la visione di Goethe ad un livello più terreno e quotidiano sarebbe stata molto più apprezzata e capita dal pubblico;
percorso analogo a quello effettuato per il dramma Shakesperiano della sua ultima opera "Romeo e Giulietta".

Un'altra figura predominante nel settore dell'Opéra-Lyrique fu George Bizet. (1838-1875)

Bizet fu un compositore poco prolifico, in termini quantitativi della produzione, anzi il suo catalogo, come del resto la
sua vita, risulta alquanto contradditorio e pasticciato e vanta molte opere incomplete.

La sua opera di maggior successo, "Carmen" (1875), fu in origine concepita nello stile dell'Opéra-Comique, ma dopo il
clamoroso insuccesso dovuto alle disattese aspettative del pubblico che si attendeva un argomento più "leggero", fu
rivalutata e rielaborata da E.Guiraud, professore al conservatorio di Parigi che fu incaricato di musicarne i recitativi.

Bizet fece largo uso del Leitmotiv, motivo conduttore, e seppe dare un'orchestrazione alquanto valida, molto raffinata,
a Carmen.

Anche il filosofo tedesco Nietzsche, grande sostenitore dell'opera di Wagner, fu catturato dall'arte di Bizet, vedendo
Carmen. Forse grazie alla maggior semplicità e immediatezza dell'opera di Bizet smise di ammirare
incondizionatamente la concezione wagneriana del melodramma.

Ultimo grande compositore ed operista francese dell'800 fu Jules Massenet (1842-1912).


Del suo contributo al filone dell'Opéra-Lyrique citiamo Manon (1884) e Werter (1892), che portano apprezzabili motivi
melodici, una grande semplicità globale (che piaceva al pubblico) e temi di amori della media borghesia, oltre alla
cornice dell'esotismo.

24 – Il rinascimento e il primo barocco

24.1 – La musica strumentale

Possiamo convenzionalmente suddividere il '600 strumentale in due parti: la prima, che aveva una una produzione
strumentale legata fortemente alle forme cinquecentesche, manteneva la tradizione delle varie toccate, ricercati,
fantasie, capricci, canzoni; mentre la seconda parte del secolo, si caratterizzò grazie al nascere di due generi di
importanza primaria nella storia della musica: la sonata ed il concerto.

Grande importanza assunsero gli strumenti a corde pizzicate; su tutti il liuto e soprattutto gli arciliuti (la cui paternità
era contesa tra il tedesco Kapsberger e l'italiano Alessandro Piccinini) denominati tiorbe e chitarroni, che con le loro
corde addizionali denominate di "bordone" potevano intonare note molto gravi e quindi ben si prestavano all'utilizzo
nel ruolo di basso continuo.

Anche la chitarra riacquistò importanza e si diffuse come strumento di dominio quasi "popolare". Non fu un caso che
alcune intavolature di questo periodo siano state chiaramente realizzate per musicisti "dilettanti" anziché per i
professionisti della materia. Solo nella seconda parte del '600 con autori come Granata e Pellegrini, lo strumento
riguadagnò il suo spazio nella musica "dotta".

Acquistarono infine importanza la tromba ed il trombone, strumenti di difficile dominio tecnico, capaci di intonare una
gamma piuttosto limitata di suoni, che si affacciavano nel mondo della musica per melodramma nell'ambito delle
scene guerresche, e nella musica strumentale sacra, come nel caso dell'organico regolare della chiesa di S.Petronio a
Bologna.

24.2 ­ Le arie strumentali

Grande importanza rivestorono nel Seicento strumentale italiano le cosiddette "arie strumentali".

Si trattava di melodie spesso anonime che venivano riproposte come basso fondamentale, che originavano svariate
elaborazioni melodiche nello stile della variazione nelle voci acute. L'opera che ne risultava veniva intitolata ad
esempio come "Partite sopra una Passacaglia" o come "Variazioni sulla Monica"; Era quest'ultima, una canzone
popolare anonima che intonava i versi "Oh, madre mia, non mi far monaca, che non mi voglio far" che è stata
riutilizzata da molti compositori tra cui il grande Frescobaldi.

Altri esempi di questo felice genere strumentale furono: l'aria "Ruggero", basata su una canzone popolare su testi dotti
tratti dall'"Orlando Furioso" di Ariosto (i versi declamati da Bradamante recitavano "Ruggero, qual sempre fui, tal esser
voglio"); l'aria "del Granduca" (o "di Fiorenza") in onore della casata fiorentina dei Medici; l'aria "romanesca" scritta
forse per celebrare la città italiana (o forse derivante dalla parola "romance", una spagnola).

Alcune di queste arie strumentali godettero anche di notevole longevità, come fu il caso dell'aria "La follia", antica
danza spagnolo-portoghese del tempo di Cervantes (secondo '500) di carattere popolare che venne lungamente
apprezzata dai violinisti (Corelli), da Händel, Geminiani, e dal celebre musicista del '900 S.Rachmaninov.
Il termine "Ciaccona" descriveva invece una danza popolare, probabilmente di derivazione spagnola, che godette di
grandi attenzioni tra i compositori della musica dotta, che la trasformarono in una forma meno volgare e "sguaiata", più
composta ed erudita. Uno dei casi piu' rappresentavi fu Bach.

Anche la Passacaglia, che veniva puntigliosamente distinta dalla Ciaccona soltanto in territorio francese, vantava
origine spagnola. L'etimologia del termine ci indica nella traduzione "pasar-calle" (attraversare la strada) l'origine più
probabile come forma anch'essa popolare e sicuramente poco "dotta". Tale danza fu largamente utilizzata anche dal
compositore ed operista Cavalli, oltreché nelle corti francesi, come basso per arie e per variazioni strofiche.

La caratteristica comune di Ciaccona e Passacaglia era lo sviluppo in tonalità minore ed in ritmo ternario.

24.3 ­ Frescobaldi

Girolamo Frescobaldi (Ferrara 1583 - Roma 1643) fu un compositore molto prolifico che occupava idealmente una
posizione complementare a quella di Monteverdi, del quale fu contemporaneo: se quest'ultimo si dedicò infatti a
moltissimi generi musicali, tra cui soprattutto quello del neonato melodramma, il compositore ferrarese evitò
accuratamente questo ramo per eccellere nell'ambito strumentale, tastieristico in particolare.

Dopo gli studi, sotto la guida del maestro Luzzasco Luzzaschi (musicista di grande perizia, già allievo delle ultime
generazione dei contrappuntisti fiamminghi), si trovò spiazzato allorché alla morte dell'ultimo erede della casata degli
Este, il ducato di Ferrara e di Modena venne smembrato con la restituzione di Ferrara allo Stato Pontificio e il
trasferimento della dinastia estense a Modena.

Egli fu costretto ad emigrare a Roma, diventando ben presto organista nella cappella papale Giulia.

A parte un breve soggiorno nelle Fiandre, egli fu attivo principalmente a Roma per tutto il resto della sua vita,
divenendo un vero e proprio "faro" nell'ambito della tecnica compositiva per strumenti a tastiera nonché
nell'esecuzione su tali strumenti; egli infatti suonava perfettamente anche il clavicembalo (oltre l'organo) e spesso non
disdegnava esibirsi nei salotti nobiliari della capitale dello Stato Pontificio.

Fu anche un grande didatta. La sua grande opera musicale provò a codificare, forse per la prima volta nella storia della
musica strumentale, molti aspetti che fino a quel momento, l'insegnamento da allievo a maestro aveva relegato alla
trasmissione orale, ossia moltissime questioni riguardanti la prassi esecutiva, interpretazione degli abbellimenti ed altri
consigli agli allievi in primis.

Grande abilità dimostrò anche nell'arte della variazione, configurandosi per certi versi come una sorta di anticipatore
dell'arte bachiana.

La sua opera comprendeva 20 "partite su passacaglia", poi elaborate fino a "100 partite su passacaglia", che ben
lontane da essere mere aride variazioni di stampo fiammingo-contrappuntistiche, mostravano una felicissima
ispirazione melodica, segno di una forte abilità comunicativa e di un gusto tipicamente italiano.

Oltre ad una parentesi vocale con alcuni madrigali, qualche aria per voci e cembalo ed alcuni composizioni sacre, egli
come già detto eccelse nell'ambito strumentale, grazie ai due libri di toccate, molto espressive, concepite
espressamente per organo o per cembalo; un libro di capricci di carattere brillante scritti seguendo la forma della
variazione; ed alcune canzoni a quattro parti in cui non è chiara la destinazione strumentale.
A ciò si aggiungeva il suo capolavoro, pubblicato nel 1635 con il titolo de "I fiori musicali", una raccolta di musiche per
organo con alcuni pezzi prelevati da tre messe gregoriane (la "Messa della Madonna", la "Messa della Domenica" e la
"Messa degli Apostoli") appositamente intavolati per tastiera, ed altri appositamente aggiunti come la "Toccata avanti
la messa" e la "Canzona dopo la Pistola", alcuni ricercari e capricci.

Tale opera fu apprezzatissima da J.S.Bach.

25 – Il barocco centrale : la suite e la sonata

25.1 – La Suite

Dopo le esperienze strumentali della toccata e del "ricercare" cinquecenteschi, che avevano iniziato a stimolare
l'accoppiamento di alcuni passi danza tra loro contrastanti per ritmo (binario contro ternario) e per andamento (lento e
più vivace), si definì nella seconda metà del Seicento la forma musicale della Suite ad opera del maestro tedesco Johan
Jakob Froberger (1616-1667), già allievo di G.Frescobaldi.

La forma iniziale della suite prevedeva un raggruppamento di quattro movimenti di danza, contrastanti tra di loro per
ritmo e carattere, unite dal forte elemento di coesione della stessa tonalità. Le quattro danze sono l'allemanda, di
origine tedesca, andamento moderato e ritmo binario; la corrente, di piglio vivace, origine francese e ritmo ternario; la
sarabanda, di derivazione spagnola, andamento lento e ternario; e la giga, di origine italiana, andamento vivace ed in
ritmo di 6/8.

A queste quattro danze si aggiunse successivamente, anche se non in maniera sistematica, un preludio di apertura
(vedi Bach nelle "Suites inglesi"), e una coppia di danza tra la sarabanda e la giga, che poteva all'occorrenza essere
formata da due minuetti, da due gavotte, da due passepied, da due bourrè, ecc...

25.2 ­ Il violino

Il violino fu uno strumento che comparve piuttosto tardi nella storia della musica. Gli strumenti più diffusi nel '500
erano infatti le tastiere, i cornetti, alcuni fiati; l'ingresso di tale strumento, che arrivò nel tardo Seicento, fu rapido e
duraturo: la sua fortuna non venne mai meno durante i secoli successivi.

L'etimologia del termine "violino" ci fa risalire a varie tesi, le cui più accreditate sono la derivazione dal verbo latino
"vitulor" (muoversi o piangere come un vitello), o quella di carattere onomatopeico dal suono "viu-viu", che riproduce
grossomodo la sua voce.

Altre tesi sostengono la derivazione piuttosto articolata dal latino "fidis" (corda), poi divenuto "fidula" per indicare
genericamente uno strumento a corde nel latino di epoca medievale. In tempi successivi la prassi dialogica ha evoluto
"fidula" in "vidula" (o "fitula"), quindi in "fidel" (specie nei paesi di lingua tedesca), poi "videl", "viel", da cui si originò
"la viele" (in francese), corrispondente alla viella, da cui viola.

Esistevano, nell'ambito delle viole, due famiglie distinte: quella delle viole "da braccio" e quella della viola "da gamba".
All'interno di queste erano identificate varie sotto-classi (3 ciascuna) di strumenti a seconda dei loro registri per un
totale di sei strumenti ad arco.

La viola da braccio, di registro acuto, divenne la violina, o meglio il violino, quella di registro medio rimase
corrispondente alla attuale viola, mentre quella da braccio di registro grave e quella da gamba di registro acuto
caddero in disuso ben presto; sopravvissero invece la viola da gamba mediana, chiamata violone (poi violoncello), e
quella grave, corrispondente all'attuale contrabbasso.

Si venne così a costuire l'organico classico del quartetto d'archi moderno.

Il violino nella musica colta ebbe un ingresso tipicamente italiano. Nel Cinquecento era uno strumento suonato anche
dal popolo e dai musicisti dilettanti. All'estero era usato per svolgere compiti meno nobili, come nel caso delle corti
francesi dove accompagnava i balli.

25.3 ­ La sonata

Le prime esperienze sonatistiche sono da riferirsi a Milano, con le "sonate per cornetto o trombino e trombone o
violone" di Giovanni Paolo Cima, alle pubblicazioni di Biagio Marini, di Carlo Fontana, che curiosamente cercavano di
imitare i versi degli animali con le fioriture melodiche del violino.

Importanti scuole violinistiche sorsero in questo periodo a Bologna, Modena, Padova (Tartini), Roma, Napoli e Venezia
(Vivaldi).

La sonata si configurava, verso la metà del Seicento, come "sonata a 3", per due violini e basso continuo, nella duplice
destinazione "da chiesa", composta da 3 a sette pezzi con movimenti di carattere contrastante e "da camera", che
assunse la connotazione tipica dei movimenti di danza della Suite (preludio, allemanda, corrente, sarabanda, giga).

Questa distinzione nella destinazione comportava anche la conseguente duplice realizzazione dei bassi continui. Nella
sonata da camera venivano scritti per cembalo e violone, mentre in quella da chiesa era previsto l'organo accoppiato
sempre al violone.

Tra i primi autori di sonate citiamo Massimiliano Neri e Tarquinio Merula.

Come evoluzione della sonata a tre, mediante moltiplicazione degli elementi dell'organico strumentale, si configurò la
nascita del "concerto grosso"; a fianco dei due violinisti, chiamati "soli", o "solisti", si affiancò il rimanente assieme di
archi, chiamati "tutti" o "ripieno", più il basso continuo.

Tale teorizzazione fu effettuata per la prima volta da A.Stradella, in una partitura di una sinfonia giuntaci manoscritta.

Il padre del concerto solistico fu però Giuseppe Torelli (1658-1709), che nel 1698 pubblicò un libro di concerti con
l'aggiunta delle parole "solo" e "tutti" per indicare chi dovesse eseguire determinate parti della composizione; solo
successivamente si attuò la separazione del violino solista dal resto dell'organico.

La derivazione del termine "concerto" mette insieme le due parole: "con" "certo" (gareggiare), inteso come gara tra
strumenti. Un'altra teoria, meno accreditata, invece lo fa risalire al termine "con" "serto" (intrecciare), ossia intreccio di
strumenti.

25.4 ­ Corelli

Arcangelo Corelli, nacque a Fusignano 1653, dove compì gli studi di violino all'Accademia Filarmonica di Bologna, si
trasferì diciottenne a Roma dove concluse gli studi di composizione e dove operò per tutta la sua vita, fino al 1713. Egli
fu il primo vero grande virtuoso del violino, oltreché dotatissimo compositore e apprezzatissimo didatta.
La sua opera, di fondamentale importanza nell'ambito della letteratura violinistica, non fu particolarmente estesa, ma
venne interamente pubblicata: comprendeva esclusivamente musica per archi (violino in particolare) raggruppate in 6
raccolte di 12 pezzi ciascuna.

La prima e la terza erano "sonate a 3 da chiesa", la seconda e la quarta recavano la destinazione "da camera", la
quinta racchiudeva sei sonate da chiesa e sei da camera (famosa la n.12 intitolata "La follia"); mentre la sesta
includeva 12 concerti grossi di cui otto da chiesa e quattro da camera.

La quinta raccolta venne ristampata dopo la prima edizione del 1700 con alcune aggiunte di fioriture melodiche che ne
confondevano la paternità: si trattava in realtà di una vera e propria scrittura di alcune abitudini in uso all'epoca
riguardo la prassi esecutiva. Ciò testimonia come esistessero delle differenze tra le edizioni comunemente date alle
stampe e quelle eseguite nei concerti.

Tra i numerosi e valenti allievi di Corelli citiamo Francesco Geminiani, toscano, che ebbe grande fortuna in Inghilterra
dove fondò una locale scuola violinistica; Giovanni Battista Sonis, piemontese, che fu il caposcuola del virtuosismo
violinistico francese; Pietro Antonio Locatelli, bergamasco, che avviò la tradizione della scuola olandese.

Contemporaneamente alla scuola corelliana a Roma sorsero altre due scuole importantissime di violino, in Italia: quella
veneziana con Vivaldi, e quella padovana con Tartini.

26 – Il tardo barocco

26.1 – Vivaldi

Antonio Vivaldi nacque a Venezia nel 1678. Già prete, con dispensa di esonero dall'obbligo della celebrazione
quotidiana della Messa, fu insegnante di violino al conservatorio femminile della "Pietà".

Il catalogo delle opere di Vivaldi venne arricchito, negli ultimi anni, con la scoperta di alcune partiture d'opera che
permisero di classificarlo anche tra gli operisti del primo Settecento italiano. Egli fu in tal senso anche impresario di sé
stesso girando regolarmente l'Italia con una propria troupe teatrale al seguito.

Alcuni libretti d'opera erano del grande drammaturgo Metastasio, altri di Zeno, nel caso de "La Griselda", musicata
dopo una revisione poetica operata da un giovane Carlo Goldoni, perfettamente adattata alle capacità canore degli
artisti che egli aveva a disposizione.

La sua produzione comprendeva anche molte cantate, mottetti monodici, e l'oratorio in Latino (1718) "Giuditta
Trionfante".

Egli fu una figura di primissimo piano soprattutto nella produzione di musica strumentale, tra cui ricordiamo numerose
opere.

La sua produzione fu incentrata su quattordici raccolte di 12 (o più raramente 6) pezzi, che venivano a volte intitolate
con "La stravaganza", "La cetra", "L'estro armonico", e soprattutto "Il cimento dell'armonia e dell'invenzione", dal cui
significato si riuscì a trarre l'idea vivaldiana riguardo l'armonia (che risultava codificata da una serie di regole nelle
quali nulla si inventava) e l'invenzione (dove invece il compositore poteva mettere a frutto le sue capacità melodiche).
Si configurava quindi come un perfetto dualismo tra la verticalità e l'orizzontalità della partitura musicale.

Proprio in questa raccolta sono contenuti i celebri quattro concerti intitolati alle quattro stagioni.
Tutti i brani compresi nelle dodici raccolte, uniti ai moltissimi altri indipendenti, che completavano la produzione del
celebre compositore veneziano, erano riconducibili al genere della sonata a 3 (quindi due violini e basso continuo), o
più spesso a quello del concerto, nelle sue molte varianti: solistico nel caso di un violino, ripieno d'archi e basso
continuo; doppio, nel caso di due solisti, archi e continuo; di gruppo, con un insieme di solisti; da camera, con solisti e
basso continuo ma senza il ripieno degli archi; o anche per soli archi, nello stile della sinfonia.

Gli organici videro predominare gli archi, mentre erano frequenti, nel ruolo di solisti, i violini soprattutto, ma anche
violoncelli, fagotti, trombe, ecc...

La struttura dei concerti vivaldiani era quasi sempre tripartita, sullo schema della sinfonia in stile italiano già cara a
Scarlatti: movimento veloce d'apertura (allegro), movimento lento e cantabile (adagio o largo), conclusione brillante
(allegro o presto).

I movimenti in "allegro" d'apertura erano quasi sempre strutturati con un'alternanza di 5 parti del "tutti" intervallate da
4 solistiche (o, in alternativa, 4+3); gli adagi erano particolarmente espressivi e si potevano assimilare ad una specie di
aria strumentale nella quale lo strumento solista (spesso il violino) veniva sostenuto da leggeri accordi e supporti
armonici del basso continuo o degli archi.

Molto spesso traspariva, come già accennato precedentemente, la vena descrittiva delle composizioni di Vivaldi. Così si
spiegano i titoli de "Le quattro stagioni" (basate peraltro su poesie), ed altri titoli, tra i quali citiamo "La tempesta di
mare", "Il piacere", "Il sospetto", "La notte".

L'esteso catalogo delle sue oltre 600 opere venne catalogato con difficoltà a più riprese da Malipiero, Pincherle, Ryom e
Fanna.

Vivaldi morì a Vienna nel 1741.

26.2 ­ Il violinismo italiano

La grande esperienza di Corelli aveva creato una vera e propria scuola violinistica italiana che iniziò a sfornare talenti in
grado di trasportare il bagaglio di esperienze nostrane in tutta Europa.

Tommaso Albinoni (1671-1750) mostrò tra i seguaci di Corelli un gusto timbrico molto raffinato, come dimostrò la
scelta molto felice di lasciare spazio all'oboe e alla tromba, oltreché ovviamente al violino, nelle sue composizioni. Egli
fu musicista "dilettante", così come si firmava all'inizio della sua carriera, vivendo agiatamente dai guadagni del padre,
finché alla morte di quest'ultimo, fu costretto a sfruttare le sue doti musicali facendo di questa sua arte una
professione.

Giuseppe Tartini (1692-1770), istriano, si stabilì a Padova dove fondò una celebre scuola violinistica.

La sua produzione contava più di cento concerti che esaltavano la cantabilità del violino, che egli stesso insegnava e
predicava ai suoi allievi come nel caso della sonata "Didone Abbandonata", che suggeriva di interpretare come la
protagonista avrebbe cantato con la voce i versi poetici.

Tartini fu anche teorico e scienziato ed i suoi studi sull'acustica, condotti in particolar modo sul violino, lo portarono a
scoprire il cosiddetto "terzo suono"; suonando un bicordo di due suoni appartenenti ad una serie armonica su un violino
perfettamente intonato, veniva a prodursi, con lieve intensità, un terzo suono facente parte della stessa serie armonica
ed in diretta relazione numerica con i due. (V. acustica, tesi n.8).
Francesco Geminiani (c.a.1680-1762) fu uno dei più dotati allievi di Corelli. Dopo gli studi con il suo maestro, questo
grande virtuoso e cultore della forma del concerto grosso, si recò all'estero per fondare una grande scuola violinistica
inglese. La sua maggiore opera fu la raccolta di pezzi intitolata "La foresta incantata" che servì come musica per un
balletto pantomimico.

Pietro Locatelli (1695-1764), la cui appartenenza alla scuola di Corelli non è sicura, nacque a Bergamo ma si trasferì
abbastanza presto in Olanda, dove fondò una celebre scuola violinistica.

Locatelli fu uno dei massimi virtuosi del violino, paragonabile a Paganini, e la sua maggiore opera come compositore fu
la raccolta intitolata "L'arte del violino" contenente concerti solistici per violino ed archi, che curiosamente spesso
includono una cadenza denominata "capriccio". Non fu un caso infatti, che i capricci di Paganini, che vennero scritti
oltre un secolo dopo, abbiano alcuni tratti stilistici comuni con quelli di Locatelli.

Anche la tecnica costruttiva degli strumenti venne grandemente migliorata ed affinata, e si affermarono nel caso del
violino delle vere e proprie famiglie di liutai il cui valore rimase inestimabile nel tempo: Amati, Guarnieri, Stradivari,
Guadagnini.

A questo enorme favore incontrato dal violino, corrispondeva inevitabilmente un fiorire della trattatistica specifica,
nella quale spiccavano i nomi di Carlo Tessarini e di Leopold Mozart, padre del celebre Wolfgang Amadeus.

26.3 ­ Il cembalismo

Parallelamente alla grande fioritura del violino avvenne in Italia la grande esplosione delle tastiere, ad opera di autori
come Pasquini, Zipoli (con le sue Suites) e soprattutto Domenico Scarlatti.

Domenico Scarlatti, figlio di Alessandro, fu un vero e proprio virtuoso del cembalo, paragonabile a Corelli nell'arte
violinistica. La sua produzione abbracciava moltissime opere tra cui spiccavano i "30 esercizi" pubblicati a Londra e
numerosissime sonate che complessivamente ammontavano ad oltre 550.

Le sonate eranospesso formalmente organizzate secondo un unico movimento suddiviso in due parti con un passaggio
dalla tonica alla dominante e ritorno alla tonica; mentre più raramente erano costituite da due, tre o quattro
movimenti. Gli elementi distintivi dell'estetica di Scarlatti erano il grande senso dell'invenzione melodica e la illimitata
fantasia ritmica, quest'ultimo fattore sempre molto importante sul cembalo.

Oltre alle esperienze napoletane di Scarlatti, sono da rilevare quelle veneziane di Pescetti, Platti, Alberti e soprattutto
Baldasarre Galuppi, le cui sonate presentavano già lo schema dei tre movimenti che ebbero fortuna nel secondo
Settecento e nel primo Ottocento.

Sulla scia della grande fortuna dello strumentalismo italiano, anche all'estero nacquero grandi scuole strumentali,
come nel caso del violino, esportato spesso da maestri nostrani (v. sopra) ma anche nella tastiera, anche con
compositori indigeni. Fu il caso ad esempio della Francia, che annoverava le esperienze di organisti come Nicolas de
Grigny e Francois Cuperin, che fu attivo anche alla corte del re e compose alcuni importanti concerti intitolati "I gusti
riuniti", "L'apoteosi di Corelli", "L'apoteosi di Lully" e numerosissime raccolte di pezzi (Suites).

Anche il grande teorico e drammaturgo Jean Philippe Rameau fu attivo nel campo della tastiera, organo in
particolare, e il suo catalogo cembalistico annoverava 57 pezzi ordinati in tre raccolte, che mostravano notevoli
progressi nella tecnica esecutiva specie per quanto riguarda l'uso del pollice e l'incrocio delle mani.
In Germania si distinsero Dietrich Buxtehude, nella regione settentrionale, Johann Pachelbel, in quella meridionale, ma
soprattutto Georg Philipp Telemann, che ebbe grande fortuna in tutto il paese e fu richiestissimo come maestro di
cappella, Georg Friedrich Händel, e Johann Sebastian Bach (che sono trattati esaustivamente nella tesi n.27).

27 – Händel e Bach

27.1 ­ Georg Friedrick Händel

Georg Friedrick Händel nacque ad Halle nel 1685, in Sassonia, nello stesso anno e a poca distanza dal suo
contemporaneo J.S.Bach.

Grande compositore, sviluppò la sua carriera


interamente all'estero. In gioventù effettuò un breve
viaggio in Italia, passando per Venezia e Roma, dove
ebbe modo di conoscere l'opera italiana e Corelli, che
criticò per la sua delicatezza esecutiva.

Rientrato in patria, assolse per qualche tempo l'incarico


di maestro di cappella ad Hannover prima di ripartire, nel
1710 per Londra, dove rimase fino alla morte,
sopravvenuta nel 1759 dopo tristi anni che lo avevano
ridotto alla condizione di non vedente; Egli venne quasi
naturalizzato inglese tanto da non far apparire errata la
scrittura del suo cognome come Handel.

A Londra si distinse come compositore di molti generi


musicali, direttore artistico di alcuni tra i più prestigiosi
teatri, come il King's Theatre ed il Covent Garden, ed
impresario di sé stesso.

Non è certamente avventato affermare che dopo i fasti di Henry Purcel di fine Seicento, il Masque e le limitate
esperienze del Ballad-Opera, l'opera italiana aveva conquistato il pubblico inglese. Molti cantanti ed addetti ai lavori
(ad esempio i musicisti Bonacini, Ariosti, Porpora) avevano infatti potuto sviluppare luminose carriere oltre Manica. Vi
era una nutrita schiera di grandi cantanti nostrani che si erano legati all'uno o all'altro teatro. Ad Händel ad esempio si
legarono cantanti come il contralto castrato "Senesino" (nome d'arte che tradiva le sue origini senesi) Francesco
Bernardi, il soprano femminile Cuzzoni e il mezzo-soprano Faustina Bordoni, mentre il celebre castrato "Farinelli" (Carlo
Broschi), che pure si trovava a Londra in quegli anni, non interpretò mai opere del compositore di Halle.

Val quindi subito la pena di considerare l'apporto che Händel diede alla musica di scena.

La particolarità di Händel fu quella di adattare al gusto del pubblico inglese alcuni elementi dell'opera italiana,
soprattutto il felice melodismo; egli infatti pur scegliendo di rappresentare opere (42) nella lingua italiana, ebbe
l'astuzia di limitare i lunghi recitativi per evitare di annoiare il pubblico locale con versi incomprensibili e potenziò le
arie eleggendole a principali pezzi nei suoi melodrammi. I testi erano spesso rimaneggiati da suoi collaboratori come gli
italiani Hayn e Rolli che avevano cura di aggiornare il linguaggio e di renderlo più attuale e meno arcaico.

Gli argomenti erano di svariata natura, e ricalcavano in linea di massima il gusto italiano, spaziando da quelli mitologici
a quelli storici dell'epoca romana a quelli cavallereschi, ma si trattava assolutamente di opere serie; tra i titoli più
famosi ricordiamo "Agrippina", inscenata per la prima volta a Venezia, "Giulio Cesare", "Rodelinda", "Ariodante",
"Alcina", "Serse", "Orlando", che conteneva la famosa "aria di pazzia" sviluppata secondo l'anomalo tempo di 5/8.

Le arie rispecchiavano lo stile ormai consolidato della forma con da capo, secondo il modello A-B-A' ed erano
estremamente virtuosistiche, in considerazione del fatto che poteva disporre di cantanti estremamente dotati; assenti
invece i cori.

Erano inoltre molto frequenti i concertati e i pezzi strumentali in generale, che testimoniavano gli altissimi livelli della
tecnica compositiva di Händel; la sinfonia d'apertura era in stile francese, alla Lully.

A partire dal 1740 la produzione di musica vocale si attestò invece sugli Oratori, probabilmente per la scelta di volersi
indirizzare verso un pubblico più vasto, non limitato alla committenza della media borghesia e dell'aristocrazia che
aveva normalmente accesso ai teatri.

Nacquero così alcuni capolavori assoluti del genere, come "Solomon", "Ester", "Jeptha" e soprattutto il "Messiah".

Quest'ultimo, che fu anche tradotto in italiano, constava di tre parti ed aveva curiosamente un andamento non
narrativo: la prima parte era dedicata alle profezie sulla nascita di Gesù, la seconda rappresentava una piccola
"passione", mentre la terza immaginava e descriveva le conseguenze della venuta di Cristo sulla Terra con importanti
riflessioni sul Cristianesimo.

Di quest'oratorio è molto interessante la sinfonia di carattere pastorale che incorniciava la nascita di Gesù; mentre più
in generale degli oratori di Händel possiamo rimarcare l'atteggiamento positivo ed estremamente gioioso nei confronti
della religione, cosa che non ritroveremo in Bach.

Parlando della produzione strumentale, citiamo subito la raccolta "Solos" op.1 contenente sonate da Chiesa per vari
strumenti solistici e basso continuo; e le due raccolte op.3 ed op.6 contenenti rispettivamente concerti grossi per fiati
ed orchestra d'archi la prima e concerti grossi per archi solisti e ripieno sempre d'archi la seconda, che tradisce
un'ispirazione corelliana.

Importantissimi e abbastanza particolari sono i numerosi concerti per organo ed orchestra d'archi che appaiono quasi
come dei meravigliosi intermezzi da inserire tra un atto e l'altro dei suoi mirabili oratori.

Ricordiamo infine le due grandi opere strumentali: "Water music", una raccolta di 22 pezzi di vario andamento eseguiti
per la prima volta in occasione di una gita barca sul Tamigi da parte dei reali e che quindi sfoggiavano
un'orchestrazione molto sonora, ma sempre estremamente piacevole; e "Music for the Royal Fireworks", composta per
celebrare la pace di Aquisgrana del 1748 tra Francia ed Inghilterra, che conteneva sei pezzi molto estesi di carattere
sfarzoso; l'organico in questo caso constava, tra gli altri strumenti, di ben 12 oboi e 12 fagotti.

27.2 ­ Johann Sebastian Bach

La vita
Johann Sebastian Bach nacque ad Eisenach, in Turingia, nel 1685, in una famiglia di grandissima traduzione
musicale, e fu quasi "costretto" a praticare la professione musicale. Gli studi, di tastiera oltreché di contrappunto,
avvennero con il fratello, senza quindi un maestro di grande tradizione; mentre gli esordi come compositore furono in
alcuni sporadici incarichi, di piccola importanza, presso alcune cappelle tedesche.
Dal 1708 occupò il posto di maestro di cappella a Weimar, rimanendovi fino al 1717, dove si dedicò alla produzione di
musica sacra.

A partire dal 1717 iniziò invece il periodo più felice della vita di Bach, che egli trascorre con l'incarico di maestro di
cappella a Köthen, cittadina di fede calvinista che non fu quindi pressante nello spingere il compositore a dedicarsi alla
musica sacra. Durante questi anni infatti Bach poté dedicarsi al genere che egli prediligeva, ossia quello strumentale
utilizzando le forme seicentesche italiane (concerti, sonate, suites).

Dal 1723 Bach si trasferì a Lipsia, rivestendo l'importante carica di "Cantor" (maestro di cappella, insegnante e
compositore) nella chiesa di S.Tommaso, e fu quindi riassorbito dalla tradizione della musica luterana con il gravoso
onere di dover scrivere almeno una cantata a settimana per tutto l'anno liturgico: dopo poco egli iniziò, per soddisfare
questa imponente richiesta, a rielaborare alcune sue composizioni del passato.

Divenne inoltre direttore del "Collegium musicum", un'orchestra privata con annesso coro e cantanti con la quale
partecipava ad alcune occasioni musicali private, come matrimoni, e dove poteva quindi assecondare in modo più
libero le proprie inclinazioni di composizione.

Negli ultimi anni, a partire dal 1740, iniziò una produzione di musica "reservata", ossia composta con fini prettamente
di diletto personale, forse per soddisfare il bisogno, non troppo celato, di uscire dai rigorosi e pressanti oneri dettati
dall'impegno nella chiesa luterana: nacquero così alcuni dei suoi massimi capolavori, come descritto più avanti.

Proprio questo carattere a volte combattivo e ribelle fu uno degli aspetti più nuovi scoperti nella figura bachiana. Egli fu
anche condannato alla prigione per il suo temperamento non troppo remissivo nei confronti dei suoi superiori e
mecenati.

E' importante infine notare che la sua sconfinata produzione, che annoverava oltre mille opere spaziando per i generi
più diversi tranne quello del melodramma, gli fece raggiungere quasi sempre degli eccellenti livelli.

Morirà nel 1750 a Lipsia.

Secondo una tradizione alquanto diffusa al tempo, anche Bach venne brevemente dimenticato alla sua morte, come
tanti altri musicisti, basti pensare che solo alcuni decenni dopo, all'epoca di Mozart, era praticamente sconosciuto;
bisognò attendere fino ai primi decenni dell'Ottocento quando Mendelssohn, nel 1829, dopo aver trovato la partitura
della mirabile "Passione secondo S.Matteo" a Weimar, la dirigesse riportando nel contempo alla luce la grande opera
del compositore di Eisenach.

Probabilmente Bach venne lungamente ignorato perché il suo interesse compositivo si indirizzava prevalentemente
verso i generi del passato, come la grande polifonia e il solidissimo contrappunto dei fiamminghi, ormai non più di
moda; e nonostante abbia trascritto anche opere degli italiani Vivaldi e Frescobaldi non fu, per così dire, troppo
proiettato verso il futuro, tanto da rappresentare una guida per i giovani compositori nascenti.

Bach si impegnò in quasi tutti i generi, vocali e strumentali, ad eccezione del melodramma italiano, probabilmente per
mancanza di opportunità, ma non appare casuale che, proprio la forma più importante nel genere della musica per
scena italiana, l'aria con da capo, sia stata introdotta nelle composizioni sacre (oratori soprattutto).
La produzione strumentale
La produzione per tastiera di Bach consisteva in circa 250 pezzi per organo, sia liberi (toccate e ricercari in stile
italiano) che sacri, comunemente identificati come "Corali". Si trattava di composizioni spesso intitolate che derivavano
da omonimi corali della tradizione luterana intavolati per tastiera.

Vastissima la produzione cembalistica, che era articolata nella raccolta "Klavierübung" (letteralmente, esercitazione per
tastiera), suddivisa in quattro estesi volumi che contenevano pezzi variamente assortiti. Vi facevano parte: le partite
tedesche, comprendenti movimenti di danza già utilizzate nelle suites, ma con un primo movimento sempre differente;
il concerto "in stile italiano", articolato in tre movimenti che denotava un lirismo tipicamente italiano nell'adagio
centrale; una ouverture in stile francese, pezzo estremamente fragoroso, sonoro, ritmicamente ben sostenuto; e le
variazioni Goldberg, strutturate come un'aria con trenta variazioni, che costituiva un vero e proprio prodigio nel genere
specifico.

Fondamentali nella letteratura cembalistica bachiana sono da considerare i due volumi del "Clavicembalo ben
Temperato", pubblicati rispettivamente nel 1722 e nel 1744, contenenti ciascuno una serie di 24 preludi e fughe in
tutte le tonalità, che costituivano il primo vero esempio di applicazione della scala temperata sulla tastiera e
rappresentavano una pietra miliare anche nella didattica.

La musica tastieristica venne anche arricchita dalle raccolte di sei "Suites inglesi", che contenevano un preludio
introduttivo ai classici movimenti di danza, e dalle sei "Suites francesi", che ne erano sprovviste.

La musica strumentale non tastieristica degna di nota vede senz'altro i concerti "brandeburghesi", composti per il
relativo di Brandeburgo nello stile del concerto grosso come organico strumentale (concertino e ripieno), ma non nella
forma; prodigioso era il trattamento timbrico del concertino che mutava in ciascuno di essi.

Importanti furono inoltre le sei Suites per violoncello solo.

Gli ultimi anni della sua vita furono dedicati alla produzione della musica "reservata", come già detto, musica che
venne anche definita "speculativa" in omaggio alle caratteristiche quasi filosofiche ed astratte data la estrema
complessità costruttiva: ne fanno parte 11 corali, il secondo volume del "clavicembalo ben temperato", ma soprattutto
"l'Offerta musicale" BWV 1079 e "l'Arte della fuga" BWV 1080.

L'offerta musicale nacque allorché Bach, che in quegli anni prestava servizio a Lipsia, venne chiamato dal re di Prussia
nel 1747, su consiglio del figlio Carl Philip Emanuel che lì ricopriva l'incarico di maestro di cappella. Il sovrano, che era
musicista, propose a Bach un tema, al quale egli rispose improvvisando una enorme numero di variazioni di varia
natura e di pregevolissima fattura. Al rientro a Lipsia il grande compositore pensò bene di trascrivere il frutto di questa
improvvisazione, ritenendola di ottima qualità, che venne quindi pubblicata con il titolo de l'"Offerta Musicale". La
raccolta comprendeva quindi un "Tema Regium" e una serie corposa di brani di varia natura: variazioni, ricercari,
toccate, canoni, ed una sonata per flauto, violino e basso continuo.

L'arte della fuga rappresentava uno degli ultimi progetti di Bach, altamente sfidante, composto in origine da 24 fughe
(a 2-3-4 o 5 voci) di musica astratta ed assolutamente speculativa, come mostrato dalla non dichiarata destinazione
strumentale; egli non riuscì a terminare la raccolta in quanto morì nel 1750, lasciandoci solo i primi 23 pezzi; l'ultimo
venne aggiunto postumo scelto tra uno dei suoi numerosissimi corali. L'opera venne eseguita con vari organici
strumentali, dal quartetto d'archi al quartetto di fiati, fino alla tastiera (organo o cembalo), ma in nessuna di queste
esecuzione tale musica sembrava riconoscersi pienamente nella sua grandezza.
Struttura della fuga bachiana
Il termine "fuga" subì nel corso della storia musicale varie modificazioni: originariamente comparve nel '500 tedesco
per indicare l'omologo strumentale del ricercare italiano, poi passò alla storia come la forma musicale che più
rappresentava l'arte di Bach. Successivamente, durante il periodo romantico, la fuga subì ulteriori influenze derivate
dalla forma-sonata che in qualche maniera ne modificarono l'architettura formale.

La fuga classica, ai tempi di Bach, era costituita da tre sezioni: esposizione, divertimenti e stretti.

Elemento centrale della fuga era, per così dire, il soggetto, che svolgeva una funzione tematica assoluta e
predominante su tutto il pezzo. Anche se esistono fughe bitematiche o poli-tematiche, l'elemento fondamentale
rimaneva sempre il soggetto, che veniva esposto chiaramente ed inequivocabilmente nella prima sezione,
progressivamente dalle varie voci che si alternavano nell'entrata appena la precedente aveva terminato la propria
esposizione tematica.

Non appena una voce aveva terminato l'esposizione del soggetto, contrappuntava quella che nelle battute seguenti
esponeva il medesimo soggetto mediante un controsoggetto. La risposta della seconda voce era affidata sempre al
soggetto, solitamente nel tono della dominante.

Le parti libere erano a piacere in contrappunto o anche in pausa.

Lo schema seguente dovrebbe esemplificare la struttura-tipo, suscettibile, va detto, di possibili variazioni, specie
nell'ordine d'entrata delle varie voci, che era stabilito a piacere dal compositore:

Soprano

Contralto

Tenore

Basso

La seconda fase era quella dei divertimenti, ossia delle sezioni che modulano ai toni vicini rispetto alla tonalità
d'impianto.

Una volta raggiunta la nuova tonalità con un divertimento, veniva riproposto il tema in quella tonalità, fino alla terza
fase, quella degli stretti conclusivi. La parte finale della sezione dei divertimenti era spesso caratterizzata da un pedale
di dominante.

Negli stretti si aveva nuovamente l'imitazione del soggetto nelle varie voci, ma le relative entrate avvenivano prima
che le singole esposizioni fossero completate, e quindi in maniera molto più serrata, appunto; appare spesso in questa
sezione un pedale, come già detto.
La produzione vocale
Molto estesa era anche la produzione di musica vocale di Bach, imperniata attorno alla grande messa in Si minore BWV
232. Tale messa venne scritta originariamente come pezzi singoli e solo successivamente assemblata fino a costituire
un'unica opera. Figurano inoltre nel catalogo vocale bachiano, numerosi mottetti, cantate, e 2 passioni.

Bach scrisse 295 cantate, ma di queste ne sono giunte fino a noi circa 195; la struttura delle prime era simile a quella
di Dietrich Buxtehude, che codificò la forma secondo una successione di ariosi e di corali per organico a 1-2 voci, più
orchestra e basso continuo, in polifonia a quattro voci molto semplice.

Bach, pur seguendo il modello di Buxtehude, dimostrò nelle cantate di aver assorbito alcuni elementi tipici del
melodramma secentesco italiano, in particolare la successione recitativo-aria, aggiungendovi a sua volta un corale
solitamente in ultima posizione.

Bach ci ha lasciato anche alcune cantate "profane", la cui più famosa è quella "del Caffè", molto estesa, di carattere
brillante e vivace, che si può considerare quasi un'operina.

Le passioni bachiane risultavano essere cinque, anche se soltanto due ci sono pervenute: quella secondo S.Giovanni,
più giovanile, di carattere lirico e contemplativo, e quella secondo S.Matteo, considerato uno dei massimi capolavori
dell'artista, di carattere molto più forte e drammatico, che vide la luce nel 1727 e fu revisionata nel 1729 (tale
riedizione fu quella trovata e diretta da Mendelssohn un secolo dopo che diede il via alla riscoperta dell'opera
bachiana); una terza passione, che ci è giunta manoscritta, probabilmente fu trascritta da Bach di suo pugno, per scopi
di studio e non è stata prodotta da lui.

Parte di una passione secondo S.Marco, perduta, fu stata in realtà utilizzata come modello secondo la tecnica della
parodia per altri pezzi.

La struttura-tipo di una passione bachiana, prevedeva una elaborazione del Vangelo dell'evangelista prescelto a cura di
un librettista (il più apprezzato da Bach era un certo Picander), che aveva cura di inframezzare i lunghissimi recitativi
del testo sacro con delle arie, che venivano cantate dai personaggi che intervenivano nella vicenda (Gesù, gli Apostoli,
ecc...)

Venivano inseriti anche i corali, di derivazione spesso luterana, e soprattutto lunghissimi cori.

28 – L'età classica : Haydn, Mozart, Beethoven

28.1 ­ Il pianoforte

Il pianoforte, strumento a corde percosse da martelli azionati da una tastiera e provvisto di una corposa cassa i
risonanza, fu uno strumento rivoluzionario nella storia della musica in quanto fu la prima tastiera che permise di
controllare l'intensità dei suoni emessi. Né il clavicembalo, né l'organo potevano infatti emettere suoni differenti, non
soltanto come intensità ma anche come timbro, modificando il metodo di attacco del tasto.

Il padre di questo strumento venne idealmente riconosciuto nel fiorentino Bartolomeo Cristofori, del quale ci sono
rimasti due modelli risalenti rispettivamente al 1709 e al 1726. L'evoluzione del pianoforte vide altre tappe
fondamentali segnate da vari costruttori negli anni seguenti, come l'invenzione del doppio scappamento ad opera del
francese Erard nel 1823 e in generale il perfezionamento della tecnica realizzativa, la progressiva estensione delle
ottave fino a quella attuale.
Il pianoforte fu inoltre dotato del pedale di sordino e soprattutto di quello di risonanza, che consentiva infiniti effetti
timbrici ed espressivi, come mirabilmente dimostrato dalla letteratura romantica.

Se il periodo barocco e del primo Settecento può essere considerato il trionfo del violino, è certamente indiscutibile la
primaria importanza del pianoforte nel periodo del tardo-classicismo e soprattutto del romanticismo, del quale periodo
si ergeva ad assoluto sovrano.

Il compositore-padre del pianoforte venne riconosciuto in Muzio Clementi (1752-1832), che fu tra i primi codificatori
della forma-sonata pianistica, che aprì la strada ai vari Mozart, Haydn e Beethoven.

28.2 ­ Le forme: la sonata, il concerto, la sinfonia

Tre erano le forme che dominavano il periodo classico per quanto concerne la musica strumentale: la sonata, il
concerto e la sinfonia.

La sonata, ormai molto evoluta rispetto alle esperienze di Domenico Scarlatti, godeva ora di una consolidata struttura
di tre movimenti: un primo movimento con andamento di allegro e struttura in forma sonata, un secondo movimento
lento, tipicamente adagio o andante, ed un finale brillante in forma di allegro o di presto, secondo un modello quindi
che ricalcava il tipico concerto strumentale settecentesco della scuola veneziana.

L'allegro iniziale era, come detto, organizzato secondo lo schema della forma-sonata, che prevedeva una sezione
iniziale chiamata esposizione dove venivano proposti i due temi (sempre presenti) di carattere contrastante: il primo
era solitamente di carattere maschile, deciso, nella tonalità d'impianto della sonata, il secondo era di carattere più
intimistico, femminile, e poteva svilupparsi nella dominante oppure nella tonalità minore relativa. All'esposizione
seguiva lo sviluppo, nel quale i due temi si confrontano e si evolvevano, ed una cosiddetta "ripresa", nella quale si
ritornava alla tonalità iniziale e veniva riproposto il tema iniziale; andando a suggellare uno schema che
riassuntivamente può essere considerato bi-tematico e tripartito. Con Beethoven si arrivò allo stravolgimento di questo
schema, passando dapprima allo schema dei quattro movimenti, con l'introduzione di uno scherzo con trio in terza
posizione, prima dell'allegro conclusivo; e poi addirittura allo scardinamento della forma-sonata nelle ultime produzioni.

Il secondo movimento, di carattere lento, era spesso un adagio cantabile o un andante, mentre il terzo veniva
sviluppato come un allegro o come un presto, spesso nelle forme del rondò o del tema con variazioni.

Il genere del concerto si sviluppò come evoluzione dell'omonima forma ma cristallizzava l'organico strumentale ad un
solista, tipicamente violino, pianoforte o un fiato, e l'orchestra, nella divisa in archi (primi violini, secondi violini, viole e
l'accoppiata violoncelli-contrabbassi che fino a Beethoven avevano una linea melodica identica), fiati (disposti a coppie,
due fagotti, due oboi, due flauti, due corni, ...), percussioni.

La struttura era sempre in tre movimenti articolati come nella sonata strumentale: allegro in forma-sonata, movimento
lento in forma di romanza, rondò finale.

Si mantenne durante il periodo classico l'abitudine del solista-direttore, mentre la figura del direttore d'orchestra
nacque solo successivamente.

Il genere della sinfonia assorbiva invece il concerto grosso del periodo barocco, e si sviluppava inizialmente su uno
schema a tre movimenti come nella sonata per poi passare a quattro, con l'introduzione di un minuetto con relativo trio
dopo il movimento lento. Il terzo movimento venne poi sostituito da uno scherzo con Beethoven che, come descritto di
seguito, operò altri stravolgimenti a questa forma classica sia dal punto di vista architettonico che nell'organico
orchestrale.

28.3 ­ Haydn

Franz Joseph Haydn nacque a Rohrau, presso Vienna, nel 1732 da umile famiglia. Si trasferì nella grande Vienna
imperiale ben presto in cerca di fortuna, dove conobbe Metastasio, e studiò composizione e contrappunto con l'italiano
Porpora.

La svolta artistica avvenne nel 1761 quando ottenne l'incarico di maestro di cappella alla corte dei potenti principi
Esterhazy, che ne diventerano potenti protettori, presso la cui corte vi era una magnifica orchestra: sarà per lui
l'occasione di affinare la sua tecnica compositiva.

A partire dal 1790 Haydn effettuò alcuni viaggi a Londra, in un clima più libero dalle costrizioni della corte, poi
soggiornò brevemente a Parigi ed infine si ristabilì a Vienna, dove morì nel 1809.

Il catalogo delle opere di Haydn è piuttosto vasto e comprende 108 sinfonie (4 spurie), molte delle quali sono dedicati
ai suoi protettori, caratterizzate all'inizio dallo stile del concerto italiano allegro-adagio-allegro di Vivaldi ma con influssi
stilistici di Carl Philipp Emanuel Bach: Haydn e' stato a pieno merito considerato il padre del genere della sinfonia, oltre
che del quartetto d'archi e forse della sonata classica.

A partire dalla sinfonia n.31 si ebbe il passaggo (che effettueranno anche Mozart e Beethoven) ad un'architettura a
quattro movimenti. Tra le più famose ricordiamo quella intitolata "Degli adii" che sfoggiava un'insolita tonalità (per
l'epoca) di fa# minore, il gruppo delle 6 "Parigine" con nomi di animali, e il gruppo delle 12 "Londinesi" nn. 93-104 tra
le quali spiccano "L'orologio", la "Solomon" e la "Militare".

Importante la produzione per tastiera, con 52 sonate cembalistiche che mostravano un carattere prettamente didattico
e poco virtuosistico; importantissimi gli 83 quartetti, della cui forma viene considerato il padre assieme a Boccherini, in
quanto per primo avviò una scrittura che rendeva le quattro voci indipendenti tra di loro con un gusto nobile e
raffinato; ed infine mirabili sono i due oratori "La Creazione" dal grande poema "Il paradiso perduto" di Milton, e "Le
stagioni".

28.4 ­ Mozart

Wolfgang Amadeus Mozart nacque a Salisburgo nel 1756 in una famiglia di musicisti nella quale il padre, Leopold,
era un discreto violinista ed occupava una importante posizione nella cappella di corte del principe-arcivescovo
cittadino.

Il padre si rese subito conto del grande talento del figlio e intraprese una importante opera di promozione artistica del
figlio che sfociò in svariati viaggi all'estero per cercare di farne conoscere le immense potenzialità al grande pubblico.
Gli anni dal 1762 al 1772 trascorsero così con un continuo pellegrinaggio in tutt'Europa in cerca di fortuna in
compagnia del padre, dando concerti, conoscendo altri compositori ed esecutori e quindi facendo enormi esperienze
artistiche. Fu tre volte in Italia per tournée di concerti ed altre occasioni mentre al rientro in patria andò ad occupare la
carica di Konzertmeister nella cappella arcivescovile finché nel 1781 decise di compiere il grande salto, rinunciando al
"posto fisso" e tentando la fortuna nella Vienna imperiale a quel tempo dominata da Haydn.

Dopo alcuni anni di grande successo, soprattutto come solista dove si esibiva nei suoi concerti, diede lezioni private e
pubblicò molte sue opere, visse un lento declino umano e professionale proprio nel momento, ironia della sorte, nel
quale iniziò a produrre i suoi veri capolavori. Logorato nel fisico e nell'anima, morì giovane nel 1791 e fu seppellito in
una fossa comune dimenticato da tutti.

Mozart fu attivo in molti generi tra loro differenti, dal melodramma (nello stile italiano e tedesco), alla musica
strumentale, a quella sacra, sempre con risultati eccellenti: la catalogazione delle sue opere è stata curata da Köchel
pertanto esse riportano la lettera K o Kv.

Nel genere del teatro, Mozart compose 24 opere assimilabili come serie su libretti italiani, tra cui spiccavano "Idomeneo
re di Creta", "La clemenza di Tito" e "Lucio Silla"; buffe su libretti italiani di cui si ricordano "Le nozze di Figaro", "Don
Giovanni", "Così fan tutte"; e Singspiele in lingua tedesca, tra cui ricordiamo "Il ratto del serraglio" e "Il flauto magico".

La produzione strumentale si articolava in 41 sinfonie, che mostravano un'evoluzione stilistica da "cortigiana" in tre
movimenti molto delicata e gioiosa a "pre-romantica" in quattro movimenti con largo uso di toni patetici e passionali.
Tra le più importanti si ricordano la K.300a "Paris", la K.385 "Haffner", la K.425 "Linz", la K.504 "Praga", la K.550 e
l'ultima, la K.551 "Jupiter", che nell'ultimo movimento unisce mirabilmente il genere della forma-sonata e della fuga
dopo che Mozart era rimasto affascinato dall'arte di J.S.Bach.

Importantissima fu anche la serie dei concerti per strumento solista ed orchestra, dai sette giovanili per violino (lui
stesso era violinista) a quelli per pianoforte (27), che costituivano alcuni tra i massimi capolavori nel genere. Anche i
concerti per piano videro un'evoluzione stilistica paragonabile a quella delle sinfonie: da un'atmosfera delicata e
gioiosa dei primi, si passa all'uso sempre più marcato delle tonalità minori per un pathos ed una complessità sempre
maggiori. Tra i maggiori ricordiamo il K.271 "Jeunehomme", il K.466 in re minore, che mostra tratti "demoniaci", il K.467
in do maggiore, il K.488 con il suo andante molto triste in Fa# minore, K.491 che sembra quasi "beethoveniano", e il
conclusivo K.595 in si bemolle maggiore.

Si annoverano anche quattro concerti per corno e orchestra, uno per clarinetto, uno per fagotto, uno per oboe, due per
flauto.

Tutti i concerti mostravano un allegro d'apertura in forma-sonata, un andante patetico cantabile in forma di romanza ed
un brioso finale nello stile delle variazioni o del rondò.

Nel genere strumentale, mirabili furono anche le serenate (celeberrima la K.525 "Piccola serenata nottura"), articolate
sempre secondo lo schema della sinfonia; i divertimenti, che nascevano come varianti più leggere, scherzose e briose;
e soprattutto i quartetti e i quintetti da camera, che mostravano un'orchestrazione raffinatissima degna del miglior
Haydn.

Mozart si cimentò anche nel genere del pianoforte, componendo 17 sonate, e vari rondò, fantasie e altre forme a
quattro mani.

Nella musica sacra infine egli produsse 17 Messe, tra cui il capolavoro assoluto "Requiem" K.626 rimasto incompiuto e
terminato da una stregua di suoi strettissimi collaboratori.

I tratti distintivi della scrittura di Mozart, che ne attestano pienamente la grande genialità, risiedono in una estrema
chiarezza espositiva, un assoluto equilibrio formale tra i vari elementi strumentale, armonico, ritmico, melodico; il tutto
unito in una semplicità ed in una varietà espressiva che conquistano chiunque.

28.5 ­ Beethoven
Ludwig van Beethoven nacque a Bonn nel 1770 da una famiglia di origine fiamminga (origine tradita dalla particella
"Van", in luogo del "Von" tedesco).

I primi studi con Neefe, un musicista con solide basi nella composizione, assieme alla conoscenza del compositore
Maximilian Franz e del potente conte Waldstein, gli aprirono le strade per un importante viaggio di istruzione a Vienna,
nel 1787. Tale soggiorno, interrotto dal ritorno a casa per la morte della madre, si trasformò poi in preambolo al
trasferimento definitivo nella città danubiana, allorché la cappella del principe Franz venne soppressa a seguito
dell'occupazione della regione dalle truppe francesi.

A Vienna egli volle subito di arricchire la sua formazione sia sotto Haydn che soprattutto con Schenk, Albrechtsberger
(per il contrappunto), e Salieri (per la musica vocale); e nel contempo iniziò a farsi apprezzare da vari mecenati, come il
principe Lichnowski, il conte Rasumowski, l'arciduca Rodolfo: non fu un caso che varie opere di Beethoven siano
dedicate, tra gli altri, a questi personaggi.

Nella fase centrale della sua carriera fu colpito da una crescente sordità che lo minò profondamente, come
testimoniato dal "testamento di Heiligenstadt" del 1802, gettandolo in uno sconforto che egli, grazie alla musica, seppe
vincere negli ultimi anni.

La sordità pose frattanto fine alla sua carriera di brillante concertista di pianoforte e lo rese di comportamento più
burbero ed irascibile, come testimoniato dai numerosi "quaderni di conversazione" che egli usava per comunicare con i
suoi interlocutori.

A partire dal 1815 iniziò il periodo più difficile della vita di Beethoven, in quanto i suoi malanni fisici, la scomparsa di
molti suoi amici e protettori e l'impegnativa gestione del nipote Karl, gli procurarono anche grane giudiziarie; morì in
solitudine nel 1827 a Vienna, colpito da cirrosi epatica.

La figura del Beethoven compositore mostrava alcune interessanti differenze rispetto ai grandi maestri classici, Mozart
ed Haydn, soprattutto perché la sua produzione avvenne perseguendo scopi non di un intrattenimento salottiero o
cortigiano, bensì di divulgazione del grande messaggio dell'illuminismo tedesco del quale egli era portatore.

Il messaggio della musica di Beethoven era dunque positivo a dispetto delle sue disgrazie fisiche e sociali, perché gli
ideali altissimi che egli promuoveva non potevano venire intaccati, secondo il suo pensiero, dalle vicessitudini terrene.

La sua produzione per organico orchestrale era incentrata attorno a nove sinfonie, che mostravano un'evoluzione
notevole della forma, dallo stile "haydeniano" ad uno più personale che si denotava nella terza, denominata "Eroica" e
dedicata originariamente a Napoleone, fino alle evoluzioni della nona sinfonia, che introduceva grandissime novità
come l'avvento della voce umana, e la conclusione in un corale, che fu un tripudio di gioia per gli altissimi ideali di
fratellanza tra gli uomini.

Nell'organico orchestrale Beethoven operò il raddoppio delle coppie di fiati, corni, ed introduce l'ottavino ed il contro-
fagotto.

Importantissima la produzione per pianoforte, che ruotava attorno alle mirabili 32 sonate più altri numerosi pezzi.

Nelle sonate si ebbe una evoluzione poderosa della forma-sonata, che dalle esperienze tipicamente haydeniane delle
prime opere (le prime tre sonate op.3 vennero dedicate ad Haydn), mostrarono una veloce maturazione nella op.13
"Patetica", e condussero nel secondo periodo evolutivo in cui si trovano le due sonate "Quasi una fantasia" op.27,
l'op.28 "Pastorale" e le tre op.31 (tra cui la n.2 "Tempesta" e la n.3 "Caccia").
Nel periodo centrale, si ebbe ad esempio la sostituzione del terzo movimento, tradizionalmente un "minuetto", con il
più moderno "scherzo", e iniziarono ad intravedersi altre novità formali, come la riduzione a due movimenti avvenuta
nella sonata op.54. Dello stesso periodo fanno parte anche l'op.53, dedicata al conte di Waldstein, e l'op.57,
ribattezzata "Appassionata", il cui secondo movimento originario andò a costituire il pezzo "Andante Favori", pubblicato
a parte (Nell'opera era stato inserito un adagio più breve e meno complesso).

Negli ultimi anni, ulteriori furono le novità formali apportate alla sonata, come testimoniano anche gli andamenti dei
vari movimenti, che assunsero i nomi come "arioso"; nelle opp.106 e 110 era presente una poderosa "fuga" mentre
l'ultima sonata, che costituiva una vetta nel panorama della sonata per pianoforte, era articolata in due movimenti e
terminava con un'"arietta" che scardinava forse inevitabilmente il rapporto con la forma tradizionale.

Importantissimi nella produzione beethoveniana furono i trii ed i quartetti da camera, che subirono un'evoluzione
similare a quella della sonata pianistica e della sinfonia: gli ultimi mostravano tecniche estremamente evolute, come
mirabilmente testimoniato dalla "Grande Fuga" op.133.

Tra le ultime opere si distinsero inoltre la "Missa Solemnis" op.123 per soli, coro ed orchestra, che richiese oltre dieci
anni di lavoro.

Completano la produzione strumentale le sonate per violino e pianoforte, tra le quali citiamo l'op.24 "Primavera" e
l'op.47 dedicata al violinista Kreutzer; le sonate per violoncello e pianoforte; i mirabili cinque concerti per pianoforte ed
orchestra, che si allontanarono progressivamente dallo stile mozartiano per approdare ad un pianismo virtuosistico e
ad un'orchestrazione di stampo già romantico, tra i quali ricordiamo il quinto op.73, denominato "Imperatore"; e il
concerto op.61 per violino ed orchestra.

Importante il contributo beethoveniano al genere della musica vocale, che annoverò, oltre alla discussa ed unica opera
"Fidelio", molti lieder e trascrizioni di canzoni popolari, inferiori stilisticamente a quelli schubertiani, ma pur sempre di
ottima fattura.

Beethoven è ritenuto forse il più grande compositore nella storia della musica, come forse testimoniato dalla massiccia
presenza di una folla di oltre ventimila persone che partecipò al suo funerale.

29 – Il primo romanticismo

29.1 – Quadro storico e caratteri generali ed estetici

Con il termine “romanticismo” si identifica, genericamente, il movimento artistico che sorse in Europa alla fine del XVIII
sec. e che perdurò per tutto il XIX.

Ad usare per la prima volta il termine di “romanticismo” furono alcuni letterati aderenti al cosiddetto “gruppo di Jena”,
tra i quali ricordiamo i fratelli Schlegel, Fiche e Novalis, dettando le linee guida per il fiorire di questo nuovo movimento.

I caratteri essenziali del romanticismo, che fu dapprima un movimento prevalentemente letterario e pittorico, e solo in
seguito anche musicale, furono il rifiuto delle idee illuministiche che avevano dominato il secolo precedente. Non più
raziocinante ragione, dunque, ma espressione dell’io interiore, quindi cuore, anima, e passione. L’estetica del
romanticismo venne ben sintetizzata nella famoso nome della corrente letteraria tedesca dello “sturm und drang”,
ossia “tempesta e assalto”.
Ciò indicava come i moti dell’anima, i dubbi, le paure, le angosce interiori e i tormenti erano gli elementi dominanti che
si incarnavano nelle sensibilità degli artisti. In campo letterario, ad esempio, tutte queste emozioni presero sempre più
corpo e diventarono parte fondamentale del carattere dei personaggi, dei quali venivano narrate le vicende.

Rimanendo sul genere letterario, che come detto, aprì la strada al movimento romantico, troviamo un altro carattere
costituente, ossia l’amore per la storia. Ciò fu evidente nelle opere di W.Scott, irlandese vissuto a cavallo tra gli ultimi
decenni del ‘700 ed i primi dell’800, che inventò il genere del romanzo storico, poi seguito, tra gli altri, dal nostro
A.Manzoni con l’opera “I Promessi Sposi”.

Il quadro storico che accompagnava le vicende letterarie diventò un elemento importantissimo e prese piede anche nel
campo dei libretti d’opera, dove le vicende erano sempre inquadrate nei periodi dal medio-evo al barocco.

Un altro elemento caratterizzante del romanticismo, già anticipato durante il sec. XVII da J.J.Rousseau, fu l’amore per la
natura, vista a volte come demoniaca, a volte nei suoi aspetti più malinconici e selvaggi, che ispirava opere artistiche
di carattere descrittivo-malinconico (si pensi ai notturni o ai Lieder).

La società ottocentesca si ritrovava invece catapultata nell’era dell’industrializzazione, che con sé portava
innumerevoli problemi di carattere esistenziale: l’avvento della tecnologia e le scoperte scientifiche, cominciavano a
generare un senso di affanno e di disagio nelle persone, che si sentivano quindi sempre più disadattate. Questa
sensibilità, ovviamente, ben si sposava con i tormenti eposti dagli artisti nelle loro opere, tormenti senza fine perché la
felicità era talmente lontana da non poter essere raggiunta.

29.2 – Il romanticismo nella musica orchestrale

La produzione sinfonica ottocentesca risentì delle linee guida già tracciate da Beethoven, in particolare riguardo la
tendenza ad una diminuzione quantitativa delle opere a tutto beneficio della qualità e del significato delle stesse.

Il genere sinfonico visse inoltre, almeno all’inizio, all’ombra delle alte vette artistiche raggiunte da Beethoven, ritenute
all’inizio insuperabili.

Ciò, unito alla chiara derivazione classica della sinfonia, generò iniziale diffidenza e rifiuto verso il genere strumentale
sinfonico (Schubert, Schumann, Brahms, Mendelssohn).

A poco a poco però, gli aspetti decisamente romantici iniziarono a permeare ed intaccare la forma della sinfonia con
una serie di piccole modifiche, come ad esempio la graduale scomparsa delle pause tra i vari movimenti.

Altro elemento di novià, già introdotto dall’ultimo Beethoven, fu il coro e le voci soliste, che apparivano sempre più con
maggiore frequenza nelle sinfonie dei maestri ottocenteschi.

Vi era infine la tendenza, forse generata dal desiderio di superare i formalismi e i traguardi del secolo precedente, ad
ingrandire oltremisura sia l’organico orchestrale sia la composizione stessa, che, in alcuni casi, arrivava a durare oltre
un’ora.

Parlando più in dettaglio dell’organico orchestrale, oltre alle già citate varianti e al raddoppio sistematico degli
strumenti (introdotto da Beethoven), l’oOttocento segnò l’entrata in massa delle percussioni dei tipi più svariati e del
Saxofono (inventato da Adolf Sax, belga).
Dal punto di vista stilistico, si identificarono due grandi filoni nella realizzazione dell’orchestrazione: il primo prevedeva
lo sfruttamento completo della sempre più imponente orchestra romantica, del quale furono grandi seguaci R.Wagner,
G.Mahler e R.Strass; il secondo seguì invece il filone dell’impressionismo francese, con la predilezione dei timbri chiari e
dei registri acuti, di cui fu sommo interprete C.Debussy.

Infine cominciò a farsi strada (anche nei concerti per strumento solista e orchestra, oltreché nella sinfonia), la ciclicità
tematica, intesa come una ripresa delle idee espresse nei movimenti precedenti, a creare una consequenzialità formale
che prevaricava i singoli movimenti. Procedendo su questa strada, oltreché su quella del fascino del pezzo
caratteristico, breve, si affermò infatti in questo periodo il genere del “poema sinfonico”, in un unico movimento.

29.3 – Il Lied

Forma assolutamente caratteristica dell’Ottocento tedesco fu il Lied (plurale Lieder), che nacque come poesia in
musica, che si traduceva in un pezzo da camera eseguito da una o più voci soliste accompagnate da uno strumento
(solitamente a tastiera, pianoforte).

I testi poetici erano quelli dei maggiori poeti di lingua tedesca (Goethe, Schiller, Heine, …) e inglesi (Shakespeare),
secondo la tendenza nazionalistica del recupero del patrimonio culturale popolare, che era uno degli elementi portanti
del movimento romantico.

La metrica letteraria di queste poesia permetteva la nascita e la diffusione massiccia del verso “ottonario”, su cui erano
basate le strofe della poesia musicata. Gli argomenti trattati erano di carattere paesaggistico-descrittivo, o narravano
dei tormenti dell’anima per le insidie e le difficoltà della vita, o ancora dell’amore per una donna.

Dal punto di vista musicale, la melodia era estremamente semplice e cantabile, spesso di escursione talmente ridotta
da poter essere facilmente intonata da più voci di diversi registri; la durata della composizione era solitamente molto
ridotta.

Formalmente, il Lied subì, ad opera soprattutto di F.Schubert, una evoluzione, che lo portò dalla secolare e consolidata
struttura ciclica della melodia sulle varie strofe, fino al più libero “durchkomponiert” (composizione libera) in cui la
melodia aveva uno svolgimento compiuto attraverso tutte le varie strofe.

Lo strumento accompagnatore, quasi sempre il pianoforte, fungeva da contorno e da supporto armonico al solista
vocale. Tra i maggiori interpreti della forma del Lied citiamo L.v.Beethoven (in epoca classica), F.Schubert (ne scrisse
più di 600), R.Schumann e J.Brahms in epoca romantica.

29.4 – Il pianoforte

Strumento assolutamente fondamentale nell’epoca romantica fu il pianoforte, che tra la fine del ‘700 e i primi decenni
dell’800 subì quelle modifiche che ne conformeranno la struttura quale è attualmente oggi. Innovazioni tecniche come
il doppio scappamento, ad opera del costruttore francese Erard, del pedale di risonanza, e più tardi della fusione in
ghisa del telaio, garantirono allo strumento potenzialità espressive, timbriche e sonore del tutto sconosciute al
fortepiano e soprattutto al clavicembalo.

E nell’epoca del virtuosismo strumentale, segnata dai vari talenti come Chopin, Liszt, Paganini, il pianoforte s’impose
come strumento sovrano.
Vennero attaccate e scardinati i formalismi delle strutture classiche, come la forma sonata, seguendo un processo già
sviluppato da Beethoven. E soprattutto nacque e si sviluppò il “pezzo caratteristico”, ossia di breve durata, in
contrapposizione alla sonata settecentesca, che superò il formalismo dei movimenti mediante un unico svolgimento.
Ecco così diffondersi l’improvviso, lo scherzo, la ballata, la fantasia, la rapsodia, il momento musicale, ecc…

29.5 ­ Franz Peter Schubert

Franz Peter Schubert nacque a Vienna nel 1797. La figura di Schubert si contrappose ai grandi maestri classici presenti
a Vienna alla fine del Settecento. Egli infatti, caratterialmente, non era portato alla grande carriera di compositore
perché piuttosto timido ed introverso.

Durante la sua breve vita infatti non fu acclamato e valorizzato, se non da alcuni colleghi, come Schumann, ma dopo la
morte.

Schubert si può definire come un romantico non integrale, ossia con forti legami alla tradizione classica. Egli infatti
possedeva molti aspetti che furono già di Mozart ed Haydn, come ad esempio la prolificità. La sua produzione spaziò
infatti dalla musica strumentale, a quella cameristica, vocale, pianistica, sacra.

I tratti salienti della musica di Schubert furono in primis il felicissimo melodismo, degno dei migliori operisti italiani, che
si ritrova nei numerosissimi lieder, ed una sensibilità armonica che tentava di rompere lo schema tradizionale tonica-
dominante a favore di un più "debole" tonica-mediante.

Val subito la pena di considerare il catalogo delle opere, che annovera un'impostante produzione di musica da camera,
tra cui spiccano senza dubbio il quartetto "La morte e la fanciulla" ed il quintetto (quartetto d'archi e pianoforte) "La
trota".

Difficile il rapporto di Schubert con la sinfonia, come del resto per molti altri romantici della prima generazione,
probabilmente perché dopo i fasti di Beethoven si guardò a questo genere strumentale con un misto di timore
reverenziale e di rispetto che ne limitò quindi la produzione. Nelle sinfonie di Schubert emergeva il carattere
disordinato dell'autore, visto che molte sono rimaste incompiute (vedi la famosa "incompiuta", importantissima e
bellissima): si ricordano la n.4 "Tragica", la n.6 "La piccola", l'ultima denominata "La grande".

La produzione pianistica di Schubert, di stampo salottiero e non virtuosistico, annoverava alcune sonata di forma più o
meno classica, ed alcuni pezzi "caratteristici" già di matrice romantica, come i bellissimi otto improvvisi op.90 e op.142,
ed i "momenti musicali". Curiosamente Schubert, che era un valido pianista, non compose alcun concerto per
pianoforte ed orchestra.

Fondamentale nella produzione di Schubert furono gli oltre seicento lieder, del cui genere egli fu forse dominatore
incontrastato che vide finalmente la maturità dopo lunghissima (secolare) gestazione.

I lieder di Schubert sono stati organizzati in varie raccolte, tra cui spiccano "Die schöne Mullerin" (la bella mugnaia),
"Schwanengesang" (il canto del cigno) e "Die Winterraise" (il viaggio d'inverno), per un totale di oltre seicento pezzi,
che da una prima fase nella quale la forma era prevalentemente strofica, vedono evolvere la struttura fino alla
variazione melodica tra una strofa e l'altra e addirittura, negli ultimi lieder, viene eliminata la stroficità secondo uno
schema ormai libero (forma aperta).

I temi trattati nei lieder erano tipicamente romantici, descrittivi, paesaggistico-naturalistici, amorosi, con alcuni
importanti miti che erano molto apprezzati al tempo, come quello del viandante che errava verso un destino ignoto, dal
cui tema Schubert trasse, oltre ad un famoso lieder, anche la fantasia "Wanderer" per pianoforte sulla medesima
melodia.

Morì a Vienna nel 1828.

29.6 ­ Frederick Chopin

Nasce a Zelazowa Wola, vicino a Varsavia, nel 1810.

Di origine non particolarmente colta, fu avviato allo studio del pianoforte dalla madre (anch’essa pianista, il padre era
invece insegnante di lingua francese).

In gioventù, viste le scarse possibilità offerte dalla città di Varsavia, si trasferì ben presto a Parigi con la sua famiglia,
dove entrò ben presto in contatto con la movimentata vita artistica della capitale francese, conoscendo artisti quali
Hummel e il virtuoso Paganini, che gli fece un’impressione assolutamente straordinaria.

Nonostante la sua grande abilità alla tastiera, non fu mai vero concertista (rare furono le sue apparizioni in pubblico),
nel senso moderno del termine, e si avviò ben presto alla composizione, ed in particolare si concentrò sul pianoforte.

La sua vita amorosa fu segnata dall’incontro e dal tormentato amore con la famosa scrittrice Sand, che divenne sua
moglie.

Pur vivendo nel cuore dell’estetica romantica, Chopin conservava interiormente i miti classici: nutriva infatti una
grande ammirazione per J.S.Bach.

I caratteri distintivi dell’arte chopiniana risiedevano nel gusto per le melodie delicate, di chiara atmosfera francese:
anche nei concerti per piano, l’orchestrazione era estremamente delicata e comunque sempre improntata a far
emergere il pianoforte, il suo strumento principe.

Numerose infatti furono le opere per pianoforte, specialmente nel filone del pezzo caratteristico, anche di derivazione
popolare. Si ricordano le numerose danze polacche (ballo di carattere nobile), le mazurche (di carattere più
popolaresco), oltre ai walzer (che divennero un pezzo di carattere “salottiero”, non più ballabile), agli scherzi e agli
improvvisi.

Discorso a parte meritano le quattro ballate, di natura insolitamente lunga come pezzo singolo, forse uno dei pochi
scritti con intento dichiaratamente descrittivo: pare che siano state composte per musicare quattro novelle del poeta
polacco A.Mickiewicz.

Di carattere intimistico e malinconico, anche se non descrittivo, furono invece i notturni per pianoforte, pezzi di rara
bellezza con andamento generalmente lento.

Chopin si cimentò anche nel genere della sonata, con ottimi risultati, componendone però soltanto 3.

Dal punto di vista melodico, le opere di Chopin mostravano un disegno assolutamente inconfondibile, con elementi
affini al canto operistico italiano, supportate da un andamento ritmico e armonico (considerando l’epoca) decisamente
personali e di avanguardia. L’accompagnamento era spesso niente più che un supporto armonico e ritmico, ma
perdeva completamente la valenza di derivazione contrappuntistica che aveva dominato il secolo precedente.
L’elemento tematico, segnò inoltre con Chopin una notevole rottura con il passato: in accordo con il travaglio
dell’animo durante la vita, l’idea iniziale melodica, pur ritornando ad emergere, apparve spesso stravolta,
irrimediabilmente modificata nei suoi caratteri dai conflitti della parte centrale (sviluppo) della composizione.

Di estremo valore didattico, oltreché di notevole perizia tecnica furono infine le due serie di studi op.10 e op.25, e i 24
preludi.

Di salute cagionevole, si spense nel 1849 a Parigi.

29.7 ­ Robert Schumann

Nacque a Zwickau nel 1809, da famiglia medio-borghese di media estrazione culturale (il padre era un libraio). In
gioventù ebbe modo di apprezzare vari autori letterari (classici e romantici), e sviluppò questa passione scrivendo
anch’egli poesie.

La gioventù fu segnata dall’amore per Clara Schumann, un amore dapprima osteggiato dal padre di lei (che era il
maestro di pianoforte di Schumann) a causa della giovane età della figlia (16), poi finalmente libero al raggiungimento
della maggiore età. Dopo aver cambiato città e quindi ambiente, Schumann costruì la sua famiglia avendo numerosi
figli.

La carriera artistica si attuò, oltreché come musicista e compositore, anche attraverso la fondazione della Neue
Zeitschrift für Musik (nuova rivista di musica) nel 1833, nella quale egli riversò grandi energie per la critica musicale.
Attraverso questa rivista ebbe modo di promuovere e recensire molti volti nuovi che si affacciavano nel panorama
artistico internazionale dell’epoca (come Mendelssohn e Brahms).

Schumann era una persona molto cordiale e socievole, ma sviluppò ben presto aspetti contradditori ed inquietanti del
suo carattere. Iniziò ad esempio a firmarsi con tre pseudonimi differenti negli articoli recensori della sua rivista
musicale a seconda della disposizione mentale in cui si trovava (Florestano nei momenti di irruenza, Eusebio in quelli
più docili, e Maestro Raro nei momenti più equilibrati).

Questo fu solo l’inizio di una malattia della mente che lo portò ad escogitare improbabili artifici per migliorare l’agilità
delle dita della mano, finendo per precludersi la carriera di concertista, e a tentare il suicidio gettandosi nel Reno
(1854). Morì dopo due anni, nel 1856, internato in una clinica, assistito dalla moglie Clara e dall’amico Brahms.

Lo stile di Schumann incarnò perfettamente molti aspetti romantici, da quelli estremamente contradditori del carattere,
ai veri e propri tormenti dell’animo.

La sua musica infatti era ricca di grandi contrasti dinamici e ritmici.

Del catalogo delle opere citiamo la modesta (quantitativamente, come del resto molti altri romantici successivi a
Beethoven), produzione sinfonica, articolata in 4 opere (si ricordano la n.1 “Primavera” e la n.3 “Renana”); qualche
opera cameristica minore, un concerto per piano e orchestra, uno per piano e violino. Val la pena soffermarsi sulla
produzione liederistica, che continuò per certi versi il discorso di Schubert, di cui citiamo il ciclo “Amor di poeta”, su
testi di Heine, e “Amore e vita di donna”.

Abbastanza estesa anche la produzione pianistica, che contemplava, in perfetto stile romantico, tutti pezzi di carattere
descrittivo, spesso intitolati. Anche i pezzi più lunghi, come il "Carnaval", furono concepiti come un’unione di pezzi più
brevi ognuno raffigurante un piccolo quadretto a sé stante. Citiamo il "Papillons" op.2, il "Carnaval" op.9 (in cui tra le
varie figure, o meglio maschere, compare anche egli stesso nella duplice veste di Eusebio e Florestano), gli "Studi
Sinfonici" Op.13 (pezzo di notevole complessità contrappuntistica), le "Scene Infantili" Op.15, la "Kreisleriana" Op.16,
l’"Arabesca" op.18. A ciò si aggiungono 2 sonate, la fantasia Op.17 e varie raccolte per giovani allievi, come l’op.68
“Album per la gioventù”.

29.8 ­ Felix Mendelssohn­Bartholdy

Nacque nel 1809 ad Amburgo da famiglia di altissima cultura e nobiltà, di origine ebrea.

La notevole condizione di agiatezza in cui crebbe gli permise da subito di sperimentare con successo (era un fanciullo
prodigio molto precoce) varie arti, dalla pittura, alla letteratura, alla musica.

Intraprese subito la carriera musicale fondando il conservatorio di Lipsia e diventando direttore dei Gewandhaus. Una
tappa importantissima nella sua vita, e in generale nella storia della musica, fu nel 1829, quando riscoprì la Passione
secondo Matteo di J.S.Bach., dirigendola nello stesso anno. Questo fu il veicolo che gli permise di riscoprire l’immenso
valore dell’opera bachiana, ormai sepolta dalle tendenze illuministiche prima e romantiche poi, restituendo
all’attenzione mondiale una grande stella del firmamento musicale di tutti i tempi.

La sua musica, pur essendo di estrazione romantica, presentava alcuni caratteri di classicità e tutto sommato manca
dell’elemento più “demoniaco” caratteristico del movimento ottocentesco, presente invece in artisti come Beethoven,
Paganini, Schumann.

Nella sua produzione, alquanto varia, che spaziava tra alcune opere teatrali, Singspiel, 2 oratori (Paulus ed Elias),
spiccava soprattutto quella sinfonica.

Importanti nella produzione di Mendelssohn furono le "Romanze senza parole", per pianoforte solo, una serie di lieder ai
quali venne "tolta" la voce umana, ed aluni Stücke caratteristici.

Dopo aver composto una dozzina di sinfonie per soli archi in gioventù, ci ha lasciato 5 sinfonie decisamente più mature,
composte per l’intero organico orchestrale, tra le quali spiccano la n.3 “Scozzese”, la n.4 “Italiana”, e la n.5 “della
Riforma”, dedicata alla riforma protestante operata da Martin Lutero durante il XVI secolo. Nella seconda sinfonia,
raccogliendo il messaggio Beethoveniano, venne introdotta la voce solista.

Sempre per organico orchestrale ricordiamo i due concerti per pianoforte e orchestra, di carattere alquanto
virtuosistico nella parte solista e tutto sommato di scarna orchestrazione, e il bellissimo concerto per violino e
orchestra in mi minore, composto con l’ausilio del suo amico e violinista David. In questo concerto apparve per la prima
volta espressa nella partitura la cadenza scritta per un Violino. Morì nel 1847 a Lipsia.

29.9 ­ Hector Berlioz

Nacque a La-Côte-Saint-André, nella Francia sud-orientale, nel 1803 da famiglia benestante. Il padre, che esercitava la
professione di medico, lo avviò agli studi di medicina, iscrivendolo alla relativa facoltà nell’università di Parigi. Ben
presto si manifestarono in lui le inclinazioni artistiche, che gli fecero abbandonare gli studi in medicina per dedicarsi
alla musica.

Nel 1826 si iscrisse così al conservatorio di Parigi, studiando composizione e contrappunto. Nel frattempo era riuscito a
diventare membro di un coro e saltuariamente pubblicava alcune recensioni di critica musicale su alcuni giornali locali,
oltre a dare lezioni private.
Nel 1829 vinse il Prix de Rome, un concorso internazionale per artisti, che gli valse una borsa di studio all’Accademia di
Francia presso Roma, Villa Medici. Lì egli conobbe alcuni esponenti del mondo artistico, musicale in particolare, come
Mendelssohn e Glinka.

Rientrato a Parigi all’età di 29 anni, conobbe e sposò un’attrice di teatro Shakesperiano, Heriette Smithson. Tale
matrimonio si rivelò ben presto un fallimento.

Divenne critico musicale del “Giornale dei dibattiti”, importante periodico, e successivamente riuscì ad entrare nel
Conservatorio di Parigi anche se solo come bibliotecario.

Nella seconda parte della sua carriera, ebbe modo di farsi apprezzare all’estero, specie nell’Europa centro-orientale e a
Londra, grazie a numerose tourneé. Morì a Parigi nel 1869.

Condusse una vita infelice, oltreché sentimentalmente, anche come artista, in quanto il suo romanticismo integrale era
decisamente atipico per l’ambiente parigino, che infatti si dimostrò estremamente poco attento a valorizzare le sue
opere. Valore che invece venne lui riconosciuto all’estero, specie in Germania, ad opera di Lizst e di alcuni musicisti
anche delle generazioni successive, affascinati dalla sua importantissima opera didattica: il “Grande trattato di
strumentazione e orchestrazione moderna”, pubblicato attorno al 1843-44. Con questo trattato, nel quale l’elemento
timbrico divenne uno dei parametri fondamentali di una composizione orchestrale al pari di melodia, ritmo e
contrappunto, pur attribuendo poco valore alle capacità orchestratorie di alcuni maestri del passato, come Mozart,
impose di fatto una pietra miliare nel panorama della didattica della composizione.

Per quanto riguardò la sua produzione, citiamo l’opera (grand-opera) Benvenuto Cellini, nella quale curiosamente
comparve anche il Papa, la tragédie-lirique “Les Troyens”, che èera articolata in due sotto-opere (“La presa di Troia”, in
tre atti, e i “Troiani a Cartagine”, in cinque atti più prologo), e “La damnation de Faust”, che riprendeva il celebre
romanzo di Goethe.

Nell’ambito delle composizioni sinfonico-corali citiamo la “Grande Messe des Morts”, che spiccava per la grandiosità
dell’organico orchestrale, e “Lélio, ou Le retour a la vie”.

Infine le composizioni sinfoniche: la “Simphonie fantastique”, che in realtà non aveva molto della sinfonia classica; era
infatti articolata in ben cinque movimenti, tutti intitolati, secondo quel carattere descrittivo abbastanza diffuso in
ambito romantico. Questa composizione sinfonica (non è appropriato parlare di sinfonia), era anche una sorta di
percorso autobiografico della sua infelice vita sentimentale.

Citiamo infine, sempre nelle composizioni sinfoniche, “Harold en Italie”, in quattro movimenti per viola concertante e
orchestra, e “Roméo et Juliette”, per voci soliste, pianoforte e orchestra.

Tesi n.30 – Il secondo Ottocento

30.1 ­ Brahms

Johannes Brahms nacque ad Amburgo nel 1833, figlio d'arte di un mediocre contrabbassista. Fece rapidamente
progressi nella musica sin da giovane, suonando in varie orchestrine, finché nel 1853 fu decisiva la tournée con il
violinista Reményi e l'amicizia con il violinista Joachim e con i coniugi Robert e Clara Schumann.

Proprio Schumann lo pose all'attenzione della critica musicale con un lusinghiero articolo sulla sua rivista musicale,
favore che Brahms ricambiò assistendo l'amico negli ultimi anni della sua vita.
Fu anche valente pianista e direttore d'orchestra e a partire dal 1862 si stabilì definitivamente a Vienna,
guadagnandosi il titolo di maggior compositore tedesco una volta scomparso Wagner. Morì nel 1897.

Vastissima la produzione di Brahms, che spazia dalla musica pianistica, a quella cameristica, a quella sacra, con l'unica
mancanza del genere operistico, nel quale non si cimentò mai; le forme coltivate erano ancora di matrice classica,
sinfonia, concerto, sonata, fatto che lo pose distante dall'estetica romantica più progressista.

La produzione orchestra era articolata in quattro sinfonie, che costituivano la naturale prosecuzione delle stile
beethoveniano (la prima di Brahms fu stata definita da molti come la decima di Beethoven, anche per l'uso della
tonalità di do minore), e vari altri pezzi, tra cui spiccavano le due serenate, l'ouverture tragica op.81, quella
accademica op.80, e le variazioni su un tema di Haydn op.56a.

Di ottima fattura sono anche i due concerti per pianoforte e il concerto per violino op.83, mentre nel settore della
musica cameristica ricordiamo i vari trii, quartetti, quintetti e sestetti per organici vari. Ottimo anche il livello delle
sonate per violino e piano (3) e per violoncello e piano (2), mentre per pianoforte si segnalano solo tre sonate di
carattere piuttosto impetuoso e vari pezzi caratteristici di stampo tipicamente romantico, come i Klavierstücke op.76,
le Rapsodie op.79, le Fantasie op.116 e gli Intermezzi op.117, oltre alle complesse "Variazioni su un tema di Paganini"
op.35.

Molto estesa fu anche la produzione di musica vocale, che annoverava un "Requiem Tedesco" per soprano, baritono,
coro e orchestra op.45 e una corposa produzione di lieder per voce e pianoforte tra cui spiccano i 49 "Deutsche
Volkslieder".

Per il suo attaccamento alle forme classiche, Brahms fu duramente criticato dai compositori della scuola di Weimar,
come Wagner, e dovettero passare vari anni prima che Schönberg attribuisse la giusta importanza all'opera
brahmsiana. Analizzando la sua musica ci si rende ben conto che l'armonia, la melodiosità, il trattamento tematico e la
tessitura orchestrale rivelano una profonda assimilazione dello stile romantico pur all'interno di forme classiche.

30.2 ­ Liszt

Franz Ferenc Liszt nacque a Doborjan, un piccolo centro agricolo ungherese, nel 1811, cittadina che a partire dal
1920 venne annessa all'impero austriaco e rinominata Raiding. Dopo gli studi giovanili con il padre, insegnante di
pianoforte, si recò a Vienna per mettersi sotto la guida di C.Czerny, già allievo di Beethoven; per poi proseguire a Parigi
sotto Paër e Reicha. A Parigi conobbe moltissimi artisti che soggiornavano lì in quegli anni: Berlioz, Chipin, Paganini,
Hugo, Lamartine, Heine e Delacroix.

Iniziò ben presto una strepitosa carriera di pianista creando la forma del "recital" solistico moderno, inteso come un
concerto solistico individuale, seguendo l'esempio di Paganini.

A partire dal 1848 ottenne l'incarico di maestro di cappella alla corte di Weimar, dove presentò anche alcune opere di
Wagner (Lohengrin), di Berlioz (Benvenuto Cellini), che era trattato freddamente in Francia, e di Schubert (Alfonso ed
Estrella). Negli anni tra il 1861 ed il 1869 soggiornò a Roma, e venne catturato dall'ispirazione religiosa che in lui già
era presente fin dalla gioventù, prendendo gli ordini minori e componendo messe, oratori e salmi.

Successivamente, nell'ultima parte della sua vita ricominciò a girare l'Europa come concertista, direttore d'orchestra e
richiestissimo insegnante. Morì nel 1886 a Bayeruth durante un soggiorno nel quale assisteva a rappresentazioni
wagneriane.
Il catalogo delle opere di Liszt è molto vario, ed egli viene ricordato come l'inventore del poema sinfonico:
composizione che superava il vincolo formale imposto dalla sinfonia classica, articolato infatti in un unico movimento
(solitamente), strutturato in forma libera, che aveva in sé quel carattere descrittivo che costituiva uno degli elementi
portanti dell'estetica romantica.

Tra i poemi sinfonici di Liszt ricordiamo "Quel che si vede sulla montagna", su testi di V.Hugo, "Orfeo", "Prometeo",
"Mazzeppa", "Amleto", su testi di Shakespeare; mentre nel genere sinfonico ricordiamo la sinfonia "Faust", in tre parti e
dedicata a Berlioz, e la sinfonia "Dante", in due parti e dedicata a Wagner, entrambe con nessuna attinenza con il
genere della "sinfonia" tradizionale.

Sempre nella musica sinfonica ricordiamo i due concerti per piano e la "Totentanz".

Importantissima la produzione pianistica di Liszt, che passò attraverso una sonata, in si minore; i famosi "12 studi
d'esecuzione trascendentali", i "sei studi Paganini", i "12 grandi studi" dedicati al suo maestro C.Czerny; e una grossa
quantità di trascrizioni di partiture orchestrali tra cui spiccano senz'altro quelle delle sinfonie e dei lieder di Beethoven,
oltre ad altre composizioni di Schubert, Schuman, Mendelssohn, Berlioz, Weber; ed infine le parafrasi su alcune celebri
parti operistiche vocali, come quelle tratte da "Norma" o "i Puritani", o "Lucia di Lammermoor", o ancora "Trovatore",
"Aida", ecc...

Sempre della produzione pianistica ricordiamo infine le ballate, gli scherzi, gli improvvisi, le marce, i valzer (famoso il
"Mephisto-valzer"), le "Consolazioni".

30.3 ­ I post­wagneriani : Bruckner, Mahler, R.Strauss

Anton Bruckner (1824-1896), austriaco, iniziò la carriera artistica come insegnante prima di dedicarsi a quella di
compositore. Di carattere introverso e schivo, era un uomo spesso assai titubante ed indeciso di fronte alla vita, e
numerosi suoi lavori vennero rivisti, su sua richiesta, da alcuni suoi colleghi compositori visti i suoi dubbi di non aver
espresso quanto di meglio poteva.

Seguì il modello della scuola di Weimar, in quanto il suo stile di orchestrazione poderosa richiama Wagner e i suoi
seguaci, ma fu anche grande amico ed estimatore del più classicheggiante Brahms. L'elemento che lo distanziava
ulteriormente dalla scuola di Weimar fu anche la grande ed incrollabile fede religiosa, che contrastava decisamente
con il vigore e l'esaltazione dello stile romantico espressi da Wagner.

La sua produzione fu alquanto scarna e comprese solamente 9 sinfonie, tre messe ed un te-deum.

Nelle sinfonie, organizzate secondo la forma classica dei quattro movimenti, possiamo apprezzare il carattere
estremamente dilatato dei movimenti che fanno raggiungere lunghezze complessive piuttosto importanti, e la felice
invenzione melodica, oltre ad un frequente cromatismo di chiara matrice progressista.

Gustav Mahler (1860-1911), ebbe un'infanzia segnata dalla difficoltà di studiare con continuità fino al suo
trasferimento a Vienna, dove in seguito divenne un acclamato direttore d'orchestra, che si meritò il rispetto anche di
Brahms, seppure appartenente ad un'altra scuola musicale.

Alla sua fama come direttore non seguì però, nella prima parte della vita, un eguale prestigio come compositore:
Mahler seguì infatti l'ideale estremamente progressivo della musica romantica che fu già di Liszt e Wagner.

Coltivò soltanto due generi musicali: la sinfonia e il lied.

Nelle 9 sinfonie si ritrovano caratteri tipicamente romantici, che andavano dai colossali organici orchestrali, al carattere
descrittivo che accomunavano queste opere anche al genere del poema sinfonico, pur mantenendo la canonica
suddivisione in movimenti.Alcune di esse erano infatti titolate come la n.1 "del titano", la n.2 "della resurrezione", la
n.8 "dei mille" e l'idea guida derivava spesso da testi poetici di Goethe, di un antico canto cristiano (sinf. n.9) e di
Nietzsche .

La forma della sinfonia risultava molto complessa e dilatata, sia nelle durate dei vari movimenti, sia nella estrema
frammentazione delle indicazioni all'interno dei movimenti stessi. Dal punto di vista melodico, si inserivano nella
grande complessità orchestrale alcuni motivi popolari boemi, che tradivano l'omonima l'origine del compositore.

Per quanto riguarda la produzione di Lieder, per voce e orchestra, assistiamo all'analogo fenomeno già espresso nelle
sinfonie: ormai queste composizioni avevano ben poco a che vedere con i brevi e semplici motivi Schubertiani, erano
pezzi colossali estremamente complessi, in cui emergeva il suo alto grado di cultura chiaramente visibile nella scelta
dei testi, che spaziavano dalla poesia tedesca a quella cinese. Dei cicli più famosi ricordiamo "Il dolce corno del
fanciullo", "Canto dei bambini morti" (tema che rivisitava il dramma personale in quanto Mahler perdette un figlio in
giovane età), e "Il ciclo della Terra".

In questi lieder si scoprì la faticosa inventiva melodica di Mahler e un gusto per i declamati degli ottoni, spesso
scoperti.

Richard Strauss (1864-1949) nacque a Monaco di Baviera da un cornista. Manifestò subito una musicalità
estremamente precoce, oltre ad una facilità di lettura della partitura orchestrale davvero straordinaria; divenne ben
presto uno dei direttori più famosi ed acclamati, superando anche la fama già elevata in questo campo di Mahler.

La sua vita estremamente lunga gli permise di operare in diverse condizioni politiche-sociali e artistiche: fu dapprima
considerato un forte progressista in quanto aderì con pieno convincimento alle tendenze della scuola di Weimar, e
successivamente fu considerato un conservatore, visto che rimase fedele fino alla sua morte, alle stesse forme musicali
di fine '800 : i "4 ultimi lieder" per voci e orchestra scritti pochi anni prima della morte, ne sono una diretta
testimonianza.

La sua produzione abbracciò soprattutto il genere del poema sinfonico sulla falsariga di quelli lisztiani, con l'aggiunta di
un melodismo decisamente molto più creativo e felice: tra i maggiori si ricordano "Così parlò Zarathustra", "Le
metamorfosi", "Don Giovanni", "Don Chishotte" con violoncello concertante, "Vita d'Eroe" di carattere autobiografico.
Anche due opere, "Sinfonia delle Alpi" e "Sinfonia domestica" sfurono in realtà assimilabili al filone del poema sinfonico,
poichè avevano ben poco a vedere con il genere della sinfonia classica.

Tra le opere teatrali ricordiamo "Salomé" del 1905 su testi di Oscar Wilde che narrava la vicenda del dono su un piatto
d'argento della testa di S.Giovanni Battista, e "Il cavaliere della rosa", ambientata nel Settecento e per questo
imbevuta di atmosfere mozartiane che limitavano la fragorosità orchestrale tipica dei romantici e vide ricomparire il
personaggio maschile nella veste del mezzo-soprano.
Negli ultimi anni della sua vita, quasi a voler riabbracciare le forme classiche, scrisse un concerto per clarinetto e
orchestra, uno per corno e orchestra oltre ai già citati "4 ultimi lieder".

30.4 ­ Debussy

Claude Debussy (1862-1918) nacque a Parigi da famiglia modesta ed iniziò con il pianoforte e la composizione gli
studi al conservatorio di Parigi. Mostrò ben presto una repulsione verso le regole dell'armonia tonale tradizionale a
tesrimonianza della sua audacia.

I numerosi viaggi in Russia, Italia e in estremo Oriente, spingendosi fino all'isola di Giva dove conobbe l'orchestra
"Gamelan" gli permisero di ampliare i suoi orizzonti musicali e culturali.

A Parigi venne ben presto associato al filone estetico degli impressionisti per via dei suoi tratti stilistici, benché egli
rifiutasse tale accostamento ritenendo sminuente l'abbassamento di un musicista al livello di "fotografo della realtà". In
effetti Debussy era più accostabile al movimento del simbolismo, che partendo dagli intenti descrittivi tipici
dell'impressionismo effettuava una ulteriore analisi alla ricerca di significati nascosti e più profondi.

La sua grande carriera iniziò con l'esecuzione nel 1894 del "Preludio al pomeriggio d'un fauno", poema sinfonico di
prologo alla poesia di Mallarmé "Il pomeriggio d'un fauno"; l'avvenimento fu di grande impatto nel panorama musicale
per via della grande audacia armonica e timbrica.

Il suo contributo al genere del poema sinfonico proseguì poi con "La mer" (il mare), suddiviso in tre parti e che
esprimeva intenti tipicamente descrittivi.

Nel 1902 venne inscenata la sua prima vera opera, che ricalcava pienamente i tratti dell'estetica del decadentismo:
"Pelléas et Melisande" e che rivoluzionò la scelta delle forme, dei tempi e dei ritmi di scena.

La sua produzione incluse anche molte canzoni per voce e pianoforte su testi di Verlaine, Baudelaire e Mallarmé,
numerosi notturni per orchestra da lui descritti come "Studi sui grigi", ed alcune opere per pianoforte; notevoli furono
gli studi, i preludi, la suite di pezzi "Images" (Immagini), e qualche sonata degli ultimi anni.

Il suo stile, sia pianistico che orchestrale tendeva a privilegiare la dilatazione dei tempi e delle tensioni formali tipiche
delle forme classiche; le sue composizioni apparivano perennemente sospese tra timbri chiari, sempre sfumati tra loro,
e ritmi spesso inafferrabili.

Così nell'ambito orchestrale, il suo prediligere i timbri e registri puri, lo posero in diretta antitesi all'estetica della scuola
wagneriana di Weimar e lo accostarono al fenomeno delle arti figurative che andava sotto il nome di "divisionismo".

30.5 ­ Ravel e Satie

Ideale prosecutore dell'estetica di Debussy fu il francese Maurice Ravel (1875-1937).

Ottimo pianista, ma mediocre direttore d'orchestra, Ravel rinnovò il linguaggio debussiano sia sotto l'aspetto del ritmo,
con l'introduzione di un carattere estremamente brillante, scattante e talvolta ironico, sia sotto l'aspetto timbrico.

Il suo contributo al genere orchestrale comprendeva due concerti per piano, dei quali il secondo scritto per un suo
amico pianista che perse la mano destra in guerra e perciò conosciuto anche con il nome di "Concerto per la mano
sinistra"; numerose trascrizioni tra cui spicca quella dei "Quadri da un'esposizione" di Mussorgskij; e i capolavori
"Boléro" e "La valse".

Dei capolavori di Ravel citiamo anche la "Pavana per un'infante defunta", poi trascritta per orchestra; alcune canzoni
per voce e orchestra e alcuni pezzi di musica da camera; e le due opere "L'ora spagnola" e "Il bambino e i sortilegi" che
mostravaano il carattere ironico e grande senso del ritmo del compositore.

Erik Satie (1866-1925) fu una personalità estremamente stravagante come testimoniano alcune sue partiture
addirittura prive della suddivisione ritmica delle battute e alcuni titoli scelti per le sue composizioni, come ad esempio
la raccolta "Sport e divertimenti".

Il suo carattere provocatorio, atteggiamento che ben rifletteva il pensiero dell'inizio del '900 e che sarà evidente nel
cosiddetto "gruppo dei sei compositori" francesi, fu evidente nella rivisitazione ironica del canto gregoriano attuata
nella "Messa dei poveri".

Nel genere operistico il suo maggior capolavoro sf senz'altro "Parade" (Parata), inscenato nel 1917, che fu un vero
avvenimento considerando la caratura dei suoi collaboratori: Massime per la coreografia, Picasso per le scene, Conteau
per i libretti. Nell'opera si inscenava appunto una parata, quindi una processione profana. La novità curiosa all'interno
di quest'opera fu anche dall'introduzione dello sparo di pistola.

Tesi n.31 – Le scuole nazionali

31.1 ­ La scuola boema

All'inizio della seconda metà dell'Ottocentesco, iniziarono a delinearsi i presupposti per la nascita di scuole musicali
alternative alle grandi tedesca, francese ed italiana che, con vari contributi, per alcuni secoli avevano monopolizzato il
panorama. In realtà, si potrebbe parlare di scuola, nel senso accademico del termine, solo nel caso russo, con il gruppo
dei Cinque, mentre nelle altre situazioni il termine "scuola" indicava più astrattamente una tendenza, un filone
artistico.

Tutte queste scuole nazionali furono però accomunate da questo desiderio di rivalsa nei confronti dell'egemonia italo-
franco-tedesca in un'ottica prettamente romantica che privilegiasse quindi la cultura nazionale ed il recupero delle
melodie e del patrimonio popolare. Non a caso infatti alla fine dell'800 nacque il fenomeno dell'etnomusicologia che
costituì l'espressione prettamente "scientifica" di questa tendenza.

Le forme musicali più apprezzate da queste scuole erano quelle tipicamente romantiche: pezzi per pianoforte, poema
sinfonico, lied, e soprattutto opera e balletto, dove il carattere nazionale poté sfruttare il grande contributo alla causa
dato dalla letteratura locale, come nel caso della Russia.

La scuola boema nacque idealmente con Bedřich Smetana (1824-1884), che tendeva al recupero del patrimonio
culturale senza rinnegare i valori culturali europei. Di lui si ricordano i sei grandi poemi sinfonici per orchestra raccolti
con il titolo "Ma vlast" (la mia patria), e l'opera "La sposa venduta".

Prosecutore dell'opera di Smetana fu Antonín Dvořák (1841-1904), che risentì dell'opera Brahmsiana nelle sue 9
sinfonie, tra le quali spicca la quinta (o nona) "dal nuovo mondo", composta appunto durante il suo soggiorno
statunitense dove ricoprì l'incarico di direttore del conservatorio di musica di New York. Essa risente, anche se in modo
velato, dei canti popolari "spirituals" propri della cultura di quelle terre.
Il suo contributo alla musica popolare boema annoverava la "Suite ceca" e le due serie di "Danze slave" per pianoforte
a quattro mani. I generi tipicamente romantici videro in lui la luce con 5 poemi sinfonici, mentre la produzione
operistica comprendeva "Il giacobino" e "Rusalka e Armida". Vasta anche la produzione di musica da camera (tra cui
vari lieder), e sacra (cantate, messe). Infine fanno parte del catalogo di Dvořák anche un concerto per piano e uno per
violino.

31.2 ­ La scuola scandinava

La scuola scandinava-nordeuropea non annoverò grandi musicisti in grado di ricalcare le orme dei ben più famosi
drammaturghi che animavano l'arte letteraria in quei tempi: su tutti spiccavano solamente le figure di Edvard
Grieg (1843-1907) in Norvegia, Franz Berwald (1796-1868) in Svezia, Johan Jiulius Sibelius(1865-1957) in
Finlandia, Niels Gade (1817-1890) in Danimarca.

Grieg, all'inizio osteggiato per la sua volontà di rinnovatore musicale, riuscì tardivamente a fondare una vera e propria
scuola norvegese grazie anche all'appoggio artistico di Liszt, e si guadagnò fama mondiale con la musica per il
dramma "Peer Gynt". Di lui si ricordano vari pezzi per pianoforte tra cui spiccano i "pezzi lirici", di carattere delicato,
quasi elegiaco, e il "Concerto per piano in la minore".

Berwald fu un musicista molto audace nell'invenzione di alcune soluzioni armoniche estremamente particolari, che se
da un lato si ricollegano direttamente alle atmosfere della sua terra, dall'altro furono alquanto osteggiate dalla critica
musicale del suo paese. Ciò lo costrinse a lavorare per lunghi periodi all'estero, in varie parti d'Europa. La sua
produzione fu incentrata sulle sei sinfonie (alcune delle quali intitolate) e sui poemi sinfonici.

Sibelius proseguì il cammino romantico della musica Finlandese già tracciato da Wegelius e Kajanus, rimanendo però in
un filone romantico abbastanza fuori dal tempo considerando la sua data di morte. La sua produzione incluse il poema
"Finlandia" e le sette sinfonie, le prime delle quali risentirono dell'influsso di Čajkovskij.

Gade inaugurò il filone romantico danese assieme ad Hartmann con l'opera "Echi di Ossian", fu didatta di buon livello e
successe a Mendelssohn come direttore del conservatorio di Lipsia.

31.3 ­ La scuola inglese

La scuola romantica inglese fu incentrata sulla figura di Edward Elgar (1857-1934), che lanciato nel panorama
musicale mondiale delle "variazioni enigma" Op.36 per orchestra, proseguì la sua carriera di compositore con la
produzione di alcuni poemi sinfonici, come "Falstaff", di derivazione Shakespeariana.

Divenuto famoso soprattutto per la famosa marcia "Pomp and Circustance", la sua produzione comprendeva anche due
sinfonie, l'oratorio "Il sogno di Gerontius", alcune cantate, un concerto per violino ed uno per violoncello.

31.4 ­ La scuola spagnola

La scuola spagnola nacque ad opera del teorico, musicologo e compositore Felipe Pedrell, che mirò ad una
valorizzazione del folklore popolare senza incorrere nelle esagerazioni esuberanti che tanto piacevano a Rimskij-
Korsakov. Pedrell ebbe tra i suoi seguaci il grande Isaac Albéniz (1860-1909).

Albéniz ebbe una gioventù alquanto movimentata, peregrinò per varie città europee e ciò gli permise di assimilare
alcuni tratti stilistici della musica europea, tedesca in particolare. Egli portò avanti il pianismo di Chopin e di Liszt
introducendo quel senso tipico del folklore spagnolo di piglio brillante ed estrema sensibilità timbrica ed armonica: le
due suites "Iberia" e "España" si pongono in questo panorama come ammirati caposaldi.

Il pianista ed in seguito compositore Enrique Granados (1867-1916), anch'egli allievo di Pedrell, raggiunse fama e
prestigio alla tastiera con la suite "Goyescas", ispirata alle opere del pittore spagnolo Francisco Goya, tanto che una
successiva elaborazione del pezzo diventò un'opera di scena. Di lui si ricordano anche le dodici "danze spagnole"
sempre per pianoforte.

31.5 ­ La scuola russa

A partire dalla seconda metà dell'800, il desiderio di affermare una propria identità musicale colpì anche la Russia.

Ad aprire la strada per il rinnovamento e la formazione di uno stile musicale personalizzato per questa nazione
fu Michail Ivanovič Glinka (1804-1857), che avendo modo di viaggiare molto in tutta l'Europa, conobbe ed ammirò
molti stili musicali differenti, dal francese al tedesco allo spagnolo, innamorandosi di quest'ultimo grazie anche al
fascino esercitato su di lui dalla particolare sensibilità esotica di quella realtà.

Fu Glinka che avviò in particolare la suddivisione dei due filoni dell'opera russa: quello storico, rappresentato
idealmente dalla rappresentazione "Una vita per lo Zar", che narrava la storia patriottica di un povero contadino russo
che sacrificò la vita per il suo sovrano; e quello fiabesco, ben incarnato nell'opera "Ruslan e Ludmilla", su testi di
Puškin.

Di lui si ricordano anche alcuni pezzi di destinazione sinfonica, da camera e per pianoforte.

A partire dagli anni '60 si affermò invece il movimento riformatore costituito dal cosiddetto "gruppo dei Cinque": ne
fecero parte César Cui (1835-1918), Milij Balakirev (1837-1910), Aleksandr Borodin (1833-1887), Modest
Mussorgskij (1839-1881) e Nicolaj Rimskij-Korsakov (1844-1908).

Tutti e cinque erano professionalmente impegnati su fronti differenti da quello artistico: medici, ingegneri, ufficiali
militari, si dedicavano alla composizione nei ritagli di tempo senza neppure poter vantare una solida preparazione
tecnica nell'arte del contrappunto. I due più rappresentativi furono Mussorgskij e Rimskij-Korsakov.

Mussorgskij aveva una personalità estrosa e condusse una vita alquanto disordinata; anche le sue opere risentirono di
questo suo carattere, tant'è vero che alcune furono lasciate incomplete e vennero poi terminate da Rimskij-Korsakov, di
gran lunga il più dotato ed audace del gruppo.

Di Mussorgskij val la pena citare due opere liriche: "Boris Godunov", costruito sul dramma di Puskin attorno alla storia
dello zar Boris che usurpò, con la forza, il potere al suo predecessore e visse tutta la vita con il rimorso per ciò che
aveva fatto, temendo che il destino si fosse accanito contro di lui e contro i suoi discendenti; e "Kovancina", che riprese
la vicenda della lotta tra lo zar e i Boiardi di cui il protagonista, il principe Kovansky, faceva parte.

In entrambe le opere si fece largo uso dei cori che simboleggiavano la grande partecipazione delle masse popolari alle
vicende, secondo l'ideale di patriottismo tipicamente russo dell'epoca, ma si evidenziò anche sempre più, la
frammentarietà delle varie scene che ben raffiguravano la condizione di precarietà della vita del compositore.

Proprio in quest'ottica, si inseriva la particolarissima suite per pianoforte "Quadri da un'esposizione", composta per
celebrare la prima mostra postuma del celebre architetto Hartmann, scomparso poco prima, della quale questo brano
costituì una specie di colonna sonora.
Oltre al poema sinfonico "Una notte sul monte Calvo" si ricordano alcune composizioni cameristiche per voce (quasi
sempre basso) e pianoforte.

Rimskij-Korsakov, come già detto, fu la mente più fervida dei Cinque e provvedette infatti al completamento di varie
opere anche dei suoi colleghi minori, come ad esempio l'opera "Il principe Igor" di Borodin. Di lui si ricordano i due
poemi sinfonici "Sheherazade" e "La grande Pasqua russa" per orchestra, alcune opere e soprattutto il suo contributo al
filone della trattatistica: scrisse infatti un grande "trattato di armonia" ed uno "di orchestrazione" nel quale si
analizzava in modo estremamente competente la teoria dell'orchestrazione musicale fino a quel tempo con alcune
curiose "frecciate" ad alcuni grandi autori come Mozart, rei solamente di aver potuto orchestrare alla maniera delicata
che il Settecento viennese richiedeva.

Il panorama della musica russa nel secondo Ottocento non fu però assolutamente circoscrivibile a queste tendenze,
spiccavano infatti altre due figure che operarono nella direzione opposta: Anton Rubinstein e Pëtr Ilič Čajkovskij.

Il primo, grande didatta e già direttore del Conservatorio di musica di S.Pietroburgo, scrisse molte opere di ispirazione
tipicamente occidentale in pieno contrasto con il gruppo dei Cinque specialmente nell'ambito pianistico, del cui genere
era un sommo interprete.

Čajkovskij, già allievo di Rubinstein a S.Pietroburgo, divenne ben presto professore di armonia nel conservatorio, e fu
indubbiamente una delle maggiori figure del panorama musicale russo di tutti tempi.

Personaggio introverso e irrequieto, manifestò da subito grande stravaganza e senso del destino. La sua ispirazione
musicale era però assai fervida, e il suo stile si ispirava, pur permeato di quei caratteri tipicamente russi riguardanti la
musica popolare, a quelli più occidentali come il francese e il tedesco.

La sua produzione annoverò un grande concerto per violino e orchestra, tre per pianoforte molto virtuosi e brillanti,
l'ouverture 1812 scritta per la campagna di Russia di Napoleone nella quale si evidenziava la sua notevole perizia
nell'orchestrazione, e sei sinfonie tra cui spicca la "Patetica" che riproponeva la celebre tematica beethoveniana, ma
con la differente, triste e sciagurata conclusione.

Il carattere autobiografico della sinfonia emergeva chiaramente in stretto rapporto alla sua vita, sconvolta prima dalla
dama "von Meck" che ne fu ignota mecenate e poi l'abbandonò, poi da un altro matrimonio fallito e dallo spettro
dell'omosessualità. Finì miseramente con un suicidio per l'insostenibilità morale della sua condizione di fronte ai
numerosi scandali.

Čajkovskij scrisse anche alcune opere teatrali tra cui spiccano "Eugenij Onegin" su testo di Puskin, che riproponeva il
tema dell'"antieroe" che rifuggeva dall'amore, e "la Dama di picche": entrambe piene di spunti pessimistici.

Il genere però che permise a Čajkovskij di esprimersi al meglio fu quello del balletto: i tre capolavori "Lo schiaccianoci",
"Il lago dei cigni" e "La bella addormentata nel bosco" rappresentano una vetta insuperata nel genere e costituiscono il
primo vero esempio di balletto con musiche, non di mero accompagnamento alla scena, ma con un proprio altissimo
valore artistico. Da questi celebri balletti venne poi assemblata una suite di brani orchestrali da eseguire senza il
supporto scenico.

Tesi n.32 – Principali forme musicali dal '600 all'800

32.1 ­ Musica vocale sacra
Nascono la cantata e l'oratorio in Italia ad opera di Rossi e Carissimi. (V.tesi n.15)

Il genere della cantata e dell'oratorio verrà praticato anche durante il Settecento e rivestì un ruolo importantissimo
nella produzione dei compositori tedeschi come Bach ed Händel. (V.tesi n.27)

Si mantenne la produzione di musica sacra come le Messe e, in musica minore, mottetti, salmi, magnificat.

32.2 ­ Musica vocale profana

Tramontò il genere del madrigale attorno al 1620, con Monteverdi che indirizzò il genere verso una forma monodica
accompagnata dal basso continuo. (v.tesi n.16).

32.3 ­ L'opera italiana

Nacque il melodramma, dapprima cortigiano, con le esperienze di Firenze della Camerata dei Bardi e di Roma ( v.tesi
n.14) e di Mantova con Monteverdi (v.tesi n.16), poi di matrice impresariale con la scuola veneziana (v.tesi n.16). Più
avanti nel Seicento venne a fondarsi la scuola napoletana con Alessandro Scarlatti. (v.tesi n.16).

Nel Settecento si affermaronoo l'opera seria sui libretti di Metastasio (v.tesi n.17) e l'opera comica, che nacque dalla
scuola napoletana di Pergolesi (v.tesi n.17).

Nell'Ottocento la scuola italiana vide il susseguirsi dei grandi maestri Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi, Puccini. ( v.tesi
n.22)

32.4 ­ L'opera in Francia, Germania ed Inghilterra

In Francia si sviluppò nel Seicento il genere del balletto di corte, mentre in antetitesi al melodramma italiano prese
corpo la forma della Tragédie-Lyrique con Lully e nel primo sSttecento con Rameau. Nel Settecento si svilupparono
anche l'Opéra-Comique e l'Opéra-Ballet. (v.tesi n.20). Nell'800 la Tradédie-Lyrique evolverà nel Grand-Opéra ad opera
di autori come Boieldieu e Rossini, mentre sul finire del secolo tramonterà l'Opéra-Comique a favore dell'operetta
(v.tesi n.23).

In Inghilterra dopo le esperienze seicentesche del Masque, nacque il melodramma ad opera di Henry Purcell, mentre il
sSttecento fu segnato dalla presenza di autori stranieri, italiani e tedeschi, come Händel (v.tesi n.27).

In Inghilterra, dopo le brevi esperienze del teatro di Amburgo, e la breve vita del Ballad-opera, si affermò il Singspiel
(v.tesi n.20), che vide fiorire nel corso del Settecento grandi autori come Mozart ( v.tesi n.28) e verrà poi trasformato da
C.M.Weber (v.tesi n.23) in una forma interamente musicata.

32.5 ­ La musica strumentale

Durante il periodo barocco nacquero le arie strumentali con Frescobaldi (v.tesi n.24), le suites, la sonata a tre da chiesa
e da camera, il concerto solistico con Torelli e il concerto grosso con Corelli (v.tesi n.25).

Nel primo Settecento si affermarono le scuole violinistiche veneziana con Albinoni, Vivaldi e Marcello (v.tesi n.26), la
scuola di Padova con Tartini, e la scuola romana con Corelli (v.tesi n.25).

La scuola cembalistica si arricchì nel Settecento con quella napoletana di Domenico Scarlatti (v.tesi n.26).
Nacque nel Settecento il quartetto classico con Haydn, la sonata in tre movimenti, la sinfonia moderna e il concerto
solistico (v.tesi n.28).

Nell'Ottocento venivano ancora coltivate le forme classiche del quartetto, della sonata per strumento (particolarmente
pianoforte), concerto solistico, e della sinfonia che però subì la concorrenza del poema sinfonico (v.tesi n.29 e n.30).

Nacquero infine nell'Ottocento forme tipicamente strumentali, come la ballata, la fantasia, il notturno, la romanza
senza parole, il valzer, la mazurca. In Germania prese corpo il Lied (v.tesi n.29).

Tesi n.33 – La musica moderna

33.1 Quadro storico­culturale

Il Novecento fu un secolo estremamente tormentato ed incentrato, dal punto di vista degli eventi storici, sulle due
grandi guerre mondiali.

Fu un secolo pertanto di sconvolgimenti sociali, che iniziò con grandi tensioni politiche che culminarono nella prima
guerra mondiale negli anni 1915-1918. I nuovi assetti politici che delinearono a seguito del conflitto generarono
ulteriori tensioni che sfociarono così nella seconda guerra mondiale negli anni 1939-1945. A seguito della vittoria degli
alleati contro l'asse militare costituito da Germania, Italia e Giappone, la crescente tensione generò la suddivisione
politico-militare nei due blocchi: occidentale nell'orbita statunitense ed orientale in quella dell'URSS. Dopo gli anni della
guerra fredda, segnata anche dai conflitti nel sud-est asiatico della Corea e del Vietnam, si arrivò alla fine degli anni '80
- inizio anni '90 al crollo dell'impero comunista dell'Europa dell'Est ed ai primi tentativi di occidentalizzazione dei paesi
che militavano nell'orbita sovietica.

Queste tensioni e contrasti tracciarono un secolo molto tormentato, come già detto, cosicché l'arte, termometro
supremo di questi fenomeni, ne riflesse in pieno i turbamenti.

Molti furono infatti i movimenti artistici che si succedettero anche a distanza di pochissimi anni, fatto del tutto nuovo se
si pensa che fino all'800 c'era stata un sostanziale procedere per secoli delle varie tendenze umanistico-culturali,
almeno fino a risalire al lontano XIV sec.

Parlando dal punto di vista artistico, il Novecento fu un secolo assolutamente "distruttivo", dove il sentimento e la
corrente ideologica prevalente fu senz'altro la contestazione, la necessità di un progressismo e di un rinnovamento
assoluto che rompesse in modo netto, talvolta tragico, i legami con il romanticismo precedente.

In letteratura il genere del romanzo che aveva incontrato grande fortuna nel secolo precedente, lasciò il posto ad un
nuovo tipo di narrativa più frammentaria e a sfondo molto più psicologico: ecco M.Proust, Joice con "Ulisse", E.Canetti
con "Auto da fé", Musil con "l'uomo senza qualità", V.Wolf con "Mrs. Dalloway". La poesia lirica di stampo classico lasciò
il passo ai vari R.M.Rilke, Eliot, Pound, e in Italia Ungaretti, Montale e Quasimodo.

Il secolo segnò anche la nascita e la crescita prepotente del mezzo fonico come strumento per la riproduzione e
diffusione della cultura, musicale. In particolare il nastro, il disco e la televisione permisero un'esplosione della
possibilità di diffusione della cultura senza precedenti.

Sorsero in questo secolo numerosissimi i conservatori e gli istituti musicali, assieme alle grandi orchestre che ormai
tutte le grandi città mondiali potevano vantare.
33.2 Tendenze musicali

Dal punto di vista delle tendenze musicali, si delinearono, sintetizzando, tre grossi filoni: quello dei "conservatori",
fedeli agli ideali romantici, seppure con le dovute mutazioni ed evoluzioni causate dallo scontato procedere del tempo,
movimento che si sviluppò soprattutto in Francia grazie a Debussy e Ravel ed in Russia; quello dei "progressisti" ad
ogni costo che trovò la sua fortuna nella scuola di Vienna con Arnold Shönberg; ed il curioso fenomeno costituito dagli
amanti dell'arte pre-romantica che si allinearono sotto l'acronimo di "neo-classicisti", di cui Igor Stravinskij fu il
massimo esponente.

Alla categoria dei tardo-romantici appartennero i due musicisti russi Alexander Scriabin (1872-1915) e Sergej
Rachmaninov (1873-1943).

Scriabin, grande pianista, operò sul filone tardo-romantico in deciso contrasto con la scuola nazionale dei Cinque.
Dotato di inventiva estremamente fantasiosa e di ottima perizia tecnica nella composizione, scrisse molta musica per
pianoforte tra cui spiccano le sonate e i preludi. Nel genere sinfonico si ricordano le tre sinfonie, di ottima fattura, e i
due poemi sinfonici "Estasi" e "Fuoco".

Rachmaninov, altro grande virtuoso del pianoforte, visse a lungo negli Stati Uniti, dove poté godere delle possibilità
offerte dalla democrazia locale, di svolgere appieno la sua professione di musicista e direttore. La sua produzione
comprendeva tre sinfonie, tre poemi sinfonici e quattro concerti per pianoforte e orchestra, estremamente virtuosi ed
impegnativi da eseguire. La sua orchestra aveva caratteri di estrema spettacolarità, talvolta eccessiva, tanto da venire
spesso etichettata come "Hollywoodiana". Vasta anche la produzione pianistica che comprendeva sonate, studi e
preludi.

La scuola nazionale polacca si avvalse invece del contributo di Carol Sizymanovskij, pianista, che ci ha lasciato una
discreta quantità di musica per il suo strumento, sinfonica e sacra, oltre all'opera di pregevole fattura "Re Ruggero".

Dopo i successi raggiunti da Smetana e Dvořák la scuola boema affidò a Leóš Janáček (1854-1928) che, con la sua
attenzione al recupero del patrimonio letterario della propria terra, ben incarnava le tendenze nazionalistiche di fine-
secolo. La sua grande sensibilità musicale si esplicò soprattutto nella ricerca dell'imitazione delle sonorità della natura,
come nell'opera "La volpe astuta". L'altra sua opera di successo "Jenufa" ebbe invece carattere tragico e drammatico,
quasi morboso.

Un discorso a parte va attribuito al nostro Ferruccio Busoni (1866-1924), che visse però gran parte della sua vita
all'estero, in Germania. Grande ammiratore dell'estetica bachiana, fu una delle figure di spicco del pianismo dell'inizio
'900 e dedicò anche grandi energie artistiche alla trattatistica del pianoforte ed alla revisione. Costruì infatti un sistema
temperato con la suddivisione del semitono in ulteriori frazioni fino ad ottenere oltre cento scale.

Sempre in Germania fu Max Reger ad interpretare l'estetica tardo-romantica dell'armonia, ormai avviata verso soluzioni
sempre più audaci, seppure nutrisse una grande ammirazione per Bach e per le forme musicali più rigorose del periodo
barocco. La sua produzione abbonda di musica da camera e comprende un concerto per violino, uno per pianoforte e la
famosa Fantasia e Fuga in do minore Op.29.

Infine il tedesco Max Bruch mostrò una sensibilità tardo-romantica ma non dissimile ai tratti stilistici di Mendelssohn:
nella sua produzione spicca il concerto per violino e orchestra Op.26.

33.3 Il modernismo musicale
Come già detto, alcuni filoni musicali misero nel '900 in seria discussione molti dei parametri della musica classica.

Se con Shönberg si avviò la distruzione dell'armonia tonale classica, e l'invenzione della cosiddetta "atonalità", da lui
meglio chiamata "emancipazione della dissonanza", che culminerà con la teorizzazione del nuovo ordine conosciuto
come "dodecafonia", si attribuisce a Stravinskij la nascita del cosiddetto "cambio di battuta", ossia il frequentissimo
mutamento di tempo tra una battuta e l'altra, e dell'uso frequentissimo della sincope per spostare l'accento ritmico.

Nella tecnica pianistica nacquero i fenomeni della politonalità che si estrinsecava con la scrittura delle due mani in
tonalità differenti tra loro, e del "cluster", ossia della pressione di "grappoli" di note utilizzando non più le dita, ma gli
avambracci.

Numerose sono inoltre le teorie che tendevano a scomporre il semitono temperato in un numero sempre maggiore di
frazioni, come Ferruccio Busoni, o Alois Haba, che fu il più audace.

Anche l'organico orchestrale subì profonde modificazioni, con l'introduzione dei rumori ad opera dei vari Edgard
Varèse, Luigi Russolo, Francesco Balilla-Pratella mediante opportuni apparecchi chiamati, appunto "intonarumori".

Anche strumenti che finora avevano assunto il ruolo di solista, venivano ora a partecipare in veste di comprimari
all'organico, su tutti i casi di pianoforte e clavicembalo. Addirittura in un balletto di Stravinskij non erano presenti le
viole e i violoncelli.

Tesi n.34 – Il Novecento : i maggiori compositori

34.1 L'espressionismo e la scuola di Vienna : Schönberg, Berg, Webern

La scuola di Vienna si sviluppò attorno al grande musicista austriaco Arnold Schönberg (1874-1951).

Le grandi possibilità offerte dalla capitale viennese, in termini artistici, erano accresciute soprattutto a seguito della
scomparsa della antichissima, secolare dinastia imperiale con la morte dell'ultimo sovrano Francesco Giuseppe nel
1916.

La nuova prospettiva artistica, che si aprì dopo quest'evento, fu quella della rottura estrema con il passato, cui
contribuirono anche alcune opere letterarie tra cui spiccano quelle di Sigmung Freud "Studi sull'isteria" e
"L'interpretazione dei sogni", che aprirono la strada alla dottrina della psicanalisi e della scoperta progressiva di
elementi dell'uomo, che sfuggivano al substrato cosciente. Il librettista di R.Strauss Hoffmanstal affermò in quegli anni,
il raggiungimento di un livello di saturazione mentale. che sfociò nell'incapacità di formulare pensieri chiari e razionali:
era la fine del super-uomo tardo-romantico.

Arnold Schönberg, di origine ebraica, ebbe una vita suddivisibile artisticamente in tre periodi.

Il primo, che abbracciava gli anni delle prime esperienze musicali, identificabile all'incirca fino al 1900, mostra
chiaramente la matrice di derivazione tardo-romantica, wagneriana, seppur ad un livello più evoluto ed esasperato del
cromatismo e dell'armonia, dello stile del compositore. Appartengono a questo periodo i poemi sinfonici: "Notte
trasfigurata", "Pelléas et Melisande" e l'enorme ciclo di leader "Gurrerlieder".

La seconda fase artistica si identificò temporalmente dai primissimi anni del secolo fino agli anni '20. Durante questo
periodo nacque e si sviluppò il concetto di "atonalità" con il quale si aprì formalmente l'attacco all'armonia tonale
tradizionale. Fu il periodo in cui effettivamente nasceva la scuola di Vienna, con tanti allievi che apprendevano le nuove
vie musicali dalle sessioni di Schönberg. In realtà, più che di atonalità sarebbe opportuno parlare di "emancipazione
della dissonanza", per usare un'espressione diretta del compositore, dal momento che proprio nell'estremo, costante
uso della stessa, in luogo del ruolo solamente culminante del passato, si sviluppò il sistema di assoluta parità di
importanza di tutte e dodici le note costituenti l'ottava.

Appartennero a questa seconda fase il ciclo di lieder "Pierrot Lunaire" per voci soliste e accompagnamento dei più
svariati strumenti, nei quali venne inventata una nuova forma di recitazione cantata denominata "Schprechgesang"
che prevedeva la totale rottura con il melodismo, la legatura e il portamento delle varie note del canto tipicamente
rossiniano a favore di un'intonazione rapida, metallica, quasi discorsiva.

Importantissimo in questa direzione, anche il monodramma in un singolo atto "Erwartung" (l'attesa) per voce soprano
femminile solo, che narrava la vicenda di una dama che si trovava nel bosco ad aspettare, di notte e in un ambiente
ostile, il suo uomo, scoprendolo tragicamente morto.

Nel 1911 Schönberg pubblicò il suo "manuale di armonia": un'opera estremamente interessante, ancora attuale per
certi aspetti, nel quale descriveva e razionalizzava le proprie teorie attaccando ovviamente il sistema tradizionale.

La terza ed ultima fase coincise con gli ultimi anni, dal 1920 alla morte, durante i quali il compositore viennese, ormai
spintosi in un'avanguardia estrema nell'arditezza delle sue teorie sulla atonalità, sentì la necessità di creare un nuovo
ordine formale da applicare nelle sue composizioni, che servisse da nuova ossatura portante: il risultato delle sue
elaborazioni si chiamò "dodecafonia".

La nuova base formale diventò la "serie", ossia una successione delle dodici note costituenti l'ottava, ordinate secondo
un criterio prestabilito, che andavano ad essere il nuovo elemento di coesione del brano musicale attraverso la rigorosa
ripetizione, diretta o con le più svariate tecniche contrappuntistiche dell'inversione, dell'imitazione retrograda, ecc...

Le dodici note andavano quindi ripetute secondo queste tecniche senza la possibilità di variare formalmente la serie in
alcun modo.

La prima opera che sfruttava la nuova tecnica compositiva, fu la suite per pianoforte, prodotta negli anni 1921-23, cui
seguirono poco dopo le famose variazioni per orchestra op.31, forse il massimo capolavoro dodecafonico di Schönberg.

A partire dagli anni che videro l'ascesa del nazismo in Germania, Schönberg si trasferì negli Stati Uniti, dove poté
continuare la sua carriera artistica in totale libertà, lontano dal movimento di Hitler, che perseguiva le teorie
dodecafoniche considerandole un filone degenerato della musica.

Risalgono sempre a questo terzo periodo le due opere "Un sopravvissuto di Varsavia" e "Mosé e Aron", in tre atti del
quale la musica era stata scritta solo per i primi due, che mise in evidente contrasto Aron, tenore di stampo e tecnica
vocale tradizionalmente romantica e Mosé, che in qualità di "uomo nuovo", rappresentava colui che portava la croce e
il peso del rinnovamento, mostrando così una vena autobiografica.

Schönberg infatti, come già Beethoven nel secolo precedente ed anche altri compositori, si sentì investito della sfidante
missione di portare la musica su nuovi orizzonti attraverso la difficilissima e spesso non così remunerativa opera di
rinnovamento. Mosé utilizza così la tecnica dello Schprechgesang in contrapposizione al canto "tradizionale", come
detto, dell'altro tenore, Aron.

A partire dal 1947 nacque uno scontro dialettico tra il compositore e lo scrittore Thomas Mann, che in quell'anno
pubblicò il famoso romanzo Doctor Faustus: opera nella quale, il tema goethiano del patto con il demonio, investì
questa volta il protagonista che coltivava il sogno di diventare un abilissimo e famosissimo compositore, tanto da
inventare addirittura un nuovo ordinamento della teoria musicale, che guarda caso, corrispondeva alle teorie di
Schönberg già esposte un ventennio prima.

La popolarità delle teorie di Schönberg crebbero costantemente durante la prima metà del secolo, fino a regalargli una
posizione di assoluto primo piano nel panorama musicale mondiale, che secondo alcuni (vedi Pierre Boulez) sfociò
anche nell'invadenza.

Morì a Los Angeles nel 1951.

Alban Berg (1885-1935) e Anton Webern (1883-1945) furono i due principali allievi di Schönberg, che condivisero con
lui le fasi artistiche dell'atonalità prima e della dodecafonia.

Berg fu, dei musicisti espressionisti legati alla scuola di Vienna, quello più comunicativo: la sua grande opera del
periodo artistico, quello dell'atonalità, "Wozzek", piacque subito al pubblico già dalla prima esecuzione nel 1925.

L'opera narrava la storia del soldato semplice Wozzek, che con il suo carattere umile, fragile e con la sua grande
ingenuità veniva deriso e spesso sfruttato dai suoi commilitoni; la sua relazione con una donna, Maria, finì
tragicamente dopo la scoperta della relazione che lei intraprese con un altro militare della caserma, il Tamburmaggiore:
Wozzek ucciderà per propria mano, la donna.

Sviluppata in tre atti, di cui solo dei primi due l'autore scrisse la partitura musicale, Wozzek proponeva un curioso
accostamento della nuova estetica espressionista con un rigore formale totalmente estraneo a Schönberg. Nel primo
atto erano presenti numerosi pezzi chiusi, tra cui una passacaglia, il secondo era organizzato come una sinfonia in
cinque movimenti e il terzo si strutturava come un tema con variazioni.

Dopo la prima opera veramente dodecafonica, un lied per pianoforte dalla cui serie venne ricavato anche un quartetto,
Berg scrisse la sua seconda opera di maggior successo: il melodramma "Lulu".

Anton Webern seguì anch'egli la duplice fase compositiva dell'atonalità prima e della dodecafonia poi; non fu un
compositore molto prolifico, preferendo concentrare la sua energia creativa in poche opere qualitativamente elevate, e
instaurò un rapporto di reciproca stima con Igor Stravinskij.

Come già fece parzialmente Berg, egli sviluppò la tecnica della "serialità" fino ad elaborare dei rapporti formali
all'interno della serie stessa; non erano rari i casi in cui alcuni gruppi di note della serie (tipicamente scomposta in
gruppi di 3, 4 o 6 note) riproponevano, con il procedimento dell'inversione armonica o con altre tecniche
contrappuntistiche tipiche dei fiamminghi del Quattrocento, altre sezioni della serie stessa.

Il concetto di serialità diventò con Webern "integrale", dal momento che il rigore formale della ripetizione dell'elemento
portante della serie veniva applicato non solo all'evoluzione melodica del brano, ma anche all'aspetto ritmico, timbrico
e dinamico: su questa strada si mossero, nei decenni seguenti del Novecento anche compositori come O.Messiaen e
K.Stockhausen dando vita, attorno alle sessioni dell'avanguardia musicale del dopoguerra che si riunivano a Darmstadt,
alla corrente del puntillismo.

Le sue maggiori opere comprendono: tre lieder spirituali dodecafonici, le variazioni per pianoforte Op.27, una sinfonia
per orchestra da camera, le cantate Op.29 e Op.31 e le variazioni per orchestra. Webern curò inoltre la riedizione del
famoso "Choralis Constantinus II" del famoso compositore fiammingo del quattrocento H.Isaac, che ammirava
profondamente per le sue abilità contrappuntistiche.
34.2 Il neoclassicismo e Stravinskij

Igor Stravinskij nacque a Oranienbaum, vicino a Pietroburgo, nel 1882.

Dopo i primi studi artistici con Rimskij-Korsakov e la laurea in legge nel 1905, abbandonò ben presto la professione
forense anche a seguito dei primi grandi successi ottenuti con i balletti "L'uccello di fuoco", "Petruška" e "La sagra della
primavera", inscenati a Parigi durante gli anni '10-'13 del suo soggiorno francese.

Dal 1914 si stabilì in Svizzera e dal 1920 nuovamente a Parigi, da cui si mosse, dopo aver preso anche la cittadinanza
francese, solo nel 1939, per risiedere definitivamente negli Stati Uniti, dove conobbe il valente direttore d'orchestra
Robert Craft, che diventerà ben presto il suo segretario personale nonché biografo.

Uomo di ottima cultura e di idee chiarissime, nel suo saggio "La mia poetica" egli espresse pienamente il suo concetto
di professione artistico-musicale del compositore moderno; questi doveva essere prevalentemente un buon artigiano,
che metodicamente poteva fondare le sue opere sull'analisi e sullo sviluppo di quanto era già stato scritto,
prescindendo dall'ispirazione interiore di carattere "ultraterrena" ed innata.

Così, ad esempio scrisse il balletto "Pulcinella" venendo in possesso, quasi casualmente, di alcune partiture
settecentesche erroneamente attribuite a Pergolesi, e dimostrò la sua praticità e il suo pragmatismo componendo un
balletto per una curiosa, incompleta, orchestra (negli archi erano presenti solo violino e contrabbasso) per far fronte ad
una precisa mancanza nell'organico di alcuni strumentisti.

La sua musica quindi, secondo le sue teorie, non fu un'arte espressiva, non aveva alcuna velleità comunicativa, ma
divenne l'unione di tecnica, forma, schemi e linguaggio che semplicemente si formarono dall'elaborazione, dalla
rivisitazione dei grandi maestri del passato: fu la nascita del neoclassicismo musicale.

La sua opera artistica fu quindi assimilabile ad un'enorme lavoro di "parodia", di rivisitazione: alcuni chiari esempi
furono l'opera '"Edipo Re" basata su un oratorio seicentesco o la sinfonia "dei salmi" per coro e orchestra basata
appunto su Salmi Gregoriani; o ancora il balletto "Jeu de cartes" (gioco di carte), ironicamente diviso in "mani", anziché
atti, su composizione mozartiana.

La morte di Čajkovskij segnò il passaggio di questo compositore, dalla "contemporaneità" alla "storia" : la sua tecnica
parodistica abbracciò dunque anche il celebre compositore russo nel balletto "La baiser de la fée" (il bacio della fata);
ma il suo capolavoro fu forse riconosciuto in "The rake's progress" (La carriera del libertino), una bellissima opera in cui
il protagonista incarnava un'unione del Don Giovanni mozartiano e del Faust di Goethe.

L'opera fu curiosamente organizzata secondo una successione di pezzi chiusi, fatto alquanto singolare nel '900, se
consideriamo le linee guida di progressiva unificazione e coesione formale già tracciate da Verdi e Wagner, e cosa
ancor più sorprendente, includeva un recitativo nel quale il solista era accompagnato dal clavicembalo con funzione di
basso continuo.

A partire dagli anni '50, grazie anche all'amico Craft, le teorie di Stravinskij vennero prontamente applicate anche ai
lavori del grande maestro espressionista Schönberg, scomparso nel 1951: Stravinskij abbracciò, per l'ultima parte della
sua vita, seppur con non modesto successo, la tecnica della dodecafonia. Risalgono a quest'ultimo periodo la cantata
"Threni" (lamenti), i "Mouvements" per pianoforte e orchestra e i "Requiem Canticles", la sua ultima opera di rilievo.

Morì a New York nel 1971 e fu sepolto a Venezia.


La scuola neoclassica annoverò, oltre a Stravinskij, anche altri compositori, specialmente in Francia, dove nacque, dopo
la morte di Debussy, il cosiddetto "gruppo dei Sei" : Louis Duréy, Georges Auric, Germaine Tailleferre, Artut
Honegger, Darius Milhaud e Francis Poulenc.

Uomini di elevata cultura, intelligenti, in alcuni casi ottimi pianisti, furono personalità artistiche estremamente
stravaganti; basti ricordare alcuni titoli di loro opere come i balletti "Rugby" e "Pacific 231" (basato su una locomotiva a
vapore) di Honegger, o "Il bue sul tetto", "Macchine agricole" e il "Catalogo dei fiori" di Milhaud.

Il maggiore compositore del "gruppo dei Sei" francesi fu senza dubbio F.Poulenc.

Già abile pianista, fu proprio lui a raccogliere intorno a sé gli altri cinque membri del rinnovamento musicale francese,
che perseguì la strada del distacco dall'impressionismo di Debussy e Ravel.

Tra le sue opere di maggior successo, spiccano il concerto per clavicembalo e orchestra, e alcuni contributi al filone
operistico: il monodramma in un singolo atto "La voce umana" che vide svolgere la sua breve vicenda attorno ad una
tormentata telefonata del soprano protagonista con il suo amante e "I dialoghi delle carmelitane", che narrava la
tragica vicenda di un gruppo di suore appartenenti al medesimo ordine ecclesiastico, che vennero mandate al rogo
durante le persecuzioni della rivoluzione francese.

In questo panorama di avanguardie musicali è interessante citare il famoso libro del filosofo tedesco Adorno, pubblicato
nel 1949, nel quale vi è presentata una ragionata comparazione delle estetiche di Schönberg e di Stravinskij, con il
pensiero dello scrittore, che finirà per propendere per l'audacia della scuola di Vienna, grazie e per l'opera di
rinnovamento che ebbe il coraggio di portare avanti, contro la sostanziale staticità ed inventiva del compositore russo.

34.3 La nuova oggettività e Paul Hindemith

Dal tessuto sociale tedesco che ostentava concretezza, praticità e pragmatismo nacque la musica di Paul
Hindemith (1895-1963).

Nato a Hanau, in Germania, completò gli studi di violino, fu membro di vari organici cameristici, ne fondò uno
partecipandovi come violista ed ebbe brevi incarichi di insegnante musicale.

La sua ascesa come musicista-compositore coincise da un lato con la nuova scuola di Vienna e dall'altro dal regime
nazista, cosa che lo obbligò ben presto ad emigrare negli USA per poi rientrare in Europa a partire dagli anni '50: fu
prima in Svizzera, dove ebbe un breve incarico di insegnante e poi di nuovo in Germania, dove morì nel 1963 a
Francoforte.

Nei primi anni della sua vita artistica, si inclinò lievemente verso la poetica della scuola espressionista di Vienna,
quando Schönberg concretizzava la "fase atonale" del suo percorso teorico-musicale, ma ben presto abbandonò questo
filone per proporre la propria, personale visione oggi riconosciuta come "nuova oggettività".

Si trattava di uno stile che poneva alla propria base la estrema concretezza e il pragmatismo artistico ben
rappresentato nei primi decenni del '900 in architettura dall'esperienza del "Bauhaus", che rinnegava le decorazioni
edili artificiose, a vantaggio di una tecnica che privilegiava la purezza e l'essenzialità delle forme.

Hindemith, che adorava l'estetica barocca e classica, Bach in particolare, compose appunto molte opere seguendo le
forme tipicamente sei-settecentesche: numerose furono le sonate da camera per due strumenti (uno era il pianoforte)
e i concerti per orchestra e strumento solista, secondo un'abitudine compositivo-quantitativa tipica d'altri tempi.
La sua visione musicale, per quanto intrisa quindi di richiami formali classici, non poteva essere assimilata all'opera di
Stravinskij, in quanto non riproponeva la grande opera di revisione parodistica, di quanto già scritto in passato, ma
realizzava una comunicativa estremamente diretta e concreta che spesso metteva in risalto una immediatezza
alquanto singolare per i tempi, molto apprezzata dal pubblico.

Tra le sue opere teatrali maggiori si ricordano la famosa "Cardillac", inscenata nel 1921, nella quale l'omonimo
protagonista era un orafo che si innamorò a tal punto delle sue creazioni, da divenirne schiavo, tanto da uccidere i suoi
clienti per rientrarne in possesso; "Mathis il pittore" e "Keplero". I soggetti scelti erano tutti estremamente concreti e
contrastavano nettamente con le preferenze amorose ed astratte dello abitudini tardo-romantiche.

Contemporanei di Hindemith, Kurt Weill e Paul Dessau musicarono novelle del celebre drammaturgo B.Brecht, che
nelle sue opere vide emergere chiaramente le sue idee marxiste.

Ricordiamo in tal senso le celebri "l'Opera da tre soldi" e "Ascesa a caduta di Mahagonny" di Weill.

Infine citiamo l'interessante figura di Carl Orff, bavarese ed anch'egli contemporaneo di Hindemith, che nella sua
variegata produzione vide spiccare i "Carmina Burana", celebre rivisitazione con notevole arricchimento sia timbrico
che ritmico della omonima raccolta di canti goliardici in latino dell'epoca medievale.

34.4 I folkloristi : Béla Bartok e Manuel De Falla

Eredi delle famose scuole nazionali rispettivamente della scuola boemo-russa e spagnola, Bartok e De Falla
apportarono un'interssante novità nella modalità di valorizzazione del patrimonio etno-folkloristico delle proprie terre. A
differenza dei loro predecessori infatti, il grande lavoro di analisi e di ricerca li portò alla comprensione ed allo studio
dei meccanismi tecnico-formali contenuti nella musica popolare, meccanismi che furono poi applicati nelle loro opere al
servizio della loro ispirazione compositiva.

Non quindi una semplice parafrasi melodica, armonica e ritmica delle varie danze e melodie popolari, ma una vera e
propria codificazione di tecniche e regole in esse contenute.

Con questa profonda analisi nacque la scienza dell'etnomusicologia, e una delle prime grandi scoperte fu proprio
quell'uso ardito della dissonanza, che aveva rappresentato il punto di arrivo di anni ed anni di studi della scuola di
Vienna.

Bela Bartok (1881-1945), ungherese, ebbe un'infanzia traumatica segnata soprattutto dalla sua natura malaticcia che
ne compromise in parte la sua vita sociale; di carattere schivo e timido, trovò nella sua arte una parziale contropartita
di riscatto. Il resto della vita, non particolarmente degna di nota dal punto di vista biografico, vide però la fuga negli
Stati Uniti a causa dal regime nazista negli anni dell'ascesa al potere di Hitler.

Tra le sue opere di scena maggiori ricordiamo il celebre dramma "Il castello del principe Barbablu", che riproponeva con
un'orchestrazione mirabilmente raffinata ed intensa i temi dell'amore e del "divieto" già visti nel Lohengrin di Wagner,
e una cantata profana (quasi un'operina) che narrava la storia dell'amore di nove fratelli per la natura che, sfociò nella
loro magica trasformazione in cervi e nel successivo rifiuto di ritorno nella condizione umana, dopo che ebbero
scoperto la purezza del mondo animale.

Nel campo della musica strumentale, il ruolo di insegnante al prestigioso conservatorio di Budapest, il suo famoso
"Allegro barbaro" e i concerti per piano e orchestra, testimoniano chiaramente le grandi doti di pianista di Bartok e
fanno emergere il ritmo come uno degli elementi fondamentali della sua tecnica compositiva.
Mirabili anche i sei quartetti per archi, oggi considerati idealmente la prosecuzione dell'opera specifica di Haydn e
Beethoven per le alte vette formali raggiunte: si faceva uso infatti della tecnica "a ponte" che prevedeva la ripetizione
tematica secondo lo schema a-b-c-b'-a' oltreché della complicatissima regola matematica della "sezione aurea".

Degna di nota anche la "Musica per celesta ed archi" e l'opera didattica "Microcosmos", ancora attuale.

Lo spagnolo Manuel De Falla (1876-1946) iniziò la sua carriera di compositore seguendo il filone già elaborato da
Granados e Albeniz. Dopo gli studi pianistici a Parigi ebbe modo di conoscere la tecnica impressionistica di Debussy,
che lo influenzò a tal punto che rientrato in patria, inizierà a comporre.

I suoi primi lavori, di stampo debussiano, mettono infatti in risalto un pianismo non virtuoso, che non tradisce però il
piglio tipicamente esotico-spagnolo: il celebre lavoro "Notte per i giardini di Spagna" viene ad inquadrarsi
mirabilmente in questa prima fase artistica.

Successivamente il compositore ebbe modo di sviluppare, come spesso accade, una propria stilistica personalizzata,
che nel caso di De Falla ravvivava il carattere spagnolo mediante il piglio popolaresco, colorito, vicate: sono da
attribuire a questo secondo periodo le "7 canzoni popolari spagnole" su temi popolari e i tre balletti "Il cappello a tre
punte", ispirato dal poeta Alarcón y Ariza, "Il teatrino del maestro Pedro" e "El amor Brujo".

Vittima del regime dittatoriale di Francisco Franco, fu costretto ad emigrare all'estero, riparando in Argentina.

Lasciò incompleta la sua ultima opera-oratorio "Atlantida", terminata poi da un suo collaboratore.

Tesi n.35 – L'occidente europeo, USA ed URSS

35.1 ­ L'italia

In Italia, passati i fasti dell'800 operistico, iniziò a farsi strada una timida rinascita strumentale con i compositori che
vennero convenzionalmente indicati con l'accezione de "la generazione dell'80".

Ottorino Respighi (1879-1936), forse il maggior talentuoso del gruppo, nacque a Bologna, dove compì in gioventù gli
studi di violino, diplomandosi. Si trasferì temporaneamente in Russia, per studiare composizione sotto la guida di
Rimskij-Korsakov, dal quale trasse lo stile. Rientrato in patria, e diplomatosi in composizione, operò nuovamente a
Bologna, quindi a Roma, dove ebbe un incarico di insegnamento e diresse il locale conservatorio di S.Cecilia.

Grande orchestratore e sinfonista, si buttò ben presto nel genere strumentale del poema sinfonico, alquanto trascurato
precedentemente in Italia: i lavori "Fontane di Roma", "I pini di Roma", e "Feste romane" furono senza dubbio le
creazioni di maggior successo.

Tra i lavori teatrali spicca "Belfagor", del 1922 e i due balletti "La boutique fantasque" (La bottega fantastica) su
musiche di Rossini e "Passacaglia" su musiche di J.S.Bach.

Nel genere cameristico ricordiamo la sonata in si minore per violino e pianoforte.

Ildebrando Pizzetti (1880-1968), fu uomo ed artista estremamente diligente e preciso: il suo catalogo delle opere fu
alquanto vasto. Già direttore del conservatorio di Firenze, egli brillò soprattutto nella vocazione melodrammatica, che lo
portò ad allontanarsi dal filone verdiano a favore di un "recitar cantando" di stile monteverdiano per rendere al meglio i
passaggi del testo.
Tra le sue opere di maggior successo ricordiamo "Clitennestra" e "Il calzare d'argento".

Gianfrancesco Malipiero (1882-1973) dopo gli studi a Vienna e a Bologna si diplomò in composizione nel 1904 ed
operò all'estero, dapprima a Berlino e successivamente a Parigi, dove ebbe modo di conoscere la musica impressionista
francese.

Le sue forme molto complesse e la sua modernità del linguaggio musicale lo rendono uno tra gli autori italiani più
interessanti del nostro secolo, ma la sua notorietà è parimenti giustificata dalla sua grande opera di "riscopritore" di
grandi compositori del passato, fino a quel momento relegati ad un ruolo alquanto marginale: è il caso di Monteverdi e
di Vivaldi.

Come compositore, la sua opera di maggior successo viene ricordata nelle "Sette canzoni di scena".

Alfredo Casella (1883-1947), torinese, appartiene al filone "neo-classico" della musica europea. Ebbe modo di
studiare pianoforte e composizione a lungo a Parigi e di conoscere varie tendenze musicali, dal neo-classicismo di
Stravinskij, all'impressionismo di Debussy, all'espressionismo di Schönberg.

Rientrato in patria nel 1915, sviluppò la sua carriera attorno all'attività concertistica al pianoforte e all'insegnamento
dello strumento presso l'Accademia di S.Cecilia a Roma.

Le sue opere più importanti sono gli 11 pezzi infantili per pianoforte, la partita per piano e orchestra, il divertimento
"scarlattiana" per piano e 32 strumenti; ma il suo contributo al panorama musicale lo vide brillare anche come critico
musicale (fondò la rivista "ars nova"), e soprattutto come didatta e revisore; fu infatti autore di molti libri sul pianoforte
e di molte edizioni critiche dei pezzi più celebri della letteratura pianistica.

Lugi Dallapiccola, istriano, studiò in gioventù a Trieste e Firenze, dove ottenne anche la cattedra di pianoforte.

Grande conoscitore delle forme barocche e classiche, iniziò la sua carriera di compositore con alcune rielaborazioni
delle stesse, come nel caso della "Partita"; a partire dagli anni quaranta abbracciò invece le tecniche dodecafoniche;
appartengono a questo secondo periodo "Il quaderno di Anna libera" (Anna era la figlia, nata nel giorno della
liberazione) per pianoforte, "I canti di prigionia", e le opere "Il prigioniero" e "Ulisse", inscenata postuma per la prima
volta solo nel 1968 a Berlino, nella quale il disegno dodecafonico sviluppava una serie per ciascun personaggio.

Come è evidente dai titoli delle sue composizioni, egli aveva molto caro i temi della guerra e della prigionia. Questa
naturale tendenza al pessimismo fu però ben contrastata dalla sua grande fede religiosa.

Goffredo Petrassi (1904-2003) fu un personaggio molto attivo nell'ambito artistico. Già direttore artistico a Venezia e
a Firenze, svolse un importante ruolo come insegnante di composizione a S.Cecilia.

Egli apparteneva al filone tipicamente neoclassico della musica italiana di inizio secolo. Sviluppò infatti, sulla base di
una solidissima padronanza della tecnica compositiva, caratteri più "freddi", e distaccati rispetto a Dallapiccola. Si può
quasi considerare un piccolo Stravinskij nostrano. Non a caso infatti, per la morte del celebre compositore russo
Petrassi scrisse la parafrasi "Vieni, Santo Igor".

Tra le sue opere maggiori ricordiamo gli 8 concerti sinfonici, e la partita per orchestra, che lo lanciò all'attenzione del
grande pubblico, la molta musica sacra comprendente inni e preghiere, e le opere "Morte dell'aria", tragica, e "Il
cordovano", di carattere buffo ed intrisa di elementi erotici e maliziosi.
35.2 ­ L'inghilterra

Dopo un lungo periodo, durato oltre un secolo, dall'epoca di H.Purcell a tutto l'Ottocento, caratterizzato dalla
sostanziale assenza di grandi nomi prodotti dalla scuola inglese e vissuto sugli allori della musica continentale dei
grandi tedeschi, alcuni dei quali ebbero modo anche di legare il proprio nome all'Inghilterra come Haendel, ecco farsi
strada un timido desiderio di riscossa nei nomi di Edward Elgar (1857-1934), Gustav Holst, Ralf Vaughen-Williams e
soprattutto Benjamin Britten (1913-1976).

Ai limitati successi di Elgar con il poema sinfonico "Falstaff" e le famose "variazioni enigma", nel quale l'autore dava
prova di grande padronanza dei mezzi artistici attraverso un'orchestrazione raffinata, aristocratica e tipicamente
inglese, e a quelli di Holst con il suo poema "I pianeti", fece seguito la importante figura di Britten, che può considerarsi
il vero autore della rinascita della scuola inglese.

Personaggio molto attivo, svolse un importante ruolo di divulgazione musicale, fondando il festival di Aldeburgh ed
alternando l'opera di direttore d'orchestra a quella di compositore, con grandi risultati nel primo caso e grande
fecondità nell'altro, tanto da meritarsi il titolo di "Sir".

Fu un compositore molto sensibile ed attento agli eventi storici, come chiaramente testimonia il "War requiem"
(requiem di guerra) per soli, coro e orchestra scritto ispirandosi al secondo conflitto mondiale nel 1961.

Nell'ambito della musica da camera spiccano le "Illuminations", per soprano e archi, su testi del poeta simbolista
francese Arthur Rimbaud, i tre quartetti per archi e le numerose composizioni per violoncello scritte appositamente per
il grande Mstislav Rostropovič.

Britten fu però ambizioso operista, tanto da meritarsi dai suoi connazionali l'appellativo di "Verdi inglese". Nel genere
teatrale spicca "Peter Grimes", grande successo fin dalla prima rappresentazione nel 1945: opera complessa che narra
la storia di un povero pescatore inglese che dapprima assunse, e poi fece misteriosamente sparire, tutti i suoi garzoni
mentre si trovava per mare con la barca. In quest'opera, articolata in cinque atti separati da brevi interludi chiamati
"marini" (spesso eseguiti anche come una suite di brani indipendenti) più prologo ed epilogo, emergevano tratti di
velato e mai dichiarato mistero di omicidio.

Altre opere importanti nel catalogo di Britten furono "The turn of screw" (il giro di vite), nella quale il tema del
sovrannaturale emerge nelle figure di due bambini perseguitati da visioni di oscuri fantasmi, e "Sogno di una notte di
mezza estate" su testi di Shakespeare.

35.3 ­ Gli Stati Uniti

Gli Stati Uniti subirono inizialmente il grande predominio della musica europea, accentuato anche dalla distanza
geografica e quindi dalla loro lontananza dai grandi centri di cultura del vecchio continente.

La lenta ascesa musicale degli Stati Uniti aveva le proprie radici nel lento e progressivo infittirsi di relazioni e scambi
culturali con i musicisti europei, iniziato in sordina alla fine del '700, consolidatosi nel corso dell'800, ed esploso nel
'900 anche a seguito dei regimi totalitari instauratisi in alcuni paesi europei, che costrinsero valenti compositori ad
emigrare oltre oceano.

La situazione del '900 vide quindi i vari Stravinskij, Hindemith, Bartok, Rachmaninov, Schönberg apportare un notevole
contributo alla crescita musicale degli Stati Uniti, che ormai potevano vantare numerosissimi conservatori ed istituti
musicali oltre a grandi orchestre in tutte le grandi città: Cleveland, Chicago, New York, Boston, ecc...
Altri fattori determinanti, per comprendere appieno le proporzioni dello sviluppo musicale negli USA, sono l'esplosione
del Jazz, avvenuto attorno al 1917 a New Orleans, e la grande multi-etnicità della società civile, che generò senz'altro
una fusione artistica e stilistica forse senza precedenti.

Il più grande autore americano dell'inizio secolo fu George Gershwin (1898-1937). Nato come compositore-dilettante,
ottenne grande successo in gioventù grazie ad alcune canzoni per voce e pianoforte e visse un po' limitato
psicologicamente da un complesso di inferiorità nei confronti dei grandi maestri europei, ad alcuni dei quali ebbe anche
la sfrontatezza di rivolgersi per chiedere aiuti e consulenze artistiche (Bartok, Stravinskij, Ravel).

Il grande merito artisticodi Gershwin fu indubbiamente quello di riuscire a fondere, conciliandoli, la musica di stampo
tipicamente europeo-occidentale e il ritmo jazz.

Le sue opere più rimarchevoli furono: il poema sinfonico "Un americano a Parigi", la famosa "Rapsodia in blu" e l'opera
"Porgy and Bess", che proponeva un quadro della società più deteriore americana, nella cornice di argomenti amorosi,
passionali, di droga... nella quale trovò posto il famoso brano "Summertime" cantato insolitamente da un personaggio
secondario, non protagonista, dal nome Clara.

Charles Ives, contrariamente a Gershwin, pagò pegno alle sue tendenze musicali alquanto estreme non ottenendo un
successo che gli consentisse di vivere del mestiere di compositore; fu costretto a mantenere la sua principale
occupazione di assicuratore.

Altri nomi eccellenti nel panorama statunitense furono Aron Copland e soprattutto il grandissimo direttore-
compositore Leonard Bernstein, autore del famoso "West side story" e dell'opera comica "Candide" su testi di
Voltaire, oltreché di mirabili interpretazioni orchestrali e grande promotore della musica sinfonica di Mahler e di Ives.

35.4 ­ L'Unione Sovietica

Il periodo dell'inizio secolo che vide succedersi la rivoluzione del 1905, la rivoluzione del 1918 e la conseguente ascesa
al potere di Stalin, fu decisamente turbolento per l'ordinamento dello stato sovietico.

L'instaurazione del regime comunista di Stalin, a partire dal 1924, provocò un sempre più rigido controllo sulle arti, che
nel caso specifico della musica, si manifestò con l'opera di Zdanov, consigliere dello stesso premier, autore tra l'altro di
numerosi articoli sulla Pravda di critica sempre feroce alle tendenze artistiche progressiste.

Sotto l'incalzante pressione esercitata dal regime sovietico alcuni artisti, come Stravinskij e Rachmaninov, scelsero la
strada dell'esilio in Europa e negli USA, mentre altri accettarono, anche loro malgrado, di uniformarsi ai dettami ferrei
del controllo di Zdanov. Tra questi spiccano le figure di Sergej Prokofiev (1891-1953) e di Dimitri Shostakovich (1906-
1975).

Sergej Prokofiev, si riparò all'estero, dapprima in Europa e poi negli USA, durante gli anni 1918-1933, per poi
rientrare in patria. Personaggio piuttosto lineare, si piegò alla politica sovietica e modificò le proprie tendenze artistiche
anche a seguito del durissimo articolo di critica uscito nel 1936 sulla Pravda intitolato "Caos anziché musica", diretto
soprattutto alle nuove tendenze assolutamente impopolari come quelle della scuola di Vienna, che mal sposavano le
esigenze della collettività previste dal regime russo.

Per non incorrere pertanto nelle nuove e rischiose vie dei seguaci di Schönberg, Prokofiev si orientò piuttosto verso la
strada neoclassica già tracciata da Stravinskij, anche se le sue preferenze furono mirate soprattutto alle forme
classiche sviluppatesi tra la fine del 1600 e l'inizio del 1800. Ecco così spiegato il suo catalogo delle opere, che
annoverava 7 sinfonie di stampo classico, spesso organizzate in forma-sonata, che tradivano i legami haydeniani, come
e' testimoniato ad esempio il titolo della n.1 "Classica"; 5 concerti per piano e orchestra, 5 sonate per pianoforte (egli
era valente pianista), 2 quartetti.

In queste forme era evidente il gusto per le strutture settecentesche, che però talvolta lasciavano il posto ad
improvvise esplosioni melodiche personali e ben più moderne, mentre si mantennero pressoché costanti il grande
rigore e la chiarezza espositiva.

Prokofiev si cimentò anche nei generi del balletto, seppure con modesti risultati, dove spiccava "Romeo e Giulietta"; nel
genere operistico, con la grande rappresentazione del romanzo di Tolstoj "Guerra e Pace", del celeberrimo "Pierino e il
lupo" e della giovanile "L'angelo di Fuoco", talmente complessa da essere ignorata vita natural durante ed inscenata
postuma solo nel 1955 a Venezia; e nel nascente filone della musica per film.

Dimitri Shostakovich occupò invece una posizione abbastanza opposta a quella di Prokofiev. La sua sostanziale,
anche se solo apparente fedeltà al regime, lo portò a produrre opere che ben rappresentarono un efficace mezzo di
propaganda politica, fatto facilitato dalla sua nascita durante la piena ascesa di Lenin.

Delle 15 sinfonie del suo catalogo, caratterizzate da una complessità decisamente anti-classica e con varie apparizioni
anche della voce, diverse riportano espressamente titoli inequivocabili: "Primo maggio", "1905", "1917", "Leningrado".

Spiccano nella sua produzione l'operina giovanile "Il naso", che gli procurò molte critiche in quanto i temi trattati
secondo un'ottica borghese, mal si sposavano con l'ideologia del regime sovietico, ed una serie di pezzi per piano come
i 24 preludi e fughe di scopo didattico.

35.5 ­ Il nuovo serialismo, la musica elettronica e l'Alea

Le nuove tendenze innovatrici affacciatesi all'inizio del Novecento portarono in campo musicale ad una vera e propria
frammentazione degli stili e dei movimenti, generando spesso figure di compositori che spaziarono tra di essi senza in
realtà collocarvisi in modo esclusivo e definitivo.

Di questi compositori il più grande fu Olivier Messiaen (1908-1992), personaggio estremamente talentuoso, che
riuscì anche a far istituire una apposita nuova cattedra al conservatorio di Parigi ove poter insegnare le sue teorie di
avanguardia musicale.

Valente direttore d'orchestra e organista, scrisse molte opere per tastiera, sia pianistica che organistica, abbracciando
anche il genere della musica sacra.

Compositore tecnicamente padrone della materia, fece largo uso di perizie contrappuntistiche come i ritmi non
retrogradabili, particolari architetture formali, che tramite la simmetria hanno lo stesso sviluppo sia per moto retto che
retrogrado, e fu largamente seguito ed imitato da alcuni suoi allievi, come Pierre Boulez (1905) e Karlheinz
Stockhausen.

Nel suo catalogo si ricorda l'opera "S.Francesco", di argomento chiaramente sacro, nella quale emergeva la sua
passione per il canto degli uccelli. In misura ancora maggiore, con l'opera "Uccelli esotici", nell'intento di riprodurre con
gli strumenti più svariati il verso dei volatili, arriverà a simulare ben 47 tipi di canto.

Il Novecento segnò anche l'esplosione della tecnologia al servizio della musica.


Iniziarono infatti a fare la loro comparsa, a partire dagli anni 20, alcuni strumenti elettronici di varia natura che vennero
classificati via via come dinamofoni, sferofoni, trautoni (Hindemith scrisse un concerto per trautonio ed orchestra),
azionati manualmente ed in grado di produrre ed elaborare onde sonore di varie tipologie mediante filtri ed oscilloscopi
di diversa natura.

Il passaggio tecnico successivo fu l'avvento del nastro magnetico, che avviò l'epoca della "musica concreta", segnando
l'inizio dell'utilizzo dei suoni campionati dalla natura nell'arte musicale. Si aprirono anche veri e propri studi fonologici
come quello di Colonia nel 1951 e quello di Milano nel 1955 (dove collaborarono molti artisti dell'avanguardia italiana di
quegli anni, da Berio a Nono a Maderna).

Ben presto, però, ci si rese conto delle limitazioni timbriche e soprattutto espressive di questi nuovi strumenti, con i
quali i suoni non erano prodotti direttamente dalla sensibilità della mano dell'artista bensì filtrati da un "tavolo di
missaggio". Si giunse così al compromesso di sfruttare questi strumenti solo per elaborare suoni musicali prodotti da
strumenti tradizionali, per non perdere quel carattere di unicità e di individualità che stava dietro ad ogni esecuzione.

Dall'unione delle nuove tendenze già anticipate da Webern, con il suo serialismo integrale applicato non solo più
all'elemento melodico, ma anche a tutti gli altri aspetti del discorso musicale, come ritmo, dinamica, ecc... con lo
sviluppo della tecnica della musica elettronica, nacquero i lavori dei viventi Pierre Boulez e Karlheinz Stockhausen, oltre
agli italiani Nono, Manzoni, Berio, Maderna, Mussotti, Sciarrino e Guarnieri.

A questi movimenti d'avanguardia, spesso caratterizzati da elementi di forte costrizione e rigore formale, anche di
stampo neo-classico, si distaccò nettamente il compositore americano John Cage, iniziatore della cosiddetta "alea"
musicale, che contrapponeva una tecnica molto più libera e casuale, come ben espresso dall'etimologia del termine
latino "Alea" (dado). Nacque il concetto dell'happening, che univa aspetti legati all'improvvisazione ad altri legati al
caso, come ad esempio nel brano "433" di Cage, dove gli esecutori siedono in silenzio davanti ai loro strumenti, mentre
la materia sonora viene generata casualmente dai rumori in sala.

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